#014 - Verde

Axel ha gli occhi…

“Verdi. Basta. Perché dovrebbe esserci altro?” Roxas siede sul divano bianco e non sa perché abbia avuto proprio quel pensiero, quello fra mille altri più plausibili.

Ha gli occhi…

“Indagatori. Si, di quelli che finché non hai risposto nel modo che vuole lui continuano a fissarti. Mamma mia, che ansia!” Si sdraia, guarda il soffitto, insulta mentalmente quel ragazzo dai capelli rossi che gli rompe le scatole di continuo nemmeno fosse sua madre.

Axel ha gli occhi...

“Accesi. Si, beh, non si può negare, no? Che sono pieni di vita… anche troppa ad essere sinceri” Si risiede, perché stranamente è impossibile pensare all’ altro senza sentirsi agitato.

Roxas si siede, si sdraia, si risiede e si alza scocciato.

Axel ha gli occhi verdi, punto.

E lui ha voglia di vederli. Adesso.

#019 - Bianco

“Cosa gli è mancato? Per non diventare come noi, intendo.” Roxas dondolò le gambe oltre il balcone. Schioccò le dita e di nuovo il simile scomparve, com’ era già scomparso prima.

O forse non era lo stesso.

“Volontà, pare” Axel aveva un tono sarcastico “Non so davvero come si possa non aver abbastanza voglia di vivere, nel momento in cui ti accorgi che stai morendo. Non ha senso.”

“Tu vuoi vivere?”

“Questa non è vita. Ma davvero, è meglio così che diventare uno di quei fagotti bianchi.”

Roxas schioccò le dita, il simile riapparve.

O forse non era lo stesso.

Quelle pareti bianche, Axel le odiava con tutto sé stesso, con tutto l’odio che era in grado di produrre il suo cuore vuoto, arido come terra bruciata.

Aveva passato le sue vite, anche la seconda, a cercare il colore, perché il colore era speranza, era certezza; il colore era l’ essenza stessa dell’ essere. Era emozione.

Ma quelle mura sembravano volerlo privare perfino di quel conforto illusorio. Si stringevano su di lui, bianche come la morte. Il bianco era la somma di tutti i colori, ma una volta catturati non li restituiva più.

Il bianco divorava i colori, implacabile, crudele.

“Credevo la considerassi una cosa stupida.” Sorridendo, mentre il vento del crepuscolo gli accarezzava i capelli, Roxas dondolò le gambe oltre il bordo della torre. Agitò il gelato che teneva in mano per sottolineare il concetto. Axel alzò le spalle.

“Penso lo sia.” Ma sorrideva anche lui, dietro ai capelli rossi “Ma non ho mai detto che non mi piacesse. Cose stupide, è questo che si fa.”

“Quando?”

“Quando hai un amico.” Gli sembrò così ovvio da dire, che quasi si spaventò. Gli lasciò uno strano sapore in bocca, dolce e salato come il ghiacciolo azzurro che stavano gustando.

Axel l’ aveva capito subito, che Roxas era diverso. L’ aveva letto nel brillio dei suoi occhi, tropo vivi per appartenere ad un essere vuoto.

Roxas non era indifferenza e apatia, Roxas era fuoco bruciante e rabbia che esplodeva dal nulla. Era sorrisi e denti che mordevano le labbra in un muto invito, era dita che artigliavano, accarezzavano, graffiavano per dimostrare qualcosa, per soddisfare un bisogno che non sarebbe mai stato soddisfatto.

Roxas lo cercava. Lo desiderava, perché voleva sentirsi completo.

E per un attimo, in quell’ ultimo secondo, quando i loro corpi uniti si tendevano insieme, si sentivano entrambi tali.

Ciò che esce mentre la prof interroga altra gente in storia e tu sei seduta in ultima fila ad annoiarti.

Meh, forse per un po' non scriverò più nulla, più che altro fino alla fine degli esami xD Devo seriamente mettermi a lavorare alla tesina.

Perché.