Quella volta che l'argento si trasformò in oro

di fuoritema
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella volta che l'argento si trasformò in oro ***
Capitolo 2: *** Quando sanguini solo per capire che sei ancora vivo ***



Capitolo 1
*** Quella volta che l'argento si trasformò in oro ***



Quella volta che l’argento si trasformò in oro
 
 
 





 
Uno schizzo di sangue coprì lo schermo della telecamera mentre le urla di Cato si mischiavano ai ringhi degli ibridi. Il volume dello schermo si affievolì fino a mancare del tutto.
Silver chiuse gli occhi, lacrime di dolore ed impotenza minacciavano di bagnarle in viso in fiamme. Non sentiva più nulla, le sembrava di essersi esternata alla vicenda. Non poteva essere finita così, suo fratello non poteva morire.
La voce di suo padre spezzò il silenzio calato nella stanza “ecco quello che succede se ti innamori nei Giochi” disse con calma mentre sua madre iniziava a singhiozzare. La ragazzina si appoggiò la mano tramante sul volto.
Voleva piangere, voleva soffocare, voleva che tutto quello che aveva visto fosse solo un incubo.
“Siete deboli, voi donne” proruppe l’uomo andando in terrazza a fumarsi una sigaretta. Aveva allenato suo figlio per vincere ma il ragazzo non c’era riuscito. Se ne sarebbe fatto una ragione, dopotutto lui era il prescelto per partecipare ai Giochi.
Silver inghiottì l’ennesima lacrima, non avrebbe potuto resistere per molto, quando sentì la mano di sua madre posarsi sulla sua spalla. Guardò il televisore: il sangue continuava a colare sulla telecamera tingendo di rosso la visuale. Il dolore fece posto ad una rabbia incontrollabile.
“E’ tutta colpa tua! Se non l’avessi allenato… se… non gli avessi messo in testa tutte quelle idee non ci sarebbe andato” urlò la ragazza verso suo padre alzandosi di scatto. I suoi occhi si erano come trasformati in due fessure, non c’era più posto per le lacrime. “Non sarebbe morto!” continuò reprimendo l’ennesimo singhiozzo.
L’uomo si voltò verso di lei: non era più la bambina che aveva bisogno di suo fratello per essere protetta, non era più la bambina che si era tagliata i capelli per guadagnarsi il rispetto di suo fratello, era solo una ragazza distrutta per la morte del suo Cato.
“Avevo ragione a dire che non saresti mai stata pronta per i Giochi. Non hai la calma e la freddezza necessarie” sussurrò l’uomo con una smorfia. Silver strinse i pugni ficcandosi le unghie nei palmi.
Non doveva piangere, non davanti a lui.
“Io sarei sempre stata pronta per i Giochi se tu mi avessi allenata. Ma non stiamo parlando di me, Cato è morto per colpa tua!” urlò puntandogli il dito contro. Si sentiva le guance avvampare. Suo padre lo aveva mandato a morire, senza rimorsi.
“No Silver, Cato è morto per colpa sua. Se non si fosse attaccato così tanto a quella Clove avrebbe vinto” rispose l’uomo con una calma glaciale. I suoi occhi azzurri sembravano trapassare la figlia da parte a parte, come la lama di una spada. “Non è vero!” ribatté la biondina andando verso la porta e facendo cadere, per la sua foga, un vaso giù dalla mensola.
 
 
 
Era inverno, un gelido e freddo inverno del distretto due.
Silver era alla finestra, come sempre, per osservare il solito allenamento di suo fratello.
Teneva una spada più grande di lui e la muoveva con precisione tagliando l’aria.
Suo padre seguiva i suoi movimenti appoggiato al muro con le braccia conserte.
Cato era sfinito, si vedeva lontano un miglio che non ce la faceva più, dopotutto aveva solo quattordici anni.
Non era nemmeno un’arma che bisognava imparare a quell’età.
I cadetti imparavano ad usare i coltelli, non le spade, ma loro padre era stato irremovibile sull’allenamento.
Silver non poteva neppure provarci mentre Cato doveva allenarsi almeno due, tre ore al giorno.
Fu questione di un attimo. La spada gli scappò di mano andandosi ad conficcare nel terreno e facendogli un taglio lungo e profondo al braccio.
Silver non aveva mai visto tanto sangue in tutta la sua breve vita.
Il ragazzo si toccò la ferita sporcandosi le mani di rosso. Doveva fare male, pensò la piccola guardando l’espressione di dolore che stava facendo suo fratello.
Scese di corsa le scale per vedere il tutto da vicino.
“Incapace! Te l’ho detto mille volte di impugnarla così!” sentì suo padre sbraitare e si nascose dietro il muro della casa.
Poi sentì dai suoi passi che si stava allontanando ma si sporse solo dopo vari minuti.
“Fa male?” gli chiese preoccupata guardandolo fisso.
“Non molto, pulce” rispose suo fratello mascherando il dolore con una smorfia.
La piccola gli si avvicinò portandogli uno straccio bagnato d’acqua. “Puliscila” disse risoluta porgendoglielo.
Intanto, da vicino ad un albero, una ragazza dai capelli corvini e le lentiggini stranamente visibili nel pallore del viso, li guardava silenziosa.
 
 
 
 
 
Era come se il dolore si fosse impossessato del suo corpo, non aveva neanche la forza di piangere, mentre correva via dalla sua casa.
Aveva bisogno di stare da sola, di pensare a Cato con calma.
Silver si portò una mano al petto dove si ricordava fosse il cuore –anche se non ne era certa- per cercare di frenare quel dolore che le impediva di parlare. Persino deglutire le riusciva difficile.
Il suo stomaco sembrava chiuso in una morsa e la lingua attaccata al palato.
Voleva urlare ma sentiva di non riuscirci.
Si fermò al lago dove un tempo giocava con suo fratello. Era ghiacciato: sottili strisce di un azzurro leggermente più visibili si irradiavano sotto al ghiaccio. In inverno era sempre tutto innevato e freddo, proprio come il suo cuore.
Ti va di fare una nuotata?”
“Siamo fratelli, pulce, se te ne fossi dimenticata.”
Silver si portò le mani alle orecchie. Le voci di Cato le rimbombavano nella testa.
“Me lo avevi promesso! Perché sei morto?” urlò la ragazzina lasciandosi cadere per terra. Il contatto con il ghiaccio la fece rabbrividire, ma non aveva più la forza di tirarsi su. Non aveva più la forza di fare niente ormai.
 
Un rumore improvviso la fece girare di scatto mentre lacrime di vero dolore le appannavano la vista.
Eppure riuscì a riconoscere la figura che la osservava da dietro ad una roccia.
“Jan, va’ via” sussurrò al ragazzo asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Ma lui non se ne andava, rimaneva fermo, incerto su cosa fare. “Ti prego, vattene” gli ordinò, ma dalla sua bocca uscirono solo dei sussurri interrotti dai singhiozzi che le squassavano il petto.
Le sue suppliche però non ebbero gli effetti sperati perché Jan, ancora incerto, si era seduto vicino a lei.
“Ti prego…” disse mentre un’altra lacrima cadeva ai suoi piedi.
“Lui doveva vincere, me l’aveva promesso” aggiunse guardandolo negli occhi azzurri, identici ai suoi. Aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, qualcuno che potesse aiutarla a superare tutto. Non sapeva nemmeno perché ma si ritrovò ad abbracciarlo soffocando i singhiozzi nella sua giacca.
Non era mai successo che la biondina abbracciasse qualcuno. Era un atto da deboli, non adatto ai ragazzi del due, ma Jan la accolse tra le sue braccia cercando di confortarla.
“Mi dispiace Sil” sussurrò nella massa di capelli dell’amica. “Ma devi farcela” aggiunse asciugandole con il palmo della mano gli occhi. “Io non ci riesco…” pianse la ragazzina continuando a stringerlo forte a sé.
Era vero: non ci riusciva. Cato doveva vincere, Cato doveva tornare, Cato doveva uccidere la ragazza del dodici, e adesso? Non era tornato e stava soffrendo tra gli ibridi pregando per una morte veloce.
“Non essere sciocca. Non sei forse quella che si è tagliata i capelli contro il volere di tutta la sua famiglia, non sei quella che ha battuto l’intera Accademia con la spada, non sei quella che mi ha sempre sfidato a fare le cose più pericolose?” le chiese il biondo per spronarla ad andare avanti.
Silver si staccò dall’amico con calma, come per rendersi conto se il suo corpo non si fosse accasciato a terra nel lasciare l’unica sua ancora di salvezza. “Grazie” sussurrò cercando di far tornare il suo respiro alla normalità.
Il ragazzo le sorrise scostandole una ciocca di capelli biondissimi dalla faccia. “Di nulla. Era il minimo che potevo fare per la mia migliore amica.”
Silver scosse la testa: “no, tu non sei il mio migliore amico” disse posando dolcemente le sue labbra contro le sue.
Rimasero così a lungo, cercando di pensare ad altro, cercando di dimenticare tutto il resto.
“Cato non ne sarà felice.”
Ma Cato non sarebbe mai più tornato da lei.
 
 
 
 
 
 
Quelli che ci hanno lasciato
non sono assenti, sono invisibili,
tengono i loro occhi pieni di gloria
fissi nei nostri pieni di lacrime.
 
(S. Agostino)





























 
 


























 


Angolino dell'Autrice: È il giorno della morte che dà alla vita il suo valore! (consigliato dalla mamma di Felix)

Allora: non posso dilungarmi perché devo finire i compiti quindi vi dirò solo poche cose necessarie.
Inizio col ringraziare darkangel98, FelixTentia, pinkpunk e altre due paperelle del gruppo Il Forno su facebook per avermi dato il loro parere su questa storia e avermi consigliata sul pubblicarla o meno <3
Ora, Jan è un grandissimo amico di Silver, sono come fratelli, ed è sempre stato innamorato di lei anche se lo dimostrava in modo più che errato. E questo darkangel98 lo sa perfettamente <3 A proposito di darkangel... lei ha scritto e appena pubblicato una ff sulla morte di Thresh vista da Silver e Myrtle (la sorella di Colve). Ve la linko così magari ci date una sbirciatina, si chiama "Sangue del mio sangue"
Detto ciò vado a fare greco e latino... SIGH...
Vi ringrazio per aver aperto la mia storia e *viene sommersa dai dizionari*

Hope 13

 
 



Il Forno ⌠Hunger Games EFPfanfic⌡

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Capitolo 2
*** Quando sanguini solo per capire che sei ancora vivo ***


A Darkangel98
 
 
Quando sanguini solo per capire che sei ancora vivo
 
 
 
 
 

Un bambolina.
In mille pezzi dentro ma intera fuori.
Era così che tutti vedevano Silver mentre, con passi fermi e decisi, saliva sul palco. Nessuna lacrima, nessun singhiozzo, solo cieca rabbia e nel cuore desiderio di vendetta. La ragazzina stringeva tra le dita una sacca in cui c’era la spada che suo fratello le aveva regalato.
Inghiottì ripetutamente le lacrime guardando i due “Innamorati Sventurati” del distretto dodici.
Senza volerlo strinse la mano della ragazzina dai capelli scuri che si trovava vicina a lei. Non era la prima volta che al distretto due univano i palchi per i parenti dei Tributi morti. Succedeva quando entrambi i ragazzi venivano uccisi da Tributi appartenenti a distretti diversi, e non in una lotta all’ultimo sangue per la gloria di entrambi.
Myrtle non ritrasse la mano neppure quando sentì le unghie della più grande conficcarsi nella sua pelle, si limitò a stringerla anche lei per consolare l’amica. Sapevano entrambe di non poter piangere, di non poter mostrare alcuna debolezza, ma era difficile e, anche se non poteva ammetterlo, forse sfogandosi sarebbe riuscita a sentirsi meglio. Sentì l’amica fremere per l’indignazione sentendo le loro parole.
«Panem oggi, Panem domani, Panem per sempre»
Non c’era più traccia del fuoco iniziale nello sguardo della vincitrice, solo cupa rassegnazione e uno sguardo vacuo verso un punto molto lontano da loro, forse inesistente. Silver alzò gli occhi per la prima volta da quella mattina incontrando i suoi.
«Sono morti entrambi per colpa tua» sibilò quasi trapassandola da una parte all’altra con i suoi occhi glaciali guadagnandosi un’occhiata di rimprovero da suo padre. Chiunque avesse guardato quelle due ragazzine avrebbe visto solamente delle guerriere invincibili, ma entrambe non si sentivano affatto così. Era la copertura che erano state costrette ad indossare dalla nascita e che avrebbero indossato fino alla morte, nella gloria di essere vissute senza alcuna debolezza.
La bionda strinse ancora con più forza la mano della più piccola mentre una lacrima le bagnava il viso pallido: non era più invincibile, proprio come suo fratello, ma lo aveva scoperto solo con la sua morte. Si morse il labbro sfiorando con la punta delle dita la spada che le aveva regalato Cato.
 
 
Una mattina nel distretto due non avrebbe potuto essere più fredda.
Silver sbuffò prendendo per l’ennesima volta a calci uno dei ciottoli del selciato.
«Abbi un po’ di pazienza!» la rimproverò suo fratello con un piccolo sorrisino sulle labbra. Se fossero stati a casa la piccola lo avrebbe preso come un segno di scherno, ma erano fuori e Cato sembrava essere rispettoso nei suoi confronti, per una volta.
Si fermò in una radura al limitare del distretto e, con le braccia conserte, si appoggiò al tronco di un albero.
Silver non poteva negare l’evidenza: somigliava a suo padre, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
Avevano lo stesso modo di camminare, dritto e fiero, e stessi atteggiamenti.
«Allora? Ti muovi!» disse vedendo che la biondina si era fermata a guardarsi attorno. «Non abbiamo tutta la mattinata davanti! Ti ricordo, pulce, che non dovremmo neppure essere qui» continuò mentre sua sorella gli correva incontro.
Si fermò al suo fianco perplessa, nella sua stessa posizione.
Non sapeva cosa volesse Cato da lei, ma aveva imparato ad amare quei momenti in cui la svegliava all’alba per portarla da qualche parte: significava che voleva dirle un segreto o farle un regalo.
Il ragazzo le scompigliò i capelli corti facendola sbuffare mentre cercava di fermargli la mano evidentemente seccata da quell’atteggiamento.
«Sai, ho deciso che compiuti i diciotto anni mi offrirò volontario - disse fiero gonfiando il petto, - e quando sarò nell’Arena vorrei che tenessi la mia spada. Poi dopo aver vinto te la farò mandare come arma quando ti offrirai volontaria anche tu.»
Silver sorrise per quella rivelazione, non solo avrebbe vinto, ma sarebbe stato il suo Mentore e nulla avrebbe potuto impedirle di brillare anche lei di luce propria. Quando avrebbe vinto nessuno l’avrebbe più ricordata come “la sorellina di Cato”. Così lo abbracciò per la prima volta nella sua vita stringendogli goffa il torace, eccitata e rosea come una bambola di porcellana.
 
 
Ora le lacrime scorrevano senza sosta.
Il discorso dei Vincitori era finito da un pezzo e la folla si era dileguata così come era arrivata. Silver si era lasciata cadere appena sotto il palco mentre il suo corpo veniva scosso da forti singhiozzi. Stringeva la spada tra le mani.
Non era riuscita a trattenersi; dopo averla guardata, dopo aver guardato la morte di suo fratello, i ricordi erano iniziati ad arrivare sempre più veloci. Le immagini si susseguivano senza sosta facendola tremare alla sola vista del corpo di Cato martoriato dai morsi degli ibridi. Non era la prima volta che la tormentavano, era ormai da giorni che le rivedeva, magari in sogno – o doveva chiamarlo incubo? – svegliandosi con il fiato corto e piangendo come una bambina. Si rannicchiò per terra coprendosi il viso con le mani mentre nuove lacrime bagnavano il suolo.
«Sil?» la voce flebile di Myrtle la riportò alla realtà. La ragazzina bruna si era messa accanto a lei e le aveva passato il palmo della mano sulle guance per asciugarle il viso.
«Non era solo colpa sua» sussurrò la bionda con voce appena udibile. «Mirthie non è un gioco. Nei giochi non si muore» aggiunse staccando le parole per non cominciare a piangere nuovamente. Sapeva che una frase del genere era proibita nel suo distretto ma non era riuscita a trattenersi. La più piccola le fece un sorriso tirato, «lo so» rispose cercando di mostrarsi forte. Silver non l’aveva mai chiamata così: preferiva usare l’appellativo “Myr" differenziandosi da Clove. Non l’aveva fatto con cattiveria ma quell’unica parola aveva distrutto ogni barriera che la piccola si era creata attorno dopo la morte di sua sorella.
«Lo so» ripeté con più forza ripensando alle parole dell’amica.
Si strinsero a lungo, l’una all’altra, con il cuore gonfio di dolore e gli occhi troppo stanchi anche solo per piangere.
Per la prima volta quello che avevano sempre visto come un divertimento avevano capito che non lo era.
Per la prima volta avevano capito che i veri nemici non erano i due del dodici.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
♦♦♦
E tu non puoi combattere le lacrime 
che non stanno per arrivare
o il momento della verità nelle tue bugie,
quando tutto sembra come nei film.
Sì, tu sanguini solo per
capire che ancora sei vivo.
(Iris)
♦♦♦
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



















































Angolino sclero dell’Autrice:
 
Allora… inizio con il dire che Myrtle, la sorella di Clove, non è di mia proprietà, ma è della cara autrice a cui ho dedicato la OS. So di aver rotto le scatole a tutti con Silver, Cato, Clove, Myr e Jan ma mi è venuto il momento “amiamo i Favoriti e le loro sadiche sorelline.” Se volete potete lapidarmi, prendermi a pomodori, ma la mia ispirazione è fortemente influenzata dalle role. Dovevo pubblicarla già un po’ di tempo fa ma ci ho rimuginato, ho cambiato parole, aggiunto frasi e mischiato(?) il tutto con il mixer; spero sia almeno leggibile XD
In ogni caso ora mi dileguo per scrivere il capitolo quattro della mia long in costruzione che, quando avrò internet certo e non intermittente, pubblicherò. Se non si fosse capito mi sono affezionata in modo morboso a Myrtle e Silver…
Pace, amore e coltelli a tutti (cit. darkangel)
 
Hope 13
 
 
PS: Mi scuso con tutti quelli a cui non ho potuto recensire la ff o addirittura leggerla, ma non ho internet fisso e mia cugina (che mi aiuta nella long) si è appropriata del pc e ringhia(?) ogni volta che provo a riaverlo…
PPS: Se vi potesse interessare c’è un’altra OS (non mia ma di Darky) in cui compaiono i miei pulcini e i suoi. Si chiama “Sangue del mio sangue” e merita di essere letta <3

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