Back From The Death

di AxXx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ??? - Come risvegliarsi male. ***
Capitolo 2: *** Percy - Una visita dall'Aldilà ***
Capitolo 3: *** Bianca - Di persone ospitali e Sogni inquietanti ***
Capitolo 4: *** Bianca/Nico - Dolori di un Passato Lontano ***
Capitolo 5: *** Bianca - Mio fratello mi Invita a Casa Sua ***
Capitolo 6: *** Bianca - una Profezia molto Inquietante mi Riguarda ***
Capitolo 7: *** Bianca/Nico - Arrivano le Cacciatrici ***
Capitolo 8: *** Bianca - Mio fratello parte per una Missione Suicida ***



Capitolo 1
*** ??? - Come risvegliarsi male. ***


??? - COME SVEGLIARSI MALE

 

Storia ispirata in parte, e con alcune parti simili ad una storia di BSHallow. Per evitare denuncia, vi dico subito che lei mi ha dato il suo permesso. La storia a cui mi sono ispirato è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2524266

 

 

 

 

Cosa sapevo di me?

Nulla.

Nemmeno come mi chiamavo, mi ero risvegliata in un grande parco pieno di gente, alberi e animali e che ero distesa su una panchina. Mi alzai sentendo la testa girare. Era effettivamente, una zona alberata, ma intorno ad essa si vedevano dei palazzi e delle costruzioni in cemento. Ero a New York.
Non so da dove mi fosse venuto il nome, ma sentivo di essere in una città con quel nome. Il parco, quindi, doveva essere Central Park. Intorno a me la gente parlava, bambini giocavano e alcune persone andavano in giro con i propri animali da compagnia. Le voci arrivavano ovattate alle mie orecchie, come se avessi del cotone nel padiglione auricolare.

Scossi la testa, cercando di schiarirmi le idee, magari iniziare a sentire meglio.
L’unico risultato fu che la testa iniziò a girarmi.
Emisi un lamento e mi tenni la fronte. Cercai di mettermi in piedi ma barcollai.

“Dannazione, perché sto così male?” Mi domandai, confusa. “E perché non ricordo nulla?”

“Signorina? Si sente bene?”
Davanti a me era apparso un uomo sulla trentina. Indossava quella che mi pareva una sorta di uniforme blu con una stella a sei punte appuntata al petto. Sulla testa aveva uno strano copricapo con visiera.

“Scusi?” Chiesi, strizzando gli occhi, cercando di schiarirmi la vista annebbiata.

“Le ho chiesto se si sente bene… e direi di no, a giudicare dalle sue condizioni.” Puntualizzò, sorreggendomi, mentre barcollavo di nuovo a causa dell’ennesimo giramento di testa.

“In effetti… sono un po’ stordita. Solo… devo rinfrescarmi un attimo.” Risposi, poco convinta. Non avevo nemmeno idea da dove mi venissero quelle parole.

L’uomo sembrava parecchio dubbioso e mi seguì mentre mi dirigevo, o meglio, arrancavo, fino alla fontana più vicina. Appena aprii l’acqua e me la passai sul viso, mi sentii subito meglio, anche se non molto. Almeno mi si erano schiarite le idee, anche se continuavo ad avere dei problemi tipo le orecchie tappate e il giramento di testa.

“Signorina, cos’ha legato alla cintura?” Mi chiese, nuovamente, il tipo che mi aveva soccorso, accigliandosi.

Mi irrigidii, mentre, scrutavo il mio vestiario. Indossavo una specie di giacca, abbastanza leggera, color argento con un cappuccio con sotto una maglietta nero. Avevo anche un paio di pantaloni dello stesso colore tenuti stretti in vita da una cintura a cui era legato un pugnale.
Rabbrividii, mentre il mio soccorritore si faceva più scuro in volto. Si voltò e pescò dalla sua cintura una scatoletta nera. Una radio.

Mi resi conto che non ero in una bella situazione. Quella che portavo era senza dubbio un’arma e questo non era un punto a mio favore. Mi chiesi se avesse usato la pistola che aveva con se, o se mi avesse arrestata. Poteva?
Non lo pensavo, ma avrebbe potuto trattenermi.

Approfittai del fatto che fosse voltato per dileguarmi. Nonostante mi girasse la testa, le mie gambe avevano ricominciato a funzionare. Non avevo una meta precisa, ma intuii che, forse, non era bene aspettare che il tipo smettesse di parlare. Corsi lungo il viale alberato gettandomi qualche occhiata alle spalle per assicurarmi di non essere seguita. Urtai un paio di persone a cui borbottai delle scuse affrettate, finché non raggiunsi l’uscita del parco.

Cavolo, se era stata una mossa sbagliata.
Il traffico mi faceva fischiare le orecchie non ancora rimesse in sesto. Mi sembrava di avere uno spillo ficcato al lato della testa. Camminai, cercando di estraniare i rumori delle auto, il rombo del motore, la gente che urlava. Avevo il presentimento che rimanere sola, in un unico punto, non fosse una buona idea.

E così camminai.

Non sapevo dove stessi andando, ma, ogni tanto, sentivo come una strana vocina guidarmi lungo i marciapiedi e le strade. Evitavo accuratamente le stradine secondarie che sembravano trappole a misura d’uomo con dei predatori in agguato negli angoli bui. Dovevano essere passate ore, quando, alla fine, mi fermai. Il sole, ormai, batteva forte sulla mia testa, inondandomi di calore fastidioso. Sudavo e mi sentivo sporca e appiccicata ai miei stessi abiti. Cercai qualcosa nella borsa a tracollo che mi ero accorta di avere. Magari una bottiglietta d’acqua, ma trovai solo una ventina di dollari e delle strane monete d’argento. Non avevo praticamente nulla ed ero seduta su una panchina di quello che pareva un cortile davanti ad un grosso edificio in mattoni rossi alto tre piani, più o meno.

Quella sembrava proprio una scuola.

Avevo la sensazione di aver già frequentato un luogo simile, e senza troppo successo. Forse non mi piaceva nemmeno.
Non avevo idea del perché la vocina che sentivo nella mia testa mi avesse portato lì, ma erano diversi minuti che non la sentivo sussurrare direzioni nella mia mente, il che mi fece capire che, ovunque mi volesse far arrivare, ero arrivata.

“Avanti, voce. Dimmi cosa vuoi che faccia.” Pensai, quasi mi aspettasse che quella mi rispondesse.

Nulla.

Sospirai ed iniziai a guardarmi intorno, cercando di darmi dei punti di riferimento, dato che, finalmente, la mia vista si era schiarita del tutto e il mio udito si era ripreso completamente. La mia attenzione fu attirata da una specie di locale.

Un bar.

Mi avvicinai cautamente, anche perché avevo sempre strani timori e non riuscivo a rilassarmi del tutto. Credo che sia normale, quando ti risvegli in una città senza ricordarti assolutamente nulla. Eppure, quando l’odore di dolci da poco sfornati e cibo mi arrivò alle narici non potei fare a meno di essere attratta.

Il mio stomaco emise un brontolio.
Cavolo, ecco perché mi sentivo così debole: avevo fame. Dal vetro notavo che, su un bancone erano sistemate delle ciambelle, crostate, cornetti e molta altra roba da mangiare dall’aspetto delizioso.

Il mio stomaco, intanto, continuava a urlare per potersi riempire ed io l’avrei accontentato volentieri, solo che avevo paura di ritrovarmi senza soldi, in poco tempo. Cavolo, non sapevo dove andare. Non sapevo nemmeno se avevo una casa o dei genitori.
Così sfidai la mia resistenza, sperando che quella vocina che sentivo mi portasse in un posto familiare.
Inutilmente.

Passò circa un’altra ora, prima che, con un sospiro, abbandonassi la mia panchina, andando al bar di prima. Sbuffai, osservando i miei miseri venti dollari e mi avvicinai al bancone, assicurandomi che il pugnale fosse ben nascosto sotto la giacca e che non fossi io stessa, troppo sospetta. Insomma, cercai di assumere la mia faccia più angelica.
Il locale era vuoto. La maggior parte dei clienti dovevano essere i ragazzi che si fermavano lì a fare colazione o dopo la scuola.

“Posso fare qualcosa per lei?” Mi chiese il proprietario al bancone, alzando un attimo lo sguardo. Stava pulendo dei bicchieri.

“Sì, ecco…” Mi voltai verso il bancone ed osservai i dolci. “Prendo un cornetto.” Dissi, indicando quello che avevo scelto dall’altra parte del vetro.
L’uomo mi fissò un attimo, poi annuì e sorrise.

“Calo di zuccheri, eh? Bisognerebbe fare colazione la mattina.” Borbottò, mentre mi serviva.

Decisi di non protestare. Mi limitai ad annuire e pagare il conto sorridendo ingenuamente. Uscii rapidamente, sentendomi immediatamente più leggera. Gli spazi chiusi non mi dispiacevano, ma, con quella dannata amnesia, non mi sentivo sicura. Decisi di non pensarci e, dopo averlo osservato un attimo, addentai il cornetto.

Cavolo, se era buono.

Non avevo idea di quale roba chimica avessero usato per renderla così o se era abilità di chi l’aveva preparata, ma la pasta esterna si scioglieva praticamente, mentre era in bocca, mentre il ripieno dolciastro, che sapeva di albicocca, scivolava nel palato dandomi una sensazione davvero fantastica.  Lo mangiai alla velocità della luce, felice di sentire lo stomaco riempirsi e le energie tornarmi.   

Ero così felice di sentirmi di nuovo in forze che, per poco, non sobbalzai, quando sentii la campanella della scuola vicina suonare. Dal portone principale stavano uscendo un numero esorbitante di ragazzi. Forse la voce mi aveva portata in quel posto perché c’era un mio amico. Forse c’era qualcuno che mi conosceva e, vedendolo, mi sarebbe tornato in mente qualcosa. Così iniziai a far correre lo sguardo da una parte all’altra della folla di ragazzi che uscivano alla rinfusa, cercando qualsiasi cosa mi potesse aiutare. Fissai per alcuni istanti un gruppo di ragazze che ridacchiavano all’uscita, mentre un loro compagno le guardava, facendo strani gesti ad una di loro. Poi guardai un ragazzo biondo che teneva le mani nelle tasche dei jeans decisamente TROPPO a vita bassa.

Nulla, nessuno di loro mi faceva venire in mente un luogo, un viso o una persona a me familiare. Stavo per rinunciare quando il mio sguardo cadde su uno degli ultimi ragazzi.

Doveva avere sui diciassette anni. Aveva un aria ribelle, gli occhi verde-azzurro, come l’acqua di un mare calmo e tranquillo. I capelli mossi ricordavano le onde dell’oceano. Il volto era dolce e sorridente, come se dovesse combinare guai per forza ma senza cattiveria, e, nonostante fosse coperto da maglietta e pantaloni, potei intuire che avesse un fisico molto ben allenato.

Ecco: quello era un viso familiare.

Lo osservai con maggiore attenzione e notai che, nonostante stesse sorridendo, aveva lo sguardo guardingo, come se si aspettasse un attacco. Teneva una mano nella tasca destra dei pantaloni ed era seguito da un gigantesco ragazzone stretto in un impermeabile troppo pesante, anche per la mattinata non troppo calda. Sembrava volersi nascondere da sguardi indiscreti.
Troppo grosso per essere una persona normale.

Di solito, una persona normale, non seguirebbe i primi due tipi che gli si parano davanti, seguendoli come se fossero una lucina di segnalazione, ma, ehi! Mi ero appena svegliata senza ricordare nulla! Qualsiasi cosa fosse familiare, mi avrebbe potuto aiutare. Così mi misi alle costole dei due tipi, cercando di evitare di farmi scoprire.
Con mio disappunto si diressero in un vicoletto ai lati della palestra (O quella che, a vedere, era una palestra)  e la cosa mi insospettì. Nessuno sembrava averci seguiti, quindi, a parte me e quei due, quella non era una strada molto frequentata. Automaticamente, intuii che, se qualcuno voleva tornare a casa non passava MAI da lì. Mentre li seguivo osservai diversi murales e altri graffiti disegnati ovunque. Era un posto squallido e disastrato. Bastava vedere quanto fossero sporchi e scoloriti i colori stessi che, spesso, si sovrapponevano.

Mi trattenni dal commentare certe immagini fin troppo orrende. Avevo altro da fare.

Ad un certo punto, però, voltato l’angolo, sentii una specie di tonfo e sobbalzai. Un suono seguì quello che avevo sentito e mi parve proprio il muggito di un toro.  

“Ehi, testa di manzo! Sono un paio di anni che non ci si vede!” Testa di manzo? Che razza di insulto è? Quello doveva essere il ragazzo che avevo notato per prima.

Voltai l’angolo e mi ritrovai davanti ad una scena che mi fece accapponare la pelle. Al posto dell’enorme ragazzo c’era una creatura alta tre metri, con una testa sproporzionatamente grande rispetto al resto del corpo, dai lati della quale si estendevano due grandi corna. Il corpo era ricoperto di peli rossicci e le enormi braccia sembravano dei tronchi.
Come se la scena non fosse, già di per sé, abbastanza scioccante, il ragazzo dagli occhi verdi aveva abbandonato il suo zaino per terra e aveva estratto una penna dalla tasca che, un secondo dopo, si era allungata diventando una spada lunga novanta centimetri che sembrava simile al mio pugnale.

Mi accucciai dietro il muro spaventata, mentre sentivo muggiti e armi che cozzavano contro le corna della creatura. Cercai di riprendermi e mi detti un pizzicotto per sicurezza. No, non stavo sognando. Avevo davvero visto un uomo trasformarsi in un gigante cornuto ed un ragazzo tirare fuori una spada dalla tasca dei pantaloni.  

Sbirciai di nuovo dietro l’angolo. Erano ancora lì ad affrontarsi: il ragazzo era rapido e sembrava saperla usare bene quella spada. Il problema era che anche il mostro sembrava conoscere piuttosto bene le mosse del suo avversario e, nonostante le proporzioni, riusciva ad evitare la maggior parte dei fendenti.
Fui tentata di intervenire. Anzi: dovevo farlo. Il problema era che il mio cervello non sembrava funzionare correttamente. Una parte di me mi diceva di correre via alla velocità della luce a chiedere aiuto.
Dopotutto sembrava anche la scelta migliore: cosa potevo fare, io, povera ragazzetta smemorata, contro un bestione del genere?
E poi cos’avevo, io, che poteva essermi utile, contro quel bestione? Una borsetta, Una decina di monete d’argento, la carta del cornetto, alcuni dollari, uno spazzolino da denti, un berretto verde e un pugnale di fattura sconosciuta.

Sì, direi che erano tutte armi letali contro un bestione cornuto di tre metri.

Mi morsi la lingua per non gridare per l’esasperazione. Tornare dagli uomini in blu? Non se ne parlava, mi mettevano a disagio. Urlare come una pazza? Non sono mica scema. Mi avrebbe sentito anche quel mostro e non volevo certo che se la prendesse con me.
Mi rimaneva un'unica opzione che, per la miseria, era quella che odiavo di più: aiutare il ragazzo dai capelli neri. Ma come? Cosa dovevo fare? Se avessi provato a distrarre il mostro? E con cosa? Non avevo idea di che fare. Poi mi ricordai del pugnale che portavo al fianco. Non ero sicura di saperlo usare, ma potevo farlo. Avrei potuto attaccarlo alle spalle. Ma se mi avesse sentita?

Non ebbi altro tempo per pensarci.

Il ragazzo aveva sbagliato movimento e il mostro taurino ne aveva approfittato per colpirlo con un potente pugno al petto che l’aveva fatto volare per una decina di metri facendogli perdere la spada, mandandolo a sbattere contro un muro di mattoni.
Dovevo agire in fretta. Quel tipo era la mia unica speranza di scoprire chi ero.
Mi alzai, stringendo convulsamente il pugnale, mentre uscivo dal mio nascondiglio, avvicinandomi al mostro che mi dava le spalle, per avvicinarsi alla sua vittima.

“Ehi, amico! Calma… ok? Siamo partiti con la zampa sbagliata, forse.” A quanto pare il ragazzo mi aveva vista e stava cercando di guadagnare tempo,. O forse stava solo cercando di riprendere la sua spada. In ogni caso stava distraendo il mostro.

Mi avvicinai, rendendomi conto di stare sudando come una fontana. La mia mano era scivolosa e dovetti muovere le dita per riassicurarle all’elsa del pugnale. Il mostro era solo ad un metro ed io ero praticamente in apnea. Non volevo che mi sentisse o sarei stata spacciata. Mosse come quelle che aveva fatto il tipo dagli occhi verdi, me le sognavo. Dovevo colpire velocemente.

Stavo per colpire quando il mostro alzò il muso, annusando l’aria.

Sgranai gli occhi ed iniziai a sudare ancora di più, se possibile. Aveva fiutato il mio odore.

Radunai tutto il mio coraggio e saltai. Non pensavo di poter essere agile (O forse era vero il detto ‘La Paura mette le ali ai piedi’), ma gli atterrai sulle spalle e, con tutta la mia forza, lo colpii alla gola.
Pensai che avrei visto il sangue uscire. Invece, sotto di me, il mostro iniziò a disintegrarsi con un muggito dolorante. In poco tempo era sparito ed io precipitai in mezzo alle ceneri che lo componevano.

“Ah.” Mi lamentai, piano, mentre mi rialzavo. Dovevo aver fatto uno sforzo un po’ eccessivo per il mio corpo, o forse avevo sbattuto, dato che le ginocchia mi mandarono delle fitte dolorose.

“Ehi, amica, grazie.” Mi chiamò il ragazzo che avevo salvato. Alzai lo sguardo e lo vidi che si stava spolverando i resti del mostro di dosso.

“Di nulla.” Risposi in automatico.

Fu allora che lui si bloccò di colpo come se la mia voce gli avesse fatto venire un attacco di cuore. Quando alzò gli occhi mi sentii strana, come se fossi fuoriposto, con lui. Vi lessi paura, felicità, sconcerto, sorpresa e molto stupore. Si avvicinò a me di qualche passo, come se temesse di vedermi sparire.
Mi toccò la fronte, facendomi scorrere una specie di brivido lungo tutta la spina dorsale.

“B-Bianca?” Chiese, con la voce carica di incredulità.

Per qualche ragione, quel nome mi suonò familiare.

E capii che era il mio.    

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo dell’autore]

Salve! Mentre la cara Water Wolf non potrà essere con noi, per un po’ di tempo, io mi spingerò a fare questa possibile storia. Dopo un tentativo, a mio parere, fallito, ho deciso di tentare questa storia che segue una possibile avventura seguito dell’originaria (sperando che il buon Rick, non mi secchi nessun personaggi dei sette. D: )
Ad ogni modo, spero che la storia vi sia piaciuta, con questa apparizione molto a sorpresa dei nostro semidio preferito. ;)
Quindi, vi chiedo di recensire.
AxXx

 

 

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Capitolo 2
*** Percy - Una visita dall'Aldilà ***


Percy – Una visita dall’Aldilà

 

 

 

 

 

Dei dell’Olimpo! Pure questa no!

Non poteva essere lei! Doveva essere un fantasma mandato a torturarmi, o qualcosa del genere. La vera Bianca era morta anni prima, uccisa da un gigantesco automa. Invece era proprio lei, davanti a me, in quello squallido vicoletto dietro la mia scuola, che mi fissava con un aria a metà tra il confuso e lo spaventato, con un pugnale di bronzo celeste nella mano che le tremava leggermente.
Aprii un paio di volte la bocca come un pesce fuor d’acqua. Dovevo sembrare incredibilmente stupido, ma cercai di trattenermi.

“Ok, Percy, stai calmo. Dopo tutto quello che hai passato, non puoi spaventarti per questo, no? Ragiona e cerca una soluzione al problema.” Mi dissi, passandomi una mano sulla fronte, parecchio sudata, non solo per lo scontro, ma anche per l’agitazione.

Il guaio era che Bianca era una sorta di… fantasma, nel nostro gruppo. La sorella di Nico era morta a dodici anni sotto i miei occhi. Nico si dava la colpa per non averla salvata e io stesso non riuscivo a togliermi dalla testa il fatto che, in parte, ero stato io a provocarne la morte.
Deglutii scacciando quel pensiero dalla testa, e mi avvicinai alla ragazza.

“Ehi… ehm… tu sei?” Chiesi, mostrando le mie grandi doti oratorie. Mi resi conto di sembrare incredibilmente stupido dato che prima l’avevo chiamata per nome e l’attimo dopo le chiedevo chi fosse.

Infatti lei si accigliò.
“Quindi… non sono Bianca?” Chiese, in parte sorpresa, in parte dispiaciuta.

“Ecco io…” Balbettai confuso. Se non lo sapeva lei, io che ne sapevo. Poi, improvvisamente, mi venne una specie di idea folle e, allo stesso tempo, fin troppo plausibile.

“Ti… ricordi qualcosa?” Chiesi, un istante dopo, poggiandole una mano sulla spalla. Quasi volessi rassicurarla.

Fu quando scosse la testa che capii perché si comportava in quel modo.
“Mi dispiace.” Si giustificò lei, sconsolata. “Non ricordo nulla, a parte che mi sono svegliata sta’ mattina a Central Park.”

Sospirai, anche se non sapevo se di sollievo o di esasperazione. Sapevo bene cosa significasse risvegliarsi in un luogo sconosciuto senza ricordare assolutamente nulla. Era mi aveva già usato in modo simile, facendomi andare al Campo Giove per dare inizio ad un’alleanza tra greci e romani. Doveva essere spaventata e confusa. Probabilmente la mia vista gli aveva fatto tornare in mente parte del suo passato, ecco perché mi aveva seguito. Il problema principale era: cosa ci faceva lì. Nico aveva detto che Bianca aveva scelto la rinascita, invece eccola lì, davanti a lui, per di più in versione quindicenne, un anno n più di Nico.

Nico…

Per gli Dei, non osavo pensare a come avrebbe reagito. Inoltre, nonostante l’incredibile somiglianza, avevo ancora i miei dubbi che fosse veramente Bianca di Angelo. Senza ricordi che potessero confermarlo, lei poteva anche essere una semidei molto somigliante. Ade, che situazione del cavolo.

“Mi chiamo davvero Bianca?” Chiese, all’improvviso, facendomi precipitare fuori dal gorgo dei miei pensieri.

“Cosa…?”

Aveva gli occhi pieni di dubbi, paure ed incertezze. Dovevo aiutarla. Non mi andava di lasciarla lì da sola. Se fosse stata davvero Bianca avrei potuto rimediare ad uno de più grandi errori che avessi mai fatto e Nico sarebbe stato felice. Altrimenti… be’, era senza dubbio una semidea e non potevo lasciarla lì, in attesa che i mostri la fiutassero per farne un buon pasto.

“Ascolta… io… è difficile da spiegare, ma sì, credo che tu sia Bianca. Una… mia amica.” Risposi, cercando di non spaventarla troppo e, allo stesso tempo, sembrare convincente. Non potevo dirle su due piedi: Ciao, sei quella tizia che è morta sotto i miei occhi uccisa da un gigantesco automa di Efesto per salvarci tutti. Sarebbe stato parecchio imbarazzante, nonché traumatico, per lei. 
“Solo che non ti vedo da… molto tempo. Quindi, non sono nemmeno sicuro che sia davvero tu.”

Lei sembrò un po’ più sollevata, ma era ancora in dubbio.
“E… allora? Senti, io non so chi sei… so solo che una specie di… sensazione mi ha portata qui davanti. Sto solo cercando un luogo familiare. Non ho idea del perché mi sono ritrovata con in mano un arma e nemmeno come ho fatto ad affrontare quel… coso.” Rispose, esasperata, passandosi una mano tra i lunghi capelli neri.

“Minotauro.” Precisai. 
“Ascolta, è lunga da spiegare, ma posso dirti che non è la sola creature orribile che incontrerai. Per esperienza, ti dico che non siamo al sicuro. Per ora potrei portarti a casa mia. Lì potresti mangiare qualcosa. Intanto ti spiego cosa sta succedendo.”

Subito dopo mi morsi la lingua. Ma quanto ero stupido!?Le avevo chiesto di venire a casa mia. Per lei ero un perfetto sconosciuto. Potevo essere un serial killer, un maniaco, un criminale o un altro mostro camuffato. Non mi sorpresi, infatti, quando lei iniziò a spostare il peso del suo corpo da un piede all’altro, guardandomi indecisa.

“Casa tua…?”

“Sì, scusa… lo so che sembra strano, ma sono tuo amico. Non voglio farti del male. Se vieni, sarai al sicuro da altri mostri e ti porterò in un posto dove potrai essere al sicuro e, forse, ti saranno date spiegazioni.” Risposi, più cauto, per non allarmarla.

Iniziò a rilassarsi. A quanto pareva l’idea di un posto sicuro e di spiegazioni la attirava parecchio e non potevo darle torto. “D’accordo…” Concesse, infine, rinfoderando il pugnale. La sua espressione si fece più rilassata e stanca. 
“Vengo con te.”

Annuii, sempre ansioso non solo di allontanarmi da quel posto dove avevo combattuto di nuovo il caro Testa di Manzo, ma anche perché dovevo contattare qualcuno. Casa mia e di mia madre non era lontana, quindi non ebbi difficoltà a portarla lì. Usammo la metropolitana, dato che era più veloce. Di solito odiavo andare in zone sotterranee, dato che erano il tipico territorio dei mostri, ma volevo essere velocemente a casa. Non ci rimasi molto: infatti, appena arrivammo alla fermata vicina a casa mia, mi alzai, facendo cenno a Bianca di fare lo stesso. Lei era rimasta in silenzio per tutto il viaggio, anche se capivo che mi voleva fare una valanga di domande.

Seguimmo il marciapiede fino a casa mia, mentre chiamavo Annabeth. Dato che era diventato architetto ufficiale dell’Olimpo, gli Dei le avevano concesso un appartamento a New York per poter sovrintendere alla ricostruzione personalmente. Dopo due guerre la Città Sacra era davvero messa male, ma mi fidavo della mia Sapientona. Ed era proprio per quello che la chiamavo. Avevo bisogno di un consiglio saggio.

Sentire la sua voce mi calmò, non appena lei rispose dall’altra parte.
“Ehi, Percy!” Mi salutò allegra. “Com’è andato l’ultimo giorno di scuola? Domani si va’ al Campo.”

“Già…” Borbottai, mentre osservavo Bianca che mi stava dietro, guardandosi intorno spaesata. “Senti, Annabeth… ho un problema, potresti venire a casa mia, subito?”

“Cos’è successo? Hai fatto saltare in aria qualcosa?”

“Magari.” Risposi, osservando la ragazza che mi seguiva. Ancora non capivo se essere spaventato o felice. 
“Non posso dirti tutto, sarebbe troppo lunga, ma ti chiedo di venire da me.”

La sentii esitare un attimo. La conoscevo bene, probabilmente stava riflettendo su cosa potesse essere successo: “D’accordo, Testa D’alghe. Vengo subito.”

Riattaccò e rimisi il cellulare in tasca. Mi guardai intorno sospettoso, in cerca di qualsiasi segno di mostro. Eravamo due mezzosangue relativamente potenti, e io avevo anche usato il cellulare. Probabilmente ogni mostro ci aveva fiutati e ci stava vedendo come un bello spuntino.

“Chi è Annabeth?” Chiese, all’improvviso, Bianca, alle mie spalle.

“Oh, lei è la mia ragazza. È la tipa migliore del mondo, quando deve ragionare. È intelligente e molto astuta. Di lei ci si può fidare.” La rassicurai, mentre continuavo a camminare verso l’appartamento di mamma.

Mi sorpresi quando riuscii ad arrivare a casa senza essere attaccato da una dracena o un lestrigone. Di solito erano sempre lì ad aspettarmi dietro l’angolo.
“Allora… ora mi dici che succede?” Chiese Bianca, esasperata, lasciandosi cadere sul divano. Doveva essere in piedi da un bel po’, visto che si era praticamente gettata su di esso per istinto.

“Ecco… d’accordo.” Mi sedetti su una sedia vicina. Mia mamma non era ancora tornata, il che era meglio, a mio parere.
“Quello che ti dirò ti potrebbe sembrare una follia, ma io e te ci siamo conosciuti tempo fa.”

Presi un respiro profondo ed iniziai a raccontare dei Semidei, del Campo Mezzosangue e di come, sospettavo che lei fosse come me, anche se non avevo idea di chi fosse suo padre.
“Questo… è strano… ma spiegherebbe molte cose.” Sussurrò lei, dopo alcuni attimi di imbarazzante silenzio. Si era accigliata parecchio, ma non era impazzita e non mi aveva dato del pazzo. 
“Ma… allora come mai io non ricordo nulla?”

Ecco la parte più delicata. Non volevo arrivarci e stavo cercando un modo abbastanza buono di spiegarle quello che sospettavo. Insomma, non potevo dirle che era colpa mia se era morta. O sì?
Dovevo dire che avevo un certo timore della sua reazione, ma non potevo certo tenerglielo nascosto. Se fossi stato Annabeth avrei potuto anche trovare una soluzione, ma a me non venne in mente nulla.

Guardai l’orologio.

Lei sarebbe arrivata solo tra un quarto d’ora e non credevo che avrei potuto perdere tempo per così tanto.
“Senti, Bianca… posso chiamarti così?” Iniziai, cercando di dare inizio ad una conversazione civile.

“Certo… quando mi hai chiamata così ho avuto una sensazione familiare, sono abbastanza certa che sia il mio nome.” Rispose, stiracchiandosi. Sembrava si stesse rilassando.

“D’accordo… Bianca, io credo di conoscerti… o meglio, credo di averti conosciuta.” Iniziai, cautamente, tornando a sedermi.

Così iniziai a raccontarle della mia impresa insieme alle cacciatrici di Artemide. Di come avevo preso parte all’impresa, di come era morta Zoe e della liberazione della Dea. Le raccontai di Nico e della sorella che era morta durante l’attacco di un automa e del fatto che io credessi che fosse lei la stessa persona.

La vidi sbiancare all’improvviso e la bocca le si spalancò per la sorpresa. Sul suo volto le si dipinsero in rapida successione paura, terrore, stupore, sollievo e sospetto. Probabilmente temeva che io le stessi mentendo e aveva paura di essere una sorta di zombie, o fantasma. Eppure era una persona viva. Quando l’avevo toccata l’avevo sentita calda come qualsiasi persona. Avevo già incontrato persone tornate dalla morte, ma quella sorta di Bianca rediviva somigliava di più ad Hazel. Ultimamente i figli di Ade avevano il brutto vizio di tornare in vita.

“So che può sembrare assurdo. Credevamo che tu dovessi rinascere… reincarnarti in un altro corpo. Non pensavamo minimamente che saresti tornata. Insomma, non avevamo mai capito perché te ne fossi andata… sempre che tu sia davvero Bianca.” Conclusi, osservandola. Aveva gli occhi lucidi, probabilmente non era quello che si era aspettata. Non potevo biasimarla.

“Quindi… sono davvero uguale a questa… Bianca morta? Credi che io sia lei?” Chiese, stringendosi le spalle, come se avesse freddo, anche se sapevo che nulla di quello che le stava accadendo aveva a che vedere con il freddo.

“Io… non lo so davvero, Bianca.” Dissi, cercando di rassicurarla. 
“Dimmi… vuoi una cioccolata calda?”

Lei si limitò ad annuire, mentre si stringeva le gambe al petto, continuando ad avere un espressione terribilmente confusa. Mi sentii in colpa, era colpa mia se era in quello stato. Avrei dovuto essere più delicato, aspettare Annabeth e girarci un po’ più intorno.

Tornai in salotto con due tazze di cioccolata. Fa sempre bene e, per di più, quell’estate non sembrava voler fare caldo. Non avevo voglia di indagare su Borea o su cose gli fosse saltato in mente, dovevo occuparmi di Bianca. Lei era ancora seduta sul divano, nella stessa posizione in cui l’avevo lasciata, anche se, fortunatamente, sembrava più rilassata.

“Mi spiace, non dovevo essere così brusco.” Dissi, cercando di calmarla, porgendole la tazza di cioccolata calda.

“Mh? No, grazie… non potevi mica dirmi altro. Almeno sei stato sincero… solo che adesso non so proprio che fare. Insomma… sono morta o no? Che devo fare? Tornare negli inferi? Hai parlato di un mio fratello, Nico, forse lui sa cosa mi è successo. Non dovrei cercarlo?” Chiese, in fretta, quasi avesse paura di dimenticare qualcosa. Non potevo biasimarla.

“Lui era già sceso negli inferi per riportarti indietro. Ma ci disse anche di non aver trovato la tua anima. Aveva detto che avevi scelto la reincarnazione. Non ho idea del perché ti trovi qui.” Risposi, mestamente, mentre lei sorseggiava la sua cioccolata. 
“Forse un Dio minore vuole fare uno scherzo a Nico.”

“Capisco…” Rispose piano, con lo sguardo perso nel vuoto, immersa in chissà quali pensieri.

Poco dopo suonò il campanello e corsi ad aprire. Era proprio Annabeth, grazie al cielo.

“Ciao, Testa D’Alghe. Come mai quella faccia?” Chiese, con un sorriso, dandomi un leggero bacio sulle labbra. Era una sorta di tradizione, tra noi, salutarci con un bacio.

“Vieni, te lo faccio vedere.” Risposi, semplicemente, trascinandola, letteralmente, in salotto, dove Bianca aveva posato la sua tazza sul tavolino. Sembrava essersi rilassata.

Appena la vide, Annabeth emise un verso strozzato, come se le fosse andato qualcosa di traverso. Non potevo darle torto. Per quanto avesse visto per poco tempo Bianca, avevamo tutti in mente la sua immagine e non potei darle torto quando la fissò sorpresa.

“Ma quella è…” Bisbigliò, senza distogliere lo sguardo dalla ragazza.

“Non lo so, ma sì… credo sia proprio Bianca.” Risposi, sottovoce, scuotendo il capo sconsolato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo dell’autore]

Secondo capitolo, incredibilmente veloce, per i miei standard di aggiornamento di mille anni o anche ad ogni morte di papa. Come avete potuto vedere, questo capitolo è dal POV di Percy, il prossimo sarà ancora dal POV di Bianca e potrebbe già esserci Nico. :3

Ad ogni modo, mi fa piacere vedere tante visite al primo capitolo, anche se ho visto poche recensioni. Ringrazio, comunque, lo stesso, Biancadiangelo e Silvia_Fangirl che sono state moooolto gentili a venire a vedermi e recensire, in questa storia.

Mi piacerebbe che mi diciate cosa ne pensate e che mi deste consigli e critiche alla storia.

AxXx

 

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Capitolo 3
*** Bianca - Di persone ospitali e Sogni inquietanti ***


Bianca – Di persone ospitali e Sogni inquietanti

 

 

 

 

Ero spaventata, non c’era che dire. Ero una non morta, un fantasma uscito dagli inferi. Mi chiesi cosa ci facessi lì e come avevo fatto a tornare in vita. Cos’ero? Uno zombie? Mi sarei decomposta e avrei iniziato a mangiare cervelli? Mi guardai con orrore le braccia, quasi temessi di vederle iniziare a decomporre. No, non si stavano decomponendo.
Sospirai di sollievo.
Almeno non ero ancora uno zombie, ma per quanto avrei resistito?

Sulla soglia si era stagliata una ragazza bionda. Era molto particolare, infatti aveva i capelli biondi che si intonavano in modo strano ma affascinante con la pelle abbronzata e gli occhi grigi come il cielo in tempesta. Indossava una maglietta verde ed un paio di jeans chiari. Aveva un aria sorpresa e anche un po’… spaventata. Non potevo darle torto, praticamente aveva visto uno zombie nel salotto del suo ragazzo.
Percy le stava spiegando come ci eravamo incontrati e cosa gli avevo detto.

“Testa d’Alghe!” Urlò la ragazza, alla fine del racconto. “Mi dici come hai fatto a farti fregare da un minotauro!?”
In effetti, mi ero chiesta anche io come facesse un veterano a farsi battere da un mostro che, nonostante tutto, non sembrava terribile come Campe, Tifone, i Dragoni e i Giganti.

“Dai, Annabeth, non te la prendere! Lo sai che quando esco da scuola, sono sempre distrutto. Non riuscirei a tenere testa nemmeno ad una dracena ubriaca.” Rispose lui, con un sorriso nervoso.

Annabeth, però, non sembrava molto soddisfatta, della risposta: “Per gli Dei, testa d’alghe! Hai idea di quanti ictus ho dovuto sopportare, ogni volta che rischiavi la vita!? Ora devo preoccuparmi anche di quando tu esci da scuola!?”
Non potevo darle torto, in effetti, anche se non avevo idea se avessi avuto un ragazzo in passato, anche io mi sarei presa un infarto, se gli fosse successo qualcosa. E poi non pensavo che la Scuola fosse così letale, per la gente.

“Non esagerare, Sapientona… sono vivo, no?” Fece notare lui,abbassando il capo, contrito. Be’, almeno era bravo a farsi venire espressioni docili e indifese nei momenti estremi. 

“Ok, d’accordo.” Concesse la bionda, massaggiandosi la fronte. “Ora la cosa più importante è capire cosa sta succedendo. Come se non ne avessimo già passate tante.”

“Non metterle pressione. Non si ricorda nulla, è agitata… io dico di stare calmi.” Propose Percy, giocherellando con un bordo della maglietta. Lo ringraziai mentalmente per la sua comprensione. Non ero psicologicamente pronta ad un terzo grado.

“D’accordo… però dobbiamo capire come mai è sparita, l’anno scorso, dagli inferi, ed è riapparsa qui.” Fece notare la bionda.

“Smettetela di parlare come se non esistessi!” Sbottai, un po’ infastidita. Va bene che non me la sentivo di affrontare il terzo grado, ma non era un buon motivo per ignorarmi.

“Oh, giusto… scusami. Solo che… siamo un po’ sorpresi.” Rispose Annabeth, riscuotendosi dal suo vortice di pensieri intricati che mi faceva già venire il mal di testa solo a immaginarli.

“Ascoltate, non mi ricordo nulla, ma davvero, non so che fare. Vorrei poter incontrare qualcuno di familiare, come Percy. Quando lui mi ha chiamata, mi sono ricordato il mio nome.” Spiegai, cercando di rendermi utile. Volevo ricordare. Se solo avessi avuto qualche indizio in più.

“Mmmmh… quindi se vedi cose familiari ti ritorna parte della memoria?” Indagò la figlia di Atena, fissandomi intensamente. Mi chiesi quali pensieri si nascondessero nel suo cervello.

“Non proprio.” Mi corressi subito. “Ho come delle sensazioni. Sono certa di aver incontrato entrambi voi, ma non me lo ricordo l’incontro e non ne ho la certezza, fino a che non me l’ha detto Percy. Anche il mio nome… non ero sicurissima di chiamarmi Bianca nemmeno quando mi ha chiamata così, solo che mi sentivo stranamente in sintonia, con quel nome in particolare.”

Annabeth cadde in un silenzio di riflessione. Non disse nulla per diversi minuti e, anche quando arrivò la madre di Percy, disse solo due parole per salutarla. Era affascinante, a modo suo. Quando rifletteva si estraniava completamente dal mondo, come se nel suo cervello ci fosse un’intera biblioteca e lei potesse consultarla ogni volta che voleva. Nel frattempo, Percy mi presentò sua madre ed il suo patrigno. Erano due persone fantastiche. Paul era molto simpatico e alla mano e Sally Jackson era una vera forza della natura: nonostante ci fossero tre mezzosangue a casa sua, si comportava con naturalezza.

“Così… sei la sorella di Nico di Angelo?” Chiese, mentre mi offriva un panino, seduti al tavolo della cucina, mentre la ragazza del figlio era ancora in salotto a rimuginare su di me. Almeno non aveva iniziato con la classica frase: “Ma non ricordi proprio nulla?” che mi stava davvero stancando.

“Non ne sono sicura. Spero di incontrarlo presto, anche se, a quel che ho capito, lui non sarà molto felice di rivedere me.”  Risposi, mentre addentavo il cibo. Dopo il cornetto non mi ero più concessa altro cibo e, in effetti, il mio corpo non era molto felice.

“Be’, domani mio figlio va al Campo Mezzosangue. Sono certo che là, Chirone, chiarirà la situazione. È un esperto in situazioni del genere.” Mi rassicurò la donna, con un sorriso incredibilmente dolce e comprensivo.

Non potei fare a meno di ricambiare. Mi stava andando di lusso. Era una donna incredibilmente energica e gentile al tempo stesso. Una vera mamma, ciò che, a quel che avevo capito, mi era sempre mancata.

 “Lo spero.” Ammisi, finalmente un po’ più leggera, grazie agli Dei. “Sono molto confusa e mi servirebbero davvero delle spiegazioni… ed un passato.”

“Sono certa che troverai entrambe le cose… intanto, pensando al presente, immagino che tu non abbia un posto dove stare.” Mi fece notare Sally, accarezzandomi la schiena come se fossi sua figlia.

“Ehm… no…”
Che stupida, è vero! Non avevo nemmeno una casa. Non sapevo dove passare la notte, ed io, in strada, non avevo una gran voglia di tornarci. Era alla pari di un senzatetto. Anzi, peggio, almeno un senzatetto ricorda qualcosa.

“Allora puoi rimanere con noi. Per una notte non ci saranno problemi.” Mi fermò subito lei, senza perdere quel suo sorriso comprensivo che mi faceva stare bene.

“Potrebbe prendersi la mia camera. Io posso benissimo dormire sul divano… o andare a dormire da Annabeth.” Propose Percy, allegro.

“Siete molto gentili, davvero… vi ringrazio.” Risposi, sentendomi in imbarazzo davanti alla loro gentilezza. Qualsiasi divinità mi avesse condotto lì mi doveva aver preso in simpatia.

“Bene, allora è deciso. Percy, divano o Annabeth?” Chiese Sally, rivolgendosi al figlio.

“Non vi disturbate, il divano andrà benissimo!” Dissi, subito, sentendomi stranamente a disagio. Non volevo invadere, più di tanto, lo spazio privato del mio ospite.

“Non scherzare, Bianca. Hai bisogno di un letto vero. Io mi sistemo sul divano.” Disse il figlio di Poseidone, con un gran sorriso, ignorando le mie proteste.   

Il resto della giornata non fu particolarmente denso di avvenimenti. Percy e i suoi fecero di tutto per farmi sentire a mio agio e mi coinvolsero nelle faccende di casa. Un buon modo per ignorare i miei problemi quali la mancanza di memoria e le domande su chi ero. Non volevo sembrare una tipa che si lamenta di nulla, ma non è da tutti svegliarsi da soli, venire a sapere che sei una semidea e, per di più, una semidea morta molto tempo prima dopo aver abbandonato il proprio fratello. Mi sarebbe piaciuto capire perché mi ero unita alle cacciatrici.

Cenammo tutti insieme, venne anche Annabeth. Si respirava un’atmosfera incredibilmente tranquilla, nonostante Percy mi avesse avvisata di stare attenta ai mostri che erano in grado di fiutarci. Sally preparò un piatto di lasagne fumanti il cui odore mi fece venire l’acquolina in bocca. Erano fantastiche e il sapore delizioso. Mentre mangiavo, Annabeth mi raccontò di Percy del Campo Mezzosangue e di come svolgevano le attività lì. Mi parlò, anche, delle loro precedenti avventure, del Campo Giove e dei loro amici. Sembrava davvero, un posto fantastico e non vedevo l’ora di vederlo. Un po’ perché era un posto sicuro. Un altro era per interrogare Chirone che, a quanto pareva, poteva darmi le risposte che cercavo.
Notai, però, subito, che mentre parlava, la ragazza aveva sorvolato sull’argomento Nico di Angelo. Evidentemente c’era qualcosa sul mio presunto fratello che non volevano dirmi. Forse qualcosa che avrebbe potuto turbarmi.

“Davvero? Ma non è pericoloso usare la lava in una parete da arrampicata?” Chiesi, mentre addentavo una forchettata di lasagna, curiosa di saperne di più.

“Non  più di quanto possa essere mettere piede fuori di casa, per un mezzosangue.” Minimizzò Percy, alzando le spalle.

“E il Campo Giove? È simile, immagino.” Dissi, sempre più interessata.

“Non proprio… Campo Giove è più militarizzato, molto più simile ad un campo Romano. Inoltre è diviso in legioni, non in Case, come Campo Mezzosangue.” Spiegò, di nuovo, il figlio di Poseidone, mentre mangiava. Non capivo perché, ma ogni cosa che mandava giù era blu. E mangiava anche tanto.

Avrei voluto avere un po’ di tranquillità, ma io stessa ero così curiosa riguardo a quel che mi dicevano che continuavo a fare domande a raffica, senza curarmi di ciò che loro avrebbero pensato di me. Insomma, mi sembrava ovvio essere interessati, anche se, in verità, ero più preoccupata per quello che doveva essere mio fratello. Cercavo sempre di spingere la conversazione verso di lui, ma riuscii a ricavare ben poco.
Dopo cena, mentre erano tutti riuniti a guardare un programma televisivo, Sally mi invitò a farmi un bagno e mi prestò un suo pigiama, molto leggero, ma pratico, in caso ne avessi avuto bisogno.

“Ma… non posso accettare, davvero. Posso dormire anche vestita.” Protestai, debolmente, sentendomi di nuovo in imbarazzante gratitudine. Avrei voluto restituire il favore, ma non sapevo come.

“Non dirlo nemmeno, fai pure con comodo e, di certo, non mi stai disturbando.” Disse la donna, liquidando qualsiasi mio tentativo di restituirgli le sue cose, chiudendo la porta.

Sospirai e mi spogliai velocemente. Appoggiai i miei vestiti su uno sgabello, dopo averli piegati velocemente. Misi l’accappatoio sul lavandino e entrai nella doccia, chiudendomela alle spalle. Sospirai, rendendomi conto che, in tutto il giorno, avevo sudato parecchio e avevo ancora, addosso, un po’ di cenere di mostro. Non ci tenevo ad avere addosso certe schifezze.
Aprii l’acqua e, con mia profondo sollievo, mi sentii meglio. La sporcizia si dissolse, trasportata via dalla corrente, dandomi una sensazione di freschezza. Mi insaponai da capo a piedi, lasciando che i miei capelli si liberassero della cenere e di qualsiasi altra cosa ci fosse finita. Dopo essermi lavata mi sentii davvero a nuovo, come una rosa dopo una pioggia torrenziale.

Sally mi fece addirittura trovare il letto sfatto e preparato per ospitarmi. Dei, era imbarazzante. Non che fossi arrabbiata, ma tutta questa premura mi stava davvero mettendo a disagio. Avrei voluto offrire qualcosa in cambio, visto che non mi avevano nemmeno fatto troppa pressione. Ma che potevo dargli? Non avevo nulla, con me.

Scossi la testa, ormai pesante, per l’ora tarda e i pensieri che la affollavano e mi cambiai. Il pigiama che mi aveva dato Sally mi stava un po’ grande, ma non mi dispiaceva. Potevo muovermi liberamente, senza sentirmi intralciata. Prima di andare a letto mi affacciai alla finestra e fissai il cielo stellato. Era una nottata serena e molto bella. Se non ci fosse stato così tanto inquinamento luminoso avrei potuto sicuramente vedere un maggior numero di astri, ma, ovviamente, la maggior parte di essi mi fu preclusa.
Tuttavia i miei occhi furono attirati da una costellazione strana che ricordava, in qualche modo, una giovane ragazza che correva impugnando un arco.
Mi sentii stranamente malinconica e, quando distolsi lo sguardo sentii gli occhi pizzicarmi a causa delle lacrime che minacciavano di uscire. Le asciugai con il dorso della manica e scostai le coperte per mettermi a letto. Non ci volle molto perché il sonno arrivasse. La giornata mi aveva spossata e le palpebre si fecero subito pesanti. Non opposi resistenza e mi accoccolai sotto le coperte, assaporando la sensazione di calore e sicurezza che mi trasmettevano.

 

 

 

Mi trovavo in un luogo stranissimo. Non indossavo più il pigiama di Sally, ma di nuovo i Jeans, maglietta e giacca argentata. Intorno a me vedevo le rovine di quello che sembrava un palazzo greco. Alcune delle macerie avevano ancora dei bassorilievi che mostravano scene terribile: palazzi distrutti, Dei in catene e eroi divorati dai mostri.
C’era un aura strana, in quel luogo, come se ci fosse una specie di altro corpo celeste che mi staccava da terra spingendomi verso l’alto. Era inquietante e la cosa non mi piaceva per nulla.
Avanzai tra le colonne crollate fino a quella che sembrava una pedana. Un uomo gigantesco era inginocchiato davanti a me. Aveva le braccia tese verso l’alto e notai che sembrava veramente sorreggere una sorta di colonna fatta di nubi solide che premeva verso il basso come per schiacciarlo a terra. In qualche modo, però, l’uomo riusciva a sorreggere il terribile peso.

“Benvenuta, mia piccola, ignara, pedina.” Disse una voce profonda e tonante, che riverberò tra le rovine, facendomi accapponare la pelle.

Avrei voluto rispondere, ma, per qualche ragione, dalla mia bocca uscì solo un rantolo terrorizzato, mentre, intorno a me, la tempesta si faceva sempre più violenta.

“Quattro mi tennero fermo. Il sangue di altri quattro saranno la mia rinascita. Tu sarai la mia ultima pedina e verrai da me, quando gli altri tre saranno in mano mia.” Continuò la voce che suonava maligna e crudele, fredda come la pioggia invernale.

Mi avvicinai alla figura inginocchiata, pensando che la voce fosse sua, ma mi resi conto che non era lui a parlare. Era qualcosa di più antico e potente. Così forte che a confronto, colui che sorreggeva quella colonna di nubi, era poco più che un nanerottolo.
All’improvviso una grande ombre mi passò sopra la testa. Le nubi crollarono su di me e i tuoni riverberarono sulla valle, abbattendosi al suolo, distruggendo case, alberi e montagne. Una risata maligna.

Urlai con quanto fiato avevo in gola.

 

 

 

Mi sollevai.

Ero di nuovo a casa Jackson, distesa sul letto di Percy spaventata, con il fiatone e sudata. Mi guardai intorno, mentre stringevo convulsamente le coperte, nel timore di essere trascinata di nuovo in quell’incubo. Era tutto come prima che io mi addormentassi, tutto a posto, eppure il mio cuore non la smetteva di battere. Provai a coricarmi di nuovo, nel tentativo di riprendere sonno ma, per quanto mi sforzassi, non riuscii a chiudere occhio.

Alzai lo sguardo e scrutai l’esterno dalla finestra. Era ancora molto presto, nemmeno l’alba. Tutto era sereno ma sapevo che, da qualche parte, molto lontano, quella voce che avevo sentito nel sogno, era reale e stava davvero ridendo di me.   

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo autore]

Ciao! :D bentornati, vi sono mancato?

Sono felice che la storia piaccia, almeno ad una parte di voi. E sì, lo so, sono moooolto cattivo. Immagino che voi, fan di Percy Jackson, sappiate chi sia il cattivone in questione, no?
Ma chi sono i quattro? A cosa gli serve Bianca?
Sì, sono cattivo e non ve lo dico :3
Per scoprirlo dovrete leggere e, possibilmente, recensire. Perché questa storia mi piace e vorrei che continuaste a seguirla. Per questo io ringrazio BSHallows che, come al solito, è fantastica e mi ha dato il permesso di prendere ispirazione dalla sua storia, che spero aggiorni presto.
Infine ringrazio Biancadiangelo, che continua a preferirmi, Silvia_fangirl, saluto tantissimo e mando un bacio, e _Littles_ GRAAAZIE per la bella recensione *^* Spero di rivederti :D
Al prossimo capitolo.
AxXx

 

 

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Capitolo 4
*** Bianca/Nico - Dolori di un Passato Lontano ***


Bianca/Nico - Dolori di un passato lontano

 

 

 

[Pov Bianca]

“Buongiorno, Bianca.” Mi salutò Sally Jackson, mentre metteva in pancake sul tavolo insieme a diverse tazze di latte fumanti accompagnate da biscotti e brioche varie.
Sicuramente molte erano state messe a posta per i figlio, ma non mi lamentai affatto. La tavola era imbandita e il profumino era davvero delizioso. Mi faceva venire l’acquolina in bocca.

“Buongiorno, signora Jackson. Ha dormito bene?” Chiesi, educatamente, sedendomi a tavola, afferrando una tazza. Per poco non mi scottai. Dovevo assolutamente riprendermi e avere un minimo di vita normale.

“Io sono stata benissimo… tu, invece? Hai gli occhi rossi, non hai dormito?” Chiese, scrutandomi con attenzione.

Arrossii. Ero davvero così trasparente?

“Ho avuto un incubo.” Ammisi, quasi sussurrando. “Ma vorrei parlarne con suo figlio.”

Lei sembrò intuire qualcosa e non indagò. Si limitò ad annuire tornando alle sue faccende. Notai che stava preparando una specie di panna azzurra che spalmava sui biscotti. Mi chiesi come facesse a farla, quali fossero gli ingredienti e come fosse il sapore. Mentre mangiavo inzuppando piano i biscotti nel latte, entrarono anche Percy ed Annabeth. Si tenevano per mano e sembravano davvero una coppia delle favole. Dovevano averne passate tante per essere così legati.

“Buongiorno, Bianca. Come ti senti?” Mi chiese la figlia di Atena, sedendosi accanto a me, sorridendomi rassicurante.

“Abbastanza bene. Almeno rispetto a ieri, solo che… ho fatto un sogno strano.” Risposi, senza troppi preamboli. Non avevo motivi per nascondere loro la verità.

“Un sogno?” Chiese Percy rabbuiandosi di colpo. Sembrava preoccupato, come se avessi detto qualcosa di molto pericoloso.

“Sì… perché?”

“I sogni… non sono proprio i migliori amici dei semidei. Di solito non fanno altro che prevedere morti e mostrarci le parti peggiori del nostro futuro.” Spiegò il ragazzo sempre più accigliato. Doveva averne avuti tanti, perché il suo sguardo luminoso sembrò spegnersi.

“Non possiamo dirlo, Percy… che ne dici di raccontarci quello che hai visto?” Propose Annabeth, cercando di mantenere un tono leggero. Intuii, però, che anche lei era in ansia.

“D’accordo.” Dissi, cercando di non farmi contagiare dal loro pessimismo.

Gli raccontai, così, dell’antico palazzo greco, dell’uomo intrappolato sotto la strana colonna grigia che sembrava fatta di nuvole, della voce profonda e tonante che riverberava intorno a me e delle minacce sui ‘quattro’. Per tutto il tempo i due semidei mi guardarono preoccupati, accigliandosi più volte. Non riuscivo a capire cosa provassero, ma sembravano a disagio.

“Hai visto Atlante.” Spiegò, alla fine, Annabeth, dopo che ebbi finito il mio racconto.

“Chi?”

“Atlante… è un titano noto per essere fortissimo. Si schierò con Crono in entrambe le guerre dei Titani. Egli è maledetto ed è costretto a sostenere il Cielo… A meno che qualcuno non prenda volontariamente il suo posto.”

Mi accorsi che, mentre stava spiegando, sia lei che Percy si accarezzarono i capelli e notai quella che sembrava una ciocca bianca, tra i biondi capelli della semidea.

“Quindi… era lui a parlare?” Chiesi.

“Non credo. Atlante è là sotto da molto…” Rispose Annabeth.

“Già… fu proprio durante quella missione che…” Aggiunse Percy, per poi interrompersi di botto, diventando rosso e abbassando lo sguardo.

“Sono morta.” Conclusi io per lui. Sapevo cosa stava per dire.

“Ecco, be’… sì.”

Sospirai, cercando di non pensare a me che venivo schiacciata da un gigantesco automa: “Ma se non era Atlanta…”

“Atlante.” Mi corresse subito, Annabeth.

“Sì, lui. Allora, se non è stato Atlante, chi parlava?” Chiesi.

“Non lo so.” Rispose, di nuovo, la figlia di Atena.

Mi accigliai, notando che era stata molto veloce a parlare, come se fosse la frase di un copione letto a posta per non dirmi la verità. Probabilmente sospettava chi ci fosse dietro, ma non me lo voleva dire. Forse non mi voleva turbare, dato che ero appena tornata in vita.

“Ad ogni modo, io sarò molto più tranquillo quando saremo arrivati tutti al Campo Mezzosangue.” Sentenziò Percy, stiracchiandosi. Mi accorsi solo in quel momento che i biscotti blu erano destinati a lui e che li aveva spazzolati tutti ad una velocità supersonica. Ma dove metteva tutta la roba che mangiava?

“Giusto. Dobbiamo informare Chirone.” Aggiunse Annabeth, decisa.

Dopo colazione i due semidei si misero degli zaini in spalla ed io mi rivestii, prendendo la mia borsa, che avevo appoggiato accanto al letto, insieme al pugnale. Uscimmo dall’appartamento con Sally che ci augurava buona fortuna e ci dirigemmo verso il pian terreno.

“Prenderemo un taxi per raggiungere le prossimità del campo, ma l’ultimo tratto ce lo faremo a piedi.” Ci raccomandò Annabeth come una perfetta stratega. “Tenete gli occhi aperti e non fermatevi davanti a nulla, i mostri sono astuti e non vedono l’ora di mangiarci.”
Annuii senza esitare. Dopo il minotauro mi sentivo pronta ad affrontare qualsiasi cosa.

Salimmo su una vettura gialla tutti e tre ed Annabeth disse all’autista di fermarsi a appena entrati a Long Island. Quello non fece domande e mise in moto. L’abitacolo puzzava di fumo e tabacco, tanto che dovetti trattenermi dallo starnutire. Sul cruscotto c’erano vari foglietti e carta di panini e hot dog ancora sporchi di ketchup.
Percy era seduto alla mia destra, tra me ed Annabeth. Io ero schiacciata contro il finestrino, ma non mi dispiaceva, mi dava un senso di libertà maggiore, anche se era solo una sensazione.
Continuavo a lanciare occhiate all’esterno cercando di individuare possibili mostri o pericoli. Sembrava tutto normale, ma qualcosa mi diceva che non sarebbe stato così facile. Istintivamente strinsi il pugnale che tenevo nella borsa a tracollo.
L’autista continuò a seguire la strada già trafficata che portava fuori da New York. A poco a poco il traffico si diradò e anche le case divennero più sporadiche, tanto che, quando arrivammo a destinazione, eravamo praticamente in un paesino formato da delle casette prefabbricate.
Percy pagò l’autista che ci salutò con la mano e se ne andò.

“Bene… da qui continuiamo a piedi. Il Campo non è lontano.” Disse Annabeth, incamminandosi a passo svelto, guardandosi intorno.

“Forza, ci siamo.” Mi incoraggiò il suo ragazzo, sorridendomi allegro. Sembrava l’unico di buon umore.

Li seguii in silenzio, continuando a tenere stretto il pugnale, sapendo che, non avendo nemmeno idee certe di come poterlo utilizzare, ero il membro più indifeso del gruppo. Dovevo stare attenta più degli altri.

Procedemmo a piedi lungo una stradina sterrata in mezzo alla campagna. L’erba mi solleticava le gambe, nonostante avessi i jeans. Mi sentivo stranamente stanca, ma non volevo certo, dare segni di cedimento. Procedemmo fino a che Percy non si bloccò.

“Pericolo!” Avvertì, prima di gettarsi a terra.

Una palla di fuoco passò a due centimetri dal mio naso, lascia domi interdetta e anche parecchio spaventata. Caddi all’indietro, lanciando un urletto acuto, mentre Annabeth rotolava come una soldatessa delle forze speciali, evitando l’attacco.

“Lestrigoni!” Urlò, alzando un attimo la testa, indicando un punto alla nostra sinistra.

Mi acquattai, cercando di imitarla, almeno in parte, mentre voltavo la testa nella direzione indicata.
Quello che vidi mi fece attorcigliare le budella.
Un gruppo di cinque creature antropomorfe si stava avvicinando a noi. Erano tutti alti più di due metri e avevano la pelle grigiastra. Gli occhi iniettati di sangue ci osservavano crudeli e i denti aguzzi mi facevano venire la pelle d’oca. Erano tutti armati di enormi asce bipenni che sembravano ansiose di tagliarci qualche arto di troppo.

“Corriamo! Il Campo non è lontano!” Urlò Percy, mettendo le mani in tasca per poi estrarre la famosa penna-spada che lui chiamava Vortice.

Sia io che Annabeth non necessitammo di altri incoraggiamenti e partimmo a razzo.
Ora, però, devo fare una piccola parentesi: Percy ed Annabeth, con tutte le loro imprese, erano molto ben addestrati a correre. Insomma, scappavano dai giganti, da Idre e da chissà quali altri mostri. Insomma, non c’era da sorprendersi se mi distanziarono subito, dato che io, essendo appena resuscitata da un giorno, non ero altrettanto veloce.

Mi venne subito il fiatone e le gambe iniziarono a dolermi per la corsa. Ignorai le loro proteste e tirai avanti, cercando di concentrarmi sulla respirazione. Dovevo ammettere che un branco di giganti cannibali alle costole era un buon incentivo a fare allenamento.

“Forza, Bianca! Ci siamo, vieni!” Urlò Percy, che si era fermato ad aspettarmi, ai piedi di una collinetta erbosa.

Tirai avanti, fino a che non iniziò la salita. Ormai ero stremata. Iniziai ad arrancare ed inciampare verso l’alto, mentre Percy mi stava a fianco, cercando di aiutarmi. Ancora una volta dovetti ammettere che era ben allenato. Ecco dove bruciava tutta la roba che divorava.
Annabeth era sparita. Pensai che ci avesse abbandonati finché non la vidi apparire alle spalle dei lestrigoni armata con una lunga spada che sembrava fatta di ossa. Nell’altra mano indossava una specie di cappello con visiera degli Yenkees.
I mostri furono così sorpresi della sua comparsa che lei riuscì a infilzarne uno, mandandolo in polvere.

Gli altri si divisero. Uno si lanciò contro di lei, cercando di colpirla, gli altri tornarono addosso a me e Percy.

“Corri!” Urlò lui, tirandomi su a forza. “Vai e dai l’allarme, noi riusciremo a resistere!”

Continuai la mia scalata, spaventata. Il cuore martellava così forte, nella cassa toracica, che temetti di sentire le costole incrinarsi. Arrancai ancora verso l’alto, respirando rumorosamente, per la fatica a l’angoscia. Sentivo alle mie spalle il clangore delle armi dei miei due amici contro quelle dei mostri. Pregai qualsiasi Dio fosse in ascolto di farli resistere fino a che non fossero arrivati chiunque dovesse arrivare.

Ormai ero quasi in cima, quando inciampai malamente. Una grossa mano mi stringeva la caviglia e le budella mi si attorcigliarono dal terrore, quando capii che ero stata catturata da uno di quei giganti cannibali.
Urlai fortissimo, una serie di aiuti e preghiere che non capii bene nemmeno io, mentre il mostro mi schiacciava sotto il suo peso, estraendo un lungo coltellaccio dalla cintura.
Sul suo volto deforme si disegnò un ghigno malefico, mentre la lama si avvicinava alla mia gola. Con le mani provai a fermarla, ma lui era decisamente più forte di me.
Sentii la fine avvicinarsi inesorabile.
“Ironico…”
Pensai, cercando di ricacciare le lacrime. “Sto per morire dopo solo un giorno di rinascita.”

Silenziosa, invocai una preghiera agli Dei, affinché, almeno Annabeth e Percy, che si erano dimostrati così gentili si salvassero. Qualcuno urlò il mio nome e sentii dei passi.

Poi accadde qualcosa di incredibile.

Il mostro emise un grugnito dolorante. Il suo corpo si dissolse e l’arma cadde a terra, mentre una figura si stagliava su di me.  Era un ragazzo di circa quattordici anni . Aveva capelli corvini ed il colorito mortalmente pallido. I suoi occhi scuri mi scrutavano come se fossi un fantasma.

“Aiuta… gli altri.” Sussurrai, mentre sentivo le palpebre farsi pesanti. Mi resi solo in quel momento che avevo sbattuto la testa e che stavo svenendo.

“Io…” Iniziò lui, ma non riuscii a capire il resto, perché, in poco tempo, i miei occhi si chiusero e caddi nell’oblio.

 

 

 

 

[Pov Nico.]

Quando mi ero arrampicato oltre la collina, attirato dall’incredibile rumore che intuivo, erano i mostri a provocare mi aspettavo una scena del genere, ma il mio sguardo fu subito attirato da una ragazza a terra, sovrastata da un gigantesco orco che sembrava avere tutta l’intenzione di farla fuori. Guardai in basso e vidi Annabeth e Percy che tenevano testa ai loro nemici, ma non sarebbero mai riusciti a salvare in tempo quella ragazza.

Estrassi la mia spada in Ferro Nero e mi avventai verso il mostro che la teneva a terra, infilzandola alla schiena.

Fu quando quello si disintegrò in polvere che riuscii a scorgere lo chi aveva aggredito.

Il mio cuore accelerò, mentre una valanga di emozioni che avevo seppellito da tempo mi travolgeva. Non era possibile che fosse proprio lei, davanti a me. Aveva la stessa età che avrebbe avuto se non si fosse unita alle cacciatrici. Improvvisamente una fitta al petto mi rese la respirazione più difficile, quasi mi bruciassero i polmoni. I miei occhi pizzicarono, ma ricacciai indietro le lacrime. Avevo smesso di piangere da molto tempo, per lei.

Sentii dei passi.

“Nico…?”

Era Percy e mi guardava come se dovessi esplodere da un momento all’altro. Cosa non del tutto falsa, dato che, intorno a me, nel raggio di un metro, l’erba era seccata. Le mie emozioni si stavano spandendo creando una specie di Aura Mortifera.

“Non ora, Percy, dobbiamo portarla in infermeria!” Lo bloccai, sul nascere, cercando di frenare una marea di possibili insulti.

Perché? Perché non mi avevano avvertito!? Perché mi avevano escluso di nuovo? Perché hanno dubitato di nuovo di me? Non avevo già dimostrato di essermi pentito dei miei errori? Perché non mi avevano avvertito che mia sorella era rinata?

“Certo.” Disse subito Annabeth, sollevando la ragazza come se non pesasse niente.

Scendemmo la collina e raggiungemmo la Casa Grande. Passammo accanto a molti nostri amici che ci salutarono. Nessuno aveva conosciuto Bianca così a lungo da riconoscerla alla prima occhiata, ma le lanciarono tutti occhiate curiose.

Io ero semplicemente infuriato con qualunque essere divino che mi avesse fatto quello scherzo. Cosa volevano? Era la regina degli spettri che mi aveva mandato un fantasma per vendicarsi di quando eravamo riusciti a fregarla? Oppure era qualche altra divinità che mi aveva fatto credere che Bianca fosse rinata per poi rapirla?

Dall’altra mi sentii invaso da una sensazione di nostalgia e felicità. Bianca, la mia sorellona, che desideravo ardentemente riavere indietro, era tornata. Magari mi avrebbe potuto accettare ciò che ero. Avrebbe potuto ascoltarmi, proprio come Hazel.

Hazel.

Mi sentii in colpa, per gli Dei.

Sarebbe venuto sicuramente a saperlo ed io non potevo nemmeno immaginare come si sarebbe sentita. Poveretta, avrebbe pensato di essere solo uno scarto e che non l’avrei più considerata.  Cavolo, che situazione. Non volevo lasciare Bianca, non di nuovo, ma anche Hazel era mia sorella. In infermeria, ovviamente, non ci fecero troppe domande: Da quando Calypso era arrivata al campo il servizio medico era molto migliorato.
Fu quando arrivò Chirone che le cose si complicarono: il centauro lanciò immediatamente un occhiata sorpresa a Bianca e poi a me.

“Dobbiamo parlare.” Furono le due sole parole che disse.

Lo seguii come un automa privo di volontà. Ero terribilmente devastato, da ciò che avevo scoperto. Mille pensieri mi affollavano la mente. Osservai Percy. Quante volte lo avevo incolpato della morte di Bianca. Ora che me la riportavo non sapevo se ringraziarlo o prenderlo a calci fino a fargli perdere la voce e la sensibilità al fondoschiena.

Ovviamente anche lui e Annabeth furono presenti.

“Nico… forse tu dovresti…” Provò, subito Chirone, muovendo nervosamente la coda.

“Potrebbe trattarsi di mia sorella! Intendo Rimanere!” Sbottai irritato. Ne avevo abbastanza di essere trattato come un cucciolo di cervo indifeso. Ero un semidio, avevo affrontato da solo il Tartaro e avevo anche trasportato l’Atena Parthenos dall’Europa all’America.

“Sì…. Hai ragione, Nico, scusami. Solo che non volevo metterti sotto pressione.” Si scusò il vecchio centauro, annuendo comprensivo.

Sospirai, capivo i suoi timori, ma ormai il grosso era fatto. Il mio cervello era letteralmente imploso ed ero talmente sommerso dai pensieri che mi sembrava di avere un frullatore nella scatola cranica. Continuavo a chiedermi chi avesse fatto sparire Bianca, come e soprattutto perché. Era per colpire me? Probabile. Ma perché dopo tutto questo tempo? Quando ero tornato negli inferi per farla rivivere intuii che lei aveva scelto la rinascita. Dopotutto non c’erano altri motivi per pensarla diversamente. Non avevo pensato che qualcuno avrebbe cercato di rapire un anima dell’Elisio, per questo avevo creduto che lei fosse rinata. A quanto pare dovevo ricredermi.

“Allora, Percy. Annabeth. Raccontatemi tutto dei minimi dettagli. Come l’avete trovata?” Chiese Chirone, strappandomi dai miei pensieri.

“Per la verità… è stata lei a trovare me.” Iniziò il figlio di Poseidone. “Lei mi ha raccontato di essersi svegliata a Central Park, ieri mattina, senza ricordare nulla. Guidata da sensazioni, nemmeno voci, è arrivata davanti alla mia scuola e mi ha salv… ehm… aiutato contro il Minotauro. Per sicurezza l’ho portata a casa mia.”

“Sì, ho cercato un po’ ovunque, ma, sinceramente, Chirone, non mi spiego la sua resurrezione. Se fosse rinata sarebbe dovuta rinascere come neonata. Invece ha scordato tutto, ma è rinata con la sua età attuale. Inoltre sembra provare sensazione, ogni volta che vede o parla con qualcuno di familiare.” Concluse Annabeth, rivolta al centauro.

“Mmmmmh… strano… ha detto altro?” Si interessò Chirone, lisciandosi la barba.

“Sì… ha parlato di un sogno.” Disse Percy.

Dopo che ebbe detto tutto ciò che Bianca aveva detto, cadde un profondo silenzio.

“Atlante?” Chiesi, subito, ripensando all’impresa in cui era morta.

Rabbrividii.

Mi sentivo come se avessi avuto un Deja Vu.

“Atlante è intrappolato sotto la volta celeste.” Ricordò Annabeth, carezzandosi la ciocca grigia che andava via via svanendo. “Non credo abbia così tanto potere da portare in vita Bianca.”

“però qualcuno l’ha riportata in vita. Sicuramente qualcuno di molto potente e che può passare inosservato, se vuole. Qualcuno che si nasconde sul Monte Otri.” Replicò Percy, accigliato.

“Una cosa per volta.” Li bloccai, prima che iniziassero a sproloquiare su presunti piani di battaglia creati a posta contro pazzi Dei del cielo. “La cosa più importante è: quando si sarà ripresa, cosa facciamo? Tutti sanno la sua storia, e saranno diffidenti.”

Tutti e tre mi guardarono.
“Nico ha ragione…” Concesse Chirone. “Quindi… cosa conti di fare?”

“Teoricamente Bianca andrebbe ospitata nella Casa Undici, in attesa che il proprio genitore divino la riconosca.” Fece notare Annabeth, senza troppa convinzione.

“No.” La bloccai, senza esitare. “Nella Casa di Ermes sarebbe sotto pressione. Troppa gente. Mi offro io, per ospitarla nella Casa di Ade.”

“Non sappiamo nemmeno se è davvero tua sorella.” Mi ricordò Chirone, accigliato. Evidentemente temeva che una scelta del genere potesse essere avventata. Ma ormai avevo preso la mia decisione.

“Ma ci somiglia… e se lo fosse davvero? Ade non la riconoscerebbe, perché sarebbe come sbandierare davanti a tutti gli Dei che fa favoritismi ai suoi figli resuscitati. Già Zeus non è stato proprio felicissimo della resurrezione di Hazel. Ma ci è passato sopra, dato che aveva salvato l’Olimpo. Se dovesse accadere di nuovo si scatenerebbe il putiferio!” Ribattei, fermo nelle mie posizioni. In realtà speravo che la mia vicinanza le riportasse alla mente dei ricordi o delle sensazione. Così avrei avuto la certezza che fosse mia sorella.

“Nico ha ragione… le antiche leggi sono chiare: nemmeno lui può riportare in vita i morti. Sarebbe una violazione terribile e, anche se Ade non c’entra nulla, dubito che vorrebbe mettere in pericolo i suoi figli.” Mi appoggiò Percy, dopo un attimo. Per gli Dei, ecco uno di quei momenti in cui il suo altruismo mi faceva venire voglia di abbracciarlo.
Trattenni un sorriso, rendendomi conto che non potevo farlo: lui era di Annabeth.

“D’accordo. Nico, puoi portarla alla tua Casa, anche se non è stata ufficialmente riconosciuta.” Concesse, infine, Chirone.

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo Autore]

Allora, gente… questo capitolo è stato un parto, per il semplice motivo che il POV di Nico non era per nulla semplice e temo di aver sgarrato alla grande. Il fatto è che non sono certo di aver descritto bene le sue emozioni. Volevo che fosse un POV molto confuso e agitato, proprio come lo è lui. Ricordare che lui teneva molto a Bianca, ma anche che è molto confuso dal fatto che, in primis, lui la credeva “Rinata.” Poi lui ha fatto rivivere Hazel, quindi ci sarà sicuramente attrito tra i sentimenti che prova per le due sorelle. Infine da notare che Bianca non è certa di essere proprio la STESSA Bianca di Angelo. Quindi Nico stesso è molto confuso.

Spero di essere riuscito a descrivere bene i suoi sentimenti. Dato che sono una ciofeca terribile -_-

Ad ogni modo, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito il precedente capitolo.
Graeca sempre cara e sempre bella ;)
_Littles_ Ma che belle recensioni che mi mandi :D
Farkas Auuuuuuuuuuuu! Anche a te, e grazie ancora ^_^
Silvia_Fangirl, grazie per continuare a seguire e recensire.
J

 

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Capitolo 5
*** Bianca - Mio fratello mi Invita a Casa Sua ***


Bianca – Mio fratello mi invita a casa sua.

 

 

 

Quando mi risvegliai vidi una ragazza dai capelli color del miele china su di me che mi stava spalmando una specie di pomata fresca sulla ferita che avevo sopra l’orecchio sinistro.

“Ah.” Mi lamentai, quando sentii la lesione bruciare.

“Stai calma, sta per guarire, devi solo stare ferma.” Mi consigliò la ragazza, con voce dolce.

Mentre finiva, la osservai. Sembrava una ragazza sui sedici anni del tutto normale. Aveva lunghi capelli biondo scuro, gli occhi chiari. Era alta, snella e molto carina. Indossava un paio di jeans e una camicia. Era molto bella.
Dopo pochi istanti il dolore passò del tutto.

“Ecco, dovrebbe essere guarita.” Sentenziò lei, annuendo soddisfatta.

“grazie.” Risposi, alzandomi a sedere. Ero ancora un po’ stordita ma, a quanto pareva, dovevo essere ancora viva, dato che ero cosciente ed il dolore era reale.

“Io sono Calipso.” Si presentò la ragazza con un sorriso luminoso. “Sono l’aiutante di Chirone, qui, al Campo Mezzosangue. Mi occupo dell’infermeria e del magazzino.  Quando sei venuta qui avevi una cera davvero terribile, per fortuna conoscevo la cura adatta alla tua ferita.”

“Be’, grazie.” Dissi, senza pensarci troppo. Cavolo, mi aveva salvato la vita.

“Di nulla, ora riposa, Chirone ha riunito i Capi Gruppo di tutte le Case. Sembra che tu gli interessi molto.” Aggiunse, mentre rimetteva a posto i recipienti di varie medicine.

Sospirai.

Lo immaginavo, quando Percy mi aveva parlato di Chirone e della mia storia mi ero aspettata di scatenare un putiferio. Ed infatti era avvenuto. Tremavo al solo pensiero di essere sotto l’esame di altri semidei e del direttore del campo. Decisi di riposare in attesa che venissero a chiamarmi. Dopo la mia patetica performance contro i mostri cannibali avrei tanto voluto sparire. Ero stata un peso per tutti e mi avevano anche dovuta salvare.

Sbuffai.
Chi si disturberebbe a riportare in vita una fallita come me?

All’improvviso la porta si spalancò ed entrò uno ragazzo stranissimo. Aveva una cascata di lunghi ricci scurissimi, quasi neri, gli occhi erano azzurri, molto chiari, tanto che era difficile capire se dove fossero le pupille. Era alto e doveva avere un anno più di me, al massimo. Indossava Jeans e una maglietta arancione, ma la cosa che mi sorprese di più furono le due paia di ali che aveva ripiegate sulla schiena che si attaccavano ad essa tramite due ampi tagli all’altezza delle spalle. Le piume erano così bianche che sembravano riflettere la luce e sembravano sufficientemente forti da sostenere una persone. Esistevano ragazzi così?

“Scusa, Calipso. Chirone avrebbe mandato a chiamare la nuova arrivata. Poso portarla nella sala comune per la riunione?” Chiese, calmo, con un espressione che sembrava addolorata.

Avevo sentito la nota di pericolo con cui aveva pronunciato nuova arrivata. Si riferiva certamente a me e capii anche che, da come l’aveva detto, che sarebbe arrivata una specie di prova, di lì a poco.
Mi agitai.
Cosa volevano da me? Una prova? Magari che io dicessi che ero veramente Bianca di Angelo? Come potevo dimostrarlo?

“Credo sia in condizioni di camminare, ma non mettetela troppo sotto pressione. È ancora fisicamente debole.” Rispose Calipso per me. Quel nome mi sembrava familiare. Forse l’avevo letto in un libro?

“D’accordo.” Disse il ragazzo alato, per poi voltarsi verso di me, sorridendomi. Non potei fare a meno di rispondere, io stessa con un sorriso. Sembrava un tipo simpatico.

“Ciao, io sono Jack Frost, figlio di Borea.” Si presentò lui, porgendomi la mano.

“Bianca… ehm, vorrei poter dire figlia di qualche divinità, ma non so nemmeno chi sia, anche se sembra che io sia figlia di Ade.” Risposi al limite di esplodere per l’imbarazzo. Il problema di avere una vita del genere, fondamentalmente, era che non potevo essere certa di nulla. Scesi dal letto barcollando. Sembrava tutto a posto, ma mi girava un po’ la testa; sperai che durasse poco.

“Piacere di conoscerti. Conosco la tua storia… immagino sia un bel casino non ricordarsi nulla.” Mi rassicurò, stringendosi le spalle. Almeno non si faceva problemi a parlare con una morta.

“Non hai idea… è da ieri che cerco di ricordare qualcosa.” Replicai, mestamente, mentre mi avviavo verso la porta, con il figlio di Borea al fianco “Ma quelle ali?” Chiesi, subito, ansiosa di cambiare argomento.

Lui le stese un po’ sorpreso e disse: “Oh, queste. Sai, è strano, alcuni semidei figli degli Dei dei Venti tendono a sviluppare ali per sfruttare al meglio i venti e volare più veloci.”

“Sembra bello.” Commentai, affascinata. Mi chiesi cosa si provava.

“Lo è, ci si sente liberi. Essere capaci di volare è un dono raro, persino per quelli come me. Attualmente sono l’unico semidio, in trent’anni ad avere le ali.” Rispose con un sorriso che tradiva l’orgoglio di avere qualcosa di così bello. Non potei fare a meno di invidiarlo.

Almeno era simpatico. Jack aveva detto di conoscere la mia storia, ma non sembrava farsi troppi problemi, anzi, sembrava molto naturale, come se dovesse parlare del tempo. Quando uscimmo iniziò ad indicarmi le case, spiegando che, negli ultimi due anni, erano aumentate, dato che a tutti gli Dei, anche a quelli minori, erano state assegnate case per i loro figli semidei. La casa di Borea sembrava un grosso iglù a forma di casa, ma intuii che il ghiaccio era magico dato che, pur battendo il sole, quello non si scioglieva. La casa tredici, quella di Ade, mi interessò in modo particolare. Era nera, molto tetra, con due fuochi verdi davanti all’entrata.

Eppure ero attratta da quel luogo, come se mi stesse inviando un richiamo silenzioso.

Mi concentrai e seguii Jack fino alla Casa Grande. All’entrata c’era un uomo che mi guardò negli occhi, gelido e fermo, come per analizzarmi. Avrei voluto ricambiare con un occhiata innocente, ma avevo problemi a capire quale degli occhi guardare. Ce n’erano almeno una decina di visibili: sulla fronte, sui palmi delle mani, sul collo. Sospettai che ce li avesse anche in altre parti, ma non volevo indagare. Ad ogni modo cercai di far capire che non ero un pericolo e quello dovette recepire il messaggio perché annuì come per farmi capire che potevo entrare.

“Argo.” Spiegò Jack Frost, intuendo la mia perplessità. “Lui ha occhi ovunque, letteralmente. È il capo della sicurezza del campo.”

Entrammo in una grande sala con al centro un tavolo da ping pong. Intorno ad essa erano radunati una ventina di ragazzi, forse di più. Riconobbi tra loro Percy, Annabeth ed il ragazzo che mi aveva salvato al mio arrivo. Accanto a loro, a capo tavola c’era un uomo, o meglio, un centauro. Il busto le braccia e la testa erano di uomo e aveva una barba ben curata che gli dava l’aria del professore. Indossava una camicia a quadri. Dalla vita in giù, però, era un grosso stallone bianco.

“Benvenuta, Bianca… o forse dovrei dire ben tornata, ad ogni modo, permettimi di presentare i nostri capigruppo. Conosci già Percy, Annabeth e Jack, figlio di Borea. Lui è Nico.” Disse, indicando il ragazzo pallido dai capelli neri.

Il mio cuore accelerò.

Nico.

Mio fratello.

Avrei voluto parlargli, ma quando mi guardò vidi i suoi occhi, freddi come il ghiaccio, come se mi stessero esaminando ogni molecola del corpo. Mi sentii triste. Avevo sperato in qualcosa di più da parte di mio fratello, invece mi stava trattando come un fantasma. E probabilmente aveva ragione: ero un fantasma. Per di più lo avevo abbandonato. Mi meritavo un trattamento del genere.
Ad uno ad uno mi furono presentati tutti i capigruppo. Jason che, per la verità, era un figlio di Giove, ma si era trasferito al Campo Mezzosangue, Clarisse, figlia di Ares, Leo, figlio di Efesto, Piper (che mi stava simpatica), figlia di Afrodite, Will Solace, i fratelli Stoll e molti altri. Non avrei mai ricordato tutti, ma i principali mi furono chiari. Inoltre, tramite un messaggio Iride, mi presentarono anche Frank Zang, figlio di Marte e Reyna, figlia di Bellona, Pretori di Nuova Roma. Mi guardavano tutti intensamente. I due figli di Ermes sembravano i più sorpresi di tutti. Clarisse, invece, era semplicemente accigliata, come se stesse cercando il modo migliore per rimandarmi nell’Ade

“Somiglia molto.” Sentenziò Connor, dopo diversi minuti di silenzio.

“Sì… somiglia davvero a Nico.” Rincarò la figlia di Ares.

“Ecco perché vi abbiamo riuniti.” Spiegò Chirone, rivolto sia a noi che ai romani. “Abbiamo molto di cui discutere, anche con voi di Campo Giove.”

“Lo sappiamo, Chirone. Manderò una pattuglia nei pressi di Monte Otri per scoprire se Atlante ha trovato un modo per liberarsi.” Assicurò Reyna, dopo che ebbe ascoltato il resoconto del centauro. “ora, però, possiamo passare al nostro… altro problema?”

“Già… con tutto il rispetto, Bianca, ma siamo sicuri che sei davvero tu Bianca di Angelo? La sorella di Nico?” Rincarò il suo collega, accigliato. Sembrava che stesse prendendo la mia presenza come qualcosa di personale.

“Mi dispiace… ma non ricordo nulla. Non posso assicurarvi di essere io.” Risposi, abbassando lo sguardo dispiaciuta. Non sapevo nemmeno io se volevo esserlo. Da una parte mi sentivo terribilmente a disagio con il mio presunto fratello. Dall’altra sarebbe stato interessante avere un passato. Non avevo voglia di ricominciare le ricerche da zero.

“Io credo davvero che sia mia sorella.” Mi sostenne, sorprendentemente Nico. “Mi somiglia e anche il suo aspetto è simile a quello di mia sorella. Se fosse cresciuta, sarebbe lei.”

“Non ne dubito. Solo che non possiamo esserne sicuri.” Precisò Jason, il biondo figlio di Giove, che continuava ad osservarmi con un certo interesse. Stava facendo balzare lo sguardo da me a Nico, come se stesse cercando una specie di conferma o reazione.

“Però, quando vede o sente qualcosa di… familiare, ha delle sensazione.” Disse Annabeth, in mia difesa.   

“Sentite…” Provai a suggerire qualcosa, ma la mia voce su sovrastata da quella degli altri che parlavano.

“Basta!” Li interruppe, Nico, ad un certo punto. “Ho già deciso io, lei, per ora, starà con me, nella Casa di Ade, per ora, anche se non siamo sicuri, lei è mia sorella.”

Mi sentii arrossire fino alla punta dei capelli e ringraziai gli Dei di avere dei capelli abbastanza lunghi da nascondermi. Mi sentivo terribilmente in colpa per averlo lasciato e incredibilmente grata che lui non sembrava serbare troppo rancore per me.

“D’accordo.” Concesse Chirone. “Bianca, tu che ne dici?”

“Io… ecco… per me va bene.” Risposi, sudando, sentendo tutti quegli sguardi che mi fissavano. Avrei voluto esprimere maggiore gratitudine per il mio fratello, ma non riuscivo a mettere due sillabe una davanti all’altra.

“Molto bene. La seduta è sciolta.” Concluse il centauro, evidentemente sollevato.

 

 

 

“Eccoci.” Annunciò Nico, dopo avermi fatto strada fino alla Casa Tredici.

Se all’esterno aveva un aria minacciosa, come una porta infernale, all’interno era tutto molto accogliente: i letti a castello erano costruiti in mogano scuro, addossati, ordinatamente, alle pareti, sotto i quali erano posizionati due cassepanche. C’erano anche alcune scrivanie, in fondo e degli armadi, intervallati regolarmente, dai letti. Al centro c’era un tappeto leggero nero e le tende verde scuro, non erano così minacciosa. Davano un senso di intimità e sicurezza.

“Sistemati dove vuoi.” Aggiunse, indicando la fila dei letti.

Non sapendo dove mettermi, e avendo ben pochi averi con cui segnare il mio letto, decisi di sedermi accanto all’unico letto che sembrava occupato: quello di Nico.
Sistemai la mia roba nel baule, anche se era davvero poco: I soldi, le dracme e un paio di vestiti di ricambio che Sally mi aveva dato.

“Allora…” Iniziò il mio presunto fratello, sistemandosi sul suo giaciglio, fissandomi con sguardo glaciale. Mi sentii a disagio.

“Ecco…” Provai a ribattere, ma non sapevo cosa dirgli. Ciao, Nico. Ti ricordi? Sono la stronza che ti ha abbandonato al campo. No, grazie, preferivo evitargli i ricordi spiacevoli. Ciao, Nico, come va’? Scusami se ti ho fatto credere di essere rinata, non l’ho fatto a posta. E poi? Che gli dicevo, non ero nemmeno certa di essere davvero sua sorella.
Eravamo in un’imbarazzante situazione di stallo: non sapevamo cosa dire. Lui sembrava indeciso se abbracciarmi o arrabbiarsi con me. Io, di mio, ero più confusa che mai. Avrei voluto scusarmi, ma sentivo come se volessi mettere una pezza gialla sopra un abito nero. Insomma, troppo finta per risultare credibile.

“Senti, Bianca.” Provò, di nuovo, Nico. “Che ne dici se ti faccio fare un giro del campo?”

“Sì, grazie… sai, non ho potuto dargli un occhiata vera e propria… e come sai non ricordo nulla.” Risposi, con un po’ troppa fretta. Ero solo ansiosa di fare qualcosa che non fosse imbarazzante.

 

 

 

All’esterno Nico mi guidò attraverso il campo, mostrandomi la parete d’arrampicata. Fui molto affascinata dall’Arena e dalla pista per la corsa di bighe. Il ragazzo mi propose di allenarmi con lui, dopo. Intanto ci dirigemmo all’armeria.

“Tutti i semidei devono essere armati e preparati ad affrontare possibili attacchi di mostri.” Spiegò, mentre entravo nella tenda.
Le pareti erano coperte da rastrelliere piene di armi. Lance, asce, archi, fucili, pistole e spade. Tutti sembravano fatti dello stesso materiale con cui era fatto il mio coltello.

“Questo è bronzo celeste.” Spiegò Nico, indicando le armi. “È letale contro i mostri, ma contro i mortali è innocuo. Stai attenta, però, con noi funziona proprio come con i mostri.”

“Incredibile… ma chi costruisce tutte queste armi?” Chiesi, soppesando una spada corta. Non che volessi usarla, dato che mi pesava parecchio e mi sentivo sbilanciata.

“Io, insieme alla Casa di Efesto!” Rispose allegramente, un tipo dai capelli ricci appena entrato. Lo riconobbi: Leo Valdez. All’inizio non l’avevo notato, ma sembrava davvero un elfo. I capelli ricci erano disordinati e gli incorniciavano il volto sottile.

“Ciao.” Lo salutai, con gentilezza.

“Benvenuto al Campo, Bianca.”  Ribatté lui, con un sorrisone.

“Ti presento Leo Valdez, il ragazzo di Calipso e miglior fabbro ed ingegnere del campo. Costruttore di innumerevoli oggetti magici e della Argo II , la nave volante che ci portò fino in Grecia.”  Lo presentò Nico, senza scomporsi.

“Oh, sono un tipo modesto.” Replicò Leo, con un sorrisone. “Allora, cercate un arma?”

“Sì.” Risposi, automaticamente.

“Capisco… be’, dovremmo lavorare parecchio.” Disse il figlio di Efesto mentre iniziava a scorrere la fila di armi, sotto l’occhio vigile di Nico. “Allora, vediamo, tu hai iniziato con un coltello, ma non so se ti ci trovi bene.”

Provai a ripensare a quanto mi ero sentita a disagio con quella piccola arma. Non mi ci trovavo molto bene, anzi, mi sentivo piuttosto impacciata, con un oggetto così piccolo.

“No, infatti.” Decisi, infine. “Credo che mi troverei meglio con una spada.”

“Vero…” Mi squadrò con aria critica. “Io sono un meccanico, non un armaiolo, ma credo che avrai bisogno di una spada non troppo lunga.”

Provammo una decina di spade circa, ma nessuna sembrava calzarmi a pennello. Una aveva il manico troppo largo e non riuscivo ad impugnarla bene. Altri erano troppo lunghe e mi sbilanciavano troppo.  Alla fine il mio sguardo fu attratto da una spada completamente nera.

“Quella cos’è?” Chiesi, indicandola.

Nico si rabbuiò di colpo. “Quella… è una Spada Nera, create per i guerrieri di Ade. Lui procura, ogni tanto, del Ferro dello Stige per costruire armi. è un materiale molto raro e queste spade sono rarissime.” Spiegò mestamente. Sembrava che la storia di quella spada non gli piacesse.

“Come mai si trova qui?” Chiesi, sorpresa.

“Ogni, tanto gli Dei, ci donano armi e oggetti per il campo. Ade ha lasciato un po' di ferro Nero, così l'abbiamo usato per creare queste armi.” Rispose Leo, scrollando le spalle.

La lama fatta di Ferro nero, come aveva detto Nico. Sessanta centimetri di letale metallo nero che brillava di una tenue luce violacea. Pensierosa strinsi l’impugnatura che sembrò fatta a posta per me. La sollevai e la soppesai con attenzione. Mi sentivo stranamente in sintonia con quell’arma.

“Credo userò questa.” Dissi, alla fine, facendola roteare molto maldestramente. Almeno non mi era caduta di mano.

“Direi che è un’ottima scelta.” Sentenziò Leo, senza abbandonare il suo sorriso.

“Mi sembra una buona idea.” Confermò Nico, per la prima volta, con un’ombra di sorriso sul volto, come se gli ricordassi qualcosa.

 

 

 

 

Il resto della giornata passò tranquillamente. Nico mi fece provare la spada all’Arena, insieme a Clarisse e Jason. Il figlio di Giove era molto simpatico e aperto e, dopo che mi ebbe disarmato per la dodicesima volta, mi ritirai sugli spalti dove incontrai la sua ragazza: Piper Mclean, figlia di Afrodite. Anche lei molto aperta e simpatica. Al contrario di altri non sembravano prendere in considerazione il fatto che ero una non-morta e chiacchierava amichevolmente con me.
Mi raccontò della loro avventura sulla Argo II della guerra dei Giganti e di come avevano sconfitto Gea. Non si vergognava ad ammettere che aveva avuto una paura folle, certe volte, ma ammirai un sacco che, nonostante ciò, fosse andata avanti.

La sera arrivò presto e io mi sedetti, insieme a Nico, al tavolo di Ade. Percy e Jason erano poco lontani e mangiavano da soli alle tavole dei rispettivi genitori. Mentre mangiavo il mio sguardo fu attirato da Jack Frost che continuava ad aiutare un suo fratellino di dodici anni che non riusciva a raggiungere un condimento al centro del tavolo. Quel ragazzo mi sembrava un fratello modello e mi fece ripensare a quanto Percy mi aveva detto: avevo abbandonato il mio. Mi sentii in colpa, di nuovo, in meno di due giorni.

Dopo cena andammo tutti nelle rispettive capanne e io mi sistemai, indossando il pigiama. Altro regalo di Sally Jackson. Mi sedetti sul bordo del letto osservando Nico che mi fissava con agitazione.

“Allora…” Provò ad iniziare.

“Nico, ascolta… io.” Lo interruppi, nervosa. “Non so se sono davvero tua sorella Bianca.”

Lui non sembrò farci molto caso: “Non lo so nemmeno io… ma vorrei davvero che tu lo fossi.”

Mi salì un groppo alla gola e mi misi la testa tra le mani.

“Per quanto possa valere, mi dispiace, Nico.” Dissi, con un filo di voce. Dei, come sembravo patetica. Scuse per cose che non sapevo se avevo fatto e senza un motivo apparente.

“Non preoccuparti, Bianca. Non è successo nulla.” Rispose, prendendomi una mano nella sua.
Sapevo che stava mentendo. I suoi occhi tradivano una profonda tristezza e angoscia, ma anche rabbia e amarezza. Ma lui stava sorridendo e mi stava dando una possibilità. Almeno potevo dire di non essere messa così male.

“Grazie, Nico… buonanotte.” Risposi, asciugandomi le lacrime.

“Buonanotte, Bianca.” Aggiunse lui, mettendosi a letto.

Sospirai e mi coricai anche io, lasciando che Morfeo mi portasse nel suo regno. Senza sapere che, anche quella notte, non sarebbe stato una dormita tranquilla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo Autore]

Ed ecco qui l’ennesimo capitolo. Ora, lasciatemelo dire, questo capitolo è un capitolo di… passaggio, per così dire. Qui non accade nulla di particolarmente rilevante o di pericoloso. Come vedete Bianca viene solo accolta al Campo Mezzosangue e fa la conoscenza dei pretori e dei Capigruppo.
Sì, lo so che nel seguito ufficiale di Rick uno di questi personaggi ci lascerà la pelle, ma, per gli Dei, non riuscirei mai a scrivere di un Leo morto, di un Nico morto o di una Reyna morta. Non mi sembra giusto.
Quindi, nella mia headcanon, tutti i personaggi sono sopravvissuti, sono vivi e vegeti. ^_^
Ad ogni modo ho ritenuto doveroso descrivere l’arrivo di Bianca al Campo e le varie reazioni. Inoltre vi invito a recepire i messaggi subliminali di una coppietta che ho nella mia mente tra Bianca e un semidio.
Ad ogni modo, spero che recensirete in tanti.
Ancora una volta ringrazio:

_Littles_ che fa delle recensioni molto belle e molto interessanti.

Biancadiangelo che non so come mai, ma gli piace questa storia. :P

Silvia_fangirl che sono felice, sempre, dei suoi consigli.

Nikidiangelo che comprendo.

Quindi grazie ancora, spero che verranno altri, dietro di loro e non vi preoccupate. Nel prossimo capitolo i misteri si infittiranno.

AxXx

 

 

     

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Capitolo 6
*** Bianca - una Profezia molto Inquietante mi Riguarda ***


Bianca - Una Profezia molto inquietante mi riguarda.

 

 

 

 

Ero in un corridoio stretto e umido. Era un posto lugubre e molto scuro, illuminato, appena, da una fila di torce attaccate a dei supporti alle pareti. Sembrava tutto scavato malamente, dato che le pareti stesse somigliavano più a quelle di una caverna che a quelle di un corridoio di un edificio normale. Sembrava davvero una scura segreta.

Percorsi il corridoio fino in fondo, dove vedevo un ragazzo che mi stava di spalle. Indossava un paio di jeans e una maglietta viola, con sopra una tipica armatura romana a fasce metalliche. Non riuscivo a vederlo in faccia, era voltato, e non riuscivo a girargli intorno. Dannati sogni.
Così mi concentrai sulla ragazza prigioniera. Era una sedicenne molto strana. Indossava jeans e un Parka argentato, imbrattato di sangue e fango. I capelli scuri, in stile punk, ormai distrutti e leggermente più lunghi sulla nuca. Era stata ammanettata al muro, i piedi tenuti insieme con una specie di fascetta e la bocca e gli occhi tappati con il nastro adesivo.
Continuava a dimenarsi in un chiaro tentativo di liberarsi, ma le catene erano strette e riusciva a mala pena a muoversi.

“Uno dei Greaccus è in mano nostra. Ne mancano solo tre.” Borbottò il suo aguzzino. Pronunciava la parola graeccus come se fosse un insulto.

Avrei voluto intervenire, ma ero poco più di un fantasma.

All’improvviso, però, mi ritrovai di nuovo su Monte Otri. Era uguale a prima, ma, questa volta, mi pareva di vedere ombre scure che si aggiravano furtive tra le rovine.

“Vieni, Bianca. Ho già preso la prima, tu mi porterai gli altri.” Mi disse la misteriosa voce che continuava a parlare dall’alto del cielo, come se il suo proprietario fosse seduto sulla cima della colonna che Atlante sosteneva.

“Non so chi tu sia, ma io non ti aiuterò!” Ribattei, piccata. Sarò rinata da poco, ma non avrei permesso a nessuno di usarmi come un burattino.

“Che tu lo voglia o no, tu mi aiuterai, piccola mortale.” Rise la divinità, mentre un vortice di vento mi investiva.

 

 

 

Mi alzai di scatto, ansimando per lo spavento.

Dei, che incubi!

Ma tutti i semidei facevano sogni del genere? Stavo cominciando a chiedermi come facessero Percy e i suoi amici a non essere matti per incubi del genere. Sospirai, massaggiandomi la fronte. Avevo bisogno di parlare con qualcuno. Forse Nico, magari. Lui sarebbe riuscito a spiegarmi qualcosa. Poi chi era la ragazza punk prigioniera? Aveva parlato di altri tre. Quindi erano in tutto quattro, ma chi? Quattro semidei? Cosa voleva da loro e cos’avevano di speciale? E chi era il Romano? Non erano in pace con i greci?  

Mi massaggiai le tempie esasperata, mentre mi guardavo intorno alla ricerca di Nico. Non c’era. Il suo letto era rifatto e sopra era posato un biglietto. Lo presi e lo lessi. La scrittura era ordinata e familiare.

 

 

Buongiorno, Bianca.
Scusa se non ci sarò, al tuo risveglio, ma questa notte non ho dormito bene. Vado negli inferi da nostro padre… o mio e basta, ma non importa. Forse lui saprà dirmi qualcosa riguardo alla tua scomparsa. Non prometto nulla, ma devo indagare. Non preoccuparti, se vuoi allenarti puoi chiedere a Jason o Percy.
Ci vediamo presto.
Nico.

 

 

Be’, almeno stava bene. Non mi piaceva molto il rischio di informare il mio presunto padre, dato che era anche Dio dei morti, ma forse lui poteva davvero darmi una mano a capire che fossi. Solo che avevo assolutamente bisogno di sapere chi fosse la ragazza prigioniera.
Decisi, allora, di andare all’arena. Avevo voglia di allenarmi, magari mi sarei potuta confidare con Percy o con Piper.

Mi vestii, indossando un paio di jeans e la maglietta arancione del campo e afferrai la spada che il giorno prima mi aveva dato Leo e mi avvia verso la porta. Stavo per uscire quando una voce mi chiamò.

“Nico?” Chiese la voce femminile.

Mi voltai verso l’origine del suono: una specie di arcobaleno sospeso a mezz’aria al centro della Casa di Ade. Un messaggio Iride. Dall’altra parte c’era il volto di una giovane dai capelli e la pelle scuri e gli occhi dorati. Sembrava sorpresa di vedermi, ma, subito dopo, la sua espressione mutò in sospetto e anche rancore.

“Oh.” Fece, accigliata. “Sei tu.”

“Che accoglienza.” Mi dissi, notando come quel sei tu era stato tagliente come una spada in bronzo celeste.
“Ciao.” La salutai, cercando di ignorare il disagio. “Io sono… ehm… credo di essere Bianca.”

“Lo so.” Ribatté l’altra sempre più rigida. Sembrava volesse scannerizzarmi le cellule. “Frank mi ha parlato di te. Io sono Hazel, la sorella di Nico.”

Sussultai.

Sorella di Nico.

Non tua sorella.

Sorella di Nico.

Mi sentii avvampare dalla vergogna e dal disagio. Quella ragazza, che ero anche curiosa di conoscere, sembrava volermi tagliare a fettine. L’avevano descritta come una ragazza amichevole, dolce e tranquilla. Mi chiesi fino a che punto, però, questo valesse per me. Probabilmente mi vedeva come un intrusa, una barriera che si era frapposta tra lei e suo fratello. Se Nico fosse stato con me, probabilmente lei sarebbe stata più amichevole.

“Capisco.” Risposi, mestamente, abbassando il capo.

“Dov’è Nico?” Chiese, subito dopo, senza abbandonare la sua espressione crucciata.

“Non c’è.” Risposi, meccanicamente. “Mi ha lasciato scritto che sarebbe andato nell’Ade per parlare con suo padre.”

“Molto bene. Allora aspetterò che torni, ciao.” Ribadì lei.

“Aspetta, Hazel!” Provai a fermarla, ma la ragazza aveva già rotto il contatto del Messaggio Iride.

Sospirai. Che bella riunione tra sorelle. C’erano tutti i presupposti per tagliarsi le vene. Era ovvio che non mi sopportava e non si faceva scrupoli a mostrarlo. Cercai di mettermi nei suoi panni e dovetti pensare che voleva, in qualche modo, tenermi lontana da suo fratello. Non potevo darle torto.
Uscii, cercando di togliermi di dosso la sensazione di avere ancora addosso lo sguardo assassino di Hazel.

Il campo si era appena svegliato. I figli di Apollo stavano facendo una partita a basket. Poco più in là vedevo i figli di Ermes che fissavano con sguardi astuti la Casa di Afrodite, come se volessero fare degli scherzi. Cosa che non mi sorprendeva affatto. I figli di Ares erano impegnati in una rissa gli uni contro gli altri. Mi diressi verso l’arena, ignorando il casino.
Volevo schiarirmi la mente.

Infatti, appena entrai, ero talmente sulle nuvole, che fini addosso a qualcuno.

“Oh Dei, scusami!” Dissi, finendo io stessa a terra.

“Nessun problema.” Grugnì una voce a me familiare. “Solo che non pensavo di finire proprio addosso a te.”

Alzai lo sguardo: era Jack. Mi sentii avvampare senza motivo. Lui si era già alzato e mi tendeva la mano per aiutarmi. Le sue ali si stavano muovendo da sole, liberandosi dalla sabbia in cui era finito.

“Scusa, non mi ero accorta che eri tu.” Dissi, sentendo la mia voce assumere una nota un po’ stridula. Mi sistemai, cercando di riassumere un tono normale.

“Tranquilla. Mi stavo allenando con la spada. Non so perché, ma oggi sono a disagio. I venti sono irrequieti.” Spiegò il figlio di Borea, stringendosi le spalle.

“I venti sono irrequieti? Sembra che tu ci parli, con il vento.” Dissi, osservando i riflessi di ossidiana che il sole formava quando si infrangeva sui suoi capelli.

“Dimentichi di chi sono figlio?” Chiese con un sorrisetto.

“Ah, già.” Borbottai, dandomi dell’ingenua. “Sei figlio di un Dio dei Venti. A proposito, che dicono, di preciso?”

“Magari lo sapessi. Io non li capisco, riesco solo a percepire i loro pensieri. Sembrano preoccupati da qualcosa. Ma non ho capito molto.” Spiegò, accigliato.

“Capisco.” Dissi, rimanendo in un silenzio imbarazzante. Lui non sembrava molto interessato ad allontanarsi e, anche se io volevo allenarmi, non volevo rompere così la conversazione.

“Senti, io ho voglia di allenarmi. Ti va di darmi una mano?” Chiesi, indicando l’arena, pur consapevole che lui stava andando via.

“Perché no? … va bene.” Rispose, annuendo, abbandonando l’espressione accigliata.

“Ti avverto, però. Io sono una frana nella scherma.” Precisai, alzando le mani, in segno di resa.

“Tranquilla, cercherò di trattenere i colpi.” Ribadì, lasciandomi passare per prima con un cenno della mano.

L’arena era un edificio molto ampio e ricordava davvero un arena dell’antica Roma. Con gli spalti a gradinate e la sabbia al centro, anche se, gli spalti erano fatti in legno. Mi posizionai al centro, estraendo la spada in Ferro Nero che sfrigolò emettendo un tenue bagliore violaceo. Jack si mise davanti a me, impugnando una spada di bronzo celeste.

“Di solito preferisco usare la lancia, ma meglio usare spade, per ora.” Spiegò, soppesando la sua arma con attenzione. “Ieri stavi combattendo contro Jason.”

“Stavo perdendo contro Jason.” Precisai, ricordando le sue lezioni basilari. Il figlio di Giove era uno spadaccino eccezionale e non ero riuscita a lanciare più di un fendente.

“Be’, vedremo. Prova ad attaccarmi.” Mi incoraggiò il figlio di Borea, facendo ondeggiare la sua spada.

Lo fissai per un attimo e mi lanciai all’attacco. Non mi aspettavo certo di vincere, ma almeno non volevo farmi battere al primo colpo. Tentai un fendente laterali, ma lui lo parò senza problemi. Affondai, ma nulla, evitò. Usò le ali e mi volò alle spalle. Mi protessi da un suo attacco, ma mi buttò comunque a terra.

“Non vale!” Protestai. “Tu sai volare!”

“Già, scusa… abitudine.” Si giustificò lui, imbarazzato, dandomi una mano a rialzarmi.

Riprendemmo e, a forza di riprovare varie mosse e attacchi, iniziai a memorizzarli e riuscire ad usarli. Non mi batteva più con un solo colpo, ma doveva impegnarsi un po’ di più. Nonostante quello, Jack era evidentemente superiore a me. Doveva essersi allenato un sacco per riuscire a raggiungere quei risultati. Alla fine ci fermammo esausti. Ero un bagno di sudore, ma mi sentivo più leggera. Lui, si mise all’ombra bevendo avidamente.

“Certo che sei brava.” Disse, staccandosi dalla bottiglia. “Non credo avrai bisogno di molte altre ripetizioni.”

Scrollai le spalle: “Ho fatto del mio meglio.”

“Ed è parecchio.” Aggiunse una terza voce. Jason. “Non è da tutti migliorare così velocemente, anche per un Semidio.” Si complimentò, dandomi una pacca sulla spalla. Mi chiesi da quanto tempo ci stesse osservando.

“Come ho detto, ho fatto del mio meglio. Ma grazie, anche a te, Jack che mi hai aiutato.” Risposi, con un sorriso, rivolto al figlio di Borea.

“Di nulla… è stato un piacere.” Disse lui, con gentilezza.

Mentre Jason si allenava con Percy e Piper che sopraggiunsero poco dopo, mi fermai ad osservarli. Piper non era una spadaccina eccezionale, ma se la cavava. Il figlio di Poseidone e di Giove, invece, erano due maestri di spada e lo capivo io che con la spada ero un ignorante.

“Come te la passi, al Campo?” Chiese, Jack ad un certo punto, che si era seduto a terra.

“Mh… abbastanza bene. Mi sento ancora molto spaesata.” Risposi, abbassando la testa, sentendomi avvampare, pensando al breve, ma intenso dialogo con Hazel.

“Menti sapendo di mentire.” Mi canzonò lui, fissandomi. Non sembrava volermi fare pressione.

Sospirai per lo sconforto che tornava a galla e iniziai a raccontarle del dialogo con Hazel, la mia presunta sorella di parte Romana. Di come era sembrata fredda e distaccata nei miei confronti e di come non mi avesse rivolto più di due parole.

Lui si accigliò pensieroso: “Non so molto, dei tuoi fratelli. Nico è sempre molto… misterioso, quando è qui al campo e non gli piace  legare con gli altri. Però è molto vicino a Percy.”

“Grazie… cercherò di parlargli appena lo rivedo.” Risposi, mentre i tre ragazzi finivano l’allenamento.

Jason si sedette accanto a me, con il braccio destro sulla vita di Piper, che gli sorrideva dolcemente. Sembravano una coppia bellissima. Percy, invece, si era appoggiato al muro di separazione tra gli spalti.  

“Ah, a proposito, Jason, Percy, avevo bisogno di parlarvi… ecco perché sono venuta all’Arena.” Dissi, a quel punto, rivolgendomi a loro.

“Ho capito, me ne vado.” Disse, a quel punto Jack, rabbuiandosi di colpo.

“Aspetta, no!” Provai a fermarlo, ma troppo tardi: aveva già spiegato le ali ed era volato via.

“Quel tipo è strano.” Asserì il figlio di Poseidone. “Spesso, se ci sono io o Jason, se ne va… o si agita.”

“Ma io non gli ho fatto nulla.” Protestai sulla difensiva.

“Lascia stare, è apposto, solo che, ogni tanto, è strano. Che ci dovevi dire?” Chiese Jason, sospirando.

“Oh, già, vero… ascoltate, sta’ notte ho fatto un altro sogno.” Iniziai, spiegando tutto il mio sogno.

I due si accigliarono sempre di più, mano a mano che descrivevo la prigioniera, il ragazzo con la maglietta viola e l’armatura romana e della voce che voleva controllarmi.

“Non è possibile.” Protestò Jason. “Mia sorella è una cacciatrice di Artemide! I Romani sono in pace con i Greci e non oserebbero toccarla. Sarebbe un affronto alla divinità.”

“Vi sto solo dicendo quello che ho visto… forse era un ricordo o un sogno e basta.” Mi difesi, inarcando le sopraciglia.

“Non credo sia un sogno e basta. Bianca, i sogni, per i Semidei, sono, quasi sempre visioni o rivelazioni su un futuro prossimo.” Rispose Piper, anche lei molto accigliata e preoccupata.

“Ragazzi, davvero, non voglio fare questi sogni,… sono loro che mi vengono.” Ribattei.

“Questo è certo… ma sono sicuro che, se fosse accaduto qualcosa, le cacciatrici ci avrebbero informato.” Assicurò il Figlio di Poseidone, fiducioso.

“Come mai così sicuro?” Chiese Jason, incrociando le braccia.

“Perché, ormai i rapporti tra Campo mezzosangue e Cacciatrici i è molto rafforzato. Se prima venivano qui solo una volta ogni tanto, adesso capita spesso che vengano alla loro Capanna a riposare.” Spiegò l’amico, sempre pensieroso.

“E se provassimo a contattarla tramite un messaggio Iride?” Proposi, ripensando al modo in cui mi ero messa in contatto con la mia sorella Romana.

“Non sembra una cattiva idea.” Acconsentì la figlia di Afrodite. “Io ci provo.”

Mentre i due si allontanavano per riuscire a inviare in pace, quel messaggio, io rimasi sola con Percy nell’Arena. Mi sentii di nuovo in imbarazzo nel ritrovarmi da sola, con una persona che, bene o male, avevo già conosciuto e non ricordarmi nulla. Avrei voluto parlargli di qualsiasi cosa, anche la più stupida.

“Come ti trovi con Nico?” Chiese, dopo un po’, lui, togliendomi dall’imbarazzo.

“Abbastanza bene.” Risposi, scrollando le spalle. “Non so come prenderlo e ho paura di dire qualcosa di sbagliato.”

“Capisco…”

“Percy… posso farti una domanda?” Chiesi, ad un certo punto.

“Quale?”

“Tu sai perché ho abbandonato Nico… cioè, come mai la Vecchia Bianca lo ha abbandonato?” Mi sentivo male a chiamare me stessa Vecchia Bianca, ma era una verità troppo ovvia: sembravo davvero una pezza, messa lì a posta come sostituta.

“Sinceramente… no Bianca, mi spiace.” Rispose lui con un sospiro. “Non me l’hai mai spiegato veramente. Mi avevi detto che ti fidavi di me perché vi avevo salvato la vita, per questo avevi deciso di lasciare Nico al Campo. Non so dirti altro.”

Abbassai il capo, al limite del pianto. Mi sentivo uno straccio: avevo abbandonato mio fratello in mano ad un gruppo di sconosciuti. Come avevo potuto pensare che non serbasse rancore, per questo. Con il senno di poi, è facile dire di aver sbagliato, ma quanto potevano valere le mie scuse? Pensai a Nico, a quanto si doveva essere sentito abbandonato, quando gli avevano comunicato che ero morta. Doveva essersi sentito tradito e solo. Se solo avessi avuto un po’ più di cervello e un po’ più di pazienza, forse non l’avrei abbandonato.

In quell’istante, però, una macchia scura sorvolò il campo. Non ci avrei fatto caso se da essa non fosse uscito proprio Nico, che precipitò letteralmente al centro dell’Arena.

“Nico!” Lo salutai, sollevata. Dopo quel sogno avevo delle brutte sensazioni.

“Bianca, Percy.” Ci salutò, ripulendosi dalla sabbia dell’Arena.

“Ciao, Nico. Come va’? Dov’eri?” Chiese il figlio di Poseidone, dandogli una mano.

“Ero da Ade. Volevo chiedergli se sapeva qualcosa di Bianca.” Spiegò, massaggiandosi le braccia ancora doloranti per la caduta. Sperai che i miei Viaggi Ombra, in caso li sapessi fare, fossero più comodi.

“hai scoperto qualcosa?” Chiesi, ansiosa di avere conferme ai miei sospetti.

“Nulla… sia Thanatos che Ade erano ugualmente sorpresi di sapere di te. Forse Ade sta fingendo, ma non credo. Per quanto freddo, non ha mai infranto le regole del suo stesso regno. Altrimenti avrebbe fatto rivivere anche la mamma.” Spiegò, dispiaciuto, anche se sospettavo più per se stesso che per me.

“Mi dispiace, Nico.” Sussurrai, poggiandogli una mano sulla spalla. Lui fu scosso da un brivido, come se gli avessi dato la scossa, ma non si ritrasse. Sembrava un buon segno.

“Non preoccuparti… sono certo che si spiegherà tutto.” Mi rassicurò, con un sorriso tirato.

“A, a proposito, Hazel ti ha cercato.” Aggiunsi, ricordandomi di lei.

“Ah… oh, ehm… cosa vi siete dette?” Chiese, improvvisamente nervoso.

“Nulla di che. Lei cercava te. Gli ho detto che non c’eri.” Risposi, meccanicamente, evitando di dire come si era rivolta a me.

“Ok, grazie, la richiamerò appena posso.”concluse Nico.

Anuii. Stavo per andarmene con lui e Percy, quando, sull’entrata apparvero Annabeth e una ragazza dai lunghi capelli rossi e ricci, La carnagione chiara e gli occhi vitrei, come se fosse in trance. Indossava un paio di pantaloncini corti neri e una maglietta arancione del campo, simile a quella che indossavo anche io in quel momento.

“Percy!” Urlò Annabeth, allarmata. “Rachel è diventata stranissima…”

“Cosa? Come mai?” Chiese il figlio di Poseidone, avvicinandosi alle due.

Provò a scuotere la rossa, ma senza successo. Quella continuò imperterrita a camminare fino a fermarsi davanti a me. I suoi occhi inespressivi mi inquietarono. Sentii Nico stringermi la mano come per darmi forze e, dopo alcuni istanti, un fumo verde uscì dalle labbra della ragazza, avvolgendola come le spire di un serpente. Sobbalzai, lanciando uno strillo spaventato, mentre una voce cavernosa e profonda, che poco aveva a che fare con quella ragazza iniziò a parlare usando la sua bocca, quasi fosse posseduta.

Colei che dalla morte è tornata,
Dal Dio antico, verrà dannata.
In tre, per sua causa spariranno
E per questo a tutti gli altri sarà fatto danno.
Verso occidente dovrà viaggiare
Così il Dio vedrà tornare.
Il suo sangue, l’altare del Titano bagnerà
Se alla fine il traditore non fermerà.

Il fumo sparì, la voce si dissolse e la ragazza crollò a terra, come se stesse per svenire. Percy e Annabeth corsero subito a sorreggerla, mentre Nico continuava a spostare il suo sguardo da lei a me. Mi sentivo come se stessi per vomitare. Il mondo iniziò a girare.

“Ragazzi.” Gemette la rossa, sbattendo le palpebre. “Che succede? Stavo parlando con Annabeth, davanti alla Casa Grande. Poi più niente. Lo Spirito Oracolare ha preso di nuovo il controllo?”

“Sì, Rachel.” Rispose, meccanicamente Percy fissando me. “Hai appena enunciato una profezia.”

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo Autore.]
 

Salve, seguitori e seguitrici della storia. Come vedete, dopo il capitolo di passaggio, ecco a voi il prossimo. Questo non è affatto di passaggio, ma è molto importante. Anche il prossimo sarà “di passaggio” a causa di una necessità di trama, ma, dal settimo, preparatevi a vedere un’avventura pericolosissima per la nostra Bianca rediviva.
Ad ogni modo, ecco a voi un bel mistero. Chi è il “Romano”? Chi è la misteriosa prigioniera? Immagino che voi conosciate bene la risposta.
AxXx

 

 

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Capitolo 7
*** Bianca/Nico - Arrivano le Cacciatrici ***


ARRIVANO LE CACCIATRICI

 

 

 

[Pov Bianca]

Passarono circa sei giorni da quella profezia che, era evidente, parlava di me. La maggior parte delle persone del campo mi scansava, come se fossero spaventati da me, ma cercavano, comunque, di essere sufficientemente gentili. Gli unici che sembravano essere tranquilli con me erano Percy, Jason, i loro amici e Jack, che, però, in presenza degli altri si irrigidiva e volava via. Non capivo perché, ma sospettavo che si sentisse a disagio. Nico continuava a chiedermi, di tanto in tanto, qualcosa sul mio passato, ma ero sempre più frustrata dal fatto che non ricordavo ancora nulla.

Partecipai alle partite di caccia alla Bandiera insieme a lui e feci del mio meglio per legare, ma, nonostante tutto, sembrava che qualsiasi cosa facessi gli spezzava il cuore e io non facevo altro che sentirmi in colpa. Lui chiamò di nuovo Hazel, ma, come immaginai, i toni rimasero molto formali.

“Ciao, Hazel, come stai?” Chiese Nico, non appena la sorella si accorse del nostro messaggio.

“Oh, ciao Nico!” Lo salutò lei, sorridendogli, mentre ignorava completamente me. “Come va’? Ho saputo dei nuovi… arrivi.” Aggiunse, senza, però, guardarmi.

“Sì… immagino che tu abbia già conosciuto Bianca.” Disse il figlio di Ade, indicandomi, senza, però, specificare il grado di parentela. Doveva essersi accorto della mancanza di attenzioni della Romana.

“Sì, ho già avuto modo di parlarci.” Rispose Hazel, con la voce, improvvisamente fredda come ghiaccio.

“Volevo solo presentarvi.” Replicò Nico, ignorando il tono minaccioso della sorella, mentre io avvampavo dalla vergogna. “Cosa volevi?”

“Solo chiederti come stavi e capire costa stava succedendo. Sai, la notizia di certi arrivi viaggia in fretta.” Rispose, scoccandomi un occhiata gelida.

“Allora eccola qui. Spero che vada tutto bene tra te e Frank.” Si informò il ragazzo, ansioso di cambiare argomento.

“Sì, non ti preoccupare.” Disse, tornando a concentrarsi su di lui. “Ultimamente abbiamo dei problemi con gli Aquilus, ma li stiamo tenendo in riga.”

“E la spedizione sul Monte Otri?”

“Nulla da segnalare, Atlante è ancora la sotto e i mostri sono tanti, come al solito, ma non preoccupanti.” Replicò la figlia di Plutone, sorridendo.

Sembrava che con Nico si trovasse benissimo, mentre con me sembrava sempre fredda come il ghiaccio. Si scambiarono qualche altra parola senza peso e persi interesse per la conversazione. Fu un sollievo, per me, quando il contatto fu interrotto. Uscimmo dalla casa tredici, lui normalmente, io al limite della depressione.

“Perché si comporta così?” Chiesi, stringendomi le spalle, sentendo ancora il gelo che traspariva dalle parole di Hazel.

“Non lo so. Davvero, di solito è fantastica, davvero. È stata la prima a volermi salvare, quando fui catturato dai giganti.” Rispose Nico, con le mani nelle tasche.

“Immagino sia per il fatto che non sa comportarsi con me.” Mentii, sapendo, in cuor mio, come mai si comportava in quel modo.

Appena arrivati davanti alla Casa Grande ci separammo e andai al campo di tiro con l’arco. Unica cosa che mi stava andando bene, dopo la spada. Nico mi aveva consigliato varie attività e organizzato la mia permanenza al campo. Ammetto che il tiro con l’arco non mi dispiaceva, ma preferivo la scherma.
Dopo mi toccò la corsa e l’arrampicata che, però, non mi attiravano. Certo, mi tenevano in forma ma non credevo di avere il fisico per fare certe cose.
Così, come tutte le volte, finii all’Arena, dove si stavano allenando una decina di semidei.
La maggior parte mi guardò male, come se fossi un’intrusa, ma poi vidi Jack che si stava allenando poco lontano contro un manichino e decisi di raggiungerlo.

“Ciao, Bianca.” Mi salutò sorridendo e fermandosi. “Vuoi allenarti?” 

“Sì… ho assolutamente bisogno di distrarmi.” Risposi, facendo oscillare la spada in Ferro Nero.

“Distrarti? Problemi con Nico?” Chiese, scoccandomi un occhiata preoccupata.

“Non proprio…” Replicai.

 Decisi di liberarmi un po’ ed iniziai a raccontargli dei miei sogni e delle conversazioni con Hazel, di Nico che sembrava irrequieto e della profezia. Non sapevo nemmeno perché lo stavo raccontando a lui. Avrei dovuto parlarne con altri, magari Annabeth o Percy. Però non me la sentivo di dirglielo. Avevo paura che iniziassero a vivisezionarmi con gli occhi e non ci tenevo ad altri terzi gradi a cui non potevo dare risposta. Quando finii di raccontare lui non aveva cambiato espressione, era semplicemente attento.

“Questo sì che è strano.” Sussurrò, quasi a se stesso. “Be’, posso immaginare perché tua sorella non ti vuole parlare, mi dispiace. Il sogno, però, è davvero inquietante. Sicura di non volerne parlare con Chirone?”

“No.” Risposi, affranta. “Con questa perdita di memoria non ci capisco quasi più nulla. Potrebbe essere un ricordo o qualcos’altro. Non voglio allarmare nessuno per quello che potrebbe essere nulla.”

“D’accordo, potrei chiedere a qualcuno, magari? I ragazzi di Ecate o Morfeo potrebbero essere capaci di aiutarti. Sono esperti nella manipolazione della memoria. Potrebbero aiutarti a capire se quello è un vero sogno o no.” Propose, dopo qualche istante di riflessione.

“Magari uno di questi giorni sì. Nelle ultime notti il sogno si è sfumato un po’.” Risposi con un sorriso un po’ tirato.

“D’accordo, allora alleniamoci. Magari, poi, andiamo insieme a mangiarci qualcosa al Pugno di Zeus.” Concluse, mettendo mano alla sua lancia. 

Negli ultimi tempi ero migliorata e non era più tanto facile battermi. Questa volta fu lui a finire a terra un paio di volte e riuscii a tenergli testa. Per un ora buona non continuammo a duellare sul posto fino a che non mi sentii distrutta e crollai nella sabbia e lui si sedette accanto a me.

“Credo che mi distruggerai, uno di questo giorni.” Sbuffò il figlio di Borea, ansimando per la fatica.

“Non è colpa mia se spada e arco mi vengono così bene. E non essere disfattista, prima di batterti dovrò davvero impegnarmi.” Replicai, ancora affannata. 

Allenarsi mi aiutava a non pensare a tutte le cavolo di stranezze che mi erano capitate, persino per una presunta semidea qual’ero. Inoltre, dopo lo scontro alla base della collina continuavo a tenermi in allenamento onde evitare di essere presa alla sprovvista da altri mostri.
Dopo l’allenamento avevo del tempo libero, così mi diressi al pugno di Zeus. Non capivo perché avessero dato quel nome ad una montagna di cosi rocciosi che spuntavano dal terreno. Non sembrava nemmeno una mano chiusa.

“Allora, come te la stai passando al campo?” Chiese Jack, atterrando su una roccia alle mie spalle.

“Non male. Anche se tutti mi guardano come un appestata.” Risposi, lasciando che il vento mi soffiasse tra i capelli. Mi sentivo stranamente tranquilla, in quel momento.

“Lasciali perdere. La maggior parte della gente si sente a disagio quando si trova davanti a qualcosa che sconfina dalla loro idea di normalità.” Spiegò, alzando le spalle.

“Quindi io sono un anomalia, per loro. Tu, invece? Non sembri trattarmi male.”Notai, fissandolo, mentre ero ancora seduta.

“Con tutto quello che capita nella vita di un Mezzosangue come me. Ormai ci sono ben poche cose che mi rendono nervoso.” Rispose con un sorriso rassicurante. Non potei non rispondere. Con lui sembrava tutto più semplice, non mi guardava con lo stesso disgusto degli altri. Solo come amica.

“Be’, allora grazie. Ultimamente tutti mi guardano storto.” Dissi, dandogli un bacetto sulla guancia.

Con mia incredibile sorpresa lo vidi arrossire come un peperone e distogliere lo sguardo.

“N-non c’è di che, figurati.” Balbettò.

Ridacchiai sollevata. Avrei volentieri passato con lui altro tempo, se non fosse che, in quel momento, Piper non ci vide e richiamò la mia attenzione, sbracciandosi.

“Le cacciatrici sono qui!” Urlò, rivolta a noi. “Chirone vuole che siamo tutti presenti!”

Sussultai. Le cacciatrici. Erano il gruppo di ragazze eternamente vergini e immortali a cui mi ero unita nella mia presunta, ex vita. Avevo saputo che anche la ragazza che avevo sognato era una cacciatrice. Non potevano essere coincidenze.

“Andiamo a vedere cosa vogliono.” Proposi, fissando Jack.

Lui annuì e planò verso terra, salutando Piper con un cenno del capo, per poi dirigersi spedito verso la casa Grande.

“Ehi, Pips!” Dissi, scendendo con molta meno grazia del mi amico alato. “Sai perché sono qui?”

“No, mi spiace. Non è Artemide a comandarle. Tuttavia Talia non è con loro… temo che il tuo sogno… non fosse così sbagliato.” Sussurrò Piper, dispiaciuta.

Improvvisamente mi sentii la gola secca e le gambe molli. Non avevo più tanta voglia di incontrare le Cacciatrici. Anzi, temevo il peggio.

“Non temere, Bianca. Non ti uccideranno mica.” Mi rassicurò la figlia di Afrodite.

Le sue parole ebbero un buon effetto su di me. Le paure si dissolsero per un attimo e mi rimisi in sesto. Non poteva essere così terribile, affrontare, di nuovo, le cacciatrici. Insieme ci incamminammo verso il cortile davanti alla Casa Grande, dove si stavano radunando molti semidei.  Davanti a noi c’erano una trentina di ragazze armate di Archi d’argento e pugnali e indossavano tutte un parka e pantaloni in mimetica. Erano un gruppo molto unito e, all’apparenza, molto battagliero. Eppure c’era qualcosa che non andava: le loro espressioni erano tra il furibondo e il timoroso, come se fosse successo loro qualcosa di molto grave. Non riuscivo ad immaginare cosa, però.

La ragazza che le guidava non somigliava affatto a quella che avevo visto io in sogno. Certo, indossava vestiti simili, ma, sulla fronte, non vi era alcun diadema. I capelli erano color nocciola e mossi, mentre gli occhi erano di un azzurro molto più profondo dell’altra. Stava parlando con Chirone che, ad ogni parola, muoveva la sua coda sempre più nervosamente.

“Capisco…” Disse, il centauro, dopo pochi istanti. “Capigruppo, venite. Dobbiamo riunirci con le Cacciatrici per discutere di una cosa molto importante.”

Alla sua chiamata risposero tutti quelli che avevo visto io. Alcuni mi fissarono con sospetto, altri dubbiosi, ma fui grata che la maggior parte mi ignorassero. Jack mi lanciò un sorriso incoraggiante e Piper mi rassicurò un po’, dandomi una pacca sulla spalla.
Poi venne il turno di Nico.

“Bianca.” Iniziò lui, rosso in viso, come se si stesse sforzando di dire qualcosa. “Qualsiasi cosa ti chiedano… ecco, non fare come l’ultima volta, per favore.”

Lo guardai perplessa.”Cosa non dovrei fare?”

Mio fratello si morse il labbro inferiore, poi buttò fuori tutto d’un fiato: “Se le cacciatrici dovessero chiederti di unirti a loro… non farlo. Ti prego, non posso perderti di nuovo, proprio adesso!”

Mi sentii avvampare. Era ovvio quello che voleva dire. Non potevo dargli torto, l’ultima volta l’avevo abbandonato, lasciandolo lì, in mezzo ad una marea di sconosciuti. Non lo biasimai per quella richiesta, anzi, mi sorpresi che, nonostante tutti i brutti ricordi, in qualche modo, pensasse ancora a me.

“Lo prometto, non ti preoccupare.” Lo rassicurai, stringendogli il braccio.

Lui annuì e sembrò sollevato, mentre si dirigeva velocemente alla Casa Grande, insieme a tutti gli altri. Poco a poco, gli altri semidei si dispersero in varie direzioni, chiacchierando tra loro. Alcune ragazze si misero a parlare con le cacciatrici ed una mi fissò con attenzione.
Forse fu solo una mia impressione, ma mi sembrò che mi avesse riconosciuta e che mi volesse colpire con una delle sue frecce d’argento.

 

 

 

[Pov. Nico]

Avevo sperato, pregato, che il sogno di Bianca fosse solo quello. Un sogno. Ma invece ecco le cacciatrici, senza Talia, forse gli avrebbero portato via la sorella di nuovo. Sperai che, almeno questa volta, lei ci pensasse bene, prima di unirsi a loro. Mi misi al mio posto accanto a Percy, sentendomi avvampare, quando lui mi dette una pacca sulla spalla. Ormai mi ero rassegnato, ma non potevo fare a meno di non pensarci. Lo amavo ancora.

“Ben arrivate, Phoebe.” La salutò, cordialmente, Chirone, anche se sapevo bene che era nervoso. “Immagino che vogliate parlare della questione a cui mi avevate accennato.”

“Esatto.” Ribatté la ragazza, rivolta al centauro. “La Luogotenente di Artemide, Talia Grace è sparita. È stata rapita, per la precisione.”

“Cosa!?” Sbottò Jason, che sembrò, diventare una statua di sale.

“Non sto mentendo. Noi l’abbiamo vista, mentre veniva trascinata via. Abbiamo provato a difenderla, ma era troppo tardi. Quelle guerriere erano sparite troppo velocemente.” Rispose la cacciatrice, fissando il figlio di Giove.

Un mormorio generale si sollevò tra gli altri capigruppo, mentre assorbivo il vero significato di quelle parole. Conoscevo Talia Grace, l’avevo vista combattere più volte ed era una forza. Nessuno avrebbe potuto sconfiggerla, lo sapevo bene. A meno che non avesse un grande vantaggio.

“Hai detto guerriere.” Disse Annabeth, ad un certo punto. “Erano tutte donne? Amazzoni, forse?”

“No… no, erano cacciatrici.” Spiegò Phoebe, improvvisamente in imbarazzo.

“Aspetta. Vuoi dire che ci sono delle traditrici, nel tuo gruppo?” Chiese Percy, sorpreso.

Anche a me e a molti altri pareva strano. Le cacciatrici erano un gruppo molto fedele e unito. Non riuscivo ad immaginare cosa le avrebbe potute portare al tradimento.

“Non lo sappiamo nemmeno noi. Sappiamo solo che alcune di loro erano simili a noi. Abbiamo anche riconosciuto Bianca di Angelo, una delle cacciatrici morte nell’impresa di Atlante.” Spiegò, guardandomi intensamente.

Improvvisamente mi sentii gelare il sangue nelle vene, mentre tutti cadevano in un profondo e inquietante silenzio. Percy e Annabeth si scambiarono una delle loro occhiate complici che, sapevo, essere un dialogo comprensibile solo a loro.
Intanto, io continuavo a sentirmi il cuore terribilmente pesante.
Non potevo credere che Bianca stesse fingendo di non ricordare nulla, solo per nascondersi tra noi.

Eppure…

No, non mi sarei lasciato sfuggire mia sorella, solo perché una cacciatrice diceva che una tizia che ci somigliava le aveva attaccate. Nella mia mente misi a tacere la voce che, maligna, mi suggeriva di diffidare di Bianca. No, non l’avrei persa di nuovo.

“Com’è possibile che mia sorella si sia fatta catturare così!?” Protestò Jason, stringendo i pugni. “Lei è una figlia di Zeus! Avrebbe combattuto.”

“È vero, noi stesse abbiamo fatto di tutto per salvarla. Ma c’era qualcosa di strano. Abbiamo provato a tirare, ma il vento si è alzato, deviando le nostre frecce. Quando si è accorta di essere attaccata, ha cercato di evocare i fulmini, ma quelli non hanno risposto.”  Spiegò la cacciatrice, abbassando il capo.

“Impossibile! Gli elementi del celo dovrebbero ubbidirle.” Protestò Leo, perplesso.

“Eppure è proprio quello che è successo. Non sappiamo come sia possibile, ma ci siamo ritrovate davvero in una situazione impossibile.” Ribadì Phoebe.

“Ci sono molte cose che non si spiegano.” Fece notare, Annabeth, accigliata.

“Non ha importanza. Chirone, lei ci ha promesso aiuto e anche una spiegazione. Mi dice la verità?”

Una spiegazione? Non vorrà consegnare Bianca!? Alzai gli occhi sul centauro, come per cercare conferma e, come per riflesso, lui incontra il mio. Ci fissiamo un lungo istante. Lo prego di non dire nulla, di dare a lei e a me, una possibilità. Abbassa lo sguardo, dispiaciuto. Odio quando mi mostrano quella pietà. Io non sono debole, ma se mi dessero ascolto, ogni tanto, non farebbe male.

“In effetti… c’è una cosa che posso dirvi.” Iniziò, cautamente. “Una settimana fa, abbiamo accolto, tra noi, una mezzosangue. La mezzosangue in questione… ecco…”

Si fermò a fissarmi, mentre io serravo i pugni per la rabbia.

“Lei è molto simile a Bianca di Angelo, la ragazza che è morta, insieme a Zoe, nella missione contro Atlante. Lei dice di non ricordare niente… ma alla luce di quanto affermate.”

“Non è stata lei!” Sbottai, d’impulso, attirandomi tutti gli sguardi su di me.

“Non lo puoi sapere!” Ribatté la cacciatrice. “Sei anche imparziale, figlio di Ade.”

“Nico, sii ragionevole.” Mi consiglio Chirone, avvicinandosi a me. “Capisco il tuo dolore e i tuoi dubbi, in questo momento, ma nessuno di noi può sapere chi sia davvero quella ragazza. Non ci sono prove che sia davvero tua sorella.”

“Non lo può sapere!” Urlai.

“Chirone, Nico ha ragione.” Ci bloccò Percy, all’improvviso, separandoci. Il tocco della sua mano contro la mia spalla mi fece rabbrividire. “Se davvero fosse Bianca, senza ricordi? Non abbiamo delle vere prove per accusarla di nulla.”
Mi sentii un po’ meglio. Succedeva sempre, da quando gli avevo detto la verità. Nonostante tutto mi sosteneva ancora e mi dava ragione. Alla fine eravamo riusciti a trovare una sorta di rapporto intermedio.

“Ragazzi, ascoltate, il campo mezzosangue non può permettersi di entrare in conflitto con le Cacciatrici. Artemide tende ad essere molto vendicativa e non sarà felice di aver perso la sua luogotenente… se la ragazza è coinvolta, non possiamo escluderlo.” Disse il centauro, battendo nervosamente gli zoccoli sul pavimento di legno.

“C’è un modo per accontentare tutti.” Ci informò Phoebe, avvicinandosi a noi. “Se la ragazza è davvero Bianca di Angelo e non è una traditrice, allora potrà riunirsi a noi.”

“COSA!?” Esclamai, esterrefatto. Questo non l’avrei accettato.

Jack mi venne in aiuto: “Mi pare che lei sia… morta. Una volta che si muore, ogni giuramento fatto in vita viene sciolto, anche quelli con gli Dei. Queste sono regole antiche.”

“Forse… ma se lei non è colpevole, non ha nulla da temere, a tornare con noi. Invece sarebbe se una Cacciatrice risorta non facesse la stessa cosa. Potrebbe apparire… sospetto.”Disse, facendo intuire tutti i significati insiti delle sue parole.

Strinsi i denti, quasi fino a spaccarmeli, ma ebbi abbastanza autocontrollo da non esplodere. “Molto bene. Ma sarà una sua scelta.” Precisai, a malavoglia.  

“Allora convocatela.” Ordinò Chirone, voltandosi verso Jason.

Il figlio di Giove, ancora scosso per la notizia, si diresse verso la porta. Mentre camminava io mi sentii improvvisamente male. Non volevo provare di nuovo, quello che era accaduto anni fa. Atlante, cacciatrici, mia sorella. Doveva essere un incubo, per forza. Sembrava di rivivere quei momenti. Strinsi forte il bordo del tavolo da ping-pong, sapendo che tutti mi guardavano con pietà.
Avrei tanto voluto che non lo facessero. Non avevo bisogno della loro pietà. Se davvero volevano aiutarmi, allora avrebbero dovuto appoggiarmi.

“Nico, posso parlarti?” Chiese una voce accanto a me.

Alzai lo sguardo e incontrai gli occhi verdi di Percy. Il mio cuore accelerò e sentii la rabbia scemare un po’. Annuii e ci appartammo in un angolo.

“Ascolta, Nico, io sono dalla tua parte. Sono certo che lei sia Bianca. Farò di tutto affinché non ti abbandoni. Non la costringerò, ma, per quanto sia in mio potere, farò di tutto per non separarvi di nuovo.” Mi assicurò, dandomi una pacca sulla spalla.

“Grazie.” Risposi, semplicemente, abbassando lo sguardo commosso.
Sapevo che si sentiva anche lui, in colpa per mia sorella. Dopotutto lui era presente, quando lei era morta, ma fui comunque felice di sapere che lui era dalla mia parte.

“Non dirlo nemmeno. Direi che è il minimo, dopo tutto quello che ti ho fatto.” Disse il figlio di Poseidone, con un sorriso sghembo.

“Certo.” Affermai, per poi bloccarlo con la mano che mi tremava. “Percy… posso abbracciarti?” Chiesi, notando che nessuno, a parte Annabeth, ci guardava.

Lui sembrò un attimo sorpreso, ma poi si chinò un attimo stringendomi in un caldo abbraccio. Per pochi secondi ispirai il suo odore di salsedine, lasciando che mi sciogliessi. Per poco, per il tempo do quell’abbraccio, ogni mia preoccupazione sparì. Ad altri saremmo apparsi due fratelli, ma era qualcosa di più profondo. Da quando gli avevo confessato i suoi sentimenti, Percy mi era stato vicino. Aveva detto che non ricambiava, ma che non voleva farmi soffrire, così, insieme ad Annabeth, mi aveva quasi adottato, diventando una sorta di fratello maggiore. Gli confessavo segreti e paure, sapendo che sarebbero stati al sicuro ed in quei momenti era come se fossimo solo noi due. Sapevo che stava con Annabeth, ma, in quei momenti, era come se lui fosse mio.

Poi, però, lui si staccò ed i problemi tornarono, perché, nello stesso istante, Jason aprì la porta, spingendo Bianca all’interno. Io e Percy tornammo al nostro posto.

“Che volete?” Chiese ansiosa. Sarò stato imparziale, ma il tono era troppo convincente per essere finto.

Chirone si mosse un po’ sul posto e disse: “Bianca, so che sembra strano, ma le Cacciatrici vorrebbero che tu ti unissi nuovamente a loro. Sono successe delle cose che… diciamo che avrebbero bisogno che tu ritornassi con loro.”

“Me lo state… ordinando?” Chiese inarcando le sopracciglia, dubbiosa.

“Non è un ordine… è solo una richiesta.” Specificò Percy, fissando il centauro, facendogli capire che mentire non era giusto.

Bianca abbassò lo sguardo, incrociando le braccia, facendomi ricordare come lei, spesso, in passato, rifletteva nella stessa posizione. Alzò gli occhi su di me, facendomi rabbrividire. Tremai al solo pensiero di perderla, poi la vidi guardare Jack. Il figlio di Borea stava fissando la rete da ping-pong, accigliato. Mi parve di vederlo saettare le pupille verso di lei, per poi tornare come prima.

“Mi spiace.” Disse, alla fine Bianca. “Ma non posso accettare. Preferisco rimanere al Campo Mezzosangue.”

Tirai un sospiro di sollievo. Forse ero stato egoista, ma fui felice di sentire quelle parole. Non avevo perso mia sorella. Forse non era tutto uguale a prima. Magari non sarebbe morta di nuovo.

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo Autore]

Sono Tornato, felici!? NOOOOOOOO! *Prendono i forconi*
Certo, certo, sono in ritardo, ma cavolo, gente, io ho anche io devo finire i corsi. Mi hanno un attimo devastato e ho dovuto anche finire alcuni esami. Cavolo, che fatica, ma finalmente, ecco il capitolo.
Questo capitolo è MOOOOOOOOOOOOOOOOOOLTO importante. Da qui le cose andranno sempre peggio. :3
Preparatevi a vedere una Bianca sempre più reattiva e combattiva, mentre i nostri altri eroi, incredibilmente, diventeranno sempre più al ‘negativo’.
Ad ogni modo, spero che la storia continui a piacermi.
Ringrazio
Silvia_Fangirl, sei grande, grazie per le recensioni, spero che la storia continui a piacerti.
J
_Littles_ Sìììììììììììììììì *^* adoro il tuo modo di recensire, spero che questo capitolo ti piaccia ancora di più
J
A presto, gente, mi raccomando, recensite.
AxXx

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Bianca - Mio fratello parte per una Missione Suicida ***


Bianca – Mio fratello parte per una Missione Suicida.

 

 

 

 

 

 

Dopo la riunione mi ritrovai a cena, al tavolo di Ade, insieme a Nico che, non sapevo se dire, essere tranquillo o no. Di sicuro era più rilassato, lo notavo dal fatto che teneva le spalle più morbide, come se gli avessero tolto un peso. Una parte della mia mente intuiva che fosse felice del fatto che io non mi fossi unita alla Cacciatrici, ma, allo stesso tempo, lanciava occhiate nervose al Tavolo di Artemide. Di solito vuoto, ma, in quel momento, occupato da Phoebe e le sue compagne, che mi guardavano, quasi tutte con astio. Mi sentii un po’ a disagio, così mi concentrai su altro. Poco lontano Jason e Piper erano seduti allo stesso tavolo, proprio come Percy e Annabeth. Di regola non avrebbero dovuto farlo, ma Chirone aveva dato una sorta di permesso speciale per quei quattro a rimanere insieme, anche perché tenerli separati si era rivelata, per tutti, un impresa impossibile.

Quella sera, però, l’atmosfera era molto pesante, ed io sapevo perché: il problema ero io. Tutti mi guardavano male e intuivo che nessuno credesse alla mia innocenza. Talia, a quel che avevo capito, era una persona importane per i ragazzi del Campo Mezzosangue. Saperla in pericolo aveva messo in allarme non pochi di loro. Erano in pochi ad ignorare il fatto che c’entrassi io o che, per lo meno, non mi lanciassero sguardi assassini. Iniziavo a credere che fosse un abitudine dei semidei, guardarmi male. Sospirai e guardai il mio piatto, sentendolo inutile, dato che il mio stomaco era tappato.

“Dovresti mangiare qualcosa.” Mi fece notare Nico, osservandomi attentamente.

Strinsi le spalle, indifferente: “Non ho fame.” Spiegai.

“Capisco, nemmeno io.” Sbuffò. “Tra poco c’è la Caccia alla Bandiera, siamo con i figli di Ares, Ermes e Percy.”

Annuii poco convinta. Capivo il suo tentativo di farmi cambiare discorso, ma ero ancora concentrata sul tentativo di Phoebe di riportarmi tra le cacciatrici. Intuii che si trattava di una proposta mossa, non da una reale voglia di avermi tra loro, ma per un tentativo di avermi vicina per tenermi d’occhio. Sospettavano di me e volevano avermi sotto gli occhi, in modo da potermi controllare.

La cena continuò in modo abbastanza silenzioso, a parte per i figli di Ermes che se la ridevano e scherzavano tutti insieme, al loro tavolo. Alla fine tutti iniziarono a radunarsi all’armeria, così li seguii a ruota, insieme a Nico. In quel momento, però, Chirone si avvicinò a noi e lo prese da parte, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Mio fratello annuì e, sorprendentemente, si avviò verso la Casa Grande, insieme al centauro.  Mi sentii stranamente in ansia.
Guardai i figli di Ares che si mettevano i pettorale e l’equipaggiamento da battaglia.

“Dovresti indossarlo anche tu.” Mi fece notare Percy, dandomi la protezione.

La soppesai con aria critica, mentre continuavo a guardare la Casa Grande- “Senti, Percy… posso chiederti un favore?” Chiesi, ridandogli l’armatura.

“Cosa?”

“Puoi coprirmi? Sono in ansia per Nico.” Dissi, abbassando la voce, per assicurandomi che nessuno ci sentisse.

Per un attimo temetti che lui mi fermasse, ma poi mi sorrise in modo affascinante. “Certo, vai pure. Non farti scoprire.” Mi raccomandò. Dovevo ammettere che non mi sorprendeva che Annabeth fosse innamorata di lui. Era un ragazzo fantastico.

Corsi veloce verso la Casa Grande stando attenta a non farmi vedere da nessuno. Non volevo che pensassero che stessi facendo qualcosa di male, soprattutto, non dopo l’affare di Talia. Con molta cautela aprii la porta sul retro, dell’edificio , superai la sala relax e mi appostai dietro la porta che dava sulla Sala Riunioni, dove mi chinai ad origliare.

“… ma non possiamo lasciare che le cacciatrici si mettano contro di noi. Non puoi negare che sia sospetta.” Questo doveva essere Chirone. Stava certamente parlando di me.

“Chirone, ti prego! Non è stata lei, gliel’assicuro!” Questo, invece, era Nico.

“L’hanno vista, Nico. Non abbiamo prove contrarie. Ufficialmente, lei è colpevole.”

“E le altre cacciatrici?” Chiese mio fratello. “Non possono ignorarle.”

“Ma loro hanno riconosciuto solo lei!” Replicò il centauro. “è accaduto prima che lei apparisse, quindi potrebbe essere la colpevole. Magari sta fingendo. Non possiamo essere sicuri di nulla.”

“D’accordo.” Sbuffò Nico. “Mi lasci andare a cercare Talia… posso farlo, se la riporto indietro, lei potrebbe sapere la verità.” Sentii improvvisamente, la gola secca. Non poteva,davvero, rischiare così tanto. Non per me.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Chirone disse, con voce un po’ troppo bassa: “D’accordo, Nico. Vai pure, ma sappi che le risposte potrebbero non piacerti.”

Mentre i due uscivano, io ne approfittai per sgattaiolare via. La battaglia era già iniziata, ma non mi interessava più. Corsi veloce verso la Casa tredici, conscia del fatto che Nico sarebbe andato lì per prepararsi per il viaggio ed io dovevo parlargli. Infatti lo trovai vicino al letto, con uno zaino che veniva riempito.

“Bianca, che ci fai qui?” Chiese, sentendomi aprire la porta. “Non dovresti essere a Caccia alla Bandiera?”

“Nico, so cos’hai in mente.” Cominciai, avvicinandomi a lui, per beccarmi un’occhiataccia.

“Hai spiato!”

“Ma non devi!” Continuai, ignorandolo. “Non sono così importante, non sappiamo nemmeno se sono davvero tua sorella. È troppo pericoloso, per te!”

 

Lui si accigliò. “Non sono un bambino, sono un figlio di Ade, so badare a me stesso!” Ribadì fermamente, con voce che aveva assunto una nota leggermente minacciosa.

“Ma non devi! Senti: lei era figlia di Zeus ed è stata sopraffatta. Se a te succedesse lo stesso? Non voglio che ti succeda qualcosa.” Dissi, appoggiandogli una mano sulla spalla.

“E a te che importa!?” Sbottò, improvvisamente furioso. I suoi occhi sembrarono accendersi di una rabbia improvvisa. “Non sono come te, io! Tu mi hai abbandonato! Credi di poter tornare e cambiare le cose!? Bene, ti informo che sono cresciuto, mentre tu non c’eri e non mi importa nulla di quello che pensi! Ho vissuto da solo per anni! Se davvero mi volevi bene, non te ne saresti andata!”

Indietreggiai, sentendomi ferita nell’anima. Non avevo la forza di ribattere. Nemmeno la voglia di farlo. Sentivo il cuore pesarmi come un macigno nel petto, mentre tutta la rabbia di quelle parole mi investivano. Ogni sillaba una freccia incandescente piantata nel torace. Gli occhi iniziarono a pizzicare, ma mi sforzai di non mostrare lacrime, nascondendo il viso tra le mani.
Nico sembrò riprendersi all’improvviso, rendendosi conto di quello che aveva detto. Si avvicinò, ma non troppo, rendendosi conto che, non poteva rimangiarsi tutto. Anche perché era la verità.

“Bianca, senti…” Iniziò, deglutendo. La voce leggermente roca. “Io… non volevo dire questo… cioè, non volevo dirtelo così, davvero. Scusa se mi sono arrabbiato.”

Mi gettai sul letto, singhiozzando. Mi sentivo una stupida ragazzina lagnona, ma non potevo farci nulla. Ero disperata, mi sentivo sporca. Sapevo che lui aveva ragione, ma ero stanca di non ricordare nulla. Se solo avessi potuto avere un motivo, per cui scusarmi, forse, lui l’avrebbe accettato. Gli avrei messo il cuore in pace. Invece ero uno stupido pupazzo di carne senza ricordi su cui scaricare rabbia e frustrazione.

“So cosa volevi dirmi.” Risposi con voce strozzata. “Lo so, ti ho abbandonato, e hai ragione ad essere  arrabbiato. Per questo ti chiedo di non andare. Non devi fare nulla, per me. Non mi devi nulla.”

Sentivo il suo sguardo su di me, ma non volevo incontrarlo. Se avessi potuto, avrei voluto sparire dalla faccia della terra. Forse avrei fatto un favore a tutti, rimanendo morta. E non ricordavo nemmeno quello. Possibile che avessi rapito, prima una ragazza e poi perso la memoria e venuta qui? Non potevo escludere che fosse successo.

“Senti, Bianca. Io… scusa. Sono certo che avevi le tue ragioni. Siamo fratelli. Voglio scoprire la verità… se vado a cercare delle risposte, forse scoprirò anche la verità su di te.” Spiegò con un tono stranamente docile.

Annuii a malavoglia. “Allora vai pure, ma stai attento, per favore.” Gli raccomandai, sospirando. Mi ero calmata, finalmente. Solo che avevo una brutta sensazione su quel viaggio. Sperai non dovesse essere qualcosa di terribile.

“Lo prometto… quando tornerò risolveremo anche il tuo problema.” Assicurò, posandomi una mano sulla schiena, facendomi correre un brivido.

Dopodiché prese il suo zaino e la sua spada, uscendo dalla porta con passo lento, mentre io stringevo il cuscino, rosa dai sensi di colpa. Sospirai, contro il cuscino che tenevo stretto, mentre lacrime amare scorrevano sulle mie guance. Ero triste per tutto, soprattutto per me stessa. Ero così meschina? Non sapevo darmi risposta. Mi sentivo smarrita, in balia di un mondo che non capivo. Ci volle molto tempo, ma alla fine, non so come, ma riuscii ad addormentarmi.

Mi svegliai con il Sole che mi friggeva gli occhi dalle finestre che non avevo chiuso. Sbuffai, mugugnando qualcosa che non capii nemmeno io, mentre mi rigiravo nel letto, ancora distrutta per il giorno prima. Avrei voluto dormire, così, magari, non avrei dovuto affrontare tutti i problemi che mi aspettavano. Poi, però, mi dissi che non potevo scappare di nuovo. Così, con un enorme sforzo di volontà, alzai la testa e mi misi seduta. Mi sistemai alla bell’e meglio, prima di uscire e andarmene. Probabilmente mi ero persa la colazione.

Ovviamente il giorno passò peggio del precedente. Le cacciatrici continuavano a lanciarmi occhiatacce, mentre tutti gli altri mi evitavano. Solo all’ora della lezione di scherma riuscii a parlare civilmente con qualcuno.  

“Chirone mi ha detto che Nico è partito, ieri serra. Sai dov’è andato?” Chiese Percy, mentre ci riposavamo sugli spalti dell’arena.

Annuii, sentendomi sempre più abbattuta. “Sta andando a cercare Talia per capire se ci sono davvero io, dietro.” Risposi, facendo oscillare la spada. Ultimamente ci stavo davvero prendendo la mano, anche se ero ancora una principiante.

“Oh… lo immaginavo.” Disse il figlio di Poseidone, corrugando la fronte. “Ero certo che ci avrebbe provato. Lui ci tiene molto a te.”

“Non credo.” Ribattei, sospirando tristemente.

“Perché?”

All’inizio, non me la sentii, poi pensai che, comunque, Percy sembrava essere il miglior amico di Nico. Magari poteva capire la situazione meglio di me. Così presi un respiro profondo ed iniziai a raccontargli tutto, anche del litigio improvviso, che era scoppiato quella sera. Gli dissi tutto, anche delle mie paure e timori. Alla fine lui aveva un aria concentrata e anche un po’ malinconica, forse?

“Nico ne ha passate tante.”  Disse, alla fine. “Credo si senta confuso. Vuole essere sicuro che tu sia tu, proprio ora che tu sei tornata.”

“Lo so, solo… mi sento in colpa.” Sussurrai, sentendo, di nuovo, le lacrime pizzicarmi gli occhi. “Non so nemmeno chi sono, e le uniche persone a cui mi sento vicina mi odiano.”

“Questo non è vero.”
Alzai gli occhi, asciugandomi le lacrime, mentre Percy mi regalava un sorriso amichevole.
“Lui ti vuole bene. È solo confuso. Ha paura di perderti.” Spiegò, dandomi una pacca sulla spalla.

“Grazie, Percy. Solo che vorrei davvero ricordare qualcosa. Poi questa storia di Talia Grace… se fossi stata davvero io? Se poi mi avessero cancellato la memoria?” Chiesi, improvvisamente allarmata. Non era da escludere che io avessi volontariamente abbandonato Nico per collaborare con la strana voce che nei sogni mi sussurrava parole inquietanti dal cielo nero su cui dominava.

“Io non ci credo. Senti, prima non ti sarai comportata benissimo, ma volevi bene a Nico ed eri una brava persona. Una volta mi dissi che avevi lasciato Nico al campo proprio perché c’erano persone come me. Mi dispiace non aver mantenuto quella promessa. Ma sono certo che tu volessi bene a tuo fratello.”

“Ma non so nemmeno sequella sono io.” Gli ricordai.

“Secondo me lo sei, insomma, sei uguale.” Ribatté il ragazzo, osservandomi.

Accidenti, per lui sembrava tutto semplice e, sinceramente, quella sua dote di vedere sempre il meglio di tutto, mi piaceva. Sembrava volermi dire: non serve a nulla farsi dei problemi che non puoi risolvere. Fai quello che puoi. Voleva che fosse lui quello con i problemi e liberare gli altri dai loro. Però, per me, era troppo personale. Volevo scoprire cosa nascondesse il mio passato.

“Grazie, Percy. Sei un amico. Se devo dire, sono felice di sapere che ci siamo conosciuti e sei stato mio amico.” Risposi, con un sorriso, forse un po’ tirato, ma sincero.

Ci allenammo ancora un po’, poi decisi di fare un giro nella foresta, per poter respirare un po’ d’aria fresca. Ero stanca di trovarmi sempre sotto gli occhi di qualcuno che mi guardava male. Vicino al campo di fragole vidi Leo che aiutava Calipso a curare le piante e i fiori, mentre si scambiavano sguardi complici e occhiatine che, intuivo, fossero molto romantiche. Poco lontano Jason e Piper erano stretti l’uno all’altra in riva al mare. Ultimamente stavo spiando un po’ troppe coppiette, cosa che trovai preoccupante. Mi misi a camminare tra gli alberi.

C’era un venticello fresco che spirava da nord rendeva la giornata estiva più sopportabile, portando, di tanto in tanto, qualche nuvola dalla forma strana che copriva il sole, dando un po’ di sollievo dalla calura. Ad un certo punto vidi, seduto sotto un albero, un ragazzo. Inizialmente non lo riconobbi, dato che teneva davanti al viso, un grosso blocco da disegno. Era Jack. Le ali erano rilassate e piegate dietro la schiena. Stringeva una matita da disegno facendo quello che, per quel che potevo capire, era lo schizzi di un disegno più complesso. Ogni tanto si fermava, fissava il suo lavoro e tornava a disegnare, migliorando il lavoro iniziale. Era talmente preso che non si era accorto di me.

“Ciao, Jack!” Lo salutai, chiamandolo. “Cosa disegni?”

Lui sembrò sorpreso di vedermi lì, infatti sobbalzò di colpo e mi fissò come se fossi un fantasma. “Ciao, Bianca. Scusa… non ti aspettavo.” Disse con voce stranamente tremula.

“Non sapevo disegnassi.” Dissi, sedendomi accanto a luim, mentre rimetteva a posto il blocco da disegno.

“Infatti non lo sono. Non sono nulla di speciale, solo che mi piace disegnare.” Si schermì, arrossendo un po’. “A te invece? Che cosa ti piace?”

“Magari lo sapessi.” Sospirai mestamente, mentre fissavo il cielo. “Non ricordo nulla, di ciò che mi piace.”

“Ognuno ama fare qualcosa.” Replicò il figlio di Borea, rigirandosi la matita tra le dita. “Io adoro disegnare, anche se molti dicono che è una cosa da figli di Apollo. Anche tu ricorderai cosa ti piace fare.”

“Lo spero.”

Per alcuni istanti un imbarazzante silenzio dominò nella piccola valle in cui stavamo. Per qualche ragione mi chiesi come sarebbe stato toccare i ricci capelli di Jack. Sembrava stranamente attraente tanto che dovetti darmi una botta in testa per ricordarmi di non fare stupidaggini. Cola dei dannati ormoni di una stupida da poco resuscitata. Sì, doveva essere sicuramente quello, il motivo.

“Mio fratello è partito.” Dissi, così, a caso, pur di rompere quel maledetto silenzio.

“Oh, capisco. Immagino.. che sia per scoprire cosa ti sia successo.” Ipotizzò Jack, fissando il cielo. Per un attimo il vento si fece leggermente più fresco e intenso, ma non fastidioso.

“Anche.” Risposi elusiva. Non avevo voglia di riraccontare tutto. “Sono preoccupata per lui.”

“Non mi sorprende.” Ammise. “Solo che lui è uno dei Semidei migliori che io conosca.”

“Me lo dicono tutti.”

“Proprio per questo non sarei così in ansia, Probabilmente in questo momento, è più preoccupato lui per te. Qualsiasi cosa stia facendo, spero che la faccia in fretta, così ti potrà tornare la memoria.”

“Lo spero anche io.” Conclusi, lasciandomi i jeans che si erano riempiti di foglie e fili d’erba. “Io torno al campo, tu che fai?”

“Io rimango un po’ da solo.” Rispose il figlio di Borea. “Ma tornerò presto alla mia casa, ho un paio di cose da fare.”

“Rimani ad ascoltare il vento?” Chiesi, rimettendomi in piedi. Stare con lui mi tranquillizzava ed era un tipo piacevole. “Potresti chiedergli se ha notizie di mio fratello?”

“Non lo so, i venti sono strani, ma se mi dovessero dire qualcosa, ti farò un fischio, contaci.” Mi assicurò, annuendo. Sembrava stranamente serio.

Ci salutammo poco dopo, mentre chiacchieravamo del più e del meno, lui diretto alla Casa di Borea, il alla mia, che, improvvisamente, sentivo troppo grande per essere solo mia. Osservai il letto di Nico, sentendomi colta da una punta di nostalgia. Non volevo pensarci. Ci eravamo salutati in malo modo. Se solo avessi moderato le parole, forse non sarebbe partito. O almeno si sarebbero salutati in modo normale. Invece si erano messi ad urlare, come due idioti. Sospirai, mettendomi a cercare qualcosa da fare. Decisi di dare una pulita, giusto per non perdere tempo.
Iniziai a spolverare, togliere sporcizia dagli angoli, rendendomi, per la prima volta conto, che non si era mai davvero sforzato di pulire. Si era limitato a spostare lo sporco negli angoli. Mentre toglievo la polvere da uno scaffale notai che, su di esso, erano posti, in modo ordinato, degli strani soldatini in miniatura con, accanto, un mazzo di carte.

“Cosa sono?” Mi chiesi, da sola, afferrandole.

“Mitomagia.” Lessi, mentre sfogliavo le immagini degli Dei, che combattevano. Strano che esistesse un gioco del genere, proprio con gli Dei dell’Olimpo esistenti. Mi venne da ridere al solo pensiero.
Stavo per rimettere tutto a posto, quando vidi una strana miniatura che mi sembrava vagamente familiare: Ade, c’era scritto sul piedistallo. Nostro padre? La afferrai e mi chiesi perché mi sembrava di averla già vista.

 

 

“Che hai preso!?” Urlò la voce di Percy.
“Non ho preso nulla!” Ribattei, sentendomi mortalmente colpevole. Insomma, cosa poteva fare una miniatura buttata via?
“Hai preso l’arco? Te lo sei tenuto? Ricordi cos’ha detto Zoe? Prendere qualcosa da qui è pericoloso!”
“No io…” Mentre le lacrime iniziavano a scorrere mostrai ciò che tenevo in mano. Una miniatura, con so scritto ‘Ade’ “Manca solo questa, a Nico…. È solo una miniatura!”

 

 

 Sobbalzai, riaprendo gli occhi, mentre quelle immagini, riaffioravano nella mia mente, facendomi venire l’angoscia. Che fossero miei ricordi? Non ne ero certa, ma avevo riconosciuto la voce di Percy e quella statuina. La misi al suo posto, con attenzione, mentre cercavo di ragionare su ciò che era successo. Forse la mia memoria stava tornando. Non sapevo se essere spaventata o no. Decisi di rimandare qualsiasi riflessione ad un momento meno pressante.

Quella sera, mentre ero a cena, cercai di non pensare al fatto di essere sola, a quel tavolo, ripetendomi che Nico sarebbe tornato presto. Mio fratello aveva affrontato la Crono e Gea. Cosa ci poteva essere di peggio? Ormai era un esperto, sicuramente avrebbe saputo gestire qualsiasi cosa gli si parasse davanti. Forse le mie preoccupazioni erano infondate. Cercai di convincermi di questo, mentre il sole calava, illudendomi che tutto andasse bene, quando era palese, che mi sbagliavo di grosso. Il peggio doveva ancora arrivare.

 

 

 

 

 

 

 

 

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[Angolo Autore]

Salve, gente, cosa vi aspettavate? Che vi foste liberati di me? Davvero?
Invece no!, AxXx è tornato per rompervi le scatole, ancora, con questa bruttissima storia. Allora, che ve ne pare?
Spero che vi stia piacendo e che vi facciate tanti filmini mentali per quello che è successo. D’altra parte, Nico vuole bene alla sorella, però, notare che è  anche arrabbiato (e noi sappiamo perché) indovinate cosa succederà?
Sì, ho piani malvagissimi. *Sorriso malvagio*
Ad ogni modo, ringrazio:

Silvia_Fangirl, con cui mi scuso per aver fatto così tardi.
_Littles_ , che ringrazio sempre tantissimo.
J
_Heartland_ Spero che continuerà a recensire.
J

 

 

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