Never let me go

di LyraWinter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home ***
Capitolo 2: *** Memories they're following me like shadows ***
Capitolo 3: *** Collide ***
Capitolo 4: *** It's one door swinging open and one door swinging close -Part 1- ***
Capitolo 5: *** It's one door swinging open and one door swinging close -Part 2- ***
Capitolo 6: *** Back to the start ***
Capitolo 7: *** Let it go ***
Capitolo 8: *** Don't you give up on me ***



Capitolo 1
*** Home ***


 




A tutte quelle che ancora sperano che finisca questa storia.

A chi la rileggerà.

A chi comincerà daccapo.

A chi l'ha ispirata.





1. HOME


All my nightmares escaped my head
Bar the door, please don't let them in
You were never supposed to leave
Now my head's splitting at the seams
And I don't know if I can



(canzone del capitolo)



 

Nel cuore del New England c’è un lenzuolo sgualcito di terra che si protende verso il largo dell’Oceano Atlantico, dove il vento frizzante ed il perpetuo sferzare dell’acqua salmastra hanno plasmato la terra, aprendo mille insenature nella lingua di costa che ne segna l’estremo confine con il mare. Dove la spuma delle onde si confonde con gli stormi di gabbiani e le candide vele delle barche che ogni mattina si allontanano dalla riva alle prime luci dell’ alba.

Questo posto di chiama Cape Cod ed è esattamente come lo si dipinge sulle brochure patinate delle agenzie di viaggio: una cartolina, come quelle che trovi per una manciata di spiccioli nei chioschetti turistici.

Là, d’estate, la sabbia pallida ed i sassi grigio antracite, vengono illuminati dai tiepidi raggi del sole e, sulla spiaggia, il vento solleva piccoli mulinelli che si sperdono fra gli schizzi d’acqua e le rocce sbiancate dalla spuma del mare.

 

 Nelle strade delle sue cittadine si ode un perenne brusio di voci argentine che si sopisce solo a tarda notte, quando tutti si fermano ad ammirare attoniti lo spettacolo della luna che si riflette sui flutti di un nero brillante. D'inverno poi,  il mormorio dei turisti é sostituito da quello delle onde, il cui rumore, libero di risuonare fra le piccole case dai muri bianchi e grigi ed i tetti spioventi, si fa così forte da coprire quello di chi rimane a sfidare gli inverni umidi e rigidi e le tempeste di neve che imbiancano le scure rocce.

 

Nell’estremo più a Nord di questo lembo di terra c’è una cittadina, Province Town, che è esattamente come la gente se la immagina: un luogo dove anche il tempo sembra essersi fermato a contemplare la straordinaria e potente bellezza dell’oceano. Uno di quei posti dove i cittadini frustrati ed innervositi dai ritmi pressanti delle loro frenetiche vite vanno per ritrovare loro stessi, ma dove molti, irrimediabilmente, si perdono.

 

Come Bill, che aveva acquistato il Blue Fish, ma ne era diventato il più assiduo avventore dopo che i suoi risparmi erano svaniti più velocemente del bicchiere di gin con cui apriva la serata. O come Elinor, ricca e spensierata bostoniana che aveva sposato l’affascinante figlio di un albergatore del luogo, credendo di poter sostituire la fragranza talcata delle gocce di Chanel n.5 – con cui sua madre imponeva alle domestiche di mescere al sapone di marsiglia usato per lustrare i lussuosi pavimenti del loro appartamento cittadino - con l’odore del mare, prima di rendersi conto che il pesce le provocava una nausea perenne.

 

Province Town era il tipico posto dove la fisionomia del proprio volto rimaneva  tristemente impressa nella mente di ogni abitante e dove tutti si ritenevano in diritto di associare la tua immagine ad un’etichetta, inquadrandoti in un ruolo che sarai obbligato ad interpretare per tutta la vita.

 

La maggior parte della gente che risiede in quella cittadina si sveglia la mattina, pervasa dal fugace panico dell’ignoto che ti coglie quando, aperti gli occhi, non sei in grado di stabilire esattamente che giorno sia. Solo che lì, quell’attimo, non conosce fine. E così ti scivolano addosso i giorni, i mesi, gli anni e tutto ciò che hai fatto non è altro che alzarti, mangiare, far venire sera, dormire e via da capo, intrappolato in quell’immutabile ed immobile quotidianità.

 

O perlomeno, questo è che vi avrebbe risposto Annie Morgan, se le aveste chiesto uno dei mille motivi per cui era fuggita prima che quel posto la inghiottisse, esattamente come le onde del mare avevano fatto, nell’inverno del 2003, con il suo angolo di spiaggia preferito, trascinandolo per sempre alla deriva.

 

 

 

***

 

 

-Dannazione!

 

Annie fissò attonita lo schermo del suo cellulare, prima di arrendersi alla triste realtà di trovarsi, nel cuore della notte, a 50 miglia da Province Town senza connessione telefonica, visto che sua cugina aveva avuto la brillante idea di esaurire le batterie di entrambe per appuntarsi in agenda le ultime novità circa gli eventi mondani programmati per quell’estate a Cape Cod. Evidentemente, però, il fatto di trovarsi nel mezzo di una delle improvvise burrasche estive tipiche del luogo non sembrava toccare particolarmente Nicole, dal momento che la sua preoccupazione principale in quel momento sembrava piuttosto trovare il modo di tenere viva la fiamma dell’accendino per fumarsi l’ennesima sigaretta della nottata.

 

-Dovevamo prendere il traghetto a Boston! Perché io continuo a darti ascolto?

 

Annie cominciò a rovistare nella borsa alla ricerca di qualche moneta, in paziente attesa che la cugina si degnasse di concederle il privilegio della sua attenzione.

 

-Trovate!- Esclamò rivolgendole uno sguardo di trionfo. Questa però, pigramente stravaccata sulle valigie messe al riparo dalla pioggia torrenziale sotto la microscopica pensilina della stazione dei pullman, continuava imperturbabile a giocherellare con il ciuffo di capelli che le ricadeva scomposto sulla fronte lentigginosa, emettendo eleganti sbuffi di fumo.

 

-Ma che ci parlo a fare con te?- Aggiunse sconsolata, scrollando le spalle ed avvicinandosi ad uno dei rari telefoni pubblici rimasti, fortunatamente, ancora in circolazione. Sollevò la cornetta, constatando però, che anche quella linea di comunicazione, era fuori uso.

 

-Maledette linee telefoniche!

 

-Bentornata a Cape Cod, a 70 miglia da Boston e da ogni preoccupazione. E da ogni forma di innovazione tecnologica!- Nicole rise soddisfatta, mentre la cugina issava bandiera bianca, abbandonandosi sconsolata sull’unico centimetro quadrato di valigia lasciato libero dalle sue gambe e tirandosi sulla testa, con aria accigliata, il cappuccio della giacca a vento che aveva avuto l’accortezza di infilare nella borsa all’ultimo minuto.

 

-Ricordami perché lo faccio, al momento mi sfugge il nocciolo della questione,- protestò Annie.

 

-Vediamo... Forse perché la depressione dell'estate londinese ti stava facendo somigliare più a un morto che cammina che a un essere vivente? O forse perché rimanere in città dopo che quel coso che chiamavi fidanzato ti ha mollato su due piedi e se n'è andato in Giappone a folleggiare?

 

-Ethan non è andato in Giappone a folleggiare, e non mi ha nemmeno mollata su due piedi, se vogliamo essere onesti.

 

Nicole interruppe le sue parole con un gesto annoiato. -Non importa quale sia la ragione del vostro tragico distacco, la terapia post-rottura prevede obbligatoriamente che tu trovi qualcuno con cui prendertela e, siccome Ethan è troppo perfettino persino per tradirti e fornirti un capro espiatorio, allora te la devi prendere direttamente con lui. Sono le regole del gioco, mi dispiace.

 

Annie provò ad aprire la bocca per obiettare, ma la cugina la interruppe con un tono che non ammetteva repliche. -Inoltre, mi vuoi troppo bene per lasciarmi un'estate intera, sola, in pasto ai lupi.

 

Annie sorrise con sarcasmo, pensando che un branco di lupi non sarebbe uscito vivo da quel covo di serpenti che era la sua famiglia materna.

 

-E tu, perché lo fai?

 

Niente al mondo avrebbe convinto la mondana Nicole, brillante studentessa della Columbia, ad allontanarsi dall’alta società newyorkese, dai succulenti ristoranti pluripremiati, dall’eleganza dei vernissage e dallo splendore delle feste, gremite di giovani rampolli delle famiglie più in vista della città vestiti come modelli di Vogue.Niente, tranne qualcuno incarnasse tutti gli aspetti appena citati.

 

-David, naturalmente.

 

Come volevasi dimostrare. Annie scosse la testa in segno di disapprovazione, mordendosi la lingua per non esternare a sua cugina i suoi pensieri a riguardo: David Campbell era ormai da un anno il perfetto fidanzato della cugina. Figlio di uno dei più importanti avvocati di New York, il giovane era entrato a Wall Street dopo una brillante carriera universitaria e ne aveva immediatamente raggiunto la vetta. Annie si domandava come, un giorno, Nicole sarebbe riuscita a chiamare marito qualcuno che era già sposato al suo lavoro e ai doveri mondani che questo comportava. Tuttavia, si disse, non era quello il momento per discuterne.

 

-Che c’é adesso?- le domandò questa, squadrandola con aria interrogativa. Lei tacque eloquentemente, osservandola accendersi un’altra sigaretta.

 

-Tu fumi troppo Nicky.

 

-E tu mangi troppo.

 

Annie squadrò con attenzione il cracker che aveva distrattamente iniziato a sbocconcellare, per sedare il nervosismo crescente. Non girava mai senza cibo nella borsa; a chi, malignamente, l’additava come golosa, propinava la scusa della prevenzione contro i cali di pressione che spesso la coglievano, ma la realtà era che aveva, davvero, sempre fame.

 

Stava congelando: non aveva previsto di dover passare la notte sotto uno di quei diluvi torrenziali che coglievano d’improvviso Cape Cod e, alla partenza, aveva ingenuamente indossato un leggero vestitino, un giubbottino di jeans ed un paio di sandali che avevano miseramente capitolato dinnanzi alla superiorità della natura, palesatasi in una tempesta da fare invidia ai rovesci monsonici.

 

-Vado a cercare aiuto, tieni d’occhio le valigie. Qui si muore dal freddo, faresti meglio a coprirti.- Annie imboccò l’uscita a testa bassa, per proteggersi dalla pioggia che aveva cominciato a cadere in diagonale, appiccicandole i capelli sulla testa e rimbalzandole sulle gambe nude.

 

Sapeva che avrebbero dovuto prendere il traghetto a Boston: tre ore comodamente sedute sui divanetti a prua e sarebbero state direttamente a Province Town. Ma, a Nicole, evidentemente, le cose semplici non piacevano: terrorizzata dalla nave, l’aveva forzata a salire sul primo pullman per Barnstable, assicurandole che lì avrebbero preso immediatamente la coincidenza per arrivare a casa. Peccato che fosse l’una di notte ed il primo pullman partisse non prima alle sette del mattino seguente. Annie si domandava da venticinque anni come sua cugina potesse essere cresciuta in una cittadina di velisti e pescatori, visto il terrore irrazionale che provava nel salire su una qualsiasi imbarcazione. In realtà, aveva sempre sospettato che se mai qualcuno le avesse domandato di prendere il largo su uno yacht di lusso, Nicole avrebbe dimenticato in una manciata di secondi il giuramento che aveva fatto da bambina, quando erano quasi naufragate a bordo della piccola barca a vela su cui prendevano lezione durante la bella stagione, di non mette mai più piede su qualcosa che galleggiasse a più di tre metri dalla riva. Ma questo, ovviamente, non gliel’aveva mai detto.

 

Stava disperatamente tentando di orientarsi per ricordare se vi fosse un pub o un qualsiasi locale a cui chiedere di telefonare nei dintorni, quando un tuono improvviso e violento la fece sussultare dalla paura, tanto che cominciò a correre, verso le prime luci che poté adocchiare, fino a che qualcosa non interruppe la sua fuga. Qualcosa con un paio di All stars scolorite, dei jeans sdruciti a coprire due gambe lunghe e fin troppo snelle. Qualcosa che rispondeva al nome di…

 

-Scotty!- esclamò, riconoscendo l’ostacolo che si era messo fra lei e la corsa verso un mezzo di comunicazione.

 

Lui la fissò con gli occhi sgranati per qualche istante sorreggendole i gomiti per paura che cadesse per l’impatto.

 

-Annie?!

 

Erano cresciuti insieme, lei e Scott Anderson. I due bambini più ossuti e piccolini di tutta Province Town, così erano conosciuti. Con l’unica differenza che, durante l’adolescenza, lui aveva raggiunto ed abbondantemente superato i suoi coetanei, mentre lei si era arresa alla desolante realtà che, nemmeno se l’avessero sottoposta ad una tortura medievale, avrebbe raggiunto un’altezza degna di essere chiamata tale.

 

-Cosa ci fai da queste parti? Ormai ti credevo in un pub londinese, con la pancetta alcolica e la canotta da muratore macchiata di sugo, a bere birra e a tifare Chelsea!

 

Annie si ricordò immediatamente cos’era che amava in lui: la sua spontaneità. Ed il sorriso compiaciuto che gli si stampava in volto ogni qualvolta era consapevole di aver detto qualcosa di estremamente divertente per gli altri. Il che avveniva più o meno una volta ogni cinque minuti, vista la frequenza con cui esordiva con frasi davvero imbecilli.

 

Avrebbe riso di gusto se non fosse stato che la prontezza di spirito con cui l’aveva accolta, come se lei non se ne fosse mai andata, l’aveva spiazzava.

 

 -Scotty io…

 

-Brady non lo sa, vero?

 

La seconda cosa che amava ed odiava al contempo di Scott era l’estrema sagacia. Gli bastava un’occhiata per inquadrare le persone e, disgraziatamente per lei, difficilmente si sbagliava.

 

-Cos’è che non so?

 

Eccolo lì, in piedi davanti a lei: Brady Sanders, l’incarnazione di quanto di più vero c’era nel detto –i più grandi mali vengono dai più grandi beni-. Centonovantacinque centimetri di beni, per l’esattezza.

 

Annie poté avvertire distintamente l’istantanea interruzione del respiro di Scott, rimasto senza parole forse per la prima volta nella sua vita, e vedere la vena sulla tempia sinistra di Brady cominciare a pulsare, mentre stringeva il bicchiere di birra che reggeva in mano, come se volesse infrangerlo in mille pezzi.

 

Non riusciva a muoversi e continuava a fissare gli occhi turchesi di lui, incapace di trovare in sé le parole più adatte per spezzare quell’atmosfera opprimente che era calata fra di loro. Cosa dire alla persona con cui si aveva condiviso una vita di esperienze, emozioni e pensieri, dopo essere sparita nel nulla per sette, lunghissimi anni? Cosa poteva passare per la sua mente, ora che lei gli stava davanti, dopo che senza una spiegazione se n’era andata, senza fargli avere sue notizie, senza cercarlo, chiamarlo o fargli anche solo sapere che era viva? C’era stato un tempo in cui lui la guardava e, senza che parlasse, sapeva già tutto ciò che aveva da dirgli, ma ora? Era ancora il suo Brady, dopo tutto quel tempo?

 

Improvvisamente, mentre si chiedeva se sarebbe mai stato possibile tornare all’ultima volta in cui si erano salutati, da dietro il finestrino di un pullman in un giorno piovoso di fine agosto, lui sembrò destarsi dal suo torpore, sgranò gli occhi blu ed esclamò, lanciandole uno sguardo in tralice:

 

-Chi ti ha violentato i capelli?

 

Un guizzo divertito percorse gli occhi di Annie, mentre sentiva sciogliersi lentamente il nodo alla gola che le impediva di parlare; deglutì sonoramente, poi, portandosi una mano nel caschetto castano che le lasciava libera la nuca,  gli rispose: – probabilmente la stessa persona che si è portata via i tuoi bei boccoli biondi, riccioli d’oro!

 

Da qualche parte accanto a loro, Scott tornò a respirare. Annie era ricomparsa inaspettatamente, come il primo tuono di quella giornata soleggiata fino al tramonto, ma tutto sembrava andare per il verso giusto.

 

Brady mosse qualche passo verso di lei, incerto se compiere quel gesto un tempo così ordinario, ma che ora gli pesava più che la stessa lontananza e totale indifferenza che si erano mostrati l’un l’altra in quegli ultimi anni. Poi, con un inaspettato slancio di coraggio, tese le braccia per stringerla, con un gesto che sembrava volerle dirle -tregua-.

 

Fu in quel momento che Annie la vide: impercettibile, sottile, quasi invisibile, una fascetta dorata brillava sull’anulare sinistro del suo migliore amico d’infanzia. E allora capì che sì, forse erano i grandi beni che provocavano grandi mali, ma che quelli piccoli, provocavano disastri. E che niente, a Province Town, sarebbe più potuto essere come lo ricordava.

 

 

 

***

 

 

 

Se tutto ad Annie sembrava inevitabilmente cambiato una volta rimesso piede a Cape Cod, quando Scotty, dopo avere gentilmente offerto a lei e a Nicole un passaggio, la scaricò davanti al Brass Key, ebbe la subitanea impressione che il tempo, almeno lì, non fosse mai trascorso.

 

Le stesse luci basse rischiaravano ancora l’entrata del B&B che suo padre gestiva da quando si era trasferito in Massachusetts trent’anni prima. Al primo piano, dalla stanza di sua sorella Sam, le tremolanti luci della televisione rimasta accesa filtravano dalla finestra socchiusa, rimandandole immagini di Audrey Hepburn che rincorreva il suo gatto sotto la pioggia. Le scarpe da basket sul davanzale di Jamie erano le stesse di quando era partita sei anni prima per l’Inghilterra, solo più grandi di qualche numero. Nel patio antistante l’entrata, il dondolo su cui spesso aveva passato le notti in attesa che suo padre fosse sufficientemente addormentato per rientrare in casa dopo una serata in spiaggia con gli amici senza subire le sue ramanzine, ondeggiava lentamente, mosso dal vento sferzante di quella notte burrascosa, esattamente come il giorno in cui aveva creduto di aver detto addio per sempre a quel posto.

 

Infilò il vialetto di casa maledicendosi per avere scelto di usare quel trolley grande quasi quanto lei, al posto dell’enorme zaino da campeggio che si era comprata in Europa. Sua cugina approvava in pieno quella scelta, più raffinata ma decisamente meno pratica per intrufolarsi di soppiatto in casa, attraverso il percorso sterrato che attraversava il giardino perfettamente curato di suo padre. Una pessima decisione dunque, specialmente perché le gambe, appesantite dal viaggio e dalla stanchezza del jet lag, non volevano saperne di sollevarsi quel tanto che bastava per evitare il fastidioso scalpiccio della suola di cuoio dei sandali.

 

Annie, ormai inzuppata, scivolò all’interno della casa dalla porta sul retro, di cui aveva recuperato la chiave da sotto il vaso antistante la porta. Lasciò la valigia in cucina, dove ancora si sentiva il profumo dei muffins ai mirtilli che la cuoca aveva lasciato pronti per essere gustati dai primi clienti della stagione, quelli che amavano godersi il primo sole evitando la ressa dei giorni di agosto, e si mosse verso l’ingresso, stupendosi di come, anche lì, fosse rimasto tutto come lo ricordava. Sulla destra, il vaso alla cui incolumità aveva mille volte attentato da bambina, quando la palla era l’appendice mobile del suo braccio destro. La fotografia dei quattro piccoli Morgan sul tavolino con le rose gialle su cui suo padre lasciava sempre qualche libro per i clienti che decidevano di passare la serata, il giradischi con il vinile di Across the Universe pronto per essere ascoltato; era come se in quel luogo tutto si fosse congelato, in paziente attesa del suo ritorno. Aveva persino l’impressione che i granelli di polvere che le rimanevano attaccati alle dita con le quali sfiorava oggetti e mobili a lei familiari fossero gli stessi di allora, così come il bicchiere d’acqua macchiato di rossetto sul tavolino, o il maglioncino di cotone blu di Sam abbandonato sul divanetto di velluto rosso.

 

Infine, nell’ingresso, suo padre che copriva il turno di notte, immerso nella lettura di un quotidiano, con gli stessi occhiali di tartaruga che portava da quando aveva vent’anni, sempre storti sul naso e qualche sporadico filo argentato che illuminava i riccioli castani. Persino lui sembrava lo stesso Kenneth Morgan che l’aveva accompagnata al traghetto per Boston, consapevole che probabilmente non vi sarebbe mai stato il giorno in cui l’avrebbe vista scendere nuovamente da quell’ imbarcazione.

 

-Papà?- sospirò con voce flebile.

 

-Sam, è tardi e domani c’è scuola, che ci fai ancora in piedi?- domandò lui senza sollevare lo sguardo dal giornale.

 

-Papà sono io, Annie…

 

L’uomo trasalì, riconoscendo la voce della sua secondogenita e si alzò, avvicinandosi di qualche passo. Ogni giorno di quei sette lunghissimi anni, aveva accettato rispettosamente la scelta della figlia, potendone solo indovinare le motivazioni, ed ogni sera, allo spaccare delle diciotto, aveva alzato la cornetta, per farsi trasportare dai racconti della sua giovane giornalista nella loro terra d’origine. Ma averla di fronte, dopo quasi otto mesi che non vedeva quella che, in fondo, sarebbe sempre stata la bambina con un caschetto di riccioli identici ai suoi e le ginocchia troppo ossute perennemente sbucciate sotto la salopette di jeans, era tutta un’altra questione.

 

-Ti ho chiamato questo pomeriggio, ma non mi hai risposto…- balbettò incredulo, sfilandosi gli occhiali da lettura.

 

-Stavo atterrando papà. Avevo bisogno di tornare a casa, Londra era troppo vuota senza Ethan e...-

 

Fu l'abbraccio di suo padre, a zittirla. Se superare l’imbarazzo di salutare Brady ad Annie era sembrato un’impresa titanica, quello di trovare le parole giuste da dire all'uomo in quel momento le apparve un ostacolo insuperabile. Per cui rimase lì, immobile, lasciando la stringesse a sé ed assaporando il profumo di tabacco e menta piperita della sua pelle e della sua camicia azzurra. Forse tacere non era la scelta migliore, ma era l’unica possibile, dal momento che le stupide lacrime provocate da quel rimestio di gioia, tristezza, rabbia e malinconia che le attorcigliava lo stomaco le avevano fatto morire ogni parola in gola. Avrebbe voluto dirgli quanto le era mancata la sua casa, lui e i suoi fratelli, urlargli la rabbia che provava nei confronti di Ethan, di Brady e di tutto ciò che l’aveva spinta a lasciare Londra, la frustrazione del tornare e rendersi conto che nulla, lì, era come lo ricordava. Ma, probabilmente, lui lo sapeva già.

 

 

***

 

 

Spazio autrice

 

Bu!

Son tornata su questa storia. A chi la legge per la prima volta... Benvenuto!!! 

A chi invece torna qui dopo molto tempo, va il mio ringraziamento: vi giuro che la finirò. 

La decisione di riprenderla in mano e modificarne un po' i contentuti viene alla fine di una serie di buoni propositi che durano ormai da anni, ma viene anche dalla voglia di chiudere questo progetto che mi sta molto più a cuore di quanto si possa credere. Non vorrei stare a tediarvi troppo, ma sappiate che alcune cose sono state modificate, magari anche impercettibilmente, per giustificare la piega che la storia prenderà più in là. Se deciderete di fermarvi a questo capitolo finchè non avrò revisionato il secondo, non vi interesserà, ma se andrete avanti tenete ben presente che Ethan sarà molto più che una semplice citazione, ma occuperà un ruolo ben specifico nel corso della storia. Non cancello il resto della storia, perchè ci sono alcune recensioni a cui sono talmente affezionata che non potrei cancellarle a cuor leggero, ma sappiate che la mia intenzione è revisionare un paio di capitoli a settimana, prima di pubblicare il prossimo, vale a dire il nono.

 

Arrivata a questo punto... che dire? Grazie di aver letto e di essere arrivati fino a qui, spero davvero che questo prologo vi sia piaciuto. Grazie di essere ripassati. 

Se volete rimanere in contatto, per spoiler e tanto tanto tanto disagio, questo è l'indirizzo del mio gruppetto Sing and write for the wind, fear not for tomorrow, che da qualche tempo ospita anche le mie compagne di cervello (uno e trino) Sam e Veronica SidRevohttps://www.facebook.com/groups/342900242472146/

 

 A me, invece, mi trovate QUI e QUI

 

Un abbraccio, Lyra.

 

 

 


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Capitolo 2
*** Memories they're following me like shadows ***


 

 

(Capitolo revisionato)






Alle serie che continuano ad ispirare 

questa storia, Hart of Dixie innanzi tutto,

oggi per me ufficialmente terminata,

che dopo tanti anni, rimane la prima e costante

fonte di ispirazione (e vaccate).

 





2. MEMORIES THEY'RE FOLLOWING ME LIKE SHADOWS


Gone away are the golden days
Just a page in my diary
So here I am, a utopian citizen
Still convinced there's no such thing as idealism



(canzone del capitolo)



 

 

 

 

 

 

Brady dischiuse la porta di casa quel tanto che bastava per scorgere una massa di boccoli biondi raccolti sulla nuca spuntare dal divano del salotto.

 

Hailey si era addormentata con i piedi scalzi e le gambe appoggiate al bracciolo, lasciate scoperte da un paio di pantaloncini grigi ed una morbida maglietta bianca, scaldata solo da una sua camicia a scacchi che la calzava come una vestaglia. Era bella Hailey, di una bellezza che lasciava senza fiato. Spesso Brady si era ritrovato a stupirsi del fatto che, dopo otto anni passati insieme, il suo volto riuscisse ancora a sorprenderlo come un bambino che osserva con occhi nuovi il volo di una farfalla dai mille colori che si posa sulle foglie smeraldine. Così come quei colori mutano sotto la diversa incidenza dei raggi e non appaiono mai uguali, il volto di sua moglie gli regalava ogni giorno un’immagine nuova, che non smetteva mai di incantarlo.

 

Ogni sera, preparatasi una tazza di camomilla, si immergeva nella lettura di uno dei sei libri che si prefiggeva di terminare ogni mese. Il più delle volte crollava vinta dal sonno e lì rimaneva, finché lui non la sollevava e la portava a letto, oppure la copriva e la lasciava riposare finché le membra intorpidite non la spingevano a trovare rifugio nel suo confortante abbraccio. Nulla avrebbe potuto mutare quell’intima routine che si perpetuava da quando si erano trasferiti nella piccola dependance di casa Sanders, cinque anni prima. Qualunque fosse stato il programma della serata, lei avrebbe sempre indossato il pigiama, si sarebbe coperta con un suo enorme capo di abbigliamento, e sarebbe sprofondata in quel mondo ai limiti fra fantasia e realtà che raggiungeva quando apriva le pagine di un libro. E lui, invece, avrebbe guardato la televisione, letto il giornale, suonato la chitarra, mangiato, dormito o svolto qualunque attività potesse stemperare la frustrazione che lo assaliva nei momenti in cui si fermava a riflettere. Eppure, tutto si poteva dire di Brady Sanders, tranne che fosse una persona abitudinaria. O perlomeno, questo valeva per il ragazzo che era stato fino al giorno in cui, un anno prima, aveva sposato la sua fidanzata di sempre, Hailey Murray.

 

Durante i primi tempi del matrimonio, ancora carico di entusiasmo e di aspettative, si stendeva accanto a lei, ma ormai non lo faceva più da mesi. Aspettava, pazientemente, che fosse lei ad arrivare.

 

L’entusiasmo di una nuova vita insieme era sparito quasi ancora prima di crescere, ma non poteva essere altrimenti, viste le premesse che lo avevano visto nascere: erano passato quasi due anni da quando suo padre gli aveva fatto capire che la scuola di vela stava diventando un peso e che solo non avrebbe mai potuto portarla avanti. I dolori alla schiena si facevano sempre più forti e le sue sorelle stavano crescendo, e avevano bisogno di qualcuno che le inquadrasse. Di venderla non se ne parlava nemmeno: visto il periodo nero, nessuno sarebbe stato disposto a comprare un’attività le cui finanze non erano rosee già da prima dell’improvviso incidente che aveva costretto Neil Sanders a ridurre drasticamente le ore passate al largo ad insegnare ai giovani rampolli delle ricche famiglie in vacanza a Province Town.  E così Brady, architetto neolaureato, aveva presentato le dimissioni al professore di Berkley che lo aveva voluto accanto come assistente, era tornato a casa, dalle barche a vela sulle quali era cresciuto.

 

E da Hailey, ovviamente.

 

Le aveva domandato di sposarlo per sentire che quel ritorno aveva un significato, per illudersi di essere salito su un aereo diretto a Boston con un biglietto di sola andata per qualcosa che sentisse davvero suo, ma la realtà era che venticinque anni, di cui sette passati con una fidanzata che vedeva solo in rare occasioni, erano forse troppo pochi per scegliere la donna con cui passare la propria vita.

 

Brady ed Hailey. La coppia perfetta, con una storia ancora più perfetta.

 

Una perfezione le cui tracce, dopo una manciata di mesi, rimanevano solo nel brillante inchiostro delle firme che siglavano l’atto matrimoniale con cui avevano dato inizio al declino della loro storia. Da mesi trascinavano il loro rapporto, tentando di preservarne intatta almeno la superficie. Era un po’ come quei bicchieri di vetro soffiato che, quando vengono colpiti, si scheggiano incrinandosi in mille pezzi, ma non si rompono. Rimangono lì, per mesi, anni, in muta attesa del momento in cui verrà sollecitato quel minuscolo punto di rottura per frantumarsi in definitivamente.

 

La realtà era che venticinque anni, di cui sei passati con una fidanzata che vedeva solo in rare occasioni, erano sì troppo pochi per scegliere la donna con cui passare la propria vita, ma lo erano ancora meno per avere un divorzio alle spalle. Così aveva preso la sua decisione. Forse quello stralcio di vita non corrispondeva all’immagine di assoluta ed incondizionata felicità che si era costruito in passato. Forse non avrebbe mai nemmeno saputo com’era una vita in cui si era conquistato esattamente ciò che si voleva, nel modo in cui si aveva sperato. Ma quella era la sua, di immagine; indubbiamente non patinata ed idilliaca come le copertine di quei libri che Hailey amava tanto, ma con la quale qualche modo aveva imparato a convivere e a sentirsi vivo nel tentativo di aspirare a quella perfezione solo apparente. E, se c’era qualcosa di buono in tutto ciò, era che questa disperata ricerca almeno lo distraeva dal piattume della vita a Province Town e dalla frustrazione che provava nell’aver rinunciato per sempre alla passione della sua vita: l’architettura.

 

-Hai fatto tardi.

 

Brady sussultò nel sentire la sua voce. Mosse qualche passo e le si sedette accanto, senza guardarla negli occhi, ma fissando oltre la finestra, dove la pioggia torrenziale si abbatteva sull’oceano in agitazione.

 

-Scott aveva delle commissioni da sbrigare a Barnstable e ci siamo fermati a mangiare qualcosa,- spiegò lentamente lui, mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé.

 

Hailey annuì silenziosamente, capendo dal suo sguardo che quella non era una sera come le altre, che quella sarebbe stata un'altra di quelle sere in cui lui le sarebbe stato accanto con il corpo, ma non con il pensiero, perso in chissà quale realtà di cui lei sicuramente non faceva parte.

 

-Stasera è tornata a casa Annie.- esordì Brady, sedendosi accanto a lei.

 

Ecco, dov’ era. Hailey sapeva bene il ruolo che la ragazza, l'amica di una vita, giocava nella vita di suo marito, nonostante fossero passati anni. Tutti in città, lei compresa, sapevano che non esisteva Brady Sanders senza Annie Morgan, la sua amica d’infanzia, la persona con cui era cresciuto, forse la sua esatta metà. Era ben conscia del fatto che fosse solo questione di tempo: prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con la pressante presenza di quella ragazza dal visetto solare, i jeans perennemente strappati sulle ginocchia e gli occhi che sembravano strappati all’oceano nei giorni più soleggiati d’agosto. Solo che non si aspettava che quel fantasma avrebbe preso consistenza proprio nel momento in cui fra lei e Brady si era formata una cortina di ghiaccio che sembrava non volersi sciogliere, nemmeno con le migliori intenzioni da parte di entrambi.

 

-E tu, sei tornato a casa?

 

-Io sono sempre stato qui, Hailey.

 

-Sciocchezze. Tu sei sempre stato ovunque. A Berkley, a San Francisco, forse a Londra con Annie, non lo so. Ma non certo qui.

 

Il ragazzo appoggiò la testa fra le mani, nella vaga speranza di trovare una risposta adeguata in quel mare di pensieri che si attorcigliavano e si accavallavano nella sua testa. Una risposta che potesse dimostrarle che non era così, che potesse assicurare il contrario non solo a lei, ma anche a se stesso. Ma, ovviamente, non riuscì a trovarla. Si limitò dunque a tacere.

 

-Pensi che abbiamo rovinato tutto sposandoci, Brady?

 

-No,- riuscì a rispondere con fermezza. -Ho fatto mille errori in passato, Hailey. Ho gettato via i miei sogni, ho allontanato le persone che mi stavano accanto per inseguirli, ma di una cosa sono certo: se non ti avessi sposato, qui, sarei diventato pazzo.

 

La ragazza si avvicinò e gli accarezzò la guancia liscia, cercando di decifrare il suo sguardo perso nel vuoto. Gli lasciò un bacio delicato per poi allungarsi verso di lui, per trovare rifugio almeno tra quelle braccia ferme e protettive,  dal momento che i suoi occhi, nei quali spesso aveva trovato conforto e sicurezza in passato, le stavano dicendo tutto, tranne quello che era realmente uscito dalla bocca di suo marito.

 

***

 

Scott, lui sì che era un tipo abitudinario, a differenza di Brady.

 

Sua mamma gli aveva sempre raccontato che, quando l’ostetrica che l’aveva fatto nascere venticinque anni prima le aveva depositato fra le braccia un fagottino appena lavato, la prima cosa che l’aveva colpita era stato un ciuffo di capelli castani sparati in aria, come se qualcuno li avesse lavorati strofinandoli con il sapone di Marsiglia. Oltre ovviamente al fatto che, già ad un’ ora di vita, dovesse per forza dire la sua, o urlarla nel caso specifico.

 

Da allora, Scott si svegliava ogni mattina di buon’ora per combattere una guerra già persa in partenza contro quel maledetto ciuffo. Ma, nei dieci minuti esatti che impiegava a trangugiare una tazza di latte scaldato per 30 secondi nel microonde e 45 grammi di cereali, quello lentamente si rialzava, vanificando tutti i pazienti tentativi che l’avevano portato a sorridere soddisfatto alla propria immagine riflessa nello specchio del bagno. Come se non bastasse madre natura, a rendere inutile ogni sforzo si aggiungeva il casco che indossava per raggiungere il lavoro con la sua Vespa, suo chiodo fisso sin da ragazzino.

 

Tutte le mattine, alle sei e un mezza, alzava la serranda del Pheasant Café, locale di famiglia che gestiva da quando i suoi genitori si erano concessi di andare in pensione, accendeva la playlist che aveva accuratamente preparato la sera precedente, per scongiurare il rischio di rimanere senza musica di sottofondo, e si accingeva a preparare i pancakes da servire ai clienti più mattinieri. Alle sette solitamente alzava la testa per accogliere il primo avventore, Keith, il medico della città, abitudinario quanto lui, se non fosse stato per il fatto che ordinava sempre qualcosa di diverso dal menù.

 

Come ogni mattina, parcheggiò la Vespa, buttò distrattamente il casco nel bauletto, tirò fuori il cellulare per controllare gli ultimi aggiornamenti circa la partita dei Celtics della sera prima e, per poco, non travolse una ragazza che sedeva sulla soglia del locale, in paziente attesa dell’apertura. A quanto pareva, anche quella era destinata a diventare un’abitudine.

 

-Dannazione Anderson, non puoi guardare dove vai?

 

Davanti all’entrata, in perfetta tenuta sportiva, i capelli raccolti in un morbido concio ed un tappetino da yoga steso per evitare il contatto diretto con il selciato, stava Nicole, a gambe incrociate e con un’ espressione di palese disappunto sul volto lentigginoso. Scott la fissò qualche secondo, sorpreso di rivederla a quell’ora, visto che non ne erano passate nemmeno quattro da quando l’aveva scaricata davanti al vialetto del lussuoso cottage della famiglia Cooper.

 

-A cosa debbo l’onore?- le domandò sfilandosi dall’orecchio gli auricolari che sparavano musica rock a tutto volume, da cui non si separava mai, nonostante i suoi venticinque anni fossero un po’ tanti per continuare a dare l’immagine dell’eterno ragazzino. Ma, se così fosse stato, Scott non avrebbe indossato ancora quel paio di All stars scolorite e quella felpa grigia con il cappuccio sollevato sulla testa sopra la camicia a quadri che facevano storcere il naso con disappunto all’impeccabile Nicole.

 

-Questo é un Caffé no?- gli domandò lei alzando gli occhi al cielo.

 

-Certo.

 

-Cosa diavolo pensi che ci faccia qui allora?!- replicò secca, iniziando a massaggiarsi freneticamente le tempie, che le pulsavano per l’assenza di sonno.

 

-Vedo che sei mattiniera,- commentò lui, piegandosi sulle ginocchia per sollevare la serranda.

 

-Non ho dormito. I gabbiani davanti a casa facevano versi intollerabili, le tende della mia stanza lasciavano filtrare troppa luce e non trovavo la mascherina per coprire gli occhi nella valigia.

 

-Nelle valigie,- puntualizzò Scott. –E non hai avuto di meglio da fare che andare a fare yoga all’alba per impegnare il tempo?– Ed importunare me ad un orario indecente- avrebbe voluto aggiungere.

 

-Jogging e yoga, Anderson, ma non vedo dove sia il problema, né tantomeno il motivo per qui io dovrei perdere tempo a disquisirne con te.

 

-A New York siete tutti pazzi,- constatò lui scuotendo la testa. -Entra, ti preparo qualcosa. Sempre che tu non preferisca rimanere sulla soglia a farti travolgere dai passanti. Anzi, ora che ci penso: rimani qui sulla strada, potresti renderti utile come acchiappa clienti: entrerebbero a rifugiarsi nel locale, pur di non ascoltare i rimproveri della tua lingua tagliente.

 

Scivolò all’interno, richiudendosi la porta alle spalle e lasciandola stizzita dietro la vetrina, indecisa se andare a cercarsi un altro Caffé dove fare colazione o entrare e rispondergli per le rime. Tuttavia, la scarsa prontezza nel replicare dovuta alle poche ore di sonno le fece deporre momentaneamente l’ascia di guerra; inoltre, pensò che, se proprio doveva impegnarsi nel rimettere al proprio posto quello strambo di Anderson, tanto valeva farlo con un tasso di caffeina nel sangue che le permettesse quantomeno di reggersi in piedi.

 

Sospirò profondamente, si sistemò il ciuffo che le ricadeva sulla fronte dietro l’orecchio e oltrepassò la porta, andandosi a sedere direttamente su uno degli sgabelli posti dinnanzi al bancone.

 

-Il caffè lo bevi sempre con la doppia schiuma di latte e una spruzzata di cacao?- le domandò Scott sfilando la brocca del caffè dalla macchinetta e ripartendone il contenuto nelle due identiche tazze blu che di norma teneva da parte per lui e sua sorella, visto che non era cosa opportuna servire la colazione agli eleganti turisti di Province Town con stoviglie recanti i volti di Pena e Panico.

 

Nicole sgranò gli occhi per quel tanto che le era possibile, punta nel vivo della propria curiosità, domandandosi come facesse, a distanza di anni, a ricordarsi le sue abitudini da adolescente. Notò i disegni sulle tazze, ma preferì glissare su quel particolare, pensando che quel ragazzo, ad una prima occhiata, poteva sembrare un imbecille il cui processo verso la maturità doveva aver avuto qualche interruzione, ma non bisognava farsi ingannare: Scott Anderson era davvero un imbecille il cui processo verso la maturazione aveva avuto qualche interruzione.

 

-Come…?

 

-A me piace osservare,- tagliò corto lui, stroncando la sua domanda sul nascere. -E poi ti ho servito il caffè per tutta l’adolescenza.

 

-Hai il latte di soia?

 

-Nicole, qui siamo a Province Town, non nell’ Upper East Side,- le spiegò pazientemente, afferrando la propria tazza ed ingurgitando qualche sorsata di caffè prima che Nicole gli facesse definitivamente saltare i nervi, facendolo rinunciare definitivamente all’idea di assumere sostanze eccitanti.

 

-Allora prendo un espresso, grazie.

 

-Vuoi qualcosa da mangiare?- le domandò con gentilezza, tentando di auto convincersi della genuinità di quel ringraziamento.

 

Nicole abbassò gli occhi verso il menu che le stava allungando. Passò in rassegna ogni offerta, disperando di potervi trovare qualcosa di adatto all’ultima  dieta che aveva iniziato a seguire qualche settimana prima, in vista della prova costume.

 

-C’é niente il cui ingrediente principale non sia la cellulite condita al colesterolo?

 

-Fammi pensare…- replicò con un lampo di malizia negli occhi, appoggiandole davanti un bicchiere riempito sotto al rubinetto.

 

-Ecco! Vuoi che ci spruzzi dentro del limone o rischio di rovinare la curva metabolica della tua acidità?

 

Se Nicole, in cuor suo, stesse architettando una risposta adeguata a cancellare il ghigno soddisfatto con cui la stava fissando, non gli fu dato sapere. Il rumore secco della porta che si chiudeva catturò la loro attenzione e Scott pensò che quella mattina i fissati del fitness avessero scambiato il Pheseant per la saletta ristoro di una palestra. Infatti, la figura di un uomo alto e snello, anche lui in perfetta tenuta da jogging si delineò contro la vetrina illuminata dai raggi del primo sole del mattino, interrompendo l’amorevole botta e risposta che aveva visto scontrarsi le due lingue sicuramente più mordaci di tutta la classe 1987 di Province Town.

 

Scott seguì l’entrata trionfale di David Campbell, affascinante e ricco rampollo di una delle famiglie di influenti di tutta New York, con le braccia incrociate sul petto, spostando infine lo sguardo corrucciato su Nicole, la cui espressione di sufficienza ostinatamente mantenuta da quando l’aveva travolta sulla strada, si stava gradualmente mutando in quella che lui chiamava “l’aria della triglia nella rete del pescatore”. L’uomo la salutò lasciandole un bacio frettoloso sulle labbra e lanciandosi in una retorica contro le nuvole minacciose che gli impedivano di uscire in barca a vela ed i metereologi che non riuscivano a prevedere un acquazzone.

 

-Un caffè e dei pancakes con lo sciroppo d’acero, per favore,- ordinò distrattamente, prima di dedicare tutta la sua attenzione al suo Iphone ed agli ultimi aggiornamenti da Wall Street.

 

-Anche per me, Anderson,- bofonchiò Nicole, delusa del saluto frettoloso che lui le aveva riservato.

 

-Di questo passo dovrò tornare a New York entro poche ore,- commentò David scuotendo la testa, scoraggiato a quanto pareva dalle notizie circa la chiusura in rosso delle Borse Asiatiche.

 

-Ma sei appena arrivato…- protestò debolmente Nicole, allungando la mano per accarezzargli la nuca, mettendo su quello che a Scott sembrò il broncio della sua nipotina di appena tre anni.

 

-Dolcezza, sono cose importanti, lo riesci a capire?

 

Scott inarcò le sopracciglia perplesso, continuando ad osservare il curioso quadretto mentre asciugava i bicchieri appena tolti dalla lavapiatti. Vedere Nicole Cooper sdilinquirsi per attirare l’attenzione di un uomo, lei che sospettava essere nata con indosso una camicia di carta moschicida , era una scena che attendeva da quando a tre anni, all’asilo, le aveva dichiarato tutto il suo amore donandole la sorpresina che aveva trovato nelle merendine, ma lei gliel’aveva restituita tirandogliela in testa e correndo a giocare ai Power Rangers con Jason Williams ed Owen Jackson, rispettivamente futuro quarterback e capitano della squadra di basket del liceo.

 

Lei però, parve ignorare quella decisamente poco velata critica ed iniziò a sbocconcellare i suoi pancakes con crema e frutti di bosco, sotto lo sguardo di disappunto di David, degnatosi finalmente di alzare la testa dal suo telefono.

 

-Nicky, stasera arriva Landon e i miei danno un cocktail di benvenuto apposta. Non ho intenzione di passare le ore che lo precedono ad ascoltarti piangere perché non riesci a entrare nel Ferretti che hai comprato. Non c’è niente il cui ingrediente principale non sia la cellulite condita al colesterolo?

 

Nicole rimase con la forchetta a mezz’aria e la bocca spalancata. Spostò gli occhi su Scott, ma li riabbassò subito come se si vergognasse di sostenere il suo sguardo.

 

-Lascia perdere. Ti preparo qualche frittella di soli albumi e della frutta, va bene?- le disse lui per rompere quell’ istante carico di imbarazzo. La ragazza annuì silenziosa mentre David, finito l’ultimo sorso di caffè impostava nuovamente il contapassi sull’Iphone, la salutava con un bacio frettoloso e depositava una banconota di fianco alla cassa, per poi andarsene senza degnare il proprietario del caffè di un saluto.

 

Fra i restanti cadde un silenzio irreale, interrotto solo dal picchiettare nervoso delle unghie perfettamente smaltate di Nicole sul bancone. Scott la guardava fissare il piatto pieno di pancakes interdetta, domandandosi dove fosse finita tutta l’acidità che la ragazza gli aveva mostrato prima dell’arrivo di David.

 

-Sai cosa trovo particolarmente gustoso sui pancakes, oltre alla crema e alla frutta?- le disse dopo una pausa studiata.

 

-Cioccolato. Tanto, tantissimo sciroppo di cioccolato.

 

Lei alzò gli occhi rabbuiati, pensando che avrebbe seriamente voluto saltargli al collo. Se poi l’avrebbe fatto per strozzarlo o per abbracciarlo, questo doveva ancora deciderlo.

 

-Dai Nicky! Dopo pranzo prometto di portarti a fare fitness per smaltire in vista della grande soirée. Tu corri, io ti seguo in Vespa, ovviamente.

 

***

 

Fu un profumo familiare a svegliarla quella mattina. Era un aroma misto di caffé e dolci scaldati nel forno che si mesceva al profumo talcato delle lenzuola che le si erano attorcigliate attorno alle gambe. Era essenza di casa. Annie aprì gli occhi smarrita, riconoscendo a fatica la stanza in cui si trovava: dall’anta sinistra dell’armadio le sorridevano Manu Ginobili, Liam Gallagher ed Andrew Roddick, vegliando sul suo sonno. Sul cassettone ricoperto di adesivi, Roger, il suo inseparabile panda amico d’infanzia stava reclinato sulle copie di Parachutes, Bury the hatched, Be here now, Nevermind e di tutti i dischi che avevano segnato la sua adolescenza. Spostò lo sguardo verso la scrivania, accuratamente riordinata, dal portapenne con i volti dei protagonisti di Friends, ai libri del liceo riposti con cura, sopra ai quali pendeva il quadro con le fotografie dei frammenti di vita a Province Town nei quali si era sentita davvero felice: lei ed Abby, sua sorella maggiore, sedute sulla Vespa di Scott, i fratelli Morgan abbracciati nel giorno del quarantesimo compleanno del papà, con Sam che ancora non aveva imparato a camminare in braccio ad un Jamie incredibilmente paffuto, lei e Brady, ovunque.  A diciassette anni, in spiaggia a giocare a beach volley, a tredici, in barca a vela con Neil, sullo skateboard, ad otto, con il cappellino da baseball al contrario e le ginocchia sbucciate. Ogni momento che era valso la pena di essere vissuto a Province Town, era segnato dalla presenza di quel ragazzo con i riccioli biondi distrattamente scomposti, che gli davano l’aria di un bambino troppo cresciuto, il sorriso spontaneo ed ingenuo e le mani eccessivamente grandi. Era bello, lo era sempre stato, sebbene allora Annie non se ne curasse, lasciando che fossero le altre ragazze della scuola a coltivarne il mito. Già a sedici anni, Brady aveva il fascino delle cose pure e semplici che risplendeva in quegli occhi che si confondevano con il mare che bagnava le rive di Cape Cod. Occhi che, in quel momento, si stavano probabilmente posando su un volto che non era il suo, alla luce dei primi raggi del mattino, in una stanza che non era quella dove si trovava lei ora, nella quale si era intrufolato, notte dopo notte, quando erano adolescenti. Annie sorrise al ricordo della prima volta che suo padre li aveva sorpresi addormentati uno accanto all’altro, alla sua reazione indignata, seguita dall’istantanea consapevolezza che dentro quella stanza non si era consumato altro che il coronamento dell’amore eterno di un triangolo noto a tutti da tempo: Brady, Annie ed il cibo spazzatura. Da allora si era messo l’anima in pace: era certo che, fra quei due ragazzini, almeno finché lui avesse continuato a vedere la figlia come l’elemento più piccolo della sua stessa cucciolata, la sola cosa sconveniente che sarebbe mai potuta accadere sarebbe stata senza dubbio l’indigestione che entrambi si sarebbero presi prima o poi a forza di ingurgitare quantità esorbitanti di schifezze davanti ai film horror che divoravano la sera, quando lui si arrampicava fino alla sua finestra. Non era altrettanto sicuro che le numerose fidanzate che Brady collezionava accettassero altrettanto di buon grado il fatto che lui concludesse quasi tutte le sue serate in camera della sua inseparabile amica, ma fortunatamente sua figlia aveva la lingua ed i riflessi sufficientemente allenati per difendersi da ogni tipo di attacco.

 

Annie si sollevò e raccolse le gambe al petto, senza riuscire a staccare lo sguardo da quelle immagini che ora le sembravano appartenere ad un’altra vita e sentì improvvisamente la stessa sensazione di impotenza che aveva avvertito la sera prima, quando suo padre l’aveva stretta a sé. Si sentì, per la prima volta, un’intrusa in camera sua. La musica, i poster, le fotografie, tutto le riportava alla mente il passato da cui aveva desiderato ardentemente fuggire, trovando rifugio nella piovosa capitale inglese, ma al quale ora non avrebbe voluto altro che fare ritorno. Quella profonda dicotomia che si era creata nel suo animo la sera prima la spiazzava, dal momento che tutte le certezze a cui si era aggrappata negli ultimi anni lontani da casa erano improvvisamente crollate nel momento in cui i suoi occhi erano stati catturati dal brillio di quella sottile fascetta dorata che le appariva così inusuale al dito di Brady.

 

-Sei sveglia.

 

La voce di suo padre la distrasse dai suoi pensieri, prima che la soffocante sensazione di delusione che si era scatenata in lei le facesse nuovamente fare qualcosa di estremamente stupido come iniziare a piangere.

 

-Ho incontrato Brady stamattina, giù all’edicola.

 

Annie tacque spostando le gambe per fargli posto accanto a lei nel letto.

 

-Non mi hai detto che lui e Scott vi hanno accompagnato a casa ieri sera.

 

Kenneth tentava disperatamente di incrociare gli occhi di sua figlia, ma questa si ostinava a mantenerli fissi sulle sue ginocchia, come faceva ogni volta che desiderava trattenere le lacrime. Così, rannicchiata sotto le coperte, le sembrava ancora una bambina indifesa e lui non avrebbe voluto altro che allontanare da lei ogni motivo di dispiacere o di sconforto.

 

-Perché non mi hai mai detto di loro?- gli domandò Annie dopo qualche attimo di silenzio.

 

-Sarebbe cambiato qualcosa? Ormai la tua vita era altrove, dall'altra parte dell'Oceano. Avevi una nuova casa, nuovi amici, una carriera universitaria...

 

-Forse no,- ammise lei con tono ragionevole, scuotendo impercettibilmente il capo, -ma avrei desiderato comunque saperlo.

 

Suo padre tacque qualche istante, come se volesse soppesare scrupolosamente l’effetto di quello che stava per dirle.

 

-Annie, c'è una cosa che voglio che tu sappia. Neil mi ha confessato che le cose fra Brady ed Hailey non vanno molto bene.

 

-Non sono interessata a Brady, papà, non in quel senso,- replicò lei con tono così sostenuto da fargli capire che la realtà era ben lungi da quella che stava, invano, tentando di propinargli.

 

-Capisco. È per quello che stanotte hai dormito con la sua maglietta da allenamento del liceo? Per dimostrare che l’hai lasciato andare?

 

Annie abbassò lo sguardo verso il simbolo giallo e nero un po’ stinto dai troppi lavaggi della maglia che Brady le aveva regalato perché a lui stava troppo piccola. La sera precedente l’aveva afferrata dal cassetto senza farci troppo caso, ma ora che ci pensava meglio doveva ammettere che, forse, quella vena di sadica follia che aveva sempre sospettato le circolasse in corpo, doveva averle tirato un brutto scherzo. La realtà era che si era aspettata di tornare a casa e trovare tutto uguale a come quando lo aveva lasciato: la sua vita a Londra era andata a rotoli e lei sentiva il bisogno di rifugiarsi in una realtà che, nonostante l'avesse distrutta al punta da spingerla a scappare, l'aveva sempre protetta. Sperava di tornare a sentirsi leggera come quando aveva quindici anni, il mondo davanti e la sua unica preoccupazione era quella di scegliere se andare a fare surf o in barca a vela. E invece tornare e scoprire che coloro che aveva creduto fossero sempre li ad aspettarla, erano andati avanti senza di lei, le aveva dato un senso di smarrimento più grande di quello che l'aveva spinta a salire, fuori da ogni preavviso, sull'aereo che l'aveva riportata a casa, dopo sette anni.

 

-Lo dico per te, tesoro, non giocare con il fuoco.- le disse suo padre come leggendole nei pensieri. -Le cose sono cambiate molto, da quando sei partita. Non avete più diciotto anni.

 

-Non intendo farmi additare come sfascia famiglie da tutta la città, papà, soprattutto non a venticinque anni, se è questo che intendi. So bene cosa significa, da queste parti, cadere nell’errore di farti marchiare da un’etichetta che non riuscirai mai più a scucirti di dosso, nemmeno con le migliori intenzioni.

 

-Dovresti avere capito da tempo che non mi curo di ciò che pensa la gente. Io mi preoccupo per te.

 

Annie scrutò a lungo il suo volto corrucciato, trovandolo più vecchio di quello che in realtà non fosse. Sapeva bene quanto fosse difficile affrontare questo argomento, per lui che ormai aveva imparato a convivere con le numerose voci che nel passato -e non solo- erano circolate sul suo conto, sulla moglie Elinor e sulla sua famiglia. Lo sapeva perché erano le stesse che avevano segnato la sua adolescenza a tal punto da farle credere che l’unica via per liberarsene altro non fosse che la fuga. Aveva sempre ammirato e amato profondamente suo padre, nel quale riversava tutto l’affetto che un figlio può mostrare ad un genitore, dal momento che con sua madre erano quasi due perfette estranee. Ne invidiava profondamente la quiete che trasmetteva attraverso i gesti e le parole, e la calma di qualcuno che, nonostante tutto, aveva trovato il modo di vivere in pace con se stesso. Si chiedeva se mai avrebbe potuto raggiungere quella maturità tale da accettare la realtà, fare tesoro dei propri fallimenti e ripartire da questi, per trovare il coraggio di affrontare la vita quotidiana a testa alta, esattamente come aveva sempre visto fare a lui anche nei momenti di maggiore sconforto. Sentì la gola contrarsi per il vano sforzo di trattenere nuovamente le lacrime e deglutì a fatica mentre suo padre le passava un pollice sulla guancia, catturando l’impercettibile goccia che si stava lentamente facendo strada verso il mento.

 

-Io credo che di sotto ci sia un certo nipotino che muore dalla voglia di conoscere, finalmente, sua zia. Non vorrai mica presentarti a lui con quella faccia da funerale?- le domandò scompigliandole i capelli, come faceva sempre quando era bambina.

 

-Josh,- sussurrò debolmente Annie, pensando al neo arrivato nella tribù dei Morgan, primogenito di sua sorella Abbey. Sorrise al pensiero di quel fagottino visto per il momento solo in fotografia, realizzando d’improvviso che, fra i tanti cambiamenti a Province Town, qualcosa di buono c’era. Qualcosa che le facesse credere che, nonostante tutto laggiù sembrasse andare alla deriva, un motivo per tornare in fondo, poteva sempre trovarlo.

 

 

 

 

-Ciao, tu!

Come te la passi nei luoghi da cartolina? Qui a Londra è tornato l'inverno da quando sei partita, quindi sappi che ti odio profondamente perché so che in questo momento te la stai spassando in spiaggia, bevendo cocktail ai frutti esotici alla nostra salute (ci sono i frutti esotici, dalle tue parti? Forse no, ma ti odio lo stesso). C'è una questione importante di cui discutere, Annie. É arrivato l'armadio che tu e Ethan avevate comprato per la camera di Highbury. Ethan mi ha detto che non c'è problema per lui, di lasciarlo smontato in camera sua, che se ne occuperà al ritorno, ma di accertarsi prima che tu non voglia tenerlo per sostituire il tuo, visto che ha un'anta sfondata. Se vuoi sbarazzartene, o se preferisci che lo distrugga con un martello, un'ascia, una sega elettrica lo farò, ma prima volevo accertarmene. Magari vuoi distruggerlo tu.

Mi manchi, Nat.

 

-Sai cosa, Nat? Lascialo li. Visto che il trasferimento ad Highbury è saltato, dovrei comunque comprarne uno nuovo a settembre. Se Ethan dice che per lui non c'è problema, lo tengo io. Anche tu mi manchi, torno prestissimo, qui non è tutto idilliaco come sembra, alla lunga le dinamiche di casa mi verranno a noia, già lo so.

Tua, Annie.

 

 

 

Spazio autrice

 

Bu (e due!)

Ecco qui il secondo capitolo. Come già avevo anticipato a chi sta rileggendo questa storia, la vecchia vita di Annie è sempre più coinvolta nel suo ritorno. Vediamo Nat, la coinquilina irlandese, musicista e pazza di Annie, e torniamo ad inciamparci in Ethan, l'ex di Annie che forse, nonostante la rottura, gioca un ruolo ancora molto importante, nella vita della nostra protagonista. D'altronde, come dice V: "La Milla ha la stessa capacità di far saltare furoi personaggi a caso e farli diventare protagonisti degli autori di Hart of Dixie".

Per chi invece è completamente nuovo, mi auguro che staite entrando nella storia e cominciate a conoscere un pochno di più i personaggi: come forse cominciate ad intuire, il mio è un racconto corale, dove ognuno avrà il suo spazio e la sua piccola vicenda, quindi affezionatevi pure a chiunque desideriate, senza timore che non abbia poi l'attenzione che merita. 

 

Arrivata a questo punto...  Grazie nuovamente di aver letto e di essere arrivati fino a qui, spero davvero che questo prologo vi sia piaciuto. Grazie di essere ripassati. 

Se volete rimanere in contatto, per spoiler e tanto tanto tanto disagio, questo è l'indirizzo del mio gruppetto Sing and write for the wind, fear not for tomorrow, che da qualche tempo ospita anche le mie compagne di cervello (uno e trino) Sam e Veronica SidRevohttps://www.facebook.com/groups/342900242472146/

 

 A me, invece, mi trovate QUI e QUI

 

Un abbraccio, Lyra.

 

 

 


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Capitolo 3
*** Collide ***


 

 

 

 

 

 

 

Alle crisi adolescenziali in ritardo

come i treni italiani 

  

 

3

 

Collide

 

 

 

 

 

 

La villa dei Campbell era rimasta a lungo disabitata.

 

Un tempo la dimora dai candidi muri perfettamente intonacati era stata il fulcro della vita mondana della città: le luci che facevano risplendere il rigoglioso giardino avevano attirato lo sguardo sognante di abitanti e turisti, che si fermavano ad osservare incuriositi la sfilata degli eleganti invitati alle sontuose feste che i proprietari organizzavano nelle calde serate estive. Senza alcun preavviso però, vent’anni prima, il primo week end di giugno era arrivato, ma le ampie vetrate del salone erano rimaste oscurate e nessun giardiniere era stato avvistato mentre preparava il giardino alla venuta della bella stagione. Nelle settimane successive, nessuno era arrivato a bordo di costose automobili ed in città si era sparsa la voce che i proprietari avessero preferito trascorrere l’estate negli Hamptons, dove si vociferava che possedessero una villa ancora più magnificente di quella di Cape Cod.  Anno dopo anno, gli anziani pensionati di Province Town avevano impegnato almeno mezz’ora delle loro giornate contemplandone con occhio critico e le mani rigorosamente intrecciate dietro la schiena, il lento e graduale declino. La piscina ovale, un tempo attorniata da buganvillea dai colori sgargianti e dalla quale si poteva osservare uno scorcio della bianca spiaggia privata, era stata svuotata, ma qualcuno doveva averla dimenticata scoperta ed un letto di foglie secche e rovi si erano depositati sul fondo creando una spessa coltre marrone bruciato che si sposava perfettamente con lo stato di evidente abbandono della casa. Con il passare del tempo, le rose erano sfiorite e le aiuole perfettamente curate erano rimaste spoglie, tristemente ornate solo da cespugli dal colore grigiastro. La domanda che tutti si ponevano, scuotendo il capo, era perché tale perla di rara bellezza dovesse venire così trascurata dai suoi ricchi proprietari.

 

Era un pigro e soleggiato pomeriggio di fine aprile quando, improvvisamente, i veterani osservatori dello stato della villa, avevano trovato un nuovo modo per impiegare quei trenta minuti giornalieri consacrati all’analisi delle crepe dell’intonaco: sul prato antistante la villa un piccolo team di muratori e giardinieri seguiva attentamente gli ordini di un architetto dai capelli sale e pepe, gli occhiali sottili e squadrati sul naso dritto ed una camicia di lino all’orientale; uno di quelli il cui solo scarabocchio sulla Moleskine rilegata in pelle, doveva avere un valore che si aggirava attorno ad una cifra a quattro zeri.  L’interrogativo principale che si ponevano gli abitanti della zona dunque, da quel giorno, era divenuto uno ed uno soltanto –quando avrebbero fatto ritorno i Campbell?


Dopo qualche settimana da quell’arrivo che aveva interrotto il ciclo biologico della vita di Province Town, i giovani eredi della famiglia erano stati avvistati nel corso di  qualche veloce visita per monitorare i lavori di ristrutturazione della casa: David, il figlio maggiore, quando usciva a fare jogging allo stesso orario in cui i pescatori tiravano le reti in barca e si riavvicinavano alla costa. Landon, il minore, sembrava essere più socievole: appassionato di barca a vela sin da bambino, aveva allacciato i rapporti con Brady Sanders, il giovane proprietario della scuola più rinomata della città e con questo era stato notato in spiaggia, di giorno, o la sera, in alcuni locali. Quello che era certo era che, sporadiche o no, le loro apparizioni avevano rotto qualcosa nel regolare tran tran di Province Town e gli abitanti avevano avuto qualcosa di nuovo di cui parlare dopo che il faro aveva preso fuoco, in circostanze sospette, due anni prima.

 

-Sei pronto?

 

Landon si lanciò alle spalle il lembo della cravatta scura, osservando silenziosamente attraverso lo specchio il riflesso di sua madre che si avvicinava, scintillante nel suo splendido vestito Chanel, con un’ acconciatura elaborata che lasciava scoperti i lobi delle orecchie impreziositi dagli orecchini di diamante che il marito le aveva donato per il loro trentesimo anniversario.

 

-Potrei chiederti la gentilezza di mostrarti più sorridente quando scenderai ad accogliere gli ospiti?- gli domandò lei con una punta di risentimento nella voce.

 

 -Sinceramente non capisco il motivo di tanta fatica, mamma. Perché sprecare tante energie in una casa che fra tre mesi probabilmente non sarà più nemmeno nostra?

 

-È molto semplice, tesoro,- iniziò a spiegargli pazientemente, sistemandogli il collo della camicia sotto la giacca, –il valore della villa subirà un notevole incremento se noi la renderemo desiderabile. Piazzarla sul mercato ad un buon prezzo, dopo anni che era in disuso, sarebbe stato molto difficile. E poi sarà l’occasione per riunire la famiglia, siamo sempre tutti separati.

 

Landon sospirò profondamente: ai suoi genitori non importava in alcun modo il prezzo a cui avrebbero venduto la casa, i soldi non erano nemmeno contemplati della lunghissima lista dei problemi riguardanti la famiglia. La motivazione reale, invece, era la stessa che aveva segnato tutta la sua vita dal momento in cui era nato: apparenza, apparenza ed ancora apparenza.


Tutto nella famiglia Campbell era sottosopra da quando...beh, più o meno da quando Margaret e Charles avevano pronunciato la loro promessa nuziale trent’anni prima. Al ricevimento lui aveva rivolto le sue attenzioni ad almeno tre delle damigelle della novella sposa e lei aveva reagito ingurgitando un calice di champagne a tentativo. A dispetto di tutti quelli che malignavano sul loro divorzio entro l’arrivo dell’estate, i due erano sopravvissuti anche a tutte le trenta seguenti, senza dare segni di cedimento. Il loro rapporto non aveva nulla di ordinario, ma, d’altronde, Charles, uno degli avvocati più in vista di tutta New York, non avrebbe mai potuto –e nemmeno voluto- presentare in società una delle numerose segretarie o tirocinanti con cui trascorreva le serate fuori casa, né l’integerrima Meg avrebbe accettato di rovinare la sua reputazione di moglie modello chiedendo il divorzio da lui. Quando erano nati David e Landon, avevano lasciato che fossero le migliori tate della città a svezzarli, mentre lei faceva della bellezza dei loro lineamenti e della loro innata intelligenza  un vanto con le amiche dell’associazione di beneficienza e del circolo di tennis.

 

Non che non volesse bene ai suoi figli, anzi, provava per loro un affetto sconfinato, era solo che in lei l’istinto materno doveva essere morto prima ancora di nascere, soffocato dalle manie di perfezionismo, l’ambizione ed ogni altro atteggiamento insegnatole nella sua conservatrice e rigida famiglia repubblicana.

 

Con una madre incapace di dimostrare il proprio affetto e un padre seriamente votato alla missione di approfondire la conoscenza di tutte le giovani legali della città, le stesse malelingue che avevano scommesso sulla durata del matrimonio dei Campbell avevano, negli anni, spostato la loro attenzione sui due ragazzi, dando per certa la loro inevitabile rovina, prede di mali che spesso affliggono i giovani dell’alta società quali droga, donne e gioco d’azzardo. Invece, a dispetto di ogni malignità, i due ragazzi erano cresciuti egregiamente, collezionando successi sportivi, scolastici ed infine professionali, contribuendo, seppure in maniera involontaria, alla perpetuazione di  quell’idillio familiare che esisteva solo nella mente di Margaret, ma nel quale ormai tutti avevano finito per credere.

 

Agli occhi di tutti, dunque, i Campbell, apparivano felici.


-David non mi sembra così scontento del programma estivo,- protestò sua madre, squadrandolo con aria di rimprovero.

 

-David qui ha Nicole.

 

-Non è adorabile?- gli occhi di sua madre brillarono di eccitazione al sentire pronunciare il nome di quella che già considerava la futura nuora.– Quella ragazza è un tesoro, tuo fratello non avrebbe potuto scegliere meglio. E poi i Cooper sono una famiglia molto importante a Boston, dovresti prendere esempio da lui, tesoro.

 

-E finire per passare tutte le cene della mia vita a recensire gli ultimi eventi mondani o a disquisire sulla scelta del colore delle nuove tende del salone?

 

Margaret tacque interdetta.

 

-Non mi riferivo a te, mamma,- tentò disperatamente di difendersi Landon.

 

Invece sì.

 

-Lascia perdere, torno di sotto. Faresti meglio a muoverti, tuo padre e David sono scesi giù da venti minuti ormai. 

 

 

***

 

 -Lo sai che è in città vero?

 

Abby l’aveva abbracciata a lungo e, sebbene fossero passati solo un paio di giorni dall’ultima, interminabile videochiamata,  Annie ebbe l’impressione che non si parlassero da molto più tempo.

-Speravo di no, ad essere sincera.

 

-Sapevi che avresti dovuto affrontarla prima o poi, tornando qui.

 

-Speravo fosse molto poi.


-Non potrai evitarla per sempre. Almeno sarete in mezzo a così tante persone che non correte il rischio di sbranarvi l’un l’altra,- scherzò Abby, senza riuscire a smettere di accarezzare i capelli della sorella e sistemarle dietro l’orecchio il ciuffo che ricadeva sulla fronte.

 

-La mamma è troppo preoccupata delle apparenze per dare ai presenti motivo di pettegolezzo. È così brava che sarebbe in grado di farci passare per le Lorelai e Rory Gilmore di Province Town, se non fosse che questo riferimento pop le causerebbe un capogiro,- finse con voce impostata e posandosi dolorosamente una mano sulla fronte.

 

-Ecco perché io e lei siamo Crisotemide e Clitemnestra.

 

Sua sorella le diede un buffetto sulla guancia fingendo uno sguardo torvo –Mi stai dando dell’Elettra?

 

-E chi non farebbe follie per papà?- rispose candidamente Annie.

 

-Come sei sempre tragica

 

 

 ***

 

 

 Annie non riusciva a pensare che a quella conversazione, mentre varcava la soglia di casa Campbell illuminata a giorno per l’occasione. Dal giardino sul retro giungevano le note di una superba cover di “This guy’s in love with you”, il suo pezzo preferito fra quelli arraggiati da Burt Bucharach. A dire la verità non si sarebbe affatto stupita se, giungendo nel parco, avesse trovato il suo interprete in persona, Herb Alpert, con la sua tromba ad allietare gli eleganti ospiti della serata.

 

Attraversò, guardandosi intorno con gli occhi accesi di stupore, le numerose stanze che conducevano al parco, tutte arredate secondo un impeccabile stile navy: mobili di mogano illuminati dal bagliore dei lampadari di cristallo che si riflettevano in lucenti pezzi d’argenteria ed in sontuosi soprammobili in vetro di Baccarat. Le pareti, ricoperte da metri di carta da parati sulle tinte del blu brillante a quelle del grigio perla, richiamavano quelle dell’Oceano Atlantico che lambiva il tratto di spiaggia privata ammirabile dalla parete vetrata del salone principale, completamente aperta per permettere agli ospiti di muoversi liberamente fra la casa ed il giardino illuminato da mille luci danzanti. Annie scese i gradini, sollevando i lembi del leggero abito di chiffon grigio azzurro acquistato in una delle boutique indipendenti della londinese Brick Lane che, era certa, avrebbe destato le critiche della madre: troppo scollato, alternativo, così incredibilmente europeo se confrontato ai classici gusti di Elinor Cooper. In realtà, pensò crogiolandosi fieramente della sua ribellione vagamente adolescenziale, nulla di ciò che lei rappresentava avrebbe riscontrato la sua approvazione: portava i capelli eccessivamente corti, indossava gioielli smodatamente  alternativi,  aveva frequentato un’ università tradizionalmente borghese e risiedeva in un quartiere di Londra assolutamente non adatto ad una ragazza di buona famiglia del Connecticut. Nulla sarebbe cambiato da quando era una ragazzina troppo mascolina, con amici ordinari e gusti modesti: come da copione, sua madre avrebbe criticato la sua versione adulta esattamente come aveva ripetutamente fatto con quella adolescente, accusandola, come sempre, di avere geni Morgan in sovrabbondanza che avevano sterminato sin dal concepimento quelli Cooper. Ma lei non avrebbe potuto esserne più felice.

 

 

 

 ***

 

 

  -La conosci?

 

Brady afferrò un flûte di champagne, seguendo con lo sguardo Hailey, attraverso il vetro e le bollicine, destreggiarsi egregiamente nel distribuire affabili sorrisi ai presenti; sembrava essere nata per questo sua moglie, sarebbe stata in grado di catturare l’attenzione anche del più determinato monaco tibetano in meditazione. Forse era l’innata grazia dei suoi movimenti o forse il modo in cui i capelli color miele le cadevano leggeri e morbidi sulle spalle, o ancora la perfetta armonia dei tratti del suo viso, non avrebbe saputo dirlo con certezza; ciò di cui era sicuro, invece, era il fatto che mai sarebbe riuscito a trovare almeno tre buone motivazioni che ancora spingevano Hailey a stare con lui. Non era mai venuto a capo di questo quesito nemmeno ai tempi in cui avevano cominciato a frequentarsi l’ultimo anno del liceo, quando tutto fra loro andava a gonfie vele, figuriamoci ora che il giovane matrimonio non funzionava neanche se spinto giù dalle più alte cime del Colorado. 

 

Era ancora assorto nei suoi pensieri, quando Landon Campbell, evidentemente irritato per avere ricevuto un prolungato silenzio alla sua domanda, lo riportò bruscamente alla realtà.

 

-Mi stai ascoltando?- gli chiese spazientito.

 

-Scusami, ero distratto.

 

-Lo vedo. Hailey stasera é una meraviglia, starei attento se fossi in te.

 

Brady annuì impercettibilmente, mordicchiando distrattamente il bordo del calice che reggeva in mano.

 

-Allora, la conosci?- gli domandò di nuovo Landon, fissando un punto preciso dietro alle sue spalle.

 

-Chi?

 

-Quella che sta parlando con David e Nicole.

 

Brady si voltò con sguardo di sufficienza, nella direzione che Landon gli indicava, aspettandosi di ammirare una delle tante ragazze prodotte in serie che affollavano il parco, ma le bollicine dello champagne che stava gustando finirono per salirgli su per il naso, facendolo lacrimare: in piedi davanti a lui stava un’ Annie decisamente diversa da quella che dimorava nei suoi ricordi. Si torturava il labbro superiore, mantenendo il collo rigido ed i piedi incrociati, come faceva ogni volta in cui non si trovava a suo agio, lanciando occhiate fugaci al gruppetto di persone alle spalle dell’impeccabile cugina. Strinse gli occhi per decifrarne i volti e non gli ci volle molto per capire il motivo di tanta agitazione: al centro, radiosa e splendida come sempre, Elinor Cooper deliziava i suoi interlocutori con l’affabilità ed il fascino che la contraddistinguevano.

 

Landon lo osservò inarcando le sopracciglia perplesso, senza perdere di vista la ragazza che sorrideva nervosa a suo fratello, mentre Nicole li presentava, sfoggiando tutte le buone maniere che le erano state inculcate sin dall’infanzia e dando ulteriore prova di essere il perfetto esemplare di nuora che Margaret Campbell sognava.

 

-Devo ricordarti che sei sposato con la donna più bella della festa?- gli domandò con tono ironico.

 

Il primo, irrefrenabile istinto che ebbe Brady fu quello di correre a coprire con la sua giacca lo scollo lasciato ad Annie dal morbido abito  che aveva attratto come un magnete lo sguardo di entrambi.

 

Il secondo, quello di tappare la bocca e bendare gli occhi di Landon.

 

Poi realizzò che Annie in quegli anni era profondamente cambiata, che non era più una ragazzina con le felpe di almeno tre taglie in più della sua e la treccia che le partiva da un lato del capo e le ricadeva spettinata sulla spalla e che lui aveva ormai perso ogni diritto su di lei, ammesso che mai ne avesse avuto alcuno.

 

-Quella è Annie,- proferì con un filo di voce e le pupille dilatate per lo stupore.

 

-Quindi la conosci.

 

-Se per conoscere intendi sapere che ha quindici nei sulla schiena, la fobia delle porte lasciate aperte e che di notte dorme sempre con i piedi coperti perché quando era piccola il gatto le ha azzannato l’alluce lasciandole una profonda cicatrice a forma di virgola, sì, la conosco.

 

-Stavate insieme?- gli domandò Landon incuriosito, appoggiandosi al tavolo dei canapé ed accendendosi una sigaretta, incurante dei gesti stizziti delle signore in abito lungo accanto a lui.

 

-No, siamo cresciuti insieme, è come una sorella- rispose buttando giù in un solo sorso metà del contenuto del calice di champagne che stava stritolando fino a farsi diventare bianchi i polpastrelli.

 

-Perché le probabilità che questa affermazione sia vera mi sembrano più scarse di quelle di trovare una bottiglia di Dom Pérignon del ‘79 nel frigo di uno studente della NYU?

 

-È la verità,- ammise, terminando la seconda metà del flûte.

 

-Fingerò di crederti. Perché non l’ho mai vista qui in città?

 

-È arrivata ieri sera con Nicole. Vive a Londra.

 

 -A Londra dove l’attendono un affascinante marito inglese ed una nutrita prole dai capelli biondi che tutti i giorni, alle cinque in punto, sorseggia tè alla salute della Regina?- domandò incuriosito.

 

-Non credo… a dire il vero non lo so,- ammise Brady con un tono talmente asciutto da dissuadere Landon dal domandargli di presentargliela.

 

-Non era come una sorella?

 

-Non ci vediamo da sei anni,- tagliò corto, chiudendosi in un muto silenzio.

 

Landon terminò con un lungo sbuffo la sua sigaretta, continuando ad fissare quella piccola figura che aveva catturato la sua attenzione. Era molto diversa da ogni altra donna che presenziava alla festa: non indossava costosi ed appariscenti gioielli e non portava i capelli inanellati in quei lunghi e morbidi boccoli che rendevano tutte le altre una uguale all’altra se osservate da dietro. Vestiva un abito che non avrebbe stonato all’inaugurazione di una galleria d’arte a New York, che la metteva in risalto in mezzo ai classici tagli di quelli sfoggiati dalle ragazze che sua madre continuava a suggerirgli di frequentare. Ciò che però continuava ad incuriosirlo erano i suoi tratti delicati, quasi da bambina, quel sorriso spontaneo e sincero, privo di ogni malizia ed il palese imbarazzo che evidentemente provava a trovarsi nel giardino di casa sua. 

 

 

 

 ***

 

 

 Assorta com’era nella contemplazione della schiena di sua madre che, apparentemente, ancora non aveva notato il suo arrivo, Annie non si era nemmeno accorta che il chiacchiericcio di Nicole, che si stava dilungando in una lirica corale sull’eleganza della festa con tanto di strofe, antistrofe ed epodi, si era bruscamente interrotto sulla toccante lode degli uramaki vegetariani serviti al tavolo del buffet.

 

-David, vuoi monopolizzare l’intera attenzione delle invitate? Nicole, sei bellissima, come sempre.

 

Si voltò giusto in tempo per vedere la schiena coperta da una giacca scura visibilmente tagliata su misura di un uomo dai corti capelli biondo cenere piegarsi per lasciare due baci sulle guance di sua cugina, arrossita per l’imbarazzo.

 

-Landon, cominciavamo a pensare che ti fossi dato alla macchia! Posso presentarti Annie?- rispose lei con voce allegra.

 

 C’era una cosa al mondo peggiore di dover sopportare un cinico broker dell’alta società newyorkese, salutista, con seri problemi di egocentrismo e affetto da gravi crisi di megalomania: doverne sopportare due. Perché Annie non aveva dubbi: quello che le stava tendendo la mano era sicuramente il fratello di David Campbell. Stessa statura, fisico asciutto e slanciato, viso pulito su cui era dipinta l’espressione di chi si riteneva comunque molto più intelligente e brillante di chiunque altro presente nel giardino. Il che probabilmente era vero – almeno per quel che riguardava il fratello maggiore - ma non contribuiva certo a farle accogliere con benevolenza l’ennesimo Tom Buchanan del XXI secolo.

 

-Allora, mi hanno detto che vivi a Londra.

 

Annie pensò che prima o poi avrebbe seriamente strangolato sua cugina con una delle collane di Tiffany che amava esibire come un marchio di fabbrica sul sottile collo diafano. Anzi, se non avesse avuto il terrore di rovinare uno di quei pezzi il cui valore probabilmente si aggirava attorno a quello del suo stipendio mensile, lo avrebbe già fatto da un pezzo; in fondo, sebbene non rispondessero esattamente ai suoi gusti, erano pur sempre Tiffany. Si ripromise dunque meditare una vendetta adeguata per averla lasciata sola ad affrontare Landon Campbell il quale, per qualche motivo a lei oscuro, aveva deciso di snobbare le mille Nicole che illuminavano la sala con la loro eleganza e di dedicare interamente le sue attenzioni ed il suo sguardo di superiorità a lei e al suo piattino colmo di tartine alla mousse di salmone.

 

Lo squadrò da capo a piedi: vestito tagliato a mano, gemelli dorati, capelli perfettamente pettinati, bocca contorta in un sorriso tracotante. Negli occhi, tuttavia, un’espressione che non riusciva a decifrare: se non fosse stato per l’assoluta certezza di non avere sbagliato a giudicarlo avrebbe azzardato che si stesse divertendo a vederla così in difficoltà.

 

-Sì, da sei anni,- disse abbassando lentamente il piattino.

 

-Sono stato in Overseas nel Regno Unito quattro anni fa. Fammi pensare, UCL?

 

-Solo il PhD. Mi sono diplomata in Giornalismo alla LCC.

 

-Tipico,- commentò con un ghigno sarcastico.

 

-Cosa vorresti dire?

 

-Non mi sembri esattamente il tipo da Oxbridge.

 

Annie non avrebbe potuto accogliere con più soddisfazione quella che, per un tipo come lui, doveva apparire come una critica decisamente poco velata: si era trovata bene al College of Communication, anche se il solo nome di quell’università così anonima faceva storcere il naso a sua madre, che avrebbe preferito saperla alla Brown, come molte ragazze dell’alta società americana, o alla Columbia, come sua cugina. Il posto alla UCL, la quarta università più prestigiosa del paese, l’aveva accettato solo ed unicamente perché il professore con cui aveva scritto la tesi di laurea le aveva procurato una borsa di studio estremamente remunerativa e lei si era stancata di dipendere economicamente da suo padre. Ovviamente, anche perché era la facoltà dove aveva studiato Chris Martin, anche se questo non lo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura, vantandosi invece di sedersi nelle stesse aule che avevano visto studenti Virginia Woolf e Walter Benjamin.

 

-Sai una cosa?- replicò. -Tu mi sembri esattamente il tipo da St. Andrews. Che college hai detto di aver frequentato?

 

-Non l’ho detto. Il St. Andrews.

 

-Appunto.


Non soddisfatto dell’acidità con cui lei rispondeva alle sue domande, Landon decise di rincarare la dose: voleva capire esattamente che tipo fosse, prima di dedicarle tutta la sua attenzione.

 

-E adesso ti sei resa conto che la vita della donna in carriera non faceva per te e sei tornata a casa in cerca dell’amore e della persona con cui passare felicemente il resto dei tuoi giorni?

 

Annie pensò che la stesse provocando, quindi, dopo aver sospirato profondamente, gli rispose alzando il mento in segno di sfida.

 

-Nient’affatto. Il matrimonio sarebbe il perfetto coronamento di un bellissimo sogno, se, troppo spesso, non ne fosse la fine. Se gli altri vogliono sposarsi, che facciano pure. Personalmente lo sconsiglio a tutti i sessi, anche se capisco che per molti, quel contratto, sia la relazione principale nella vita.

 

Scosse il capo ridendo, ma il sorriso le morì sul nascere, nel momento in cui i suoi occhi incontrarono lo sguardo di Brady, sopraggiunto alle spalle di Landon e li fermatosi, incapace di credere alle parole che aveva appena udito. Annie poté osservare quasi a rallentatore le sue labbra serrarsi e la gola contrarsi nello sforza di deglutire; aveva pronunciato quelle parole senza pensarci, ignara del fatto che lui stesse ascoltando. In realtà l’elegante cocktail offerto dai Campbell era anche l’ultimo posto dove si aspettava di incontrarlo ma, a quanto pareva, insegnare vela ai figli dei rampolli delle famiglie in vacanza a Cape Cod garantiva certi privilegi. Incapace di parlare, divenuta pallida dalla vergogna, stava lì immobile, a fissarlo con gli occhi sbarrati. Avrebbe voluto prenderlo da parte, spiegargli che non intendeva esprimere un giudizio sul suo conto, anche se credeva davvero in ciò che aveva detto; ventisei anni le apparivano come un’età assurda per sposarsi ed il periodo difficile che sapeva stesse passando il suo amico d’infanzia non era altro che la dimostrazione della sua tesi di partenza. Ma non avrebbe mai voluto farlo soffrire gridando ai quattro venti le sue teorie, anzi, avrebbe voluto risparmiargli ogni delusione, compresa quella che gli aveva appena inferto. Invece rimase lì, immobile, mentre quel tronfio di Landon Campbell le studiava attentamente il viso, probabilmente per capire quale sarebbe stata la sua prossima brillante trovata. E invece non ebbe nemmeno quella piccola soddisfazione, perché, nell’esatto istante in cui la sua bocca sembrò riacquistare capacità oratorie, Hailey Murray si materializzò al fianco di Brady, toccandogli delicatamente la spalla per presentarlo ad uno dei tanti invitati della festa. Bella, eterea, raffinata, graziosa, esattamente come la ricordava. Incantevole come lei, con il suo modo di fare scherzoso, la sua piccola figura ossuta e la sua scarsa femminilità, non si era mai sentita di essere.

 

-La prossima volta che pronunci le tue frasi da biscotto della fortuna, assicurati che non ci sia nessun fortunato ad ascoltarti,- le sussurrò all’orecchio Landon, piegandosi verso di lei e afferrando una delle tartine rimaste intatte nel suo piattino.

 

Lavanda e tabacco. Annie lo guardò smarrita; in perfetta linea con il suo aspetto curato ed elegante si era aspettata uno di quei profumi estremamente virili pubblicizzati da attori famosi che esibivano un fisico da Adone sotto camicie che non lasciavano nulla all’immaginazione e Landon, invece, aveva un odore semplice, fresco, domestico. Le ricordava il giardino di casa, quando suo padre sedeva assorto sull’amaca a leggere un libro e a gustarsi un sigaro, accanto alle piante di lavanda ed alle ortensie che amava coltivare. Questa sensazione la lasciò stordita e sorpresa; alzò gli occhi su di lui, ma il sorriso beffardo che continuava imperterrito a rivolgerle le fece venire l’irrefrenabile e puerile istinto di rovesciargli in testa il suo calice di vino. Un gesto impulsivo e stupido, del quale probabilmente si sarebbe pentita per il resto del soggiorno in città, visto che aveva come l’impressione che tutti gli occhi dei convitati si stessero lentamente volgendo verso di lei.

 

Li poteva sentire puntati sulla nuca, sul viso, sul corpo anche se non ne riusciva a capire il motivo. Forse l’aver catturato l’attenzione del giovane padrone di casa era abbastanza perché tutti la osservassero con curiosità?

 

-Tesoro, finalmente sei arrivata!

 

No, non era l’interesse di Landon Campbell nei suoi confronti a suscitare i mormorii crescenti dei convitati, bensì lei. Anzi, sua madre, a voler essere precisi. Elinor Cooper le si stava avvicinando con passo leggiadro, tendendole le sottili dita ingioiellate e comportandosi esattamente come aveva previsto: dispensando sorrisi, bugie e falsità a chi seguiva la scena. Due baci frettolosi sulle guance ed un lieve cenno di saluto furono il tutto ciò che le seppe concedere, il primo contatto dopo sei anni di totale estraneità. Poi le pose una mano sotto al gomito e la invitò a seguirla, continuando ad esibire sorrisi smaglianti, fermamente intenzionata a presentarle i padroni di casa e tutti i loro amici. -È stato un viaggio lungo? Ti sei accorta che hai una macchia sul vestito?- le chiese giunte esattamente al centro della pista da ballo.

 

Finalmente, Annie, trovò la forza di volontà per sbloccarsi; le mancava l’aria e la testa le girava vorticosamente. Ebbe la strana sensazione di trovarsi in un soffocante incubo già vissuto: si rivide diciottenne, con indosso un abito di organza rosa pallido che la faceva sentire ridicola, gli occhi truccati ed stupido rossetto rosso prestatole da Nicole unicamente per compiacere sua madre e farle vedere che, in fondo, anche lei sapeva vestire i panni della figlia elegante, pacata e raffinata che spesso le rimproverava di non essere. Ciò che le importava davvero però era lui, Brady, perché si accorgesse finalmente che la ragazzina che gli stava a fianco ogni minuto della sua vita poteva essere altro che l’eterna compagna di giochi, l’amica d’infanzia che vedeva solamente come una sorella.

 

Doveva uscire da quel posto, il sangue faceva fatica a fluirle al cervello ed una rabbia incondizionata le stava montando dalla bocca dello stomaco. Si sentì di nuovo un’adolescente anche perché fece qualcosa di gran lunga più stupido che rovesciare il calice di champagne sulla testa del minore dei Campbell: esibito un sorriso falso e canzonatorio sollevò il braccio e, con un gesto secco, lanciò il liquido, colpendo sua madre nel punto esatto dove il prezioso abito di seta lasciava intravedere il suo decolleté.

 

-Benissimo mamma, un po’ lungo, grazie per esserti informata. A proposito, ti sei accorta che ce ne hai una anche tu? Non dovevi sporcarti per farmi sentire a mio agio, mi sento già abbastanza in imbarazzo senza che tu mi rivolga la parola, sai?

 

Nel giardino cadde un silenzio quasi surreale: se prima la sua era solo un’impressione, ora aveva l’assoluta certezza che tutti la stessero fissando. Brady a bocca aperta con gli occhi azzurri sgranati, Hailey impietrita, ancora ancorata saldamente al suo braccio, Nicole, con la schiena rigida ed un’espressione di manifesto disappunto seconda solo a quella di David che la fissava in tralice, la testa lievemente reclinata sulla spalla, sua sorella infuriata per il suo comportamento infantile. Non da ultimo, Landon, che si godeva la scena con le spalle appoggiate al muro, esibendo una risata sincera e palese. Corse verso la spiaggia, inciampando nello chiffon che le impediva i movimenti, sui tacchi su cui avanzava traballando. Se li tolse con un rapido gesto, abbandonandoli sulla sabbia e si precipitò verso la riva, singhiozzando per la rabbia talmente violenta che le soffocava persino le lacrime e per la gola infiammata dallo sforzo di trattenere il pianto in mezzo agli ospiti della serata.

 

L’acqua le lambiva le caviglie, con il suo ondeggiare continuo ed imperturbabile.  Si rese conto di non sopportare nemmeno il suo familiare e rassicurante movimento; con i piedi cominciò ad agitarne la superficie, nella speranza che qualcosa cambiasse, che il suo colore limpido si intorbidisse. Quella, però, cessato il turbinio provocato dai suoi movimenti, tornava a muoversi esattamente come prima, con il suo rumore delicato e quasi impercettibile. Non udiva altro suono se non quello del ritmo cadenzato delle piccole onde che si infrangevano a riva. Tutto sembrava immerso nella stessa, pigra quiete che era solita calare la notte in quei luoghi: persino le voci e la musica venivano dispersi nel vuoto della spiaggia muta. 

 

Poi, senza preavviso qualcosa venne a turbare quell’insopportabile e forzata solitudine: un rumore familiare di passi lenti e titubanti, che avrebbe riconosciuto ovunque.

 

-Si può sapere che ti è preso là dentro?- Brady si avvicinava sollevandosi il fondo dei pantaloni, per raggiungerla a riva.

 

-Vattene via,- gli rispose con voce astiosa.

 

-Sai benissimo che non lo farò.

 

Tremava. Accorgendosene lui si tolse la giacca, per coprirle le spalle ma, così facendo, sfiorò  con la mano la spalla lasciata scoperta dall’abito. Si ritrasse, come scottata da quel tocco inaspettato: era stanca che si comportasse come se niente fosse cambiato. La sera precedente, durante il viaggio, avevano chiacchierato come se nulla fosse del più e del meno, mentre il pomeriggio, incontrandola mentre portava i bimbi della scuola di vela alle piccole imbarcazioni, le aveva rivolto l’occhiolino, come usava fare quando erano ragazzini. Ora, le parlava pretendendo cosa esattamente? Che si aprisse, che si rifugiasse fra le sue braccia come da ragazzi, come se le fosse stato accanto ogni giorno di quei sei, lunghissimi anni? Ciò che non capiva era perché ora fosse lì con lei: se avesse voluto essere davvero fedele al copione che aveva dettato la loro adolescenza in quel momento sarebbe dovuto essere al centro della festa a ballare e flirtare con l’amore del momento, con l’unica differenza che quella che avrebbe stretto fra le braccia sarebbe stata sua moglie e non una delle reginette del liceo.

 

-E allora me ne vado io! Ne ho già abbastanza, lo sapevo che avrei fatto la più colossale idiozia del mondo a tornare in questa merda di posto!

 

-E chi ti trattiene,- rispose lui,  -abbiamo già avuto conferma di come farti di nebbia sia la cosa che ti riesce meglio.

 

Spiazzata dal tono calmo con cui lui aveva reagito alla sua provocazione, Annie tacque, incapace di negare quella che era l’evidente realtà: uscire silenziosamente di scena era la sua specialità. Decise di sviare il discorso, per non dovere affrontare una discussione che, era certa, stava solo posticipando: prima o poi avrebbe dovuto spiegargli il motivo della sua prolungata assenza e le ragioni per cui non lo aveva nemmeno messo a conoscenza del fatto che non avrebbe frequentato il College alla UCLA, come tutti credevano, ma che si sarebbe trasferita in via definitiva a Londra.

 

-L’hai sentita? Mi ha detto che ho una macchia sul vestito, Brady! Ti rendi conto che dopo tutto questo tempo, ancora prima di salutarmi era già li a criticarmi per il mio aspetto?

 

-Annie, é Eleanor, la conosci! Abbracciarti e stringerti sarebbe stata la pubblica ammissione che non sente sua figlia da sette anni!

 

-Tu non capisci forse,- replicò- Non hai idea di cosa voglia dire tornare qui e dovere fingere che tutto sia esattamente quello che era prima. Nessuno sembra accorgersi di quanto le cose siano cambiate ed ognuno continua a comportarsi come se nulla fosse…

 

-E cosa dovremmo fare scusa? Cambiare solo perché tu un giorno ti sei alzata con la balzana idea di tornare dopo anni che non davi tue notizie? Accoglierti con feste e danze come la pecorella rientrata all’ ovile?

 

Annie sentì la rabbia appena sopita irrompere nuovamente, come un fiume in piena.

 

Lo allontanò con una piccola spinta.

 

-Tu non hai idea di cosa voglia dire costruirti un’esistenza lontano da qui, giorno per giorno, lottando con i denti per dimostrare al mondo, ma soprattutto a te stessa, che puoi farcela da sola, che sai essere quello che desideri, libera finalmente di poter recitare un ruolo scelto da te, senza indossare un costume confezionato su misura da altri.  Sei inconsapevole di ciò che significa porre le basi per un futuro che tu hai pianificato, con un lavoro che ti soddisfa, una vita piena e poi tornare a Province Town ed avere la sensazione che tutto ciò che hai costruito venga trascinato giù a picco, cancellando in un secondo gli sforzi di sette anni!

 

-Non sai di cosa stai parlando,- le rispose lui con la voce talmente bassa che Annie faticò ad udirlo.

 

-No, io lo so benissimo!- gli urlò lei. -Ed è inutile che arrivi qui e punti il dito, sbattendomi in faccia la tua vita perfetta, con la tua moglie bellissima e premurosa, una casetta sulla spiaggia, un lavoro sicuro e magari il desiderio di avere dei figli, comprare un cane e diventare vecchi insieme!

 

L’aveva fatto ancora. Aveva di nuovo colpito esattamente dove sapeva gli avrebbe inferto più dolore. Ma non le importava, che lui urlasse pure, la insultasse, le togliesse il saluto. Almeno non avrebbero più dovuto fingere che fra loro fosse tutto sempre uguale. Almeno sarebbe stato un cambiamento.

 

Invece Brady, con la stessa espressione dura e risoluta che le aveva mostrato qualche minuto prima, irrigidì la schiena e le domandò con voce calma e pacata.

 

-Questa tua nuova vita prevede che tu ti comporti da stronza?

 

-Puoi ripetere scusa?

 

-Hai capito benissimo e non ho intenzione di usare francesismi, non con te. Questo spirito ribelle e anticonformista che sfoggi potrà anche fare ridere Landon e ammetto che vedere tua madre tentare di pulirsi disperatamente il vestito mentre il mascara le cola sulle guance sarebbe potuto apparire divertente, quando avevamo sedici anni! Così umili solo te stessa. E io non ho intenzione di stare qui a guardare mentre lo fai.

 

Poi, lanciandosi la giacca sulla spalla con un gesto secco, si voltò e se ne andò, lasciandola con le labbra talmente secche da non riuscire nemmeno a replicare al suo quieto scoppio di rabbia.

 

Annie rimase per un po’ ad osservarlo allontanarsi, aspettando che si voltasse, pregandolo a bassa voce di ritornare sui suoi passi. Ma, come da copione, sparì dalla sua vista, dandole ulteriore conferma del fatto che tutti, lui compreso, si stavano ancora comportando come se nulla fosse cambiato.

 

 

 

***

 

 

 Il pendolo dell’ingresso aveva da poco segnato l’una di notte quando Kenneth Morgan udì la figlia rientrare in casa, con il fondo del vestito bagnato, le scarpe in mano ed il fiato corto, segno che aveva corso scalza fino a casa. La matita le si allungava con una lunga sbavatura nera verso la tempia, segno che Annie aveva tentato in modo grossolano di cancellare con la mano gli inevitabili segni delle lacrime che le solcavano le guance.

Sapeva che partecipare a quella festa sarebbe stato un errore, ma non poteva fare nulla per evitare che si scontrasse con la realtà: la scelta di tornare era stata sua e, prima o poi, avrebbe dovuto incontrare quei fantasmi che l’avevano spinta a fuggire tempo prima.

 

Perciò non tentò di fermarla, né di rimproverarla quando, senza nemmeno togliersi i vestiti, aprì la borsa da viaggio che teneva nell’armadio e cominciò a buttarci dentro tutti i ricordi di una vita: pupazzi, dischi, libri, magliette. Non mosse un dito nemmeno quando, staccando dalla parete il quadro di fotografie, perse la presa e quello cadde rumorosamente a terra, frantumandosi in mille pezzi: si limitò a chinarsi accanto a lei, silenziosamente, per aiutarla a raccoglierne i frammenti sparsi un po’ ovunque sul parquet. Poi, una volta terminato il lavoro, chiuse con un gesto secco il borsone, lo raccolse e lo portò in soffitta, premurandosi che Annie non lo vedesse.

 

Era fermamente convinto che, prima o poi, avrebbe ritrovato la tranquillità necessaria per riprenderli in mano e riempire nuovamente quei buchi lasciati nelle pareti ora spoglie. Per il momento, però, poteva solo limitarsi a nasconderli alla sua vista, nella speranza che quelle piccole premure bastassero a non farla risalire sul primo pullman diretto a Boston con un biglietto di sola andata verso la vita che si era faticosamente costruita lontano da casa, lontano da lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note e citazioni

 

Dunque, partiamo con le citazioni.

 

-Il riferimento al matrimonio che non funziona nemmeno se spinto giù dalle montagne é della SidRevo, che mi ha deliziato con questa perla troppo deliziosa per non sfruttarla nella sua ultima recensione.

 

-Tom Buchanan é uno dei personaggi del Grande Gatsby, su da brave, correte a leggerlo se non lo avete ancora fatto!

 

-Il Dom Perignon nel frigorifero dello studente della NYU invece é un geniale suggerimento di Erica, fonte inesauribile di imbecillità, nonché paziente beta dei miei deliri. Grazie a lei per non stufarsi mai di correggere i miei apostrofi e i miei spazi mancanti. Che ci volete fare, ho le dita pigre, mi fa fatica metterli.

 

-La frase di Annie "Nient’affatto. Il matrimonio sarebbe il perfetto coronamento di un bellissimo sogno, se, troppo spesso, non ne fosse la fine. Se gli altri vogliono sposarsi, che facciano pure. Personalmente lo sconsiglio a tutti i sessi, anche se capisco che per molti, quel contratto, sia la relazione principale nella vita" é una doppia citazione, rispettivamente dell'autore francese Alphonse Karr e di Annie Proulx, scrittrice, fra gli altri, della sceneggiatura de "I segreti di Brokeback Mountain"

 

 

Dunque, che dire.

Mi é stato detto che questo capitolo é un po' triste: é vero. Ci sono tanti nodi che vengono al pettine, i personaggi si rivelano per quello che sono e le loro storie (ed i loro mille disagi) iniziano a venire a galla. In più non c'é Scotty: chiedo venia e prometto di dargli tutte le dovute attenzioni ed anche qualcosa di più nel prossimo.

 

Veniamo a conoscenza finalmente di Landon, che soffre di crisi post adolescenziali, lo so, ma che amo tantissimo. Non é stronzo come appare, sfoggia un atteggiamento un po' strafottente per attirare l'attenzione. Mi piace perché un po' un Malfoy Savanniano, come mi ha detto Erica, per chi coglierà il parallelismo XD .

 

Comincia a sbrogliarsi la matassa dei mille casini che hanno spinto Annie ad andarsene da Cape Code anche se molto deve essere ancora rivelato circa la sua fuga improvvisa. Ciò che si può notare é che sono trascorse meno di 24 ore dal suo arrivo e lei ne ha già fin sopra i capelli di Province Town: che sia forse che comincia a rendersi conto che scappare non risolve i problemi, ma li lascia li a stagnare e ad imputridirsi?

 

Lo scoprirete nella prossima puntata, che sarà schifosamente allegra. Oggi mi sono svegliata con questo trip e volevo condividerlo. 

 

Per ora, a mo' di spoiler, vi lascio il video che ho fatto alla mia storia, perdendomi con Sony Vegas. Tutto pur di non studiare.

 

 

 

Infine, un paio di ringraziamenti:

 

A tutte quelle che hanno recensito, inserito la storia fra le seguite, preferite, e ricordate (PAZZE!) e a quelle che hanno semplicemente letto le mie parole. Grazie davvero tantissimo, vedere quei bellissimi numerini che crescono mi fa gongolare come Mammolo. 

 

A Thecarnival che mi ha fatto trovare una piccola, deliziosa, sorpresina in omaggio alla mia storia 

 

Ad Erica ed Elle, che sono rimaste intrappolate nella questa storia (e nelle mie paranoie) e non ne escono più, nemmeno se tirate su da un argano. 

 

Alle altre tre pennute mia famigliola, sempre e comunque. 

 

 

 Un abbraccio 

 

Lyra

 

 

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Capitolo 4
*** It's one door swinging open and one door swinging close -Part 1- ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A chi, al ritorno, é sempre lì ad aspettare e ti fa sentire a casa come se non fossi mai partito

 

4.

 

It's one door swinging open

and one door swinging close

 

(parte 1)

 

canzone del capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 Erano quasi le due del mattino quando l’ultimo invitato varcò la soglia di casa Campbell, lasciando il giardino  brulicante di camerieri ed inservienti affaccendati a raccogliere residui del costoso buffet, pulire calici di champagne, smontare tavoli, sedie e luci installate per l’occasione. I padroni si erano raccomandati che tutto fosse inordine tassativamente per le prime ore del mattino affinché nulla disturbasse i loro ospiti nelle attività previste per il giorno seguente.

I proprietari più anziani, assieme ad una buona parte degli invitati, si erano ritirati nelle loro stanze e solo i giovani della famiglia erano rimasti per le consuete chiacchiere che precedevano il momento di andare a dormire. Sebbene non si trattasse d’altro che di poche parole distratte, che liquidavano intere ore di meticolosa osservazione, di opinioni di circostanza e nulla più, Landon adorava quel momento, perché gli permetteva di tirare il fiato dopo interminabili serate in cui aveva dovuto recitare la parte del figlio modello, brillante studente, divertente proprietario o ospite, a seconda delle occasioni. Trovava inoltre le opinioni sarcastiche e taglienti di suo fratello alquanto esilaranti e doveva ammettere che, da quando Nicole era stata ufficialmente introdotta in famiglia, i piccoli diverbi che sorgevano fra i due erano divenuti garanzia di risate che alleggerivano la tensione accumulata durante l’evento. Lei era in assoluto la ragazza più orgogliosa e scontrosa che avesse mai incontrato e gli appariva evidente che, dietro al comportamento compito ed alle belle maniere che esibiva in pubblico, nascondesse una natura esuberante e spensierata. Spesso si era domandato cosa trovasse un carattere spumeggiante e brillante come il suo nella serietà e nella compostezza di suo fratello, ma si era poi risposto che Nicole in fondo non era che una giovane dell’alta società, per cui intelligenza, fascino e posizione sociale erano le tre basi fondamentali su cui costruire un rapporto che, con ogni probabilità, l’avrebbe condotta a quella patinata esistenza che fin da piccolo aveva imparato a guardare con diffidenza e distacco: un matrimonio da sogno, una casa da copertina in città, figli iscritti alle migliori scuole del paese, serate eleganti, eventi irrinunciabili; tutto pur di distogliere l’attenzione dal freddo silenzio che sarebbe caduto fra la coppia di novelli sposi una volta pronunciato il fatidico sì. Peccato, si diceva, Nicole avrebbe avuto il potenziale per ottenere qualunque cosa nella vita ed invece si limitava ad agire come tutte le altre ragazze di buona famiglia, le quali vedevano l’unione con l’uomo perfetto, ricco, affascinante, educato, serio, come l’unico futuro in cui investire. Nonostante ciò, nutriva una profonda stima nei suoi confronti e non poteva negare che smuovesse qualcosa nella noia mortale della sua famiglia, rendendo il comportamento affettato di suo fratello più tollerabile tanto che, con lo scorrere del tempo, le si era affezionato  quasi come ad una sorella, cercando in lei quella complicità che non era mai riuscito a trovare nei membri del rigido clan dei Campbell.

Allentatosi la cravatta e abbandonata la giacca su una poltrona, i gomiti appoggiati al marmoreo bancone del bar accuratamente rifornito su ordine di suo padre, le snelle gambe allungate lungo la sedia, si gustava l’ultimo whiskey con ghiaccio della serata, ripensando al piccolo tumulto di qualche ora prima e tendendo divertito l’orecchio al chiacchiericcio concitato di due delle cameriere del catering che commentavano, ignare di essere ascoltate, il piacevole aspetto dei padroni di casa. Accanto a lui, suo fratello controllava, come sempre, le notizie sulla chiusura delle borse asiatiche dell’ultima ora sull’Iphone, mentre Nicole fumava distrattamente, canticchiando e battendo a ritmo la punta del piede sul pavimento di legno scuro.

-Bel tipo tua cugina,- esordì Landon facendo roteare lentamente il bicchiere colmo di liquido ambrato.

Nicole sospirò profondamente schiacciando con forza il mozzicone in un piattino pieno di noccioli di olive.

-È solo… molto nervosa, suppongo.

David sbuffò, non provando nemmeno a celare il ghigno sarcastico che gli avevano provocato le parole della fidanzata. Sapeva benissimo che quella era l’ora dei diverbi e che, qualunque parola fosse uscita dalla sua bocca in quel momento della serata, sarebbe stata motivo di frecciatine da parte di Nicole, che questa riguardasse gli invitati, il buffet, la politica del nuovo governo o la fame nel mondo. Qualunque fosse l’argomento avrebbe trovato qualcosa che non le sarebbe andato a genio: perché dunque farsi rimproverare per futilità? Tanto valeva essere bersagliato per qualcosa che davvero la pungesse nel vivo.

Annie, appunto.

Sorrise con orgoglio: Nicole era così facilmente prevedibile che non gli servì nemmeno alzare lo sguardo, per percepire i suoi occhi azzurri ridotti a due fessure spostarsi in direzione della sua testa china sul telefono.

-Hai qualcosa da dire David?- gli domandò con finta voce controllata.

-Nervosa è un eufemismo, tesoro,- replicò lui con tono ragionevole, come se stesse parlando ad una bambina capricciosa, facendo roteare distrattamente l’Iphone, tenuto saldo fra il pollice e l’indice.

-Io l’ho trovata spassosa,- si intromise suo fratello, -non si vedeva una simile scena alle nostre feste da quando lo zio Thomas si è ubriacato alla cena di Natale ed ha rivelato che papà si faceva la sua tirocinante nel cucinotto dello studio.

-Lo dici solo perché inscenare un dramma simile sarebbe il tuo sogno, se non fosse che, fortunatamente, sei stato educato troppo bene per piantare una scenata così puerile in mezzo ad una moltitudine di estranei.

David poggiò con studiata lentezza il telefono, iniziando mentalmente a contare i secondi che lo separavano dallo scoppio d’ira della fidanzata.

-Stai dando ad Annie dell’ incivile?- domandò Nicole, le cui guance lentigginose andavano tingendosi di un color porpora che non prometteva nulla di buono.

-Forse incivile non è il termine più adatto per definirla,- David cominciò ad osservarsi ostentatamente le unghie, fingendo un’ espressione vaga. -Fammi pensare…inadeguata? Anche se semplicemente “maleducata” forse sarebbe la qualificazione più appropriata. Non saprei decidere.

Nicole sbatté una mano sul bancone con veemenza.

-Sai invece come ti definirei? Vagamente stronzo. E, aspetta un attimo. No, non dovrei pensarci nemmeno un secondo!

Si alzò di scatto, rovesciando l’alto sgabello su cui sedeva e, recuperata la pochette dorata, girò la schiena e se ne andò scrollando adirata la cascata di perfetti boccoli ramati sfoggiati quella sera. O almeno, perfetti fino a quel momento; Landon non era sicuro che scuotere la testa in maniera convulsa, borbottando coloriti improperi fosse una delle cose più indicate da fare dopo aver passato un pomeriggio sotto le abili mani del parrucchiere a farsi inanellare ogni singola ciocca di capelli.

David, che non si era aspettato una reazione così tempestosa, restò a fissare la porta perplesso per qualche istante, indeciso sul da farsi: l’intera situazione lo metteva a disagio e desiderava ardentemente porre fine a quel diverbio per andarsene a dormire. La collera di Nicole si poteva percepire nell’aria rimasta elettrica e carica di tensione: due giovani inservienti, impegnati a spostare i tavoli ormai vuoti e lucidati, avevano interrotto il loro lavoro, così come un piccolo gruppo di timide cameriere che gli rivolgevano occhiate fugaci, tutti bramosi di osservare la sua reazione. La sensazione di sentirsi osservato ed in qualche modo giudicato lo faceva sentire come un animale da circo, mentre uno strano ed opprimente peso alla bocca dello stomaco gli faceva provare una rabbia cieca, inusuale per il suo temperamento posato. Terreo in volto dunque, si voltò verso il fratello che rideva apertamente, senza nemmeno premurarsi di coprirsi il volto con una mano, incapace di mascherare il proprio spasso.

- Ti diverti?- gli domandò con tono gelido.

-.

Fu così che venne il momento per David di prendere la via della porta con passo affrettato e nervoso, lasciando Landon solo a godersi l’ultimo goccio di Glengoyne invecchiato di 17 anni prima di andare a dormire. Vero era che ormai l’avevano tutti abbandonato ma, si diceva, meglio solo nella pace e nella quiete della sala semivuota, interrotta solo dal tintinnio dei calici di cristallo che gli inservienti stavano riponendo nelle credenze di legno massiccio, piuttosto che in camera da letto, ad ascoltare attraverso il muro una teatrale scenata da parte dell’irritata fidanzata di suo fratello. E poi, disteso nel suo morbido letto in sola compagnia del desiderio ardente di due efficaci tappi per le orecchie, non avrebbe avuto l’esclusiva sulle perfette forme di quella cameriera biondina che, proprio in quel preciso momento, si stava sfilando dai capelli le mollette con cui aveva fermato i ciuffi scalati durante la serata.

-Scusa?- le domandò avvicinandole spingendo lievemente il bicchiere vuoto con la punta delle dita sottili. -Potresti riempirmelo di nuovo?

Se David e Nicole litigarono davvero, questo Landon non poté mai saperlo; quando salì in camera sua, dopo quasi un’ora che suo fratello era uscito di scena lanciandosi elegantemente la giacca grigio canna di fucile sulla spalla, lo ritrovò profondamente addormentato, con un braccio poggiato sulla fronte ed il telecomando ancora stretto in mano, mentre i due giornalisti della CNBC commentavano la recente fusione di due aziende farmaceutiche che avrebbe spostato sicuramente l’andamento del mercato azionario. Suo fratello occupava comodamente la porzione centrale del grande letto matrimoniale in legno scuro, così che lui poté immediatamente notare che il cuscino destro era ancora tirato e gonfio, segno che nessuno vi aveva poggiato la testa da quando era stato sistemato la mattina precedente. Di Nicole, dedusse, non vi era nemmeno l’ombra: forse la generosa ed inusuale concessione di qualche minuto di tenerezza da parte di David non sarebbe bastata a placare la sua collera.

 

 

 

****

 

 

 

 

Il soggetto in questione, non era poi così arrabbiato come Landon credeva: la realtà era che aveva un problema. Uno grossissimo, visto che il suo spirito di adattamento aveva fatto le valigie e l’aveva abbandonata in un campeggio estivo all’età di sette anni, quando uno scarafaggio si era intrufolato nella sua tenda e lei aveva costretto con la forza un minuscolo Scott Anderson a vegliare sull’entrata con una racchetta in mano, fino a che quei pazzi di sua cugina e Brady non fossero tornati dalle loro scorribande notturne.

In quella maledetta cittadina pioveva di nuovo.

Una persona dotata di un briciolo di senno avrebbe cominciato a correre verso casa al primo bagliore dei lampi che si susseguivano da ormai dieci minuti, rimbalzando in cielo con l’accompagnamento musicale di tuoni che avevano svegliato la maggior parte della popolazione canina della città. Una persona capace di ammettere i propri errori e scusarsi avrebbe invece voltato la schiena e sarebbe tornata alla villa dei Campbell, ancora distante solo una cinquantina di metri, per poi trovare rifugio sotto le morbide coperte dell’enorme letto in mogano della camera di David.

Ma era noto a tutti - parenti, amici, conoscenti e non - che Nicole avesse lo stesso senso del giudizio del topo dinnanzi ad un cubetto di groviera ed un orgoglio smisurato, a tal punto da fare abbassare il capo al più fiero tra i leoni della savana. Dunque, la reazione immediata a tale intoppo altro non era stata che sfilarsi dai piedi ormai fradici e pericolosamente in bilico sui tacchi inumiditi le sue elegantissime Sergio Rossi di vernice beige e piantare le radici nel mezzo della carreggiata buia sotto il diluvio torrenziale, dando libero sfogo a tutti gli epiteti più coloriti che riusciva a pescare nella sua memoria per rivolgerli un po’ al paese natio, un po’ al suo fidanzato, a sé stessa, a sua cugina e a quell’imbranato di Brady Sanders.

Fu così che, tutta presa dalla foga del momento, non si accorse nemmeno che una Vespa nera aveva inchiodato a pochi centimetri dai suoi piedi scalzi ed era stata abbandonata senza troppo riguardo sul ciglio della strada dal suo conducente.

-Dì, sei pazza per caso??

Due mani fredde le serrarono le braccia sottili, scuotendola con veemenza. Nicole lasciò cadere per la sorpresa pochette, scarpe e persino il preziosissimo pacchetto di sigarette, reso ormai completamente inutile dall’acqua che lo aveva inzuppato, ma che si rifiutava categoricamente di abbandonare al triste destino di essere gettato in un bidone dell’immondizia.

-Anderson? - esclamò incredula quando riconobbe il sopravvenuto.

-Hai idea di quanto sia scarsa la visibilità con questa pioggia? Vuoi farti ammazzare? Cosa ci fai in mezzo alla strada, nel cuore della notte e di un temporale?

-Potrei farti la stessa domanda.

Nicole fece risalire il suo sguardo il suo sguardo dalle Converse consunte, ai jeans scuri con un buco che lasciava scoperto l’ossuto ginocchio destro, fino al cappuccio di felpa grigia incastrato sotto il casco nero, la cui vernice era ormai solo un vecchio ricordo, indugiando su ogni particolare come una mamma il cui figlio, tornando a casa, le mostra i pantaloncini nuovi incrostati di fango e sbavature verde brillante d’erba fresca.

-Ti prego, dimmi che non è un’altra delle sadiche abitudini che avete a New York,- implorò Scott, affrettandosi a sfilarsi la giacca di cerata blu per coprirle le spalle diafane lasciate scoperte dal leggero abito da sera, nel tentativo di calmare il tremolio che le scuoteva violentemente. Era umida, ma ancora calda per il contatto con la sua pelle e Nicole non poté fare a meno di stringere le spalle, per carpirne a pieno il tepore. Il contrasto con le sue braccia infreddolite la fece rabbrividire, storpiandole il viso in una smorfia di disappunto.

-E tu cosa ci fai in giro a quest’ora a cavallo di un mezzo che, a giudicare dai pesciolini che stanno scappando dalle tue tasche, non é il più adatto a cui affidarsi durante un acquazzone?

Il ragazzo sorrise, sfilandosi con aria innocente la fodera dei jeans e replicando, con la stessa naturalezza con la quale avrebbe rivelato di essersi alzato per andare a bere un sorso d’acqua:

–Avevo appena finito la formazione del Fantabasket quando mi sono reso conto che la Margherita mangiata a cena non mi aveva sfamato. Ho pensato di chiamare Todd, il pizzaiolo, te lo ricordi?

Nicole annuì.

-Poi mi sono detto che all’una di notte probabilmente mi avrebbe scatenato contro il suo bulldog e, in mancanza d’altro, ho optato per le vecchie maniere.

-Che sarebbero?

-Fare con quello che si ha,- ammise sollevando le mani in segno di rassegnazione. -Solo che il mio frigorifero era così desolatamente vuoto che faceva l’eco e, non trovando nulla di più soddisfacente di quattro foglie di insalata e un microscopico residuo di yoghurt greco, ho deciso di fare un salto al Pheseant a recuperare una porzione di fish and chips dal freezer.

Nicole sgranò gli occhi sbigottita.

-Fish and chips…alle due di notte?

-Perché no?- rispose lui candidamente. -Tu fai footing scalza a quest’ora!

-Io non…lasciamo perdere! È meglio che torni a casa.

Scott la osservò silenziosamente, mentre si raccoglieva i capelli e li infilava come meglio poteva dentro il cappuccio. Si aspettava che da un momento all’altro si sarebbe voltata, sparendo alla sua vista, ma Nicole non sembrava intenzionata a spostarsi di un millimetro. Lo fissava con un’espressione a metà fra il disgustato ed il divertito, con il naso lievemente arricciato e gli occhi semichiusi per proteggerli dalla pioggia. Non si spiegava perché avesse mostrato così poca resistenza al suo aiuto, anche se sospettava che l’ennesimo diluvio che sconquassava le estati da quelle parti avesse in gran parte aiutato ad ammorbidire il suo carattere pungente, o quantomeno a lavare via un po’ dell’acido citrico nel quale riteneva che la ragazza facesse il bagno ogni mattina prima di uscire. O, meglio ancora, un’estenuante nuotata, data la sua propensione per ogni attività sadico-masochista, che contribuiva a tonificare le sue gambe di natura già sode e snelle. In realtà, si disse dopo quella lunga e silenziosa pausa nella quale lei non aveva fatto altro che fissarlo rosicchiandosi l’unghia del mignolo, era più probabile che tutta quell’acqua le avesse allagato il cervello quasi quanto a lui, perché, prima di rendersene conto, ammiccò in direzione della sua Vespa reclinata su un fianco e le domandò d’un fiato:

-Vuoi…un passaggio? 

-Sei pazzo?- gli rispose lei sventolandogli la mano davanti al naso. -Diluvia!

Scott incrociò le braccia e la fissò con aria pensierosa.

–Dunque, fammi capire…la soluzione migliore a parer tuo sarebbe starsene impalata sotto la pioggia, sperando che le tue imprecazioni blocchino il naturale corso degli eventi atmosferici?

Nicole scrollò le spalle irritata, spostandosi una ciocca di capelli scivolata fuori dal cappuccio con la manica della giacca troppo grande per lei e disegnandosi così un lungo baffo nero con l’eyeliner colato lungo la guancia. A quel gesto, Scott provò l’irrefrenabile istinto di cancellarlo con la punta del pollice; allungò la mano senza pensare, ma riuscì poi a frenare quel gesto impulsivo sollevando le dita a sistemarsi il ciuffo di capelli castani esattamente un secondo prima che lei si domandasse cosa lo sconvolgeva così tanto sul suo viso da farglielo fissare con intensità per tutto quel tempo.

-Ma è sicuro andare in giro con quel…coso e il bagnato?- gli domandò con voce titubante, sventolando convulsamente la manica di cerata in direzione del motorino.

Lui tirò un sospiro di sollievo.

-Basta stare un po’ attenti. Dai sali, Biancaneve, che ti porto a casa!

Nicole, decisamente poco convinta di quella soluzione, ma consapevole del fatto che fosse l’unica che non prevedesse quindici minuti di cammino scalza e zuppa di pioggia per rientrare a casa o, cosa di gran lunga peggiore, una resa incondizionata a David, prese posto alle sue spalle, rabbrividendo violentemente per l’effetto dell’aria sui vestiti fradici.

Se quel momento fosse stata la scena di una scontata commedia romantica, pensò rannicchiandosi contro la sua schiena, la protagonista dai lunghi capelli ramati, scossa dai tremori, avrebbe appoggiato la testa su di lui, chiuso gli occhi con espressione languida, lasciandosi condurre lungo le curve della strada e, affondando la punta del naso nell’incavo fra la spalla e il collo, ne avrebbe assaporato la delicata essenza, pensando che le ricordava quella della pelle tenera e delicata dei bambini. Lui poi, percependo la sua vicinanza, avrebbe voltato impercettibilmente il capo e…

-Che fai mi annusi?

Nicole irrigidì improvvisamente la schiena.

-Merda!- esclamò poi sbarrando gli occhi.

-No, dai, non dire così! Mi sono fatto la doccia prima di uscire!

Nicole scoppiò a ridere fragorosamente e lo colpì con un lieve pugno, maledicendosi per l’irrimediabile errore che si era appena resa conto di aver compiuto.

-Ho lasciato le chiavi in camera di David!

A quella confessione Scott accostò controvoglia, pronto a girare la moto per riaccompagnarla a casa dei Campbell. Tentando di ignorare la punta di amarezza che aveva trasformato il sorrisetto beato che gli era sorto sul viso in un’espressione tirata, frenò dolcemente per evitare che cozzasse contro la sua nuca con la visiera sollevata.

-Dovevo fermarmi da lui a dormire,- aggiunse lei, come per scusarsi. Scott esitò qualche istante, cogliendo nella sua voce un piccolo accenno di rabbia che gli fece sperare in un rifiuto da parte della ragazza di essere ricondotta a casa del suo fidanzato. Preso poi coraggio, le domandò fingendo un’espressione angelica:

-Dunque se ti chiedo delucidazioni circa il motivo per cui ti trovavi in mezzo alla strada anziché nel suo enorme letto a baldacchino dorato mi becco una delle armi contundenti che stringi in mano dritta in fronte vero?

-Sì,- tagliò corto lei, -e in camera da David non c’é nessun baldacchino,- aggiunse risentita.

-Ok, ho capito. Dai, ti porto a casa mia.

Gliel’ho davvero chiesto? Si domandava giocherellando nervosamente con la frizione. Non poteva fare a meno di percepire il prolungato tacere di Nicole come il frutto del lavorio incessante delle meningi che si spremevano, indecise sul da farsi e dei denti che martoriavano l’interno della guancia.

-Cooper, smettila di fare la schizzinosa. Vuoi stare in mezzo alla strada fino a che i tuoi non si svegliano? O, peggio ancora, arrampicarti su per la grondaia con un vestito di alta sartoria per intrufolarti dentro casa?

Non c’é niente di razionale in tutto questo, pensava lei frizionandosi le tempie, valutando il da farsi. Nella rosea ipotesi che i suoi genitori avessero udito il campanello, o la sua voce, avrebbe dovuto comunque fare i conti con l’ira funesta di sua madre, il cui sonno leggero era una croce per tutta la famiglia da quando lei aveva memoria, e con la preoccupazione di suo padre, che avrebbe cominciato a bersagliare la sua bambina indifesa di domande circa il motivo per cui non si trovava a casa del suo fidanzato bensì bagnata fradicia davanti alla loro porta di casa con una giacca impermeabile maschile che la copriva fino alle ginocchia. Ragionevolmente non vi era nulla di male, ma non le andava di passare ore di veglia a farsi sottoporre ad un interrogatorio, né tantomeno di coinvolgere i propri genitori nelle sue faccende; dopo sei anni di indipendenza completa, le sembrava di essere eccessivamente cresciuta per ricadere nelle dinamiche della sua adolescenza.

No, non c’è decisamente nulla di razionale in tutto questo.

Da quando d’altronde a Province Town la gente si comportava in modo ragionevole?

Tutti in quel paese da cartolina dimenticato dal mondo sembravano trasformarsi: Annie e Brady che agivano come due bambini dell’asilo a cui viene sottratto il gioco preferito, David più intrattabile che al termine di una giornata nera per Wall Street, e anche Landon, imperturbabile per natura, sembrava subire l’influenza negativa della cittadina, mostrando un’intolleranza ed un distacco nei confronti della sua famiglia che riusciva normalmente a celare agli occhi dei più.

Persino lei, che si era sempre ritenuta immune dai meccanismi perversi che si innescavano immancabilmente durante i soggiorni nei luoghi della sua infanzia, cominciava a dubitare della sua capacità di resistenza: per anni aveva tentato con certosina accuratezza di rimuovere qualunque legame o episodio che rivendicasse il suo passato trascorso in quei luoghi. A differenza di sua cugina che, nonostante tentasse di nasconderlo, apparteneva a tal punto a quella terra da esserne quasi stata soffocata, lei si era sempre sentita fuori luogo laggiù e per tutta la vita non aveva agognato altro che il fatidico momento in cui avrebbe preso il volo dal nido scelto per lei e la sua famiglia da suo padre, giornalista bostoniano votatosi definitivamente alla scrittura dopo una serie di saggi di grande successo, il quale sosteneva di non riuscire a scrivere lontano dallo sciabordio delle barche a vela e dall’infrangersi delle onde bianche sulla spiaggia. Perché dunque ora provava una sensazione di pace e tranquillità che non sentiva da tempo?

Nulla stava andando come si era prefissata. La morbida seta color cipria della camicia da notte acquistata apposta per l’occasione giaceva in una piccola borsa da viaggio in camera di David, mentre lei, al suo posto, sfoggiava una cerata talmente umida che nulla ormai poteva contro le gocce che continuavano a cadere copiose. Stretto fra le sue braccia, anche se per ragioni tutt’altro che sentimentali, Scott Anderson, proprio una di quelle persone che si era premurata di cancellare dalla sua memoria, le stava offrendo il suo aiuto, dopo che per anni lei non gli aveva riservato altro che occhiate di traverso e frecciatine malevole. La casa verso la quale era diretta non era la Villa dei Campbell, ma nemmeno la lussuosa dimora estiva dei Cooper che era stata la sua casa da bambina: quella Vespa che traballava incerta fra le pozzanghere e le buche della strada la stava conducendo direttamente verso l’ultimo posto nel quale si sarebbe aspettata di trascorrere una notte: l’appartamento di Scott, appunto. Un posto, pensava storcendo il naso, senza dubbio alcuno dal divano sfondato ricoperto da residui di ogni genere e provenienza, di cibo spazzatura consumato davanti ad un televisore il cui valore equivaleva più o meno a quello di tutti gli oggetti della casa –muri compresi- ed una consolle di ultima generazione, con ogni probabilità più importanti della stessa vita del loro proprietario. Un piccolo rifugio dalle pareti ricoperte di poster di film e sportivi attaccati alla meglio con pezzetti di scotch che cedevano un giorno sì e l’altro pure, così come il canestrino storto per i troppi tiri nelle serate con gli amici. La casa tipica di un ragazzo che finalmente conquista la libertà di fare –e disfare- ciò che desidera, lontano dallo sguardo e dalla voce severi di una madre affetta da una cronica fobia dell’ordine e della pulizia.

Questo pensava mentre si interrogava nuovamente su quanto ci fosse di profondamente errato in tutto ciò e rifletteva sul fatto che probabilmente la Nicole sana di mente avrebbe trovato almeno cento motivi validi per non accettare l’aiuto offertole dal vecchio compagno di scuola.

Motivo numero uno: ho giurato di non mettere più piede in casa Anderson da quando, in un eccesso di zelo, mi ha rovesciato la torta al cioccolato per il suo tredicesimo compleanno sulla minigonna di Moschino nuova.

Motivo numero due: se qualcuno in città mi scorge varcare la soglia di casa sua a quest’ora di notte, David si vedrà servire la notizia calda calda assieme alla ciambellina zuccherata e al caffè domattina, arricchita di dettagli di cui io stessa non avrò alcuna memoria.

Motivo numero tre: la cerata mi si sta appiccicando addosso e io mi sento soffocare. Se poi sia per l’ansia o per il materiale plastico inumidito, questo non lo so e non voglio nemmeno saperlo.

Queste tre sole ragioni tre giorni prima avrebbero provocato in lei un opprimente senso del dovere, portandola ad un’eruzione di acidità che sarebbe esplosa con una qualche offesa pungente, mascherata dal sarcasmo, nei confronti di quel malcapitato che, per una qualche oscura ragione, la stava trattando con inusuale gentilezza da quando, tre giorni prima, aveva avuto il buon cuore di aiutarle a raggiungere casa. Tuttavia, la Nicole pazza e sconsiderata che aveva preso il sopravvento sul suo irreprensibile carattere, quella che si stava martoriando la bocca indecisa sul da farsi, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovarne nemmeno una abbastanza valida per farsi condurre nuovamente a casa del fidanzato.

Sospirò profondamente, cercando di ripescare in lei il più flebile barlume di senso di responsabilità, richiamando a sé tutta la concentrazione necessaria per elaborare ulteriori pensieri ragionevoli.

Motivo numero quattro: sono fidanzata. Conterà pure qualcosa no?        

Motivo numero cinque: i commenti di mia madre. E da quando do ascolto a mia madre?

Motivo numero sette: le ragazze come me non frequentano gli Scott Anderson.

Motivo numero otto

-Allora?- insisté lui voltandosi e fissandola intensamente negli occhi.

-Andiamo,- si trovò a rispondere prima di rendersene conto.

Motivo numero nove: Oddio, qual’era il numero uno?

 

 

****

 

 

-Mettiti questa roba. Non é quella roba lì…Ferretti, ma è asciutta.

La maglietta a righe verdi e marroni, appallottolata attorno ad un paio di pantaloncini dei Boston Celtics, le piombò sul viso prima che lei potesse anche solo notare il movimento del braccio di Scott; era entrata in casa di corsa, tremando violentemente e con le labbra blu e si era diretta correndo in bagno alla ricerca di un asciugamano con cui avvolgersi. Aveva lanciato i vestiti fradici nella doccia e si era riparata nel grande accappatoio blu adagiato sopra una stufetta ancora miracolosamente tiepida, sospirando beatamente per il tepore trasmessole dalla soffice stoffa. Una lavata al viso veloce ed era tornata nel salotto giusto in tempo per appoggiarsi sul divano ed appisolarsi con la testa sprofondata nel morbido cuscino rosso che spezzava il nero del divano di pelle con le finiture in acciaio.

Lo osservò scostando di poco gli abiti che le coprivano il viso, mentre si affaccendava attorno ai fornelli per scaldare la porzione di fish and chips e sistemare due birre ghiacciate su un vassoio. Notò come, anche lontano dal bancone, Scott si muovesse con una naturalezza incredibile in cucina, ruotando in maniera impeccabile la padella con cui stava scaldando il cibo, con un canovaccio buttato sulla spalla, azzardando una goffa danza al ritmo di una canzone degli Strokes. Rimase per qualche istante a fissarlo con ammirazione muovere la testa impacciato, lei che non sapeva nemmeno scaldare nel microonde il take away thailandese. Ora che ci pensava bene, lo sportello vetrato dell’elettrodomestico di ultima generazione poggiato sull’isola della sua cucina doveva ancora essere sigillato con l’adesivo promozionale. Perché fare fatica in una città in cui bastava percorrere cento metri a piedi per girare il mondo attraverso le cucine tipiche che presentavano i ristoranti?

Mentre Scott si aggirava indaffarato, colse l’occasione per guardarsi un po’  un po’ intorno: quel piccolo cottage sulla spiaggia l’affascinava oltremodo e ad ogni piccolo dettaglio poteva notare quanto quella che si presentava ai suoi occhi non corrispondesse assolutamente all’immagine che si era creata della casa del ragazzo. Ricordava bene la sua stanza da adolescente, dal momento che le loro finestre distavano solo pochi metri e le era spesso capitato di sbirciarvi dentro con aria di disappunto: un disordinato mix di stendardi di ogni genere e provenienza, appesi accanto ad una mappa celeste e un poster di Spiderman, vestiti buttati a casaccio ovunque per la stanza e un computer perennemente acceso su NBA live o altri giochi di cui non conosceva il nome. La piccola casina affacciata sul mare in cui si era trasferito da adulto invece era accogliente, ordinata e…diversa. Certo, una Playstation 3 troneggiava sul basso mobile TV di legno scuro e lucido, e il canestrino dei Boston Celtics pendeva pericolosamente, segno che il proprietario doveva averlo usato per schiacciare ripetute volte in uno di quei momenti di trans agonistica che colgono gli uomini quando rimangono soli fra le loro quattro mura e si esaltano sentendosi i  Lebron James della situazione. Per il resto però, tutto trasmetteva calore e allegria: le pareti, in alcuni punti ricoperte da piccoli mattoni a vista, erano tappezzate da poster e fotografie dai colori sgargianti, che raccontavano la storia e le passioni del proprietario di casa. Ovunque vi erano richiami alla musica: la libreria era quasi intermente occupata da dischi e CD, appesa al muro una chitarra elettrica laccata di bianco e sparsi qua e là frammenti di concerti, copertine di Album, volti di cantanti famosi. Viaggi, film, gruppi musicali cult, tutto in quella stanza la catturava a tal punto che avrebbe voluto conoscere la storia che si celava dietro ad ognuna di quelle immagini ed oggetti accuratamente studiati per ricordare gli istanti indimenticabili della vita di Scott.

In un angolo sopra la televisione, proprio accanto al poster di 2001: Odissea nello spazio, la colpì la fotografia di un campo di girasoli che si stendeva sotto un cielo che sembrava dipinto con delle pennellate di un azzurro acceso, interrotte qua e là da impercettibili macchie di bianco; attingendo ai suoi ricordi di viaggio azzardò l’ipotesi che fosse un paesaggio italiano, forse della Toscana.

-L’ha fatta Brady,- Scott interruppe la sua attenta osservazione, facendola sobbalzare per la sorpresa. -Anche quella,- disse indicando una fotografia del Golden Gate Bridge illuminato dalla luce di un tramonto infuocato,- e questa.

Sollevò il dito verso l’immagine di quella che riconobbe essere uno dei tipici pub che rallegrano le viuzze del East End di Londra, in cui un bambino si distraeva girando assorto nelle manine paffute un piccolo dinosauro giocattolo, mentre la sua mamma tentava di catturare la sua attenzione avvicinandogli una forchetta colma di pasta.

Nicole rimase a fissarla qualche istante con il capo reclinato sulla destra, sorridendo intenerita dalla dolcezza di quel frammento di vita colto dall’attento obiettivo di Brady, poi, improvvisamente, si alzò  avvicinandovisi fino a toccarla con il naso. Dopo averla osservata minuziosamente, sembrò ricordarsi che Scott la stava osservando, con un vassoio in una mano e un piatto pieno di cibo nell’altra, lo sguardo incuriosito e un’espressione interrogativa dipinta in volto, quindi girò di scatto, piantandosi le braccia sui fianchi e gli domandò con voce lievemente strozzata:

-Brady è stato in Inghilterra?

Scott poteva osservare i suoi occhi azzurri adombrati penetrare il suo viso, come se volessero incenerirlo mentre stringeva le spalle in un gesto rassegnato. Lei rimase in quella posizione per qualche secondo; sapeva che non era colpa sua se quell’imbecille del suo migliore amico aveva fatto un viaggio in Europa e non aveva cercato sua cugina, eppure in qualche modo si sentiva irritata dalla sua espressione di scuse. Era un altro dei suoi gesti naturalmente gentili, che capiva essere compiuti senza alcuna premeditazione, che la inorgoglivano e la innervosivano allo stesso tempo, facendole sospettare di soffrire di crisi di identità a fasi alterne. Scrollò la testa spazientita e un piccolo ciuffo di capelli bagnati le cadde sugli occhi, facendola sobbalzare; lo allontanò infastidita con un sonoro sbuffo, e, dopo un attimo di esitazione, si avvicinò a Scott, afferrò una delle due birre che reggeva silenziosamente in mano e si diresse silenziosamente verso il terrazzo sul retro della casa.

 

 

 

****

 

 

 

 

Annie non riusciva a prendere sonno. Aveva chiuso gli occhi qualche secondo, ma la persiana di pesante legno scuro si era sganciata a causa del forte vento e aveva sbattuto violentemente contro il muro esterno della sua camera facendola saltare sul letto ansimante e con la gola secca. Fino a quel momento, il tormentato dormiveglia nel quale era scivolata dopo essersi girata talmente tanto nel letto da intrappolarsi nelle coperte, ormai ridotte a mucchi di stoffa informe ed appallottolata ai suoi piedi gelati, le aveva proiettato delle confuse immagini della serata appena trascorsa, che si alternavano all’incubo che periodicamente tormentava le sue notti sin da adolescente.

In una spiaggia candida, illuminata da un sole accecante che rimbalzava sul mare completamente piatto, lievemente increspato solo dai cerchi prodotti dal posarsi dei gabbiani in cerca di cibo, una bambina paffuta, che con gli anni aveva ormai capito essere lei stessa, sedeva sola in mezzo alla spiaggia, tendendo le manine paffute ad una donna. Questa, di spalle, continuava a parlare con evidente fervore con una persona che non riusciva mai a vedere, coperta dalla folta chioma fluente scossa dai movimenti della testa di quella che, era sicura, fosse sua madre. Non volava una mosca ed il silenzio che regnava in quel luogo così pacifico da incutere timore le risultava fastidioso ed insopportabile quasi quanto un rumore penetrante, di quelli che fanno rabbrividire e tremare per il disagio.

Il viso della piccola, che guardava da lontano, si era riempiva a poco a poco di tante piccole chiazze rossastre mentre la sabbia fine si incrostava alle tracce delle lacrime che le scorrevano sul viso: piangeva, ma nessuno le dava ascolto. Senza preavviso, un alito di vento iniziava a sollevare piccoli mulinelli di granelli di sabbia, mentre strature nerastre si facevano largo nel cielo tinto di un azzurro bluastro, oscurando in un breve istante la spiaggia dorata. Poi, così veloce, come un frammento di immagine inserito per sbaglio nella pellicola di un film, il mare si ingrossava ed un’onda nera si riversava con un rumore assordante a terra inghiottendo la bambina, sua madre ed la misteriosa figura con cui si intratteneva. Una frazione di secondo, poi tutto tornava esattamente come era prima: dorato, luminoso, immobile, tacito.

Si levò con il fiato corto e la gola secca e si lisciò il ciuffo di capelli castani madido che le si era incollato alla fronte. Era bagnata di sudore per l’agitazione dei minuti precedenti, ma dalla finestra entrava un vento gelido che le penetrava le ossa, scuotendo il suo esile corpo con tremori e sussulti.

Si alzò in piedi d’istinto e scalza si diresse nel buio verso la camera di Abby, realizzando solo dopo pochi passi che sua sorella esattamente come lei, era uscita di casa il primo giorno di College e che non avrebbe più potuto trovare conforto sotto le sue coperte, come aveva fatto tante volte da ragazzina. Di tornare nella sua stanza non voleva saperne, troppo vuota, spoglia, bianca, fredda. Così infilò la porta di Sam, e scivolò velocemente sotto le sue coperte, scoprendole tese, segno che di sua sorella non vi era ancora traccia. Non che Province Town fosse una città pericolosa, lei stessa aveva passato più volte la notte fuori alla sua età; forse sentiva la responsabilità dei suoi ventisei anni, o forse aveva sempre l’impressione che la sorella minore fosse ancora la bambina di otto anni che le aveva lasciato un bacio alla marmellata di albicocche la mattina in cui se ne era andata, ma si sentiva ansiosa all’idea che Sam fosse in giro da sola alle tre e mezza del mattino. Si augurava solo che, ovunque lei fosse, Jamie la stesse tenendo d’occhio.

Mentre si rannicchiava sbadigliando sotto le coperte, stringendosi al grande orso che occupava metà del letto di ferro battuto bianco, un rumore secco di qualcosa che sbatteva violentemente dal piano di sotto la fece sobbalzare, mentre udiva la voce acuta di sua sorella che imprecava con poca grazia.

-Dannazione Jamie, tirati su!

Un altro tonfo accompagnato da un secondo acido rimprovero si unì ben presto ai suoi di improperi, visto che i piccoli Morgan sembravano essersi seriamente votati al martirio quella notte: se loro padre si fosse svegliato con tutto quel trambusto i due avrebbero potuto tranquillamente scordarsi la parola vacanze fino all’anno successivo. E Annie non avrebbe esitato a scommettere che, in qualche modo, la sua ira si sarebbe riversata anche su di lei per una qualche oscura ragione: dal momento dunque che era un tantino grandicella per subire le punizioni paterne, decise che, per amor di pace, era giunta l’ora di andare a salvare la situazione. Afferrò al volo una felpa e si precipitò a rotta di collo giù per le scale, del tutto impreparata al teatrino che l’attendeva in cucina.

Jamie, con la schiena curva appoggiata all’enorme frigorifero in acciaio, dormiva placidamente, mentre Sam, rossa in volto per lo sforzo e la rabbia, gli tirava violentemente la maglia, nella speranza di destarlo e farlo rimettere in piedi. Sforzo del tutto inutile, visto che lui era incredibilmente alto per la sua età, mentre la sorella, esattamente come lei, sembrava destinata a rimanere piccola e magrolina.

Annie si avvicinò costernata, riconoscendo  immediatamente che il suo piccolo ed innocente fratellino era completamente ubriaco. Si girò lentamente verso Sam, che si era abbandonata esausta sull’enorme tavolo di legno scuro e le domandò incredula:

- Si è scolato l’intera produzione annuale della Napa Valley questo imbecille?

-Della Napa Valley forse no, ma buona parte della riserva di casa McKinnon sì!- rispose Sam appoggiando la fronte sulla superficie fredda e abbandonando le braccia pesanti lungo i fianchi. -Romeo da quattro soldi.

Con una smorfia di dolore iniziò poi a massaggiarsi il collo, su cui spiccava un evidente segno rosso, lasciato con ogni probabilità dal braccio inerme di Jamie che, a quanto risultava evidente, era stato trascinato a forza fino a casa. Annie tacque con eloquenza, attendendo divertita maggiori spiegazioni mentre si alzava alla ricerca di un canovaccio da inumidire nel tentativo di fargli riprendere quel minimo di coscienza necessaria per farlo salire dalle scale: anche con le migliori intenzioni, nulla avrebbero potuto lei e Sam contro l’inesistente grazia del metro e ottantacinque di un dinoccolato adolescente completamente sbronzo.

-Amber l’ha mollato per l’ennesima volta,- riprese con calma Sam.- Io davvero non capisco cosa ci trovi ‘sto tordo in quella sciacquetta: ha i capelli tinti, le unghie rifatte e lo spirito di un canarino agonizzante.

-Toccante descrizione, puffola,- Annie strizzò lo straccio e glielo passò dall’altro capo della cucina. -E che cosa avrebbe fatto il nostro piccolo ragazzo innamorato per meritarsi la botta di vita del suddetto pennuto in punto di morte?

Sam rise con una mano premuta sulla bocca per un abbondante minuto, prima di cominciare a strofinare lo straccio rinfrescato dall’acqua corrente sul viso del fratello.

-Ha in testa solo il basket, secondo quanto mi è stato riferito da Victoria, che lo è venuta a sapere da Ashley, che a sua volta l’ha sentito nel bagno delle ragazze.

-E Jamie che ne dice invece?

Fu suo fratello stesso a risponderle, dopo aver allontanato con stizza lo straccio freddo che l’aveva destato dal profondo sonno in cui era piombato.

-Jamie dice che lei si sbatte Chace.

-Però, che raffinatezza, fratellino,- commentò Annie scuotendo la testa. Poi, vedendolo chiudere gli occhi nuovamente, dopo quell’inaspettato guizzo di vitalità, lo afferrò ad una spalla, scuotendolo violentemente.

-Heilà? Mi senti?

Ma la sola risposta che ricevette fu uno strano verso, simile ad uno sbadiglio, prima che il ragazzo si voltasse, appoggiando la guancia alla parete fredda dell’acciaio e ripiombasse in un sonno profondo. Annie cominciò a tirargli dei buffetti sempre più forti, ma questo, con un secondo, sonoro balbettio, si voltò di scatto, iniziando a russare poderosamente.

-Qualche bottiglia? Questo si é bevuto anche la benzina della spider del Signor McKinnon, altroché. E tu, dove credi di andare scusa?!- domandò in direzione di Sam, che si stava dileguando nella speranza che il suo ruolo di balia fosse terminato. -Adesso mi aiuti a svegliarlo e a portarlo in camera, se non vuoi che fili dritta da papà a riferirgli che sei fuori dal tuo letto alle tre e mezza del mattino!

-Ma io…

-Niente ma. Forza, ragazzo dal cuore infranto, tirati su!

Senza troppe cerimonie Annie gli lanciò lo straccio in pieno viso, destandolo dal torpore. Approfittando dei pochi secondi di lucidità, lo afferrò sotto le ascelle, si assicurò che fosse ben stabile sulle gambe -anche se con quelle sneakers mezze slacciate non era facile fargli assumere l’andatura più consona a non farlo inciampare nei tappeti che coprivano il parquet scricchiolante - e lo spinse dietro la schiena con un gesto secco.

Quando miracolosamente riuscirono ad infilargli il pigiama e stenderlo sul letto erano ormai passate le quattro e mezza ed Annie sentiva che il sonno l’aveva completamente abbandonata. Anche Sam, nonostante la serata movimentata sembrava non avere nessuna intenzione di dormire, forse ancora troppo agitata per chiudere gli occhi. Scesero dunque di nuovo in cucina alla ricerca di zuccheri e latte caldo che potessero aiutarle a rilassarsi. Mentre la sorella le raccontava gli ultimi aggiornamenti circa la sua vita, i pettegolezzi della città ed il suo odio nei confronti del gruppo delle reginette della scuola, fra cui la famigerata Amber che aveva monopolizzato l’attenzione del suo fratellino,  Annie sentì la tensione accumulata nella notte scivolarle di dosso ed allontanarsi fino a svanire lentamente.

Forse non aveva trovato quello che si aspettava tornando a Province Town, ma non poteva fare a meno di sentirsi estremamente tranquilla mentre divorava la seconda fetta di ciambella destinata ai clienti del Bed and Breakfast e rideva con spensieratezza per la prima volta dopo tre giorni; per tante persone che erano rimaste turbate ce n’erano altrettante che gioivano incondizionatamente del suo ritorno e la piccola Sam, fra tutte, era sicuramente una delle prime. Sarebbe venuto il momento di affrontare e risolvere i suoi problemi, saldare rapporti ormai logori e vincere paure mai superate ma, per il momento, c’erano così tante persone a cui dedicarsi dopo anni di lontananza che le questioni del passato potevano tranquillamente aspettare. Le piccole cose della vita quotidiana da cui trarre piacere e soddisfazione a casa, inoltre, triplicavano di giorno in giorno: insegnare a Sam a bere il latte senza dipingersi due profondi baffi bianchi attorno alle labbra, per esempio, o imparare a fare addormentare il piccolo Josh fra le sue braccia. E ancora aiutare suo padre al Brass Key, cucinare personalmente i biscotti e le ciambelle per il mattino seguente; tutte cose appartenenti ad una routine che pensava di aver dimenticato, ma che solo ora le facevano capire quanto le fosse realmente mancata la sua casa a Cape Cod. Così, mentre Sam, così piccola ma già così identica a lei a quattordici anni, se non fosse stato per i capelli color cenere, si addormentava pacifica e serena con la testa appoggiata sulla mano, cominciò a pensare che forse, se anche lei avesse trovato la tranquillità e la spensieratezza di un tempo, sarebbe anche riuscita ad essere nuovamente felice.

E, se c’era una cosa che l’aiutava a schiarirsi le idee e rilassarsi quella era sempre stata, sin da ragazzina, correre sulla spiaggia all’alba e fermarsi poi a fare colazione al Pheseant con uno dei miracolosi biscotti per cui la signora Anderson era famosa in tutta la città. Decise di ripartire da lì: inoltre, dato che la gestione del locale era passata definitivamente nelle sue mani, Scott sarebbe stato di sicuro dietro al bancone e due chiacchiere con lui non potevano che farle bene.

 

 

 

****

 

 

 

Mentre Annie affrontava l’apparentemente insuperabile difficoltà di risalire le scale per lavarsi il viso scrollandosi così di dosso le ultime tracce di sonno, ed avviarsi lungo la spiaggia per svegliare le gambe intorpidite dall’assenza di sonno, Scott era inspiegabilmente alle prese con un altro tipo di problema: aveva dato a Nicole dei suoi vestiti, assicurandole che, sebbene non potesse fornirle raffinatezze quali Alberta Ferretti, la sua maglietta a righe e i suoi pantaloncini da basket erano sufficientemente puliti ed asciutti da preservarla da un raffreddore assicurato. Lei aveva miracolosamente accettato di buon grado e, così agghindata, si era aggirata per la sua casa, senza nascondere lo stupore di trovarla così minuziosamente curata ed ordinata. Forse, pensava Scott, si era aspettata di vedervi chissà quali stranezze ed invece era rimasta visibilmente colpita dal suo piccolo cottage, dal modo in cui l’aveva arredato e, soprattutto dalla terrazzina che si affacciava sulla spiaggia bianca, che l’aveva spinto ad acquistarla senza riserva alcuna, dove si erano goduti il fish and chips e si erano bevuti una discreta quantità di birra ghiacciata. O meglio, lui aveva divorato il prelibato piatto mentre lei lo istruiva con il naso storto su quante calorie contenesse e quanto facesse male divorare pietanze fritte, specialmente a quell’ora della notte. Poi però, vinta dal delizioso profumo o forse dimentica di tutti i suoi irreprensibili principi a causa della birra che si era scolata senza troppe cerimonie, chiacchierando incessantemente, gli aveva rubato le ultime patatine, le sue preferite, quelle lasciate nel fondo del sacchetto perché più abbrustolite delle altre. Minuto dopo minuto, con l’aiuto dell’alcol e di una copertina di lana sulle gambe che li aveva finalmente scaldati dal freddo penetrante provocato dalla pioggia che li aveva colti nel cuore della notte, le palpebre di entrambi si erano fatte pesanti ed erano scivolati nel sonno, cullati dal movimento ritmato del grande dondolo di legno bianco.

Dopo nemmeno un’ora di sonno però, infastidito dalle prime luci dell’alba e definitivamente destato dall’acuto e sgraziato verso di un gabbiano che si era depositato a pochi metri di distanza, Scott si era svegliato di soprassalto, inizialmente dimentico di dove si trovasse. Era stato a causa dello stato di beata ignoranza in cui era scivolato che, una volta svegliato, si era fatto quasi venire un infarto e aveva sobbalzato violentemente sul morbido cuscino blu, sbattendo la testa contro lo spigolo del palo di legno che reggeva il dondolo. Nicole Cooper, nel sonno, gli si era comodamente accoccolata fra le braccia, forse infreddolita o semplicemente ignara del fatto che non si trovava nella lussuosa camera a letto di David, ma nella sua minuscola e comunissima veranda.

Da un lato non avrebbe mai voluto svegliarla, un po’ perché sì, ammetteva che la ragazza nel suo letto -o dondolo - era stato il sogno che lo aveva tormentato nei lunghissimi anni della sua adolescenza, un po’ perché aveva seriamente paura,  una di quelle che proprio non ti danno tregua infuocandoti la bocca dello stomaco, di quale sarebbe stata la sua reazione se si fosse destata improvvisamente in quella posizione. Provò a scostarsi di un poco, ma Nicole non fece fatica a ritrovare la posizione precedente, sistemandosi comodamente con la guancia appoggiata al suo petto e la mano destra leggermente schiusa sul suo stomaco. Dopo minuti di svariati tentativi, decise di rimandare il problema e godersi quell’effimero momento di gloria ed iniziò a giocherellare distrattamente con una ciocca di capelli rosso dorati fischiettando impercettibilmente per stemperare l’ansia.

-La vuoi smettere?

Un mugugno che gli parve venire dall’oltretomba si levò dalle labbra di Nicole, socchiuse quel tanto che bastava da emettere versi quasi indecifrabili.

-Eh?

-La tua gamba. Trema. Non mi fai dormire, Anderson.

Scott tentò disperatamente di fare appello a tutte le sue forze per smettere di scuotere la gamba. Vi sarebbe anche riuscito se non fosse stato che, nel momento in cui realizzò che Nicole aveva fatto il suo nome nel dormiveglia, sussultò così forte che anche la povera ragazza, spaventata, si levò di scatto, colpendolo debolmente sullo sterno.

-Si può sapere qual’é il tuo problema?! Voglio dormire!

Scosse la testa, arrossendo come un adolescente impacciato. Nicole si stropicciò gli occhi, sbadigliò e si passò una mano sul ciuffo di capelli, cominciando a fissarlo con quell’aria di smarrimento di cui solo chi ha dormito una manciata di minuti è capace. Scott la guardava, pensando che, seriamente, non aveva mai visto niente di più bello in vita sua: era sempre stato innamorato di lei, sin da bambino, ancora prima di quell’unica estate in campeggio in cui lei, inspiegabilmente, gli aveva concesso il privilegio dell’amicizia. Sentimento che non si era sopito quando la ragazza glielo aveva tolto, convinta che frequentare persone così poco attraenti - nulla di affascinante si poteva infatti trovare nelle sue ginocchia ossute, sempre sbucciate, nel suo ciuffo ribelle e nella sua scarsa propensione a sbavare nei corridoi al suo passaggio, interrompendo qualunque attività nella quale fosse impegnato come facevano quei gorilla senza cervello della squadra di football - poco giovasse alla sua immagine pubblica. Non aveva smesso di adorarla nemmeno quando, da adolescente, lei aveva cominciato a fare quasi finta di non conoscerlo mentre le serviva il caffé al Pheseant, ignorandolo come se non avesse nulla a che fare con lui, come se non avessero trascorso ogni giorno della loro infanzia insieme, come se non fossero vicini di casa da quando erano nati e lui non fosse l’inseparabile membri del trio Morgan-Sanders-Anderson di cui faceva parte sua cugina Annie.

Negli anni aveva semplicemente imparato a convivere pacificamente con il desiderio perenne di quei grandi occhi azzurri, delle sue lentiggini infantili, della sua risata argentina, della sua parlantina, della sua acidità. Poi lei se ne era andata e non si era più fatta vedere da quelle parti, come se essere cresciuta in un posto così ai confini del mondo fosse un disonore, una nota stonata nel curriculum dell’impeccabile ragazza di buona famiglia trasferitasi a New York per studiare in una prestigiosa facoltà, fidanzarsi con un ragazzo dell’alta società e divenire una di quelle affettate signore dei salotti cittadini, esattamente come lo erano state sua madre, sua zia e tutte le donne della famiglia Cooper prima di lei. Scott aveva imparato a dimenticarla nel corso degli anni, aveva avuto le sue storie, scoprendo che in realtà la sua aria da bravo ragazzo, il suo modo di fare ed i suoi dolci tratti quasi infantili riscuotevano parecchio successo fra le ragazze che non rispondevano al nome di Nicole. Poi, inaspettatamente, tre giorni prima lei era riapparsa platealmente nella sua vita, concedendogli, a modo suo ovviamente,  il privilegio della sua attenzione. Era rientrata in gioco con lo stesso impeto del mare di Cape Cod che, quando si alzava il vento ed iniziava la burrasca, si avvicinava rumorosamente alla sua terrazzina, minacciandola con la violenza delle sue onde. D’altronde si sapeva, Nicole stava a remissività quanto lui stava a mondanità e non avrebbe certo permesso che il suo ritorno fosse passato in sordina fra gli abitanti di Province Town, lui compreso. Per cui se ne stava lì, con il viso lievemente imbronciato, la schiena curva e le gambe coperte da un paio di pantaloncini troppo grandi per lei e lo fissava con gli occhi azzurri lievemente sgranati, nel tentativo di rimanere sveglia, mentre lui non riusciva ad elaborare pensieri che non riguardassero la bellezza del suo viso insonnolito e corrucciato. Provò nuovamente l’irrefrenabile istinto di accarezzarle la guancia, ma non riuscì a mascherare una seconda volta quel  gesto istintivo. Allungò le dita sfiorandola, risalendo lentamente fino a sistemarle i capelli dietro l’orecchio. 

-Hey che fai?

Scott deglutì lentamente.

-M…mosca,- si schiarì la voce. –Avevi una mosca sul viso.

Lei non diede segno di protesta; lo fissò stranita, poi si puntellò sulle mani, allungando le gambe intorpidite e, protestando debolmente, gli domandò:

-Visto che non mi fai dormire, mi offriresti almeno la colazione? Ho fame.

-Hai mangiato patatine un’ora fa Nicole,- obiettò Scott, sorpreso di tanto slancio nei confronti del cibo.

-E ora ho bisogno di zuccheri,- protestò lei, assumendo il broncio ed incrociando le braccia al petto; a quel gesto infantile le labbra di Scott si aprirono in un sorriso addolcito, che non venne cancellato nemmeno quando Nicole, dopo essersi alzata scuotendo le gambe, sembrò ritrovare quell’acidità perduta che la contraddistingueva. -Per affrontare il fatto di essere qui devo almeno ingurgitare qualche alimento soddisfacente.

Qualche ora prima il ragazzo avrebbe replicato con una frase tagliente, dando libero sfogo alla brillante capacità oratoria che era divenuta negli anni il suo marchio di fabbrica. Era comunemente noto che chiunque lo stuzzicasse ricevesse in cambio una risposta adeguata, forse per difesa, forse per tenere sempre in allenamento la lingua che, a detta di sua madre, non aveva mai smesso di funzionare dalla prima volta che aveva esclamato un sonoro no alla sua sorellina che gli domandava se le voleva bene. Nicole si era immediatamente resa conto del fatto che, se in adolescenza qualcosa gli aveva impedito di testare questo meccanismo ormai rodato su di lei, lo Scott adulto non perdeva occasione per lanciarle qualche battutina mordace; fu per questo che, aspettandosi una risposta adeguata alla sua provocazione, rimase nuovamente stupita dalla reazione che le mostrò alzandosi, lisciandosi con calma e meticolosità il tessuto dei jeans e domandandole con gentilezza:

-Che ne dici di venire con me al Pheseant? Ti preparo qualcosa di buono, qui non ho quasi nulla, se non una scatola di cereali.

Il caffé della famiglia di Scott distava un centinaio di metri da casa sua, e c’era il rischio che la vedessero i suoi genitori o, peggio ancora, David stesso, per cui doveva necessariamente rifiutare la cortese offerta, prendendo dritta la porta di casa e dirigendosi a passo svelto verso la villa dei Cooper, facendo appello a tutti i Santi del paradiso affinché nessuno la vedesse. Tuttavia, il folle alter ego che sdoppiava la sua irreprensibile personalità, a cui attribuiva tutte le scelte sconsiderate degli ultimi giorni, la anticipò e lei non poté fare altro che sorprendersi mentre gli posava una mano sul braccio e gli domandava con gli occhi illuminati per il languore:

-Li fa ancora quegli incredibili biscotti al cioccolato tua mamma? Se non ricordo male facevano miracoli.

Scott annuì pensieroso:

-Te ne servivo uno ogni volta che avevi il cuore spezzato. Non che sia successo spesso, ma ricordo di averlo fatto.

Nicole lo guardò, tentando di decifrare il suo sguardo. Forse per imbarazzo, forse per stanchezza, lui abbassò gli occhi, fissandosi intensamente le punte dei piedi che giocherellavano nervose dietro la stoffa scolorita delle sue All Star nere e continuò con un filo di voce, rispondendo alla sua muta richiesta.

-Di solito eri tu quella che li spezzava, i cuori. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi scuso profondamente per il lungo periodo di pausa: fra esami, indisposizioni e, grazie al cielo, vacanze, ho fatto molta fatica a scrivere. Grazie a chi ha avuto la voglia di ricominciare a leggere questa storia e a chi invece approda qui da novellino.

Non ho molto da dire in realtà, se non che l’estate mi ha messo di buon umore, viste le carie che mi sono venute scrivendo questo capitolo il cui sottotitolo è senza dubbio –fluffistheway-. Avevo voglia di divertirmi un pochino, spero solo che sia stato lo stesso per voi; come avrete capito dal titolo stesso il capitolo è diviso in due parti e spero di potere pubblicare al più presto la seconda che è già finita, ma ancora non mi convince a pieno. Nel frattempo vi annuncio che sto scrivendo un OS sulle vicende di alcuni dei protagonisti da bambini, spero che avrete modo di leggerla ed apprezzarla quando la pubblicherò.

Per quel che riguarda strettamente Never let me go invece, come avrete notato, ho inserito all'inizio del capitolo la canzone da cui il titolo prende spunto: lo faccio sempre, un po' per ispirarmi, un pochino perché mi piace moltissimo fare ricerca di canzoni nuove esplorando generi anche magari diversi da quelli che ascolto di solito (non avete idea di quante compilation di Grey's Anatomy mi stia sciroppando, per trovare pezzi di un genere genere adatto a questa storia!). A tal proprosito quindi penso che riediterò i capitoli precedenti, inserendo, nel corso della scrittura, il link delle canzoni citate o da cui prendo spunto per il titolo e la scrittura, se vi interessa fra qualche giorno fate un passetto indietro e troverete i collegamenti, come in questo capitolo.

 

Tornando ai ringraziamenti, volevo rivolgere la mia attenzione ancora a chi mi ha recensito (ho dato la priorità, visti i tempi biblici, alla pubblicazione, ma giuro che vi risponderò a breve!), inserito la storia fra le seguite, preferite o quant’altro e, ovviamente, anche a chi si è soffermato senza lasciare un segno: la storia é dedicata innanzi tutto a voi che la sostenete. A tal proposito dunque vi bullizzerò un pochino affinché leggiate questa OS, scritta da quella pazzoide che ancora ascolta ed appoggia i miei deliri di Gypsy_Rose90, nonché Erica, che, oltre ad essere una beta eccezionale, ha ampiamente dimostrato di saperci fare con le parole, presentando un notevole frammento di vita di Annie Morgan a Londra. Correte a dare un’occhiata se non l’avete ancora fatto!

Che altro dire…nulla, se non che spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non mi vogliate prendere a padellate per il ritardo con cui l’ho pubblicato. Prometto sin da ora che sarò più brava con il prossimo e che aggiornerò (esami permettendo) quanto prima.

 

 

Un abbraccio, Lyra

 

 

 

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Capitolo 5
*** It's one door swinging open and one door swinging close -Part 2- ***


 

 

 



A Emilina, la bulla laureanda.

A V, Erica, Elle,

ma soprattutto a Gnagny.

Waiting for September, 28th.

A voi, che mi leggete ogni giorno



4.

 

It's one door swinging open

and one door swinging close

 

(parte 2)

 

canzone del capitolo

 

 

 

 

 

 

 

 

Annie correva già da una ventina di minuti quando il sole aveva cominciato a splendere alto in un cielo il cui colore sporcato dalle tinte gialle e rosa pesca tipiche dell’alba era gradatamente divenuto di un azzurro acceso, limpido e libero da ogni traccia di nuvola. Normalmente, a quell’ora del mattino, si concedeva un risveglio graduale, adottando un’andatura più simile ad una camminata veloce, ma il ricordo degli eventi della sera precedente, che riviveva in quei momenti di solitudine, le trasmetteva una tensione così forte che il suo passo si era ben presto allungato, trasformandosi in una corsa a perdifiato lungo quel paesaggio così familiare, eppure a tratti opprimente.

L’umidità che saliva dalla sabbia scura e compatta della riva non la infastidiva ormai più ed, anzi, le sembrava quasi che le gambe stanche ed affaticate per quella corsa mattutina ne traessero refrigerio. Rallentò progressivamente l’andatura mentre dalle cuffie le giungevano le ultime note della canzone conclusiva della playlist creata apposta per farsi forza durante la lunga attività fisica. Scartò a destra, lasciando che l’acqua fresca le scorresse sotto i piedi, ascoltando ad occhi chiusi il rumore delle onde che si infrangevano a riva e dello scalpiccio delle suole delle scarpe che vi sguazzavano sollevando piccoli schizzi bianchi.

Quando il respiro si fu calmato ed i battiti regolarizzati, ritornò sulla sabbia asciutta, lasciandosi cadere a terra, con le gambe e le braccia distese, crogiolandosi nel tepore del primo sole. Dopo qualche minuto passato con lo sguardo fisso al cielo rotolò sulla pancia, per rivolgere uno sguardo distratto verso la sommità della spiaggia, in direzione delle piccole case in legno grigie e bianche che si estendevano l’una accanto all’altra, dove le persiane dei più mattutini cominciavano ad aprirsi lentamente, lasciando filtrare la prima luce del mattino. Stava quasi per scivolare nel sonno, cullata dalle note della musica che usciva dall’Ipod, quando ebbe l’impressione che attraverso le palpebre socchiuse la luce si facesse più scura, come se qualcosa, o meglio qualcuno, si fosse frapposto fra lei e il sole che si stava alzando sull’orizzonte.

-Sapevo che ti avrei trovata qui.

Annie aprì gli occhi, aggrottando la fronte: in impeccabile tenuta velistica, Brady torreggiava dinnanzi a lei, con due identici contenitori di caffè in mano.

-Posso?- le domandò esitante, indicando un punto impreciso al suo fianco; Annie annuì silenziosa, raccogliendo le gambe al petto, circondandole con le braccia e fissandolo con estrema curiosità. Notò che aveva il viso stanco di chi, come lei, non aveva chiuso occhio la notte precedente e forse per quello, o per il palese imbarazzo, teneva lo sguardo fisso sul suo contenitore del caffè, roteandolo lentamente, visibilmente incerto sul da farsi. Dopo un breve attimo di esitazione passato a sorseggiare pensosamente la bevanda calda, tuttavia, il ragazzo iniziò a parlare con decisione, come consapevole del fatto che era giunto il momento di affrontare la spinosa situazione in cui si erano trovati da quando Annie aveva fatto ritorno senza alcun preavviso.

-Mi dispiace per quello che ti ho detto ieri sera,- esordì secco.

Annie assaggiò il caffè, storcendo il naso quando il liquido ancora bollente le bruciò la punta della lingua.

- Non devi scusarti,- rispose infine, -me lo sono meritata.

-Questo non giustifica il mio comportamento.

Annie sospirò profondamente: sapeva che, ora che Brady aveva vinto ogni timore abbattendo quel muro di risentimento che avevano entrambi contribuito ad innalzare, anche lei avrebbe dovuto scusarsi. Anzi, a pensarci bene gli doveva molto di più; il motivo per cui l’aveva lasciato, sei anni prima, sul ciglio di una strada con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni beige, a guardare allontanarsi la sua migliore amica, convinto di rivederla di lì a poco, per esempio. O ancora perché non aveva mai risposto alle sue telefonate, alle sue e-mail, e le ragioni per cui aveva intimato suo padre di non fornirgli il suo recapito londinese, o di dargli sue notizie (divieto su cui Kenneth Morgan aveva soprasseduto la prima volta che Brady aveva piantato le radici nel giardino del Brass Key, rifiutandosi di andarsene fino a che non gli avesse detto almeno come stava sua figlia).

Più e più volte, in passato, aveva riflettuto e fantasticato a lungo dinnanzi allo specchio della sua cameretta londinese, tentando di immaginarsi come sarebbe stato il momento in cui si sarebbero rivisti e quali parole gli avrebbe rivolto. Temeva il suo silenzio, il suo odio o, peggio ancora, il suo disinteresse: aveva fatto di tutto per mettere fra di loro la maggiore distanza possibile e non solo in termini geografici, eppure una parte di lei non poteva fare a meno di perseguire la puerile illusione che Brady l’accogliesse come se nulla fosse accaduto. Nella fittizia realtà che si era creata però non aveva fatto i conti con il fatto che, sebbene lei fingesse che laggiù tutto fosse rimasto immutato, anche la vita di coloro che erano rimasti a Province Town era andata avanti; ripartire dal giorno in cui ne aveva varcato definitivamente i confini era dunque impossibile, a meno di non voler sconvolgere le fragili dinamiche che si erano consolidate in quegli anni di lontananza. Non era più il suo nome che veniva affiancato perennemente a quello di Brady, bensì quello di Hailey, e lei non aveva in alcun modo intenzione di rompere questo legame, sebbene una morsa allo stomaco la costringesse a distogliere lo sguardo tutte le volte che gli occhi le cadevano sulla fede che il suo amico portava al dito: come aveva già tentato di spiegare a suo padre, sapeva benissimo quanto in fretta si sarebbe diffusa la voce che la sua venuta in città aveva portato ad una rottura fra Brady e sua moglie, anche se il loro matrimonio era ormai appeso ad un filo troppo logoro e consumato. Strinse il pugno destro attorno alla sabbia con forza; non avrebbe permesso che il suo nome rimbalzasse con un sussurro in città di bocca in bocca come era successo anni addietro a quello dei suoi genitori, anche se questo significava mandare a monte ogni intento di completa sincerità con il suo migliore amico d’infanzia.

-Senti, Annie, io credo che siamo partiti con il piede sbagliato,- ricominciò lui, distraendola dalla lotta intestina che si stava scatenando in lei fra le ragioni del cuore e quelle della ragione stessa. -Non sbagliavi quando sostenevi che non possiamo fingere che questi anni non siano passati. Non siamo più i due ingenui diciottenni di un tempo.

Annie continuò a non rispondergli, limitandosi a fissarlo appoggiando la guancia sulle ginocchia, sebbene cominciasse a sentirsi vagamente rasserenata. Al vederla, Brady le sorrise impercettibilmente di rimando, prendendo coraggio via via che vedeva i suoi occhi addolcirsi e le sue sopracciglia corrugate distendersi. Si voltò verso di lei, esibendo un’espressione soddisfatta e le allungò la mano destra: -Piacere, io sono Brady Sanders.

La ragazza fissò basita la sua mano tesa, indecisa sul da farsi: poteva distinguere nettamente l’impercettibile tremolio delle sue dita lunghe e sottili, mosse incessantemente dal nervosismo e dall’imbarazzo.

-Senti, per favore, potresti ricambiare il saluto così da non farmi sembrare un perfetto idiota?- protestò debolmente stendendo il braccio verso la sua pancia, innervosito dall’assenza di una qualsiasi reazione da parte di Annie.

Scosse la testa, sorpresa, mentre un guizzo divertito le ingentiliva i tratti seri ed impenetrabili che aveva mostrato fino a quel momento. Poi, dopo una lunga pausa, gli rispose finalmente, fingendo un impeccabile accento russo: -Piacere… Svetlana.

Brady deglutì sorpreso, sgranando gli occhi azzurri divertito.

–Caspita… sono cambiate più cose di quante credessi!

Avvenne tutto in poche frazioni di secondi, ma entrambi ebbero la subitanea impressione che ci fosse un flebile barlume di speranza di poter riacquistare quella complicità che li aveva contraddistinti negli anni e che entrambi cominciavano a disperare di riconquistare: scoppiarono a ridere spensieratamente, indugiando qualche secondo per godersi quell’effimera, seppur calorosa sensazione, poi lui si schiarì la voce.

-Dunque… Svet… l… sì, insomma… cosa fai nella vita, oltre che allenarti a pronunciare il tuo nome?

-Se te lo dicessi poi dovrei ucciderti,- rispose impassibile Annie.

-Non vedo come la mia conoscenza della tua identità segreta possa influire sulle sorti del mondo, agente 007. Nessuno si darebbe pena per un disgraziato che passa le sue giornate confinato in una cittadina che, tranne in estate, viene dimenticata persino da chi vi ha avuto natali, il cui evento di massima importanza fuori stagione è la tinteggiatura della torre del municipio.

Annie gli rivolse uno sguardo comprensivo, non potendo fare a meno di notare, con una fitta allo stomaco, la punta di amarezza e nostalgia che strozzava la sua voce calma. Teneva gli occhi fissi davanti a sé, verso un oceano quella mattina insolitamente piatto, come imperturbabile, e la ragazza pensò che mai nella vita aveva incontrato occhi così soggetti alla mutevolezza della natura circostante: nel loro azzurro intenso si rifletteva il colore giallo rosato di quell’alba di inizio estate, mentre quel brillio tremolante che vi aveva colto nei primi attimi di incertezza si era sopito, tramutandosi in uno sguardo calmo e sereno come l’acqua di quella mattina.

-Sono una dottoranda della UCL,- cominciò a raccontargli massaggiandosi i polpacci infreddoliti dal contatto con la sabbia umida.

Brady roteò gli occhi con aria di sufficienza.

-Questo lo so Sve…

-Vivo a Londra, città nella quale ho trovato una seconda casa,- ricominciò a spiegare lei ignorando le sue proteste. -I primi tempi mi ha ospitato mia zia, la sorella di mio padre un po’… particolare, te la ricordi?

Brady annuì serio ,- se per particolare intendi svitata sì, me la ricordo.

–Stavamo in un appartamento a Marble Arch, a pochi metri da uno degli accessi principali di Hyde Park, dividendolo con la sua insegnante di yoga indiana ed un soggetto non bene identificato di origine italiana, che rispondeva al nome di Beppe. La sua pizza era fantastica, peccato che un giorno sia sparito e di lui non si sia più saputo nulla. Quasi a malincuore ho accettato il posto in studentato l’anno seguente, mi divertivo tantissimo con loro, anche se le condizioni minime di igiene non erano sempre garantite ed ero spesso assuefatta dalle strane sostanze di cui non ho mai voluto accertare la legalità che si fumavano dopo le cene a base di tofu e seitan.

Brady scoppiò a ridere nuovamente, appoggiando il mento sul braccio e rimettendosi in assorto ascolto del suo racconto. Annie non poté fare a meno di notare che quell’espressione malinconica non abbandonava i suoi occhi né la sua bocca ora stesa in un sorriso trasognato; era evidente che stesse bevendo avidamente ogni singola parola che usciva dalla sua bocca e che con il suo atteggiamento assorto le stesse domandando di non fermarsi, di continuare a raccontare per colmare quell’enorme vuoto che li teneva lontani, quasi totalmente ignari della vita che avevano condotto dopo il liceo. Così, cogliendo quella muta richiesta, non poté che continuare, sospirando profondamente.

-Sto bene, se è questo che desideri sapere. Ho tantissimi amici, una borsa di studio estremamente esigua con cui pagare l’affitto di una singola a Camden Town, in una deliziosa casetta che divido con una seconda famiglia i cui membri sembrano tutti affetti da gravi problemi mentali e, nel frattempo, arrotondo con qualche pezzo free lance e perdendo la salute dietro a due adolescenti che non hanno la minima voglia di studiare. Sono quasi sempre al verde, ma anche molto felice e soddisfatta di quello che faccio. E tu, talentuoso giovane architetto, che combini nella vita?

Brady aprì gli occhi, irrigidendosi: sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui giustificare ad Annie le proprie scelte di vita avrebbe significato farlo anche con sé stesso, ma ora che il momento era giunto non era più sicuro di essere pronto. Ogni mattina, guardando allo specchio l’immagine di un uomo che non gli sembrava nemmeno di conoscere, si domandava come sarebbe stata la sua vita se non avesse scelto ciò che il suo senso del dovere gli aveva imposto, cosa ne sarebbe stato di lui se avesse continuato a perseguire i suoi sogni e le sue passioni e non si fosse votato alla vita coniugale ed all’interpretazione perpetua del figlio modello e del maturo figlio maggiore di una famiglia che, con lui in California, stentava ad affrontare la vita di tutti i giorni. Era certo di avere fatto una scelta responsabile, ma questo non portava come naturale conseguenza la su felicità e sospettava che a lungo andare Annie se ne sarebbe accorta, esattamente come era conscio avesse colto immediatamente la profonda invidia che provava per la sua libertà mentre gli raccontava la sua vita lontano da Province Town.

Tentò dunque di sviare il discorso, sperando quanto meno che Annie decidesse di soprassedere sulle questioni scomode, almeno per il momento.

-Non sono poi così talentuoso, a quanto risulta evidente,- replicò, sollevando fra le dita la stampa della scuola di vela della sua polo blu. -Come vedi, sono finito ad insegnare ai bambini a condurre un’imbarcazione. Ero troppo scarso persino per fare il professionista,- aggiunse in fretta, mettendo a tacere Annie che stava aprendo la bocca per protestare con forza contro le sue convinzioni. -Comincio a pensare di aver fatto un errore ad andare a Berkley. Se non mi fossi intestardito avremmo risparmiato un sacco di soldi e ora forse la situazione alla scuola sarebbe meno difficile.

Abbassò la testa rassegnato, mentre Annie, che cominciava a scalfire almeno la superficie di quel blocco di pietra dietro al quale continuava ostinatamente a nascondersi, gli sfiorava il braccio con delicatezza. Lo avrebbe abbracciato, se lui non fosse scattato a quel piccolo contatto, ristabilendo le distanze fra loro. Sapeva che se Annie fosse riuscita ad intuire anche solo in minima parte la profonda dicotomia che si era creata di lui da quando era tornato a Cape Cod rinunciando per sempre ai suoi sogni, quella pantomima che reggeva ormai da anni sarebbe crollata insieme al suo piccolo mondo di fragili certezze.

Fu dunque per senso del dovere e di responsabilità, o forse per convincere sé stesso più che lei, che aggiunse d’un fiato: -Sono felice, però, se è questo che ti stai domandando.

Annie stava sulle spine: era evidente che quella conversazione lo mettesse a disagio quasi quanto lei, così come lo era il fatto che vi erano aspetti della loro vita che forse non era ancora giunta l’ora di condividere; le cose fra loro non erano più come un tempo, questo lo capiva benissimo, eppure non poteva fare a meno di avvertire l’irrefrenabile istinto di stringerlo, di sfiorarlo con quella naturalezza e con quella spensieratezza con le quali compiva quei gesti così semplici e banali quando erano ragazzi. Fu quindi solo la consapevolezza di quanto entrambi avrebbero avuto da perdere se si fosse lasciata trasportare dai sentimenti che le fece reprimere ogni spontaneo istinto e le fece riportare la conversazione su toni meno confidenziali.

-Dimentichi la grande impresa: hai fatto crollare ogni teoria, statistica o maledizione, coronando l’idillio d’amore con la tua ragazza del liceo… ti rendi conto? Avete dato speranza ad ogni giovane innamorato depresso della città che si accinge a partire per il college!

Brady si sforzò di sorridere, mentre Annie, ripreso coraggio, lo sfiorava: questa volta, tuttavia, non si spostò.

-Tu, sposato… penso non ci farò mai l’abitudine,- continuò la ragazza, lasciandogli il braccio dopo una breve stretta, -voglio dire… io annovero ancora fra le mie relazioni stabili quella con tuo cugino che, disgraziato, distrusse i miei voli pindarici rifiutandomi alle elementari!

-Aveva diciotto anni allora, Annie, ed era il tuo maestro di tennis!- obiettò ragionevolmente lui.

-E con ciò? Io lo amavo profondamente e gli lasciavo anonime letterine d’amore nell’armadietto dello spogliatoio…

Brady si lasciò finalmente andare ad una risata spontanea. Per qualche secondo sembrò esitare, poi riprendendo le parole di Landon, esternò il dubbio irrisolto che lo tormentava dalla sera precedente.

-Quindi nessun biondino ti attende a casa alle cinque per il tè…

Annie scosse la testa, indecisa sul da farsi. Tecnicamente non vi era nessun biondino, visto che il ciuffo di capelli che svettava sulla testa del suo ex fidanzato era rosso, come quello della maggior parte di coloro che vantavano origini puramente britanniche, eppure sentiva di non essere ancora pronta a parlare di Ethan, in particolar modo non con Brady. O avrebbe dovuto dire con se stessa? Ragion per cui, dopo aver accantonato l'idea di essere completamente sincera con l'amico, gli rispose con decisione: -L’unico biondino che mi attende a casa è Josh, il figlio di Abby. È ancora troppo piccolo per il tè, ma ho recentemente scoperto che ritardare la sua poppata è un evento tragico quasi quanto servire ad un inglese il tè alle sei! E tu ed Hailey… insomma…

Brady colse al volo l’allusione e la rassicurò, agitando le mani in segno di diniego davanti al suo viso.

-Niente biondino esistente o in cantiere!

Per un attimo tacque, come sorpreso dalla forza della sua affermazione: era naturale per due giovani sposi pensarci e aveva cominciato a maturare il desiderio di qualcosa che desse finalmente un senso alle sue scelte di vita. L’idea di diventare padre, fino a qualche tempo prima, lo eccitava, caricandolo di rosee aspettative per il futuro. Perché dunque la sola domanda di Annie era bastata a nausearlo, facendogli provare una terribile sensazione di panico e costrizione?

-Ti pare che non te l’avrei detto?- le domandò stupito.

La domanda di Brady, formulata con un tono così scontato, la sorprese, facendole replicare risentita: -Come mi hai detto che ti saresti sposato?

Lui chinò il capo, scuotendolo impercettibilmente.

-Avrei voluto chiamarti, Annie. Davvero, ho commesso uno sbaglio enorme con te e ti chiedo scusa. È che avrei voluto parlartene a voce, domandarti la tua opinione. Ma, soprattutto, ti avrei voluta accanto a me. Ti ho desiderato al mio fianco quando il commesso del negozio mi bacchettava sulla postura inadatta all’abito da cerimonia, perché sapevo che ti saresti raccolta le gambe al petto come ora e avresti riso con me della mia inadeguatezza. Al contrario di Scott, ovviamente, che sembrava perfettamente a suo agio, inamidato com’era nel suo abito nero che gli calzava fastidiosamente a pennello. Avresti dovuto vederlo, mi innervosiva anche solo rivolgergli lo sguardo! Una vita passata in jeans stracciati e Converse e indossava quel completo da pinguino come se ci fosse nato! Volevo che fossi con me in gioielleria e sentire la tua voce che mi rimproverava sulla mia incapacità di scegliere un anello adatto ad Hayley, al posto di quella annoiata di Scott, che non perdeva occasione di dare sfogo alla sua parlantina, improvvisandosi esperto persino di brillanti e pietre preziose di ogni genere. Ho chiuso gli occhi e ho immaginato che fossi tu quella che mi asciugava la camicia immacolata ridotta ad uno straccio per l’agitazione un’ora prima del matrimonio…

Annie rise sonoramente, domandandogli a chi fosse toccato quell’ ingrato compito.

-Sempre a Scott, naturalmente,- aveva replicato serio Brady, -il quale non smetteva di sottolineare che ogni giorno della mia vita mi avrebbe rinfacciato il fatto di essere in debito con lui per avermi fatto da cameriera mentre farfugliavo come in trance le mie banali e vomitevoli promesse di matrimonio.

Sembrava davvero pentito ed Annie lo strinse istintivamente, prima di riuscire anche solo a formulare in testa la razionale idea di fermarsi.

-L’importante è che tu ora sia felice.

Gli strinse le spalle larghe, appoggiando la fronte alla sua guancia ruvida di barba del secondo giorno, sfregandola senza fastidio. Le sembrava che ogni piccolo contatto le permettesse di avvicinarsi sempre di più, di riacquistare quel poco di confidenza perduta. Fu solo allora che ebbe il coraggio di formulare quella domanda che la tormentava da quando suo padre aveva accennato alla situazione sentimentale di Brady: -Perché sei felice… vero?

Qualunque risposta le avesse dato, Brady sapeva che Annie ormai aveva capito. L’unica sua speranza era dunque quella di convincerla che, sebbene non gioisse ogni giorno per le sue scelte, le portava avanti con maturità e a testa alta, cercando di trarre il meglio dalla vita che si era scelto. Tentò dunque di sdrammatizzare, in quell’indecifrabile momento carico di tensione, confidenza e nostalgia.

-Ci conosciamo solo da dieci minuti, Sve… certe cose non si rivelano agli estranei!- scherzò, sperando di farle capire a suo modo che era giunto il momento di troncare quella delicata conversazione.

-Dunque,- iniziò nuovamente, cambiando discorso, -cosa ti porta in questa ridente località di pescatori, donna di Russia? Che poi… perché proprio Sve… oh, insomma, non ce la posso fare!

Annie rise apertamente.

-È il nome di una mia compagna bielorussa, per noi anglofoni è quasi impossibile da pronunciare! Quando l’ho imparato ero così fiera di me che da allora non perdo occasione di sfoggiare le mie mirabolanti abilità, ripetendolo ogni qual volta mi si presenti l’occasione.

-Non mi hai risposto,- Brady rideva, ma non mollava.

-Era giunta l’ora di affrontare alcune questioni, suppongo. E di chiudere definitivamente con altre,- rispose esibendo un tono serio.

-Quali questioni?

-Ci conosciamo dolo da dieci minuti, certe cose non si rivelano agli estranei,- rispose lei imitando il suo tono di voce basso e fermo. Era accaduto di nuovo, nel giro di qualche secondo: avevano nuovamente eretto quel muro che li separava. Ma Annie non si dava per vinta: quella manciata di minuti sulla spiaggia era stata come una boccata d’aria dopo ore passate in un locale mal areato e fumoso. Ne era uscita e non aveva più intenzione di farvi ritorno, dopo aver percepito l’odore stantio dei vestiti impregnati del nauseabondo odore di chiuso e di tabacco. Così si voltò, aspettando pazientemente che lui si accorgesse del suo sguardo fisso sul suo profilo dritto e gli domandò: -Le cose non torneranno mai più come prima, vero?

Brady sembrò per lunghissimo sovrappensiero, tanto che Annie cominciò a disperare in una sua risposta. Poi, all’improvviso, le sistemò con studiata lentezza i capelli dietro l’orecchio e le rispose, con estrema dolcezza: -No, ma non vedo perché non possano essere meglio.

Non era molto, ma le bastava. Sapeva di avere di nuovo Brady al suo fianco, forse non come aveva sognato o desiderato, ma pur sempre accanto le era. E, per il momento, quella piccola tregua era tutto ciò di cui aveva bisogno: voleva poter tornare a ridere con lui, a scambiarsi confidenze come se fossero ancora dei sedicenni, voleva abbracciarlo. Agognava di sentire nuovamente l’appagante sensazione di quel rapporto strettissimo, a tratti anomalo che li aveva legati fin dalla nascita e di cui ,quella mattina, aveva avuto nuovamente qualche debole segnale.

-Sono certa che una cosa non è cambiata,- disse sollevandosi di scatto,- posso ancora batterti in velocità. Forza, chi arriva ultimo al Pheseant paga la colazione!

Partì di colpo, sollevando una nuvola di sabbia che investì Brady in pieno, permettendole di guadagnare terreno. Tuttavia, la sua piccola statura, non poteva nulla a confronto delle sue gambe alte quanto tutta lei e ben presto l’amico le fu dietro e la superò svelto. Provò a spintonarlo, ma era impossibile smuovere quella pertica di nervi e muscoli, così tentò di strattonarlo, aggrappandosi al fondo della sua polo. Brady perse l’equilibrio e crollò rotolando a terra, trascinandosela dietro senza fatica alcuna; rotolarono qualche metro, per poi abbandonarsi, scossi dalle risate, con le gambe distese e la pancia all’aria. Stavano ancora schiamazzando come due bambini nella foga del gioco, quando una voce severa, proprio come quella di un adulto che rimprovera il proprio figlio, stroncò quel gioco infantile.

-Annie,- l’appuntò seria sua madre, apparentemente ignorando il fatto che fosse in compagnia di un’altra persona.

La ragazza balzò in piedi, tentando disperatamente di abbassare la maglietta che nella foga le aveva lasciata scoperta la pancia e gran parte del torace.

-Noi non...- tentò di giustificarsi, maledicendosi per il balbettio, palese dimostrazione del suo imbarazzo.

-Oh, so benissimo che voi non, è proprio questo il problema. Annie, non puoi continuare a comportarti come una bambina, hai venticinque anni. Abbassò il capo ammutolendosi di colpo, mentre Brady, rosso in volto, cominciò ad allontanarsi lentamente, sperando di sparire alla vista dell’impassibile e severa Elinor Cooper.

Questa però, notando il suo stare sulle spine gli si rivolse con fermezza, forse per gentilezza, forse solo perché era ben consapevole del fatto che se c’era una persona in grado di far ragionare sua figlia, quello era lui. In ogni caso, per quando nobili fossero le sue intenzioni, tuto ciò che ottenne non fu altro che un ulteriore motivo di imbarazzo da parte del ragazzo.

-Per favore, Brady, non sentirti di troppo.

Lui bloccò il passo a mezz’aria, indeciso sul da farsi, mentre Annie sbuffava sonoramente sentendo crescere nuovamente in lei quell’opprimente sensazione di disagio da poco sopita. Furono tuttavia le parole che sua madre aggiunse subito dopo quelle che fecero crollare ogni suo tentativo di risultare paziente e comprensiva; Elinor infatti, dopo qualche secondo di silenzio, continuò impassibile e con voce allusiva: -Capisco l’entusiasmo di rivedervi, ma mi pare di aver visto pochi minuti fa Hayley.

Annie la fulminò con odio e, non avendo nessun bicchiere da rovesciare, le si sarebbe volentieri scaraventata addosso, se non fosse stato che, senza preavviso alcuno, sua madre ricominciò a parlare, facendole morire le parole in gola e spalancare la bocca per lo stupore.

-Mi dispiace. Sono stata inopportuna.

Annie e Brady sgranarono gli occhi, assumendo la stessa, identica espressione basita: da quando Elinor domandava scusa per il suo linguaggio tagliente? Per qualche istante si fissarono imbarazzati, attendendo con trepidazione che uno dei tre trovasse il coraggio necessario per rompere quel silenzio insopportabile calato fra di loro. Brady spostava nervosamente il peso da una gamba all’altra, grattandosi la guancia e facendo ribalzare lo sguardo dall’una all’altra donna, tentando di indovinare quale sarebbe stata la loro prossima mossa e, in caso di emergenza, prevenire gli eventuali danni. Dall’esterno, pensava con crescente ansia, ci si sarebbe aspettati che Elinor tentasse di abbracciare la figlia, dimostrando al mondo di essere una persona capace di provare affetto incondizionato o, quantomeno, una madre con un cuore nella parte sinistra del petto, sebbene nascosto sotto una scorza di freddezza e risentimento. La signora Cooper, o meglio, VanCamp, tuttavia non era né normale, né tantomeno sapeva cosa volesse dire comportarsi da madre, visto che non aveva esitato nemmeno un secondo a svestire i panni del genitore responsabile per abbandonare la sua famiglia su due piedi, perseguendo i suoi sogni d’amore –e di gloria- avrebbe aggiunto Annie. Perciò, come da copione, non fu capace di lasciarsi andare in un gesto tenero o spontaneo, ma si rivolse alla figlia nell’unico modo di cui, da impeccabile donna dell’alta società più avvezza agli eventi mondani che ai momenti di intimità domestica, era capace: -Venerdì sera io e la zia organizziamo una cena a casa, mi piacerebbe se partecipassi. Ci saranno anche Sam ed Abby.

Sam. Era così piccola ed inconsapevole quando sua madre se n’era andata che non era in grado di portare rancore, dal momento che nemmeno ricordava come fosse la sua vita quando ancora i loro genitori erano sposati e gestivano insieme il Brass Key. Quando la donna era riapparsa nella loro vita, pretendendo di tornare ad occupare quel ruolo che non le spettava più nemmeno di diritto, la piccola, desiderosa di avere anche lei una mamma che la crescesse, l’aveva accolta senza riserva alcuna nella sua vita, accettando di buon grado anche il suo modo affettato di dimostrarle il suo amore. Abby per parte sua era sempre stata così buona e saggia che la parola rancore non figurava nel suo vocabolario; sin da piccola si era sempre dimostrata incapace di restare arrabbiata per un lasso di tempo maggiore di qualche ora e, anche con la madre, non era stata in grado di mantenersi distante quando questa aveva tentato di riallacciare i rapporti perduti. Così, delle sorelle Morgan, l’unica si era categoricamente rifiutata di recuperare gli anni andati e dimenticare così i torti da lei commessi in passato, era stata proprio Annie, fermamente convinta che ogni tentativo di approccio da parte sua sarebbe stato dettato da mere ragioni opportunistiche. E non si sbagliava.

-Jamie?- domandò sollevando il mento, certa che il fratello non l’avrebbe tradita.

-Ci sarà anche lui.

Annie si sentì messa con le spalle al muro: come poteva rifiutarsi, quando anche Jamie, saldo portabandiera della crociata in difesa del loro papà, si era mostrato aperto alla possibilità di un dialogo di pace? Continuò a mordicchiarsi il labbro esitante, alla disperata ricerca di una scusa per declinare l’invito. Si voltò verso Brady con sguardo supplichevole, ma ebbe l’impressione che anche lui la guardasse con espressione di rimprovero.

-Ci sarà anche… quello?- domandò con tono scocciato, roteando gli occhi ed incrociando le braccia al petto.

-Quello si chiama Richard, Annie, ed è mio marito da dieci anni. Perché continui a fare finta di ignorarlo?

Annie chinò il capo. Era consapevole che, da persona matura quale sua madre forse non era, sarebbe toccato a lei seppellire l’ascia di guerra, ma il pungente senso di colpa nei confronti del padre le impediva di lasciarsi andare. Sapeva che lui non le avrebbe mai impedito di riavvicinarsi ad Elinor e che l’avrebbe anzi incoraggiata e sostenuta in un momento così delicato, eppure continuava a metterla a disagio l’idea che, concedendosi a lei, l’avrebbe inevitabilmente tagliato fuori da una parte della sua vita. Di tutti e quattro i figli Morgan, nonostante fosse quella che si era allontanata, lei rimaneva indubbiamente la più attaccata al padre e la paura di ferirlo o deluderlo si era sempre mantenuta così salda in lei, da spingerla a non cercare la madre, mostrandole negli anni solo un rancore mai sopito ed una rabbia incondizionata.

-Se non lo vuoi fare per me, almeno fallo per Nicole, la cena è stata organizzata per presentare David alla famiglia.

-E va bene,- Annie annuì infine impercettibilmente, osservandola salutare mostrando un sorriso sollevato a lei e Brady ed allontanarsi poi con passo svelto per il risveglio muscolare mattutino. Si voltò verso l’amico che, ancora impassibile, fissava le spalle di Elinor muoversi armonicamente con il corpo ancora perfetto, degno di invidia da parte della stragrande maggioranza delle ventenni.

-Mi accompagni?- gli domandò senza pensarci, arpionandosi al suo braccio.

Brady si voltò di scatto, fissandola come se gli avesse domandato una qualche follia, come girare in piazza nudo, con il solo stendardo dei New York Knicks a coprirgli le parti intime.

-Annie, io non credo che sia il caso…- cominciò imbarazzato.

La ragazza annuì a malincuore, ma comprensiva; forse presentarsi ad una cena di famiglia con il migliore amico d’infanzia, con cui da poco aveva riallacciato uno straccio di rapporto, neo sposo di un’altra donna non era il modo migliore per convincere sua madre che aveva a che fare con un’adulta matura e responsabile.

Gli sorrise maliziosa, cambiando improvvisamente discorso.

-Ora si pone un grosso problema…

-Che sarebbe?- gli domandò lui, preoccupato per la folle idea che si era fatta spazio nella sua testolina castana.

-Tutto questo chiacchiericcio mi ha messo fame…

-Non l’avrei mai detto… e dunque?- sospirò lui, sempre più preoccupato.

-E dunque c’è un problema logistico,- rispose Annie, muovendo qualche passo all’indietro. -Non ho soldi nel portafoglio e nessuna voglia di passare a prelevare. Quindi ti toccherà faticare il doppio per arrivare per primo al Pheseant…un, due, tre, muoviti lumaca!

Cominciò a correre, voltandosi di tanto in tanto quel che bastava per vederlo scuotere la testa, rassegnato, ma con un sorriso spensierato dipinto in volto e gli occhi finalmente sereni, a testimonianza del fatto che, anche per loro, era arrivato il momento di seppellire l’ascia di guerra e lasciarsi trasportare dal corso degli eventi. Di quello che sarebbe successo l’indomani non era il caso di preoccuparsi: tutto andava bene e, per il momento, tanto valeva godersi quell’inaspettata ventata di pace e tranquillità.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Nicole sentiva le forze venire lentamente meno e poteva avvertire l’estrema fatica di tenere le palpebre aperte, mentre sbocconcellava distrattamente uno dei miracolosi biscotti al cioccolato per cui la signora Anderson era famosa in tutta la città. Stava appollaiata su uno degli alti sgabelli di legno posizionati di fronte al bancone, con la testa poggiata pesantemente sulla mano destra ed i capelli scomposti che le coprivano parzialmente il viso, abbassando a rallentatore la sinistra per intingere il dolcetto nella tazza di bollente liquido che Scott le aveva messo in mano prima che lei avesse tempo di protestare sulla scarsa digeribilità del latte caldo abbinato alla caffeina.

Lui, da parte sua, stava accasciato con la schiena contro al frigorifero, fissandola con gli occhi socchiusi ed il capo poggiato contro la fredda superficie di acciaio, asciugando meccanicamente i bicchieri fumanti appena usciti dalla lavapiatti con tutta l’aria di chi sta pensando a tutt’altro che alle proprie faccende.

Chiunque avesse fatto il suo ingresso in quel momenti al Pheseant, dopo una fugace occhiata, non avrebbe esitato a trarre la conclusione che i due stessero disperatamente -e inutilmente- tentando di rimanere svegli dopo una notte passata a fare tutt’altro che riposare. E non avrebbero sbagliato se non fosse stato che quell’“altro” aveva previsto solamente un’abbuffata, cinque birre ghiacciate che avevano alimentato un lungo diverbio circa la netta superiorità del fish and chips di Scott, paragonato a quello dell’Houndstooth Pub, sulla 8th Avenue, al quale Nicole sosteneva di essersi avvicinata solo un paio di volte con troppa veemenza da risultare credibile. Peccato anche che l’apice del pathos fosse stato raggiunto nel momento in cui lei, vinti finalmente i propri integerrimi principi, aveva rubato lesta la patatina più croccante dal piatto da cui lui stava attingendo con voracità. Eppure, ad occhio ignaro del reale svolgimento dei fatti, tutto suggeriva il qui pro quo, specialmente a giudicare dallo sguardo incredulo che si scambiarono Annie e Brady non appena fecero ingresso, trafelati, sudati e stremati dalla corsa al Pheseant, lasciandosi crollare sul divanetto di velluto rosso accanto alla vetrina. Nessuno sforzo fisico avrebbe impedito loro di notare con incredulo stupore le espressioni assonnate e peste dei due mattinieri presenti, il ciuffo ancora più spettinato del solito di Scott ed i suoi occhi trasognati che fissavano Nicole dietro le lenti degli occhiali indossati quella mattina, che si erano rivelati provvidenziali quando i suoi bulbi, arrossati e affaticati dalla veglia notturna, si erano categoricamente rifiutati di sottoporsi alla tortura quotidiana delle lenti a contatto.

-Nicky?- domandò Annie con tono inquisitore, osservando incredula il biscotto pieno di burro e pezzi di cioccolata che sua cugina aveva appena intinto nel caffè, senza sapere cosa la sconvolgeva di più fra l’enorme quantità di grassi saturi che stava divorando imperturbabile o il suo abbigliamento bizzarro. Sembrava quasi che la ragazza si fosse dimenticata di vestirsi e fosse scesa in strada con il pigiama di David: peccato che le probabilità di trovare un paio di pantaloncini della squadra di basket di Boston nell’armadio di un pluripaparazzato fedele dei Knicks, assiduo frequentatore del parterre del Madison Square Garden, fossero ancora più basse di quelle che Nicole si scordasse di sostare quaranta minuti dinnanzi allo specchio di casa prima di uscire il mattino.

-Nicky!- Ripeté ancora, quando un pezzo di pasta troppo inzuppato crollò nel liquido bollente, schizzandole la faccia e la… era una maglia a righe verdi e marroni tipicamente maschile quella che indossava sua cugina?

Come se tutto ciò non fosse bastato a destare i sospetti dei presenti, alla sua esclamazione, Scott, che li aveva ignorati continuando distrattamente ad asciugare un bicchiere ormai consumato a furia di strofinarlo, sussultò talmente forte che il vetro gli scivolò fra le mani, cadendo fragorosamente a terra.

-Guarda che disastro!- esclamò Nicole sollevandosi con incredibile velocità per la condizione psicofisica che aveva mostrato fino a quel momento, strofinandosi con foga il viso macchiato di caffelatte. -Sarà meglio che vada…

-Ma siamo appena arrivati, prendi un caffè con noi,- protestò Annie.

-Davvero io… devo andare. Tanto ci vediamo nel pomeriggio, no? Brady… Anderson…

Nicole si voltò appena a guardare Scott, per paura di incrociare il suo sguardo. Si allontanò in fretta, silenziosa sui piedi ancora scalzi; se non fosse stato per il fastidioso campanello che Scott si ostinava a lasciare appeso sulla porta d’entrata, nessuno si sarebbe nemmeno accorto del suo elegante defilarsi.

-Scott?

Brady, che aveva seguito con gli occhi socchiusi la ragazza fino a che non si era chiusa alle spalle la porta d’entrata, si voltò di scatto verso l’amico, intento a raccogliere i frammenti sparsi sul pavimento. Stava spazzando la ormai linda superficie delle piastrelle in grès, ma non aveva intenzione di smettere, né di alzarsi esibendo un’espressione impassibile; ammesso anche che vi fosse riuscito, niente avrebbe potuto nascondere le macchie rossastre che si erano espanse sul suo viso sbarbato.

-Mmmm…- si limitò a mugugnare con tono vago, fingendosi ancora occupato.

-Devi dirci qualcosa?- gli domandò Brady affacciandosi dal bancone e piantando ostinatamente il suo sguardo sulla sua nuca, attendendolo al varco, nel momento in cui si sarebbe deciso a sollevare la testa.

-Io?- esclamò con un tono di voce insolitamente acuto, sorprendendosi di trovare il viso di Brady a così poca distanza dal suo.

-Quindi se ti chiedo perché Nicole indossava una maglia a righe marroni e verdi incredibilmente somigliante alla tua, tu mi diresti che è una pura coincidenza, vero?- continuò a domandargli, ignorando deliberatamente la sua colpevole domanda.

-Ovviamente. Esattamente come altri milioni di persone su questo mondo, visto che la vedono da H&M a soli 4 dollari e 99 cents,- rispose laconico, continuando a spazzare un pavimento ormai tirato a lucido.

-Appunto!- incalzò Annie. Scott la guardò con espressione vacua, domandandosi cosa avesse detto di così sbagliato da fare sì che i suoi amici si scambiassero uno sguardo soddisfatto, incrociando in maniera inquietantemente identica le braccia al petto.

-Scott Daniel Anderson,- lo rimproverò con teatrale lentezza la ragazza, -devo ricordarti che stiamo parlando di Nicole Cooper? Credi di poterci dare da bere che Miss Vogue possa andarsene in giro con una maglietta da cinque dollari comprata in un qualunque punto vendita di una delle catene più economiche e dozzinali al mondo?

Scott deglutì lentamente, sentendosi messo con le spalle al muro: era ben consapevole di non aver fatto nulla di male, eppure si ostinava a voler mantenere segreto quel piccolo episodio notturno con Nicole. Era come se si fosse costruito una fantasia tutta sua ed avesse paura che rivelarla a terzi avrebbe soltanto contribuito a sminuire l’importanza che avevano acquistato ai suoi occhi quel paio di ore, e a ridurle a ciò che realmente erano: null’altro che una pura concatenazione di sfortunati eventi. E poi lei gli aveva fatto promettere di non dirlo a nessuno e per nessuna ragione al mondo avrebbe tradito la sua fiducia.

Per cui, fingendo un’espressione impassibile ed un tono imperturbabile, azzardò timidamente, alzando le spalle.

-Magari era rimasta al verde a furia di mangiare sushi in uno di quei ristoranti da Sex and the City in cui paghi anche la carta igienica della toilette?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Un caffè e due muffin ai mirtilli dopo, Annie usciva dal Pheseant leggermente stordita dal chiacchiericcio di Scott che, dopo l’uscita di scena di sua cugina sembrava aver riacquistato l’abituale uso della parola. Si addentrò lentamente nelle stradine del centro brulicanti dei turisti ormai completamente svegli che si recavano in spiaggia, o semplicemente gironzolavano distratti, senza una particolare meta. Si sorprese ancora una volta a fissare stupita le porte, i davanzali ricoperti di fiori e le vetrine dei negozi, stentando a credere di trovarsi nuovamente a casa, a compiere quei piccoli riti quotidiani che per anni avevano scandito le sue giornate a Province Town. Erano quasi le undici e doveva sbrigarsi se voleva trovare ancora del pane da portare a casa per il pranzo. Se non fosse riuscita a mettere le mani sulle famose focaccine al formaggio di Jo, suo padre non avrebbe esitato a lasciarla a digiuno, mentre l’intera famiglia si godeva in giardino la famosissima salsiccia alla Kenneth: semplici pezzi di carne cotti sulla brace. Niente di eclatante o difficile da preparare, ma nessuno osava contraddire il Signor Morgan facendogli notare che quella ricetta non aveva nulla di speciale, a meno di non voler passare i peggiori cinque minuti della giornata.

Camminava sovrappensiero, osservando un gruppetto di bambini con le loro biciclette riunitisi a confabulare sul ciglio della strada, quando una voce alle sue spalle la fece sussultare.

-Hey!

Vi sono giornate in cui, inaspettatamente, le cose cominciano a prendere la giusta piega: passeggiare tranquillamente senza meta, con le mani in tasca regala piaceri incredibili e la sola compagnia di sé stessi diviene inspiegabilmente gradevole proprio perché ci si sente in pace con il mondo. A volte questo piacere continua immutato per tutta la giornata e si va a dormire con una sensazione di appagamento che fa chiudere gli occhi serenamente; a volte, invece, tale inaspettata serie di fortunati eventi si interrompe bruscamente, facendoti ripiombare nel baratro del cattivo umore e della mal disposizione. Questo fu il caso per Annie, che voltatasi di scatto con un’aria spensierata dipinta in volto e le labbra arricciate per la canzone che stava fischiettando fra sé e sé, si adombrò di colpo quando riconobbe che colui che aveva attirato la sua attenzione era in realtà l’ultima persona che avrebbe desiderato incontrare in quel momento di insolita serenità: Landon Campbell.

-Ah, sei tu,- gli rispose voltandosi e riprendendo a camminare, sperando che cogliesse il messaggio di non benvenuto e la lasciasse proseguire in pace.

-Ti aspettavi qualcun altro?- domandò allusivo, raggiungendola con due falcate e cominciando a passeggiarle accanto, con le mani affondate nelle ampie tasche dei pantaloni blu rivoltati sotto il ginocchio.

-No.

Annie continuò a marciare svelta, puntando dritta al fornaio. Se voleva starle dietro che facesse pure, ma se le avesse fatto perdere le ultime focaccine allora avrebbe dovuto fare i conti non solo con la sua ira, ma anche con quella smossa dallo stomaco vuoto di suo padre. Ignaro del pericolo che stava incautamente correndo, Landon la superò con un passo svelto e le si piantò davanti, costringendola a fermarsi

-Sembri delusa.

-Dal non trovare chi cercavo o dal vedere te?- replicò lei annoiata, squadrandolo attentamente: con un paio di calzoncini indossati sotto ad una maglietta bianca e grigia a righe ed un paio di stringate da barca ai piedi appariva molto meno affettato della sera prima. Niente tagli di alta sartoria, fazzoletti che spuntavano dal taschino o capelli riavviati: così abbigliato le sembrava molto più giovane della sua età, o forse era solo l’effetto di quella tenuta sportiva sfoggiata con naturalezza sotto il cappellino da baseball. Piegò la testa in attesa di una sua risposta con un sorriso impertinente, osservandolo tergiversare e giocherellare nervosamente con le asticelle degli occhiali da sole.

-Entrambi direi,- rispose sinceramente Landon. -Posso offrirti un caffè per riprenderti dalla delusione?- le domandò infine dopo una lunga pausa, abbassando lo sguardo. Annie raddrizzò il capo stropicciando velocemente gli occhi incredula: avrebbe giurato che le guance del ragazzo di fossero tinte di un lieve rossore, a meno che la sua mente non le giocasse un brutto scherzo.

-Ne ho già bevuti due da quando mi sono alzata,- rispose aspettando con curiosità che lui alzasse il mento e la guardasse. Quando Landon lo fece, tuttavia, non vi era alcuna traccia di colore nel suo viso, mentre al suo posto un’espressione irritante, molto simile a quelle che le aveva rivolto la sera precedente, gli si era stampata in volto in seguito alla finta indifferenza di Annie al suo invito.

-Non avevo dubbi.

Il suo rifiuto non sembrò turbarlo affatto, dal momento che, ammiccando in direzione della pasticceria davanti alla quale si erano fermati le domandò, prima che lei potesse muovere un passo per scivolare via.

-Nemmeno un muffin?

Annie scosse la testa, distogliendo lo sguardo: -Sarebbe il terzo.

-Mi domando come mai, anche su questo, io non avessi alcun dubbio.

Lei alzò gli occhi al cielo, soppesando fra sé e sé la possibilità di stordirlo con il giornale che reggeva sotto braccio.

-Che c' é? Mi pare chiaro appetito non ti manchi,- continuò scrollando le spalle per giustificarsi. -Dove lo metti tutto quello che mangi?

Forse un giornale era una pessima idea: tre riviste, di quelle belle grosse, avrebbero fatto al caso suo.

Scrollò le spalle irritata: non sopportava l’idea di indugiare un minuto oltre a parlare con una persona che non mostrava il minimo di riserbo o imbarazzo nell’approcciarsi a lei: per tutta la vita aveva schivato con notevole abilità tutti quegli uomini per cui le sue amiche perdevano facilmente la testa che sembravano non essere capaci di avvicinarsi ad una donna se non comportandosi da perfetti stronzi, o perfetti imbecilli, per come la vedeva lei.

-Non sono bulimica, se é questo che vuoi insinuare!

Mosse rapida un passo sulla sinistra e lo schivò, ma lui fu più svelto e le afferrò una mano, bloccando i suoi passi affrettati.

-Rilassati, é evidente che non lo sei. Il mio voleva essere un complimento!

-E dimmi, questo squallido metodo di conquista di solito ha successo?- gli domandò Annie piccata, innervosita dalla stretta con cui lui la teneva ancora ferma, impedendole di sgusciare via.
-Ma non ti si può dire niente?- protestò lui aprendosi in una risata sincera. -Le donne di solito apprezzano quando si dice loro che sono magre!

A quella affermazione Annie si voltò nuovamente per studiarlo con attenzione. Le piaceva osservare il modo di agire delle persone e si stupiva ogni volta di notare come, al momento dell' approccio con l' altro sesso, questo si riducesse a due atteggiamenti: tirarsi indietro o proseguire come un treno. Il comportamento di Landon era inequivocabile, seppur anomalo. In certi momenti le sembrava di avere dinnanzi un personaggio costruito nel minimo dettaglio: affabile, affascinante, irritante, un po’ strafottente e presuntuoso. Il più piccolo dei Campbell di certo non avrebbe sfigurato nel cast di un telefilm come Gossip Girl. Ora che però le stava dinnanzi, con l’aria colpevole di chi é consapevole di aver fatto un irrimediabile sbaglio e se ne rammarica, stretto nella sua maglietta con le maniche distrattamente arrotolate e le mani affondate nelle tasche, non era più certa del suo inequivocabile giudizio.

-Senti io ora devo andare...- gli rispose confusa.

-Posso accompagnarti?- continuò imperterrito lui, con un’espressione angelica dipinta in volto, come se il piccolo diverbio di qualche minuto prima non fosse mai avvenuto.

-Tu non ti dai mai per vinto?- gli rispose Annie arrendendosi alla sua insistenza. O forse alla sua espressione ruffiana, non sapeva decidersi.

-No.
La ragazza alzò nuovamente gli occhi al cielo, tentando di mascherare il guizzo divertito che le aveva percorso gli occhi.

-E va bene. Devo andare a comprare il pane per il pranzo, però,- acconsentì infine.

-Figuriamoci se non c'entrava il cibo..

Fu allora che Annie si lasciò andare in una risata spontanea, senza più nascondere il suo divertimento: riconosceva che ci fosse qualcosa di estremamente piacevole in quel ragazzo piombato inaspettatamente -e con particolare insistenza- nella sua vita e cominciava a maturare la certezza che il vero Landon Campbell fosse ben lungi dall’impressione che si era fatta di lui la sera precedente, anche se qualcosa nel suo viso pulito e nei suoi tratti delicati perpetuava la sua irritazione. Forse era il sorriso lievemente strafottente, o la pelle liscia e tesa ammorbidita da chissà quale costosissimo dopobarba, o era semplicemente il fatto che non riusciva a smettere di lanciargli delle occhiate, sebbene facesse di tutto per non dargli l’impressione che i suoi occhi verdi l’attraessero incredibilmente.

-Dobbiamo sbrigarci però, io ci tengo alla mia testa. Glielo spieghi tu poi a mio padre il perché non gli ho portato a casa un sacco pieno delle sue focaccine al formaggio, né il pane per la colazione dei clienti domattina?

-Clienti?

-Mio padre è il proprietario del Brass Key, il Bed and Breakfast in Bradford Street,– gli spiegò lei.

Landon annuì: -Vi ho pernottato un paio di giorni ad marzo, quando sono venuto a controllare come procedevano i lavori di ristrutturazione di casa nostra. È molto carino e tuo padre è gentilissimo. E ascolta ottima musica, se non ricordo male.

Annie lo ringraziò sorridendo, continuando a camminare al suo fianco con lo sguardo fisso davanti a sé. Lui di tanto in tanto le lanciava delle occhiate di sottecchi, per capire se il silenzio che era caduto fra loro era sintomo di semplice imbarazzo, timidezza da parte di lei o, peggio, disinteresse nei suoi confronti. Capiva che il fatto che David e Nicole stessero insieme fosse una base sufficiente per un primo approccio, ma non era certo una garanzia per un rapporto più approfondito: aveva l’impressione che Annie ancora lo vedesse come una versione leggermente meno seriosa di suo fratello e questo non giocava certo in suo favore. Se avesse voluto vederla ancora avrebbe dovuto trovare qualcosa che l’aiutasse a vincere l’imbarazzo e le riserve della ragazza nei suoi confronti.

-Allora, starai in città per le vacanze estive?- le domandò sperando di potere iniziare un discorso che non cadesse nel silenzio più imbarazzante dopo pochi secondi.

-Sì, ripartirò a settembre, o forse più in là, chi può dirlo. Era da parecchio tempo che nessuna ragione mi sembrava sufficientemente valida per fare ritorno, con tuo fratello in città, Nicole sembra avere trovato tutto l’amore che non ha mai avuto per il posto dov’è nata e cresciuta.

Svoltò a destra tirandolo leggermente per la manica.

-Credo di avere accettato di stare qui con lei perché mi si era atrofizzato l’orecchio a furia di sentirla parlare.

Landon scoppiò a ridere, visualizzando Nicole e la sua parlata argentina, lasciandosi condurre attraverso le stradine del centro di Province Town.

-E tu?- gli domandò lei abbozzando un sorriso.

-Anch’io pianterò le tende a Province Town fino a fine estate, facendo la spola fra qui e New York. Ho cominciato la specializzazione e non posso allontanarmi troppo dalla città, quindi niente viaggi in posti esotici quest’anno. Certo, Cape Cod non è comoda come gli Hamptons, ma i miei sembrano fermamente intenzionati a fare risplendere casa nostra prima di metterla in vendita ed hanno imposto che passassimo tutti le vacanze qui. Anch’io credo di avere accettato pur di non perdere un orecchio che si stava accartocciando per la disperazione di sentire mia mamma lamentarsi perché non le do mai ascolto.

-Non vedo perché avresti dovuto preferire gli Hamptons e tutti gli eventi mondani dell’alta società newyorkese in vacanza a questa ridente località marittima,- rispose lei assumendo un tono serio, fingendosi offesa.

-Non avrei incontrato te se fossi andato agli Hamptons,- esordì Landon piantandosi le mani in tasca e voltandosi verso Annie per studiare la sua reazione.

Reazione che, a quanto pareva, non era quella che si sarebbe augurata la ragazza, dal momento che, dopo avere spalancato gli occhi per lo stupore, li abbassò veloce, arrossendo violentemente. Avrebbe voluto replicare con qualche battuta tagliente, ma si scoprì così sorpresa dal suo stesso comportamento, che non riuscì a trovare una risposta adeguata.

-Specializzando…- iniziò sperando di sviare il discorso.

-Chirurgia pediatrica,- rispose lui prontamente.

-Oh.

Rimase piacevolmente sorpresa: era così presa nel formulare giudizi affrettati sul ragazzo che nemmeno aveva preso in considerazione l’idea che svolgesse una professione diversa da quella di suo fratello. Non avrebbe saputo dire perché, in fondo non era un peccato capitale lavorare a Wall Street, ma l’idea di saperlo a contatto tutto il giorno con dei bambini gli faceva inaspettatamente acquistare moltissimi punti nella scala di gradimento.

-Come Alex Karev,- aggiunse sogghignando, preparandosi a spiegare all’ennesimo uomo la cui parola Grey’s Anatomy provocava una nausea acuta ed improvvisa, chi fosse il personaggio appena citato.

-Almeno non hai detto come Addison Montgomery,- obiettò lui, lasciandola ulteriormente sorpresa.

-Ti prego dimmi che non segui Grey’s Anatomy…

-Ma ti pare che guardi quella roba? È solo che me lo sono sentito dire così tante volte da voi donne che ormai li conosco come se fossero i personaggi di Nip and Tuck!

-Andiamo bene…

Al sentire nominare quella serie televisiva Annie fece una faccia così seria che Landon non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

-È una sorta di deformazione professionale, temo,- le rispose alzando le spalle, fissando come ipnotizzato il delicato profilo della ragazza, così perfetto nella sua naturalezza da sembrare disegnato da una mano particolarmente abile. La bellezza di Annie non era di quelle esorbitanti, che catturano l’attenzione al solo passaggio: piccola e magrolina, specialmente in tenuta da jogging, con il cappuccio della felpa sollevato sulla testa, poteva benissimo passare inosservata, o tutt’al più essere scambiata per una ragazzina sulla buona strada per diventare una bellissima donna eppure, si diceva Landon, il suo viso era forse il più dolce ed armonioso su cui avesse mai posato gli occhi; il naso piccolo ed appuntito, i grandi occhi azzurri e il sorriso furbo e spontaneo che le di dipingeva ogni qual volta qualcosa la divertisse l’avevano come rapito e fu solo con enorme sforzo che riuscì a distogliere lo sguardo un attimo prima che lei si voltasse e notasse la sua espressione imbambolata. Fu con estremo sollievo che Landon notò che non sembrava, perlomeno in quel momento, intenta a studiarlo quanto lo era lui: qualcosa dall’altra parte della strada aveva catturato la sua attenzione.

La panetteria di Joe e di Joanna –Annie doveva ancora spiegarsi il perché i genitori fossero stati così crudeli da scegliere quell’abbinamenti di nomi per i loro due figli- era un luogo incantato nascosto all’interno di una piccola corte rigogliosa e piena di fiori dai colori sgargianti. Chi non conosceva la sua ubicazione non avrebbe potuto nemmeno trovarla, se non fosse stato per la fragranza di pane e dolciumi che sprigionava ad ogni ora del giorno dal suo interno. Annie non aveva mai assaggiato nulla di più buono in vita sua e non perdeva occasione per recarvisi e gustarsi una focaccina mentre i proprietari la stordivano con le loro chiacchiere e le loro gentilezze. Giunti dinnanzi all’entrata Landon sembrò non accorgersi di essere giunto alla meta ed Annie dovette fermarlo tirandolo nuovamente per una manica e trascinandolo con poca grazia dentro al cortilino, dove Joanna in persona stava annaffiando i suoi preziosi gerani rosa acceso.

Quando si accorse di lei le corse incontro, stritolandola fra le braccia ben tornite con caloroso trasporto.

-Fatti abbracciare, fagiolino che non sei altro! Vedo che il tempo passa, ma tu rimani sempre la stessa piccina di un tempo!

Poi, accorgendosi di lui, le domandò incuriosita: -E questo affascinante biondino è il tuo fidanzato?

Annie arrossì imbarazzata, sollevando le mani: -No, lui é…

-Peccato, è molto sexy,- le rispose senza imbarazzo alcuno la donna. Questa volta fu Landon ad assumere un acceso colorito violaceo, fissandosi ostinatamente la punta delle scarpe.

-Se non fosse troppo giovane per me, non mi farei alcun problema a soffiartelo sotto il naso Annie, io ci farei un pensierino,- le sussurrò poi a mezza voce, avvicinandosi al ragazzo e strizzandogli una guancia con fare confidenziale.

-Forza bel biondino, vieni dentro ad assaggiare le nostre prelibatezze!

Gli afferrò un braccio, trascinandolo dentro e piazzandogli in mano una delle focaccine appena sfornate che teneva in un cesto sul bancone. Landon si voltò verso Annie, trovandola assorta ad osservarlo mordicchiandosi il labbro inferiore. Le fece l’occhiolino, facendola sussultare e distogliere velocemente lo sguardo.

-Da dove hai detto che vieni?

-Non l’ho detto: New York.

Joanna riuscì finalmente a conquistare l’ attenzione del ragazzo monopolizzata da Annie, arduo compito in cui persino la prelibatezza che reggeva in mano aveva fallito.

-E dimmi, lo fanno del pane così buono da quelle parti?

Landon fece segno di no con la testa, mentre lei gli passava anche una pizzetta e una treccina di pane alle noci che, a detta sua, faceva risuscitare anche i morti. Poi, recuperato il sacchetto di pane nel quale la mattina presto aveva già preparato le forme riservate a Kenneth, si avvicinò ad Annie osservandola con sguardo complice. Questa fece per tirare fuori il portafoglio, ma la panettiera si rifiutò categoricamente di farla pagare, garantendole che si trattava di un regalo di benvenuto.

-Non dirlo a quell’ingordo di tuo padre però, altrimenti ci tocca chiudere baracca e burattini con tutte le focaccine che si mangia!

Annie le sorrise distrattamente senza rispondere, la sua attenzione catturata dalla mano destra di Landon che si allungava come a rallentatore, bloccando il suo portafoglio con il dito mignolo, l’unico rimasto libero dalle pagnotte di cui Joanna lo stava ricoprendo, per osservare meglio il biglietto visibile attraverso la plastica del taschino più esterno.

Lo chiuse di scatto, voltandosi per decifrare il suo sguardo assorto. Notò che sorrideva con un pizzico di malinconia negli occhi, tenendo il capo lievemente piegato verso la spalla, ma attese con pazienza di essere tornata in strada ed avere salutato e ringraziato a dovere Joanna prima di domandargli spiegazioni.

-Quel simbolo…- iniziò lui una volta usciti dal negozio, con la bocca e le mani nuovamente piene dei dolcetti che la panettiera aveva loro allungato prima che varcassero la porta del negozio.

-Combatants for peace, é un movimento…

-So cosa significa,- la interruppe lui fermandosi in palese attesa del suo racconto.

-Rivkah, una compagna dell’università, è stata chiamata per il servizio militare appena finiti i primi tre anni di studio. Ha fatto obiezione di coscienza e si è unita al movimento dove già militavano i due fratelli. Non è facile, ma ha il doppio passaporto inglese ed israeliano, quindi le cose sono più semplici per lei. Ho trascorso la scorsa estate a Gerusalemme, per scrivere un pezzo freelance sul loro operato, ma non escludo di tornare, per continuare il lavoro.

-Tu sei quell’Annie Morgan?

-Ti interessa la questione Israelopalestinese?

-Molto, dopo la laurea mi sono preso un anno sabbatico e l’ho trascorso ad Hebron, con Medici senza Frontiere.

-Notevole,- commentò Annie allungandogli l’ultimo pasticcino rimasto dall’abbuffata pantagruelica che avevano improvvisato lungo la strada.

-Notevole è stato il tuo fare luce su realtà di norma ignorate,- commentò lui facendolo sparire in pochi secondi e sfregandosi le mani per fare cadere le briciole. -Non finisci mai di stupirmi, signorina.

-È stato solo il mio modo di rendermi utile, non potendo fare l’eroe come te. I tuoi saranno stati fierissimi, immagino,- commentò pensando all’espressione trionfante di suo padre quando gli aveva comunicato via Skype che le avrebbero pubblicato il reportage da Israele.

-Dimentichi chi sono i miei genitori,- rispose lui con tono rassegnato. -Credo che mia mamma abbia domandato seriamente a papà di trovare un modo per diseredarmi quando ho comunicato loro la mia decisione. In ogni caso mi ha bloccato il fondo fiduciario per un po’ quando sono partito.

Annie ridacchiò comprendendo la difficile posizione nella quale doveva essersi trovato; nessuno meglio di lei avrebbe saputo cosa significava infrangere qualunque aspettativa dei propri genitori, o di uno dei due, nel caso specifico.

-Avresti dovuto vederla, non ha mangiato per giorni e ha fatto credere alle sue amiche che la mia partenza le avesse causato un esaurimento nervoso…

-E invece?

-È esaurita di suo,- commentò serio, mentre Annie veniva colta da un eccesso di risate che ben presto finirono per coinvolgerlo.

Fra le chiacchiere e i dolcetti, nemmeno si erano accorti di essere ormai giunti davanti al Brass Key, dal cui cortile posteriore si sprigionava odore di legna bruciata e si intravedeva un leggero alone di fumo, segno che il pranzo stava ormai per essere servito. Annie tergiversava; continuava a spostare il peso da un piede all’altro, con i pugni infilati nelle tasche della felpa grigia che indossava, tormentandosi nervosamente con gli incisivi una pellicina sollevatasi dal labbro inferiore. L’ora passata con Landon era trascorsa in quelli che le sembravano pochi minuti e, se all’inizio non aveva desiderato altro che riuscire a seminarlo per le stradine della città, ora provava un pizzico di delusione all’idea di doverlo salutare.

-Casa mia è proprio dall’altra parte della strada e si è fatto tardi ormai, devo andare,- esordì con tono poco convinto, indicando l’elegante costruzione alle sue spalle.

Landon annuì comprensivo, stringendosi nella polo grigia. Sembrava indeciso sul da farsi, mentre si dondolava incerto sulle gambe leggermente divaricate, rovistando nelle tasche alla disperata ricerca di un accendino per gustarsi la sigaretta che da lungo si era posizionato dietro l’orecchio.

-Vorrei rivederti.

Annie sorrise, incapace di mascherare il piacere che quell’affermazione le aveva provocato. Se un’ora prima le avessero detto che si sarebbe trovata dinnanzi a casa, completamente priva della voglia di entrarvi una volta liberatasi dell’irritante compagnia di Landon, avrebbe riso fino alle lacrime: ora invece si sorprendeva a desiderare che il tempo potesse prolungarsi, per potere godere finalmente della compagnia di una persona che portava una ventata di aria nuova in città. Non si sorprese più di tanto dunque quando, quasi senza pensarci, lo invitò a rimanere più a lungo.

-Vuoi… fermarti per pranzo? Da quando siamo nati il sabato è il giorno in cui cucina mio padre, quindi non ti aspettare altro che salsicce-alla-Kenneth.

-Che sarebbero?- domandò Landon preoccupato.

-Salsicce alla brace…molto alla brace.

Landon sembrò esitare un istante, sfoggiando un’espressione a metà fra il divertito ed il disgustato.

-Giuro che solo per te controllerò che non le bruci! Senza esitare e lasciargli il tempo di rifiutare gli afferrò una mano e si accinse ad attraversare la strada.

-Papà!- gridò varcando il cancellino di legno bianco.

-Tesoro, lo chef è all’opera, non disturbarlo!

Annie si affacciò nel retro del giardino dove suo padre Kenneth, con un ridicolo cappello da cuoco ed il grembiule con ricamato “Sono il papà migliore del mondo” che i figli gli avevano regalato quando ancora erano bambini, brandiva un forcone con la punta affumicata, muovendosi al ritmo delle note dei Rolling Stones e fingendo di tanto in tanto che l’arma contundente che sventolava fosse la sua chitarra.

-Papà! Abbiamo un ospite!- urlò nuovamente lei per sovrastare il suono della musica, nella speranza che il padre si ricomponesse quel tanto che bastava per presentarsi dignitosamente al suo ospite.

-Dimmi che è quella disgraziata di Nicole che non mi è ancora venuta a trovare da quando siete arrivate!- le domandò suo padre avvicinandosi a ritmo di musica, per poi afferrarla e coinvolgerla nella danza. -Grandi novità oggi, tesoro! Preparo la trota con le patate alla Kenneth!

-Oddio…- Annie impallidì, voltandosi preoccupata verso Landon. Fu solo allora che Kenneth si accorse che la figlia non era in compagnia di sua nipote, bensì di un ragazzo biondo che si teneva in disparte, mordicchiandosi le labbra nel tentativo di nascondere una risata. Puntò il forcone per terra, con pomposa teatralità, fissando il nuovo arrivato con aria incuriosita: il suo viso gli ricordava qualcosa, ma non avrebbe saputo affermare con certezza a quale episodio collegarlo.

-Papà, lui è Landon Campbell.

-Piacere Landon… ci conosciamo già noi due?

Il ragazzo annuì, tendendo educatamente la mano.

-Non si è presentato in qualità di padre di Annie, ovviamente, ma sì, abbiamo già avuto modo di conoscerci. Ho soggiornato un paio di notti da voi in marzo, quando venivo a controllare lo stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione di casa nostra. Il piacere è tutto mio comunque, Signor Morgan. Mi dispiace avere invaso il suo pranzo barbecue, ma Annie mi ha letteralmente trascinato dentro, senza lasciarmi alcuna possibilità di scelta.

Kenneth si girò verso la figlia, guardandola arrossire.

-Nessun problema, il tavolo è grande, la cucina è eccezionale,- sfoderò il petto orgoglioso,- e mi hanno portato una fornitura di pesce freschissimo stamane che potrebbe bastare per un intero reggimento. Appoggia la tua roba e vieni a vedere con i tuoi occhi!

-Grazie signore e bel… cappello,- Landon tentò di rimanere impassibile dinnanzi alla vista del Signor Morgan così agghindato, ma alla fine una risata ebbe la meglio su di lui. Kenneth si toccò la testa dapprima perplesso, poi sfoggiando un’espressione orgogliosa, lo sollevò con la mano, ammiccò in direzione della figlia e del suo biondo accompagnatore e si dileguò per andare a controllare lo stato della legna.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Seduta sul bancone ligneo della grande cucina del Brass Key al termine del pranzo, Annie traeva il bilancio parziale di quella surreale giornata. Dondolava lentamente i piedi incrociati e mordicchiava distrattamente un bicchiere di plastica nel tentativo di mascherare quel sorriso ebete che le si era stampato in viso quando aveva sollevato lo sguardo verso il giardino: seduto di fianco alla brace suo padre, con fare solenne, mostrava ad un Landon educatamente attento e partecipe i benefici che un barbecue poteva trarre dalla legna rispetto che a quella fasulla invenzione per uomini incapaci di accendere un vero fuoco che era la carbonella.

A giudicare dalla foga del discorso, il ragazzo sarebbe stato inchiodato alla sedia fino a data da destinarsi o, quantomeno, fino a che la distesa di assaggini di liquori e rosoli provenienti da diverse parti d’Europa che suo padre custodiva gelosamente per i clienti più affezionati non sarebbero stati vuoti; al terzo bicchiere di Crème de Noyeaux lo aveva osservato chiudere gli occhi, visibilmente colto da una crisi nera, ed aveva storto il naso quando, nel vano tentativo di destarsi dal torpore nel quale era crollato, aveva esibito sotto il naso di Kenneth, uno degli inglesi più patriottici degli Stati Uniti, il suo pacchetto di Malboro Gold.

Quest’ultimo infatti, come da copione, scuotendo il capo in segno di rassegnata disperazione, gli aveva letteralmente strappato la sigaretta di mano, sostituendola con una della sue preziosissime Lambert&Butler che Annie si era premurava di spedirgli direttamente da Londra, dal momento che l’“inutile tabaccaio yankee” –come lo definiva lui stesso- non commercializzava quel brand.

 

Orgogliosa difesa della superiorità della madre patria a parte, la ragazza aveva notato con piacere quanto il padre avesse preso subito in simpatia Landon, mettendolo a suo agio come se fosse uno degli amici che frequentavano abitualmente la loro casa. Tolto ovviamente il momento imbarazzante in cui il “medicastro di Newyork” aveva timidamente suggerito di sollevare la prima trota dalle braci non ancora perfettamente spente: Kenneth lo aveva redarguito rivendicando con forza la sua supremazia nel campo, assicurandogli che non vi era nessuno più esperto di lui in materia. Come tutti si aspettavano il trancio di pesce era finito bruciato, ma lui aveva orgogliosamente incolpato la folata di vento che aveva momentaneamente rianimato le fiammelle che ancora si sprigionavano dai tizzoni ardenti. Convinto poi di non essere notato aveva alzato la griglia con nonchalance, fingendo che fosse sempre stata posizionata sul terzo incastro, anziché sul secondo.

La presenza di Landon si era inoltre rivelata provvidenziale quando, colpito improvvisamente dagli effluvi che si sprigionavano dalla bottiglia di Chardonnay per errore finita sotto il suo naso, Jamie era corso in bagno a vuotare l’enorme quantità di alcol non ancora perfettamente smaltita della sera precedente. Le sue domande sull’andamento degli affari in quella stagione estiva avevano distratto Kenneth dal fatto che suo figlio era filato in casa come unto inseguito precipitosamente da Sam ed Annie, angustiate più per lo stato della toilette del piano terra che per la salute del fratello.

Assorta com’era nei suoi pensieri e preoccupata per le sorti del suo ospite, non si era nemmeno accorta che sua sorella era entrata canticchiando in cucina, sfoggiando con naturalezza ed eleganza la muta da surf come se si trattasse di un elegante abito da sera ed infilando la testa nel grande frigorifero alla ricerca di un frutto con cui addolcire l’abbondante pasto servito dal padre.

Sam non si stupì più di tanto, dunque, quando ignorò la sua prima domanda circa i suoi programmi nel pomeriggio e nemmeno la seconda, quando le chiese se Landon avesse per caso un fratello più piccolo da presentarle. -Tre cugine al prezzo di una,- le aveva urlato ridendo, ma la sua voce era stata assorbita dalle spesse pareti dell’elettrodomestico, nel quale ancora rovistava alla ricerca di una pesca.

-Ci sei già andata a letto?

La richiesta che aveva ingenuamente pronunciato, convinta non essere udita per una terza volta, purtroppo non passò in sordina. Annie, la cui attenzione venne finalmente distolta dalla conversazione che si stava svolgendo oltre la vetrata della cucina, la fissò scandalizzata per qualche secondo prima di affermare di averlo praticamente conosciuto solo quella mattina, escluso l’incontro scontro della sera precedente.

-Per la maggior parte delle mie amiche questo sarebbe un piccolo, insignificante dettaglio,- le rispose sinceramente Sam alzando le spalle.

-È rassicurante tutto ciò,- commentò ancora stupita Annie, pregando in cuor suo che la sportività delle ragazze della compagnia di sua sorella non le avesse ancora fatto venire un’improvvisa voglia di correre.

-Cos’è che non ti rassicura?

-Brady!- esclamò Sam, correndo incontro al nuovo venuto, entrato in cucina come al solito senza chiedere permesso. Il Brass Key era sempre stato casa sua esattamente come lo era il cottage dei Sanders per i figli di Kenneth Morgan, amico di vecchissima data di suo padre; nulla di strano dunque se il ragazzo, piombato improvvisamente nella stanza, aveva preso posto accanto ad Annie, recuperando al volo dalla cesta del pane una focaccina al formaggio miracolosamente sopravvissuta al lauto pranzetto che era stato appena consumato.

Con un inspiegabile, piccolo crampo allo stomaco, Annie osservò Sam che, con la stessa tenerezza riservatagli quando era bambina, gli stampava sulla guancia un bacio appiccicoso di succo di pesca.

-Si parlava di opportunità sprecate,- disse la ragazzina, indugiando qualche secondo a crogiolarsi nell’abbraccio di Brady.

-Che opportunità?- domandò lui incuriosito.

-Quella di mollare tutto e scappare ad Honolulu con me, per esempio,- gli suggerì lei sfregando la guancia sul suo torace e fissandolo con finto sorriso angelico.

Brady rise scompigliandole i capelli e ammiccando in direzione di Annie: -E abbandonare tua sorella qui tutta sola alla mercé dei nostri genitori disperati per la nostra improvvisa partenza?

-Io gliel’ho sempre detto che ha commesso l’errore più grande della sua vita a non metterti un guinzaglio al collo appena ti sono passati i brufoli e la voce fessa da tredicenne,- continuò seria Sam, ignara di quanto fosse dolente il tasto che era andata a toccare: quando Annie viveva ancora a Province Town era troppo piccola per accorgersi che il rapporto fra i due andava ben oltre la semplice amicizia, per quanto profonda fosse e, quando un anno prima suo padre le aveva vietato di riferire a sua sorella dell’imminente matrimonio, si era fatta bastare la giustificazione secca che le aveva propinato alla sua richiesta di chiarimento: Brady vuole così.

Non era tuttavia così ingenua da non accorgersi dello sguardo di Annie, caduto immediatamente sulla mano sinistra che lui teneva ancora poggiata sul capo di sua sorella, dove la fede tolta per paura forse di perderla in barca, aveva lasciato un sottile segno chiaro sull’anulare. Non passò inosservato nemmeno l’atteggiamento anomalo di Brady che, per parte sua, cominciò a fissare insistentemente la piccola goccia di caffè che pendeva pericolosamente dalla beccuccio della macchinetta, come se fosse uno degli spettacoli più interessanti a cui avesse mai assistito.

Per distoglierli dunque dall’imbarazzante impiccio in cui li aveva incastrati, domandò loro se avevano voglia di scendere ad Herring Cove a surfare con lei: il vento aveva cominciato a tirare dal mare, le onde erano sufficientemente alte per potersi divertire e lei doveva comunque allenarsi per la competizione della settimana seguente. Brady accettò di buon grado, affermando che aveva proprio voglia di rilassarsi dopo una mattinata infernale con un gruppetto di viziati bambini di Chicago, che gli avevano fatto girare la testa con il loro chiacchiericcio e la loro confusione, mentre tentava di spiegargli la fondamentale differenza fra un nodo d’arresto ed uno di giunzione. Entrambi rimasero dunque in attesa di una risposta da parte di Annie, che si tergiversava torturandosi con le unghie il labbro inferiore.

-Io… magari vi raggiungo più tardi…- mormorò imbarazzata, rivolgendo un rapido sguardo oltre la vetrata, nel giardino.

-Dai, Annie! Si può sapere cos’hai da fare di così importante da rinunciare ad un pomeriggio al mare?- le domandò lui sfiorandole la spalla. Non ricevendo alcuna risposta da Annie, continuò imperterrito: -un tempo avresti fatto carte false per un vento traverso on-shore con cui divertirti per ore! Cos’è, gli anni di inattività ti hanno rammollito, per ca…

Tacque improvvisamente, voltandosi finalmente a guardare ciò che Annie fissava, visibilmente sulle spine. Come a rallentatore, stette ad osservare la figura di un ragazzo biondo con il capo chino, oscurata dal sole che batteva contro la vetrata, spingere la porta scorrevole fino ad aprirla quanto bastava per scivolare all’interno. Poté avvertire la fastidiosa sensazione delle parole morirgli in gola in sincronia con il suo sopraggiungere verso il punto dove era rimasto bloccato, con la bocca semi aperta, spingendo con forza le dita sulla nuca di Sam –e rimediandosi un calcio di protesta negli stichi-.

Fu solo allora che si rese conto della leggerezza e della fretta con cui, quella mattina, aveva rassicurato Annie stringendola a sé: le cose non potevano più essere le stesse di quando erano adolescenti, e questo era evidente, ma d’un tratto, mentre Landon lo salutava tendendogli il braccio, realizzò di non essere più così certo che sarebbero potute rivelarsi migliori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di una pazza delirante

 

Essere giunta alla conclusione di questi due capitoli mi sembra un miracolo: sono due mesi che ci lavoro (e non mi convincono ancora) e ora che sto per pubblicae grido al miracolo. C'erano alcune questioni che andavano affrontate e spiegazioni da dare, spero di averle rese al meglio. Me lo auguro perché le relazioni fra questo gruppetto di disagiati stanno diventando sempre più complicate via via che li si conosce in modo approfondito: spero che non mi bastoniate e che li apprezziate tutti un pochino per quello che sono. Dei disagiati, appunto.

 

Sono un pochino senza parole, un po' perché ho una fretta indiavolata, un pochino perché temo di aver blablablato così tanto da essere miracolosamente rimasta senza parole: con mio grandissimo stupore la somma della parte uno e della parte due del capitolo sono arrivate a cinquanta pagine di Adobe Garamond Pro 12. Ancora non ci credo di avervi tediato così a lungo, ma se siete arrivate fino a questo punto vuol dire che un pochino siete interessate, quindi vi ringrazio, come sempre.

Nell'ultimo capitolo ho ricevuto recensioni carinissime da nuove lettrici, o comunque lettrici che fino ad ora non avevano commentato: do a tutte un calorosissimo benvenuto e un abbraccio virtuale. Grazie ad Erica, i cui capelli sono diventati finalmente rossi e ricci per la disperazione nera nella quale é caduta correggendo questo capitolo e anche alla SidRevo che si é premurata giorno per giorno, a partire da un delirante viaggio in treno in ritorno da Bolzano, affinché mi muovessi a portare a termine questo delirio.

 

Comunicazioni di servizio

 

Nelle prossime settimane avrò un esame, mi cominceranno le lezioni e sarò via da Bologna *.* per un'occasione importantissima: la laurea della mia nonnina Emily Alexandre (fatele gli auguri!), quindi temo che faticherò a scrivere. Conto di portare a termine l' OS delirante su Scott e Nicole da piccoli, che per mia (e spero vostra) grande gioia, comincia a vedere la fine. Spero abbiate la pazienza di aspettare che le acque si calmino per il nuovo capitolo!

 

Ricordo a random il video trailer della storia, nel caso qualcuno se lo fosse perso, come avevo fatto io -____-'' . Lo so, son pessima, mi sono ricordata della sua esistenza solo quando, dopo l'acquisto di Scotty (il mio nuovo, fighissimo PC, il cui nome é PURAMENTE casuale), ho trasferito tutti i documenti vecchi.

 

Dovrei avere concluso, se mi sono dimenticata qualcosa........pace!

Per reclami, lamentele, pomodori e botte in testa, o semplicemente per due chiacchiere o ancora per avere un assaggio del mio profondo disagio esistenziale, mi trovate, come sempre, su Facebook, non fatevi problemi a contattarmi (o meglio, fateveli per la vostra salute, ma questa é un'altra storia).

Un abbraccio gigante

 

Lyra

 

 

 

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Capitolo 6
*** Back to the start ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A chi, dopo tutti questi mesi,

é ancora qui.

A chi, ogni giorno,

mi ha incoraggiato a continuare.

Alla Lu

che ama "Brian" e ne capisce la bellezza.

 

 

 

 

 

6.

 

 

Back to the start

 

 


canzone del capitolo





Come up to meet you,

tell you I'm sorry

You don't know how lovely you are

I had to find you, tell you I need you

Tell you I set you apart
Tell me your secrets and ask me your questions,

let's go back to the start

 

 

 

-Tesoro, potresti per favore fare un salto a comprare il latte per domani mattina? Ho fatto male i calcoli e temo non ve ne sia abbastanza per tutti i clienti ora che sono arrivati anche i Sorgen.

Annie chiuse con un gesto secco dell'indice la finestra di Facebook aperta sulla pagina di Landon Campbell, la quale segnalava che il suo proprietario non aveva più effettuato alcun accesso da una decina di giorni, quando ancora le loro strade erano ben lontane dall'incrociarsi. Non sapeva se gioire della sua assenza, giustificando il fatto che non l'aveva mai richiamata con gli impegni di lavoro che lo avevano costretto a fare ritorno a New York, oppure se arrabbiarsi con lui, maledicendolo per l'assenza totale di autocontrollo nella quale l'aveva fatta piombare con la sua partenza.

Non era così ingenua da illudersi che quell'invito a pranzo avesse significato qualcosa di particolare, ragion per cui non si era data più di tanto pena quando inizialmente Landon non l'aveva richiamata, né le aveva inviato un messaggio, tuttavia aveva cominciato a tenere sott'occhio il telefono e spostarsi tenendolo sempre in tasca, cosa che non faceva mai di norma.

Ringraziando il cielo di aver ereditato orgoglio e riservatezza da suo padre, la sera stessa del famoso barbecue nel giardino del Brass Key, si era trattenuta dall'accennare casualmente al fatto che non aveva avuto sue notizie direttamente a Nicole, mentre questa si vivisezionava le sopracciglia e si passava più e più volte il rimmel davanti allo specchio per essere certa di essere impeccabile persino prima di una semplicissima pizza a casa di Scott. Nonostante la curiosità la rodesse, non le aveva domandato nulla nemmeno lungo il tragitto dalla casa dei Cooper al piccolo cottage dell'amico, per paura che si riempisse quella testolina impeccabilmente acconciata di idee completamente sbagliate, che in realtà così errate poi non erano: non riusciva a smettere di chiedersi il perché, nonostante tutto fosse filato liscio quel sabato pomeriggio e si fossero divertiti parecchio, lui non le avesse mandato nemmeno un messaggio di saluto.

 

Nicole, per parte sua, nel corso della serata aveva osservato silenziosamente la cugina estraniarsi più e più volte dalla conversazione, non dando il minimo segno di insofferenza nemmeno al perpetuo battibeccare suo e di Scott, che di norma le faceva perdere il lume della ragione.

Due erano stati i chiari segnali del comportamento anomalo di Annie e furono colti da chiunque fosse al tavolo, Josh compreso che, irritato dall'indifferenza che sua zia gli mostrava, aveva cominciato a piangere disperato finché Scott non si era alzato e aveva cominciato a lanciarlo in aria, strappandogli finalmente risate, gorgoglii e sbavacciamenti di gioia.

 Il primo fu il fatto che, nonostante la presenza di Roger Federer in polo rossa della Nike in televisione, lei era rimasta seduta al tavolo e non accovacciata davanti allo schermo, redarguendo chiunque osasse alzare la voce, seriamente convinta che anche dall'altro capo del mondo i rumori avrebbero distratto il suo grande amore.

Il secondo fu il categorico rifiuto della seconda fetta della cheesecake alle fragole fatta da Abbey, dinnanzi alla quale Annie di norma perdeva qualunque tipo di dignità. Aveva sbocconcellato distrattamente la prima porzione, fingendosi interessatissima ai racconti sconsolati sulla completa incapacità della nuova assistente di Nicole, che si era macchiata della colpa di confondere la seta di gelso con quella tussah, ma quando poi la cugina l'aveva tirata in ballo, affermando che persino una come lei avrebbe saputo distinguerle, era saltata sulla sedia arrossendo imbarazzata al dovere ammettere di non stare ascoltando affatto.

 

Questo era quanto avvenuto la sera del famoso sabato in cui Landon si era fermato a pranzo al Bed and Breakfast dei Morgan.

 

Il giorno seguente Nicole, al colmo dell'esasperazione per il comportamento della cugina, le aveva confessato staccandole con forza il dito indice immolato come vittima sacrificale della sua ansia, che Landon aveva avuto un imprevisto sul lavoro, e aveva dovuto fare ritorno di grande fretta a New York, senza nemmeno trovare il tempo di passarla a salutare.

Al debole tentativo di Annie di darle a bere il fatto che non fosse per nulla interessata a quello che aveva fatto il ragazzo, lei aveva risposto con maggiore accuratezza di dettagli, spiegandole che lo avevano chiamato a causa della criticità delle condizioni di uno dei piccoli pazienti che seguiva e che era sicura che presto si sarebbe fatto vivo. Presto, nella sua testa, sottintendeva un paio di giorni, il tempo di tornare a casa, sistemarsi e sbrigliare le questioni più urgenti, senza immaginare che la cugina sarebbe stata ridotta a tal punto da pranzare con il suo stesso dito indice a partire dalla sera stessa della sua partenza.

Vedendo che nemmeno questo serviva a distrarla, Nicole le aveva confessato strizzando l'occhiolino che, prima di imbarcarsi di gran fretta per New York, il ragazzo si era premurato di avere il suo numero ben memorizzato nel cellulare: aveva sottolineato che premurato equivaleva a dire che glielo aveva voluto ripetere tre volte, prima di essere sicuro di averlo salvato correttamente.

Il cuore di Annie a quella notizia aveva fatto una capriola, ma lei si era cinicamente risposta che la ragione di quello spasmo fossero i tre caffé ingurgitati per l'ingordigia di assaggiare tutti gli aromi delle capsule Nespresso, recente investimento di suo padre per il Brass Key.

E questo era dunque quello che era successo a distanza di un giorno e un paio di ore dopo che Landon l'aveva salutata lasciandole un bacio sulla guancia sulla porta di casa sua.

Ne erano però passati altri cinque, ma del minore dei Campbell, a parte una richiesta di amicizia su Faceboook, non vi era stata alcuna traccia.

 

Annie staccò lo sguardo calamitato dallo schermo del suo cellulare, imponendosi un contegno. Nel corso dell'ultima settimana, far scorrere il dito per sbloccare la tastiera era divenuto ormai un piccolo gesto per stemperare il nervosismo, visto che il più delle volte era così immersa nei suoi pensieri che nemmeno controllava se vi erano realmente notizie.

A costringerla attaccata a quel dannato gingillo elettronico, oltre al mutismo di Landon, era stata la coincidenza di altri due fattori: il primo era sicuramente la sua incapacità di starsene con le mani in mano, nonché proverbiale iperattività, che l'avevano portata a non farsi bastare l'occupazione di cameriera, donna delle pulizie, cuoca, tuttofare del Brass Key, alla quale si era dedicata con fervente zelo, spingendola addirittura a mandare il suo curriculum in giro ai vari editoriali della zona per mettere a frutto i suoi studi. Fino ad allora, nonostante il direttore del Provincetown Banner fosse il loro vicino di casa e storico amico di suo padre, nessuna strada che non prevedesse servire i caffé gratuitamente ai dipendenti della testata le si era aperta; fosse stato per lei sarebbe corsa a farlo, era stato il Signor Morgan ad impedirglielo quando si era reso conto che quell'estate, con Annie in città, non avrebbe dovuto pagare qualche timida ragazzina in cerca di un lavoretto estivo per rovesciare il caffelatte mattutino sulle gambe di qualche malcapitato cliente. Per simili incidenti, infatti, bastava la goffaggine di sua figlia. Era dunque qualche giorno che si era messa ad attendere inutilmente che qualcuno la contattasse offrendole quel minimo salariale da sventolare sotto il naso di suo padre, per schivare l'ingrato compito che lui le aveva affibbiato senza troppe cerimonie.

Il secondo, ma non meno importante, era stato Brady, che, tranne due SOS lanciati nei momenti di crisi in cui le domandava a gran voce del caffé una volta sceso  a terra dopo estenuanti mattinate al largo con le orde di piccoli demoni della scuola di vela, non si era fatto mai sentire. Una volta, sentendolo particolarmente in difficoltà, gli aveva sostituito il liquido caldo con della vodka e lui, nel buttarla giù di un fiato aveva sorriso commentando:

 

-Efficace. Dovrei farlo più spesso,-  prima di schioccarle un bacio frettoloso sulla guancia e correre nuovamente verso il gruppo di quelli che ormai erano divenuti i piccoli demoni di Chicago.

Era stata a guardarlo allontanarsi e issarsi in spalla il più piccolo del gruppo, dando prova per l'ennesima volta di quell'innata capacità di fingere di essere calmo e avere tutto sotto controllo che possedeva sin da bambino: aveva solo dieci anni quando la signora Sanders era venuta a mancare ma lui, a testa alta, si era assunto la responsabilità di crescere le due sorelle ancora troppo piccole per potersi arrangiare, visto che il padre era costantemente diviso fra l'impiego da professore di educazione fisica e istruttore di vela, nonché gestore del club più rinomato di tutta la città. Anche allora Annie ricordava di averlo sempre visto sorridere, fingendo che nulla avesse mai turbato la sua innocenza e il suo quieto vivere, mostrando al mondo un'immagine di compostezza e di responsabilità che raramente aveva trovato negli adulti incontrati nel corso della sua vita.

Tranne quei rari e improvvisi slanci di complicità però, Brady si era mantenuto distante, distaccato e non l'aveva mai cercata per vederla in occasioni che violassero le misure di sicurezza che avevano inconsciamente pattuito: mai incontrarsi da soli per più di dieci minuti, mai rivangare il passato né, tantomeno, discutere di questioni che riguardassero, anche alla lontana, la sfera emozionale.

Dunque per coincidenza di fattori, congiunzione astrale o semplice concatenazione di sfortunati eventi, l'ultima settimana era stata per Annie all'insegna del nervosismo, dell'attesa estenuante e del costante tentativo di trovare qualcosa di abbastanza impegnativo da sedare l'ansia crescente: fu per questo che accolse con insolito calore la richiesta del padre e, sistemando Josh nella sua astronave che si rifiutava categoricamente di chiamare carrozzina, si accinse a dirigersi al supermercato più vicino.

 

 

 

 

 

***

 

 

Perso fra la moltitudine delle bottiglie di vino accuratamente riposte negli scaffali di legno del supermercato, Brady stava esaminando l'etichetta di Pinot grigio, tendendo un orecchio a sua moglie Hailey la quale, con notevole sforzo, gli esponeva da almeno un paio di minuti i principali piatti del banchetto pantagruelico che i suoi genitori avevano allestito in occasione del trasferimento nella nuova casa appena fuori dal centro della città.

Per il pensionamento normalmente si regalano orologi e i miei suoceri, giustamente, si regalano una casa, pensava il ragazzo con una punta di acidità. E un cane di nome Perkins che Brady odiava con tutte le sue forze. E il robot Bimby, ovviamente, il nuovo, grande amore della Signora Murray, nonché unico reale motivo di quella cena che il ragazzo attendeva con crescente ansia: l'ennesima occasione in cui tentare di ostentare dinnanzi a tutti una felicità inesistente, di dispensare sorrisi che di vero non avevano nemmeno l'ombra. Una serata che sarebbe passata nel disperato tentativo di sedare il desiderio dei suoceri di diventare nonni e di spegnere il continuo chiacchiericcio sull'argomento da parte della madre di Hailey, che non perdeva mai l'occasione di rimproverarli per non avere ancora messo al mondo un piccolo cuginetto per i tre figli della sorella di sua moglie. Non poteva nemmeno contare sull'aiuto di suo padre, visto che in tali occasioni era solito accettare con grande festa ogni tipo di alcolico il Signor Murray gli offrisse, per mostrare al mondo di essere ancora il giovane stoico di un tempo.

La realtà era che il Signor Sanders era l'unico delle due famiglie a essersi reso conto della tensione e della freddezza che era aumentata nel corso degli ultimi mesi fra lui ed Hailey. L'entusiasmo con cui seguiva nelle degustazioni il consuocero era dunque di norma dovuto al bruciante senso di colpa che provava ogni volta che incrociava lo sguardo assente e spento del figlio, il suo sorriso che sapeva essere di circostanza, comprendendo di non potere fare nulla per sollevarlo di quel fardello che si era accollato quando aveva fatto ritorno a Province Town. 

 

Ma, si rispondeva al culmine dell'angoscia, Brady era fatto così e lo aveva dimostrato chiaramente fin da bambino, quando il primo giorno di lavoro dopo la morte di sua moglie lui, al ritorno dal lavoro, gli aveva fatto trovare la tavola apparecchiata e gli aveva orgogliosamente mostrato di aver già messo a letto le gemelle.

Neil non aveva mai trovato il coraggio di domandare esattamente al figlio quale fosse il reale stato delle cose, per cui si sforzava di leggere fra le righe e tentava di darsi da fare per quello che poteva. Nel corso dell'ultimo anno si era fatto in quattro per venire a capo della spinosa situazione che si trovavano ad affrontare, per regalargli quel futuro che si era sempre meritato, ma più tentava di trovare una soluzione più questa gli sfuggiva di mano. E così poteva limitarsi solo a stargli vicino e sostenerlo in quella piccola follia nella quale si era imbarcato e che tentava di portare avanti, nonostante tutto, dando prova di una maturità ancora una volta troppo sviluppata per la sua età.

Brady stava ancora valutando se fosse più adatta una bottiglia di Pinot Grigio o di Chardonnay da abbinare alla spigola della madre di Hailey, quando il gorgoglio felice di un bambino dall'altro lato della scansia catturò la sua attenzione. Ma non fu tanto quello, quanto il riconoscere la voce di Annie, quale ragazza di spalle intenta a fare ridere così apertamente il piccolo che lo fece impietrire. Rimase qualche secondo ad osservarla silenziosamente giocherellare con l'orsacchiotto di Josh, fino a che, forse sentendosi osservata, lei non sollevò lo sguardo e gli sorrise apertamente.

-Annie!

Hailey si diresse verso la ragazza a braccia tese e stringendola in un abbraccio sincero; la preoccupazione circa la reazione del marito al ritorno della ragazza non riusciva comunque a superare il fatto che al liceo fossero grandissime amiche. Probabilmente, si diceva Brady, non era l'unico a cui era mancata la sua presenza in quegli anni. Il ragazzo, fingendo di studiare ancora le bottiglie di vino, si tenne in qualche minuto in disparte ad osservare la scena ma, più passavano i giorni, più avvertiva la crescente, fastidiosa sensazione che la situazione gli stesse scivolando di mano.

 

Vedeva la presenza di Annie a Province Town come uno di quegli oggetti che si trovano nei giochi in appendice ai giornali del tipo "Trova l'intruso": tutto appare nella norma, ogni elemento sembra concorrere a far tornare perfettamente il quadro della situazione, eppure hai la percezione che qualcosa stoni. Uno ad uno scovi i fattori del disturbo, fino a che non arrivi all'ultimo, quello che non c'é verso di trovare, sul quale ti arrovelli per ore, per poi arrenderti alzando le mani, il più delle volte. Con Annie aveva l'impressione che la situazione fosse la stessa, ma che tutti si comportassero come i piccoli oggetti sparsi nella perfetta resa di un paesaggio: se ne stavano lì, come ignorando il fatto che c'era ancora qualcosa che non quadrava.

O forse era semplicemente lui che tentava di autoconvincersi che qualcosa ancora stonasse, al solo scopo di non abbandonare la partita. Perché arrendersi nella ricerca di quell'ultimo particolare avrebbe significato riconoscere che le cose stavano andando per il verso giusto, sarebbe stato arrendersi all'inevitabile ammissione che tutto era tornato come una volta.

Si avvicinò alle due ragazze mentre Annie muoveva leggermente il passeggino per far sorridere Josh, al momento troppo impegnato nel grattarsi le gengive con un pupazzetto a forma di orso per considerare i complimenti di Hailey chinata su di lui, alla quale si erano illuminati gli occhi alla vista del piccolo.

Poi, finalmente, il suo sguardo si fermò su di lui.

Per una frazione di secondo stettero così, a guardarsi e Brady ebbe la netta impressione di aver finalmente trovato ciò che stonava: e non era Annie, né Hailey, né Josh.

 Quello che nulla c'entrava con quel quadretto non era altro che lui, con una mano stretta attorno alla bottiglia di Pinot da portare alla cena dei suoi suoceri e l'altra appoggiata alla schiena di Hailey.

La ragazza lo fissò a lungo, con un'espressione indecifrabile dipinta in volto e le guance che andavano tingendosi di rosso. Per quelli che gli parvero eterni secondi rimasero come sul punto di dire qualcosa, come impegnati in un lungo dialogo che mai sarebbe avvenuto: Brady ebbe la sensazione di sapere esattamente quello che Annie gli stava chiedendo, eppure gli sembrava di non capire. Poi, d'improvviso, come se non riuscisse più a sostenere il suo sguardo, lei abbassò gli occhi sull'orologio ed esclamò che si era fatto tardissimo, che aveva perso di vista l'ora.

La osservò fingere di salutarli frettolosamente e allontanarsi aggrappandosi al passeggino di Josh promettendo ad Hailey di chiamarla per un caffé l'indomani. La guardò voltare le spalle e, per un attimo, ebbe la fugace impressione che si stesso portando una mano al viso e la stesse strofinando nel tentativo di cancellare in fretta le tracce di una furtiva lacrima.

 

 

 

***

 

Landon Campbell ne aveva commesse di leggerezze con le donne.

 

Non tante quante gliene venivano attribuite, dal momento che almeno la metà delle storie che lo vedevano coinvolto non erano altro che il frutto della fervente fantasia di ficcanaso sfaccendati e, delle restante parte, un'abbondante fetta non aveva nemmeno superato il primo appuntamento, ma, soprattutto, che nei suoi ventisette anni di vita poteva contare solo tre relazione degne di essere classificate tali.

Fra queste, la più importante era stata sicuramente quella che aveva riguardato il longevo fidanzamento con Alison Tyler, della durata di ben sette anni.

 

Dai tre ai dieci, precisamente.

 

Ben più attivo, sotto questo profilo, era stato David, anche se di questo normalmente non si faceva menzione; la faccenda, sospettava Landon, doveva essere in qualche modo connessa al fatto che suo fratello, sin dalla più tenera età aveva fatto tutto ciò che ci si aspettava da lui. Studi, sport, feste mondane e, infine, una perfetta fidanzata con cui concludere la brillante carriera di giovane scapolo più ambito di New York.

 

Lui al contrario, che del mantenersi invisibile aveva fatto una filosofia di vita, non poteva risultare più appetibile alle malelingue dell'alta società. Negli anni si era ribellato tentando nell'ordine di sparire con un paio di amici, una chitarra e una macchina fotografica in Venezuela, di boicottare qualsiasi evento a cui i genitori gli imponessero di presenziare, di perdere il passaporto in Palestina e rimanerci per sempre, ma, per quanto lontano andasse, la lunghezza delle lingue di coloro che non ne avevano mai abbastanza dei pettegolezzi lo aveva sempre doppiato. Era così giunto all'elaborazione di una personale teoria: la fama e le dicerie vengono alimentati con diretta proporzionalità agli sforzi compiuti per stroncarle sul nascere.

E così aveva imparato a convincerci, abituandosi a lasciarsele scorrere addosso e a fare come più gli pareva.

Tuttavia, se guardava al proprio passato, possedeva sufficiente onestà intellettuale per ammettere che qualche volta non si era comportato come il cavaliere ideale e che in certe occasioni avrebbe potuto mostrarsi più delicato, anziché sfoggiare quel primordiale istinto scimmiesco che molti individui sfoderano dal cilindro quando non sono interessati a portare avanti una relazione. E forse, ripensandoci, le donne a cui non aveva riservato un trattamento di cortesia erano state proprio quelle che avevano contribuito in larga parte ad alimentare le voci sul suo conto.

Nonostante ciò, non si sentiva particolarmente colpevole anche in virtù del fatto che sì, aveva sicuramente provocato cocenti delusioni, ma altrettante ne aveva ricevute. Era stato un ragazzo come tanti insomma, con picchi di romanticismo alternati a crolli di bieco cinismo, che aveva amato, ferito, si era divertito, ma che era stato deluso, aveva sofferto, esattamente come altre milioni di persone al mondo.

Questo prima di incontrare Annie.

Dal rientro affrettato a New York, per seguire le già critiche condizioni del piccolo Johnson, era stato risucchiato in un buco nero fatto di veglie notturne, tempo libero ridotto quasi a zero -sempre che si potesse chiamare tale un hamburger rinsecchito alla mensa del piano terra-, pause spese nelle sale d'attesa dell'ospedale, assieme ai genitori di Matt. Ogni volta che provava a sollevare il telefono per chiamarla era stato distratto da qualcosa di più urgente.

 

-Riprovo fra un'ora- si era detto di impegno in impegno, mentre correva per i corridoi dell'ospedale.

Ma poi c'era sempre altro da fare, mangiare, correre dal primario, nel laboratorio delle analisi, o semplicemente crollare esausto nel tentativo di riprendersi in dieci, effimeri minuti, dalle ore di sonno arretrato. E magari, al risveglio, avrebbe trovato una sua chiamata, o un messaggio.

-Nemmeno lei si é mai fatta sentire- si era ripetuto mentalmente durante l'intera durata il volo che lo riconduceva a Cape Cod, nel corso del quale aveva distrutto pezzetto per pezzetto il libretto della CapeAir messo a disposizione dei viaggiatori.

"Orgoglio femminile" era stato la sua prima risposta per sedare l'ansia crescente via via che vedeva l'aeromobile avvicinarsi alla meta nel piccolo schermo installato nel sedile dinnanzi a lui. Dopo aver trangugiato una bottiglietta d'acqua ed essersi dato una veloce lavata al viso per stemperare il nervosismo, aveva poi liquidato la questione con un respiro profondo e l'idea che era giunta l'ora di troncare quelle stupide convenzioni sociali che vedevano l'uomo come colui che avrebbe dovuto fare il primo passo.

Nel momento in cui però si era tranquillizzato ed era affondato con la schiena nella morbida poltrona blu, canticchiando fra sé e sé un nuovo dubbio aveva cominciato a farsi strada nella sua mente.

 

Arriving at the door just to be told the girl I'm missing’s been in London for a while...

 

E se il silenzio di Annie fosse stato semplicemente disinteresse? La sola idea che la ragazza non condividesse il suo stato d'animo lo innervosiva sempre di più.

-Smettila,- aveva sussurrato strizzando gli occhi e passandosi una mano sugli occhi, catturando l'attenzione della signora seduta accanto a lui.

-È dura conviverci,- lo aveva rassicurato sfiorandogli il braccio con tenerezza materna.

 Lui le aveva lanciato un'occhiata smarrita, domandandosi come fosse possibile che quella turista di mezza età in partenza per una vacanza rilassante avesse letto pensieri che lo tormentavano.

-La paura dell'aereo,- aveva continuato mostrando un istinto di protezione materno che sorprese Landon.

Il ragazzo la studiò velocemente: boccoli biondi perfettamente acconciati, completo sportivo di felpa grigia, runners ai piedi. Il classico prototipo della casalinga del New Jersey, di quella con quelle case intonacate con i prati all'inglese davanti, un marito che si dedica al bricolage nell'interrato, tre figli ormai adulti e un cane. Quelle mamme che attendono i figli a casa con la torta di mele e che al Ringraziamento preparano la cena per la famiglia finalmente riunita dopo mesi; una donna che non apparteneva al suo mondo, insomma.

Aveva annuito abbassando gli occhi sulla mano che, protettiva, non si era mossa di un millimetro dalla sua felpa blu, notando la fede al dito della bionda signora.

-È in vacanza con suo marito?- le domandò abbassando le cuffie e spegnendo la musica.

La donna aveva sorriso fieramente.

-È il regalo per l'anniversario, trent'anni di matrimonio,- aveva aggiunto indicando con un cenno del capo l'uomo profondamente addormentato che sedeva nel sedile accanto al suo, dall'altra parte del corridoio.

-Auguri allora,-  le aveva risposto con un sorriso sincero.

Trent'anni di matrimonio e un viaggio romantico per festeggiarli.

I suoi genitori per quell'anniversario avevano dato una festa di cui tutta New York aveva parlato per un mese, tranne loro, che se non fosse stato per il brindisi, non si sarebbero nemmeno incrociati.

 -C'é qualche ragazza che ti attende a Cape Cod?- gli aveva domandato timidamente la donna.

Lui si era mantenuto silenzioso, accompagnando l'assenza di parole con un eloquente silenzio.

-L'hai fatta arrabbiare?- gli aveva domandato la donna.

-Spero di no...

-Vedi che avevo ragione? Quelle labbra mangiucchiate non possono che essere sintomi di pene d'amore. Lei lo sa che ti dispiace? Qualunque cosa tu le abbia fatto.

-No...

-E allora diglielo, no?- aveva obiettato come se stesse dicendo la cosa più naturale del mondo. -Vai da lei e scusati, qualunque cosa sia successa, vedrai che alla fine capirà. Non l'hai tradita, no?

 

Avrebbe voluto risponderle che nemmeno volendo avrebbe potuto farlo, dal momento che, tecnicamente, non c'era nessuna ragazza da tradire. Perché dunque si sentiva tremendamente in colpa?

Annie era la prima ragazza da lungo tempo che gli faceva porre delle domande sul futuro. E, sebbene l'idea gli sembrasse assurda dato il fatto che la conosceva da soli dieci giorni, non poteva fare a meno di riflettere su quale sarebbe stata la sua vita se avesse deciso di fermarsi e mettere le radici in un posto per qualcuno. Qualcuno come lei.

Una volta giunto in città e salutati i Branson, così si chiamava la coppia del New Jersey, si era tolto di fretta e furia i pantaloncini sportivi e la felpa blu, infilandosi a forza dentro abiti più consoni alla serata che lo attendeva e, senza nemmeno salutare la madre, si era precipitato al Brass Key. Desiderava poterle parlare ad Annie in privato, lontano dalle orecchie e dagli occhi indiscreti delle famiglie di entrambi. Ma quando era arrivato al B&B era stato accolto dal Signor Morgan, che gli disse che Annie era uscita a passeggiare con Josh.

Alla cocente delusione del ragazzo, Kenneth non aveva però saputo resistere. Gli aveva domandato di aspettare qualche secondo, era corso in cucina e ne era uscito con un pacchetto di cartone rosso in mano.

-Tieni,- gli aveva detto piazzandogli in mano una scatola di Digestive,- ne avrai bisogno, nel caso tu la trovassi.

Landon lo aveva guardato smarrito.

-Le donne si sciolgono con i fiori. Annie con i biscotti. Buona fortuna!- gli aveva spiegato rientrando nella hall, dove i nuovi clienti lo reclamavano a gran voce.

 

 

***

 

 

Scott stava pulendo i resti della merenda a base di cheeseburger e milkshake alla fragola consumata da un gruppo di famelici e sfaccendati quindicenni in vacanza, quando Annie entrò come una furia nel locale spalancando la porta e mandandola a sbattere contro il muro con un rumore sordo. Sollevò la testa giusto in tempo per vederla sistemare Josh dietro il bancone e, senza profferir parola, precipitarsi nel retro per poi uscirne abbracciata all'enorme contenitore blu tracimante dei biscotti al cioccolato e nocciole di sua madre.

Si avvicinò lentamente e, tendendo la mano per solleticare la pancia di Josh, si mise in assorta osservazione della furia famelica della zia, che in pochi secondi era riuscita a divorare quattro dei preziosissimi dolcetti. Un record notevole, visto che lui stesso, ai bei tempi in cui aveva quindici anni e l'argento vivo addosso, non riusciva a superare i cinque in un intero pomeriggio.

-Sai,- esordì con un sospiro, mentre Josh mordicchiava e ricopriva di bava il suo dito, trovandolo evidentemente più appetitoso dell'orsacchiotto di plastica, -negli ultimi anni non siamo stati molto insieme, ma ritengo di conoscerti abbastanza bene da poter affermare che qui ci sia lo zampino di un maestra di vela dagli occhi azzurri.

Annie, sentendosi pungolata nel vivo del suo orgoglio, lo fulminò con lo sguardo, dando piena conferma alla sua tesi

-Cosa te lo fa pensare?- gli domandò con scarsa convinzione, addentando l'ennesimo biscotto. Il sesto, per la precisione.

-Di norma,- cominciò lui irrigidendo la schiena e appoggiandosi al bancone con l'unica mano libera, -il numero di grassi freneticamente ingurgitati é commisurata alla dimensione del problema che ti rende così famelica. E, a giudicare dal numero di biscotti che ti sei divorata in pochi minuti direi che il tuo é grande circa un metro e novantacinque per novanta chili, dico bene?

 

Annie deglutì lentamente, sentendo nuovamente gli occhi riempirsi di lacrime.

 

-Ho capito, ti preparo un bel cappuccino bollente. Anzi, un Earl Grey, ti va?- le domandò accennando alla magica scatola di latta della Whittard of Chelsea alle sue spalle, alla vista della quale gli occhi di Annie si illuminarono.

-Solo il meglio per i miei clienti,- le rispose lui rizzando il collo, premendosi una mano sul petto e imitando con il mento sollevato e una presunta aria da lord altezzoso l'accento inglese.

Annie scoppiò a ridere, mentre l'ennesima lacrima scivolava velocemente lungo la sua guancia.

-Ti va di parlarne?- le domandò lui addolcendosi, sfilando delicatamente l'ennesima bomba di burro e cioccolato che le stava impiastricciando le dita.

Annie scosse la testa impercettibilmente, abbassando lo sguardo verso il contenitore dei biscotti, che appariva sensibilmente svuotato.

-Non ha importanza,- sussurrò con voce strozzata per il groppo alla gola.

-Si che ne ha, se ti fa stare così male,- le rispose avvicinandosi e asciugandole con un tovagliolo gli occhi ormai circondati da un unico, brillante cerchio nerastro di lacrime e rimmel. Annie, per tutta risposta, tirò stoicamente su con il naso, facendolo scoppiare a ridere.

 -Davvero Scott, passerà. È un periodo un po' stressante, ho fatto dei colloqui per un lavoro e sto aspettando con ansia una risposta. E...sai...mi conosci sai che non sono capace di starmene con le mani in mano. In più é qualche giorno che attendo una chiamata importante che non arriva e...

 

Scott la guardò assorto, come per invitandola a continuare. Annie però sembrò rendersi conto all'improvviso che non avrebbe nemmeno saputo attribuire distintamente la colpa della sua tristezza ed ansia ad un singolo fattore, anche se dopo quell'incontro al supermercato tutti i problemi che l'avevano afflitta nelle ore precedenti sembravano farsi futili e quasi inesistenti. Per cui, scuotendo la testa, concluse frettolosamente:

-È solo stress, suppongo.

L'amico sospirò, avvicinando uno degli alti sgabelli di legno chiaro e prendendovi lentamente posizione.

-Annie, posso farti una domanda alla quale sei liberissima di non rispondermi ed anzi, mandarmi a quel paese in tutta franchezza?

La ragazza annuì seria.

-Cos'é successo fra te e Brady?

-Assolutamente nulla, Scotty,- gli rispose francamente, sollevata dalla facile domanda che l'amico le aveva posto,- é sposato...

Il ragazzo sbuffò spazientito.

-Non intendo adesso! Mi riferisco a sette anni fa, alla sera precedente al ballo di fine anno.

Annie lo fissò con intensità per qualche secondo, stringendo gli occhi. Scott poteva essere la persona più imbecille di sua conoscenza, sempre pronta a ridere, a scherzare e mai disposta a tirarsi indietro quando si trattava di dire o fare qualcosa di incredibilmente stupido. Ma era anche, fra tutti quelli che aveva avuto accanto nella sua vita, il solo a sapere cogliere da uno sguardo, una parola o un semplice gesto, l'intero, intricato, ammasso di pensieri e groviglio di sensazioni che si celava dietro le apparenze.

-Niente che valga la pena di essere raccontato,- mentì con scarsa convinzione.

-Per favore, Annie, non mi prendere in giro. Non sarò andato a Berkley, alla Columbia o alla UCL come voialtri geniacci, ma non sono scemo. Hai passato la sera del ballo in spiaggia con me, strizzata in un abito da Cenerentola che, se mi permetti di dirlo, non ti si addiceva affatto, piangendo ed affogando la tua disperazione in una bottiglia di Keglevich alla menta che avevamo sgraffignato dalla dispensa di tuo padre. Ti ho riportato a casa in spalla e Dio solo sa la fatica che ho fatto, visto che anch'io ero ubriaco fradicio. Dopo poco sei partita e da quel giorno non ti sei più fatta sentire da nessuno, hai cambiato numero di telefono, e mail e tagliato ogni possibilità di connessione da parte nostra: se non vuoi dirmelo non importa, ma non venirmi a raccontare delle balle, per favore.

 

Annie lo squadrò, sollevando il viso ed appoggiandosi sulle mani. Era stata così abituata ad ascoltare solo la sua versione dei fatti e così impegnata a leccarsi le ferite che, nonostante la lontananza, non volevano saperne di rimarginarsi, che aveva finito per convincersi di essere stata l'unica a soffrire. E invece non si era mai fermata a riflettere sul vuoto che aveva creato con la sua assenza, sui sentimenti di coloro che le avevano voluto bene incondizionatamente, a tal punto da rispettare la sua scelta e smettere di cercarla. Che l'avevano amata così tanto che anche nel momento in cui si era egoisticamente ripresentata alla loro porta l'avevano accolta, come se nulla fosse mai successo in quegli anni, come se non fosse passato nemmeno un giorno dall'inevitabile fine della loro adolescenza. Osservò l'espressione tenera e risoluta di Scott, il suo viso infantile, che mille e mille volte le aveva sorriso, l'aveva fatta ridere fino alle lacrime, l'aveva confortata e consolata. Improvvisamente si sentì stanca, come al termine di un lunghissimo ed estenuante viaggio, e per la prima volta nella sua vita avvertì il peso del tempo trascorso, dell'infanzia che se n'era andata, ma che continuava a gravarle addosso, come un problema irrisolvibile:

-Oddio Scott. Non sai quanto mi dispiace, avrei dovuto chiamarti...

Il ragazzo stroncò il suo discorso sul nascere, scuotendo la mano, e sorridendole con affetto.

-Annie, non é questo il punto. Non sono offeso e non ti porterò rancore per come sono andate le cose fra di noi. Mi sei mancata, ma ora che sei qui, mi rendo conto che non ha senso portarti rancore. Se hai preso una scelta così forte, mantenendovi fede, devi aver sofferto così tanto che non ha senso continuare a fartela pagare ancora. Per cosa poi? Per stare ancora male? Io sono disposto a ricominciare sin da ora, come se fossimo entrambi  ancora quei due ragazzini che passarono la serata più attesa da ogni adolescente giù ad Herring Cove, ad ubriacarsi come se non ci fosse un domani. La domanda a questo punto é...sei disposta a farlo tu?

Le prese delicatamente le mani su cui teneva poggiato il viso, obbligandola a sollevare lo sguardo verso di lui. Annie lo guardò, facendo appello a tutte le sue forze per non scoppiare in lacrime a causa della nostalgia, del senso di colpa e del sollievo che aveva infine provato alle parole dell'amico.


-Allora,- incalzò lui, -non vuoi proprio dirmelo?

Per qualche istante Scott ebbe l'impressione che Annie stesse per cominciare un discorso. Poi, dopo qualche istante di esitazione, l'attenzione di entrambi fu catturata da tutt'altro. E fu così che i due assistettero al rumoroso ingresso di Nicole, impeccabile anche dopo un pomeriggio di sole in spiaggia visto con il volto coperto da un enorme cappello  e un'enorme borsa di paglia piena di prodotti cosmetici e libri.

Annie avrebbe nuovamente voluto chiederle come diavolo facesse ad essere perfetta anche dopo essersi arrostita al sole, rotolata nella sabbia e con i capelli incrostati di sale, ma dovette tacere perché questa, gettata la borsa in un angolo e lasciatasi cadere pesantemente sullo sgabello accanto al suo, sbuffò esasperata:

-Dio mio, Anderson, sei proprio stordito! Cosa vuoi che sia successo! Avrà rivelato a Brady tutto il suo amore per lui e poi avranno consumato questo eterna passione fino a che quella santarellina di Hailey non li ha scoperti...

Annie si voltò lentamente fissandola con gli occhi sbarrati, mentre Scott, dopo essersi quasi strozzato con la spremuta d'arancia che stava consumando, le domandava con voce incredula se fosse vero.

 

Nicole scosse la testa con aria desolata, afferrando senza chiedere il permesso un biscotto.

-Stavo scherzando!- sorrise con aria di sufficienza, prima di continuare, - Anderson, se é possibile, il tuo amico é più stordito di te, ti pare che possa aver colto la palla al balzo, anche se questa non sembra aspettare altro,- sciorinò ammiccando verso la cugina, che continuava a fissarla incredula e paralizzata dall'alto del panchetto sul quale si era ancorata con le mani, al punto che le nocche erano sbancate dal troppo stringere.

A quelle parole Annie si lasciò andare sul bancone, sollevata, mentre Scott ricominciava e respirare e ad riassumere colore.

-È proprio vero quello che dicono,- proseguì imperterrita Nicole con la stessa naturalezza con cui avrebbe parlato della splendida giornata all'esterno.

-Sarebbe a dire?- le domandò Scott smarrito.

-Che Dio li fa e poi li accoppia,- concluse soddisfatta ,-o li accoppa, nel caso tuo e di Brady.

 

Annie li osservò sostenersi lo sguardo a vicenda, con aria di sfida, domandandosi il motivo di tanto astio. Negli ultimi giorni aveva assistito incredula al mutamento di atteggiamento di Nicole nei confronti di Scott: se nei primi giorni lei lo aveva ignorato,  riservandogli ostinatamente una perenne aria di superiorità, del tutto simile a quella che gli mostrava al liceo, nell'ultima settimana aveva avuto come l'impressione che la tensione fra loro si fosse allentata. Certo, continuavano a punzecchiarsi a vicenda in un modo così irritante che la faceva letteralmente impazzire, ma alla cena a casa di lui il sabato precedente, la cugina era persino stata quasi gentile, arrivando persino a chiedergli se avesse bisogno di una mano per sparecchiare. Ma Annie attribuiva tale mutamento semplicemente a un processo di maturazione giunto di pari passo al fatto che ormai erano tutti adulti e che Nicole non aveva più ormai alcuna fama da difendere: nella sua vita aveva dimostrato più e più volte di poter ottenere tutto ciò che voleva e di potersi aggiudicare il primo posto in qualunque sfida la quotidianità le avesse posto dinnanzi e, soprattutto, in quel piccolo riunito gruppo di amici di vecchia data e familiari non vi era più alcuna smorfiosa con cui competere. Fatto che probabilmente, aveva fatto sì che con gli anni lei avesse smesso  di torturare tutti gli Scott Anderson di turno, solo per dimostrare al mondo intero di essere sempre e comunque l'intoccabile e raffinata principessa di porcellana che si concedeva solamente alle persone socialmente più adatte.

Ma quella che sembrava dimostrare in quel momento evidentemente non era rabbia, né desiderio di affermazione, né tantomeno disprezzo. Se non le fosse risultata ridicola l'idea avrebbe affermato che Nicole sembrava gelosa di aver colto lei e Scott in atteggiamento così intimo.

 

-Cooper,- le rispose lui fingendo una calma che non aveva, - vorrei ricordarti che il biscotto che stai addentando costa 50 cents che, aggiunti ai biscotti e alla tisana della buonanotte di ieri fanno 3 dollari e 50, tondi tondi.

Un momento, pensò Annie, ieri sera?

-Mi avevi detto che eri stanca e che saresti andata a dormire,- disse fissando con insistenza la cugina.

-Io...,- rispose questa balbettando imbarazzata,- avevo litigato con David...e...ecco...in cucina a casa non c'era nulla...quindi ho pensato di scendere da Sc...ehm, qui al Pheseant a...chiedere...sai insomma, qualcosa per rilassarmi...tipo...cioccolata e...

-Finocchio!

 

Le ragazze si voltarono di scatto verso Scott, che arrossì violentemente al rendersi conto della stupidità del tentativo di salvataggio di Nicole e tuffò la testa verso la carrozzina dove Josh aveva cominciato a piagnucolare per attirare l'attenzione di almeno uno dei tre adulti presenti, che sembravano essersi completamente dimenticati del fatto che si trovasse lì.

- Voglio dire,- continuò lui fingendo un'aria impassibile, mentre sollevava il piccolo e lo faceva saltellare un po',- il finocchio é adattissimo in questi casi, sai...rilassa e...sgonfia...

Se avesse potuto strangolarlo, risultò evidente a tutti, Nicole lo avrebbe fatto senza esitazione alcuna. Ma lui non le lasciò il tempo di sistemare la faccenda, continuando imperterrito:

-E anzi sai cosa ti dico, Annie, dovresti proprio berlo anche tu...ti farebbe bene, ne vuoi una tazza?

La ragazza lo fissò sempre più incredula per qualche secondo, con la bocca semi aperta.

-Io...no grazie, devo tornare a casa. Mi devo preparare per la cena di stasera e suppongo che fra poco Josh comincerà a ricordare a tutti che ha fame e...mio padre ci darà ormai per dispersi, visto che gli avevo detto che saremmo usciti solo per comprare il latte...

Aveva la netta impressione che lei, in quel diverbio, non c'entrasse assolutamente nulla. Ragion per cui, sentendo nascere la fastidiosa sensazione di ricoprire il ruolo del terzo incomodo, si diresse verso il retro del bancone, attese che Scott posizionasse suo nipote nello space shuttle che sua sorella continuava a spacciarle come carrozzina e si allontanò di gran fretta, salutando entrambi frettolosamente.

Quando la porta si fu richiusa alle sue spalle, Nicole si voltò verso Scott, fingendo una calma che veniva tradita dall'espressione furente che le si era stampata in volto.

-Finocchio?- gli domandò sminuzzando ad arte un tovagliolino di carta. -Di tutto quello che potevi dire, finocchio é stata la prima cosa che ti é venuta in mente?

-Scusa tanto sai, ero troppo impegnato a smaltire l'infarto che mi sono preso con la tua entrata in grande stile!- scoppiò lui.

-Non cambiare argomento!- sibilò  lei con rabbia.

Scott la squadrò incredulo, ancorandosi con forza al bancone e scuotendo la testa.

-Nicole, c'é qualcosa che mi sfugge, davvero.

-Cos’é che ti sfugge?- gli domandò lei spazientita, tamburellando nervosamente la sigaretta che aveva estratto dal pacchetto sulla superficie di marmo.

-Vieni qui ormai tutte le sere dalla notte della festa a casa dei Campbell, dai fondo alle mie scorte di tisane, ai miei biscotti al cioccolato e chiacchieriamo fino all'alba, il più delle volte. Non ci vedo nulla di male, a parte il fatto che prima o poi mi manderai in rovina e che verrà il giorno in cui crollerò dal sonno mentre preparo i sandwich per il pranzo- azzardò, accennandole un sorriso. Vedendo però che Nicole si ostinava a mordicchiarsi l'interno della guancia nervosamente, aggiunse con tono risentito.

-È una cosa che fanno tutti gli amici, sai...parlare.

 

Lei continuò a tacere, incapace di sostenere il suo sguardo.

 

- Nicky, guardami,- la obbligò lui sollevandole il mento con il dito indice, -siamo amici, no?

E fu allora che Nicole ebbe una reazione che mai Scott si sarebbe aspettato.

Roteò gli occhi, prese un sospiro profondo e, infine, scoppiò:

-È questo il punto Anderson! Noi non siamo amici, né lo saremo mai!

Lui la guardò incredulo, facendo crollare la mano chiusa a pugno sul tavolo. Una parte di lui si rifiutava di credere a quello che lei gli aveva affermato, mentre l'altra desiderava solo farle male, almeno quanto lei ne aveva appena fatto a lui.

-Dovevo aspettarmelo,- mormorò. -Pensavo che fossi cambiata, sai? Che in qualche modo negli anni fossi maturata e invece...

-E invece?

-E invece sei la solita vipera immatura e viziata di un tempo!

Nicole lo guardò impietrita, evidentemente spiazzata dalla sua reazione.

 

Per una vita aveva detto cose ben peggiori a Scott. Un' intera adolescenza di sguardi di sufficienza, di battute sarcastiche, di lotte silenziose. Eppure lui non se l'era mai presa: l'aveva ignorata, le aveva risposto per le rime, l'aveva canzonata. Ma era sempre stato lì. Giorno dopo giorno, aveva incassato il suo disprezzo senza mai raccogliere realmente le sue provocazioni. E, se in un primo momento Nicole aveva creduto ingenuamente che il tempo avesse lavorato per loro calmando le burrascose acque della loro amicizia, se tale si poteva chiamare, ecco che si rendeva conto che sei anni non erano sufficienti a cancellare la sua reputazione presso di lui. E che le cose non erano così semplici come aveva pensato.

 

-Non....puoi pensarlo davvero,- balbettò con un filo di voce, trattenendo a stento le lacrime.

Perché sto per piangere? si domandò allarmata.

-Sì che lo penso! Le persone non cambiano, Nicole! E ne abbiamo appena avuto la dimostrazione! Tu sei la stessa di un tempo e io rimango il solito imbecille cretino! E non ho intenzione di perdere un altro minuto a stare dietro a...te.

 

Poi, senza lasciarle il tempo di rispondere, prese la via della porta, con un gesto secco girò il cartello che indicava che il locale sarebbe rimasto chiuso e si sbatté l'uscio alle spalle.

Nicole poté avvertire nitidamente il suo urlo liberatorio in strada, seguito immediatamente dall'imprecazione del malcapitato in cui il ragazzo in cui si era imbattuto, prima che il silenzio piombasse nel locale. Fu allora che abbandonò la testa sulla fredda superficie di marmo, lasciandosi pervadere dal senso di colpa.

 

Scott ci era andato pesante, ma che diritto aveva lei di biasimarlo?

 

Da quando era tornata a casa non aveva fatto altro che ripetersi che trovarsi in quella città dopo anni che non vi metteva piede se non in rarissime occasioni nelle quali trascorreva essenzialmente il tempo in casa, la faceva sentire un'estranea. Vivere quei luoghi con David la faceva sentire a disagio, come se fosse un'intrusa nella sua stessa vita. Eppure vi era stato qualcuno che l'aveva fatta sentire di nuovo bambina.

Non l'adolescente insicura che aveva bisogno di apparire la migliore, la più bella, famosa, elegante e raffinata solo per sentirsi in pace con sé stessa, ma la dodicenne spensierata che credeva fosse morta.

Cominciò a camminare intorno, tentando di scacciare la tristezza che l'aveva pervasa. Dapprima si mordicchiò le unghie, poi trangugiò l'aranciata abbandonata da Scott sul bancone, seguita da un paio di biscotti al cioccolato. Non riuscendo a calmarsi si precipitò sul retro, nella speranza che almeno una sigaretta l'avrebbe aiutata a ritrovare l'autocontrollo che le scivolava di dossi minuto dopo minuto.

 

-Accidenti,- imprecò pestando con forza il mozzicone, prima di ricordarsi che se mai Scott di fosse accorto che aveva fumato nel retro del suo locale l'avrebbe strangolata a mani nude. Raccolse il filtro schiacciato e tentò di nasconderne le tracce nel fondo della pattumiera, sotto un mucchietto di bucce d'arancia.

Quando ebbe finito sospirò profondamente, riavviandosi i capelli. Non aveva alcuna voglia di tornare a casa, sentire parlare della cena in grande stile, ascoltare i consigli di sua madre su come apparire perfetta, impeccabile, attraente, intelligente. Avrebbe voluto rimanere chiusa in quel caffè deserto sino all'indomani, quando sarebbe stato tutto finito e lei non avrebbe più dovuto preoccuparsi dei Cambell, di David, dei suoi genitori, delle aspettative della sua famiglia.

Mentre si tormentava sul da farsi, gli occhi le caddero sullo stereo ancora acceso, che Scott doveva aver interrotto nel momento in cui aveva cominciato a parlare con Annie. Premette play, lasciando che la voce di Chris Martin le riempisse la testa fino a farle venire un groppo alla gola, facendole capire di essere giunta alla soglia al di là della quale non vi sarebbe più stato nulla che le avrebbe impedito di trattenersi. Cominciò a piangere in silenzio, scivolando con la schiena contro il bancone, lasciando che tutto il marcio che le sembrava la stesse corrodendo, fuoriuscisse mescolandosi con le lacrime che le sgorgavano dagli occhi, senza che riuscisse a fermarle.

 

 

Come back and haunt me

Oh and I rush to the start

Running in circles,

chasing our tails

Coming back as we are

 

 






Note essenziali.

 

 

Devo profonde scuse al mondo.

Settembre....dio mio, mi sembra ieri. Mi sono mancati i miei disagiati, lo ammetto. Spero che a voi siano mancati un pochino meno.

 

 

Un abbraccio chi é arrivato fino a qui, il capitolo, come ho già detto, é tutto per voi.

Ringrazio le ragazze che sono nel mio gruppo Sing and write for the wind, fear not for tomorrow, che ogni giorno mi tengono compagnia, sostenendomi nei miei disagi (che sono tanti): ne approfitto per dire che chiunque é il benvenuto e che se vorrete unirvi a tale delirio mi renderete più che felice.

Un grazie particolare va, come sempre, alla mia famigliola: a Erica, che continua a betare e ad amare incondizionatamente qualunque faccino le proponga, vecchio o nuovo che sia. A Veronica, Ellina, Emily e Gnagny, che ogni giorno sono una presenza di cui ormai non posso fare a meno. "Siete più grande fortuna che mi sia capitata ultimamente", per usare parole non mie.

E ad Acquetta e Cri che si sono unite d'improvviso a questo delirio e, fra rivoluzioni, sottaceti, brillantini e boccoli biondi mi fanno quotidianamente ridere fino alle lacrime.

 

Non ho molto da dire sul capitolo, se non che spero vi abbia soddisfatto: per reclami, lamentele e pomodori, mi trovate, come sempre, nel sovracitato gruppo, oppure nella mia pagina FB.

 

Un abbraccione gigante

 

Lyra

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

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Capitolo 7
*** Let it go ***


 

 

 

 

7.



Let it go

 

Canzone del capitolo

 

 

 

Dicono che la nostra generazione abbia smesso di credere nei sogni, nel mito dell’amore e nelle fiabe.

Opinione generale è che viviamo in un’epoca dove l’anima raggiunge presto la sterile maturità della disillusione, la desolata età nella quale sul nostro animo carico di aspettative per un futuro fatto di sogni, viene sparsa una spessa coltre di sale.

Io penso semplicemente che il guaio dei nostri tempi sia che il futuro non è più quello di una volta.

Nessuno ormai crede più ai colpi di fulmine, all'amore eterno, al lieto fine. Ci impegniamo piuttosto a trovare qualcuno di sufficientemente simile con cui scorrere l'intera vita é un compromesso relativamente accettabile, se serve a scongiurare la maledizione di affrontare da soli quella giungla che é la quotidianità.

Non proviamo più emozioni autentiche e genuine e gli unici momenti di commozione che viviamo sono quelli cerebrali. Siamo convinti di nutrire i nostri cuori con illusioni e grandi speranze, ma la realtà è che, ormai, sono muscoli non abbastanza allenati per potersi gonfiare a sufficienza per accogliere un certo tipo di emozioni. E, come ogni muscolo del nostro corpo se troppo sollecitato poi quello gronda di acido lattico, o, nel nostro caso, di sensazioni che non siamo in grado di contenere, né gestire e ridimensionare. L’unica strada che ci pare, dunque, percorribile è congelarle e dimenticarsene fino a non scordare del tutto ciò che si prova.

 

-O che si prova qualcosa,- mormorò Nicole, appoggiando la penna e fissando esausta il foglio bianco sul quale si era lanciata con furia.

 

Erano anni che non scriveva.

 

Da piccole, lei e Annie passavano le giornate a inventare storie, personaggi, a disquisirne, disegnarli, mettere in scena le loro vicende ma da quando aveva cominciato l'università e da quando aveva incontrato David soprattutto la sua vita si era tramutata in una frenetica giostra di eventi, serate, cene, concerti e spettacoli che non aveva più trovato un minuto per sé stessa da dedicare a simili infantilismi.

Era stato così che, giorno dopo giorno, la Moleskine comprata appena arrivata a New York, piena di buoni propositi per l'anno a venire, si era riempita di polvere, finché lei non l'aveva coperta con una pila di giornali e scartoffie, dimenticandosene completamente. E lì era rimasta per sei anni, fino a quando, poche ore prima di partire per Province Town, non l'aveva urtata per errore. L'aveva fissata a lungo, indecisa se cestinarla direttamente, ma una stretta al cuore le aveva impedito di portare a termine i suoi intenti.

 

-Posso usarla per la lista della spesa,- si era detta fra sé e sé, dimentica del fatto che, in sei anni, aveva fatto la spesa si e no una decina di volte. In ogni caso, utile o meno, non aveva avuto il coraggio di buttarla e l'aveva così lanciata distrattamente nel fondo della borsa da viaggio, dove era rimasta fino a quel momento.

 

 

Rientrata di malavoglia dal Pheseant, Nicole aveva tentato di incanalare la tristezza che la opprimeva lanciandosi con eccessivo e sospetto zelo nei preparativi della serata che tutti attendevano da tempo. Era stato così che, dopo due ore trascorse a rimbalzare da una stanza a un'altra come una trottola impazzita, il cuoco che sua madre aveva assunto per l'occasione l'aveva messa alla porta con poco garbo, visto che, dall'alto della sua inesperienza, aveva trovato persino da ridire sui tempi di cottura del branzino che avrebbero servito agli ospiti. Sua madre invece, impegnata con Mary, la tata tuttofare che viveva con loro da quando Nicole era nata, le aveva impedito l'accesso alla sala da pranzo quando, in preda al delirio, si era lamentata delle peonie con cui era stato creato il centrotavola, da lei stessa espressamente commissionate. Alla fine, non trovando più alcuna persona da tediare dal momento che anche suo padre e suo zio si erano rinchiusi nello studio intimoriti dalla sua ansia da prestazione, era salita sbuffando nella sua stanza, dove aveva speso tutte le energie rimanenti nel sistemarsi capelli, sopracciglia, trucco, smalto e nel cambiarsi almeno una quarantina di abiti, prima di decidere che il Lanvin bianco con lo scollo all'americana era quello più adatto ad assicurarsi l'approvazione di Margaret Campbell, come se quest'ultima non gliene riservasse già a  sufficienza.

 

A un'ora e mezza dall'arrivo ufficiale degli ospiti però, Nicole stava seduta vestita e truccata di tutto punto con la schiena poggiata agli enormi cuscini ricoperti di pizzo che occupavano il suo letto, sbuffando sonoramente e rosicchiandosi le unghie laccate di Rougenoir Chanel. Era stato in quel momento che si era ricordata della Moleskine abbandonata sul fondo della borsa: l'aveva tirata fuori, l'aveva pulita con meticolosa cura, e aveva cominciato a scrivere, più per sedare il nervosismo che per la voglia di farlo davvero.

Se qualcuno fosse entrato nella stanza in quel momento avrebbe scambiato per ansia il suo frenetico passare dal controllare il cellulare allo scarabocchiare sul taccuino, pensando che gli impercettibili scatti che la scuotevano fossero dovuti all'insofferenza dello scorrere troppo lento del tempo. La riunione familiare per la coppietta felice aveva avvolto come una grigia nuvola di nervosismo la casa dei Cooper e si presupponeva che lei, prima fra tutti, fosse tesa come una corda di violino.

Ciò che nessuno poteva immaginare era che il motivo di quella smisurata tensione affondasse le sue radici in tutt'altro problema e che l'ipercinesi che aveva colto la ragazza fosse dovuta al tentativo di sedare l'angoscia che le rivoltava lo stomaco dall'attimo in cui Scott si era sbattuto la porta del Pheseant alle spalle, lasciandola ad arrovellarsi nei suoi rimpianti.

Era stato così, che quando un impercettibile BIP aveva segnato l'arrivo di un messaggio e lei aveva scorto il nome del mittente, si era quasi ribaltata giù dal letto, rischiando di andare a rovinare l'impeccabile acconciatura nella quale aveva costretto i capelli con tanta meticolosità.

 

Quel vestito ti fa sembrare vecchia.


Che cosa saltava in mente a quell'imbecille di Anderson? Tre ore di silenzio e se ne saltava fuori con un inutile commento sul suo abbigliamento? E poi, come diavolo faceva a sapere come era vestita?

 

Vedo che hai ritrovato l'uso della parola. Non mi interessano i tuoi inutili commenti gli rispose con una smorfia.

 

Evidentemente si, visto che ti sei avvicinata allo specchio con palese occhio critico.


Nicole si guardò intorno smarrita.

 

Come...


Sono Spiderman, non lo sapevi?


Lo sguardo le cadde sulla finestra spalancata nello stesso istante in cui, nel silenzio, l'inconfondibile inizio di Surfin' Bird le giunse alle orecchie, lievemente ovattato.

 

Spiderman un corno.


Attraversò la finestra precipitosamente, fermandosi solo quando scorse un paio di All Star sdrucite muoversi a ritmo di musica, per la precisione quella che Scott teneva a tutto volume nelle orecchie mentre, con la schiena appoggiata al muro, attendeva che lei si accorgesse della sua presenza.

 

-Ecco perché sei così ritardato,- gli disse piantandosi le mani sui fianchi, -le urla di Joey Ramone arrivano fin dentro la stanza! Il volume della musica ti ha bruciato i pochi neuroni che ti sono rimasti?

 

Scott sorrise, sfilandosi le cuffie e avvicinandosi.

 

-Anch'io sono contento di vederti, Nicole.

 

La ragazza lo fissò spazientita.

 

-Cosa vuoi Anderson? Ho ospiti a cena.

 

-Senti, Cooper, devo proprio dirtelo. Datti una calmata. Sono venuto a scusarmi.

 

-Tu? A scusarti?- gli domandò lei sgranando gli occhi incredula.

 

-Se non ti sta bene posso anche andarmene...

 

-No, non era questo...insomma...va bene, scuse accettate,- concluse infine.

 

Scott la fissò mentre distoglieva lo sguardo, evidentemente imbarazzata. Attese qualche secondo, solo per compiacersi delle macchie di rosso che erano velocemente affiorate sulle sue guance lentigginose, poi ricominciò.

 

-Oh, grazie, Nicole, sei un tesoro. Non dovevi scusarti...Cosa dici? Mi hai appena sbattuto in faccia che non siamo amici? Non me ne ricordo nemmeno!

 

La ragazza si morse il labbro imbarazzata, sentendo che la situazione le stava sfuggendo nuovamente di mano.

 

-Senti, Anderson, mi dispiace. Ero arrabbiata e non pensavo a quello che dicevo. Sono desolata, davvero,- ammise, infine.

 

Se il ragazzo avesse accettato le sue scuse, non le fu dato sapere. Scott stava per rispondere, quando dal basso una voce maschile chiamò a gran voce Nicole, gridandole di scendere.

 

- mio zio. Sarà meglio che vada,- gli disse fissandolo negli occhi.

 

-Non fare tardi,- le disse lui con un sorriso tirato, sfiorandole il braccio. -Magari ne parliamo domani.

 

Nicole stette a fissarlo, mentre lentamente si voltava e scavalcava la ringhiera del suo balcone, sparendo alla sua vista. Sentì l'angoscia che per qualche fugace attimo l'aveva abbandonata farsi strada, più soffocante che mai e, senza indugio, si precipitò verso l'estremità del terrazzo, ignorando la voce di suo zio che continuava a chiamarla spazientito

 

-Anderson,- urlò, facendogli alzare la testa e rimanere appeso a mezz'aria fra il primo piano e il livello del terreno, -spero tu possa davvero perdonarmi. Io...non avrei resistito un giorno di più da queste parti, senza di te.

 

L'espressione seria di Scott si tirò in una smorfia, che divenne presto un sorriso malinconico.

 

-Sono felice di sentirtelo dire. Ci si vede, Cooper,- le disse mollando la presa e lasciandosi cadere a terra, prima di allontanarsi a grandi passi, sparendo dietro le aiuole fiorite dell'imponente villa.

 

-Ci si vede, Scotty.

 

 

***

 

 

-Pare che i Celtics vogliano acquistare Joseph, avete sentito?

 

-Fate acquisti?


-Brady, pensi che potrai venire a darmi una mano a smontare la credenza nel vecchio garage nel week end? Vorrei portarla nello studio-

 

-Si, stasera i miei genitori ci hanno invitato a cena per inaugurare la nuova casa in cui si sono trasferiti...


-Brady, mi stai ascoltando?

 

Aveva avuto la netta percezione che Annie non stesse guardando Hailey, mentre questa le raccontava dei loro programmi per la serata. Sapeva precisamente che la domanda che si stava ponendo al di là dei discorsi di circostanza con sua moglie era come sarebbe stata una vita in cui quelli al supermercato alla ricerca del vino da accompagnare all'arrosto fossero loro due; un piccolo angolo di mondo fatto dei soliti riti e delle stesse, ripetitive, quotidiane intimità. Lo sapeva perché era la stessa, subitanea fantasia che aveva colpito lui nel guardarla stringere al petto due confezioni di Digestive, per cui avrebbe svenduto l'anima sin da bambina e la bottiglia del latte rigorosamente intero; ne aveva poi avuto la conferma quando aveva incrociato il suo sguardo assente e lei era arrossita violentemente, abbassando immediatamente gli occhi.


-Brady,- sua sorella Marika gli tirò leggermente la manica della camicia azzurra, ripescandolo a forza dall'abisso di pensieri nel quale era caduto durante quell'interminabile ed angosciante riunione di famiglia.

 

-Eh...scusate, stavo pensando ad altro.

 

-Ce ne siamo resi conto!- Lo appuntò il padre con tono severo. Si erano appena trasferiti nella veranda della nuova casa dei suoi suoceri, illuminata a giorno con mille lucine che si inerpicavano attorno all'edera rampicante sulla struttura di legno scuro, montate ed orgogliosamente mostrate agli ospiti dal Signor Murray nel dieci minuti precedenti. Tempo nel quale Brady, assolutamente disinteressato ed annoiato dalle tecniche casalinghe adottate dal suocero, era lentamente scivolato in quel limbo che sta a metà fra la realtà ed i propri pensieri, annuendo con finta accondiscendenza ogni volta che gli veniva posta una domanda sulla riuscita dei lavori -pessimi al suo occhio di architetto- eseguiti da una piccola impresa locale.

 

-Sembri stanco,- aveva incalzato la Signora Murray, rivolgendogli un occhiolino ammiccante.

 

A quel gesto Brady si era guardato intorno sgranando gli occhi stupito, domandandosi se per caso tale slancio confidenziale fosse rivolto a qualcuno dei suoi vicini. Suo cognato, per esempio, per il quale la madre di Hailey aveva un debole da quando, a pochi minuti dalla cena di presentazione ufficiale in famiglia, le aveva aggiustato al volo il Bimby senza il quale la sua vita sarebbe stata irrimediabilmente perduta. Da allora la signora gli aveva giurato eterna fedeltà, tormentando la figlia finché non aveva pronunciato il fatidico sì su un altare decorato da peonie rosate.

 

-Ti stanno torchiando a dovere quei ragazzetti di Chicago, eh?- gli domandò suo padre sollevando in sua direzione il bicchiere di brandy che il Signor Murray continuava a riempirgli, ignorando deliberatamente il tasso alcolico che stava crescendo proporzionalmente ai mezzi bicchieri pieni che si stava scolando dal termine della cena.

 

Prima che Brady potesse anche solo inviare al cervello l'impulso di annuire, la suocera rispose al suo posto, rivolgendogli un secondo, inquietante, occhiolino.

 

-Succede quando non si dorme abbastanza…

 

Brady le rivolse uno sguardo vacuo, sentendo nascere in lui la fastidiosa sensazione di ignorare qualche passaggio fondamentale della sua vita di cui, a quanto pareva, tutti gli altri commensali erano a conoscenza, compresa Hailey che, invece di ridere, lo scrutava con aria colpevole ed allarmata, stringendosi nella poltroncina fiorata nella quale si era rannicchiata per il freddo dopo la cena.

 

-E poi vedrai, sarà sempre peggio,- aggiunse suo cognato scuotendo la testa.

 

-C'é qualcosa che devo sapere?- domandò infine lui, scandendo le parole e fissando a turno i suoceri, le sorelle, i cognati e suo padre che continuava imperterrito ad ingurgitare brandy, sui cui volti erano stampati sette, identici, sorrisetti di comprensione.

 

-E dai, Brady, guarda che sappiamo tutto, non c'é bisogno di fare il misterioso con la tua famiglia. Hailey mi ha confidato il vostro piccolo segreto in cucina prima di cena!

Qualcosa gli puzzava di bruciato, anche se non erano decisamente i dolcetti della Singora Murray, visto il profumo che si spigionava dal vassoio di argento pesante su cui li aveva serviti. Ne afferrò uno divorandolo con voracità in un sol boccone, sentendo la vena della tempia sinistra pulsargli sempre più velocemente. Poi, come per ricevere conferma che quel mattone che gli si era materializzato nello stomaco non fosse solo il frutto della sua immaginazione, domandò con un filo di voce.

 

-Quale segreto?

 

-Ma il fatto che arriverà fra noi un piccolo Sanders, ovviamente!

 

Era una sua impressione o improvvisamente le lucine della veranda si erano staccate e avevano cominciato a rimbalzare davanti al suo naso? Tutta la situazione sfiorava il ridicolo e lui necessitava di qualcosa di estremamente forte per affrontare tutto quel casino. Allungò la mano verso la bottiglia di brandy che il Signor Murray aveva finalmente appoggiato sul tavolino e, senza troppe cerimonie, vi si attaccò, attingendo al liquido ambrato con sorsi profondi.

 

-Brady!

 

-Dalla faccia che ha fatto credo non ne sapesse nulla.

 

-No! Gli abbiamo rovinato la sorpresa!

 

-Però che bello, diventerò finalmente zia!

 

E mentre mille voci e commenti gli si accumulavano in testa e lui appoggiava la bottiglia scuotendo la testa, un inopportuno sbotto divertito gli sfuggì, prima di rendersene conto. Poi un altro, ed un altro ancora, fino che tali eccessi non si trasformarono in un'unica, lunga ed isterica risata.

E mentre tutti lo fissavano come se fosse pazzo, un'unica frase gli rimbombava in testa, impedendogli di fermare quel libero sfogo del nervosismo accumulato durante la cena: una, sola, inequivocabile richiesta urlata da Hailey, chiusa in bagno la mattina stessa:

 

Brady? Al supermercato ti ricordi che devo comprare i tamponi che mi é venuto il ciclo con qualche giorno di anticipo?

 

 

 

***

 

 

Un vecchio detto vuole che i panni sporchi si lavino in famiglia.

 

O famiglia allargata, nel caso dei Cooper. Forse sarebbe stato meglio definirli clan, se si pensava che sotto il tetto della grande villa bianca all'estremo ovest di Province Town erano riunite in quei giorni due delle famiglie più in vista di tutta Boston, i Cooper, naturalmente e i VanCamp, visto che Elinor in seconde nozze, aveva sposato Richard, il figlio del Senatore democratico Michael VanCamp.

 

In particolare, se avessero domandato ad Annie vi avrebbe risposto si, che i panni sporchi si lavano in famiglia, ma avrebbe puntualizzato che, di solito, questo avveniva a tavola. Da quando aveva memoria, in casa Cooper le litigate più grandi si erano risolte attorno al grande mobile in stile impero che troneggiava al centro della sala: le continue ed estenuanti discussioni fra lei e sua madre sul suo modo di atteggiarsi, sulla sua enorme passione per lo sport, sulle sue discutibili decisioni in materia di studi, sulla scelta della scuola superiore, dell'università, persino dei vestiti. Sul suo essere, sempre e comunque, una Morgan prima che una Cooper. Ora che ci pensava, anche la prima grande crisi dei suoi genitori era avvenuta durante una cena del Ringraziamento, sotto gli occhi increduli di tutta la famiglia.

 

Landon, invece, non sarebbe stato della stessa opinione, ma questo solo perché non aveva ormai più memoria di un pasto in cui i suoi genitori, suo fratello e lui, si erano seduti allo stesso tavolo, in un'occasione che non fosse ufficiale. Inoltre non avrebbe mai sostenuto che i panni sporchi si lavano in famiglia, dal momento che da quando era nato sentiva i pettegolezzi e le dicerie sui Campbell rimbalzare di bocca in bocca, apprendendoli ingigantiti e farciti di particolari falsi e tendenziosi prima dai suoi compagni di classe che dai suoi stessi genitori.

Era stato forse per questo che aveva sottovalutato i problemi che evidentemente, negli ultimi giorni in cui era stato assente, avevano appesantito il rapporto fra Nicole e suo fratello. Lontano dalle malelingue di New York, tutto aveva un'aria così intima e domestica, che anche le allarmanti richieste di aiuto che la ragazza gli aveva mandato gli erano apparse le semplici e innocue scaramucce di una coppia ormai consolidata.

 

La ragazza, tuttavia, come avevano potuto notare distintamente sia lui che Annie durante il pasto, si era dimostrata nervosa e assente, ridacchiando distrattamente alle pessime battute del Signor Campbell e del Signor VanCamp ed estraniandosi spesso dalla conversazione; questo, ovviamente, prima che questa arrivasse all'inevitabile argomento, quello che tutti si aspettavano: i fiori d'arancio.

 

Ad Annie coglievano acuti attacchi di nausea al solo pensiero: sua cugina aveva una carriera, un patrimonio alle spalle e un uomo di fianco. Le sue preoccupazioni oscillavano su quale appartamento dell'Upper East Side fosse il più consono alla giovane coppia e se lasciare o meno il suo lavoro da Vogue una volta sposata.

Lei viveva in un appartamento a Camden Town perennemente invaso dalla puzza di fritto della cucina cinese dei suoi vicini, senza sapere spesso come arrivare a pagare l'affitto del mese, con quattro coinquilini che avevano fatto di Peter Pan un esempio di vita. Anzi, tre, dal momento che il quarto aveva deciso che il ruolo del bimbo sperduto non faceva più per lui e aveva accettato un lavoro a Tokyo, mettendo così fine all'unica storia seria che avesse avuto nella sua vita. Se avesse avuto un briciolo di onestà intellettuale avrebbe ammesso che era stata lei ad abbandonare per prima la nave, dal momento che quella relazione a distanza cominciava a fare acqua da tutte le parti, a causa del suo categorico rifiuto di seguirlo, ma l'intera faccenda bruciava ancora troppo perché lei riuscisse ad analizzarla con raziocinio.

C'era qualcosa che la turbava profondamente in quella situazione, e il fatto che Landon, di fianco a lei, non facesse altro che tentare di riparare ai danni commessi mostrandosi più gentile e carino del solito, non faceva che peggiorare la situazione.

 

-Allora,- intervenne Elinor, coprendo con la sua voce squillante il perpetuo chiacchiericcio che aveva animato la serata fino a quel momento e rivolgendosi a Nicole e David, -a quando il lieto evento?

 

Fu allora che Annie e Landon incrociarono finalmente lo sguardo preoccupati, bloccando le posate a mezz'aria. Nessuno dei due, tuttavia, fece in tempo a trovare un modo per sviare l'attenzione da quella domanda spinosa che David, che dopo essersi schiarito la voce ed essersi finto sorpreso dalla domanda, appoggiò solennemente una mano su quella di Nicole, rispondendo infine che mancava ormai molto poco.

 

Nicole, invece, che alla domanda di sua zia si era guardata intorno smarrita e raggelata alla ricerca di una conferma del fatto che si stesse parlando proprio di lei, saltò sulla sedia rispondendo lugubre,-veramente non ci abbiamo ancora pensato.

 

-Ma tesoro,- cinguettò Elinor, -siete una coppia ormai da tempo e vivete in pratica insieme, giusto David? Perché non ufficializzare la cosa?

 

La questione si metteva male.


-Giusto, quale occasione migliore?- domandò David, sfoggiando il suo migliore sorriso e inginocchiandosi con studiata solennità ai piedi di Nicole.

 

-Nicky, avevo pensato di dartelo più tardi, ma visto che siamo in famiglia e che tutti non attendono altro...vuoi diventare mia moglie?

 

Annie osservò sbalordita David aprire una scatola rossa bordata di oro di Chopard, ed estrarne un anello il cui valore avrebbe probabilmente pagato tre anni del suo affitto a Londra -e forse ne sarebbero pure avanzati-. Senza attendere che Nicole gli rispondesse, glielo infilò al dito, fermandosi a contemplare l'espressione sgomenta con cui la ragazza fissava la sua mano sinistra.

 

In quel momento successero molte cose contemporaneamente: sua zia, sua madre e la Signora Campbell scattarono in piedi emettendo strilli di gioia che probabilmente sarebbero stati uditi anche giù a Herring Cove, mentre i tre capofamiglia si scambiarono ridicoli sguardi di approvazione.

 

Nemmeno fossero due famiglie di mafiosi sul punto di unirsi, pensò Annie.

 

All'altro capo del tavolo, Sam, che aveva finalmente trovato nella conversazione tutto il pepe che era mancato ai discorsi fino a quel momento, fissava Nicole con malizia e trepidazione, mentre Jamie, colto il panico negli occhi della cugina, sembrava aver deciso che, dopotutto, continuare a ingozzarsi di branzino era la soluzione più logica.

Landon, per parte sua, prese la testa fra le mani e mormorò accasciandosi sulla sedia.

 

-Oh, Signore!

 

Lo sguardo di Annie infine, nel caos generale, corse al viso di sua cugina e ciò che vide la sconvolse a tal punto che non poté fare altro che accasciarsi ancora più che Landon sulla sua sedia: il viso lentigginoso, dove fino a qualche giorno prima avrebbe scommesso di veder dipinto il ritratto della felicità a una tale proposta, era sconvolto. Nicole aveva gli occhi sbarrati e un sorriso di palese circostanza che la paralizzava, mentre come in trance continuava ad annuire e a lasciarsi abbracciare da tutti i convitati.

 

- questo quello che vuoi?- le aveva sussurrato in un orecchio, quando era infine venuto il suo turno di stringerla, premurandosi che nessuno la sentisse.

 

Nicole le aveva affondato il viso nel collo, sprofondando nel suo abbraccio.

 

-Io...non so più niente, Annie.

 

 

***

 

 

-Spiegami perché lo hai fatto.

 

Finalmente dopo alcuni lunghissimi minuti di silenzio totale, Brady trovò il coraggio di dare inizio a quella conversazione che non poteva in alcun modo essere più rimandata. Aveva guidato per qualche miglio, lasciando che dal finestrino aperto circolasse l'aria, poiché gli sembrava che in un istante l'ossigeno intorno a lui si fosse dimezzato, lasciandolo senza fiato. Aveva stretto il volante fino a farsi divenire le nocche bianche, cambiato nervosamente le tracce del cd di Bon Iver sfilato e rinfilato più volte nel vano dell'autoradio, mentre Hailey accanto a lui fissava la strada scorrere davanti a sé, senza trovare la forza di voltarsi per scoprire l'espressione dipinta sul volto del marito.

 

-Io… non so cosa mi sia saltato in mente,- sussurrò la ragazza sfiorandogli il braccio delicatamente

 

-Mia sorella é di nuovo incinta e mia madre mi aveva già sferrato due attacchi, quando siamo arrivati e mentre controllavo l'arrosto nel forno... E poi non le ho detto che sono incinta, le ho confidato che avevo qualche giorno di ritardo...

 

Provò a sorridergli con scarsa convinzione, forse più per infondersi coraggio e stemperare il panico crescente che le ribaltava lo stomaco. Ma quel piccolo gesto non servì a nulla, perché Brady continuò ostinatamente a fissare la strada, mentre le patate arrosto di sua madre non dettero alcun segno di invertire la loro risalita lungo l'esofago.

 

-Hailey,- cominciò lui con un soffio, sospirando nel tentativo di calmare il tremolio delle mani che manteneva saldamente arpionate al volante. Tentava di mantenere un tono calmo e ragionevole, ma la voce gli tremava e, se avesse potuto, avrebbe cominciato ad urlare.

 

-Mi spieghi come mentire su una cosa simile possa mettere a tacere le smanie di tua madre? Sei consapevole del fatto di avere solo peggiorato le cose e che da domani ce la ritroveremo in casa a prendere le misure per lettino e fasciatoio, vero? Non ti lascerà più vivere a meno che...

 

-A meno che non ci proviamo sul serio,- lo interruppe lei con un sussurro.

 

A quella folle proposta Brady sentì svanire d'un tratto tutta la calma che aveva stoicamente mantenuto ,mentre le braccia cominciavano a tremargli così forte da non riuscire più a mantenere dritto il volante. Accostò lentamente, fino a che non ebbe completamente arrestato la sua Fiesta al ciglio della strada.

 

-Non siamo in grado di affermare con certezza se domani ci saremo ancora io e te e tu spacci ai nostri genitori per quasi certa l’esistenza di un terzo componente di questo delirio?

 

-Un tempo era il tuo più grande desiderio,- azzardò Hailey con un filo di voce.

 

-Un tempo nemmeno ipotizzavo che saremmo arrivati a questo punto!- sbottò il ragazzo senza più curarsi di rivolgersi con fermezza.

 

-Magari é proprio quello che ci serve, un incentivo a fare funzionare le cose.

 

Sempre più basito dalla folle proposta di Hailey, Brady si frizionò le tempie lentamente. Sapeva che la ragazza stava parlando senza riflettere, forse arrabbiata, come lui, o meglio, spaventata, ma non riusciva più a fingere di darsi un contegno. Avrebbe voluto andarsene sbattendo la portiera, lasciandosi alle spalle tutto quell'assurda situazione che si era creata per colpa esclusivamente loro, che non avevano saputo arginare i danni prima che questi divenissero incontenibili. Ondate di dubbi lo assalivano, facendolo oscillare pericolosamente fra l'istinto di tirare avanti, come aveva sempre fatto e mollare tutto lì, sul ciglio di quella statale illuminata a giorno, sulla quale continuavano a passare macchine cariche di ragazzi diretti ai locali della zona, lontani mille miglia da quell' intricata realtà che loro due, forse troppo giovani, stavano esplorando in punta di piedi. Tuttavia, nonostante quella tempesta emotiva annebbiasse la sua capacità di raziocinio, riuscì ancora a trovare il modo di rispondere con incredibile lucidità.

 

-Stiamo parlando di un bambino, Hailey, lo capisci vero?

 

-Da quando mettere su famiglia non rientra più nei tuoi piani?- continuò Hailey, portando ostinatamente avanti la folle crociata in cui si era imbarcata.

 

Tanto a questo punto non ho più nulla da perdere, si era mentalmente risposta. Tutto, anche una feroce litigata, sarebbe stato meglio di quegli eterni momenti di agonia in cui non riuscivano a comunicare, quasi nemmeno per salutarsi prima di una giornata di lavoro. Nelle ultime settimane il loro rapporto si era irrimediabilmente frantumato in mille pezzi e lei non aveva fatto altro che guardare entrambi ferirsi e tagliarsi con i cocci senza profferire verbo. Aveva lasciato che le cose scorressero, assecondando i suoi silenzi, forse per convenienza, forse perché nemmeno lei riusciva a trovare più la spinta per recuperare quella frana di fango e detriti che li stava travolgendo entrambi, senza che nessuno dei due riuscisse a fare qualcosa per arginare i danni.

 

-Hailey, per favore, non imbarchiamoci in una discussione da cui non usciremmo indenni.

 

-E perché no? Qualunque cosa sarebbe meglio di questo schifo!

 

Brady si voltò finalmente a fissarla in quegli occhi verdi che si stavano riempiendo di lacrime. In altri momenti vederla così sconvolta lo avrebbe convinto a calmarsi, per il bene di entrambi, ma la rabbia crescente faceva sì che non riuscisse a fermarsi o quantomeno a mordersi la lingua, prima di dire cose di cui si sarebbe pentito.

 

-Mi stai dicendo che fare un figlio solo per accantonare i problemi che ci sono fra noi sarebbe una soluzione ragionevole? Ti rendi conto di che razza di idiozia stai dicendo?

 

-Io almeno ci sto provando a trovare una soluzione!- urlò Hailey d'un tratto, cogliendolo di sorpresa. -Almeno non me ne sto lì in silenzio, chiusa nel mutismo più assoluto, allontanandomi sempre di più come stai facendo tu! Ti rendi conto di cosa voglia dire avere accanto una persona che non comunica, non ti dice cosa che non va, che non trasmette alcun tipo di emozione, lasciando che ciò che non funziona nella sua vita lo faccia sempre più a pezzi?

 

-Ti prego Hailey, piantala. Non sai quello che dici.

 

-Si che lo so invece! So che ormai viviamo sotto lo stesso tetto come due estranei, che ogni giorno ci svegliamo domandandoci cosa abbiamo ancora in comune e perché stiamo ancora condividendo lo stesso letto, quando é evidente che non abbiamo più nulla in comune, perché tu mi stai tagliando fuori dalla tua vita, dalle tue paure, dalle tue difficoltà!

 

-Credi che sia facile per me, Hailey? Sentiamo! Ogni giorno mi alzo, preparandomi ad affrontare una vita che non mi sono scelto, portare avanti un'attività che odio, in una città che detesto ancora di più, solo perché non ho altre alternative, se non quella di sparire lasciando nella merda la mia famiglia!

 

Hailey lo fissò stringendo gli occhi con rabbia,

 

-Ma pensi di essere l'unico? Secondo te io sono felice di starmene qui tirando avanti con lezioni private e una cattedra di sei misere ore come supplente di francese? Però mi alzo e gioisco di questo schifo di lavoro, perché é l'unico che mi permette di starti accanto!

 

Brady aprì la bocca più volte, incapace di trovare una risposta adeguata.

 

-E ora cosa mi rimane, eh?- continuò la ragazza, con il volto rosso e la voce spezzata dall'angoscia e dal pianto che ormai era incapace di trattenere. -Che mi resta ora che anche l'unica persona che mi lega a questo buco di città si sta allontanando sempre di più da me, senza che io trovi la strada per raggiungerlo, per ricondurlo a casa?

 

Qualcosa nella testa di Brady gli diceva che sua moglie aveva ragione, ma non si spiegava perché una parte di sé rifiutava la mera verità che gli stava ponendo dinnanzi e tentava di imputarle tutti gli errori per non dovere ammettere di essere stato lui, fra i due, a prendere tutte le scelte sbagliate.

 

-Perché ti addossi la colpa, quando é evidente che il problema stia in me?

 

-Perché non sto facendo nulla per ricordarti che la tua vita é questa ed aiutarti a viverla serenamente.

 

-Lo vedi che stiamo parlando di me?

 

Hailey lo fissò smarrita.

 

-Ho detto questo?

 

-No, ma me lo hai fatto chiaramente capire.

 

La ragazza abbassò la testa trattenendo a stento un singhiozzo: sapeva che quello che stava facendo non era giusto, perché se le cose andavano male fra loro era sì colpa di Brady, ma anche sua, che aveva lasciato che la situazione peggiorasse fino a divenire irrimediabile. Forse per convenienza, forse per reale incapacità di affrontare una problema più grande di lei, era stata a guardare, mentre lui si allontanava sempre di più, giorno per giorno. Non gli aveva domandato nulla quando, mesi prima, la sua assenza aveva cominciato a farsi sempre più evidente, quando, sera dopo sera, era rientrato sempre più tardi, dopo aver passato tutto il giorno fuori in barca, o in compagnia di Scott. Aveva assecondato il suo distaccarsi, imparando a ritagliarsi una vita sempre più sua, con maggiore indipendenza e libertà, senza mai arrendersi all'evidente verità che ormai si stavano entrambi costruendo vite separate. E quando lui per primo aveva tentato di rimettere a posto le cose, prendendo la decisione di rimanere nonostante tutto, lei l'aveva quasi vissuta con fastidio, come un'ingerenza da parte di un estraneo che nulla ormai più sapeva della sua vita. A dispetto di tutto però, Brady era rimasto lì, almeno fino a qualche settimana prima, quando quella variabile chiamata Annie non era tornata a sconvolgere il precario equilibrio dell'andamento discontinuo del loro matrimonio e la situazione era precipitata. Ma anche allora, lei era rimasta a guardare.

 

-Senti, Hailey, io così non ce la faccio più, mi sembra di impazzire, mi sembra che ci stiamo facendo solamente del male a vicenda.

 

-E...quindi?- gli domandò lei con voce tremante.

 

-E quindi...non lo so. Credo che dovrei pensarci su.

 

La ragazza annuì silenziosamente, ritenendo la sua scelta la più opportuna, in quella situazione opprimente.

 

-Che ne dici se ti lascio la macchina e torno a casa a piedi?- le propose lui. -Magari ci sarà bene schiarirci le idee da soli.

 

-Non c'é bisogno, vado a piedi. Lo sai che mi piace riflettere camminando.

 

-Sei sicura?

 

Hailey non rispose, ma gli lasciò un bacio frettoloso sulla guancia prima di uscire dalla macchina silenziosamente, accompagnando la portiera con le mani tremanti. Mosse qualche passo verso la strada, incrociando i lembi del maglioncino verde sulla pancia per scaldarsi, poi d'improvviso si bloccò, voltandosi verso di lui di scatto, come se avesse dimenticato qualcosa. Brady, che l'aveva osservata allontanarsi assorto nei suoi pensieri, a quel gesto sollevò la frizione quel tanto che bastava per accostarsi a lei, abbassando il finestrino quando la vide sporgersi verso di lui, infilare la testa dentro l'abitacolo e sussurrargli con tono supplichevole:

 

-Non fare niente di cui potresti pentirti.

 

Poi, senza attendere una sua risposta, Hailey si allontanò veloce, distogliendo lo sguardo dalla sua espressione sorpresa, cristallina testimonianza che quella che si ostinava a vedere come una piccola ossessione era invece, la mera realtà: quel piccolo fantasma dagli occhi azzurri che aveva sempre ombreggiato il loro rapporto aveva acquisito consistenza e bussato infine alla sua porta. E, per quanto le costasse ammetterlo, era stata lei stessa ad aprirle ed invitarla ad entrare con tanto di té e pasticcini a rendere più calorosa la sua ospitalità.

 

 

***

 

 

Landon era stato assorto e sovrappensiero tutta la sera, dapprima imputando il suo disagio alla stanchezza, al caldo afoso di quella serata di giugno, al collo troppo stretto della camicia in cui si era infilato a forza dopo il viaggio in aereo, e persino alla pesantezza del costosissimo vino rosso toscano che il padre di Nicole aveva fatto servire assieme alle tartine.

La realtà era però che in fondo la sola cosa che lo faceva sentire davvero a disagio era il bruciante senso di colpa che provava dal momento in cui Annie aveva risposto con un piatto ciao ed una scrollata di spalle al suo tentativo di approccio.

 

Se a questo si aggiungeva il fallimento su tutta la linea della cena perfetta che sanciva l'ancora più perfetta unione di David e Nicole, non risulta difficile credere che l'unica sensazione che il ragazzo aveva provato dinnanzi al dessert a base di semifreddo ai frutti di bosco fu l'impellente bisogno di fuggire in bagno a vomitare.

Alla luce dei fatti che si erano susseguiti nel corso della serata, pensava Landon roteando il bicchiere di whiskey con il quale intendeva dimenticare definitivamente le tensioni accumulate, non riusciva a capire una cosa: perché Nicole si era mostrata così sconvolta alla proposta di suo fratello? Se le avessero rivolto la domanda due settimane prima avrebbe snocciolato uno dietro l'altro i nomi dei migliore wedding planners che avrebbe contattato per la cerimonia, nonché l'interminabile lista di invitati, già passati in rassegna consultando l'albero genealogico di entrambe le famiglie, sin dalla prima uscita con David.

 

E perché era praticamente scoppiata a piangere quando il fidanzato le aveva accennato all'idea che lei potesse finalmente smettere di lavorare una volta sposati? Non le aveva sentito dire altro da quando l'aveva conosciuta: quando mi sposerò desidero smettere di lavorare, per crescere i miei figli ed occuparmi della loro educazione. Io ho avuto questa enorme fortuna e penso che non vi sia regalo più grande da parte di un genitore...e altre cazzate simili.

 

Dove stava dunque il problema?

 

Tutte queste questioni lo avrebbero distratto dal clima teso e dai nauseabondi sorrisi e le moine che si stavano facendo la madre di Nicole, quella di Annie e la sua, le uniche perfettamente a loro agio in mezzo a una banda di figli dall'età assortita completamente impegnati ad elaborare fughe salvifiche, se non fosse stato per il tormento che provava a vedere Annie schivare con incredibile abilità ogni occasione di approccio che lui coglieva per avvicinarla.

 

Fu così che, mentre lui ancora rifletteva sugli avvenimenti della serata, lei batté lievemente le mani sulle cosce e si sollevò dal divano attorno al quale le tre famiglie si erano riunite a chiacchierare dopo aver finito di cenare; dopo aver abbozzato qualche scusa sul fatto che doveva tornare a casa perché il giorno dopo il padre sarebbe stato impegnato e a lei toccava il turno della colazione al Brass Key, se ne andò, lasciandolo come un cretino, con la mano sollevata a mezz'aria in un cenno di saluto non ricambiato. Tuttavia, dopo qualche istante di stupore, incurante degli sguardi ammiccanti delle donne adulte di casa Cooper e di quello scocciato di sua madre che di certo non approvava che corresse dietro a quella ragazza così inopportuna, l'aveva seguita fuori dalla porta.

 

-Annie, fermati,- la supplicò mentre le afferrava la mano, obbligandola a voltarsi.

 

-Mi dispiace, Landon, ho molta fretta, domani devo svegliarmi presto.

 

-Ti prego, vuoi ascoltarmi? Mi dispiace di non averti chiamata, davvero.

 

-Senti, non c'é problema, non siamo mica fidanzati! Non ho passato la settimana attaccata al telefono aspettando una tua chiamata, un tuo sms...

 

-Ah, no?- le domandò lui con un lampo di malizia negli occhi.

 

-No,- replicò lei, sostenuta.

 

-Farò finta di crederti.

 

-Ok, l'ho fatto, va bene, ma non é questo il punto!- protestò lei alzando la voce. Sentiva lacrime di rabbia pungerle gli occhi, ma non sapeva nemmeno associarle ad un preciso sentimento.

 

-E quale sarebbe il punto?- le domandò lui avvicinandosi e piegando la testa per osservarla attentamente.

 

Annie ridacchiò nervosamente.

 

-Il punto é che l'ho fatto davvero e ora mi sento una stupida! Anzi, lo sono! Una stupida, cretina che si illude e si costruisce castelli in aria vedendo cose che non esistono!

 

Landon si sciolse in un sorriso, sentendo le spalle abbassarsi mentre una parte della tensione accumulata durante la serata, svaniva d'un tratto.

 

-Cose di che tipo?- le domandò, sfiorandole con un pollice la guancia, su cui stava lentamente scorrendo una delle lacrime sfuggite all'autocontrollo della ragazza.

 

-Boh. Te l'ho detto, sono una stupida. Una stupida ritardataria, per giunta.

 

Fece per andarsene, schivando l' ingombrante presenza che le troneggiava dinnanzi, ben piantata sulle gambe lievemente divaricate.

 

-Ma io mica ho finito,- le disse Landon, bloccando con un braccio la sua fuga. La fissò per qualche istante, poi prendendo coraggio, le passò una mano dietro al collo per avvicinarla a sé e la baciò.

 

Sentì la sua rigidezza iniziale, probabilmente dovuta allo stupore, svanire nell'istante in cui Annie sollevò le mani appoggiandogliele sul torace, per poi farle risalire stringendosi forte a lui e circondandogli il collo con le braccia. Fra le sua braccia Annie sembrava così piccola che Landon la sollevò facendola risalire sul primo gradino del grande patio antistante la casa dei Cooper. Poi, baciandole la fronte con un sospiro misto di gioia e sollievo, la fissò negli occhi e le disse con tono severo:

 

-Se ti sento affermare nuovamente la tua stupidità, allora ti lascerò andare.

 

Annie gli sorrise, sfiorandogli la punta del naso.

 

-io devo tornare a casa, davvero. Mi chiedevo....ti andrebbe di venire con me?-

 

-Direi di si,- le rispose armeggiando nella tasca della giacca, -anche perché mi trovo con questi in tasca e credo che tu debba aiutarmi a finirli. Da solo non ce la farei, il dolce mi ha steso...

 

-Cosa sono?- le domandò lei incuriosita.

 

-Il mio piano B, nel caso che l'A non avesse funzionato.

 

Annie rise, osservando la rossa scatola dei suoi biscotti preferiti emergere dalla tasca interna della giacca di Landon, lievemente ammaccata. Sospirò, al pensiero della fragilità dei Digestive, ma decise di soprasedere: non era quello il momento di un'arringa in difesa della sacralità del cibo.

 

-E qual'era il piano A?- gli domandò invece, fissandolo negli occhi.

 

-Mi sembrava evidente,- le rispose baciandola nuovamente.

                               

 

***

 

 

 

Scott aveva appena stappato una birra ghiacciata e si era comodamente stravaccato sul divano, pronto a prendere sonno davanti alla televisione, schiacciando annoiato i pulsanti del telecomando alla ricerca di qualcosa abbastanza orribile da farlo crollare in pochi secondi, quando un rumore di passi leggeri lo distrasse. Tese le orecchie per capire da dove provenisse, poi, non sentendo più nulla, liquidò la questione mormorando fra sé e sé che sicuramente doveva essere un gatto randagio che si era avventurato sulla sua veranda.

Sprofondò dunque di nuovo fra i cuscini, concentrando la sua attenzione sullo schermo, dove Serena Var Der Woodsen faceva gli occhi dolci dentro un ascensore a...come si chiamava l'ennesimo biondino che cadeva vittima delle sue gambe chilometriche? Era il professore di letteratura o il belloccio maledetto che si azzuffava sempre con Nate Archibald?

 

- Anderson!- urlò una voce da dietro il vetro.

 

Accarezzando per un secondo l'ipotesi che quella fosse la risposta al dubbio che lo tormentava, schiacciò il pulsante del volume, sbadigliando sonoramente e allungando le gambe sul tavolino di legno scuro davanti a lui.

 

Tripp Vanderbilt! Si ricordò all'improvviso. Il burattino senza spina dorsale nelle mani della moglie e del nonno!

 

-SCOTT DANIEL ANDERSON! Vuoi muovere quel culo e venirmi ad aprire?

 

Controvoglia si alzò e si diresse verso la veranda dove Nicole, in pigiama e infradito, lo fissava con aria minacciosa.

 

-Che vuoi, Cooper?- Le domandò, aprendo uno spiraglio della porta finestra.

 

-Mi fai entrare?

 

-No, sono impegnato,- le rispose voltandole le spalle.

 

-Scott, ti prego...

 

C'era qualcosa di diverso nel tono solitamente fermo e deciso di Nicole. Era lo stesso che le aveva incrinato la voce quel pomeriggio, quando l'aveva liquidata dicendole che non erano amici e che mai lo sarebbero stati; era quello di una persona sul punto di scoppiare a piangere.

 

-E va bene. Sappi però che se mi sono perso il momento clou in cui quella vacca di Serena si fa anche il politicastro la pagherai cara,- la minacciò lasciandola entrare. 

 

Nicole entrò, si rannicchiò sul divano e, senza chiedere il permesso, cominciò a sorseggiare la birra che Scott aveva abbandonato sul tavolino della salotto: sembrava talmente sconvolta che Scott dovette più volte sgranare gli occhi per accertarsi che quella ragazza completamente struccata, in pigiama e con i capelli raccolti alla meglio sopra la testa che si era appena intrufolata in casa sua fosse davvero la stessa che lo aveva salutato qualche ora prima, stretta in un elegante vestito bianco e acconciata in maniera impeccabile.

 

-Serata impegnativa?- le domandò, riducendo al minimo il volume della televisione.


Nicole sorseggiò avidamente dalla bottiglia, fissando lo schermo da cui continuavano a scorrere le immagini mute.


-Non immagini quanto.


Scott prese silenziosamente posto accanto a lei; aveva la netta impressione che la ragazza volesse aggiungere qualcosa e che quella piccola ammissione non fosse altro che l'inizio dell'ennesimo discorso che li avrebbe portati a vedere nascere il sole, come più volte era capitato negli ultimi giorni. Si mise comodo, sollevandosi il cappuccio sulla testa tentando di convincersi che, dopotutto, dormire fosse un'attività comunemente sopravvalutata.


-Ho come l'impressione che anche oggi faremo l'alba,- insinuò, voltandosi a fissarla.


Nicole gli sorrise timidamente.


- un problema?


-Nient'affatto, però devi farmi una promessa. Metti la mano sul cuore e incrocia gli occhi.


La ragazza scoppiò a ridere apertamente alla vista di Scott che mimava il solenne giuramento che facevano sempre da bambini,


-Non incrocerò gli occhi né mi presterò alle tue idiozie, Anderson!


-E allora io vado a letto. Ciao ciao!

 

Fece per alzarsi, ma Nicole lo bloccò tirandolo per la manica della felpa con pochissima grazia. Crollò a fianco a lei, beandosi come un adolescente al contatto con la sua pelle.
La ragazza rimase un qualche istante ad osservarlo mantenere il broncio.


-D'accordo, Anderson, cosa vuoi che prometta?


-Niente di grandioso,- replicò lui serio, incrociando le braccia dietro la testa ed allungandosi sulla schiena, con fare vago. -Gradirei solo che alla fine della nottata tu condividessi con me i tuoi segreti di bellezza.


-Io...cosa?- rispose confusa.


-Si, sai come fanno le amiche durante i pigiama party... qualche cetriolo sugli occhi, un po' di camomilla...insomma qualunque diavoleria tu usi che ti fa apparire così radiosa anche dopo una notte di veglia.


Si bloccò d'un tratto, realizzando di aver dato troppa corda ai liberi pensieri che vagavano nella mente. Arrossì come un ragazzino, mentre Nicole abbassava la testa, torturandosi le labbra per l'imbarazzo e spostandosi i capelli da un lato all'altro del viso. Approfittando del suo tacere, Scott ricominciò a parlare, tentando di rompere quel silenzio carico di trepidazione che era calato fra loro.


-Perché non mi ci vedresti con una bella maschera alle alghe sul mio bel faccino?- domandò schiaffeggiandosi lievemente il viso con aria compiaciuta.


Nicole scosse la testa amareggiata,


-Ma tu proprio non riesci a starci serio per un minuto?

 

-Hai solo paura che diventi più bello di te,- rispose assumendo un'aria civettuola e fingendo di cotonarsi i capelli.

 

A quel gesto Nicole rischiò seriamente di strozzarsi con l'ultimo sorso di birra. Tossicchiò per qualche breve istante, per poi farsi seria d'improvviso e domandargli,

 

-Posso chiederti una cosa, Scott?

 

-Mi chiami per nome, dev'essere un discorso serio....devo preoccuparmi?

 

-Hai mai...no, niente, lascia perdere.  una cosa stupida.

 

Nicole scosse la testa, dedicandosi con meticolosità allo strappo macchinoso delle pellicine attorno alle unghie.

 

-Perché? Niente che valga la pena di sacrificare i polpastrelli può essere così stupido...

 

Le spostò lentamente la mano dalla bocca, reprimendo il desiderio intrecciare le dita alle sue. Cominciò o giocherellare con i laccetti del cappuccio, osservandola assorto mentre si perdeva in una delle riflessioni che gli avevano tolto il sacro rito del sonno negli ultimi dieci giorni.

Nicole esitò qualche istante, sfiorandosi con il pollice l'anulare sinistro, da cui si era strappata l'anello di fidanzamento, abbandonandolo sulla scrivania prima di sgattaiolare in silenzio fuori di casa.

 

-Hai mai avuto la sensazione di stare vivendo una vita non tua? Quella fastidiosa impressione di essere come un attore calato perfettamente nella parte, e che in realtà il tuo destino stia ad osservarti da dietro le quinte?

 

-Non ti seguo.

 

-A volte mi assale l'idea di essere dentro ad una messa in scena di cui conosco già la perfetta trama. Tutto va come da copione: lavoro, vita privata, grandi avvenimenti. Ma ho l'impressione di essere su un palco nel bel mezzo di una rappresentazione patinata di me stessa; vorrei solo sgattaiolare dietro una tenda ed iniziare quella vita vera che ho sempre la sensazione che mi attenda una volta svestiti i panni quella ragazza che ho interpretato finora. Solo che lo spettacolo non smette mai e rimango lì a bocca asciutta, a rodermi nel costante desiderio che arrivi un punto di svolta, qualcosa che possa veramente coinvolgermi. Non é una questione di finzione e non sto tentando di convincerti che quella che mostro al mondo non la vera io, perché io sono davvero come sembro. E riconosco che il più delle volte non mi piaccio, ma sono fatta così. Parlo proprio di quello che mi aspetta nella vita: ho sempre l'idea che quello che faccio sia qualcosa di momentaneo, precario, che occupi il mio tempo finché non scoprirò davvero quale sarà il mio futuro. Un passatempo, insomma.

 

-Niky, non ti seguo. Non ti sta bene quello che hai perché non ti sembra che sia reale?

 

-Io suppongo di...no. Cioé, più vero di cosi! Ho tutto quello che una ragazza potrebbe desiderare...

 

-Perché tutto ciò mi suona come una domanda e non come un'affermazione?

 

Non ricevette risposta. Nicole fissava dritto davanti a sé, ma Scott ebbe la subitanea impressione che non stesse guardando nemmeno la televisione ammutolita. Stava scorrendo le immagini di una vita passata, del tempo trascorso con l'espressione di chi osserva un film la cui pellicola é stata consumata a furia di essere guardato e riguardato: il capo reclinato sulla destra, il volto impegnato a cercare qualcosa di più nella storia, perché la trama, le battute, i personaggi, li conosce già a memoria.

 

-Voglio dire...hai un lavoro meraviglioso, una casa di proprietà nel cuore di Manhattan, una laurea in una delle Università più prestigiose di tutto il paese...,- si interruppe, indeciso se continuare, toccando quel tasto che doleva a lui più che a Nicole. -Hai David...

 

-Ho David, - ripeté lei assorta sfiorandosi nuovamente la mano sinistra.

 

-Milioni di ragazze ucciderebbero per essere al tuo posto, lo sai?- Le sfiorò il braccio delicatamente, desiderando di essere in grado di fare di più. La vedeva veramente affranta per la prima volta nella sua vita e la sua fragilità lo spiazzava. Stava quasi per abbracciarla, quando Nicole scrollò lo testa, ritrovando lo spirito mordace che la caratterizzava.

 

-Cioé appollaiate sul divano di un petulante e saccente grissino con capacità motorie?

 

Scott rise apertamente abbassando lo sguardo sulle ginocchia, fingendosi incredibilmente interessato al buco che gli si era aperto sui jeans sdruciti nell'arrampicarsi fino in cima al tetto di casa Cambell quel pomeriggio.

 

-Sai Niky, c'é una cosa che amo di te.

 

-Una sola?- lo incalzò lei ne vederlo arrossire violentemente sino all'attaccatura dei capelli.

 

Era quello il bello di Scott: non aveva peli sulla lingua e, di questo era certa, sarebbe stato in grado di mantenere serietà e compostezza persino nel raccontare al Presidente Obama in persona una delle sue panzane; eppure le sue guance si tingevano ancora di rosso come quelle di un bambino ogni volta che lei lo guardava intensamente. Quando erano alle elementari e si ritrovavano soli loro due a tenersi compagnia nelle lunghe notti in campeggio, perché Annie e Brady sgattaiolavano fuori dalla tenda per combinarne una delle loro.

E lei, in quel momento come allora, avrebbe passato ore a guardare i suoi occhi accendersi e il suo viso infiammarsi: osservarlo era come vedere riflessa sé stessa da bambina, quando ancora non vi erano imperativi morali, obblighi che lei stessa si era imposta pur di ottenere quella vita che tutti desideravano, ma che ora le appariva vuota e senza significato dinnanzi a quella sensazione di tenerezza, di calore e di sicurezza che provava ogni volta che incrociava lo sguardo di Scott.  Dove era finito tutto quell'affetto che provava per lui da piccola? Era come se qualcosa si fosse congelato e fosse rimasto lì, intrappolato fra la sua ambizione ed il desiderio di una vita che non l'appagava mai completamente. E lì, nel momento in cui percepiva che tutte le certezze ed i desideri su cui aveva costruito l'intera esistenza stavano crollando, non riusciva a vedere che quegli occhi che tremavano di imbarazzo, di desiderio, di affetto.

 

Non c'era più Nicole, non c'erano Scott, David, anelli da migliaia di dollari abbandonati su una scrivania, famiglie ingombranti. C'erano solo una ragazza che riscopriva sé stessa ed un ragazzo che aveva aspettato a lungo in silenzio che venisse il suo momento. Non riusciva a credere di aver fatto tutta quella strada, per poi sentirsi di nuovo una bambina impacciata, tremante, ed immobile, mentre il naso di Scott sfiorava il suo e sentiva, infine,il tocco delicato delle sue labbra.

 

Erano tornati al punto di partenza, insieme.

 

Chiuse gli occhi nell'istante in cui lui, preso coraggio le posava una mano sulla guancia, per poi spingersi fino al collo e tirarla a sé, scivolando su di lei.

 

-Mi sbagliavo,- le sussurrò in un orecchio, -amo tutto di te.

 

Le immagini che le scorrevano davanti esplosero in tanti pezzettini. Frammenti di una vita intera schizzavano da tutte le parti, nel momento in cui si rese conto di quanto vero fosse ciò che stava vivendo, toccando, baciando e spogliando con mani tremanti.

Per la prima volta da lungo tempo aveva l'impressione di non assistere ad una scena, ma di viverla a pieno.

Per la prima volta, anche se nel momento forse più sbagliato, scendeva dal palco.

 

-Fammi rimanere qui stanotte- lo implorò passandogli una mano fra i capelli scarmigliati e percorrendo con la punta del naso la linea delle sue labbra.

 

Scott non rispose. La osservò sorridendo con malizia, fermandosi un secondo e puntellandosi sulle braccia.

 

-Sei affamata anche stasera?

 

Lei lo fissò perplessa, senza capire dove volesse andare a parare.

 

-No, perché ho appena fatto la spesa. Non vorrei aver sprecato soldi e fatica, nel caso ti trasformassi nuovamente in un aspiratutto al risveglio.

 

La ragazza lo colpì con un lieve pugno in pieno sterno.

 

-Sei un cretino.

 

-Un cretino parsimonioso...,- rispose lui incapace di trattenersi, ricominciando a baciarla sul collo e sulle spalle.

 

-Allora?- incalzò, sposando la sua attenzione sulle labbra socchiuse della ragazza.

 

-Ho mangiato troppo stasera per pensare al cibo,- ammise infine lei con una risata.

 

Scott la fissò, beandosi di quel sorriso rivolto infine a lui. Poi si alzò dal divano, la sollevò prendendola in braccio e si avviò incerto verso la camera da letto.

 

-E allora puoi restare.

 

 

***

 

 

Non fare niente di cui potresti pentirti.


Brady aveva osservato sua moglie allontanarsi, fino a sparire alla sua vista, inghiottita dall'oscurità della notte. Non aveva nemmeno tentato di fermarla.

La realtà era che non avrebbe saputo cosa dire. Era così sconvolto dalla serata con i suoceri, dalla quella discussione che ne era scaturita e dall'assurda situazione in cui si era trovato non avrebbe nemmeno avuto la forza di chiudere il discorso.

 

Aveva bisogno di parlare con qualcuno: si era diretto senza indugio al Pheseant, ma Scott evidentemente aveva deciso di non tenere aperto quella sera. Lo aveva cercato a casa, ma dopo aver bussato a lungo non aveva ricevuto alcuna risposta. Eppure gli era sembrato di scorgere una luce, nella stanza dell'amico...

Senza pensarci si era ritrovato a vagare per le stradine della città, privo di una meta, finché non si era ritrovato al principio di Hugh Street: magari Annie era già tornata a casa, si era detto, incamminandosi deciso verso il Brass Key.

Varcò lo steccato candido che segnava il confine del giardino, scavalcando il triciclo che uno degli ospiti più giovani aveva evidentemente abbandonato sul prato antistante l'entrata dell'edificio. La luce della camera di Annie era accesa e, da quella posizione, Brady poteva vederla muoversi all'interno della stanza, chiacchierando con qualcuno di cui non vedeva il viso. Si rispose che probabilmente si trattava di Kenneth e spinse le mani nelle tasche dei jeans, in attesa che la ragazza rimanesse da sola.

 

Improvvisamente si ritrovò a pensare a quanto in realtà sentisse il bisogno di lei: Annie era rientrata nella sua vita come un uragano, nel momento in cui tutte le sue certezze cominciavano a cedere sotto il peso della crisi che aveva infine incrinato il rapporto con Hailey. E, come era prevedibile, niente aveva resistito a quell'improvvisa e irruente invasione. Si era sempre domandato cosa ne sarebbe stato di loro, se lei non fosse svanita nel nulla. L'ipotesi di una vita così diversa da quella che era divenuta la sua lo spiazzava, lo faceva sentire a disagio, eppure una parte di lui non desiderava che salire i gradini che lo dividevano da lei a due a due e scoprirlo.

Come avrebbe potuto anche solo a cominciare spiegarle l'intricato ammasso di pensieri e dubbi che gli attraversavano la mente in quel momento, quando nemmeno lui era in grado di dargli un ordine e una logica?

 

Alzò nuovamente la testa, sentendo la voce di Annie abbassarsi, fino a sopirsi del tutto. Con il cuore in gola e la bocca secca per la tensione, stava quasi per incamminarsi verso l'entrata, pronto a compiere quel salto nel vuoto che tanto lo spaventava, quando la ragazza si spostò, lasciandogli intravedere il suo interlocutore.

 

Brady rimase lì, impietrito, incapace di muoversi: davanti a lei, le dita affondate nei corti capelli di Annie, Landon Campbell la fissava come in quel momento avrebbe desiderato fare lui, mentre lei si lasciava abbracciare, baciare e tirare nuovamente all'interno della stanza.

 

Come aveva potuto essere così stupido e cieco da pensare che non ci sarebbe stato un seguito al pranzo della settimana precedente? Come aveva potuto sperare che lei fosse lì, ad accoglierlo a braccia aperte sulla porta di casa, dopo che lui le aveva sbattuto in faccia un matrimonio e una moglie di cui non sapeva nulla?

 

Non fare niente di cui potresti pentirti gli aveva detto Hailey, lasciandolo sul ciglio della strada.

 

Ma, oramai, era troppo tardi, anche per fare quello.

 

 

 

 

Note di quella rintronata dell'autrice

Ehm ma....ciao!! Io...non posso credere che siate ancora qui!

Da un lato vorrei chiedervi perdono, ovviamente, per l'attesa. Vorrei usare la scusa esami e vacanze, ma la realtà é che, come mio solito, sono lenta. Dunque dunque...che ne dite di questo capitolo? Bello denso di eventi, no? Come già dicevo a chi é nel gruppo, questo episodio conclude quella che idealmente io vedo come la prima parte de NLMG. Dal prossimo capitolo, camieranno un po' di carte in tavola, entreranno nuovi amorevoli personaggi, ma soprattutto, ci si sposterò un pochino da Province Town. ZAN ZAAAAAAAN. Dunque, cosa succederà? La mia idea era quella di rimettere mano alla prima parte (per conto mio) per rileggerla nell'insieme e capire dove stiano eventuali errori e parti non coincidenti. Nel frattempo, se riuscissi, mi piacerebbe moltissimo cominciare a pubblicare il prequel di questa storia, che si chiamerà Camden Tales e sarà uno spaccato della vita di Annie a Londra. Della serie "prima di Province Town, di Brady, di Scotty, della vela e di Landon, c'era Londra....e niente era come ci si aspettava", o qualcosa di simile! A parte questi programmini prettamente riguardanti NLMG (ne ho altri quattrocentocinquanta in testa, me tapina), l'intento é di buttarmi subito sul nuovo capitolo, così da farvelo avere magari prima che siate diventati vecchi e barbuti.

Che altro dire? uhm...nulla, direi. Dunque, é giunta l'ora che io vada a nanna e mi congedi: grazie di avere letto, come sempre, grazie a chi ha recensito gli scorsi capitoli, a chi recensirà e a chi invece farà solo un passaggio. Mi piacerebbe potervi ringraziare a uno a uno, sempre, ma non mi é possibile, purtroppo. Per chi vuole seguire me/i miei deliri/ i miei disagi, come al solito vi lascio il link del mio gruppo, Sing and write for the wind, fear not for tomorrow. Se vorrete entrare, sappiate avrò molto molto piacere di avervi con me nel mio piccolo angolino dove si parla delle altre mie storie (poco, visti i miei ritmi), musica, libri, serie e paciocchini dalle faccine d'angelo varie.Fondamentalmente di tutto ciò che mi passa per la testolina, insomma :D

Un abbraccio a tutti!

Lyra

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Capitolo 8
*** Don't you give up on me ***


 

 

 



 

8

Don't you give up on me

Canzone del capitolo




 

Dalla fine di settembre, con l'arrivo dei primi freddi e delle piogge autunnali che raffreddavano le giornate, Province Town tornava alla tranquillità.

 

Giorno dopo giorno gli alberghi si svuotavano, i tavoli occupati ai ristoranti divenivano sempre meno e, piano piano, sparivano dai cigli delle stradine lastricate, che si facevano deserte e silenziose. L'aria si faceva frizzante e tagliente, mentre il vento che increspava le acque dell'oceano rimaneva spesso il solo rumore a riecheggiare fra le case. Per strada si cominciava a percepire il profumo delle stufe a legna che gli abitanti accendevano per combattere l'umidità che s'insinuava nelle abitazioni, rendendole inospitali e fredde.

 

Nonostante la scuola di vela dei Sanders avesse chiuso i battenti da circa due mesi, alla fine di novembre Neil non si era ancora deciso a riporre le ultime cose. Ogni anno terminava la stagione augurandosi di non dover più riaprire l'attività l'anno seguente, ma non poteva fare a meno di farsi pervadere da una malinconia pungente al solo pensiero di dover lasciare quel posto nelle mani di uno sconosciuto.

 

Era spuntato il sole, la mattina del Ringraziamento di quell'anno  e aveva portato con sé un tepore rassicurante, una piccola concessione prima della bufera di neve prevista per la notte, che aveva spinto l'uomo a recarsi sul luogo per concludere definitivamente le operazioni di chiusura della scuola. Kenneth Morgan, lasciata la figlia Abbey a occuparsi degli unici clienti che avrebbero trascorso il lungo week end a Cape Cod, lo aveva raggiunto per aiutarlo.

 

-A un altro anno che si chiude definitivamente.

 

Neil si pulì le mani umide e sporche di sabbia sui jeans, chiudendosi alle spalle la porta del prefabbricato che ospitava la segreteria della scuola e afferrando la bottiglia di Corona che Kenneth gli offriva. L'alzò impercettibilmente in sua direzione poi, dopo un lungo sorso, prese posto accanto a lui sull'ultimo gradino antistante l'entrata.

 

-Bere birra prima di pranzo non ci farà andare molto lontano, lo sai? Cominciamo ad avere una certa età...

 

-Appunto. Se non ci rovina il fegato l'alcol, lo faranno gli acciacchi della vecchiaia. Bevi che una giornata del genere non ci ricapiterà  per un po’.

 

Neil sorrise, rigirando pensieroso la bottiglia fra le mani.

 

-Ogni anno, quando chiudo definitivamente questa porta, mi domando se sarà l'ultima volta che lo faccio da proprietario dell'intera baracca.

 

-Questo posto non sarebbe mai lo stesso senza di te…-cominciò Kenneth, ma Neil lo interruppe prima che riuscisse a proseguire.

 

-Non sarei lo stesso nemmeno io, se é per questo. Ma sono stanco, Ken, e la schiena comincia a darmi seri problemi. Sai bene che se fosse per me non lo venderei, ma so che i desideri di Brady sono altri.

-Sei ancora preoccupato per lui? Mi sembra che le cose con Hailey si stiano lentamente aggiustando, da quando…

 

-Da quando?- lo fermò Neil. -Da quando tua figlia si é trasferita a New York con Landon Campbell? Io lo chiamerei istinto di sopravvivenza…

 

Kenneth tacque, colpito dalla durezza del tono dell'amico.

 

-Scusa. Non volevo essere inopportuno. In fondo é colpa mia se i nostri figli si trovano in questa situazione. Se avessi impedito a Brady di rientrare a Province Town dopo il mio infortunio, forse lui non avrebbe commesso l'errore di sposare Hailey e magari avrebbe trovato il coraggio di raggiungere Annie, un giorno.

 

Teneva lo sguardo fisso sulle acque piatte dinnanzi a sé, cercando conforto nel loro quieto movimento. Era sempre stato la sua vita, l'oceano: da ragazzo erano più le ore che trascorreva in acqua che quelle con i piedi a terra, fermamente convinto di trovarsi più a suo agio fra le onde che fra la gente. Aveva votato la sua esistenza alla navigazione, ne aveva fatto la sua ragione di vita, sino a che non era arrivata sua moglie e con lei prima Brady e poi le gemelle, Marika e Scarlett. Quando sua moglie era morta, vi aveva trovato una ragione per tirare avanti, nonostante tutto, oltre che a uno stimolo per tornare a vivere. Ma sapeva che così non era per Brady: era fatto per le grandi cose, suo figlio. Era nato per sfidare il cielo con le costruzioni, per spaziare con la fantasia nelle grandi città, là dove non sembravano esistere limiti alla grandiosità dell'immaginazione dell'uomo, non per vivere costretto fra le piccole case e i cottage di Cape Cod, fra i quali, al contrario, lui trovava sicurezza. Pensava che dopo tutto quello che aveva passato, suo figlio si meritasse di percorrere fino in fondo la strada lungo la quale aveva sudato negli anni precedenti, di allontanarsi da quella cittadina che lo stava soffocando, giorno dopo giorno; eppure, più tentava di trovare una soluzione per aiutarlo e scuoterlo, più si sentiva intrappolato in un vicolo cieco, dal quale non riusciva ad uscire, rodendosi nel rimorso e nel senso di impotenza.

 

D'improvviso, Kenneth interruppe il flusso dei suoi pensieri, facendolo sussultare.

 

-Credi davvero che Brady abbia sposato Hailey solo per dare un senso al suo ritorno a Cape Cod?

 

Neil sospirò profondamente, soppesando la portata di quello che stava per dire. A lungo si era tenuto dentro quel piccolo segreto, senza trovare il coraggio di rivelarlo a nessuno, ma forse era giunto il momento di liberarsi del peso che gli sporcava la coscienza.

 

-Ken, c'é una cosa che non sai. Quando ho avuto l'incidente, Brady si trovava a Londra.

 

L'amico si voltò di scatto, fissandolo con aria sgomenta.

 

-Me lo ha confessato Marika, poco tempo fa. Brady le aveva fatto giurare di non dirlo a nessuno, forse per paura che Hailey lo venisse a scoprire e si sentisse in qualche modo tradita. Dopo il diploma, lui e alcuni suoi compagni erano partiti per l'Europa. A quanto ne sapevamo noi, l'Inghilterra non era una tappa prevista, ma quando si é trovato lì, evidentemente, ha pensato che fosse l'ora di fare una deviazione e tornare a cercare Annie. Era arrivato da poco quando ha ricevuto la chiamata che lo avvertiva che ero stato coinvolto in un grave incidente e rischiavo la paralisi.

 

-Annie era fidanzata in quel periodo…- rifletté Kenneth a mezza voce. Per tutta risposta, Neil scoppiò in una lunga risata amara.

 

-Brady é sempre stato fidanzato con qualcuna, ma questo non mi sembra che questo abbia mai avuto una grande importanza. Tutti da queste parti possono affermare con certezza che non esiste Brady senza Annie, né Annie senza Brady.

 

-Pensi che ci sia stato mai qualcosa di concreto fra di loro?

 

-No. E penso che sia proprio questo il punto spinoso della questione.

 

Kenneth non rispose. Abbassò la testa, socchiudendo gli occhi, sentendosi stanco ed esausto d'improvviso.

 

-Sono un po' preoccupato per lei,- ammise infine d'un fiato.

 

-Benvenuto nel club, amico. Cominciavo a pensare che i tuoi figli fossero strani alieni sempre in grado di fare la cosa giusta al momento giusto.

 

Kenneth fece un sorriso tirato.

 

-Ho l'impressione che stia solo scappando, per l'ennesima volta, da qualcosa che ha paura di non riuscire ad affrontare. Dopo il liceo scappa a Londra, si ricostruisce una vita, una casa, una cerchia di amici che le ridanno la sicurezza e la tranquillità che aveva qui. Poi Ethan le ha chiesto qualcosa di più e lei ha lasciato andare tutto. É tornata qui convinta di trovare serenità e protezione nelle vecchie dinamiche che regolavano la sua adolescenza, ma ha ovviamente scoperto che negli anni i problemi non si erano risolti da soli, ma erano rimasti ad attenderla pazientemente. E ora scappa a New York. Quanto ci metterà a trovare anche lì qualcosa che la terrorizza e a scappare di nuovo?

 

-Ken, arriva un momento in cui non puoi più fare nulla per loro se non stargli vicino sperando che non si spezzino l'osso del collo- obiettò Neil tentando di farlo ragionare.

 

-A volte penso che se potessi prendere io le decisioni per lei, sarebbe tutto più semplice.

 

-Ma non lo faresti mai,- obiettò Neil. -Perché Annie é un'adulta, ha la sua vita ed é in pieno diritto, e dovere, di sbagliare. E poi non é nel tuo carattere.

 

-Già.

 

Kennet terminò con un solo sorso la sua birra. Sembrò sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi, voltatosi, tutto ciò che riuscì a dire fu: -A casa mi attendono un adolescente in piena crisi amorosa e una ragazzina troppo sveglia per la sua età che stasera dopo la cena del Ringraziamento, vuole andare a Barnstable in macchina con il figlio degli Allen. Non credo di riuscire ad affrontare anche loro adesso, ci facciamo un altro giro?

 

-Certamente. Andiamo al Blue Fish? Il vecchio Bill secondo me oggi si sente solo, a scolarsi whiskey mentre tutti sono impegnati a preparare il tacchino ripieno- rispose Neil stringendogli il braccio con fare fraterno, nella speranza che quel semplice gesto riuscisse a tranquillizzare l'amico più di quanto avrebbero potuto fare mille parole. Vedrai che tutto andrà bene, alla fine. Sono dei bravi ragazzi, se la caveranno, in un modo o nell'altro, con o senza il nostro aiuto. É inutile affannarsi, desiderava comunicargli. Kenneth si sforzò di sorridergli di rimando, sentendo l'angoscia che lo aveva pervaso, svanire lentamente. Poi, aiutatolo ad alzarsi, si scrollò i pantaloni dalla sabbia e si avviò senza parlare verso il paese: qualunque dubbio lo rodesse, si disse, poteva aspettare qualche ora.

 

 

***

 

La mattina del Ringraziamento, Scott fu svegliato di soprassalto dal campanello di casa che suonava ripetutamente, trapanandogli i timpani.

 

Stropicciò gli occhi con aria smarrita, rendendosi conto d'improvviso che stava tremando di freddo. Aveva le gambe completamente intirizzite, tanto che faceva fatica ad avvertire la presenza del piede sinistro, che penzolava  inerme dal letto. Ad essere precisi, non era l'unica parte del corpo a trovarsi eccessivamente a destra del grande letto in legno chiaro: quando si fu destato completamente, notò infatti che si trovava interamente sdraiato sul bordo del materasso e quello sbagliato, per giunta. Spostò lo sguardo, sbuffando qualcosa a metà fra il divertito e lo scocciato: al centro, a pancia in giù e con la braccia distese che occupavano l'intero lato corto del letto, Nicole dormiva placidamente, con una mascherina sugli occhi, sotto alla pesante trapunta bianca, la stessa che, con la sua assenza, aveva causato l'assideramento di gran parte del corpo di lui.

 

Preso possesso della coperta, stava riconquistando a fatica un centimetro quadrato di letto quando una seconda, violenta, scampanellata lo costrinse a sedersi sul letto, per fare mente locale. Una sola era la persona al mondo capace di mostrare tale tenacia agli orari più impensabili del giorno e della notte. Ma, pensò con un sospiro di sollievo, era la stessa che stava dormendo placidamente al suo fianco, come se quel frastuono non la turbasse minimamente. A un più attento esame, Scott notò due piccoli tappi che spuntavano dalle orecchie. Scosse la testa sconsolato e si obbligò a tornare a dormire, pensando che fosse un gruppo di ragazzini sfaccendati che aveva voglia di divertirsi con scherzi stupidi. Stava quasi per riappisolarsi quando, in uno sprazzo di lucidità,  realizzò che vi era un'altra persona che avrebbe potuto competere con Nicole in quanto a tenacia e tempismo.

 

-Nicole muoviti, c'é mia madre!- urlò lanciando per aria le coperte e scuotendola lievemente per svegliarla. Tuttavia, la sola reazione che ciò che riuscì ad ottenere dalla ragazza fu un pugno in pieno stomaco che gli mozzò il fiato.

 

-Nicole!- gridò ancora più forte, mentre tendeva le orecchie terrorizzato alla porta di casa che si stava lentamente aprendo. Quando e perché, esattamente, aveva avuto la brillante idea di consegnare una copia delle chiavi di casa a sua madre?

 

La ragazza lo fissò perplessa poi, senza profferire parola, sparì dietro la porta del bagno, tanto che Scott non riuscì a capire se avesse realizzato o meno che un inopportuno ospite si era appena materializzato nel salotto di casa.

 

-Scotty? Pulcino? Sei sveglio?

 

Il ragazzo lanciò un ultimo sguardo preoccupato in direzione del bagno, poi si tuffò sotto le coperte, fingendo di dormire. Alla lunga, quella storia, lo stava sfiancando. Erano mesi che Nicole faceva in modo di tornare a Cape Cod nei weekend, con la scusa di consultarsi con la famiglia per i preparativi delle nozze. La realtà non avrebbe potuto essere più diversa: per la madre averla a casa sembrava un miracolo, dopo anni di ostinata permanenza a New York. A lei diceva che David era spesso assente e, per non sentirsi sola, la raggiungeva il più possibile. A David invece rifilava la scusa di discussioni di importanza vitale su centri tavola, partecipazioni o bomboniere. E a Scott, infine, quello che rimaneva non erano che le rare notti in cui lei riusciva ad anticipare il rientro a Cape Cod e si fermava da lui a dormire, o le brevissime ore in cui riusciva a sgattaiolare fuori da Villa Cooper senza che nessuno di accorgesse della sua assenza. Spesso si era detto che quella storia non stava portando a nulla di buono e che forse sarebbe stato opportuno troncarla subito, prima che la situazione sfuggisse a entrambi di mano, ma ogni volta che era stato sul punto di farlo, Nicole si era presentata senza preavviso alla sua porta e lui aveva dimenticato le dieci buone ragioni per cui sarebbe stato più logico lasciarla sulla veranda anziché permetterle di entrare.

 

-Mamma…- mugugnò quando la donna raggiunse l'entrata della stanza. -Quale parte del concetto di privacy non ti é chiara?

 

La Signora Anderson si piantò le mani sui fianchi, squadrandolo con disappunto.

 

-Sono le dieci del mattino ed é il giorno del Ringraziamento.

 

-Appunto- le rispose girandole le spalle e coprendosi la testa con il lenzuolo. -Non so cosa dica il tuo calendario, ma il mio segna festa. Sono nel pieno diritto di dormire fino a quando voglio, visto che il Pheseant é chiuso.

 

-Non credo proprio, signorino. Devi aiutarmi a cucinare il tacchino, visto che tua sorella ha deciso di portare i bambini alla sfilata a Barnstable! E poi ti ricordo che i mirtilli per la spuma sono nel tuo freezer.

 

Scott sospirò esasperato. Aveva sognato un Ringraziamento diverso: Nicole era tornata a casa per le feste come ogni anno e la sola cosa che avrebbe desiderato, sarebbe stato passare l'intera giornata a letto con lei, a divorare le schifezze di cui la ragazza diveniva d'improvviso golosa appena metteva piede fuori da New York e a guardare Hannah e le sue sorelle, come imponeva la tradizione.

Invece, come ogni anno, lui si sarebbe rimpinzato al tavolo dei suoi genitori, mentre Nicole si faceva offrire raffinate pietanze cucinate dal pluripremiato cuoco che la Signora Cooper avrebbe assunto per imbandire il banchetto del ringraziamento di Casa Cooper.

 

Con David accanto.

 

A Scott prendevano i conati di vomito se solo focalizzava per sbaglio il quadretto di felicità che avrebbero formato i due fidanzatini felici nel grande salone dalle tende blu.

L'idea di un pranzo in cui lei avrebbe recitata la parte della sposa perfetta davanti alla famiglia, lo faceva impazzire a tal punto che più di una volta, dopo aver ricevuto la notizia che David avrebbe trascorso il Ringraziamento a Province Town, aveva pensato di salire in macchina e guidare tutta notte fino a New York, per rifugiarsi da Annie. Ma forse, chiedere asilo proprio in casa di un Campbell non era un'idea poi così brillante.

E poi Nicole si era dichiarata fermamente intenzionata a passare la notte precedente la festa a casa sua ed era ormai dato per assodato che le sue capacità di raziocinio si liquefacessero quando la ragazza lo fissava con quell'espressione da bambina imbronciata che sarebbe stata in grado di fargli dichiarare che i Knicks erano la squadra più forte del campionato NBA.

 

Si lanciò con forza il cuscino sulla testa, mentre sua madre buttava per aria le coperte.

 

-Mi spieghi come fai a dormire seminudo con questo freddo?

 

Scott sorrise fra sé e sé, pensando al poco freddo che aveva provato quella notte e fece spallucce.

 

-Sicuramente stavo meglio con le coperte addosso.

 

 La Signora Anderson sbuffò di disappunto dirigendosi ad aprire le imposte con decisamente poco garbo. 

 

-Dai alzati, hai un'ora per prepararti e venirmi a dare una mano.

 

 Il ragazzo si alzò controvoglia, rabbrividendo per il contatto dei piedi scalzi sul pavimento ghiacciato.

 

 -Vieni di la per favore, mamma che ti do i mirtilli.

 

 Si stava dirigendo sbadigliando sonoramente verso la cucina, quando una voce squillante e palesemente scandalizzata, gli penetrò le orecchie.

 

 -Scott, pulcino queste... cose… non sono tue, vero?

 

 All'udire quella domanda, terrorizzato dall'idea di cosa mai avrebbe potuto trovare di compromettente quel cane da tartufo di sua madre, tuffò la testa dentro la camera, sentendo le guance avvampare: la donna reggeva, con aria perplessa, gli slip di pizzo di Nicole.

 

-Io… ehm… anche se fosse?- le rispose sfoggiando un sorriso innocente.

 

La donna lo fissò a bocca spalancata, sbiancando.

 

-Mamma, ti prego riprenditi, sto scherzando.

 

-Tu...hai una ragazza?

 

-É incoraggiante l'aria sbalordita con cui me lo domandi, grazie.

 

La donna si precipitò alla porta, piantando le mani ai fianchi e scrutando il figlio come se nei suoi occhi potesse leggere tutte le informazioni di cui era improvvisamente diventata ingorda.

 

-Come si chiama? Chi é? La conosco? Conosco i genitori? Magari non é di Province Town...é di Barnstable? Che intenzioni hai?

 

Fece spallucce e si voltò, fermamente intenzionato a stroncare quell'inquisizione sul nascere.

-Beh, adesso come adesso, di andare in cucina, farmi un caffè e, già che ci sono, anche una colazione come si deve, visto che non posso mai concedermela.

 

-Tu non vai da nessuna parte! Adesso ti siedi e ne parliamo seriamente!- lo minacciò tirandolo per la maglietta, incurante del suo desiderio di tacere. -Perché non le chiedi di venire a pranzo da noi?

 

-Mamma…

 

-Sarebbe un'occasione meravigliosa per conoscerla, ci sarà tutta la famiglia riunita!

 

-Santo cielo, mamma! Non é niente di importante, é chiaro? A meno che tu non consideri promessi sposi due che vanno a letto saltuariamente…

 

-Scott!!- esclamò lei scandalizzata.

 

-Volevi informazioni? Eccole: non sono fidanzato, né innamorato, né tantomeno al punto di volere presentare la ragazza con cui ho una storia di solo sesso ai miei genitori il giorno del Ringraziam...

 

Il rumore sordo di qualcosa che si abbatteva violentemente sul pavimento lo interruppe prima che potesse finire il discorso.

 

-Cosa é stato?- domandò sua madre voltandosi verso il corridoio, da dove era sembrato provenire l'improvviso baccano.

 

-Ho lasciato la finestra aperta in bagno, probabilmente é solo corrente. Ora, mamma, se non ti dispiace, ho una colazione che mi aspetta. Vai a casa, ci vediamo fra poco e grazie della visita.

 

Fece appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle, dopo aver faticosamente spinto la donna fuori dalla soglia, che Nicole, si abbatté come una furia in cucina, brandendo la spazzola che doveva aver lasciato accidentalmente cadere a terra qualche istante prima.

 

-Discorso toccante, pulcino, mi sono commossa per la profondità delle tue parole! È stata una gioia sentirsi dare della scopamica davanti a tua madre.

 

-Nicole, per favore, non stavo dicendo sul serio…

 

-Stai mentendo.

 

Scott la fissò qualche istante, in silenzio. Pensò a come si era sentito la sera prima, quando lei gli aveva comunicato dell' arrivo di David, a tutti quei mesi di attesa, alla frustrazione di doversi sempre nascondere, alle notti passate in attesa del suo arrivo. E, d'improvviso, tutta la frustrazione provata per l'assurda situazione in cui stagnavano da ormai mesi, per il suo sentirsi sempre un gradino sotto David Campbell e la vita di Nicole di cui lui non poteva fare parte, si trasformò in una rabbia cieca e improvvisa.

 

-E anche se fosse?- le domandò, glaciale. -Non mi sembra che tu sia intenzionata a lasciare David. Fino ad allora, non siamo altro che scopamici. O amanti, o… chiamaci come vuoi.

 

Nicole aprì e chiuse più volte la bocca per replicare a tono. Poi, d'improvviso, si lasciò cadere sul divano, scuotendo la testa.

-Io non la metterei esattamente così…- mormorò in preda all'imbarazzo.

 

-E come la metteresti, scusa?- continuò ad incalzarla provocatorio. -Vuoi che parli di te in modo diverso con mia madre? Vuoi che ti porti a casa al Ringraziamento? La soluzione é molto semplice, in fondo. Lascia David e torna a vivere a Province Town e sarà fatto.

 

Nicole scosse la testa, sentendo gli occhi bruciare per le lacrime imminenti.

-Scott, non posso lasciare New York, non dire assurdità. Ho un lavoro…

 

-Un lavoro che però sei pronta a lasciare per diventare la Signora Campbell, una perfetta dama dell'alta società esattamente come tua madre e tua zia prima di te, per sposarlo e crescere i suoi figli! Vuoi davvero che le cose cambino, Nicky? Va bene, non te lo chiederò una seconda volta: torna qui, scegli me, cresci i miei, di figli. Io sono pronto a cominciare la nostra storia sin da ora, la domanda é, tu lo sei altrettanto?

 

La ragazza si alzò, prendendogli le il viso spigoloso fra le mani, nel tentativo di farlo ragionare.

 

-Scott, io vorrei davvero che fosse tutto così semplice…

 

-Non c'é nulla di più semplice, se lo vuoi davvero- replicò lui ostinato. Non gli importava di nessuna delle ragioni di Nicole: per una vita aveva messo i suoi interessi dietro a quelli della ragazza, lasciandola calpestare la loro amicizia da bambini, ignorare e prendersi gioco di lui adolescente e infine, quando finalmente era riuscito a conquistare la sua attenzione, lasciandosi trattare come un semplice rimpiazzo nella solitudine di Province Town. E ora ne aveva abbastanza.

 

-La mia vita non é più qui da anni…potresti venire tu, a New York- azzardò con scarsa convinzione la ragazza.

 

Scott scoppiò a ridere, strofinandosi il viso con le mani.

 

-Ti rendi conto di quanto é ridicolo quello che stai dicendo? Ho un'attività qui, non ho una laurea e nemmeno una famiglia che possa mantenermi laggiù. Oh su, non fare quella faccia, non ti sto giudicando!

 

-Potresti ricominciare a studiare, sei sempre stato bravo a scuola…

 

L'ultimo barlume di pazienza che gli era rimasto, sparì all’udire l’ennesima assurdità, cancellato dalle ipotesi sempre più strampalate che la ragazza stava snocciolando al solo scopo di continuare a vivere in bilico fra quelle due realtà che stavano inevitabilmente cominciando a cozzare.

 

-Lo vedi qual'é il problema, Nicole?- cominciò rassegnato: se doveva andare incontro al peggio, tanto valeva farlo di propria spontanea volontà, anziché lasciare che fosse la situazione a marcire così tanto da collassare da sola su sé stessa. -Io non sarò mai abbastanza per te! É ora che entrambi scendiamo a patti con questa realtà, prima di farci del male entrambi, o prendere scelte avventate.

 

-Io…- azzardò timidamente, la ragazza, accarezzandogli una spalla.

 

-Vai a casa, Nicole. Festeggia il Ringraziamento, stai con la tua famiglia, con David. Cerca di capire quello che desideri davvero, pensa alle mie parole e prendi una decisione. Se sarà quella che spero con tutto me stesso, sai dove trovarmi. Ma ti prego, se domani sali su quell'aereo per tornare a New York, non prenderti la briga di tornare. Non da me.

 

-Pensavo di valere di più, per te,- gli rispose fredda, quando lui si allontanò, respingendo la sua carezza.

 

Scott scoppiò a ridere amaramente.

 

-Nicole, tu non vali semplicemente qualcosa per me. Io ti amo con tutto me stesso, da quando siamo adolescenti, ma penso che tu questo lo sappia da un pezzo. Ma devo pur preservarmi, in qualche modo.

 

-Scott, ti prego...

 

-No, Nicole, quello che ti sta pregando, qui sono io. Prendi una decisione e facciamola finita.

 

Poi, raccolta una felpa e il paio di jeans che aveva abbandonato in salotto la sera prima, uscì di casa, senza voltarsi indietro.

 

***

 

Il campetto da basket della scuola era sempre stato il rifugio prediletto di Scott, Brady lo sapeva molto bene.

 

Era in quel luogo obsoleto e appartato che l'amico gli aveva rivolto le confessioni più segrete, seguendo sempre lo stesso, estenuante iter. Scott era capace di stordire anche la più tenace delle zitelle affette da logorrea, con il suo chiacchiericcio e i suoi commenti, ma si poteva stare certi che tale loquacità soccombeva ogni qual volta si trovasse dinnanzi alla necessità di parlare di sé stesso e di esternare sensazioni ed emozioni. Era per questo che, sin da bambino, ogni qual volta dovesse confessare qualcosa all'amico, alla sorella o ai suoi genitori, aveva adottato quella che Brady aveva soprannominato la "tecnica del chiodo schiaccia chiodo" che consisteva nel tenere occupato il proprio corpo e distrarlo, mentre dava libero sfogo alle parole.

Era stato dopo averlo smarcato e segnato una tripla notevole che, a dieci anni, gli aveva confessato di aver travolto il suo skateboard con la bicicletta, rendendolo inutilizzabile. All'atterraggio da un terzo tempo, invece, gli aveva confidato di essere innamorato di Nicole - come se tale notizia non fosse ormai di dominio pubblico - e sempre scorrazzando come un matto in quel campetto gli aveva annunciato la decisione che non si sarebbe iscritto al college, ma avrebbe rilevato l'attività dei suoi genitori.

 

Per questa ragione, quando gli era giunto il messaggio dell'amico che glaciale gli comunicava la sua necessità di parlare, non aveva avuto nemmeno bisogno di domandargli dove si trovasse. Aveva salutato frettolosamente Hailey, intenta a cucinare il dolce da portare alla cena organizzata a casa dei suoceri, si era buttato addosso la prima felpa che aveva trovato, calato in testa una cuffia per proteggersi dal freddo ed era uscito di corsa, dirigendosi verso quel luogo così familiare.

 

Lo aveva trovato lì, intento a bombardare il canestro, nel vano tentativo di scaricare l'evidente rabbia che lo spingeva a muoversi ininterrottamente da un lato all'altro del vecchio campetto, facendo sbattere violentemente il pallone a terra.

 

-Si può sapere che ti succede? Stavo aiutando Hail...ouch!- concluse con il fiato mozzato dalla violenta pallonata che lo colpì in pieno stomaco.

 

-Dammi una spiegazione, Brady. Una sola, logica motivazione del perché tutti volete andarvene da qui. Cos'ha Province Town che vi fa così schifo?- gli domandò aggredendolo e strappandogli dalle mani la palla appena raccolta.

 

-Scott?- gli domandò Brady sgomento da quello scoppio d'ira.

 

-Prendi Annie,- cominciò riprendendo a palleggiare ostinato. -Un giorno é salita su un pullman e puff, é scomparsa nel nulla per sei anni nessuno ne ha più saputo nulla. Nicole, la maggior parte dei nostri compagni di scuola, persino tu non ci sei voluto rimanere qui...

 

Brady si fissò perplesso le punte dei piedi, senza capire dove volesse andare a parare l'amico.

-Io sono qui, Scott...

 

-Non mi prendere per il culo. Non staresti in questo buco nemmeno se Renzo Piano vi costruisse una filiale, solo per te. Guardiamo in faccia la realtà, Brady, tu odi Province Town e se non fosse per il tuo stramaledetto senso del dovere, non saresti qui. Non senza Annie, almeno.

 

Brady arricciò il naso in una smorfia di disappunto, incrociando le braccia al petto.

-Hailey ti ringrazia e dice che ti vuole molto bene.

 

-Vuoi forse venirmi a spacciare il contrario?- Scott si bloccò d'un tratto, fissandolo dritto negli occhi. Il suo sguardo infuriato lo fece sentire come nudo e indifeso: non avrebbe mai potuto negare che aveva ragione, sebbene ammetterlo fosse ben lungi da ogni sua intenzione. Per cui, deglutendo a fatica, tentò di cambiare argomento, schiarendosi la voce.

 

-In tutto ciò non riesco a capire cosa c'entri il tuo richiamo all'ordine.

 

Scott scrollò le spalle, voltandosi a tirare a canestro.

 

-Ci conosciamo da quando siamo nella culla, imbecille. Credi che non capisca quando qualcosa ti turba? Sei più sconvolto di quando i Lakers ci hanno strappato il titolo nel 2010!

 

-Nicole,- rispose secco Scott, mettendo a segno un tiro libero.

 

Brady roteò gli occhi, sbuffando.

-Non dirmi che sei di nuovo perso di lei perché non potrei reggere una versione adulta dell'adolescente che mi ha tediato per anni con la sua ossessione non ricambiata...

 

-Stiamo insieme da giugno, Brady.

 

Il ragazzo sgranò gli occhi, sbalordito.

 

-Cioé...non proprio insieme. Diciamo che siamo...amanti?

 

-Sei impazzito vero? Hai cambiato le solite medicine?- lo canzonò incredulo Brady.

 

-Non sono mai stato più serio.- replicò Scott offeso.

 

-E me lo dici così?

 

-E come te lo devo dire scusa? Durante un pigiama party nel quale ci vestiamo di rosa, mangiamo orsetti gommosi, ascoltiamo le canzoni di Glee e ci mettiamo lo smalto a vicenda?

 

-Per favore, Scott, sto per vomitare all'idea di te in camicia da notte di pizzo.

 

D'un tratto, la trottola umana in cui si era trasformato Scott, si fermò, facendo rotolare il pallone al centro del campetto. Il ragazzo si allontanò in silenzio, lasciandosi cadere esausto sugli spalti deserti. Abbandonò la testa sul cemento freddo, chiudendo gli occhi. Brady prese lentamente posto accanto a lui, attendendo pazientemente che si mostrasse nuovamente disposto a riprendere il racconto.

 

-Quindi?- gli domandò infine.

 

-Quindi...penso che tu possa immaginartelo da solo. Non ha intenzione di lasciare David, né di tornare qui. Nel momento di massima follia mi ha domandato di trasferirmi con lei a New York, perché la sua vita é ormai lì e non appartiene più a questo posto.

 

-E tu cosa hai risposto?- gli domandò sbalordito Brady.

 

-Ho rifiutato, cosa vuoi che abbia fatto? Che ci vado a fare a New York, il barbone nella metropolitana?

 

-Qualunque cosa mi parrebbe più plausibile di te accasato con Nicole Cooper,- gli rispose candidamente Brady. -Mi spieghi come é successo?

 

-Io, non lo so, é successo e basta! Perché vi sembra a tutti così incredibile che Nicky scelga me? Anche mia mamma...

 

Brady scattò incredulo.

-Tua mamma lo sa?!

 

-No. Lei é semplicemente sconvolta all'idea che io abbia una ragazza. Se la conosco bene in questo momento sta cominciando a confezionare scarpine all'uncinetto,- mormorò prendendosi la testa fra le mani. -Povera illusa.

 

-Mi ricorda qualcuno...- commentò Brady pensando alla suocera e alle probabili danze della fertilità che faceva ogni notte prima di addormentarsi, nella speranza che Hailey rimanesse finalmente incinta. Quella piccola visione, lo destò dallo stupore nel quale ancora permaneva da quando Scott gli aveva rivelato dell'assurda storia messa in piedi con Nicole.

D'improvviso, si rese conto che non poteva starsene a guardare mentre l'amico osservava la propria occasione sfuggirgli dalle dita, senza fare nulla per afferrarla. Aveva commesso un errore dietro l'altro, da quando aveva lasciato la scuola: aveva osservato Annie lasciare per sempre Province Town, senza impedirglielo, aveva mollato il suo lavoro, la cosa che amava di più al mondo, per tornare a casa a recitare la parte del figlio modello e infine aveva rovinato la sua vita e quella di Hailey domandandole di sposarla senza essere pronto a un simile passo. “Ma il non aver spronato il suo migliore amico non sarebbe stato l’ennesimo rimpianto da aggiungere ai mille che già lo atterrivano tanto da sottrargli spesso addirittura l’aria sufficiente a respirare”

 

-Scott, ascoltami attentamente. Non puoi arrenderti, se quella pazzoide della Cooper è quello che vuoi davvero. Torna da lei, fai tutto ciò che è in tuo potere per convincerla che deve scegliere te. In tutti questi anni ho maturato la certezza che sia meglio convivere con il rimorso, che con il rimpianto di non avere agito quando ancora vi era una possibilità di cambiare le cose. Fallo, Scott, altrimenti ti troverai fra qualche anno a domandarti come sarebbe stata la tua vita se quel giorno non avessi fatto quanto in tuo potere per far sì che lei non sparisse nel nulla. 

 

-Brady, stiamo sempre parlando di me? gli domandò Scott inarcando le sopracciglia perplesso.

 

Lo fissò con un sorriso appena abbozzato, stringendo le spalle in un gesto colpevole.

-Muoviti, cretino.

 

 

***

 

 

Queste cose succedono solo nei film.

Molto bene, adesso ti aprirà e che le dirai?

Suonare alla porta di casa sua con il rischio che ti apra David?

Ma ti sei bevuto il cervello?

Seguire i consigli di quel pazzo di Brady con i suoi rimorsi...o erano i suoi rimpianti?

Accidenti a lui e a tutti i suoi errori!

 

-Scott?

 

Il ragazzo sussultò trovandosi di fronte la Signora Cooper, splendente nell'abito scuro indossato per la serata.

 

-Buonasera, signora,- mormorò arrossendo violentemente. -Non volevo disturbare...sto cercando Nicole, è molto importante.

 

La donna lo fissò dispiaciuta.

-Mi duole Scotty, ma Nicole non c'é. Sono partiti da un'ora fa, lei e David, e purtroppo non saranno con noi stasera...a quando pare c'é stata un' emergenza in ufficio. Qualcosa che aveva a che fare con milioni di dollari che rischiavano di andare in fumo,- rispose vaga.

 

Quella frase sortì lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelata su Scott.

-Ma… torna? domandò titubante.

 

-Non lo so, non mi ha detto nulla. Se vuoi posso dirle che sei passato, quando chiama.

 

-No, la ringrazio. É meglio di no,- rispose tentando di sorriderle.

 

-Vuoi entrare per un tè? gli domandò la donna, notando il suo disagio. -Ho appena finito di servirlo.

 

-La ringrazio molto, ma sono di fretta...sa la cena...

 

-Immagino, anche noi siamo impegnatissimi. Tanti auguri, Scott, anche ai tuoi genitori.

 

-Tanti auguri anche a tutti voi, signora Cooper-

 

Si voltò prima che lei facesse in tempo a chiudere la porta, allontanandosi in fretta verso il cancello della proprietà. Quando giunse nei suoi pressi, infine, si voltò a guardare in alto, verso la camera di Nicole, quella camera che mille e mille volte aveva osservato, fantasticando sul giorno in cui, finalmente la ragazza gli avrebbe aperto la finestra, lasciandolo entrare.

 

Era buia, le persiane serrate, il terrazzino vuoto.

 

Oltrepassò in fretta il cancello e si allontanò a grandi passi, prima che qualcuno lo vedesse.

 

 

 

***

 

-Elly, sono io, Ken.

-Ken?

-Stavo cercando Annie, non mi risponde e al telegiornale ho visto che tu e Richard siete a New York. Mi domandavo se foste insieme.

-Al momento no, ma stiamo aspettando che lei e Landon ci raggiungano per uscire a cena, vuoi che ti faccia richiamare appena ci vediamo?

Kenneth si appoggiò allo stipite della porta. Era felice che la figlia avesse recuperato un rapporto con la madre, da quando era tornata a New York, anche se lo tormentava l'idea che l'ex moglie si fosse dimostrata così ben disposta ad accoglierla nuovamente a braccia aperte solo dal momento in cui la ragazza aveva cominciato a frequentare il più piccolo dei rampolli dei Campbell.

-Ken?

-Si, eccomi scusa. Te ne sarei molto grato.-

-Come stanno i ragazzi? E Josh?

-Stanno tutti bene, Elly. Josh diventa ogni giorno più grande e somiglia sempre di più a voi Cooper. Jamie é in preda a una delle sue crisi amorose che lo porta a ingozzarsi di schifezze a ogni ora del giorno e della notte e Sammie mi fa diventare matto con il suo volersi sentire a tutti i costi un'adulta.

-È ancora una bambina!

-A quattordici anni, Elly, ti senti tutto, tranne che una bambina. E io non so come prenderla...Abbey e Annie non mi hanno dato così tanti problemi, sinceramente. Forse era perché si aiutavano a vicenda, non lo so. A volte penso che avrebbe bisogno di una figura femminile al suo fianco.

La donna tacque, deglutendo a fatica.

-Posso provare a chiamarla, se pensi che voglia ascoltarmi. O magari ne parlo con Annie.

-Non vorrei tediarla scaricandole addosso più problemi di quanti non ne abbia già.

-Annie sta bene, Ken.

-Tu credi?

-Ha un ragazzo meraviglioso al suo fianco, che appartiene a una delle famiglie più importanti di tutta la città. È riuscita a entrare in un programma di stage alla Condé Nast e sono sicura che presto diventerà una delle giornaliste più famose della città. Dopotutto il suo nome e quello di Landon sono una garanzia perché le venga aperta qualunque porta desideri, da queste parti. Non capisco perché non dovrebbe stare bene.

Kenneth tacque per qualche istante, perplesso. E se avesse avuto ragione Eleanor? Se Annie fosse davvero felice della sua nuova vita? Se Landon e New York fossero ciò che l'avrebbe convinta a fermarsi, a smettere di fuggire davanti alle scelte della sua vita?

-Già, non vedo perché.

-Ken, mi dispiace lasciarti, ma devo finire di prepararmi. Ci sentiamo presto, va bene?

-Va bene. A presto...

-Ciao, Ken.

-Elly?

-Dimmi...

-Buon... Ringraziamento.

-Anche a te, Ken.

 

 

Il sole che aveva intiepidito l'aria del mattino, era sparito dietro le nuvole poco dopo pranzo, mentre lentamente il gelo scendeva in città. I newyorkesi si preparavano alla cena del Ringraziamento e alla venuta della neve già annunciata da tempo, la prima dell'anno.

Lungo Broadway la gente si accalcava ai botteghini intasando i marciapiedi e bloccando coloro che camminavano svelti, impegnati nei preparativi per la serata. Fra questi, Annie e Landon si muovevano infreddoliti, nel tentativo di trovare un taxi libero per rientrare a casa alla svelta e prepararsi alla cena con la madre di Annie e il suo patrigno, che si trovavano in città per l'occasione.

-Allora, lo spettacolo ti é piaciuto, sì o no?- Landon le depositò un bacio veloce sulla guancia strofinando la punta del naso gelato sul collo di Annie. Per tutta risposta la ragazza scosse con scarsa convinzione la testa.

 

-Sto per sorbirmi l'ennesima arringa sull'indiscutibile superiorità del cast del West End e sul fatto che un qualche inglesuccio a caso è insuperabile nella parte di Drew?- Il giovane rise apertamente: non perdeva occasione di pungolare l'orgoglio britannico della sua ragazza, nonostante fosse inglese solo per metà e le sue reazioni lo divertivano sempre immensamente.

 

-Si chiama Oliver Tompsett e non è un inglesuccio a caso,- replicò lei chiudendo gli occhi indignata,- ma fingerò che non si tratti di questo.

Tacque per qualche secondo, stringendosi a lui come per cercare protezione, - È che Rock of Ages, senza James sul palco, non ha senso,- aggiunse poi con voce flebile.

 

James Clarke era uno dei suoi migliori amici, nonché coinquilino da tre anni a Londra. Quando l'aveva conosciuto, era un eterno bambino che fingeva di studiare legge per amore di pace con i suoi genitori, nonostante la sua unica passione di vita fossero una Takamine nera troppo consumata, un ukulele verde acido che rispondeva al nome di Esperimento 24601, la musica in generale e il teatro. Passati tre anni era ancora un eterno bambino e probabilmente sempre lo sarebbe rimasto, ma almeno aveva trovato il coraggio di prendere in mano la sua vita, affrontare i suoi genitori e darsi alla carriera di attore, abbandonando, fortunatamente, l' ambizione del foro.

 

Landon si fermò a fissarla. Attorno a loro, le luci di Broadway, splendevano nonostante fosse ancora giorno, mentre il traffico scorreva inesorabile, nonostante fosse un giorno di vacanza. Sventolò un braccio senza entusiasmo, tentando di fermare un taxi che, però, tirò dritto senza fermarsi. Scoraggiato, si ritirò, appoggiandosi allo schienale di una panchina. Si aspettava che, da un momento all'altro,  Annie avrebbe preso consapevolezza che vi era una parte di vita che aveva completamente abbandonato a Londra, anche se nutriva la speranza che la quotidianità che stavano lentamente costruendo insieme, potesse in qualche modo sopperire alla mancanza di casa. 

 

-Mi dispiace. Pensavo ti facesse piacere.

 

Annie lo guardò, sentendosi all'improvviso, incredibilmente in colpa. A causa della frustrazione provata al lavoro, negli ultimi giorni, aveva cominciato ad avvertire la nostalgia della sua vita a Londra come mai da quando era tornata degli States. Si era illusa che lo stage alla Condé Nast che aveva accettato dopo l'estate trascorsa a Province Town le desse la spinta sufficiente per restare. Credeva che non le sarebbe pesato accantonare il Ph.D alla UCL per un'esperienza più concreta nella città che, forse più di ogni altra al mondo, poteva offrire a un giovane qualunque cosa desiderasse. Ma, giorno dopo giorno, mentre sbrigava le scartoffie del suo capo, sentiva la mancanza dei corridoi della sua università, i preziosi  consigli del professor Stirling, il suo mentore, le giornate trascorse in biblioteca a dedicarsi alla scrittura e allo studio; a questo si aggiungeva il fatto, forse ben più grave, che cominciava ad avvertire la nostalgia della sua casa, delle abitudini che avevano scandito la sua quotidianità per sei anni, di quel luogo assurdo, confusionario e pittoresco che era Camden Town, il quartiere in cui viveva. Persino la pioggia, l'odore di erba perennemente bagnata e il grigio di Londra le mancavano terribilmente. Dopo aver posto fine alla sua relazione con Ethan, si era crogiolata nel malessere e nelle attenzioni  che gli altri tre coinquilini le avevano riservato, trascinandosi per mesi in quello stato di malessere nel quale era piombata a causa della rottura e degli ultimi esami dell'anno. Era stata Nicole a convincerla che allontanarsi per un po' da quella situazione e godersi le gioie che il suo paese natale offriva in estate, sarebbe stata la soluzione più efficace e lei si era lasciata trascinare in quella piccola follia, quasi senza riflettere sulle conseguenze del tornare a casa dopo sei anni di assenza e silenzio. Era partita da Heathrow spinta da quel desiderio di mutamento che affretta chi ha appena chiuso un capitolo fondamentale della propria vita, convinta che ritrovare le sue radici e gli amici di sempre, avrebbe potuto sopperire a quello che credeva di aver perso a Londra, ma si sbagliava: la lontananza di quelli che erano diventati negli anni la sua famiglia, quella che si era scelta, aveva lentamente cominciato a farsi quasi insopportabile, specialmente da quando aveva messo piede a New York.

O forse era lei che viveva il fastidioso momento in cui tutto appare così nero, che qualunque cosa rappresenti una certezza manca tanto da far sentire le ginocchia deboli, sotto il peso di una memoria che sembra far riaffiorare crudelmente solo i bei ricordi di quello che ci si é lasciato alle spalle.

 

Eppure, in tutto quel caos di nostalgia e insoddisfazione, qualcosa di buono c'era: Landon. Nei pochi mesi trascorsi insieme, il ragazzo aveva reso giorno dopo giorno più sopportabile la sua permanenza a Cape Cod, finché, giunta la fine di settembre, non le aveva domandato di rimanere a New York. Non era stato difficile dirgli di sì, dopo i mesi trascorsi: ogni volta che erano insieme, Annie avvertiva un senso di libertà che raramente aveva provato con altri prima di allora. Accanto a lui, sentiva che nulla era troppo lontano o irrealizzabile e si sentiva di nuovo una quindicenne piena di sogni e speranze in un futuro diverso. Gli sorrise, sollevandosi sulle punte dei piedi a baciarlo, nella speranza di farsi perdonare.

 

-Non devi scusarti. Mi hai fatto una sorpresa bellissima. È che ultimamente mi mancano molto i ragazzi. E non vedere James con una ridicola parrucca in testa e quattro centimetri di eye-liner sotto gli occhi fra il cast, stasera, mi ha intristito ancora di più.

 

-Sai che puoi invitarli quando vuoi, vero? In casa mia, fortunatamente, spazio ce n'é finché se ne vuole.

 

Annie annuì sorridendo. Il loft di Brooklyn in cui viveva Landon -con grande disappunto della madre che lo avrebbe desiderato più vicino a lei, nell'Upper East Side- avrebbe potuto tranquillamente ospitare due volte il suo appartamento tutto scale e terrazzini di Camden e, forse, sarebbe pure avanzato lo spazio per una stanzetta in cui depositare le biciclette che di solito invadevano il salotto, il bagno, o qualunque stanza risultasse abbastanza libera all'evenienza.

 

-O magari,- gli rispose buttandogli le braccia al collo,- potremmo andarli a trovare a Londra a Natale.

 

-E chi ce lo impedisce? Chissà dove saremo, da qui a Natale. Possiamo fare tutto quello che desideriamo.

 

Una folata di vento li investì in pieno, facendoli rabbrividire; l'inverno era arrivato a New York e l'aria aveva cominciato a farsi frizzante e pungente, in attesa della neve prevista per la notte. Landon sollevò i lembi del cappotto e vi avvolse Annie, stringendola forte a sé.

 

-Per adesso, però, io desidererei trovare un taxi per non morire congelato. Tu che ne dici?

 

 

 

Oggi Landon mi ha portato a vedere il pomeridiano di Rock of Ages.

Gli ho detto che mi é piaciuto moltissimo,

ma in realtà il cast di Broadway vi fa un baffo e Ollie é insuperabile.

Mi manchi.

Dai un bacio a tutti.

 

 

Erano da poco passate le tre del mattino quando il telefono di Annie cominciò a squillare all'impazzata, svegliando lei e Landon, profondamente addormentati dopo la pesante cena del Ringraziamento consumata con i VanCamp quella sera.

Inciampando nei vestiti abbandonati a terra, Annie si catapultò in sala, maledicendo chiunque fosse stato ad avere la malaugurata idea di tirarla giù dal letto a quell'ora indecente della notte.

 

-Pronto? rispose esitante, cercando disperatamente una coperta, una felpa o qualunque cosa le potesse riscaldare le gambe nude.

 

-ANNIEEEEEEEEEE!!!!!!

 

La ragazza allontanò il telefono dall'orecchio, perforato da quella che riconobbe immediatamente come la voce squillante di James.

 

-James, per carità, sono le tre del mattino!

 

-Non dirmi che stavi dormendo, perché non ci crede nessuno!- replicò lui allegro, con tono allusivo.

 

-James, ti prego, non urlare!

 

-Fammi capire,- gli rispose quello con grande disappunto, - tu mi mandi un messaggio ammettendo di esserti macchiata di alto tradimento e ti aspetti che io non abbia alcuna reazione? Tirarti giù dal letto nel cuore della notte mi sembra una punizione adeguata per tale affronto, signorina!

 

Annie sbuffò distendendosi sul divano, infilando i piedi fra i cuscini. All'amico tuttavia, quel piccolo cenno di stanchezza, o di nostalgia, non passò inosservato.

 

-È tutto a posto, Annie? Sembri un po' giù.

 

-Non è niente. Mi mancate, tutto qui.

 

-Quando pensi di tornare?- le domandò lui senza troppi giri di parole.

 

-Non lo so. Dipende dal lavoro, da Landon, da troppe cose...

 

-L'avresti mai detto, quattro mesi fa, che saremmo stati ridotti a sentirci alle tre del mattino al telefono, con un intero oceano a dividerci? A quest'ora, se fossi qui, saremmo a Soho a scolarci birra. Io non mi sarei nemmeno struccato e tu e Helen vi sareste vergognate come dei cani, mentre Natalie si sarebbe divertita a impiastricciarmelo ancora di più. E Ethan...- James si bloccò di colpo, timoroso di dire qualcosa che facesse precipitare rapidamente la situazione.

 

-Ethan avrebbe riso della tua imbecillità, sempre e comunque,- concluse Annie, incoraggiandolo. -Mi manca anche lui, James, come tutti voi. Siete la mia famiglia e sempre lo rimarrete, anche se noi due ci siamo lasciati. Mi chiedo solo se anche lui ci pensa a queste cose, ogni tanto, o se a Tokio lo torchiano così tanto da non avere nemmeno tempo per sentire la nostalgia di casa.

 

A quelle parole James sembrò esitare.

-Annie, da quanto non lo senti?- le domandò, infine, con voce flebile.

 

-Non so, un paio di mesi?- accennò lei, sorprendendosi della sua stessa risposta. Dal giorno in cui ho cominciato a uscire con Landon, realizzò d'un tratto.

 

-Non so se sono io a dovertelo dire, ma la sua azienda gli ha offerto finalmente un trasferimento. Sono gli ultimi giorni per lui in Giappone.

 

Annie si mordicchiò un labbro, sentendo il battito del cuore farsi più accelerato.

 

-E dove lo mandano?- gli domandò con un filo di voce, scrutando accigliata fuori dall'enorme parete vetrata del salone di Landon. Davanti a lei, le luci di New York rimbalzavano sull'Hudson, illuminando, come se fosse giorno la città. Deglutì lentamente, per scacciare la fastidiosa sensazione di essere perfettamente a conoscenza della risposta.

 

Se solo riuscissi ad ottenere un trasferimento, anche solo per un anno, negli uffici di New York, poi potrei ambire a qualunque posizione io desideri.

 

Era così assorta nel ricordo di Ethan che, con gli occhi azzurri illuminati di eccitazione all'idea della carriera futura, le esponeva i suoi sogni che quasi non udì la voce di James, che, incerto, le domandava: -Davvero non te lo immagini?

 

 

 



Informiamo i gentili passeggeri che fra qualche istante, atterreremo allaeroporto John Fitzgerald Kennedy.

La temperatura, a terra, è di zero gradi centigradi e vi comunichiamo che da qualche minuto ha cominciato a nevicare.

Nel pregarvi di restare seduti fino al completo arresto dellaeromobile,

vi auguriamo un buon soggiorno e rimaniamo a vostra disposizione per qualunque richiesta o necessità.




 


NOTE (vi chiedo un pochino di pazienza, per oggi leggetele fino in fondo!)


Ossignur! Siete ancora qui, vivi?

Io, come al solito mi scuso per i miei tempi biblici d'aggiornamento, spero che non vi siate già stufati....

Comunque, eccoci qui, all'inzio di quella che io, sin dall'inizio, considero la seconda parte di Never let me Go. Seconda parte perché la storia cambia un pochino, i personaggi si sparpagliano per il globo, ne entrano altri...insomma, c'é un po' di rivoluzione.

Come avete visto, sono entrati due nuovi personaggi: James Clarke, che avete avuto modo di conoscere approfonditamente (il cui prestavolto é quell'imbecille di Jamie Muscato, uno dei westendiani di cui dissemino le mie storie http://www.youtube.com/watch?v=5uo-LsMpYSY) e Ethan Cartwright ( Iwan Lewis, altro westendiano :D -lo so sono un caso perso!- http://www.youtube.com/watch?v=6qeQ_k1kaFw . Io li spammo un po' ovunque, se volete dare un'occhiata, ne vale sempre la pena, son davvero bravi! ). I due neoarrivati (che compariranno ben presto anche fisicamente) sono due dei quattro coinquilini di Annie a Londra. Ethan, come avete capito dagli accenni negli scorsi capitoli, ma soprattutto qui, é l'ex fidanzato di Annie. Se ne volete sapere di più sul suo conto, prima di Natale ho pubblicato una piccola storiellina, che temporalmente si colloca proprio nel gap che c'é fra il settimo e l'ottavo capitolo di Never let me go, in cui si parla della sua vita attuale, ma soprattutto, si scopre come lui e Annie di sono conosciuti.Il titolo é "How long will I hold you" ed é proprio come la si immagina: zuccherosa, smielosa, londinosa, nevosa e natalizia.

Perché ho deciso di inserirli a questo punto della storia? Un po' perchè per la povera Annie, le cose stavano cominciando a mettersi troppo bene ( e perché tri is megl che uan) e poi perché da quando sono nati, dalla fantasia della mia bertuccina adorata Erica, hanno acquisito così tanta consistenza che non potevo assolutamente non dare loro spazio. Inizialmente pensavo di scrivere un prequel sulla vita di Annie a Londra, ma poi, a causa di un altro impegno di cui vi parlerò fra pochissimo (PLIZ NON MOLLATEMI), i programmi sono un po' slittati. Quindi, per rendere loro il giusto merito, ho cambiato un pochetto i piani ed eccoli qui! ben presto conoscerete anche Natalie e Helen, le altre due pazze di Camden (anche loro, se volete, le trovate nell'OS sopracitata).

Dunque e ora......RULLO DI TAMBURI! Non mi abbandonate perché devo farmi del basso e infimo SPAM. Dunque, era un giorno torrido giorno d'agosto quando io e Erica sonnecchiavamo sul letto tentando di digerire una cena estiva a base di tigelle crescentine tagliatelle e lambrusco (amen) quando Agnes Dayle (Down in a Hole) propose a Emily Alexandre (Evocatio sanguinis, The guardian) un progetto a sei mani, basato su un'idea che aveva avuto reinterpretando il mito di Persefone.

Pensa che ti ripensa, ne é nata una cosa seria, ovvero una storia divisa in tre spezzoni temporali che vede alternarsi le vicende di tre donne della stessa, potente famiglia, che condividono nome, sangue e maledizione.



"1920. 1969. 2013. New York.
Il jazz e i sogni folli degli anni Venti, l'epoca dei sopravvissuti, di chi ha perso i propri cari in guerra ma ha alzato la testa ed è andato avanti, mentre l'odore del tabacco copre quello della morte e l'immortalità è a portata di mano.
La musica e gli ideali di Woodstock, ultimo sogno di una gioventù ribelle, che sta per risvegliarsi sull'orlo di un baratro.
E, infine, il presente dove ogni cosa si ripete sfuggendo a ogni logica razionale, caotica, veloce, inarrestabile. Un viaggio ai confini di un mondo ormai sepolto, per scoprire che non tutto è come appare, per imparare ad essere liberi.
Una stessa città e tre ragazze.
Maia, Mer e Tai vivono i loro ventiquattro anni in tre momenti del tutto diversi, eppure c'è qualcosa a tenerle unite: una potente famiglia, una collana dai diamanti rossi, una vita già stabilita e la confortante presenza di un grande amore.
Finché, un giorno, non arriva lui..."

Se pensate possa stuzzicare la vostra curiosità, questo é il link della storia, che scriviamo insieme sotto lo pseudonimo di _Kore http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2175891&i=1


Giunti a questo punto...io non ho altro da dire, se non scusarmi per la lunghezza di queste note, augurandomi che questo capitolo possa avervi soddisfatto.

Se avete voglia di conoscermi, o di condividere un pochino quello che é il mio piccolo angolo di mondo mi trovate, come sempre, nel mio gruppo "Sing and write for the wind, fear not for tomorrow" a spacciare musica, spoilerare, sporloquiare di nappe regali, rivoluzionari con la permanente, e uomini pattinomuniti e a spargere, come sempre, disagio in giro per ogni angolo.


Un bacione, e a presto!

Lyra.







 

 

 

 

 

 

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