Vita quotidiana sull'Arcadia

di mamie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi ha finito l'acqua calda? ***
Capitolo 2: *** Giorno di bucato ***
Capitolo 3: *** Caffè ristretto ***
Capitolo 4: *** Tutto pelle e ossa ***
Capitolo 5: *** Che giornataccia! ***
Capitolo 6: *** Confessioni ***
Capitolo 7: *** Famiglia ***
Capitolo 8: *** Questioni di sartoria ***
Capitolo 9: *** Se son rose, fioriranno ***
Capitolo 10: *** Prendete il numero! ***
Capitolo 11: *** L'arte del ricevere ***
Capitolo 12: *** La lista della spesa ***
Capitolo 13: *** Ammutinamento! ***
Capitolo 14: *** Nero è il suo mantello... ***



Capitolo 1
*** Chi ha finito l'acqua calda? ***


VITA QUOTIDIANA SULL’ARCADIA
 
 
1. Chi ha finito l’acqua calda?
(dedicato ad Harlocked, che mi ha fatto balenare la tremenda visione di Yattaran ballonzolante nella doccia a zero g!).
 
Sì, era divertente. Yuki non lo diceva a nessuno, ma si divertiva davvero a fare piroette nella doccia zero g. dell’Arcadia. Era come nuotare tra le bolle di sapone, doveva solo stare attenta a che non le finissero negli occhi perché facevano un male cane quando scoppiavano. Naturalmente la doccia zero g. era ottima per rilassarsi, ma non serviva a lavarsi davvero, per quello dovevi prima fare una canonica doccia con i piedi per terra e l’acqua che scorreva verso il basso. L’acqua calda era sempre stata un lusso per Kei, e un lusso rimaneva anche ora che il motore a dark matter faceva andare impeccabilmente anche l’impianto idraulico. Solo ogni tanto, specialmente quando tornavano sporchi, sudati e ammaccati da un arrembaggio e si buttavano nelle docce tutti insieme, anche la leggendaria efficienza della nave pirata più temibile dello spazio poteva venire meno. Allora, inevitabilmente, risuonava il grido angoscioso di qualche individuo truce e mezzo insaponato.
Porca puttana! Chi cazzo ha finito l’acqua calda?!?!!!

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Capitolo 2
*** Giorno di bucato ***


 2. Giorno di bucato
(dedicato a Makochan, che per prima ha narrato le disavventure di Yama col bucato!).
 
Yama se ne stava pensieroso davanti al grande oblò scintillante circondato da lucine intermittenti. Kei era stata chiara: sull’Arcadia ciascuno si arrangiava a farsi il bucato. C’era un’intera stanza dedicata a lavatrici di portata industriale. Il problema era che potevi programmarle in almeno trentadue modi diversi e fino a quel momento Yama non aveva mai azzeccato quello giusto.
Dunque… questo è per la biancheria, questo per il sintetico, poi c’è l’extra risciacquo, senza centrifuga, centrifuga dolce, doppia centrifuga, asciugatura media, asciugatura forte, lana, cotone, seta, lavaggio a mano, a freddo, a 30-40-60-90 gradi, ammorbidente, bianchi, colorati, in ammollo, senza ammollo, doppio ammollo…
Si voltò quando vide entrare Yattaran con un enorme sacco, che lo faceva sembrare un Babbo Natale di pessimo umore. Il pirata si limitò ad aprire un oblò, cacciare dentro tutto alla rinfusa, sacco compreso, scegliere il programma extra strong e sedersi a bere una birra con un sorriso soddisfatto. Mezz’ora dopo se ne tornava indietro con un identico enorme sacco di vestiti stinti ed orrendamente stazzonati, ma puliti.
Yama concluse che su una nave pirata non era poi fondamentale saper usare l’ammorbidente.

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Capitolo 3
*** Caffè ristretto ***


3. Caffè ristretto
(dedicato a Dea Bastet, che dorme poco come me...)
 
A volte avevi bisogno di qualcosa di caldo. Certo, l’Arcadia era perfettamente climatizzata, ma c’erano dei momenti, specialmente dopo quelle uscite nello spazio che ti lasciavano chissà perché sempre un certo gelo nelle ossa, in cui ci voleva una tazza fumante di qualcosa per tirarsi un po’ su. Un bel caffè ristretto, caldissimo e magari corretto con il classico goccetto di rum… proprio un toccasana!
I casi erano due: o andavi in cucina a chiedere un caffè alla signora Masu, e allora ti sorbivi mezz’ora di lamentele su quanta fatica facesse a far da mangiare per un branco di fannulloni loro pari; o andavi nel reparto macchinette automatiche. Nel secondo caso, prima di procedere all’operazione, era buona norma raccomandarsi a qualsivoglia divinità protettrice potesse esserci nell’universo perché di solito succedeva una delle seguenti cose: o non avevi le monetine contate (e no, la macchina non dava il resto naturalmente) o, se invece le avevi, una volta su due se le mangiava (infatti le macchinette erano costellate di ammaccature dovute ai calci di coloro che cercavano di fargliele sputare). Nel caso fosse andata bene e la macchinetta avesse elargito un anonimo bicchiere di plastica con qualcosa di scuro dentro, scoprivi presto che il liquido contenuto era sì caldo, ustionante per la precisione, ma che del caffè poteva essere solo un lontanissimo parente.
Naturalmente queste cose al Capitano non succedevano mai. Come facesse a presentarsi a volte in plancia con in mano un’elegante tazza di vetro che mostrava un liquido dal colore perfetto e mandava un paradisiaco profumo nessuno lo sapeva. Yuki sospettava che a lui il caffè lo facesse Meeme, ma naturalmente non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo!

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Capitolo 4
*** Tutto pelle e ossa ***


 4. Tutto pelle e ossa
 
La signora Masu sale sullo sgabello traballante e comincia a sporzionare il riso per la cena. Certo, chi ha costruito la cucina dell’Arcadia cosa pensava, che magari avrebbe cucinato Harlock in persona? Sta di fatto che i lavelli e i piani di cottura sembrano tutti fatti per le misure del Capitano anziché per le sue. Pazienza.
Sul vassoio c’è una ciotola di riso fumante, Masu san pesca qualche pezzetto di tenpura e ce lo mette sopra. Una porzione scarsa.
La signora Masu sospira. Quel benedetto figliolo non mangia quasi niente. Le prime volte i suoi piatti tornavano indietro appena piluccati e lei ci rimaneva male. Poi ha imparato a fare le porzioni più piccole. Almeno la soddisfazione di veder tornare le ciotole vuote.
Per non parlare di Meeme. Brava ragazza, per carità, ma lei beve solo alcool. A volte la signora Masu la sospetta di avere una nefasta influenza sull’appetito del Capitano, già scarso di suo.
E poi lui non ha proprio un briciolo di curiosità. Chiede sempre le stesse cose. La signora Masu ci ha provato a mettere un po’ di fantasia nei suoi piatti, è che… be’, meglio non rivangare il passato.
Mette tutto quello che serve in un vassoio e si affretta verso la cabina prima che arrivi il resto della ciurma a farla ammattire. Loro di sicuro non piluccano!
Entra come al solito dopo aver bussato, avanza un po’ tentoni (quella stanza è sempre così buia!) e appoggia il vassoio sul tavolo.
‒ Grazie, Masu san – dice piano lui.
Se non altro non dimentica mai le buone maniere. Lei lo scruta un momento da sopra gli occhialini. È sempre così triste, povero ragazzo, ma per lei riesce a spendere tutte le volte un sorriso di congedo.
Masu san chiude la porta senza fare rumore e si avvia trotterellando pensierosa per il corridoio. Ancora prima di arrivare in sala mensa sente la baraonda dei pirati che sono già al loro posto ad aspettare la cena, ma rallenta impercettibilmente. Sta pensando.
Il Capitano ha proprio bisogno di qualcosa che lo tiri su. Magari un bello zabaione col marsala. La bottiglia di marsala è una riserva speciale che tiene rigorosamente nascosta al dottor Zero. E deve avere ancora in dispensa un paio di uova di fifit…

______________________________________________________________ 
NOTA: cosa potrà succedere in seguito lo lascio a danish e jose, che hanno anche il copyright delle uova di fifit! Ho voluto presentare una signora Masu un po’ più malinconica del solito, come si vede raramente (ma qualche volta sì) e la cena che serve al Capitano l’ho “rubata” da Endless Odyssey, dove pare che la ciurma sia entusiasta della sua cucina!
 

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Capitolo 5
*** Che giornataccia! ***


Che giornataccia!
 
‒ Capitano, abbiamo un’avaria all’impianto termico.
In effetti da alcune ore la temperatura sul ponte di comando dell’Arcadia si era fatta piuttosto gelida.
‒ Mettetevi le tute spaziali finché il danno non sarà riparato.
Se non fosse stato impossibile, Yattaran avrebbe giurato che il Capitano avesse sbuffato. Sicuramente aveva sentito male.
Vero che quello era solo l’ultimo di una serie di cose che quel giorno erano andate storte.
Prima le piastre della cucina non funzionavano, quindi niente caffè caldo, e alle macchinette ovviamente c’era la fila. Poi si era rotta una lavatrice. Schiuma dappertutto e un’ora per asciugare l’acqua.
All’ora di pranzo, quando finalmente l’equipaggio pregustava un pasto caldo (le piastre erano state riparate) ecco che incappano in un incrociatore della Gaia Fleet. Pur non essendo una minaccia seria, aveva dato loro un discreto filo da torcere e lasciati altri danni. La funzione di autoriparazione pareva pigra come un bradipo e l’ultima bottiglia di Bardolino di Zor sapeva di tappo.
Quando arrivò anche la signora Masu, a passo di marcia e brandendo le sue mannaie, a lamentarsi del fatto che Tori san aveva depredato l’intera scorta di aringhe della dispensa, Harlock chiamò Yama a rapporto.
‒ Yama – esordì nel suo tono più controllato.
‒ Sì, Capitano?
‒ Dov’è che hai messo quel telecomando?
 

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Capitolo 6
*** Confessioni ***


6. Confessioni
 
Al dottor Zero piaceva il sakè. Non era un mistero per nessuno. Era un mistero piuttosto come facessero a fidarsi di quell’uomo che aveva più spesso in mano la bottiglia che gli arnesi del suo mestiere. Non che avessero scelta, s’intende. Tuttavia il dottor Zero li curava tutti con uguale dedizione: infreddature spaziali o ferite da fucile-laser, aveva sempre la medicina giusta. Medicina che consisteva più che altro in una buona scorta di alcool, un po’ di antipiretici e antistaminici, qualche antibiotico e, naturalmente, parecchi metri di bende e filo per sutura. D’altra parte la ciurma dell’Arcadia era composta da pellacce dure, che non si aspettavano niente di diverso. Aveva anche un’altra, impagabile, qualità: sapeva ascoltare. Con quell’aria sempre un po’ ubriaca e il sorriso sincero, riusciva a tirarti fuori cose che nemmeno a tua madre avresti detto. Poi, anche se non pareva, era la discrezione in persona, quindi qualsiasi confessione imbarazzante sarebbe rimasta tra lui e la sua gatta. Il risultato di tutto ciò era che, nei momenti in cui fortunatamente non c’erano epidemie o combattimenti, l’infermeria era il posto dove ogni tanto passava a fare due chiacchiere chi aveva qualche tormento, qualche problema spinoso, qualsiasi cosa, insomma, che non riteneva a posto. Faceva eccezione il Capitano, che si sottoponeva alle cure del dottore quando gli servivano, ma si guardava bene dal fare confidenze. Così quando, alla fine di una giornata piuttosto noiosa, Zero vide entrare Harlock in infermeria si preoccupò subito.
‒ Capitano… si sente male?
Aveva in effetti l’aria più abbattuta del solito.
‒ No, dottore, sto bene.
Il dottor Zero aspettò che continuasse. Non continuò. Si guardò attorno.
‒ Ha bisogno di qualcosa?
‒ Ah… cercavo Meeme.
‒ Mi sembra preoccupato, Capitano, è successo qualcosa?
‒ No, no… è che… Ecco… Pensavo di trovarla qui perché…
‒ Sì?
‒ Abbiamo finito il vino.
 

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Capitolo 7
*** Famiglia ***


7. Famiglia
 
Kei non si domandava mai quale sarebbe stato il suo futuro. Per quello che la riguardava, il futuro non esisteva. Esisteva l’Arcadia, un posto da chiamare casa, esistevano i suoi amici… sì, amici. Quei pirati abituati alle bettole peggiori dell’universo che a volte la chiamavano ancora “signorina” e si facevano da parte se si incrociavano davanti ad una porta. Oh, certo, lei si era conquistata con i fatti il loro rispetto, ed era capace di rispondere per le rime a chiunque provasse a fare battute inopportune e a rimettere al suo posto con un calcio ben assestato chi avesse avuto altre idee, ma non era solo questo. Lì, su quella nave pirata dove saliva solo chi non aveva più niente da perdere, ciascuno di loro era accettato per quello che era, con le sue ferite, le sue debolezze e le sue paure. Per quanto tragica e dolorosa e colpevole fosse stata la tua vita, una volta che eri salito sull’Arcadia sapevi che nessuno ti avrebbe abbandonato. Mai più.
Che altro dovrebbe essere, in fondo, una famiglia?
 
 

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Capitolo 8
*** Questioni di sartoria ***


Nota: dedico quest'altro capitolo demenziale a Dea Bastet, che mi ha dato l'idea chiedendosi chi è che realizza i vestiti a bordo dell'Arcadia, e a Makochan, che mi ha permesso di citare la brama tutta femminile di rifare l'orlo al mantello di Harlock! Grazie ragazze :-) spero di non deludervi.
P.S. Chiedo perdono a danish, dato che la brama di Meeme di rifare l'orlo al mantello di Harlock era in origine un'idea sua *si inchina ripetutamente* e io, col cervello che mi ritrovo, non me lo ricordavo. Lungi da me l'idea di non dare a Cesare ciò che è di Cesare! In ogni caso la visione di un Harlock che scappa da quella perfettina di Meeme armata di ago e filo mi fa troppo ridere...La trovate qui Io e le donne e qui Capitan Harlock 3Demenzialità.


8. Questioni di sartoria
 
Yama era perplesso, cosa che, a dire il vero, da quando era salito a bordo dell’Arcadia gli capitava di frequente.
Aveva notato che sulla nave pirata nessuno portava una vera e propria divisa. Ciascuno si era arrangiato come aveva potuto attaccando teschietti qua e là, annodando bandane in testa e al collo, dotandosi di pesanti cinturoni di cuoio. Ci si arrangiava abbastanza anche a rammendare calzini e attaccare bottoni, dato che la signora Masu rimbrottava severamente chiunque si fosse presentato con la timida richiesta di un lavoro d’ago. I lavoretti più complicati li faceva Yattaran che aveva una discreta manualità, stranamente non alterata dall’abitudine di usare un’ascia da combattimento di due metri e pesante venti chili. Certo però l’Arcadia non poteva avere uno stilista personale che disegnasse e realizzasse divise su misura. Solamente tre erano le eccezioni: Kei, che sfoggiava con sussiego la sua tutina rosso fuoco, fatta fare chissà dove (Yama aveva il fondato sospetto che se la fosse disegnata da sola e avesse costretto qualche malcapitato sarto a realizzargliela sotto la minaccia di un fucile laser); Meeme, ma lei era un’aliena e probabilmente la stoffa eterea e fluttuante di cui era vestita (o doveva dire svestita?) aveva la stessa provenienza; e Harlock, che doveva avere un armadio pieno di giubbotti e pantaloni di pelle nera, forse comprati a qualche mercatino dell’usato planetario,  e che rifiutava ostinatamente l’offerta delle donne di bordo di ricucirgli l’orlo del mantello romanticamente sfilacciato.
Come mai allora, si chiedeva, appena arrivato sull’Arcadia, Kei aveva frugato in una specie di magazzino tirando fuori una divisa da pirata molto elegante e perfettamente della sua misura?
“Questa ti dovrebbe andare bene” aveva detto porgendogliela di mala grazia.
“Ah”, aveva mugugnato Yama perplesso: “Di chi è?”.
Era di un certo Daiba”.
“E… che fine ha fatto?” aveva chiesto di nuovo, temendo di sentire una risposta che non gli sarebbe piaciuta.
“Sai,” aveva risposto Kei col più dolce dei suoi sorrisi, “ficcava in giro un po’ troppo il naso”.
 

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Capitolo 9
*** Se son rose, fioriranno ***


9. Se son rose, fioriranno
 
Kei amava moltissimo tenere un mazzo di fiori freschi nella sua cabina. Ne amava il profumo, le combinazioni di colori, la variegata consistenza dei petali. In particolare amava le rose, forse perché le ricordavano la preziosa stagione felice della sua infanzia. Certo, erano di breve durata, e raramente poteva procurarsele, dato che l’Arcadia faceva scalo decisamente di rado, però, ogni volta che entravano in uno spazioporto, insieme alle provviste alimentari finiva per portare sull’Arcadia un mazzo di fiori di serra. Certo, erano un po’ ingessati e non avevano il profumo di quelli della sua infanzia, ma erano pur sempre fiori, vivi ed effimeri. A volte si sentiva così anche lei. Un fiore di serra. Vivo ed effimero.
Anche Meeme amava i fiori, ma la loro vista era per lei quasi dolorosa. Troppi ricordi. Troppe persone amate che non c’erano più e un pianeta morto, dove non sarebbe rifiorito mai più nulla. Però anche lei, a volte, metteva delle rose nella cabina di Harlock. Rosse. Nessuno le aveva mai spiegato il significato di un mazzo di rose rosse, per lei era una semplice questione estetica. Le rose rosse si abbinavano piacevolmente alla penombra della cabina, alla luce fioca delle candele e al colore intenso del vino. Solo una piccola premura… una delle tante. D’altra parte Harlock non aveva mai protestato. Cosa gli ricordassero quelle rose, Meeme non lo sapeva. Solo, a volte, aveva l’impercettibile sospetto che, delle rose, lui amasse soprattutto le spine.
 

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Capitolo 10
*** Prendete il numero! ***


Nota: dedico questo capitolo, scusandomi per la sua pochezza, a Serendipity e a tutte le altre ragazze che hanno fatto sciogliere il bel capitano a suon di baci appassionati.Solo per riderci un po' su ;-). Vi adoro ragazze.


10. Prendete il numero!
 
Il Capitano entrò col suo solito passo sicuro sul ponte di comando e colse immediatamente un’atmosfera diversa dal solito. I suoi uomini lo salutarono col consueto misto di deferenza e cameratismo, ma parevano, per qualche ignoto motivo, sfuggire al suo sguardo.  Esplorò con attenzione la plancia e notò immediatamente che mancava Kei, sostituita da Yama nella sua postazione, mentre Yattaran sembrava particolarmente assorto nello studio della propria strumentazione.
La domanda che stava per fare gli morì sulle labbra. Meglio accertarsi delle cose di persona. Così, senza una parola (cosa di cui non si stupì nessuno) girò sui tacchi e uscì di nuovo nel corridoio.
Fu in prossimità delle docce che si imbatté nell’insolito spettacolo di Key Yuki che camminava per il corridoio con i capelli umidi e il solo ausilio di un asciugamano decisamente insufficiente a coprirne le grazie.
‒ Oh, Capitano…
Yuki era arrossita, ma Harlock si limitò a farsi un po’ da parte con un “Buongiorno Kei” assolutamente neutro.
‒ Capitano… ‒ ripeté la ragazza barcollando leggermente.
‒ Mi scusi… mi gira un po’ la testa…
Harlock fece appena in tempo ad afferrarla prima che si facesse male cadendo sul pavimento metallico. Inutile dire che l’asciugamano, non più trattenuto dalle delicate manine, finì inesorabilmente per terra.
Tutto si poteva dire del Capitano, ma non che non avesse reazioni pronte. Sollevò la ragazza avvolgendola nel proprio mantello con un solo gesto e marciò a passo deciso fino all’infermeria dove la depose delicatamente sul lettino raccomandandola alle cure del dottore (cui era andato decisamente di traverso il sakè vedendoli entrare in quel modo).
Mentre si dirigeva di nuovo verso la plancia Harlock aveva un’espressione più truce del solito. Gli pareva di aver già vissuto quella scena, ma non ricordava bene.  Proprio davanti alla sua cabina, quasi si scontrò con Meeme che stava uscendo di corsa.
‒ Oh, Harlock, meno male che sei qui, vieni dentro un attimo!
Meeme lo trascinò praticamente dentro chiudendo poi con decisione la porta.  Harlock la guardò con aria preoccupata. Lei che era sempre così equilibrata si stava ora accendendo di una luce per nulla rassicurante.
‒ Si è rotta una corda della mia arpa! Tu sai che è un cattivo presagio. Harlock… ho paura…
Il Capitano era sempre più perplesso, anche perché Meeme gli si era decisamente incollata addosso tremando come una foglia. Cercò di tranquillizzarla con qualche pacca sulle spalle, sollevò di peso anche lei e la depositò con cura nell’ampiezza accogliente del proprio letto.
‒ Non preoccuparti ‒ le disse. ‒ Troveremo presto una corda nuova. Riposati un po’, vedrai che dopo starai meglio.
E con questa battuta uscì dalla cabina, non senza aver colto un suono che assomigliava vagamente ad uno sbuffo irritato.
Harlock era abbastanza preoccupato. Cosa stava succedendo sulla sua nave?
La preoccupazione aumentò allo strepito che udì dietro l’angolo della cucina, da cui volarono in successione uno spaventato Tori san, due mannaie affilate e una bellicosa signora Masu.
‒ Capitano! Io mi licenzio! ‒ sbottò la degna signora piantandosi a gambe larghe davanti a lui ed ergendosi fremente in tutto il suo metro e venti scarso.
‒ Lo sa che quell’uccellaccio non fa che mangiarmi le aringhe dalla dispensa? E che cosa dovrei cucinare io eh? Già si lamentano tutti della mia cucina!
‒ La sua cucina è eccellente Masu san, non deve preoccuparsi ‒ rispose lui in tono conciliante.
‒ E invece mi preoccupo ‒ ribatté l’inviperita cuoca.
‒ Caro il mio Harlock, non siete voi il capitano di questa nave? E allora cercate di tenere in riga quella ciurma di scansafatiche che vi ritrovate e i vostri cosiddetti animali da compagnia!
Harlock stava facendo sforzi sovrumani per impedire agli angoli della propria bocca di mostrare un accenno di sorriso che stava venendo fuori di prepotenza.
‒ Via, Masu san, non potremmo mai fare a meno di voi. Vi prometto che al prossimo spazioporto faremo una fornitura extra di aringhe.
‒ Umpf! Sarà meglio ‒ sbottò lei allungano una mano. ‒ La considero una promessa.
Il Capitano si chinò appena per accennare ad un baciamano vecchio stile.
‒ Io mantengo sempre le mie promesse, lo sapete ‒ rispose lui prima di sgattaiolare via col sorriso che ormai aveva rotto gli argini.
 
Più tardi, nell’angolo accogliente della cucina, la signora Masu stava facendo valere con forza le proprie ragioni.
‒ Ho vinto io, avanti, sganciate!
‒ Veramente non è stato proprio un bacio vero – ribatté Meeme.
‒ Come sarebbe? Non avevamo mica specificato dove doveva essere il bacio.
‒ Però…  ‒ provò a sua volta Yuki.
‒ Poche storie, ho vinto io, e adesso fuori i soldi.
Mugugnando, le due donne tirarono fuori la posta concordata. La signora Masu la intascò con soddisfazione.
‒ E adesso fuori ragazze, su, che devo lavorare.
Sempre mugugnando, Meeme e Yuki se ne andarono a testa bassa.
‒ Tsk! Quelle due ne hanno ancora da imparare! ‒ commentò a bassa voce la cuoca prima di rimettersi a trafficare con le sue amate pentole.
 
Tornato in plancia, il Capitano constatò che l’atmosfera era tornata quasi normale. Forse un po’ più ilare del solito. Notò una serie di movimenti furtivi con passaggi di denaro, ma non ci fece caso.
Scommettere sulle cose più disparate era un modo come un altro per la sua ciurma di vincere i momenti di noia. Chissà su cosa avevano puntato questa volta...
 

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Capitolo 11
*** L'arte del ricevere ***


Nota: dedico questo capitolo ad Harlocked, perché la cena che deve preparare Masu san è esattamente quella che lei descrive nel XXIII capitolo del suo Wonderwall.
Quanto alle capacità di Masu-san... be', secondo me non sono pessime come si mormora in giro, certo, forse le piace un po' troppo sperimentare ;-).


11. L’arte del ricevere
 
La signora Masu si guardò attorno con circospezione. La cucina a quell’ora era deserta, erano tutti impegnati sul ponte o nella sala macchine o comunque in altre, e lontane, parti della nave. Il momento era propizio.
L’intraprendente cuoca aprì uno sportello, scostò una quantità notevole di pentole e tegami, scomparve quasi all’interno dello stipo e ne uscì trionfante con un libro in mano. Libro alquanto ammaccato, per la verità, da cui dovette soffiare via una notevole quantità di polvere prima che si potesse leggere il titolo in eleganti e antiquati caratteri.
L’arte del ricevere.[i]
Reliquia di un passato ormai troppo lontano per aver voglia di rievocarlo, Masu san appoggiò il pesante volume sul tavolo e cominciò a sfogliarlo con religiosa attenzione.
Il fatto era che il Capitano, proprio lui, fra tutte le stramberie che poteva inventarsi, aveva deciso di fare un formale invito a cena. No, dico, formale… avete presente?
Non che di solito mangiasse da buzzurro, anzi… bicchieri di cristallo e servizi di porcellana di Sèvres; posate d’argento che bisognava lucidare tutte le settimane e tovaglioli di Fiandra immacolati, che togliere le macchie di vino lo sapeva lei cosa voleva dire. Con tutta quella apparecchiatura, però, non mangiava comunque quasi niente e quindi l’idea che lei, proprio lei, la vincitrice del prestigioso Space MasterChef[ii], dovesse preparare una cena di gala la metteva tutta in agitazione.
Mentre sfogliava le pagine spesse del vetusto volume borbottava fra sé, in tutto simile ad una pentola in ebollizione.
‒ Uhmmmm, uova ai ricci di mare… no, e se poi non gli piacciono? Gazpacho… no, troppo freddo. Paté in crosta… mah, un po’ pesante. Soufflé al formaggio… oddio, e se poi si smonta?
Uhmmm … ecco… sì, questo potrebbe andare…. Sì, anche questo e… la mousse al cioccolato? Be’, a lei piacerà sicuramente.
 
Fu uno Yattaran molto perplesso quello che si vide cacciare in mano dall’arzilla nonnetta una lista della spesa che sembrava interminabile con la raccomandazione:  ‒ E non dimenticare niente!
Yattaran diede una scorsa alle voci scarabocchiate con un’impietosa calligrafia e si grattò vigorosamente la testa come faceva sempre quando era piuttosto in imbarazzo.
‒ Ma… Masu san…  ̶   cercò di dirle sempre più confuso: ‒ Dove li trovo i macarons al tartufo nero?
‒ E che ne so io? Il pirata sei tu! ‒ esclamò la determinata signora girando velocemente l’angolo del corridoio.
‒ E che non manchi niente! ‒ sentì la sua voce minacciare ormai in lontananza ‒ Se non volete mangiare pasta scotta per un mese…
Forse l’ultima minaccia era stata solo un effetto dell’eco. Non era proprio sicuro di averla sentita. In ogni caso Yattaran decise che, a scanso di guai, avrebbe assaltato persino la sede centrale della Gaia Sanction, pur di procurarsi gli ingredienti per la famigerata cena!
 
 
[i] Realmente esistente, edito da Ippocampo, se vi interessa :-)
[ii] Se non l’avete già fatto, leggetevi l’esilarante Space MasterChef della premiata ditta Jose&Danish.

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Capitolo 12
*** La lista della spesa ***


12. La lista della spesa
 
‒ Ma perché io? ‒ protestò vigorosamente Yama pur cercando di nascondersi meglio dietro la siepe dei giardinetti dove si stavano facendo notare fin troppo dalle balie con i pargoli al seguito e dalle coppiette di innamorati che passeggiavano mano nella mano.
‒ Zitto! ‒ intimò minacciosamente Yattaran.
‒ Prima di tutto sei l’ultimo arrivato, e poi ci vedi uno qualsiasi di noi che va in pasticceria a comprare un vassoio di dolcetti? Eh?
Yama, effettivamente, convenne che il branco di individui poco raccomandabili dietro di lui non sarebbe passato per qualcosa di normale neanche se si fossero vestiti da Babbo Natale. A parte che si era in maggio. La loro idea di “travestimento” era quella di togliersi qualche teschio dalle maglie e dalle bandane e infagottarsi in impermeabili che celavano male le armi e gridavano già di per sé che qualcosa in quegli omaccioni dal sorriso inquietante non funzionava proprio.
‒ Tu invece – continuò Yattaran facendo un insolito sfoggio di oratoria – con quel bel faccino pulito, si vede subito che ispiri fiducia.
Yama si astenne dal ricordare al primo ufficiale che, di tutta la truculenta ciurma dell’Arcadia, l’unico ad essersi arruolato come spia era proprio lui col suo faccino pulito. Ma era meglio non rivangare il passato.
‒ E se non li hanno? – chiese.
‒ Allora saluti educatamente e torni qui tutto tranquillo – rispose Yattaran serafico.
‒ Devono averli – si intromise Maji ‒ al mercato di Valestrum ci hanno detto che certe cose le vendono in esclusiva solo qui.
‒ E se li hanno finiti? – obiettò di nuovo Yama, cui quella nuova, rischiosissima missione stava andando proprio di traverso.
‒ Adesso la finisci tu e vai là dentro se non vuoi che ti ci mandi io con un bel calcio nel fondoschiena!
Yattaran aveva cercato di ruggire a bassa voce, tuttavia qualche balia si era affrettata a portare via velocemente i bambini dal suo raggio d’azione.
Yama fece un sospiro, si rassettò la giacca e si avviò.
 
In realtà avevano provato dappertutto. Al mercato nero degli spazioporti dove facevano di solito rifornimento di viveri, attraverso abboccamenti clandestini nei magazzini di prima scelta dove arrivavano le costose derrate alimentari riservate ai dignitari della Gaia Sanction, avevano svaligiato una navetta che portava prelibatezze agli alberghi per ricchi delle stazioni orbitanti. Niente da fare. Alla puntigliosa lista di Masu san mancava sempre un ingrediente.
 
Il campanello della porta tintinnò lezioso quando Yama spinse la pesante maniglia ed entrò con passo risoluto. La porta si richiuse alle sue spalle con un tonfo sordo, mentre il ragazzo si guardava intorno circospetto. Quella, per la verità, sembrava più una gioielleria che una pasticceria. Dappertutto raso, seta, velluti, damasco, organza… e certi colori: cremisi, rosa antico, verde pastello, oro.  Buttò l’occhio su una scatoletta ricoperta di raso verde da cui emergevano come pietre preziose sei cioccolatini delicatamente modellati. Strabuzzò poi entrambi gli occhi quando vide il prezzo, chiedendosi se i soldi che gli avevano dato sarebbero bastati.
‒ In cosa posso servirla? – flautò una voce melodiosa davanti a lui.
Si riscosse con un lieve sobbalzo e cercò di sfoderare il più innocente dei suoi sorrisi sono-un-bravo-ragazzo-e-non-un-pirata (e-nemmeno-una-spia).
‒ Vorrei… ehm…
Vuoto, un attimo di vuoto assoluto seguito da un’ondata di panico. No, Yama, andiamo, non così. Pensa! Visualizza la dannata lista.
Intanto la paziente commessa attendeva con un suadente sorriso sul volto simile a quello di una bambolina di porcellana. Yama prese un respiro, allargò il sorriso e ricominciò.
‒ Vorrei… ehm… dei macarons al tartufo nero, per favore. Ne avete?
‒ Ma certo, signore! – trillò la ragazza gioiosamente. – Sono la nostra specialità. E quanti ne vuole?
Quanti ne voleva? Boh? Masu san non lo aveva specificato. Yama stava cominciando a sudare.
‒ Ah… sì…. Credo che una dozzina andrebbero bene – si decise alla fine.
La commessa prese un vassoietto dorato di misura adeguata, un paio di pinze di filigrana d’argento e cominciò a disporre in bell’ordine i piccoli macarons rosati ripieni di crema scura. Li pesò, li incartò poi in una bella carta velina col logo della pasticceria e li porse a Yama con grazia.
‒ Ecco qua, signore, fanno cinquantadue crediti.
Yama tirò fuori la banconota con un sospiro di sollievo. Ci arrivava, appena.
La ragazza prese il denaro e lo passò velocemente sopra lo scanner ottico. Il sorriso le si raggelò sul volto quando il sistema d’allarme cominciò a suonare a sirene spiegate. “Attenzione! Allarme! Denaro proveniente da una rapina! Attenzione! Allarme!”
Yama schizzò fuori come un fulmine subito circondato dai suoi compari che si misero a correre al suo fianco.
‒ Ma che cazzo di soldi mi avete dato? – sbuffò furibondo.
‒ Rubati, naturalmente. Siamo pirati, ricordi? – rispose serafico Yattaran mentre cercava di strizzare la sua notevole stazza sulla navetta che li aspettava appena fuori dai giardini.
Ce la fecero per un pelo.
 
***
 
‒ Ecco le provviste, Masu san.
La puntigliosa vecchietta inforcò gli occhialini e cominciò a controllare la merce pezzo per pezzo.
‒ C’è tutto, signora Masu – continuò orgogliosamente Yattaran.
La cuoca non si lasciò intenerire dal suo sorriso storto e continuò a contare, spuntando man mano le voci dalla propria lista. Quando ebbe finito guardò il corpulento pirata da sotto in su.
‒ Mancano i macarons al tartufo nero – lo informò gelidamente.
‒ No, no, abbiamo anche quelli! – continuò Yattaran trionfante spingendo avanti Yama col suo cartoccio infiocchettato e leggermente ammaccato per la fuga precipitosa.
‒ Ehm, Masu san, non aveva specificato quanti ne voleva – spiegò timidamente il ragazzo cominciando già a sudare.
La signora Masu prese il pacchetto e rispose: ‒ Uno.
‒ Uno? – fu il coro degli esterrefatti pirati.
‒ Sì, mi serve come decorazione.
‒ Decorazione?!?
‒ Il suo colore si intonerà perfettamente col foie gras. E adesso filate, su ragazzi, che devo lavorare.
 
Uscirono dalla cucina a passo strascicano, senza guardarsi negli occhi. Solo perché erano pirati temprati da mille battaglie, soltanto per questo non si misero a piangere.





NdA: finalmente svelato l'arcano del menu. Lo trovate inserito nel capitolo XXIII di Wonderwall! Grazie mille, Harlocked.
Insomma... poi devo proprio farvela vedere la minuscola porzione di foie gras con sopra il mezzo macaron al tartufo nero che ha fatto diventare matti i membri più tosti dell'Arcadia XD. Tratta anche questa da L'arte del ricevere, edizioni Ippocampo.
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Capitolo 13
*** Ammutinamento! ***


13. Ammutinamento!
 
̶  Yuki, spara la bomba, presto!
Yuki trattenne il fiato per un attimo e non disse nulla.
̶  Yuki… che ti succede…
Harlock si guardò attorno, incredulo. Perché improvvisamente tutti stavano a guardarlo a bocca aperta e non scattavano come al solito ai suoi ordini?
̶  Harlock… - cominciò l’aliena col suo solito tono strascicato, lasciando cadere un’altra delle sue perle di saggezza.
̶  Meeme…
Harlock era sbalordito. Persino lei, che aveva sempre accettato senza discutere ogni sua decisione, anche la più folle, ora sembrava tirarsi indietro.
Ma il colpo di grazia glielo diede lo scossone che sentì quando l’Arcadia cambiò improvvisamente rotta.
̶  Amico mio, anche tu mi tradisci… - mormorò incredulo.
Facendo roteare il mantello con un gesto stizzito si diresse a grandi passi verso la barra del timone. Ebbene, se gli altri non lo avessero seguito, avrebbe fatto tutto da solo. Non fece in tempo, però, ad azionare il meccanismo che avrebbe disattivato la trazione dell’Arcadia, fermandola.
̶  Addosso! – urlò qualcuno alle sue spalle. In un attimo si trovò circondato da ogni parte, immobilizzato e legato come un salame.
C’è da dire che il successo della manovra fu dovuta al fatto che l’ultima briciola di buonsenso rimasta al Capitano gli aveva impedito di reagire violentemente facendo del male al suo equipaggio, tuttavia Harlock si trovò depositato come un pacco sul suo trono, legato saldamente allo schienale e ai braccioli con più corde che borchie nella sua divisa. Però non lo imbavagliarono. Evidentemente non lo reputavano necessario: tanto non parlava mai!
 
̶  Ora ascoltaci bene, Capitano! – questo era Yattaran, che si era posizionato a gambe larghe e braccia conserte davanti a lui, cercando inconsciamente di imitarne, senza troppo successo per la verità, la consueta posa granitica.
̶  Io non so cosa ti sia bevuto negli ultimi cento anni, ma certo non era roba buona. Ti abbiamo seguito per tutto l’universo a piazzare bombe a destra e a manca e ci siamo fidati quando ci dicevi che sarebbe stato per il nostro bene. Permettici ora di dissentire. Saltare tutti per aria, dal nostro punto di vista, NON è il nostro bene. Senza contare che non hai nemmeno chiesto il parere al resto dell’umanità e questo non è da te.  Ora, secondo l’antica legge dei pirati, su questa nave le decisioni fondamentali si prendono tutti insieme e noi abbiamo deciso che l’universo va bene così com’è ancora per un po’, per cui o accetti la nostra decisione e continui ad essere il nostro capitano, o ti sbarchiamo su qualche pianeta deserto e a mai più rivederci.
 
Prevedibilmente, Harlock non rispose, anche se col suo unico occhio cercava di incenerire uno a uno i suoi ex compagni, i quali d’altra parte abbassavano la testa e strascicavano i piedi come tanti scolaretti sorpresi dal maestro a combinare qualche marachella.
Fu in quel punto che Yama, che era uscito in ricognizione, arrivò in plancia trafelato, tenendo in mano un fragile fiorellino color latte.
̶  Capitano! – gridò – Capitano! Guarda! La Terra è ancora viva! Crescono di nuovo i fiori!
Solo in quel momento si bloccò realizzando la stranezza di tutta la situazione.
̶  Mi sono perso qualcosa? – chiese.
 
̶  Ah… ehm… mi pare tutto a posto – tossicchiò Yattaran dando un’ultima spolverata al mantello del Capitano, dopo averci messo un quarto d’ora buono a slegarlo da tutte le corde.
̶   Allora, che si fa?
Se l’occhio di Harlock fosse stata una bomba a vibrazione a quel punto sarebbero saltati tutti in aria. Per fortuna non lo era.
̶  Rotta verso la Terra. Andiamo a distruggere i satelliti olografici – rispose, con la voce di un’ottava sotto il suo tono normale (già di per sé notevolmente grave).
Un coro entusiasta di “Urrah” gli fece eco.
 
̶  Ma perché si è messo a piangere? – sussurrò Yama a Yuki, ben attento a non farsi sentire.
̶  Sai – rispose la ragazza con un sorriso di sollievo sulle labbra – i fiori gli fanno sempre quell’effetto. È allergico![1]
Intanto, dall’altra parte, Yattaran stava confabulando sommessamente con Meeme.
̶  La prossima volta che volete una cassa di Amarone di contrabbando ve la procuro io – stava dicendo.
‒ Magari non ho la tua capacità di intuizione, cara aliena, ma la mia roba non ha certi effetti collaterali.
 
E l’Arcadia tornò, maestosa, a solcare il mare delle stelle, guidata dal suo ineguagliabile Capitano.
 


[1] Per l’allergia di Harlock ai fiori leggete l’esilarante Ci vuole un fiore  di danish.
Nota: la prima scena, per chi non l'avesse visto (ma chi non l'ha visto?), è tratta direttamente dal film.

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Capitolo 14
*** Nero è il suo mantello... ***


14. Nero è il suo mantello…
 
(Flashback)
‒ Tochiro… sei sicuro che devo mettermi questa roba?
‒ Eh, eh… certo! Da questo momento siamo pirati, liberi di solcare i cieli come i nostri antenati. E poi vedrai, è molto più comodo di quella divisa che comunque non puoi più portare.
Harlock si rigirava fra le mani i nuovi indumenti, su cui spiccavano il teschio e le tibie incrociate, proprio come nella loro nuova bandiera.
‒Devo mettere anche questo?
Spiegò l’ampio mantello nero dalla fodera rosso fuoco. Un capo di vestiario quanto meno antiquato.
‒ Certo! Quello è il pezzo forte!
‒ Ma…
‒ Fidati. È un mantello gravitazionale.
Vedendo la faccia sempre più basita dell’amico, Tochiro cominciò a spiegare pazientemente.
‒ Guarda, quando giri la spilla destra, così, attivi la rotazione di quattro superconduttori nascosti nel bavero che interagiscono con il tessuto di fibre micro magnetiche formando un campo di onde corte capace di contrastare la forza di gravitazione del 30%. Se invece giri la spilla sinistra lo spin si inverte e puoi creare un campo gravitazionale anche dove non c’è.
Tochiro guardò l’unico occhio di Harlock, sempre più simile a quello di un pesce lesso.
‒ Va bene, sono tutte balle, ma ci sarà sicuramente qualche rompicoglioni che si chiederà come fai a saltare da due chilometri senza paracadute e atterrare in piedi senza fracassarti. Tu digli così e vedrai che ci crede. E comunque il mantello fa figo da morire.
(Fine flashback)
 
‒ Non è giusto – brontolò Yama mentre Yattaran gli prendeva le misure per una divisa nuova.
‒ Perché lui ha il mantello e io no?
‒ Perché lui è il Capitano – spiegò pazientemente il pirata, con la bocca piena di spilli, ‒ e tu sei l’ultimo arrivato, quindi zitto!
‒ Però anche tu ogni tanto hai il mantello, ti ho visto, te lo metti e ti siedi pure sulla sedia del Capitano!
Yattaran si mise a ridere di cuore, rischiando di ingoiarsi una manciata di spilli.
‒ Quello è solo il mio furoshiki[1] e mi siedo sulla sedia del Capitano quando lui è fuori dall’Arcadia perché sono il suo secondo. E vuoi star fermo con ‘sto braccio? Mi fai saltare tutti gli spilli! Si può sapere che stai facendo?
‒ Scusa – mugugnò Yama che in effetti stava provando il gesto che faceva il Capitano per scostarsi il mantello… non gli veniva molto bene però, forse era questione di pratica… magari fra cent’anni.
 
Intanto, nei cupi corridoi dell’Arcadia, Harlock avanzava facendo frusciare mollemente la pesante stoffa nera, che ondeggiava piano al ritmo del suo passo lento. Era rassicurante sentire il suo peso sulle spalle e le morbide pieghe che seguivano i movimenti del suo corpo senza intralciarlo. Era anche la sua orgogliosa dichiarazione di appartenere a un’epoca che non c’era più.
Il suo amico Tochiro, come sempre, aveva avuto ragione.
 
 
[1] Nella prima serie animata ogni tanto si vede Yattaran al comando dell’Arcadia con un fazzolettone annodato a mo’ di mantello.

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