Spy

di ilsorrisodivoldy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one ***
Capitolo 2: *** Chapter two ***
Capitolo 3: *** Chapter three. ***
Capitolo 4: *** Chapter four ***
Capitolo 5: *** Chapter five ***
Capitolo 6: *** Chapter six ***



Capitolo 1
*** Chapter one ***





Chapter (1)


La giornata era stata lunga, nonostante non fossi riuscita a concludere nulla. Il mio nemico vagava ancora a piede libero. Non mi avevano detto manco il suo nome.
Tornai a casa alle nove, due ore più tardi rispetto al mio solito orario di lavoro. Non avevo fame, così andai a farmi una doccia per togliermi di dosso la fatica di quella giornata. Restai nel box una buona mezz’ora, dopodiché uscii e presi l’accappatoio turchese per asciugarmi. Lo allacciai in vita ed estrassi il phon dal mobiletto di fianco allo specchio. Lo accesi, e subito un getto di aria calda raggiunse il mio corpo, provocandomi un brivido caldo lungo la schiena.
Dopo aver asciugato i miei lunghi capelli biondi, li legai in una coda disordinata e, una volta sistemato il phon, uscii dal bagno spegnendo la luce.
Raggiunsi la mia camera e tolsi l’accappatoio, appoggiandolo sulla sedia vicino alla scrivania. Presi dal cassetto un completo intimo sulle gradazioni del blu e lo infilai, seguito dal mio pigiama, composto di una maglietta lilla a maniche corte e dei calzoni lunghi viola.
Aprii la finestra e guardai fuori. Young Street di sera non era molto affollata. Anzi, non lo era mai. Nella strada alla periferia di Londra, a parte la sottoscritta, non abitavano giovani, esclusi due ragazzi sulla ventina che vedevo tornare a casa o uscire per andare in un pub in centro.
Zayn Malik e Liam Payne, se non sbagliavo. Il primo, alto, moro, carnagione olivastra e sguardo misterioso. Il secondo, anch’egli alto, capelli corti, sorriso strafottente. Entrambi erano muscolosi, probabilmente, mentre io ero al lavoro, andavano in palestra.
Quella sera, la via era silenziosa. I lampioni emanavano una fioca luce che rischiarava a malapena il marciapiede. Faceva caldo per essere novembre, così decisi di tenere aperta la finestra, in modo da rinfrescare la stanza.
Alzai il lenzuolo, mi sdraiai sul letto e mi coprii. Mi appoggiai sul lato sinistro del corpo e, forse per la stanchezza, mi addormentai nel giro di qualche minuto.
 
La sveglia segnava le sette e un quarto, così mi tirai su con i gomiti e mi sedetti sul lato destro del letto, stiracchiandomi. Sbadigliai assonnata e mi diressi verso il bagno. Non mi spaventai quando vidi le occhiaie presenti sul mio viso, ma subito mi diedi una rinfrescata. Aprii il rubinetto e presi una manciata d’acqua fredda, che buttai sul mio volto.
Scesi le scale e andai in cucina per prepararmi la colazione. Mi alzai in punta di piedi e agguantai una tazza dall’armadietto sopra il lavandino, poi aprii il frigorifero e presi il latte. Riempii mezza tazza e svuotai il pacchetto di cereali.
Una volta finita la colazione, tornai in camera e afferrai i capi che avrei indossato in bagno.
Spalmai il dentifricio alla menta sullo spazzolino rosso e mi lavai i denti.
Misi il profumo, il mio adorato Burberry Love, e mi truccai. Un filo di matita nera, l’eyeliner per il contorno occhi, il correttore per le occhiaie e il mio immancabile mascara. Indossai i vestiti che avevo appoggiato sul bordo della vasca da bagno, una maglietta bianca decorata sul seno e un paio di jeans a sigaretta.
Misi il giubbotto nero di pelle, che sapevo mi avrebbe salvato dal vento fresco di Londra.
Agguantai la mia borsa a tracolla color panna, recuperai il mio iPhone, che avevo lasciato sul tavolino in soggiorno, e uscii di casa chiudendomi la porta alle spalle.
Raggiunsi la mia BMW ed entrai, mettendo subito in moto. Feci retromarcia e partii verso la sede del MI6.
L’auto stava prendendo velocità quando una Porsche nera uscì da un vialetto alla mia sinistra. Frenai di colpo, imprecando.
Guardai l’autista, e alzai gli occhi al cielo. Quel deficiente di Malik era uscito senza prestare attenzione alla strada.
Fece un cenno di scuse.
«Che ti scusi, Malik? Hai vent’anni e non sai manco guidare.» mormorai tra me e me, forse con voce troppo alta, poiché il ragazzo sentì. Scese dalla sua macchina e si avvicinò alla mia. Uscii anche io, noncurante della presenza delle due macchine in una strada di Londra. Sapevo che a quell’ora, le otto di mattina, i veicoli che passavano per Young Street si potevano contare sulle dita di una mano.
Zayn si stava avvicinando sempre di più. Chiusi la portiera e aspettai che mi raggiungesse.
In poco tempo eravamo a meno di un metro di distanza uno dall’altra. Il ventenne fece un passo in avanti. Potevo sentire il suo respiro sulla pelle. Alzai lo sguardo e lo fissai negli occhi. Non li avevo mai visti da così vicino, erano castani e sembravano delle calamite.
«Senti, ragazzina, non provare a prendermi in giro. Potrei farti tutto quello che voglio.» sussurrò riportandomi alla realtà.

«Provaci, Malik, e ti ritrovi appeso al muro per le palle.» lo liquidai, lasciandolo meravigliato dal mio coraggio.
Salii in macchina e gli rivolsi un’ultima occhiata. Si voltò, e lo fissai con un ghigno sul viso.
«E, comunque, ho solo un anno in meno di te.» asserii e feci partire la BMW, che sgommò per la potenza che ci misi.
Mi lasciai alle spalle colui che, speravo, non avrebbe più fatto parte della mia vita.
Mi sbagliavo di grosso.

Uè quagliòòò
Se stai leggendo questa fanfiction ti faccio i miei complimenti. Ce ne vuole di coraggio per leggere una mia storia.
Anyway, volevo sperimentare una ff d'azione e così... tadaaaaaaa *Marcel mode on*
Sì, non si capisce molto da questo capitolo, ma già nel prossimo si spiegano un po' di cose.
Avete capito che lavoro fa la protagonista (di cui non ho messo il nome, ops.)?
Scrivetemelo in una recensione (positiva, neutra, negativa che sia) c:
Vi prego, vorrei sapere se continuarla o no :)
I prossimi capitolo saranno più lunghi, questo è solo per presentare i personaggi (anche se non ho presentato la protagonista, ma vabbè).
Mi dileguo :3
Ah, la protagonista si chiama
Samanta :)
DanieleCreigos_wife

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Capitolo 2
*** Chapter two ***




Chapter (2)

Cambio di programma, la protagonista si chiama Jennifer (scusate).


Arrivai alla sede del MI6 senza incontrare altri rincoglioniti che mi tagliavano la strada. Parcheggiai sul retro del palazzo e premetti il pulsante del telecomando per chiudere le portiere.
Feci il giro della sede e sorpassai le porte scorrevoli, facendo un cenno di saluto al portinaio, James.
«Il capo la aspetta nel suo ufficio, agente.» mi comunicò quest’ultimo. Mi limitai ad annuire flebilmente.
L’ascensore mi aspettava con le porte aperte. Entrai e schiacciai il pulsante con il numero “2”.
Raggiunto il secondo piano, mi avviai verso il mio armadietto. Recuperai le chiavi dalla borsa e lo aprii, scoprendo il mio vestiario, una camicia semplice bianca accompagnata da calzoni neri e giacca dello stesso colore. Andai nello spogliatoio e mi cambiai.
Riposi i capi usati quella mattina nell’armadietto e lo chiusi.
Solo in quel momento mi accorsi che erano le otto e trentacinque. Ero in ritardo. Corsi velocemente su per le scale e arrivai davanti al portone del mio capo. Mi piegai in due dal dolore che avevo alla milza.
«Jennifer, dopo il colloquio ti prenoto quattro ore di palestra.» annunciò una voce femminile alle mie spalle.
Mi girai con ancora la mano sul fianco sinistro. Dolores, la segretaria, mi fissava sorridente dal suo metro e ottanta. I capelli corvini erano legati in una coda di cavallo ben curata, contrariamente rispetto ai miei, che avevo rinchiuso in una crocchia disordinata.
«Grazie, Dolores.» feci un sorriso tirato e, mentre la trentenne annunciava al capo il mio arrivo, mi tolsi l’elastico nero e mi feci nuovamente la coda, questa volta con cura.
La donna mi fece segno di entrare, prima di aprire la porta per lasciarmi passare. Feci qualche passo e arrivai nel grande ufficio del capo. Nonostante la porta chiusa, si sentivano i tacchi di Dolores che battevano sul pavimento affievolendosi man mano che la segretaria si allontanava.
Diedi un’occhiata alla stanza. Non era cambiato nulla, dall’ultima volta che stata tra quelle quattro mura, ovvero un mese prima.
Foto degli agenti più valorosi erano appese alle pareti laterali, mentre la parete di fronte a me era vuota, poiché era di vetro. Dalla stanza si poteva vedere tutta Londra, compresi Buckingham Palace e il Tower Bridge, mentre da fuori il vetro risultava nero. In questo modo il capo poteva controllare ciò che succedeva nella città senza essere in pericolo. Infatti, il vetro era antiproiettile. Dopo la morte di D l’MI6 aveva deciso di proteggere l’ufficio del capo, mi aveva raccontato un mio ‘collega’.
Sulla scrivania di vetro si trovavano un portapenne quasi vuoto, una lampada da tavolo e una decina di cartellette. Davanti al mobile era presente una sedia in pelle nera, che aveva ospitato decine, forse anche centinaia, di agenti.
«Jennifer, siediti pure.» mi comunicò il capo ed io, annuendo, mi sedetti.
Gli unici a chiamarmi per nome, e gli unici a sapere il mio vero nome, erano Dolores e il capo. Fissai meglio quest'ultimo. I capelli biondi erano tirati su con il gel, e gli occhi azzurri brillavano. Indossava come sempre un completo nero, accompagnato dalle immancabili Nike. In fondo, era un ventenne.
Era succeduto a P, nonché suo padre, quando quest’ultimo era morto durante una missione. Nonostante fosse giovane, era un ottimo capo.
L’avevo conosciuto a scuola, io avevo otto anni e lui nove, mi ero appena trasferita a Londra.
 

Mi avvicinai alla grande struttura, con la mano stretta a quella della mamma.
«Mamma?» la richiamai titubante.
«Che c’è, piccola mia?» chiese fermandosi e abbassandosi per guardarmi negli occhi.
«Ho paura, non conosco nessuno. E se mi prendono in giro?» mi sfogai lasciando che una lacrimuccia scendesse dagli occhi verdi.
«Jenny, non ti devi preoccupare. Sei una bambina fantastica, farai subito amicizia.» mi tranquillizzò.
La ringrazia abbracciandola forte e insieme entrammo nella scuola elementare. Mia madre parlò con la bidella, che le rispose che mi avrebbe accompagnato lei in classe.
«Grazie mille, è gentilissima.- asserì la donna al mio fianco, per poi rivolgersi alla sottoscritta.- Buona giornata, Jenny.».
Mi diede un bacio sulla guancia, che ricambiai prima di salutarla agitando la mano.
«Ciao, piccolina. Posso sapere il tuo nome?» chiese la gentile bidella sorridendomi.
«Mi chiamo Jennifer.» mi presentai, e la donna mi portò nella mia classe, dove la lezione era già iniziata.
La maestra mi accolse e mi presentò al resto della classe, mentre le mie guance divennero rosee dal leggero imbarazzo.
Prima di ricominciare la lezione, la signora Winston mi indicò un banco, dicendomi che sarebbe diventato il mio posto per un po’.
Mi avvicinai al tavolo titubante e poggiai le spalline dello zaino sulla sedia.
Di fianco a me c’era un bambino biondo, con i grandi occhi azzurri e un sorriso presente sul volto.
«Ciao, io sono Niall.» si presentò porgendomi la mano.
«Piacere, Jennifer.» la strinsi e sorrisi.
«Spero che diventeremo buoni amici, Jennifer.» sussurrò, prima di rivolgere l’attenzione alla maestra, che l’aveva richiamato.

 
Diventammo inseparabili. Anche alle medie eravamo in classe insieme, e al liceo avevamo la maggior parte delle ore in comune.
Quando suo padre diventò il capo del MI6, io avevo sedici anni e Niall diciassette. Il signor Horan iniziò ad allenare il figlio per poterlo reclutare come agente. Niall mi confidava tutto quello che succedeva, o almeno, tutto ciò che gli diceva il padre.
Quel mondo mi affascinava, così, quando il biondo iniziò a lavorare, lo convinsi a chiedere al capo se potevo entrare anch’io.
L’uomo accettò, e, dopo sei mesi di preparazione, diventai un agente.
Ero un agente segreto, l’agente 009, da ormai due anni.
Avevo sempre ammirato il pericolo, e, da ventiquattro mesi, lo provavo sulla mia pelle. Amavo quel lavoro.
«Abbiamo trovato quel che cercavi.» mi comunicò Niall.
I miei occhi brillarono, mentre un sorriso si allargò sul mio volto.

Uè quagliòòò
Ormai nessuno recensirà alle 23 e 10, ma dato che domani parto (torno venerdì, tranquille) ho voluto aggiornare ora :)
Anyway, questo capitolo praticamente presenta il capo, che scopriamo essere il nostro Horan, e racconta una parte del passato di Jennifer, ovvero come è diventata un'agente. Sì, è James Bond versione donna OuO
Mi lasciate una piccola recensione? *occhi dolshi*
Vi ringrazio infinitamente per le dodici recensioni del primo capitolo :3
Vado a rispondere alle fantastiche ragazze che hanno recensito c:
Al prossimo capitolo,
DanieleCreigos_wife

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Capitolo 3
*** Chapter three. ***




Chapter (3)






«Abbiamo trovato quel che cercavi.- mi comunicò Niall. I miei occhi brillarono, mentre un sorriso si allargò sul mio volto. – Ma lo devi andare a prendere.».
«Dove?» chiesi, impaziente.
Il ragazzo sorrise.
«Manchester. Un uomo sulla quarantina, probabilmente vestito elegantemente, con una valigetta. Sarà al ricevimento del lord Weird, deve consegnare il file al suo capo. - spiegò. - Fingiti una cameriera e cerca di non dare nell’occhio.».
Annuii, alzandomi.
Salutai con un gesto della mano il mio capo e uscii dall’ufficio. Scesi al secondo piano e raggiunsi il mio armadietto, dove presi la mia borsa.
Uscii dal palazzo salutando James e, entrata in macchina, mi diressi allo Starbucks.
Non mi fermai nel locale, ma presi un frapuccino che avrei poi bevuto in macchina. Pagai la bevanda e mi voltai, diretta all’uscita.
«Non si salutano i vicini di casa?» chiese qualcuno alla mia sinistra.
Mi girai, notando con disprezzo che il mio interlocutore era Malik.
«Ciao, ventenne che non sa guidare.» dissi facendo un sorrisetto ironico.
Lui si alzò dalla sedia e mi guardò negli occhi.
«Ti ho già detto che posso farti quello che voglio.» sussurrò a pochi centimetri dal mio viso.
«E io ti ho già detto che ti ritrovi appeso al muro per le palle.» feci dietrofront e uscii dal negozio.
Quel ragazzo era troppo presuntuoso e voleva sempre essere al centro dell’attenzione.
Scossi la testa ed entrai nella BMW.
Arrivai a casa e tolsi le scarpe e i vestiti, restando in intimo. Un brivido mi percosse la schiena, così andai in camera e mi infilai una maglietta rosa pallido e un paio di calzoni lunghi e attillati.
Scesi le scale e recuperai dal tavolo in cucina il frapuccino, che avevo appoggiato qualche minuto prima sul mobile.
Come il giorno prima non avevo fame, ma mangiai comunque un panino. Sciacquai il piatto e mi distesi sul divano, accendendo la televisione.
In pochi minuti mi addormentai.

***********

Venni svegliata dal mio cellulare che squillava ininterrottamente. Essendomi dimenticata di trovarmi sul divano, mi girai sul lato sinistro del mio corpo e caddi di sedere sul pavimento. Imprecai, massaggiandomi la parte lesa.
Recuperai dalla borsa il cellulare e lessi il display.
 

Mamma
Chiamata

 
Sbuffai e risposi.
«Pronto?» chiesi.
«Jennifer, sei tu?».
«No, sono un rapinatore che ha risposto alla madre di un ostaggio.» ironizzai.
«Non è divertente, Jen.».
«Che vuoi, mamma? Ho da fare.» ribattei.
«Per “da fare” intendi dormire sul divano? – sbuffai. – Comunque avrei bisogno che tu andassi a prendere Angie a scuola, e che la tenessi fino alle sei e mezzo. Devo fare uno straordinario.».
«Lo straordinario sarebbe chiudersi in ufficio con Albert e fare cose poco consone per due quarantenni? Per Angie va bene, però se sei in ritardo la lascio fuori casa, devo uscire.».
«Jennifer Marie Wilson. Non osare rivolgerti a me in quel modo. Veramente Angie dovresti portarmela a casa.» disse con un tono più calmo.
«Giusto, così dall’ufficio passate al letto. – risposi. – Angie te la porto a casa, non provare a scopare Albert con lei presente.».
Chiusi la chiamata senza aspettare una sua risposta.
Non avevo un buon rapporto con mia madre. Quando avevo dieci anni, i miei genitori divorziarono. Mio padre andò a vivere a Bradford, ed io e mia sorella, Angelina, rimanemmo a Londra con mia madre.
Io e mio padre eravamo inseparabili, mi divertivo moltissimo con lui. Quando se ne andò, piansi per giorni. Erano ormai passati nove anni, ogni inverno andavo da lui per le vacanze di Natale.
Da quando i miei si divorziarono, litigavo sempre con mia madre.
Quando avevo quindici anni, lei iniziò a frequentarsi con Albert, un ricco business man di cui mia madre faceva la segretaria in ufficio.
Si metteva sempre vestiti corti e attillati, ma non mi interessava più di tanto.
Quando avevo diciassette anni, decisi di andare a vivere da sola. Mia madre si arrabbiò, ma dopo una settimana era tornata a essere una segretaria con vestiti che lasciavano veramente poco all’immaginazione.
Dopo un paio di giorni dovetti tornare a casa.

Avevo dimenticato il caricatore del computer in camera di mia madre.
Camminai e, quando raggiunsi la mia, ormai ex, casa erano le dieci di sera. Avevo ancora il mio mazzo di chiavi, così presi quella viola e aprii la porta.
Angie stava guardando in tv un cartone animato. La salutai agitando la mano e salii le scale. Dato il volume alto della televisione, non sentivo altri rumori.
Aprii la porta della camera di mia madre, trovando lei e Albert nel letto a fare sesso.
Si fermarono di scatto, e mia madre si voltò.
«Devo solo prendere il caricatore del computer, potete continuare pure a scopare.» dissi.
La donna che mi mise al mondo era furiosa.
Recuperai quello di cui avevo bisogno e uscii sbattendo la porta.
 
Il giorno dopo
 
Dovevo parlare con mia madre. Assolutamente.
Era un sabato, potevo tranquillamente saltare scuola. Era l’ultimo anno di liceo, ma un giorno in meno non avrebbe fatto male a nessuno.
Entrai in casa sbattendo la porta. Angie era a scuola, e mia madre aveva il giorno libero.
«Dove sei?» la richiamai.
Dopo cinque minuti scese dalle scale.
«Cosa vuoi, Jennifer?».
«Mamma, non devi fare sesso con Albert quando c’è Angie. Ha solo otto anni.».
«Tu non mi puoi ordinare cosa devo fare e cosa non devo fare.».
«Mamma, ha solo otto anni, se vi scopre? Se ha bisogno di te e apre la porta? Non devi farlo quando c’è lei in casa. Anzi, non devi proprio farlo. Hai trentacinque anni!» urlai.
«Appunto, ne ho diciotto in più rispetto a te, non mi puoi dare ordini.» urlò lei.
«Fa quel che ti pare, ma io voglio bene ad Angie, non ti permetterò di rovinarle l’infanzia, in tutti i sensi!» gridai e uscii sbattendo la porta, esattamente come la sera precedente.

 
Ero molto protettiva nei confronti di mia sorella, e anche per quello litigavo spesso con mia madre.
 
Ero fuori dalla scuola media ad aspettare Angie, quando sentii una voce famigliare alle mie spalle.
«Sì, Tif. Sono fuori, devo prendere Safaa. Ti amo anch’io, ciao.».
Alzai gli occhi al cielo e mi voltai, scoprendo Malik sistemare il cellulare nella tasca dei jeans. Si sistemò la giacca di pelle nera e sollevò il capo. Mi squadrò e un ghigno coprì il suo volto.
«Vedo che mi pedini.» asserì.
«Non è colpa mia se i miei hanno scopato undici anni fa facendo nascere mia sorella.» risposi.
Il ventenne rise.
«Chi è Safaa?» gli chiesi, curiosa.
«Mia sorella. Viene a scuola qui.» spiegò indicando la struttura alla mia destra.
«E Tif?» continuai.
«La mia fidanzata. Gelosa?» sghignazzò.
«Meno canne, Malik.».
Mi sentii abbracciare, e abbassai lo sguardo, trovando una chioma bionda.
Angelina Wilson. Occhi azzurri, bocca e naso piccolini.
«Jenny! Come mai sei venuta tu?» chiese mia sorella.
«La mamma deve fare… uno straordinario.» asserii.
La bambina sorrise.
«E lui chi è? Il tuo fidanzato?» continuò indicando Zayn, che era ancora di fianco a me.
Sbarrai gli occhi, e il ragazzo ridacchiò.
«No! Cioè, no, è il mio vicino di casa.» sussurrai.
Una ragazzina con gli occhi castani e i capelli mori si avvicinò a noi e abbracciò Malik.
«Ehi Safaa, come è andata a scuola?» chiese il ventenne.
«Bene, fratellone. Ciao Angie!» salutò mia sorella.
Sbarrai gli occhi di nuovo. Mia sorella era amica della sorella di Malik.
«Lei è Tiffany, la tua fidanzata?» chiese la bambina al fratello.
Lui ridacchiò.
«No, è la mia vicina di casa.».
La piccola si girò verso di me.
«Ciao, io sono Safaa.» disse sorridendo.
«Io sono Jennifer.» risposi ricambiando il sorriso.
Sentii urlare dietro di noi.
«Amoreeee!» gridò una ragazza, prima di avvinghiarsi a Malik e baciarlo. O, meglio, prosciugargli la faccia.
«Ciao Tif.» asserì l’altro una volta staccati.
La ragazza si girò verso di me. Le diedi un’occhiata. Labbra pompate, trucco pesante, bionda platinata, top, minigonna davvero mini e scarpe con il tacco molto alto.
«E tu saresti?» chiese storcendo le labbra.
«La vicina di casa del tuo ragazzo.».
«Ti inviterei ad entrare a far parte del mio gruppo, ma sei troppo brutta.» disse squadrandomi.
Non so cosa riuscì a non farmi prendere la Colt che avevo nella borsa e sparare alla bionda. Presi per mano Angie e, senza salutare nessuno, tornai a casa mia.

Uè quagliòòò
Scusatemi per il ritardo, avrei voluto aggiornare prima, ma non avevo tempo per scrivere :c
Questo capitolo è abbastanza lungo, e diciamo che presenta gli altri personaggi, ovvero Angie, i genitori di Jen, Albert e Tiffany.
Che ne pensate di questo capitolo? E di tutti i nuovi personaggi?
Scrivetemelo in una recensione :3
Il capitolo può risultare noioso, ma è necessario perchè appunto inserisce nella storia gli altri personaggi.
Don't worry, arriveranno anche gli altri ragazzi, anche se non so come lol
Vi ringrazio infinitamente per le
20 recensioni. Ceh, VENTI in soli 2 capitoli. Tipo che a momenti cado dal letto.
Avete visto la premerie di This is us? Ajksksld *-*
Io non ce la faccio ad aspettare il 5 settembre çç
Tra pochi giorni (esattamente
5) ci saranno i VMA su MTV c:
E io li guarderò, anche se sono alle tre di notte OuO
Ok, ora che ho rotto con le news, torno al capitolo.
Grazie alle
4 persone che hanno messo la storia tra le preferite, alla persona che l'ha messa tra le ricordate e alle 18 (sì, non sto scherzando, DICIOTTO) persone che l'hanno messa tra le storie seguite.
Non so come ringraziarvi. Giusto, aggiornando presto. Spero di potercela fare çç
Inizio subito a scrivere il prossimo capitolo, a
5 recensioni lo posto c:
Ora mi dileguo, vi lascio le mie storie (basta che clicchiate sulle immagini e vi si aprirà la storia tipo tadaaaaa di Marcel):
-More than this. (ff)


(Lo so, il banner fa schifo, ma è stato il primo che ho fatto :c)
-Summer in Miami. (ff momentaneamente sospesa)

-Eleven years of loneliness. (OS)

-Love isn't a gamble. (ff)


Ora mi dileguo davvero.
Byeeeee,
liamstwjtcam

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Capitolo 4
*** Chapter four ***




Chapter (4)


Scesi e aprii una delle portiere posteriori, lasciando uscire Angie, che si avvicinò subito alla casa.
La raggiunsi e girai tre volte la chiave nella serratura, spalancando poi la porta.
Vidi mia sorella correre in cucina.
«Jenny? Dov’è la Nutella?» chiese dalla stanza.
Scossi la testa sorridendo e, dopo aver chiuso la porta alle mie spalle, varcai la soglia della cucina.
Mi avvicinai a un armadietto e, sollevandomi in punta di piedi, recuperai il vasetto della Nutella. Mi voltai,scoprendo che mia sorella aveva già preparato quattro fette di pane, che poi posò sul tavolo sorridendo.
Appoggiai il vasetto di fianco al pane.
«Angie, io non ho molta fame, mangio…» cercai di dire qualcosa, ma mia sorella mi fermò.
«Jenny, tu mangi le due fette di pane con la Nutella. Che tu voglia o no.» sapendo di non aver speranze di vincere la discussione, acconsentii.
Stesi uno strato di Nutella su due fette, e poi le coprii con le altre due.
Improvvisamente mi venne voglia di the, così presi una bustina e una tazza da un armadietto in basso e un pizzico di zucchero dalla scatola sul ripiano della cucina, sistemandola poi con una scaletta sopra il lavandino.
Mangiando il panino, Angie si sporcò tutta. Alzai gli occhi al cielo.
«Dovrei avere una tua maglietta… vieni di sopra.» le dissi quando ebbe finito di mangiare.
Salimmo le scale ed entrai nella stanza degli ospiti, ovvero una stanza che non mi serviva e che avevo trasformato in camera da letto per quando Angie si fermava a dormire.
Presi dall’armadio una maglietta a maniche lunghe con la stampa del logo di Superman e andai da mia sorella, che, nel frattempo, era andata in bagno a lavarsi le mani.
La aiutai a cambiarsi la maglietta.
«Sorellona, posso andare a guardare la televisione?» mi chiese, ed io annuii.
Scese le scale e sentii un tonfo, segno che si era buttata sul divano.
Presi la maglietta sporca e la misi nel lavandino. Prima di lavarla mi andai a cambiare. Indossai una maglietta bianca molto larga, che strinsi facendo un nodo sotto il seno, e un paio di calzoncini rossi che arrivavano al ginocchio.
Tornai in bagno e mi legai i capelli in una crocchia disordinata, fermandoli poi con un mollettone nero.
Afferrai il detersivo e coprii le macchie di Nutella. Presi una bacinella, la riempii e immersi la maglietta. Dopo cinque minuti recuperai la maglietta, la strizzai e la appesi sul filo per il bucato con due mollette.
Presi per i manici la bacinella per svuotarla, ma si rovesciò e l’acqua mi bagnò tutta.
Risultato: la maglietta bianca bagnata lasciava intravedere il reggiseno blu e i calzoni erano fradici. Mi ero bagnata anche la pancia, scoperta poiché avevo legato la maglia sotto il seno.
Scesi le scale e presi un panno dalla cucina.
Sentii mia sorella parlare dal soggiorno.
«Jenny? Va tutto bene? Ho sentito qualcosa cadere.» disse.
«Tranquilla, Angie, mi sono bagnata un po’, niente di grave.» la tranquillizzai e tornai al piano superiore per sistemare il casino che avevo combinato.
Mentre stavo pulendo, sentii il campanello suonare.
Con il look orrendo che mi ritrovavo scesi al piano inferiore e andai ad aprire.
«Sì?» dissi distrattamente guardando il salotto, dove mia sorella stava guardando una serie tv.
«Avrei bisogno dello zucchero.» non poteva essere lui.
Volsi lo sguardo al ragazzo sulla porta, e sbarrai gli occhi scoprendo che la mia ipotesi era vera. Malik era sulla soglia di casa mia.
Mi osservai di sfuggita, e arrossii leggermente ricordandomi di non essere presentabile.
Anche lui mi guardò e soffocò una risata.
«Quando sei in casa, ti vesti così? Allora vengo a farti visita più spesso!» asserì.
Sbuffai alzando gli occhi al cielo e fissai il moro, che mi guardava sogghignando. Indossava la giacca di pelle nera che gli avevo visto addosso circa un’ora prima, ma adesso lasciava intravedere una maglietta nera con stampato il logo dell’Hard Rock Cafè. Le gambe erano coperte da un paio di jeans scuri e ai piedi portava delle Nike leggermente logorate dall’uso.
«Avevi bisogno dello zucchero? – chiesi, e il ventenne annuì. – L’ho finito.» dissi chiudendo la porta, ma lui prontamente tese un braccio e la bloccò. Solo in quel momento notai quanto era muscoloso.
«Ti ho visto quando hai fatto il the, hai cinque scatole piene di zucchero.» mi maledii mentalmente, ma sghignazzai.
«Per caso mi spii? O, peggio, mi stalkeri?».
Divenne improvvisamente serio.
«Non sono io la spia.» trasalii. Nessuno doveva sapere del mio lavoro, come aveva fatto un ragazzo che mi conosceva solo di vista a capirlo?
«È Liam che segue i tuoi movimenti dalla cucina, io ero solo andato a prendermi una birra e ti ho visto fare il the.» continuò, ed io feci un sospiro di sollievo.
«Aspetta, Liam mi spia?» chiesi confusa. Il moro annuì.
«Dice che sei carina.» spiegò scrollando le spalle.
Quindi avevo un vicino rompiballe e un vicino stalker. Perfetto, pensai.
Una voce dal soggiorno mi richiamò.
«Jenny? Puoi chiudere la porta? Entra l’aria fredda.».
Annuii, anche se mia sorella non mi poteva vedere, e fissai Malik.
«Muoviti, entra.» sospirai chiudendo la porta dopo che il moro mise piede in casa mia.
Varcai la soglia della cucina, seguita dal ragazzo.
Mi alzai sulle punte dei piedi e allungai un braccio per prendere una scatola di zucchero. Non ci arrivavo e mi maledii mentalmente per aver messo lo zucchero così in fondo all’armadietto.
Sentii il mio bacino sbattere contro il ripiano della cucina e percepii caldo lungo tutta la schiena.
Vidi un braccio ricoperto quasi del tutto da tatuaggi raggiungere la scatola dello zucchero e appoggiarla sul ripiano cautamente.
Il corpo si staccò, ed io mi voltai notando con disprezzo che a fare tutto era stato Malik.
E io che pensavo che Dio mi avesse ascoltato mandandomi Daniel Craig.
Il silenzio che era calato tra di noi stava diventando imbarazzante, così presi lo zucchero e glielo diedi.
«Ecco lo zucchero. Ciao.» dissi girandolo e spingendolo verso la porta. La aprii, ma, quando stavo per mandarlo fuori, il moro si girò.
«Allora ciao.» sussurro a pochi centimetri di distanza dal mio volto.
«A mai più.» ribattei sbattendo la porta e, sbuffando, tornai al piano superiore, dove una pozza d’acqua stava aspettando di essere asciugata.
 
Erano le sei e venti, tra dieci minuti avrei dovuto portare Angie a casa.
Uscii dal box doccia e tolsi la cuffietta. Misi il deodorante e il profumo e andai in camera per vestirmi. Decisi di mettermi il completo da lavoro, poiché dopo aver portato a casa mia sorella, mi sarei diretta a Manchester.
Infilai le Converse nere e scesi le scale, trovando Angie già pronta che mi aspettava nell’ingresso.
Uscimmo e andammo in macchina. Guidai per cinque minuti fino a casa di mia sorella.
Lei scese subito, mentre io spensi la macchina e lentamente mi avvicinai all’ingresso. Angie aveva già citofonato, e dopo un minuto mia madre aprì la porta.
Era in vestaglia, probabilmente indossata appena sentito il campanello.
Mia sorella abbracciò la donna sull’ingresso, dopodiché andò sul divano.
Mia madre mi fissò.
«Non aspettarti un abbraccio. - le dissi freddamente. – Per oggi hai finito di scopare, ok? Non ci metto niente a venire qua e prenderti a pugni se solo scopro che sei andata avanti.».
Lei non rispose, così io girai i tacchi e tornai in macchina, senza salutarla.
Misi in moto e partii verso la mia meta sorridendo.
 
Arrivai a Manchester dopo un’ora e mezza di strada. Vagai per la città fin quando non vidi su una collinetta una villa tutta illuminata. Mi diressi verso la casa e parcheggiai la BMW vicino a tutte le altre auto.
Senza dare nell’occhio corsi dietro la villa e, trovato l’ingresso di servizio, entrai.
C’era molta confusione. Uomini e donne vestiti elegantemente ridevano e scherzavano tra di loro, sorseggiando ogni tanto gli alcolici che avevano in mano. Una decina di camerieri vagavano per la casa trasportando piatti, vassoi e calici. Su una tavolata vicino al camino si trovavano antipasti di ogni genere. Dagli immancabili stuzzichini a piatti complicati che non riuscii a decifrare.
Scossi la testa e andai al piano inferiore, dove c’era un via vai di camerieri, domestiche e cuochi.
Presi dalla borsa una siringa con un sonnifero e mi nascosi dietro un armadio vicino a una porta. Nessuno si accorgeva di me, e in un momento di tranquillità, quando passò una cameriera, la tirai per un braccio e le infilai la siringa nella vena. La ragazza svenne tra le mie braccia e la trascinai nello sgabuzzino alle mie spalle, dove scambiai i miei vestiti con i suoi.
Nelle tasche del grembiule misi l’occorrente per il colpo.
Presi il vassoio che aveva in mano la cameriera e, in modo del tutto naturale portai quelli che sembravano salatini al salmone sul tavolo degli antipasti.
Mi nascosi dietro una pianta e cercai con lo sguardo un uomo con una valigetta.
Lo vidi, vicino a una finestra, si stava guardando intorno, probabilmente in cerca del suo “capo”.
Stava andando al piano di sopra, così lo seguii senza fare rumore. Entrò in una stanza ed io posi l’orecchio sinistro sulla porta chiusa per sentire che stava facendo.
Una finestra sbatté, e un uomo parlò.
«Dov’è il file, Carter?» chiese una voce profonda.
«Lo prendo, capo.».
Sentii la valigia aprirsi, e decisi che era il momento di entrare in scena.
Mi allontanai dalla camera, controllai che non ci fosse nessuno ed entrai sfondando la porta con un piede.
Presi la pistola agilmente e la puntai contro i due.
«Sapevo che saresti venuta, agente.» disse il capo.
Indossava uno smoking nero, e come al solito aveva un ghigno sul volto.
«Uuh che paura una pistola. – continuò, innervosendomi. Spostai leggermente la pistola e sparai. Il colpo sfiorò l’orecchio del capo e finì fuori dalla finestra, aperta. – Vedo che vuoi combattere.».
«Dammi il file.» dissi tranquillamente.
Lui sghignazzò, eravamo a circa un metro di distanza uno dall’altra.
Feci un passo avanti e sganciai un pugno, che prontamente lui afferrò. Mise un braccio all’altezza del mio bacino e lo spinse velocemente contro di me. Feci un salto mortale, ma atterrai tranquillamente sulla pianta del piede, e mi voltai.
«Carter, prendi il file e va via!» urlò all’altro, che si avvicinò velocemente alla valigia e prese una scheda. Corse verso la porta, ma io sparai alla maniglia, dieci centimetri di distanza dalla sua mano.
«Non così in fretta.» dissi. Mi liberai dalla presa del capo e gli tirai un gancio destro in pancia. Non se lo aspettava, e indietreggiò di qualche metro. Mise la mano alla pistola e in fretta sparò un colpo, che mi sfiorò il braccio sinistro.
O almeno pensavo. Guardai la spalla e vidi il vestito azzurro da cameriera tingersi di rosso. Imprecai, ma quando alzai lo sguardo, il capo se ne era andato.
Mi voltai verso Carter. Stava per aprire la porta quando gli sparai alla gamba. Non l’avrebbe ucciso, o meglio, non direttamente. Se bloccava l’emorragia sarebbe sopravvissuto, ma ne dubitavo.
L’uomo s’inginocchiò e guardò i jeans, dove il sangue si spargeva a vista d’occhio. Fece una smorfia di dolore.
Mi avvicinai a lui e sfilai dalle mani la scheda.
«Grazie.» dissi sarcastica prima di uscire dalla stanza.
Una fitta alla spalla mi ricordò della ferita. Non potevo scendere come se non fosse successo niente, così entrai in un’altra stanza, dove c’era un letto matrimoniale con un lenzuolo bianco che spuntava da sotto una coperta marrone con una fantasia floreale. C’era un armadio lungo tutta la parete alla mia destra e in fondo alla camera c’era un balconcino. Le porte finestre erano coperte da un paio di tende bianche di lino.
Mi avviai verso il balconcino, aprii una finestra e uscii, lasciandomi travolgere dall’aria fredda di novembre.
Scavalcai la ringhiera e mi accovacciai, appendendomi alla parte inferiore del balconcino. Lasciai i piedi penzoloni e mi mollai. Caddi a terra, mi abbassai leggermente per attutire la caduta e andai nuovamente nel retro della casa.
Entrai e, senza farmi vedere tornai nel sotterraneo. Recuperai la borsa nello stanzino, dove la cameriera stava ancora dormendo sotto effetto del sonnifero.
Uscii senza farmi notare ed entrai in macchina, diretta a casa mia.

Sbem!
Dovevo aggiornare "Tra poco", ma la frase è tipo il "Soon" di Justin... o il "Sono dietro l'angolo" di Niall.
Comunque, saaalve ragazze :3
Questo capitolo è lungo, poichè domani parto per Londra e torno il 4 settembre, quindi per una settimana non potrò aggiornare çç
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto c:
Grazie mille, mi volete morta voi. 38 recensioni in 3 capitoli.
MA IO VI AMOOOO <3
Niente, a presto
Alice

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Capitolo 5
*** Chapter five ***



Chapter (5)

Contenni un urlo di dolore mentre la donna disinfettava la ferita.
Avevo chiamato Niall dicendogli che avevo recuperato il file. Lui mi aveva chiesto se mi ero fatta male, e, nonostante io dicessi che era solo una piccola ferita, lui si era preoccupato e mi aveva fatto andare al MI6.
Aveva fatto bene, la ferita bruciava, e non poco.
«Devi rimanere a riposo per due settimane, cara.» asserì l’infermiera mentre finiva di coprire la spalla con la garza.
Sbuffai.
«Ma posso muovere il braccio, guardi.» dissi, prima di muovere l’arto sinistro.
Emisi un gemito.
«Hai visto? Resta a casa un po’, quando toglieremo la garza potrai tornare al lavoro.».
La ringraziai e uscii dall’infermeria, dirigendomi all’ufficio di Niall.
Entrai, dopo aver aspettato il consenso, e mi sedetti sulla sedia di pelle nera.
«Il file?» chiesi impaziente. Il biondo sorrise.
«È protetto da codici di massima sicurezza, ci vorrà tempo per accedervi, e non sappiamo manco se riusciamo a farlo. - sospirò. – In ogni caso tu devi riposare, quindi non andrai in missione.».
Annuii.
«Ora torna pure a casa.».
Lo salutai e, presa la mia borsa dall’armadietto, uscii e andai in macchina.
La misi in moto e, partii verso casa.
Durante il tragitto pensavo. Pensavo a tutto ciò che era capitato in quei pochi giorni.
Pensavo a mia madre, che non faceva niente per cambiare e per offrire una vita migliore ad Angie.
Pensavo a mia sorella, che, ignara di tutto, voleva bene a mia madre.
Pensavo al messaggio di mio padre, ricevuto poche ore prima, in cui l’uomo mi diceva di andare a Bradford per le vacanze e che gli mancavo.
Pensavo al mio lavoro, a quanto lo amassi nonostante il costante pericolo.
Pensavo a Zayn, alla sua bellezza che cresceva a pari passo della sua stupidità.
Pensavo a Liam, il mio vicino stalker.
Chissà perché non mi aveva mai parlato.
Arrivai a casa e, appena entrata, guardai l’orologio. Segnava mezzanotte e tre minuti.
Lanciai il cellulare sul divano e salii le scale, diretta in camera per dormire.
 
Mi svegliai alle nove e scesi per fare colazione. Facevo tutto con calma, poiché non potevo andare al lavoro.
Mi alzai sulle punte per prendere una tazza. Quando tirai su il braccio una fitta mi attraversò la spalla. Emisi un gemito di dolore.
Dopo aver mangiato, mi feci una doccia e mi vestii.
Avevo freddo, così accesi la stufa che avevo nel soggiorno.
Prima di sdraiarmi sul divano spostai il cellulare sul tavolino.
Stavo pensando alla bellezza di Daniel Craig, quando l’iPhone squillò. Lo afferrai e risposi, senza leggere chi mi stesse chiamando.
«Pronto?» dissi.
«Sorellona!» urlò qualcuno dall’altro capo del telefono.
«Angie?»
«Oggi posso venire da te? Mamma è fuori per lavoro e io sono a casa da sola…» chiese.
«Certo! Vengo a prenderti.» le risposi. Non posso manco lavorare, pensai.
Mi vestii e andai a casa di mia sorella. Appena bussai alla porta questa si aprì di scatto, e diede spazio a una Angelina sorridente, che uscì di casa e andò in macchina.
Tornai a casa mia e la feci entrare.
«Jenny, giochiamo a Just Dance?» domandò.
Annuii.
Sapevo che mi avrebbe fatto male la spalla, ma decisi di accontentare Angie.
Accesi l’x box e infilai il disco. La barra kinect si accese.
Angie scelse la canzone: On the floor.
Il ballo partì, e mentre cercavo di muovermi a tempo osservai mia sorella. Ballava leggiadra, con tranquillità e sorridendo.
Finito lo strazio, mi buttai sul divano.
«Non ballerò mai più, lo giuro.» sospirai.
«Solo perché ti ho battuto. – disse la bambina facendo la linguaccia. – Che ti sei fatta alla spalla?» chiese poi.
«Distorsione.» mentii.
Suonò il campanello, e Angie andò ad aprire.
«Sorellona, è Zayn.».
Alzai gli occhi al cielo e mi sollevai, raggiungendo mia sorella alla porta.
La figura slanciata del moro apparve ai miei occhi. Indossava una maglietta bianca, che risaltava, e non di poco, i pettorali, e un paio di Frankie Garage grigi.
«Che vuoi?» gli chiesi impaziente, mentre Angie tornava in salotto a ballare.
«Sono venuto a riportarti lo zucchero.» disse porgendomi la confezione.
La presi e lo fissai.
«Perché non te ne vai?» chiesi.
«Che ti sei fatta alla spalla?».
«Non sono affari tuoi. - dissi fredda. – Addio.» aggiunsi chiudendo la porta.
Bussò di nuovo.
«La finisci di scartavetrarmi le ovaie?».
Rise.
«Ciao.» asserì dandomi un bacio su una guancia.
Assunsi una faccia schifata e strofinai la mano sulla zona interessata, provocando una risata da parte sua.
Salutò con la mano e se ne andò.
Odioso. Era davvero odioso.

Sbem!
Se mi faccio schifo? Sì.
Fossi in voi mi picchierei.
Scusate se non posto da un mese e il risultato è sta merda. Oltretutto corta.
Il problema è: LICEO.
Sta cazzo di scuola mi tiene occupata tutti i pomeriggi, soprattutto quando devo studiare fisica. Maledetta prof.
Nel prossimo capitolo c'è un colpo di scena, vi dico solo di non dimenticarvi cosa ha detto Zayn di Liam OuO
Spero di aggiornare presto ç.ç
Alice

 

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Capitolo 6
*** Chapter six ***


(6)
 
Il cellulare vibrò, ma non mi interessai più di tanto al messaggio che avevo appena ricevuto.
Spensi la televisione e misi il bicchiere di acqua sul tavolino.
«Jenny fai la pasta?» mi chiese Angie entrando nel soggiorno e buttandosi sul divano di fianco a me.
«Ok, Angie.» risposi sorridendo.
Mi alzai, mentre la bambina riaccendeva la televisione e girava su un canale di telefilm, e andai in cucina.
Mi piegai sulle ginocchia e aprii un armadietto, dove ci doveva essere la pasta.
Era vuoto, ed era domenica, quindi i supermercati erano chiusi.
Mi balenò un’idea nel cervello, e feci una faccia disgustata rendendomi conto di ciò che avevo appena pensato. Andare a chiedere la pasta da Malik. L’avevo promesso a Angie, però.
Sbuffai e infilai il giubbotto.
«Angie torno subito.» uscii dalla casa non appena mia sorella annuì.
Mi diressi verso la casa del moro e bussai.
La porta si aprì e mi ritrovai di fronte a Zayn, in tutta la sua figaggine e stupidità.
«Ti mancavo?» rise.
«Come un palo infilato nel culo.- sorrisi ironicamente. –Se non fosse per mia sorella non ti avrei manco pensato. Ho bisogno della pasta.»
«Vado a prenderla. Entra pure.» disse lui. Spalancai gli occhi alla sua frase. Era gentile?
Entrai in casa mentre lui saliva le scale andando al piano superiore.
«Ehi, tu devi essere la nostra vicina.» parlò una voce alla mia destra.
Mi voltai, vedendo Liam seduto sul divano.
Aggrottai le sopracciglia.
«Non per insultarti o altro, ma Zayn ha detto che tu mi spii dalla cucina…»
Il biondo mi fissò, prima di scoppiare a ridere.
«Che cagasotto.» disse ridacchiando.
«Cosa? Non capisco.» risposi piegando leggermente la testa di lato e guardandolo.
«È lui che ti spia, io sono oltretutto fidanzato.»
«Mi ha detto anche che mi trovi carina…»
«Bhe, non si può dire che sei brutta.- disse sorridendo. –Però no, io non ho detto niente. Zayn mi tormenta dicendo quanto sei bella e quanto vorrebbe essere il tuo ragazzo, poterti toccare e sapere che sei solo sua.»
Spalancai gli occhi. Zayn? Lo stesso Zayn che conoscevo io? Voleva quello?
«So cosa stai pensando, che sembra uno stronzo. Fidati, non lo è, cerca solo di fare il duro.»
«Ma… Non è fidanzato con Tiffany?» chiesi.
«L’ha mollata dopo che te ne sei andata da scuola. Si è arrabbiato per come ti aveva trattato e oltretutto ha scoperto che lei l’aveva tradito continuamente.»
Rimasi sconcertata dalle sue parole. Non ci potevo credere.
Sentii dei passi e mi voltai verso le scale.
Zayn mi porse il pacchetto di spaghetti e sorrise.
«Vanno bene? Altrimenti vado a prendere un’altra scatola.»
«No, no, grazie, sono perfetti.»
Mi girai per uscire, ma Zayn mi prese per le spalle facendomi voltare nuovamente.
«Ciao Jennifer.» sussurrò dandomi un bacio sulla guancia, ma che per me era troppo vicino alle mie labbra.
Diedi un’occhiata a Liam, che mi strizzò l’occhio, prima di guardare negli occhi Zayn.
«Ciao.» sussurrai e mi voltai, uscendo dalla casa dei due ragazzi.
Feci un profondo respiro e tornai a casa mia.
 
«Angie, dai che dobbiamo partire!» richiamai mia sorella entrando in macchina.
Lei uscì da casa, chiuse la porta e si sedette di fianco a me.
«Non vedo l’ora di incontrare papà.» disse.
Misi in moto la macchina e mi diressi verso l’autostrada.
Angie si addormentò quando eravamo in viaggio da mezz’ora, lasciandomi da sola a pensare.
Sospirai. Almeno le vacanze di Natale le avrei passate senza Zayn.
 
«Bimba.»
«Papà.»
L’uomo rise e mi abbracciò, stringendomi così forte da farmi quasi soffocare.
«Mi sei mancata, Jenny.»
«Anche tu, papà.» sorrisi.
«Cos’è sta storia che io non esisto?» si lamentò mia sorella.
Mio padre sorrise e la prese in braccio.
«Come sei cresciuta, piccola mia.- le baciò la fronte. –Quasi non ti riconosco.»
«Papà, sono sempre la stessa.» disse Angelina scuotendo la testa.
«Entriamo, ho tante cose da raccontarvi e da mostrarvi.» disse sorridendo l’uomo, e varcò la soglia di casa sua seguito da me e dalla mia sorellina.

Sì, mi faccio tanto pena ad aggiornare ora.
La scuola mi tiene occupata tutto il giorno, e sono due giorni che uso il pc dopo una pausa di quasi due mesi.

SCUSATEMI
Comunque, Zayn fa il duro, ma Liam dice che prova qualcosa per Jennifer... lei che farà? Cosa succederà? E che deve raccontare il padre di Jenny?
Mi sento tanto il tipo di Dragon Ball, ma dettagli.
Non so se aggiornerò presto, non so nulla.
Un bacio
Alice (che è tornata
danielecreigoswife ee)

 

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