Wishes

di Mikayla
(/viewuser.php?uid=11066)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tradition ***
Capitolo 2: *** Cherry ***
Capitolo 3: *** Twisted Smile ***



Capitolo 1
*** Tradition ***


Parla l’autrice:
Sì, lo sappiamo tutti che ha rotto le scatole con le sue storie, ma ormai Stagioni è diventata una serie. Ecco infatti la seconda spin-off!
È da inserirsi tra Candeline e Foglia e l’autrice ci tiene a riferire che è presente un riferimento esplicito a Sentiero, quindi se non avete letto stagioni ci capirete poco o nulla, anche perché contiene uno spoiler della sopraccitata storia. L’autrice dichiara: se volete togliervi la sorpresa fate voi, ma magari non vi interessa e vi capirei benissimo.
Questa raccolta è di sole tre one-shot, raccontate dai protagonisti al passato, tutte e tre incentrate sul tema che da il titolo alla raccolta: wish! Esso è ispirato all’omonimo tema lanciato su Writing Community Frammenti
Ultimissima cosa alla quale l’autrice tiene in particolar modo: questa raccolta non sarebbe mai nata se non fosse stata per Parigi, una stanza studenti erasmus, una tazza di tè e Clà. Soprattutto Clà. Quindi, bando ai sentimentalismi, desidera moltissimo ringraziare la propria gemella e dirle che le vuole davvero tanto bene.

Tradition



{Come ti chiami?
Hotaru.
Vuoi giocare con me, Hotaru?
Tu come ti chiami?
Takashi.
Gioco volentieri con te, Takashi
}

L’acqua calda mi scrosciava addosso.
Gocciole bollenti mi scivolavano sul corpo, disegnando le mie forme.
Effluvi profumati s’alzavano con il vapore.
Sentivo i capelli appiccicati alla mia fronte.
Li scostai con stizza e chiusi l’acqua.
Qualche scia lucente scendeva ancora placida sulla mia pelle.
Sul mio corpo giovane.

Sono ancora troppo giovane. Shia lo è.

Sospirai.
Con un gesto della mano liberai lo specchio dalla condensa.
I miei occhi ametista mi scrutarono tristi.

Troppo tristi.

Strinsi la mano e mi si strinse il cuore.
Avevo compiuto da poco quarant’anni, ma come amava ripetermi Taka-koi ne dimostravo appena una trentina.

Eppure il mio destino è segnato.

Sospirai.
Sembrava che nulla fosse cambiato, almeno per me.
Credevo d’avere in pugno il mio futuro.
Mi sbagliavo.

« Hota-chan? »

Mi passai la mano tra i capelli.

« Sì. »

Mi avvolsi in un comodo asciugamano.

« Posso entrare? »

Infilai le ciabatte e osservai la porta.

No, Taka. Non entrare, non ora.

« Prego. »

La maniglia tremò, e sperai che lui rinunciasse.
Non sarei stata in grado di sorridere, lo sapevo.
Eppure solo lui poteva risolvere tutto.
O almeno lo speravo.

« Hota-chan… »

Non mi guardare così…

« Hota-chan…? »

Non mi fare domande…

« Hota-chan…! »

Mi strinse tra le sue braccia, incurante di bagnarsi.
Mi strinse al petto, carezzandomi i capelli.
Mi strinse con delicata fermezza, posandomi un bacio sulla fronte.

« Perché piangi? »
« Taka, io… »

Tra le sue braccia, mi cullava.
Sussurrava dolci parole al mio orecchio.
Confortava il mio animo perso nell’oceano più nero.

« Taka… io »

Lo guardai negli occhi.

« sorrido »

Forzai un sorriso tra le lacrime.

« sempre »

Scossi il capo con vigore.

« ma vorrei solo piangere. »

Dirlo mi fece male.
Vidi i suoi occhi color lampone scurirsi.
Il suo sorriso largo ed allegro - proprio quello che non lo lasciava mai - scomparve.

« Hot– »

Lo bloccai nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.
Non volevo vedere i suoi limpidi occhi velarsi di tristezza.
Sapevo che lo avrei reso infelice.

Ma lo amavo.
Troppo, forse.
Magari troppo poco.
Ma lo amavo.

« Taka… »

[Lo amo ancora adesso]

« Ho parlato con Suna-okaa-chan. »

Non lo vedevo, ma sapevo che mi osservava fisso.
Sentivo i suoi occhi puntati sulla mia nuca.
Godevo di quell’abbraccio, mentre le lacrime venivano bevute dal maglioncino di Takashi.

« Quello che temevo, che ti dissi… Taka-koi, tu ricordi chi sono io? »

La sua mano passò di nuovo tra i miei capelli.
Sentii le sue dita affusolate accarezzarmi il collo.
Non alzai il capo, ma capii ugualmente che aveva annuito: ricordava.

« La guerriera di Saturno. »
« Il soldato del Silenzio. »
« Hota-chan… »
« La Morte. »

Sentii il suo respiro mozzarsi in petto.
Per un istante temetti che pure il battito del suo cuore sparisse.
Sapeva tutto, glielo avevo già raccontato.
Era a parte del mio mondo privato, quel mondo che speravo d’aver lasciato dietro me.
Nonostante tutto temetti di perderlo.
Per un istante lungo quanto un’intera vita dubitai di lui, e me ne vergognai.

« Hotaru-hime, tu sei anche la Rinascita. »

Sorrisi istintivamente, strofinando il naso contro la sua spalla.
Lo facevo spesso quando mi svegliavo di notte per via di un incubo.
Solo che allora era Haruka a consolarmi.
Adesso c’era l’uomo che amavo a proteggermi, erano le sue mani quelle che mi circondavano dandomi forza.

Le lacrime lasciarono il mio viso, ma mi tormentavo ugualmente.

Morte e Rinascita.
Guerriera di Saturno.
Principessa.
Soldato del Silenzio.

Fui chiamata in molti modi, ma il concetto era sempre lo stesso.

Paradosso.

« Takashi, io morirò tra tre anni. »

Indolare la pillola non è mai mia abitudine.
Quando convivi per secoli interi con un mondo di tenebre perdi questo tipo di capacità.
Lui però mi amava comunque.

[Mi ama ancora adesso]

« Tre anni? Perché? »

C’era il panico nella sua voce.
Sospirai.
Non potevo biasimarlo.

« Richiedono la mia presenza altrove. »
« Ti uccideranno per questo? »
« No. »

Esitai.

« No, Taka. »
« Dovrai… andartene? »

Sospirai.
Avrei preferito dovermene andare.
Lo avrei preferito grandemente a quello.

« No. Morirò, semplicemente. »
« Semplicemente? »

Incredulità.
Sospirai.
Lo capivo fin troppo bene.

« Quando nacque Shia… Taka, io mi aggraverò. Non so di preciso cosa succederà, ma quel giorno… quel giorno presero l’occasione per riportarmi da loro, al mio mestiere. »

Avevo vissuto per troppo tempo come un’umana.
Avevo trascurato i miei doveri.
Ero l’unica su cui pendeva questa spada di Damocle, ma avrei dovuto immaginarlo, prevederlo in qualche modo.
Mi ero crogiolata nella finzione, nella falsa certezza che sarebbe andato tutto bene.

Poi quella maledetta conversazione.
E il sentirselo dire.
Lo accettai, inghiottendo fiele.

Doverlo rivelare, però, fu troppo. Anche per me.

Mi strinse più forte a sé.
Aveva paura di perdermi.
Tanta quanta quella che attanagliava il mio cuore.
Non desideravo separarmi da Shia e Taka.
No.

Mi fissò negli occhi a fondo.
Scrutò nella mia anima.
Forse cercava la prova di una menzogna, forse solo la speranza.
Non so cosa vi trovò, ma mi baciò a lungo.
L’asciugamano scivolò lungo il mio corpo, posandosi ai miei piedi.
Le sue mani forti mi stringevano a sé.
Sembrava volersi fondere con me, così da non lasciarmi andare.
Per un ardente minuto lo credetti anch’io.

« Ti amo. »

[Ti amo]
[Dillo ancora]
[Ti amo]
[Non smettere mai]
[Di ripeterlo?]
[No, di amarmi]
[Ti amo]

« Ti amo. »

Nella mia posizione desiderare una vita normale è un’utopia.
Ma una volta Setsuna mi disse che l’utopia era l’irrealizzato, non l’irrealizzabile.
Io avevo ottenuto l’amore di una famiglia, la gioia di vivere.

« Hotaru-hime… »

I suoi occhi color lampone brillarono.
Il bagliore di una speranza li illuminò.

« Ti reincarnerai. »

Non capii se era una supplica o una constatazione.
Scossi comunque il capo, stringendomi di più a lui.

« La reincarnazione non si ricorderebbe di voi. »

Sorrisi.

« Preferisco rimanere spirito e restarvi accanto finché potrò. »

Una lacrima scivolò sulla guancia di Takashi.
L’avevo visto piangere solo un’altra volta.
Quella lacrima mi ferì più di mille parole.
Era colpa mia. Ero io a farlo soffrire.

Gli presi il viso con le mani tremanti.
Rubai con le labbra quella traccia di sofferenza.

« Tornerò per te, lo prometto. »

Era solo un bisbiglio, il mio, ma sembrava l’avessi urlato.
Riecheggiò nella stanza.

« E mi terrai con te? Resteremo insieme? »

Scossi il capo e sorrisi.

« Ti reincarnerai. Dopo qualche anno lo farò anch’io. »
« Hota-chan… »
« Vivremo il nostro amore altre mille volte, fino alla fine del mondo. »
« Hota-chan… »
« E quando anche il mondo finirà vivremo per sempre nel regno di luce. »

Lo baciai prima che potesse ripetere il mio nome per la terza volta.

Ormai potevo dargli solo una effimera speranza.

{Hotaru-chan, per te!
Una violetta!
Ti piace?
Sì… grazie, Taka-chan
}

Il kimono tradizionale avvolgeva il mio corpo asciutto e profumato.
Ritoccai con calma il fiore che portavo tra i capelli, sul lato destro.
Sorrisi.
Lo specchio mi rimandò il sorriso.
Sistemai una piega dell’obi e lisciai per l’ultima volta la seta.

« Hotaru, mi aiuti con Shia? »

La voce di Takashi era disperata: non era proprio capace di mettere il kimono alla bambina.

Per un istante mi tornò in mente Chibiusa.
Mi ricordai del suo kimono rosa, dei kanzashi tintinnanti, delle geta che scalpicciavano sul pavimento di legno, dell’obi slacciata che la fece sorridere.
Chiusi gli occhi, portando nel cuore quel dolce ricordo, ormai non più triste.
Io avevo Shia, e Takashi.
Non avevo più bisogno d’altro.

Sorrisi.
Misi un velo di rossetto.
Sorrisi.
Uscii.

« Eccomi. »

Feci scivolare con delicatezza la fusuma.
Appena mi vide Shia si precipitò tra le mie braccia.
L’obi le faceva da strascico e i boccoli corvini ricadevano spettinati sulle sue spalle.
Alcune lacrime le scivolavano sulle gote.
Per un istante mi si fermò il cuore: la vidi piangere al mio funerale.

Posso davvero fare una simile cosa a lei?

Scossi il capo e lasciai perdere: non dipendeva da me.
Purtroppo.
Avrei potuto desiderare restarle accanto con tutta l’intensità possibile, ma non sarebbe cambiato nulla.
Non sarebbe mai cambiato nulla.
Non per me, almeno.
Sorrisi.

« Non piangere, Shia-chan. »
« Okaa-chan! Otoo-chan mi ha tirato i capelli! »

Risi.
La mia piccola dolce Shia.

« Non preoccuparti, ora faccio io. »

Senza preoccuparmi del kimono mi sedetti sul tatami.
Subito la feci accomodare sulle mie ginocchia.
Con pazienza e cura le pettinai i capelli.
Boccolo per boccolo.

Raccolti in un odango sulla sinistra del capo le stavano proprio bene.

La guardai soddisfatta.
Sorrise.

« Posso portare il gemello del tuo fiore? »

Rimasi interdetta.
Come faceva a sapere che ne esisteva un altro?
Ma probabilmente in quegli anni aveva conosciuto meglio lei di me le mie cose.
Curiosità di bambina, com’era normale.

« Dopo che ho finito lo prendiamo. »

Finii di legarle il kimono e infilammo le geta.
Sorridente e felice recuperò l’altro fiore dal cassetto e me lo porse.
Le diedi un bacio sulla fronte e lo appuntai ai suoi capelli.

Shia era bellissima.

« Dobbiamo andare. »
« Siamo pronte, Takashi. »
« Guarda che bel fiore, otoo-chan! »
« È bellissimo, Shia-chan. »
« È come quello di okaa-chan! »
« Siete i miei fiori, no? Vieni qui! »

Shia stava appollaiata sulle spalle di Takashi.
Sorrideva.
Takashi fingeva di arrancare col fiatone.
Sorrideva.
Io li seguivo.
Sorridevo.

« Hotaru-chan! Shia-chan! Takashi-kun! »

Minako e Makoto.
Entrambe dirette verso il tempio di Rei.
Accompagnate dai rispettivi mariti, e i figli.
Sorrisi.

Eravamo una banda.

« Scusateci per il ritardo. »
« Figurati. Anche noi abbiamo avuto il nostro bel da fare. »
« Okaa-chan! »
« Mi ha tirato i capelli! »
« Okaa-chan, mi sistemi l’obi? Yaka-baka me l’ha slacciata! »

Ridemmo.

La nostra compagnia d’amiche aveva ingrossato le file.
Non eravamo più in dieci.
No.
Sorrisi.
Era bello avere una famiglia così numerosa.

« Che desiderio pensate di esprimere, quest’anno? »
« Come ogni anno. »
« Mako-chan pensa ancora che possa accadere qualcosa di male. »
« Mina-chan, meglio prevenire che curare! »
« Ma non lo sai che non ci si deve rompere la testa prima di aver lavato le bende? »
« Non imparerai mai. È non ci si deve fasciare la testa prima d’essersela rotta! »
« E io che ho detto, Rei-chan? »
« Lascia perdere. Ecco i fogli e una penna: Setsuna-san, Haruka-san e Michiru-san vi aspettano all’albero. »
« Ci raggiungi dopo con Yuri? »
« Appena quella ritardataria cronica di Usa-chan sarà arrivata… »

Sorrisi.
La quotidianità, la spensieratezza.
Erano queste le qualità che rendevano una vita meritevole d’essere vissuta.
E noi le avevamo entrambe.
Le avevamo conquistate con difficoltà ed ora non le lasciavamo più.

Con gioia e allegria raggiungemmo i miei genitori.
Sorrisi, abbracci, chiacchiere.
I bambini correvano di qua e di là.
Schiamazzi, corse, risate.
Tutti parlavano con tranquillità, di tutto e nulla.
Insieme, perché eravamo un tutt’uno.

Io pensavo.
Sognavo.
Desideravo.

« Obaa-chan, mi prendi in braccio? »

Setsuna sollevò senza problemi Shia.
Il mio sorriso s’allargò.
Osservai i miei genitori viziare la mia bambina e sorrisi ancora di più.
Shia richiamò l’attenzione di Takashi agitando le braccia.

Con quell’immagine dolcissima scrissi il mio desiderio sul foglio.

« Okaa-chan! »
« Lego il desiderio, Shia-chan, poi arrivo. »

Con passo calmo raggiunsi l’albero.
Mi guardai attorno.
C’era tutta la mia famiglia.
Me lo ripetei ancora e sorrisi.
Inspirai a fondo.
Sorrisi.

Non c’è altro che gioia, qui.

Sorrisi.

« Shia-chaaan! »
« Chibi-chaaan! »

Usagi, Mamoru, Shinji e Chibiusa si unirono finalmente al gruppo.
Vennero accolti con una grande festa.
Sorrisi.

Legai il foglietto.

« Hota-chan, che hai desiderato? »

Takashi mi abbracciò da dietro.
Gli posai un bacio sulle labbra.

« È un segreto. »

Mentre andavamo a salutare i nuovi arrivati il mio foglietto ondeggiava.
Con il pennarello rosso avevo scritto: vorrei vivere felice accanto a chi amo.

{Hota-chan! Hota-chan!
Taka-chan?
Hota-chan, tu mi sposerai da grande, vero?
Certo! Io ti voglio bene!
Anche io: tanto tanto
}




Parla l’autrice, di nuovo:
In realtà non ha molto da dire, ma le piace avere delle note ad inizio e fine fic.
Sì, sono pazza ad assecondarla.
Per chi non avesse capito cosa sono quelle battute sottolineate e chiuse in parentesi grafe (non l’avevo capito neppure io fino a che non me lo ha detto lei, cos’erano) sono spezzettoni di conversazioni tra Hotaru e Takashi nella loro vita futura, quando potranno incontrarsi di nuovo. È stata un’idea carina, no?
Inoltre desidera ringraziare vivamente semplicementeme, strega_morgana, kalos e Ferula_91 per le recensioni commoventi lasciate a San Valentine’s Day. L’autrice si è messa a piagnucolare e giurare che vi avrebbe sposate tutte e quattro, se solo non avesse già un marito e una delle quattro non fosse già la sua fidanzatO.

Au Revoir!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cherry ***


Parla l’autrice:
Speravate davvero di esservi liberate di lei? E invece no! Eccola ancora qui con la seconda one-shot, a discapito dello studio e dell’imminente maturità. Questa storia è da porsi dopo Stagioni. Non si capisce nulla se non si è letto prima quella e San Valentine’s Day, dato che vi sono chiari riferimenti a quest’ultima. Altro riferimento è a Neve, ma proprio leggero.
Da ricordarsi, comunque, è che le storie sono raccontate dai personaggi al passato perché loro non sono più in quel presente: è come se parlassero dall’infinità del tepo raccontando i ricordi della vita precedente prima di reincarnarsi.
Piccola nota semplice semplice: sono passati sei anni dalla morte di Hotaru, quindi Takashi ha cinquantun’anni, Chibiusa ne ha ventuno e Shia sedici.
Ultimissima nota, più che dovuta. Grazie Clà. Questa serie non proseguirebbe senza di te, e ci teniamo a fartelo sapere, sia in privato che in pubblico. Perché tutti sappiano quanto ti dobbiamo. Grazie.

Cherry



{Takashi, Takashi! Dove sei?
Sono in studio, Hota-chan. Cosa succede?
Guarda!
Cosa? Un capello bianco!
}

Avevo preso l’abitudine di pisolare, dopo pranzo.
Mi lasciavo cullare dalla sedia a dondolo.
Verso le due del pomeriggio mi sedevo lì, e chiudevo gli occhi.
Lasciavo vagare la mente nell’oblio dell’incoscienza.

Sognavo.

Sognavo lei, la mia Hotaru-hime.

La tristezza mi aveva lasciato.
Il mio cuore era libero, colmo d’amore per Shia.
Ma desideravo averla ancora accanto.
Hotaru era sempre nei miei pensieri e nel mio cuore, ma nei miei sogni… nei miei sogni mi teneva la mano.

La sognavo in un bel prato verdeggiante.
La sognavo con la divisa scolastica.
La sognavo sorridente.
La sognavo vivace e allegra.
La sognavo accanto a me.
La sognavo accoccolata tra le mie braccia.

Così mi lasciavo cullare, e la sentivo accanto a me.
Sentivo il suo calore.
Percepivo il suo profumo.

Delle volte, nel dormiveglia, mi sembrava perfino di sentire la sua mano posata sulla mia spalla.
Ma non tentai neppure una volta di prenderla: mi avrebbe distrutto afferrare il vuoto.
Scoprire che riuscivo ad ingannare la mia mente a tal punto mi spaventava.
Speravo ugualmente che fosse reale; che una sua mano mi raggiungesse ancora una volta.

Ricordo che una volta mi sembrò perfino di vederla.
Forse era un sogno. Forse no.
Forse non lo saprò mai.
Forse se lo sapessi soffrirei di più.

Credetti comunque che fosse la sua promessa mantenuta.
Aveva detto che sarebbe rimasta accanto a noi. L’aveva giurato.
La mantenne, quel giorno.

Era lei: la vidi.

Il sorriso dolce.

[proprio come ricordavo]

I capelli neri a caschetto.

[proprio come ricordavo]

Gli occhi ametiste.

[proprio come ricordavo]

Le mani piccole, posate sul grembo.

[proprio come ricordavo]

Indossava un semplice abito, di un tiepido color lilla.

[quello non lo ricordavo]

Un piccolo diadema sul capo.

[quello non lo ricordavo]

Adagiata tra i seni una fine collanina d’argento.

[quello non lo ricordavo]

Da quella visita, iniziò la mia abitudine.
Da allora, tornai ogni giorno a sedermi lì.
Ne sentivo il bisogno.
Era un qualcosa che nasceva dal profondo del mio cuore.
Un’ora, niente di più; ma mi serviva.
La trascorrevo ricordando.

Era inutile mentire a me stesso: restavo lì per lei.
Per Hotaru-hime.
Speravo tornasse da me.
Da Taka-koi.

[l’ho sperato una vita intera]

Ero cambiato, da quando la conoscevo.
La mia vita, tutta, era radicalmente cambiata, con l’incontro della mia Principessa.
Quando incrociavi la sua via non potevi fingere di poter restare uguale.
Hotaru ha cambiato persone che neppure la conoscevano.

Per questo sostenevo che luccicasse.
Con quel tiepido brillio attirava l’attenzione di tutti.
Ti cambiava dentro. In meglio.

Io la incontrai un giorno di primavera.
L’avevo notata per sbaglio, mentre ridevo con il mio migliore amico.
Se ne stava seduta sotto il pesco.
Certamente ripassava per l’imminente esame.
Si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed alzò lo sguardo ai fiori rosa.
Notai subito i suoi occhi ametista.
Erano come una calamita, per me.
E decisi al momento che avrei cancellato per sempre la tristezza da quel viola meraviglioso.

Mi accorsi di essermi innamorato di lei dopo averla frequentata - o, come direbbe lei: dopo averla assillata - per un mese e mezzo. Dopo il suo quarto rifiuto ad un appuntamento con me.
Ma io ero più testardo di lei: non avrei mai demorso.
Non potevo reprimere ciò che provavo. Semplicemente.

« Ti accorgerai che è una cotta. »
« Che va avanti da un anno e mezzo? »
« Ci sono bambine che se ne accorgono dopo una decina d’anni. »

Questa sua massima si rivelò una sciocchezza.
Il mio sentimento, invece che scemare, si rinforzava.
Ogni giorno, ogni momento, ogni istante.
Mi riscoprivo ogni secondo sempre più innamorato.

Apprezzavo ogni suo difetto.
Non c’era nulla in lei che mi portasse a desistere.

Così m’incaponivo, desiderando di poter condividere con lei quel dolore e quella tristezza che vedevo infondo ai suoi occhi.
Cercavo di alleviarlo con il mio sorriso, la mia vitalità.
Sognavo di stringerla a me e far sparire i suoi problemi.

Invece lei mi evitava, mi allontanava.

« Ho lezione. »
« Devo studiare. »
« Mi aspettano. »
« Oggi devo proprio tornare a casa presto. »
« Ritorna mio padre, non posso mancare. »

Sempre le stesse scuse.
Una accavallata all’altra.

Non demordevo, comunque.
Mai.

« No, Myokatono-san. »
« No, non esco con te. »
« No, non sono libera. »
« No, grazie, senpai. »
« No. Non insistere, per favore. »

Rispondeva sempre così, sempre.
Sempre, sempre e sempre.
Sulle sue labbra c’era sempre un no, per me.
Solo un no.
No.

Allora decisi di giocare tutte le mie carte.
Provai con la Donna di Cuori.

« Sakura-chan, ho bisogno di te. »
« Taka-onii-chan? Non farò nulla di compromettente, ti avverto. »
« Sakura-hime-chan… »
« Se mi chiami così vuoi la Luna. »

Le sorrisi.
Lei sbuffò.
Le passai un braccio attorno alle spalle.
Lei sbuffò.
Le sorrisi.

« Dovresti solo sederti sotto un pesco. »

Mia sorella lo fece.
E s’innamorò anche lei di Hotaru.
E io mi sentii inveire contro per la figuraccia che le avevo fatto fare.

Ad ogni modo non cambiò nulla.
Almeno così sembrava.
Hotaru continuava imperterrita a rispondermi di no.
No, no e no.
Sempre e solo no.
No.

Hotaru-hime mi allontanava.
Ed io non capivo perché.
Sembrava un controsenso: aveva bisogno di sostegno, aveva bisogno di distrarsi, eppure rifuggiva tutto ciò.
Ero certo d’essere la sua medicina, ma lei non l’ammetteva.
Non voleva lasciarsi andare.
Mi scacciava, infierendo sul mio cuore colmo d’amore per lei.
Crudele non mi permetteva di starle accanto.
E soffrivo sempre più, vedendo la sua tristezza. Consapevole della mia inutilità.

Poi venne l’ennesimo San Valentino.
La vidi appoggiata al muro ad attendere e provai un enorme senso di sofferenza.
Una fitta, una morsa malvagia mi attanagliava dentro.

Era lì per qualcun altro, non avevo dubbi.
Vidi un pacchetto tra le sue esili dita, e mi sentii pugnalato al cuore.
Avevo la prova tangibile che lei non era per me.
Non mi amava.

Ed io non sarei mai potuto tornare indietro.
Non si può smettere di amare qualcuno.
Neppure se lo vuoi con tutto il cuore.
Neppure se ti fa soffrire.
Neppure la morte ti libera da questo peso.

Ne ero consapevole.

La osservai, attraverso il fiume di gente che lasciava l’aula.
Per quanto male mi facesse volevo sapere chi era il fortunato.
Chi mi aveva superato.
Chi l’avrebbe stretta tra le braccia.
Chi l’avrebbe sostenuta.
Al posto mio.

Quando stranamente infilò il pacchetto in tasca, mi avvicinai di un passo. E sapevo che andavo incontro, a braccia aperte, ad un destino di sofferenza.
Sorrisi. E sapevo che, per lei, avrei continuato a sorridere per sempre.
A lei piaceva il mio sorriso largo, come amava definirlo.

« Myoka- »
« Hotaru-chan! Ciao! »

Le impedii di potermi chiamare ancora una volta per cognome.
Non amavo lo facesse, proprio no.
Era peggio di tutti i suoi rifiuti.
Era come se fossi sempre un estraneo; come se fossi destinato ad esserlo per sempre.
E non potevo accettarlo.

La brezza invernale mi scompigliava i capelli, mentre il silenzio cadeva tra di noi.
Senza preavviso Hotaru arrossì, per un istante.

Un bellissimo istante.

« Takashi-san »

Ed il mio nome pronunciato da lei mi parve un sogno.
Ero disceso in paradiso?

« questo è »

Ed Hotaru estrasse dalla tasca il piccolo pacchetto.
Era rosso, avvolto nel raso violetto.
Lo guardai senza capire.

« per te. »

Finì la frase porgendomelo.

Non potevo crederci.
Non riuscivo a capacitarmi che fosse per me.
Per me.
Hotaru aveva proprio detto che era per me.
Per me.

Di riflesso le sorrisi, e per un momento mi pentii d’avere il sorriso facile: sarebbe stato più bello e significativo regalarle un sorriso nascosto.
Sperai comunque che notasse che quel sorriso era diverso.
Era solo per lei, era d’amore, era di vita.
Di speranza.

« Sì. »
« Ma… ma io non ti ho chiesto nulla! »
« Non serve parlare, Hotaru-chan. Almeno non per queste cose, non con me. »

Hotaru arrossì di nuovo.
Io presi il pacchetto dalle sue mani, con tutta la delicatezza di cui ero capace.
Lei, per me, era un fragile cristallo.
E temevo di romperla.

Mi abbassai su di lei.
Imbarazzato ed impacciato.
Le posai un bacio sulla guancia.
Di più non osavo.

« Grazie, Hota-chan. Buon San Valentino. »

Poi, non so come, la trovai tra le mie braccia.
Stava piangendo.
Le sue lacrime le rigavano il viso.

Eppure sentivo che era felice.
Forse se la felicità che la stava avvolgendo non fosse stata pressoché completa avrebbe sorriso.
In cuore mio sapevo che era così.

Così andò.
E fu la prima volta che la abbracciai.
Fu la prima volta che la sfiorai.
Fu la prima volta che le diedi un bacio.
Fu la prima volta che si affidò a me.

Sentii le sue lacrime impregnarmi il maglione.
Le passai gentilmente una mano tra i capelli, gentilmente.
Le feci alzare il capo e mi persi nei suoi occhi ametiste.

Ero felice.
Ero felice.

Ed era felice.
Era felice.

A dispetto delle lacrime, lei era felice.
Non sorrideva, ma era felice.

Non sorrideva ancora; perché io l’avrei fatta sorridere, prima o poi.

Avevo avuto ragione.
Ormai la conoscevo.
Avevo visto giusto.

Allora le baciai con delicatezza le guance, rubandole le lacrime.
Sapevano di sale.
E al momento ne fui sorpreso: ero convinto che dovessero essere dolci, almeno quanto lo era lei.

« Ti amo. »

Era un sussurro.
Era la prima volta che lo dicevo.
La primissima volta, perché non amavo sprecare quel sentimento con la banalità delle parole.

A quella confessione, le sue lacrime si fermarono.
Le sue labbra, piccole e tenere, si aprirono in un sorriso sincero.

Il primo che mi regalava.
Quel giorno mi aveva già fatto almeno tre regali, uno più bello dell’altro.
Ma che dico tre! Almeno dieci!

« Ci ho messo un po’ »

Mi rivelò, guardandomi negli occhi.
Io la ricambiai, senza sapere che dire.
Ero curioso.
Anelavo che finisse la frase, per poterla comprendere.
Volevo sapere tutto di lei, ogni singolo pensiero.

« per capirlo. »

Il mio cuore mancò un battito.
Quello che prima era dolore e timore, perdita totale di speranza, si era trasformato in pura e semplice gioia.
Avevo realizzato solo allora, in quel momento, ciò che simboleggiava quel gesto, quel pacchetto nella tasca della mia borsa.

« Ti amo. »

Mi si sciolse il cuore e provai a stringerla a me.
Ma mi fermò, premendo leggermente i palmi delle mani sul mio petto.

La guardai con occhi spalancati, confuso.
Aveva le guance imporporate.
La osservai, attendendo.
Hotaru sbatté velocemente le ciglia.
Si alzò in punta dei piedi, con gli occhi chiusi.
Sentii le sue labbra fresche e morbide sulle mie.

Sapeva di ciliegia.

[sapeva sempre di ciliegia]

Sapeva di ciliegia.

Erano fresche.
Erano morbide.

Sapeva di ciliegia.

[anche il nostro ultimo bacio sapeva di ciliegia]

Sapeva di ciliegia.

[come tutti i nuovi baci]

« Chibi-chan! Non mangiare le ciliegie! »

Aprii gli occhi.
D’improvviso.

« Servono per guarnire la torta, dai! »

Scostai la coperta dalle mie gambe.
Shia si era premurata di coprirmi.
Come sempre.

« Ma che differenza vuoi che faccia? »
« Chibi-chan! »
« Shia-chan, sei troppo severa! »

Le sentii ridere.
Erano allegre.
La nostra Shia è cresciuta nella tranquillità.
Come aveva voluto Hotaru.
E Chibiusa le è sempre stata accanto.

« Smettila!! »
« Ma dai, sembra neve! »

Alzai lo sguardo.

« Shia-chan, sei buffissima! »

Osservai i boccoli corvini di Shia, striati di bianco dalla farina lanciata in aria da Chibiusa.

Hotaru, vorrei averti vista davvero coi capelli bianchi.

« Chibi-chan, sei crudele! »

Vorrei che ci fossi seduta tu, qui, sul dondolo.

« Shia-chan, invece di rincorrermi stai attenta alla torta: si brucia! »

Vorrei invecchiare con te.

« Accidenti! Se si rovina me la paghi! »

Mi alzai.
Mi stiracchiai.
Mi addentrai nel campo di battaglia.
Quella che fino ad un’ora prima chiamavo cucina.

« Oh, otou-chan, ti abbiamo svegliato? »

Sorrisi.
Ricambiò.

« No, Shia-chan. »

Chibiusa mi si avvicinò con fare furtivo.
Tra le mani una terrina in vetro.
Colma di ciliegie.
Con un semplice gesto me ne offrì una.
La accettai volentieri.

« No, otou-chan! Sono per la torta! »

Sempre seria e precisa, la nostra Shia.
Le sorrisi furbescamente e feci per posarla tra le altre.
Vidi il suo viso illuminarsi, soddisfatto.
Chibiusa, invece, mi guardava di sottecchi.

Feci roteare il picciolo.
A destra.
A sinistra.

La mangiai.

Shia mise il broncio.
Chibiusa si mise a ridere.

Per me, fu come dare un altro bacio ad Hotaru-hime.

Non mangiavo ciliegie da sei anni.

{Takashi-koi, hai tutti i capelli bianchi.
Hotaru-hime, tu li hai grigi…
Color delle stelle… non sono belli?
Sei sempre bella.
}


Parla l’autrice, di nuovo:
Non capisco perché si ostini a mettere le note a fine fic, dato che non ha mai nulla da raccontare e/o aggiungere. Fatto sta che siamo qui, alla fine.
Unica cosa che le viene in mente da dire è che la storia è triste. Voleva far venire un colpo allo stomaco contrapponendo l’amore del racconto con la fredda e crudele realtà, ma è sicura non sia riuscita davvero nell’intento. Io lascio giudicare a voi, altrimenti lei mi uccide.

Last but not least, risponde alle recensioni con il cuore in mano. E ci tiene a ringraziarvi dal profondo.

Kalos: Hola! Thanks per la bellissima recensione :* pure a noi è piaciuta molto l’ultima parte, e Shia la adoriamo *___* Per la Haruka Hotaru ci sta lavorando ^__= aspetta un po’ che le idée si mettano in moto e la Musa la assista e poi riuscirà a scriverla. E, strano ma vero, ha intenzione di scrivere qualcosa più sulla commedia, quindi preparati a vedere la fine del mondo! XD Bacio :**

Rowina: Clà, adorata, siamo noi che dobbiamo ringraziarti. Per tutto, senza te starebbe tutto ancora nella mia testa, abbandonato e solo. Povero il nostro adorato Taka! Ç_______Ç
Ancor più ti ringraziamo per la splendida recensione, ci hai fatto capire tutto il tuo apprezzamento, che per noi è davvero importante. Le fa piacere sapere che è riuscita a trasmettere quelle emozioni intense, con questo stile che ormai è proprio di Stagioni e non riesce a vedere altrettanto bene da nessun’altra parte. Insieme ti ringraziano i personaggi, che sono lieti di essere vivi e di saperti emozionare con le loro (dis)avventure.
Le frasi avevano confuso un po’ tutti (me compresa)! XD Se non le avesse spiegate saremmo rimasti tutti così -> ?_? XDD
Ti ringraziamo ancora, di cuore, e ti abbracciamo forte. Bacioni! :**

Strega_Morgana: ti ringraziamo enormemente per questa tua recensione precisa e incredibile. Questa tua analisi ci ha lasciate di stucco, e ne siamo davvero lusingate.
Dirti che hai “azzeccato” tutto è banale, ma altro non saprebbe dire. E spera di riuscire a comunicare anche attraverso queste semplici righe tutta la gratitudine che ha (buffo, che proprio una scrittrice resti senza parole). Una piccola precisazione ci tiene a farla, giusto per chiarimento: hai pienamente ragione a pensare che Shia non sappia quanto sia speciale la sua mamma. Hotaru ha confessato tutto a Takashi, perché con lui non riesce a mantenere un segreto così importante, a Shia sarebbe stato detto tutto più avanti, quando avrebbe potuto comprendere la gravità della situazione… purtroppo però non avvenne mai…


Au Revoir!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Twisted Smile ***


Twisted Smile



{Buon compleanno, Shia-chan!
Che bella torta! Grazie kaa-chan.
Esprimi un desiderio
}

Camminavo nel parco, lungo il lago.
Le mani intrecciate dietro la schiena.
Osservavo il luccichio del Sole riflesso sull’acqua placida.

Ma non lo vedevo.

Non notavo i ghirigori che i raggi dipingevano sulla superficie.
Non notavo le preziose increspature create dal quieto navigare dei cigni e delle papere.
Non notavo il verde degli alberi fondersi con l’azzurro del cielo intrappolato nell’acqua.

Non notavo nulla.

Mi sembrava di essere cieca, mentre davanti a me c’era un intero e meraviglioso mondo.
E non potevo che dispiacermene.
Eppure per me, quel luccichio non era abbastanza.
Non era sufficiente, al mio cuore.

Perché io avevo avuto di più.
Sempre avuto di più.

Ma l’avevo perso.

« Shia-san? »

Mi voltai di scatto, e con gli occhi tornai a vedere.
Incrociai l’oro degli occhi di Helios, e sorrisi.
Perché quell’oro mi ricordava il Sole.
Mentre i capelli bianchi la Luna.

« Helios-kun! Ciao. »

Sorrisi.

[assomigliavo a mia madre,
in quel momento.
E ne ero orgogliosa
]

Sorrise.

« Ogni giorno diventi più uguale a Hotaru. »

Chinai leggermente il capo.
I miei occhi topazio si allargarono.
Piegai le labbra indentro.
Le morsi leggermente.

« Parli come se l’avessi conosciuta da tempo. »

Lui non si mostrò a disagio.
Annuì appena col capo e prese a camminare.
Mi affiancai a lui d’istinto.
Concordai il passo con il suo, e attesi.
Aspettai che parlasse, che mi spiegasse.
Helios aveva sempre conturbato i miei pensieri.
Fin dal primo giorno che lo vidi.
Allora ero convinta d’averlo già incontrato… in un sogno.
Ma anche dopo anni, per me rimaneva un mistero.

Scossi appena il capo e mi rivolsi al lago.
Tornai ad essere cieca.

« Cosa ci fai in un parco, Shia-san? »

Storsi il naso, lo arricciai.
Corrugai anche la fronte, alzando appena il sopracciglio.
Rallentai perfino il passo, restando indietro.

Che proprio lui, mi chiamasse Shia-san, mi dava fastidio.
Lui che mi sembrava di conoscere da sempre, se non da di più.
Lui che sembrava conoscere tutto e tutti da sempre.
Proprio lui, che per me era diventato un fratello; come Chibiusa era una sorella.

« Non mi puoi chiamare Shia-chan, Helios-kun? »

Lui mi fissò dritto negli occhi, e sentii un brivido corrermi lungo la schiena.
Mi fissò negli occhi, e io non potei fare altro che sperare che smettesse quella tortura. Che posasse quello sguardo dorato su qualcun altro. Chiunque altro.
Ma allo stesso modo desiderai intensamente che non lo facesse. Che riservasse quei due splendidi Soli per me soltanto. Egoisticamente solo per me.

« Soltanto se anche tu smetterai di chiamarmi così. »

Rimasi in silenzio.
Poi annuii.

« D’accordo, Helios-onii-chan. »
« Shia-chan. »

Sorridemmo.
Continuammo a camminare.
E sorridemmo.

« Cosa ci fai in un parco, Shia-chan? »

Ripeté la domanda.
Non con fare inquisitorio, era solo una constatazione.
Non c’era rimprovero, solo curiosità sincera.
Forse preoccupazione velata, ma non apprensione.

Sospirai.

« Non posso passeggiare in un parco? »

Sorrise.
Mi guardò appena di un quarto e sorrise.
§Senza voltarsi né fermarsi, sorrise.
Sorrise.

« Certo, nessuno te lo impedisce. Ma è strano. »
« Perché? »
« Non dovresti prepararti? »
« Sono cinque mesi che lo faccio. »
« E? »

Mi fermai davanti ad una panchina.
Lui assecondò il mio desiderio.
Mi sedetti sulla spalliera, come facevo da adolescente.
Lui si mise composto.

Una fogliolina color del fuoco planò lieve a terra.

Mi ricordò un’altra foglia.

Non mi domandai da dove venisse, anche se era estate.
Ma il mio sguardo s’intristì.
Divenne quasi cupo.
Non adatto a me, né a quella situazione: era del tutto fuori luogo.

Ma era sincero.

« Mi manca. »

Non seppi mai perché lo dissi, cosa mi spinse ad essere sincera ed ammettere qualcosa che nascondevo perfino a me.
Neppure con Takashi-otou-chan lo avevo mai detto.
Né l’avevo mai negato, però.

Helios non mi rispose.
Fissò davanti a sé il lago.
Io lo imitai, ma più mi sforzavo di cogliere qualche particolare meno vedevo.

Continuavo a essere cieca.

« Sarebbe strano il contrario. »

Annuii, e da sotto il mio sguardo sparirono i contorni indistinti di una libellula.

« Avrei voluto che fosse qui, oggi. »
« … »
« Gliene avevo parlato molte volte, sai? »
« Davvero? E cosa le dicevi? »
« Raccontavo del vestito che desideravo avere, dei fiori, della chiesa, dello sposo… »

Una lacrima solcò la mia guancia.
Unica e sincera, quasi disperata.

« Ho ottenuto tutto, Helios-chan. Tutto. Quel vestito, quei fiori, quella chiesa, Akarui… Tutto. Tranne una cosa. »

Un’altra lacrima seguì la prima.
Ora la mia guancia destra aveva due solchi.
Neri e grigi: mascara che colava.

« Qualcosa che non avevo desiderato, perché lo davo per scontato. »

Helios sapeva che stavo piangendo.
Certamente era lì per ordine di Chibiusa.
Una specie di “caccia alla sposa”.
Ma il suo stare in silenzio, lì vicino, lo faceva assomigliare di più ad un angelo custode che a un cacciatore pronto a riportare la preda per ricevere il premio.
Un fratello che mi proteggeva senza chiedere nulla.

« Mia madre. »

Lo soffiai appena, tanto che credetti non mi avesse sentito.
Era un tono triste, abbandonato, solitario.
Non avevo mai sentito mia madre usarlo, e me ne vergognai.
Lei era stata sempre forte, ed io mi facevo sconfiggere da… un desiderio.

Vorrei vedere mia madre che mi sorride dalla prima fila. Vorrei che mi lanciasse il riso e ridesse. Vorrei che avesse potuto conoscere il mio Akarui-chan. Vorrei…

« Hotaru ci sarà, in quella chiesa. »

[e adesso lo so]

« Lei sarà felice per te, e sorriderà. »

[e lo fece davvero]

« Ti accompagnerà e ti starà vicina, Shia-chan. »

[ed era la verità]

Si voltò verso di me e sorrise.
Mi prese una mano tra le sue e giocò con il mio anello.

In realtà era l’anello di Hotaru-okaa-chan.

« Sai cosa significa, questo anello che porti? »

Scossi il capo.

« Quando Haruka, Michiru e Setsuna si presero l’incarico di crescere Hotaru sancirono la promessa con quell’anello. Assieme alla promessa di accudirla espressero anche un desiderio: che potesse vivere felice. »

Lo guardai senza capirlo, e mi chiesi come potesse sapere quelle cose, che neppure io avevo immaginato.
Di sicuro Takashi le sapeva, ma io no.
Ero confusa, e desiderai non sapere di più.

« Hotaru ha vissuto felicemente, non trovi, Shia-chan? »
« Ma è morta giovane! »
« Ciò non toglie che quando era in vita era felice. »
« … »
« Aveva te e Takashi, le sue amiche e i suoi genitori. »

Poi mi ricordai di un album.
Di una foto.
Una in particolare, davvero semplice e innocua.
Mamma aveva diciassette anni, sedeva ad un tavolino e sorrideva all’obbiettivo.

Ma era un sorriso strano.

Era un sorriso rotto.
Un sorriso finto.
Un sorriso che non avevo mai più visto sul viso di Hotaru.
Un sorriso triste.

Non sospirai.

« Era felice. »

Ne ero convinta.
Hotaru-okaa-chan era felice.
Aveva vissuto una vita piena e meravigliosa.
Regalava sempre un sorriso sincero a coloro che amava.

E per me ne aveva sempre uno speciale.

Portai di nuovo lo sguardo sulla superficie del lago.
Notai un’increspatura.
Sospirai.
Sorrisi.

Avevo capito il perché della mia cecità.
Avevo compreso perché il luccichio del mondo non mi bastasse.
Non era sufficiente, per me.
No.
Avevo avuto quello di mia madre sempre rivolto verso di me, e quello valeva più di qualunque altro, per me.
Lei era la mia luce.
Come lo era sempre stata per mio padre.

[e sarà sempre]

Una lucciola che rendeva più vividi i colori.

Mi accorsi solo quel giorno ciò che avevo perso.
Ma fui felice di scoprirlo, perché ora potevo essere davvero felice.

Sentii squillare il cellulare, d’improvviso.
Recise in un istante i miei pensieri.
Non potei non immaginare Akarui in smoking, che chiamava perché non mi aveva vista.
Certamente Takashi lo rassicurava con il suo largo sorriso e la sua pacata tranquillità.
Possibile che stesse perfino raccontandogli degli aneddoti sul suo, di matrimonio?
Immaginai vividamente la scena.
Tanto bene che sorrisi.

Non risposi al cellulare e scattai in piedi.
Spolverai appena con una mano la gonna e strinsi al grembo la borsa.
Mi voltai verso Helios e sorrisi di più.

« Tu conoscevi mia madre. »

Lo affermai con forza.
Non attesi una risposta.

Non ne avevo bisogno.

Gli diedi le spalle e corsi fuori dal parco.

Il mio matrimonio mi aspettava, e con esso la prospettiva di una vita felice.

Avrei avverato il mio desiderio solo in seguito.
Ma aspettare non mi aveva mai causato problemi.

{Mamma!
Tesoro, se non stai ferma ti pungerai.
Ma… sono agitata…
Shia-chan, ogni sposa lo è
}


Parla l’autrice:
Purtroppo -o per fortuna, a voi la scelta- siamo di estrema velocità, quindi dobbiamo essere spiccie nello scrivere le ultime note a questa fic (ebbene sì, è finita!).
Dunque lasciamo perdere tutti I riferimenti ad alter storie, che non vi interessano. Una cosa va detta più che altro perché non ci siano equivoci: Shia non è innamorata di Helios! Per lei è come un fratellone, tanto che lo chiama nii-chan. Eppoi Helios è felicemente sposato con Chibiusa!!

Ultimissima cosa, davvero doverosa: ringraziamo moltissimo strega_morgana per il bellissimo commento, ci dispiace un sacco non avere il tempo di rispondere, ma sappi che ci ha colpito molto e ten e siamo grate! Un bacio.

Au Revoir!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=230259