Il mio capo è una ragazza viziata di CreAttiva (/viewuser.php?uid=498545)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Strani incidenti ***
Capitolo 3: *** Sospetto ***
Capitolo 4: *** Cane da guardia ***
Capitolo 5: *** Rapimento ***
Capitolo 6: *** Salvataggio ***
Capitolo 7: *** Indagini ***
Capitolo 1 *** Incontro ***
1 - Incontro
Incontro
(Per
il protagonista, il cui nome verrà detto in seguito, ho scelto il
ferormonico Chris Hemsworth, attore di "Thor")
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Nella
mia vita è sempre stato tutto facile. Quello di segretario personale
del dirigente della Stòppedo
Company
è un titolo che si acquisisce soltanto per referenze, e io avevo la
convincente raccomandazione di mio padre, che svolgeva lo stesso
incarico prima di me. Lui si era ritirato per "occuparsi della
sua salute" (guastando quella degli altri a proprio vantaggio,
temo) e per lasciarmi il suo posto. Niente di più comodo. Certo, le
capacità erano date per scontate: era ovvio che mi intendessi di
tutto, dalla politica al diritto, dall'economia aziendale alle lingue
del mondo, dalla lucidatura delle scarpe all'asservimento. Ecco,
questo ultimo insegnamento deve essermi sfuggito nei miei anni di
studio. E grazie a questo mi giocai
la carriera.
Licenziato.
Io.
Non
era poi la fine del mondo: ero un giovane di 29 anni dotato e con le
spalle coperte dal
paparino. Purtroppo le cose presero una brutta piega. Mio padre mi
abbandonò, chiudendomi il conto, e il signor Stòppedo telefonò
(o
almeno il segretario del suo nuovo segretario lo fece) ad abbastanza
persone da garantirsi che nessun altro mi assumesse. Mi ero preparato
per una vita a un lavoro che non avrei più potuto svolgere.
Ero
rovinato.
Per
mia sfortuna mi sbagliavo di grosso. Dopo alcuni giorni passati a
disperarmi nel mio appartamento, chiedendomi come avrei finito di
pagarlo, ricevetti una telefonata da lei.
Se non avessi accettato quel colloquio la mia vita sarebbe stata più
noiosa, ma anche meno pericolosa e sconvolgente. Non rimpiango un
solo giorno del mio nuovo lavoro (a parte quello in cui sono stato
rapito da... lo saprete presto), ma confesso che se ne avessi
conosciuto le conseguenze, non avrei avuto il coraggio di prendere il
primo treno per Colesso. Invece ero tanto disperato da non fermarmi a
riflettere come quella persona avesse ottenuto il mio numero.
Tutti
conoscono Miriam Gici, schifosamente ricca dopo la tragica morte dei
suoi genitori, in un incidente aereo; da allora era sparita dagli
schermi per alcuni mesi, in lutto. La venticinquenne si era sempre
mostrata in pubblico quale giovane donna distinta e composta, come si
addiceva alla sua classe.
Se
però non mi fossi trovato all'ultimo piano della sede centrale della
Gici
Industries,
nello studio del Dirigente Capo, e se non ci fosse stata la
targhetta dorata con l'incisione “Miriam A. Gici” in bella vista
sulla scrivania, avrei faticato a riconoscerla. Avvertivo la
sensazione di trovarmi al cospetto di una ragazzaccia di strada:
capelli corvini cortissimi con una sola ciocca di un blu elettrico
più lunga a incorniciarle il viso, un ovale quasi perfetto;
pantaloni militari portati a vita bassa, scarpe da ginnastica con
lacci di colori diversi e canottiera di pizzo che metteva in risalto
un seno modesto (lo ammetto, alla scollatura ho lanciato più di
un'occhiata sfuggente). La spavalderia con cui si ergeva sulla sedia
di pelle nonostante la sua piccola mole, il sorriso ironico e il
sigaro(!) mi ricordarono terribilmente J. Jonah Jameson di Spiderman.
La
Signorina Gici mi accolse gentilmente, mi offrì da bere, quindi
scorrendo il curriculum mi porse diverse domande sulle mie conoscenze
e sui tre anni trascorsi alla Stòppedo
Company.
Con mio estremo sollievo non le interessò sapere il motivo del mio
licenziamento.
«Sto
pensando di assumerla come mio segretario» affermò con quel suo
tono affabile (come avevo potuto paragonarla al capo di Peter
Parker?!) «Tuttavia vorrei prima farle una domanda, e lei mi deve
rispondere sinceramente.»
Avevo
cominciato a sudare nel mio completo formale già da quando ero
entrato in quell'edificio, ma la tensione si accentuò quando annuii.
«Che
cosa pensa di me, Signor Ragonesi?»
Non
sono credente, perciò chiedo scusa ai religiosi, ma in quel momento
tirai giù mentalmente tutti i santi in una volta. Cosa dire? Quel
colloquio significava per me poter rimettermi in carreggiata o
perdere tutto. Al mio posto una persona intelligente avrebbe
elaborato una risposta abbastanza veritiera e abbastanza bugiarda da
accontentare la sua richiesta di "rispondere sinceramente".
Non pecco di modestia nell'affermare che la mia intelligenza sarebbe
stata sufficiente allo scopo. Benché il recente licenziamento
avrebbe dovuto servirmi da lezione, di fatto sputai su
quell'insegnamento della vita. Il problema fu la situazione in cui mi
trovavo: una ragazza più giovane di me, che mi fissava con focosi
occhi castani, stava per decidere il mio futuro. La cosa mi parve
talmente ridicola da spingermi a confessare stupidamente:«Penso che
lei sia una ragazzina viziata e arrogante, e dover stare alle sue
dipendenze è per me il colmo.»
Con
mia immensa sorpresa lei scoppiò in una risata sguaiata. Scattò in
piedi sbattendo i palmi delle mani sulla scrivania e sussurrò a un
soffio dal mio viso:«Bene Signor Ragonesi: questa azienda ha bisogno
di un pilastro solido, altrimenti io che mi innalzo sul tetto
crollerò insieme a essa. Voglio che al mio fianco ci sia qualcuno
che abbia le palle di dirmi se sto sbagliando, perciò da domani lei
sarà il nuovo pilastro della Gici
Industries.»
Fu
così che cominciarono i miei guai.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Grazie
di cuore per esservi interessati alla mia storia. Cosa ne pensate di
questo primo capitolo?
Molti
di voi diranno:«Ma questo non è fantasy!»
Un
po’ di pazienza. Lo stile di questa storia si basa su capitoli
brevi e scorrevoli, che vi lasciano scoprire la verità al momento
giusto. Se volete un signor fantasy passate all’altra storia che
sto scrivendo: Il
destino scelto
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prossimo capitolo! Slán
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Capitolo 2 *** Strani incidenti ***
1 - Incontro
Strani
Incidenti
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All'inizio
si presentò come uno dei lavori più normali del mondo: avevo un
orario, un (ottimo) stipendio, svariate mansioni e pochissimo tempo
per portarle a termine. La Signorina Gici non si limitò a prendere
le redini dell'azienda, ereditando una gestione condotta con astuzia
fino ad allora; decise di sconvolgerla in nome di quello che lei
chiamava "amore per la patria". Un pretesto che mio padre
avrebbe trovato ridicolo; per questo mi eccitò tanto.
Innanzitutto
inaugurò la nuova filiale abbandonata in fase di apertura e ricercò
personale andando contro ogni logica: dava la precedenza ai
bisognosi, anziché ai pupilli raccomandati.
«Le
mie risorse purtroppo sono limitate.» mi confidò «Se potessi darei
un impiego a tutta la Stivalia.»
«Queste
assunzioni comporteranno molti svantaggi.» le feci notare.
«Non
importa se perdiamo qualche miliardo di conio.» L'ho già detto che
questa ragazza è schifosamente ricca?! «Vorrà dire che per un po'
farò a meno di qualche comodità. Non ti piace l'idea di risollevare
il paese dando lavoro a chi ne ha bisogno, Sunny?» Mi chiamava con
quell'appellativo giocando col mio odiato nome di battesimo e i miei
capelli biondi.
«Mi
piace!» esclamai entusiasta «È un'idea pazza, ma sono sicuro che
quando il paese uscirà dalla crisi ne trarremo molti profitti. Oltre
a una notevole soddisfazione morale.»
Il
passo successivo fu di tutt'altro stampo: quello di investire in
campo medico e tecnologico per arrestare la "fuga di cervelli",
e in quello cinematografico per far rinascere il grande cinema
stivaliano. Mi ritrovai inaspettatamente a raccogliere dati su
ricercatori, registi, scienziati, attori di teatro, medici,
sceneggiatori, ingegneri... Campi molto distanti da una fabbrica di
scarpe, così com'era nata la Gici
Industries. Tutto
ciò non sarebbe stato possibile senza il consistente fondo della
Signorina Gici.
Anche
se ero felice che il mio capo non fosse solo un avido impresario, mi
risentii un poco per quello sperpero di denaro; la Signorina Gici
stava spendendo con troppa leggerezza l'eredità dei genitori. Quando
glielo dissi non si infuriò come temevo, bensì mi batté un colpo
sulla spalla (per poco non me la sfondò sorprendendomi con la sua
forza) e rise:«Hai perfettamente ragione: ci vorranno dieci... anche
venti anni prima di recuperare quello che sto spendendo. In ogni caso
i soldi saranno sufficienti a mandare avanti la Gici,
e dopo incasseremo con gli interessi!»
«Al
primo imprevisto crolleremo...»
«La
Gici
resisterà, fino a quando io la sorreggerò dal cielo e tu dalle
fondamenta.»
Non
ero tanto ottuso da sorvolare sulla superficialità della Signorina
Gici, ma orgoglioso quanto bastava a compiacermi per la fiducia che
riponeva in me. Pertanto mi dedicai anima e corpo al lavoro,
dimostrando con l'impegno e la competenza il mio valore.
Ciascuna
delle sette (contando anche la novella) succursali della Gici
Industries
aveva un proprio dirigente che partecipava a una riunione settimanale
con il Dirigente Capo. In tali occasioni ebbi modo di conoscere i
segretari miei subordinati. Rimasi attonito quando mi resi conto di
essere l'unico ad avere gli abiti e la portanza tipici del
segretario: i miei sottoposti sembravano comuni impiegati in giacca
(e senza cravatta), eleganti ma stonati. Proseguendo nel mio incarico
potei comprendere meglio il loro disagio con le formalità. In realtà
erano degli esperti nel loro campo, in cui si muovevano con sicurezza
e precisione. Nel loro elemento esprimevano il loro vero potenziale.
Con
i nostri sforzi congiunti le spese furono più contenute e i profitti
parvero avvicinarsi con maggiore anticipo.
Tuttavia
ero in ansia. Quello della Signorina Gici sembrava il tipico
comportamento di una ragazza viziata e ingenua che non sa nulla del
mondo.
Pensai
di aver ottenuto la conferma ai miei timori qualche giorno dopo. Ma
ancora non conoscevo la Signorina Gici. Non davvero.
Un
incendio alla sede della Gici
Pharmacology
(la succursale di ricerca farmaceutica) provocò il crollo dello
stabile, miliardi di conii andarono perduti insieme a progetti,
macchinari e materiali. L'unica nota positiva fu che lo sfortunato
evento ebbe luogo durante la notte, e non ci furono né feriti né
(non riuscivo neanche a pensarci!) vittime. La Signorina Gici fu
sottoposta a inchiesta per sospetti nelle misure di sicurezza perché
era strano che un edificio collassasse a quel modo; ero d'accordo, ma
ero convinto che a dispetto delle apparenze l'incendio fosse di
natura dolosa.
Il
sole non era ancora sorto quando vidi coi miei occhi lo spettacolo di
fumo e macerie. La Signorina Gici stava consumando il suo sigaro a
braccia conserte. Non potei fare a meno di notare i pantaloni alla
zuava che portava indosso. Cozzavano con l'aria fresca della corrente
stagione autunnale. Rabbrividii al suo posto.
La
sua figura esile conservava la sua dignità anche in quegli abiti
insoliti. Fissava la Gici
Pharmacology
con le sopracciglia corrugate. La credevo sconvolta. Ripeto: non la
conoscevo ancora. Non davvero.
Mi
avvicinai per offrirle un conforto di cui non aveva bisogno, ma mi
bloccò puntandomi l'indice contro.
«Voglio
i risultati della Borsa.»
«Cosa?»
rimasi interdetto.
«I
titoli dell'Arqua.
Entro oggi, per favore.»
Controllai
sul mio palmare. Spalancai gli occhi per lo sgomento. La compagnia
Arqua
era data per spacciata, i suoi titoli erano precipitati
vertiginosamente. Fino al giorno prima. Oggi il loro valore era
quadruplicato.
«Saliranno
ancora» asserì la Signorina Gici quando le riferii, per nulla
sorpresa «Ho fatto bene ad acquistarne l'85% ieri, vero? Giusto in
tempo.»
Ridacchiò,
grattandosi soddisfatta il naso a patatina.
«Ho
ottimo fiuto per gli affari.»
Controllai
gli altri risultati. Quello non era il solo gioco in Borsa
miracolosamente recuperato. Ciascun investimento della Gici
Industries
era andato a buon fine, aumentando la rendita.
La
Signorina Gici risalì sulla propria macchina, l'inconfondibile
limousine verde appartenuta ai suoi genitori. Mi trascinò dentro con
lei, diretti alla sede. Mi offrì da bere, quindi si rinchiuse nelle
sue riflessioni.
Lasciandomi
con un grosso interrogativo a bloccarmi la voce in gola.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Prima
che mi attacchiate, vi avverto che so benissimo che non è possibile
comprare una percentuale così alta di azioni. Ma che importa?
Dopotutto non ci troviamo in Italia, ma in Stivalia. Chiaro, no?
Lasciatemi
le vostre opinioni su questo capitolo! ;-)
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prossimo capitolo! Slán
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Capitolo 3 *** Sospetto ***
1 - Incontro
Sospetto
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Domande
che mi sarei dovuto porre da tempo mi inondarono come una cascata.
Come
aveva fatto la Signorina Gici a ottenere tutto quel successo in così
poco tempo? Non poteva trattarsi semplicemente di abilità in Borsa.
Un colpo di fortuna? In un momento tanto critico? Che coincidenza!
Appuntai
"2°
piano sotterraneo, documenti sul Progetto P.C.U. (Paresi del Corpo
Umano)"
nella lista del materiale recuperato dall'incendio.
No,
doveva esserci dell'altro. Suonava strano anche il fatto che delle
questioni finanziarie si occupasse un misterioso contabile mai visto.
Non conoscevo neanche il suo nome!
Un
atroce sospetto si insinuò nella mia mente. E se... la Gici
Industries
fosse implicata nella mafia? Ma la Signorina Gici non potrebbe mai...
Non lei...
Questo
avrebbe dato un nuovo significato alla postilla sul contratto di
assunzione: non rivelare niente di quello che vedevo o sentivo.
Allora avevo pensato si trattasse solo di un motivo commerciale, per
proteggersi dalla concorrenza...
Segnai
"1°
piano, dati sul Progetto Suola Morbida"
tra le cose irrimediabilmente andate distrutte. Le scarpe Gici
avrebbero aspettato prima di ottenere la "nuova, strabiliante,
confortevole comodità!" come da slogan. Amen.
Un
altro dubbio riguardava la mia nomina. Come avevano ottenuto il mio
numero? La Stòppedo
Company
si era premurata di diffondere una pessima reputazione sul mio conto.
Perché dunque mi avevano assunto? Perché darmi un posto così
vicino al capo, così in alto, così vantaggioso? Chi era veramente
Miriam Alba Gici?
Sudavo
per l'agitazione mentre contestavo il suggerimento del Signor Chimi,
il Dirigente della Gici
Pharmacology.
Non
potevo gettare all'aria la mia carriera. Non un'altra volta. Dovevo
imparare a farmi gli affari miei, ad eseguire il mio lavoro senza
porre domande. Dopotutto, nessuno è illibato a questo mondo.
Lanciai
occhiate nervose alla Signorina Gici per l'intera durata della
riunione.
Attesi
che tutti i partecipanti fossero usciti dalla sala. Rimanevamo solo
io e la Signorina Gici, che si dondolava giocosa sulla poltroncina a
rotelle. Lei aveva intuito che qualcosa mi turbava. Lo capii da come
evitava il mio sguardo. Ma ebbe l'educazione di aspettare che dicessi
qualcosa. I minuti passarono, senza che io avessi il coraggio di
aprire bocca. Alla fine lei si alzò e riprendemmo il lavoro come se
nulla fosse.
Non
ebbi modo di parlarle in privato per diversi giorni; eravamo tutti
troppo indaffarati. O forse ero io a evitare le occasioni in cui
rimanevamo soli. Temevo quello che avrei potuto dire e, soprattutto,
ciò che avrei sentito in risposta.
Ad
aumentare i miei timori fu l'episodio successivo: la Signorina Gici
perse la causa in tribunale, dovette pagare una multa salata e le fu
impartito di far revisionare completamente le misure di sicurezza.
Nonostante
le pressioni, la Signorina Gici si rifiutò di vendere i titoli che
avevano fruttato. Sosteneva che sarebbe stato uno spreco, poiché il
loro valore sarebbe aumentato ancora.
Mentre
dirigenti, segretari, operai (e io) si strappavano i capelli per la
disperazione, la Signorina Gici saltò fuori con un mucchio di soldi
pescati da un fondo di cui nessuno (me compreso) sapeva l'esistenza.
La
stampa non gli diede importanza: è impossibile fare i conti in tasca
a qualcuno tanto ricco, perciò il giro di soldi passò inosservato.
I
miei sospetti crebbero in modo allarmante. Essere tenuto all'oscuro
di un dettaglio di tale importanza a un mese dal mio ingresso nella
società mi ferì (un po') e mi irritò (molto).
Non
quanto lo fece la persona che alcuni giorni dopo bussò alla porta
dell'ufficio del Direttore Capo.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Flusso
di coscienza del protagonista, con spinta subdola a leggere il
capitolo successivo per capirci qualcosa xD Non credo ci sia bisogno
di commenti, ma una vostra recensione mi fa sempre piacere.
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Capitolo 4 *** Cane da guardia ***
1 - Incontro
Cane
Da Guardia
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L'uomo
che entrò era di statura media, nero come la pece e dall'età
indefinibile fra i trenta e i quarant'anni. Tutto, nel suo aspetto,
era affilato: il viso scarno, gli zigomi alti e sporgenti, le
orecchie appuntite, il naso adunco, le mani affusolate, le spalle
triangolari e i piedi lunghi e sottili. Gli occhi erano tanto scuri
da confondersi con le pupille. Il loro scatto saettante, che in un
attimo abbracciò la stanza, mi rese nervoso. I capelli erano neri e
lucidi, tirati indietro e incollati al capo. Sembrava magro, ma dalla
forza con cui mi strinse la mano (ahi!) intuii che doveva essere un
fascio di muscoli. In quel gesto si tese tutto il suo candido vestito
di lino (ma era di moda vestirsi fuori stagione?).
«Signor
Bianchi!» lo accolse la ragazza «Sono lieta che sia arrivato! Temo
di non poter più fare a meno di te.»
«Temo
di no» replicò l'uomo in un tono che rasentava la minaccia.
Pronunciava le consonanti emettendo un curioso sibilo.
«Com'è
andato il... viaggio?»
Per
tutta risposta il Signor Bianchi arricciò il naso.
In
breve il mio capo lo aggiornò sulla nostra situazione, quindi
disse:«Vorrei che assistessi Sunny nel suo lavoro.»
«Come,
prego?» sbottai.
«Certamente»
rispose lui, quindi si rivolse a me «Sarà un vero piacere lavorare
in sua compagnia, Signor Ragonesi.»
«Anche
per me, ma... perché? Il mio lavoro non la soddisfa?»
«Oh
no, Sunny!» esclamò la Signorina Gici «Finora hai fatto un lavoro
più che ottimo! Ma date le circostanze e... i recenti
avvenimenti...»
Guardò
il Signor Bianchi in cerca di aiuto, che concluse per lei:«Non
vogliamo che qualcuno si faccia male.»
E
si aprì in un sorriso che mise in mostra due file di denti aguzzi.
Il
Signor Bianchi diventò la mia ombra. Mi seguiva ovunque:
nell'ufficio della Signorina Gici, nei miei giri per l'azienda,
durante le riunioni e in pausa pranzo. Non mi mollava neanche al
gabinetto. Non che fosse di grande compagnia, o che mi fosse di
qualche aiuto nel lavoro. Si limitava a impormi la sua presenza,
scrutando ogni mia mossa. Mi studiava con quegli occhi neri che
assorbivano tutta la luce intorno.
Non
lo vidi più sorridere. Per fortuna. Metteva già i brividi senza
fare nulla. Non c'era bisogno che scoprisse i denti acuminati.
Ero
più alto di lui di una spanna e mezzo, e gli esercizi in palestra mi
avevano premiato con un corpo forte e solido. Ma quella figura che
scivolava silenziosamente attorno mi faceva tremare le budella. Aveva
qualcosa di selvaggio, come un feroce animale addomesticato.
Più
di una volta ebbi la sensazione di essere seguito anche a casa.
Guardando dalla finestra della mia camera giurerei di aver scorto un
guizzo bianco all'imboccatura del vicolo.
La
Signorina Gici doveva aver capito che dubitavo di lei. Quindi il suo
mastino mi teneva d'occhio.
Sopportai
quel controllo forzato, cercando di ignorare il Signor Bianchi.
L'atteggiamento controllato si ripercosse sui miei nervi (e sul mio
mal di testa cronico), aumentando lo stress. Come se l'incidente e le
sue conseguenze non ne avessero procurato abbastanza.
Una
mattina presi la metropolitana come al solito. Sgusciai fra la gente
ma senza fretta, per non destare sospetti. Proprio quando le porte si
stavano per chiudere, mi fiondai sulla banchina. Ero sceso prima
della mia fermata, sfuggendo al mio pedinatore.
Mi
feci largo a spallate in mezzo alla calca in direzione delle scale.
Sarei saltato dentro il primo autobus. Sapevo che quell'atto di
ribellione era inutile. Quell'attimo di respiro dal Signor Bianchi
era illusorio. Presto lo avrei rincontrato a lavoro.
Purtroppo
mi sbagliavo.
Nel
momento in cui il mio piede toccò il quinto gradino, mi mancò
l'appoggio. Qualcosa mi afferrò le caviglie e mi sentii precipitare
nel vuoto.
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Il
nuovo personaggio ha delle caratteristiche piuttosto singolari.
Tralasciando il mio pietoso disegno, è alto (non tanto quanto il
protagonista) e incute timore. Forse, però, non è lui la minaccia
da temere. Vi è piaciuta la sua descrizione? Scrivetemi il vostro
parere.
Se
gli ultimi due capitoli vi sono parsi troppo seri, non temete: presto
i toni ironici riaffioreranno. E non dovrete attendere molto prima
che entri in gioco la magia.
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Capitolo 5 *** Rapimento ***
1 - Incontro
Rapimento
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Le
scale mi hanno mangiato.
Dovevo aver preso un bel colpo per pensare una sciocchezza del
genere. Non sapevo quanto mi fossi avvicinato alla verità, anche se
è più corretto dire che le scale mi avevano inghiottito.
«Per
me ci è rimasto secco» disse una voce stridula.
«Ma
no» grugnì un'altra voce «Guarda: si sta riprendendo...»
Aprii
gli occhi. Li richiusi immediatamente. Li riaprii con cautela, uno
alla volta.
Due
omini mi osservavano con malizia, gli antiquati copricapi di pelle
schiacciati sui crani, le membra orrendamente lunghe per dei corpi
così piccoli. I loro occhi sporgenti denotavano scarsa intelligenza,
e la loro fisionomia ricordava vagamente il mio amico Bianchi. Loro
però vantavano ben poco di umano: le orecchie erano grandi come ali
di pipistrello, la mandibola era deforme ma armata di piccoli denti
affilati. Notai con irritazione che uno di quei loschi figuri si
stava scaccolando con la mia cravatta.
Feci
per protestare, poi mi accorsi di essere legato a una sedia. Non
capivo dove fossi: era un ambiente piccolo e buio, illuminato
fiocamente da una luce tremula alle mie spalle. Non trovando uscite,
immaginai che anche la porta si trovasse lontano dalla mia vista. Un
puzzo nauseabondo mi riempiva le narici (o era la strana coppia a
puzzare così?), mentre distinguevo delle pareti in muratura.
La
mia giacca era sparita (se aveva seguito la stessa fine della
cravatta a questo punto potevano tenersela). Il resto c'era, ma
l'aria che mi solleticava le caviglie mi suggerì che i pantaloni
dovevano essere strappati. Se non altro avevo ancora le scarpe e la
camicia.
«Signor
Santino Ragonesi» disse mellifluo quello più vicino a me, che aveva
il naso schiacciato. “Voce stridula” emise una pernacchia,
sventolando con scherno la mia cravatta.
«Sai
perché ti trovi qui?» continuò il primo.
«Ho
dimenticato di pagare la bolletta della luce?»
Il
colpo arrivò improvviso, in faccia. Non fu molto forte, ma fu
sufficiente a svegliarmi del tutto.
Allora
capii che non era un sogno: ero stato rapito. Da un paio di cosi
strani che non sapevo in che razza catalogare. Erano i risultati di
esperimenti sul corpo umano?
«Noi
non amiamo gli scherzi, Uiros.»
ed estrasse un coltello, poggiando la lama sulla mia guancia «Dicci
tutto se non vuoi soffrire.»
«Forse
soffrirai lo stesso» sghignazzò il compare.
«Aspettate!»
li pregai «Io non volevo scappare! Non ho fatto niente! Vi giuro che
non ficcherò mai il naso negli affari della Signorina Gici;
continuerò il mio lavoro come sempre, ok? Perciò dite al Signor
Bianchi di lasciarmi andare...»
«Che
sta blaterando questo bamboccio?» proruppe “voce stridula” «Chi
diavolo sarebbe questo Signor Bianchi? -
«Non
lo so...» disse “naso schiacciato” prendendomi per la gola.
Guardarono il basso soffitto con aria stolida in cerca di una
risposta, mentre io rantolavo per la mancanza d'aria.
Alla
fine tornarono a me e il mio aguzzino allentò un po' la presa. Un
pugno allo stomaco mi tolse quel poco di fiato che avevo recuperato.
«Vuole
confonderci, ma non ci riuscirà. Qui ci dirai tutto, Uiros.»
Come mi aveva chiamato? «E la tua amichetta non può impedirlo.
Neanche quello schifoso mezzokorrigan ti può aiutare adesso.»
Mezzocosa?
Il
compagno sputò a terra sprezzante.
«Dicci:
dov'è l'oro?»
Deglutii
a fatica.
«Di
quale oro state parl...»
Il
coltello saettò e la lama mi affondò nella coscia. Urlai. I due
ometti si deliziarono del mio dolore. “Naso schiacciato” estrasse
di netto il coltello, strappandomi altre grida.
«Possiamo
continuare così se vuoi. A noi non fa differenza portarti intero o a
pezzi da Sua Maestà. Prima però...» mi afferrò per i capelli «…
devi dirci dov'è l'oro!»
Strinsi
i denti, cercando di sgombrare la mente. Non avevo idea di cosa
rispondergli, perché non sapevo niente. Rimasi in silenzio, incapace
di fare altro. Il coltello si alzò nuovamente...
Un
botto assordante esplose alle mie spalle e mi ritrovai a faccia in
giù sul pavimento. Il brusco capovolgimento mi provocò una fitta
alla gamba, ma serrai la mascella e mugolai appena. Pietre, polvere e
schegge di legno mi volarono intorno, mentre “voce stridula”
tossiva. Dalla mia posizione non potevo vedere niente, ma l'altro
rapitore doveva essersi rialzato. Lo udii andare alla carica contro
qualcuno, poi sentii un urlo seguito da un tonfo. Un verso strozzato
mi disse che lo scontro era finito.
Qualcuno
mi girò su un fianco e gemetti. Un volto familiare riempì il mio
campo visivo, ma dapprima non lo riconobbi perché i suoi capelli
erano rossi.
La
Signorina Gici mi sussurrò:«Stai bene, Sunny?»
(S)parla
con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Povero
Santino (o Sunny), maltrattato da due strane creature non
identificate. Per chi non conoscesse i korrigan, ecco una breve
illustrazione:
I
korrigan
vengono descritti
come esseri estremamente piccoli, con una grossa testa e lunghi
capelli, vestiti con pelli di
animali e - nonostante le dimensioni
- dotati
di
una grande forza fisica.
Nascono
e muoiono sottoterra e fanno la loro comparsa soprattutto di
notte, ballando attorno ai dolmen;
hanno la fama di essere spregevoli, dispettosi
e "ladruncoli".
I
termini usati dai sequestratori sono nella stessa lingua che uso per
salutarvi. Qualcuno riesce a indovinare di che lingua si tratta? :-D
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Capitolo 6 *** Salvataggio ***
1 - Incontro
Salvataggio
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Fissavo
la scena a occhi sgranati: gli omiciattoli erano a terra, una parete
era esplosa lì dove penso si trovasse la porta e il Signor Bianchi
teneva in pugno una pesante spada.
La Signorina Gici stava
armeggiando coi miei nodi. Almeno credo. Le mani non le sentivo più,
tanto erano strette.
«Sbrigatevi»
la incoraggiò il Signor Bianchi.
«Non
riesco a sciogliere queste stupide corde! Tiptoe!»
Sentii
l'uomo avvicinarsi e librare la spada.
«Un
momento..!» protestai. Vidi l'arco del
fendente attraversarmi da una parte all'altra. Incredibilmente ne
uscii illeso: soltanto le corde si spezzarono, e la sedia fu aperta
in due.
«La
mia Puntina taglia solo quello che voglio tagliare.» spiegò il
Signor Bianchi col suo sorriso terrificante. “Puntina”, che nome
grazioso.
La
Signorina Gici mi aiutò ad alzarmi e uscimmo da quel luogo
puzzolente. Rifiutai cortesemente la sua offerta di appoggio e
zoppicai sotto al cielo grigio, conservando un minimo di dignità.
La
mia prigione si rivelò essere quel che restava di una casa in
rovina. Eravamo in un villaggio che pareva essere abbandonato da
tempo. C'erano tracce di un antica battaglia, come dimostrava la
terra bruciata.
Qualcosa
di surreale pervadeva quel panorama desolato. Dov'ero finito? Ero
ancora in Stivalia? D'altronde non avevo idea di quanto a lungo fossi
rimasto svenuto.
La
Signorina Gici mi affiancò. Strizzai gli occhi sui suoi capelli
rossi. Erano insolitamente brillanti, avvolti da una luminosità
innaturale.
Estrasse
dalla tasca una curiosa palla di vetro racchiusa in una piramide cava
di legno. Un laccio a uno degli angoli mi suggerì che quell'oggetto
andava indossato. La Signorina Gici lo depose sul palmo della mano ed
ebbi modo di esaminarlo meglio. Al suo interno vorticavano tre
piccole lancette.
La
ragazza sorrise al mio sguardo perplesso. «È un viaggiometro; serve
a calcolare la direzione, l'altezza e la dimensione nella quale si
vuole andare.»
Aumentando
la mia confusione, mi porse la mano libera. La strinsi controvoglia.
Il Signor Bianchi ci raggiunse dopo aver perlustrato l'area e
ripulito la sua spada. Senza esprimere pareri si aggrappò alla
spalla della Signorina Gici.
Chiedendomi
che diavolo stesse succedendo, sentii il mio corpo assottigliarsi e
perdere consistenza. Il villaggio devastato scomparve nel buio, come
succede al comodino contro cui vai a sbattere quando salta la
corrente.
Ero
del tutto ignaro del fatto che il villaggio fosse rimasto al suo
posto. Eravamo stati noi a sparire.
Evitai
di fare domande. Per fortuna non era comparso nessun comodino su cui
rimetterci un dito del piede. Come prova del dolore bastavano la
coscia, che mi faceva un male terribile, e la ferita sanguinante.
Tutto ciò che volevo era un ospedale.
Mi
ritrovai invece su un letto, in una camera d'albergo. Poi la
Signorina Gici mi slacciò la cintura e fece per togliermi i
pantaloni.
«No!»
gridai. Sentivo la stoffa tirare la pelle; era meglio tagliare il
tessuto intorno alla ferita. Tanto ormai i pantaloni erano da
buttare... Uhm, sommandoli alla cravatta e alla giacca quegli
omuncoli mi dovevano un completo.
La
Signorina Gici fraintese completamente il mio diniego. Arrossì e
disse:«Forse è meglio che ci pensi Tiptoe.»
Uscì,
lasciandomi solo con il Signor Bianchi.
Fantastico.
Ora ero nelle mani dello squarta-omini.
Con
mio enorme sollievo non si servì di Puntina. Bensì mi medicò con
estrema professionalità (ma con poca delicatezza, ahi!),
sorprendendomi.
Mi
abbandonai sul cuscino, grato al dottore improvvisato e smanioso di
potermi cambiare al più presto i pantaloni giallo cachi che mi aveva
infilato. Chiusi gli occhi per qualche minuto (o qualche secolo;
avevo perso la cognizione del tempo), e li riaprii solo quando la
Signorina Gici entrò senza bussare o annunciarsi. I suoi capelli
erano di nuovo neri.
«Ho
prenotato la stanza fino a domattina. Il Signor Bianchi rimarrà con
te e provvederà a riaccompagnarti a casa. Hai diritto a una
settimana di riposo. Al prossimo mercoledì.»
Come
una tempesta estiva, aveva imperversato in un istante con quelle
parole, pronta a sparire con altrettanta velocità. Stiamo
scherzando?
«Aspetti!»
esclamai balzando (a sedere vedendo le stelle) dal letto.
«Sì?»
«Non
può andarsene in questo modo. Prima mi deve una spiegazione.»
«Io
non ti devo proprio nulla, Sunny.» rispose lei con fermezza.
«Mi
hanno rapito! Avete ucciso due uomini! In quali loschi affari è
coinvolta?!»
«Quello
di oggi è stato un incidente, ma il Signor Bianchi mi ha assicurato
che non si verificherà una seconda volta.»
L'uomo
emerse dall'ombra (dov'era nascosto?) e mi rivolse un cenno del capo
per confermare. Scossi la testa, contrariato. «Non crediate di
cavarvela: racconterò alla polizia quello che ho visto e...»
«È
così che hai perso il posto alla Stòppedo
Company?»
mi interruppe lei con un sorriso beffardo «Sarei curiosa di sapere
cosa dirai esattamente alla polizia. Sapresti dire dove ti hanno
portato o come sei arrivato qui? Senza contare che hai firmato un
accordo di riservatezza che ti cuce la bocca.»
Non
trovai modo di replicare. La Signorina Gici mi lasciò col mio
silenzioso protettore, al quale non osai rivolgere neanche una
domanda.
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Dia
dhaoibh,
lettori!
Finalmente
fa breccia una parvenza di magia. O forse era già presente, ma il
nostro scettico protagonista non aveva annoverato questa possibilità
in mezzo ai suoi dubbi.
Eppure
la Signorina Gici nega tutto; cosa avrà in mente? E soprattutto: chi
è in realtà? Fate le vostre supposizioni e scrivetemele!
Nota:
Il nome della spada del Signor Bianchi (anzi, di Tiptoe) è una
voluta presa in giro dei nomi epici usati nei grandi racconti
fantasy.
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Capitolo 7 *** Indagini ***
7 - Indagini
Indagini
11243 minuti di fitte
lancinanti, bende cambiate e telefonate alla mia ragazza dopo, ero di nuovo
attivo sul lavoro. Per così dire. La Signorina Gici ignorò volutamente la
nostra sfortunata avventura e ricominciò a trattarmi come se non fosse successo
nulla.
Io, invece, tagliai
ogni rapporto con lei, limitandomi a svolgere i miei incarichi. La Signorina
Gici si accorse della mia freddezza, ma non osò controbattere per paura che la
bersagliassi di domande.
Pur avendo scorto un
velo di tristezza nel suo sguardo, non mi lasciai muovere da pietà. Se
inizialmente le sue faccende non mi riguardavano e lei poteva tenermi
all'oscuro per proteggermi (o semplicemente perché non erano affari miei), ora
il suo silenzio lo consideravo un capriccio. Oramai, nei suoi intrighi, ci ero
dentro dalle punte dei capelli al mignolo del piede sinistro.
Ovviamente non avevo
raccontato del mio rapimento a Chantal (e la clausola di riservatezza mi cuciva
la bocca) ma l'avevo messa al corrente della mia agitazione. Chantal mi aveva
rassicurato: neanche a lei piacevano sempre i casi che le affidavano, ma era il
suo lavoro e andava fatto. Allo stesso modo se c'era qualcosa che puzzava alla
Gici Industries... dovevo tapparmi il naso e far finta di nulla.
Io
e Chantal avevamo ricominciato a uscire insieme da quando avevo ottenuto quel
lavoro; era una ragazza splendida e in gamba, che teneva alla propria
reputazione. Frequentare un disoccupato, un perdente, non rientrava nei suoi
standard. Per quello mi aveva piantato quando ero stato licenziato dalla Stòppedo Company. Non si trattava di
soldi (a un procuratore di gran classe come lei non serviva un supporto
finanziario), quanto di dignità. Il fidanzato di Chantal Laforge può essere
solo un vincente. Perdere anche questo incarico significava (oltre a non sapere
come pagarmi da vivere) perdere lei.
Oltretutto era una
questione di orgoglio. Ero sopravvissuto a un rapimento, a un'accoltellata e a
una metropalla che viaggiava! Non ne ero mica uscito vivo per niente, giusto?
Non dovevo sprecare questa chance.
Eppure la mia curiosità
ebbe la meglio. Non avevo mai stabilito un rapporto stretto con i dirigenti
delle succursali, ma ritenni che fosse giunto il momento di porre qualche cauta
domanda. Puntai al Signor Aktus, il direttore pubblicitario: quell'uomo
affascinante era un gran chiacchierone davanti alle telecamere.
L'opportunità di
avvicinarmi a lui mi fu data in occasione della riunione sulla nuova collezione
primavera-estate, in cui Aktus illustrò il suo programma di sponsorizzazione.
Mi mostrai particolarmente entusiasta della sua idea di camminare sul soffitto
a dimostrazione della comodità e leggerezza dei modelli (gli spot della Gici
Industries sono sempre stati un po' assurdi), guadagnandomi la sua
simpatia. Al termine della riunione mi complimentai per il suo completo dorato,
il più normale che avevo mai visto indosso a qualcuno in quell'azienda, salvo
per le maniche a campana. Mi avevano sempre colpito i suoi capelli lisci e lucenti,
di una sfumatura di castano che ricorda il legno di noce; ma mi sembrava
equivoco un simile elogio.
«Lei
ha davvero gusto nel vestire.» dissi con un sorriso quando rimanemmo soli
«Questo tessuto viene dal suo paese?»
«Il
mio accento mi tradisce sempre.» rispose il Signor Aktus, evitando la domanda.
«Viene
forse dalla Gerfonia?» riprovai cordialmente.
«Dalla
Gerfonia… ah ah, forse.»
«Io
non sono mai uscito dalla Stivalia. Dev'essere dura trovarsi in un nuovo
ambiente. Da quanto tempo lavora qui?»
«Ho
affiancato Manlio Gici dalla fondazione della Gici Industries.»
Sorvolai
sull'assurdità di quell'affermazione, visto che dimostrava la mia età.
«E
ha mai notato niente di strano?»
«In
effetti sì, negli ultimi mesi.»
«E
di cosa si tratta?»
«Sarebbe
meglio non parlarne. Se mi sentisse la Signorina Gici...»
«Non
abbia paura.» lo esortai «Non le dirò nulla in proposito.»
«Bé,
si tratta... di lei.»
«“Lei”
chi?»
«Ma
lei, Signor Ragonesi!» e scoppiò in una risata raffinata. Rimisi insieme
i pezzi della mia faccia, andata in frantumi per lo stupore.
«Conosco
la sua situazione.» continuò il Signor Aktus «Avrà creduto facile far parlare
uno come me. Tuttavia il profilo che mostro in pubblico è solo una maschera.
Cerchi di non ficcare troppo il naso: sarebbe un peccato se se ne andasse. Lei
è capace e simpatico: una combinazione rara in uno Uiros.»
Di
nuovo quella parola! Stavo per controbattere, quando il suono di voci concitate
costrinse entrambi a voltarci verso la porta. In sala riunioni entrarono due
figure, scortate dal Signor Bianchi. La donna più magra era intenta a
bisticciare con lui; l’altra, più rotondetta, domandò chi rispondesse al nome
di Santino Ragonesi.
(S)parla con l’autrice
Dia
dhaoibh,
lettori!
Ci avviciniamo
al segreto di Miriam... o forse no? :-p Intanto abbiamo scoperto che Sunny ha
una ragazza.
Siccome i
capitoli sono brevi cercherò di non farvi attendere troppo per il prossimo.
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