Dominatrice del Fuoco

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


1

Cap. 1

 

 

 

 

 

 

Agosto 1985.

 

“Non voglio andare dalla nonna! E' noiosa!” sbottò il dodicenne John, fissando malamente la madre che, imperturbabile, gli stava preparando lo zainetto.

“E' una brava persona, Johnny, non cominciare... solo perché ti chiede di non fare baccano con il tuo pallone, non vuol dire che sia noiosa” precisò Angelique, sorridendo al figlio da sopra una spalla.

Il broncio si acuì su quel volto color cioccolato e contornato da cortissimi capelli neri e la donna, nell'inginocchiarsi accanto a lui, gli diede un buffetto sul mento.

“Dovresti essere onorato che proprio tu, tra tutti i suoi dieci nipoti, sia stato scelto per tenerle compagnia.”

“Che vuoi che ci sia di così divertente?” protestò con un mugugno il bambino, immaginandosi già il tè delle cinque e i biscotti al miele.

Era una noia mortale starsene al tavolo, ricoperto da una tovaglia di fine batista, a comportarsi da gentiluomo.

Anche se i biscotti erano davvero buoni.

“Non puoi pensare che tutta la tua vita debba essere necessariamente divertente. Ci sono cose che devi imparare e, visto che la nonna è una potente mamaloa1 , noi le dobbiamo il massimo rispetto. Lei ha detto che tu hai il potenziale per diventare un eminente houngan,2 e che vorrebbe pensare personalmente alla tua istruzione teologica. Non riesci a capire quale onore sia, per la nostra famiglia?” gli fece notare con fervore la madre, sorridendogli speranzosa.

“Mamma, a me non interessa nulla! Voglio giocare al pallone, io! Non borbottare delle preghiere!” sbuffò spazientito John, intrecciando le braccia e fissandola con aria di sfida.

Angelique allora si rialzò, squadrò il figlio con espressione infelice e replicò: “Non sbeffeggiare la nostra religione a questo modo, figliolo.”

“Ma mamma! Sono solo sciocchezze! Usano delle bamboline, e ci infilzano degli spilloni! Dai!” rise con falsa sicurezza John, sentendosi suo malgrado meschino a parlare a questo modo delle credenze della sua famiglia.

Lo sguardo della madre si fece ferito e, nello scuotere il capo, Angelique dichiarò: “Se credi che tutto quello che c'è in televisione sia vero, allora non meriti l'aiuto di nonna Marianne. Non ne sei degno.”

Quell'ultima parola fece rabbrividire John che, reclinato colpevole il capo, iniziò a strusciare un piede a terra per poi mugugnare: “Insomma, mamy... c'est très difficile, pour moi...”

“Lasceremo decidere a lei, ma credimi... non è difficile solo per te, ma per tutti noi. I loa3 sono sempre stati benevoli con la nostra famiglia, ma non so come potrebbero prendere questo tuo puntiglio.”

Angelique si fece scura in volto e John, sempre più a disagio, giocherellò nervosamente con le mani.

“Non puoi pretendere che sia solo colpa mia!” cercò di difendersi il figlio, sentendosi comunque in soggezione di fronte allo sguardo colmo di mestizia della madre.

“Ognuno di noi porta il peso del proprio destino, John. Non accettarlo è un tuo diritto, ma dalla tua decisione verranno delle conseguenze. Ad ogni azione corrisponde una reazione, così è in natura, così è nel mondo degli spiriti” gli ricordò Angelique, poggiandogli mesta una mano sul capo reclinato.

“Ma ho solo dodici anni!” protestò senza grande energia il bambino, mettendo il broncio.

“Certe cose trascendono l'età e, presto o tardi, lo scoprirai da solo. Dal Fato, a volte, non si può sfuggire. Lo si può ignorare, ma lui sarà lì ad aspettarti al varco quando meno te lo aspetti.”

“Sei cattiva, con me!” piagnucolò John, sentendo feroci le lacrime trafiggergli gli occhi.

Angelique allora lo attirò a sé in un abbraccio e mormorò contro il suo capo tremante: “No, bambino mio, voglio solo che tu capisca quanto è grande il potere latente che c'è in te, e quanto pericoloso sarebbe lasciarlo senza una guida. Ma sarà nonna Marianne a decidere. Se lei penserà che non sei adatto a diventare un sacerdote, noi ci adegueremo alla sua decisione.”

“Perché non posso semplicemente decidere io?” mormorò affranto John, sentendo il proprio cuore lacerato dal dubbio.

“Spesso sono gli dèi a decidere per noi, amore mio.”

 

¤¤¤

 

 

 

Agosto 2011.         

 

“Sai cosa ti devo dire, nonna? Vai al diavolo tu, gli Anziani, il Consiglio e tutte le vostre stupide pretese! Non vi permetterò mai di mettere le mani su mia figlia e, soprattutto, non vi consentirò di vederla neppure una volta, finché non vi ficcherete in testa che lei non sposerà mai chi volete voi! Avete fatto ciò che volevate con Winter, ma con mia figlia vi sbagliate in partenza! Piuttosto, me ne andrò da qui e non mi troverete più!”

Le ultime parole, letteralmente, le urlò con tono isterico e, nello sbattere il cordless contro il ripiano di marmo della cucina, ringhiò al suo indirizzo.

Un attimo dopo, diede un calcio ad una delle sedie ordinatamente disposte intorno al tavolo della cucina, mandandola lunga riversa a terra.

Max, che aveva ascoltato l'intera reprimenda della moglie con occhio preoccupato e irritato assieme, sistemò in silenzio la povera vittima incolpevole della furia a stento controllata di Spring.

Con tono cauto, poi, le chiese: “Tutto bene, tesoro?”

Spring si volse verso di lui con aria accigliata, i chiari occhi di cielo che sprizzavano scintille di fuoco.

Già sul punto di riprendere con i suoi strali, la donna prese un gran respiro, poggiò una mano sul petto e una sotto il ventre leggermente arrotondato e, più calma, asserì: “Ho perso le staffe quando mi ero ripromessa di stare calma, ma nonna mi ha davvero fatto perdere la pazienza.”

“L’avevo notato” assentì cordiale l'uomo, porgendole una tazza di tè, che aveva lasciato da parte quando avevano ricevuto quell'imprevista telefonata dall'Irlanda.

Da quel poco che aveva capito, una delle Vestali – era così che si chiamavano? – della dea che tutti loro onoravano, aveva annunciato al Consiglio degli Anziani la prossima nascita della secondogenita del clan.

Senza attendere oltre, Nonna Shaina aveva chiamato per mettere al corrente Spring delle loro decisioni, in barba a tutte le minacce che i nipoti le avevano lanciato negli anni.

Poiché Winter si era rifiutato categoricamente di imporre a Malcolm il suo stesso destino, il Consiglio aveva tentato la stessa carta con Spring, sapendola più cedevole del fratello.

Dubitavano che la donna si sarebbe spinti a minacciare di fare esplodere mezzo mondo, come invece aveva fatto il gemello.

A quanto pareva, però, avevano preso un granchio bello grosso.

Non solo Spring era diventata molto più forte e incisiva, ma la sola idea che qualcuno potesse interferire con la vita di Sunshine – per ora, il nome era quello – la rendeva più pericolosa di una leonessa.

Sedendosi stancamente sulla stessa sedia che aveva preso a calci, Spring mormorò sgomenta: “Non posso credere che pensino realmente che uno solo di noi sia dell'idea di accettare quella meschina, quanto antidiluviana, regola del matrimonio combinato. Diamine! Siamo nel ventunesimo secolo! Ma cosa pensano!?! Non me ne frega un accidente se, al compimento del nostro trentaseiesimo compleanno, si presenterà qui Colin con l’anello di fidanzamento. Lo rispedirò a casa a calci nel sedere!”

“Già il fatto che ci abbiano provato quando ancora la piccola è nel tuo grembo, mi fa venire i brividi...” ammise Max, vagamente irritato. “... poi, che si permettano di dire che il mio sangue non è all'altezza del tuo...”

“Lascia perdere, Max. Nonna Shaina è solo una vecchia con manie di grandezza. Sente il potere del fuoco allontanarsi sempre più da lei per rafforzare quello di Summer, e questo la irrita da matti” replicò bonaria Spring, dandogli una pacca su un braccio. “Non può fare a meno di ordire piani, ma stavolta non troverà nessuno di noi disposto a darle retta. Persino zia Brigidh si rifiuta di risponderle.”

“Finché non sento parlare di poteri e doni ancestrali, non mi sembra neppure di vivere in una casa con ben tre stregoni ma, quando succedono queste cose, mi sento tremendamente inadeguato a proteggerti” sospirò Max, scuotendo mestamente il capo.

“Devi solo amarmi, Max, nient'altro” si limitò a dire Spring, terminando il suo tè alla menta. “Sicuro di non volerne una tazza anche tu? Sembri piuttosto nervoso.”

“No, grazie. Il caffè e l'unica mia vera passione, a parte te, quindi passo” ghignò lui, alzandosi per darle un bacio sulle labbra protese. “Toglimi una curiosità, comunque. Cosa c’entra il vostro prossimo compleanno con la faccenda dei Prescelti?”

Spring sospirò afflitta e, nel rigirare il dito indice sul bavero della giacca del compagno, mormorò: “Il giorno dell’Apice siamo più potenti e più vulnerabili assieme. Il nostro potere è così forte che, difficilmente, riusciamo a controllarlo, così siamo più… indifesi. Ed esistono metodi coercitivi piuttosto efficaci anche per noi che siamo Guardiani.”

Max aggrottò la fronte, già pronto a esporre chiaramente la sua idea in proposito.

La compagna gli sorrise, comprensiva. “Esiste una torque in acciaio siderale che blocca i nostri poteri per ventiquattro ore, il tempo necessario a renderci inoffensivi e… portare a termine i riti di fertilità con i Prescelti.”

“Ma è… orribile!” esalò sconvolto l’uomo, strabuzzando gli occhi.

“Mai detto che non lo fosse. Per questo, nessun Guardiano vuole raggiungere l’Apice senza un compagno. L’alternativa non piacerebbe a nessuno.”

“Ed è… sì, insomma… qualcuno è mai stato sottoposto a questa tortura? Scusa, non riesco a vederla in nessun altro modo.”

Il volto di Max diceva ampiamente come la pensasse su tutta quella faccenda, e Spring lo comprese appieno.

Quando la zia aveva parlato loro di quel piccolo, insignificante particolare, nessuno era rimasto insensibile. Summer aveva addirittura dato fuoco alle tende del salotto.

“Successe circa trecento anni fa, se non ricordo male.”

“E suppongo che, quando vi trovate,  o vi affibbiano, un compagno, sia quello e solo quello…” mormorò torvo Max, iniziando a capire dove fosse il reale problema.

Spring annuì.

“Non avremmo così tanta paura dei Prescelti, se potessimo semplicemente dire ‘okay, ci faccio un figlio, e poi chi si è visto si è visto’. Nel nostro caso è veramente finché morte non vi separi.”

Max si passò una mano sul volto, sconvolto e, sì, irritato da tutta quella faccenda assurda.

“Per questo la menano tanto con Kimberly e con me. Avete stravolto le regole, interrotto una sequenza, per così dire.”

“Già. Io ti ho scelto e, peggio ancora, avrò una bambina da te. Anche volendo, Colin non potrebbe mai avermi… a meno che, ovviamente, tu non morissi prematuramente.”

Max ebbe un brivido.

“Capisci perché io, Summ e Win vi stiamo addosso come cappotti?” cercò di ironizzare Spring, pur non sentendosi affatto tranquilla.

Le vite umane erano così fragili, e bastava così poco per spezzarle!

“State addosso a me e Kim finché vi pare” sorrise a quel punto lui, dandole un bacio sul naso a punta. “Ora vado in ufficio, prima di perdere del tutto il desiderio di uscire di casa. Oggi arrivano dei nuovi clienti da Cleveland, e non posso mancare.”

“Stendili tutti!” esclamò allora lei, levando un pugno in aria con tono battagliero.

Max ridacchiò di fronte a tanta allegria, quando alcuni attimi prima era stata furiosa e contrariata e, nel chinarsi per abbracciarla, le raccomandò di non stancarsi e di pensare soprattutto a riposare.

Dopo un paio di svenimenti in negozio, il medico aveva consigliato a Spring di rimanere a casa per riposarsi un po’, giusto per non correre rischi.

A quel punto, Max, con lo stesso cipiglio di un generale, le aveva ordinato perentoriamente di non sollevare nulla di più pesante di una tazza di porcellana.

 Spring si era limitata a sorridere gaia, annuendo a profusione senza mai interromperlo e alla fine lui, più tranquillo, le aveva sussurrato di amarla e di tenere a lei più della sua stessa vita.

Era incredibile pensare che, fino a pochi mesi prima, neppure si sarebbe mai immaginata di incontrare un uomo così perfetto per lei, invece ora era lì con lui, felicemente fidanzata e in attesa di una figlia.

Come poteva anche solo pensare, Nonna Shaina, che lei rinunciasse a tutto questo?

Nel sentire la porta chiudersi, Spring si levò infine dalla sedia e, affacciatasi alla finestra per salutare il suo uomo, la donna ridacchiò nel vederlo schivare di un soffio l'arrivo in volata di Summer.

In sella alla sua Ducati 848 rosso fiammante, la gemella inchiodò a circa due centimetri dalle scarpe griffate di Max.

Mentre la donna si toglieva il casco nero e rosso liberando la fulgida chioma, Max le sorrise esasperato prima di darle un bacio sulla guancia e correre alla sua Mercedes per recarsi al lavoro.

Summ allora lo salutò con aria sdolcinata, e lui rise dal posto di guida nell'ingranare la marcia per uscire dal cortile, dove l'auto di Winter era già svanita da almeno un'ora.

Quando Max fu ormai lontano dalla villetta, la fulva donna trotterellò felice verso la porta e, nel trovarvi appollaiata Spring, esclamò: “Oggi è un giorno spettacolare!”

“Hai fatto sesso” dichiarò senza mezzi termini la sorella, facendola entrare in casa mentre la gemella poggiava le chiavi della Ducati 848 sul comò d'ingresso.

Summer la prese sottobraccio nel dirigersi verso la cucina e, scrollando il capo di capelli lucenti, replicò serafica: “Non è che sono contenta solo quanto faccio sesso.”

“No, è vero, ma diciamo che vederti così pimpante mi ha fatto credere che dietro ci fosse un uomo” ammise Spring, accomodandosi su una sedia mentre Summer si appoggiò al tavolo di legno chiaro, accavallando le lunghe gambe abbracciate da jeans schiariti e attillatissimi.

Appariva come suo solito grandiosa, bellissima, eccitante e sexy e Spring, che spesso e volentieri l'aveva invidiata per questa sua bellezza scoppiettante e prorompente, si ritrovò a dire: “Non so come fai... io mi vergognerei a morte un giorno sì e un giorno sì.”

La gemella rise di gusto, sistemandosi i capelli con un gesto noncurante della mano.

Con tono solo per metà ironico, chiosò: “Bisogna nascerci col dono, tesoro... e poi, chi l'ha detto che tu non sei bella? Io ti trovo stupenda.”

Spring le sorrise grata, pur sapendo di non apparire fascinosa come lei, e le domandò: “Mi avevi detto che eravate in attesa di ordini. Big Mama ha deciso di farvi partire, finalmente?”

“Si parte per il Pacifico, destinazione... Hawaii.”

Sogghignò melliflua, nel dirlo, e Spring rise.

“Andate al Kilauea, allora?” si informò la sorella, immaginandosi Summer sulle spiagge assolate dell'isola, con solo bikini un striminzito a dividerla da lei e le mani dei maschi prorompenti che avrebbe trovato là.

Annuendo, la gemella tornò seria e asserì: “Ultimamente il vulcano ha dato motivo di far credere che ci sia in atto un'attività piuttosto frenetica nella camera magmatica e, trattandosi di uno dei punti caldi4 più conosciuti sul globo, Big Mama ha pensato bene di farci fare un viaggetto di piacere.”

“E le tue percezioni che dicono, invece?” si informò Spring, intrecciando le mani sul grembo.

“Che effettivamente la camera si sta gonfiando più del normale, ed il magma sta ribollendo come una pentola di fagioli. Lo strato di rocce fuse al di sotto del mantello sono in grande agitazione, quindi ne deduco che là sotto si stiano divertendo parecchio.”

“C'è solo da sperare che non scateni un cataclisma.”

Summer mugugnò un'imprecazione.

“Niente avrebbe potuto fermare lo tsunami che ha colpito le coste del Giappone, neppure Winter con tutti i suoi poteri, eppure si sente lo stesso in colpa. Ugualmente mi sentirei io, se il Kilauea decidesse di fare le bizze più del solito ma, come sempre, non potrei intervenire in alcun modo.”

“Se solo Win ci avesse provato, ci sarebbe stato un contraccolpo di proporzioni bibliche. E' brutta da dire, ma è stato meglio che non abbia agito in alcun modo” ammise la donna, storcendo il naso.

“Il focus antipodale5 è già stato forte così, figurarsi se ci avessimo messo lo zampino io, tu o Win per indebolire il terremoto e il conseguente maremoto. Avremmo spezzato in due il pianeta” sbottò Summ, passandosi nervosamente una mano tra le onde ramate.

“A volte è snervante sapere le cose e non poterle dire o, peggio, non poter intervenire per fermarle” dichiarò l’altra, ripensando a tutti i morti di quell'immane tragedia.

La vulcanologa aveva imprecato per ore, mentre osservava le scene di distruzione portate avanti dal maremoto e Winter, per contro, si era chiuso in un silenzio morboso che nessuno era riuscito a spezzare.

“Non voglio fare la fine dalla pro-pro-pro-mille volte-zia Gwen, che venne mandata al rogo come strega e... sorpresa! Non poteva prendere fuoco!” ringhiò Summer, rabbrividendo al solo pensiero. “Il suo elemento la protesse, così tutti gridarono al demonio, e lei fu costretta ad abbandonare casa e famiglia e rimanere reclusa nell'anonimato fino alla morte, per non condannare i suoi cari alla stessa fine.”

“No... è vitale più che mai, specialmente oggigiorno, mantenere la segretezza sui nostri doni, però mi spiace non poter aprire bocca quando so che un terremoto colpirà una data zona” scosse il capo con veemenza Spring, coprendosi il grembo con le mani.

“Ci squarterebbero come maiali solo per vedere come siamo fatti dentro” assentì torva la gemella. “A volte, penso sia più una condanna, che un dono, avere questi poteri.”

“Non dire così! Pensa soltanto a quanti progressi sono stati fatti nel campo scientifico grazie ai nostri antenati!” protestò gentilmente Spring, pur sapendo bene che, in parte, la gemella aveva pienamente ragione.

Conoscere le cose e non poterle proferire ad alta voce era, spesso e volentieri, più un peso che un sollievo,... per tutti loro.

“Già, … ma vorrei ugualmente urlare quello che so a quei parrucconi della Commissione Grandi Rischi” sbuffò Summer, prima di scrollare le spalle come per sciogliere le tensioni del suo corpo.

“Ma lasciamo perdere. Come sta la nostra futura mammina? Ti senti bene, nonostante sia un agosto davvero afoso?”

“Ringrazio ogni giorno chi ha inventato il condizionatore d'aria” ridacchiò Spring, lanciando un'occhiata adorante allo split ben piantato sopra la porta della cucina. “Se non ci fosse, sarei costretta ad affondare nella vasca da bagno per almeno dieci ore al giorno.”

“Ti capisco... però, non hai nausee, vero?” si informò la gemella, avvicinandosi per inginocchiarsi accanto alla sorella.

“No, sto benissimo” la rassicurò lei, prima di accennarle della telefonata della nonna, e di ciò che aveva spiegato a Max.

La sorella aggrottò più volte la fronte, accavallando e scavallando le gambe per il nervosismo.

Alla fine, con il suo solito modo di fare sbrigativo, sentenziò: “Il primo che si avvicina a Max o Kim, io lo stendo. Non mi interessa se dovrò espormi, non lascerò che succeda loro qualcosa.”

“E’ per questo che vieni qui tutte le mattine, prima che lui parta per il lavoro?” ironizzò Spring.

Facendo la linguaccia, Summ ammise: “Mi hai beccata. Spero non ti scoccerà se gli applico della polvere di ametista sugli abiti.”

“L’ametista è un ottimo talismano protettivo, perciò no, non mi offendo se ti preoccupi per lui. So che gli vuoi bene.”

“E’ il tuo uomo, Spring, e so che lui ti ama alla follia. Smuoverei il mondo intero per Max e per la mia nipotina.”

La sorella allora sorrise e Summer, nel porre una mano sul ventre appena arrotondato della gemella, sussurrò dolcemente: “Ehi, piccola Sunshine, sono la zia. Sappi che ti voglio già un mondo di bene, e che non vedo l'ora che tu nasca. Ti coccolerò così tanto che diventerai la bimba più viziata del pianeta.”

Spring rise sommessamente a quelle parole e Summ, nel depositare un bacio sul grembo della sorella, aggiunse delicatamente: “Mo chrói...”

¤¤¤

Centellinando del buon whisky irlandese, che la zia le aveva servito dopo la cena che avevano consumato a casa sua, Summer studiò i riflessi dorati del buon liquido alcolico.

Con tono vacuo, dichiarò: “Davvero tutto molto buono, Brigidh, ma posso sapere, finalmente, il perché di questo tête-à-tête tra me e te?”

Summ non aveva mai nascosto di aver mal sopportato la decisione della zia di contattare i nonni, subito dopo la morte dei loro genitori.

Nel corso degli anni, specialmente dopo il matrimonio di Winter ed Erin, era sempre stata ostile nei confronti della sorella di sua madre.

Non aveva mai fatto mistero di avercela con lei e, pur dopo il perdono di Win e il ritorno di Kimmy nella vita del gemello, Summ non aveva ancora calato le difese nei confronti della zia.

La riteneva l'unica responsabile della sofferenza del gemello e del ritorno nelle loro vite dei fastidiosi avi, che avevano fatto di tutto e di più per non lasciarli vivere come meglio credevano.

Il fatto che poi, oltretutto, si fossero impicciati prima di Malcolm e poi, senza troppe sorprese, della piccola Sunshine - che ancora doveva nascere - l'aveva mandata in bestia.

Non avere alcuna notizia di Colin, Miranda o Sean non l’aveva aiutata, quando aveva cercato di mettersi in contatto con loro.

Parevano svaniti nel nulla. Anche Autumn si era dichiarato sorpreso di non riuscire a trovarli.

Esistevano alcuni luoghi, sparsi nel mondo, in cui i poteri dei Guardiani non riuscivano a funzionare correttamente.

Evidentemente, quei tre si trovavano proprio lì, forse per coglierli di sorpresa quando meno se lo aspettavano.

Sperava soltanto che non si stessero preparando per sbarcare in massa sul Continente, o avrebbe dato veramente di matto.

Seduta dinanzi a lei su una poltrona, il salotto illuminato solo da alcune lampade a led applicate a muro, Brigidh si sistemò distrattamente una ciocca di biondi capelli dietro un orecchio.

“Volevo metterti in guardia.”

“E su cosa?” volle sapere la nipote, ben conoscendo le doti di Veggente della zia.

“C'è un pericolo incombente che ti segue, bambina, ma non sono riuscita a percepirne la natura. E' un'ombra che ti minaccia, e che rischierà di strapparti alla persona che più ami. Non so dirti altro, cara, ma vorrei prestassi attenzione a questo presagio” le spiegò la donna, scrutandola con ansia.

Summer accavallò nervosamente le gambe – sapeva più che bene quanto fossero attendibili le sue previsioni – e, nel poggiare il bicchiere su un ginocchio, tamburellò le dita sulla superficie liscia di vetro.

Annuendo torva, le domandò: “Ho molte persone a cui sono affezionata. Non hai visto di chi si trattava?”

“No, mi spiace. Ho solo percepito il profondo legame che vi univa, e il pericolo che incombeva su entrambi” scosse il capo Brigidh, spiacente.

La vulcanologa allora annuì, seria in volto e, vagamente preoccupata, mormorò: “D'accordo, starò attenta a tutto. Spero soltanto che non cada l'aereo per le Hawaii.”

“Non ho visto disastri aerei” la rassicurò senza troppa convinzione la zia, cercando di sorriderle.

Summ reclinò il capo all'indietro, poggiando la testa contro il morbido schienale del divano in broccato color cioccolato.

Nell'ascoltare la dolce melodia proveniente dallo stereo che Brigidh aveva acceso, asserì a mezza voce: “Era la preferita di mamma.”

“Camille ha sempre amato Schubert” assentì la zia, levandosi dalla poltrona per raggiungere una vicina credenza.

Summer ne seguì distrattamente le mosse, prima di irrigidirsi non appena la vide tornare con un piccolo carillon a forma di torre che ben ricordava.

Per anni aveva ascoltato la sua musica, nella camera dei genitori, mentre la mamma cuciva  ricami sui vestiti suoi e di Spring.

Non l'aveva più cercato dalla morte dei suoi genitori, ma non le era mai passato per l'anticamera del cervello che potesse averlo tenuto la zia.

E non capiva perché lo avesse riportato alla luce proprio ora.

“Camille aveva voluto che tuo padre vi inserisse un tamburo con la Sonata n. 13 in la maggiore di Schubert. Anthony è sempre stato un artigiano impeccabile” dichiarò Brigidh, porgendole la bella riproduzione del Tor di Avalon. “Mi ricordo che passavi ore ad ascoltarlo.”

“Mi piaceva, perché rendeva felice mamma. Sorrideva sempre, quando lo ascoltava” annuì pensierosa la giovane, rigirandoselo tra le mani come se avesse paura potesse scoppiargli improvvisamente in faccia.

“Vorrei lo tenessi. Mi sembra più giusto che ad averlo sia tu, Summy” le propose la zia, tornando a sedersi.

“Perché ora?” le domandò con una certa acredine la nipote, poggiando il carillon sul tavolino di cristallo che le divideva.

“Perché penso ti servirà” si limitò a dire la donna, scrollando leggermente le spalle.

“Un'altra predizione?” rabbrividì Summer.

Brigidh non disse nulla, ma alla nipote non importò. La sua faccia era più chiara di un intero libro scritto a caratteri cubitali.

 

 

 

 

 

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Non ci si lasci fuorviare da ciò che si è sempre visto nei film. Il vuduismo è una religione vera e propria, con i suoi precetti e le sue credenze, e non è affatto un credo infuso di magia nera o riti satanici, pur se alcune sue cerimonie possono ricordarlo.

Ha molti punti in comune con la religione cristiana, anche se in certe sue parti differisce (vedi i riti con sangue animale).

Anche le fantomatiche bambole vudù non sono usate per scopi malefici come si suole vedere nei film, ma hanno utilizzo completamente diverso, e di certo molto meno oscuro di quanto ci hanno fatto credere.

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1 mamaloa: (termine vudù): è una alta sacerdotessa del culto vuduista.

2 houngan: (termine vudù): è un sacerdote del culto vuduista.

3 loa (termine vudù): sono gli spiriti della natura. Possono essere sia entità benefiche che malefiche.

4 Punto caldo (hot spot): Sono i punti in cui il magma risale direttamente da sotto il mantello e preme per emergere, creando, come nel caso delle Hawaii, un'isola o una serie di isole.

5 Focus antipodale: E' un genere di fenomeno che avviene durante i maxi terremoti (vedi quello del dicembre 2004 a Sumatra). Le onde d'urto create dal terremoto riverberano all'interno del pianeta rimbalzando da un capo all'altro della Terra, creando ripercussioni anche all'altro lato del luogo di creazione del sisma. E' un'onda di risonanza, in poche parole, che attraversa il pianeta durante i grandi terremoti.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


2

Cap. 2

 

 

 

 

Winter mosse il polso con un movimento elegante, facendo danzare il panciuto bicchiere di brandy che teneva in mano.

Nell'osservare le onde dorate del piacevole liquore, mormorò all'indirizzo della fulva gemella: “Diciamo che Brigidh non avrebbe potuto essere più vaga… ma questo non mi stupisce.”

“Non riesco mai a capire se lo fa apposta o se, semplicemente, le sue Visioni sono talmente fumose da essere incomprensibili” sbuffò Summer, le gambe distese sul divano del salone di Win e le braccia intrecciate dietro la nuca.

Il viso, rivolto verso l'alto, era teso e preoccupato, e il gemello comprese più che bene la sua ansia.

Con una nipotina non ancora nata, e uno di quasi dieci anni, non c'era da star tranquilli, senza considerare tutte le altre persone a cui lei era legata.

Chi poteva essere colui, o colei, da cui avrebbe potuto essere strappata via a forza?

Kimmy, tornando dalla camera di Malcolm dopo averlo messo a letto, si accomodò sul bracciolo della poltrona di Winter e, con naturalezza, gli passò un braccio attorno alle spalle.

Lui sorrise immediatamente e, nel baciarle il dorso di una mano, le domandò: “Si è addormentato?”

“Era stremato. Correre per così tante ore dietro a Lucky lo ha steso... ma era così contento, quando ho messo la cuccia morbida ai piedi del letto!” sorrise dolcemente Kim, ripensando al piccolo meticcio che avevano salvato solo la settimana precedente.

Scampato a un brutto incidente stradale, per pura fortuna aveva rimediato solo una gran paura e qualche abrasione.

Sicuramente incrociato con un cocker, Lucky aveva lunghe e morbide orecchie, un pelo ricciuto e nero e, cosa davvero singolare, le zampette macchiate di bianco.

Non avevano alcuna idea di quale fosse la sua provenienza ma, dopo aver visto gli occhi supplichevoli di Mal, Winter non aveva potuto che prenderlo con loro.

Certo, avevano dovuto iniziare a corrergli dietro per fargli capire dove fare i bisogni, e cosa non masticare con gli affilatissimi dentini da latte.

Vedere la gioia sul volto di Malcolm, e il modo responsabile con cui se ne prendeva cura, però, ripagava di qualsiasi problema.

E Winter non si sarebbe mai scoraggiato di fronte a un cane giocherellone, se il premio era veder sorridere il figlio.

“Quel cane è una dolcezza. Non fosse che a casa mia starebbe sempre da solo, ne prenderei uno anch'io” dichiarò Summer, sciogliendosi in un sorriso.

Kimmy le sorrise di rimando e, nello scivolare sulle gambe del compagno – che le avvolse possessivo la vita con un braccio – le confidò: “Piace anche a me, e guardarlo in quei suoi occhioni marroni è una tortura, perché gli lascerei fare qualsiasi cosa.”

“Pensavo fosse solo una mia prerogativa” ghignò Win, ammiccando all'indirizzo della fidanzata.

“Beh, ci sono cose che Lucky non può certo darmi” ammise lei, scrutandolo maliziosa.

“Oh, vi prego! Non davanti a me!” esclamò Summ, coprendosi gli occhi con aria melodrammatica. “Non voglio diventare cieca!”

“Ma per favore!” rise sommessamente il fratello. “Sai più cose di me, sul sesso, Summy, e di certo non mi metterò ad amoreggiare con Kim di fronte a te.”

“Solo perché ho avuto più materia prima tra le mani, non vuol dire che conosca più trucchi di te” replicò ironica la gemella strizzando l'occhio a Kimmy, che arrossì copiosamente.

Winter allora lanciò lesto uno sguardo all'indirizzo della sua donna e, dubbioso, mugugnò: “Cosa vi dite voi ragazze, mentre io non ci sono?”

Se possibile, Kim arrossì ancora di più e Summ, sghignazzando, dichiarò: “Posso solo essere orgogliosa che mio fratello tenga tanto al piacere della sua donna. Sai essere molto generoso, da quel che ho saputo.”

L’uomo aggrottò la fronte, sinceramente dibattuto tra il rispondere per le rime alla gemella, oppure tenersi il complimento e non aggiungere altro.

Alla fine, sospirò esasperato e mugugnò: “E' dura quando si è soli con tante donne.”

“Quando Mal sarà più grande, potrà darti man forte” lo consolò Kimmy, dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.

Tutti sapevano benissimo che parlare a Winter di Autumn – che, in teoria, avrebbe dovuto essere con loro – era come accendere la miccia di un candelotto di dinamite.

L'argomento, perciò, non venne neppure toccato e Summer, cambiando lesta direzione del discorso, disse: “L'aereo partirà dopodomani per l'isola di Hawaii. Dovremmo atterrare all'aeroporto di Hilo nel primo pomeriggio ma, appena arriviamo, vi mando un sms.”

“D'accordo. Non nuotare nella lava, però, per favore... sarebbe quanto meno sconveniente” ironizzò il gemello, ammiccando.

“Mi conterrò. Però sarebbe divertente” ridacchiò la vulcanologa, scrollando divertita il capo.

“Un’altra cosa” aggiunse poi Summer, rivolgendosi al fratello. “Ho provato a contattare Colin, giusto per fargli passare ogni velleità circa il suo ruolo di Prescelto di Spring, ma non sono riuscita a trovarlo. Ho provato anche con Mir o Sean, ma non sono riuscita a beccare nessuno di loro. Tu ne sai niente?”

Winter si fece cauto, e replicò: “Tenterò di contattarli io, e pregherò gentilmente Colin di non azzardarsi a mettere piede qui, va bene?”

“Lo faresti anche con Sean?” sorrise deliziata Summer, sfregandosi le mani con aria furba. “Ti prego, fratelloneee…”

Kimmy rise sommessamente di fronte all’aria falsamente angelica della donna e Win, sorridendo divertito, annuì.

“Non temere. Baderò io a loro. Tu e Spring non dovete temere nulla, perché vi proteggo io.”

“Se non fossi mio fratello, ti sposerei” dichiarò la gemella, lanciandogli un bacio con lo schiocco.

Winter lo afferrò con fare molto melodrammatico e, dopo esserselo portato al cuore, mormorò: “Me lo terrò buono lo stesso, questo bacio, non si sa mai. Domani potresti avercela con me per qualcosa, così avrei questo a difendermi.”

Summer e Kimmy risero e si tapparono al tempo stesso la bocca, cercando di non fare baccano per non svegliare Mal.

Era così strano veder ricomparire il vecchio, allegro Win quando meno se lo aspettavano, eppure succedeva sempre più spesso.

E alla gemella faceva un piacere immenso rivedere quel bagliore negli occhi del fratello, specialmente dopo tutto quello che aveva passato.

E dopo l’oscura visione della zia.

La profezia di Brigidh incombeva ancora su di loro come un'ombra cupa ma, come ben sapevano, non potevano in alcun modo prevedere cosa sarebbe successo di lì in avanti.

Quando infine Summer decise di tornarsene a casa era già notte inoltrata e, nell'inforcare la sua Ducati, il fratello le passò il casco mormorando: “Mi raccomando, non fare follie, in strada.”

“Mi tratterrò” promise lei, infilandosi il casco in testa.

Winter le poggiò una mano sulla spalla, stringendo un poco e Summ, comprendendo bene cosa il gemello non volesse dirle, si limitò a mormorare: “Starò attenta, sempre. Te lo giuro.”

Lui non disse nulla, si limitò a lasciare la presa e la donna, messo in moto che ebbe, si avviò lungo la via lasciando che il piacevole ringhio della sua Ducati le facesse vibrare il corpo e svuotare la mente.

Le parole di Brigidh l'avevano scombussolata più di quanto non avrebbe mai ammesso, e Winter lo sapeva. Non c'era bisogno di parlare, tra loro.

Si comprendevano molto bene, anche senza parole.

Summ sapeva che Win non l'avrebbe mai messa alle strette in un caso del genere, non l'avrebbe chiusa in casa fino a nuovo ordine, non l'avrebbe armata fino ai denti per paura di chissà cosa.

Si sarebbe limitato a volerle bene e fidarsi di lei.

E lei non aveva nessunissima intenzione di deluderlo.

Il gemello aveva sopportato le bizze del Fato a sufficienza.

Di certo, non gli serviva che lei facesse la pazza, perché dimenticava spesso e volentieri quanto fosse pericoloso il mondo, anche per una Dominatrice del Fuoco.

¤¤¤

Sdraiata sul suo divano di pelle nera, il capo rivolto verso lo schermo a Led  del suo televisore, Summer continuò per un tempo indefinito a fare zapping.

Le immagini si affastellavano l'una sull'altra dinanzi a lei, tingendo il suo salone immerso nell'oscurità di un caleidoscopio di colori sempre diversi.

Erano le tre del mattino e il sonno stentava a venire.

Aveva ascoltato almeno una ventina di volte la dolce melodia del carillon di mamma, fin quasi a scoppiare in lacrime per i troppi ricordi e, alla fine, si era obbligata a metterlo via.

Il tocco della sua mano sul viso, la sua risata spontanea, i suoi rimbrotti preoccupati... le mancava tutto, di lei, come del padre.

Non avrebbe ammesso neppure sotto tortura che, ad ogni loro anniversario di matrimonio, se ne stava da sola, in camera, a piangere lacrime amare, ma tant'era.

Se solo fosse stata più grande, se fosse stata più forte, se avesse conosciuto meglio il suo potere, avrebbe potuto salvarli dal rogo in cui erano morti.

 L'incidente stradale in cui erano rimasti coinvolti non glieli avrebbe strappati a quel modo.

Quello, più di ogni altro errore commesso nel corso degli anni, le pesava maggiormente.

Il suo elemento era stato la causa ultima della morte dei genitori, e lei non si sarebbe mai perdonata per questa colpa immane.

A nulla erano valsi il conforto ottenuto dai suoi fratelli e dalla dolce Spring, né l'abbraccio consolatorio di zia Brigidh durante il loro funerale.

Tutto era andato a rotoli, e lei si era sentita persa, sola.

Poi ogni cosa era cambiata.

L'arrivo dei nonni, la condanna di Winter a seguire le orme dei loro avi, il suo matrimonio con Erin, tutto si era rivoltato contro di loro.

Solo dopo non poco tempo aveva imparato ad apprezzare e amare sua cognata, e la nascita di Malcolm l'aveva strappata ai suoi ricordi, dandole gli impulsi giusti per continuare a vivere.

Malcolm, però, non le aveva impedito di accumulare dentro di sé la rabbia non manifesta di Winter, il dolore muto di Spring e la furia cieca di Autumn.

Ogni loro sentimento negativo era ribollito in lei come una sacca magmatica, accrescendo il suo potere fino a farla divenire la più potente Pirocinetica mai conosciuta nella sua genia.

Poteva creare il fuoco, come solo pochissimi tra i Dominatori del Fuoco erano stati in grado di fare nel corso dei millenni, e sapeva muoverlo a suo piacimento.

Eppure, tutto quel potere, le si sarebbe riversato contro, il giorno dell’Apice. E l’essere così tanto più potente degli altri, l’avrebbe resa ancor più vulnerabile, e quindi alla mercé di Sean.

Rabbrividì al solo pensiero.

Se i vecchi Guardiani fossero piombati lì con le torque per loro, sarebbero stati guai seri. Kimmy e Max avrebbero rischiato ben più che di essere scacciati dalle loro vite.

Scosse il capo, allontanando quelle immagini cruente dalla sua mente, e proseguì nella ricerca di qualcosa che la facesse capitolare.

Il suo cervello, però, non volle saperne di lasciarla in pace, e un altro triste pensiero balenò di colpo, riportandola a ricordi tristi.

Tutto il suo potere, tutto quel concentrato di energia, che lei poteva manipolare come creta nelle mani di un artista, non era riuscito a salvare Erin dalla morte.

Ancora una volta, aveva perso qualcuno senza poter fare nulla.

Perché si crogiolava in quei ricordi? E dire che sapeva benissimo quanto la facessero soffrire!

Rivedere Winter sfiorire, come una pianta privata del suo sostentamento, la fece fremere di rabbia.

Quando finalmente Kimmy era rientrata nella sua vita, Summer aveva sprizzato gioia da tutti i pori, pur se dinanzi al gemello si era contenuta nelle smancerie.

E, quando anche Spring aveva trovato la sua anima gemella, il suo cuore aveva ballato festante.

L'unica sua vera felicità le giungeva dalla famiglia, indipendentemente da quanto credessero i più.

I suoi uomini? La sua vita sociale piena e ridente? Erano solo barriere contro il dolore che ancora provava, contro la rabbia che non riusciva a sciogliere, contro la furia che a stento tratteneva.

I Dominatori del Fuoco erano condannati a soffrire, lo sapeva fin da quando aveva parlato per la prima volta con il suo Educatore.

Loro ardevano dall'interno in perenne ricerca di qualcosa, di qualcuno che placasse quel fuoco.

E, finché non lo trovavano, erano costretti a raccogliere dentro di loro tutte le emozioni latenti che li circondavano, e che mantenevano sotto controllo,  alimentandola, la fiamma del loro potere.

Le energie negative potevano chetarla, poiché esse erano forti e dirompenti, senza freno.

Certo, avrebbe potuto attingere a forze più genuine, ma mai si sarebbe permessa di strappare agli altri l'amore, l'affetto e la benevolenza.

Ce n'era troppo bisogno, nel mondo, e lei non voleva privare nessuno di simili qualità.

Estirpare dolore e rabbia, invece, era di per sé un fatto positivo, ma erano così difficili da sopportare!

Eppure, il suo fuoco sembrava lieto di essere coccolato da simili compagni di giochi, e il suo potere così fiorente ed unico ne era la prova regina.

Chissà cosa sarebbe successo se avesse mai trovato chi la completava. Cosa sarebbe diventata?

Beh, fino a quel momento, si sarebbe accontentata di cullare il suo fuoco con la rabbia e il dolore.

E, soprattutto, si sarebbe premurata di non far conoscere mai, per nessun motivo, quel suo tremendo Fato ad alcuno dei suoi fratelli.

Non dovevano preoccuparsi per lei, o provare compassione per il suo destino.

Mai.

¤¤¤

J.C. era come sempre il primo ad arrivare, il più efficiente nel preparare le sue valigie e, ovviamente, non dimenticava mai neppure un bullone dei macchinari costosissimi di cui il NOAA li attrezzava.

Quel mattino di agosto inoltrato, nella hall immensa dell'aeroporto Dulles di Washington, J.C. stava attendendo l'arrivo dei suoi collaboratori accanto a un bar.

Quando vide giungere con il suo passo armonioso e sexy la sua collega e amica Summer Hamilton, all'uomo sfuggì un sospiro.

Era sempre così, tutte le volte che la vedeva e, lo sapeva bene, non era certo l'unico maschio tra i sei e novant'anni ad avere quella reazione.

La selvaggia chioma rosso fuoco della donna era rilasciata libera sulle spalle e, ad ogni passo cadenzato, danzava sinuosa sulle sue spalle, forgiate da anni di nuoto semi agonistico.

Alta un metro e ottanta, Summer appariva sempre in tutto il suo splendore, mai un abito fuori posto, mai un accessorio di troppo.

Anche quella mattina, era splendida.

Jeans attillati a vita bassa color carbone si abbinavano a un paio di Jimmy-Choo di pitone e a un top color smeraldo, che ne disegnava le forme armoniose e da dea greca.

Un trolley rigido la seguiva rotolando sul pavimento liscio, trattenuto dalla stretta forte della donna che, ticchettando armoniosamente sugli altissimi tacchi, lo raggiunse con un sorriso sul bel volto.

Un attimo dopo, si allungò per stampargli un sonoro bacio sulla guancia.

John ricambiò con molto più contegno e, nell'ammirarla con aria serafica – non era il caso di diventare l'ennesima tacca sul calcio della pistola di Summer – commentò: “Sai, vero, che i tacchi non vanno bene per camminare sulle colate laviche disseccate?”

“Ho i miei scarponcini, tranquillo. E poi non rovinerei mai simili scarpe sulla spianata del Kilauea!” rise sommessamente lei, mettendosi al suo fianco per poi ammirarlo senza ritegno.

John era uno dei pochi uomini di sua conoscenza che, anche in presenza dei suoi micidiali tacchi, poteva ancora guardarla dall'alto al basso, e la cosa le dava una soddisfazione quasi sessuale.

Peccato che l'amico non fosse interessato a lei in quel senso, almeno stando al suo modo sempre contegnoso di comportarsi.

D'altra parte, però, le piaceva il suo atteggiamento nei suoi confronti.

Già troppi uomini la tampinavano continuamente per ottenere da lei una breve notte d'amore, o i divertimenti esotici che tanto le piacevano.

Sapere che almeno con John poteva essere se stessa senza rischiare una palpata, era un sollievo.

Certo, molte colleghe l'avevano accusata di cercarsi i problemi anche laddove non c'erano, e forse avevano ragione.

Se non si fosse comportata in modo così disinvolto con l'altro sesso, forse non si sarebbe neppure trovava con così tanti mosconi addosso.

Ma il desiderio e la passione erano altri due elementi in cui il suo fuoco si crogiolava sonnacchioso, ed erano decisamente preferibili alla rabbia e al risentimento.

E, di quelli, poteva godere senza sentirsi in colpa. Divorarli un po' per volta era piacevole, e il donatore veniva ampiamente ripagato.

Ovviamente, non avrebbe potuto andare avanti così in eterno, ma l'idea di sposarsi con il suo cugino di ventesimo grado, o giù di lì – e propinatole da Nonna Shaina– la faceva fremere d'ira.

La nonna si era sposata con il nonno in tenera età, seguendo gli antichi precetti, e così avevano fatto tutti i loro avi, prima di loro.

Lei, però, non avrebbe mai accettato di sposare un uomo solo per avere una fonte di benessere continua e, soprattutto, donata spontaneamente.

Preferiva di gran lunga estrapolare qua e là e, così facendo, eliminare un sacco di discordie sul nascere.

Non che le piacesse particolarmente divorare rabbia e ambizione, come le capitava spesso sul lavoro, ma tutto era preferibile al cedere alle lusinghe della nonna.

Se solo avesse potuto parlare con Sean! Avrebbe cercato di portarlo a più miti consigli! Ma dove diavolo era finito?!

“Amanda e Mike non sono ancora arrivati?” si lagnò Summer, passando nervosamente il peso da un piede all'altro.

“Hanno chiamato poco prima che tu arrivassi. Sono imbottigliati sulla tangenziale. Arriveranno con una mezz'ora di ritardo” le spiegò John, notando sul viso dell'amica i segni inequivocabili di una notte insonne.

Pur se mascherati dall'abile mano del fondo tinta, l'uomo sapeva riconoscere a prima vista le tracce dell'insonnia sul viso di Summer e, preoccupato, le domandò: “Cos'è che ti ha tenuta sveglia, Summ?”

Sobbalzando leggermente, la donna mascherò la sua sorpresa con il consueto sorriso scintillante e, nello scrollare le spalle, dichiarò noncurante: “Maratona Robinson. Li davano sul Canale 6, ed io non ho saputo resistere. Sono rimasta incollata alla TV fino alle quattro del mattino.”

“Cioè, hai dormito solo due ore e mezzo?” gracchiò J.C., sconvolto.

“Meno, se consideri che mi sono fatta la doccia prima di uscire, corredata da trucco e parrucco” ironizzò lei, dandogli di gomito.

“Summer...”

La donna sbuffò, sgonfiandosi come un palloncino e, reclinando le spalle in avanti, mugugnò: “Brutti pensieri, va bene? Niente che io possa risolvere al momento... e niente che tu possa risolvere.”

“Sei sicura?” ci tenne a dire John.

Lei lo guardò per un minuto buono negli occhi scuri e morbidi color cioccolato, ne studiò il viso perfetto, le labbra carnose e piegate leggermente all'ingiù, le sopracciglia diritte e sottili.

Alla fine, sospirò scrollando il capo. “No, non puoi fare nulla. Ma mi passerà.”

“Non mi dire che c'entra ancora Autumn” brontolò John, intrecciando le robuste braccia sul torace voluminoso.

J.C. era stato campione studentesco di boxe e, nel corso degli anni, aveva mantenuto la passione per quello sport, conservando un fisico potente e muscoloso.

Ben pochi avrebbero detto che l'uomo aveva quasi quarant’anni, visto che ne dimostrava molti meno.

Summer sbuffò, negando recisamente e John, con un grugnito, dichiarò: “Una di queste volte, scendo fino a Tulsa e lo gonfio di pugni.”

La donna ridacchiò alla sola idea, anche perché più di una volta era venuta la stessa idea anche a lei.

Un attimo dopo, il cellulare squillò e Summ, ben sapendo chi fosse, afferrò il suo iPhone e disse ironica: “Caro! Stavamo giusto parlando di te! Che tempismo perfetto!”

“Di' al tuo amico di non fare tanto lo spiritoso perché, pugile o meno, lo stendo” brontolò Autumn, senza nemmeno salutare.

La gemella allora si fece di ghiaccio e, lapidaria, dichiarò: “Il giorno in cui toccherai J.C. con un dito, sarà il giorno della tua morte, Autumn. Non si toccano i miei amici, è chiaro? Oltretutto, abbiamo tutti un mondo di ragioni per avercela con te, visto che non sei neppure venuto alla cerimonia di fidanzamento di Spring e Max, per non parlare di quella di Kimmy e Winter. Potevi almeno degnarti di schiodare il culo da lì per venire a conoscere il tuo futuro cognato e rivedere Kim, no?!”

“Non posso venire, punto” replicò roco Autumn, cambiando radicalmente atteggiamento.

La gemella sospirò esasperata e, adeguandosi al cambiamento di tono, mormorò: “Senti, mo chrói, se non ti apri con qualcuno di noi, non ne verremo mai a capo. Torna in famiglia, fatti aiutare. Sono sicura che con Winter potreste risolvere benissimo, se solo ci provaste.”

“Non c'è nulla da risolvere. Lo odio. Punto e basta” sentenziò il gemello, con la morte nella voce.

Non c'era rabbia, in lui, solo... disperazione.

Ma perché? Se solo avesse avuto il dono di Mal, l'avrebbe saputo e...

A quel punto, una luce le illuminò l'orizzonte cupo e, aggrottando la fronte, gli domandò: “Cosa nascondi di così tremendo?”

Autumn non parlò e Summer, esasperata, ringhiò: “Sentimi bene, stronzo che non sei altro. Non riesci a perdonare Win per chissà quale motivo? Fatti vostri. Ma almeno pensa a Spring! Lei ti adora! Non pensi che, almeno per lei, potresti venire qui per farle visita?”

“Se fosse semplice, l'avrei già abbracciata e baciata mille volte, e avrei stretto orgoglioso la mano a Max, perché penso che potrà renderla veramente felice, ma non posso venire lì. Ci sono troppe cose che non posso … non voglio mostrare a Mal, e queste cose le percepirebbe subito. Non voglio vederlo soffrire. Mai!”

Il tono di Autumn si fece disperato, quasi spezzato in due da un dolore senza fine e Summer, da furiosa che era, si calmò immediatamente, sospirando afflitta.

John detestava vederla così abbattuta, e sempre a causa di Autumn.

Non aveva idea di cosa fosse successo tra i due fratelli Hamilton, ma doveva essere stata una lite davvero furibonda e che, a distanza di anni, non aveva ancora trovato una soluzione di causa.

Ormai cinque anni erano passati da quella separazione tumultuosa, e nulla sembrava essersi risolto.

John sapeva perfettamente quanto la donna tenesse ad entrambi i fratelli.  

E, se poteva affermare che Winter appariva altrettanto preoccupato per il benessere delle gemelle, lo stesso non poteva dire di Autumn che, puntualmente, le feriva o le faceva infuriare.

“Senti, mo chrói, almeno telefonale qualche volta. Non aspettare che sia lei. Puoi ...” Summer si bloccò sul nascere, ricordandosi all'ultimo secondo di chi vi fosse vicino a lei e, svicolando abilmente, continuò dicendo: “Puoi ben sorbirti qualche domanda scomoda da parte di Max, se ti capitasse di beccarlo, no?”

“Lo farò. Le condizioni in quota sono ottime, non avrete problemi col volo” le disse infine lui, con tono pacato e vagamente ironico.

“Ci contavo, lo ammetto” sogghignò Summer.

Slan agus beannacht, deirfiúr...1” mormorò Autumn, interrompendo la chiamata.

Summer scosse il capo nel rimettere al suo posto il telefonino e J.C., con un ringhio infastidito, commentò caustico: “Non merita tutta la tua gentilezza, e dovresti saperlo. Ti fa sempre infuriare.”

“Autumn ha sempre avuto un carattere complesso, è ancor più irlandese di tutti noi gemelli messi assieme” ironizzò lei, ripensando alle parole accorate del fratello. Cosa voleva nascondere di così tremendo a Malcolm?

“Ad ogni modo, bisognerebbe dargli una ripassata” brontolò John, torvo in viso.

Summ gli diede una pacca amichevole sul braccio, celiando: “Saresti un cavaliere con l'armatura scintillante davvero eccellente, J.C.”

“Spiritosa” sbuffò lui, cercando di non far caso al tocco delicato delle dita della donna sul suo braccio nudo. Gli facevano sempre uno strano effetto.

Tutta quanta lei gli faceva uno strano effetto, ed era un'autentica faticaccia fare finta di niente, limitarsi ad esserle amico per paura di rovinare quello speciale legame che li univa.

Ma, per lei, avrebbe fatto questo ed altro.

Teneva troppo all’amica, e si accontentava di essere suo confidente, anche se vederla uscire con uomini sempre diversi lo uccideva poco alla volta.

“A volte, penso che dovrei stordire sia Autumn che Winter e rinchiuderli nelle segrete del castello di nonna perché si spieghino una volta per tutte, ma ho il terrore di quello che potrebbe succedere” mugugnò lei, poggiando pensosa le mani sui fianchi morbidi.

“Potrebbero ammazzarsi di botte?” ironizzò John, per stemperare l'ansia dell'amica.

“Distruggere ogni cosa, piuttosto” brontolò la donna, scrutandolo in viso con estrema serietà. “Ammazzarsi e basta sarebbe troppo semplice, troppo riduttivo.”

“Summer... ma cosa è successo tra quei due?” volle sapere a quel punto John, perdendo del tutto la voglia di ridere.

“Se solo lo sapessi!” sospirò afflitta la donna, poggiando la fronte contro la spalla dell'uomo, l'aria stranamente smarrita e vulnerabile.

Sapeva che si sarebbe fatto solo del male, ne era più che consapevole, ma non poteva lasciarla a se stessa e al suo dolore.

Avvoltala con un braccio, se la strinse al fianco e, nel poggiare una guancia contro quei soffici riccioli fulvi, le sussurrò: “Sono grandi abbastanza per risolvere i loro problemi da soli, Summ. Non sobbarcarti ogni volta di tutti i  drammi del mondo.”

“Quello è Win” ironizzò fiacca Summer, socchiudendo gli occhi nel concedersi il lusso di quell'abbraccio familiare e caloroso.

Avvertiva sempre affetto e protezione, quando era accanto a John, ma per nessun motivo al mondo si sarebbe permessa di abbeverarsi a quella piacevole fonte.

Non voleva approfittare a quel modo della sua amicizia, per quanto apprezzasse i sentimenti che percepiva provenire da lui.

“Winter lo fa solo in maniera più evidente, ma anche tu sei una bella testona senza speranza, lasciatelo dire” ironizzò J.C., dandole un buffetto su una guancia prima di lasciarla andare.

“E se me lo dici tu, che sei la persona che mi conosce meglio dopo i miei fratelli...” celiò Summer, sorridendogli più serena. “Grazie, John, davvero. Sei un amico impagabile.”

Già, penso lui con triste ironia, un amico.

 

 

 

 

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1 Slan agus beannacht, deirfiúr (gaelico irlandese): significa, a grandi linee, 'Arrivederci e porta con te la mia benedizione'.

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Cap. 3
 
 
 
 
 
 
Era un'autentica fortuna che lei non fosse allergica ai fiori.

Era quasi certa di avere non meno di quindici ghirlande fiorate, e profumatissime, attorno al collo e, solo a stento, riusciva a muovere la testa per girarsi.

Da quando erano atterrati all'aeroporto di Hilo, Summer e soci non avevano fatto altro che ringraziare hostess e addetti per la loro cortesia – corredata da ghirlanda – , e i mahalo si erano sprecati.

'Grazie' era una delle pochissime parole in hawaiiano che conosceva e, almeno per quel giorno, era certa di averla usata non meno di venti volte.

L'albergo che Big Mama aveva prenotato per loro si trovava nei pressi della spiaggia, in quel momento baciata dal sole pomeridiano e battuta da bianche onde schiumose.

Pur non essendo un complesso a cinque stelle, come quelli dove soggiornavano i vip, era sicuramente ben tenuto, pulito e gradevolmente familiare.

La giovane coppia, proprietaria dell’albergo, aveva deciso di ammobiliare ogni camera con lo stile esotico e ‘organico’ dell'isola.

Quando Summer si ritrovò nella sua stanza, sorrise spontanea quanto gaia. Quel locale era incantevole!

Le porte finestre si aprivano su una terrazza di tronchi, proprio di fronte a un boschetto e, tra le alte palme, si poteva intravedere la linea scura dell’oceano.

In un angolo della stanza, nei toni del sabbia e dell’oro, si trovava un'amaca finemente intrecciata, e un letto a baldacchino dalle tende in diafana seta era stato ricavato dai tronchi levigati di una palma.

Il pavimento, per disegno e colore, ricordava i tatami giapponesi – cultura che ben si era amalgamata negli anni sull'isola.

Un piccolo mobile a due ante, in legno di tek, era modesto ma davvero ben confezionato, così come i comodini nel medesimo materiale.

Una pala a soffitto sommoveva l'aria profumata al patchouli e, nel sistemare i propri abiti da lavoro, Summ ne apprezzò appieno l'aroma.

Somigliava molto alle fragranze che le preparava sempre Spring.

Anche grazie a quel delicato profumo, si sentì immediatamente a suo agio in quel nuovo ambiente.

Era abituata a viaggiare e le piaceva, ma trovare qualcosa che le ricordava casa, era sempre bello.

Aperta la porta-finestra dopo aver ultimato la sistemazione di abiti e attrezzatura, uscì sulla piccola veranda di tronchi per respirare l’aria salmastra di quel tardo pomeriggio.

Sedutasi sull'assito di legno con le gambe a penzoloni, e i piedi che sfioravano la sabbia sottostante, contemplò silenziosa il paesaggio.

La brezza di quei luoghi era così piacevole che la assaporò a pieni polmoni.

L'oceano, distante meno di mezzo miglio, sciabordava lieve sulla battigia e gli ultimi bagnanti, ritirate le proprie cose, stavano rientrando tranquilli verso i rispettivi alberghi.

Le palme ondeggiavano come i capelli di Summer, accarezzati dal vento leggero, e la donna, nel socchiudere gli occhi, si lasciò andare alle sensazioni che aleggiavano nell'aria e nella terra.

Sentiva con chiarezza il magma che galleggiava a decine di miglia sotto i suoi piedi e che, nei punti più vicini alla crosta terrestre, premeva per uscire e fiammeggiare.

Le onde rossastre di lava, che il Kilauea stava eruttando anche in quel momento, erano per lei fonte di interesse e curiosità.

Con attenzione, ne seguì l'andirivieni sulla crosta nera e solidificata, come nei miriadi di tunnel scavati in tanti anni di attività vulcanica.

Il trillo del cellulare, però, la distolse dal suo studio del giovane vulcano e, nel rispondere, mormorò: “Ciao, amore mio... come stai?”

Malcolm ridacchiò e disse: “Come facevi a sapere che ero io, zia?”

Summer si aprì in un sorrisone e gli spiegò: “So sempre quando mi chiami, tesoruccio. Sei mio nipote, dopotutto, no?”

“Già. Com'è l'isola, zia?”

“Bella e, tra poco meno di un'oretta, ci sarà un tramonto stupendo. C'è il sole, l'oceano è calmo e la brezza è stupenda. Fatti portare qui in vacanza, l'anno prossimo, non a New Orleans.”

Con un mugugno, Malcolm borbottò contrariato: “Tanto, Mæb ha già detto che non mi vuole vedere finché non compirò undici anni, per cui...”

 
“Quella vecchia strega... come si permette di ferire il mio nipotino?” brontolò la donna, raccogliendo le gambe contro i seni, per poi stringerle col braccio libero.

“Non le darai fuoco, vero?”

Malcom si premurò di raccomandarglielo, vagamente ansioso.

“No, amorino mio, nessun falò. Cosa ti posso portare dall'isola, Mal?”

“Mmmhhh... non lo so. Una sorpresa.” Poi, ridacchiando, aggiunse: “Papà vuole parlare con te.”

“Oooh, cos'ho combinato?” ghignò la donna, divertita. “Passamelo, tesoro. Vediamo se mi devo sorbire una reprimenda, o meno. Ma prima dammi un bacio.”

Malcolm diede un bacio con lo schiocco alla cornetta del telefono e Summer, immediatamente, scoppiò a ridere di gusto.

Un attimo dopo, la voce calma e morbida di Winter sfiorò il suo orecchio.

“Allora, come stai, Summy?”

“Benissimo, direi. Non è successo nulla, mi sto godendo la pace di questo luogo divino e domani, se niente succede, ci accosteremo alla pendice sud del Kilauea” gli spiegò sinteticamente lei, sdraiandosi su un fianco.

“Hai già adocchiato qualcuno con cui divertirti?” ironizzò allora il gemello.

 
“Oh, ma dai! Non sono così disperata da cercare carne fresca già il giorno del mio arrivo!” scoppiò a ridere la donna, divertita dall'accenno del fratello.

Lui sghignazzò, replicando: “Ti devo ricordare del nostro viaggio in Italia, quando raggiungemmo Roma? Quanto ci hai messo? Due ore?”

“Ehm, credo fosse un'ora e quaranta minuti. Ma ammettiamolo, quell'uomo era un vero Marcantonio! Ed è stato una guida davvero eccezionale” ammise Summer, sfiorandosi il mento con un dito, cercando inutilmente di rammentare il nome di quel magnifico esemplare di maschio italiano.

“Oh, certo, niente da dire... e va detto che Mal lo trovava simpatico, quindi un punto a suo favore.”

Sorridendo melliflua, la donna si sdraiò sulla schiena per mettersi più comoda.

Tamburellando le dita sul ventre piatto e coperto da un top leggero, mormorò: “Win, perché mi hai chiamata, in realtà?”

“Mi da fastidio che tu possa capire che mi rode qualcosa... anche per telefono. Mi conosci troppo bene.”

Seguì uno sbuffo, e una risatina di Kimmy a poca distanza.

E meno male che non ne conosci il vero motivo, fratellone,  pensò tra sé Summer.

“Pensa se fossi come Mal!” ironizzò invece lei, cercando di non pensare che al nipotino adorato.

“Oh, cielo! Non ci sarebbe pace, con te in giro a ficcare il naso nella testa di tutti!” rise piacevolmente il gemello, prima di tornare serio e ammettere: “Ti telefono per via di Autumn. Spring mi ha detto che ha chiamato circa due ore fa. C'è il tuo zampino?”

“Dipende da cosa voleva Autumn, con quella chiamata” si informò cauta la gemella.

Curioso, come Win riuscisse a nominare più o meno tranquillamente il gemello, mentre Autumn si sentisse praticamente male al solo sentirne l’odore.

Paziente, Winter le disse: “Si è congratulato con Spring e Max, ha voluto sapere delle condizioni di nostra sorella e del nipotino e, dulcis in fundo, ha voluto sapere di Kimmy, e se la gamba era guarita bene. Chi gli ha detto della gamba?”

“L'ha scoperto da solo, Win. Sai che il suo elemento è ovunque, e che lui può captare qualsiasi nostra conversazione, quando abbiamo vicino qualcuno che non è della nostra famiglia. Inoltre, l'avevo informato io che tu eri all'ospedale, in Alaska, e che Kimmy era stata ferita.”

Lo disse con calma, senza alcun tono particolare, sperando che bastasse per non far esplodere Winter.

Il silenzio del gemello si protrasse per un buon minuto prima che, con un sospiro, riuscisse a borbottare: “E va bene. Niente da dire, fa parte della famiglia perciò è giusto che, in un modo o nell'altro, venga informato su tutti noi, ma vorrei per lo meno che mi diceste cosa gli spifferate su di me e su Kim, okay?”

“Nessuna spifferata, Win. Lui non chiede mai di te, quindi tranquillizzati. E di Kimmy, penso sia la prima volta che si informa. Puoi vederlo come un passo avanti.”

“E per cosa? Neanche so perché abbiamo litigato, e perché mi odi tanto!?” sbottò il gemello, perdendo la sua proverbiale calma.

“Senti, non voglio difendere nessuno, ma Autumn mi ha detto che non vuole ferire Mal in alcun modo, ed era sincero. Non so cosa nasconda ma, evidentemente, pensa di potergli fare del male in qualche modo, perciò... insomma...”

Non seppe più che dire e, alla fine, si interruppe. Era difficile cercare di mediare tra quei due!

Winter sospirò ancora, e Summer poté percepire senza alcuno sforzo le rassicurazioni di Kimmy, così come il brontolio cupo del compagno.

“Beh, senti... se dovessi risentirlo, puoi dirgli che, se gli va di parlare lontano da orecchie indiscrete, io... ci sono... non lo odio, davvero... ma vorrei capire.”

La gemella sapeva bene cosa volesse dire, per lui, cedere alla rabbia che sapeva ancora stava covando nei confronti di Autumn, per arrivare a dire una cosa simile.

Anche se era il più posato tra loro, doveva essere comunque difficile.

Sorridendo comprensiva, gli disse: “Sarà la prima cosa che gli dirò, quando si farà sentire. Sai che non posso chiamarlo io, perché farebbe lo gnorri e non risponderebbe.”

Il gemello rise amaramente e, nel salutarla, si raccomandò: “Fai attenzione, a stoírin, non voglio che ti succeda nulla.”

“Presterò attenzione, tranquillo. Un bacione a te, Kimmy e Mal.”

Quando chiuse la chiamata, sospirò e lasciò ricadere il cellulare sui tronchi smussati della veranda.

Poco distante da lei, in quel mentre, una porta-finestra venne aperta e alcuni passi si mossero sull'assito, facendo scricchiolare l'intelaiatura lignea.

Levando appena il capo, Summ sorrise spontaneamente nel vedere John in piedi sulla veranda.

Sistematasi a sedere, esclamò: “Ehi, J.C.! Vuoi far impazzire le isolane, con tanto ben di dio in mostra?”

A torso nudo e con solo i jeans stretti a coprirne le grazie, John portava ancora i segni di una recente doccia.

La sua pelle color cioccolato riluceva invitante, ai raggi morenti del sole e, nel volgersi verso di lei, le sorrise divertito e poggiò le mani sui fianchi con aria di sfida.

I tatuaggi sulle braccia guizzarono come vivi, quando i muscoli si tesero per quel movimento naturale.

“Senti da che pulpito! Metà degli uomini che ti hanno vista, ti hanno divorato con gli occhi!” ironizzò John, sedendosi sulla veranda per poi incrociare le gambe muscolose.

Sollevando un sopracciglio con espressione dubbiosa, Summer replicò: “Metà? E l'altra parte?”

“Erano troppo timidi per farlo!” scoppiò a ridere l'uomo, coinvolgendola con la sua ilarità.

Messasi a sedere nell'identica posizione di John, lei ironizzò: “Sono davvero una calamita per il testosterone... quasi quasi, mi faccio suora.”

“Decreteresti l'inizio di una serie di suicidi di massa. Non ti conviene” si premurò di dire John, rabbrividendo alla sola idea di pensarla con un abito scuro e le chiome coperte o, peggio, rasate a zero.

No, non voleva neanche immaginarla, una cosa simile.

“Oddio, no! Non voglio essere la causa di una strage!”

Fece la lingua, sbarazzina, prima di tornare seria. “Però, ogni tanto, mi piacerebbe che la gente mi parlasse come fai tu.”

Sorpreso da quella confessione, John poggiò le mani all'indietro e, guardandola col capo ripiegato su un lato, borbottò: “E' difficile, quando fai di tutto per farti notare.”

Sinceramente sorpresa, Summer esalò: “Pensi lo faccia… con secondi fini?”

Ora fu il turno di John di apparire confuso e sorpreso.

Sbatté le palpebre scure e contornate da ciglia lunghissime prima di ammettere: “Molti uomini interpretano il tuo abbigliamento, e il tuo essere così disinvolta, come un invito a parlare, e agire, in un determinato modo. Non tutti, ma...”

“Questo lo so, J.C., non sono nata ieri, ma speravo che, dopo anni e anni di conoscenza, almeno la gente con cui lavoro avesse imparato come sono, indipendentemente dall'abito che porto. Invece nisba” brontolò Summ, mettendo il broncio.

“Certi uomini non sono così acuti, neppure dopo anni di conoscenza” ammise John.

“Comincio a pensarlo. Non pretendo che gli sconosciuti pensino che sia un'intelligentona o una testa d'uovo, per l'amor di dio! Ma che almeno quelli che conosco non si soffermino solo sulle mie tette, sì!”

Lo sfogo fu seguito da un'imprecazione e John, aggrottando impercettibilmente la fronte, le domandò torvo: “Cos'ha combinato, Mike?”

Sobbalzando leggermente nell'udire il nome del loro collega, Summer sbuffò lungamente prima di ammettere: “Le solite cose. Mi ha detto che stanotte sarebbe passato per far ballare un po' il mio letto, giusto per abituarci alle carezze del Kilauea. Naturalmente, murerò la porta... anche se dubito che dicesse sul serio. Solo, mi scoccia che lo faccia tutte le volte che usciamo in missione assieme.”

“Come?” esalò lui, del tutto spiazzato da quella confessione.

“Ops” sbottò la donna, arrossendo suo malgrado.

Maledetta la sua pelle chiara!

“Forse non avrei dovuto dirtelo.”

“Perchè caz... diavolo non l'hai detto a Big Mama, prima di partire? Gli avrebbe fatto una testa così!” ringhiò John, indeciso se piantare un pugno in faccia al collega, o affogarlo direttamente nell'oceano.

“Perché, nonostante sia un idiota senza speranza, Mike è un genio nelle mappature tridimensionali, e sa fare il suo lavoro meglio di molti altri di mia conoscenza. Inoltre, so difendermi da sola, casomai qualcuno decidesse di passare alle vie di fatto.”

Nel dirlo, scrollò le spalle come per liquidare il problema, ma J.C. non fu d'accordo.

“Se solo ci provasse, lo ammazzerei di botte” ringhiò John, rannuvolandosi.

Summer allora gli sorrise teneramente, mettendo in mostra quel lato vulnerabile che, solitamente, non veniva mai a galla.

Con voce tenue, dichiarò: “Di cosa dovrei preoccuparmi, dunque? Che si illuda. L'importante è che faccia bene il suo lavoro.”

“A volte mi chiedo se hai qualcosa, sotto quella chioma di capelli. Come puoi dire 'l'importante è che faccia il suo lavoro'?! E a te stessa non pensi?!”

Il nervosismo di J.C. crebbe d'intensità e la donna, muovendosi gatton gattoni fino a raggiungerlo, gli poggiò una mano calda sul viso, sorprendendolo.

“John... calma.”

Sedutasi accanto a lui, scese con la mano fino ad afferrare una delle sue.

Giocherellando con quelle dita lunghe e affusolate, le osservò rapita, mormorando: “Non ho mai detto che non penso a me stessa, ma sono tranquilla perché ci sei tu, perciò non mi preoccupo. So che questa mano ci sarà sempre per me, se ne avrò bisogno.”

“Summer...” mormorò lui, chetato dal tocco leggero delle dita della donna che, leggere come ali di farfalla, stavano sfiorando la sua pelle scura e dalla grana fine.

Lei sorrise, continuando ad ammirare quella mano così forte e tanto più grande della sua.

Come una bambina, la mise palmo contro palmo alla sua, notando la differenza sostanziale di grandezza e l'enorme divario di colore.

“Sai una cosa?”

“Cosa, Summ?”

“Ho sempre invidiato la tua pelle” ammise lei, lasciandosi andare a un sorriso birichino. “Ha il colore del cioccolato, un colore caldo e armonioso. La mia è bianca come il latte, … e ho le efelidi sul naso.”

Rise divertita e tornò a giocherellare con quelle dita, che si lasciarono plasmare sotto il suo tocco fanciullesco ed esperto al tempo stesso.

John faticò non poco a non stenderla sulla veranda per ricoprirla di baci vogliosi.

Avrebbe mandato in fumo la sicurezza che l'amica provava stando assieme a lui e, di certo, questo non lo voleva.

Ma era una tortura farsi toccare senza minimamente replicare alle carezze, per quanto innocenti esse fossero.

“Trovo che la tua pelle sia bellissima, Summer, e si addice a te. Troverei strana una ragazza con la tua chioma, ma con la mia pelle” ironizzò J.C., cercando di dare un tono leggero al suo complimento.

Summer ammise che sarebbe stato buffo e, finalmente –  finalmente? – , lasciò andare la presa sulla mano di John.

Prudentemente, lui la intrecciò all’altra perché non prendesse iniziative personali... e molto sconvenienti.

L’amica a quel punto gli lanciò un'occhiata divertita, prima di lasciarsi andare ad un sospiro.

Lo sguardo tornò in direzione del mare, dove le acque si stavano tingendo di rosso e arancione, e il cielo aveva assunto le tonalità dei suoi capelli.

“Mi hai detto degli abiti che metto. Perché dovrei nascondere ciò che sono? Non è un peccato mostrare quel che Madre Natura mi ha dato.”

“No, ma devi ammettere che non tutti gli uomini brillano per intelligenza. Ormai sei abbastanza grande per averlo capito da sola, vero?” ironizzò ancora lui, ammiccando.

“Oh, per l'amor di dio, certo! Ma mi ha stupito che anche tu tirassi in ballo questo argomento” gli fece notare lei.

“Non ho gli occhi foderati, Summ, e so quel che ho davanti. Ma, contrariamente ai miei colleghi dotati di organi maschili...”

“Di pene” precisò Summer, sghignazzando.

John tossicchiò imbarazzato.

Ma perché si era cacciato in una simile discussione con Summer? Era masochista, per caso?!

“Appunto. Comunque, a trentacinque anni dovresti esserti ormai abituata a quel che pensano, e dicono, certi maschietti” bofonchiò lui, cercando di apparire serafico.

“Credo che il problema sia inverso. Comincio a stufarmi, invece. Poteva essere divertente a venti, persino a venticinque anni, ma ora voglio rispetto... indipendentemente da quello che indosso. I miei abiti non possono, e non devono, essere una scusa per trattarmi come una poco di buono!” brontolò con una certa acredine la donna, intrecciando le braccia sotto il seno.

“Verissimo ma, purtroppo per te, pura utopia. Finché esisteranno testosterone e pene, questo non potrà mai avvenire” sospirò John, dandole una pacca consolatoria sulla spalla. “Inoltre, se proprio vogliamo essere onesti, il tuo fascino lo usi, a volte.”

Summer si accigliò immediatamente a quelle parole, pur sapendo che erano vere. Sentirle proferire da John, però, le fece male.

Reclinando il capo, lei mugugnò: “Anche tu pensi che io sia stata a letto con tutti gli uomini con cui mi hai vista assieme?”

“Summ, non sto discutendo con te di statistiche” precisò J.C., preferendo non inoltrarsi oltre in quella discussione fin troppo privata.

Con un ringhio, lei lo fulminò con lo sguardo e sibilò: “Ti ho fatto una domanda. Rispondi.”

“Sei già irritata... figurarsi se rispondessi” replicò lui, mantenendosi quieto.

La donna fu lesta ad alzarsi dalla sua posizione rannicchiata, nonostante la sua altezza e, fissando irritata l'amico, dichiarò: “Allora lo pensi!”

Resosi conto di averla fatta veramente infuriare, John si levò in piedi per chetarla ma lei, torva, puntò un dito munito di unghia affilata contro il suo torace nudo.

Con occhi che sprizzavano scintille scarlatte, sibilò: “Anche tu credi che l'abito faccia il monaco. Non vai oltre la superficie. Sì, sei più gentile e cortese, e di certo non allunghi le mani, ma la cosa finisce lì. Nessuno di voi ha il coraggio di avvicinarsi veramente a me, di capirmi veramente! Vi accontentate del pacchetto regalo, del fiocco rosso con cui mi hanno confezionata! Ottimo!”

“Senti, Summer, non è così e dovresti...” iniziò col dire John, azzittito da qualcosa che raramente, in tanti anni di amicizia, aveva visto sul suo volto.

Lacrime.

Quella vista non solo gli mozzò il fiato in gola, ma lo rese tremendamente consapevole della verità insita nelle parole dell'amica.

Era vero. Si era fidato di ciò che aveva visto, o meglio, creduto di vedere, ingigantendo il tutto a causa della gelosia repressa che covava nei suoi confronti.

Si era fidato delle chiacchiere di corridoio, senza minimamente preoccuparsi di chiedere a lei la verità.

Si era fidato dei preconcetti riguardanti le belle donne, dando per scontato che i suoi sorrisi languidi, e le carezze che dispensava, volessero
dire molto più di quanto in realtà non volessero.

E, a quel punto, si chiese se ciò che aveva interpretato come gesti lascivi, fossero realmente quel che aveva immaginato.

No, aveva ben più che ragione di essere infuriata. Con lui, con tutti.

La confezione regalo non poteva essere una scusante per giudicarla.

Mai.

Quando la prima perla argentata le scivolò lungo il collo, Summer parve riscuotersi.

Senza dire nulla, se la deterse dal viso e si chiuse senza troppi complimenti nella sua stanza, tirando le tende perché John non potesse vederla.

E l’uomo capì al volo che, né le sue parole, né tanto meno altri gesti eclatanti, l'avrebbero fatta calmare, almeno per quella sera.

Doveva lasciarla sola, permettendole di sfogarsi per un'arrabbiatura che lui stesso aveva contribuito a far maturare.

Ed era la prima volta che accadeva, a ben vedere.

Sconsolato, se ne tornò quindi nella sua stanza senza sapere che l’amica, infuriata e delusa, si spogliò completamente per gettarsi sotto il getto bollente della doccia.

Il cellulare mandò un bip ma lei non vi badò, lasciando che il calore dell'acqua le lavasse via la rabbia e il freddo polare che avvertiva nel cuore.

Da John proprio non se lo sarebbe mai aspettato, un simile comportamento.

Certo, sapeva di non essere una santa, ma non era neppure una puttana, per tutti i demoni dell'Inferno!

Non stava con ogni creatura dotata di attributi  maschili che si trovava nelle vicinanze!

“Vadano al diavolo tutti!” sbuffò, lasciando che le carezze della spugna, imbevuta di sapone liquido, producessero la loro magia sul suo corpo irrigidito dalla furia.

Come un vampiro, estese il suo potere in cerca di nutrimento – evitando di proposito la stanza di John – e, una volta trovati Amanda e Mike, ne assaporò sulla lingua la rilassata serenità.

Con lentezza, si abbeverò di quel dolce nettare, un sorso alla volta.

Era maledettamente sbagliato, sapeva di non dover approfittare a quel modo delle sensazioni positive degli altri ma, se non l'avesse fatto, in quel momento l'isola sarebbe esplosa sotto i colpi della sua ira incontrollata.

Il fuoco divampava in lei come una stella in procinto di esplodere, divorando tutto ciò che incontrava sul suo passaggio e, se non voleva che divorasse lei – causando così un cataclisma – doveva dargli nutrimento.

Essere una Dominatrice del Fuoco senza un Fulcro era una vera rogna, specialmente in momenti come quello!

Ansimando per lo sforzo – non voleva attingere troppe energie dai due ignari distributori automatici di emozioni – Summer espanse ulteriormente la sua maglia, raggiungendo un gruppo di ragazzi al bar dell’albergo.

L'adrenalina era un carburante eccezionale per mettere a tacere le voglie del suo dono.

E visto l'impegno dei quattro giovani durante la loro partita a freccette, non faticò a divorarne a sufficienza per chetare il suo bisogno.

Quella scorpacciata, salvo incidenti imprevisti quali una sfuriata o peggio, sarebbe bastata per almeno una settimana. O così almeno sperava.

Accucciatasi a terra sotto il getto della doccia rovente, la pelle ormai del colore dei peperoni maturi, Summer si strinse le ginocchia al petto.

Poggiatovi sopra il mento, mugugnò disgustata: “Perché non sono diventata una suora?”

Quando finalmente uscì dalla doccia, umida e rovente, la donna si avvolse in un pesante asciugamano color borgogna e strizzò i capelli con forza, per poi avvolgerli in una salvietta.

Raggiunto il letto, vi si sedette per dare un'occhiata al cellulare e, con un mezzo sorriso, lesse più e più volte il messaggio di Autumn.

A me piace come sei dentro. Al diavolo il pacchetto regalo!

Evidentemente, non aveva potuto resistere alla curiosità ed era rimasto ad origliare la sua conversazione con John, infuriandosi al pari suo non appena l'uomo se ne era uscito con quell'affermazione.

Summer rispose al messaggino, scrivendo: Vorrei vedere che non ti piacessi, bratháir!

Un attimo dopo, lui rispose con una certa ironia.

Fratello o non fratello, non è detto che tu debba starmi simpatica. Nel caso specifico, però, si da il caso che sì, mi stai simpatica.

Sei matto, ma ti voglio bene. :-)

Summer attese un attimo e, quando giunse la risposta, scoppiò a ridere.

Sullo schermo comparve solo un'emoticon. Quella che impersonava la linguaccia.

“Il solito...” motteggiò la donna, riponendo il cellulare sul comodino.

A quel punto, afferrò la cornetta del telefono della camera, chiamò la reception e avvertì che non avrebbe cenato al tavolo.  

Non aveva voglia di vedere nessuno, in quel momento, men che meno John.

Detto ciò, si vestì, uscì furtiva dalla stanza e corse nella vicina foresta per inoltrarsi nell'isola.

Non le importò se le felci le schiaffeggiarono il viso, o se le fronde prosperose dei cespugli le graffiarono le gambe, perché l'unica cosa che desiderava in quel momento era perdersi.

Voleva sentire attorno a sé solo la magnificenza della natura, la sua potenza, il suo respiro, perché la presenza dell'uomo, in quel momento, le era invisa come poche altre volte.

Balzando oltre piccoli rii placidi e scavalcando massi ricoperti di muschio, Summer si bloccò a metà di un passo quando, finalmente chetata la smania di correre, si ritrovò in una radura erbosa in mezzo al bosco.

Lì, la luce della luna, che ormai era sorta brillante e fiera nel cielo, le illuminò il viso e mise in evidenza i contorni oscuri di ciò che la circondava.

Non aveva mai avuto paura del buio, lei che era fiamma rediviva, e su quell'isola era come una regina nel proprio regno.

Tutto, nella terra ove poggiava i piedi, gridava, invocava il suo nome e lei, ammantandosi di fiamma scarlatta, danzò.

Si mosse morbida come le lingue di fuoco che la avvolgevano, poggiando i piedi sull'erba alta con movenze studiate, che richiamavano nel suo tempo ancestrali memorie di un passato mai dimenticato.

La fiamma la seguì nel suo peregrinare senza danneggiare minimamente la vegetazione – quel genere di fuoco non avrebbe mai reso danno a nessuno – e Summer, levate le braccia al cielo per adorare la luna, gridò.

Intonò i canti della sua gente per benedire la terra, il mare, il fuoco e l'aria.

Si prostrò a terra per decantare la sua invocazione ad Arianrhod, la Signora che aveva tra le mani la Ruota del Destino, che tutti loro veneravano.

Chiese ossequiosa la sua benedizione e, quando la sete del suo elemento si fu infine chetata, si rialzò con calma da terra spazzolandosi le gambe nude.

A mezza voce, mormorò: “Pele1, sorella, giungo a te da amica. Sii lo stesso per me.”

 
¤¤¤
 
La camiciola a maniche corte, color Terra di Siena bruciata, si abbinava bene con i pinocchietti color cannella e gli scarponcini da trekking grigio scuri.

Ma sarebbe stato difficile trovare qualcosa che addosso a Summer, stesse male o fosse fuori posto.

Inoltre, anche nelle situazioni più improbabili, lei non peccava mai di stile, pur se dovevano scalare le pendici di uno dei vulcani più attivi della Terra.

Lo zaino con l'attrezzatura su una spalla e, nella mano destra, la valigia contenente uno dei loro sismografi portatili, attendeva silenziosa e seria accanto alla porta d'entrata dell'albergo.

John, nell'osservare la collega dal bancone del bar, sospirò.

Gli era spiaciuto molto non rivederla a cena, perché aveva avuto tutte le intenzioni di scusarsi con lei.

A giudicare dalla sua faccia ombrosa, e dal cipiglio ben visibile in quegli occhi da gatta, neppure quella mattina pareva essere dell'idea di parlare con qualcuno.

Per lo meno, non in modo amichevole.

Mike, comparendo al suo fianco con i suoi attrezzi da lavoro già sistemati nel pesante zaino, gli diede di gomito per poi mormorare: “La nostra Venere è accigliata?”

John ce la mise tutta per non ingiuriarlo a male parole e, nel consegnare una banconota da cinque dollari al barman per la sua consumazione, si levò in piedi per afferrare la sua valigetta metallica.

Ombroso, si limitò a mugugnare: “Chiedilo a lei.”

“Quando è così scura in volto? Fossi matto! Non voglio prendermi una cinquina in faccia. Lascerò che Mandy le parli, che sondi il terreno” ironizzò Mike, avviandosi con il collega verso la porta dove, nel frattempo, Summer era stata raggiunta da Amanda.

“Ti nascondi dietro le gonne di una donna?” brontolò allora J.C., scuotendo disgustato il capo.

“Preferirei sotto, ma stando così le cose... aspetterò paziente” ridacchiò il collega, oltrepassando la porta d'entrata per poi strizzare gli occhi non appena la luce furente del sole li avvolse. “Miseria, che riverbero!”

Inforcati subito gli occhiali dalle lenti fotocromatiche, Mike osservò dalla veranda le loro colleghe mentre sistemavano gli attrezzi sulla jeep, presa a noleggio per scorrazzarli in giro per l’isola.

Nel voltarsi a mezzo verso John, disse più seriamente: “Dubito fortemente che tu, che passi con lei un sacco di tempo, non ci abbia fatto neppure un pensierino. Andiamo, Summer è favolosa!”

“E pensi che questo basti per trattarla come se fosse il premio di una lotteria?” borbottò lui, pur sentendosi in parte un ipocrita a parlare così.

Solo la sera prima, l'aveva tacciata di essere superficiale ed esibizionista. E ora lui faceva il moralista? Bella faccia tosta.

“Non so che problema hai, John, ma credimi, io non mi farò frenare da dei falsi moralismi, se me la darà. E credimi, prima della fine di questo viaggio, cederà” sogghignò il collega, avviandosi infine verso la jeep con passo dinoccolato.

Oh, certo, Mike era davvero un bell'uomo, con quella folta e fluida chioma bionda, gli occhi azzurri come il cielo di primavera e un'abbronzatura favolosa, ottenuta grazie a una marea di lampade.

Sapeva che passava in palestra un sacco di tempo, per scolpire quel corpo che Madre Natura gli aveva fornito già debitamente attrezzato.

J.C. poteva ben immaginare come potesse apparire in canottiera e pantaloncini.

La sola idea gli diede il voltastomaco, ma non era così idiota da non capire quanto, invece, le donne notassero simili particolari.

Raggiunta la jeep per ultimo, John caricò la sua roba e si mise al volante mentre il collega, seduto al suo fianco, cominciò ad armeggiare con la radio. Mandy e Summer si accomodarono sui sedili posteriori, silenziose entrambe ed entrambe sul piede di guerra.

Oh, … che si fossero coalizzate?

Probabile, visto che la solidarietà femminile, in casi del genere, toccava livelli a dir poco preoccupanti.

Chissà cosa aveva raccontato Summ alla loro collega? Come lo aveva dipinto?

A giudicare dallo sguardo che Amanda gli lanciò dallo specchietto retrovisore, doveva sapere decisamente troppo, della loro chiacchierata.

Lagnandosi tra sé, si disse senza troppe speranze che, quella missione, sarebbe stata un vero inferno.

Avere a che fare con due donne incazzate era peggio, decisamente peggio che affrontare un vulcano attivo.

Non aveva alcun dubbio.
 


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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


Cap. 4
 
 
 
 
 
 
Scavare buche attorno al perimetro basale del Kilauea, posizionando i nuovi sismografi, non era un lavoro che, normalmente, le sarebbe piaciuto fare.

Data la situazione di totale furia in cui versava, però, dare colpi di badile al terreno vulcanico, era un ottimo modo per calmarsi.

O, per lo meno, per evitare di spaccare la testa a qualcuno in particolare.

Da quando in qua, doveva rendere conto a qualcuno del suo modo di vestire?

Se una persona non arrivava a capire che un abito non era indizio sufficiente per comprenderne un'altra, allora poteva andare all'inferno!

E proprio John, che la conosceva da anni, le aveva mosso una simile insinuazione.

Dio, proprio lui!

Lo stimava fin da prima di conoscerlo di persona, e solo per la nomea che aveva tra i vulcanologi di professione.

Quando aveva saputo che, una volta giunta al NOAA, avrebbe potuto lavorare al suo fianco, era stata entusiasta.

Il suo nome era sempre stato un vanto, tra i loro colleghi, e lei aveva accettato di lavorare per Big Mama anche, e soprattutto, per poter imparare da lui.

Quando infine lo aveva conosciuto, era rimasta suo malgrado ammaliata dalla sua sottile intelligenza e dal suo modo di fare così cameratesco.

Nel tempo si erano avvicinati, diventando amici sempre più legati tra loro e, più di una volta, Summer si era rivolta a lui quando le beghe di famiglia erano state troppo difficili da sopportare, per lei.

Aveva pianto sulla sua spalla, al funerale di Erin e, assieme a lui, aveva affrontato quei difficili mesi di distacco da una persona cara.

Quell’evento tragico le aveva riportato alla mente la perdita dei suoi genitori, e l’aiuto di J.C. era stato vitale, per non cadere nell’abisso della disperazione.

Il fatto di vedersi, e frequentarsi, anche fuori dal lavoro, l’aveva spinta a illudersi che John fosse diverso dagli altri uomini, che avesse visto oltre il suo modo spassionato e allegro di vivere la vita.

Invece no, era tale e quale agli altri.

Anche lui l'aveva giudicata una donna dai facili costumi, e solo perché non mascherava il suo corpo dietro falsi e ipocriti veli.

Un uomo poteva godere della vita, ed essere osannato per questo. Una donna, no. Lei, veniva denigrata.

Stupido mondo ipocrita e maschilista!

Lanciando uno sguardo omicida al di là dell'immensa caldera del Kilauea, che stava eruttando colate laviche rosso sangue, Summer imprecò tra i denti.

Un attimo dopo, afferrò il sismografo dalle mani di Mandy.

Quest’ultima, accaldata non meno della collega, sbuffò contrariata e, con rabbia, si scostò una ciocca castano scura dal viso.

“Se non fosse che dopo ce ne pentiremmo, non sarebbe male buttarli nella caldera. Ma poi sai che casino, con le autorità?”

Summer sogghignò sadica, grata che l’amica e collega avesse messo a parole ciò che anche lei stava pensando in quel momento.

“Siamo su un vulcano. Gli incidenti possono sempre succedere. Noi piangeremmo disperate la perdita dei nostri colleghi e, una volta tornate a Washington, festeggeremmo in privato.”

Amanda esplose in una risatina dichiaratamente complice e, annuendo nel settare i parametri del sismografo, ammise: “In effetti... non meriterebbero altro. E dire che pensavo che John fosse diverso!”

“Non dirlo a me!” sbottò l'altra, iniziando a ricoprire di terra il sismografo.

Dopo aver sistemato per bene anche l'ultima palata di terriccio, le due donne si allontanarono per posizionare in un sito riparato un nuovo rilevatore GPS, così da monitorare i movimenti del vulcano.

Quello vecchio, si era rotto durante un recente terremoto.

Erano procedure standard, niente più di quanto non avessero già fatto su mille altri vulcani, in altrettante missioni l'una identica all'altra.

Eppure Summer amava lavorare sul campo. (Tolto scavare buche).

Non era tanto il fuoco a chiamarla in quella missione, quanto la passione che aveva per quella speciale branca della scienza.

Il fatto che potesse percepire i movimenti del magma era solo un di più, un qualcosa che la aiutava a comprendere meglio ciò che studiava.

Non la fonte principale del suo amore per la vulcanologia.

Già prima che il suo dono si risvegliasse, aveva sempre amato guardare alla TV i servizi del National Geografic, che parlavano di vulcani ed eruzioni.

Quella forza dirompente della natura le dava emozioni, sensazioni irripetibili e, pur sapendo quanto questo potere fosse distruttivo e pericoloso, le era impossibile non restarne affascinata.

Anche in quel momento, nonostante tutto, si sentiva ammaliata da ciò che i suoi occhi potevano scorgere su quella cresta nera di roccia lavica, vecchia di anni e anni.

Gli zampilli scarlatti di lava erano spettacolari pur se sapeva che, scorti al chiaro di luna, assumevano una bellezza ancor più sopraffina e selvaggia.

Forse, se fossero stati fortunati, nei giorni seguenti avrebbero potuto assistere allo spettacolo affascinante del fiume di lava che si riversava nell'oceano.

Aveva già visto le nubi di vapor d’acqua che si formavano al contatto con l’acqua, ma era qualcosa che le piaceva sempre rivedere.

“Sai, molte ragazze, giù al NOAA, ti invidiano” le confessò ad un certo punto Amanda, scavalcando abilmente un masso arrotondato e ricurvo.

“Lo so” ammise Summer.

Le loro energie negative l'avevano raggiunta in più di un'occasione e, non senza una certa ironia, lei le aveva fagocitate senza rimorso alcuno. Dopotutto, lei ne era la vittima, perciò poteva banchettarci senza problemi!

“E non ti da fastidio?” le domandò la collega, tastando con un piede il terreno per sincerarsi che fosse abbastanza solido e stabile per posizionare il teodolite.

“A volte sì, a volte no. Dipende dai giorni. Di sicuro, il novanta percento di quel che pensano, e dicono, è frutto della fantasia loro e di coloro che per primi mettono in giro queste dicerie” borbottò Summ, tergendosi il viso con una mano.

Il vento spirava leggero da valle, ma non bastava ad eliminare la calura che regnava quel giorno sulle pendici di quel monte, tanto simile a un muffin.

Era davvero un vulcano anomalo, con la sua forma arrotondata, ma il Kilauea ce la metteva davvero tutta per ricordare a tutti quanto, in effetti, fosse efficiente quanto i suoi colleghi dalle forme più classiche.

“Che intendi dire?” volle sapere Mandy, aprendo le gambe del teodolite, controllando poi che fossero equidistanti tra loro e perfettamente in bolla con il terreno.

Summer ristette accanto alla collega per sincerarsi che l'attrezzo fosse nella posizione giusta.

Ciò fatto, controllò che sul palmare comparisse il segnale in radiofrequenza  del GPS. Quando lo vide apparire sulla cartina virtuale, spuntò la voce ‘GPS’ dall'agenda elettronica.

Ancora sette punti e, per quel giorno, avrebbero terminato.

Dopo aver sorseggiato un po' d'acqua dalla borraccia metallica, che teneva a tracolla, la vulcanologa si decise a dire: “Se fossi veramente stata con tutti gli uomini che hanno ammesso di essere stati con me, dovrei essere già morta da tempo. E, di sicuro, non mi metterei a giocare alla cavallina sul posto di lavoro. Big Mama mi avrebbe licenziata da tempo, se avesse scoperto che quel gira per i corridoi corrisponde a verità.”

“Giusto” ammise Mandy, accomodandosi su una roccia per godersi un momento di riposo, dopo la lunga sfacchinata su per il monte.

Summer la imitò.

“Quel che invece dicono le ragazze, sono speculazioni di ogni genere. Per lo più dettate dall'invidia, ma in buona parte perché le femmine sono notoriamente chiacchierone. E per quello, non ci sono santi che tengano.”

“In effetti...” ridacchiò la collega, annuendo a più riprese.

Scuotendo i riccioli legati in una coda di cavallo, Summ ammiccò complice.

“Ammettiamolo, siamo vipere per natura. Quindi, di che stupirsi? Ma con Big Mama sono stata chiara fin dall'inizio. Per qualunque cosa avesse sentito su di me, avrebbe dovuto parlarne innanzitutto con la sottoscritta. Non mi ha mai chiamata nel suo ufficio, per questo motivo, perciò è evidente che il nostro capo sia già abbastanza scaltro di suo per capire dove sta la verità.”

“Big Mama è una grande!” assentì con convinzione Amanda. “Quindi, devo supporre che tu abbia dato buca sia a Mike che a Gregory, oltre che a quel gonzo di Patrick.”

La vulcanologa fece tanto d'occhi nel sentir nominare Patrick e, accigliandosi non poco, ringhiò: “Quel bastardo! Non sapevo andasse in giro a dire che sono stata con lui! Questa è nuova, per me!”

“Oh, beh, l'ho sentito dire a Becky, e lei l’ha saputo da Suzanne. Insomma, i soliti giri” le spiegò con un sorriso di scuse la collega, vedendola infervorarsi.

“Beh, ci penserò su due volte, la prossima volta che vedrò un uomo piangere e disperarsi perché la moglie lo ha messo alla porta. Gli ho solo offerto una spalla su cui piangere, e lui... oh, guarda, in questo momento prenderei il primo essere dotato di pene, e lo farei a fettine sottili sottili!” sbottò Summer, levandosi in piedi con un diavolo per capello.

Amanda scoppiò a ridere e, nel lanciarle un’occhiata comprensiva, le confidò: “Io, in questi casi, mi sfogo con un dolcetto. Ne ho giusto uno nello zaino. Lo vuoi?”

“Quasi quasi...” mugugnò la donna, indecisa se del semplice zucchero potesse bastare per farle passare quell’attacco di nervosismo.

Quando, però, Mandy estrasse un bon-bon, a forma di stella al cioccolato fondente e con strisce di fondant bianco latte, Summer ansimò di piacere.

Con mosse studiate se lo mise sulla lingua, lasciando che le endorfine scivolassero nel suo corpo infuriato per chetarlo.

Il sapore leggermente amaro si sposò a meraviglia con il fondant e, nel masticarlo, mugolò deliziata quando il liquore al suo interno le invase la bocca, facendo esplodere le sue papille gustative.

Socchiusi gli occhi, la vulcanologa ansò: “Divino...”

Amanda ridacchiò nell'ingollarne uno a sua volta e, insieme, le due donne si lasciarono stravolgere i sensi da quell'autentica bomba calorica.

Quando anche l'ultimo granello di cioccolato fu scivolato lungo l'esofago, Summ scosse una mano di fronte al viso accaldato e, con un sorriso beato, esalò: “Oddio, potrei anche spingermi a dire che è meglio del sesso!”

La collega esplose in una gaia risata e, nel dare una pacca su un braccio alla donna dinanzi a sé, ridacchiò. “E detto da te, è una pubblicità incredibile!”

Lei allora rise di rimando e, nel piegarsi per il gran divertimento, mormorò senza fiato: “Ci crederesti se ti dico che è quasi un anno che non faccio sesso?”

Mandy si bloccò di botto e, fissandola con occhi stralunati, mosse la bocca per parlare, ma nulla ne uscì.

La collega, ben comprendendo la sua confusione, disse più seriamente: “Per la precisione, sono undici mesi e sette giorni.”

“Tieni... il conto?” bofonchiò l’altra, strabuzzando gli occhi mori.

Con una scrollata di spalle, Summer annuì e Amanda, scosso il capo, chiosò: “Non ho davvero parole.”

“Lo so, mi faccio schifo da sola” ammise l’altra, ghignando.

“Non intendevo quello!” esplose Mandy, lasciandosi andare ad un nuovo attacco di risate. “Volevo dire... non ne avevo idea. Nessuno ti ha colpita, in questo periodo?”

“Per la verità, è il contrario. Qualcuno mi ha colpita, per questo sono in astinenza, ma... beh... insomma...”

Sbuffando indispettita quando si rese conto di stare balbettando, Summer si levò in piedi e, passeggiando nervosamente avanti e indietro, mugugnò: “E' una cosa che mi fa saltare i nervi. Finalmente trovo qualcuno che mi interessa davvero, e divento un blocco di marmo. Mi spaventa persino l'idea di approcciare l'argomento!”

“Oh, oh,... allora è una cosa seria!” esclamò la collega, ora sinceramente sorpresa.

Tutto avrebbe pensato, tranne che la tanto solare e sexy Summer Hamilton potesse avere dei problemi a relazionarsi con un uomo.

Certo, aveva dato per scontato anche da sola che tutte le chiacchiere che giravano su di lei dovevano essere, per la maggior parte, gonfiate ad arte.

Ma, da lì a pensare che potesse addirittura imbarazzarsi di fronte a un maschio... beh, era una notizia non da poco.

Sempre più agitata, la vulcanologa gesticolò a più riprese, esalando infastidita: “Cioè, ti rendi conto? Non è che ho diciotto anni e sono alle prime armi, con gli uomini! No, penso di essere piuttosto brava nelle relazioni interpersonali e, per quanto riguarda la parlantina, non è un caso se Win mi chiama Radio BlaBla da una vita. Quindi, perché cavolo dovrei evitare di parlare di sesso con lui?”

“Perché ti interessa davvero, e non vuoi bruciare le tappe?” ipotizzò Mandy, scrutandola con comprensione.

E così, Summer Hamilton era infine caduta? Quanti maschi avrebbero pianto un simile evento? Parecchi, ne era sicura.

“Non lo so, forse. Ma la cosa mi fa infuriare, soprattutto quanto lui pensa che io non sia niente più di quello che posso sembrare” sbottò la vulcanologa, dando un calcio ben piazzato a un ciottolo.

Il sasso lavico rimbalzò sulle sporgenze rocciose rotolando lungo il crinale e Amanda, accentuando il suo sorriso, mormorò: “Cioè, un bell'involucro di carne, con tanto di confezione regalo?”

“Precisamente” sibilò la donna, esplodendo subito dopo in una sentita imprecazione. “E' davvero così atroce essere ciò che sono? Perché devo nascondermi dietro false ipocrisie, se Madre Natura mi ha fatta così?”

“Perché siamo in un mondo imperfetto in cui esiste il cinismo, la gelosia e la malafede? E, soprattutto, perché siamo in un mondo in cui, chi governa, è dotato di pene?” ironizzò a quel punto l'altra, ammiccando all'indirizzo di Summer, che ridacchiò.

Mandy la seguì in quella risata liberatoria e la vulcanologa, tornando a sedersi dinanzi alla collega, poggiò i gomiti sulle cosce esalando: “So che hai perfettamente ragione, so che il mio modo di comportarmi invoglia a pensare che io sia una ragazza leggera ma... giuro, non lo faccio apposta! Mi viene naturale!”

“Se lo facessi apposta, allora saresti veramente una ragazza leggera, ti pare?” le fece notare Amanda, strizzandole l'occhio con fare complice.

“Già” ammise Summer, scrollando le spalle.

“E' difficile non guardarti e, più ancora, non credere che il tuo modo di fare non sia studiato solo e unicamente per attirare gli uomini” ammise senza remore la collega, intrecciando le mani con aria meditabonda. “La prima volta che ti ho vista, mi sono detta che, con te, Dio era stato fin troppo generoso. Sono stata gelosa di te per circa venti minuti ma poi, quando mi hai rivolto la parola e ho iniziato a capire com'eri, la gelosia è stata soppiantata dalla simpatia e, sì, dal dispiacere.”

Sinceramente sorpresa, Summ la scrutò in cerca di spiegazioni e la donna, senza farsi attendere, le spiegò cosa avesse voluto dire con quelle parole. “Vedevo come gli altri, e le altre, ti guardavano, e mi spiaceva per te perché si soffermavano alla superficie, senza tentare minimamente di scoprire com'eri davvero.”

“Va detto che neppure io ho mai lasciato molto spazio ai loro tentativi di intrusione” sospirò Summer, reclinando il capo.

“Ammettiamolo, a parte pochissime persone, nessuno ci ha mai realmente provato” borbottò l'altra, intrecciando le braccia con aria scocciata.

La vulcanologa allora le sorrise sinceramente lieta e, nell'allungarle una mano, mormorò: “Ti sono davvero grata, Mandy, per le tue parole. Mi hanno tirata su di morale.”

“Tu sei stata l'unica a confortarmi quando Bright è morto, perciò sono io che dovrei ringraziare te” replicò la collega, con un nodo alla gola, lappandosi nervosamente le labbra.

“Oh, Amanda” sospirò la vulcanologa, alzandosi solo per abbracciarla con calore e stringerla a sé per assorbirne le dolenti lacrime silenziose.

Sapeva bene quanto quella morte l'avesse colpita e lasciata del tutto svuotata, perché l'idea di aver lasciato partire Bright per il Giappone, senza avergli mai confessato il suo amore, l'aveva fatta sentire sciocca.

Lo tsunami che aveva colpito le coste nipponiche aveva spazzato via tutto; sogni, speranze, possibilità, lasciandola sola con il suo dolore e la sua rabbia.

Si era sempre limitata a rimanere nell'ombra, la timida amica pronta ogni volta a spalleggiarlo, ma non si era mai convinta di poter interessargli anche come donna.

E, da codarda, non si era mai dichiarata.

Poi era giunta la notizia del terremoto, dell’onda di tsunami che aveva colpito la costa, di tutte quelle morti, e lei era crollata, le lacrime come uniche compagne al suo dolore scomposto e violento.

Summer l'aveva trovata così, accucciata in un angolo nascosto delle scale di servizio, gli occhi pesti e rossi, il viso che tradiva un dolore cocente e le labbra che, incessanti, lasciavano correre fuori all'infinito il nome di Bright.

Il suo strazio l'aveva chiamata come una falena con la fiamma e, quando la Pirocinetica si era accucciata accanto a lei per consolarla, le aveva chiesto gentilmente il perché di quelle lacrime.

Il segreto di Amanda era così emerso alla luce, scioccando la stessa Summer.

Se avesse avuto il dono del nipote, non avrebbe mai dovuto domandarle nulla, ma percependo solo il suo strazio, si era dovuta affidare alle parole, per sapere.

E così, la Dominatrice del Fuoco era venuta a conoscenza dell’amore mai dichiarato di Mandy per Bright, dei suoi lunghi silenzi e della convinzione di essersi comportata da stupida.

Mai come quella volta, Summ era stata lieta di possedere quel particolare dono, in grado di bruciare poco per volta le forti emozioni provate da chi le stava accanto.

Nel giro di poco tempo, era riuscita a fagocitare tutti i sentimenti più negativi provati da Mandy, lasciandole solo il dolce sapore di un amore tenero e platonico.

In silenzio, l'aveva riaccompagnata a casa, le aveva rimboccato le coperte e aveva atteso al suo fianco che si addormentasse e, solo quando era stata sicura che la collega si fosse addormentata, aveva pianto.

Le lacrime le erano giunte spontanee, perché non era potuta intervenire per bloccare il terremoto, come Winter non aveva potuto far nulla per chetare le onde di tsunami.

Nessuno di loro poteva impedire alla Madre di agire, anche quando c’erano di mezzo così tante vite.

Era la parte di più difficile da sopportare, quella.

Ricordare quei momenti fece tremare il corpo solido di Summer che, stringendo maggiormente a sé l'amica, sussurrò tra i suoi capelli: “Ci sarò sempre, ricordalo.”

“Lo so. Ormai l'ho imparato. Ho visto cosa c'è dentro la scatola.”

La donna le sorrise, scostandosi dalla collega per tergere ad entrambe le lacrime che erano scivolate sulle loro gote.

Ridacchiando imbarazzata, Summ esalò: “Beh, e dire che non ho neppure il ciclo!”

Mandy sghignazzò a quel commento, e celiò: “Poco importa. Possiamo essere lunatiche e piagnone in qualsiasi periodo dell'anno.”

“Vero” sentenziò l’altra, levandosi in piedi e tirando su con lei anche la collega. “E ora, sarà meglio che ci rimettiamo al lavoro, o quegli altri due finiranno prima di noi.”

“Non sia mai!” esclamò allora la donna, riprendendo in mano il suo zaino.

Summer la seguì con un rinnovato sorriso sul volto.

 
¤¤¤

Il margarita era piacevolmente fresco sul palato e, quando ne ingollò un altro sorso, ripiegò leggermente  il collo per godesi appieno il suo passaggio.

Lo adorava, e il modo in cui il barman dell'albergo lo preparava, era divino.

Seduta a gambe accavallate su uno degli sgabelli del piano bar, Summer si stava godendo la frescura della serata.

Le persiane, aperte sul giardino in stile giapponese, lasciavano penetrare i profumi intensi dei fiori notturni, inebriandola.

Con un sorriso deliziato, ordinò un secondo drink al giovane barista.

Con le infradito ai piedi, e un lungo caffettano in leggero cotone bianco a ricami neri e rossi, stretto in vita da una cordella nera intrecciata, Summ appariva davvero diversa dal solito.

Quel genere di abiti, li indossava quando era sola in casa e doveva sbrigare dei lavoretti, ma quella sera non se l'era proprio sentita di tirarsi a lucido.

Visto che veniva travisata ogni qualvolta indossava un paio di tacchi, che andassero al diavolo tutti e se la bevessero così! Non stava loro bene? Al diavolo due volte!

Piegando il capo di lato per inquadrare il barman dietro il bancone in marmo, Summer gli sorrise deliziata e mormorò: “Dovresti chiedere un aumento. I tuoi margarita sono buonissimi.”

Il giovane – poco più che ventenne – sorrise deliziato a quel complimento e, nel sistemare un bicchiere nel relativo scomparto, mormorò: “E' davvero gentile, Dottoressa Hamilton. Ho cominciato da poco, ma sapere che sto facendo un buon lavoro mi fa piacere.”

Volgendosi ora completamente verso di lui, la donna ne studiò le emozioni superficiali – era eccitato e, sì, orgoglioso – e, con un mezzo sorriso, replicò: “Beh, non si direbbe che sei alle prime armi. Se vuoi una lettera di merito da parte di una cliente, te la farò ben volentieri.”

Ora il viso del giovane si imporporò e, proprio in quel mentre, il gestore dell'albergo si presentò al piano bar per controllare che tutto stesse procedendo bene.

Al momento, gli avventori del locale erano ancora pochi – la cena si sarebbe tenuta solo da lì a mezz'ora, e molti erano ancora in spiaggia.

Quando l'uomo, in giacca e cravatta chiare, vide Summer e, soprattutto, il sorrisone del suo barman, si avvicinò curioso.

“Buonasera, dottoressa. Tutto bene, qui?” si informò il direttore, poggiando con noncuranza un braccio sul bancone di marmo nero.

“Tutto benissimo. Stavo giusto facendo i miei complimenti a Kamui per i suoi margarita. Mai assaggiati di così buoni. Ha talento, il ragazzo, e io non me lo lascerei sfuggire” gli spiegò Summer, strizzando l'occhio al giovane, che ridacchiò imbarazzato.

L'uomo, incuriosito da quello scambio di sguardi, lanciò un'occhiata al suo dipendente prima di chiedere alla cliente: “Dice davvero, dottoressa?”

“Eccome!” esclamò lei, con convinzione. “Non mi spreco mai in complimenti se non sono veritieri, mi creda, e qui c'è del talento.”

Ora ringalluzzito da quelle parole, il titolare sorrise più convinto a Kamui e, nel rivolgersi alla cliente, mormorò: “Beh, detto da lei, dottoressa, è un ottimo biglietto da visita.”

“Ne ero convinta” ammise la donna, sfruttando il suo fascino a tutto vantaggio del barman.

Sfoderando un sorriso morbido e malizioso, aggiunse: “Lo legherei al bar con un bel contratto corredato da tanti zeri, Mr Omaua, perché Kamui potrebbe diventare, nel giro di pochissimo, il suo fiore all'occhiello. Lo guardi. E’ giovane, piacente, ci sa fare con la clientela, e i suoi drink sono eccezionali. Il piano bar non avrebbe che da acquistarne in profitti, e poco importa se non ha molta esperienza. Qui, vedo un futuro brillante.”

Il viso del barman, se possibile, divenne di almeno quattro colorazioni diverse nel giro di pochi attimi.

Summer, sorridendogli comprensiva, gli batté una mano sulla spalla esalando: “Oh, cielo, scusami Kamui, non dovevo parlare come se non ci fossi!”

“No, no, non fa nulla, Miss! Erano tutti bellissimi complimenti!” replicò lesto il giovane, pur arrossendo.

Mr Omaua soppesò cautamente le parole della donna, ma il suo sguardo non mollò la presa dal giovane neppure un attimo, durante il proseguo della serata.

Quando la vulcanologa si allontanò per raggiungere la sala da pranzo, fu quasi sicura che il barman avrebbe avuto il suo contratto. E l’aumento.

Non appena la donna ebbe raggiunto il suo tavolo, vi trovò già J.C. ad attenderla.

Quando la vide abbigliata con quella mise decisamente insolita, sollevò un sopracciglio senza però dire nulla in merito.

Come suo solito, si levò in piedi per scostarle la sedia – era un gesto automatico, tra loro, ormai – ma Summer, bloccatolo con un cenno della mano, mormorò: “Faccio da sola, grazie.”

Storcendo il naso di fronte a quel rifiuto composto ed educato quanto gelido, John tornò ad accomodarsi con gesti vagamente forzati.

Dubbioso, le domandò: “Sei ancora incazzata con me?”

“Da quando le mie incazzature durano più di una notte?” replicò lei, con tono querulo.

Sbuffando, l’uomo allora mugugnò: “Sei incazzata. Varrebbe qualcosa farti sapere che mi sono sentito un verme per tutta la notte e che, anche oggi, mi sono sentito uno stronzo di prima categoria?”

Un mezzo sorriso stampato in faccia, Summer giocherellò con un ricciolo rubato dalla coda di cavallo, che si era fatta quella sera e, con una vocetta infantile, miagolò: “Può essere.”

“E piantala!” ridacchiò suo malgrado J.C.

Summ allora gli fece la linguaccia e John seppe subito che, a tutti gli effetti, l'amica l'aveva perdonato o che, quanto meno, era in fase di perdono.

“Il caffettano, perché?” le domandò a quel punto lui, curioso. “Sono almeno due anni che non ti vedo indosso un aggeggio del genere.”

Rammentando troppo tardi che, a tutti gli effetti, John l'aveva già vista abbigliata a quel modo, lei sbuffò accigliata: “Devo sempre mettermi i tacchi a spillo, quando vengo a tavola?”

“No, per niente. Anzi, trovo che questo sia più comodo di certi abiti che indossi di solito. Ma, per evitare gaffe, non mi inoltrerò oltre, e dirò semplicemente che è un bel capo.”

Ciò detto, le servì del vino bianco e così fece subito dopo per se stesso.

Dubbiosa su come rispondergli, Summer si vide costretta a rimanere zitta quando vide giungere alla spicciolata anche Amanda e Mike, quella sera particolarmente elegante, tirato a lucido e sorridente.

Il sorriso del sismologo, però, si smorzò appena quando vide l'abbigliamento di Summer.

Nel sedersi al loro tavolo, l’uomo mugugnò contrariato: “E io che ti volevo invitare a ballare!”

“Caschi male” si limitò a dire lei, sorridendo poi complice all'amica. “Pronta per stasera, Mandy?”

“Eccome!” ridacchiò la donna, sistemandosi il tovagliolo sulle gambe con aria soddisfatta.

Un attimo dopo, squadrò Mike e precisò: “Uscita per sole donne, mi spiace.”

Con sempre maggiore ironia, Summer sottolineò: “Io e Mandy parteciperemo a una celebrazione per sole donne dedicata alla dea Pele. Ah, sarà uno spasso!”

Mike fece davvero una fatica tremenda a non diventare paonazzo di rabbia, ma John non vi fece caso.

L'unica cosa che notò fu lo sguardo di complicità tra le due donne.

Evidentemente, quel pomeriggio doveva essere successo qualcosa che le aveva unite davvero molto e questo, in qualche modo, lo infastidì.

Sapeva che Summer e Amanda erano amiche, ma aveva sempre pensato che l'amico speciale della vulcanologa fosse lui.

Scoprire che questa esclusività non era poi così scontata, o vera, gli diede noia.

E non appena se ne rese conto, si diede dell'idiota.

Da quando in qua Summ doveva essere solo e unicamente sua?

Per tutta la durata della cena, John cercò di non risentirsi dell'apparente comunione tra le due donne.

Pur se la cosa gli diede un sacco fastidio, comunque, non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione di essere stato gabbato.

Quando infine Summer e Amanda si allontanarono a braccetto, lasciandoli con un palmo di naso, J.C. non poté far altro che guardare rassegnato Mike e chiosare: “Andiamo anche noi?”

“Andremo a caccia assieme” scrollò le spalle l'uomo, levandosi in piedi con grazia e, al tempo stesso, con estremo cipiglio.

Era chiaro quanto anche Mike fosse rimasto spiazzato dalla mossa di Summer.

Non che, nel caso specifico, non gli facesse piacere.

L'idea di loro due assieme gli faceva ancora venire i sudori freddi, perciò saperlo a bocca asciutta non poteva che farlo sentire bene. Da lì a manifestare una simile gioia, però, ce ne correva.

Non era così stupido.

Non così tanto, per lo meno.

 
¤¤¤

Ridendo sguaiate mentre si dirigevano a una delle spiagge della zona, Summer e Amanda si asciugarono lacrime di ilarità e compiacimento.

Nel raggiungere un altro gruppo di donne, esalarono quasi all'unisono: “Che facce che avevano!”

“Impagabili!” aggiunse Summ, passandosi una mano sulla fronte con aria divertita.

“Erano così sconvolti che, se le mascelle avessero potuto, si sarebbero scardinate!” rise allegra Mandy.

Levata una mano per farsi vedere dalla sacerdotessa locale del culto di Pele, Summ mormorò all'amica: “Giuro, non mi sono mai divertita tanto.”

“Anch'io” assentì la collega, prima di guardarsi intorno curiosa e domandarle: “In cosa consiste, di preciso, questa cerimonia?”

Salutata ossequiosamente la sacerdotessa, Summ le spiegò in breve: “La dea Pele non è solo la signora del fuoco, ma anche della creazione e della distruzione. Visto che noi lavoriamo sul vulcano, ho pensato fosse giusto farci benedire. Inoltre, come vedi, ci sono anche un sacco di donne incinte.”

“E' vero” annuì l'amica, vagamente sorpresa.

“Vengono qui a pregare Pele perché benedica i loro bambini prima della nascita” mormorò Summer, giungendo le mani di fronte ad una statua lignea della dea.

Déan peataireacht ar1... Mia Signora...”

Amanda, come sempre, rimase particolarmente colpita dal modo di parlare dell’amica.

Sapeva da anni che era di origini irlandesi, ma era strano sentirla parlare in gaelico, perché assumeva di colpo un'espressione diversa, distante, mistica.

Era come se, tornando all'antico idioma, emergesse una donna che, solitamente, rimaneva ben nascosta e protetta dal mondo.

Ma quel che più la colpì, in quel momento, fu il possente fuoco acceso sulla spiaggia.

Sfrigolò selvaggio alle parole dell'amica e, un attimo dopo, tornò ad ardere normalmente, come se lei se lo fosse solo sognato.

Mandy sbatté confusa le palpebre e, già sul punto di chiedere spiegazioni all'amica, si ritrovò ad ammutolire quando la sacerdotessa di Pele la prese da parte.

E cominciò a parlare fittamente con lei... in gaelico.

Curioso.

Amanda non sapeva che la collega avesse dei parenti sull'isola ma, di sicuro, quella donna non le somigliava per niente, con i suoi caldi occhi a mandorla e il volto dai tratti orientali.

Una donna in avanzato stato di gravidanza la affiancò e, sorridendole, la condusse con sé, tenendola gentilmente per un braccio.

“Vieni con noi, mentre la nostra sacerdotessa si prepara per il rito. Dobbiamo tutte bere l'acqua della fonte sacra.”

“Oh,... bene” assentì Amanda, seguendola docile mentre Summer continuava a parlare a più riprese con la sacerdotessa.

Era più che evidente che le due si conoscevano ma... perché?

Sedutasi infine su un comodo cuscino ricamato, Mandy bevve da una ciotola ricavata da un guscio di noce di cocco e, nell'assaggiare la fresca e deliziosa acqua di fonte, sospirò deliziata.

In quel mentre, un leggero canto hawaiiano si levò tra le presenti e, pur non comprendendo una sola parola,  la scienziata ne rimase affascinata.

C'era un che di mistico, in quelle parole incomprensibili, oltre a un vago tono ossequioso.

E, di sicuro, favorirono l'entrata in scena delle ballerine che, con abiti nei toni del rosso e dell’oro, iniziarono a danzare attorno al fuoco come fiamme libere e selvagge.

Tra loro, Amanda vide Summer, che svettava per altezza e bellezza di movimenti.

I capelli ora sciolti, e liberi di fluttuare come le fiamme, Summ si mosse a tempo con i tamburi che avevano preso a suonare alle loro spalle.

Con il fiorire del canto e della musica, anche i movimenti delle ballerine si fecero più frenetici.

Incatenata a quella magnifica danza ancestrale, Mandy non riuscì in alcun modo a distogliere lo sguardo e, quando l'amica rimase infine sola a danzare dinanzi al fuoco, non poté che sorridere affascinata.

I suoi movimenti ipnotici imitarono alla perfezione la danza delle fiamme alle sue spalle, quasi stessero ballando ritmicamente assieme, guidate dalla stessa mano.

Una dopo l'altra, le donne attorno al fuoco iniziarono a battere le mani per accompagnare il ritmo della danza di Summer.

Sempre più frenetica, iniziò a piroettare su se stessa e attorno al falò, gettando ad ogni rivoluzione un nuovo ciocco di legna tra le alte lingue di fuoco.

Le fiamme sfrigolarono ad ogni suo passaggio, arrampicandosi sinuose verso l'alto mentre la musica, sempre più convulsa, costrinse la donna ad affrettare i suoi passi.

Quando musica e ballerina raggiunsero un ritmo sincopato, tutto tacque di colpo e Summer, come una marionetta dai fili recisi, crollò di fronte al fuoco in totale prostrazione.

Questo scatenò uno scroscio spontaneo di applausi, a cui si unì anche Mandy che, con foga, batté le mani fin quasi a farsi male.

Accompagnate dagli applausi, le ballerine e la vulcanologa si allinearono infine una dopo l’altra sul palco improvvisato, e ricevettero il loro degno omaggio.

Inchinatesi all'unisono, le danzatrici corsero via in un coro di risolini sommessi mentre Summer, crollando a sedere accanto alla collega, sospirò stancamente: “Ebbene? Ti è piaciuto?”

Con gli occhi ancora accesi dal fervore con cui aveva seguito lo spettacolo, Amanda annuì a più riprese ed esalò: “E' stato bellissimo! Dio, pensavo che tu e le fiamme foste una cosa sola! Meraviglioso! Non sapevo che sapessi danzare così bene. L'hai fatto altre volte, immagino.”

“Ogni qualvolta vengo qui. Io e Samara ci conosciamo bene” le spiegò l’altra, lanciando un'occhiata alla sacerdotessa di Pele, che le sorrise compiaciuta.

“Non ho potuto fare a meno di notare che ti parlava in gaelico... ma non penso sia tua parente” si informò gentilmente la collega, scrutando distrattamente l'arrivo delle ballerine con abiti più consoni alla serata.

Ridendo sommessamente, l'amica scosse il capo.

“No, non siamo parenti. Ma le piace parlare gaelico così, quando può avermi qui, non fa che usarlo. Diversamente, ci parliamo su Skype, ma non è così divertente.”

In qualche modo, Amanda ci rimase male. Sperava suo malgrado ci fosse qualche motivo mistico, alle spalle, ma si era chiaramente sbagliata.

Di certo, Summ non poteva dire alla collega che l'unico, vero  motivo per cui Samara le aveva parlato in gaelico era per portarle rispetto.

La donna era infatti una delle poche persone, al di fuori della sua famiglia, a conoscere il segreto degli Hamilton.

L'uso del gaelico era una forma di rispetto dovuta a lei e alla sua intera famiglia, ed era anche l'unico motivo per cui Summer era stata ammessa nel circolo delle ballerine, solitamente formato solo da isolane.

Era grata di avere almeno Samara, al di fuori del cerchio ristretto della sua famiglia, con cui parlare apertamente di ciò che era.

Certo, c’era anche Big Mama, ma con lei non aveva lo stesso cameratismo che aveva con l’amica.

E poter discutere anche con un'altra sacerdotessa del culto del fuoco, era un piacere cui non avrebbe mai rinunciato.

Se l'avesse saputo la nonna, probabilmente avrebbe dato di matto, ma a lei poco importava.

Samara era stata così percettiva da averla riconosciuta al primo sguardo, e lei non aveva voluto mentirle, quando l'aveva chiamata bhean dóiteáin2.

Con Amanda, non poteva permettersi questo lusso.

Per quanto fosse una brava ragazza, per quanto la stimasse come collega, sapeva per cosa certa che non avrebbe mai accettato quel lato di lei.

Quello, era un segreto per pochi eletti.

Davvero pochissimi.
 
 
 
 
 
_________________________
1 Déan peataireacht ar (gaelico irlandese): Più o meno, significa Madre protettrice.
2 bhean dóiteáin (gaelico irlandese): Significa donna di fuoco.

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


Cap. 5
 
 
 
 
 
 
Detestava le maschere antigas ma, più ancora, detestava le esalazioni di acido solforico emesse dalla bocca del vulcano che, a poche centinaia di iarde, vomitava colate laviche in continuazione.

Instancabile come un’ape operaia, il Kilauea proseguiva nella sua opera di distruzione e rigenerazione della terra, giorno dopo giorno.

Laddove veniva bruciato qualcosa, nel giro di pochi anni sarebbero cresciute nuove piante e, poco per volta, l'isola sarebbe cresciuta sotto i piedi degli hawaiiani, colata dopo colata.

Era un processo lento e veloce al tempo stesso.

Per le vite degli esseri umani, tutto si svolgeva con lentezza quasi esasperante ma, per l'isola, era un processo veloce, come se qualcuno avesse pigiato il tasto fast forward su uno stereo.

Passandosi una mano sulla fronte accaldata, i capelli stretti in una treccia ma che, ugualmente, le facevano un caldo cane in testa, Summer ringhiò: “Odio prelevare campioni dalla bocca del vulcano. Con tutta me stessa.”

“Ringrazia il cielo di non doverlo fare sul Galeras in fase eruttiva. E' tutt'altra faccenda” ridacchiò a poca distanza John, armeggiando con una lunga pinza in acciaio rinforzato.

Una goccia di magma risalì dal fiume di lava incandescente, appiccicata alla pinza come una cozza allo scoglio.

Con molta attenzione, l'uomo la riversò nel contenitore ignifugo prima di allontanarsi cautamente dalla zona di pericolo.

La donna lo imitò, prelevando un'eguale quantità di lava poco più avanti, in un canalone diverso.

Quella era sempre la parte più pericolosa e, pur se per lei contava quanto una passeggiata tra i boschi, era fin troppo conscia che, per i suoi colleghi, non era così.

Se uno di loro fosse finito nel fiume di magma, non ci sarebbe stato scampo, né possibilità alcuna di prestare aiuto.

Le carni si sarebbero bruciate all'istante e il dolore sarebbe stato immane, mostruoso.

Anche con il suo potere, non avrebbe potuto fare nulla.

Certo, se la cosa fosse successa a lei, il tutto si sarebbe svolto in modo molto diverso. Lei si sarebbe limitata a nuotarci dentro e risalire a riva come se nulla fosse.

Ma non era certo un'esperienza che voleva intraprendere con dei testimoni.

Ugualmente, era in ansia per le parole di Brigidh. Quale evento migliore, per perdere qualcuno, se non cadere in un fiume di lava?

Non era un caso se si era offerta spontaneamente di accompagnare John sul vulcano, mentre Amanda e Mike erano impegnati con i primi rilievi in 3D, offerti dai GPS montati un paio di giorni prima.

Aveva il terrore che potesse capitargli qualcosa e, indipendentemente dalla loro lite, lei doveva pensare a proteggerlo.

I suoi colleghi erano in zone più sicure, quindi sperava ardentemente che questo potesse bastare per tenerli al sicuro.

Ma, per ogni evenienza, aveva pregato Autumn di tenerli sotto controllo.

Cosa le sarebbe costata quella consulenza, non era dato sapere, ma preferiva rimetterci personalmente piuttosto che sapere di non aver fatto abbastanza.

Camminando con destrezza su vecchie colate laviche di un bel nero lucido, Summer ne studiò le onde raggrinzite simili a rughe di un vecchio centenario.

Con un mezzo sorriso, ne sfiorò la ruvida superficie con una mano.

Nonostante si trovasse a pochi passi da un fiume di lava, lì il terreno era a malapena tiepido e non risentiva minimamente della presenza di una fonte di calore così dirompente.

Molti avevano timore dei vulcani, arrivavano perfino a odiarli, ma Summ non era di quell'avviso.

Certo, sapeva quanto fossero pericolosi e mortali, a volte.

Ma erano loro che avevano contribuito a creare la vita sulla Terra e che, come valvole di sfogo, permettevano all'intero pianeta di non esplodere.

Portavano morte e nuova vita, in un ciclo continuo e inesauribile e, con la loro forza, modificavano il clima, i territori,
l'intero mondo.

Non era una cosa da poco e, pur nella loro violenza, lei li ammirava.

Li amava.

Volgendo lo sguardo verso il suo compagno di lavoro, sorrise mesta e scosse il capo.

Amava anche lui, con tutta se stessa, ma era un sentimento che non poteva esternare con leggerezza. Non lei, per lo meno.

Teneva troppo all'amicizia di J.C., e spiattellargli in faccia una cosa simile avrebbe rischiato di rovinare tutto, di recidere i legami che li univano.

E questo l'avrebbe uccisa.

Inoltre, c'era il problema non indifferente del suo piccolo, quanto mostruoso segreto.

Come avrebbe fatto ad ammettere con lui di essere una plasmatrice del fuoco, di poter generare dal nulla le fiamme, di essere in grado di avvertire come niente fosse i movimenti magmatici di tutto il pianeta?

Non era un argomento che poteva toccare con leggerezza, e dubitava che John le avrebbe creduto.

Circa un anno prima, durante un pranzo in famiglia a casa di John – al quale era stata invitata assieme a Spring, Winter e Malcolm – Summer aveva parlato con Angelique della storia della loro famiglia.

Quel che era venuta a sapere l'aveva sconvolta. E preoccupata.

Non si era mai resa conto del potenziale mistico insito nel sangue di John.

Angelique, nell'ammettere quanto il figlio l'avesse delusa in merito, le aveva spiegato di come John si fosse ribellato al suo retaggio, chiudendosi fuori dal mondo degli spiriti.

Ciò aveva creato barriere così forti, e imponenti, da renderlo cieco e sordo al misticismo che lo circondava e Summer, nell'apprendere tutto ciò, era rimasta senza parole.

La madre di J.C. le aveva sfiorato una mano e, gentilmente, le aveva confidato di sentire in lei un'anima molto forte e antica.

Come semplice Iniziata, non era riuscita a percepire altro, ma saperla assieme al figlio l’aveva resa lieta.

All'epoca, Summ aveva dato poco peso a quelle parole, limitandosi a prenderle come un complimento generoso e poco altro.

Ma, su quella cima di monte, nel bel mezzo di un pericolo incombente, lei tremò.

Sperava di tutto cuore che quel ricordo improvviso non significasse qualcosa, e che il predestinato intravisto nella visione di zia Brigidh non fosse proprio John.

Sarebbe morta, se gli fosse successo qualcosa.

“John” lo chiamò a mezza voce Summer, rialzandosi in piedi per raggiungerlo.

“Dimmi, Summ.”

“Cominciamo a scendere. Qui abbiamo preso campioni a sufficienza” gli disse,  iniziando a raccogliere le borse contenenti i barattoli sigillati con la lava all'interno.

“D'accordo. In effetti, l'aria comincia a farsi veramente puzzolente, e non credo che i filtri delle maschere resisteranno ancora per molto” assentì l'uomo, imitandola. “Inoltre, per toglierci di dosso l'odore di zolfo che abbiamo sui vestiti e la pelle, ci
vorranno ore.”

“Mi farò una nuotata prima di cena, questo è sicuro. Non sono ancora riuscita ad andare in spiaggia!” brontolò la donna, mettendosi a tracolla una delle sacche.

“Se non mi giudichi un maschilista pervertito, vorrei unirmi a te” ironizzò lui, seguendola lungo il sentiero che avevano imboccato per raggiungere le pendici del Kilauea.

Summer scoppiò a ridere di gusto e, con noncuranza, asserì: “Guarda che la spiaggia è di tutti, J.C.. Mica devi chiedermi il permesso per andarci, sai?”

“Non si sa mai. Ti ho fatta arrabbiare, e non voglio che la cosa si ripeta, perciò camminerò sulle uova ancora per un po', se non ti da fastidio” ridacchiò John, camminando spedito lungo il sentiero.

“Hai almeno capito di aver detto una stronzata?” gli domandò lei, curiosa.

“Eccome! Non avrei dovuto essere così superficiale, e lo so. Ti conosco, perciò dovrei sapere benissimo come sei, eppure a volte ci ricasco. Sarà la presenza di Mike a guastarmi il cervello. Ha un effetto deleterio su di me” brontolò l'uomo,
scuotendo irritato il capo.

“Siete andati a caccia, l'altra sera?” si informò lei, togliendosi la maschera non appena furono all'esterno delle nubi solforose della vetta.

Imitatala, John se la tenne al collo e mormorò infastidito: “Ho avuto la malsana idea di andargli dietro in discoteca... ed è stato un incubo. Dio, quell'uomo ha bisogno di bromuro con effetto immediato! Penso sia andato in bagno a scoparsi mezzo corpo di ballo.”

Sghignazzando,  la donna esalò: “E aveva ancora la forza di lavorare, il giorno dopo? Ha energia da vendere!”

“Bah, non è che fosse granché in forma, a dirla tutta” sbottò J.C., fissandola bieco e con un sogghigno maligno stampato sul volto.

“Non ho detto che voglio sperimentare di persona, John” ironizzò Summer, dandogli una pacca sul torace per calmarne i bollenti spiriti.

“Diciamo che mi deluderesti molto, se lo facessi. Dimostreresti di non avere buon gusto, e so benissimo che ce l'hai” precisò lui, sperando di non andare a cacciarsi nuovamente nei guai.

“Oh... quindi Mike non merita? E perché? Ora sono curiosa” celiò la donna, ammiccando maliziosa.

Aggrottando la fronte, John mugugnò: “E' una domanda trabocchetto, o devo rispondere?”

Picchiettandosi un dito sul mento con fare pensoso, Summ alla fine dichiarò: “Allora, partendo dal presupposto che non ci andrei a letto perché è un borioso figlio di puttana, … ci sono altri motivi per cui dovrei evitarlo?”

“Beh, tolto il carattere di merda...” iniziò col dire John, trovando assurdo doversi muovere su un terreno così accidentato come il sesso, e con lei, per giunta. “... ce l'ha piccolo.”

Lei si fermò di botto, bloccandosi a metà di un passo prima di fissare apertamente scioccata l'amico, sgranando i suoi begli occhioni da gatta.

Un attimo dopo, le guance della donna si gonfiarono, il viso divenne paonazzo e, come un vulcano esplosivo, la risata della donna sgusciò fuori con violenza.

J.C. la fissò a metà tra il sorpreso e il divertito, lei piegata in due per il gran ridere e, poggiata una mano sul fianco, chiosò: “Ho detto troppo?”

Summ si fece aria con una mano mentre, a fatica, cercava di riprendere fiato.

Qualche secondo dopo, però, crollò a terra e si sedette di peso su un masso arrotondato, continuando a ridere a crepapelle.

John a quel punto cominciò a preoccuparsi e, accosciatosi accanto a lei, le domandò premuroso: “Ehi, tutto bene?”

L’amica annuì, non sentendosi ancora sicura a parlare e, mentre i suoi occhi lacrimavano per il troppo ridere, J.C. cominciò a battere una mano sulla sua schiena per farla riprendere.

Dopo un minuto buono di risata sguaiata, Summer riuscì infine a trovare abbastanza forza per esalare: “Non pensavo... avresti spifferato... una cosa... simile!”

“Troppo?” mugugnò l'amico.

“Già!” annuì ancora lei, tergendosi il viso dalle lacrime.

Quando infine si fu calmata del tutto, Summ prese un gran respiro, lanciò un'occhiata al cielo terso e al sole scintillante che già reclinava verso il pomeriggio inoltrato e, con un mezzo sorriso, mormorò: “Questa davvero non me l'aspettavo.”

“Sarà meglio cambiare argomento. Quest'isola mi fa davvero un brutto effetto” borbottò John, rimettendosi in piedi.

L’amica lo seguì a ruota e, nel posizionarsi innanzi a lui nella discesa, celiò: “Chissà, forse ti rende solo più sincero.”

“Non direi. Ti ho dato praticamente della poco di buono, quando siamo arrivati, e di sicuro non lo penso” replicò piccato lui, accigliandosi.

“E di questo ti sono grata. Ma non pensarci più, J.C., davvero. Sei perdonato. Anch'io dico scemenze di cui mi pento, sai?” ci tenne a dire Summer, sorridendo allegra da sopra una spalla.

“Non lo metto in dubbio, ma la mia uscita è stata certamente infelice.”
“Concesso, ma io non ne farei un dramma, perché...” cominciò col dire lei,  interrompendosi di botto quando il suo cellulare
trillò.

Sorpresa, la donna lo afferrò dalla sua custodia da cintura e, quando vide il numero sullo schermo, si accigliò.

Torva in viso, accettò la chiamata e mormorò: “Dia dhuit1, nonna. Come mai questa chiamata all'improvviso?”

“Non posso sentire mia nipote, per caso?” replicò la donna, con il solito tono sarcastico.

Due Dominatrici del Fuoco non avrebbero mai potuto andare d'accordo, e con Nonna Shaina l'odio era sempre stato a dir poco palese.

John la guardò preoccupato ma Summer non se ne accorse e, accigliata, domandò alla parente: “Diciamo solo che, quando chiami, bisogna pregare anche i santi in Paradiso per scongiurare l'Apocalisse, perciò... che c'è?”

“Sei sempre stata la più indisponente dei quattro, e vedo che il tempo non ti ha cambiata. Ed io che volevo essere carina con te e avvertirti che Sean sta venendo a trovarti!” brontolò la donna, prima di esibirsi in quel proclama eccitato.

Summ sgranò lentamente gli occhi, la gioia fino a poco prima provata dilavata di colpo dalla notizia dell'arrivo di Sean.
Con tono lapidario, la giovane ringhiò: “Richiama il tuo cucciolo, se non vuoi che lo butti nel Kilauea non appena metterà
piede qui.”

J.C. strabuzzò gli occhi a quell'uscita, ma Shaina non vi fece neppure caso e replicò candida: “Tesoro, e dire che i tuoi genitori dovrebbero averti insegnato l'educazione. Noi irlandesi siamo notoriamente gentili con gli ospiti, e Sean sarebbe un tuo ospite, a onor del vero.”

“Sono qui per lavoro, nonna, non sono a casa, perciò Sean non sarebbe ospite che del suo albergatore” precisò Summer, sempre più scura in volto.

Immagini di sacrifici umani, di tributi, di nozze svoltesi nella coercizione si affastellarono nella sua mente. Con un ringhio, le scacciò con violenza.

“Sottigliezze” tagliò corto l'anziana, tornando al suo solito modo di fare autoritario.

La giovane imprecò a denti stretti e dichiarò gelida: “Per me, può anche passarci la vita, alle Hawaii, ma se speri che io sia gentile con lui, scordatelo fin da adesso.”

“Non mi bastava Spring, che si è lasciata ingravidare da un impuro. No, ora fai le bizze anche tu! Dovete capire che noi sappiamo cosa  è meglio per voi! Il tempo è ormai agli sgoccioli! Non possiamo più aspettare… per il vostro bene!” sbottò a quel punto Shaina, perdendo la sua proverbiale calma.

E così pure fece Summer.

Divenendo di ghiaccio in viso, sibilò: “Spring non si è lasciata ingravidare. Non è una mucca, ma una donna innamorata del suo futuro marito che, farai bene a ficcartelo in testa, è e sarà sempre Max. Se solo proverai a far cambiare questo stato di cose, giuro che scatenerò sulla tua testa, e quella degli altri, un tale inferno che rimpiangerete di essere nati! Non avete ancora capito chi state sfidando.”

“Non è il caso che tu lanci tante minacce a vuoto, cara” la rabberciò la nonna, con tono querulo.

“E chi ha parlato di minacce a vuoto?” mormorò glaciale Summer, ora del tutto calma, immobile come una statua.

John si sentì raggelare. Quando l'amica assumeva quel tono, poteva voler dire solo guai.

“Non oseresti mai!” ansò Shaina, con un nodo in gola.

“Tu non sfidarmi, nonna. Se a Max viene anche solo un raffreddore fuori stagione, saprò a chi dare la colpa... e la mia vendetta sarà tremenda. Nessuno mi fermerà. Vi ucciderò tutti. E al diavolo le conseguenze. Mia nipote ha bisogno di suo padre, e voi non vi metterete in mezzo!”

Detto ciò, chiuse la comunicazione e, prima di poterselo impedire, gettò a terra il telefonino e ci saltò sopra con un piede, rompendolo definitivamente.

John fu veloce a bloccarla prima che decidesse di ridurre in briciole qualcos'altro e, afferratala per un braccio, se la attirò vicino esclamando: “Summ, calmati! Smettila!”

Gli occhi verdi che sprizzavano scintille, la donna si divincolò per alcuni attimi prima di crollare tra le sue braccia e ringhiare furiosa: “Non permetterò loro di rovinare la vita a Spring, o a me... li odio, li odio, li odio!”

Carezzandole la schiena percorsa da violenti tremori, J.C. mormorò contro il suo orecchio: “Summy, prendi un bel respiro e dimmi che sta succedendo. Spero non dicessi sul serio, prima, quando hai minacciato di morte la tua famiglia.”

Scostatasi di botto da lui, la donna sibilò: “Certo che dicevo sul serio!”

John allora scosse il capo e replicò gentilmente: “Per quanto ti abbiano fatto infuriare, non penso meritino di morire, ti pare?
E che c'entra Spring in tutto questo?”

Un pesante sospiro scaturì dalle labbra della donna che, senza più forze, tornò a sedersi a terra, subito imitata dall'amico.
Intrecciate le mani per non mostrare appieno il suo nervosismo, mugugnò: “Sarà il caso che ti dica per bene quanti casini ci sono in casa mia. Sennò non ci capirai nulla.”

John conosceva solo a grandi linee la storia della famiglia Hamilton, ma molte cose erano ancora oscure, per lui.

Beh, era giunto il momento che sapesse almeno in parte da che mondo stava fuggendo.

L'uomo annuì silenzioso e Summer, ombrosa, gli raccontò una parte del suo passato.

Lo mise al corrente della fuga dei genitori dall'Irlanda, della loro decisione di non far conoscere alla famiglia ove si
trovassero, dei loro strenui tentativi di tenere i figli nascosti dai loro nonni e zii.

J.C. parve confuso da quel genere di scelta ma, quando venne a sapere che Erin era stata scelta per Winter fin dalla sua nascita, cominciò a subodorare guai seri.

Si fece scuro in volto e, non appena la donna accennò a Spring e all'uomo che la famiglia aveva scelto per lei, i suoi occhi sprizzarono fiamme.

Summ sospirò infastidita e aggiunse: “La scocciano tutt'ora adesso, dicendole che Max non è l'uomo giusto per lei, e che Colin si prenderebbe cura della bambina pur non essendone il padre.”

Omise di dire che, per il verificarsi di un simile evento, Max avrebbe dovuto morire. Il solo pensiero la fece rabbrividire.

“Colin?” ripeté confuso John, strabuzzando gli occhi.

Sbuffando, la donna asserì querula: “Un nostro cugino di non mi ricordo quale grado. Stando alla nonna, è l'uomo giusto per Spry. Che idiozie!”

Bloccatala con un gesto della mano, J.C. esalò: “Ma... i tuoi nonni lo sanno che siamo nel ventunesimo secolo?”

“Credo non gliene freghi un accidente di niente. Anche i miei genitori si sono sposati su indicazione delle famiglie. Pur amandosi, questo genere di imposizioni non piacque loro, così fuggirono assieme a noi non appena trovarono un modo per nasconderci adeguatamente” gli spiegò succintamente l’amica, dando un calcio ad un ciottolo di terra.

“Non potete semplicemente mandarli a quel paese?”

“E'... difficile” asserì dopo alcuni istanti Summer, reclinando il viso.

Come fargli capire che il loro sangue ancestrale era la causa prima dei loro dissapori con la famiglia natia? E della nascita di quelle maledette leggi restrittive?

“Beh, non penso che Max si farà mettere i piedi in testa da questo Colin, e...” Bloccandosi a metà della frase, John si oscurò tremendamente in viso e sibilò: “Chi è Sean?”

“Indovina un po'?” ironizzò Summer, ma senza alcuna allegria nella voce.

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Fidanzato.

La sola parola lo fece fremere mentre, con forti bracciate, si allontanò da riva per nuotare al largo.

Quando Summer gli aveva spiegato, per sommi capi, il perché di tanto livore nei confronti della famiglia, John si era sentito morire dentro.

E, al tempo stesso, avrebbe voluto gridare al mondo tutta la sua rabbia.

Non poteva sopportare che qualcuno cercasse di limitare la libertà della sua più cara amica, né che tentasse di rovinare la felicità di Spring e Max.

Adorava quei due, e faceva fatica persino a credere che esistesse qualcuno di così meschino da volerli dividere.

E per cosa, poi? Per una maledetta eredità?

Chi se ne importava se la famiglia Hamilton, in Irlanda, aveva più possedimenti della regina, e che questi dovessero rimanere interni al clan?! Che andassero a farsi benedire tutti quanti!

Lui non lo accettava!

E lì si fermò, smise di nuotare e si lasciò andare alla corrente gentile della sera.

Lui non poteva vantare alcun diritto su Summer, né avrebbe potuto prendere a pugni questo fantomatico Sean, una volta che se lo fosse trovato davanti.

Sospirando afflitto, John si chiese cosa avrebbe potuto fare per togliere dai guai l'amica e, ad ogni nuova idea, la prima a cui aveva pensato tornò a galla per infastidirlo.

L'unica cosa che poteva fare per aiutarla era ammettere con lei, con tutti, che il sentimento che lo legava alla donna era amore... e con la A maiuscola.

Questo gli avrebbe forse dato la possibilità di parlare a pieno titolo, ma avrebbe potuto disintegrare qualsiasi tipo di rapporto tra loro, perché sapeva che Summer gli voleva bene, ma solo come amico.

“Stanco?” mormorò a poca distanza da lui la donna dei suoi sogni.

J.C. si volse a mezzo con un fluido movimento di braccia e gambe.

Nel ritrovarsela vicino, bagnata e abbracciata solo da un bikini mozzafiato color corallo, quasi desiderò imprecare contro il cielo e contro il Fato.

Con il fiato corto e un mezzo sorriso sul viso angelico e diabolico al tempo stesso, Summer domandò ancora: “Non proseguiamo a nuotare ancora un po'?”

Lui annuì ma non si mosse e l’amica, a quel punto, sussurrò: “John, che c'è?”

“Non è giusto” si lasciò sfuggire lui, i denti stretti come morse.

“Cosa?”

Una mano sul viso seguì quella semplice parola e John, rabbrividendo sotto il suo tocco, afferrò quelle dita sottili e aggraziate e se le portò al petto, ringhiando: “Perché devono farti questo?!”

Summer allora sorrise generosamente e, avvicinatasi a lui fin quasi a sfiorarlo, asserì: “Non mi faranno nulla, J.C. Rispedirò al mittente Sean, e dirò alla nonna che le sue idee antidiluviane può chiuderle in un cassetto e dimenticarle per sempre.”

E, nel frattempo, si sarebbe imbarcata sul primo missile diretto alla Stazione Spaziale. Chissà che lì non lasciassero in pace?!

“E se Sean fosse più di un semplice cucciolo nelle mani di tua nonna? Se fosse innamorato di te, e ti volesse realmente per sé?” brontolò lui, ancora poco convinto.

Lei lo fissò scettica e replicò: “L'ho conosciuto, ed è tutto tranne che un uomo di polso. Me lo mangerei a colazione senza problemi. Inoltre, a reggere il coltello dalla parte del manico sono io. Pur se mi spiace ammetterlo, sono io ad avere il sangue più puro, ad essere l'ereditiera, perciò posso fare le bizze come i cavalli finché voglio. Anche se esiste un contratto scritto che mi lega a lui, è mia nonna preme per impormi chi vuole, non hanno ancora capito con chi hanno a che fare.”

Sapeva di non dire la verità, ma non poteva accennare altro, con John.

“Neppure Winter mi sembra una persona debole, eppure lui sposò Erin su ordine della famiglia” replicò veemente John.

Summer reclinò il capo e, con un sospiro triste, ammise: “Successe perché Win  era ancora troppo giovane, e fresco della morte dei nostri genitori. Si affidò a zia Brigidh come noi tutti, e lei lo tradì. Certo, eravamo in una situazione tragica, e lei si sarà sicuramente fatta prendere dal panico, ma... non glielo perdono. Win l'ha fatto e, per l'amor di dio, Erin è stata una moglie dolcissima, e insieme hanno avuto Malcolm, ma è il sistema che è stato sbagliato fin dall’inizio. Loro non si sono mai amati!”

“Erin lo sapeva?” si informò delicatamente J.C.

“Oh, sì, Win ed Erin furono onesti l'un l'altra fin da subito. Divennero grandi amici. Sapevano l’uno dell'altro praticamente tutto. Kimmy compresa” gli spiegò Summer, sorprendendolo.

“Deve essere stato un inferno,… per entrambi” mormorò spiacente John.

“Ne ricavarono il meglio possibile, e Mal è stato il dono per il loro sacrificio. Ma io non farò la stessa fine, e Spring ha già minacciato nonna di strangolare chiunque della famiglia si avvicinerà a più di cento iarde da casa. E non scherzava” dichiarò con un mezzo sorriso la donna, orgogliosa della sorella.

Sapeva che questo non sarebbe bastato, il giorno dell’Apice, ma era bello crederlo.

Quel giorno, non sarebbero stati in grado di muovere una foglia con un dito, figurarsi difendere la propria libertà.

Annuendo pensieroso, J.C. la strappò ai suoi lugubri pensieri asserendo: “Da quando sa di essere incinta, è diventata molto più forte, e Max le da equilibrio. Insieme sono bellissimi.”

“Sì” assentì lei.

“Perciò... quando arriverà Sean, non dovrò riempirlo di pugni per te?” ironizzò John, ammiccando al suo indirizzo.

“Oh, beh, se volessi farlo, di certo non piangerei” ridacchiò Summer. “Ma penso di potermela cavare anche da sola.”

Scostandosi per riprendere a nuotare, la donna venne trattenuta ad un braccio dall'amico che, torvo in viso, replicò: “Ma io voglio difenderti.”

E fu in quel momento che la maschera dell'uomo si sgretolò, mostrando a Summer tutto ciò che, fino a quell'istante, le era rimasto celato per anni.

Il suo potere divinatorio, i loa che lo proteggevano senza che lui ne fosse consapevole, … i suoi sentimenti per lei.

Sgranando gli occhi di fronte a quella marea di informazioni, la donna ansò stentatamente, quasi perdendo tutto il fiato che aveva in corpo e, quasi come una stella fagocitata da un buco nero, si gettò su di lui.

Gli afferrò il viso con le mani attirandolo a sé e, con un movimento repentino, si appropriò della sua bocca, sorprendendolo
oltre ogni ragionevole dubbio.

Con un ansito disperato, John la avvolse con le braccia, stentando a rimanere a galla al pari di lei che, impegnata a fare sue quelle labbra che sapevano di tabacco e vino, quasi non si rese conto del pericolo che stavano correndo.

Fu solo quando un'onda li mandò sotto che si staccarono di colpo, sputacchiando acqua e ridendo della loro stupidità.

Tenendosi a galla mentre i residui della risata andavano scemando, Summer esalò: “Scusa... sono irruente come mio solito.”

“Rifallo pure, non mi offendo” replicò lui, andandole vicino per stringerla a sé, stavolta con maggiore attenzione. “Perché l'hai fatto, comunque?”

“E' da un anno e più che volevo farlo” ammise lei, sorridendo contrita e sorprendendolo oltremodo.

“Cosa?” esalò John, facendo tanto d'occhi.

“Temevo di rovinare tutto ma quando ho guardato nei tuoi occhi, prima, ho capito che... che forse...” tentennò, non sapendo bene quanto dirgli, quanto ammettere con lui.

“Che forse avresti trovato terreno fertile per i tuoi baci?” ironizzò lui, cercando nuovamente la sua bocca.

Stavolta il bacio fu più dolce, meno violento, e le onde non furono un problema, quanto un corroborante per la loro passione.

Tenendo a freno l'impulso di avvolgergli la vita con le gambe, rischiando così di mandare a fondo entrambi, Summer lasciò che lui guidasse il gioco.

Permise a quelle labbra di seguire il contorno del suo volto, del suo collo, che sbirciassero l'attaccatura dei seni e, quando anche le sue mani iniziarono un percorso iniziatico sul suo corpo, lei esplose.

Lo spinse via con forza ed esalò: “Ti prego, non qui! O affogheremo! Sono ben lungi dall'essere calma perciò, o smetti, o ti prenderò qui e adesso, quindi moriremo affogati.”

Lui rise di gusto, sentendo il cuore esplodergli nel petto per la gioia e, annuendo a quella donna che sapeva infiammarlo e calmarlo al tempo stesso, assentì con gaiezza.

“No, non è proprio il caso di morire per una cosa del genere. Torniamo a riva, è meglio.”

“Concordo in pieno” annuì l’amica, sorridendo vagamente divertita.

In breve, raggiunsero la riva e, non appena toccarono terra, la donna afferrò la mano dell'amico. Senza dirgli nulla, lo condusse direttamente nella sua stanza, passando per il giardino dell'albergo.

John la lasciò fare, sapendo bene che, in quel momento, la donna era al di là di ogni controllo.

Riconosceva quello sguardo volitivo e, se solo avesse provato a rifiutarsi per mettere un po' di sale in zucca a entrambi, probabilmente l'avrebbe malmenato.

Avrebbe cercato di chetarla non appena fossero stati soli.

Forse.

Aperta la porta-finestra con un gesto repentino, Summer lo attirò dentro e stese le tende di fronte ai vetri, escludendo di fatto il mondo esterno.

Avvolti così dalla penombra della stanza, i due si fissarono per un istante negli occhi, e fu a quel punto che la donna lo sorprese nuovamente.

Sorrise dolcissima e vulnerabile e, più docile di un gattino, si incuneò nel suo abbraccio, poggiando il capo bagnato contro il suo torace e chiudendo gli occhi, fiduciosa e protetta.

J.C. perse del tutto qualsiasi desiderio di prenderla e, limitandosi a stringerla tra le braccia, le baciò il capo e sussurrò: “Summ, va tutto bene?”

Lei annuì contro il suo petto, godendosi il suono del suo cuore che, lentamente, stava tornando alla normalità.

Era così, avere un Fulcro?

Non appena aveva varcato la soglia della sua stanza, tutto si era fatto silenzioso, anche il mondo di sensazioni che solitamente la punzecchiava in continuazione. Aveva potuto avvertire solo John.

Solo il suo cuore, solo le sue emozioni, solo il suo amore per lei.

Ora comprendeva cosa volesse dire avere un Fulcro Primario, e dubitava fortemente che chiunque altro, a parte J.C., avrebbe potuto farle un simile effetto.

Lui escludeva ogni cosa, lui era il Tutto, per lei. Il suo principio e la sua fine.

“Sei il mio centro di gravità” sussurrò Summer, levando il capo per baciarlo con tenerezza squisita.

“Sono lieto tu lo pensi” replicò lui, sfiorando con dita leggere i suoi fianchi.

Lei sorrise e, muovendosi su quei muscoli poderosi con mani lievemente tremanti, mormorò: “Voglio sentirti dentro di me. Voglio che il tuo fuoco si fonda con il mio. Tu lo vuoi?”

“Lo voglio, ma non desidero che sia solo una reazione violenta alla telefonata di tua nonna. Desidero che tu ti calmi, ci pensi sopra e che, a mente fredda, decida sul da farsi.”

Dolcemente, le baciò la fronte e aggiunse: “Ho aspettato con pazienza per un sacco di tempo. Posso attendere ancora un po',
Summ.”

La donna sospirò, ammettendo candidamente quanto, la telefonata di Nonna Shaina, avesse cospirato contro di lei e, annuendo con calma, asserì: “Hai ragione. Prometto che mi calmerò e, quando sarò pronta, ti assalirò alla prima occasione.”

John ridacchiò a quell'ultimo commento e, nello stringerla forte a sé, mormorò: “Succederà il contrario, temo. Ho bisogno di sentirti mia, dentro e fuori, ma non voglio che succeda per la rabbia che ti hanno scatenato nell'animo. Ti voglio con la mente sgombra da ombre.”

“Sicuro?” mugugnò lei, deponendo un casto bacio sul suo torace stillante d'acqua mentre una mano, molto meno casta e tanto più subdola, indugiava sull'elastico del costume da bagno.

J.C. si tirò indietro alla svelta e, ridacchiando, schiaffeggiò delicatamente quella mano pestifera. “Non mi rendi la vita facile, Summ, se ti comporti da birbante.”

Lei si limitò a ridacchiare e, reclinando un poco il capo, arrossì suo malgrado e chiosò: “Doccia fredda. Subito.”

“Già” brontolò John, andandosene a grandi passi dalla sua stanza per raggiungere la propria.

Aveva bisogno immediatamente di acqua fredda. Gelida.
 

 
 
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1 Dia Dhuit: (gaelico irlandese) buongiorno.

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


Cap. 6
 
 
 
 
 
 
Stava ancora decidendo se bussare o meno alla porta di John, quando questa si aprì.

Summer sorrise e l'uomo la trovò con il pugno sollevato, gli occhi vagamente sgranati e un leggero rossore a imporporarle le gote.

J.C. sorrise spontaneamente e, senza neppure rendersene conto, si chinò su di lei per deporle un bacio sulle morbide labbra al sapor di ciliegia.

Un attimo dopo, Summer gli avvolse le braccia attorno al collo e lo spinse nella sua stanza per togliersi dal corridoio, dove Mike o Mandy avrebbero potuto vederli.

Con un colpetto degli scarponcini da trekking, si chiuse la porta alle spalle mentre approfondiva il bacio, le mani di John intente a districarsi dal suo abbraccio focoso.

Quando infine vi riuscirono, la tennero a distanza di sicurezza, un sorriso un po' sciocco ma tanto, tanto mascolino a riempirgli il volto.

“Ehi, piccola... tutto bene?” gracchiò lui, indeciso se lasciare le mani sui fianchi morbidi di Summer o, più semplicemente, permetterle di portare a termine quel che lei aveva solo cominciato.

L’amica ridacchiò, gli occhi da gatta che brillavano cangianti come un caleidoscopio e, nel ritirare le braccia da lui, si mise in posa come una scolaretta dispettosa.

“Ciao.”

Appariva così stranamente fragile, in quella posa, il suo viso acqua e sapone ringiovanito come se, in una sola notte, Summer fosse tornata avere vent'anni.

E, all'improvviso, l'uomo capì.

Era la portata di ciò che li aveva gettati l'uno tra le braccia dell'altra, a renderla così docile, suo malgrado così insicura.

E John, solo per quello, provò una stretta al cuore.

Non era una semplice sbandata, o un impulso sessuale dettato dal momento.

Aveva già visto Summer alle prese con gli uomini ma mai, in nessuna occasione, era apparsa tanto vulnerabile o indifesa.

Con un moto improvviso quanto violento, la attirò a sé per abbracciarla con foga e, affondando il viso tra i suoi capelli – stretti in una coda di cavallo – mormorò accorato: “Non succederà nulla che tu non voglia, Summ, te lo giuro. Non ti farò mai del male.”

Summer percepì un brivido a quelle parole così veementi, ma preferì non badarvi e, stretta in quell'abbraccio caldo e protettivo, assentì.

“Lo so, John. Scusa se ti sono saltata addosso così ma... beh, avevo fame.”

J.C. allora scoppiò a ridere e, nello scostarsi da lei, le diede un bacio ruvido quanto passionale.

“Fattelo bastare per un po'. Preferirei non dare troppe spiegazioni ai nostri colleghi.”

“Va bene. E poi, oggi mi tocca stare in coppia con Mike, quindi mi servirà tutta l'energia possibile per sopportare le sue avance.”

Ridacchiò e, notando il cipiglio di John, aggiunse: “Se vuoi, gli dico semplicemente che l'uomo che voglio nel mio letto sei tu, e tu solo.”

“Naa, lascia perdere!” sbottò J.C., levando una mano con aria irritata. “Mi romperebbe le palle a sangue per tutto il resto della nostra permanenza qui. Meglio parlare solo quando ci avremo capito qualcosa anche noi, non prima.”

“Lo stenderò con una mossa di karate, tranquillo... se farà lo stupido, ovviamente” ironizzò lei, aprendo la porta della stanza di John per sbirciare all'esterno.

Nulla vedendo, uscì fuori di corsa e l'amico la seguì a ruota, ponendosi al suo fianco con il suo solito modo di fare tranquillo e posato.

Gli occhi però caddero spontaneamente sul fondo schiena rotondo di Summer e, con un sospiro, si chiese come avrebbe fatto, da lì in poi, a mascherare il suo interesse per la donna.

Non era facile vivere perennemente barricati e, da quando aveva ammesso con lei cosa realmente provava, era difficile tornare ai cari, vecchi tempi in cui teneva a freno gli ormoni.

“Se continui a guardarmi il culo, Mandy capirà tutto” sussurrò quieta Summer, a qualche passo di distanza da lui.

“Hai i radar, per saperlo?” mugugnò John, distogliendo immediatamente lo sguardo per passarle davanti.
Lei si limitò a ridacchiare e, con noncuranza, lo schiaffeggiò con naturalezza sul sedere, replicando: “Ormai ci ho fatto il callo, J.C.”

Lui brontolò qualcosa e, quando mise piede nella hall dell'albergo, si volse a mezzo per dirle: “Sarà anche il callo, ma...”

Lo sguardo raggelato di Summer lo obbligò ad azzittirsi.

Seguendo lo sguardo della donna per capire cosa l'avesse tanto sconvolta, si ritrovò a fissare gli occhi su un giovane esemplare di uomo, appena uscito dalle copertine patinate di Vanity Fair.

Perfetto nell'abbigliamento casual, l'uomo, dai capelli castano dorati e gli occhi blu come il mare in burrasca, sorrise spontaneamente a Summer, confermando a John chi fosse.

Non appena ebbe firmato alla reception per una camera, lasciò il trolley accanto al bancone e si avviò a grandi passi verso di loro, un sorriso perfetto sul volto altrettanto perfetto e caloroso.

Gradh geal, mo croide1!” esclamò il giovane, allargando spontaneamente le braccia per abbracciarla.

Summer fece istintivamente un passo indietro e John, come una muraglia umana, si parò dinanzi a lei a sua difesa.

Con sguardo arcigno, fissò il bell'imbusto che, trovatosi la strada sbarrata, si bloccò di colpo e rispose all'occhiata con altrettanto livore.

“Le sarei così grato se volesse scostarsi, signore. Vorrei salutare la signorina che, tra le altre cose, è mia parente” mormorò con voce baritonale e dall'accento marcatamente irlandese.

“La signorina qui presente non gradisce la sua presenza, quindi mi scuserà se non le permetto di fare il cascamorto con lei” replicò John con una flemma quasi esemplare, trattenendosi solo a stento dal fracassare quel naso maledettamente perfetto.

Ma da dove era uscito? Da una agenzia di fotomodelli?

Sean non si diede per vinto e ribatté: “Mi scuserà sentitamente, ma preferisco sentirlo dire dalla stessa Summer.”

“Sean, piantala, o J.C. ti triturerà la faccia” mormorò a quel punto la donna, oltrepassando il fisico statuario dell'amico per pararsi di fronte al giovane irlandese. “Quanto all'abbraccio, riservalo a chi se lo merita, non certo a me.”

“A chi altri dovrei riservarlo se non a te, mo chrói?” ci tenne a precisare l'uomo, sorridendole con aria vagamente divertita.

Lei sospirò pesantemente, si passò una mano sul volto e gracchiò: “Ma vi fanno il lavaggio del cervello, a voi? Dio!”

Sean parve accusare il colpo e si adombrò leggermente in viso ma, ancora quieto, asserì: “Solo perché voglio essere cortese con una parente, e onorarti come meriti, non vuol dire che mi abbiano fatto il lavaggio del cervello, Summer. E poi, cosa c’è di male se voglio abbracciarti? Sono anni che non ci vediamo. E mi fa veramente piacere rivederti.”

“Le cortesie, come le smancerie, riservale per qualcuna che sia interessata. Una stretta di mano basta e avanza, con me” sbottò la donna, allungando la propria con ostentazione.

“Sei sempre stata avara di gentilezze, ma pensavo che tanti anni di lontananza ti avessero addolcita almeno un poco” mormorò Sean, stringendo quella mano prima di rigirarla con agilità e portarsela alle labbra, sorprendendo sia Summer che John.

Pur non volendo, lei ridacchiò per quel baciamano non previsto e, nel recuperare la mano, sogghignò all’indirizzo di Sean.

“Ti sei fatto furbo.”

“Se la vuoi vedere così…” ironizzò lui, prima di tornare serio e aggiungere: “Ho bisogno di parlarti di una cosa molto importante, Summy.”

Accigliandosi visibilmente, sia per l’uso di quel nomignolo, sia per la serietà stampata sul suo volto, lei strinse la mano sul braccio robusto di John e, gelida come una folata di vento invernale, mormorò: “Non ho nessunissima intenzione di ascoltare una sola parola, detta da te, perché so benissimo che parli per bocca di mia nonna!”

“Vedo che sei irritata, perciò ti lascerò in pace... per ora. Ma sono qui, e ci rimarrò solo per te. Ti parlerò, che ti piaccia o no, ma posso aspettare. E non salterei a delle conclusioni in modo così affrettato. Non sei mai stata superficiale, e dubito che tu lo sia diventata ultimamente.”

Detto ciò, Sean tornò al bancone dove prelevò la chiave della sua stanza e, trolley alla mano, seguì il percorso del corridoio dinanzi a lui senza più voltarsi indietro.

Summer era furibonda con se stessa per aver perso le staffe, con la nonna per averle mandato Sean, e con l'uomo per essere meno fesso di quel che aveva immaginato.

Sbuffò tra i denti e ringhiò: “Andiamo in sala da pranzo. Ho fame, e voglio fare colazione.”

“Tutto bene?” le domandò soltanto J.C.

Lei allora gli sorrise generosamente e, preso un gran respiro, si scostò da lui, annuendo.

“Non lo ucciderò, se è quello che temi, né mi getterò tra le sue braccia, ora che ho scoperto che ha anche il coraggio di rispondermi a tono.”

John allora abbozzò un sorrisino nervoso e la donna, tornando seria, si incamminò con lui mormorando: “Non avrei mai pensato che la nonna si sarebbe dimostrata così cocciuta, né che si fosse informata su dove eravamo. Non ha lasciato nulla al caso.”

“Lavora per i servizi segreti irlandesi, per caso? O fa parte dell'IRA?” le domandò giocosamente J.C., ammiccando comicamente.

Summer se ne uscì con una risata sgangherata e, nell'entrare nella sala da pranzo, salutò con un cenno del capo Amanda, già seduta al loro tavolo.

Non poteva certo digli che, al suo fianco, aveva un Guardiano dell’Aria e che, pur con i poteri ormai agli sgoccioli, poteva ancora contare su qualche jolly.

Accomodatisi, attesero che giungesse anche Mike – quel giorno particolarmente rilassato.

Una volta ordinata la colazione, Summ decise di mettere subito le carte in tavola con i colleghi, onde evitare disguidi.

“John lo sa già, ma vorrei farvi partecipi di un piccolo problema di famiglia” esordì lei, cercando di capire come meglio mettere sul tavolo quella spinosa questione.

Amanda, sicuramente più empatica di Mike, strinse una mano su quella dell'amica e, annuendo, mormorò: “Dicci pure tutto, Summer.”

Sospirando disgustata, la donna asserì: “E' arrivato in albergo un uomo di nome Sean O'Gready. Mia nonna ha pensato bene di mettersi d'accordo con la sua famiglia perché lui diventi il mio... beh, per farla breve, il mio fidanzato. Ci sono di mezzo delle eredità piuttosto cospicue, da qui questa specie di contratto antidiluviano. Naturalmente, nessuno mi ha chiesto niente, e lui ora è qui con non so quale pretesa. Perciò, se vedrete un tizio che mi tallona stretto, saprete chi è senza altre spiegazioni.”

Mike parve davvero stupito da quella storia e, con occhio interessato, domandò alla collega: “Non sapevo fossi un'ereditiera così ricercata.”

“Ebbene sì” sospirò Summ, scrollando le spalle con noncuranza. “Se proprio vuoi far galoppare la fantasia, Mike, sappi che c'è anche di mezzo un castello... abitabile. Non una costruzione diroccata. Non ricordo esattamente il valore di mercato, ma credo sia una cifra a sei zeri.”

L'uomo strabuzzò un momento gli occhi, prima di scoppiare a ridere di gusto.

Nel sorseggiare del fresco succo di mango, asserì: “Beh, mia cara ereditiera, se avrai bisogno che io lo stenda con un pugno, non hai che da chiedere.”

“Terrò presente, grazie. Per ora, atteniamoci al programma giornaliero. Mike e io andremo verso la costa, così da eseguire i rilievi fotografici della colata che si sta dirigendo verso l'oceano, dopodiché passeremo in rassegna i vecchi canali della zona, dove prenderemo dei campioni. Tu e Mandy...” e nel dirlo, indicò John, “... andrete a controllare il GPS che si trova sul lato sud-ovest del cratere. Stamattina, prima di uscire, ho controllato il palmare e segnala un problema. Forse un animale lo ha fatto cadere o, più semplicemente, i piedi non sono stati fissati bene al terreno.”

“Andata” assentì laconico J.C.

Un attimo dopo, venne servito caffè e latte a tutti e, in breve, furono pronti per partire.

Quello che nessuno si aspettò, appena fuori le porte dell'albergo, fu di trovare Sean in tenuta da trekking, del tutto a suo agio e con un mezzo sorriso che sapeva di scherno.

Summer non seppe se dare in escandescenze, mettersi a piangere o complimentarsi con lui per la faccia tosta olimpionica.

Quando furono del tutto chiare le sue intenzioni, lei non perse neppure tempo a litigarci.

Si limitò a indicargli una delle due jeep in dotazione e, con tono vagamente esasperato, ordinò a Mike di mettersi al volante, mentre lei si sistemava sul sedile anteriore.

Sean, calmo e tranquillo, si sedette sul sedile posteriore, e a John non restò altro che vederli andar via assieme con un senso di nausea allo stomaco e, sì, un gran prurito alle mani.

 
¤¤¤

Doveva ammetterlo, aveva resistenza, non si lamentava e non faceva domande idiote.

Non aveva idea se fosse opera di Nonna Shaina, o se Sean si fosse preparato a dovere, prima di giungere lì a romperle le scatole.

La faccenda, comunque, era una e una sola: non era così rompiscatole come se lo ricordava.

Certo, andava detto che l'ultima volta che si erano visti era stato in occasione della nascita di Malcolm.

Se non ricordava male, al funerale di Erin non era stato presente, perché ricoverato in ospedale per un’appendicite.

L'intera famiglia, capitanata dalla nonna, si era riversata a Washington simile a un uragano forza 5 e lei, gioco forza, aveva dovuto passare del tempo con l’uomo scelto alla sua nascita per essere suo Fulcro.

All'epoca, Sean si era dimostrato palesemente intimidito da lei e, a parte qualche balbettio e rare parole, strappate a forza da quella bocca morbida, non aveva fatto molto altro.

Summer ne era rimasta disgustata.

A distanza di quasi dieci anni, la faccenda era cambiata radicalmente.

Non soltanto lui colloquiava amabilmente con Mike e lei, ma parlava con cognizione di causa, dimostrando di conoscere la loro materia meglio di quanto non si fosse aspettata da un profano.

Inoltre, a onor del vero, andava detto che il magrolino studente di Lettere Antiche che aveva conosciuto, era scomparso del tutto, sostituito da un aitante irlandese.

Non che facesse qualche differenza, per lei, ma non poteva non notarlo.

Maledetta nonna!, pensò tra sé Summer, raccogliendo l'ennesimo campione da antiche colate laviche.

Dopo vari tentennamenti, la donna si era infine lasciata convincere da Sean a permettergli di occuparsi dei rilievi fotografici, dimostrandosi invero un ottimo fotoreporter.

Le inquadrature erano risultate perfette, certe fotografie si erano dimostrate addirittura artistiche e, a onor del vero, non aveva mostrato di preoccuparsi molto della camicia e dei pantaloni sgualciti a fine lavoro.

Si era sdraiato in terra, inginocchiato più volte, si era arrampicato e appeso ai rami, il tutto per rendere al meglio il paesaggio in continuo mutamento che avevano davanti agli occhi.

Insomma, doveva ammetterlo. Grazie a Sean, avevano risparmiato un sacco di tempo.

Ora, seduti all'ombra di un palmeto, intenti a divorare il loro pranzo, Mike e Sean stavano parlando delle differenze sostanziali tra rugby e football americano, entrambi arroccati sulle loro rispettive posizioni.

Sorseggiando un po' di acqua dalla sua borraccia termica, Summer si prese tutto il tempo per studiare quel profilo mascolino a lei del tutto estraneo.

Aveva detto di essere un insegnante di Storia in una scuola media a Limerich. Non faticava a immaginare quante ragazzine avessero preso una cotta per lui.

Aveva saputo da Sean della sua passione per la mitologia e, a quell’accenno, le aveva sorriso ammiccante. Cos’avesse voluto dire, con quelle parole, lei non l’aveva capito.

Ma la faccenda di fondo, restava.

Lei non sentiva niente dentro di sé, né il minimo fremito di passione, né tanto meno una spinta emotiva di qualche genere.

Certo, ammetteva senza remore di trovarlo attraente, persino interessante. Ma la cosa finiva lì.

Non c'era la tempesta emotiva provata con John, non c'era il coinvolgimento di corpo e anima quando si trovava tra le sue braccia,...semplicemente, era J.C. il suo Fulcro.

Il suo potere lo aveva riconosciuto non appena lui si era aperto a lei, mostrandole ciò che realmente albergava nel suo cuore.

Forte di questo, il Fuoco si era chetato, si era acciambellato placido in lei senza più cercare sfogo, o nutrimento.

Si sentiva calma ed equilibrata come non mai, nonostante la situazione assurda, ed era tutto merito di John.

Se solo anche sua nonna fosse riuscita a comprenderlo! Non aveva bisogno di Sean per trovare il suo Centro. Lo aveva già tra le mani.

Una sola cosa, però, la disturbava.

Due semplici, dannatissime parole che, durante il corso della mattinata, Sean le aveva sussurrato all'orecchio, in un momento di quiete.

Lui sa?

Era evidente a chi si fosse riferito Sean, con quella breve, infida domanda. Aveva già dimostrato di non essere uno stupido, e lei non aveva fatto che rendere il tutto più evidente, avvinghiandosi al braccio di John per allontanarsi.

Lei non era mai possessiva con gli uomini, lo sapevano persino i sassi. Quella era stata un'autentica dichiarazione di colpevolezza, e lo sapeva bene.

Naturalmente, si era rifiutata di rispondere e l'uomo si era allontanato per altre fotografie, lasciandola a se stessa e ai suoi dubbi irrisolti.

Dopotutto, John veniva da una famiglia dai grandi poteri, e lui stesso ne era circonfuso, ma il problema era un altro.

J.C. si era sempre rifiutato di accettare quella parte del suo retaggio.

Era un cattolico convinto e mai, da quando lo conosceva, aveva anche solo accennato all'altra parte di sé, a quella che nascondeva al mondo.

Solo dalla madre Angelique. lei aveva saputo del suo retaggio.

Ma, soprattutto, aveva saputo quanto si fosse chiuso in se stesso quando, non ancora quindicenne, un loa si era manifestato a lui in un momento di bisogno.

John l'aveva scacciato a male parole, urlandogli contro di non aver bisogno di niente e di nessuno. Il loa non si era più ripresentato.

Angelique le aveva spiegato che, alla morte della nonna, lui si era chiuso in se stesso, rifiutando l'aiuto di tutti e, da quel momento, non aveva più voluto sentir parlare del vudù e di tutto ciò che lo riguardava.

Naturalmente, John non sapeva che i loa non lo avevano mai abbandonato, e che vegliavano su di lui ancor più di prima, ma questo Summer non avrebbe potuto dirglielo.

Ammettere di aver scorto i loa protettori di J.C., avrebbe anche voluto dire ammettere con lui di avere dei poteri ancestrali, cosa che l'amico non avrebbe mai accettato.

L'idiosincrasia nei confronti dell'occulto, di tutto ciò che non si poteva vedere né toccare, era per John uno scoglio elevatissimo, e davvero difficilmente avrebbe potuto superarlo.

Però, lei sapeva che nessun altro se non lui, avrebbe potuto essere il suo Fulcro.

Il cuore glielo diceva incessantemente, urlandoglielo nella testa a tutto volume.

Restava solo da capire come affrontare l'argomento con John.

Il sorriso sornione che le lanciò Sean, però, la fece rabbrividire.

Pareva convinto che J.C. non ce l'avrebbe fatta a reggere.

E, alla fin fine, era quello che temeva anche lei.

Solo, ammetterlo ad alta voce era tutt'altra faccenda.

 
¤¤¤

“Chiamala” mormorò ad un certo punto Mandy, dando un ultimo colpetto di badile alla terra smossa che avevano risistemato attorno al treppiede del GPS.

John la fissò come se non avesse capito quell'accenno ma la donna replicò al suo sguardo con uno molto, molto scettico e alla fine l'uomo, sospirando, dichiarò: “E' davvero così lampante?”

“Fino a ieri, no. Stamattina... sì.”

Scrollando le spalle, Amanda si appoggiò alla pala che reggeva tra le mani e asserì: “Non avevo affatto capito che eri tu l'uomo per cui Summer spasimava ma, a quanto pare, la cosa era reciproca e ora, con questo nuovo arrivato, le cose non devono essere facili.”

“Lasciamo perdere. Viene da una famiglia così incasinata, che stenti a credere alla metà delle cose che racconta” sospirò J.C., scuotendo il capo. “Ma sì, Sean di certo non me lo aspettavo.”

“Non mi pare che lei fosse particolarmente disponibile, o interessata, stamattina” replicò candida, Mandy.

“E' bello” brontolò John, per contro.

La donna allora sorrise indulgente e ribatté: “Ha parlato uno che si deve nascondere dentro un sacco. John, sei un bell'uomo pure tu e, oltretutto, Summer non si basa su questo per decidere con chi stare, no?”

“Vero, … ma...” tentennò lui, passandosi una mano sulla testa rasata prima di ringhiare infastidito: “Non la reggo, questa cosa! Che ci fa lui, qui?! Perché devono farla arrabbiare?!”

Mandy sorrise sorniona.

“Ah, ecco che il cavaliere con l'armatura scintillante sta uscendo. O meglio, ora sembri più un cavernicolo, pronto a prendere Summer per i capelli e trascinarla nella tua grotta.”

“Non lo farei mai!” protestò John, accigliandosi.

“Ovvio, o lei ti castrerebbe seduta stante con un calcio ben piazzato nelle palle” assentì Amanda, senza tanti giri di parole. “Summ non accetterebbe mai di essere trattata come una donnicciola senza nerbo.”

“Lo so. Ma vorrei malmenare Sean per puro diletto, lo ammetto. E chi se ne frega se sembra barbaro!” sbottò l'uomo, stringendo le mani a pugno.

“E detto da un ex pugile, fa veramente paura” rabbrividì suo malgrado la donna, assentendo con foga.

“Sai, quasi quasi stavo meglio prima, quando mi tenevo tutto dentro. Ora, mi sembra di essere senza pelle, allo scoperto, e bersagliato da mille lame” ammise lui, storcendo il naso. “Melodrammatico, lo so, ma l'esempio calza.”

“La ami, il che ti rende vulnerabile. Non è melodrammatico, è normale” dichiarò tranquilla, Mandy. “Non ti devi sentire stupido ad ammettere di provare paura per ciò che provi, e non credo che prima ti sentissi veramente meglio. Nascondersi non conviene mai.”

“Mai, eh?” ghignò John, pensando a quante cose, oltre ai suoi sentimenti per Summer, avesse tenuto nascosto agli altri, oltre che a se stesso.

“Io sono convinta di sì” assentì la collega. “Come sono convinta che, se non ci sbrighiamo, ci laveremo come pulcini. Guarda quel fronte temporalesco!” Preoccupata, Amanda indicò una serie di cumulonembi neri e gonfi e John, accigliandosi, annuì.

“Ops! Sarà meglio se torniamo alla jeep e facciamo rientro alla base. Tanto, ormai, quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto” decretò J.C., prendendo per un braccio Mandy e dirigendosi senza tanti complimenti verso il veicolo.

“Concordo in pieno” assentì lei mentre, in lontananza, i primi tuoni facevano capolino.

 
¤¤¤

“Giuro che, la prossima volta, vado in giro da sola! Non è possibile che, per dimostrare chi è più macho, ci siamo dovuti bagnare come dei pulcini!” sbottò Summer, entrando a passo di carica nell'albergo, seguita da Mike e Sean, bagnati non meno di lei.

Gocciolante e furiosa, si volse verso di loro e, con occhi che sprizzavano scintille, ringhiò: “Chi vi ha detto di scendere dalla Jeep senza scaricare l'attrezzatura? Andate subito a recuperarla! Visto che siete così machi, un altro po' di pioggia non vi farà male.”

I due uomini si guardarono in cagnesco, il cameratismo della mattina già seppellito sotto metri di terra e, con un broncio che toccava terra, tornarono sui loro passi per recuperare l’attrezzatura. 

Summer, disgustata e irritata come un riccio, si diresse lesta verso la sua stanza, ben decisa a fare una doccia calda.

Un mezzo sorriso sul volto, John la intercettò nel corridoio e, vedendola tutta bagnata e furente, le domandò: “Sbaglierò, ma hanno combinato qualcosa, quei due.”

“Puoi dirlo forte” sbottò lei, estraendo dalla tasca dei pantaloni la chiave della camera.

Aperto il battente, si volse a mezzo per fissare J.C., fresco di doccia e profumato di muschio e, senza attendere oltre, lo trascinò con sé nella stanza.

Lui la lasciò fare e, una volta chiusisi dentro, la donna iniziò a spogliarsi senza tanti complimenti, blaterando scocciata: “Avresti dovuto vederli! 'no, Summer, lascia che porti io il tuo zaino!', 'no, le attrezzature sono pesanti, ci penso io!'. Come se non le avessi mai portate! O mia madre non mi avesse munita di braccia, da piccola!”

Con stizza, lanciò sul pavimento la camicia fradicia, rimanendo in reggiseno di pizzo nero e John, suo malgrado, deglutì a fatica.

Non contenta, Summer mise mano ai pantaloncini e ringhiò: “Alla fine, si sono messi a litigare per avere il piacere di portare la mia borsa con i campioni, finendo con il farla cadere in uno dei vecchi canali lavici ormai esauriti. Così ho perso del tempo, e delle imprecazioni, per andarla a prendere e, nel frattempo, è cominciato a diluviare.”

John non seppe se mettersi a ridere o battere in ritirata, quando Summer rimase in indumenti intimi.

Lei pensò per entrambi.

Ritrovata la calma, si avvicinò a lui con un sorriso sul volto e, iniziando a sbottonargli la camicia, mormorò: “Ora ho tanto bisogno di qualcuno che mi tranquillizzi, mi tenga stretta e mi faccia tante coccole.”

“Sei sicura di non volerlo per rivalsa?” le domandò lui, pur senza fermarla.

La donna sollevò i suoi magnetici occhi verde-oro su di lui, e J.C. non ebbe più scampo.

Non c'era rabbia né stizza, in quello sguardo, solo una dolcezza infinita, un desiderio a stento trattenuto e sì, un amore che solo a fatica riusciva a comprendere. O accettare.

Chinandosi su di lei, le strappò un bacio mentre le mani di Summer continuavano a denudarlo e, quando rimase in boxer, si sentì spingere contro il muro, dove la donna iniziò ad accarezzarlo con dita lievi e morbide.

John non si lasciò pregare.

Le affondò il viso nell'incavo del collo, dove assaporò il sapore della sua pelle di pesca e lì, disegnando una scia di baci sulla parte alta dei seni, mormorò il suo nome più e più volte.

Summer ridacchiò, inarcandosi contro di lui mentre, allungando a tentoni una mano, cercò di aprire la porta del bagno.

J.C. la aiutò e, entrato con lei nella piccola stanzetta piastrellata d'azzurro, aprì il sifone della doccia e attese che fosse a temperatura.

Nel frattempo, senza mai staccarsi da Summer, le slacciò il reggiseno per poter calare con le labbra su quei meravigliosi boccioli color salmone.

Lei si piegò all'indietro, deliziata dal suo tocco delicato e famelico assieme e, con un gesto imperioso, lo attirò a sé sotto il getto violento della doccia.

Lì, l'esplorazione di J.C. continuò.

Mentre le mani di Summer scivolavano verso il basso, graffiandogli i glutei e le cosce, in lui crebbe sempre più il desiderio di divorare quel corpo favoloso, voluttuoso, peccaminoso.

Le strappò praticamente di dosso l'ultima barriera che li divideva e, con un movimento fluido, fu dentro di lei.
Summer ansimò deliziata e, levate le gambe per abbracciarlo in vita, gli mormorò all'orecchio: “Fammi prendere fuoco.”

E lui la accontentò.

Si unirono con passione, danzando sotto lo scroscio continuo della doccia, mentre i loro corpi strusciavano l'uno contro l'altra in piena armonia.

Nessuno dei due seppe dire quanto tempo passarono avvinghiati ma, nel raggiungere l'acme, Summer si piegò all'indietro lasciando che l'acqua la colpisse in pieno volto.

Sapeva bene che, se non fosse stata attenta, avrebbe realmente preso fuoco dinanzi a lui.

Perché mai, nella vita, aveva provato un simile piacere, un simile coinvolgimento, un simile annientamento.

Mentre John affondava il viso nell'incavo del suo collo, sazio e divorato, Summer percepì senza sforzo il suo Fuoco acciambellarsi come un gattone dentro di sé.

Più tranquilla, si permise di crollare contro la spalla dell'uomo che l'aveva resa del tutto appagata.

Scivolando via dal corpo umido e caldo di Summer, J.C. continuò a tenerla stretta a sé e, nel darle piccoli baci sul collo, mormorò: “Niente è paragonabile a questo. Niente.”

“No, niente” assentì lei, stringendosi all’uomo con tutte le sue forze. “Sapevo che sarebbe stato splendido, ma non pensavo che... che...”

“Che avresti visto le stelle?” ironizzò John, scostandosi per guardarla in viso.

Ancora una volta, la vulnerabilità di Summer venne fuori e J.C., protettivo come mai prima, chiuse l'acqua della doccia, si allungò per prendere un asciugamani e vi avvolse la donna.

Fatto ciò, la sollevò tra le braccia per riportarla in camera e lì, con delicatezza, la fece sdraiare sul letto.
Summ lo lasciò fare e, con occhi languidi, lo osservò asciugarsi accuratamente prima di raggiungerla sul letto, nudo e bellissimo.

Nuovamente, John la strinse a sé, limitandosi a carezzarle la chioma umida e la schiena.

La donna si accoccolò contro di lui, ascoltò il battito calmo dell'uomo e il suo profumo forte e speziato e, senza neppure accorgersene, si addormentò.

E J.C. continuò a tenerla avvinta a sé per non farle mancare la sicurezza manifesta che, in quel momento, poteva scorgere sul suo volto.

Non avrebbe mai dovuto temere nulla e nessuno, ci avrebbe pensato lui a proteggerla. Non sarebbe mai stata più costretta ad affrontare i problemi da sola.

Da quel momento in poi, li avrebbero affrontati assieme.

 
 
 
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1.'Gradh geal mo croide' : (gaelico irlandese) : Grande gioia del mio cuore.

 

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


summ

Cap. 7

 

 

 

 

 

 

I fulvi capelli stretti in una treccia, e un completo da trekking color tek indosso, Summer si issò sulla jeep assieme ad Amanda mentre Sean, per quel giorno, decise di non farsi vedere.

La batosta del giorno prima ancora bruciava, evidentemente.

Mike e John partirono per raggiungere il centro sismologico dell'isola, mentre le due donne si diressero verso la zona ovest del cratere per nuovi rilievi.

Il sole era tornato a splendere sull'isola, nulla sembrava turbare quella splendida giornata estiva.

Le spiagge erano ricolme di turisti, il profumo del latte di cocco si confondeva con quello dei cibi a base di pesce cucinati praticamente ovunque, sull'isola.

Nel lasciare Hilo, Summer mugugnò: “Stiamo lavorando incessantemente da giorni. Ci vuole un giorno di svago!”

“Penso che ce lo possiamo permettere, visti i ritmi che abbiamo tenuto fino ad ora. In fondo, il Kilauea è calmo, per quanto possa esserlo un vulcano attivo, e di qui non scappa” assentì con foga Amanda, tenendosi alla maniglia della portiera quando la collega lasciò la strada principale per imboccare la Crater Rim Drive.

Avanzando a media velocità per ammirare il paesaggio desolato e, al tempo stesso, selvaggio che le circondava, Summer dichiarò: “Domani voglio fare la turista, andarmene in giro con infradito e pareo, e non pensare a nulla se non a spendere dei soldi.”

Mandy rise di gusto nell'annuire all'amica, dichiarandosi del tutto d'accordo con lei.

“Poi, voglio prenotare un ristorantino romantico e portarci John” ammiccò Summer. “Mi ha detto che avete parlato di noi, ieri.”

“Già. Non mi aspettavo davvero fosse lui, ma ieri J.C. aveva una faccia... gli si leggeva tutto. Non è mai capitato, prima” asserì Amanda, vagamente sorpresa.

“Ha fatto scivolare via la maschera” mormorò l’altra, svoltando con abilità ad uno stretto incrocio.

“Allora, non ero solo io a immaginare che l'avesse!” sbottò con una certa soddisfazione Amanda.

“Sai, vero, che proviene da una famiglia creola...” iniziò col dire Summer, iniziando a diminuire la velocità del mezzo.

“Sì. Angelique è venuta una volta, al NOAA, ed è stata assai cortese con tutti” assentì la collega.

E ciarliera” aggiunse la vulcanologa, con un sogghigno.

“Molto” ammise Mandy, ridacchiando. “Mi ha sorpreso sapere che John avrebbe potuto diventare un gran sacerdote, o qualcosa del genere.”

“E' una cosa che gli pesa molto, e preferisce non parlarne affatto. E' un argomento che, di solito, con lui non tratto. Ma la maschera che di solito porta, è soprattutto un affare di famiglia. Lui non vuole avere nulla a che fare con i suoi antenati, perciò si barrica.”

Barricava” precisò a quel punto la collega. “A quanto pare, qualcosa è cambiato.”

“Già. Pare che, esponendosi con me, si sia esposto anche a tutta una serie di altri … pensieri.”

“Dici che cadrà in crisi esistenziale?” si preoccupò subito Amanda.

“Non direi. John è forte, e ora che non mi devo più nascondere, baderò io a che non si faccia venire delle paturnie inutili” ridacchiò Summer.

“Wow, sarai la sua... oddio, come si può dire? Guerriera con l'armatura scintillante?” rise sommessamente l'altra.

“Qualcosa del genere. E lui mi difenderà da Sean. E' come un mutuo soccorso” assentì Summ, rallentando ulteriormente fino a raggiungere una spianata di terra abbastanza ampia dove sistemare la jeep. “Eccoci arrivati. Si prega di non lasciare nulla sul sedile, e di svuotare le cappelliere. Grazie per aver scelto la nostra compagnia di viaggi.”

Amanda sorrise nel vedere l'amica e collega così gioviale e serena e, nell'afferrare i propri attrezzi da lavoro, le diede di gomito mormorando: “E' così bravo, a letto?”

“Sì” asserì solamente Summer, un gran ghigno sul volto.

Lei rise di gusto e, nel darle un pizzicotto sul naso, mugugnò: “Non vantarti così tanto! Non è giusto!”

“Che ci posso fare, se oggi sono felice come una Pasqua? Mi sono dichiarata all'uomo che amo, lui mi ricambia e ho potuto gustare le gioie del letto con lui. Cosa ci potrebbe essere di più perfetto?” replicò la vulcanologa, mettendosi in spalla il suo zaino.

“Poche cose, in effetti” ammise suo malgrado Amanda, iniziando la lunga camminata che le avrebbe portate al Kilauea.

“Felice che tu sia d'accordo con me. Ma, per evitare problemi, non ne parlerò più. Non voglio andare in oca e ruzzolare per terra.”

“Potrebbe succedere?”

“Sì.”

¤¤¤

Giunti allo USGS, l'osservatorio sismografico posto alle pendici del Kilauea, John e Mike smontarono dalla jeep e, non senza un certo divertimento, osservarono le centinaia di turisti presenti in loco.

Si rendevano conto che, quello che stavano osservando con tanta ammirazione, era una delle forze più potenti e devastanti del globo? O quella finta sicurezza dava loro certezze inesistenti?

La struttura a un piano, interamente in porfido e dalle linee squadrate, si allargava sulla spianata antistante il cratere – il Kilauea era singolare anche per la sua forma così anomala.

In quel momento, era gremita di turisti in ammirazione delle foto del piccolo museo interno.

I sismografi erano in piena attività e registravano senza sosta le scosse impercettibili prodotte dalla camera magmatica.

Quando John e Mike entrarono per salutare i colleghi, i loro occhi corsero subito ai pennini in movimento.

Nulla di anomalo, per fortuna.

“Ehi, ragazzi! Salve! Dove avete mollato le bellezze con voi?” esordì Kaneda Oolua, salutandoli da dietro la sua scrivania.

“Si stanno divertendo a fare una scampagnata intorno alla caldera. Sai com'è … non ci volevano tra i piedi...” ridacchiò John, appoggiandosi contro una delle tante scrivanie stipate nella piccola stanza dei sismografi.

Kaneda ridacchiò e, nell'abbandonare temporaneamente la sua postazione, avvicinò i due uomini e fece loro segno di seguirlo in una stanza adiacente.

Oltrepassando come acqua di torrente un autentico fiume di turisti – impegnati a studiare le cartine topografiche appese ai muri del piccolo museo sul Kilauea – il vulcanologo fece entrare i colleghi in un angusto studiolo, e lì chiuse la porta.

Tornato serio, dichiarò: “Ultimamente, la camera magmatica si è agitata un po' più del solito. Niente di eccezionale, ma sui tamburi abbiamo visto delle leggere variazioni sismiche.”

Aggrottando la fronte, J.C. domandò: “Dobbiamo avvertire Summer e Amanda?”

“Non direi. Le oscillazioni variano da un quarto di punto al mezzo punto sulla scala Richter. Ci attestiamo intorno all'1,5-1,8 Richter, quindi nella media. Solo una mattina abbiamo toccato i 2 punti. Però, è una media al rialzo, se così la vogliamo vedere.”

Mike asserì pensieroso: “Si sta scrollando un po' le spalle, a quanto pare.”

“Già” assentì Kaneda.

“Prevedi di dover allertare l'isola?” chiese allora John, infilando le mani in tasca con aria apparentemente tranquilla.

In realtà, sapere Summer e Mandy nelle vicinanze del canale di lava, non lo rendeva per niente tranquillo.

“Monitoriamo queste anomalie da circa un mese e mezzo e, per il momento, sono stabili. Grazie ai nuovi GPS che avete installato, ci stanno arrivando centinaia di misurazioni in più, che stiamo procedendo ad analizzare. Unite alle vostre analisi preliminari, possiamo dire che la lava del Kilauea sta diventando più vischiosa del normale, e che il fronte del vulcano si è lievemente ingrossato.”

J.C. e Nick aggrottarono parimenti la fronte.

“La camera magmatica spinge verso l'alto” mormorò Mike, storcendo il naso.

“Così parrebbe. E' stato un movimento impercettibile, nell'ordine di qualche decimo di millimetro, ma c'è” assentì Kaneda, sfiorando con aria distratta uno degli elaboratori presenti nella stanzetta. “Se non fosse per questi ragazzoni, con tutti i dati che abbiamo, impazziremmo.”

“Per le analisi specifiche dei campioni di lava, contavamo di venire qui giovedì, se per voi va bene. Vi liberiamo di un po' di scartoffie, nel frattempo” lo mise al corrente Mike, lanciando un'occhiata preoccupata ai computer al pari di John.

Non avevano idea di cosa stessero elaborando in quel momento, ma nessuno dei due si sentiva tranquillo. E neppure Kaneda, a giudicare dalla sua aria ombrosa.

“Una mano fa sempre piacere. Il Kilauea è un cliente scomodo perché è perennemente attivo, e dobbiamo monitorarlo continuamente. Quando il NOAA ci manda i suoi scienziati dalla capitale, per noi è solo che una manna dal cielo” ridacchiò Kaneda, annuendo a più riprese.

“Saremo qui per le nove” promise allora John, uscendo dalla saletta degli elaboratori assieme agli altri due uomini.

All'esterno, il flusso continuo di turisti in visita al maestoso vulcano attivo era simile alla piena di un fiume, ma J.C. non seppe dire se quell'afflusso così copioso di persone fosse un bene, o un male, per l'isola.

Quell'accostarsi così ingenuo a un mostro della natura di simile portata, a volte lo sconcertava.

Era come essere allo zoo, con le persone gremite dinanzi alla gabbia delle tigri.

Nessuno pareva rammentare che le tigri erano dei felini molto pericolosi, e potenziali predatori anche dell'uomo.

Alla stessa maniera, nessuno pareva ricordare che il vulcano non era una creatura mansueta e addomesticata, ma un elemento imprevedibile della natura.

Natura che l'uomo, pur con tutte le sue scoperte scientifiche e tecniche, non aveva ancora imbrigliato.

¤¤¤

Spazzolandosi i capelli dopo l'ennesima doccia – la caldera del vulcano non era esattamente il luogo più profumato del pianeta – Summer sorrise spontaneamente quando vide entrare John nella sua stanza.

Indossava una camicia a mezze maniche blu su jeans schiariti e, sul volto, un sorriso accompagnò il suo 'ciao', corredato da bacio sul collo.

Summ ridacchiò nel sentire quella dolce pressione sulla pelle accaldata e liscia come seta e, nel piegarsi all'indietro, si appoggiò alla sua spalla, mormorando: “Non provocarmi, ragazzone, o non andremo affatto a cena, stasera.”

“Non hai il minimo autocontrollo. Non puoi aspettare stanotte per tartassarmi?” ridacchiò John, scostandosi da lei per ammirarla in tutta tranquillità.

Una leggera camiciola bianca a ricami fiorati accompagnava una lunga gonna gitana, a balze nere, blu e ciano mentre, ai piedi, sottili infradito tempestate di perline completavano il suo abbigliamento sbarazzino.

Con un movimento fluido, Summ legò i capelli in una coda di cavallo e, con un mezzo giro, si volse verso J.C. per offrirgli la mano, che lui accettò con un ironico inchino.

Insieme, uscirono dalla sua stanza per raggiungere la sala da pranzo e lì, seduto in un angolo appartato e con un bel calice di vino bianco tra le dita affusolate, videro Sean.

Alla loro comparsa, l'uomo li salutò con un ironico accenno di brindisi prima di sorseggiare il buon vino californiano e Summer, con uno sbuffo, si diresse senza ulteriori indugi al loro tavolo.

“Ha la capacità di farmi innervosire.”

“Lui lo sa, e tu non fai altro che dargli corda” le fece notare J.C., scostandole la sedia perché si accomodasse. “Ignoralo.”

“E' abbastanza difficile, sapendo che c'è” brontolò per contro la donna.

“Smettila di lamentarti, Summ. Più ci pensi, meno starai tranquilla” la rabberciò bonariamente l'uomo, accomodandosi al suo fianco.

“Non mi piace il tuo modo di consolarmi” si lagnò lei, pur concedendogli un sorriso.

“Non mi metterò a farti le sviolinate, solo perché ti ho spiattellato tutto. Tra noi non cambia niente, Testa Rossa, a parte il fatto che dividiamo il letto.”

“Cosa non da poco” ironizzò la donna, ridacchiando con ironia.

“In effetti... ma non pensare che diventerò il tuo schiavetto. Scordatelo” precisò John, fissandola bieco.

“Non sia mai!” esclamò Summer, battendogli una mano sul braccio.

In quel mentre giunse Amanda e, nel vederli già al tavolo, li salutò e si accomodò con un gran sorriso in viso, accompagnato da un laconico: “Cena a tre, stasera.”

“Come?” esalarono i due, fissando l'amica con aria stranita.

Coprendosi la bocca per mascherare un ghigno piratesco, Mandy mormorò: “Mike è uscito con una donna. Li ho beccati poco fa, e lui mi ha detto di dirvi che non ci sarebbe stato, per stasera.”

“Aaah, un polipo di meno!” esclamò lieta Summer, tutta contenta.

L'amica rise sommessamente a quel commento e replicò: “Sei ingrata, e lo sai. E lui che stravedeva per te!”

“Per le mie tette, vorrai dire” precisò l’altra, senza peli sulla lingua.

“Dio, ti prego! Non tirare in ballo certe parti anatomiche poco prima di cena!” esalò J.C., fissandola con aria esasperata.

“Oh, smettila! Sai benissimo come sono fatte le mie tette, … perché non dovrei nominarle, davanti a Mandy?” sbottò ironicamente Summer, squadrandolo con i suoi meravigliosi occhi da gatta.

Suo malgrado, John tossicchiò imbarazzato e Amanda, sorridendo indulgente, asserì: “Cambiamo argomento, Summ. Mi pare che il nostro J.C., qui, sia piuttosto a disagio.”

“Come se, tra uomini, non ne parlassero mai” sentenziò la vulcanologa, scrollando noncurante le spalle.

“Diciamo solo che, su certi argomenti, sono più sensibile” brontolò John, servendosi un goccio d'acqua per riprendersi dall'improvvisa secchezza alla bocca che l'aveva preso.

“Oooh, abbiamo appena scoperto cosa piace al nostro John!” esalò divertita Summer, dandogli un buffetto sulla guancia.

“Summ!” gracchiò l'uomo, lanciandole un'occhiata sconvolta mentre Mandy scoppiava a ridere il più silenziosamente possibile.

La diretta interpellata si limitò a scrollare le spalle, ma gli sorrise così teneramente che John, a quel punto, non riuscì più a trovare una sola argomentazione valida per azzittirla.

E come poteva, di fronte ad un simile concentrato di dolcezza?

¤¤¤

“... e così, ho finito per gettarmi tra le sue braccia” terminò di dire Summer, sdraiata sul suo letto, in attesa dell'arrivo di John.

Spring sospirò deliziata e, con tono languido, asserì: “Oh, Summy, non vedevo l'ora che succedesse. Tu e John state così bene, insieme!”

“Già, ma vallo a spiegare alla nonna, che ha mandato qui Sean perché mi facesse ravvedere” brontolò la gemella, mettendosi prona, il corpo nudo e abbracciato solo dalla brezza serale che penetrava dalle imposte socchiuse.

“Questa è stata una vera e propria carognata. So che Win le ha telefonato, ed è stato tremendo. Le condutture dell'acqua hanno tremato per ore, dopo quella chiamata. Doveva essere furioso” le confidò la gemella, con tono veemente.

Spiacente, l’altra mormorò: “Non voglio angustiare Winter. Già è in ansia nel sapermi lontana da casa, con quella Spada di Damocle che mi ha lasciato sulla testa zia Brigidh. Figuriamoci se poi deve anche pensare a Nonna Shaina!”

“Win si preoccuperà sempre per noi, lo sai. L'altro giorno è passato a vedere come stavo, e mi ha portato una crostata di pesche, la mia preferita.”

La voce si fece dolce, quasi sognante.

“E' rimasto con me finché non è tornato Max dall'ufficio e, per tutto il tempo, ha giocherellato con il mio liquido amniotico, facendo in modo che cullasse la bambina, permettendole così di dormire e di far riposare me.”

“Sunshine si agita, ultimamente?” si informò allora Summer.

“Più del solito. Ha caldo, da quel poco che ho capito, e non la biasimo. Washington, in questo periodo, è un forno. E non posso sempre stare sotto la bocchetta del condizionatore d'aria” sbuffò infastidita Spring.

Con un movimento calcolato, si spostò sul divano e continuò dicendo: “Winter diventa ogni giorno più ansioso, e Max gli fa eco. Sono solo al quarto mese, e già stanno in ansia. Quando sarò all'ottavo, cosa faranno?”

“Ti amano, cucciola; cosa pensavi? Credevi che Win se ne sarebbe stato tranquillo a vederti diventare una palla, senza dire nulla? O che Max non si sarebbe preoccupato del suo tesorino?” la irrise dolcemente Summer, sorridendo nell'oscurità della sua stanza.

“Sì, lo so. Ma non voglio che impazziscano prima del tempo” ironizzò Spring.

“Oh, non impazziranno. Salteranno fuori alcuni capelli bianchi, forse, ma niente di più” buttò lì Summ, prima di volgersi a mezzo quando sentì bussare. “Chi è?”

“Il lupo cattivo” ghignò John, dall'altra parte della porta.

La donna ridacchiò e, mandato un bacio a Spring, chiuse la chiamata.

J.C. entrò un attimo dopo e, nel vederla stesa sul letto, nivea e pura in contrasto con l'oscurità della stanza, si avvicinò e disse in tono sommesso: “Una sirena non potrebbe tentarmi di più, ne sembrarmi più bella.”

Il sorriso di lei si accentuò e, nell'allungare una mano in direzione del suo amore, asserì: “Nessun verso poetico potrebbe sembrarmi più bello delle tue parole, perché so che sono vere, non dette solo per adularmi.”

Un bacio la raggiunse sulla fronte e Summer, sdraiandosi supina, lasciò che lo sguardo di John si beasse del suo corpo, mentre le mani seguivano gli occhi in quella lenta esplorazione.

Era corroborante percepire il fuoco dentro di lei seguire sornione il tocco dell'uomo sulla sua pelle, come un gatto voglioso di carezze, chetato solo dalle mani del suo padrone.

John temeva di diventare il suo schiavo?

No, tutt'altro.

Era lei che, ben presto, non avrebbe più potuto fare a meno di lui, del suo tocco, dei suoi baci, della sua stessa presenza.

E, come uno schiaffo in pieno viso, la premonizione di zia Brigidh tornò alla sua mente con la stessa forza di un uragano, facendola rabbrividire da capo a piedi.

Subito, J.C. si fermò e, fissandola in viso con aria dubbiosa, si preoccupò immediatamente non appena vide il terrore negli occhi spalancati di Summer.

“Ehi, piccola, cosa succede?” esalò l'uomo, carezzandole protettivo il volto.

La donna si levò a sedere e, abbracciatolo stretto, ansò contro il suo torace palpitante: “Non lasciarmi. Mai!”

“Non ho nessuna intenzione di andarmene, Summ... che vai a pensare?” ridacchiò nervosamente lui, carezzandole gentilmente la schiena. “Ehi, calma... tranquillizzati...”

Lei strinse con forza gli occhi, obbligandosi a calmare i battiti furiosi del suo cuore.

Mentre le carezze dell'uomo continuavano incessanti, Summer cercò con tutte le sue forze di scacciare le immagini terrificanti che il suo cervello partorì con violenza.

Lo baciò con foga, trascinandolo sul letto con lei.

Con gesti febbrili lo liberò dagli abiti e John, lasciandola fare, si lasciò trascinare via dalla sua passione dilagante e senza freni.

Summ divorò ogni centimetro del corpo muscoloso e tonico di J.C., e depose con ogni bacio una stilla del suo amore per lui, sperando con tutto il cuore che questo potesse bastare per proteggerlo.

Non aveva idea di cosa avrebbe potuto accadere, né se le sue paure fossero indirizzate verso la persona giusta, ma una cosa sola sapeva: avrebbe preferito morire divorata dalle fiamme, piuttosto che perdere John.

Molte ore dopo, chetata la passione, Summer si trovava rannicchiata nell'incavo protettivo del braccio di J.C., il capo poggiato contro il suo torace.

Lenti movimenti circolari di un dito carezzavano la pelle poco sotto un seno della donna e, con voce strascicata, l'uomo mormorò: “Prima che tu mi mangiassi un pezzettino alla volta, volevo chiederti con chi eri al telefono. A proposito, quando l'hai comprato?”

Summ ridacchiò. “L'altro giorno. Non potevo rimanere per tutto il tempo senza cellulare. Comunque, ero con Spry.”

“Come sta la nostra futura mamma?” si informò John, curioso.

“Soffre il caldo, anzi, soffrono. Spring dice che Sunshine è più agitata del solito” gli spiegò lei, giocherellando con uno dei capezzoli dell'uomo.

“Posso capirle. Mamma mi dice sempre che, quando aspettava me, le sembrava di morire di caldo tutti i santi giorni. E poi, in questo periodo, Washington non è esattamente la città più fresca d'America” assentì J.C., comprensivo.

“Max ha detto che prevede di liberarsi per tre settimane, così da poterla portare nel Maine, dove hanno una villa sul mare. Lì, starà sicuramente meglio” lo mise al corrente Summer.

John assentì compiaciuto. “E' un'ottima scelta. Si troveranno bene.”

“Tua mamma non vive lì, per caso? Non mi ricordo se si è già trasferita o meno” dichiarò pensosa la donna, tamburellandosi un dito sul mento.

Sorridendo, John asserì: “Sì, ha traslocato giusto due mesi fa. Da quando papà è morto, rimanere in quella casa le pesava un sacco, e un cambiamento radicale era la cosa migliore che potesse fare.”

“Potremmo andarla a trovare, non appena avremo finito qui. Sono sicura che le farà piacere vedere che stiamo insieme” gli propose lei, sorridendogli.

John le diede un buffetto sul naso, annuendo.

“Mi ha stressato per mesi, chiedendomi quando mi sarei dichiarato, che un uomo di quasi quarant'anni non dovrebbe dormire così tanto su certe cose, e tanti altri insulti simili... quando saprà la verità, si sentirà meglio.”

Ridacchiando, Summer assentì.

“Certo, però, che ha ragione. Avresti potuto confidarti prima.”

“E tu no, sciocchina?” la rabberciò lui, mordicchiandole il lobo di un orecchio.

“Sono vecchio stampo, su certe cose” ironizzò lei, lasciandolo fare. Il suo Fuoco non poteva che apprezzare, almeno quanto lei.

“Anche la mamma” brontolò John, scostandosi da lei per scrutarla in viso. “Vorrà sicuramente benedire questa cosa con uno dei suoi strani riti. Scusami fin da adesso.”

Carezzandogli una guancia con un tocco tenero delle dita, Summer mormorò: “Oh, John... non devi preoccuparti di queste cose. So benissimo che discendenza hai, e la cosa non mi turba per nulla. Non avrei avuto niente in contrario neppure se tu fossi diventato un...”

Azzittendola con un tocco severo delle dita, J.C. scosse il capo e, torvo, replicò: “Non voglio neppure parlarne, Summ. Sono cose che non mi riguardano.”

Come ti sbagli!, pensò tra sé la donna, dispiaciuta da questo suo caparbio negare l'evidenza.

I loa benigni che danzavano attorno a lui si rattrappirono a quelle parole e lei, con tutto il cuore, desiderò poterli rassicurare sui buoni sentimenti che sapeva albergavano nell'uomo che amava.

Non conosceva i motivi che spingevano John a negare l'evidenza, ma non voleva forzare la mano su quell'argomento.

Dovevano procedere per gradi e, una volta che lui avesse ascoltato le sue verità, avrebbe potuto accettare le proprie.

O almeno così sperava.

Avvoltolo in un caldo abbraccio, lei mormorò: “Non pensiamoci. Siamo qui, noi due soli, e ci stiamo godendo il nostro amore. Cosa potremmo volere di più?”

“Che Sean sparisse?” ironizzò J.C.

“Non nominarlo neppure, quando sono a letto con te” replicò la donna, facendogli la lingua.

Lui la accontentò.

 

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


8

Cap. 8

 

 

 

 

 

 

Le strade di Hilo erano percorse dai turisti, accarezzate dalla brezza che giungeva dal mare e dal brontolio sommesso – ma non noto ai più – dei sommovimenti terrestri che plasmavano la Terra.

Summer godeva di quegli elementi in egual maniera, ma i suoi occhi erano solo per il suo accompagnatore, per il suo Fulcro, per la sua anima gemella.

Anima gemella che, in quel momento, stava contrattando – anche in maniera piuttosto energica – con un commerciante di ninnoli per avere una collana dall'aspetto piuttosto esotico.

La donna ridacchiò nel vederlo animarsi a quel modo - J.C. solitamente era compassato e tranquillo - e quando lo vide riuscire nel suo intento, non poté che applaudirlo festante.

Tutto contento, l'uomo si volse nella sua direzione e, con occhi che contenevano soltanto il grande amore che provava per lei, le disse: “Girati, così posso mettertela.”

“Grazie” mormorò lei, sollevando la chioma di riccioli ramati per facilitargli il compito.

Mike non aveva gradito molto vederli uscire assieme, mano nella mano, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco.

Senza attendere neppure un secondo, era uscito dall'albergo con tutta l'intenzione di andare a caccia.

Amanda, invece, aveva colto al volo l'occasione per prenotare un'intera sessione di massaggi nella SPA dell'albergo e, con un gran sorrisone, aveva augurato loro di passare una bella giornata.

Quello che l’aveva stupita era stato Sean.

Si era limitato a sollevare il bicchiere del suo succo d’arancia – neanche fosse stato pregiato Dom Perignon – e aveva brindato a loro, lanciandole un sorriso velato di preoccupazione prima di distogliere lo sguardo.

Summer non aveva affatto gradito, ma aveva preferito rimanersene zitta per non rovinarsi la giornata prima che questa avesse inizio.

Sean l’aveva pregata più volte di poter parlare in separata sede, in quei giorni, ma lei gli aveva sempre negato questa possibilità.

Ascoltare ciò che Shaina, per bocca sua, aveva intenzione di dirle, non era esattamente il modo migliore per chetarsi e, se ci avesse anche solo provato, le sarebbe venuto un mal di testa tremendo.

Quella giornata era solo per lei e J.C.

Punto.

Un brontolio sordo nel Kilauea, però, parve contraddirla, ma lei preferì non ascoltarlo.

Per una volta, avrebbe voluto tanto essere una comune ragazza con il suo uomo, non un’Accolita degli Elementi, una Dominatrice del Fuoco, una Pirocinetica Creatrice.

E, per una volta, avrebbe tanto voluto che anche J.C. fosse solo un uomo, e non il depositario di un antico credo cui lui non faceva il minimo affidamento, ma a cui era legato pur negandolo.

Era difficile non badare ai loa che lo seguivano docili e speranzosi che, un giorno o l’altro, lui rivolgesse loro le proprie preghiere o i propri desideri.

Lei poteva scorgerli senza alcun problema, e loro erano altrettanto coscienti di questa sua capacità, e la rispettavano e temevano per questo.

Pur appartenendo a due credi differenti, lei stimava e apprezzava il mondo degli spiriti e i loa, pur non riconoscendola come depositaria dei Sacri Misteri, le dovevano rispetto e stima.

Summer sapeva bene quanto fosse frustrante, per loro, non essere accettati.

La donna si era sentita così in più di un’occasione e, temeva, J.C. non sarebbe stato tanto tenero con lei, se gliene avesse parlato.

Forse, però, rendendolo partecipe del suo segreto poco alla volta, avrebbe avuto maggior successo della sua famiglia d’origine.

L’essere catapultato fin da bambino nelle maglie dell’occultismo, aveva forse inibito la mentalità di John ma, trattando con un uomo adulto e dalle ampie vedute, Summer avrebbe avuto maggior fortuna.

Forse.

In quel momento, però, né i loa né tanto meno i moniti del vulcano dovevano preoccuparla. Era con John, e questa era l’unica cosa importante.

¤¤¤

Destreggiandosi con pinza e forchetta per liberare della succosa carne una chela di granchio, Summer rise nell’infilarsela in bocca deliziata e, con un sospiro, esalò: “Squisita. Questo piatto è adorabile!”

“Noto” ridacchiò John, prendendo per sé un gambero alla griglia.

“Hai scelto benissimo” lo rincuorò lei. “Ti eri informato prima?”                    

“Lo ammetto, ho chiesto al direttore dell’albergo” ridacchiò J.C., versandole un po’ di vinello dalla tinta dorata.

“Hai fatto bene, niente da dire” assentì Summer, sorseggiando il vino assieme all’uomo.

“Sono lieto che il posto ti piaccia e poi…” cominciò col dire lui prima di intrecciare le dita con quelle di lei. “… adoro vederti così sorridente e serena.”

Arrossendo suo malgrado, Summ reclinò un poco il capo e mormorò: “Non dovresti parlare così. Mi imbarazzi.”

“Lo faccio anche per questo. E’ difficile pensare a te come a una persona che possa imbarazzarsi per un semplice complimento” ridacchiò John, portandosi la sua mano alle labbra prima di lasciarla andare.

Il rossore sulle gote di Summer aumentò e lei, burbera, mugugnò: “Non è giusto che tu ti approfitti della cosa!”

“Sei adorabile… che ci posso fare?” si limitò a dire l’uomo, spallucciando.

A quel punto, lei si coprì il viso con le mani e rise sommessamente, sentendosi nuovamente una quindicenne al suo primo appuntamento.

Con John, era difficile mantenere il controllo, restare la spigliata donna che soleva mostrare al mondo.

Assieme a lui, emergeva una Summer nascosta, più dolce, più delicata, suo malgrado più debole e insicura, e non era del tutto sicura che la cosa le piacesse.

Ma pareva mandare in deliquio lui, perciò…

“Non mi definirei adorabile. Qualche altro aggettivo, magari, ma adorabile? Spry è adorabile!” si schernì lei, cercando di superare l’imbarazzo.

Ora del tutto serio, J.C. la fissò in quei meravigliosi occhi da gatta e replicò: “No, Summ. Sei tu a essere adorabile. Non metto in dubbio che la dolce Spry sia meravigliosa, ma io amo te, e tu sei adorabile per me.”

“John…” ansò lei, mordendosi il labbro inferiore, preda di un dolore sordo al costato.

Il suo dominio miagolò dentro di lei, in risposta a quelle parole, del tutto conquistato dall’uomo che sedeva innanzi a Summer.

Il Fulcro era potente su di lei, non poteva certo negarlo e questo, suo malgrado, la spaventò. Cosa sarebbe successo se qualcosa tra loro fosse andato storto?

Non osava neppure darsi una risposta, perché la temeva davvero troppo.

Forse comprendendo la confusione della donna, J.C. cambiò argomento di proposito e, nel sorriderle, le domandò: “Allora, per domani, come intendi muoverti? Hai davvero intenzione di fare Indiana Jones, e infilarti in uno dei vecchi condotti lavici che ci sono nella foresta?”

Grata per quella deviazione, lei scosse un poco le spalle e disse: “Dobbiamo controllare tutto il Kilauea, non soltanto la bocca e le sue emissioni di magma e, per farlo, dobbiamo prendere dei campioni anche dai vecchi condotti. Che ci posso fare se Big Mama vuole un rapporto completo sulle attività del vulcano?”

“Scrupolosa come tuo solito” ridacchiò John, prendendo un pezzo di totano con la forchetta.

“Devia il tuo sarcasmo in direzione del NOAA, grazie. Io non c’entro. Prendo ordini esattamente come te” precisò Summer, dando una sonora martellata a una delle chele, spezzandola.

“Sei tu il capo-spedizione, perciò me la prendo con te” ghignò lui, allungandosi per toglierle un pezzetto di granchio dal dorso di una mano.

“Ah, ecco, mi usi da capro espiatorio perché hai paura di Big Mama! Glielo dirò appena torniamo, poco ma sicuro!” ridacchiò lei, regalandogli un sorriso tutto fossette.

John replicò a quel sorriso con un leggero ansito.

Già, non poteva proprio farci niente, era innamorato cotto, e nulla di quanto avrebbe potuto fare, o dire, l’avrebbe allontanato da quella realtà.

Non gliene importava nulla se nella sua famiglia erano matti da legare, e se sull’isola si trovava il suo non desiderato promesso sposo.

Summer era sua, e così sarebbe stato fino al suo ultimo respiro.

¤¤¤

“Posso assicurarti, zia, che non è successo nulla, a parte l’arrivo a sorpresa di Sean” brontolò Summer, il telefonino attaccato all’orecchio mentre, con la mano libera, si stava dando lo smalto alle unghie dei piedi.

“Già quello è una mezza tragedia. Come si è permessa, la mamma, di mandare lì Sean?!” sbottò la donna, contrariata.

Le imprecazioni si sprecarono, e Summ sorrise. In quello, lei e la zia si erano sempre somigliate. Non ci erano mai andate leggere, con le parole.

“La conosci meglio di me. Dimmelo tu” replicò la nipote, scrollando ironica le spalle.

“Non la conosco meglio di chiunque altro di noi, credimi. Ha sempre avuto una mentalità contorta… forse perché è una Pirocinetica, non so…”

“Quindi, anch’io sono così?” sghignazzò Summer.

“Eccome se lo sei, tesoro” la accusò dolcemente Brigidh, ridendo sommessamente. “Neppure Spring è così contorta. Tu hai un autentico dedalo in testa e, se solo un giorno riuscissi ad arrivarne a capo, potrei ritenermi soddisfatta.”

“Non pensavo di essere così complessa da capire” asserì la nipote, vagamente sorpresa.

“Non complessa, cara, ma barricata all’inverosimile, sì. Ti nascondi dietro una marea di muri, fossati e ponti levatoi, e dio solo sa cos’altro. Da cosa dipenda, ancora non lo capisco, ma so che queste barriere ci sono” la mise al corrente la zia.

“Non è che la vita, con noi, sia stata quella gran pacchia. Se non mi fossi costruita un po’ di barricate, sarei morta da tempo” brontolò Summ, accigliandosi e passando all’altro piede per completare l’opera.

“Non dico che tu non abbia fatto bene, Summy, ma è chiaro che queste barriere ti bloccano, anche se non ho capito bene in che modo. Sicura che, con John, vada tutto bene?”

“Ottimamente… in tutti i sensi, e il mio elemento è soddisfatto come un gatto che ha appena divorato uno stormo di uccellini. Sto bene, davvero” la rassicurò la nipote, avvertendo chiaramente nel tono di voce della zia una profonda preoccupazione.

“E con la questione ‘verità’, come la mettiamo?”

Accigliandosi leggermente, Summer mormorò: “Voglio arrivarci poco alla volta. Sai com’è John. Neppure crede ai loa che lo seguono fin da quando era un bambino, figurarsi se crederebbe in quello che sono io!”

“Attenta a quel che fai, tesoro, perché nascondersi dietro frasi smozzicate può portare a guai seri” la mise in guardia Brigidh.

“Oooh, adesso basta! Mi hai messa al corrente del tuo modo di vedere, ma ora ne ho abbastanza! Sto bene… stiamo bene, e tutto andrà per il meglio. Ora devo andare. Ho una riunione con i miei colleghi, perciò non posso tardare. Un bacio” brontolò Summer, chiudendo in fretta la comunicazione.

Un ‘ma, Summ…’ fuoriuscì dal microfono del cellulare, prima che la chiamata fosse del tutto interrotta.

Fissando malamente il telefonino, fu tentata di distruggere anche quello.

Quella totale mancanza di controllo avrebbe dovuto metterla in allarme – se il suo elemento era così soddisfatto, perché i suoi nervi erano tesi all’inverosimile?

Del tutto sorda a questi messaggi, però, uscì dalla stanza senza fare null’altro se non scuotere il capo.

Non c’era niente che non andasse in lei, in John, nel loro rapporto.

Tutto era semplicemente perfetto.

E avrebbe continuato ad esserlo ancora per un bel po’.

Il cellulare trillò e Summer, nel sollevarlo, si ritrovò innanzi un messaggino di Autumn.

Non infuriarti con la zia. Ha ragione da vendere, Testa Rossa.

“Anche tu ti ci metti…” ringhiò, spegnendo il telefonino perché nessun altro potesse inviarle le sue perle di saggezza non desiderate.

Quando infine raggiunse il piano bar dell’albergo dove Mike, Mandy e John la stavano aspettando, stava letteralmente andando a fuoco.

Si accomodò poggiando possessivamente una mano sulla coscia di J.C., fulminò con lo sguardo Mike perché non osasse dire una sola parola in merito e, rivoltasi a Mandy, dichiarò: “Possiamo anche cominciare.”

Amanda comprese al volo che qualcosa non andava, e così pure John che, nell’intrecciare una mano con la sua, le sorrise comprensivo prima di dedicare la propria attenzione a ciò che la loro collega stava esponendo.

Summer annuì più e più volte, confermò i dati fin lì raccolti, chiese spiegazioni su un paio di punti di cui non si era occupata personalmente, dopodiché fece procedere Mike con la sua parte di lavoro.

Competente non meno di lei, Mike dimostrò ancora una volta quanto fosse utile al NOAA, nonostante la sua propensione a correre troppo dietro alle sottane.

Sul lavoro, era un mostro di bravura, indispensabile quasi quanto l’aria che respiravano.

Il suo carattere, doveva passare in secondo piano.

Da ultimo, Summer lasciò John, che le espose quel che era di sua pertinenza prima di lasciare a lei la parola.

La donna assentì a tutto, trovando il loro lavoro più che esauriente dopodiché, estratta da una carpetta morbida una cartina dell’isola, indicò un paio di punti in particolare.

“Prenderemo dei campioni in questi vecchi canali sotterranei per stimarne la vecchiaia, oltra alla differenza dei basalti presenti nella lava. Dobbiamo avere un quadro complessivo il più preciso possibile, per quando torneremo da Big Mama.”

“Possibilità che il Kilauea utilizzi ancora quei condotti?” domandò Mike, scrutando la cartina con aria aggrottata.

“Nessuna. Sono canali vecchi di decenni, perciò siamo relativamente al sicuro” scrollò le spalle Summer.

“Mi piace il modo in cui dici ‘relativamente’. Lo fai passare per una bella cosa” ironizzò l’uomo, lanciandole un’occhiata divertita.

Lei sogghignò, replicando: “Quando studi un vulcano, è tutto relativo.”

“Scommetto che se ci fossi stata tu, sul Saint Helens, non saresti rimasta sommersa sotto la colata piroclastica1” ribatté l’uomo, fissandola con enorme rispetto.

“Mi piace pensarlo” ammise Summer, lanciando uno sguardo dubbioso all’indirizzo di John.

Quello scambio di battute non lo aveva minimamente infastidito, nonostante potesse sembrare che Mike ci stesse provando con lei.

Questo la rincuorò. Sarebbe stato atroce soppesare ogni mezza parola,  in sua presenza, se la gelosia l’avesse fatta da padrona.

Chiusa che ebbe la cartina, Summer dichiarò: “Direi che possiamo terminare qui. Domattina dovremo alzarci di buon’ora, perciò non fate le ore piccole. A domani.”

Mike e Mandy assentirono e Summ, nell’alzarsi, tenne nella sua la mano di John.

Silenziosi, si diressero verso la sua stanza per passare la notte assieme.

Per nulla al mondo, specialmente dopo la telefonata di zia Brigidh, sarebbe rimasta sola a piangersi addosso per ciò che non aveva ancora detto a J.C.

Ci sarebbe stato tempo per tutto, anche per quelle scomode verità.

Per il momento, doveva solo farlo abituare al loro nuovo rapporto e, poco per volta, lo avrebbe riportato in seno alla sua famiglia.

Una volta fattolo riconciliare con il suo retaggio, Summer l’avrebbe messo a conoscenza del proprio.

Non poteva fare diversamente.

J.C. aveva troppi conti in sospeso con il passato. Procedere con maggiore fretta, sarebbe solo servito a farlo allontanare o, peggio, a farsi odiare da lui.

E il solo pensiero la atterriva.

Avrebbe voluto dire perdere una parte del suo cuore, se non tutto.

Quando finalmente entrarono in camera, Summer si chiuse la porta alle spalle e John, turbato, le domandò: “Cos’è successo, Summ?”

“La zia mi ha fatto girare le scatole, tutto qui. Sembra che, ultimamente, la mia famiglia stia cospirando contro la mia salute mentale” brontolò lei, accoccolandosi contro il suo torace ampio e forte.

“Dubito che tua zia possa anche soltanto assomigliare a sua madre, quanto a cattiveria…” ironizzò John, baciandole i capelli vaporosi. “… ma, se mi dici che ti ha fatto arrabbiare, la sgriderò.”

Summer rise sommessamente e, nel dargli un casto bacio sulle labbra, mormorò: “Cosa farei, se non ci fossi tu?”

“Spero proprio tu non debba mai scoprirlo!” ironizzò lui, sciogliendole i lacci della blusa di lino che lei indossava.

Scoprendole il reggiseno di pizzo bianco, John chinò il capo a baciarle la pelle eburnea e profumata di gelsomino.

Inspirò a fondo quel profumo delicato e che sapeva tanto di Summer e, nel sospingerla delicatamente sul letto, le depositò caldi baci su tutta la pelle, sentendola inarcarsi deliziata al suo passaggio.

“Ti farò dimenticare ogni cosa. Niente ti infastidirà” le promise lui, tra un bacio e l’altro.

Summer lo lasciò fare, sospirando e godendo di quel passaggio di labbra infuocate e lingua.

Affondò le unghie nelle sue spalle quando la denudò completamente e, nell’ammirarlo alla luce fioca della luna, sorrise sorniona e lo attirò a sé per un bacio divorante.

Uno ad uno, sfiorò con le dita i molti tatuaggi che gli ricoprivano le braccia – retaggio del suo passato pugilistico – e, mentre le labbra giocavano con la sua bocca, avvolse i suoi fianchi con le gambe.

John non attese altro.

Affondò dentro di lei e la amò con dolcezza, mettendo tutto se stesso in ogni spinta, in ogni bacio, perché le rughe di ansietà sulla sua fronte svanissero una dopo l’altra.

Fu molto tempo dopo, con Summer addormentata tra le braccia e la frescura della notte a sfiorare le loro carni accaldate dall’amplesso recente, che John ne scrutò il viso con aria meditabonda.

Neppure nel sonno, il suo volto era disteso.

Cosa poteva turbarla al punto da non lasciarla mai, neppure un attimo?

Nel sentire vibrare il suo telefonino, si accigliò.

Scostandosi da lei in modo tale da non svegliarla, John infilò in fretta i jeans e, afferrato che ebbe il cellulare, uscì sulla veranda per parlare agevolmente con chi aveva avuto l’idea di chiamarlo a quell’ora di notte.

Non appena si accorse che era sua madre, i suoi tratti si addolcirono.

“Ciao, ma’. Come stai?” domandò premuroso lui, appoggiandosi al muro dell’albergo mentre la brezza di mare ne solleticava il torace nudo.

“Ho sbagliato fuso orario, vero?” mugugnò la donna, spiacente.

John sorrise nella notte e replicò: “Non importa, mamma. Tanto ero sveglio.”

“Che ore sono, lì?”

“Le due di  notte. Avevi bisogno di me, mamma?”

Un attimo di silenzio, la voce sommessa di qualcuno in sottofondo e, quasi controvoglia, Angelique mormorò: “So che non vuoi sentir parlare di queste cose, figliolo, ma…”

Accigliandosi immediatamente, John disse con durezza: “Non propinarmi delle stronzate sul vudù, mamma, perché riattacco immediatamente.”

“Non usare quel tono con me, Johnathan Carlton Graham!” sbottò la madre con tenacia, incurante dei suoi settanta anni di età e del suo doppio by-pass coronarico. “Ti ho chiamato per avvisarti di un pericolo imminente, non per sentirti parlare come un ragazzaccio di strada! Ti ho dato un’educazione, per l’amor di Dio!”

“Scusa, mamma… ma tu calmati, per favore, va bene?” asserì in fretta lui, preoccupandosi immediatamente per la salute della donna.

“Non mi farò venire un infarto mentre parlo con te, ragazzo, ma farai meglio a cambiare tono, se vuoi che io ti parli ancora, è chiaro!?”

“Affermativo” mormorò J.C., calmandosi immediatamente.

“Bene” sbuffò Angelique, chetandosi. “La mamaloa è stata chiara. Un’ombra oscura ti è vicina, perciò devi prestare attenzione a ciò che farai.”

“Mamma, sono su un vulcano. E’ normale che io presti attenzione a ciò che faccio” brontolò suo malgrado John, trovando quelle raccomandazioni del tutto inutili.

Come se avesse potuto permettersi di fare il pazzo in una situazione del genere!

“Non sarà il vulcano a metterti alla prova, ma il tuo stesso cuore, presta attenzione, caro” lo mise in guardia la donna, il tono profondo e stanco.

Accigliandosi J.C. ringhiò infastidito: “Senti, maman, con tutto il rispetto parlando…

Interrompendolo sul nascere, Angelique liquidò le sue scuse con un secco ‘taci!’.

John, sorpreso dal suo tono, che profumava di inquietudine come mai lo era stato in quegli anni, se non dopo la morte prematura di sua madre durante un antico rito vuduista, mormorò: “Maman, cosa c’è, davvero?”

“Ah! Come se quello che ti ho detto fin qui fossero menzogne!” brontolò la donna. “Mettiti bene in testa, figliolo, che i loa non porteranno pazienza in eterno, e potrebbero rivoltarsi contro di te, se tu continui a ignorarli bellamente come stai facendo! Non capisci quanto è importante che tu comprenda quanto sei potente?!”

Passandosi una mano sul viso con espressione stanca, J.C. dichiarò seccamente: “Mamma, non mi convincerai mai. La nonna se la sono portata via le sue credenze e i suoi spettri mentali. Non ha voluto andare in ospedale, perché era convinta che i suoi ‘spiriti’ …” e così dicendo, mimò le virgolette con una mano. “…l’avrebbero salvata. Non credo ad altro. Mi spiace.”

Il respiro affannoso di Angelique fu l’unica cosa che John percepì, all’altro capo del telefono e, suo malgrado, gli spiacque essere stato così duro con lei.

Erano mesi che non si vedevano e, per quanto riguardava il vudù, erano addirittura anni che non toccavano seriamente l’argomento.

Ma, di sicuro, parlandole a quel modo, non aveva voluto ferirla.

“Senti, mamma. Facciamo così; quando torno mi spiegherai qualcosa, va bene?”

“Sarà già tardi” sospirò allora Angelique. “Ti auguro tutta la fortuna di questo mondo, figlio mio, ma rammenta le mie parole. Io ti avevo avvertito.”

“Buonanotte, mamma” mormorò John, chiudendo la comunicazione con un sospiro.

Rimasto solo con sé stesso, l’uomo lanciò uno sguardo al cielo sgombro di nubi, dove le rade stelle – divorate dalla luce pallida della luna – ammiccavano seriose sopra di lui.

Il vento, da calda brezza che era stata, si tramutò ben presto in serpeggiante e gelido tocco e, con un brivido, rientrò nella stanza di Summer per tornare sotto le coperte.

Non visti, almeno ai suoi occhi, i loa gridarono verso il cielo la loro frustrazione e, da speranzosi e affranti, i tratti dei loro volti si contorsero, accigliandosi, distorcendosi, aggrottandosi.

Il sibilo del vento divenne gemito e, furiosi e insoddisfatti, gli spiriti si diressero verso la bocca del vulcano abbandonando, dopo anni di infruttuosa protezione, il fianco del loro predestinato.

E segnarono di fatto l’inevitabile.

 

 

 

 

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1 Colata piroclastica: La colata piroclastica (o flusso piroclastico) è un flusso di materiale magmatico e gas ad alte temperature che scende dai fianchi di un vulcano grigio ad alta velocità. Nello specifico, può essere definita come una corrente bifasica, costituita da particelle solide (materiale juvenile, pomici, scorie e cristalli, e non juvenile, litici accessori ed accidentali), disperse in una fase gassosa (prevalentemente vapore d‘acqua e subordinatamente biossido e monossido di carbonio). 


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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


Cap. 9
 
 
 
 
 
La prima cosa che Summer notò, al suo risveglio, fu la totale mancanza dei loa al fianco di John.

La seconda, fu il suo umor nero.

Chiedendosene il motivo – fino alla sera precedente, tutto le era parso a posto – la donna sfiorò la spalla del suo compagno con gentilezza e, nel dargli un bacio sulla guancia, mormorò: “Ehi, campione. Tutto bene? Pronto per oggi?”

“Prontissimo” assentì lui, sorridendole a mezzo nel mettersi seduto.

I suoi occhi scuri, solitamente accesi da una fiammella di passione, quel mattino apparivano spenti quanto dolenti e, suo malgrado, Summer dovette far finta di nulla per non insospettirlo.

Come spiegargli quanto fosse semplice, per lei, comprendere i suoi stati d’animo?

Se fosse stata un Guardiano dello Spirito, avrebbe sondato la sua mente, per comprendere da dove venisse la nebbia che gli aveva oscurato lo sguardo.

Potendo solo avvertirne le sensazioni, dovette accontentarsi e domandarsi cos’avesse.

Nel rivestirsi in silenzio, la vulcanologa preparò coscienziosamente il suo zaino prima di notare un particolare che, in precedenza, non aveva notato.

C’era un’ombra, accanto a J.C., e non era quella prodotta dal suo corpo.

Aggrottando la fronte, la Guardiana espanse il suo potere per sondare l’aria attorno all’uomo ma, con prepotenza, venne rimandata al mittente senza tanti complimenti.

Mordendosi un labbro per non imprecare – il contraccolpo psichico era stato molto forte – la donna si chiese cosa fosse e, soprattutto, perché fosse comparsa improvvisamente accanto a John.

Non sei addentro al nostro mondo, sacerdotessa, perciò non occuparti di questioni di cui non conosci nulla!

Quel riverbero stentoreo le trapanò il cervello, obbligandola a passarsi una mano sulla fronte come per scacciare un principio di emicrania.

Chi diavolo era che la insultava a quel modo?!

Prima di importi su di me, presentati! Non amo confrontarmi con chi non conosco!

Sai benissimo chi sono, sacerdotessa del fuoco!

E fu a quel punto che Summer sgranò gli occhi, fissò l’amico e amante a occhi sgranati e, sgomenta, si rese conto di cosa fosse successo.

Quell’ombra… quella voce… era John!

Ma non l’uomo che lei amava, che era il suo Fulcro, che lei avrebbe voluto per sé fino all’ultimo giorno della sua vita.

No, quella era l’emanazione psichica delle sue paure, dei suoi rimorsi, del suo odio, e dio solo sapeva quanti ne aveva accumulati, negli anni!

Senza più i loa a proteggerlo da se stesso – ma dov’erano, poi? – l’ombra si era materializzata in tutta la sua forza e ora, simile a uno squalo pronto a colpire, gravitava attorno a John tenendola a distanza.

“John… stai bene?” gli domandò ad un certo punto lei, uscendo dalla stanza per raggiungere quella di J.C. e recuperare il suo zaino.

“Ma certo. E’ la seconda volta che me lo chiedi. Ho forse qualcosa in faccia?” le domandò lui, sorridendole.

Summer faticò a non fremere di paura.

L’ombra mutò, divenne enorme e sguainò zanne degne di una tigre mentre, imperiosa, la fissava come desiderando divorarla in un sol boccone.

Era mai possibile che John non si rendesse conto di nulla?!

Deglutendo a fatica di fronte a un simile spettacolo, la donna ammutolì e, mentre John prendeva il suo zaino già pronto, insieme si recarono nella sala da pranzo dell’albergo.

Durante il tragitto, intercettarono la figura di Sean, in procinto di uscire dalla sua stanza.

Già sul punto di salutarli con ironia, l’irlandese si bloccò a metà di una parola e fissò spaventato Summer.

I suoi occhi chiari urlavano a grandi lettere ciò che la donna aveva già, amaramente, scoperto.

John, vagamente confuso, cercò con lo sguardo la compagna che, a sorpresa, lo sfiorò a un braccio per poi dirgli: “Devo parlare un attimo con lui, scusami.”

Lui si accigliò immediatamente e, alle sue spalle, l’ombra ringhiò furente.

Un attimo dopo, però, John annuì e mormorò: “Ti aspetto al tavolo, allora.”

“Sì, grazie” assentì lei, osservandolo turbata mentre si allontanava con il suo consueto passo potente e fiero.

L’ombra avanzò con lui, sempre più imponente e oscura.

“E’ senza controllo” mormorò Sean, la voce percorsa da un brivido gelido.

“NO!” esalò Summer, volgendosi verso di lui a occhi sgranati e, sì, terrorizzati da quella scomoda realtà. “Riuscirò a farlo tornare in sé, poco ma sicuro!”

“Non è nelle tue possibilità, Summer, e lo sai bene. Non sei una Guardiana dello Spirito, e Mæb è troppo lontana da qui, perché tu possa farla intervenire. Inoltre, trattandosi di un tipo di spirito non legato al nostro culto, non so neppure se lei potrebbe fare qualcosa per aiutarlo. Forse, Spring, che è legata alle creature viventi, ma… no. E’ incinta. Sarebbe comunque troppo pericoloso farla intervenire.”

“Non ricordavo che eri un Empate… hai visto cos’ha, vero?” dichiarò Summer, suo malgrado d’accordo con Sean.

Lui annuì e, rivolgendole uno sguardo sinceramente preoccupato, la mise in guardia.

“Devi stare attenta, Summer, perché ho paura possa perdere il controllo di sé al minimo alito di vento.”

“Non posso lasciarlo solo, ora che non c’è più nulla tra sé e i suoi demoni” replicò lei, pur sapendo quanto Sean fosse sincero con lei, in quel momento.

“Posso immaginarlo…” ammise Sean, reclinando pensieroso il capo. “… ma cerca di non farti ammazzare. Se il suo potere si riversasse su di te senza filtri, non so se il Dono del Fuoco basterebbe a proteggerti. Dopotutto, a quanto mi hai detto, è lui il tuo Fulcro.”

Aggrottando la fronte, Summer ringhiò: “Che intendi dire, scusa?”

Sinceramente comprensivo, l’uomo le sfiorò il viso con il dorso di una mano e, gentilmente, le disse: “Ha accesso diretto al tuo cuore, perciò è così pericoloso per te.”

Lei non disse nulla, limitandosi ad annuire torva e Sean, nel ritirare la mano, aggiunse: “Non interferirò, ma sii cauta.”

“Lo sarò e… grazie” mormorò la Guardiana, andandosene poi a grandi passi per raggiungere John e gli altri nella sala da pranzo.

Sean la seguì più lentamente, raggiungendo il suo tavolo solo dopo aver lanciato un’ultima, breve occhiata in direzione dei quattro scienziati a cui, in quel momento, stavano servendo la colazione.

Lui si accomodò al suo tavolo solitario e, dopo aver ordinato una spremuta tropicale e un french toast, prese il cellulare e attese paziente che all’altro capo rispondessero.

Quando una voce di anziana lo raggiunse, Sean mormorò ossequioso: “I miei rispetti, Signora degli Spiriti. Sono Sean O’Gready, figlio di Angus e Maurinne, della stirpe dei Guerrieri del Ramo Rosso1.”

“Ah, giovane Sean! Rammento il tuo spettro psichico! E cosa ci fai alle Hawaii insieme alla nostra bella Summer, eh?” ridacchiò la vecchia, senza sorprenderlo per nulla.

La Guardiana degli Spiriti che era Mæb, era la più potente sacerdotessa in vita in quell’epoca, perciò non faceva specie che, non solo sapesse dov’era, ma anche in compagnia di chi.

“Sono qui su mandato di Lady Shaina, come previsto dai Trattati… almeno in via ufficiale” dichiarò lui, con un mezzo sorriso.

Non era ancora riuscito a parlarne con  Summer, e il problema appena sorto complicava tutto, e di molto.

Prima di riferirle qualsiasi cosa, doveva risolvere quel problema più impellente.

Solo in seguito le avrebbe spiegato cosa lui, Colin e Miranda erano riusciti a scoprire, dopo tanti anni di studi sugli Antichi Testi.

Per correttezza, Winter e Autumn erano già a conoscenza da tempo delle indagini in corso ma, per non dare loro nessuna falsa speranza, di comune accordo le ricerche erano rimaste segrete.

L’aver scoperto la verità l’aveva reso felice e, quando Lady Shaina l’aveva invitato a raggiungere Summer, lui aveva colto la palla al balzo, accettando subito.

La cocciutaggine della giovane Guardiana, però, gli aveva impedito di portare a termine la sua missione, e ora il suo Fulcro stava per metterla in pericolo.

Non poteva rimanere con le mani in mano. Doveva agire.

“Vi chiamo per una gentile cortesia. Ho il timore che la Sacerdotessa del Fuoco possa incorrere in un grave pericolo e…”

Interrotto dalla voce turbata di Mæb, Sean le sentì dire: “Non so cosa stia combinando quella ragazza, ma c’è un concentrato di potere incontrollato, accanto a lei… e non appartiene alla nostra famiglia.”

“Chiamavo proprio per questo. C’è nulla che io possa fare? O che voi possiate fare dal vostro tempio, a New Orleans?” le domandò speranzoso, pur non aspettandosi molto.

“Per prima cosa, non ti sognare di toccarlo, ragazzo. Il tuo dono ti rende estremamente sensibile, dal punto di vista psichico e, se solo sfiorassi un simile concentrato di male, potresti anche subire dei danni permanenti” lo mise immediatamente in guardia la donna, sgomentandolo. “Quanto a Summer, non posso fare nulla per lei, in prima persona, ma conosco qualcuno che si può occupare di questo loa fuori controllo.”

“Un loa?” esalò sorpreso Sean, lanciando  un’occhiata sorpresa in direzione di John.

“Il tizio è legato agli spiriti vudù, non c’è dubbio, perciò non rientra nel mio raggio d’azione, ma conosco un houngan che potrebbe esserci d’aiuto. Se riesci, trattieni Summer lontano da quella bomba innescata, mentre io vado a cercare rinforzi” brontolò la donna, chiudendo la comunicazione in tutta fretta.

Sean sospirò e, nel vederli allontanarsi dalla sala da pranzo, mormorò: “Come se fosse facile dare degli ordini a quella donna.”

 
¤¤¤

Il folto della foresta aveva impedito loro di procedere oltre con la jeep e, zaini sulle spalle e mappa GPS tra le mani, John e Summer si erano inoltrati tra le alte piante verdeggianti per raggiungere la meta.

Già dopo qualche miglio, i loro pantaloncini si erano inumiditi a causa della rugiada depositata sul fogliame del sottobosco che intralciava, a ogni passo, il loro cammino.

Ora armato di machete, J.C. continuò a farsi strada con sapiente mano ma, a ogni modo, il loro cammino fu comunque lento e complesso.

Summer, dietro di lui, continuò incessantemente a scrutare turbata l’ombra oscura del suo unico amore che, appollaiata su di lui come un avvoltoio, replicava al suo sguardo con lascivia e desiderio.

Non faticava a comprendere cosa quel demone volesse da lei.

Il potere.

Il Fuoco era un dominio potente, forse il maggiore dei quattro – con esclusione dello Spirito, che aveva altra natura – e Summer, tra i gemelli, era quella ad aver subito il training peggiore di tutti.

Nessuno dei suoi fratelli sapeva di ciò che aveva dovuto passare, per tenere a bada il suo Elemento, poiché era vitale che nessuno di loro provasse compassione per lei.

Non lo aveva mai voluto, né lo voleva ora.

Era arsa per settimane, mesi interi, prima di riuscire a domare correttamente il suo dono.

Quando infine era riuscita a imbrigliarlo in qualche modo, le emozioni di coloro che le stavano vicino avevano iniziato a invaderla.

Simile a benzina sul fuoco, ogni sguardo accigliato, ogni cattivo pensiero, ogni sorriso era servito a farle perdere il controllo, a dare il via a un nuovo scoppio di potere indesiderato.

Il Fuoco aveva tentato infinite volte di sfuggirle di mano, di proseguire da solo il suo viaggio nel Creato, in barba ai suoi tentativi di imbrigliarlo.

Aveva pianto, strepitato, pestato i pugni, ma nulla era servito a darle un maggior controllo su quella bestia affamata che era il suo Elemento.

Finché non aveva compreso.

Proprio ciò che le faceva perdere il controllo, era ciò di cui si cibava il fuoco perciò, con le debite regolazioni e con prelievi oculati, poteva sfamarlo senza impazzire del tutto.

Poco per volta, tentativo dopo tentativo, aveva imparato a gestire le sensazioni che galleggiavano nell’etere, per poi deviarle al suo Elemento perennemente affamato.

Si era prodigata per non nutrirlo troppo, o troppo spesso, ben sapendo quanto sarebbe stato difficile, altrimenti, mantenerlo nei regimi ma, alla fine, era riuscita nel suo intento.

E, quando tutto le era parso ormai semplice, era giunta Erin. E il lascito della sua famiglia.

Aveva sempre amato Win più degli altri, non faceva fatica ad ammetterlo con se stessa.

Quando quella Spada di Damocle gli era caduta sul capo, aveva rischiato di far esplodere tutta Washington, persa com’era ad ascoltare i riverberi furiosi del suo dono.

Il Fuoco aveva desiderato divorare, consumare, non lasciare che cenere, spinto dal suo stesso furore cieco.

Quell’ultimo supplizio le era servito per imparare un’ulteriore lezione.

Mai, in nessun caso, avrebbe dovuto cedere alla rabbia personale, o tutto sarebbe stato raso al suolo.

Non solo le emozioni altrui potevano trarla in inganno, ma soprattutto le sue.

E da quelle, avrebbe dovuto tenersi alla larga.

Potendo creare il fuoco dal nulla, cosa che i suoi fratelli non potevano fare con i rispettivi domini, lei era di gran lunga la più pericolosa dei quattro Hamilton e, di questo, avrebbe sempre dovuto ricordarsi.

Vedere perciò lo sguardo voglioso del demone di John, non le permise di godersi la traversata nella foresta come avrebbe fatto in un caso diverso e, anzi, la mise in allarme più che mai.

Quando infine raggiunsero il canale sotterraneo, che avrebbero dovuto controllare quel giorno, Summer tremò.

Il demone era a dir poco euforico, ed il fatto che J.C. non si stesse rendendo conto di nulla la mise in agitazione.

Scesi con attenzione lungo l’erta, che conduceva all’entrata del vecchio condotto lavico, Summ pregò mentalmente Arianrhod di darle la forza di non scappare a gambe levate da quel potenziale disastro.

Non voleva lasciare solo John con il suo lato oscuro, ma neanche voleva ficcarsi in un guaio di proporzioni bibliche con le sue stesse mani.

Perché, se c’era una cosa che adoravano i demoni, erano le tenebre e l’oscurità.

Lì, la loro forza decuplicava, e non era un bell’affare trovarsi nello stesso luogo con l’equivalente cinematografico del Conte Dracula.

Ugualmente, accese la torcia non appena ce ne fu bisogno e, quando anche John fece lo stesso, tirò un sospiro di sollievo.

Questo però ebbe breve durata perché, fatti pochi passi nell’oscurità di quel luogo cupo, dove la lava aveva disegnato striature, rigonfiamenti e lacrime di pietra sul soffitto a volta, J.C. si volse verso di lei e sorrise.

E Summer seppe che non era più lui a guardarla.

Era l’altro.

Come una frusta abilmente mossa, la sua mano le artigliò il collo, scaraventandola contro il muro di roccia lavica e lei, con un gracidio affranto, esclamò: “John, no! Combattilo!”

John non c’è!” celiò il demone con la voce di J.C.

Sollevatala da terra con facilità estrema, gli occhi ridotti a due esili fessure di fuoco scarlatto, il demone che era John rise soddisfatto, mentre Summer tentava invano di liberarsi.

“Non andrai da nessuna parte, se prima non mi dai il tuo Elemento!” le ringhiò contro lo spirito oscuro, mostrandole i denti con fare minaccioso.

No, erano diventate zanne. E servivano a una sola cosa.

Urlato il suo nome nella speranza ormai remota che lui potesse sentirla – ovunque il demone lo avesse relegato – Summer lanciò subito dopo uno strillo di puro dolore.

Le zanne dello spirito oscuro le affondarono nella spalla, lacerandola.

Non potendo fare altro, lasciò che il fuoco divampasse da lei, con il chiaro intento di allontanare il demone da sé e, di colpo, si ritrovò a terra.

Poggiando malamente un piede, aggrottò la fronte quando la caviglia si piegò in maniera innaturale, slogandosi e, rovinando a terra, fissò accigliata il suo assalitore.

Non John. Il demone.

Doveva tenerlo a mente, o sarebbe stata alla sua mercé finché non avesse assaporato fino all’ultima stilla del suo fuoco.

La mano ustionata, e il volto arrossato dalle fiamme che Summer gli aveva scatenato contro, il demone le ringhiò contro inferocito ma lei, circonfusa del suo Elemento, sibilò torva: “Non mi avrai, questo è poco ma sicuro!”

“Lui non ha neanche la più pallida idea di che cosa tu sia, altrimenti sarebbe stato John a desiderare il tuo fuoco, non io!” celiò ghignante il demone, irridendola.

“J.C. non mi avrebbe mai fatto del male!” replicò infuriata lei, levandosi a fatica e tenendosi contro la parete di lava disseccata.

“Non lo sapremo mai, no?” ironizzò lui, tornando all’attacco.

Un terremoto colse entrambi di sorpresa, sbalzandoli a terra come due birilli in una sala da bowling e Summer, guardandosi intorno sconcertata, lanciò un grido terrorizzato quando la parete di lava rinsecchita crollò.

La lotta con il demone, le aveva impedito di accorgersi di ciò che stava accadendo intorno a lei!

Gettandosi su John per toglierlo dalla traiettoria dei massi, che chiusero la loro unica via di fuga con un muro inamovibile di macerie, Summ si ritrovò in un attimo schiacciata contro il terreno.

Le mani bloccate sopra la testa, fissò a occhi sgranati le zanne del demone e, già sul punto di richiamare nuovamente le fiamme, si ritrovò a scrutare la confusione nel suo sguardo.

E la sua paura.

Come se avesse visto un fantasma, John si scostò in fretta da Summer che, con le lacrime agli occhi, ne seguì i movimenti con apprensione e speranza insieme.

L’uomo, caracollando all’indietro fino a ritrovarsi con le spalle al muro, la fissò inorridito prima di esalare sconcertato: “Cosa… cosa stavo facendo?!”

Tu non stavi facendo nulla, John” esalò lei, rimettendosi a sedere per poi dare un breve sguardo al morso lasciatole dal demone.

J.C. lo fissò sgomento e, crollando in ginocchio, si prese il viso tra le mani e singhiozzò turbato: “Cosa ti ho fatto?!”

“John!” lo richiamò lei, procedendo gatton gattoni fino a raggiungerlo. “Ti ho detto che non sei stato tu!”

“Siamo solo io e te, qui! Cosa dovrei pensare?!” sbottò lui, fissandola con occhi smarriti.

Summer lo fissò dubbiosa – l’ombra era sparita, cancellata chissà come da quel luogo – e, ponderando bene le parole, mormorò: “Non eri tu, John.”

“Che… che intendi dire?” gracchiò l’uomo, aggrottando la fronte.

“E’ inutile che arruffi le piume” brontolò a quel punto lei, massaggiandosi il morso con una mano. “Mentire a te stesso ci ha portati a questo, e il morso che ho sulla spalla ne è la prova regina.”

John rimase fermamente in silenzio e Summer, sbuffando sonoramente, ringhiò: “E’ stato un loa oscuro a farmi questo, John! Un loa creato da te!”

Pur sobbalzando a quelle parole, l’uomo si intestardì a non voler parlare e la donna, non potendo far altro per lui, sospirò sconsolata.

“Tua madre mi parlò più di una volta dei tuoi poteri di houngan, e del tuo strenuo rifiuto di credere di possedere un simile dono. Beh, abbiamo stabilito senza ombra di dubbio che hai abbastanza energia per crearti un loa oscuro, ricolmo dei tuoi sentimenti di odio, paura e rimorso.”

“Non sai di che stai parlando” le rinfacciò lui, chiudendosi a riccio.

“Oooh, ne so più di quanto tu non creda, bello mio, ed è ora che impari anche tu, o finiremo nei guai, la prossima volta che il nostro amico piraņa deciderà di farsi uno spuntino con me! Perché succederà ancora, credimi, almeno fino a che non riuscirai a tenerlo a bada!” sbottò Summer, accigliandosi al pari suo.

“Non ho nulla da imparare” sentenziò lui, levandosi in piedi per raggiungere la parete di roccia franata.

Lei lo seguì con lo sguardo, inferocita in parte e in parte dispiaciuta.

Summer era nata conoscendo ogni cosa del suo retaggio, limitandosi ad accettarlo, apprezzandolo anche.

John, invece, ne aveva avuto paura fin dall’inizio e, cosa ben peggiore, aveva riversato il suo odio sul culto della sua genia, credendo che questo gli avesse strappato la nonna.

E ora si era giunti a questo.

Alzandosi a fatica, Summer si avviò per raggiungerlo ma, dopo un paio di passi, si bloccò terrorizzata prima di esalare: “No! Non è possibile!”

Il terremoto non aveva causato solo lo smottamento di pietre che li teneva imprigionati… aveva anche riaperto il condotto lavico, lasciando libero accesso al magma del Kilauea!

Lanciando uno sguardo turbato al condotto buio e minaccioso, Summer tornò a volgere gli occhi verso John che, dubbioso, le domandò: “Cosa succede, ora?”

Già. Come spiegarglielo senza lanciare un’altra bomba?

Sospirando afflitta, Summer raggiunse zoppicante la parete di detriti e, il capo reclinato verso il basso, ammise: “Sta arrivando una colata lavica e, se non ci sbrighiamo ad uscire, ci vaporizzerà.”

“Come diavolo fai a saperlo?” sbottò J.C., fissandola scettico.

Lei non poté far altro che levare lo sguardo su di lui e, al colmo dell’infelicità, dichiarare: “Perché io sono una Dominatrice del Fuoco, e la lava è parte integrante del mio dono.”

John strabuzzò gli occhi a quelle parole, allontanandosi da lei come se provasse ribrezzo o, peggio, paura e la donna, pur sentendosi andare in pezzi, mantenne saldo il suo autocontrollo.

Rivolgendo lo sguardo verso la parete di roccia sconnessa, mormorò: “Autumn, apri le orecchie e vedi di aiutarci. Qui siamo nella merda fino al collo!”

Un masso si mosse, raschiando contro gli altri prima di cadere rumorosamente a terra e J.C., imprecando, si allontanò dalla coltre di detriti mentre Summer, imperturbabile, li osservava crollare uno dopo l’altro.

Ormai era fatta ma, per salvarlo, avrebbe mandato all’aria molto più del suo segreto.

Senza avere il coraggio di guardarlo – le sue emozioni confuse come un tifone sull’oceano – la donna si concentrò unicamente sulle rocce che stavano ruzzolando a terra le une dopo le altre.

Quando, però, si rese conto che la spinta prodotta da Autumn sulle rocce non era sufficiente per liberarli in tempo, si volse verso John e, incurante dei suoi occhi sgranati quanto disgustati, lo avvicinò e si strinse a lui.

“Non ti muovere, o morirai!”

Mentre le pietre continuavano a cadere sotto la spinta dell’aria, smossa da Autumn con gran fervore, il fiume di lava li investì.

John, urlando di puro terrore, si strinse a Summer solo per scoprire che, non solo non stava ardendo vivo, ma neppure stava subendo alcun tipo di ustione.

La donna, tranquilla in viso e con occhi che mandavano bagliori dorati, stava veicolando senza alcun problema il flusso della lava, libero di sfogarsi nel condotto finalmente aperto, grazie all’aiuto di Autumn.

Non potendo semplicemente rispedirlo al mittente – un ritorno di lava avrebbe fatto letteralmente esplodere il Kilauea – lei aveva dovuto attenderne l’arrivo per farsi investire.

E, con quella decisione, aveva inchiodato definitivamente la bara in cui aveva rinchiuso per sempre il suo amore per John.

Perché era questo che dicevano gli occhi dell’uomo.

L’amore fin lì provato per lei era stato risucchiato via dalla paura, dall’incomprensione, dall’orrore.

In lei, ora J.C. non vedeva che una strega, un essere immondo, una creatura capace di muovere forze che nessuno avrebbe potuto.

Per lui, questo era davvero troppo. La sua mente, semplicemente, non capiva.

Quando il flusso lavico si fu esaurito e la via di fuga fu sgombra, Summer lo accompagnò verso l’esterno e solo lì lo lasciò andare, sicuro che non avrebbe subito danni, almeno a livello fisico.

Per quelli del cuore, lei non poteva fare nulla. Non più, ormai.

Il trillo furioso del cellulare di Summ li colse entrambi di sorpresa e lei, afferratolo con dita malferme, accettò la chiamata.

“Ehi, sorellina, tutto bene!?”

La voce di Autumn gli arrivò concitata, terrorizzata e, sì, comprensiva.

Strano, da parte sua, che era carta vetrata allo stato puro.

“Tutto bene, grazie. Siamo entrambi sani e salvi, Autumn” mormorò lei, guardando John con occhi colmi di scuse.

Lui, semplicemente, la stava fissando come se non la conoscesse affatto e, peggio, come se la persona che aveva innanzi fosse da temere.

“Come l’ha presa John?” mugugnò Autumn, cercando con tutte le sue forze di apparire gentile.

“Male” sussurrò lei, sospirando. “Ti lascio, bráthair. Devo risolvere un paio di problemi.”

“Lo ammazzo, se vuoi” le propose lui, con il suo solito tono irrispettoso.

Lei si lasciò andare a una risata sgangherata ma rifiutò e, nel rimettere a posto il cellulare, mormorò: “E ora?”

“Penso dovremmo rientrare. Direi che, per oggi, abbiamo fatto a sufficienza” dichiarò lui, lapidario.

“Senti, John… per quel che riguarda ciò che hai visto…” tentennò la donna, levando una mano per bloccarne i passi.

J.C. si scostò come se lei fosse stata appestata, e questo la ferì più di mille ingiurie urlatele contro.

Ugualmente, mormorò: “Se potessi evitare di dire a tutti che io…”

“Non voglio essere scambiato per un pazzo” ringhiò l’uomo, avviandosi verso il sentiero aperto nella boscaglia per tornare alla jeep.

Incurante del fatto che lei fosse ferita alla caviglia, o del suo sguardo ferito.

Affrettandosi a seguirlo, pur se claudicante, Summer disse ancora: “Non sono un mostro, John. Vorrei che almeno di questo fossi al corrente.”

Bloccandosi a metà di un passo, lui si volse per fissarla con occhi lividi e ringhiò: “Cos’altro dovrei pensare, scusa?! Chi è capace di fermare la lava, scusa?!”

Una folata di vento gelido, quanto violento, colpì John un attimo dopo, scaraventandolo a terra e Summ, con un sibilo, esalò: “Autumn, no! E’ un problema mio!”

Il vento cessò e J.C., fissandola ancor più torvo in viso, si levò in piedi spazzandosi nervosamente i pantaloni per poi dire: “A quanto pare, siete tutti strambi, in famiglia. Più di quanto pensassi.”

Accigliandosi, la donna sibilò in risposta: “Non osare insultare i miei cari.”

“Altrimenti cosa fai? Mi dai fuoco?” la irrise lui, gli occhi colmi di una tristezza quasi palpabile. “Dio, Summer! Avrei voluto saperlo! Non credi che meritassi la verità?”

“Tu non accetti la tua, come avresti mai potuto accettare la mia?” replicò lei, seguendolo torva lungo il sentiero.

“Io non ho nessuna verità nascosta” sbuffò l’uomo, accigliandosi.

“Se la pensi così, allora mi sono davvero sbagliata su di te. Non sei l’uomo intelligente che credevo.”

“E tu non sei la donna che pensavo di amare” le ritorse contro lui, mandando a segno più di una pugnalata nel suo giovane cuore.

“Amare una strega ti ripugna?” lo irrise allora Summer, cercando di non piangere.

“Se l’avessi saputo, forse ti sarei stato alla larga” ammise lui, dandole il colpo di grazia.

La donna, allora, sentenziò lapidaria: “Non ci sono problemi. Ti accontenterò. Visto che non mi denuncerai, farò questo per te. Sparirò dalla tua vita. Per sempre.”

A quelle parole, John ebbe un tremito nel cuore ma, cocciuto, lo mise a tacere.

No, semplicemente, non poteva accettare.

Anche se si trattava di Summer.

Anche se si trattava della donna che, nonostante tutto, continuava ad amare a dispetto delle parole cariche di livore che le aveva riversato addosso.

In silenzio, percorsero a ritroso il sentiero fino a raggiungere la jeep e lì, inforcato che ebbero il mezzo, tornarono all’albergo senza più scambiarsi parola, il sibilo del vento come loro unico compagno di viaggio.

Non impiegarono molto e, quando il fuoristrada fu parcheggiato all’ombra di un palmeto, John neppure si diede il tempo di aiutare Summer a scaricare lo zaino.

Prese il proprio e si dileguò, ben deciso a mettere quanta più distanza possibile tra sé e la donna.

A lei non restò altro che chiudere la jeep e tornare mestamente all’albergo, pensando fuggevolmente a Mike e Mandy, sperando che a loro non fosse successo nulla.

Quanto a lei, non era certa che sarebbe riuscita a raggiungere viva il giorno seguente.

La vista di Sean nel giardino dell’albergo la bloccò di colpo e l’uomo, levandosi immediatamente in piedi non appena la vide, le corse incontro per abbracciarla senza chiederle nulla.

Non appena quelle braccia forti la avvolsero, le lacrime presero pieno possesso dei suoi occhi e, piangendo a dirotto, crollò contro di lui con il cuore in frantumi e l’animo ridotto a brandelli.

Sean la cullò dolcemente contro di sé, mormorandole parole in gaelico nell’orecchio mentre, con mani gentili, le carezzava schiena e capelli.

Lentamente, la allontanò dagli sguardi indiscreti dei pochi avventori dell’albergo che, a quell’ora, si trovavano nel giardino.

Raggiunto che ebbero un angolo nascosto tra i palmeti, la fece sedere a terra e la scrutò in viso, preoccupato.

Quando scorse il morso rossastro sulla sua pelle candida, si accigliò e, torvo, le domandò: “Il demone ha preso il sopravvento, vero?”

Lei annuì ma gli spiegò di come, all’improvviso, fosse svanito, lasciando solo John al suo posto.

Annuendo a sua volta, Sean le raccontò della sua telefonata a Mæb e la donna, sempre più sorpresa, si ritrovò a sorridergli grata, ben consapevole che il suo intervento li aveva salvati dall’annientamento.

“Non potevo fare altro, per te” ammise lui, scostandole un ricciolo dalla fronte con il tocco delicato delle dita.

“Non eri tenuto” precisò Summer, arrossendo suo malgrado.

“Indipendentemente da quel che vorrebbe da noi Lady Shaina, ho una mente che ragiona per i fatti suoi” ironizzò Sean, sedendosi al suo fianco sull’erba fresca. “Come conveniva al mio rango, ho fatto quanto lei ha richiesto alla mia famiglia, cioè presentarmi a te come pretendente alla tua mano.”

“Come?” esalò Summ, facendo tanto d’occhi.

Sean le sorrise complice e ammiccò.

“Avrebbero dovuto stare molto più attenti, i tuoi avi, nello scrivere i loro editti. Non si parla da nessuna parte di futuro marito. Perciò, a conti fatti, tu hai sempre avuto tutto il diritto di rifiutarmi, e così pure Spring con Colin, o Autumn con Miranda. Solo Winter era impossibilitato a scegliere, in quanto primogenito, ma voi non avete mai avuto questo obbligo.”

“Hai studiato anche legge?” sorrise a mezzo lei.

“Tra le altre cose” ammise Sean, prima di tornare serio. “Tua nonna sente il potere affievolirsi, e si sta attaccando ai ricordi e alle vecchie leggi per non perdere il dominio sul Clan, ma è ormai destinata a perdersi. Le nuove generazioni avranno il potere. Voi avrete il potere sul Clan, voi detterete le leggi a tutti noi, e nessuno potrà opporsi. E con quello che ho scoperto, nessuno potrà darvi torto, o esigere alcun pegno da parte vostra. Winter ha già pagato a sufficienza per tutti.”

“E non si può semplicemente evitare di avere leggi?” brontolò a quel punto Summer.

“Sono i vostri poteri che lo impongono” assentì con ironia Sean, omaggiandola di un cenno ossequioso del capo.

Lei lo spintonò leggermente con una mano, borbottando: “Oh, dai, piantala! Non sono una regina da omaggiare!”

“E’ quel che pensi tu, lady Summer” ironizzò lui, prima di domandarle più seriamente: “Il vostro segreto può essere compromesso, a questo punto?”

Sospirando, la donna si passò una mano tremante sul viso e scosse il capo.

“No, John manterrà il silenzio. Non vuole essere preso per pazzo. Ma io dovrò togliermi dai piedi.”

“In che senso?” esalò Sean, confuso.

“Penso che, alla fine, accetterò quella cattedra al MIT che da tanto tempo mi offrono. Almeno per un semestre o due, avrò altro a cui pensare, poi deciderò il da farsi” asserì tristemente lei, grattandosi il capo per il nervosismo. “Dio, che schifo!”

“Rimarrò con te, se questo può esserti d’aiuto” le promise l’uomo, sorridendole.

“Sei un docente anche tu, Sean. Non posso pretendere che tu mi segua per farmi da balia. Starò bene ma… grazie per il pensiero” replicò lei, sfiorandogli il viso con una carezza gentile.

“Rimarrò comunque qui, e ti riaccompagnerò a Washington. Vorrei porgere i miei omaggi a Spring, Winter e alla nascitura” le propose allora Sean, imperturbabile.

“E a Max?” si interessò Summer, dubbiosa.

“Il futuro marito di Spring? Si chiama così?”

“Esatto.”

“Sarà un piacere conoscerlo” dichiarò l’uomo, sorridendo.

“Bene. Allora, sono contenta che tu rimanga” dichiarò suo malgrado Summer, incredula. “Così potrai spiegarmi cosa diavolo hai scoperto.

Sean rise, e lei si ritrovò a sorridere speranzosa assieme a lui.

Se qualcuno glielo avesse detto anche solo il giorno prima, non ci avrebbe creduto.

E fu a quel punto che comprese la visione di zia Brigidh e, con un sospiro, ammise tra sé che, in effetti, qualcuno a lei caro era morto.

Per lei, John era defunto. Perso per sempre.
 
 
____________________________
1 Guerrieri del Ramo Rosso: antica stirpe di guerrieri irlandesi legati a re Conor Mac Nessa e alle leggende sul Mastino dell’Ulster.

N.d.A.: direi che lo scossone c'è stato... il più sarà vedere come reagirà John, adesso.

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


 Cap. 10
 
 
 
 
 
La collana, che John le aveva regalato solo due giorni prima, vegetava solitaria sopra gli abiti che Summer aveva infilato nel suo trolley.

Era la muta testimone del terremoto che l’aveva mandata gambe all’aria.

Se il silenzio teso tra i due aveva sorpreso i loro colleghi, la presenza di Sean – costante quanto premurosa – aveva fatto nascere più di un’illazione.

Mike, non lasciandosi sfuggire l’occasione per fare il ficcanaso, si era preso per diretta conseguenza un’autentica ramanzina dal suo capo.

Non solo, Summer gli aveva intimato di farsi gli affari suoi ma, per ciò che riguardava Sean, aveva sottolineato che l’uomo era innanzitutto, e soprattutto, affare suo.

Con Big Mama avrebbe parlato lei, e non certo Mike, con la sua visione distorta della realtà.

Le lacrime intraviste negli occhi della collega, avevano spinto Mike a desistere dal parlare ulteriormente, spingendolo altresì a scusarsi.

Per la prima volta in vita sua, aveva scorto delle crepe vistose sulla maschera solitamente solare di Summer Hamilton, e questo lo aveva scioccato non poco.

Portandolo così, per una volta, a comportarsi con coscienza.

La mattina della partenza, un lento sospiro fuoriuscì dalla bocca piegata in una smorfia di Summ che, uscita che fu dalla sua stanza, si diresse a capo chino verso il bancone della reception.

Mike e Mandy erano all’esterno assieme a John, all’ombra dell’imponente veranda dell’hotel. Sean, solo e con il suo trolley alla mano, l’attendeva sulla porta, protettivo e sicuro come una roccia.

Summer gli sorrise a mezzo, lanciando un rapido sguardo a J.C. – che le voltava le spalle – per poi tornare a sospirare.

Avrebbe dovuto essere lui la sua roccia inviolabile, invece l’aveva lasciata andare a se stessa con la medesima velocità con cui l’aveva afferrata pochi giorni prima.

Eppure era certa di aver visto giusto, di aver percepito amore, nel suo cuore.

Possibile che il suo desiderio di averlo, avesse offuscato le sue percezioni?

Non ne aveva davvero idea ma al momento il suo, di cuore, stava piangendo a dirotto, a dispetto della maschera perfetta e compassata che stava indossando.

Raggiunto che ebbe Sean, mormorò: “Sei sicuro di voler venire con noi? John non sarà di certo tenero.”

“Non ti lascerò sola con lui, bhean dóiteáin.”

“Non sarei sola” precisò lei, pur apprezzando le sue attenzioni.

Sean si limitò a sollevare ironico un sopracciglio e Summer, scoppiando in una risatina divertita, annuì e uscì con lui nell’arsura di quel pomeriggio appena sbocciato.

Come previsto, Sean e J.C. si lanciarono occhiate in cagnesco, ma il cuscinetto offerto da Mike e Mandy impedì loro di prendersi a pugni per puro diletto.

Amanda, da brava paciere, prese sottobraccio Summer e si incamminò con lei verso il pulmino che li avrebbe condotti all’aeroporto.

A mezza voce, poi, celiò: “Non ti senti in paradiso, Summ? Accompagnate da tre baldi uomini!”

“Anche troppi, sai?” ironizzò lei, caricando il suo trolley assieme all’amica per poi salire sull’ultima fila di sedili.

Mandy ridacchiò e, mentre Sean si sistemava sul sedile anteriore, accanto all’autista, Mike e John occuparono i posti centrali.

Il chiacchiericcio delle due donne riempì il minivan e, bellamente, Summer e Mandy ignorarono i due colleghi dinanzi a loro.

Persino Mike si guardò bene dal colloquiare con John.

Pur se nessuno conosceva i motivi dell’astio tra J.C. e la loro collega, le colpe erano andate indirettamente all’uomo che, in quel momento, ne pagava lo scotto.

John, però, aveva ben altro per la testa, troppo indaffarato a rimuginare su quanto aveva visto – e fatto – per badare alla ritrosia delle due colleghe, o al silenzio beffardo di Mike.

L’unico a dargli veramente fastidio era Sean che, ogni tanto, lanciava nella sua direzione un’occhiata ironica quanto sconfortata, come se trovasse le sue azioni più che stupide, e ne fosse rammaricato.

Ma come poteva sopportare in silenzio una simile verità?

Possibile che lui non se ne sentisse schiacciato? Perché era ovvio che lui sapesse, e molto più di quanto John non conoscesse in realtà.

Aveva idea che quanto Summer gli aveva mostrato in quella grotta, fosse ben lontano dal suo effettivo potenziale, e questo lo metteva in agitazione.

E se anche Sean fosse stato…

Lo sguardo turbato di John lo sfiorò per un attimo e Sean, quasi richiamato da quegli occhi sconvolti, si volse a mezzo per scrutarlo da sopra una spalla per poi chiedergli ironico: “Posso esserti utile, John?”

“No di certo” bofonchiò lui, distogliendo immediatamente lo sguardo.

L’irlandese si limitò a ridacchiare e, tornato che fu nella sua posizione originaria, disse a mezza voce: “Ti ricordi ancora quella vecchia filastrocca che cantavi ogni tanto, bhean dóiteáin?”

Incuriosita, Summer replicò: “Quella dei tuoi avi?”

“Esatto” assentì Sean.

Ridacchiando, Summer si rivolse a Mandy, che la stava squadrando a occhi spalancati.

A mo’ di spiegazione, le disse: “Devi sapere che la famiglia di Sean ha origini antichissime. Risale addirittura ai tempi dei Guerrieri del Ramo Rosso, quando Conor mac Nessa governava sull’Ulster.”

“Mi sa che dovrò studiarmi un po’ di storia” ridacchiò Mandy, scuotendo il capo.

La vulcanologa sorrise indulgente.

“Ti dice niente il Mastino dell’Ulster?”

“Qualcosina, in effetti” ammise la collega.

“Beh, il periodo è quello” scrollò allora le spalle Summer, prima di chiedere all’irlandese: “Come mai ti è venuta in mente adesso?”

“Stavo pensando a quando te la sentii cantare per Malcolm… avevi una voce così bella!” mormorò Sean, perso in mille pensieri.

Summer assentì, ammettendo: “Era la preferita di Erin. Dopotutto, eravate cugini non per nulla.”

“Davvero?” esalò Mandy, sorpresa.

“Di terzo… no, quarto grado” mormorò Summer, prima di rammentare un particolare. “Ora che ci penso! Ti farà piacere sapere che hai una cugina che non penso tu conosca.”

“In che senso?” esalò sorpreso Sean, volgendosi completamente per guardarla.

“Kimberly. Parlando tra di noi, abbiamo scoperto che lei ed Erin erano imparentate per parte di madre. Pensa un po’!” sorrise Summer, trovando al tempo stesso divertente e snervante il silenzio inferocito di John.

Avvertiva senza problemi quanto, quel dialogare di fatti comuni, stesse dando un fastidio tremendo all’uomo ma, al tempo stesso, si rifiutava categoricamente di porvi fine.

Per un istante, lo odiò con tutta se stessa.

“Non ne ero al corrente… tua nonna potrebbe infuriarsi molto, per questa mancanza” osservò Sean, prima di scoppiare a ridere di gusto.

Summer lo seguì a ruota e Amanda, trovandoli davvero buffi, celiò: “Sbaglierò, ma questo è una specie di ammutinamento familiare!”

“Esattamente, Mandy! Ci rivoltiamo contro le leggi!” sogghignò la collega, desiderando continuare a ridere e, al tempo stesso, scoppiare a piangere.

Perché non era John, a farla stare così bene?

Mike colse quel momento di ilarità condivisa per chiederle: “Visto che parlavate di una canzone, è possibile sentirla? Sono curioso.”

“Vuoi conoscere le mie doti canore?” si informò divertita Summer, cercando in tutti i modi di ignorare bellamente l’apatia di John.

Che andasse al diavolo!

“Ammetto di sì” assentì Mike, sorridendole.

Lei allora si schiarì la voce, si mise in posa per quanto possibile e, socchiusi gli occhi, iniziò a cantare l’antica ballata in gaelico.

 
Come verde ramata fiamma di pagano
splendore, piene di sfida
le lignee sale emergono
dal loro manto di nebbia.
Per venti generazioni,
la reale fortezza è stata protetta da eroi.
 
A quel punto, a sorpresa, intervenne Sean che, con la sua voce potente e intonata, elevò di un’ottava la parola ‘eroi’ per fare da contraltare a quella da soprano di Summer.

 
Udite! Stridendo le porte di quercia si aprono
sui cardini di ferro.
Adorni di piume i carri si scagliano
verso di noi, trainati da cavalli che scaturiscono
al galoppo, selvaggi,
dall’antichità.
Ecco che giungono!
 
Ancora, Sean intervenne, esclamando la parola ‘guerrieri’ e, al tempo stesso, sorridendo a Summ, che restituì il sorriso con complicità.
 

Ancora una volta un giovane bruno li guida,
intrepido.
Con gli occhi splendenti e le morbide labbra,
può spezzare le ossa
o infrangere il cuore.
Cuchulain.
Il mastino dell’Ulster.1
 
Quando il canto ebbe termine, gli occhi di Mike erano sgranati, quelli di Amanda colmi di stelle, e i sorrisi complici dei due irlandesi li incorniciarono per splendore.

L’unica nota stonata venne da John che, nel suo cupo silenzio, parve essere come un’ombra sull’apparente serenità del gruppo.

Applaudendo con apprezzamento, Mike esclamò: “Per l’amor di dio, Summer! Dovevi fare la cantante! Senza nulla togliere al tuo mestiere, per carità ma… Cristo, hai una voce splendida!”

“Grazie” mormorò lei, arrossendo suo malgrado.

Mandy non fu da meno.

“Non avevo mai sentito cantare così bene. Perché non vai ad American Idol? Faresti faville!”

“Mi piace il mio mestiere” replicò la donna, sorridendo.

“Anche solo per divertimento, lo dovrebbe fare, signorina. Una voce del genere merita di essere ascoltata” intervenne l’autista, sorridendole attraverso lo specchietto.

Summer allora scoppiò a ridere e Amanda, con allegria, esclamò: “Appena arriviamo, ti iscrivo!”

“Non pensarci nemmeno!” esalò la collega, facendo tanto d’occhi.

“Ma perché no?”

Il resto del viaggio fino all’aeroporto, verté sui pro e i contro della sua possibile partecipazione all’importante show canoro.

Quando finalmente si imbarcarono, Summer stava ancora sorridendo.

Nel sedersi accanto a Sean – che ci avesse messo lo zampino? – gli sorrise grata e gli confidò: “Erano anni che non la cantavo più. Mi ha fatto bene riascoltarla.”

“Sono anche le tue radici, no?”

“Già. Le mie radici…” sospirò lei, mordendosi il labbro inferiore con aria sconsolata.

“Ogni albero ha radici e rami, Summer, non si può negare né l’una né l’altra cosa. Il fatto che le radici litighino con i rami è di per sé assurdo ma, per quanto mi è stato possibile, ho cercato di non essere tra quelle radici che vi stanno dando fastidio. Io e Winter, come Colin, Miranda e Autumn, abbiamo mantenuto il silenzio con te e Spring per non darvi false speranze. Ho impiegato un sacco di tempo per tradurre il grimorum, e neppure ero certo del risultato.”

“Ma lo hai fatto ugualmente, ti sei impegnato con tutto te stesso” replicò lei, sorridendogli.

“L’esempio dei vostri genitori è stato importante… per tutti noi. Quando i nostri genitori ci dissero del destino che incombeva su di noi, parlai a lungo con Mir e Colin. Anche loro erano d’accordo con ciò che fecero Anthony e Camille. Nessuno poteva dirci come intraprendere il nostro futuro” replicò lui, sorridendole benevolo. “Indipendentemente da cosa avremmo perso.”

“E tu hai pensato che potesse esistere una scappatoia nelle leggi di famiglia” gli fece notare lei, abbozzando un sorrisino.

“Un ben misero intervento, ammettiamolo, ma era l’unica strada che potevo intraprendere contro il Consiglio. Ma andava fatto in gran segreto, o ci avrebbero scoperto subito. Autumn ha mantenuto su di me una cappa protettiva e, quando Colin si è premurato di rubare il grimorum dalla biblioteca, ha fatto la stessa cosa” scrollò le spalle l’uomo, lanciando un’occhiata in direzione di John, che sedeva al fianco di un uomo d’affari orientale.

Summer ridacchiò, pensando a Colin nelle vesti di ladro. Lo ricordava un giovane schivo e tranquillo, di certo non un novello Lupin.

Sean la imitò, e aggiunse: “Mir ha guidato meglio di un pilota di Formula 1, per raggiungermi con Colin e il libro.”

“Le darò un bacio anche solo per questo” dichiarò la donna, sorridendo complice all’amico. “E credimi, vi capisco. Io e Spring ti avremmo subissato di domande a ogni piè sospinto, finendo con l’attirare l’attenzione del vecchio Guardiano dell’Aria, prima o poi. Hai fatto bene… avete fatto bene a mantenere il segreto.”

“Temo, però, di aver peggiorato la situazione tra te e il tuo Fulcro, venendo da te.”

Sospirando, Summer ribatté caustica: “Non è la tua presenza ad avergli dato alla testa, ma le sue stesse paure. Finché non accetterà se stesso, non potrà accettare neppure me.”

“E se non lo facesse mai?” le domandò Sean, turbato.

Lei reclinò il viso e ammise: “Allora è probabile che rimarrò sola a vita.”

Afferrata una mano di Summer, l’uomo le sussurrò: “Avrai sempre me, comunque e in ogni modo. Anche solo come amico, ma mi avrai.”

“Grazie, Sean. Davvero” asserì lei, dandogli un bacio sulla guancia rasata.

 
¤¤¤

L’arrivo a casa Hamilton comportò qualche occhiata stranita da parte di Spring, ma Summer procedette per gradi, senza fretta.

Per prima cosa, la donna presentò Sean a Max e Kimberly, e spiegò alla futura cognata che l’irlandese era un suo parente alla lontana.

La cosa scatenò subito la curiosità innata di Kim che, sorridendo al nuovo venuto, lo prese sottobraccio per accompagnarlo al piano superiore, lasciando che Summer restasse con il resto della famiglia.

A bassa voce, e seguendo la coppia ad alcuni passi di distanza, Win domandò alla sorella: “Tutto bene? Sean ti ha già detto?”

“Sì, so tutto, ora. E quanto a quello che è successo, è una storia molto lunga. Ma, per farla breve, ho commesso un passo falso
con John, e lui ha dato di matto… piantandomi in asso” mormorò Summer, sospirando afflitta un attimo dopo.

Un ‘cosa?!’  generalizzato squassò le scale che conducevano all’appartamento di Winter e, mentre Mal si aggrappava a una mano della zia per esserle di conforto, Max gracchiò: “Ma è rimbecillito?!”

“Evidentemente, non ha le palle come te” sentenziò ruvida Summer, lanciando un’occhiata affettuosa a Max.

Lui si limitò a sorriderle benevolo e, nel darle un bacio sulla guancia, disse: “Parlerò con lui e lo farò ragionare.”

“Non otterresti che il benservito. Lascia stare, ho ben altre idee per la testa” replicò lei, irrigidendosi un attimo dopo quando si ricordò chi aveva accanto.

Malcolm le strinse febbrilmente la mano e, affranto, la abbracciò alla vita esclamando: “No, zia. Non andare via anche tu! No! NO!”

Quell’ultima bomba cadde su di loro con la stessa potenza dell’atomica di Hiroshima e Winter, torvo in viso, fissò caustico la sorella prima di dichiarare lapidario: “Ora ne parliamo… approfonditamente.”

“E pensi che cambierà le cose?” ironizzò lei, prendendo in braccio Mal, che stava singhiozzando disperato. “Su, tesoro. Non sarebbe per sempre, e poi verrei comunque a trovarti.”

“Sgriderò lo zio John per averti fatta arrabbiare!” sbottò Malcolm, accigliato.

Sgranando gli occhi, Summer esalò turbata: “No, Mal. Non devi per nessun motivo avvicinarti a John, hai capito?”

“Ma zia…”

“No, Mal. E’ pericoloso, al momento” replicò la donna, lapidaria.

Sempre più ombroso in viso, Winter dichiarò: “Credo proprio che sarà una cena molto lunga.”

“Decisamente” assentì con vigore Spring, gelida in viso. “Anche perché dovete spiegarmi cosa io non so, e voi tutti invece sapete!”

Summer sorrise alla sorella, e così pure Winter che, amabile, ammise: “Prometto che io e Sean vi spiegheremo tutto per filo e per segno, ora che sappiamo con certezza che le nostre speranze non erano solo pie illusioni.”

“Sarebbe ora! Mi sento un’idiota, a sapere le cose sempre per ultima!”

“Tesoro, calma i bollori, o Sunshine stanotte ti farà ballare la samba” le rammentò protettivo Max, avvolgendole le spalle protettivo.

Nell’aprire la porta di casa, Winter asserì: “Max ha ragione. Alla bambina non fa bene sentire la tua rabbia.”

“La pancia è mia, per tutti i demoni dell’inferno! Non avete l’utero, perciò muti!” ringhiò la donna, livida in viso.

I due uomini strabuzzarono gli occhi di fronte a tanta tenacia e, da veri maschi intelligenti, rimasero zitti.

Kimberly, nel frattempo, aveva fatto accomodare Sean in salotto e, nel vederli giungere, domandò loro: “Avete fatto arrabbiare Spring?”

“Si arrabbia anche da sola, non ha bisogno di aiuti esterni” ironizzò Win, raggiungendola.

“Ho chiamato anche zia Brigidh. Sarà qui a momenti. Ho pensato fosse meglio” li informò Kim, lanciando un’occhiata preoccupata a Summer, che però annuì.

“Molto bene, cara. Così dovremo spiegare tutto una volta sola” annuì Winter, rivolgendosi poi al loro ospite. “Penso che dovrai parlare per un po’ stasera.”

“Ne ero consapevole, Winter, ma non è un problema.”

 
¤¤¤

Seduto al lungo tavolo nel salotto di casa Hamilton, Sean sorseggiò lentamente il buon vinello servitogli, prima di prendere la parola.

L’intera famiglia – o quasi – era riunita, e non dubitava che Autumn stesse ascoltando.

“Lady Shaina sa essere estremamente persuasiva, perciò ho colto la palla al balzo e, docile, ho obbedito agli ordini e sono andato da Summer, sperando di poterle dire finalmente ciò che avevo scoperto. Naturalmente, trattandosi di lei, niente è andato per il verso giusto.”

Ciò detto, sorrise alla donna, che espose la lingua come una bimba birichina prima di fare spallucce.

Sean rise, e proseguì nel racconto.

“La legge è stata travisata, sicuramente per interesse, e nessuno ha mai veramente seguito le antiche direttive perciò, quando rientrerò in Irlanda e dirò al Consiglio che né io, né tanto meno Colin e Miranda, intendiamo seguire le tradizioni, scoppierà sicuramente il putiferio. Non era lecito che io leggessi il grimorum” ironizzò Sean, sorprendendo Spring, Max, Brigidh, Malcolm e Kimberly.

“In che senso, travisata?” si informò Spring, accomodandosi su una delle poltrone mentre Max rimase in piedi dietro di lei.

Rivolgendo un sorriso comprensivo al futuro marito della Guardiana della Terra, asserì: “Non vi è scritto in alcun libro che i Guardiani debbano sposarsi forzatamente con i prescelti del Consiglio dei Saggi. Per lo meno, solo il primogenito avrebbe questa imposizione, ma non gli altri Guardiani.”

“Grande! Hai sentito, Max?” esclamò lieta Spring, battendo una mano su quella dell’uomo, che riposava sulla sua spalla.

“Ottima notizia, amico. Mi togli un peso dalle spalle” esalò Max, sorridendo grato a Sean. “Anche se non avrei mollato la mia cucciola a nessun uomo, legge o no legge, s’intende…”

“Ovvio” assentì Sean, concorde.

“Quindi, la faccenda della torque…” mormorò torva Kim, lanciando un’occhiata a Winter, che però le fece segno di non proseguire.

Nessuno voleva che Malcolm ascoltasse quella parte di storia.

“Le vostre famiglie ne sono già al corrente?” chiese allora Winter, rivolgendosi a Sean, preferendo di gran lunga cambiare argomento.

“No. E penso che ai miei verrà un colpo, quando dirò loro che non sposerò Summer” asserì Sean, divertito e irritato al tempo stesso.

“Speravano di assurgere alla vetta del Clan, immagino” sbottò la fulva gemella, vagamente sprezzante.

“Già. Sai benissimo che non si è mai trattato solo di onore, ma di potere, e non solo per i Guardiani. Essere imparentati con voi, vale molto anche in termini economici, e questo lo hanno sempre saputo tutti. Ma non mi permetterei mai di farti uno sgarbo simile, ormai dovresti saperlo.”

“Non fare la bambinaia, adesso, Sean, o potrei decidere di cacciarti a pedate” brontolò la donna, sorridendogli per smorzare il rimbrotto.

“Mi sembrava strano che non trovassi il modo di insultarmi” ridacchiò allora lui. “Erano quasi quarantottore che non lo facevi!”

“Dio! Che sbadata che sono!” esalò allora lei, facendo scoppiare tutti  a ridere.

Sean le sorrise, prima di continuare. “Mi esporrò in prima persona, assieme a Colin e Miranda, perché l’Apice non venga neppure preso in considerazione dal Consiglio. Poiché non esiste da nessuna parte l’obbligo, da parte dei Clan, di imporre i Prescelti ai Guardiani, non vedo perché si debba ricorrere alle maniere pesanti.”

Max fissò dubbioso il giovane studioso, prima di passare lo sguardo ai gemelli e, storcendo la bocca, borbottò: “Per ‘maniere pesanti’, non intendete uno scontro armato, vero?”

Winter tossicchiò imbarazzato e Mal, sbuffando, si levò in piedi per andarsene, già sapendo di non poter ascoltare tutta la discussione.

I fatti che, entro breve, sarebbero stati esposti, non erano argomenti adatti alle sue orecchie.

Che gli facesse piacere ammetterlo, però, era tutt’altra faccenda.

Max lo guardò allontanarsi con passo strascicato e Win, nel sorridere mestamente in direzione del figlio, mormorò: “Non volevo che ascoltasse questa parte del racconto.”

“E’ così brutta?” esalò a quel punto Kim, stringendo una mano al compagno. “Cioè, so che la torque non è indossata volontariamente, ma…”

Lui annuì sospirando e Summer, torva, asserì: “Nelle ere passate, i giovani Dominatori che tentavano di sviare le leggi, venivano prelevati a forza dagli Anziani Guardiani e dai guerrieri più forti del Clan, perché fossero sottoposti a matrimonio forzoso nel giorno del Punto di Fulgore, …nel giorno dell’Apice.”

Max rabbrividì, e così pure Kimberly, e Brigidh annuì mesta.

“E’ l’unico giorno in cui i giovani Dominatori sono vulnerabili, controllabili dal Clan. Per questo, è sempre stato l’unico giorno utile per poterli prendere con la forza. Diversamente, nessuno sarebbe stato in grado di farlo.”

“Ma è… una barbarie!” sbottò Kimberly, inviperita.

“Sono più di tre secoli che non avviene niente del genere, in effetti, ma in passato successe più di una volta. E non fu mai un buon affare per nessuno. Anche per questo, ci siamo battuti per evitarlo” mormorò Winter, fremendo di rabbia repressa. “I nostri genitori fuggirono dall’Irlanda per evitarci un simile destino.”

“E’ tempo di cambiare le leggi del Clan. Non è più accettabile che queste pratiche perdurino oltre, visto soprattutto che l’uso della torque è di fatto illegale” assentì Sean, lapidario.

Nessuno parlò. Era già stato detto a sufficienza.

 
¤¤¤

“Non avevo davvero idea che la visione potesse risolversi così. Mi spiace davvero, cara. So quanto tieni a lui” mormorò Brigidh, dando una pacca leggera sulla mano di Summer, che annuì mogia.

L’intera famiglia si era spostata nel giardino sul retro, preferendo non rimanere oltre entro le mura di casa.

La luna alta in cielo splendeva solitaria nel mare nero del cielo e, tutt’attorno, i rumori della notte si confondevano con quelli della città.

“Probabilmente, ho preso un abbaglio bello grosso. Chissà?” ironizzò senza troppa allegria Summer, scrollando le spalle.

“Quel che ora mi preoccupa, è il suo loa malvagio. Siamo sicuri che l’houngan interpellato da Mæb l’abbia bloccato definitivamente?” domandò Winter, rivolgendosi a Sean.

“Stando a quello che ha detto lei, dovremmo essere ipoteticamente al sicuro ma, trattandosi di uno spirito molto potente, l’houngan non si è potuto sbilanciare più di tanto” affermò pensieroso Sean.

“Ovvio. John stesso è un houngan potenziale. Non fa specie che sia difficile controllarlo” brontolò Summ, carezzando distrattamente i capelli di Mal, sdraiato sul divano da esterni in vimini, il capo poggiato sulle sue gambe.

Per tutta la sera, tolti i momenti in cui si era dovuto obbligatoriamente assentare, non l’aveva mai lasciata un attimo.

“Sicura di voler andare al MIT, allora? Non ti sembra un po’ esagerato?” mormorò spiacente Spring, rivolgendo un sorriso triste alla gemella.

“Per il momento, penso di fare là almeno un semestre o due. Poi… vedrò. Domani ne parlerò con Big Mama, e da lì capirò cosa fare” sospirò l’altra, scrollando indolente le spalle. “Ho bisogno di evadere, di allontanarmi da qui o, quant’è vero Iddio, lo prenderò a botte fino a tramortirlo. Non è possibile che non capisca!”

“Ci parlerò io” brontolò Winter, cocciuto.

“Tu non farai un bel niente, Win! E’ una cosa mia!” sbottò la gemella, fissandolo livida.

“Ah, no, cara! Non arruffare le piume con me, perché non attacca!” sbuffò l’uomo, replicando al suo sguardo con uno altrettanto freddo. “Sei mia sorella, una mia responsabilità, e nessuno ti ferisce così impunemente senza passarla liscia.”

“Non sono più una bambina, per la miseria!” ringhiò allora Summ, accalorandosi.

Malcolm balzò a sedere e la fissò bieco, replicando: “Io sono un bambino, e allora? Papà non deve proteggere neppure me!”

Tutti gli adulti lo fissarono con indulgenza e lui, per diretta conseguenza, mise il broncio.

Senza darsi per vinta, Summer continuò a perorare la sua causa. “Ti voglio bene, bráthair, ma non esagerare.”

“Ti difenderò anche quando avrai novant’anni, sciocca che non sei altro. Sei la mia Summy, dopotutto” le disse con semplicità lui, sorridendole benevolo.

“Oh, tu, brutto…” sbottò lei, scoppiando in lacrime un attimo dopo.

Coprendosi il viso per non mostrare il proprio cedimento a nessuno, Summer si sentì sollevare dalle mani calde e familiari di Winter.

Scusandosi con gli altri, la condusse in silenzio in taverna, dove la fece accomodare su uno degli alti scranni, che si trovavano attorno alla tavola di legno massello.

Lì, la cullò con calma, mormorandole all’orecchio dolci parole di conforto in gaelico.

Le sue barriere, una dopo l’altra, caddero al suolo come macigni e Summ, senza potersi fermare, singhiozzò irrefrenabilmente lasciando uscire tutto.

Ammise quanto odiasse ciò che sentiva, e ciò che divorava dentro di sé per chetare il suo fuoco dirompente.

Ammise quanto il rifiuto di John l’avesse quasi uccisa, e quanto terrore avesse provato nel trovarsi di fronte al loa malvagio, creato dal suo unico amore.

Ammise tutto questo e altro ancora e, quando anche l’ultima lacrima fu spesa, si scostò dalla spalla di Winter ed esalò in un gracidio: “Non sono una persona normale. Sono un gran casino e basta.”

“Ti sei solo voluta fare carico di un peso troppo grande per una persona sola. Cosa, evidentemente, di famiglia” ironizzò lui, asciugandole le lacrime con il passaggio gentile dei pollici. “Perché non ci hai mai detto che il tuo Elemento risucchiava le emozioni altrui?”

“Non è esattamente una cosa carina, quella che faccio” borbottò lei, arrossendo. “Non volevo che mi scambiaste per un’approfittatrice. Per una sorta di vampiro da strapazzo.”

“Non l’avremmo mai fatto. Pensi che far bollire vive le persone sia carino? Eppure posso farlo” ridacchiò lui, facendo spallucce. “E Spring? Che può agire sui loro corpi? O ancora Malcolm? Che potrà plasmare le menti di chiunque tocchi? O Autumn? Che può arrestare la respirazione di chiunque lui voglia? Sono i nostri doni, nel bene e nel male. Avremmo capito.”

“Scusa” mugugnò lei, scrutandolo da sotto le lunghe ciglia chiare.

“Non devi scusarti di nulla. E’ normale, anzi, se ci pensi bene. Dopotutto, le emozioni della gente sono il loro fuoco interiore. Normale, che il tuo elemento ne sia attratto” le sorrise lui, dandole un caldo bacio sulla fronte. “Ora torniamo fuori, mo chrói e, per il momento, non pensiamoci più. Troveremo una soluzione a tutto, te lo prometto.”

“Sei sempre stato bravo a risolvere i problemi, ma credo che questo travalichi anche la tua bravura” replicò Summ, levandosi in piedi a fatica.

Il gemello le avvolse un braccio attorno alla vita, protettivo e, con ironia, ribatté: “Non ti fidi del tuo fratellone?”

“Tutt’altro. E’ di John che non mi fido più” sospirò lei. “E il solo pensarlo mi uccide.”

Win si limitò a fissarle il segno rosso che aveva poco sopra la clavicola, messo in evidenza dalla canottiera che indossava e, aggrottando la fronte, sentenziò: “Nessuno ti torcerà più un capello. Cascasse il mondo.”

Il cellulare trillò per un messaggio e Summer, sorpresa, lo sollevò per curiosare chi fosse. Fu stupita di vedere chi fosse il mittente.

Autumn.

Winter si accigliò ma non disse nulla e la donna, dopo aver aperto il messaggino, lo mostrò al gemello con un mezzo sorriso.

Hai due fratelloni.

“Bene” bofonchiò l’uomo, riportandola nel salotto.

Beh, era meglio di niente, dopotutto.
 
 
 
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1: Canzone tratta dall’incipit del libro “I guerrieri del Ramo Rosso” di Morgan Llywelyn.

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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


Cap. 11
 
 
 
 
 
L’ufficio di Big Mama era come lo ricordava.

Ordinato, pulito, efficiente… e ti metteva addosso una strizza da paura.

Ogni mobile, la loro disposizione, il modo in cui la luce penetrava dalla finestra per posarsi sulle spalle ampie di Magdaleine Bennett, tutto cospirava contro coloro che avevano la sfortuna di essere convocati lì.

Ma Summer, quel giorno, neppure se ne accorse.

Lei aveva già incontrato le ombre più oscure e terrificanti perciò, penetrare nella tana di Big Mama, non era che un corollario insignificante.

Quando la donna la invitò ad accomodarsi su una confortevole poltrona di pelle, accavallò le lunghe gambe, abbracciate da jeans scuri, e scrutò dubbiosa la cartella che Magdaleine teneva aperta sulla scrivania.

Le mani fresche di manicure sostavano apparentemente pazienti sul sottomano di pelle scura, ma gli occhi della donna lasciavano trasparire un’ansia feroce, forse molto vicina alla rabbia.

Accanto alla cartella, infatti, si trovava la sua lettera di licenziamento.

“Ho letto il rapporto preliminare sul Kilauea. Come sempre, ottimo lavoro” esordì Big Mama, fissandola con attenzione nei brillanti occhi da gatta.

Summer accettò il complimento con un cenno del capo – quel giorno, le onde ramate erano rigorosamente strette in una treccia – e mormorò: “Tendo sempre a pensare che il meglio sia la scelta giusta.”

“E questo fa di te la più giovane leader che io abbia mai spedito in giro per il mondo, ragazza, ma proprio non capisco cosa ti sia saltato in mente, stavolta” brontolò Magdaleine, prendendo finalmente in mano la busta. “Cosa vorrebbe dire che intendi andartene di qui?!”

Le ottave salirono di parola in parola, ma Summer non vi fece caso.

Ormai, era diventata cieca e sorda a qualsiasi cosa.

Anzi, gli scoppi d’ira le piacevano ancor più del solito, perché se ne abbeverava spudoratamente.

“Esigenze lavorative mi spingono ad allontanarmi da Washington” asserì laconica la vulcanologa, spallucciando.

“Posso spedirti in uno qualsiasi dei nostri uffici sparsi per gli States, se è solo un problema di spazi” precisò il suo capo. “Ma vorrei sapere il perché.”

“Divergenze comunicative. Non me la sento più di lavorare qui” si limitò a dire la giovane, imperturbabile in viso.

Aggrottando la fronte, Magdaleine borbottò contrariata.

“Quel farfallone di Brenton ti ha fatto delle avances non gradite?”

“Mike è a posto, e così pure John. Nessun problema simile, ma ho divergenze d’opinione con una persona e, in tutta onestà, non me la sento di lavorarci assieme. Il mio lavoro non ne trarrebbe alcun profitto” le spiegò un poco meglio, preferendo però non dire con chi avesse dei problemi.

Big Mama sospirò pesantemente, scosse il capo e infine disse: “Senti, facciamo così. Ti respingo la richiesta di dimissioni, perché per nulla al mondo ti lascerò a quei cervelloni del MIT, e ti spedisco nel nostro Centro Studi a Hilo, va bene? Vai d’accordo con il dottor Kaneda e soci, no?”

“Certo” assentì Summer, ripensando ai giorni trascorsi sull’isola hawaiiana.

Il  Centro NOAA sulle pendici del Kilauea le era sempre piaciuto e forse, a conti fatti, trovarsi così vicino a una sua fonte di energia era la scelta più giusta.

“Allora ti faccio trasferire lì, ma non ti sognare mai più di chiedermi di lasciarti andare, perché piuttosto ti faccio legare nello scantinato” borbottò Magdaleine, portandola a sfoderare un timido sorriso.

“Va bene” assentì allora l’altra, reclinando appena il capo.

Un attimo di silenzio e Big Mama, con tono stranamente gentile, le domandò: “Non vuoi davvero dirmi dov’è il problema?”

“Non è risolvibile, e preferisco far venire il mal di pancia solo alla sottoscritta” dichiarò Summer, levandosi in piedi sugli eleganti stivali Jimmy Choo che indossava quel giorno.

“Posso almeno offrirti  un antiacido?” ironizzò allora la donna, imitandola.

La vulcanologa ridacchiò brevemente, prima di oltrepassare la barriera composta dalla scrivania e, a sorpresa, abbracciare il suo capo.

“Mi mancherà… davvero” sussurrò lei, stringendola con forza.

“Un posto per te ci sarà sempre, qui. E poi, in ogni caso, sarai solo lontano da casa, non del tutto fuori dal mio raggio d’azione. Saprò come romperti le scatole anche là” si divertì a dire Magdaleine, battendole affettuosamente le mani sulla schiena.

Summer rise sommessamente e, nello scostarsi, mormorò: “Lo faccia, la prego.”

“Sai che esiste il detto ‘attento a ciò che chiedi perché sarai esaudito’, vero? Non mancherò di farlo, stai tranquilla” ghignò la donna, prima di allontanarla con un gesto della mano. “E ora sciò, ragazza. Ho altro da fare.”

La vulcanologa si mise sull’attenti e Magdaleine, dopo averla vista uscire, borbottò tra sé: “Ma che diavolo ha combinato, John, per farla fuggire così? Possibile che si sia risvegliato dinanzi a lei, perdendo il controllo?”

 
¤¤¤

“Hawaii?!” esclamarono all’unisono i suoi familiari.

Summer si limitò ad annuire e, nel sorseggiare del buon the ghiacciato alla luce altalenante del falò, che avevano acceso nel braciere dietro casa, borbottò: “Non ho detto che andrò a Timbuctù. Con un aereo posso andare e tornare quando voglio, e in poche ore.”

“E… e il MIT?” tentennò Winter, non sapendo bene se fosse o meno  una bella notizia, quella appena propinata dalla gemella.

“Big Mama mi avrebbe scotennato, piuttosto che darmi il consenso a licenziarmi, così mi ha offerto di andare in una delle sedi distaccate dicendomi che, quando e se avessi voluto tornare, avrei trovato la mia scrivania ad attendermi” spiegò loro la sorella, levando una mano in direzione del fuoco.

Le fiammelle giocarono leziose al suo tocco leggero e Sean, seduto sull’erba – le braccia poggiate sulle ginocchia – la fissò spiacente dicendo per contro: “Non sarà troppo, per te, tornare proprio là?”

“Sean ha ragione. Perché non un altro distaccamento?” assentì Spring, tenendo le mani sulla pancia arrotondata.

“Hilo va bene. Non sarà un problema. E poi, ho un buon rapporto con quel vulcano” sorrise la vulcanologa, cercando di convincere in primo luogo se stessa, prima ancora che la sua famiglia.

Si era detta rinfrancata all’idea di non rinunciare del tutto al NOAA – aveva lottato, per entrarvi – e la proposta di andare alle Hawaii l’aveva resa felice.

Ma sapeva benissimo che nessun posto al mondo avrebbe potuto restituirle la serenità perduta perché, ormai, lei aveva perso il suo Fulcro, la sua luce, il suo faro nell’oscurità.

Un luogo valeva l’altro, per lei, e nascondersi dietro false certezze era l’unico modo per non impazzire e tirare pugni al muro.
Quando era uscita dal NOAA, quella mattina, aveva salutato tutti coloro che aveva incontrato come se nulla fosse, come se ciò che era stato detto nell’ufficio di Big Mama se lo fosse solo immaginato.

Invece sapeva che era la realtà, e non il suo incubo più brutto.

Se ne andava, e non aveva voglia di dirlo a nessuno dei suoi colleghi.

Non voleva la loro compassione, il loro conforto, né tanto meno le loro vuote parole.

Certo, alcuni sarebbero stati realmente infelici per la sua partenza, ma altri avrebbero trovato solo pane per i loro denti, e le illazioni si sarebbero sprecate.

No, meglio evitare.

Finendo il suo the ghiacciato, Summer si allungò per prelevare una Sam Adams dal frigorifero da campeggio pieno di ghiaccio, che avevano piazzato nel mezzo del loro party improvvisato.

Con una tranquillità che non provava, sentenziò: “Meglio così. Mi farà bene cambiare aria.”

“Tornerai almeno per il nostro matrimonio?” le domandò Max, fissandola con il dispiacere negli occhi.

“Non potrei mai mancare, bráthair… ho visto come ti sta lo smoking, ed è uno spettacolo da non perdere” ironizzò maliziosa Summer, levando la bottiglia di Sam Adams come a brindare in suo onore.

Quella battuta scatenò una risata generale, ma nessuno mise veramente il cuore in essa.

L’atmosfera non avrebbe potuto essere più triste, e Summ lo sapeva benissimo, ma davvero non trovava la forza per rimanere.

E questo le mise la pulce nell’orecchio.

Dopotutto, prima di andare a Hilo, avrebbe anche potuto fare scalo in un altro posto. E chiedere spiegazioni.

“Ci permetterai di venire con te all’aeroporto per salutarti?” le domandò Winter, strappandola ai suoi pensieri.

Scuotendo il capo, la sorella replicò: “Non ho intenzione di farmi vedere da tutti a piangere come una fontana, e sicuramente succederebbe, se foste tutti lì. Lunedì partirò per Hilo, e sarò da sola. Noi ci saluteremo qui stasera, dopodiché non fatevi vedere alla mia porta, perché vi darò fuoco. Desidero essere lasciata sola coi miei demoni.”

Win ridacchiò, per nulla intimorito dal suo tono minaccioso.

Si allungò per darle un bacio sulla guancia e annuì.

“Non c’è bisogno di minacciarci, tesoro. Non è facile per nessuno, perciò capiamo perfettamente il tuo desiderio di estraniarti. Solo, ricordati che per qualsiasi cosa noi siamo qui.”

“Questo non potrei mai dimenticarlo” asserì la gemella, sorridendogli.

Il fratello le restituì il sorriso prima di accigliarsi leggermente, annuire tra sé e infine afferrare una bottiglietta d’acqua dal frigorifero.

Apertala senza però servirsene, spiegò poi alla famiglia: “C’è qualcun altro che vuole salutare Summer e, al momento, la più vicina fonte di acqua è questa.”

La vulcanologa capì immediatamente e, quando il liquido incolore mutò in vapore e prese le sembianze di una donna, si ritrovò ad avere le lacrime agli occhi.

Erin.

Sean sgranò gli occhi di fronte a quell’evocazione spirituale e, quando la fata di bruma si avvicinò a Summ per abbracciarla, l’uomo esalò: “Cugina?”

Lo spettro si strinse alla cognata prima di volgere lo sguardo verso il giovane e, annuendo, mormorò: “Sono io, sì. E’ un piacere rivederti, Sean.”

L’uomo si allargò in un sorriso ma, nel notare l’espressione perplessa di alcuni di loro, replicò: “Oh… voi non potete sentirla?”

“Siamo solo in quattro a poterla ascoltare” gli spiegò Winter, sorridendo ad Erin, che stava stringendo Summer in un abbraccio familiare. “Tu, io, Mal e Kim. Gli altri non sono in grado di sentirla, purtroppo.”

“A me basta questo abbraccio” sentenziò la fulva gemella, dando un bacio sulla guancia alla cognata, formata di particelle infinitesimali d’acqua.

Subito, Erin svaporò e la vulcanologa, scoppiando a ridere assieme agli altri, esalò: “Oh, cielo, è vero! Dopotutto, io sono il fuoco!”

“Sei sempre la solita” ridacchiò Win, scuotendo il capo.

Erin si ricompose ad un passo da Malcolm, che le sorrise divertito e, nello scrollare le spalle, lo spirito disse ancora qualcosa.

Fu Kim a tradurre.

“Dice che, come sempre, i tuoi sono baci focosi, e che le è piaciuto molto.”

Summ ammiccò alla cognata in forma di spirito e replicò: “Sapevo che eri una fata che amava le emozioni forti!”

Erin rise e svaporò, dopo una bacio sul capo a Mal e una pacca sulla spalla a Kim.

A quel punto, la vulcanologa si alzò in piedi, subito seguita a ruota da Sean e, dopo aver abbracciato calorosamente tutti, si avviò verso la sua moto, tallonata dall’irlandese.

Soli alla luce dei lampioni, mentre le rade auto in strada sfrecciavano solitarie, incuranti del centauro sulla Ducati e dell’uomo al suo fianco, i due si guardarono senza sapere bene cosa dire.

Di una cosa, Summer era certa. Senza la presenza di Sean, sarebbe sicuramente crollata, a Hilo. E anche in seguito.

Gli doveva molto ma, al tempo stesso, non se la sentiva di andare oltre a quel sentimento, perché avrebbe voluto dire mettere in piedi una bugia scomoda quanto inutile.

A parte un’amicizia che avrebbe potuto progredire nel tempo, e diventare più profonda, da lui non avrebbe desiderato altro. Né ora, né tra cento anni.

E non perché non lo meritasse; Sean non era solo un bell’uomo, ma anche una persona interessante, intelligente e sensibile. Proprio per questo, mentirgli sarebbe stato sciocco.

“Verrai a trovarmi?” gli domandò comunque Summ, tenendo il casco poggiato sul serbatoio della moto.

“Lo vuoi?” le ritorse per contro lui, sorridendo a mezzo.

La donna annuì e Sean, con un assenso lieve, mormorò: “Allora verrò. Quanto al resto…”

“Non so davvero cosa provare, adesso. Ma di una cosa sono sicura. Anche se ora sono confusa e spaesata, scaricare su di te le mie ansie e il mio desiderio di affetto, sarebbe sciocco. Meriti di più di una donna spezzata” si affrettò a dire la donna, scuotendo il capo.

Il sorriso dell’irlandese si allargò, e una lieve risatina scaturì dalle sue labbra.

“Quando tornerò, chiederò di poter parlare con il Consiglio, perché sia chiaro a tutti che la legge dei Prescelti è inesistente, quanto crudele. Colin e Miranda mi daranno man forte, e spero che questo basti a fermare una volta per tutte quest’insulsa pratica” le promise Sean, afferrando le chiavi dell’auto a noleggio che aveva preso per tornarsene al suo albergo. “Quanto all’essere spezzata… dubito che esista una sola creatura, in tutti gli universi conosciuti, capace di spezzarti. Sei triste, arrabbiata, ma non spezzata. Credimi, Summy, non lo sei. Hai la forza di riemergere e, se vorrai una mano da un amico, la mia ci sarà sempre.”

Summer lo fermò all’improvviso, quando lo vide allontanarsi da lei e, afferratolo a un polso, lo trascinò verso di sé, lo abbassò fino alla sua altezza e lo baciò.

Quando le loro labbra si incontrarono, Sean spalancò gli occhi, sorpreso ma, un attimo dopo, si lasciò andare a quell’incontro breve e sentito, pieno della gratitudine che la donna non riuscì a mettere a parole.

Nel momento stesso in cui lei lo lasciò, l’uomo si risollevò lappandosi le labbra e, nello scrutarla con espressione vagamente confusa, esalò: “E’ il ‘grazie’ migliore che mi abbiano mai rivolto.”

“Bene” dichiarò lei, infilandosi il casco in testa per poi accendere la Ducati.

Il rombo della due cilindri riverberò nella strada di quartiere, facendo scappare un gattino dietro il riparo sicuro di un’auto parcheggiata.

Sean si premurò di dirle di andare piano e Summer, dopo averlo salutato, ingranò la marcia e diede gas.

Ma non si diresse verso casa. La sua idea era ben altra.

Lasciando correre la moto lungo le vie frenetiche e piene di vita, la donna si infilò in una delle tante tangenziali della capitale con un intento ben preciso.

Lì, spingendo sulla manopola dell’acceleratore, spinse il contachilometri ad aumentare, e aumentare, e aumentare ancora.

Una dopo l’altra, le varie uscite si susseguirono dinanzi ai suoi occhi attenti, mentre frammenti di ricordi si incuneavano nella sua mente come colpi i maglio ben assestati.

Il primo bacio di John, la prima volta che aveva diviso il letto con lui, la loro prima doccia assieme.

Quei giorni a Hilo erano stati costellati di prime volte… ma anche di ultime.

L’ultima volta in cui aveva visto il suo sorriso, l’ultima volta che l’aveva sentito dire il suo nome con amore, l’ultima volta che aveva scorto la passione nei suoi occhi di pece.

Tutto era svanito in una voluta di fumo, nelle braci incandescenti del vulcano, e nulla di tutto ciò sarebbe più tornato.

Accelerò ancora e, forte del suo potere, avvertì lo scoppio della benzina nelle camere metalliche dei cilindri, spinta al loro interno dalle valvole di aspirazione.

La fiamma sprigionata creò corroborante ulteriore per la sua Ducati che, come una saetta, serpeggiò con agilità tra le auto, portandola sulle sponde dell’oceano, fino alla Chesapeake Bay.

Lì, bloccò la moto su un molo isolato e buio.

Spento il motore, si tolse il casco per inspirare l’aria salmastra della notte, l’uggiolio lontano di un cane, il fruscio delle onde contro le travi di sostegno.

Tutto era quieto, pacifico e tranquillo.

Ma dentro di sé rombava la guerra.

Il suo Fuoco cercava sostentamento, gridava furioso per la mancanza del suo Fulcro, strepitava e graffiava e strideva.

Nulla lo chetava, e Summer non aveva nessunissima intenzione di calmarlo.

Voleva ardere.

E distruggere. Ma sapeva che entrambe le cose le erano negate.

Sospirando, afferrò il telefono e, digitato un numero di telefono, attese paziente che qualcuno rispondesse.

Quando udì una voce a lei famigliare, sorrise nell’oscurità. “Scusa l’orario infame, ma puoi darmi una mano?”

“Summer! Ma non stare neanche a dirlo! Dimmi pure” replicò la donna all’altro capo, la voce squillante e lieta.

“Dovresti prenotarmi un volo per Tulsa, il prima possibile.”

“Tutto qui? Pensavo peggio” ridacchiò l’altra, portando Summ a sorridere.

“Non è un caso se ho chiamato te, Jillian.”

Un ticchettare furioso in sottofondo fece comprendere a Summer che la donna si stava mettendo all’opera su internet con la sua solita bravura e velocità.

Se c’era una persona che ci sapeva fare, coi computer, era Jillian.

Dopo circa un minuto di attesa, la donna le disse: “Allora… sei prenotata sul volo di domattina alle sei, con la United Airlines, dal Dulles. Il biglietto lo troverai allo sportello della compagnia aerea… ed è già pagato.”

“Come?” esalò l’altra, sorpresa e commossa assieme.

“Tesoro, per venti dollari posso benissimo permettermelo. E poi, se proprio vorrai sdebitarti, sai dove abito” ridacchiò Jillian.

“Go raibh míle maith agat” mormorò la giovane, sorridendo nell’oscurità.

“Grazie? E di che? Per la Dominatrice del Fuoco, questo ed altro” ridacchiò la donna all’altro capo del telefono. “Sappi anche un’altra cosa, oltre al fatto che farei molto di più, per te e i tuoi fratelli. Colin e Miranda hanno parlato con Sean, e tutti e tre sono d’accordo per presentare al Consiglio una petizione per fare abolire la legge di successione dinastica.”

“Sean me ne ha parlato, e mi ha anche detto che, fino ad ora, avevano mantenuto il silenzio sulle sue ricerche per non darci false speranze” le confessò Summer, sorridendo nella notte.

“Oh... bene. Non sapevo ne fossi già al corrente. Comunque, Anthony e Camille, con il loro esempio, hanno cominciato a smuovere parecchie coscienze, e pare che ci siano dei malumori, nel Clan. C’è chi pensa sia ormai tempo di smetterla con queste credenze medievali, e permettere ai Guardiani di vivere la loro vita come meglio credono, senza interferenze” le spiegò Jillian, tutta contenta.

“Sarebbe ora!” sospirò sollevata la vulcanologa.

“Non so come andrà a finire, perché Shaina ha ancora parecchio potere e, come ben sai, gli interessi economici sono altissimi, ma credo che il tempo del cambiamento sia arrivato. Sarete ben presto liberi dal giogo del Clan, te lo prometto, e prima dell’avvento dell’Apice. Ormai, ciò che abbiamo portato avanti dalla partenza dei vostri genitori, sta giungendo al termine.”

L’Apice. Il loro trentaseiesimo compleanno. Il giorno in cui il fulgore dei loro poteri sarebbe stato massimo, la potenza al climax… e il loro autocontrollo ridotto al lumicino.

Il giorno ideale per creare una nuova dinastia, o almeno così era stato fino a quel momento.

Non faceva specie che la nonna tentasse, con ogni mezzo lecito e illecito, di accasarli prima di quella data, neanche fossero stati delle mucche alla fiera del bestiame.

Il solo pensarlo la fece fremere.

In un modo o nell’altro, quella follia avrebbe avuto fine e, con quello che aveva scoperto Sean, avevano tutte le armi legittime per poter spodestare Consiglio e Guardiani Anziani.

Il tono sicuro e forte con cui Jillian le parlò rincuorò Summer, facendole finalmente credere che, almeno quella Spada di Damocle, sarebbe svanita da sopra le loro teste.

“Grazie, zia” mormorò alla fine Summ, con tono grato.

“Tesorino, ci sarò sempre, per voi. Non ho mai accettato ciò che i nonni hanno fatto a Tony e Cam, e la morte di mio fratello non ha che inasprito gli animi, in casa. Non posso parlare per tutti, ma avete degli alleati anche in Irlanda, non solo lì” la rincuorò la donna.

“Lo so. Lo so” assentì più volte la nipote.

“Ora scappo. Tocca a me controllare lo Specchio. Buonanotte, cara” mormorò Jill, chiudendo la comunicazione.

Summer la salutò con un bacio.

Il Calderone d’argento, lo specchio ricurvo, e ricolmo d’acqua santificata, che le accolite di Arianrhod usavano per scrutare il mondo degli Spiriti, era un impegno gravoso e duraturo.

Zia Jillian era una delle Sacerdotesse della Tessitrice, servitrici devote di colei che teneva tra le mani la Ruota del Tempo, loro Signora e amata dea.

Rivolgendo uno sguardo verso le stelle alte in cielo, ammiccanti diamanti freddi e lontani, Summ mormorò all’oscurità fresca e umida: “E’ dunque questo che hai tessuto per me, mia Dolce Signora?”

Naturalmente non ebbe in risposta nulla, se non il lontano stridio delle sirene di alcuni pescherecci.

Arianrhod non le avrebbe mai risposto. Non era lì per elargire nozioni o sapere. Il suo compito era ben altro.

E tutti si dovevano sottomettere al suo volere, al colpo netto della sua cesoia.

“Già, proprio tutti” mormorò Summer, ripensando a ciò che le era balenato alla mente in casa del gemello.

Era mai possibile che la furia di Autumn avesse una radice profonda quanto antica, e che essa dipendesse da un amore non corrisposto come il suo?

Di certo, se questo era il punto focale di ogni cosa, lei doveva scoprirlo.

Perché mai avrebbe accettato che questa inutile separazione continuasse in eterno.

Se realmente Sean e gli altri fossero riusciti a portare gli Anziani a più miti consigli, non aveva senso che, all’alba di una ritrovata serenità, mancasse un equilibrio familiare.

“Scoprirò cosa mi nascondi, Autumn, te lo giuro” mormorò tra sé Summer, infilandosi nuovamente il casco per tornare finalmente a casa.

 
¤¤¤

 L'aria tersa e calda del mattino le arruffava i capelli rilasciati sulle spalle. 

Mentre curiosava con lo sguardo alla ricerca del numero civico giusto, Summer scrutò curiosa il luogo in cui aveva abitato il gemello fino a quel giorno.

Il quartiere era modesto ma tranquillo, i giardini ben tenuti e le persone – poche, a quell'ora del mattino – parevano essere laboriose e cortesi.

Nessuno la squadrò diffidente, mentre passava a velocità ridotta per controllare i numeri sulle case e, anzi, un signore, armato di zappetta e guanti, le fece un cenno e un sorriso.

Levatosi in piedi, le sorrise cordiale non appena Summer bloccò l'auto vicino al marciapiede e, avvicinatosi all'auto, le disse: “E' evidente che sta cercando qualcuno. Posso esserle d'aiuto?”

La donna lo ringraziò con un cenno del capo e un sorriso gradevole.

“E' molto gentile, grazie. Stavo cercando l'abitazione di Autumn Hamilton. Sono la sorella.”

La notizia parve sorprendere l'uomo dai capelli sale e pepe che, grattandosi una guancia con espressione confusa, esalò: “E chi lo sapeva che quel ragazzo aveva una sorella?!”

Summ ridacchiò e ammise: “E' sempre stato un tipo discreto.”

“Già” assentì l'uomo. “Comunque, è in fondo alla via, dove la strada fa una lieve curva. La casa in sassi bianchi e le mura color pesca, con la palma in giardino. Non può sbagliare.”

“Grazie infinite” mormorò lei, rimettendo in moto l'auto per dirigersi dove il cortese vicino di casa del fratello le aveva indicato.

Non dovette percorrere che mezzo miglio e lì, dinanzi a lei, trovò ciò che cercava.

A torso nudo, indaffarato a spostare qualcosa di apparentemente molto pesante su un pick-up pieno di bozze e graffi, Autumn si volse a mezzo non appena sentì il rumore di un'auto.

Quello che aveva tutta l’aria di essere un lupo grigio americano, la fissò curioso dal prato, ma non fece il minimo cenno di alzarsi dall’erba sulla quale era sdraiato.

Lo sguardo che però le lanciò il gemello da sopra lo scatolone, che reggeva a fatica, la preoccupò più di quello del lupo.

Diceva a chiare lettere quanto fosse sorpreso di vederla e, più che altro, scocciato di trovarsela lì senza un apparente motivo.

Evidentemente, non aveva controllato i suoi spostamenti nelle ultime ore.

Poggiando lo scatolone sul ripiano del pick-up, Autumn si deterse la fronte con il dorso di una mano.

Con la sua camminata feroce ed elegante, si avvicinò all'auto mentre Summer usciva per appoggiarvisi.

Il lupo li degnò di un’altra occhiata, dopodiché tornò alla sua pennichella.

Quando infine si ritrovarono l'uno dinanzi all'altra, la giovane non poté fare a meno di provare un groppo in gola.

Gli era mancato, dannazione a lui!

Incurante della sua pelle sudata e delle macchie di sporco che lo ricoprivano, la gemella gli gettò le braccia al collo.

Scoppiando in lacrime, si strinse a lui mentre Autumn, avvolgendola con le sue forti braccia, le baciò i capelli con affetto.

“Ah, mo chrói...” mormorò ruvido lui, cullandola contro di sé mentre gli anni di separazione venivano cancellati da quell'abbraccio soffocante.

“Stupido, stupido, stupido idiota...” singhiozzò lei, affondando il viso nella sua spalla mentre le lacrime continuavano a scendere copiose.

Abbozzando una risatina, l'uomo esalò: “Bel modo di salutarmi dopo cinque anni di lontananza!”

Summer mugugnò un insulto prima di scostarsi dal fratello e, nel tergersi le guance accaldate e gli occhi gonfi, bofonchiò: “Meriteresti di peggio, razza di deficiente!”

Autumn scoppiò in una calda risata di gola e, nell'avvolgerle le spalle con un braccio, la accompagnò verso la sua casa a pianterreno. 

“E' un piacere anche per me vederti, Summy.”

La gemella lanciò un’altra occhiata all’indirizzo del lupo, che si limitò ad aprire un occhio per curiosare la coppia, dopodiché sbadigliò, mettendo in mostra un arsenale di zanne davvero di prima categoria.

Il fratello ghignò di fronte all’apparente confusione della donna al suo fianco e, serafico, mormorò: “Storm, Summer. Summer, Storm.”

“Hai chiamato quel lupo… Storm? E da dove salta fuori, poi?” borbottò confusa la gemella.

Dopo aver oltrepassato la porta d'ingresso, il fratello le spiegò succintamente: “Ho incontrato Storm sulle Montagne Rocciose, durante una tempesta di neve. Ero ad Aspen per un viaggetto invernale, e lui era là, in mezzo a quel casino di vento e neve, a guaire accanto al cadavere ancora caldo della madre. Non me la sono sentita di lasciarlo lì a morire, così l’ho preso con me.”

“E un lupo, pur se cucciolo, ti ha seguito così, senza battere ciglio?” replicò la sorella, scettica.

Autumn sorrise a quel ricordo.

“Mi abbaiò contro fino a perdere quasi la voce, incurante della tempesta, del freddo e della fame. Un vero combattente. Alla fine, crollò a terra stremato ed io lo raccolsi, lo portai con me nella baita, dove soggiornavo con un amico, e ci prendemmo cura di lui. Quando tornammo qui, lui venne con me.”

“Oh… per questo lo chiamasti Storm, allora. Perché è forte come una tempesta” annuì Summer, sorridendogli. “Non ti facevo così romantico e dolce, sai?”

Autumn le rispose con un grugnito e il dito medio sollevato in bella mostra, e la sorella ridacchiò.

Curiosa, Summ lasciò perdere il fratello e curiosò il salotto d'ingresso, dove un basso divano color nocciola era ricoperto di fogli sparsi, tomi, grafici di isobare e quant'altro.

Sul tavolino di fronte al caminetto spento, un cestino di caramelle recava i segni di una propensione al consumo di parecchi dolciumi e, sorridendo, lanciò un'occhiata divertita al gemello.

“La passione per le gommose non ti è mai passata, vedo.”

Scrollando le spalle, Autumn si staccò da lei e, nel raccogliere sommariamente le sue carte, le appoggiò sul tavolino in vetro e borbottò: “Scusa il casino. Non aspettavo visite, e prima di risistemare casa, volevo riporre le mie attrezzature.”
Lei non vi fece caso e, nel sedersi su una poltrona in alcantara chiara dalle forme arrotondate, intrecciò le gambe e disse: “E' un bel posticino. Ti rispecchia bene.”

Alle pareti, Autumn aveva sistemato dei ripiani in legno liscio e scuro, su cui aveva sistemato orpelli di ogni genere e forma.

Le finestre, incorniciate da lamine di legno chiaro, si affacciavano sul giardino all’esterno, circondando da un’alta palizzata di tronchi.

Poco a lato della rimessa, che riusciva a intravedere dalle finestre, la donna riuscì a scorgere un pozzo e un gazebo in ferro.

Ai muri, fotografie di tornado si alternavano a quelle di alcuni uomini e donne, dinanzi a quello che Summer identificò come un fronte temporalesco.

La sua troupe, probabilmente.

Della laurea in Climatologia di Autumn, neanche l'ombra, così come del suo PhD in Meteorologia.

Evidentemente, sbandierare la sua intelligenza ad eventuali ospiti non gli interessava.

Sulle mensole della libreria, però, le foto dei genitori, sue, di Spring e Malcolm erano sistemate in bella vista. Questo rincuorò Summer, nonostante tutto.

“Ti posso offrire qualcosa?” le domandò lui, le braccia conserte e il fianco poggiato contro il divano.

“Se hai un po' di the freddo, lo prendo volentieri” assentì la donna, vedendolo prendere la via di una porta da saloon, che dondolò al suo passaggio per poi fermarsi con un lievissimo cigolio.

Mentre il fratello era indaffarato in cucina, Summer si prese il suo tempo per studiare ulteriormente quello scampolo di casa.

A parte le scartoffie lavorative di Autumn, tutto ciò che si trovava sui mobili in legno di noce era ordinato e pulito, e denotava un amore profondo per la cultura meso-americana.

Piccoli manufatti aztechi si alternavano a stampe miniate di città peruviane, così come pregiate statuine raffiguranti gli dèi maya si combinavano con riproduzioni artistiche delle piramidi tolteche.

La porta da saloon cigolò nuovamente e la donna, volgendosi per scrutare il fratello, lo vide tornare con un vassoio, due bicchieri e una caraffa colma di the e cubetti di ghiaccio.

Dopo avergliene servito un bicchiere, Autumn glielo allungò e servì se stesso prima di accomodarsi sul divano.

“Ebbene, Summy, come mai questa visita dopo tanti anni?” esordì l'uomo, un braccio rilasciato sullo schienale e le gambe leggermente divaricate, in posizione rilassata.

“E' per Erin, vero? Ci hai lasciati per Erin” mormorò lei, giocherellando con il bicchiere che teneva tra le mani.

Silenzio.

Di tomba.

Summer levò lesta il capo e, a occhi sgranati, fissò il viso del gemello senza più riuscire a parlare.

Di secondo in secondo, il suo volto si frantumò dinanzi a lei, mostrando un dolore e un'angoscia pari soltanto a quelli che aveva scorto sul viso di Winter, il giorno della morte della moglie.

La leggera barba incolta non riuscì a nascondere i profondi segni lasciati dalla rabbia e dalla frustrazione che, il ricordo della dipartita di Erin, tornarono a galla al solo nominare il nome della donna.

La giovane non ebbe bisogno di altre conferme.

Era tutto così chiaro, ora.

I litigi, l'aspra determinazione di Autumn ad andarsene lontano da tutto e da tutti, il silenzio ostinato nei confronti di Winter. Ogni cosa.

“Come...?” gracchiò alla fine lui, sbattendo freneticamente le palpebre prima di ingollare in un sol colpo tutto il the che si era servito.

“Mi sono ritrovata in una situazione simile con J.C. e Sean” sospirò Summer, scrollando le spalle. “Ho fatto qualche collegamento, ed è saltata fuori Erin.”

“Beh, tieni le tue scoperte per te” le ringhiò contro lui, la maschera di invulnerabilità già riposizionata sul suo viso abbronzato.

“Pensi che Win non capirebbe?”

“Non mi interessa cosa pensa Winter” sibilò Autumn, accigliandosi. “Non la meritava. Punto. E l'ha lasciata morire senza far nulla per salvarla.”

“Ohhh, per l'amor di Dio, Autumn! Quella barriera è invalicabile persino per noi!” sbottò la gemella, aggrottando la fronte. “E poi, scusa, perché dici che non la meritava?”

“Winter ha sempre e solo amato Kimberly. Il matrimonio con Erin è stato semplicemente una farsa. Lei meritava molto di più!” sbottò l'uomo, sbattendo il bicchiere sul vassoio, che tintinnò pericolosamente.

“Meritava te?” gli ritorse contro Summ, vedendolo irrigidirsi immediatamente al suo dire.

“Non ho detto questo” borbottò il fratello, sulle sue. “Ma stare con lei, mentre era innamorato di un'altra, non è stato giusto.”

“Hai mai chiesto a Erin, o a Winter, come la pensassero, prima di infuriarti tanto e dare di matto?” brontolò la gemella, tamburellando nervosamente le dita su un ginocchio, il the ormai finito anche nel suo bicchiere.

“Non ce n'è stato bisogno. Erin mi disse che Win teneva un diario con tutti gli articoli di giornale di Kimberly. Ti sembra giusto?!” sbraitò a quel punto Autumn, alzandosi lesto dal divano per camminare nervosamente in lungo e in largo.

“Se proprio lo vuoi sapere, tutti sapevamo di quel quaderno, ed Erin era felice che Win lo tenesse. Lei era la sua migliore amica, oltre che sua moglie, e capiva perfettamente quanto quel legame imposto avesse legato indissolubilmente tutti e due. Vivevano al meglio delle loro possibilità, e hanno dato alla luce un bimbo adorabile. Come puoi dire che il loro matrimonio è stato una farsa?!” gli sbatté in faccia Summer, levandosi a sua volta in piedi.

Furioso e con gli occhi che sprizzavano scintille, Autumn le si parò innanzi e ringhiò: “Se sei venuta qui solo per questo, puoi andartene anche adesso. Non sei persona gradita.”

Le mani poggiate sui fianchi, la gemella sostenne quello sguardo livido e che nascondeva un oceano di dolore.

Con tono più dolce, mormorò: “Non sono venuta per farti soffrire, ma per farti capire che noi ci siamo! Il dolore va condiviso, così come la gioia. Tu l'amavi? Bene! Anche noi l'amavamo, a modo nostro. Anche noi l'abbiamo persa. Sapere che ora è una fata della bruma grazie a Winter non può che riempirmi di gioia, perché può continuare a veder crescere suo figlio, oltre a vedere Win e Kimmy insieme.”

“Già, bella scena davvero!” ringhiò lui, sprezzante.

“Idiota! Quelle due vanno d'amore e d'accordo!” sbottò a quel punto la gemella, perdendo di colpo il controllo.

A volte, con Autumn, bisognava usare il piede di porco per ficcargli le cose in testa.

“Kim era addirittura restia a lasciarsi andare, dopo aver scoperto di Erin, ma è stata proprio lei a dirle di non farsi scrupoli, che lei voleva solo la felicità sua e di Winter!”

“Non ti credo!” sibilò l'uomo, allontanandosi di un passo dalla sorella, neanche fosse stata armata di machete, e fosse pronta a farlo a fettine.

“Sei proprio un testardo irlandese senza speranza” borbottò la donna. “Non ti dico bugie. Non avrebbe senso dirle, a questo punto. Io ho perso John per una bugia, e per il suo rifiuto di credere alla verità. Vuoi continuare anche tu a vivere credendo solo a delle bugie che ti sei costruito da solo?”

“Smettila” le intimò lui, livido in viso.

“No che non la smetto, Autumn. Maledizione, io tengo a te. Tutti teniamo a te! Non voglio vederti soffrire a oltranza, e per una cosa che non esiste neppure! Tutto l'odio che provi per Winter è inutile, perché non hai motivi per odiarlo! Erin è stata felice, con lui!”

“HO DETTO DI SMETTERLA!” sbraitò il gemello, avvolgendosi con un turbine d'aria sfrigolante.

Gli oggetti più vicini a lui ruzzolarono a terra, mentre altri dondolarono paurosamente sui loro ripiani, indecisi se cadere o meno.

Summer allora si circonfuse di fuoco e sibilò: “Non sfidarmi con il tuo Elemento, Autumn. Non farlo.”

All’esterno, Storm uggiolò preoccupato, forse presagendo guai.

Il petto danzò frenetico sotto il peso del battito furioso del suo cuore e, solo a stento, l'uomo riuscì a imbrigliare la propria rabbia per richiamare il vento.

Nel giro di un paio di minuti il turbine scemò fino a scomparire e, non avendo più le forze per rimanere in piedi, cadde in ginocchio dinanzi alla gemella.

“Vattene. Vattene via.”

“Non volevo ferirti, Autumn, ma offrirti una lancia di salvataggio. Non vuoi salirci? Scelta tua. Ma non scaricare colpe su chi non ne ha. Se proprio vuoi odiare Winter, fallo per motivazioni serie, non per una cosa che non ha fatto.” Ciò detto, sospirò e aggiunse mestamente: “Non dirò nulla a nessuno della nostra chiacchierata, ma vorrei almeno che spendessi un minuto del tuo tempo per pensarci. Se mi vorrai parlare, mi troverai al Centro NOAA di Hilo.”

Quella notizia lo colse di sorpresa e, risollevando il viso per guardarla, mormorò: “Come, Hilo?”

Sorridendo senza alcuna allegria, Summer scrollò le spalle e dichiarò: “In qualche modo devo andare avanti, no? Perciò, tanto vale ricominciare in un luogo a me benevolo. Poi, vedremo. Ma almeno, io tento di guardarmi avanti. Tu cosa fai?”

Autumn non rispose e la gemella, nel piegarsi in avanti, lo baciò sulla fronte e aggiunse: “Ti amo, fratellino, non dimenticarlo mai. Per te ci sarò sempre, ma ricorda; se continui a soffermarti sul passato e su cose che non esistono, non avrai mai pace, e il futuro rimarrà sempre sbarrato, per te.”

“Non avrò mai un futuro” sussurrò senza forze l'uomo.

“La mamma avrebbe detto che tutti hanno un futuro a cui ambire” gli sorrise Summer, estraendo dalla sua borsa un piccolo involto. “Questo lo lascio a te. E' giusto che lo tenga tu. Ne hai più bisogno di me, al momento.”

Senza parole, Autumn sgranò gli occhi di fronte al carillon della madre e, quando Summ lo poggiò sul tavolino del salotto, esalò: “Da dove... salta fuori?”

“Lo aveva zia Brigidh, poi lo ha passato a me. Ma penso serva più a te, per ora. Me lo ridarai se e quando ne avrai voglia.”

Con un ultimo sorriso, si avviò verso la porta d'ingresso e lì afferrò la maniglia della porta.

“Summer...” gracchiò Autumn, facendola voltare a mezzo. “Mi spiace... per John.”

Il lampo di un sorriso balenò sul suo volto prima di scomparire dietro un 'grazie' appena sussurrato.

Un attimo dopo, Summ era sparita, lasciando dietro di sé solo il suo profumo fiorato e il carillon della mamma.







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N.d.A: ed ecco che finalmente fa la sua prima "vera" apparizione l'ultimo dei gemelli Hamilton. Siamo ormai agli sgoccioli, con la storia di Summer, per cui il momento di Autumn è quasi arrivato.

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


 
Cap. 12
 
 
 
 
 
Il Maine gli era sempre piaciuto, per più di un motivo.

La sua calma, i ritmi indolenti della vita di campagna, l’aria sonnacchiosa che avevano i paesaggi, la forza indomita dell’oceano che si infrangeva sulla costa frastagliata.

Ogni cosa appariva meravigliosa, ai suoi occhi e, quando infine raggiunse la casa della madre a picco sull’oceano, sorrise e sospirò di sollievo.

Quell’ultimo mese, al lavoro, era stato traumatico.

Lo studio dei dati rilevati sul Kilauea, aveva portato via gran parte del suo tempo, ma non aveva alleviato il peso che era gravato sulle sue spalle alla notizia del trasferimento di Summer.

Big Mama era stata concisa, nessuno gli aveva mosso alcuna accusa, e neppure Mike se n’era uscito con una battutaccia al suo indirizzo.

Di fatto, ciò che era successo su quell’isola era rimasto tra lui e Summer.

Eppure, Amanda e Mike sapevano che era successo qualcosa tra di loro.

E dubitava fortemente esistesse qualcosa al mondo che Big Mama non conoscesse, perciò era abbastanza sicuro di poter annoverare anche lei tra i testimoni del suo odioso fallimento.

Perché, a onor del vero, di questo si trattava.

Non solo aveva allontanato da sé Summer come se fosse stata un’appestata – subito dopo che lei lo aveva salvato dalla morte – ma le aveva anche lanciato contro una marea di colpe e ingiurie.

Ingiurie che, di certo, non le spettavano.

Si era comportato così per codardia e lei, per non ferirlo ulteriormente o fargli pesare la sua presenza, se n’era andata.

Winter non gli aveva detto nulla, pur avendolo incrociato sul lavoro un sacco di volte.

Si era comportato con la sua solita cortesia, pur se nei suoi occhi di ghiaccio aveva scorto una sorta di malinconia cui non aveva saputo dare nome.

Non aveva neppure avuto il coraggio di telefonare a Spring, o a Max, per cancellare la sua partecipazione al matrimonio, svoltosi i primi giorni di settembre.

Semplicemente, aveva continuato a nascondersi.

Alla fin fine, gli veniva bene.

Era una vita che si nascondeva. Da se stesso, dal suo retaggio, dalla verità stessa.

Summer gliel’aveva offerta su un piatto d’argento, assieme al suo cuore, e lui aveva gettato tutto alle ortiche con autentico disprezzo.

Dal suo ritorno a Washington non aveva fatto altro che rimuginare su quello, e su molte altre cose ancora.

E, ad ogni notte passata insonne nel suo letto solitario, i ricordi a inondargli la mente con la loro triste dolcezza, aveva infine compreso.

Non aveva fatto altro che ferire le persone a lui più care, fin dalla tenera età.

Aveva rifiutato il lascito di sua nonna, e lei era morta nei patimenti più atroci.

Aveva gettato in faccia alla madre il suo retaggio, e lei ora viveva sola a centinaia di miglia da lui, vedova di un uomo scomparso prematuramente.

Aveva infangato il buon nome dell’unica donna che avesse mai veramente amato, e solo perché gli aveva offerto la verità, ed ora lei era su un’isola in mezzo all’Oceano Pacifico.

Era stato davvero bravo.

Nel suonare il campanello della villetta in stile New England della madre, interamente dipinta di bianco, con una veranda coperta di zanzariera rivolta verso il giardino antistante, John fremette.

Da dove avrebbe potuto cominciare? Per cosa avrebbe dovuto scusarsi?

Quando la badante di sua madre giunse ad aprire la porta, la donna gli sorrise cordiale nel farlo entrare e mormorò: “Benvenuto, John. Lei ti stava aspettando.”

“Lo immaginavo” assentì lui, pur sapendo di non aver avvertito la madre del suo arrivo.

Di cosa stupirsi, in fondo?

Se voleva dare una svolta alla sua vita, una vera svolta, doveva dar credito a ciò che succedeva intorno a lui, stranezze comprese.

Quando però giunse nel salotto della villetta, non poté non sgranare gli occhi per la sorpresa e, sobbalzando, esalò: “Voi? Che ci fate qui?”

“Li ho invitati io, figliolo” asserì la madre, sorridendo ai suoi ospiti.

Max fu il primo a parlare, come al solito cordiale e comprensivo. “Ehi, amico, come va?”

La badante si defilò in cucina, mentre Angelique faceva segno al figlio di accomodarsi.

J.C. accettò senza fiatare e la donna, accigliata in viso, dichiarò: “A quanto pare, hai toccato punte di stupidità davvero uniche, figlio mio.”

“Mamma…” si lagnò lui, arrossendo suo malgrado.

“E’ inutile che dici ‘mamma’ con quel tono lamentoso. Sai di aver fatto un torto gravissimo a una persona unica, e questo non ti dispenserà dal ricevere la mia ramanzina” brontolò la donna, scuotendo il capo di capelli canuti.

“Non conta nulla il fatto che io sia venuto qui con il cuore in mano, e disposto a credere a tutto ciò che mi dirai?” replicò John, aggrottando la fronte.

“Non se lo fai solo per riprenderti Summer” sbottò Angelique.

Il colpo andò a segno e il figlio reclinò il capo, contrito.

“Ah, vedo bene che la ragazza ti manca! Ma non basterà il suo amore per lei a far cambiare le cose. Devi venire a me anche per accettare ciò che sei o, per lei e per te stesso, sarai più un pericolo che un giovamento” esclamò soddisfatta la donna.

“Non le farei mai del male!” esalò lui, dandosi dell’idiota un attimo dopo. Certo che gliene aveva fatto, e anche molto.

Angelique scosse il capo, spiacente, e mormorò in risposta: “Potresti farle molto di più che spezzarle il cuore, ragazzo. Non è dei suoi sentimenti per te che sto parlando, ma del tuo loa.”

“Cosa?” gracchiò John, aggrottando la fronte.

“Non rammenti dunque nulla?” sospirò la donna, ora dispiaciuta.

“Non … capisco…”

“Summer ci disse che il tuo loa si era scatenato, all’interno della grotta” gli spiegò a quel punto Winter, giocherellando con un bicchiere di acqua ghiacciata.

Appariva gelido, al pari dei cubetti di ghiaccio che galleggiavano nel suo drink.

Drink che, nel giro di una breve manciata di attimi, sciolse i suoi trasparenti ospiti ghiacciati per poi ricomporli sotto i suoi occhi sconcertati.

Era evidente anche a uno scettico come lui quanto Win fosse nervoso, o più propriamente, incazzato nero.

Quel giocherellare con i propri poteri, doveva essere una reazione al suo stato di irritazione latente.

Distogliendo in fretta lo sguardo, ripensò a ciò che era successo sull’isola, nel tentativo di rammentare l’episodio cui aveva fatto riferimento Winter.

John ricordò le mani attorno al collo della donna ma poco altro e, passandosi  una mano sul viso contratto, mormorò: “Non so di cosa parlate… davvero…”

Spring si levò in piedi, a quelle parole, la rotondità della gravidanza ora ben evidente sull’esile corpo di donna.

Nel posizionarsi alle spalle di Winter, poggiando le mani sulle sue forti spalle, fissò J.C. senza pietà alcuna ed esclamò a sorpresa: “Come Guardiana della Terra io ti chiamo, Johnathan Colton Graham. Il tuo corpo mi appartiene di diritto e non lo cederò a nessuno, neppure al tuo spirito oscuro!”

Max le si portò vicino, mentre la moglie iniziava a rifulgere di spettrale splendore. La sua pelle parve riflettere la luce del sole, che penetrava dalle finestre spalancate sull’oceano.

Fu solo dopo alcuni attimi di sconcerto iniziale, che John comprese la verità.

Era lei stessa a emanare quella luce!

Winter, in quegli stessi istanti di proverbiale stupore di J.C., si ricoprì di una sottile patina di ghiaccio e, protettivo, si alzò per pararsi completamente dinanzi alla sorella.

Le mani sottili di Spring scivolarono sui fianchi del fratello.

Sgomento, John li osservò senza capire finché…

Il suo corpo iniziò a sfrigolare, come se un fuoco interno lo stesse divorando lentamente e, già sul punto di chiedere cosa gli stessero facendo, udì urlare qualcuno… dalla sua stessa bocca!

Aggrappandosi ai braccioli della poltrona, cercò di alzarsi, ma tutto fu vano.

Un pesante strato di ghiaccio si stava arrampicando lungo le sue gambe, sinuoso come un serpente e, mentre Winter ne controllava la consistenza con il solo sguardo, lui urlò, e urlò.

Angelique circondò la poltrona con uno spesso strato di sale e, a quel punto, Win gettò il contenuto del bicchiere in aria, facendone svaporare il contenuto per trasmutarlo in bruma.

Essa prese consistenza e assunse le sembianze di una donna… le sembianze di Erin Hamilton O’Hara!

Sgranando gli occhi con sempre maggiore forza, mentre il suo corpo veniva squassato da violenti scossoni, e dalla sua bocca fuoriuscivano parole su cui non aveva controllo, John fissò terrorizzato la madre.

Lei si limitò ad annuire, sicura del fatto suo, mentre Winter e Spring continuavano a parlare in una lingua che non conosceva e che, forse, non era neppure la loro lingua madre.

Aveva sentito alcune volte Summer parlare in gaelico, ma ciò che i due gemelli stavano formulando, con tono profondo e ancestrale, aveva qualcosa di ben diverso… di divino.

Lo spettro, dalle sembianze di Erin, oltrepassò il cerchio di sale con sguardo volitivo e forte, e fu a quel punto che avvenne l’impensabile.

Il suo corpo venne squassato da una violenta scossa e, sotto i suoi occhi sgomenti, un loa con le sue sembianze – almeno apparenti – si gettò contro Erin per colpirla con violenza.

Lo spettro di bruma non si lasciò spaventare.

Svaporò non appena il loa cercò di ghermirla, per poi riapparire in forma quasi solida dietro di lui, stilettandolo alla schiena con mille dardi d’acqua.

Il loa gridò, si ribellò a quegli stiletti conficcati nella schiena – che gli impedivano qualsiasi movimento – e, in un ultimo disperato tentativo, gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla perché lui lo aiutasse.

John lo fissò in quegli occhi così simili ai suoi e, alla fine, capì.

Quel loa lo aveva creato lui con le sue paure, con i suoi fraintendimenti, con la sua cocciuta ostinazione a non voler comprendere quanto vi fosse di vero in ciò che gli era stato detto.

Quello spirito aveva fatto del male a Summer e, per poco, non l’aveva uccisa.

No, non doveva sopravvivere.

Reclinando il capo, si negò al suo sguardo e il loa, con un gorgoglio senza forma, si lasciò cadere in ginocchio all’interno del cerchio di sale prima di svanire in una voluta di fumo nero.

Angelique fu lesta ad aprire le finestre, perché quel vapore mefitico si disperdesse fuori dalla sua casa.

Mentre Erin tornava al fianco di Winter, John levò lentamente il capo, esausto e apparentemente senza forze, ed esalò: “E’ tutto finito?”

“Ora sì” assentì Spring, e la sua luce svanì come era giunta.

Il ghiaccio scomparve in una nuvoletta di vapore ed Erin, dopo un ultimo sorriso a Win, svanì a sua volta.

John a quel punto si afflosciò sulla poltrona e, passandosi una mano sulla fronte madida, gracchiò: “Ero io, quello?”

“La tua parte più oscura, non più tenuta a freno, e impregnata del tuo potere divinatorio. Lui non aveva remore a usarlo” precisò Winter, annuendo con aria guardinga.

Il ghiaccio era scomparso, come se non fosse mai esistito, ma l’uomo restava ugualmente attento, e pronto a qualsiasi evenienza.

Non era evidentemente del tutto sicuro che le cose fossero andate al loro posto, e non se la sentiva, in tutta onestà, di abbassare la guardia.

“E ora?”

“Ora, dovrai iniziare il tuo apprendistato come houngan e, finché non avrai terminato, scordati di avvicinarti a mia sorella” gli gettò in faccia il maggiore degli Hamilton, parlando senza troppa simpatia nella voce. “Ho accettato di venire qui con Spring, solo perché conosciamo il profondo affetto che Summer prova per te, ma torcile un solo capello, e scatenerò su di te una furia tale che l’uragano Katrina, al confronto, ti sembrerà un bon-bon.”

Con un sorriso che prometteva miele e benessere, Spry aggiunse: “E io ti aprirò la terra sotto i piedi, perché gli abissi ti divorino un pezzo alla volta.”

John rabbrividì. Nessuno dei due stava scherzando. Per nulla.

“Con premesse simili, non hai granché scelta, figliolo” precisò la madre, più che soddisfatta.

Annuendo in silenzio più e più volte, alla fine gracchiò: “No davvero.”

“Oh, ne hai due, in effetti. O accetti tutti noi, e te stesso, per quello che sei, e ne prendi sulle spalle pregi e difetti, oppure non la rivedrai mai più.”

Ciò detto, Winter sospirò e si massaggiò il centro della fronte, come per un principio di emicrania.

John, al momento, ne aveva una gigantesca, e prometteva di essere solo agli inizi.

“Vi sono grata, Guardiani, per ciò che avete fatto per mio figlio” mormorò ossequiosa Angelique, reclinando il capo con fare dimesso.

Winter e Spring annuirono e Max, presa sottobraccio la moglie, le domandò sommessamente come stesse.

Al suo sorriso luminoso, l’uomo si tranquillizzò ma, quando vide il volto smunto di John e la sua aria smarrita, ebbe pietà di lui.

Dopo un simile spettacolo, tempre ben più forti sarebbero crollate e lui stesso, alla vista di un assaggio dei poteri della moglie e del cognato, era quasi svenuto.

Non invidiava ciò che avrebbe dovuto fare da lì in avanti John, per mettere in riga i suoi doni ma, vista la posta in gioco, era più che certo che ci sarebbe riuscito.

Summer valeva lacrime e sangue, ne era più che sicuro.

Uno dopo l’altro, infine, defilarono per uscire di casa, salutando Angelique con abbracci e baci sulle guance.

Quando Max si trovò al fianco di J.C., gli batté una mano sulla spalla, asserendo: “Ce la puoi fare, amico. Ne sono sicuro.”

John preferì non arrischiarsi a parlare, non essendo più sicuro di nulla in quel momento e, non appena i loro strani ospiti si furono allontanati, ricomparve la badante con un’orzata.

Pacifica, gliela offrì e disse: “Ora sarà il caso di lasciarti riposare per un po’ e, da domani, inizierai il training con me.”

Di che si stupiva, in fondo?, pensò tra sé John, trasalendo leggermente alle parole della donna.

A quanto pareva, il mondo dell’occulto e delle divinità aveva più adepti di quanto non si fosse immaginato in un primo momento.

E questo lo portò a porsi una domanda inquietante.

Vagamente turbato, John gracchiò: “Ma… con cosa sono venuti?”

Angelique ridacchiò e gli disse: “In auto. E’ sul retro, sotto il portico. Per questo non l’hai vista. Pensavi fossero volati qui su una scopa?”

John si astenne dal fare commenti, ma si rilassò solo quando udì il rombo dell’auto inerpicarsi su per i muri fino a giungere alle sue orecchie, per poi allontanarsi fino a scomparire in lontananza.

 
¤¤¤

“E questo cosa sarebbe?” mormorò Shaina, osservando confusa un foglio di carta pergamenata, ripiegato e sigillato con ceralacca rossa, recante il simbolo della ruota di Arianrhod.

Sean, al fianco di Colin e Miranda, osservò con serietà la donna, assisa su uno scranno dietro la sua scrivania in palissandro.

Tutt’attorno, reliquie vecchie di secoli, ancestrali dipinti di avi lontani e antiche armi appartenute ai più valorosi guerrieri, incutevano un certo timore.

Sean, però non si fece spaventare.

Si era lanciato in quella missione tanti anni addietro, sapendo bene a cosa stava andando incontro.

Fin dalla loro prima visita ai Guardiani, il giorno della nascita di Malcolm, il suo intento era stato noto ai due Signori dell’Aria e dell’Acqua, che ne avevano plaudito il pensiero.

Gli anni gli erano serviti per accrescere l’amicizia con entrambi e, nel contempo, per acquisire le conoscenze necessarie per tradurre il grimorum.

Saperli dalla sua parte, lo aveva spinto a continuare anche nei momenti di maggiore sconforto, quando tutto era parso senza speranza.

L’esempio di Anthony e Camille Hamilton lo aveva spronato a dare il via al suo piano. Winter e Autumn, a proseguirlo.

Seguire ciò che il Consiglio aveva imposto loro per secoli si era rivelato una menzogna, e violava non solo la libertà dei Guardiani, ma anche quella dei Prescelti stessi.

Come aveva scoperto fin dalle prime letture del grimorum, rubato da Colin su indicazioni di Mæb stessa, Arianrhod era sempre centrata molto poco in tutta la faccenda.

Il Suo Nome era servito unicamente a mascherare interessi sempre crescenti, e rendite speculative sempre più esorbitanti.

I Clan più potenti avevano prosperato nei secoli, man mano che i matrimoni combinati avevano allargato le porte – guarda caso – alle famiglie più ricche d’Irlanda.

E la faccenda della torque?

Un becero stratagemma, ideato per sfruttare il  momento di sfasatura dei poteri dei Guardiani, così da asservirli ai loro bisogni personali.

Il sangue di fata era notoriamente allergico all’acciaio, e  quale materiale migliore se non l’acciaio siderale, per far crollare i Signori degli Elementi nel momento di maggior debolezza?

No, quella pratica doveva terminare lì, in quel momento, visto e considerato che non vi era scritto da nessuna parte, che il matrimonio dovesse essere imposto.

Arianrhod non aveva mai voluto imprigionare i suoi stessi Guardiani. Gli uomini lo avevano fatto, per avidità e sete di potere.

Questo avevano tenuto nascosto nel grimorum per secoli, non le conoscenze della dea.

Lady Shaina avrebbe dovuto ascoltare le loro giuste rimostranze, non poteva rifiutarsi.

Fattosi portavoce dei Prescelti, Sean quindi asserì con forza: “Queste sono le firme dei Capiclan asserviti alla Legge della Tessitrice. Quindici famiglie su venti, per l’esattezza, e tutte chiedono che le vecchie norme vengano riscritte.”

Shaina aggrottò la fronte e, senza neppure aprire la pergamena, la scostò con gesto disinteressato.

“Non siete nella posizione di chiedere niente. Voi non avete il potere per farlo.”

“Mi permetto di dissentire, Lady Shaina” replicò pacato Sean, scostando da sotto il braccio il pesante tomo che aveva fin lì portato.

La verità era contenuta lì da secoli e, da secoli, era stata tenuta nascosta perché morisse, venisse cancellata dall’oblio del tempo.

Era però giunto il tempo che tutti sapessero chiaramente cosa vi fosse scritto, che la realtà edulcorata, fin lì raccontata ai più, venisse smascherata.

Il grimorum era da sempre stato la loro reliquia più importante, ma nessuno, a parte i membri del Consiglio, aveva mai conosciuto veramente cosa vi fosse scritto.

E quel che ora sapeva Sean lo avrebbe messo a disposizione di tutti.

Accigliandosi, Shaina fissò il grimorum e, subito dopo, il volto pallido di Sean.

Chi ha posto nelle tue mani indegne quell’antico testo? Solo un Guardiano può leggerlo!” sbottò la donna, levandosi in piedi con fiera rabbia.

“E un Guardiano mi ha consegnato le chiavi per ottenerlo, Lady Shaina. Lady Mæb mi ha concesso quest’onore” spiegò modesto Colin, giungendo in aiuto dell’amico, che gli sorrise complice.

“Quella vecchia arpia di Mæb…” brontolò l’anziana Guardiana, scuotendo il capo.

Fattosi forza, Sean aprì il tomo in un punto preciso e mormorò: “La legge parla per noi, Lady Shaina.”

“La legge…”

Miranda, a quel punto, la interruppe, iniziando a declamare quanto scritto con la sua elegante voce di contralto.

“Ci si rifà al sopraddetto emendamento, rammentando alle dinastie coinvolte che solo, e unicamente, in caso di preferenza del Guardiano, tali unioni potranno essere approvate dalla Potestà del Consiglio. La volontà del Guardiano è prima su ogni decisione.”

“Per l’appunto! La mia volontà!” sbottò Shaina, irrigidendosi, il viso ormai livido di rabbia.

Miranda resse lo sguardo gelido della donna e Colin, al suo fianco, le strinse protettivo una mano sul braccio.

Sean fece lo stesso sul suo lato libero e Mir, con un leggero sospiro, raddrizzò le spalle e fronteggiò più sicura l’anziana Guardiana del Fuoco.

“Leggerò la traduzione poco oltre perché vi sia più chiaro, Vostra Grazia” mormorò allora la giovane, ben sapendo cosa stava rischiando, inimicandosi una donna come Shaina.

Aggrottando la fronte, la vecchia Dominatrice del Fuoco la vide scorrere le dita sulle ultime righe scolorite della pagina e, a mezza voce, la udì declamare l’inascoltabile.

“Di giovane virgulto è l’autorità prima, di vecchia quercia la responsabilità di educare.”

Shaina sbuffò infastidita e Sean, nel chiudere il tomo, ammise: “E’ stato difficile interpretare un libro così antico, viste soprattutto le quasi duemila pagine in esso contenute, ma posso avere la presunzione di dire che il diritto di scelta spetta ai Guardiani Winter, Spring, Summer e Autumn,… non a voi, Lady Shaina.”

“Tu non sai di quel che parli!” sbraitò la donna, sbattendo una mano sulla scrivania.

Sean, Colin e Miranda rimasero impassibili.

Quest’ultima, facendosi avanti con aria decisa e fiera, asserì: “Non accetterò mai di passare sopra alla mia vita per uno stupido editto che, tra le altre cose, non è neppure valido. Lord Autumn dichiarò già anni addietro la sua volontà di non prendermi in moglie e, con lui, mi sento regolarmente ogni mese. Non ha certo cambiato idea, di questo posso rendervi edotta.”

Shaina la fissò, sconvolta e furiosa, e Miranda, proseguendo nella sua arringa, poggiò le mani sul suo ventre ancora piatto, quasi a volerlo proteggere.

“Colin è il padre del bambino che sta crescendo nel mio grembo e, in occasione delle festività di Arianrhod1, nostra Signora, noi diverremo marito e moglie.”

A quel punto, l’anziana Guardiana oltrepassò la scrivania per sfidarli apertamente, ma nessuno dei tre giovani indietreggiò.

Colin, al contrario, avvolse la vita della compagna con un braccio e dichiarò con forza: “Non abbiamo bisogno del vostro benestare, Milady, ma gradiremmo capiste quanto questa farsa sia andata fin troppo avanti. Arianrhod non ha nulla a che fare con la Legge dei Prescelti, è ben chiaro in ciò che abbiamo sottoposto alla vostra attenzione. Gli interessi del Clan, lo erano, ma questo non rientra nei nostri obblighi verso i Guardiani.”

“Il potere è sempre stato nelle mani del Consiglio e dei Guardiani, e così continuerà ad essere!” sbraitò la donna, ora livida in viso, il respiro rapido e leggero.

Un attimo dopo, la porta si aprì e, sulla soglia, fece la sua comparsa Angus, il marito di Shaina.

Scuotendo il capo con aria grave, l’uomo mormorò: “Potete andare, ragazzi. Leggerò la missiva, e farò sicuramente indire una riunione del Consiglio per aggiornarli sulle vostre scoperte. Ora lasciatemi parlare con mia moglie.”

I tre giovani annuirono ossequiosi e se ne andarono in silenzio mentre Shaina, furente e ormai preda di violenti tremori, fissò accigliata il marito prima di sibilargli contro: “Non puoi prendere decisioni per conto dei Quattro!”

“Posso fermare mia moglie dal fare l’ennesimo errore… e, come membro del Consiglio, posso imporre a mia volta la parola, pur senza i tuoi poteri a farmi da scudo” replicò serafico Angus, avvicinandola senza timore alcuno.

Come Fulcro, non avrebbe mai rischiato nulla da lei, neppure di fronte alla sua furia scatenata.

Ansante e già pronta a scatenare la propria ira, Shaina si azzittì quando Angus disse con tono sepolcrale: “Ho perso due figlie, un genero che adoravo e quattro nipoti che non ho avuto il piacere di conoscere a fondo. Io fui maritato a te per volontà dei nostri genitori e, anche se ti ho amata fin dal primo momento, non ho mai smesso di odiare queste regole impositive. Scoprire che derivavano solo da una visione contorta della verità, dal sordido interesse del Clan, non mi è affatto piaciuto. Non sacrificherò oltre la mia famiglia. Winter ha già pagato un prezzo altissimo, e non ti permetterò di far pagare lo stesso fio agli altri miei nipoti e pronipoti. Se vuoi che io rimanga, accetta il patto e rinuncia al potere. E’ ormai tempo che il Clan risorga nella luce, non che rimanga insabbiato nell’oscurantismo del passato.”

“Senza controllo, le genti insozzeranno il sangue divino che ci scorre nelle vene. Arianrhod non voleva questo! La nostra razza deve essere preservata!” balbettò nervosamente Shaina, scuotendo il capo.

“Non penso che la nostra dea volesse questo, da noi. Penso piuttosto che desiderasse da noi un utilizzo conscio e ponderato dei doni che ci hanno fatto i Tuatha de Danann, cosa che i nostri nipoti stanno facendo… mentre noi e i nostri antenati ne abbiamo abusato” replicò candidamente Angus.

Tu non hai potere…” si ritrovò a dire Shaina, gli occhi ridotti a due scintille caustiche.

“Su di te, sì” precisò l’uomo, imperturbabile. “E, finché non avrai compreso i tuoi errori, il tuo Fulcro starà ben lontano da te.”

Ciò detto, Angus abbandonò la stanza, lasciando Shaina sola mentre crollava,   esausta e tramortita, sul suo scranno di legno.





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1 Festività di Arianrhod: E’ Samhain, cioè Halloween, il 31 Ottobre.

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo
 
 
 
 
 
Le zucche di Halloween erano ovunque e, a onor del vero, anche lei aveva preparato la sua, già bell’e sistemata di fronte alla porta d’ingresso del suo appartamentino a Hilo.

In casa, calde decorazioni color arancia e candele di mille e più forme erano sparse qua e là, con l’intento di rallegrare l’ambiente.

Summer, però, sapeva che nulla avrebbe potuto cancellare l’apatia che l’aveva presa da quando era arrivata sull’isola.

Era inutile che ci girasse tanto attorno.

John le mancava e, più i giorni passavano, più la faccenda si faceva seria.

Ad ogni buon conto, non è che potesse farci granché, visto che lui si era testardamente dichiarato contrario a proseguire qualsiasi rapporto con lei.

Per lo meno, da Sean aveva saputo che, a Dublino, le cose sembravano procedere per il verso giusto.

I vecchi Guardiani, insieme agli Anziani, si sarebbero riuniti in Consiglio il giorno di Yule, a dicembre, e Shaina avrebbe preso visione delle prove messe in evidenza da Sean.

Scoprire che le regole erano state bellamente lette ad uso e consumo dei Clan più forti, non era affatto piaciuto, specialmente alle famiglie meno importanti.

Per evitare insurrezioni, o addirittura lo scioglimento dell’Ordine, Shaina aveva dovuto cedere almeno su quello.

Il fatto che né Sean, né tanto meno Colin e Miranda, fossero stati eliminati da Arianrhod, era prova regina della loro buonafede.

Quanto la cosa piacesse a sua nonna, era un altro discorso.

Quando lei e gli altri Guardiani si sarebbero espressi in merito, non era dato sapere.

Il fatto che il Consiglio si riunisse entro breve non significava che, da quell’unico incontro, sarebbe scaturito un risultato definitivo.

Ma qualcosa si era mosso. Qualcosa brillava speranzoso, all’orizzonte.

Accesa l’ultima candela sull’altarino che aveva elevato in casa, usando la lava del Kilauea – plasmata col suo potere – Summer si inginocchiò a mani giunte e, chiusi gli occhi, intonò una preghiera alla dea.

A ciò, aggiunse anche un augurio di felicità per Colin e Miranda, sposi in quel giorno così propizio e puro.

Quando ebbe terminato quella piccola celebrazione privata, si levò in piedi e si diede da fare per preparare le caramelle per i bambini.

Nel giro di qualche ora, ci sarebbe stato un vero e proprio assalto.

Solo a mezzanotte si sarebbe recata sulla spiaggia per una cerimonia privata, dedicata alla dea Pele ma, per quello, c’era tempo.

Verso le nove di sera, le maschere e le borse a forma di zucca stavano già girando per le vie dell’abitato e Summer, ad ogni nuovo colpo di campanello, si sentì ripetere da voci cicaleggianti: dolcetto o scherzetto?

Ad ogni gruppetto riccamente colorato lei dispensò sorrisi e zucchero a profusione e, a ogni porta richiusa, emise un sospiro.

Avrebbe mai avuto la grazia di vedere un figlio suo fare la stessa cosa?

Ormai ne dubitava seriamente.

All’ennesimo squillo del campanello, Summ si recò alla porta con il cesto delle caramelle sottobraccio.

Quando però si ritrovò a fissare due iridi scure che mai, nella vita, aveva pensato di poter rivedere, tutti i dolciumi finirono a terra.

E la cesta di vimini con loro.

John, sorridente e vagamente contrito, le stava innanzi con un’enorme zucca riccamente intagliata e, ben visibili agli occhi di Summer, i suoi loa protettivi  galleggiavano alle sue spalle con volti sorridenti e lieti.

“J-John…” esalò lei, sbattendo freneticamente le palpebre, mentre rabbiose lacrime le si affollavano negli occhi.

“Già” assentì lui, scrutando il mare di dolciumi sparso attorno ai loro piedi.

“Che… che ci fai qui?” balbettò lei, continuando a fissarlo come una sciocca.

“Beh, per la verità volevo farti una sorpresa e, a quanto pare, ci sono riuscito” ammise lui, facendo spallucce. “E poi, volevo portarti un ramoscello d’ulivo in segno di pace.”

“Quella è una zucca, però” precisò Summer, cominciando a riaversi dallo shock dei primi istanti.

In effetti, era una zucca enorme, e sembrava essere stata scolpita da un maestro scalpellino… o da Winter!

“I miei fratelli sono qui?” mormorò allora la donna, dubbiosa.

“Tra le altre cose” assentì lui, prima di domandarle: “Posso entrare, per favore? Comincio a sentirmi un po’ idiota, qui fuori impalato come una statua.”

“Eh? Oh, sì, certo!” esalò lei, togliendosi dall’entrata per farlo accomodare.

Il suo fuoco interiore gioì della sua presenza ma lei lo azzittì con cura, non avendo ancora pienamente compreso cosa diavolo stesse succedendo.

Una volta all’interno dell’appartamento, John appoggiò la zucca sul ripiano della cucina e, sotto gli occhi sgomenti di Summer, si mise in ginocchio e poggiò mani e fronte sul pavimento.

Penitente, mormorò con calore: “So di aver combinato un casino dell’inferno, con te, ma perdonami! Ho capito cosa volevi dirmi, e ho fatto pace coi miei demoni. So cosa sono, chi sono, e non ne ho più paura, come non ho paura di te, davvero!”

“John, John, John, per l’amor di Dio, alzati da lì!” esclamò lei, avvampando in viso prima di tirarlo per un braccio, con l’intento di farlo rialzare.

J.C. ne approfittò subito e, quando fu in piedi, la abbracciò con forza per poi affondare il viso nella sua chioma ribelle, quella bellissima chioma che aveva sempre amato.

“Ho sbagliato mille e mille volte, amore mio, scusa!” esclamò lui, sempre tenendola stretta. “La paura mi ha mal consigliato, e ho finito per ferire le persone che più amavo… ma prometto di fare ammenda, anche per tutta la vita, a cominciare da ora.”

“John, ma cosa…” esalò lei, facendo fatica a connettere, del tutto impreparata a quell’assalto emotivo.

Le sensazioni provenienti da John erano chiare, limpide, prive di ombre, e avevano tutte un unico fulcro… lei.

“Riesci a percepire cos’ho nel cuore?” mormorò a quel punto J.C. “Win mi ha detto che puoi.”

Lei annuì, non arrischiandosi a parlare.

Allora, John aggiunse: “So di averti ferita, ma permettimi di rimediare. Passerò ogni giorno della mia vita a farti capire che tu, e tu sola, sei la regina del mio cuore. Lasciami essere il tuo Fulcro. Ti prego!”

Quelle ultime due parole, così sentite, così piene di speranza e sconforto assieme, la fecero cedere.

Scoppiò in lacrime come una bambina e gli si aggrappò al collo con forza, senza riuscire a smettere di lasciar correre quelle perle colme di dolore e liberazione.

Avrebbe tanto voluto che la mamma e il papà fossero lì, per vedere il suo amore ritrovato, per conoscerlo e apprezzarlo come lei apprezzava John, ma sapeva quanto questo fosse impossibile.

Ma fu a quel punto che J.C. la spiazzò.

“Sono felici, Summer. Per tutti e due.”

“Cosa?” esalò lei, scostandosi dall’uomo per poter leggere la verità nei suoi occhi.

Lui annuì e la giovane, mordendosi il labbro inferiore per lo sconforto, tornò ad abbracciarlo ed esclamò: “Non volevo che morissero in quell’incendio! Se fossi stata più forte, o più preparata, li avrei salvati!”

“Tesoro, loro lo sanno, e non te ne hanno mai fatto una colpa. Mai. Ti amano non meno degli altri loro figli, e non smetteranno mai di farlo” la rincuorò lui, cullandola tra le braccia, mentre mille lacrime, che Summer aveva trattenuto negli anni, le scivolavano sul viso paonazzo.

Troppi silenzi, troppi sospiri trattenuti, troppi rimorsi.

In quel momento, si condensarono in quel pianto liberatorio, pianto scatenato dalla certezza che i suoi genitori l’amavano, che non la ritenevano responsabile della loro morte.

E che, più di tutto, apprezzavano il suo amore.

Quando infine il piano scemò a un più tranquillo singhiozzare, Summer si concesse il tempo di mormorare: “Cosa ti ha fatto cambiare idea?”

“Win, Spring e Max sono venuti a trovarmi mentre ero da mia madre, e mi hanno mostrato un paio di cose” ammise John, asciugandole il viso con il passaggio delicato dei pollici.

“Loro?” esalò Summ, sorpresa.

“Ehi, piccola! Pensavi davvero che la tua famiglia non sarebbe intervenuta per darmi una sonora batosta?” ridacchiò John, baciandole teneramente il naso.

Lei si lasciò andare ad una risatina nervosa e l’uomo, avvolgendole la vita con le mani, aggiunse: “Autumn, poi, mi ha telefonato dicendomi che, se non rinsavivo in fretta, avrebbe abbattuto casa mia con un tornado… con me dentro.”

“Oh, beh! Questa poi!” esclamò lei, sbottando.

Tornando serio, John asserì: “Tesoro, hanno fatto bene. Ero davvero rimbecillito, in quelle grotte, per non capire che il mio amore per te avrebbe dovuto essere più forte della paura che provavo per ciò che ero… che sono. Ma ora le cose cambieranno. Sono già cambiate.”

“Lo vedo” assentì lui, sorridendo ai loa.

“Oh, già… li vedi anche tu, dimenticavo” ridacchiò l’uomo, lanciando ai suoi spiriti un’occhiata complice. “Comunque, beh… sto facendo un training con una mamaloa e, per il momento, sono a buon punto. Mi ci vorrà ancora un bel po’, ma sono pronto a lavorare sodo per…”

Interrompendolo con un bacio focoso, Summer si staccò da lui solo quando sentì la sua temperatura corporea salire di parecchio.

Quando lo fissò negli occhi accesi di desiderio, dichiarò: “Non c’era bisogno di tante spiegazioni.”

“Dispotica” si lagnò lui, sorridendo.

“E quando mai non lo sono stata, scusa?” rise lei, avvolgendogli il collo con le braccia, ora dominata da uno spirito ben diverso da prima.

Era… speranzosa.

Quando il campanello trillò nuovamente, Summer fu tentata di fare finta di niente ma, nel sentire le voci della sua famiglia, scoppiò in una nuova calda risata e andò ad aprire, abbracciandoli in blocco.

John la seguì e, nel vederli così uniti, così felici e sorridenti, non poté che esserne a sua volta lieto.

Era servito dar retta al cuore, invece che alla sua cocciutaggine.

E, quando Summer si volse per sorridergli, l’amore per lui ben dipinto nei suoi occhi da gatta, seppe di non essersi sbagliato.




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N.d.A.: E qui si conclude l'avventura di Summer e John. Spero vi sia piaciuta e vi abbia fatto emozionare. Grazie a coloro che hanno letto e/o commentato. Fa sempre piacere sapere che quel che ho in testa, interessa a qualcuno ^_^

Autumn (che ho idea interessi a molte...) lo troveremo a partire dalla prima settimana di Agosto, poiché per un po' sarò irreperibile causa ferie. 
Con lui daremo il via alla fase finale di questra tetralogia, che ci porterà alla risoluzione finale di tutti i problemi del Cerchio dei Quattro.
Per ora vi saluto, auguro buone ferie a chi già c'è, a chi c'è già stato e a chi ci andrà.

A presto! E ancora Grazie!

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