Il mio capo è una ragazza viziata

di CreAttiva
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Strani incidenti ***
Capitolo 3: *** Sospetto ***
Capitolo 4: *** Cane da guardia ***
Capitolo 5: *** Rapimento ***
Capitolo 6: *** Salvataggio ***
Capitolo 7: *** Indagini ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


1 - Incontro

Incontro


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(Per il protagonista, il cui nome verrà detto in seguito, ho scelto il ferormonico Chris Hemsworth, attore di "Thor")


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Nella mia vita è sempre stato tutto facile. Quello di segretario personale del dirigente della Stòppedo Company è un titolo che si acquisisce soltanto per referenze, e io avevo la convincente raccomandazione di mio padre, che svolgeva lo stesso incarico prima di me. Lui si era ritirato per "occuparsi della sua salute" (guastando quella degli altri a proprio vantaggio, temo) e per lasciarmi il suo posto. Niente di più comodo. Certo, le capacità erano date per scontate: era ovvio che mi intendessi di tutto, dalla politica al diritto, dall'economia aziendale alle lingue del mondo, dalla lucidatura delle scarpe all'asservimento. Ecco, questo ultimo insegnamento deve essermi sfuggito nei miei anni di studio. E grazie a questo mi giocai la carriera.


Licenziato. Io.


Non era poi la fine del mondo: ero un giovane di 29 anni dotato e con le spalle coperte dal paparino. Purtroppo le cose presero una brutta piega. Mio padre mi abbandonò, chiudendomi il conto, e il signor Stòppedo telefonò (o almeno il segretario del suo nuovo segretario lo fece) ad abbastanza persone da garantirsi che nessun altro mi assumesse. Mi ero preparato per una vita a un lavoro che non avrei più potuto svolgere.

Ero rovinato.


Per mia sfortuna mi sbagliavo di grosso. Dopo alcuni giorni passati a disperarmi nel mio appartamento, chiedendomi come avrei finito di pagarlo, ricevetti una telefonata da lei. Se non avessi accettato quel colloquio la mia vita sarebbe stata più noiosa, ma anche meno pericolosa e sconvolgente. Non rimpiango un solo giorno del mio nuovo lavoro (a parte quello in cui sono stato rapito da... lo saprete presto), ma confesso che se ne avessi conosciuto le conseguenze, non avrei avuto il coraggio di prendere il primo treno per Colesso. Invece ero tanto disperato da non fermarmi a riflettere come quella persona avesse ottenuto il mio numero.


Tutti conoscono Miriam Gici, schifosamente ricca dopo la tragica morte dei suoi genitori, in un incidente aereo; da allora era sparita dagli schermi per alcuni mesi, in lutto. La venticinquenne si era sempre mostrata in pubblico quale giovane donna distinta e composta, come si addiceva alla sua classe.


Se però non mi fossi trovato all'ultimo piano della sede centrale della Gici Industries, nello studio del Dirigente Capo, e se non ci fosse stata la targhetta dorata con l'incisione “Miriam A. Gici” in bella vista sulla scrivania, avrei faticato a riconoscerla. Avvertivo la sensazione di trovarmi al cospetto di una ragazzaccia di strada: capelli corvini cortissimi con una sola ciocca di un blu elettrico più lunga a incorniciarle il viso, un ovale quasi perfetto; pantaloni militari portati a vita bassa, scarpe da ginnastica con lacci di colori diversi e canottiera di pizzo che metteva in risalto un seno modesto (lo ammetto, alla scollatura ho lanciato più di un'occhiata sfuggente). La spavalderia con cui si ergeva sulla sedia di pelle nonostante la sua piccola mole, il sorriso ironico e il sigaro(!) mi ricordarono terribilmente J. Jonah Jameson di Spiderman.


La Signorina Gici mi accolse gentilmente, mi offrì da bere, quindi scorrendo il curriculum mi porse diverse domande sulle mie conoscenze e sui tre anni trascorsi alla Stòppedo Company. Con mio estremo sollievo non le interessò sapere il motivo del mio licenziamento.

«Sto pensando di assumerla come mio segretario» affermò con quel suo tono affabile (come avevo potuto paragonarla al capo di Peter Parker?!) «Tuttavia vorrei prima farle una domanda, e lei mi deve rispondere sinceramente.»

Avevo cominciato a sudare nel mio completo formale già da quando ero entrato in quell'edificio, ma la tensione si accentuò quando annuii.

«Che cosa pensa di me, Signor Ragonesi?»


Non sono credente, perciò chiedo scusa ai religiosi, ma in quel momento tirai giù mentalmente tutti i santi in una volta. Cosa dire? Quel colloquio significava per me poter rimettermi in carreggiata o perdere tutto. Al mio posto una persona intelligente avrebbe elaborato una risposta abbastanza veritiera e abbastanza bugiarda da accontentare la sua richiesta di "rispondere sinceramente". Non pecco di modestia nell'affermare che la mia intelligenza sarebbe stata sufficiente allo scopo. Benché il recente licenziamento avrebbe dovuto servirmi da lezione, di fatto sputai su quell'insegnamento della vita. Il problema fu la situazione in cui mi trovavo: una ragazza più giovane di me, che mi fissava con focosi occhi castani, stava per decidere il mio futuro. La cosa mi parve talmente ridicola da spingermi a confessare stupidamente:«Penso che lei sia una ragazzina viziata e arrogante, e dover stare alle sue dipendenze è per me il colmo.»


Con mia immensa sorpresa lei scoppiò in una risata sguaiata. Scattò in piedi sbattendo i palmi delle mani sulla scrivania e sussurrò a un soffio dal mio viso:«Bene Signor Ragonesi: questa azienda ha bisogno di un pilastro solido, altrimenti io che mi innalzo sul tetto crollerò insieme a essa. Voglio che al mio fianco ci sia qualcuno che abbia le palle di dirmi se sto sbagliando, perciò da domani lei sarà il nuovo pilastro della Gici Industries

Fu così che cominciarono i miei guai.




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Dia dhaoibh, lettori!

Grazie di cuore per esservi interessati alla mia storia. Cosa ne pensate di questo primo capitolo?

Molti di voi diranno:«Ma questo non è fantasy!»

Un po’ di pazienza. Lo stile di questa storia si basa su capitoli brevi e scorrevoli, che vi lasciano scoprire la verità al momento giusto. Se volete un signor fantasy passate all’altra storia che sto scrivendo: Il destino scelto


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


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Capitolo 2
*** Strani incidenti ***


1 - Incontro

Strani Incidenti


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All'inizio si presentò come uno dei lavori più normali del mondo: avevo un orario, un (ottimo) stipendio, svariate mansioni e pochissimo tempo per portarle a termine. La Signorina Gici non si limitò a prendere le redini dell'azienda, ereditando una gestione condotta con astuzia fino ad allora; decise di sconvolgerla in nome di quello che lei chiamava "amore per la patria". Un pretesto che mio padre avrebbe trovato ridicolo; per questo mi eccitò tanto.

Innanzitutto inaugurò la nuova filiale abbandonata in fase di apertura e ricercò personale andando contro ogni logica: dava la precedenza ai bisognosi, anziché ai pupilli raccomandati.


«Le mie risorse purtroppo sono limitate.» mi confidò «Se potessi darei un impiego a tutta la Stivalia.»

«Queste assunzioni comporteranno molti svantaggi.» le feci notare.

«Non importa se perdiamo qualche miliardo di conio.» L'ho già detto che questa ragazza è schifosamente ricca?! «Vorrà dire che per un po' farò a meno di qualche comodità. Non ti piace l'idea di risollevare il paese dando lavoro a chi ne ha bisogno, Sunny?» Mi chiamava con quell'appellativo giocando col mio odiato nome di battesimo e i miei capelli biondi.

«Mi piace!» esclamai entusiasta «È un'idea pazza, ma sono sicuro che quando il paese uscirà dalla crisi ne trarremo molti profitti. Oltre a una notevole soddisfazione morale.»


Il passo successivo fu di tutt'altro stampo: quello di investire in campo medico e tecnologico per arrestare la "fuga di cervelli", e in quello cinematografico per far rinascere il grande cinema stivaliano. Mi ritrovai inaspettatamente a raccogliere dati su ricercatori, registi, scienziati, attori di teatro, medici, sceneggiatori, ingegneri... Campi molto distanti da una fabbrica di scarpe, così com'era nata la Gici Industries. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il consistente fondo della Signorina Gici.


Anche se ero felice che il mio capo non fosse solo un avido impresario, mi risentii un poco per quello sperpero di denaro; la Signorina Gici stava spendendo con troppa leggerezza l'eredità dei genitori. Quando glielo dissi non si infuriò come temevo, bensì mi batté un colpo sulla spalla (per poco non me la sfondò sorprendendomi con la sua forza) e rise:«Hai perfettamente ragione: ci vorranno dieci... anche venti anni prima di recuperare quello che sto spendendo. In ogni caso i soldi saranno sufficienti a mandare avanti la Gici, e dopo incasseremo con gli interessi!»

«Al primo imprevisto crolleremo...»

«La Gici resisterà, fino a quando io la sorreggerò dal cielo e tu dalle fondamenta.»


Non ero tanto ottuso da sorvolare sulla superficialità della Signorina Gici, ma orgoglioso quanto bastava a compiacermi per la fiducia che riponeva in me. Pertanto mi dedicai anima e corpo al lavoro, dimostrando con l'impegno e la competenza il mio valore.

Ciascuna delle sette (contando anche la novella) succursali della Gici Industries aveva un proprio dirigente che partecipava a una riunione settimanale con il Dirigente Capo. In tali occasioni ebbi modo di conoscere i segretari miei subordinati. Rimasi attonito quando mi resi conto di essere l'unico ad avere gli abiti e la portanza tipici del segretario: i miei sottoposti sembravano comuni impiegati in giacca (e senza cravatta), eleganti ma stonati. Proseguendo nel mio incarico potei comprendere meglio il loro disagio con le formalità. In realtà erano degli esperti nel loro campo, in cui si muovevano con sicurezza e precisione. Nel loro elemento esprimevano il loro vero potenziale.

Con i nostri sforzi congiunti le spese furono più contenute e i profitti parvero avvicinarsi con maggiore anticipo.

Tuttavia ero in ansia. Quello della Signorina Gici sembrava il tipico comportamento di una ragazza viziata e ingenua che non sa nulla del mondo.


Pensai di aver ottenuto la conferma ai miei timori qualche giorno dopo. Ma ancora non conoscevo la Signorina Gici. Non davvero.

Un incendio alla sede della Gici Pharmacology (la succursale di ricerca farmaceutica) provocò il crollo dello stabile, miliardi di conii andarono perduti insieme a progetti, macchinari e materiali. L'unica nota positiva fu che lo sfortunato evento ebbe luogo durante la notte, e non ci furono né feriti né (non riuscivo neanche a pensarci!) vittime. La Signorina Gici fu sottoposta a inchiesta per sospetti nelle misure di sicurezza perché era strano che un edificio collassasse a quel modo; ero d'accordo, ma ero convinto che a dispetto delle apparenze l'incendio fosse di natura dolosa.


Il sole non era ancora sorto quando vidi coi miei occhi lo spettacolo di fumo e macerie. La Signorina Gici stava consumando il suo sigaro a braccia conserte. Non potei fare a meno di notare i pantaloni alla zuava che portava indosso. Cozzavano con l'aria fresca della corrente stagione autunnale. Rabbrividii al suo posto.

La sua figura esile conservava la sua dignità anche in quegli abiti insoliti. Fissava la Gici Pharmacology con le sopracciglia corrugate. La credevo sconvolta. Ripeto: non la conoscevo ancora. Non davvero.

Mi avvicinai per offrirle un conforto di cui non aveva bisogno, ma mi bloccò puntandomi l'indice contro.

«Voglio i risultati della Borsa.»

«Cosa?» rimasi interdetto.

«I titoli dell'Arqua. Entro oggi, per favore.»

Controllai sul mio palmare. Spalancai gli occhi per lo sgomento. La compagnia Arqua era data per spacciata, i suoi titoli erano precipitati vertiginosamente. Fino al giorno prima. Oggi il loro valore era quadruplicato.

«Saliranno ancora» asserì la Signorina Gici quando le riferii, per nulla sorpresa «Ho fatto bene ad acquistarne l'85% ieri, vero? Giusto in tempo.»

Ridacchiò, grattandosi soddisfatta il naso a patatina.

«Ho ottimo fiuto per gli affari.»

Controllai gli altri risultati. Quello non era il solo gioco in Borsa miracolosamente recuperato. Ciascun investimento della Gici Industries era andato a buon fine, aumentando la rendita.

La Signorina Gici risalì sulla propria macchina, l'inconfondibile limousine verde appartenuta ai suoi genitori. Mi trascinò dentro con lei, diretti alla sede. Mi offrì da bere, quindi si rinchiuse nelle sue riflessioni.

Lasciandomi con un grosso interrogativo a bloccarmi la voce in gola.




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Dia dhaoibh, lettori!

Prima che mi attacchiate, vi avverto che so benissimo che non è possibile comprare una percentuale così alta di azioni. Ma che importa? Dopotutto non ci troviamo in Italia, ma in Stivalia. Chiaro, no?

Lasciatemi le vostre opinioni su questo capitolo! ;-)


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Capitolo 3
*** Sospetto ***


1 - Incontro

Sospetto


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Domande che mi sarei dovuto porre da tempo mi inondarono come una cascata.

Come aveva fatto la Signorina Gici a ottenere tutto quel successo in così poco tempo? Non poteva trattarsi semplicemente di abilità in Borsa. Un colpo di fortuna? In un momento tanto critico? Che coincidenza!


Appuntai "2° piano sotterraneo, documenti sul Progetto P.C.U. (Paresi del Corpo Umano)" nella lista del materiale recuperato dall'incendio.


No, doveva esserci dell'altro. Suonava strano anche il fatto che delle questioni finanziarie si occupasse un misterioso contabile mai visto. Non conoscevo neanche il suo nome!

Un atroce sospetto si insinuò nella mia mente. E se... la Gici Industries fosse implicata nella mafia? Ma la Signorina Gici non potrebbe mai... Non lei...

Questo avrebbe dato un nuovo significato alla postilla sul contratto di assunzione: non rivelare niente di quello che vedevo o sentivo. Allora avevo pensato si trattasse solo di un motivo commerciale, per proteggersi dalla concorrenza...


Segnai "1° piano, dati sul Progetto Suola Morbida" tra le cose irrimediabilmente andate distrutte. Le scarpe Gici avrebbero aspettato prima di ottenere la "nuova, strabiliante, confortevole comodità!" come da slogan. Amen.


Un altro dubbio riguardava la mia nomina. Come avevano ottenuto il mio numero? La Stòppedo Company si era premurata di diffondere una pessima reputazione sul mio conto. Perché dunque mi avevano assunto? Perché darmi un posto così vicino al capo, così in alto, così vantaggioso? Chi era veramente Miriam Alba Gici?


Sudavo per l'agitazione mentre contestavo il suggerimento del Signor Chimi, il Dirigente della Gici Pharmacology.


Non potevo gettare all'aria la mia carriera. Non un'altra volta. Dovevo imparare a farmi gli affari miei, ad eseguire il mio lavoro senza porre domande. Dopotutto, nessuno è illibato a questo mondo.


Lanciai occhiate nervose alla Signorina Gici per l'intera durata della riunione.

Attesi che tutti i partecipanti fossero usciti dalla sala. Rimanevamo solo io e la Signorina Gici, che si dondolava giocosa sulla poltroncina a rotelle. Lei aveva intuito che qualcosa mi turbava. Lo capii da come evitava il mio sguardo. Ma ebbe l'educazione di aspettare che dicessi qualcosa. I minuti passarono, senza che io avessi il coraggio di aprire bocca. Alla fine lei si alzò e riprendemmo il lavoro come se nulla fosse.

Non ebbi modo di parlarle in privato per diversi giorni; eravamo tutti troppo indaffarati. O forse ero io a evitare le occasioni in cui rimanevamo soli. Temevo quello che avrei potuto dire e, soprattutto, ciò che avrei sentito in risposta.


Ad aumentare i miei timori fu l'episodio successivo: la Signorina Gici perse la causa in tribunale, dovette pagare una multa salata e le fu impartito di far revisionare completamente le misure di sicurezza.

Nonostante le pressioni, la Signorina Gici si rifiutò di vendere i titoli che avevano fruttato. Sosteneva che sarebbe stato uno spreco, poiché il loro valore sarebbe aumentato ancora.

Mentre dirigenti, segretari, operai (e io) si strappavano i capelli per la disperazione, la Signorina Gici saltò fuori con un mucchio di soldi pescati da un fondo di cui nessuno (me compreso) sapeva l'esistenza.

La stampa non gli diede importanza: è impossibile fare i conti in tasca a qualcuno tanto ricco, perciò il giro di soldi passò inosservato.


I miei sospetti crebbero in modo allarmante. Essere tenuto all'oscuro di un dettaglio di tale importanza a un mese dal mio ingresso nella società mi ferì (un po') e mi irritò (molto).


Non quanto lo fece la persona che alcuni giorni dopo bussò alla porta dell'ufficio del Direttore Capo.




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Dia dhaoibh, lettori!

Flusso di coscienza del protagonista, con spinta subdola a leggere il capitolo successivo per capirci qualcosa xD Non credo ci sia bisogno di commenti, ma una vostra recensione mi fa sempre piacere.


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Capitolo 4
*** Cane da guardia ***


1 - Incontro

Cane Da Guardia


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L'uomo che entrò era di statura media, nero come la pece e dall'età indefinibile fra i trenta e i quarant'anni. Tutto, nel suo aspetto, era affilato: il viso scarno, gli zigomi alti e sporgenti, le orecchie appuntite, il naso adunco, le mani affusolate, le spalle triangolari e i piedi lunghi e sottili. Gli occhi erano tanto scuri da confondersi con le pupille. Il loro scatto saettante, che in un attimo abbracciò la stanza, mi rese nervoso. I capelli erano neri e lucidi, tirati indietro e incollati al capo. Sembrava magro, ma dalla forza con cui mi strinse la mano (ahi!) intuii che doveva essere un fascio di muscoli. In quel gesto si tese tutto il suo candido vestito di lino (ma era di moda vestirsi fuori stagione?).

«Signor Bianchi!» lo accolse la ragazza «Sono lieta che sia arrivato! Temo di non poter più fare a meno di te.»

«Temo di no» replicò l'uomo in un tono che rasentava la minaccia. Pronunciava le consonanti emettendo un curioso sibilo.

«Com'è andato il... viaggio?»

Per tutta risposta il Signor Bianchi arricciò il naso.

In breve il mio capo lo aggiornò sulla nostra situazione, quindi disse:«Vorrei che assistessi Sunny nel suo lavoro.»

«Come, prego?» sbottai.

«Certamente» rispose lui, quindi si rivolse a me «Sarà un vero piacere lavorare in sua compagnia, Signor Ragonesi.»

«Anche per me, ma... perché? Il mio lavoro non la soddisfa?»

«Oh no, Sunny!» esclamò la Signorina Gici «Finora hai fatto un lavoro più che ottimo! Ma date le circostanze e... i recenti avvenimenti...»

Guardò il Signor Bianchi in cerca di aiuto, che concluse per lei:«Non vogliamo che qualcuno si faccia male.»

E si aprì in un sorriso che mise in mostra due file di denti aguzzi.


Il Signor Bianchi diventò la mia ombra. Mi seguiva ovunque: nell'ufficio della Signorina Gici, nei miei giri per l'azienda, durante le riunioni e in pausa pranzo. Non mi mollava neanche al gabinetto. Non che fosse di grande compagnia, o che mi fosse di qualche aiuto nel lavoro. Si limitava a impormi la sua presenza, scrutando ogni mia mossa. Mi studiava con quegli occhi neri che assorbivano tutta la luce intorno.


Non lo vidi più sorridere. Per fortuna. Metteva già i brividi senza fare nulla. Non c'era bisogno che scoprisse i denti acuminati.

Ero più alto di lui di una spanna e mezzo, e gli esercizi in palestra mi avevano premiato con un corpo forte e solido. Ma quella figura che scivolava silenziosamente attorno mi faceva tremare le budella. Aveva qualcosa di selvaggio, come un feroce animale addomesticato.

Più di una volta ebbi la sensazione di essere seguito anche a casa. Guardando dalla finestra della mia camera giurerei di aver scorto un guizzo bianco all'imboccatura del vicolo.

La Signorina Gici doveva aver capito che dubitavo di lei. Quindi il suo mastino mi teneva d'occhio.


Sopportai quel controllo forzato, cercando di ignorare il Signor Bianchi. L'atteggiamento controllato si ripercosse sui miei nervi (e sul mio mal di testa cronico), aumentando lo stress. Come se l'incidente e le sue conseguenze non ne avessero procurato abbastanza.


Una mattina presi la metropolitana come al solito. Sgusciai fra la gente ma senza fretta, per non destare sospetti. Proprio quando le porte si stavano per chiudere, mi fiondai sulla banchina. Ero sceso prima della mia fermata, sfuggendo al mio pedinatore.

Mi feci largo a spallate in mezzo alla calca in direzione delle scale. Sarei saltato dentro il primo autobus. Sapevo che quell'atto di ribellione era inutile. Quell'attimo di respiro dal Signor Bianchi era illusorio. Presto lo avrei rincontrato a lavoro.


Purtroppo mi sbagliavo.


Nel momento in cui il mio piede toccò il quinto gradino, mi mancò l'appoggio. Qualcosa mi afferrò le caviglie e mi sentii precipitare nel vuoto.




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Dia dhaoibh, lettori!

Il nuovo personaggio ha delle caratteristiche piuttosto singolari. Tralasciando il mio pietoso disegno, è alto (non tanto quanto il protagonista) e incute timore. Forse, però, non è lui la minaccia da temere. Vi è piaciuta la sua descrizione? Scrivetemi il vostro parere.

Se gli ultimi due capitoli vi sono parsi troppo seri, non temete: presto i toni ironici riaffioreranno. E non dovrete attendere molto prima che entri in gioco la magia.


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Capitolo 5
*** Rapimento ***


1 - Incontro

Rapimento


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Le scale mi hanno mangiato. Dovevo aver preso un bel colpo per pensare una sciocchezza del genere. Non sapevo quanto mi fossi avvicinato alla verità, anche se è più corretto dire che le scale mi avevano inghiottito.

«Per me ci è rimasto secco» disse una voce stridula.

«Ma no» grugnì un'altra voce «Guarda: si sta riprendendo...»

Aprii gli occhi. Li richiusi immediatamente. Li riaprii con cautela, uno alla volta.

Due omini mi osservavano con malizia, gli antiquati copricapi di pelle schiacciati sui crani, le membra orrendamente lunghe per dei corpi così piccoli. I loro occhi sporgenti denotavano scarsa intelligenza, e la loro fisionomia ricordava vagamente il mio amico Bianchi. Loro però vantavano ben poco di umano: le orecchie erano grandi come ali di pipistrello, la mandibola era deforme ma armata di piccoli denti affilati. Notai con irritazione che uno di quei loschi figuri si stava scaccolando con la mia cravatta.


Feci per protestare, poi mi accorsi di essere legato a una sedia. Non capivo dove fossi: era un ambiente piccolo e buio, illuminato fiocamente da una luce tremula alle mie spalle. Non trovando uscite, immaginai che anche la porta si trovasse lontano dalla mia vista. Un puzzo nauseabondo mi riempiva le narici (o era la strana coppia a puzzare così?), mentre distinguevo delle pareti in muratura.

La mia giacca era sparita (se aveva seguito la stessa fine della cravatta a questo punto potevano tenersela). Il resto c'era, ma l'aria che mi solleticava le caviglie mi suggerì che i pantaloni dovevano essere strappati. Se non altro avevo ancora le scarpe e la camicia.


«Signor Santino Ragonesi» disse mellifluo quello più vicino a me, che aveva il naso schiacciato. “Voce stridula” emise una pernacchia, sventolando con scherno la mia cravatta.

«Sai perché ti trovi qui?» continuò il primo.

«Ho dimenticato di pagare la bolletta della luce?»

Il colpo arrivò improvviso, in faccia. Non fu molto forte, ma fu sufficiente a svegliarmi del tutto.

Allora capii che non era un sogno: ero stato rapito. Da un paio di cosi strani che non sapevo in che razza catalogare. Erano i risultati di esperimenti sul corpo umano?

«Noi non amiamo gli scherzi, Uiros.» ed estrasse un coltello, poggiando la lama sulla mia guancia «Dicci tutto se non vuoi soffrire.»

«Forse soffrirai lo stesso» sghignazzò il compare.

«Aspettate!» li pregai «Io non volevo scappare! Non ho fatto niente! Vi giuro che non ficcherò mai il naso negli affari della Signorina Gici; continuerò il mio lavoro come sempre, ok? Perciò dite al Signor Bianchi di lasciarmi andare...»

«Che sta blaterando questo bamboccio?» proruppe “voce stridula” «Chi diavolo sarebbe questo Signor Bianchi? -

«Non lo so...» disse “naso schiacciato” prendendomi per la gola. Guardarono il basso soffitto con aria stolida in cerca di una risposta, mentre io rantolavo per la mancanza d'aria.

Alla fine tornarono a me e il mio aguzzino allentò un po' la presa. Un pugno allo stomaco mi tolse quel poco di fiato che avevo recuperato.

«Vuole confonderci, ma non ci riuscirà. Qui ci dirai tutto, Uiros.» Come mi aveva chiamato? «E la tua amichetta non può impedirlo. Neanche quello schifoso mezzokorrigan ti può aiutare adesso.» Mezzocosa?

Il compagno sputò a terra sprezzante.

«Dicci: dov'è l'oro?»

Deglutii a fatica.

«Di quale oro state parl...»

Il coltello saettò e la lama mi affondò nella coscia. Urlai. I due ometti si deliziarono del mio dolore. “Naso schiacciato” estrasse di netto il coltello, strappandomi altre grida.

«Possiamo continuare così se vuoi. A noi non fa differenza portarti intero o a pezzi da Sua Maestà. Prima però...» mi afferrò per i capelli «… devi dirci dov'è l'oro!»

Strinsi i denti, cercando di sgombrare la mente. Non avevo idea di cosa rispondergli, perché non sapevo niente. Rimasi in silenzio, incapace di fare altro. Il coltello si alzò nuovamente...


Un botto assordante esplose alle mie spalle e mi ritrovai a faccia in giù sul pavimento. Il brusco capovolgimento mi provocò una fitta alla gamba, ma serrai la mascella e mugolai appena. Pietre, polvere e schegge di legno mi volarono intorno, mentre “voce stridula” tossiva. Dalla mia posizione non potevo vedere niente, ma l'altro rapitore doveva essersi rialzato. Lo udii andare alla carica contro qualcuno, poi sentii un urlo seguito da un tonfo. Un verso strozzato mi disse che lo scontro era finito.

Qualcuno mi girò su un fianco e gemetti. Un volto familiare riempì il mio campo visivo, ma dapprima non lo riconobbi perché i suoi capelli erano rossi.


La Signorina Gici mi sussurrò:«Stai bene, Sunny?»




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Dia dhaoibh, lettori!

Povero Santino (o Sunny), maltrattato da due strane creature non identificate. Per chi non conoscesse i korrigan, ecco una breve illustrazione:

I korrigan vengono descritti come esseri estremamente piccoli, con una grossa testa e lunghi capelli, vestiti con pelli di animali e - nonostante le dimensioni - dotati di una grande forza fisica.

Nascono e muoiono sottoterra e fanno la loro comparsa soprattutto di notte, ballando attorno ai dolmen; hanno la fama di essere spregevoli, dispettosi e "ladruncoli".

I termini usati dai sequestratori sono nella stessa lingua che uso per salutarvi. Qualcuno riesce a indovinare di che lingua si tratta? :-D


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Capitolo 6
*** Salvataggio ***


1 - Incontro

Salvataggio


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Fissavo la scena a occhi sgranati: gli omiciattoli erano a terra, una parete era esplosa lì dove penso si trovasse la porta e il Signor Bianchi teneva in pugno una pesante spada.
La Signorina Gici stava armeggiando coi miei nodi. Almeno credo. Le mani non le sentivo più, tanto erano strette.

«Sbrigatevi» la incoraggiò il Signor Bianchi.

«Non riesco a sciogliere queste stupide corde! Tiptoe

Sentii l'uomo avvicinarsi e librare la spada.

«Un momento..!» protestai. Vidi l'arco del fendente attraversarmi da una parte all'altra. Incredibilmente ne uscii illeso: soltanto le corde si spezzarono, e la sedia fu aperta in due.

«La mia Puntina taglia solo quello che voglio tagliare.» spiegò il Signor Bianchi col suo sorriso terrificante. “Puntina”, che nome grazioso.


La Signorina Gici mi aiutò ad alzarmi e uscimmo da quel luogo puzzolente. Rifiutai cortesemente la sua offerta di appoggio e zoppicai sotto al cielo grigio, conservando un minimo di dignità.

La mia prigione si rivelò essere quel che restava di una casa in rovina. Eravamo in un villaggio che pareva essere abbandonato da tempo. C'erano tracce di un antica battaglia, come dimostrava la terra bruciata.

Qualcosa di surreale pervadeva quel panorama desolato. Dov'ero finito? Ero ancora in Stivalia? D'altronde non avevo idea di quanto a lungo fossi rimasto svenuto.


La Signorina Gici mi affiancò. Strizzai gli occhi sui suoi capelli rossi. Erano insolitamente brillanti, avvolti da una luminosità innaturale.

Estrasse dalla tasca una curiosa palla di vetro racchiusa in una piramide cava di legno. Un laccio a uno degli angoli mi suggerì che quell'oggetto andava indossato. La Signorina Gici lo depose sul palmo della mano ed ebbi modo di esaminarlo meglio. Al suo interno vorticavano tre piccole lancette.

La ragazza sorrise al mio sguardo perplesso. «È un viaggiometro; serve a calcolare la direzione, l'altezza e la dimensione nella quale si vuole andare.»

Aumentando la mia confusione, mi porse la mano libera. La strinsi controvoglia. Il Signor Bianchi ci raggiunse dopo aver perlustrato l'area e ripulito la sua spada. Senza esprimere pareri si aggrappò alla spalla della Signorina Gici.

Chiedendomi che diavolo stesse succedendo, sentii il mio corpo assottigliarsi e perdere consistenza. Il villaggio devastato scomparve nel buio, come succede al comodino contro cui vai a sbattere quando salta la corrente.

Ero del tutto ignaro del fatto che il villaggio fosse rimasto al suo posto. Eravamo stati noi a sparire.


Evitai di fare domande. Per fortuna non era comparso nessun comodino su cui rimetterci un dito del piede. Come prova del dolore bastavano la coscia, che mi faceva un male terribile, e la ferita sanguinante. Tutto ciò che volevo era un ospedale.

Mi ritrovai invece su un letto, in una camera d'albergo. Poi la Signorina Gici mi slacciò la cintura e fece per togliermi i pantaloni.

«No!» gridai. Sentivo la stoffa tirare la pelle; era meglio tagliare il tessuto intorno alla ferita. Tanto ormai i pantaloni erano da buttare... Uhm, sommandoli alla cravatta e alla giacca quegli omuncoli mi dovevano un completo.

La Signorina Gici fraintese completamente il mio diniego. Arrossì e disse:«Forse è meglio che ci pensi Tiptoe.»

Uscì, lasciandomi solo con il Signor Bianchi.

Fantastico. Ora ero nelle mani dello squarta-omini.


Con mio enorme sollievo non si servì di Puntina. Bensì mi medicò con estrema professionalità (ma con poca delicatezza, ahi!), sorprendendomi.

Mi abbandonai sul cuscino, grato al dottore improvvisato e smanioso di potermi cambiare al più presto i pantaloni giallo cachi che mi aveva infilato. Chiusi gli occhi per qualche minuto (o qualche secolo; avevo perso la cognizione del tempo), e li riaprii solo quando la Signorina Gici entrò senza bussare o annunciarsi. I suoi capelli erano di nuovo neri.

«Ho prenotato la stanza fino a domattina. Il Signor Bianchi rimarrà con te e provvederà a riaccompagnarti a casa. Hai diritto a una settimana di riposo. Al prossimo mercoledì.»

Come una tempesta estiva, aveva imperversato in un istante con quelle parole, pronta a sparire con altrettanta velocità. Stiamo scherzando?

«Aspetti!» esclamai balzando (a sedere vedendo le stelle) dal letto.

«Sì?»

«Non può andarsene in questo modo. Prima mi deve una spiegazione.»

«Io non ti devo proprio nulla, Sunny.» rispose lei con fermezza.

«Mi hanno rapito! Avete ucciso due uomini! In quali loschi affari è coinvolta?!»

«Quello di oggi è stato un incidente, ma il Signor Bianchi mi ha assicurato che non si verificherà una seconda volta.»

L'uomo emerse dall'ombra (dov'era nascosto?) e mi rivolse un cenno del capo per confermare. Scossi la testa, contrariato. «Non crediate di cavarvela: racconterò alla polizia quello che ho visto e...»

«È così che hai perso il posto alla Stòppedo Company?» mi interruppe lei con un sorriso beffardo «Sarei curiosa di sapere cosa dirai esattamente alla polizia. Sapresti dire dove ti hanno portato o come sei arrivato qui? Senza contare che hai firmato un accordo di riservatezza che ti cuce la bocca.»

Non trovai modo di replicare. La Signorina Gici mi lasciò col mio silenzioso protettore, al quale non osai rivolgere neanche una domanda.




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Dia dhaoibh, lettori!

Finalmente fa breccia una parvenza di magia. O forse era già presente, ma il nostro scettico protagonista non aveva annoverato questa possibilità in mezzo ai suoi dubbi.

Eppure la Signorina Gici nega tutto; cosa avrà in mente? E soprattutto: chi è in realtà? Fate le vostre supposizioni e scrivetemele!

Nota: Il nome della spada del Signor Bianchi (anzi, di Tiptoe) è una voluta presa in giro dei nomi epici usati nei grandi racconti fantasy.


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Al prossimo capitolo! Slán libh!


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Capitolo 7
*** Indagini ***


7 - Indagini

Indagini

 

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11243 minuti di fitte lancinanti, bende cambiate e telefonate alla mia ragazza dopo, ero di nuovo attivo sul lavoro. Per così dire. La Signorina Gici ignorò volutamente la nostra sfortunata avventura e ricominciò a trattarmi come se non fosse successo nulla.

Io, invece, tagliai ogni rapporto con lei, limitandomi a svolgere i miei incarichi. La Signorina Gici si accorse della mia freddezza, ma non osò controbattere per paura che la bersagliassi di domande.

Pur avendo scorto un velo di tristezza nel suo sguardo, non mi lasciai muovere da pietà. Se inizialmente le sue faccende non mi riguardavano e lei poteva tenermi all'oscuro per proteggermi (o semplicemente perché non erano affari miei), ora il suo silenzio lo consideravo un capriccio. Oramai, nei suoi intrighi, ci ero dentro dalle punte dei capelli al mignolo del piede sinistro.

 

Ovviamente non avevo raccontato del mio rapimento a Chantal (e la clausola di riservatezza mi cuciva la bocca) ma l'avevo messa al corrente della mia agitazione. Chantal mi aveva rassicurato: neanche a lei piacevano sempre i casi che le affidavano, ma era il suo lavoro e andava fatto. Allo stesso modo se c'era qualcosa che puzzava alla Gici Industries... dovevo tapparmi il naso e far finta di nulla.

Io e Chantal avevamo ricominciato a uscire insieme da quando avevo ottenuto quel lavoro; era una ragazza splendida e in gamba, che teneva alla propria reputazione. Frequentare un disoccupato, un perdente, non rientrava nei suoi standard. Per quello mi aveva piantato quando ero stato licenziato dalla Stòppedo Company. Non si trattava di soldi (a un procuratore di gran classe come lei non serviva un supporto finanziario), quanto di dignità. Il fidanzato di Chantal Laforge può essere solo un vincente. Perdere anche questo incarico significava (oltre a non sapere come pagarmi da vivere) perdere lei.

 

Oltretutto era una questione di orgoglio. Ero sopravvissuto a un rapimento, a un'accoltellata e a una metropalla che viaggiava! Non ne ero mica uscito vivo per niente, giusto? Non dovevo sprecare questa chance.

 

Eppure la mia curiosità ebbe la meglio. Non avevo mai stabilito un rapporto stretto con i dirigenti delle succursali, ma ritenni che fosse giunto il momento di porre qualche cauta domanda. Puntai al Signor Aktus, il direttore pubblicitario: quell'uomo affascinante era un gran chiacchierone davanti alle telecamere.

L'opportunità di avvicinarmi a lui mi fu data in occasione della riunione sulla nuova collezione primavera-estate, in cui Aktus illustrò il suo programma di sponsorizzazione. Mi mostrai particolarmente entusiasta della sua idea di camminare sul soffitto a dimostrazione della comodità e leggerezza dei modelli (gli spot della Gici Industries sono sempre stati un po' assurdi), guadagnandomi la sua simpatia. Al termine della riunione mi complimentai per il suo completo dorato, il più normale che avevo mai visto indosso a qualcuno in quell'azienda, salvo per le maniche a campana. Mi avevano sempre colpito i suoi capelli lisci e lucenti, di una sfumatura di castano che ricorda il legno di noce; ma mi sembrava equivoco un simile elogio.

«Lei ha davvero gusto nel vestire.» dissi con un sorriso quando rimanemmo soli «Questo tessuto viene dal suo paese?»

«Il mio accento mi tradisce sempre.» rispose il Signor Aktus, evitando la domanda.

«Viene forse dalla Gerfonia?» riprovai cordialmente.

«Dalla Gerfonia… ah ah, forse.»

«Io non sono mai uscito dalla Stivalia. Dev'essere dura trovarsi in un nuovo ambiente. Da quanto tempo lavora qui?»

«Ho affiancato Manlio Gici dalla fondazione della Gici Industries

Sorvolai sull'assurdità di quell'affermazione, visto che dimostrava la mia età.

«E ha mai notato niente di strano?»

«In effetti sì, negli ultimi mesi.»

«E di cosa si tratta?»

«Sarebbe meglio non parlarne. Se mi sentisse la Signorina Gici...»

«Non abbia paura.» lo esortai «Non le dirò nulla in proposito.»

«Bé, si tratta... di lei.»

«“Lei” chi?»

«Ma lei, Signor Ragonesi!» e scoppiò in una risata raffinata. Rimisi insieme i pezzi della mia faccia, andata in frantumi per lo stupore.

«Conosco la sua situazione.» continuò il Signor Aktus «Avrà creduto facile far parlare uno come me. Tuttavia il profilo che mostro in pubblico è solo una maschera. Cerchi di non ficcare troppo il naso: sarebbe un peccato se se ne andasse. Lei è capace e simpatico: una combinazione rara in uno Uiros

 

Di nuovo quella parola! Stavo per controbattere, quando il suono di voci concitate costrinse entrambi a voltarci verso la porta. In sala riunioni entrarono due figure, scortate dal Signor Bianchi. La donna più magra era intenta a bisticciare con lui; l’altra, più rotondetta, domandò chi rispondesse al nome di Santino Ragonesi.

 

 

 

 

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Dia dhaoibh, lettori!

Ci avviciniamo al segreto di Miriam... o forse no? :-p Intanto abbiamo scoperto che Sunny ha una ragazza.

Siccome i capitoli sono brevi cercherò di non farvi attendere troppo per il prossimo.

 

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