Lily's Adventures in Wonderland

di Luke_White
(/viewuser.php?uid=491663)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fragment 0 - I'm here ***
Capitolo 2: *** Fragment I - Nightmares and memories ***
Capitolo 3: *** Fragment II - Vanishing words ***
Capitolo 4: *** Fragment III - The rose on the hat ***



Capitolo 1
*** Fragment 0 - I'm here ***


0
~I’m here~



La vita che cos’è, se non un sogno?
Attraverso lo specchio e ciò che ***** vi trovò


“Nei sogni entriamo in un mondo che è interamente nostro”, diceva una certa persona. Ma come il mondo reale, spesso anche quello dei sogni è incontrollabile. Ciò che si sogna appartiene alla propria mente, questo è certo, ma ciò non significa necessariamente che se ne abbia il comando.
Lei non voleva trovarsi lì, eppure c’era. Voleva svegliarsi, sapeva che quello era solo frutto della sua immaginazione, eppure continuava a scendere, sempre più in profondità. Voleva potersi muovere, girarsi e tornare verso la luce, che invece si faceva sempre più lontana, a volte scomparendo per qualche istante lasciandola nell’oscurità più completa. Vedeva piccole bolle d’aria fluttuare verso l’alto senza controllo, estirpando ogni traccia d’ossigeno dai suoi polmoni.
Era chiaro che quello era solo un sogno. A quelle profondità gli organi avrebbero già dovuto cedere e ormai l’aria sarebbe dovuta essere finita da un pezzo. Invece continuava a sprofondare. Cercava di ribellarsi, ma era in balìa delle correnti del sogno, che la trasportavano negli abissi di quell’oceano fittizio.
Pian piano, la luce proveniente dalla superficie scomparve nel nulla, lasciandola nel buio assoluto. Ora, privata della vista, non aveva alcun punto di riferimento. Anche il senso di caduta svanì. Galleggiava nel Nulla.
Poi toccò terra. Scivolò dolcemente su una superficie invisibile. O forse era lei che ormai non vedeva più nulla? Non seppe rispondersi.
Si alzò dopo alcuni tentativi, scivolando sulle gambe intorpidite. Intorno a lei, il Nulla continuava a essere il padrone. Prima che la mente potesse decidere alcunché, il corpo si mosse. Camminò. Il tempo nei sogni è qualcosa di assolutamente astratto. Per la ragazza furono giorni, nella realtà, forse, solo qualche minuto.
Infine, qualcosa si mosse nell’oscurità. Vederlo era impossibile, ma lei riuscì a percepirlo. Sembrava fatto della stessa materia del mondo che la circondava, eppure era allo stesso tempo differente, come se avesse un'altra densità. Riusciva a percepire i suoi movimenti, ma non avrebbe potuto descriverlo in alcun modo. L’Essere sembrava rotearle intorno, una presenza calda e strisciante che la fece sudare freddo. Benché la mente fosse bloccata, inorridita e terrorizzata, il corpo continuava ad andare avanti, ora con una lentezza estenuante.
Camminò. La presenza continuava a seguirla, scivolando nel Nulla da cui era stato generato. La ragazza aveva ormai superato lo shock ma l’Essere continuava a inorridirla e il suo solo pensiero, al momento, era scappare, ma il corpo continuava a non risponderle. Mentre l’Essere si muoveva intorno a lei, mentre temeva di dover rimanere prigioniera di quel sogno eterno, comparve ciò che per lei più si avvicinava alla salvezza.
A mezz’aria, di fronte a lei, si era pian piano delineata una forma. Una piuma, di un candore abbagliante nell’oscurità del Nulla, galleggiava senza peso. In quel momento, il corpo le rispose per la prima volta. D’istinto la ragazza mosse il braccio e afferrò la piuma, entusiasta di sentirla solida sotto le dita. Se la rigirò fra le mani, esaminando l’unica forma presente in quell’infinito mondo.
Erano solo lei e la piuma.
E l’Essere.
Se ne era quasi dimenticata e, a quanto pareva, alla cosa non piaceva essere ignorata. La ragazza la percepì al suo fianco, immensa eppure solo a pochi centimetri da lei. Avrebbe potuto allungare un braccio e toccarla ma non si mosse. Rimase invece aggrappata alla piuma come se fosse la sua ultima speranza.
Percepì la creatura avvicinarsi ancor di più, fino a sentirne il fiato caldo sul collo.
Il suono le arrivò da davanti a lei.
«Sono qui».
La piuma divenne improvvisamente nera e spenta. Il Nulla riprese il sopravvento. Gli Esseri si mossero.
Lily urlò.

I ragazzi che si erano radunati nello scompartimento avevano guardato Lily Evans assopirsi, sorridendo al pensiero che, solo l’anno precedente, non si sarebbe mai potuta addormentare sapendo che i Malandrini erano giusto accanto a lei. Ma l’anno precedente aveva cambiato molto il modo di pensare della Grifondoro.
Gli altri avevano quindi continuato a scherzare come se niente fosse, consapevoli che il sonno pesante della ragazza li avrebbe aiutati. Dopo non molto, però, Emmeline aveva cominciato a capire che c’era qualcosa che non andava.
Lily aveva cominciato ad agitarsi nel sonno e a mugugnare leggermente. L’amica l’aveva allora scossa un po’, tentando di farla riemergere dai suoi sogni quel tanto che bastava da potersi calmare. Lily non aveva fatto una piega e, anzi, aveva cominciato a mormorare parole incomprensibili e a sudare visibilmente. Emmeline aveva allora aggrottato le sopracciglia, preoccupata, e aveva provato a muovere di nuovo l’addormentata, questa volta con un po’ più di forza. Come se non avesse fatto nulla.
«Tutto bene?» aveva chiesto James, osservando attentamente la rossa. Emmeline scrollò le spalle. Mike si avvicinò a Lily e le prese una mano.
«È gelida» disse. Ormai lo sguardo dei presenti era puntato sulla ragazza.
«Lily?» chiamò Emmeline, provando a svegliarla. «Lily?».
In altre occasioni, nessuno si sarebbe preoccupato in quel modo. Avrebbero lasciato che la ragazza terminasse il suo sogno, pur brutto che fosse, e poi sarebbe stato tutto dimenticato. Ma l’incubo che sembrava avere in quel momento pareva averla indebolita anche fisicamente: in pochi secondi aveva perso colore e ora il sudore le incollava i capelli rosso fuoco alla fronte.
Mentre Mary si stava avvicinando a Lily per esaminarne le condizioni, questa si svegliò improvvisamente, emettendo un urlo strozzato. Nessuno parlò, lasciando che la ragazza si riprendesse. Ansimava faticosamente e aveva gli occhi sgranati.
«Lils» sussurrò gentilmente Mike, chinandosi verso di lei. «Come stai?».
Lily annuì più volte ma ancora guardava a terra e non riusciva a parlare. Deglutì.
«Sto bene» mentì. Poi alzò lentamente gli occhi su di lui che la vide aggrottare le sopracciglia con sospetto. Accanto a lui James si torturava le mani e fissava la ragazza, come se si stesse trattenendo dal fare o dire qualcosa.
«Sicura di stare bene, sorellina?» chiese nuovamente Michael. Lily, per un solo e brevissimo istante, sembrò terrorizzata. La ragazza annuì di nuovo e si alzò, tremando leggermente.
«Dove vai?» chiese Mary, cercando di tenerla seduta perché non si sforzasse.
«In bagno» rispose Lily, scansando l’amica e uscendo dallo scompartimento.
Emmeline si alzò, con aria preoccupata. «Meglio seguirla».
Mary annuì e, dopo un leggero bacio a Sirius, seguì Emmeline fuori dallo scompartimento.

Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto capire appieno come si sentiva Lily. In un turbine di confusione e paura, la ragazza non riusciva a smettere di ricordare l’orrida presenza dell’Essere che le aveva sussurrato all’orecchio.
«Sono qui».



Hello guys!
Ho, come promesso, pubblicato il prologo di questa mia nuova storia, di cui, probabilmente non si capisce un accidente. Ma tranquilli: tutto nella norma.
Come anticipato sin dal titolo, la protagonista di questa fanfiction è la dolce, cara e a volte letale Lily Evans. Anticipo che non ho mai scritto dal punto di vista di ragazze (anche se in terza persona, il punto di riferimento è sempre Lily) pertanto chiedo già ora perdono al vasto pubblico femminile di questo fandom. Le cazzate le faccio, per cui aspettatevele.
Voglio dirvi qualcosa che sarà particolarmente essenziale per capire questa fanfiction: questa storia è ambientata in uno degli universi paralleli di cui parlo anche nella mia altra fanfic, The Storytellers. Pertanto, troverete molte discordanze dall'universo del nostro Harry Potter e anche da quello di The Storytellers.
Ciò che vi potreste chiedere è: perché ambientare la storia in un universo parallelo? La cosa è molto semplice e potrebbe far storcere il naso ai più: per avere più libertà nella scrittura. La storia che voglio scrivere, infatti, avrà dei risvolti che la staccheranno molto dall'Harry Potter che conosciamo (non vi anticipo nulla) e che possono essere, se non spiegati, perlomeno accettati con la localizzazione in un altro universo. Ergo: tutto ciò che verrà narrato in questa storia non avrà influenze sull'universo Potteriano che conosciamo (chiamiamolo Universo R, come "Rowling"), ma solo su questo, l'Universo W (da Wonderland).
Altra e ultima cosa: perché Wonderland? Che c'entra il Paese delle Meraviglie? Quasi un tubo, in realtà. Semplicemente, uno dei temi centrali (sta a voi capire quale) l'accomunerà alla splendida storia di Carroll e molti personaggi e situazioni ne conterranno riferimenti.
Direi, quindi, di concludere qui questa premessa più lunga dell'intero capitolo.
Ciò che avevo da dire, credo, l'ho detto, ma se avete altre domande fatele pure.
Spero che questo capitolo introduttivo, e molto incasinato, vi sia piaciuto. Vi pregherei di lasciare una recensione, anche piccola, per farmi sapere cosa ne pensate della storia e se, per voi, potrebbe uscirne qualcosa d'interessante.
Con affetto,
hufflerin

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fragment I - Nightmares and memories ***


I
~Nightmares and memories~




Era chiusa da ormai una ventina di minuti nel bagno dell’Espresso e non aveva alcuna voglia di uscire, né di parlare con Em e Mary. Poggiata con i gomiti sui bordi del lavandino, osservava l’acqua scivolare giù nello scarico, mentre altra ne gocciolava dal volto bagnato. Aveva provato a lavarsi, cercando di far scivolare via le preoccupazioni insieme al sudore appiccicoso, ma non era servito a nulla. Per tutto il tempo aveva evitato di alzare lo sguardo per incontrarlo nello specchio sulla parete, temendo di vedere l’onirica creatura mentre all’orecchio le sussurrava «sono qui». L’orrendo incubo insieme a ciò che aveva visto nello scompartimento erano riusciti a metterla K.O.
«Sorellina»? Da quando in qua esisteva qualcuno che la chiamasse in quel modo? Neanche Petunia si era mai sognata di farlo (non che Petunia l’avesse mai chiamata in un modo lontanamente affettuoso, in realtà). Neanche Remus, che aveva iniziato a considerare al pari di un fratello, l’aveva mai fatto. Quando aveva sentito quella parola, era rimasta pietrificata. Alzando lo sguardo aveva incrociato quello di un perfetto sconosciuto che la guardava, preoccupato.
Ancora adesso il volto del ragazzo faceva a gara con il sussurro dell’Essere
«sono qui»
nei suoi pensieri. La testa le doleva al solo tentativo di estrarre un po’ di ordine da quel caos. Tutto ciò che sapeva era che si trovava nello scompartimento con i suoi amici (sia vecchi che nuovi) e, reduce dalla faticosa estate, si era addormentata dopo il giro di ronda insieme a James in quanto nuovi Caposcuola. E fin qui nulla di strano, se non l’aver cominciato a chiamare il Grifondoro con il suo nome. Poi c’era stato l’incubo, così spaventoso, così impossibile, così terribilmente vero. Al risveglio, tutto sembrava essere esattamente come prima, se non fosse stato per la comparsa di un ragazzo che non aveva mai visto prima.
Ciò che l’aveva fatta andare nel pallone (oltre a come era stata chiamata) era stato che nessuno, oltre lei, sembrava sorpresa della sua presenza. Per questo era fuggita, senza dir nulla, cercando di riordinare le idee.
Quel ragazzo… le era totalmente sconosciuto eppure le era familiare. Ne aveva riconosciuto i capelli, biondi come quelli di Petunia, gli occhi, verdi come i suoi, e i tratti, così simili a quelli di suo padre. Eppure… se avesse avuto un fratello l’avrebbe saputo, no?
E dire che quell’anno aveva deciso di cominciarlo con i migliori propositi: neanche era arrivata a scuola e già sentiva di essere impazzita. Cosa ancora più strana, i Malandrini non c’entravano nemmeno. O forse…? No, ne era sicura: non era da loro fare scherzi del genere, soprattutto agli amici.
I suoi pensieri vennero interrotti da un improvviso bussare sulla porta.
«Occupato» disse d’istinto, senza alzare lo sguardo.
«Lily, la cosa sta diventando ridicola» la voce di Mary le arrivo dall’altra parte. «Esci».
Lily scosse la testa, senza ricordarsi che l’altra non poteva vederla.
«Ti do due minuti e se non esci sfondo la porta» disse Mary, perentoria.
La ragazza ridacchiò fra sé. Perlomeno Mary era sempre la stessa.
«Okay» rispose Lily. Poiché la voce non le uscì, lo ripeté, cercando di farsi sentire dall’altra parte della porta. Mary non disse più nulla.
Lily sorrise al nulla, chiudendo gli occhi. Mary aveva sempre avuto un potere in qualche modo calmante su di lei. Anche quando (e a volte succedeva) la istigava al litigio, una volta finito tutto si sentiva immensamente grata alla ragazza per averla fatta sfogare. A dirla tutta Mary aveva dei modi un po’ bruschi, ma sicuramente efficaci.
Si diede un’altra frettolosa sciacquata al volto e lo asciugò con un colpo di bacchetta. Poi lanciò un’occhiata esitante allo specchio. Si considerò abbastanza presentabile e aprì la porta del bagno. Fuori, ad aspettarla, c’erano Mary ed Emmeline, entrambe a braccia incrociate e lo sguardo imbronciato. Sembravano incredibilmente simili a sua madre nelle rare volte in cui la sgridava.
«Possibilità che me la cavi con uno “sto bene”?» chiese, speranzosa. Mary inarcò un sopracciglio. «Afferrato…».
«Allora?» chiese Emmeline, preoccupata.
«Allora cosa?».
«Quando pensavi di dircelo?» fece Mary, più esasperata rispetto all’amica.
«Dirvi cosa?».
«Degl’incubi, idiota!» concluse Mary. Lily sobbalzò e sgranò gli occhi. Poi si guardò intorno, notando che erano proprio nel mezzo del corridoio, fortunatamente ancora deserto. Prese le due amiche per le braccia e le condusse in uno scompartimento pieno di Corvonero del Secondo Anno.
«Fuori dalle scatole per dieci minuti» ordinò. Quelli si limitarono a guardarla, sprezzanti. «Sono una Caposcuola, una parola e faccio cominciare l’anno a Corvonero con zero punti».
I ragazzini mormorarono imprecazioni ma uscirono dallo scompartimento, obbedienti.
«Sai, penso che ci farai comodo durante quest’anno» constatò Mary, sbalordita ma contenta. «L'amicizia con James ha scatenato il tuo spirito ribelle?»
«Come sapete degli incubi?» la ignorò Lily, poi si rese conto delle proprie parole. «Che ne ho fatto più di uno, intendo».
Mary aprì la bocca, evidentemente per cominciare un discorso su quanto inutile fosse quella domanda eccetera eccetera, ma Emmeline la interruppe.
«Mike era preoccupato» spiegò. Lily sentì il sangue gelarglisi nelle vene. Aveva saputo il suo nome. «Ha detto che fai continuamente incubi e ci ha chiesto se ne sapevamo qualcosa».
«E voi che avete detto?».
«Che non ne sapevamo niente, diamine! E avremmo dovuto saperlo, invece!» replicò Emmeline. «Perché non ce l’hai detto?».
«E torniamo all’inizio» mormorò Mary a denti stretti. Emmeline le lanciò un’occhiataccia.
«Sentite» cominciò Lily, non sapendo con esattezza cosa dire. Il pensiero di Mike le ronzava ancora nel cervello. «Sono solo incubi, non volevo farvi preoccupare e…».
«Oh, falla finita!» esclamò Mary, sorprendendola. «Dopo quello che è successo prima vuoi ancora farci credere che non sia successo niente?».
Lily cominciò ad alterarsi. «È la verità, Mary!» quasi urlò. «Non è successo niente! Ho cominciato ad avere incubi da un giorno all’altro! Forse sono stressata, o magari sono pazza, ma so per certo che non è successo niente!».
Ma Mary non demordeva. «E allora perché non ce l’hai detto?».
Lily non seppe come replicare. Forse non aveva voluto mostrarsi debole davanti alle amiche, come tuttavia aveva già fatto più volte. Tre parole le si presentarono nella mente, parole che aveva appena detto: “magari sono pazza”. Era stato talmente facile dirlo che poteva anche essere vero.
Emmeline sembrò addolcirsi, forse indovinando parte dei suoi pensieri. «Puoi dirci cos’è che ti spaventa tanto?».
Lily la guardò senza capire. «Di che…?».
«Quando ti sei svegliata sembravi terrorizzata» spiegò Mary, con toni molto più pacifici dei precedenti. Lily si passò una mano fra i lunghi capelli rossi, senza sapere bene cosa avrebbe potuto dire. Sospirò e decise di raccontare tutto il sogno. Cercò di sembrare il meno folle possibile mentre parlava.
«Inquietante» concordò Emmeline, con un sopracciglio inarcato. Mary non sembrava molto convinta.
«C’è dell’altro, vero?» chiese, come se sapesse già la risposta. Lily la guardò con aria confusa.
«No, il sogno è tutto qui» disse.
«Allora è qualcos’altro che non riguarda il sogno» replicò la ragazza, pienamente convinta delle proprie parole. Lily guardò Mary ed Emmeline, interdetta. Em sembrava confusa quanto lei.
Lily pensò immediatamente a Mike.
Stava per dire di non sapere cosa Mary intendesse, quando la porta dello scompartimento si aprì. Quello che a quanto pare era Michael Evans si affacciò all’interno con aria costernata. Lily si sentì paralizzare.
«Scusate il disturbo» disse, cauto, per poi rivolgersi alla sorella. «So che non è un bel momento ma qui fuori ci sono dei ragazzini che vogliono denunciarti per abuso di potere e… credo sia meglio che vi sbrighiate. Fate con calma, eh! Però magari non troppa…».
Mary chiuse la porta dello scompartimento di scatto, quasi decapitando il ragazzo, che esclamò un indignato «Ehi!». Poi osservò con attenzione Lily, ancora pietrificata.
La ragazza aveva voglia di aprire la porta e urlare in faccia a quel Mike «chi diavolo sei?», ma riteneva di dover affrontare quell’argomento con lui in privato. Perlomeno non l’avrebbero rinchiusa in manicomio dopo mezzo secondo…
Mary, tuttavia, era di tutt’altro avviso.
«Che problema c’è con Mike?» chiese, osservandola attentamente. Lily sgranò gli occhi per la sorpresa.
«P-problema?» sentirsi balbettare fu orrendo, ma sembrava aver perso la capacità di parlare correttamente. «Non c’è nessun profeta… voglio dire: problema!».
Dislessia portami via, pensò, piena d’imbarazzo.
Mary alzò gli occhi al cielo. «Sei una pessima bugiarda. Non serve Sherlock Holmes per notare che quando Mike è entrato sembrava avessi guardato un Basilisco negli occhi!».
Emmeline annuì, convinta. Poi aggrottò le sopracciglia. «Come conosci Sherlock Holmes?».
Mary la fulminò con lo sguardo per tornare a rivolgersi a Lily. «Vuoi dirci, per l’ultima volta, cosa c’è che non va?».
Lily guardò a terra, senza sapere cosa dire: temeva che le amiche l’avrebbero creduta pazza. Non disse nulla, cercando di riordinare le idee e scegliere le parole con attenzione ma senza che le venissero idee decenti.
Emmeline interruppe il silenzio, trovandole una scappatoia.
«Credo che dovremmo andare» disse, sotto lo sguardo scioccato e infuriato di Mary. «I ragazzini stanno rompendo e fra un paio d’ore saremo a Hogwarts» indicò il sole che tramontava fuori dal finestrino. «Lily può raccontarci tutto dopo cena, in stanza».
Mary soppesò l’idea e infine annuì. Poi sorrise con malignità, rivolta a Lily. «Non credere che ti darò un’occasione per scappare, Rossa. Ti troverò ovunque tu vada».
Uscì dallo scompartimento mentre Lily le faceva la linguaccia, per poi lanciare un’occhiata piena di gratitudine ad Emmeline, che sorrise. Lily sapeva che Mary aveva le migliori intenzioni, ma a volte era davvero troppo diretta, non capiva quando una persona aveva bisogno di tempo.
Tornarono allo scompartimento dei Malandrini senza degnare i Corvonero di uno sguardo e ignorando le loro invettive poco fantasiose. Mike, che le aveva aspettate fuori, tornò con loro senza dire una parola, ma continuando a lanciare occhiate preoccupate verso Lily, che evitava ostinatamente il suo sguardo.
Quando entrarono, trovarono i ragazzi “impegnati” in una conversazione. Era evidente a tutti che avevano cominciato a parlare solo dopo averli sentiti avvicinarsi.
«Come stai?» aveva chiesto quasi timidamente James, senza farsi notare dagli altri che avevano ricominciato a parlare come se niente fosse accaduto. Lily sorrise, apprezzando lo sforzo che, lo sapeva, il ragazzo stava facendo e mormorò un «Bene» che sembrò vero perfino a lei stessa. James sorrise mentre la ragazza si sedeva accanto a lui.
Per gran parte del tempo Lily restò in silenzio, ascoltando di tanto in tanto ciò che dicevano gli altri. Ogni tanto qualcuno, specialmente James ed Emmeline, tentavano di farla entrare nella conversazione, ma lei ne usciva dopo poco. Nessuno accennò ai suoi incubi, sebbene sapesse che ormai tutti ne erano al corrente.
Cercando di non pensare a Mike e all’incubo fece vagare la mente per altre vie, pensando soprattutto, forse perché era proprio lì vicino, a ciò che si erano detti lei e James alla fine dell’anno precedente. Il sesto era stato per lei un anno relativamente tranquillo, seppure ci fossero Mangiamorte un po’ ovunque nella scuola, ma fa niente. James, dopo la sua violenta sgridata alla fine del quinto anno sembrava aver cominciato a cambiare e Lily aveva anche cominciato ad apprezzare gli scherzi che il suo gruppo faceva (ora un po’ di meno in numero ma più divertenti, a parer suo). Nell’ultimo mese del sesto anno, in cui Lily aveva toccato il record di zero imprecazioni contro James Potter, la ragazza si era dichiarata pronta a riconsiderare il Malandrino. Da quel momento, si dichiararono “quasi amici”, ripromettendosi di cominciare con il piede giusto l’anno successivo. Lily si fece solo promettere di farla finita con gli inviti ad Hogsmeade urlati per tutto il castello, che ancora, di tanto in tanto, avvenivano.
Lily guardò il ragazzo accanto a sé, pensando che stavano davvero cominciando bene, nonostante il ragazzo sembrasse sforzarsi di trovare le parole giuste ogni volta che le si rivolgeva. Adesso però, avrebbe dovuto vedere come si sarebbe comportato durante le ronde notturne. Si dà il caso, infatti, che James Potter (Malandrino, combina-guai cronico, giocatore di Quidditch a cui era stato dedicato un pateticissimo fan-club pieno di ragazze con gli ormoni a mille*) era stato in un modo che, secondo Sirius, comprendeva un Elfo Domestico, mille Galeoni e una graffetta, nominato Caposcuola. Quando le era arrivata la lettera da parte di James che la informava della notizia non sapeva se esserne felice. Mike, invece, si era rotolato dalle risate.
Eh?
Per poco la ragazza non diede un urletto, ma riuscì a trattenersi e a non manifestare alcuna emozione (insegnamenti della coach Mary). La testa le aveva cominciato a dolere tremendamente ma, non volendo far sì che gli altri se ne accorgessero, non si mosse. Nella sua mente stava avvenendo una vera e propria battaglia: due versioni della stessa scena le si ripresentavano nel cervello, una in cui Mike rideva, un’altra (a cui credeva di più) in cui era da sola e rileggeva la lettera.
Dopo che la sua testa cominciò a fumare decise di lasciar perdere la cosa, per il momento, e parlarne con le altre in dormitorio. Prima non sapeva ancora se raccontargli ciò che le stava accadendo. Ora capiva che doveva.
Ma, ovviamente, la “decisione di non pensare” portava soltanto a “il pensiero non sembra essere d’accordo”, quindi le sembrava di avere la testa piena di animaletti ronzanti. La fine del viaggio alla stazione di Hogsmeade riuscì a distrarla abbastanza da portare la sua mente dallo stato “stressato” a “un po’meno stressato”. Sempre meglio di niente.
Durante la camminata fino alle carrozze riuscì a rimanere concentrata sul passare integri fra la folla. Le ragazze presero una carrozza tutta per loro, lasciando l’altra ai Malandrini. Per il breve tratto di viaggio, nessuno parlò, sebbene si vedesse che Mary moriva dalla voglia.
Poi ci fu lo Smistamento (noioso: la testa ricominciò a fumare) e la cena (fantastica: nessun pensiero, solo cibo). L’unica nota rilevante fu la presentazione del nuovo (nonché ennesimo) insegnante di Difesa: Gregor Hamilton, un uomo sui quaranta che, si diceva, fosse un auror che aveva preso un anno sabatico per insegnare ad Hogwarts sotto richiesta di Silente. Infine la scalata.
Ogni anno era sempre uno strazio riabituarsi a fare mille chilometri di scale al giorno e la salita dopo cena era per Grifondoro e Corvonero qualcosa di terrificante. Arrivati davanti al ritratto della Signora Grassa, chi morto chi quasi, pronunciarono la parola d’ordine («Grifone», piuttosto banale) e si diedero subito la buonanotte, per dirigersi nei dormitori, sistemare la camera e dormire. No, non è vero: nessuno avrebbe dormito quella notte, probabilmente, ma almeno i buoni propositi c’erano. Le ragazze, specialmente, avevano ben altro in mente.
Le tre Grifondoro erano rimaste in silenzio mentre sistemavano la propria parte di stanza. Persino Mary non sapeva bene come iniziare il discorso.
«Non so chi sia» disse finalmente Lily, con tono neutro, mentre sistemava alcuni dei suoi vestiti nei cassetti del comò accanto al letto. La sua “postazione” era a destra della camera, opposta a quella di Emmeline: il primo giorno di scuola, Mary, con aria da bulletta prepotente, aveva reclamato a gran voce il suo possesso sul letto centrale; alle altre due non fregava niente, quindi la lasciarono fare, deludendo la bionda non poco. «Mike, intendo. Non l’ho mai visto prima».
Era girata di spalle, quindi non vide le reazioni delle due amiche.
«Lily» fece Emmeline, cauta. «Mike è tuo fratello».
«Sembrerebbe di sì» commentò freddamente la Caposcuola.
«Ma come “sembrerebbe”?» replicò Mary. «È il tuo gemello! Siete nati insieme! Al primo anno stavate quasi sempre appiccicati!».
«Mary…» la richiamò Emmeline, aggrottando le sopracciglia. Lily si girò di scatto, l’espressione fra il furioso e il disperato.
«Ah, ma davvero? E allora perché non lo ricordo? Perché so per certo di avere una sola e unica sorella che, tra parentesi, mi odia» esclamò la ragazza.
Mary ed Emmeline la fissarono, ammutolite.
«Quest’estate James mi ha mandato una lettera in cui mi ha detto di essere Caposcuola…» proseguì, meno arrabbiata ma molto più distrutta.
«E?» chiese Emmeline, timidamente.
«Ho ripensato al momento in cui l’ho letta, nel treno. Sono sicurissima che Mike non ci fosse, perché lui non c’è mai stato, eppure ricordo due versioni diverse» disse, non riuscendo più a proseguire e con una voglia incredibile di strapparsi il cervello e metterlo a dormire in un cassetto, in modo da non dover più pensare a qualsiasi cosa.
«Una in cui c’è e un’altra in cui non c’è, giusto?» chiese Mary, molto più calma di quanto era stata in tutta la giornata. Lily annuì, sedendosi sul letto con un leggero tonfo e mettendosi in posizione fetale. Emmeline si sedette accanto a lei, cingendole le spalle con un braccio, mentre Mary si sistemava a terra davanti a loro con le gambe incrociate.
«Perché non l’hai detto?» chiese Mary, addolcita. Lily rise, tetra.
«Secondo te?» fece la ragazza.
«Dovresti parlarne con Mike» consigliò Emmeline.
«E poi mi sbattono in manicomio» borbottò la ragazza, le labbra poggiate sulle braccia incrociate.
«Eh?» fece Mary, inclinando leggermente la testa. Quella posizione l’aveva presa dal suo ragazzo.
«Niente».
«Come ti pare» continuò la ragazza. «Ma credo che Em abbia ragione: al momento lo conosciamo meglio di te, da quanto ho capito, quindi possiamo dirti che ti ascolterà e ti darà una mano».
«Non so…» mormorò Lily, chiudendo gli occhi e cercando di capire cosa avrebbe dovuto fare.
«Fa come credi, ma ricordati che è pur sempre tuo fratello» disse Emmeline.
Lily annuì ma rimase in silenzio, non volendo replicare. Le frasi che le erano venute in mente erano tante, ma tutte forse troppo scortesi da dire ad alta voce alle proprie amiche. Rimasero per qualche minuto in silenzio, poi ognuna cominciò a prepararsi per andare a letto. Non si erano mai addormentate così presto ma la strana situazione aveva fatto venir voglia di far finire la giornata il prima possibile.
Mentre Lily si stendeva sotto le coperte e chiudeva le tende del baldacchino, sperò intensamente di ricordarsi di Mike la mattina successiva. Oppure che fosse sparito nel nulla. In ogni caso, la situazione si sarebbe risolta.
«Forse sono pazza» ripeté sotto voce a se stessa, spegnendo la luce con un gesto della bacchetta. La posò sul comodino e si girò dall’altro lato. Chiuse gli occhi con la certezza che avrebbe presto rincontrato l’Essere sussurrante.
«Forse sono davvero pazza» mormorò ancora, assopendosi.





*Perché senza ‘sta roba non sarebbe una vera Jily, no?



Hello guys!
Mi spiace di aver pubblicato così tardi questo capitolo, ma ho avuto dei problemi con la trama che sono riuscito a risolvere solo oggi, con il tempestivo (e tempestoso... eh?) aiuto di Clare, una cara amica che sopporta con pazienza i miei sproloqui vanitosi e implacabili. Thank you very much, Clare!
Non credo ci sia molto da dire su questo capitolo, se non che ho cambiato titolo millanta volte perché non riuscivo a trovarne uno che mi sembrasse davvero adatto. E neanche questo è proprio fantastico, ma meglio di altri.
In generale, penso sia tutto abbastanza chiaro: questa nostra Lily dell'Universo W si risveglia dal suo incubo un po' particolare e si ritrova davanti Mike, un ragazzo che boh. Emmeline e Mary, le sue migliori amiche, vengono quindi a conoscenza della situazione e non si risolve una ciofeca. Nel prossimo capitolo si entrerà davvero nel vivo della storia (questo e il Chapter 0 sono in realtà solo d'introduzione).
Nell'asterisco ho fatto riferimento alla "Jily". Questo non perché la storia sia completamente incentrata su quella coppia, ma perché avendo Lily come protagonista sarà inevitabile parlare del loro rapporto.
Come avrete notato, alcuni personaggi sembrano essere assenti nella storia. In verità i personaggi sono tutti presenti, ma (essendo un universo parallelo) possono essere sistemati in modo diverso. Non chiedete, non vi dirò che fine hanno fatto certi personaggi perché queste saranno cose che "rivelerò", magari semplicemente con accenni, durante gli altri capitoli.
Passo quindi a ringraziare tutti coloro che hanno letto il precedente capitolo, in particolar modo 16th che ha anche recensito, cosa che invito a fare a tutti i lettori per farmi sapere se apprezzano o no questo mio delirio (sì, delirio è proprio la parola giusta, Clare può confermare) e se la fanfiction s'ha da tenere in vita o è meglio metterla nel sottoscala ad ammuffire insieme ad Harry e Babbo Natale (no domande, please).
Spero vivamente che la storia vi stia interessando e piacendo.
A presto,


hufflerin

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Fragment II - Vanishing words ***


II
~Vanishing words~




Svegliarsi la mattina successiva fu una sorta di trauma. Due parti ben distinte della sua mente lottavano all’ultimo sangue: una urlava a gran voce di non volersi muovere da quel letto, un’altra le diceva che doveva alzarsi e andare a lezione. C’era da dire che, perlomeno, l’incubo di turno era stato piuttosto leggero ed era riuscita a dormire molto di più rispetto a quelli che ormai erano i suoi standard (che si aggiravano fra le tre e le quattro ore).
Lily dovette reprimere con molta (ma davvero molta) fatica la prima parte e alzarsi dal letto, seguendo il suo innato senso di responsabilità. Senso che malediceva un giorno sì e l’altro pure. A volte aveva quasi ammirato i Malandrini, in particolare James e Sirius, che sembravano esserne assolutamente privi. La vita era più semplice, senza la responsabilità. E la responsabilità stessa le diceva che invece doveva essere grata di averne. Fantastico, sveglia da meno di un minuto e già con il cervello partito per la tangente.  
Si diresse barcollando verso il bagno mentre Emmeline già si vestiva (a occhi chiusi) e Mary ronfava. Prese a lavarsi il volto, cercando di svegliarsi con l’acqua fredda, quando sussultò guardando nello specchio. Non fu la sua immagine a spaventarla (sebbene non fosse proprio in forma, considerate le notti in bianco che aveva avuto), bensì una scritta, apparsa solo per un battito di ciglia. Spalancò gli occhi quando, riaprendoli, i caratteri rossi erano spariti nel nulla.
«Non».
Petunia, da bambine, le aveva detto che i fantasmi scrivevano frasi minacciose sugli specchi delle loro vittime (chissà in che film di serie B l’aveva visto…), ma “non”… Non significava assolutamente nulla. E, certamente, non erano stati i fantasmi. Forse Pix, ma sapeva che non era tipo da scherzi del genere: ai Poltergeist piaceva il divertimento istantaneo e infantile; il loro “umorismo” (si fa per dire) era da bambini, non da sadici. O meglio, non con il tipo di sadismo che spinge a scrivere parole incomprensibili ed evanescenti.
Rimase immobile per qualche istante, perplessa, e arrivò all’unica spiegazione logica possibile: se l’era immaginato.
Finì di lavarsi piuttosto velocemente e, quando uscì, non fece parola con gli altri di ciò che credeva di aver visto. Già non ricordava nulla di suo fratello, con le allucinazioni l’avrebbero mandata a farsi curare.
Indossò la divisa e, con l’aiuto di Emmeline, trascinò una ribelle Mary giù per le scale.
«Non voglio andare a scuola!» piagnucolò la ragazza per la centesima volta.
Le altre la ignorarono. Avevano finito le risposte sensate ed era faticoso inventarne altre, considerato che neanche loro erano felici di iniziare le lezioni. Hogwarts era bellissima e tutto quanto, ma lo studio è sempre pesante. Inoltre erano all’ultimo anno, e già temevano la marea di compiti che gli sarebbe arrivata.
Quando arrivarono in Sala Comune, trovarono i Malandrini, appena scesi dalle scale. James e Sirius erano davanti e avevano la bacchetta di Remus (che mostrava un graffio sulla guancia e un’aria decisamente minacciosa) puntata sulla schiena. Mike seguiva gli altri con enorme pigrizia, muovendosi quasi per inerzia.
Sirius approfittò della loro entrata per scappare da Remus e andare a salutare Mary. Gli altri tre le salutarono con un semplice cenno della mano che venne ricambiato.
Mentre scendevano per la scalinata, Lily osservò suo “fratello” da dietro, senza ascoltare nemmeno una parola di come James e Sirius avessero assalito Remus quando questo aveva provato a svegliarli.
Emmeline le posò una mano sulla spalla e le sussurrò «Sta’ tranquilla». Lily le sorrise, riconoscente, ma provava comunque una leggera morsa intorno allo stomaco. Mary continuava a parlare con i ragazzi, passando da un discorso a un altro per coinvolgere tutti e lasciare Lily in pace almeno all'inizio della giornata.
Sedersi al tavolo di Grifondoro fu particolarmente rilassante. Era circondata da persone che conosceva e amava (una esclusa, ma ci avrebbe lavorato) e l’atmosfera perennemente briosa della tavolata riusciva ad eliminare la tristezza da primo giorno. E poi c’era il cibo, e anche quello non è che fosse male.
Mary, James e Sirius avevano intavolato una discussione sul Quidditch. James era diventato Capitano, quell’anno, e stavano facendo i conti su come avrebbe potuto essere la squadra e quando sarebbero iniziati i provini. Remus ed Emmeline, affatto tifosi, parlavano di qualche libro letto durante le vacanze. Lily aveva notato alcuni sguardi che il ragazzo mandava al tavolo dei Tassorosso e sorrideva di nascosto.
«Com’è andata stanotte?» chiese una voce accanto a lei. Lily sobbalzò leggermente. Aveva evitato per tutto il tempo anche solo di guardare Mike, ma dopotutto era suo fratello, era impossibile che non avrebbe provato a parlarle.
«Bene» rispose lei, atona.
«Quindi niente incubi?» insistette lui. Era evidente che non le credeva. Lily arrossì leggermente senza neanche saper bene il perché.
«Niente incubi». Mike sospirò, scuotendo la testa.
«Sei pessima a mentire» le disse. Lei si voltò a guardarlo negli occhi, in parte offesa. Era la prima volta che lo faceva da così vicino e incontrare quello sguardo identico al suo le fece quasi male.
«Non è assolutamente vero!» replicò lei, piccata.
Mike, tuttavia, la guardò con scetticismo. «So quando menti. Siamo nati lo stesso giorno, ricordi? Ho avuto un bel po' di tempo per imparare a farlo».
Lily s’incupì e distolse lo sguardo.
«Non voglio parlarne» disse, secca. Forse fu un po’ troppo fredda, perché Mike inarcò le sopracciglia e torno a mangiare, forse un po’ offeso. Lei fece finta di nulla e continuò a bere il proprio succo di zucca.
Quando la McGranitt passò per consegnare gli orari, la situazione era ancora quella e Lily quasi non si accorse che la professoressa era arrivata, persa nei propri pensieri e indecisa se seguire i consigli di Emmeline e Mary (di certo, non aveva iniziato nel migliore dei modi la sua relazione con Mike).
«Tutto bene, signorina Evans?» le aveva chiesto l’insegnante mentre le consegnava l’orario. Lily aveva annuito, sorridendo timidamente. La professoressa sembrò, per un istante, voler dire qualcosa, ma si limitò a continuare la consegna degli orari dei Grifondoro.
«Pozioni con i Tassorosso» commentò Remus, scorrendo la lista del giorno. «poi Trasfigurazione con i Corvonero…».
«E doppia di Erbologia con i Serpeverde» si lamentò James.
«Poteva andarvi peggio» commentò Emmeline, sistemando l’orario nella borsa. Sia lei che Lily, Remus e Mike avevano Rune Antiche invece di Erbologia.
«Ma anche molto meglio!» replicò il Malandrino, passandosi la mano fra i capelli, sovrappensiero. Nonostante il cambio che aveva avuto durante il sesto anno, quella sorta di tic gli era rimasto.
«E proprio tu ti lamenti?» borbottò Sirius. Gli altri ridacchiarono. Tutta la scuola era a conoscenza dell’avversione che Sirius aveva per l’Erbologia, nonché per l’avversione che l’Erbologia aveva per Sirius. Aveva deciso di continuare il corso solo perché anche Mary lo aveva fatto, trascinando James con lui. Gli altri erano sicuri che se ne sarebbero pentiti amaramente, ma Sirius era stato veramente testardo.
«Certo! Io neanche volevo farla, Erbologia!» esclamò James, irritato. L’anno precedente era iniziato allo stesso modo.
«Bugiardo!» replicò Sirius. «Sei tu che mi hai detto che mi hai proposto l’idea!».
«Sì, e poi ci ho provato con la Sprite» fece l’altro, sarcastico. Remus ghignò.
«No, ci hai provato con la McGranitt» disse. James arrossì violentemente e gli altri Malandrini risero, mentre le ragazze si scambiavano sguardi confusi.
«Mike mi ha stregato!» replicò il ragazzo, rivolgendosi più a Lily che alle altre, come se si stesse giustificando. Lei gli sorrise, prima di lanciare uno sguardo incerto al fratello.
«Ehi, non guardarmi così! Lui aveva detto alla Tower che mi piaceva e sono dovuto uscire con lei ad Hogsmeade!». Lily rise insieme alle altre. Certo, non conosceva il fratello (e ancora la innervosiva solo incontrare il suo sguardo) ma ricordava alla perfezione Jennifer Tower, Tassorosso del quinto anno. Non proprio brutta, ma davvero molto stupida.
Lily la vide uscire proprio in quel momento, insieme a un nutrito gruppo di ragazzi della sua Casa, fra cui alcuni del settimo anno, probabilmente diretti a lezione. Lily prese la palla al balzo.
«Ma guarda, c’è Marlene» fece, alzandosi e guardando Remus con occhi supplicanti. «Mi accompagni, per favore?».
Remus la guardò, confuso. Era evidente che pensasse che Lily sarebbe anche potuta andarci da sola, ma una pestata di piede da parte di Mike gli fece cambiare idea.
I due si alzarono e Lily si diresse velocemente verso Marlene McKinnon e i suoi due migliori amici prima che questi potessero scappare. Gli altri avevano cominciato ad alzarsi ma lo stavano facendo con molta lentezza, evidentemente per dargli più tempo.
«Ehi, Marlene! Tonks, Minus!» esclamò la ragazza, salutando con la mano il gruppetto.
«Ehilà!» salutarono le ragazze. Peter Minus, un ragazzo timido e corpulento, si limitò a un sorrisetto e a un cenno della mano.
«Ciao…» fece Remus, avvicinandosi al gruppo.
«Ciao!» rispose Ninfadora Tonks, all’istante, e inciampando, non si sa come, sui suoi stessi piedi in un tentativo di camminare e allo stesso tempo rimanere ferma. Remus le diede una mano a non cadere reggendola per un braccio e avvicinandola a sé. Sulle guance di lui si poteva cuocere un uovo e i capelli della ragazza assunsero una violenta sfumatura fucsia.
Dopo essersi scambiate un’occhiata maliziosa, Lily e Marlene cominciarono a chiacchierare del più e del meno, presto raggiunte  da Emmeline.
James, Sirius e Mary, invece, si erano diretti da Jason García, ragazzo del sesto anno di Grifondoro nonché uno dei migliori Cercatori che la squadra avesse mai avuto (almeno secondo la McGranitt), probabilmente a parlare di Quidditch.
Mike chiacchierava allegramente con Minus, che sembrava veramente felice che uno di loro gli avesse rivolto la parola.
Anche se la conversazione con Jason durò poco, i tre continuarono a discutere di strategie per tutto il tragitto verso l’aula, mentre gli altri continuavano a parlottare. Remus e Tonks erano dietro a tutti e chiacchieravano, anche se lui sembrava piuttosto teso. Come secondo i piani della Caposcuola di Grinfondoro, i due avevano finalmente la possibilità di un po’ di privacy (veramente difficile da ottenere se si apparteneva al gruppo dei Malandrini).
Lily pensò che, in fondo, quell’anno non stesse partendo troppo male. Certo, c’erano gli incubi e le amnesie, ma almeno, con un po' di fortuna, quei due si sarebbero messi insieme entro la fine dell’anno. No, non era un’ipotesi, bensì un obbligo. Lei avrebbe fatto in modo che Remus e Ninfadora si fidanzassero. E se da sola non fosse bastata, avrebbe chiesto aiuto a tutta la scuola, anche a Silente in persona.
Remus era il suo migliore amico. Ed era un Lupo Mannaro. Questa condizione lo aveva reso chiuso e, bisognava ammetterlo, anche un po’ depresso. Aveva impiegato anni per dirlo ai Malandrini e ancora di più per svelarlo anche alle ragazze (che, in realtà, ci erano arrivate da sole da un pezzo, ma avevano deciso di non dirglielo). Ma quando era con Tonks si trasformava (cioè, non come con la luna piena ma… oh, insomma, avete capito!). E, si vedeva, anche lei era più che felice di stare con lui. Ma la testardaggine di entrambi era un bel problema…
«Cinque Galeoni che si mettono insieme prima di dicembre» le sussurrò Mike, facendola sussultare leggermente. Lui non ci fece caso: stava guardando i due ragazzi con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
«Andata» rispose Lily, sorridendogli leggermente. Mike si volto verso di lei, che distolse lo sguardo velocemente. Guardare in quegli occhi identici ai suoi le sembrava sbagliato.
Mentre si sedeva in un banco ai primi posti (accanto a Mike per lasciare che Remus si sistemasse con Tonks) Lily sentì tutta la (poca) carica di allegria che aveva ottenuto con l’incontro con la Tassorosso andarsene via, facendola tornare sul pensiero pressante della realtà di colui che aveva accanto.
“Reale”… ancora non riusciva ad accettarlo. Da un giorno a un altro un fratello compariva dal nulla e lei si ritrovava a dover far finta di conoscerlo per paura. Paura di cosa? Paura di qualcuno che non si conosce, paura di essere giudicata pazza perché non ricorda la persona con cui avrebbe dovuto aver condiviso quasi tutta la sua esistenza.
Si ritrovò a non ascoltare nemmeno una parola di quello che Lumacorno diceva sul settimo anno, anche se immaginava non fosse tanto diverso dalle tirate che avevano fatto al quinto. Quando il professore diede loro da preparare la prima lezione dell’anno (la Pozione Rimpolpasangue, la più difficile dell’anno precedente usata come ripasso all’inizio dell’anno successivo… assurdo) lei era ancora imbambolata a pensare a come avrebbe dovuto comportarsi.
Si risvegliò solo dopo che Mike la scosse leggermente, con aria preoccupata.
«Stai bene?» chiese. Lily sorrise spontaneamente, notando quanto il ragazzo sembrava interessarsi a lei.
«Sì, mi sono solo… addormentata un attimo» rispose. La risposta sembrò convincerlo e, dopo un ultimo sorriso, il ragazzo cominciò a concentrarsi sul suo calderone.
Seguire i passaggi della pozione, per Lily, fu piuttosto semplice, nonostante i commenti di apprezzamento di Lumacorno ce la mettessero tutta per distrarla.
Aggiunse i semi di grinzafico e mescolò velocemente in senso antiorario. Alzò la fiamma e cominciò a tagliare le radici di valeriana con cura e rapidità. Gettò i pezzi nel calderone e mescolò nuovamente per alcuni minuti, facendosi venire il tipico irrigidimento del polso e rendendo la pozione del color verde acido previsto.
Gettò per curiosità lo sguardo su ciò che faceva Mike. Era leggermente indietro rispetto a lei, ma solo perché sembrava essere molto più cauto nelle dosi che versava nel calderone. Lily pensò che, se era davvero suo fratello, magari avevano anche le stesse attitudini. Il professor Lumacorno passò più volte davanti al loro tavolo, in genere limitandosi a sorridere con espressione compiaciuta. La ragazza era pronta a scommettere di non essere la sola Evans invitata alle “cenette intime”.
Mike ricambiò il suo sguardo per un secondo, sorridendo leggermente. Lei rispose al sorriso e si riconcentrò sul proprio lavoro, scattando a riparare l’errore che, si rese conto solo in quel momento, aveva fatto versando un po’ troppo sangue di salamandra. Abbassò di corsa la fiamma con un gesto della bacchetta e versò un paio di bacche di vischio essiccate. Aspettò che le bacche assorbissero il sangue in eccesso e le fece levitare fuori dal calderone.
Accorgendosi di essere leggermente in ritardo prese velocemente una manciata di ali di pipistrello in polvere e si preparò a gettarne parte nella pozione. Quando spostò lo sguardo sulla superfice del liquido, sussultò e lasciò andare tutta la manciata dalla mano tesa. Mentre la pozione cominciava a ribollire in modo inquietante Lily cercò disperatamente di ricordare come correggere l’effetto, imprecando sonoramente e facendo sgranare gli occhi al professore, ma la mente sembrava non voler funzionare.
Mike scattò improvvisamente e gettò della lavanda nella pozione, cominciando a mescolare velocemente. Pian piano la pozione smise di sembrare il risultato di uno scherzo dei Malandrini e, a giudicare dal color rosso acceso, era completa.
«Stai bene?» le chiese Mike, per l’ennesima volta in solo un paio d’ore. Lei ansimava ancora per il leggero shock (non era niente in confronto al risveglio sul treno) ma riuscì ad annuire.
«Mi sono solo distratta» rispose. «Tutto qua».
Non volle guardarsi intorno perché sapeva che tutta l’aula la stava osservando ma lanciò un’occhiata ad alcuni tavoli dietro di lei. Emmeline e Mary la guardavano e sembravano entrambe molto preoccupate. Così come James nel banco accanto.
«Uno sbaglio può capitare a tutti, Lily» le disse il professor Lumacorno, facendole l’occhiolino. Lily gli sorrise, cercando di sembrare il più naturale possibile. Dopo pochi secondi la lezione tornò alla normalità.
Lily ringraziò Mike mentre riempiva una fiala con la pozione che, ne era sicura, non sarebbe stata così perfetta se il “fratello” non avesse contribuito. Lui le sorrise con semplicità ma Lily lo vide gettarle occhiate nervose più volte durante il resto della lezione. Ovvero cinque minuti scarsi.
Consegnando la pozione con su scritto il suo nome, Lily sapeva che Lumacorno non avrebbe affatto abbassato il suo voto per l’errore fatto, ma la sua mente era concentrata su cose ben più importanti che la palese imparzialità dell’insegnante di pozioni.
«Parlare».
Era questa la parola che era apparsa, per un brevissimo istante, sulla superficie limpida della pozione e subito cancellata dalla sua mano maldestra. Era stato esattamente come nello specchio del bagno.
Una parte di sé era convinta di avere le allucinazioni. Magari lo stress per gli incubi e la comparsa di Mike le avevano procurato un crollo nervoso o qualcosa di simile. Non sapeva se fosse una cosa anche solo possibile, ma si sentiva abbastanza folle da crederlo.
Un’altra parte, invece, credeva che qualcuno le avesse fatto uno scherzo. Pensò che, tuttavia, nessuno dei presenti nell’aula avesse un motivo per farlo, che lei ne fosse a conoscenza. Dei Grifondoro era più che certa e i Tassorosso non erano quel tipo di persone.
Nonparlare
Poteva essere? In due posti completamente diversi, due parole erano apparse per un battito di ciglia.
Non parlare”. Non che avesse un vero e proprio senso logico, ma sembrava stupida l’idea che non fossero collegate.
«Ehi!». Sentì la presa di Mary sul polso e si bloccò. Emmeline era immediatamente dietro di lei ed entrambe avevano il fiatone. «Si può sapere perché sei scappata?».
«S-scappata?» mormorò Lily, confusa.
«Appena è finita la lezione sei corsa fuori come un razzo» spiegò Emmeline, tenendosi la milza.
«Io… non me ne sono resa conto» disse la rossa, cercando di ricordare i cinque secondi precedenti. «Ero solo un po’…».
«Scioccata, sì, ce ne siamo accorte» concluse Mary al posto suo. «Cos’è successo, Lily? E non dirci che hai solo fatto uno sbaglio. In fatto di pozioni, tu non sbagli mai».
Lily aprì la bocca, cercando di trovare le parole adatte. Quando i Malandrini svoltarono l’angolo e si diressero verso le ragazze.
«Non ora» sussurrò frettolosamente Lily, sorridendo ai ragazzi con disinvoltura.
«Ehi, che è successo?» chiese James, preoccupato, una volta che fu davanti a loro.
«Niente» fece lei. «Dovevo solo…» si guardò un secondo attorno e trovo la scappatoia perfetta. «Andare in bagno. Ora. Vado e torno, giuro!».
E scattò nuovamente, passando la porta a pochi metri da lei, lasciando il povero ragazzo interdetto. Perlomeno sarebbe stata lontana dal fratello gemello fiuta-bugie. Mary ed Emmeline entrarono dopo qualche secondo.
«E voi che scusa avete usato?» chiese Lily, sorridendo alle due.
«Le ragazze vanno sempre al bagno in gruppo, no?» fece Mary, con disinvoltura.
«Non sai mai che pericoli potresti trovare» rincarò Emmeline, avvicinandosi alla ragazza e prendendole le mani con delicatezza. La guardò negli occhi. «Adesso dicci cosa c’è che non va».
Lily sospirò, preparandosi a parlare, mentre il cuore le si allargava per la gratitudine.

«Scusi il ritardo, professoressa» esclamò Lily non appena entrò in classe, subito seguita da Mary ed Emmeline. «Mi sono sentita male».
La McGranitt la osservò per qualche secondo, poi annuì e, togliendo dieci punti a Grifondoro (sicuramente era molto più imparziale di Lumacorno), gli fece cenno di sedersi. Mary si sistemò accanto a una ragazza di Corvonero e le altre due le si sedettero dietro. La professoressa riprese a spiegare il programma che avrebbero svolto durante il loro ultimo anno a Hogwarts.
Mentre Lily prendeva appunti, delle sottili linee d’inchiostro apparvero lentamente sulla carta. Il cuore tornò a pulsare normalmente solo quando riconobbe la grafia tipicamente maschile e vide la firma.
Che succede? – J
Lily sorrise al foglio. Non sapeva bene come funzionasse l’incantesimo, ma immaginava che le sarebbe bastato scrivere lì accanto per far apparire la frase sull’altra pagina. O quello, o James aveva fatto una cavolata.
Nulla, sto bene.
Scrisse con semplicità. Frasi come “che succede” e “come stai” cominciavano a ripetersi un po’ troppe volte in troppo poco tempo.
Pensi davvero che ci caschi? Prima hai detto di dover andare al bagno per poco, poi sei tornata dopo un quarto d’ora e hai detto di essere stata male.
Lily aggrottò le sopracciglia.
Sono stata male mentre ero in bagno.
E perché non sei andata in Infermeria?
Perché è il primo giorno di scuola e non voglio perdere le lezioni!, scrisse, con l’irritazione che cominciava a salire. Poi aggiunse velocemente: Non vedo perché debba giustificarmi con te.
Non devi giustificarti, aveva scritto lui, ma avevamo detto di iniziare da capo, come amici.
Lily poggiò la penna sul foglio ma la rialzò dopo qualche secondo, senza sapere cosa scrivere e lasciando solo una macchiolina nerastra.
Voglio solo darti una mano.
Lily fissò la scritta. Quello che le aveva parlato le sembrava proprio il James Potter che Remus le aveva descritto per anni: impulsivo e magari anche irritante, ma gentile nel profondo. La ragazza sorrise fra sé, chiedendosi quanto si fosse sbagliata nel corso degli anni precedenti.
Quando stette per rispondere, però, due parole le tornarono nella mente: Non parlare. Mary ed Emmeline le avevano detto che probabilmente non era nulla, magari qualcuno voleva farle uno scherzo o aveva visto male. Ma non sembravano affatto convinte e Lily negava categoricamente: come poteva la stessa persona accedere sia al bagno del loro dormitorio che a un’aula sotto la sorveglianza di un professore? Le uniche che avrebbero potuto erano proprio loro tre. E Lily ne era sicura, non erano state le sue amiche, non in un momento così delicato.
Si erano quindi decise a ignorare le scritte, a meno che non ci fosse stato un motivo valido. Nonostante ciò, quel non parlare continuava a rimbombarle nella testa.
Non posso parlartene ora. Domani sera, alla ronda. Va bene?, scrisse. La risposta le arrivò quasi un istante dopo.
Posso considerarlo un appuntamento, signorina Evans?. Ridacchiando, Lily quasi si fece beccare dalla McGranitt ma, per un fortuito momento di distrazione, l’unica a guardarla con aria stranita fu tutta la classe. Arrossendo, Lily tornò al suo foglio.
Assolutamente, scrisse. Aspettò qualche secondo e poi aggiunse, maligna: no.
James si voltò a guardarla male e lei gli fece una smorfia. Lui scosse la testa e tornò a guardare la lavagna, su cui il gesso incantato della professoressa stava scrivendo autonomamente mentre questa cercava di convincere una Corvonero particolarmente riluttante a prendere il topo che avrebbero dovuto Trasfigurare nei dieci minuti di lezione rimasti.
«A quando le nozze?» mormorò una voce scherzosa accanto a lei. Lily si girò verso Emmeline inarcando un sopracciglio. Questa sorrise con malizia e fece un cenno verso il foglio, che Lily si affrettò ad accartocciare e a nascondere nella borsa.
«È solo gentile» borbottò la rossa in risposta. Emmeline alzò le mani in segno di difesa e non disse nulla, ma le rivolse uno sguardo eloquente a cui Lily rispose con un’occhiataccia.
«Lo è da sei anni» mormorò l’altra. Lily le pestò un piede e la conversazione finì lì. Per Emmeline quel topo rappresentò una delle più grandi sciagure del mondo ma per Lily fu relativamente semplice trasfigurarlo in un portamonete, riuscendo a recuperare metà dei punti persi per il ritardo (all’altra metà ci aveva già pensato James, che era riuscito a trasfigurare il topo qualche secondo prima di lei).
Si voltò improvvisamente verso Emmeline e le sussurrò: «Prima penso a Mike e poi a James, okay?».
Emmeline aggrottò le sopracciglia e annuì… poi le ritornò il ghigno malizioso.
«Ma comunque hai in programma di pensare a lui» disse. Lily la fulminò con lo sguardo.
«Zitta e trasfigura il ratto, Vance» intimò lei. Emmeline ridacchiò e, con un buffo saluto militare e un «sissignora», ubbidì. Lily rise a sua volta.
Nessuno rise, però, quando la professoressa assegnò alla classe un tema di cinquanta centimetri per la lezione successiva sulla Trasfigurazione Umana secondo le leggi di Golpalott e Strauss. I commenti furono detti rigorosamente a bassa voce: anche uno solo avrebbe fatto togliere almeno cinquanta punti alla propria Casa.
Non fu sorprendente, quindi, che il ritmo del passo degli studenti del settimo anno fosse molto simile a quello di una marcia funebre.
Mentre Lily camminava verso la Sala Grande, sperando in un pasto tranquillo e senza apparizioni di scritte sibilline e minacciose, qualcuno la afferrò per un polso e la trascinò di scatto nel corridoio affianco. Lei si liberò dalla stretta con uno strattone senza neanche guardare l’“assalitore”.
«Ti avverto: conosco il kung fu!» esclamò con fare minaccioso. Mike le mandò uno sguardo scettico.
«Non è vero» disse.
«Avrei potuto» borbottò lei, incrociando le braccia e arrossendo leggermente. «Cosa vuoi?».
«Quello che ti ho chiesto per tutta la mattina». Mike si avvicinò a lei, sovrastandola nella sua spanna di differenza. «Voglio sapere che diamine ti sta succedendo».
«Nien…».
«Non provare a dire “niente”!» sbottò il ragazzo, infastidito. «Sai che si capisce lontano un miglio quando menti. Mentivi quando hai detto di essere stata male e mentivi quando hai detto che ti eri distratta, a Pozioni».
«E a te che importa?» replicò Lily istintivamente, irritandosi a sua volta. Mike sfoggiò un’espressione offesa molto simile a quella di James che la fece pentire subito.
«Che m’importa?» ripeté. «Pensi che non m’importi se mia sorella sembra essere impazzita di colpo!».
«Impazzita?» chiese Lily, abbassando un po’ il tono. Pensò che, forse, avesse fatto bene a non dirgli nulla. «È questo che pensi?».
«È questo che mi fai pensare, se non mi dici che succede» rispose Mike.
 Lily si morse il labbro e si guardò intorno, come in cerca di una via di fuga. Alla fine del corridoio vide gli altri che stavano parlando come se niente fosse, ma era palese che stessero cercando di ascoltarli.
«Senti…» mormorò. Mike si guardò alle spalle e vide il gruppetto, quindi si avvicinò di un passo, capendo che Lily non voleva che ascoltassero. La ragazza lo apprezzò molto. «Vorrei dirti che mi sta succedendo ma ancora non lo so. Non ne ho la minima idea e preferisco non parlartene finché non avrò almeno qualche ipotesi. O, almeno, qualcuna che non sembri un racconto di Asimov o uno di Poe».
«Fantascienza e horror» commentò Mike. «Mi pare di aver capito che non sia un problema semplice».
«Esatto».
«E c’entro anch’io, in qualche modo».
«Perché?» chiese Lily, aggrottando le sopracciglia.
«Perché puoi parlarne con James ma non con me» rispose il ragazzo, sorridendo. Lei aprì e chiuse la bocca più volte, cercando le parole esatte.
«È… complicato» rispose la ragazza, con un sorrisetto di scuse.
«Mi sembra ovvio: se ti basto io per distrarti mentre fai una pozione e per tardare alla prima ora di Trasfigurazione, allora è davvero complicato!» concordò Mike.
«Oh, quelli non erano a causa tua» lo rassicurò lei.
«E allora per cosa?»
«… è complicato!» ripeté la ragazza, torcendosi le mani per il nervosismo. Mike scoppiò in una risata che presto contagiò anche Lily. Poi Mike poggiò una mano sulla spalla della ragazza.
«Se è davvero complicato, allora potrai dirmelo quando sarai pronta, non insisterò» disse con dolcezza. Lei gli sorrise. «Ma…» Lily aggrottò immediatamente le sopracciglia. «Se credi anche solo per un momento che ti serva un mio aiuto o altro, vienimi subito a chiamare».
«Mike…» fece Lily. «Mi hai fatto venire il diabete».
Il ragazzo si allontanò immediatamente da lei, ridendo.
«Non puoi citarmi Mary in momenti come questo!» esclamò. Lily rise a sua volta.
«Io sono universalmente citabile, Evans» ribatté la ragazza, comparendo lì accanto insieme a Sirius.
«Già, anche in giudizio e come scusa per non aver fatto i compiti di Minnie… o meglio, nel secondo caso posso farlo solo io, per ovvi motivi» confermò il Malandrino, ricevendo uno scherzoso colpetto sulla spalla dalla ragazza. Come Sirius conoscesse espressioni come “citare in giudizio” non venne mai approfondito, e forse è meglio così. «Comunque volevamo sapere se avevate finito. E se non avevate finito, ora lo avete fatto, quindi possiamo tranquillamente andare a pranzo».
«Pranzo? Addirittura? Non ti basta una ciotola di croccantini?» scherzò Mike. Lily e Mary ridacchiarono. Sirius aveva sempre avuto un rapporto particolare con i cani e i Malandrini ci scherzavano in continuazione. O, almeno, quello è il motivo che davano loro. Sirius assottigliò lo sguardo.
«In realtà oggi avrei voglia di qualcosa di più… raffinato. Sai, quelle cose come anatre, fagiani…» replicò il ragazzo. Mike lo guardò malissimo.
«Sbaglio o il nostro Sirius ha voglia di uccelli?» esclamò James, comparendo accanto a lui. Poi ripensò a ciò che aveva detto, mentre gli altri (più Remus ed Emmeline appena arrivati) assumevano una faccia fra lo scandalizzato e il divertito. «Non pensavo avrei mai detto questa frase» disse, per poi guardare Sirius. «Sai, sei veramente un bastardo: illudi Mary nascondendole il vero te stesso. Sirius, questo non si fa!».
Il ragazzo in questione si schiarì la gola, mentre gli altri ridevano. «Remus, potresti ricordare ciò che accadde il ventun dicembre dell’anno domini 1975?».
Remus e Mike risero mentre James passò velocemente dallo sbiancare all’arrossire.
«Si dà il caso che il qui presente James Potter…».
«Remus, chiudi il becco».
«Nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali…».
«Remus, stai andando oltre».
«Si avvicinò ad Andrew Hogan, al tempo Corvonero del sesto anno, e gli chiese…».
«Remus, ti avverto!».
«Di andare da Madama Piediburro con lui a Natale!».
«Oh, porco Salazar!» esclamò Mary, sorpresa quanto le altre due ragazze, per poi scoppiare a ridere. «No, non ci crederò mai!».
«La pura verità, tesoro» ghignò Sirius.
«Ma… perché?» chiese Lily, leggermente sconvolta e, allo stesso tempo, divertita. James arrossì fino alla punta dei capelli in cui, stranamente, non stava passando la mano.
«Era tutto un… piano ben congeniato. Poi è andato a monte, ma sul momento era veramente ottimo» rispose il ragazzo. «E di cui non voglio assolutamente parlare! Certe cose ti sembrano più intelligenti quando sei più piccolo…».
«La Sprite, Hogan… c’è qualcuno con cui ancora non ci hai provato, in questa scuola?» chiese Emmeline. James ghignò, abbandonando l’imbarazzo e tornando Malandrino.
«Gelosa?» replicò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli. Emmeline ridacchiò, arrossendo leggermente e scansandosi, ma Lily dovette sforzarsi dal non fulminarlo con lo sguardo. «In ogni caso, non sono l’unico qui ad aver fatto cose stupide: vogliamo parlare di Remus al terzo anno?».
Il ragazzo sbiancò.
«Non…»
«Ragazzi…» Mike interruppe la lite in arrivo. Gli altri lo guardavano mentre lui alzava gli occhi dal suo orologio da taschino (si sa, tradizione dei maghi al loro diciassettesimo compleanno). «Mi spiace dirvelo ma siamo in guai seri».
«Ovvero?» chiese Lily, preoccupata.
«Abbiamo meno di mezz’ora per pranzare».
Sirius e James fecero la faccia più scandalizzata del loro repertorio mentre Lily malediceva il fratello con il pensiero: dopo tutto ciò che aveva passato in quei due giorni, aveva subito pensato a qualcosa di grave. Lo scatto dei due Malandrini, comunque, le tolse dalla mente qualsiasi pensiero, lasciandole, piuttosto, uno strano giramento di testa.

«James, per i boxer a pois di Merlino, cosa ti è successo?» fece Mike, osservando a occhi spalancati l’amico avvicinarsi con sguardo infuriato, seguito a breve da Sirius, che sembrava si stesse trattenendo dal ridere, e Mary, che stava sfogliando alcune pergamene.
James inarcò un sopracciglio, ma solo per un istante. Il taglio che gli attraversava tutta la guancia fino alla fronte sembrava davvero doloroso. Lily e Remus si chinarono verso la ferita, esaminandola con aria stupefatta. Emmeline si teneva leggermente in disparte: ogni cosa riguardante ferite o altro la nauseava.
James si ritrasse leggermente con aria irritata. Si voltò per fulminare Sirius con lo sguardo.
«C’è che Felpato è un idiota» ringhiò James. Sirius fece spallucce.
«Non è colpa mia! Quella stupida pianta ha provato a colpirmi e tu sei stato troppo lento a schivarla» replicò il ragazzo, tranquillo.
«Ecco: la pianta cercava di colpire te!» esclamò James. «Io che c’entro?».
«Oh, ma dai! Eri proprio vicino a me: era ovvio che ti avrebbe colpito!».
«Mi ha colpito solo perché tu non ascolti mai la Sprite! “Non toccate le loro radici o si arrabbieranno” aveva detto, porca Morgana!».
«Stop!» esclamò Lily, ponendosi fra i due e separandoli. «Finitela!».
«Oh, andiamo, era divertente!» esclamò Mike. Lily, James e Sirius lo fulminarono con lo sguardo contemporaneamente ma lui si limitò a ghignare.
Remus ed Emmeline avevano deciso di comune accordo di ignorare la conversazione (in nome della sanità mentale) e si erano messi a parlottare fra loro di rune e della lezione appena avuta, secondo una politica “io questi non li conosco”.
«Trovato!» esclamò Mary, riemergendo dalle sue carte. James sospirò di sollievo.
«Grazie a Dio» esclamò. Mary sorrise con dolcezza.
«Oh, prego! Ma non chiamarmi così, sai che arrossisco facilmente!» replicò. James la guardò male e lei ridacchiò. «Okay, rimani fermo, l’incantesimo non è semplicissimo ma penso di potercela fare».
«Pensi?».
«Sono una futura Medimaga, cavolo! Dammi un po’ di fiducia!».
«Okay, ma…».
«Zitto e immobile! Adesso… sappi che non mi assumo responsabilità per eventuali effetti collaterali».
«Cosa?».
«Consanescit» mormorò la ragazza, percorrendo velocemente con la bacchetta il segno sul volto del ragazzo che, in uno sprazzo di calda luce dorata, si chiuse rapidamente.
James si tastò la guancia.
«Wow, è guarito!» esclamò.
«Mi sembra ovvio, l’ho fatto io» ribatté la ragazza, con una finta sicurezza arrogante. Si guardò intorno. «Peccato che non ci fosse Silente nei paraggi, sarebbero stati cento punti assicurati».
«Quello vale solo per mio figlio, Mary» disse Lily, sospirando. E non aveva tutti i torti… Aspetta! Cosa?
«Però quella cicatrice ti donava, Ramoso» commentò Sirius. James aggrottò le sopracciglia.
«Dici?» chiese.
«Ma sì! Ti dava un’aria da macho» replicò l’altro, per poi estrarre la bacchetta. «Se vuoi te la rifaccio».
James estrasse la propria e guardò Sirius con aria di sfida. «Provaci e ti sterilizzo».
Remus sospirò e si diresse a passo lento verso i due, per poi assestargli due scappellotti sulle nuche. I due lo guardarono, sorpresi.
«Fatela finita» ordinò. «Mettete via le bacchette e fate la pace».
«Ma…» cominciò Sirius.
«Non m’interessa».
«È stato lui a…» tentò James.
«Che ho appena detto?». James e Sirius fecero una faccia tremendamente offesa e poi, sempre sotto ordine di Remus, si diressero verso l’interno del castello a testa china e con aria da cane bastonato (cosa che a Sirius riusciva particolarmente bene).
Lily si avvicinò a Remus mentre seguivano i due Malandrini, che intanto avevano cominciato a sussurrarsi a vicenda qualcosa, forse insulti, forse un complotto contro Remus.
«Prima o poi dovrai insegnarmelo» gli sussurrò la ragazza. Lui annuì, con aria grave.
«Ehy, Lily!» la chiamò Emmeline. La ragazza si girò e vide l’amica che cercava nervosamente qualcosa all’interno della borsa. «Hai preso tu il mio amuleto?».
Lily fece spallucce e controllò nella propria tracolla.
«No, mi spiace» disse. Emmeline fece una smorfia e tornò a rovistare nella borsa con più determinazione.
«Amuleto?» chiese Mary, divertita.
Lily sorrise. «Emmeline sta cercando di creare un amuleto runico. Quella di Rune Antiche ci ha detto che era inutile, ma lei…»
«Penso che la professoressa sia solo mentalmente limitata» commentò la ragazza.
James e Sirius la guardarono. «Eh?».
«Solo perché sui libri c'è scritto che non funzionano non vuol dire che sia vero!» esclamò Emmeline.
«Em» fece Mike, cauto. «Non ci sono prove che le rune abbiano poteri magici, sono solo leggende».
«Be’, si vedrà» replicò lei, decisa, per poi avvicinarsi di un passo al ragazzo. «Scommetto quanto vuoi che prima o poi il mio amuleto salverà la pelle a qualcuno di noi».
Mike ghignò. «Dieci Galeoni».
«Venti» replicò Emmeline, con un luccichio negli occhi che dimostrava quanto fosse attaccata alle proprie scommesse. Era in grado di scommettere su qualsiasi cosa a patto che fosse abbastanza improbabile. Aveva sempre vinto. Il ghigno di Mike si allargò leggermente in un sorriso sghembo.
«Andata» disse. «Giusto per curiosità, dov’è questo amuleto?».
Emmeline arrossì leggermente. «In classe… credo». Si voltò verso Lily. «Per favore, accompagnami a cercarlo!».
Lily sospirò tristemente. Dopo i consigli che le aveva dato riguardo Mike, un favore piccolo come quello glielo doveva. Che poi… non era neanche tanto piccolo, considerati i cinque piani di scale che sarebbe stata costretta a farsi.
«Mary, vieni anche tu?» implorò la ragazza. Mary la guardò come se fosse impazzita.
«Neanche morta!» esclamò. «Anzi, me ne vado in Sala Grande e aspetto la cena lì, piuttosto che fare anche solo due gradini!».
Sirius era tornato indietro e le aveva cinto le spalle con un braccio. «Oppure possiamo farci un giro del giardino. Come ti sembra l’idea?».
Mary sorrise con malizia. «Me gusta mucho».
James, dietro di loro, finse di vomitare.
«Finiscila Ramoso! Sei peggio di loro anche senza una ragazza» lo rimproverò Mike, ghignando. James gli lanciò un’occhiataccia e lui rise. Lily sospirò e, facendo un cenno a Emmeline, salutarono gli altri e si diressero all’interno. Dietro di loro, i Malandrini ricominciarono a litigare. E a ridere.
«Sono come fratelli» aveva detto la ragazza, mentre attraversavano il corridoio del Quarto Piano verso un passaggio segreto che portava nelle vicinanze dell’aula di Antiche Rune.
«Chi?» fece Emmeline, emergendo dai propri pensieri. Fino a quel momento non avevano parlato molto.
«I Malandrini» specificò l’altra. «Litigano continuamente ma si vogliono bene. Si vede». Lily si voltò verso Emmeline. «Anche io e Mike eravamo così?».
«In pubblico» rispose. «Quando eravate con gli altri, specialmente con i Malandrini in giro, discutevate sempre. Da soli, invece, mi hai detto che era sempre molto premuroso».
«Sul serio?» fece Lily, aggrottando le sopracciglia. «In effetti… Quando mi chiedeva come stavo era sempre molto dolce. Ma dopo qualche secondo diventava Sirius Due, la Vendetta. È… strano, credo».
«Non strano» replicò l’altra. «Evans».
Lily le lanciò uno sguardo confuso, poi scosse la testa, sospirando, e accelerò leggermente il passo. Scostò l’arazzo di un uomo con il cilindro che prendeva il tè insieme a una lepre e lasciò passare Emmeline, che salì in fretta le scale a chiocciola. Mentre Lily si chiudeva il passaggio alle spalle, le sembrò di avvertire un leggero pizzicore alla nuca, che la spinse a voltarsi. Davanti a sé trovò solo il morbido tessuto scarlatto, così proseguì per la sua strada.
Trovare l’amuleto nell’aula non fu affatto difficile. Creato da un rubino con sopra incisa la runa Sigel e legato con un filo di cuoio, l’oggetto riluceva alla luce che entrava dalle finestre, facendo quasi male agli occhi. Emmeline e Lily si avvicinarono al banco.
«Meno male che nessuno l’ha preso» esclamò la prima, sollevandolo in aria per osservarlo meglio. «Bello, vero? È quasi completo. Devo solo fare il rituale per dare potere alla runa, poi potrò intascare venti bei Galeoni! E, se ci riesco, anche una E in Antiche Rune! Non male, eh?».
Lily sorrise, guardandola con aria divertita, prima di osservare per bene l’amuleto. Il suo sguardo, però, venne attirato da ciò che c’era oltre. Sul muro, qualcuno aveva inciso qualcosa nella pietra, una cicatrice nera che sembrava essere stata scolpita a colpi di spada, o con qualcosa di simile. Per qualche istante Lily si limitò a contemplarla, ma ben presto in quei segni trovò delle parole.
La ragazza trattenne il fiato violentemente e indicò la parete all’amica che, confusa si volto. Con altrettanta confusione Emmeline osservò la rossa.
«Che c’è, Lily?» chiese. Lily la guardò, sbalordita.
«La scritta!» esclamò. Emmeline si girò nuovamente.
«Lily, non c’è scritto nulla» replicò, cauta. Lily fece tornare lo sguardo sulla parete e, sbalordita, si avvicinò per tastarla. Dovevano esserci dei segni di ciò che aveva appena visto: le incisioni sulla pietra non potevano sparire così facilmente!
Poi capì. Vetro, acqua o pietra, solo lei aveva visto quelle scritte e solo lei poteva collegarle.
«Lily, cosa hai visto?» sussurrò Emmeline, aggrottando le sopracciglia e avvicinandosi a lei quasi con timore.
«Non più» recitò la ragazza, portando una mano sulla fronte che aveva cominciato a dolerle. «È questo che c’era scritto. Non più».
«Be’» fece Emmeline, tentando un sorrisetto. «Non ha poi molto senso».
«Già. Non ha senso» ripeté l’altra, togliendo una mano dal muro. Si voltò verso Emmeline, sorridendo il più sinceramente possibile. «Sarà stata solo un po’ di suggestione per la questione di Mike, magari con anche la stanchezza per oggi. Forse la questione della magia dell’amuleto mi ha fatto un po’ effetto».
Era evidente che Emmeline non le aveva creduto quasi per niente, ma lei sorrise comunque per gentilezza. «Allora è meglio se torniamo in Sala Comune, così ti riposi un po’, okay?».
Lily annuì, ringraziandola mentalmente. Aveva bisogno di riposare, sicuramente. E, soprattutto, aveva bisogno di stare da sola. Perché per la decisione che doveva prendere era necessario che fosse da sola. Anzi, non era necessario, era richiesto.
Non parlare. Non più.
Un messaggio troppo chiaro per poter essere ignorato.



Hello guys!
E siamo così alla fine del secondo (/ terzo) capitolo di questa storia.
A dirla tutta non succede poi granché, ma si possono vedere gli ingranaggi cominciare a girare. Delle "parole evanescenti" che danno il titolo al capitolo, ovviamente, non parlerò, ma sappiate che dal prossimo potremo vedere la storia iniziare sul serio.
Dato che non trovo altro da dire, passo a ringraziare cat_princesshp che ha inserito la storia fra le seguite, asia_2000 che l'ha sistemata fra le seguite e le ricordate, e _Bea_ che l'ha inserita fra le preferite. Ma, soprattutto, ringrazio nuovamente 16th che continua a espormi i suoi giudizi, giudizi che, possibilmente, vorrei ricevere anche da voi, lettori silenziosi, per capire cosa vi piace e cosa non di questa storia, in modo da capire come orientarmi e sapere se le mie idee possano andarvi a genio o no. Vi chiedo, quindi, di lasciare una recensione, anche breve, per favore.
Detto questo... abbiamo appena visto Lily minacciata in segreto da qualcuno di non identificato che la incita e non rivelare più nulla della sua condizione. Dopo ciò, cosa accadrà nella ronda con James? Cosa deciderà di fare Lily, rivelargli la verità o tenere tutto per sé? Stay tuned!
Con affetto,
hufflerin

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Fragment III - The rose on the hat ***


III
~The rose on the hat~



«Ma io non ci voglio andare in mezzo ai matti» obbiettò *****.
«Be’, è inevitabile» le rispose il Gatto. «Siamo tutti matti qui. Io sono matto, tu sei matta.»
«Come fai a sapere che sono matta?» chiese *****.
«Devi esserlo» fece il Gatto. «altrimenti non saresti venuta qui»



Nel sogno, Lily stava giocando a carte con Mike. Erano seduti alla tavola dei Grifondoro, in una Sala Grande deserta. I due sembravano non trovare affatto strana la situazione e continuavano a pescare carte e a scartarne altre, in un gioco all’apparenza infinito di cui Lily non riusciva a ricordare le regole con chiarezza. La ragazza osservava le sue carte e di tanto in tanto si scambiavano occhiate da sopra le mani, sorridendo dietro le carte.
Il gioco andò avanti per alcuni turni senza che accadesse nulla, poi Mike posò le sue carte sul tavolo.
«Finito!» aveva esclamato, allineando la sua scala che andava dall’asso fino alla regina di cuori. Il re era curiosamente posizionato fra il fante e la regina.
Lily fece una smorfia di disappunto osservando le proprie carte. Le mancava poco per finire: se solo avesse avuto un due di cuori, piuttosto che quella carta così bianca…
«Ehi, Mike?» chiese Lily, sentendosi più lucida e stranamente nervosa.
«Dimmi» fece il fratello, con un sorriso gentile.
«Perché su queste carte ci sono solo i cuori?» chiese lei, osservando con attenzione sia le sue che quelle del ragazzo. Lui la guardò, confuso.
«Cos’altro dovrebbe esserci?» replicò Mike.
«Be’, gli altri semi, no? Cuori, picche, quadri e fiori. No?» insistette Lily.
Mike sbuffò. «Ma come ti saltano in mente certe idee? Esistono solo i cuori, dovresti saperlo!».
Lily annuì, ma non ne era del tutto convinta. Prese la carta bianca dalla sua mano e la mostrò al ragazzo.
«E allora perché questa è vuota?».
«Semplice» sbottò lui. «Se non è di cuori, allora non significa nulla, quindi quello è ciò che rappresenta. Il Nulla». Mike drizzò la schiena e poggiò i gomiti sul tavolo, giungendo le mani davanti alla bocca. «Un po’ come te e me, no?».
«Che intendi dire?» chiese Lily, aggrottando le sopracciglia.
«Be’, io sono uno dei cuori, tu no» spiegò lui, come se ciò chiarisse tutto. Lei gli lanciò uno sguardo confuso, così Mike, sbuffando, estrasse uno specchio dalla tasca della divisa e glielo porse. Lily lo prese e si specchiò, facendolo cadere all’istante e spaccandolo in mille pezzi. Fece appena in tempo a vedere le scritte insanguinate sulla carta che prima era vuota, dopodiché si svegliò, soffocando l’urlo che aveva lanciato nel sogno, dopo che quel volto aveva ricambiato il suo sguardo. Un non-volto, se così lo si vuole chiamare. Privo di naso, occhi, bocca, capelli…
Nella sua mente, la carta ancora grondava parole di sangue.
Non parlare. Non più.

Lily mescolava pigramente il suo tè con un cucchiaino, facendo sciogliere la zolletta nell’acqua bollente e profumata. L’incubo era stato breve ma fin troppo intenso per ciò che stava passando in quel momento. Al pensiero che quello era solo il secondo giorno di scuola, Lily sentiva tutte le sue forze sparire. Sentiva che, se avesse continuato così, entro un mese al massimo sarebbe impazzita.
Bevve un sorso, senza curarsi del bruciore che il liquido le provocava alla lingua, e si guardò intorno. Erano solo le sette di mattina e nella Sala Grane erano presenti sì e no una dozzina di persone, compresi due insegnanti che facevano colazione leggendo la Gazzetta del Profeta. Il cielo era coperto da nuvole grigie gonfie d’acqua. Il silenzio che regnava nella stanza era irreale, abituata com’era al chiasso e alla confusione, specialmente al suo tavolo, con i Malandrini che ritenevano che la tranquillità fosse una cosa sopravvalutata. Se si stava bene attenti, si riusciva addirittura a sentire le gocce di pioggia cadere sull’antica pietra della costruzione.
Assonnata e ancora un po’ intontita, Lily si sostenne la testa con la mano e socchiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, mentre con l’altra ancora mescolava il tè fumante. Dopo l’incubo che aveva avuto, aveva capito che dormire sarebbe stato impossibile. Aveva quindi ricominciato a meditare sulle parole che la perseguitavano dal giorno precedente, ma presto aveva dato forfait e aveva sentito il bisogno di cambiare aria. Quindi si ritrovava lì, distrutta e completamente priva della voglia di fare lezione (a dirla tutta, non è che ne avesse mai avuta molta, ma in quel momento aveva raggiunto i minimi storici).
Il suo campo visivo incontrò, però, una visione celestiale e orrenda allo stesso tempo. Una delle sue acerrime nemiche la osservava poco più in là, sfidandola ad avvicinarsi, tentandola. Lily si mise il cucchiaino bollente in bocca, assaporando il poco tè che era rimasto sopra, e, tenendolo fra le labbra, valutava le sue opzioni. Avrebbe potuto cedere, ma sapeva che se ne sarebbe pentita. Avrebbe potuto resistere, ma se ne sarebbe pentita ugualmente.
Quando il suo conflitto interiore ebbe fine (cedendo, ovviamente), l’oggetto del suo desiderio era stato preso e sistemato su un piattino, quindi posato sul posto di fronte a lei da colui che ci si stava sedendo.
Mike la guardò, sorridendo mentre giocherellava con le dita con una piccola forchetta.
«Ciao, sorellina» disse, mantenendo un tono basso, forse per non rompere l’atmosfera di pace che si era creata nella Sala. «Come mai sveglia così presto?».
«Pianificavo il tuo omicidio» rispose lei, d’istinto. Forse non avrebbe dovuto essere così scortese, ma Mike l’aveva appena derubata, quindi se ne sentiva completamente in diritto. Lui, d’altro canto, ridacchiò, per poi infilzare la fragola che sovrastava il quadrato di torta e farla scomparire dietro le proprie labbra. Lily assottigliò lo sguardo.
Mike sgranò gli occhi, come se avesse capito qualcosa solo in quell’istante. «Oh, ne volevi un pezzo?».
Le labbra di Lily diventarono tanto sottili da far invidia a quelle della McGranitt, mentre il fratello prendeva un pezzo di torta con la forchetta e glielo porgeva, invitandola a mangiarlo.
Lily soppesò l’idea per qualche istante, poi decise di fidarsi e provò a mordere il dolce che le veniva offerto. All’ultimo istante, Mike tolse la forchetta e mangiò il pezzo al posto suo, ridacchiando e ammiccando.
«Sei un bastardo» mormorò la ragazza, arrossendo un po’ e guardandolo malissimo. Lui ghignò.
«Io ci andrei piano con questi insulti: siamo gemelli, ricordi?» fece. Lily sussultò leggermente per la battuta: le sembrava quasi troppo adatta alla situazione per essere casuale. Lui sembrò accorgersi di qualcosa perché cambiò argomento. «Allora, perché sveglia così presto?».
Lei scrollò le spalle e, non vedendo perché mentire, decise di dire la verità, per la prima volta da un po’ troppo tempo per i suoi gusti.
«Il solito incubo» disse con noncuranza. Lui aggrottò le sopracciglia, continuando a mangiare piccoli pezzi di torta. «Tu?».
«Ti cercavo» rispose Mike, estraendo da una tasca della tracolla una lettera. «L’ha portata Horus per noi poco fa».
Lily la prese.
«Come facevi a sapere che non ero nel Dormitorio?» chiese. Mike sorrise.
«Regola numero sette: i Malandrini non rivelano i propri segreti» spiegò con semplicità.
Lei inarcò le sopracciglia. «Ah, be’, ovvio. Come ho fatto a dimenticarmene?» disse, sarcastica. Lui sbuffò e con un gesto la invitò ad aprire la lettera. Lei obbedì e il nome del mittente la scoraggiò all’istante.
«Che vuole Petunia adesso?» chiese, con aria stanca.
«Lei proprio niente, credo sia stata mamma a costringerla» replicò Mike. «Leggi».
Ci mise solo un paio di secondi, ma bastarono per farle venir voglia di bruciare la lettera e per far costruire a Mike una torre di zollette di zucchero piuttosto traballante (avendo finito la torta da un po’, si era trovato un’altra occupazione).
«Quindi va a vivere da questo tizio, Vernon, eh?» disse, seccata. «E si sposeranno a novembre… Onestamente, non capisco perché mi abbia voluto informare».
«Ci abbia voluti informare» la corresse Mike, aggiungendo zollette alla pila sempre più in bilico. Lei si morse un labbro: doveva evitare stupidaggini del genere. «Te l’ho detto, penso sia stata nostra madre».
«E perché? Tanto non potremo partecipare, quindi è inutile farcelo sapere» commentò lei, aspramente, mentre valutava l’idea di far crollare la colonna di zuccherini.
«Io in realtà vorrei andarci» replicò Mike. Lily inarcò un sopracciglio.
«Sul serio?» chiese. Il ragazzo sorrise, malandrino.
«Certo! E mi divertirei a rovinarglielo!» spiegò, ammiccando. Lei ridacchiò a sua volta, per poi assumere un sorriso triste.
«Non se lo merita» mormorò, abbassando lo sguardo. Mike sgranò gli occhi.
«Stai scherzando, vero?» esclamò.
«Mike, è solo invidiosa. Cercare di boicottare il matrimonio peggiorerebbe solo le cose e inutilmente. Non ne vale la pena» spiegò, incrociando le braccia e posando il mento su di esse.
«Lily» Mike le prese una mano e la costrinse ad alzare lo sguardo. Il volto del ragazzo era fin troppo vicino alla colonna di zucchero. «So che non dovrei farlo, ma ti ricordi delle estati del secondo e del terzo anno?».
Lei aprì e richiuse la bocca senza dire nulla. Evidentemente, anche con Mike, Petunia non era stata meno perfida nei suoi confronti.
«Non importa» decise infine. «Ora si trasferirà e non dovremo più avere a che fare con lei. Ripensare al passato è inutile».
Era ironico, ma le loro frasi avevano fin troppi richiami alla situazione che lei stava vivendo.
Mike aggrottò le sopracciglia e la osservò con una strana espressione.
«Che c’è?» fece lei, infastidita.
«Mi sto chiedendo quanto debba essere stato brutto l’incubo per farti invecchiare di vent’anni in una volta» spiegò lui.
«Ehi!» esclamò Lily, offesa. Lui scrollò le spalle, versandosi una tazza di tè con gesti piuttosto eleganti, tanto da ricordare in parte Sirius. Evidentemente la vicinanza gli aveva trasferito qualche abitudine dell’amico, perché Lily era certa che l’eleganza non fosse nei geni Evans. O, perlomeno, non si era manifestata né in lei né in Petunia.
«Quando tornerai in te e riabbraccerai i propositi di vendetta, fammi un fischio, okay?» disse Mike, dando un colpetto alla torre di zollette. Le tre più in alto caddero direttamente nella tazza, creando piccole macchie di tè sulla tovaglia. Mike non se ne curò, mescolando la bevanda con aria annoiata.
«Be’?» fece Lily, sorpresa. Mike alzò lo sguardo su di lei inarcando un sopracciglio.
«“Be’”, cosa?» replicò.
«Tutto qui?» chiese lei.
«Dovrebbe esserci altro?». Lily si limitò, in risposta, a divorare uno dei pezzi di torta crema e fragola* che tanto aveva desiderato poco prima.
Quando arrivarono anche gli altri ragazzi (Lily fu lieta che nessuno chiedesse del loro largo anticipo) non si accennò più a Petunia ma, piuttosto, venne a crearsi una certa eccitazione per l’ultima ora che avrebbero avuto quella giornata. Alle orecchie dei Malandrini era arrivata, infatti, la voce di ciò che era successo il giorno precedente agli studenti del settimo anno con il nuovo professore di Difesa, “Hamilton”, le pareva di ricordare: a quanto sembrava, il professore era a dir poco eccentrico, ma anche un genio. Le loro fonti non erano entrate nel dettaglio, ma i ragazzi di Grifondoro sembravano percorsi da continue scosse elettriche che li rendevano frenetici, tanto da venir richiamati in continuazione da un’impaziente professoressa McGranitt, che era stata costretta più volte a interrompere la lezione. I Malandrini decisero di darsi una calmata solo quando l’insegnante minacciò imperiosamente di togliere venti punti a testa a Grifondoro.
Mentre anche Mary sembrava piuttosto eccitata per la lezione di quel pomeriggio, Lily ed Emmeline sembravano un po’ più titubanti. “Eccentrico” poteva significare davvero molte cose e, in quel periodo, per delle Nate Babbane poteva rappresentare un vero svantaggio, se non una tortura.
«A pranzo gli chiediamo chi è questa “fonte attendibile”» decise Lily, sussurrando a Emmeline mentre il resto della classe si stava esercitando nel ripasso generale di Incantesimi assegnato loro da Vitious. L’amica annuì, un po’ preoccupata, lanciando l’Incantesimo di Esilio sul suo cuscino, scaraventandolo in aria. Lily scagliò sullo stesso cuscino un Incantesimo Levitante e questo tornò a posarsi dolcemente sul tavolo.
«Ancora non mi hai detto cosa hai intenzione di fare stasera con James» disse Emmeline, cambiando improvvisamente discorso. Lily aggrottò le sopracciglia, sospettosa.
«Di che stai parlando?» chiese, pensando immediatamente ai numerosissimi pensieri maliziosi che la ragazza doveva aver fatto.
Emmeline sospirò. «Lils, non sono Mary, ricordalo».
«E tu ricordati di non chiamarmi mai più Lils» replicò lei, rabbrividendo. Era il soprannome che usavano i suoi genitori e, quando i suoi amici lo avevano scoperto, per lei era stato un trauma.
«Sì, sì, come ti pare». Viva le amiche, proprio. «Comunque parlavo delle scritte e di Mike. Glielo dirai?».
Lily deglutì. Quello era uno dei pensieri che l’aveva accompagnata sin dal suo brusco risveglio. Le scritte erano ancora incise nella sua mente e non aveva la minima idea di come comportarsi. Non dire nulla significava, in un certo senso, ubbidire a quelle scritte e ammettere a se stessa che ciò aveva realmente visto qualcosa. Confessare tutto, invece, avrebbe potuto essere controproducente: James avrebbe potuto crederla pazza. E, se le scritte erano reali, allora l’artefice non sarebbe stato affatto contento. O contenta.
«Non ne ho idea» confessò. Emmeline sospirò, come se si aspettasse la risposta.
«Secondo me dovresti dirglielo» commentò. «Se non vuoi parlarne con Mike perché non ti fidi, almeno dillo a James. Lui lo conosci bene».
Lily rimase per qualche secondo in silenzio. «Credo che farò quello che mi verrà sul momento».
«Fa’ come vuoi» replicò Emmeline. «Ma ricordati che James è parecchio insistente quando è curioso, quindi l’unico modo che avrai per distrarlo sarà saltargli addosso».
«Em!». L’esclamazione di Lily fece girare parecchie teste. Mary, seduta poco più in là assieme a Sirius, doveva aver capito di cosa stavano parlando perché era scoppiata a ridere sotto lo sguardo stralunato e divertito del fidanzato.
«Va bene, va bene!» fece Emmeline, esasperata. «Ma devi darti una mossa: questo è il nostro ultimo anno, l’ultima possibilità che avrai».
«Esagerata» borbottò Lily, voltandosi dall’altra parte per riprendere l’esercitazione. Nessuna delle due tornò sull’argomento per il resto della lezione.
A pranzo, invece, Lily prese coraggio e chiese ai Malandrini di rivelarle il nome della loro fonte. Non ci fu bisogno che nessuno dei quattro aprisse bocca: bastarono i ghigni che rivolsero a Remus e il rossore di quest’ultimo per farle capire che Tonks era la responsabile, cosa che la tranquillizzò non poco. Almeno poteva essere sicura che il nuovo professore non fosse un Mangiamorte in incognito.
È facile immaginare che le ore che precedettero Difesa Contro le Arti Oscure passarono fin troppo lentamente per gli studenti del settimo anno. Quando anche Aritmanzia e Pozioni finirono, i ragazzi si catapultarono nell’aula di Difesa. Mentre il professore ancora non era arrivato, ci fu una sorta di combattimento all’ultimo sangue per i primi posti. I Malandrini e un gruppetto di Serpeverde (fra cui Piton, che Lily evitò accuratamente anche solo di guardare) rischiarono anche di mettersi a duellare. Alla fine, Lily e Remus si erano ritrovati davanti, sebbene lei non sapesse come, seguiti da James e Sirius, Emmeline e Mary e, all’ultimo banco, Mike e un Serpeverde con un grande naso aquilino e una faccia arcigna. A Lily dispiaceva relegare il neo-fratello con uno sconosciuto dall’aria sgradevole, ma i ragazzi dichiararono che non era colpa di nessuno: avevano fatto la conta!
Quando il professore non si fece vedere per circa un quarto d’ora, però, tutta la classe tornò ad agitarsi. Avevano aspettato tanto per quel momento e l’insegnante gli dava buca? Per i Malandrini era inconcepibile!
Il professor Hamilton entrò proprio un istante dopo che James e Sirius avevano annunciato alla classe che sarebbero andati a cercarlo. Zoppicando e reggendosi su un bastone di legno scuro che Lily non aveva notato la prima volta, l’insegnante si diresse verso la cattedra senza degnare gli studenti di uno sguardo, poggiando sul ripiano una sorta di fascicolo. Estrasse la bacchetta da una tasca della giacca grigio polvere e la puntò sulla lavagna che, da verde, diventò bianca. Il professore aprì il fascicolo ed estrasse alcune foto che, avrebbero notato poco più tardi, non erano animate. Poggiò le foto sulla lavagna e queste rimasero incollate sulla superficie.
Il professore si girò finalmente verso la classe.
«Qualche mese fa, a Cardiff, abbiamo avuto tredici omicidi in sole quarantottore» disse, sedendosi sulla cattedra. «Le vittime sono di sesso, età e colore diversi, non sembrano avere alcun legame e sono morti in luoghi distanti l’uno dall’altro. L’unica cosa che hanno in comune è il decesso: a tutti e dodici il cervello è andato letteralmente a pezzi».
Lily spostò lo sguardo sulle immagini sulla lavagna: erano raffigurati uomini e donne con rivoli di sangue che uscivano da bocca, naso, orecchie…
Cosa può fare qualcosa del genere?, pensò, inorridendo, mentre sentiva Emmeline lanciare un piccolo gemito.
«I dettagli non sono mai stati rivelati al pubblico e gli stessi omicidi sono stati tenuti segreti».
«Perché?» domandò James, contrariato.
«Perché il nostro caro Ministro è un emerito idiota» rispose il professore, facendo ridacchiare qualche studente. «Come stavo dicendo, voi non potete saperne nulla, anche agli Auror è stato ordinato di rimanere in silenzio, quindi è, per me, un’ottima opportunità» continuò, per poi fare un cenno con la mano, come invitandoli a parlare. «Be’, iniziate! Voglio sentire ipotesi, domande, suggerimenti, qualsiasi cosa di vagamente intelligente per risolvere il caso».
Per un attimo gli studenti rimasero in silenzio, gli occhi che passavano rapidamente dall’insegnante alle foto. Per la maggior parte sembravano un po’ storditi, ma alcuni erano subito passati a cercare di dedurre qualcosa da quei pochi elementi.
«Erano Nati Babbani?» chiese Sirius. Lily, come anche Emmeline, sapeva cosa intendesse il ragazzo, quindi non la presero come un’offesa. Probabilmente, la cosa sarebbe stata ben diversa se fosse stato un Serpeverde a fare la domanda.
«Un paio di loro» rispose il professore, indicando le foto di una donna sui quaranta dai lunghi capelli corvini e un ragazzo appena ventenne con un grande naso aquilino. La cosa escludeva, quasi a priori, attentati da parte di Mangiamorte. Ovviamente avevano ucciso anche Mezzosangue e, anche se si contavano sulle dita di una mano, Purosangue, perché questi andavano contro di loro, ma sembrava impossibile che persone così diverse potessero avere avuto tutte dei conflitti con i Mangiamorte.
«Che cosa è stato usato per ucciderli?» chiese Piton, facendo sussultare leggermente Lily.
«Un veleno, creato appositamente dall’assassino» disse Hamilton. «Gli ingredienti sono tenuti segreti dal Ministero e il composto ancora non ha un nome ufficiale. Questo veleno, comunque, ha fatto entrare le vittime in una sorta di stato comatoso e gli ha poi ridotto il cervello in poltiglia».
«Quindi l’assassino dev’essere stato un Pozionista esperto» continuò il ragazzo, con una leggera sfumatura di riverenza nella voce. Il professore annuì con semplicità, senza manifestare alcuna emozione. Lily, invece, guardava di sottecchi il Serpeverde, chiedendosi come avesse fatto a sbagliarsi tanto su di lui.
«Quanto c’è voluto per catturare l’assassino?» chiese il ragazzo seduto accanto a Mike, con una voce tanto profonda da sembrare falsa. Lily si chiese che teoria potesse avere quel tipo, ma poi pensò che, magari, potesse essere anche solo curiosità personale.
«Mai catturato» disse il professore con tono leggero.
«Chi è stata l’ultima vittima?» chiese improvvisamente Mike. Qualcosa sembrò brillare negli occhi dell’insegnante.
«Un certo Thomas Clearwater» rispose Hamilton. Mike aprì bocca, come per chiedere altro, ma il professore lo interruppe. «Era un malato mentale, rinchiuso per alcuni anni nel Mirrty Asylum per alcune tendenze violente che aveva mostrato in pubblico. Aveva mandato in coma un bambino di dieci anni senza alcun apparente motivo».
«Com’era la sua vita prima di essere rinchiuso?» incalzò Mike. Lily aggrottò le sopracciglia, chiedendosi perché il fratello volesse tanto insistere su quel pover’uomo.
«Discreto studente a Hogwarts, diplomato con soli due M.A.G.O. Ha lavorato come garzone nella Farmacia di Misurino a Diagon Alley per tre anni mentre cercava di ottenere un posto al San Mungo».
«In che materia aveva i M.A.G.O.?» chiese Remus, sorprendendo Lily.
«Erbologia e Pozioni» rispose Hamilton, trattenendo a stento un ghigno. Lily, come folgorata, capì a cosa stavano pensando i due ragazzi.
Ma certo, pensò. Perché è stata l’ultima vittima? Se l’assassino non è stato mai preso, avrebbe avuto tutto il tempo per uccidere altre persone. Invece si è fermato… perché? Se le vittime avessero avuto qualche legame, allora sarebbe stato facile da capire, ma se, invece, erano a caso come sembra, perché non continuare? A meno che…
«E dove sono state trovate le vittime, precisamente?» chiese Mike. Hamilton sorrise e, con un cenno della bacchetta, fece planare una cartina di Cardiff sulla lavagna. Segni rossi indicavano le case in cui erano stati trovati i corpi: dodici vittime erano disposte a distanza regolare l’una dall’altra, in cerchio, attorno a una centrale. Il nome “Thomas Clearwater” era scritto in caratteri dorati e brillanti accanto al segno centrale.
«Mi lasci indovinare» proseguì Mike. «Le vittime sono state trovate casualmente, ma da quella in alto a destra, proseguendo in senso orario, l’età aumenta. Giusto?».
Il professore sbuffò, divertito, e batté una volta le mani. «Bene, penso che ormai tutti lo abbiano capito».
Ci fu una serie di vari “sì”, alcuni un po’ svogliati.
«Ciò che Evans ha capito è esatto» proseguì l’uomo, battendo la bacchetta sulla cartina. I vari segni rossi si congiunsero, formando un cerchio diviso in spicchi e dei numeri romani, dall’I al XII, completarono quello che era un perfetto orologio. «Thomas Clearwater, seppur completamente ignorante nelle altre materie, era un eccellente Pozionista. Aveva scoperto alcune particolari proprietà che le foglie di mandragola assumevano quando venivano in contatto con composti di sangue di drago e… altro che non sto a elencarvi per evitare emulatori» il professore lanciò una veloce occhiata a Piton. «Da ciò, era riuscito a fondere il Distillato della Morte Vivente con questa sua nuova scoperta, generando una tossina che prima addormentava, poi uccideva in brevissimo tempo. Quando venne scovato il suo laboratorio – che altro non era se non una semplice cantina – e trovati i suoi appunti, si venne a conoscenza del nome che Clearwater aveva dato alla sua creazione: Sangue del Tempo». Hamilton indicò con il bastone l’orologio sulla piantina. «Non si sa con precisione cosa l’abbia spinto ad agire in questo modo: abbiamo trovato nei suoi appunti molti accenni a una certa “purificazione”, ma erano talmente confusi che abbiamo rinunciato a comprenderli».
«Quindi… ha ucciso dodici persone più o meno a caso e poi cosa? Si è suicidato?» chiese Mary, un po’ incredula.
«Non si sa se si sia ucciso da solo o se qualcuno l’abbia costretto, nonostante sembri che nessun altro fosse entrato nella casa di Clearwater. Comunque, il caso è ora chiuso, quindi la morte di Clearwater è stata archiviata come suicidio e le indagini sono terminate» rispose l’insegnante.
La campana di fine ora risuonò nel silenzio assorto della classe, risvegliando gli studenti. Lily si guardò attorno, stupefatta: le sembrava che l’insegnante fosse entrato solo da pochi minuti. Come lei, anche altri studenti sembravano un po’ confusi, sebbene alcuni Serpeverde sembrassero più che altro sollevati.
«Voglio che tutti voi facciate una ricerca di almeno trenta centimetri di pergamena sul Mirrty Asylum» annunciò il professore. «Non m’interessa di cosa parliate, se della storia o di qualche evento o personaggio specifico, l’importante è che sia inerente all’argomento. Avete due settimane di tempo. Ah, dimenticavo: venti punti a Grifondoro per l’intuizione di Evans e Lupin». Vide che gli studenti lo osservavano nuovamente immobili. Inarcò un sopracciglio e fece cenno con la mano di andarsene. «Be’? Che aspettate? Via! Sciò! Circolare!».
Gli studenti, un po’ scombussolati, si alzarono e si diressero fuori dalla porta più o meno in silenzio. Appena varcata la soglia, James e Sirius cominciarono a discutere animatamente di quanto, parole loro, fosse “figo” il professor Hamilton. La discussione continuò per tutta la scala a chiocciola che scendeva sul corridoio principale del Terzo Piano, arrivando a frasi come «non è vero: io lo amo più di te!» sotto lo sguardo divertito degli altri Grifondoro.
«A me non è piaciuto granché» borbottò Emmeline. I due la guardarono come se avesse li avesse schiaffeggiati.
«Ma… ma… come osi?» esclamò James, con il tono più sdegnato del suo repertorio.
«Cos’hai di sbagliato?» rincarò Sirius, mettendosi platealmente una mano sul cuore.
Mary e Mike risero mentre Emmeline fece una smorfia imbronciata.
«È che… sbatterci davanti così tutta quella gente morta in un modo così orrendo e parlarne così, alla leggera…» spiegò. «Quelle persone sono morte veramente, invece sembrava fosse quasi un gioco, tipo Cluedo».
«Clu-che?» fece Sirius, inclinando leggermente la testa. Remus gli lanciò un’occhiataccia, intimandogli di tacere.  
«Em, ormai è tardi per quelle persone» disse Mary. «Non possiamo impedire le loro morti né farli tornare in vita. Il loro assassino li ha seguiti dall’altra parte, quindi non potremmo nemmeno vendicarli. Tanto vale che la loro morte serva a qualcosa, no?».
Emmeline sgranò gli occhi e la guardò, sconvolta. «Come, scusa? Cosa ti fa pensare che la morte possa essere utile a qualcosa?».
«Non ho mai detto che la morte serva a qualcosa!» replicò Mary, alterandosi. Lily si preparò mentalmente per bloccarla in caso avesse esagerato, ma non ce ne fu bisogna.
«Quello che Mary intendeva dire» s’intromise James con tono gentile, sorprendendo Lily. «È che conoscere come le persone se ne sono andate può rivelarsi utile per impedire che questo accada ad altre. Se, per esempio, qualche altro pazzo cominciasse a uccidere usando lo stesso veleno di Clearwater, saprebbero sia cosa stanno usando sia che l’omicida deve avere qualche legame con il caso di Clearwater, visto che è stato lui a inventarlo. Capisci? Anche se quelle persone non ci sono più da tempo, possiamo far sì che la loro morte non sia stata vana con l’esperienza che ci hanno lasciato».
Emmeline, seppur un po’ sorpresa dalle parole del ragazzo, annuì. Sirius emise un lungo fischio che risvegliò gli altri dallo strano evento appena accaduto.
«Da quand’è che sei così saggio, Ramoso?» chiese il ragazzo. James ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli.
«Secondo me l’ha copiato da qualcuno» disse Remus, alquanto sconvolto.
«Oh, dai, ragazzi! Un po’ di fiducia, per Merlino!» esclamò James, contrariato.
«A te? Ma mai nella vita!» replicò Mike, ridendo e seguito a breve dagli altri.
«Stavo pensando a una cosa» disse Lily, dopo un po’, quando le risate cessarono.
«Tu che pensi? Strano, non l’avrei mai detto…» fece Mike.
«Oh, taci!» replicò, anche se in parte divertita. «Dicevo: stavo pensando che Hamilton conosceva i vostri nomi, anche se voi non glieli avete mai detti».
Remus e Mike si guardarono, incerti e un po’ sorpresi.
«Be’, siamo i Malandrini, dopotutto» disse Sirius, con un certo compiacimento. «Magari qualche prof gli ha parlato di noi. Siamo famosi!».
«Sirius, voi non siete famosi: siete famigerati» replicò Mary, facendo ridere le altre due ragazze.
«Che ci vuoi fare, è un mondo pieno d’invidiosi!» disse l’altro, con un sospiro.

«A cosa devo l’onore?» chiese il ragazzo, con aria di superiorità, osservando Lily da dietro il tavolo in mogano della Biblioteca. La Grifondoro sbuffò, un po’ infastidita.
«Piantala, Remus: fare l’offeso non ti si addice» replicò, sedendosi di fronte a lui e posando la borsa sul tavolo.
«Non è vero, sono bravissimo a fare l’offeso» disse Remus, convintissimo. Lily inarcò un sopracciglio, fermandosi a guardarlo mentre estraeva pergamena e inchiostro dalla borsa. «Sono James e Sirius che sono fuori scala, quindi la gente ormai ha standard troppo alti».
La ragazza sbuffò, divertita. «Già, sicuramente il problema sono loro» disse, ironica. «Comunque, non hai assolutamente nulla per cui fare l’offeso».
«Davvero? E il fatto che sono diventato la settima ruota del carro dove lo metti?» rispose lui, piccato. «Una volta eravamo amici e ora sono l’ultima spiaggia? Vergogna su di te, signorina Evans!».
«Non sei la settima ruota del carro!» ribatté la ragazza. «Sei la sesta: ti pare che mi confidi con Black?».
«Oh, allora tutto nella norma» fece lui, ironico, con un sorrisetto. «Come mai sei venuta da sola?».
«Mary è in giro con Sirius ed Emmeline ha detto che aveva sonno, quindi penso che sia andata a giocare a Spara Schiocco con le ragazze del sesto. Mike e James?».
«Progettano» rispose Remus, con noncuranza. Lily aggrottò le sopracciglia.
«Progettano cosa, esattamente?» chiese. Poi, prima che Remus potesse rifiutarsi di rispondere, aggiunse: «Giusto, regola numero sette, dimenticavo».
Remus fece una smorfia di apprezzamento.
«Allora, da dove iniziamo?» chiese Lily, precisa come suo solito.
«Ho chiesto a Madama Pince di fornirci alcuni articoli della Gazzetta riguardanti il Mirrty» disse il ragazzo, indicando una pila di giornali, tutti che parlassero, in qualche modo, del manicomio. «Sarebbero molti di più, ma questi sono quelli più importanti. Cominciamo?».
Lily sospirò. «Meglio di sì, altrimenti credo potrei scappare e passare il resto della giornata a dormire e a sentirmi in colpa per non aver iniziato».
«Si vede che non sei una Malandrina» fece Remus, sorridendo. Lily rispose al sorriso e prese un giornale a caso, iniziando a leggere.
Ci volle poco per capire che sarebbe stata una ricerca interessante ma davvero molto tetra. Tanto per cominciare, il Mirrty era nato come ospedale psichiatrico pubblico nel 1913 ma ben presto, a causa dell’Incidente Azkaban, venne convertito in manicomio criminale dalla stessa fondatrice, Madame Elizabeth Mirrty, per poter accogliere i prigionieri precedentemente presenti nella prigione magica e coloro che erano impazziti a causa di quello che venne definito “il Banchetto dei Dissennatori” del 1914. In seguito, Madame Mirrty offrì il manicomio come carcere provvisorio al Ministero della Magia e il Ministro Evermonde, sebbene un po’ titubante, fu costretta ad accettare, curandosi di far iniziare i lavori del penitenziario di Brackden il più presto possibile.
Nonostante tutto, Brackden venne completato solo nel 1929 e per ben quindici anni il Mirrty Asylum ha ospitato un gran numero di criminali. La tenuta, risalente al XVII secolo, era stata ampliata tanto da rendere quasi impossibile capire quale fosse la struttura originaria, questo soprattutto per tenere i malati mentali lontani da quelli “sani” (nonostante sembrasse molto frequente lo spostamento dalla seconda alla prima sezione).
Quando Brackden venne completato, tutti i criminali stabili vennero trasferiti, lasciando molto più spazio agli altri. Il Mirrty divenne quindi un vero e proprio manicomio criminale, con ali separate per “gravità”. Tuttavia, gran parte della struttura rimase vuota e tuttora non è ben chiaro cosa accada al suo interno. Spesso si è parlato di esperimenti su pazienti o scomparse degli stessi, ma il Ministero e Madame Mirrty hanno sempre smentito tutto con prove tangibili (ovvero i pazienti stessi, sempre mostrati fisicamente in ottima salute).
Spesso la Gazzetta del Profeta e altri giornali hanno cercato di capire cosa accadeva all’interno dell’istituto.
“Tutto ciò che accade nel Mirrty Asylum è approvato e controllato dal Ministero. Non possiamo rivelare nulla, ma la struttura lavora insieme al nostro Ufficio Misteri per garantire un futuro migliore per il Paese e per il mondo”, ha asserito Ignatius Tuft nel 1960.
«Considerando che ha cercato di proporre i Dissennatori come guardie a Brackden non mi fiderei troppo» aveva commentato Remus. Lily si era trovata completamente d’accordo.
 Il Mirrty Asylum apparteneva, in quel momento, a Julienne Mirrty, nipote della fondatrice dell’istituto, che regolarmente lasciava dichiarazioni al Ministero e alla Gazzetta per rassicurarli sul perfetto funzionamento del manicomio.
«Questo non ha impedito a Clearwater di scappare» commentò Mary, a cena, quando Remus e Lily raccontarono agli altri ciò che avevano scoperto. Il Mirrty era noto a qualsiasi mago, ma la storia era piuttosto oscura e, in genere, molti evitavano anche di conoscerla, tantomeno raccontarla agli altri.
«I criminali evadono continuamente dal Mirrty, solo che il Ministero cerca di metterlo a tacere» commentò Sirius. Gli altri lo fissarono. «Che c’è? I miei parlavano spesso del Mirrty: ho un po’ di parenti rinchiusi lì dentro».
«Per essere una struttura governativa creata per tenere la gente al sicuro, mi sembra non ci riesca un granché» commentò Mike, bevendo un sorso di succo di zucca. «Sembra quasi che vogliano che la gente evada».
Rimasero immobili e in silenzio per qualche secondo, analizzando le parole del ragazzo.
«Nah» disse Sirius dopo un po’. «Non ci guadagnerebbero nulla, solo più gente morta e più lavoro per gli Auror. Quindi più straordinari da pagare e più soldi che se ne vanno dal caveau alla Gringott del Ministero. Non penso sia una genialata».
«A meno che qualcuno non stia manipolando il Ministro per i propri comodi» commentò Emmeline.
Mary sbuffò, divertita. «Non mi starai mica diventando una di quelle che vedono complotti ovunque, vero?».
Emmeline la guardò male e l’amica rise.
«Be’, non è così impossibile» disse James. «Minchum è un idiota e un Purosangue in pieno stile Black – ah, piantala Sirius: lo sai di che parlo –, non penso sarebbe difficile per Voldemort portarlo dalla sua parte».
«E poi?» chiese Lily. «Che se ne fa Voldemort di un manipolo di malati mentali?».
«Quelli non sono solo “malati mentali”» ribatté James. «Sono criminali. Sta’ sicura che un buon novanta percento si schiererebbe più che volentieri con Voldemort, anche solo per il gusto di uccidere».
«E poi la maggior parte delle persone che si trova al Mirrty è esattamente come il tipico Mangiamorte: schizzato e con tanta voglia di fare a fettine qualcuno. Dove credi rinchiudano i seguaci di Voldemort quando li catturano?» fece Mary.
«Non mi meraviglio che gli Auror non facciano progressi, visto che appena catturano qualcuno quello torna libero come se niente fosse» commentò Remus.
«I miei e alcuni loro colleghi stanno cercando di convincere il Ministro a mandare i Mangiamorte a Brackden, ma non li ascolta nessuno» disse James con amarezza.
«Non credo migliorerebbe molto le cose: Brackden non è poi così sicuro» replicò Mary.
«Ma almeno le guardie sono sotto il diretto comando dell’Ufficio Auror» spiegò l’altro con pazienza. «Almeno loro dovrebbero essere dalla parte giusta, per quanto ne so».
«In ogni caso, non credo che Voldemort c’entri con le evasioni dal Mirrty: se avesse voluto intervenire e prendere dalla sua parte i pazienti, avrebbe già provocato un’evasione di massa» disse Lily. «Prenderne un po’ per volta non ha molto senso».
«Invece sì» ribatté Mary. «È difficile controllare una folla di psicopatici tutta insieme. Uno alla volta, invece, può convincerli a entrare nelle sue fila e a fare i bravi soldatini».
«Io sarei più curioso di sapere di cosa si occupa la parte del Mirrty che non viene usata per i pazienti» commentò Mike. «Cosa potrebbe fare un manicomio criminale per il governo?».
«Super-soldati-maghi pronti a combattere per la creazione dell’Impero Magico Britannico?» propose Emmeline, ridendo degli sguardi sconcertati e divertiti che aveva provocato.
«Io vorrei ribadire il fatto che Hamilton sia un mito» disse Mary. «È riuscito a far parlare i Malandrini di roba seria: non è un’impresa da tutti».
«Ma noi parliamo di roba seria!» replicò Sirius, offeso. «Ogni tanto».
Fortunatamente, la cena non venne rovinata dall’argomento tetro che Remus e Lily avevano portato e per il resto della serata il Mirrty Asylum e Voldemort vennero completamente dimenticati. Ben più presente, invece, fu il problema che per Lily rappresentava la ronda. Ancora non era certa se e cosa rivelare a James e l’argomento le era sparito dalla mente fino a quel momento, quindi non aveva pianificato nulla.
Lily era ancora indecisa mentre, nel suo Dormitorio, era distesa sul letto, i capelli rossi che facevano a pugni col copriletto, e aspettava che arrivasse il momento di scendere per la ronda. Di Mike, pensò, forse poteva parlargli. Dopotutto, nonostante l’amnesia, se la stava cavando abbastanza bene, non era impazzita e parlare con lui non era poi così difficile. I problemi c’erano quando ci si riferiva al loro passato: Lily non era più certa di cosa fosse accaduto realmente e chiedere spiegazioni al fratello la spaventava a morte. Parlare delle scritte, invece, era fuori discussione. Con quelle, era sicura che si sarebbe liberato un posto per lei al Mirrty, ed era abbastanza sicura che non sarebbe uscita tanto facilmente.
«Ehm, Lily?» fece Emmeline mentre, seduta a gambe incrociate sul proprio letto, sfogliava distrattamente una rivista babbana.
«Mmh?» mormorò la Caposcuola, senza prestarle particolare attenzione.
«Non avresti dovuto scendere dieci minuti fa?» chiese.
Lily mormorò qualcosa d’indecifrabile, ma Emmeline immaginò fosse qualche imprecazione rivolta a lei.
«E tu perché non sei in Sala Comune?» chiese Lily, alzandosi a sedere e valutando l’idea se raggiungere il neo-collega o darsi malata e posticipare il suo trasferimento in manicomio.
«Aspetto il “via libera” di Mary» rispose la ragazza, arrossendo leggermente e assottigliando le labbra, ricordando molto Lily (che, a sua volta, ricordava la McGranitt).
«Underwood?» chiese la Caposcuola, finalmente alzandosi dal letto e dirigendosi a passo lento verso la porta, mentre una parte di sé ancora lottava per spingerla a fermarsi e tornare indietro.
Emmeline, in risposta, si limitò ad annuire e ad abbassare nuovamente gli occhi sulla rivista.
«Stavo pensando di accettare l’offerta di Sirius e James» aggiunse. Lily, con la mano sulla maniglia, si bloccò per lanciarle uno sguardo di disapprovazione. «Va bene, va bene, non gli dirò nulla. Ora vattene, o James troverà un modo per salire e ti farà scendere lui. E gli darò una mano».
Borbottando nuove parole indistinte, Lily uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Fece un grande sospiro e, infine, si decise a scendere le scale.
James quasi saltò in piedi quando la vide arrivare e Lily notò che, lì accanto, Mike e Remus sembravano piuttosto sollevati che fosse arrivata.
«Ehilà!» salutò allegramente James, come se non avesse aspettato quasi un quarto d’ora.
«Era ora!» sbottò Mike, prima che Lily potesse dire qualsiasi cosa. «James rischiava di avere una crisi di nervi… e noi pure».
«Non è vero!» esclamò James, offeso, mentre Lily arrossiva leggermente. «Siete voi che sembravate impazziti».
«Certo!» replicò Remus, esasperato. «Eri tu a farci impazzire!».
«“Non è che si è scordata? O forse non vuole vedermi? E se si fosse sentita male ed io non posso andare ad aiutarla perché sono troppo occupato a fare il melodrammatico?” Porco Merlino, James! Faresti perdere la pazienza anche a Silente in persona!» gli fece il verso Mike.
James sbuffò e si rivolse alla ragazza.
«Ti dispiace se andiamo?» chiese. «A quanto pare non mi vogliono, qui».
Lily ridacchiò per la stranezza degli eventi e annuì.
Mentre i Caposcuola si dirigevano verso il ritratto della Signora Grassa, la voce di Mike arrivò da dietro le loro spalle: «Vedete di non tornare prima delle due, oppure sarò molto deluso da entrambi».
A suo favore, c’è da dire che non batté ciglio quando la Fattura Pungente di sua sorella gli mancò il volto per un soffio. Il ragazzo si limitò a sfoggiare un sorriso furbo. «Si metteranno insieme prima della fine del mese».
«Ottimo incantesimo» disse James, quando i due furono dall’altra parte del ritratto. «Peccato per la mira, però».
Lily inarcò un sopracciglio e lo guardò con sufficienza. «Per chi mi hai preso? Quello era un colpo d’avvertimento, la prossima volta gli faccio direttamente saltare il naso».
Forse il rapporto con il fratello non stava andando nel migliore di modi (sebbene avessero avuto qualche bel momento) e non avrebbe dovuto essere così acida, ma il sorriso soddisfatto di James sembrava dirle che aveva fatto la cosa giusta.
«Questa è la Lily Evans che conosco» disse lui, incamminandosi verso un corridoio a caso. Lily lo seguì, un po’ sorpresa.
«Che intendi dire?» chiese.
«Be’, ultimamente sei diventata un po’ più… introversa? Te ne stai sulle tue, spesso in silenzio…» rispose, per poi aggiungere frettolosamente: «Lo so che stai passando un brutto periodo con gli incubi e… tutto quello che non vuoi dirci, ma mi mancava questa Lily».
«E, sentiamo, cosa ti mancava di questa me?» chiese la ragazza, non senza un po’ di malizia presa in prestito da Mary. «Attento, però: in base alla risposta la durata della tua vita potrebbe accorciarsi di parecchio».
James rise. «Proprio questo! Mi mancava la Lily divertente, sarcastica, ligia alle regole e sempre pronta a far saltare il naso a chi la innervosisce».
«Hai dimenticato “geniale”» disse lei, cercando di non apparire lusingata dalle parole del ragazzo. Cosa che, fra l’altro, non era mai accaduta prima, nonostante, in sei anni, non fossero mancati complimenti da parte di James Potter.
«Be’, non lo sei poi così tanto» replicò il ragazzo, accelerando un po’ il passo, forse consapevole del pericolo in cui si stava cacciando. Lily rimase interdetta per un attimo, prima di raggiungere il suo ritmo.
«Ah, davvero? E come mai?» chiese, con tutta la modestia del mondo. O forse no.
«Perché non hai chiesto a Tonks di venire a studiare con te e Remus» rispose James, sicuro, lasciando cadere Lily in un baratro di disperazione e sgomento. Trovava incredibile che l’idea non le fosse venuta in mente: sarebbe stato semplicissimo portarla in Biblioteca e, per qualche motivo di cui “si era dimenticata”, volatilizzarsi e lasciare quei due idioti da soli.
«Non ci posso credere» mormorò la ragazza, con occhi spiritati. «Cosa, per Godric, non ho fatto».
«Si vede che non sei una Malandrina» replicò il ragazzo, con una punta malcelata di orgoglio. Era la seconda volta in meno di dodici ore che Lily sentiva quella frase.
«Perché i Malandrini sarebbero esperti di queste cose?» chiese, sarcastica. «Devo forse ricordarti che Sirius è l’unico di voi che ha una ragazza e che è ancora un mistero perché stiano insieme?».
 James sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la bocca e si limitò ad assumere un colorito più acceso. Una parte di Lily le suggerì cosa potesse star pensando il ragazzo e lei arrossì a sua volta. Possibile, si chiese, che due persone che si conoscevano da sei anni (cinque dei quali passati a urlarsi addosso per un motivo o per un altro) arrossissero come dodicenni al primo appuntamento? La parte del “primo appuntamento”, poi, le fece capire che aveva bisogno di cambiare argomento, subito.
«Remus mi ha detto che tu e Mike progettavate qualcosa, oggi pomeriggio» disse. James sembrò sorpreso per un secondo, poi assunse il ghigno malandrino che era marchio di fabbrica suo e di Sirius.
«Regola…».
«Numero sette, sì, lo so» lo interruppe Lily, un po’ delusa.
Il ghigno di James si allargò un poco. «E allora come mai chiedi?».
La ragazza scrollò le spalle. «Ero curiosa».
«Lily Evans, rigido Caposcuola e cacciatrice di Malandrini per eccellenza, è curiosa riguardo ai nostri scherzi?» chiese il ragazzo, sorpreso e divertito.
«Ah-ah! Allora stavate progettando uno scherzo!» esclamò la ragazza, trionfante, puntano un dito verso il petto di James. «Voglio i dettagli».
«Perché, vuoi partecipare?» sbuffò James, sarcastico e un po’ infastidito per l’essersi fregato da solo.
«Forse» disse lei, prendendo il Grifondoro alla sprovvista. «O forse potrei voler sapere chi sono le vittime, così vedo se è il caso di fermarvi oppure no».
«Oh, be’, allora ‘sta sicura che ti dirò tutto» replicò lui, incrociando le braccia e osservandola con aria di scherno. Lily non sapeva con precisione quando si fossero fermati, ma in quel momento erano uno davanti all’altra, con James che sovrastava la ragazza di quasi una spanna.
«Allora farò in modo che Mary estorca le informazioni da Sirius» disse lei con sicurezza, incrociando le braccia a sua volta. «Sai benissimo che Black non resisterà».
James imprecò a bassa voce. «Ma perché devi per forza saperlo? Non puoi semplicemente goderti la sorpresa? Vedrai che ti divertirai anche tu».
«Perché dovrei fidarmi?» chiese, assottigliando lo sguardo.
«Perché… è da un anno che non facciamo scherzi di quel tipo, e non ho… non abbiamo intenzione di ricominciare adesso» rispose, un po’ titubante.
«Okay, mi fido». Lily sorrise e, voltandosi, riprese a camminare per il corridoio. James impiegò qualche secondo per capire ciò che era appena successo, poi trotterellò accanto a Lily, canticchiando qualcosa che somigliava a un inno di vittoria.
Quando terminarono di controllare il Settimo Piano, i Caposcuola di Grifondoro si spostarono ai piani più bassi, senza riscontrare alcun problema. Al Sesto incrociarono Pix che stava cercando di infilare pezzi di armatura a un gargoyle, ma entrambi decisero di lasciarlo in pace: dopotutto non stava facendo nulla di dannoso per gli studenti. Al Quarto, invece, incontrarono un paio di Prefetti di Corvonero che pomiciavano allegramente in uno sgabuzzino (anche piuttosto rumorosamente): Lily li rimproverò e gli ordinò di continuare la ronda, senza togliergli alcun punto, ma le sembrò di sentire James consigliare un posto più appartato ai due; Lily decise di non indagare.
Proprio quando sembrava che tutto stesse andando per il meglio, al Primo Piano, l’argomento venne tirato fuori.
«Ehi, Lily» mormorò James. Lei si voltò a guardarlo, sorprendendosi nel trovarlo imbarazzato.
«Che succede?» chiese la ragazza, avvicinandosi a lui.
«Ecco, non voglio essere scortese o assillarti o altro, ma…» cominciò lui. Sebbene sembrasse non saper continuare la frase, Lily immaginava cosa le avrebbe chiesto. Aspettò, paziente, che il ragazzo continuasse. «Insomma, sai che voglio aiutarti e, anche se adesso sembra tutto normale, so che non è così. So che siamo amici da poco e tutto il resto… ma mi piacerebbe che ti confidassi con me, che mi dessi l’opportunità di aiutarti». Il ragazzo sembrò bloccarsi un attimo, come se stesse pensando a qualcosa, poi arrossì leggermente. «So che posso sembrare ipocrita o presuntuoso o…».
Lily lo interruppe prendendogli una mano e guidandolo con sé verso un’aula in disuso. Fece entrare il ragazzo e richiuse la porta, per poi accendere fiammelle bluastre che galleggiavano nell’aria, illuminando la stanza. Era piuttosto piccola, per essere una vecchia aula: poche scrivanie curiosamente alte erano sistemate al centro della stanza, le sedie poggiate sopra, e, dietro alla cattedra, una vecchia pendola era ferma, segnando le undici e mezza.
«Carine» mormorò James, osservando le luci create dalla ragazza, che prese una sedia e si sedette. James si sistemò sul tavolo, facendo dondolare le gambe a pochi millimetri da terra.
Lily si sfregò le mani, cercando di capire come cominciare. La mano che James le poggiò su una spalla la fece sussultare.
«Ehi, se non vuoi non serve che…» cominciò, interrompendosi sotto lo sguardo scettico della ragazza.
«Ci ho pensato parecchio, su se, cosa e come dirtelo. Alla fine credo di aver capito che un tuo consiglio potrebbe essermi parecchio utile» disse lei.
«Spara» la incoraggiò James.
«Sto avendo alcuni… problemi, diciamo. E non parlo degli incubi, non solo. Hai presente il viaggio sull’Espresso, l’altro giorno, no? Be’, potrei dire che, da quando mi sono risvegliata, mi… sono resa conto della presenza di una certa persona» spiegò lei, rimanendo sul vago. James si mosse un po’ sul posto e Lily capì che le sue parole potevano essere interpretate in un certo modo… «Sto parlando di Mike».
Questo, sicuramente, James non se l’aspettava. Rimase immobile per qualche secondo, osservandola con serietà.
«Scusa?» fece, inebetito. Lei sospirò, alzandosi. Sentiva di aver bisogno di muoversi un po’.
«Ne ho parlato anche con Emmeline e Mary e non abbiamo nessuna idea di come sia possibile. Lui ancora non lo sa ma credo che si farà sempre più insistente e non so come dirgli di farsi gli affari suoi perché questi sono affari suoi e…».
«Ehi, frena, frena!» la interruppe James. Lily lo guardò, mordendosi un labbro quasi a sangue. «Non riesco più a seguirti! Per favore, dimmi, chiaro e tondo cosa c’è che non va».
Lily chiuse gli occhi e fece un bel respiro. Sentì una presenza davanti a sé e, quando li riaprì, vede che James si era spostato di fronte a lei e la guardava, preoccupato.
Come si guarda un pazzo, pensò lei, tristemente. Ma era troppo tardi per tirarsi indietro.
«Mike. Non so chi sia, non ho alcun ricordo di lui». Accadde appena finì di pronunciare queste parole. La campana della scuola risuonò nella notte, in un fracasso che mai aveva udito prima. Il rumore di una seconda campana, più vicina e meno rumorosa, fece voltare la ragazza di scatto. La pendola non era più ferma e le lancette avevano cominciato a girare vorticosamente. All’indietro. Il rumore assordante dei due orologi la spinse a tapparsi le orecchie e, quando tutto cessò, sentiva ancora i rintocchi risuonare nel cervello. Le lancette della pendola segnavano le dodici in punto.
«Cosa diamine sta succedendo?» chiese. Al nulla, evidentemente, perché, voltandosi, vide che James era sparito. Sentì il sangue gelarsi nelle sue vene e sudore freddo scenderle giù per la nuca. Il respiro si mozzò quando le fiamme che aveva generato divennero rosse, illuminando una scritta incisa sulla parete. Corri. Senza pensare, uscì velocemente dall’aula, senza curarsi del rumore (tanto, in ogni caso, la campana aveva già svegliato tutta la scuola).
Quando uscì, inciampò e cadde a terra, strusciando il ginocchio. Non emise, però, nemmeno un piccolo gemito di dolore, tanto grandi erano paura e sorpresa. Sembrava che fosse sorto il sole, ma non la solita stella gialla che brilla ogni giorno nel cielo, bensì un astro rosso brillante, che tingeva le pareti come sangue rappreso. Pareti che ora erano composte da una roccia nera, tagliente e granulosa: non avrebbe saputo dire se somigliasse più a sangue coagulato o a una colonia di un miliardo di scarafaggi. Guardò la porta dietro di sé e la vide di metallo scuro, con delle sbarre che bloccavano una fessura rettangolare posta ad altezza d’uomo, come la porta di una qualche prigione. O di un manicomio.
Cominciò a correre quando vide due mani chiudersi attorno a quelle sbarre. Erano mani dalla pelle bianca e malaticcia, coperte di vesciche e sangue rappreso. Tutto ciò che sapeva era che non aveva la minima intenzione di incontrare e chi appartenessero, che fossero reali o, ora ne era quasi certa, parto della sua mente malata.
Corse senza pensare, diretta verso il Piano Terra, sperando di uscire dalla scuola. Arrivare alle scale fu faticoso e lungo, poiché il pavimento era composto della stessa sostanza delle pareti e questa sembrava trattenerla a terra, rendendo ogni passo complicato e goffo. Ogni tanto, delle scritte comparivano sulle pareti, ma Lily si rifiutava categoricamente di guardarle: temeva cosa avrebbero potuto dirle.
Mentre scendeva le scale (scale metalliche e scivolose, coperte di ruggine), Lily smise di trattenere le lacrime, che cominciarono a sgorgare e ad appannarle la vista. Si passò la manica della divisa sugli occhi, ma sembrava che l’acqua salata non volesse smettere di uscire e, onestamente, alla ragazza non importava poi granché.
Arrivata alla fine della scalinata, Lily corse verso la porta d’ingresso, lottando estenuantemente contro il pavimento. Un paio di volte cadde a terra e alzarsi fu molto complicato. Dei rumori cominciarono a provenire dalle scale alle sue spalle, urla e strepiti lontani. Non capì se fossero frutto della sua immaginazione o altro, ma accelerò il passo, per quanto il pavimento glielo permettesse.
Arrivata alla porta, poggiò le mani sui battenti, grata che almeno quella fosse rimasta normale, e tentò di tirare. Smise non appena questa tremò sui cardini, colpita da qualcosa, all’esterno. Lily camminò all’indietro, mentre la porta continuava a piegarsi sempre di più verso l’interno. Alle orecchie le giunse un verso animalesco, a metà fra un ruggito leonino e una risata di iena.
La ragazza rimase immobile, con gli occhi spalancati dall’orrore, a fissare la porta che veniva colpita dalla pura forza bruta di qualche essere a lei sconosciuto, mentre la sostanza che ricopriva il pavimento le fissava sempre di più le scarpe al terreno. Lily era ferma, in quel mondo sconosciuto senza alcun pensiero nella mente, solo la consapevolezza di non sapere, non sapere cosa fare, dove andare o come reagire, e un immenso terrore che le faceva risuonare il cuore nelle orecchie.
Percepì vagamente le urla che, da dietro, cominciavano ad avvicinarsi un po’ troppo, ma non furono nulla, assolutamente nulla, in confronto all’essere che sradicò il portone dalla pietra, ruggendo sotto il cielo rosso sangue di quello che, si disse, poteva solo essere l’Inferno. E, a quanto pareva, come comitato d’accoglienza aveva ricevuto il Diavolo in persona, a giudicare dal mostro che aveva davanti.
Alto una decina di metri, l’essere aveva il busto da uomo, le gambe caprine e il volto felino. Dietro di esso, una coda di serpente vibrava nell’aria, sibilando e sputando veleno corrosivo. Tutto l’essere era nero come la pece e le mani terminavano in artigli grandi almeno quanto lei. Il mostro ruggì, mostrando le enormi zanne, e Lily cadde all’indietro, come colpita da un’onda d’urto. Sentiva il sudore colarle per il volto e l’aria bloccarsi nella sua gola mentre l’essere si avvicinava, l’intera scuola che tremava ogni volta che gli zoccoli colpivano il terreno.
Lily, finalmente, seppe. Ebbe coscienza di star morendo e la cosa la tranquillizzò un po’: almeno sarebbe scomparsa mantenendo un briciolo di lucidità, cosa che, negli ultimi tempi, era andata bellamente a farsi benedire.
La Grifondoro chiuse gli occhi e aspettò pazientemente che l’essere la prendesse.
«Buonasera» disse una voce, calma e dolce. Lily spalancò gli occhi, sorpresa. Si scoprì seduta su una sedia di legno bianco, più un trono a giudicare dalla splendida lavorazione. Davanti a sé, dietro a un tavolino rotondo e seduto su un trono fatti dello stesso legno, era seduto un ragazzo, forse di un paio d’anni più grande di lei. Tutto il resto, invece, era Nulla. L’universo sembrava essersi ridotto a quelle due persone e al luogo su cui erano sedute. Con tutta l’oscurità che li avvolgeva, le sedie e il tavolino erano quasi accecanti.
«Tè?» chiese il ragazzo, facendo un cenno con la mano. Sul tavolo apparvero due tazze piene di tè fumante, più un bricco di latte, un piattino con delle zollette di zucchero, un vasetto di miele e un calice colmo di fette di limone. Canticchiando a bocca chiusa un motivetto allegro, il ragazzo versò un po’ di latte nella tazza e cominciò a mescolare, sorridendo dolcemente.
Lily sentiva ancora il cuore in gola e non aveva la minima idea di ciò che stesse accadendo, ma decise di stare al gioco. Tutto quello doveva essere un parto della sua mente, non poteva essere altrimenti, quindi prima lo accettava e meglio sarebbe stata. In un certo senso, l’idea la rese più tranquilla: se quella era la sua immaginazione, allora non poteva farsi alcun male.
Osservò il ragazzo dall’altra parte del tavolo. Per l’aspetto, le ricordava un po’ James, sebbene i capelli neri fossero più lunghi e una frangia copriva parte dell’occhio sinistro. Gli occhi, però, che intravedeva dietro le palpebre socchiuse, avevano uno scintillio sinistro. Indossava una lunga giacca bordeaux, finemente decorata in oro, accompagnata da un paio di guanti dello stesso colore; il tutto le ricordava un po’ certe statue di cera che ritraevano uomini di metà Ottocento. Da una tasca sporgeva la catena dorata di un orologio, di cui le sembrava di percepire il leggero ticchettio anche da quella distanza. Poggiato delicatamente sulla testa, c’era un cilindro di seta con un nastro dorato che ne circondava la base. In mezzo al nastro, a sinistra, era stata sistemata una splendida rosa rossa.
«Chi sei?» chiese Lily, non preoccupandosi dell’educazione: dopotutto, quel ragazzo l’aveva creato lei.
«Il mio nome ufficiale è Mad Hatter» rispose, bevendo un sorso di tè. «Ma in genere mi chiamano solo “il Cappellaio”».
«Capisco» mormorò Lily. Dopotutto, non era difficile pensare che una matta come lei avesse creato un Matto per farsi compagnia. «E… dove siamo?».
Il Cappellaio sbuffò, divertito. «E chi lo sa?».
«Come, scusa?» chiese lei, sorpresa.
«Be’, se proprio vuoi una risposta, potremmo dire che siamo ovunque e, allo stesso tempo, da nessuna parte. Anche perché ovunque è da nessuna parte, se ci pensi» disse lui, continuando a sorridere con gentilezza.
«Sul serio?» chiese lei, per nulla convinta.
«Hai mai visto “ovunque”?».
«Ehm… no».
«E pensi che lo vedrai mai?» insistette il Cappellaio.
«No» rispose Lily, pensando che, quando sarebbe stata rinchiusa al Mirrty, al suo risveglio, avrebbe visto ben poco del mondo.
«Quindi l’”ovunque” non è raggiungibile, in quanto nessuno può vedere “tutto”. Per questo, l’”ovunque” non c’è, quindi è “da nessuna parte”» concluse il ragazzo, bevendo un altro sorso. Lily rimase spiazzata per un secondo.
«Ma il mondo esiste, l’universo c’è. Quindi, se l’”ovunque” comprende l’universo, allora l’”ovunque” esiste» ribatté la ragazza, aggrottando le sopracciglia. Non riusciva a capire dove la sua mente volesse portarla: dopo l’incontro con un mostro alto tre piani non aveva la forza di fare ragionamenti così complicati.
«Ma l’universo è in continua espansione, ogni volta che penserai di aver visto “tutto” ci sarà sempre dell’”altro” ancora da visitare».
«Questo significa solo che “ovunque” è infinito, non che non esista!».
«In quest’universo ogni cosa esiste solo se ne è presente l’opposto. La luce crea l’oscurità e viceversa, il caldo esiste perché c’è il freddo e viceversa. Se l’”ovunque” fosse infinto, allora non esisterebbe “da nessuna parte”. Ma, secondo il principio precedente, se il “da nessuna parte” non esiste allora neanche l’”ovunque” esiste, poiché è impossibile definire qualcosa senza conoscerne l’opposto».
«E allora? Questo vuol dire che sarai sempre da qualche parte ed è impossibile non esserci».
«E tu, in questo momento, dove credi di essere?» chiese il Cappellaio, con un sorriso furbo. Lily arrossì per l’irritazione.
«È quello che ti ho chiesto due minuti fa!» replicò.
«Be’, sei in un luogo che è “ovunque”, prendendo in considerazione quest’universo, e “da nessuna parte”, prendendo in considerazione il tuo» spiegò l’altro, aggiungendo dello zucchero al tè che, benché fosse stato bevuto, riempiva ancora la tazza.
«Che vuol dire?» chiese Lily, cominciando a non capire più nulla.
«Come hai detto tu, una persona c’è sempre, pertanto è perennemente nell’”ovunque”. Qui, inoltre, il concetto ha ancora più sfumature, poiché lo spazio e il tempo possono variare a piacimento. Per di più, questo posto non è quello da cui provieni, quindi, riferendoci a quel luogo, noi non siamo “da nessuna parte”» rispose il Cappellaio. «Forse può sembrarti un po’ complicato da capire, ma ci arriverai. È un posto strano, il Paese delle Meraviglie».
«Il “cosa”?» fece la ragazza, sempre più confusa.
«Oh, è come lo chiamo io, ma ha molti nomi. Prigione, Manicomio, Abisso, Altromondo, Inferno… a me piace chiamarlo così, Paese delle Meraviglie. Molto più poetico, non trovi?» chiese il Cappellaio, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Ehm… sì, certamente» rispose Lily, un po’ a disagio. La conversazione stava prendendo una piega che non la convinceva affatto. Il Cappellaio ridacchiò.
«Direi che è ora di passare al motivo per cui ti trovi qui, non sei d’accordo?» chiese il ragazzo, prendendo una zolletta di zucchero e ingoiandola intera. «Sei stata cattiva, lo sai, Lily Evans?».
Lily non si sorprese che conoscesse il suo nome, dopotutto lo aveva creato lei.
«E cosa avrei fatto?» chiese la ragazza, anche se in cuor suo conosceva la risposta.
«Non parlare. Non più» recitò il Cappellaio, diventando improvvisamente serio. «Era un messaggio semplice e facile da comprendere, cara. Mi ci sono impegnato: dopotutto è difficile entrare in contatto con il vostro mondo senza un ospite e non avevo tempo per cercarne uno. Credevo che, comunque, il messaggio avrebbe fatto effetto. Invece, eccoti lì, pronta a raccontare tutto al primo ragazzo che ti fa gli occhi dolci». Il Cappellaio sospirò, come se fosse davvero dispiaciuto e Lily sentì il proprio respiro diventare più affannoso. Sentiva la paura prendere nuovamente il controllo del suo corpo. «Sai, credo che dovrò prendere provvedimenti. Mi dispiace tanto, sei una così brava ragazza, ma devi imparare a tener chiusa la bocca». Il Cappellaio si alzò dalla sua sedia e Lily tentò di fare altrettanto, scoprendo con orrore che non riusciva a muoversi. Quando la ragazza alzò nuovamente lo sguardo, l’altro era sparito.
«Sono qui» la voce, dura e tagliente, venne pronunciata proprio accanto al suo orecchio. Una mano coperta da un guanto rosso smorzò velocemente l’urlo che la ragazza aveva lanciato. Il Cappellaio le sussurrò all’orecchio di fare silenzio e non muoversi. Lily ubbidì, tremando per il terrore. Vide, con la coda dell’occhio, il riflesso di una lunga lama che le passava proprio accanto al collo. Dopo un istante percepì il freddo metallo sulla pelle e dovette resistere all’impulso di ritrarsi.
«Ecco, vedi?» sibilò il Cappellaio. «Sei bravissima a ubbidire, hai solo bisogno… del giusto stimolo. Bene, vorrà dire che provvederò a dartelo». Lily sentì il fiato del Matto sul collo. «Sai, quasi mi dispiace per quel ragazzo: era quasi riuscito a farti innamorare di lui, e ora non potrai dirgli più nulla. Oh, be’, se è così che devono andare le cose, chi sono io per discutere?».
Il Cappellaio inclinò la lama e, per un breve istante, Lily vide il suo volto riflesso nell’acciaio e i suoi occhi dorati che la osservavano, divertiti e maligni. Poi, Mad Hatter passò la spada sul suo collo.

Lily si alzò di scatto a sedere, ansimando e portando istintivamente una mano sulla gola. All’improvviso, delle mani le cinsero le spalle, facendola sobbalzare dal terrore, e tentarono di spingerla nuovamente supina. Credendo che fosse di nuovo il Cappellaio, Lily spinse via persona che la stava tenendo. James arretrò, alzando le mani e osservandola con un’espressione fra il preoccupato e il ferito, gli occhiali che pendevano da un lato. Il ragazzo le disse qualcosa che non riuscì a sentire: il cuore le batteva così forte da tapparle le orecchie.
Lily si guardò intorno, sorpresa e con il fiato corto. Era sdraiata su un letto di un candore abbagliante e, riconosciuto quello, non fece fatica a capire di trovarsi nell’Infermeria. La professoressa McGranitt si stava avvicinando di corsa insieme a Madama Chips. James, accanto a lei, non muoveva un muscolo, osservandola come si fa con un cucciolo ferito… o una fiera pericolosa.
La ragazza era troppo confusa per capire cosa stesse accadendo: recepì a malapena le parole di conforto delle due donne e capì troppo tardi che ciò che Madama Chips le stava facendo bere era una Pozione Soporifera. Lily non avrebbe voluto riaddormentarsi, aveva troppa paura di rincontrare Mad Hatter nel Paese delle Meraviglie, ma la pozione sconfisse la volontà e, in pochi istanti, sentì i propri occhi chiudersi.
L’ultima cosa che il suo cervello registrò fu un particolare nei capelli di James: nel bel mezzo del nero corvino, una fiamma rosso sangue brillava alla fioca luce delle lampade. Un petalo di rosa. Un particolare troppo strano per essere casuale. Seppe con certezza da dove quel petalo proveniva: dalla rosa sul cappello di Mad Hatter.
Mentre si addormentava, capì il senso delle ultime parole del Cappellaio e il significato del petalo.
«Sono qui. Non parlare. Non più».





*Okay, ammetto di non sapere se le colazioni a Hogwarts prevedano anche torte o altro… A me piace pensare di sì, quindi consideriamola una sorta di licenza poetica, okay?!



Hello guys!
Finalmente, dopo secoli, sono riuscito a concludere il capitolo! Yay!
Chiedo scusa per il ritardo, ma la scuola prende ogni briciola di tempo, non trovo quasi più momenti per leggere, figuratevi per scrivere. Ho dovuto aspettare una mini-vacanza per poter concludere (mi sono riuscito a fare 7 pagine in 4 ore, e credo si veda dal casino che ho scritto...) e ignorare la verifica di Fisica e le interrogazioni di Biologia per potermi trovare un po' di tempo. Be', spero che almeno quei due 4 che prenderò ne siano valsi la pena! (Chissà se la fanfiction potrebbe valere crediti a scuola... temo di no, ma potrei controllare).
Oh, be', dopo aver fatto causa a Crono per aver portato via tutto il Tempo utile, direi che posso parlare del capitolo, che è... un capitolo, credo di aver poco da aggiungere. Come avete potuto leggere, si può dire che, finalmente, la fanfiction è iniziata. Il personaggio di Mad Hatter è stato ed è colui che dà più filo da torcere a Lily, iniziando il suo piano malefico con scopi più o meno (più "meno" che "più") chiari. So che il capitolo è piuttosto confusionario (si passa da un argomento all'altro rapidamente e penso sia un po' difficile capirci qualcosa) e contorto, ma vi chiedo di prestarci particolare attenzione, perché, probabilmente, sarà uno dei più importanti di tutta la storia. Per quanto riguarda il dibattito filosofico fra il Cappellaio e Lily... Si vede che quella parte l'ho scritta ieri a mezzanotte, vero?
Non credo di aver altro da aggiungere... Tutto ciò che ci sarebbe da dire sarebbe spoiler, e quello non va bene!
Passo, quindi, ai più che dovuti ringraziamenti.
Voglio ringraziare Aregilla, Deek, Marty Evans e Selene Potter93 per aver inserito la storia fra le seguite e Fenice25 per averla inserita fra le seguite, le ricordate e le preferite (wow... sul serio?). Ma, più di tutti, voglio ringraziare 16th e cat_princesshp per le loro recensioni incoraggianti e che mi riempiono di soddisfazione. Grazie, davvero, a tutti voi. Sì, okay, mi sembra giusto: grazie anche ai numerosi lettori silenziosi!
Rinnovo l'invito a lasciare una recensione a questa storia, anche breve, per farmi sapere cosa ne pensate, se crediate che tutto stia andando a farsi friggere o se trovate che, dopotutto, un po' di sano sovrannaturale/horror ci stia nel mondo magico di un (ricordo) universo parallelo.
Non so se durante le vacanze di Natale riuscirò a scrivere un nuovo capitolo (credo che mi concentrerò sulla mia altra fanfiction, più impegnativa e che richiede più concentrazione), ma spero di farcela.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Con affetto,
hufflerin

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2845132