Lily's Adventures in Wonderland di Luke_White (/viewuser.php?uid=491663)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fragment 0 - I'm here ***
Capitolo 2: *** Fragment I - Nightmares and memories ***
Capitolo 3: *** Fragment II - Vanishing words ***
Capitolo 4: *** Fragment III - The rose on the hat ***
Capitolo 1 *** Fragment 0 - I'm here ***
0
~I’m here~
“La vita che cos’è, se non un
sogno?„
Attraverso lo specchio e ciò che ***** vi trovò
“Nei
sogni entriamo in un
mondo che è interamente
nostro”, diceva una certa persona. Ma come il mondo reale,
spesso anche quello dei sogni è incontrollabile.
Ciò che si sogna appartiene alla propria mente, questo
è certo, ma ciò non significa necessariamente che
se ne abbia il comando.
Lei non voleva
trovarsi
lì, eppure c’era. Voleva
svegliarsi, sapeva che quello era solo frutto della sua immaginazione,
eppure continuava a scendere, sempre più in
profondità. Voleva potersi muovere, girarsi e tornare verso
la luce, che invece si faceva sempre più lontana, a volte
scomparendo per qualche istante lasciandola
nell’oscurità più completa. Vedeva
piccole bolle d’aria fluttuare verso l’alto senza
controllo, estirpando ogni traccia d’ossigeno dai suoi
polmoni.
Era chiaro che
quello era solo un
sogno. A quelle profondità
gli organi avrebbero già dovuto cedere e ormai
l’aria sarebbe dovuta essere finita da un pezzo. Invece
continuava a sprofondare. Cercava di ribellarsi, ma era in
balìa delle correnti del sogno, che la trasportavano negli
abissi di quell’oceano fittizio.
Pian piano, la luce
proveniente dalla
superficie scomparve nel nulla,
lasciandola nel buio assoluto. Ora, privata della vista, non aveva
alcun punto di riferimento. Anche il senso di caduta svanì.
Galleggiava nel Nulla.
Poi
toccò terra.
Scivolò dolcemente su una
superficie invisibile. O forse era lei che ormai non vedeva
più nulla? Non seppe rispondersi.
Si alzò
dopo alcuni
tentativi, scivolando sulle gambe
intorpidite. Intorno a lei, il Nulla continuava a essere il padrone.
Prima che la mente potesse decidere alcunché, il corpo si
mosse. Camminò. Il tempo nei sogni è qualcosa di
assolutamente astratto. Per la ragazza furono giorni, nella
realtà, forse, solo qualche minuto.
Infine, qualcosa si
mosse
nell’oscurità. Vederlo
era impossibile, ma lei riuscì a percepirlo. Sembrava fatto
della stessa materia del mondo che la circondava, eppure era allo
stesso tempo differente, come se avesse un'altra densità.
Riusciva a percepire i suoi movimenti, ma non avrebbe potuto
descriverlo in alcun modo. L’Essere sembrava rotearle
intorno, una presenza calda e strisciante che la fece sudare freddo.
Benché la mente fosse bloccata, inorridita e terrorizzata,
il corpo continuava ad andare avanti, ora con una lentezza estenuante.
Camminò.
La presenza
continuava a seguirla, scivolando nel
Nulla da cui era stato generato. La ragazza aveva ormai superato lo
shock ma l’Essere continuava a inorridirla e il suo solo
pensiero, al momento, era scappare, ma il corpo continuava a non
risponderle. Mentre l’Essere si muoveva intorno a lei, mentre
temeva di dover rimanere prigioniera di quel sogno eterno, comparve
ciò che per lei più si avvicinava alla salvezza.
A
mezz’aria, di fronte a
lei, si era pian piano delineata una
forma. Una piuma, di un candore abbagliante
nell’oscurità del Nulla, galleggiava senza peso.
In quel momento, il corpo le rispose per la prima volta.
D’istinto la ragazza mosse il braccio e afferrò la
piuma, entusiasta di sentirla solida sotto le dita. Se la
rigirò fra le mani, esaminando l’unica forma
presente in quell’infinito mondo.
Erano solo lei e la
piuma.
E
l’Essere.
Se ne era quasi
dimenticata e, a
quanto pareva, alla cosa non piaceva
essere ignorata. La ragazza la percepì al suo fianco,
immensa eppure solo a pochi centimetri da lei. Avrebbe potuto allungare
un braccio e toccarla ma non si mosse. Rimase invece aggrappata alla
piuma come se fosse la sua ultima speranza.
Percepì
la creatura
avvicinarsi ancor di più,
fino a sentirne il fiato caldo sul collo.
Il suono le
arrivò
da davanti a lei.
«Sono
qui».
La piuma divenne
improvvisamente nera
e spenta. Il Nulla riprese il
sopravvento. Gli Esseri si mossero.
Lily
urlò.
I ragazzi che si erano radunati
nello
scompartimento avevano guardato
Lily Evans assopirsi, sorridendo al pensiero che, solo l’anno
precedente, non si sarebbe mai potuta addormentare sapendo che i
Malandrini erano giusto accanto a lei. Ma l’anno precedente
aveva cambiato molto il modo di pensare della Grifondoro.
Gli altri avevano
quindi continuato a
scherzare come se niente fosse,
consapevoli che il sonno pesante della ragazza li avrebbe aiutati. Dopo
non molto, però, Emmeline aveva cominciato a capire che
c’era qualcosa che non andava.
Lily aveva
cominciato ad agitarsi nel
sonno e a mugugnare leggermente.
L’amica l’aveva allora scossa un po’,
tentando di farla riemergere dai suoi sogni quel tanto che bastava da
potersi calmare. Lily non aveva fatto una piega e, anzi, aveva
cominciato a mormorare parole incomprensibili e a sudare visibilmente.
Emmeline aveva allora aggrottato le sopracciglia, preoccupata, e aveva
provato a muovere di nuovo l’addormentata, questa volta con
un po’ più di forza. Come se non avesse fatto
nulla.
«Tutto
bene?»
aveva chiesto James, osservando
attentamente la rossa. Emmeline scrollò le spalle. Mike si
avvicinò a Lily e le prese una mano.
«È
gelida» disse. Ormai lo sguardo dei
presenti era puntato sulla ragazza.
«Lily?»
chiamò Emmeline, provando a
svegliarla. «Lily?».
In altre occasioni,
nessuno si
sarebbe preoccupato in quel modo.
Avrebbero lasciato che la ragazza terminasse il suo sogno, pur brutto
che fosse, e poi sarebbe stato tutto dimenticato. Ma l’incubo
che sembrava avere in quel momento pareva averla indebolita anche
fisicamente: in pochi secondi aveva perso colore e ora il sudore le
incollava i capelli rosso fuoco alla fronte.
Mentre Mary si
stava avvicinando a
Lily per esaminarne le condizioni,
questa si svegliò improvvisamente, emettendo un urlo
strozzato. Nessuno parlò, lasciando che la ragazza si
riprendesse. Ansimava faticosamente e aveva gli occhi sgranati.
«Lils»
sussurrò gentilmente Mike,
chinandosi verso di lei. «Come stai?».
Lily
annuì più
volte ma ancora guardava a terra e
non riusciva a parlare. Deglutì.
«Sto
bene»
mentì. Poi alzò
lentamente gli occhi su di lui che la vide aggrottare le sopracciglia
con sospetto. Accanto a lui James si torturava le mani e fissava la
ragazza, come se si stesse trattenendo dal fare o dire qualcosa.
«Sicura
di stare bene,
sorellina?» chiese
nuovamente Michael. Lily, per un solo e brevissimo istante,
sembrò terrorizzata. La ragazza annuì di nuovo e
si alzò, tremando leggermente.
«Dove
vai?»
chiese Mary, cercando di tenerla seduta
perché non si sforzasse.
«In
bagno»
rispose Lily, scansando
l’amica e uscendo dallo scompartimento.
Emmeline si
alzò, con aria preoccupata. «Meglio
seguirla».
Mary
annuì e, dopo un
leggero bacio a Sirius, seguì Emmeline fuori dallo scompartimento.
Nessuno, in quel momento,
avrebbe
potuto capire appieno come si sentiva
Lily. In un turbine di confusione e paura, la ragazza non riusciva a
smettere di ricordare l’orrida presenza dell’Essere
che le aveva sussurrato all’orecchio.
«Sono
qui».
Hello guys!
Ho, come promesso,
pubblicato il prologo di questa mia nuova storia, di cui, probabilmente
non si capisce un accidente. Ma tranquilli: tutto nella norma.
Come anticipato sin dal titolo, la protagonista di questa fanfiction
è la dolce, cara e a volte letale Lily Evans. Anticipo che
non ho mai scritto dal punto di vista di ragazze (anche se in terza
persona, il punto di riferimento è sempre Lily) pertanto
chiedo già ora perdono al vasto pubblico femminile di questo
fandom. Le cazzate le faccio, per cui aspettatevele.
Voglio dirvi qualcosa che sarà particolarmente essenziale
per capire questa fanfiction: questa storia è ambientata in
uno degli universi paralleli di
cui parlo anche nella mia altra fanfic, The Storytellers.
Pertanto, troverete molte discordanze dall'universo del nostro Harry
Potter e anche da quello di The Storytellers.
Ciò che vi potreste chiedere è: perché
ambientare la storia in un universo parallelo? La cosa è
molto semplice e potrebbe far storcere il naso ai più: per
avere più libertà nella scrittura. La storia che
voglio scrivere, infatti, avrà dei risvolti che la
staccheranno molto dall'Harry Potter che conosciamo
(non vi anticipo nulla) e che possono essere, se non spiegati,
perlomeno accettati con la localizzazione in un
altro universo. Ergo: tutto ciò che verrà narrato
in questa storia non avrà influenze sull'universo Potteriano
che conosciamo (chiamiamolo Universo R, come "Rowling"), ma solo su
questo, l'Universo W (da Wonderland).
Altra e ultima cosa: perché Wonderland? Che c'entra il Paese
delle Meraviglie? Quasi un tubo, in realtà. Semplicemente,
uno dei temi centrali (sta a voi capire quale) l'accomunerà
alla splendida storia di
Carroll e molti personaggi e situazioni ne conterranno riferimenti.
Direi, quindi, di concludere qui questa premessa più lunga
dell'intero capitolo.
Ciò che avevo da dire, credo, l'ho detto, ma se avete altre
domande fatele pure.
Spero che questo capitolo introduttivo, e molto incasinato, vi sia
piaciuto. Vi pregherei di lasciare una recensione, anche piccola, per
farmi sapere cosa ne pensate della storia e se, per voi, potrebbe
uscirne qualcosa d'interessante.
Con affetto,
hufflerin
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Capitolo 2 *** Fragment I - Nightmares and memories ***
I
~Nightmares and memories~
Era
chiusa da ormai una ventina di minuti nel bagno dell’Espresso
e non aveva alcuna voglia di uscire, né di parlare con Em e
Mary. Poggiata con i gomiti sui bordi del lavandino, osservava
l’acqua scivolare giù nello scarico, mentre altra
ne gocciolava dal volto bagnato. Aveva provato a lavarsi, cercando di
far scivolare via le preoccupazioni insieme al sudore appiccicoso, ma
non era servito a nulla. Per tutto il tempo aveva evitato di alzare lo
sguardo per incontrarlo nello specchio sulla parete, temendo di vedere
l’onirica creatura mentre all’orecchio le
sussurrava «sono qui».
L’orrendo incubo
insieme a ciò che aveva visto nello scompartimento erano
riusciti a metterla K.O.
«Sorellina»? Da quando in qua
esisteva qualcuno che
la chiamasse in quel modo? Neanche Petunia si era mai sognata di farlo
(non che Petunia l’avesse mai chiamata in un modo
lontanamente affettuoso, in realtà). Neanche Remus, che
aveva iniziato a considerare al pari di un fratello, l’aveva
mai fatto. Quando aveva sentito quella parola, era rimasta
pietrificata. Alzando lo sguardo aveva incrociato quello di un perfetto
sconosciuto che la guardava, preoccupato.
Ancora adesso il volto del ragazzo faceva a gara con il sussurro
dell’Essere
«sono
qui»
nei
suoi pensieri. La testa le doleva
al solo tentativo di estrarre un
po’ di ordine da quel caos. Tutto ciò che sapeva
era che si trovava nello scompartimento con i suoi amici (sia vecchi
che nuovi) e, reduce dalla faticosa estate, si era addormentata dopo il
giro di ronda insieme a James in quanto nuovi Caposcuola. E fin qui
nulla di strano, se non l’aver cominciato a chiamare il
Grifondoro con il suo nome. Poi c’era stato
l’incubo, così spaventoso, così
impossibile, così terribilmente vero. Al risveglio, tutto
sembrava essere esattamente come prima, se non fosse stato per la
comparsa di un ragazzo che non aveva mai visto prima.
Ciò che l’aveva fatta andare nel pallone (oltre a
come era stata chiamata) era stato che nessuno, oltre lei, sembrava
sorpresa della sua presenza. Per questo era fuggita, senza dir nulla,
cercando di riordinare le idee.
Quel ragazzo… le era totalmente sconosciuto eppure le era
familiare. Ne aveva riconosciuto i capelli, biondi come quelli di
Petunia, gli occhi, verdi come i suoi, e i tratti, così
simili a quelli di suo padre. Eppure… se avesse avuto un
fratello l’avrebbe saputo, no?
E dire che quell’anno aveva deciso di cominciarlo con i
migliori propositi: neanche era arrivata a scuola e già
sentiva di essere impazzita. Cosa ancora più strana, i
Malandrini non c’entravano nemmeno. O forse…? No,
ne era sicura: non era da loro fare scherzi del genere, soprattutto
agli amici.
I suoi pensieri vennero interrotti da un improvviso bussare sulla porta.
«Occupato» disse d’istinto, senza alzare
lo sguardo.
«Lily, la cosa sta diventando ridicola» la voce di
Mary le arrivo dall’altra parte. «Esci».
Lily scosse la testa, senza ricordarsi che l’altra non poteva
vederla.
«Ti do due minuti e se non esci sfondo la porta»
disse Mary, perentoria.
La ragazza ridacchiò fra sé. Perlomeno Mary era
sempre la stessa.
«Okay» rispose Lily. Poiché la voce non
le uscì, lo ripeté, cercando di farsi sentire
dall’altra parte della porta. Mary non disse più
nulla.
Lily sorrise al nulla, chiudendo gli occhi. Mary aveva sempre avuto un
potere in qualche modo calmante su di lei. Anche quando (e a volte
succedeva) la istigava al litigio, una volta finito tutto si sentiva
immensamente grata alla ragazza per averla fatta sfogare. A dirla tutta
Mary aveva dei modi un po’ bruschi, ma sicuramente efficaci.
Si diede un’altra frettolosa sciacquata al volto e lo
asciugò con un colpo di bacchetta. Poi lanciò
un’occhiata esitante allo specchio. Si considerò
abbastanza presentabile e aprì la porta del bagno. Fuori, ad
aspettarla, c’erano Mary ed Emmeline, entrambe a braccia
incrociate e lo sguardo imbronciato. Sembravano incredibilmente simili
a sua madre nelle rare volte in cui la sgridava.
«Possibilità che me la cavi con uno “sto
bene”?» chiese, speranzosa. Mary inarcò
un sopracciglio. «Afferrato…».
«Allora?» chiese Emmeline, preoccupata.
«Allora cosa?».
«Quando pensavi di dircelo?» fece Mary,
più esasperata rispetto all’amica.
«Dirvi cosa?».
«Degl’incubi, idiota!» concluse Mary.
Lily sobbalzò e sgranò gli occhi. Poi si
guardò intorno, notando che erano proprio nel mezzo del
corridoio, fortunatamente ancora deserto. Prese le due amiche per le
braccia e le condusse in uno scompartimento pieno di Corvonero del
Secondo Anno.
«Fuori dalle scatole per dieci minuti»
ordinò. Quelli si limitarono a guardarla, sprezzanti.
«Sono una Caposcuola, una parola e faccio cominciare
l’anno a Corvonero con zero punti».
I ragazzini mormorarono imprecazioni ma uscirono dallo scompartimento,
obbedienti.
«Sai, penso che ci farai comodo durante
quest’anno» constatò Mary, sbalordita ma
contenta. «L'amicizia con James ha scatenato il tuo spirito
ribelle?»
«Come sapete degli incubi?» la ignorò
Lily, poi si rese conto delle proprie parole. «Che ne ho
fatto più di uno, intendo».
Mary aprì la bocca, evidentemente per cominciare un discorso
su quanto inutile fosse quella domanda eccetera eccetera, ma Emmeline
la interruppe.
«Mike era preoccupato» spiegò. Lily
sentì il sangue gelarglisi nelle vene. Aveva saputo il suo
nome. «Ha detto che fai continuamente incubi e ci ha chiesto
se ne sapevamo qualcosa».
«E voi che avete detto?».
«Che non ne sapevamo niente, diamine! E avremmo dovuto
saperlo, invece!» replicò Emmeline.
«Perché non ce l’hai detto?».
«E torniamo all’inizio»
mormorò Mary a denti stretti. Emmeline le lanciò
un’occhiataccia.
«Sentite» cominciò Lily, non sapendo con
esattezza cosa dire. Il pensiero di Mike le ronzava ancora nel
cervello. «Sono solo incubi, non volevo farvi preoccupare
e…».
«Oh, falla finita!» esclamò Mary,
sorprendendola. «Dopo quello che è successo prima
vuoi ancora farci credere che non sia successo niente?».
Lily cominciò ad alterarsi. «È la
verità, Mary!» quasi urlò.
«Non è successo niente! Ho
cominciato ad avere
incubi da un giorno all’altro! Forse sono stressata, o magari
sono pazza, ma so per certo che non è successo
niente!».
Ma Mary non demordeva. «E allora perché non ce
l’hai detto?».
Lily non seppe come replicare. Forse non aveva voluto mostrarsi debole
davanti alle amiche, come tuttavia aveva già fatto
più volte. Tre parole le si presentarono nella mente, parole
che aveva appena detto: “magari sono pazza”. Era
stato talmente facile dirlo che poteva anche essere vero.
Emmeline sembrò addolcirsi, forse indovinando parte dei suoi
pensieri. «Puoi dirci cos’è che ti
spaventa tanto?».
Lily la guardò senza capire. «Di
che…?».
«Quando ti sei svegliata sembravi terrorizzata»
spiegò Mary, con toni molto più pacifici dei
precedenti. Lily si passò una mano fra i lunghi capelli
rossi, senza sapere bene cosa avrebbe potuto dire. Sospirò e
decise di raccontare tutto il sogno. Cercò di sembrare il
meno folle possibile mentre parlava.
«Inquietante» concordò Emmeline, con un
sopracciglio inarcato. Mary non sembrava molto convinta.
«C’è dell’altro,
vero?» chiese, come se sapesse già la risposta.
Lily la guardò con aria confusa.
«No, il sogno è tutto qui» disse.
«Allora è qualcos’altro che non riguarda
il sogno» replicò la ragazza, pienamente convinta
delle proprie parole. Lily guardò Mary ed Emmeline,
interdetta. Em sembrava confusa quanto lei.
Lily pensò immediatamente a Mike.
Stava per dire di non sapere cosa Mary intendesse, quando la porta
dello scompartimento si aprì. Quello che a quanto pare era
Michael Evans si affacciò all’interno con aria
costernata. Lily si sentì paralizzare.
«Scusate il disturbo» disse, cauto, per poi
rivolgersi alla sorella. «So che non
è un bel
momento ma qui fuori ci sono dei ragazzini che vogliono denunciarti per
abuso di potere e… credo sia meglio che vi sbrighiate. Fate
con calma, eh! Però magari non troppa…».
Mary chiuse la porta dello scompartimento di scatto, quasi decapitando
il ragazzo, che esclamò un indignato
«Ehi!». Poi osservò con attenzione Lily,
ancora pietrificata.
La ragazza aveva voglia di aprire la porta e urlare in faccia a quel
Mike «chi diavolo sei?», ma riteneva di dover
affrontare quell’argomento con lui in privato. Perlomeno non
l’avrebbero rinchiusa in manicomio dopo mezzo
secondo…
Mary, tuttavia, era di tutt’altro avviso.
«Che problema c’è con Mike?»
chiese, osservandola attentamente. Lily sgranò gli occhi per
la sorpresa.
«P-problema?» sentirsi balbettare fu orrendo, ma
sembrava aver perso la capacità di parlare correttamente.
«Non c’è nessun profeta…
voglio dire: problema!».
Dislessia portami via, pensò, piena
d’imbarazzo.
Mary alzò gli occhi al cielo. «Sei una pessima
bugiarda. Non serve Sherlock Holmes per notare che quando Mike
è entrato sembrava avessi guardato un Basilisco negli
occhi!».
Emmeline annuì, convinta. Poi aggrottò le
sopracciglia. «Come conosci Sherlock Holmes?».
Mary la fulminò con lo sguardo per tornare a rivolgersi a
Lily. «Vuoi dirci, per l’ultima volta, cosa
c’è che non va?».
Lily guardò a terra, senza sapere cosa dire: temeva che le
amiche l’avrebbero creduta pazza. Non disse nulla, cercando
di riordinare le idee e scegliere le parole con attenzione ma senza che
le venissero idee decenti.
Emmeline interruppe il silenzio, trovandole una scappatoia.
«Credo che dovremmo andare» disse, sotto lo sguardo
scioccato e infuriato di Mary. «I ragazzini stanno rompendo e
fra un paio d’ore saremo a Hogwarts»
indicò il sole che tramontava fuori dal finestrino.
«Lily può raccontarci tutto dopo cena, in
stanza».
Mary soppesò l’idea e infine annuì. Poi
sorrise con malignità, rivolta a Lily. «Non
credere che ti darò un’occasione per scappare,
Rossa. Ti troverò ovunque tu vada».
Uscì dallo scompartimento mentre Lily le faceva la
linguaccia, per poi lanciare un’occhiata piena di gratitudine
ad Emmeline, che sorrise. Lily sapeva che Mary aveva le migliori
intenzioni, ma a volte era davvero troppo diretta, non capiva quando
una persona aveva bisogno di tempo.
Tornarono allo scompartimento dei Malandrini senza degnare i Corvonero
di uno sguardo e ignorando le loro invettive poco fantasiose. Mike, che
le aveva aspettate fuori, tornò con loro senza dire una
parola, ma continuando a lanciare occhiate preoccupate verso Lily, che
evitava ostinatamente il suo sguardo.
Quando entrarono, trovarono i ragazzi “impegnati”
in una conversazione. Era evidente a tutti che avevano cominciato a
parlare solo dopo averli sentiti avvicinarsi.
«Come stai?» aveva chiesto quasi timidamente James,
senza farsi notare dagli altri che avevano ricominciato a parlare come
se niente fosse accaduto. Lily sorrise, apprezzando lo sforzo che, lo
sapeva, il ragazzo stava facendo e mormorò un
«Bene» che sembrò vero perfino a lei
stessa. James sorrise mentre la ragazza si sedeva accanto a lui.
Per gran parte del tempo Lily restò in silenzio, ascoltando
di tanto in tanto ciò che dicevano gli altri. Ogni tanto
qualcuno, specialmente James ed Emmeline, tentavano di farla entrare
nella conversazione, ma lei ne usciva dopo poco. Nessuno
accennò ai suoi incubi, sebbene sapesse che ormai tutti ne
erano al corrente.
Cercando di non pensare a Mike e all’incubo fece vagare la
mente per altre vie, pensando soprattutto, forse perché era
proprio lì vicino, a ciò che si erano detti lei e
James alla fine dell’anno precedente. Il sesto era stato per
lei un anno relativamente tranquillo, seppure ci fossero Mangiamorte un
po’ ovunque nella scuola, ma fa niente. James, dopo la sua
violenta sgridata alla fine del quinto anno sembrava aver cominciato a
cambiare e Lily aveva anche cominciato ad apprezzare gli scherzi che il
suo gruppo faceva (ora un po’ di meno in numero ma
più divertenti, a parer suo). Nell’ultimo mese del
sesto anno, in cui Lily aveva toccato il record di zero imprecazioni
contro James Potter, la ragazza si era dichiarata pronta a
riconsiderare il Malandrino. Da quel momento, si dichiararono
“quasi amici”, ripromettendosi di cominciare con il
piede giusto l’anno successivo. Lily si fece solo promettere
di farla finita con gli inviti ad Hogsmeade urlati per tutto il
castello, che ancora, di tanto in tanto, avvenivano.
Lily guardò il ragazzo accanto a sé, pensando che
stavano davvero cominciando bene, nonostante il ragazzo sembrasse
sforzarsi di trovare le parole giuste ogni volta che le si rivolgeva.
Adesso però, avrebbe dovuto vedere come si sarebbe
comportato durante le ronde notturne. Si dà il caso,
infatti, che James Potter (Malandrino, combina-guai cronico, giocatore
di Quidditch a cui era stato dedicato un pateticissimo fan-club pieno
di ragazze con gli ormoni a mille*) era stato in un modo che, secondo
Sirius, comprendeva un Elfo Domestico, mille Galeoni e una graffetta,
nominato Caposcuola. Quando le era arrivata la lettera da parte di
James che la informava della notizia non sapeva se esserne felice.
Mike, invece, si era rotolato dalle risate.
Eh?
Per poco la ragazza non diede un urletto, ma riuscì a
trattenersi e a non manifestare alcuna emozione (insegnamenti della
coach Mary). La testa le aveva cominciato a dolere tremendamente ma,
non volendo far sì che gli altri se ne accorgessero, non si
mosse.
Nella sua mente stava avvenendo una vera e propria battaglia: due
versioni della stessa scena le si ripresentavano nel cervello, una in
cui Mike rideva, un’altra (a cui credeva di più)
in cui era da sola e rileggeva la lettera.
Dopo che la sua testa cominciò a fumare decise di lasciar
perdere la cosa, per il momento, e parlarne con le altre in dormitorio.
Prima non sapeva ancora se raccontargli ciò che le stava
accadendo. Ora capiva che doveva.
Ma, ovviamente, la “decisione di non pensare”
portava soltanto a “il pensiero non sembra essere
d’accordo”, quindi le sembrava di avere la testa
piena di animaletti ronzanti. La fine del viaggio alla
stazione di Hogsmeade riuscì a distrarla abbastanza da
portare la sua mente dallo stato “stressato” a
“un po’meno stressato”. Sempre meglio di
niente.
Durante la camminata fino alle carrozze riuscì a rimanere
concentrata sul passare integri fra la folla. Le ragazze presero una
carrozza tutta per loro, lasciando l’altra ai Malandrini. Per
il breve tratto di viaggio, nessuno parlò, sebbene si
vedesse che Mary moriva dalla voglia.
Poi ci fu lo Smistamento (noioso: la testa ricominciò a
fumare) e la cena (fantastica: nessun pensiero, solo cibo).
L’unica nota rilevante fu la presentazione del nuovo
(nonché ennesimo) insegnante di Difesa: Gregor Hamilton, un
uomo sui quaranta che, si diceva, fosse un auror che aveva preso un
anno sabatico per insegnare ad Hogwarts sotto richiesta di Silente.
Infine la scalata.
Ogni anno era sempre uno strazio riabituarsi a fare mille chilometri di
scale al giorno e la salita dopo cena era per Grifondoro e Corvonero
qualcosa di terrificante. Arrivati davanti al ritratto della Signora
Grassa, chi morto chi quasi, pronunciarono la parola d’ordine
(«Grifone», piuttosto banale) e si diedero subito
la buonanotte, per dirigersi nei dormitori, sistemare la camera e
dormire. No, non è vero: nessuno avrebbe dormito quella
notte, probabilmente, ma almeno i buoni propositi c’erano. Le
ragazze, specialmente, avevano ben altro in mente.
Le tre Grifondoro erano rimaste in silenzio mentre sistemavano la
propria parte di stanza. Persino Mary non sapeva bene come iniziare il
discorso.
«Non so chi sia» disse finalmente Lily, con tono
neutro, mentre sistemava alcuni dei suoi vestiti nei cassetti del
comò accanto al letto. La sua
“postazione” era a destra della camera, opposta a
quella di Emmeline: il primo giorno di scuola, Mary, con aria da
bulletta prepotente, aveva reclamato a gran voce il suo possesso sul
letto centrale; alle altre due non fregava niente, quindi la lasciarono
fare, deludendo la bionda non poco. «Mike, intendo. Non
l’ho mai visto prima».
Era girata di spalle, quindi non vide le reazioni delle due amiche.
«Lily» fece Emmeline, cauta. «Mike
è tuo fratello».
«Sembrerebbe di sì» commentò
freddamente la Caposcuola.
«Ma come “sembrerebbe”?»
replicò Mary. «È il tuo gemello! Siete
nati insieme! Al primo anno stavate quasi sempre
appiccicati!».
«Mary…» la richiamò Emmeline,
aggrottando le sopracciglia. Lily si girò di scatto,
l’espressione fra il furioso e il disperato.
«Ah, ma davvero? E allora perché non lo ricordo?
Perché so per certo di avere una sola e unica sorella che,
tra parentesi, mi odia» esclamò la ragazza.
Mary ed Emmeline la fissarono, ammutolite.
«Quest’estate James mi ha mandato una lettera in
cui mi ha detto di essere Caposcuola…»
proseguì, meno arrabbiata ma molto più distrutta.
«E?» chiese Emmeline, timidamente.
«Ho ripensato al momento in cui l’ho letta, nel
treno. Sono sicurissima che Mike non ci fosse, perché lui
non c’è mai stato, eppure ricordo due versioni
diverse» disse, non riuscendo più a proseguire e
con una voglia incredibile di strapparsi il cervello e metterlo a
dormire in un cassetto, in modo da non dover più pensare a
qualsiasi cosa.
«Una in cui c’è e un’altra in
cui non c’è, giusto?» chiese Mary, molto
più calma di quanto era stata in tutta la giornata. Lily
annuì, sedendosi sul letto con un leggero tonfo e mettendosi
in posizione fetale. Emmeline si sedette accanto a lei, cingendole le
spalle con un braccio, mentre Mary si sistemava a terra davanti a loro
con le gambe incrociate.
«Perché non l’hai detto?»
chiese Mary, addolcita. Lily rise, tetra.
«Secondo te?» fece la ragazza.
«Dovresti parlarne con Mike» consigliò
Emmeline.
«E poi mi sbattono in manicomio»
borbottò la ragazza, le labbra poggiate sulle braccia
incrociate.
«Eh?» fece Mary, inclinando leggermente la testa.
Quella posizione l’aveva presa dal suo ragazzo.
«Niente».
«Come ti pare» continuò la ragazza.
«Ma credo che Em abbia ragione: al momento lo conosciamo
meglio di te, da quanto ho capito, quindi possiamo dirti che ti
ascolterà e ti darà una mano».
«Non so…» mormorò Lily,
chiudendo gli occhi e cercando di capire cosa avrebbe dovuto fare.
«Fa come credi, ma ricordati che è pur sempre tuo
fratello» disse Emmeline.
Lily annuì ma rimase in silenzio, non volendo replicare. Le
frasi che le erano venute in mente erano tante, ma tutte forse troppo
scortesi da dire ad alta voce alle proprie amiche. Rimasero per qualche
minuto in silenzio, poi ognuna cominciò a prepararsi per
andare a letto. Non si erano mai addormentate così presto ma
la strana situazione aveva fatto venir voglia di far finire la giornata
il prima possibile.
Mentre Lily si stendeva sotto le coperte e chiudeva le tende del
baldacchino, sperò intensamente di ricordarsi di Mike la
mattina successiva. Oppure che fosse sparito nel nulla. In ogni caso,
la situazione si sarebbe risolta.
«Forse sono pazza» ripeté sotto voce a
se stessa, spegnendo la luce con un gesto della bacchetta. La
posò sul comodino e si girò dall’altro
lato. Chiuse gli occhi con la certezza che avrebbe presto rincontrato
l’Essere sussurrante.
«Forse sono davvero pazza»
mormorò
ancora, assopendosi.
*Perché senza ‘sta roba non sarebbe una vera Jily,
no?
Hello guys!
Mi spiace di aver pubblicato così tardi questo
capitolo, ma ho avuto dei problemi con la trama che sono riuscito a
risolvere solo oggi, con il tempestivo (e tempestoso... eh?) aiuto di
Clare, una cara amica che sopporta con pazienza i miei sproloqui
vanitosi e implacabili. Thank you very much, Clare!
Non credo ci sia molto da dire su questo capitolo, se non che ho
cambiato titolo millanta volte perché non riuscivo a
trovarne uno che mi sembrasse davvero adatto. E neanche questo
è proprio fantastico, ma meglio di altri.
In generale, penso sia tutto abbastanza chiaro: questa nostra Lily
dell'Universo W si risveglia dal suo incubo un po' particolare e si
ritrova davanti Mike, un ragazzo che boh. Emmeline e Mary, le sue
migliori amiche, vengono quindi a conoscenza della situazione e non si
risolve una ciofeca. Nel prossimo capitolo si entrerà
davvero nel vivo della storia (questo e il Chapter 0 sono in
realtà solo d'introduzione).
Nell'asterisco ho fatto riferimento alla "Jily". Questo non
perché la storia sia completamente incentrata su quella
coppia, ma perché avendo Lily come protagonista
sarà inevitabile parlare del loro rapporto.
Come avrete notato, alcuni personaggi sembrano essere assenti nella
storia. In verità i personaggi sono tutti
presenti, ma (essendo un universo parallelo) possono essere sistemati
in modo diverso. Non chiedete, non vi dirò che fine hanno
fatto certi personaggi perché queste saranno cose che
"rivelerò", magari semplicemente con accenni, durante gli
altri capitoli.
Passo quindi a ringraziare tutti coloro che hanno letto il precedente
capitolo, in particolar modo 16th che ha anche recensito, cosa che
invito a fare a tutti i lettori per farmi sapere se apprezzano o no
questo mio delirio (sì, delirio è proprio la
parola giusta, Clare può confermare) e se la fanfiction s'ha
da tenere in vita o è meglio metterla nel sottoscala ad
ammuffire insieme ad
Harry e Babbo Natale (no domande, please).
Spero vivamente che la storia vi stia interessando e piacendo.
A presto,
hufflerin
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Capitolo 3 *** Fragment II - Vanishing words ***
II
~Vanishing words~
Svegliarsi
la mattina successiva fu una sorta di trauma. Due parti ben distinte
della sua mente lottavano all’ultimo sangue: una urlava a
gran voce di non volersi muovere da quel letto, un’altra le
diceva che doveva alzarsi e andare a lezione. C’era da dire
che, perlomeno, l’incubo di turno era stato piuttosto leggero
ed era riuscita a dormire molto di più rispetto a quelli che
ormai erano i suoi standard (che si aggiravano fra le tre e le quattro
ore).
Lily dovette reprimere con molta
(ma davvero molta) fatica la prima parte e alzarsi dal letto, seguendo
il suo innato senso di responsabilità. Senso che malediceva
un giorno sì e l’altro pure. A volte aveva quasi
ammirato i Malandrini, in particolare James e Sirius, che sembravano
esserne assolutamente privi. La vita era più semplice, senza
la responsabilità. E la responsabilità stessa le
diceva che invece doveva essere grata di averne. Fantastico, sveglia da
meno di un minuto e già con il cervello partito per la
tangente.
Si diresse barcollando verso il
bagno mentre Emmeline già si vestiva (a occhi chiusi) e Mary
ronfava. Prese a lavarsi il volto, cercando di svegliarsi con
l’acqua fredda, quando sussultò guardando nello
specchio. Non fu la sua immagine a spaventarla (sebbene non fosse
proprio in forma, considerate le notti in bianco che aveva avuto),
bensì una scritta, apparsa solo per un battito di ciglia.
Spalancò gli occhi quando, riaprendoli, i caratteri rossi
erano spariti nel nulla.
«Non».
Petunia, da bambine, le aveva detto che i
fantasmi scrivevano frasi minacciose sugli specchi delle loro vittime
(chissà in che film di serie B l’aveva
visto…), ma “non”… Non
significava assolutamente nulla. E, certamente, non erano stati i
fantasmi. Forse Pix, ma sapeva che non era tipo da scherzi del genere:
ai Poltergeist piaceva il divertimento istantaneo e infantile; il loro
“umorismo” (si fa per dire) era da bambini, non da
sadici. O meglio, non con il tipo di sadismo che spinge a scrivere
parole incomprensibili ed evanescenti.
Rimase immobile per qualche
istante, perplessa, e arrivò all’unica spiegazione
logica possibile: se l’era immaginato.
Finì di lavarsi
piuttosto velocemente e, quando uscì, non fece parola con
gli altri di ciò che credeva di aver visto. Già
non ricordava nulla di suo fratello, con le allucinazioni
l’avrebbero mandata a farsi curare.
Indossò la divisa e,
con l’aiuto di Emmeline, trascinò una ribelle Mary
giù per le scale.
«Non voglio andare a
scuola!» piagnucolò la ragazza per la centesima
volta.
Le altre la ignorarono. Avevano
finito le risposte sensate ed era faticoso inventarne altre,
considerato che neanche loro erano felici di iniziare le lezioni.
Hogwarts era bellissima e tutto quanto, ma lo studio è
sempre pesante. Inoltre erano all’ultimo anno, e
già temevano la marea di compiti che gli sarebbe arrivata.
Quando arrivarono in Sala
Comune, trovarono i Malandrini, appena scesi dalle scale. James e
Sirius erano davanti e avevano la bacchetta di Remus (che mostrava un
graffio sulla guancia e un’aria decisamente minacciosa)
puntata sulla schiena. Mike seguiva gli altri con enorme pigrizia,
muovendosi quasi per inerzia.
Sirius approfittò
della loro entrata per scappare da Remus e andare a salutare Mary. Gli
altri tre le salutarono con un semplice cenno della mano che venne
ricambiato.
Mentre scendevano per la
scalinata, Lily osservò suo “fratello”
da dietro, senza ascoltare nemmeno una parola di come James e Sirius
avessero assalito Remus quando questo aveva provato a svegliarli.
Emmeline le posò una
mano sulla spalla e le sussurrò «Sta’
tranquilla». Lily le sorrise, riconoscente, ma provava
comunque una leggera morsa intorno allo stomaco. Mary continuava a
parlare con i ragazzi, passando da un discorso a un altro per
coinvolgere tutti e lasciare Lily in pace almeno all'inizio della
giornata.
Sedersi al tavolo di Grifondoro
fu particolarmente rilassante. Era circondata da persone che conosceva
e amava (una esclusa, ma ci avrebbe lavorato) e l’atmosfera
perennemente briosa della tavolata riusciva ad eliminare la tristezza
da primo giorno. E poi c’era il cibo, e anche quello non
è che fosse male.
Mary, James e Sirius avevano
intavolato una discussione sul Quidditch. James era diventato Capitano,
quell’anno, e stavano facendo i conti su come avrebbe potuto
essere la squadra e quando sarebbero iniziati i provini. Remus ed
Emmeline, affatto tifosi, parlavano di qualche libro letto durante le
vacanze. Lily aveva notato alcuni sguardi che il ragazzo mandava al
tavolo dei Tassorosso e sorrideva di nascosto.
«Com’è
andata stanotte?» chiese una voce accanto a lei. Lily
sobbalzò leggermente. Aveva evitato per tutto il tempo anche
solo di guardare Mike, ma dopotutto era suo fratello, era impossibile
che non avrebbe provato a parlarle.
«Bene»
rispose lei, atona.
«Quindi niente
incubi?» insistette lui. Era evidente che non le credeva.
Lily arrossì leggermente senza neanche saper bene il
perché.
«Niente
incubi». Mike sospirò, scuotendo la testa.
«Sei pessima a
mentire» le disse. Lei si voltò a guardarlo negli
occhi, in parte offesa. Era la prima volta che lo faceva da
così vicino e incontrare quello sguardo identico al suo le
fece quasi male.
«Non è
assolutamente vero!» replicò lei, piccata.
Mike, tuttavia, la
guardò con scetticismo. «So quando menti. Siamo nati lo stesso giorno, ricordi? Ho avuto un bel po' di tempo per imparare a farlo».
Lily
s’incupì e distolse lo sguardo.
«Non voglio
parlarne» disse, secca. Forse fu un po’ troppo
fredda, perché Mike inarcò le sopracciglia e
torno a mangiare, forse un po’ offeso. Lei fece finta di
nulla e continuò a bere il proprio succo di zucca.
Quando la McGranitt
passò per consegnare gli orari, la situazione era ancora
quella e Lily quasi non si accorse che la professoressa era arrivata,
persa nei propri pensieri e indecisa se seguire i consigli di Emmeline
e Mary (di certo, non aveva iniziato nel migliore dei modi la sua
relazione con Mike).
«Tutto bene, signorina
Evans?» le aveva chiesto l’insegnante mentre le
consegnava l’orario. Lily aveva annuito, sorridendo
timidamente. La professoressa sembrò, per un istante, voler
dire qualcosa, ma si limitò a continuare la consegna degli
orari dei Grifondoro.
«Pozioni con i
Tassorosso» commentò Remus, scorrendo la lista del
giorno. «poi Trasfigurazione con i
Corvonero…».
«E doppia di Erbologia
con i Serpeverde» si lamentò James.
«Poteva andarvi
peggio» commentò Emmeline, sistemando
l’orario nella borsa. Sia lei che Lily, Remus e Mike avevano
Rune Antiche invece di Erbologia.
«Ma anche molto
meglio!» replicò il Malandrino, passandosi la mano
fra i capelli, sovrappensiero. Nonostante il cambio che aveva avuto
durante il sesto anno, quella sorta di tic gli era rimasto.
«E proprio tu ti
lamenti?» borbottò Sirius. Gli altri
ridacchiarono. Tutta la scuola era a conoscenza
dell’avversione che Sirius aveva per l’Erbologia,
nonché per l’avversione che l’Erbologia
aveva per Sirius. Aveva deciso di continuare il corso solo
perché anche Mary lo aveva fatto, trascinando James con lui.
Gli altri erano sicuri che se ne sarebbero pentiti amaramente, ma
Sirius era stato veramente testardo.
«Certo! Io neanche
volevo farla, Erbologia!» esclamò James, irritato.
L’anno precedente era iniziato allo stesso modo.
«Bugiardo!»
replicò Sirius. «Sei tu che mi hai detto che mi
hai proposto l’idea!».
«Sì, e poi
ci ho provato con la Sprite» fece l’altro,
sarcastico. Remus ghignò.
«No, ci hai provato
con la McGranitt» disse. James arrossì
violentemente e gli altri Malandrini risero, mentre le ragazze si
scambiavano sguardi confusi.
«Mike mi ha
stregato!» replicò il ragazzo, rivolgendosi
più a Lily che alle altre, come se si stesse giustificando.
Lei gli sorrise, prima di lanciare uno sguardo incerto al fratello.
«Ehi, non guardarmi
così! Lui aveva detto alla Tower che mi piaceva e sono
dovuto uscire con lei ad Hogsmeade!». Lily rise insieme alle
altre. Certo, non conosceva il fratello (e ancora la innervosiva solo
incontrare il suo sguardo) ma ricordava alla perfezione Jennifer Tower,
Tassorosso del quinto anno. Non proprio brutta, ma davvero molto
stupida.
Lily la vide uscire proprio in
quel momento, insieme a un nutrito gruppo di ragazzi della sua Casa,
fra cui alcuni del settimo anno, probabilmente diretti a lezione. Lily
prese la palla al balzo.
«Ma guarda,
c’è Marlene» fece, alzandosi e guardando
Remus con occhi supplicanti. «Mi accompagni, per
favore?».
Remus la guardò,
confuso. Era evidente che pensasse che Lily sarebbe anche potuta
andarci da sola, ma una pestata di piede da parte di Mike gli fece
cambiare idea.
I due si alzarono e Lily si
diresse velocemente verso Marlene McKinnon e i suoi due migliori amici
prima che questi potessero scappare. Gli altri avevano cominciato ad
alzarsi ma lo stavano facendo con molta lentezza, evidentemente per
dargli più tempo.
«Ehi, Marlene! Tonks,
Minus!» esclamò la ragazza, salutando con la mano
il gruppetto.
«Ehilà!»
salutarono le ragazze. Peter Minus, un ragazzo timido e corpulento, si
limitò a un sorrisetto e a un cenno della mano.
«Ciao…»
fece Remus, avvicinandosi al gruppo.
«Ciao!»
rispose Ninfadora Tonks, all’istante, e inciampando, non si sa come,
sui suoi stessi piedi in un tentativo di camminare e allo stesso tempo
rimanere ferma. Remus le diede una mano a non cadere reggendola per un
braccio e avvicinandola a sé. Sulle guance di lui si poteva
cuocere un uovo e i capelli della ragazza assunsero una violenta sfumatura fucsia.
Dopo essersi scambiate
un’occhiata maliziosa, Lily e Marlene cominciarono a
chiacchierare del più e del meno, presto raggiunte
da Emmeline.
James, Sirius e Mary, invece, si
erano diretti da Jason García, ragazzo del sesto anno di
Grifondoro nonché uno dei migliori Cercatori che la squadra
avesse mai avuto (almeno secondo la McGranitt), probabilmente a parlare
di Quidditch.
Mike chiacchierava allegramente
con Minus, che sembrava veramente felice che uno di loro gli avesse
rivolto la parola.
Anche se la conversazione con
Jason durò poco, i tre continuarono a discutere di strategie
per tutto il tragitto verso l’aula, mentre gli altri
continuavano a parlottare. Remus e Tonks erano dietro a
tutti e chiacchieravano, anche se lui sembrava piuttosto teso.
Come secondo i piani della Caposcuola di Grinfondoro, i due avevano finalmente la possibilità di un po’ di privacy (veramente difficile da ottenere se si apparteneva al gruppo dei Malandrini).
Lily pensò che, in
fondo, quell’anno non stesse partendo troppo male. Certo,
c’erano gli incubi e le amnesie, ma almeno, con un po' di fortuna, quei due si
sarebbero messi insieme entro la fine dell’anno. No, non era
un’ipotesi, bensì un obbligo. Lei avrebbe fatto in
modo che Remus e Ninfadora si fidanzassero. E se da sola non fosse
bastata, avrebbe chiesto aiuto a tutta la scuola, anche a Silente in
persona.
Remus era il suo migliore amico.
Ed era un Lupo Mannaro. Questa condizione lo aveva reso chiuso e,
bisognava ammetterlo, anche un po’ depresso. Aveva impiegato
anni per dirlo ai Malandrini e ancora di più per svelarlo
anche alle ragazze (che, in realtà, ci erano arrivate da
sole da un pezzo, ma avevano deciso di non dirglielo). Ma quando era
con Tonks si trasformava (cioè, non come con la luna piena
ma… oh, insomma, avete capito!). E, si vedeva, anche lei era
più che felice di stare con lui. Ma la testardaggine di
entrambi era un bel problema…
«Cinque Galeoni che si
mettono insieme prima di dicembre» le sussurrò
Mike, facendola sussultare leggermente. Lui non ci fece caso: stava
guardando i due ragazzi con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
«Andata»
rispose Lily, sorridendogli leggermente. Mike si volto verso di lei,
che distolse lo sguardo velocemente. Guardare in quegli occhi identici
ai suoi le sembrava sbagliato.
Mentre si sedeva in un banco ai
primi posti (accanto a Mike per lasciare che Remus si sistemasse con
Tonks) Lily sentì tutta la (poca) carica di allegria che
aveva ottenuto con l’incontro con la Tassorosso andarsene
via, facendola tornare sul pensiero pressante della realtà
di colui che aveva accanto.
“Reale”…
ancora non riusciva ad accettarlo. Da un giorno a un altro un fratello
compariva dal nulla e lei si ritrovava a dover far finta di conoscerlo
per paura. Paura di cosa? Paura di qualcuno che non si conosce, paura
di essere giudicata pazza perché non ricorda la persona con
cui avrebbe dovuto aver condiviso quasi tutta la sua esistenza.
Si ritrovò a non
ascoltare nemmeno una parola di quello che Lumacorno diceva sul settimo
anno, anche se immaginava non fosse tanto diverso dalle tirate che
avevano fatto al quinto. Quando il professore diede loro da preparare
la prima lezione dell’anno (la Pozione Rimpolpasangue, la
più difficile dell’anno precedente usata come
ripasso all’inizio dell’anno successivo…
assurdo) lei era ancora imbambolata a pensare a come avrebbe dovuto
comportarsi.
Si risvegliò solo
dopo che Mike la scosse leggermente, con aria preoccupata.
«Stai bene?»
chiese. Lily sorrise spontaneamente, notando quanto il ragazzo sembrava
interessarsi a lei.
«Sì, mi
sono solo… addormentata un attimo» rispose. La
risposta sembrò convincerlo e, dopo un ultimo sorriso, il
ragazzo cominciò a concentrarsi sul suo calderone.
Seguire i passaggi della
pozione, per Lily, fu piuttosto semplice, nonostante i commenti di
apprezzamento di Lumacorno ce la mettessero tutta per distrarla.
Aggiunse i semi di grinzafico e
mescolò velocemente in senso antiorario. Alzò la
fiamma e cominciò a tagliare le radici di valeriana con cura
e rapidità. Gettò i pezzi nel calderone e
mescolò nuovamente per alcuni minuti, facendosi venire il
tipico irrigidimento del polso e rendendo la pozione del color verde
acido previsto.
Gettò per
curiosità lo sguardo su ciò che faceva Mike. Era
leggermente indietro rispetto a lei, ma solo perché sembrava
essere molto più cauto nelle dosi che versava nel calderone.
Lily pensò che, se era davvero suo fratello, magari
avevano anche le stesse attitudini. Il professor Lumacorno
passò più volte davanti al loro tavolo, in genere
limitandosi a sorridere con espressione compiaciuta. La ragazza era
pronta a scommettere di non essere la sola Evans invitata alle
“cenette intime”.
Mike ricambiò il suo
sguardo per un secondo, sorridendo leggermente. Lei rispose al sorriso
e si riconcentrò sul proprio lavoro, scattando a riparare
l’errore che, si rese conto solo in quel momento, aveva fatto
versando un po’ troppo sangue di salamandra.
Abbassò di corsa la fiamma con un gesto della bacchetta e
versò un paio di bacche di vischio essiccate.
Aspettò che le bacche assorbissero il sangue in eccesso e le
fece levitare fuori dal calderone.
Accorgendosi di essere
leggermente in ritardo prese velocemente una manciata di ali di
pipistrello in polvere e si preparò a gettarne parte nella
pozione. Quando spostò lo sguardo sulla superfice del
liquido, sussultò e lasciò andare tutta la
manciata dalla mano tesa. Mentre la pozione cominciava a ribollire in
modo inquietante Lily cercò disperatamente di ricordare come
correggere l’effetto, imprecando sonoramente e facendo
sgranare gli occhi al professore, ma la mente sembrava non voler
funzionare.
Mike scattò
improvvisamente e gettò della lavanda nella pozione,
cominciando a mescolare velocemente. Pian piano la pozione smise di
sembrare il risultato di uno scherzo dei Malandrini e, a giudicare dal
color rosso acceso, era completa.
«Stai bene?»
le chiese Mike, per l’ennesima volta in solo un paio
d’ore. Lei ansimava ancora per il leggero shock (non era
niente in confronto al risveglio sul treno) ma riuscì ad
annuire.
«Mi sono solo
distratta» rispose. «Tutto qua».
Non volle guardarsi intorno
perché sapeva che tutta l’aula la stava osservando
ma lanciò un’occhiata ad alcuni tavoli dietro di
lei. Emmeline e Mary la guardavano e sembravano entrambe molto
preoccupate. Così come James nel banco accanto.
«Uno sbaglio
può capitare a tutti, Lily» le disse il professor
Lumacorno, facendole l’occhiolino. Lily gli sorrise, cercando
di sembrare il più naturale possibile. Dopo pochi secondi la
lezione tornò alla normalità.
Lily ringraziò Mike
mentre riempiva una fiala con la pozione che, ne era sicura, non
sarebbe stata così perfetta se il
“fratello” non avesse contribuito. Lui le sorrise
con semplicità ma Lily lo vide gettarle occhiate nervose
più volte durante il resto della lezione. Ovvero cinque
minuti scarsi.
Consegnando la pozione con su
scritto il suo nome, Lily sapeva che Lumacorno non avrebbe affatto
abbassato il suo voto per l’errore fatto, ma la sua mente era
concentrata su cose ben più importanti che la palese
imparzialità dell’insegnante di pozioni.
«Parlare».
Era questa la parola che era
apparsa, per un brevissimo istante, sulla superficie limpida della
pozione e subito cancellata dalla sua mano maldestra. Era stato
esattamente come nello specchio del bagno.
Una parte di sé era
convinta di avere le allucinazioni. Magari lo stress per gli incubi e
la comparsa di Mike le avevano procurato un crollo nervoso o qualcosa
di simile. Non sapeva se fosse una cosa anche solo possibile, ma si
sentiva abbastanza folle da crederlo.
Un’altra parte,
invece, credeva che qualcuno le avesse fatto uno scherzo.
Pensò che, tuttavia, nessuno dei presenti
nell’aula avesse un motivo per farlo, che lei ne fosse a
conoscenza. Dei Grifondoro era più che certa e i Tassorosso
non erano quel tipo di persone.
Non…
parlare…
Poteva essere? In due posti
completamente diversi, due parole erano apparse per un battito di
ciglia.
“Non parlare”.
Non che avesse un vero e proprio senso logico, ma sembrava stupida
l’idea che non fossero collegate.
«Ehi!».
Sentì la presa di Mary sul polso e si bloccò.
Emmeline era immediatamente dietro di lei ed entrambe avevano il
fiatone. «Si può sapere perché sei
scappata?».
«S-scappata?»
mormorò Lily, confusa.
«Appena è
finita la lezione sei corsa fuori come un razzo»
spiegò Emmeline, tenendosi la milza.
«Io… non me
ne sono resa conto» disse la rossa, cercando di ricordare i
cinque secondi precedenti. «Ero solo un
po’…».
«Scioccata,
sì, ce ne siamo accorte» concluse Mary al posto
suo. «Cos’è successo, Lily? E non dirci
che hai solo fatto uno sbaglio. In fatto di pozioni, tu non sbagli mai».
Lily aprì la bocca,
cercando di trovare le parole adatte. Quando i Malandrini svoltarono
l’angolo e si diressero verso le ragazze.
«Non ora»
sussurrò frettolosamente Lily, sorridendo ai ragazzi con
disinvoltura.
«Ehi, che è
successo?» chiese James, preoccupato, una volta che fu
davanti a loro.
«Niente»
fece lei. «Dovevo solo…» si
guardò un secondo attorno e trovo la scappatoia perfetta.
«Andare in bagno. Ora. Vado e torno, giuro!».
E scattò nuovamente,
passando la porta a pochi metri da lei, lasciando il povero ragazzo
interdetto. Perlomeno sarebbe stata lontana dal fratello gemello
fiuta-bugie. Mary ed Emmeline entrarono dopo qualche secondo.
«E voi che scusa avete
usato?» chiese Lily, sorridendo alle due.
«Le ragazze vanno
sempre al bagno in gruppo, no?» fece Mary, con disinvoltura.
«Non sai mai che
pericoli potresti trovare» rincarò Emmeline,
avvicinandosi alla ragazza e prendendole le mani con delicatezza. La
guardò negli occhi. «Adesso dicci cosa
c’è che non va».
Lily sospirò,
preparandosi a parlare, mentre il cuore le si allargava per la
gratitudine.
«Scusi il ritardo,
professoressa» esclamò Lily non appena
entrò in classe, subito seguita da Mary ed Emmeline.
«Mi sono sentita male».
La McGranitt la
osservò per qualche secondo, poi annuì e,
togliendo dieci punti a Grifondoro (sicuramente era molto
più imparziale di Lumacorno), gli fece cenno di sedersi. Mary
si sistemò accanto a una ragazza di Corvonero e le altre due
le si sedettero dietro. La professoressa riprese a spiegare il
programma che avrebbero svolto durante il loro ultimo anno a Hogwarts.
Mentre Lily prendeva appunti,
delle sottili linee d’inchiostro apparvero lentamente sulla
carta. Il cuore tornò a pulsare normalmente solo quando
riconobbe la grafia tipicamente maschile e vide la firma.
Che
succede? – J
Lily sorrise al foglio. Non
sapeva bene come funzionasse l’incantesimo, ma immaginava che
le sarebbe bastato scrivere lì accanto per far apparire la
frase sull’altra pagina. O quello, o James aveva fatto una
cavolata.
Nulla,
sto bene.
Scrisse con
semplicità. Frasi come “che succede” e
“come stai” cominciavano a ripetersi un
po’ troppe volte in troppo poco tempo.
Pensi
davvero che ci caschi? Prima hai detto di dover andare al bagno per
poco, poi sei tornata dopo un quarto d’ora e hai detto di
essere stata male.
Lily aggrottò le
sopracciglia.
Sono
stata male mentre ero in bagno.
E
perché non sei andata in Infermeria?
Perché è il
primo giorno di scuola e non voglio perdere le lezioni!,
scrisse, con l’irritazione che cominciava a salire. Poi
aggiunse velocemente: Non vedo perché debba
giustificarmi con te.
Non devi giustificarti,
aveva scritto lui, ma
avevamo detto di iniziare da capo, come amici.
Lily poggiò la penna
sul foglio ma la rialzò dopo qualche secondo, senza sapere
cosa scrivere e lasciando solo una macchiolina nerastra.
Voglio solo darti una mano.
Lily fissò la
scritta. Quello che le aveva parlato le sembrava proprio il James
Potter che Remus le aveva descritto per anni: impulsivo e magari anche
irritante, ma gentile nel profondo. La ragazza sorrise fra
sé, chiedendosi quanto si fosse sbagliata nel corso degli
anni precedenti.
Quando stette per rispondere,
però, due parole le tornarono nella mente: Non
parlare. Mary ed Emmeline le avevano detto che probabilmente
non era nulla, magari qualcuno voleva farle uno scherzo o aveva visto
male. Ma non sembravano affatto convinte e Lily negava categoricamente:
come poteva la stessa persona accedere sia al bagno del loro dormitorio
che a un’aula sotto la sorveglianza di un professore? Le
uniche che avrebbero potuto erano proprio loro tre. E Lily ne era
sicura, non erano state le sue amiche, non in un momento
così delicato.
Si erano quindi decise a
ignorare le scritte, a meno che non ci fosse stato un motivo valido.
Nonostante ciò, quel non parlare
continuava a rimbombarle nella testa.
Non posso parlartene ora. Domani
sera, alla ronda. Va bene?,
scrisse. La risposta le arrivò quasi un istante dopo.
Posso
considerarlo un appuntamento, signorina Evans?.
Ridacchiando, Lily quasi si fece beccare dalla McGranitt ma, per un
fortuito momento di distrazione, l’unica a guardarla con aria
stranita fu tutta la classe. Arrossendo, Lily tornò al suo
foglio.
Assolutamente,
scrisse. Aspettò qualche secondo e poi aggiunse, maligna: no.
James si voltò a
guardarla male e lei gli fece una smorfia. Lui scosse la testa e
tornò a guardare la lavagna, su cui il gesso incantato della
professoressa stava scrivendo autonomamente mentre questa cercava di
convincere una Corvonero particolarmente riluttante a prendere il topo
che avrebbero dovuto Trasfigurare nei dieci minuti di lezione rimasti.
«A quando le
nozze?» mormorò una voce scherzosa accanto a lei.
Lily si girò verso Emmeline inarcando un sopracciglio.
Questa sorrise con malizia e fece un cenno verso il foglio, che Lily si
affrettò ad accartocciare e a nascondere nella borsa.
«È solo
gentile» borbottò la rossa in risposta. Emmeline
alzò le mani in segno di difesa e non disse nulla, ma le
rivolse uno sguardo eloquente a cui Lily rispose con
un’occhiataccia.
«Lo è da
sei anni» mormorò l’altra. Lily le
pestò un piede e la conversazione finì
lì. Per Emmeline quel topo rappresentò una delle
più grandi sciagure del mondo ma per Lily fu relativamente
semplice trasfigurarlo in un portamonete, riuscendo a recuperare
metà dei punti persi per il ritardo (all’altra
metà ci aveva già pensato James, che era riuscito
a trasfigurare il topo qualche secondo prima di lei).
Si voltò
improvvisamente verso Emmeline e le sussurrò:
«Prima penso a Mike e poi a James, okay?».
Emmeline aggrottò le
sopracciglia e annuì… poi le ritornò
il ghigno malizioso.
«Ma comunque hai in
programma di pensare a lui» disse. Lily
la fulminò con lo sguardo.
«Zitta e trasfigura il
ratto, Vance» intimò lei. Emmeline
ridacchiò e, con un buffo saluto militare e un
«sissignora», ubbidì. Lily rise a sua
volta.
Nessuno rise, però,
quando la professoressa assegnò alla classe un tema di
cinquanta centimetri per la lezione successiva sulla Trasfigurazione
Umana secondo le leggi di Golpalott e Strauss. I commenti furono detti
rigorosamente a bassa voce: anche uno solo avrebbe fatto togliere
almeno cinquanta punti alla propria Casa.
Non fu sorprendente, quindi, che
il ritmo del passo degli studenti del settimo anno fosse molto simile a
quello di una marcia funebre.
Mentre Lily camminava verso la
Sala Grande, sperando in un pasto tranquillo e senza apparizioni di
scritte sibilline e minacciose, qualcuno la afferrò per un
polso e la trascinò di scatto nel corridoio affianco. Lei si
liberò dalla stretta con uno strattone senza neanche
guardare l’“assalitore”.
«Ti avverto: conosco
il kung fu!» esclamò con fare minaccioso. Mike le
mandò uno sguardo scettico.
«Non è
vero» disse.
«Avrei
potuto» borbottò lei, incrociando le braccia e
arrossendo leggermente. «Cosa vuoi?».
«Quello che ti ho
chiesto per tutta la mattina». Mike si avvicinò a
lei, sovrastandola nella sua spanna di differenza. «Voglio
sapere che diamine ti sta succedendo».
«Nien…».
«Non provare a dire
“niente”!» sbottò il ragazzo,
infastidito. «Sai che si capisce lontano un miglio quando
menti. Mentivi quando hai detto di essere stata male e mentivi quando
hai detto che ti eri distratta, a Pozioni».
«E a te che
importa?» replicò Lily istintivamente, irritandosi
a sua volta. Mike sfoggiò un’espressione offesa
molto simile a quella di James che la fece pentire subito.
«Che
m’importa?» ripeté. «Pensi che
non m’importi se mia sorella sembra essere impazzita di
colpo!».
«Impazzita?»
chiese Lily, abbassando un po’ il tono. Pensò che,
forse, avesse fatto bene a non dirgli nulla. «È
questo che pensi?».
«È questo
che mi fai pensare, se non mi dici che succede» rispose Mike.
Lily si morse il
labbro e si guardò intorno, come in cerca di una via di
fuga. Alla fine del corridoio vide gli altri che stavano parlando come
se niente fosse, ma era palese che stessero cercando di ascoltarli.
«Senti…»
mormorò. Mike si guardò alle spalle e vide il
gruppetto, quindi si avvicinò di un passo, capendo che Lily
non voleva che ascoltassero. La ragazza lo apprezzò molto.
«Vorrei dirti che mi sta succedendo ma ancora non lo so. Non
ne ho la minima idea e preferisco non parlartene finché non
avrò almeno qualche ipotesi. O, almeno, qualcuna che non
sembri un racconto di Asimov o uno di Poe».
«Fantascienza e
horror» commentò Mike. «Mi pare di aver
capito che non sia un problema semplice».
«Esatto».
«E c’entro
anch’io, in qualche modo».
«Perché?»
chiese Lily, aggrottando le sopracciglia.
«Perché
puoi parlarne con James ma non con me» rispose il ragazzo,
sorridendo. Lei aprì e chiuse la bocca più volte,
cercando le parole esatte.
«È…
complicato» rispose la ragazza, con un sorrisetto di scuse.
«Mi sembra ovvio: se
ti basto io per distrarti mentre fai una pozione e per tardare alla
prima ora di Trasfigurazione, allora è davvero
complicato!» concordò Mike.
«Oh, quelli non erano
a causa tua» lo rassicurò lei.
«E allora per
cosa?»
«…
è complicato!» ripeté la ragazza,
torcendosi le mani per il nervosismo. Mike scoppiò in una
risata che presto contagiò anche Lily. Poi Mike
poggiò una mano sulla spalla della ragazza.
«Se è
davvero complicato, allora potrai dirmelo quando sarai pronta, non
insisterò» disse con dolcezza. Lei gli sorrise.
«Ma…» Lily aggrottò
immediatamente le sopracciglia. «Se credi anche solo per un
momento che ti serva un mio aiuto o altro, vienimi subito a
chiamare».
«Mike…»
fece Lily. «Mi hai fatto venire il diabete».
Il ragazzo si
allontanò immediatamente da lei, ridendo.
«Non puoi citarmi Mary
in momenti come questo!» esclamò. Lily rise a sua
volta.
«Io sono
universalmente citabile, Evans» ribatté la
ragazza, comparendo lì accanto insieme a Sirius.
«Già, anche
in giudizio e come scusa per non aver fatto i compiti di
Minnie… o meglio, nel secondo caso posso farlo solo io, per ovvi motivi» confermò il Malandrino, ricevendo uno
scherzoso colpetto sulla spalla dalla ragazza. Come Sirius conoscesse
espressioni come “citare in giudizio” non venne mai
approfondito, e forse è meglio così.
«Comunque volevamo sapere se avevate finito. E se non avevate
finito, ora lo avete fatto, quindi possiamo tranquillamente andare a
pranzo».
«Pranzo? Addirittura?
Non ti basta una ciotola di croccantini?» scherzò
Mike. Lily e Mary ridacchiarono. Sirius aveva sempre avuto un rapporto
particolare con i cani e i Malandrini ci scherzavano in continuazione.
O, almeno, quello è il motivo che davano loro. Sirius
assottigliò lo sguardo.
«In realtà
oggi avrei voglia di qualcosa di più… raffinato.
Sai, quelle cose come anatre, fagiani…»
replicò il ragazzo. Mike lo guardò malissimo.
«Sbaglio o il nostro
Sirius ha voglia di uccelli?» esclamò James,
comparendo accanto a lui. Poi ripensò a ciò che
aveva detto, mentre gli altri (più Remus ed Emmeline appena
arrivati) assumevano una faccia fra lo scandalizzato e il divertito.
«Non pensavo avrei mai detto questa frase» disse,
per poi guardare Sirius. «Sai, sei veramente un bastardo:
illudi Mary nascondendole il vero te stesso. Sirius, questo non si
fa!».
Il ragazzo in questione si
schiarì la gola, mentre gli altri ridevano.
«Remus, potresti ricordare ciò che accadde il
ventun dicembre dell’anno domini 1975?».
Remus e Mike risero mentre James
passò velocemente dallo sbiancare all’arrossire.
«Si dà il
caso che il qui presente James Potter…».
«Remus, chiudi il
becco».
«Nel pieno possesso
delle proprie facoltà mentali…».
«Remus, stai andando
oltre».
«Si
avvicinò ad Andrew Hogan, al tempo Corvonero del sesto anno,
e gli chiese…».
«Remus, ti
avverto!».
«Di andare da Madama
Piediburro con lui a Natale!».
«Oh, porco
Salazar!» esclamò Mary, sorpresa quanto le altre
due ragazze, per poi scoppiare a ridere. «No, non ci crederò mai!».
«La pura
verità, tesoro» ghignò Sirius.
«Ma…
perché?» chiese Lily, leggermente sconvolta e, allo stesso tempo, divertita. James
arrossì fino alla punta dei capelli in cui, stranamente, non
stava passando la mano.
«Era tutto
un… piano ben congeniato. Poi è andato a monte,
ma sul momento era veramente ottimo» rispose il ragazzo.
«E di cui non voglio assolutamente
parlare! Certe cose ti sembrano più intelligenti quando sei
più piccolo…».
«La Sprite,
Hogan… c’è qualcuno con cui ancora non
ci hai provato, in questa scuola?» chiese Emmeline. James
ghignò, abbandonando l’imbarazzo e tornando
Malandrino.
«Gelosa?»
replicò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli.
Emmeline ridacchiò, arrossendo leggermente e scansandosi, ma
Lily dovette sforzarsi dal non fulminarlo con lo sguardo. «In
ogni caso, non sono l’unico qui ad aver fatto cose stupide:
vogliamo parlare di Remus al terzo anno?».
Il ragazzo sbiancò.
«Non…»
«Ragazzi…»
Mike interruppe la lite in arrivo. Gli altri lo guardavano mentre lui
alzava gli occhi dal suo orologio da taschino (si sa, tradizione dei
maghi al loro diciassettesimo compleanno). «Mi spiace dirvelo
ma siamo in guai seri».
«Ovvero?»
chiese Lily, preoccupata.
«Abbiamo meno di
mezz’ora per pranzare».
Sirius e James fecero la faccia
più scandalizzata del loro repertorio mentre Lily malediceva
il fratello con il pensiero: dopo tutto ciò che aveva
passato in quei due giorni, aveva subito pensato a qualcosa di grave.
Lo scatto dei due Malandrini, comunque, le tolse dalla mente qualsiasi
pensiero, lasciandole, piuttosto, uno strano giramento di testa.
«James, per i boxer a
pois di Merlino, cosa ti è successo?» fece Mike,
osservando a occhi spalancati l’amico avvicinarsi con sguardo
infuriato, seguito a breve da Sirius, che sembrava si stesse
trattenendo dal ridere, e Mary, che stava sfogliando alcune pergamene.
James inarcò un
sopracciglio, ma solo per un istante. Il taglio che gli attraversava
tutta la guancia fino alla fronte sembrava davvero doloroso. Lily e
Remus si chinarono verso la ferita, esaminandola con aria stupefatta.
Emmeline si teneva leggermente in disparte: ogni cosa riguardante
ferite o altro la nauseava.
James si ritrasse leggermente
con aria irritata. Si voltò per fulminare Sirius con lo
sguardo.
«C’è
che Felpato è un idiota» ringhiò James.
Sirius fece spallucce.
«Non è
colpa mia! Quella stupida pianta ha provato a colpirmi e tu sei stato
troppo lento a schivarla» replicò il ragazzo,
tranquillo.
«Ecco: la pianta
cercava di colpire te!»
esclamò James. «Io che
c’entro?».
«Oh, ma dai! Eri
proprio vicino a me: era ovvio che ti avrebbe colpito!».
«Mi ha colpito solo
perché tu non ascolti mai la Sprite! “Non toccate
le loro radici o si arrabbieranno” aveva detto, porca
Morgana!».
«Stop!»
esclamò Lily, ponendosi fra i due e separandoli.
«Finitela!».
«Oh, andiamo, era
divertente!» esclamò Mike. Lily, James e Sirius lo
fulminarono con lo sguardo contemporaneamente ma lui si
limitò a ghignare.
Remus ed Emmeline avevano deciso
di comune accordo di ignorare la conversazione (in nome della
sanità mentale) e si erano messi a parlottare fra loro di
rune e della lezione appena avuta, secondo una politica “io
questi non li conosco”.
«Trovato!»
esclamò Mary, riemergendo dalle sue carte. James
sospirò di sollievo.
«Grazie a
Dio» esclamò. Mary sorrise con dolcezza.
«Oh, prego! Ma non
chiamarmi così, sai che arrossisco facilmente!»
replicò. James la guardò male e lei
ridacchiò. «Okay, rimani fermo,
l’incantesimo non è semplicissimo ma penso di
potercela fare».
«Pensi?».
«Sono una futura
Medimaga, cavolo! Dammi un po’ di fiducia!».
«Okay,
ma…».
«Zitto e immobile!
Adesso… sappi che non mi assumo responsabilità
per eventuali effetti collaterali».
«Cosa?».
«Consanescit»
mormorò la ragazza, percorrendo velocemente con la bacchetta
il segno sul volto del ragazzo che, in uno sprazzo di calda luce
dorata, si chiuse rapidamente.
James si tastò la
guancia.
«Wow, è
guarito!» esclamò.
«Mi sembra ovvio,
l’ho fatto io» ribatté la ragazza, con
una finta sicurezza arrogante. Si guardò intorno.
«Peccato che non ci fosse Silente nei paraggi, sarebbero
stati cento punti assicurati».
«Quello vale solo per
mio figlio, Mary» disse Lily, sospirando. E non aveva tutti i
torti… Aspetta! Cosa?
«Però
quella cicatrice ti donava, Ramoso» commentò
Sirius. James aggrottò le sopracciglia.
«Dici?»
chiese.
«Ma sì! Ti
dava un’aria da macho» replicò
l’altro, per poi estrarre la bacchetta. «Se vuoi te
la rifaccio».
James estrasse la propria e
guardò Sirius con aria di sfida. «Provaci e ti
sterilizzo».
Remus sospirò e si
diresse a passo lento verso i due, per poi assestargli due scappellotti
sulle nuche. I due lo guardarono, sorpresi.
«Fatela
finita» ordinò. «Mettete via le
bacchette e fate la pace».
«Ma…»
cominciò Sirius.
«Non
m’interessa».
«È stato
lui a…» tentò James.
«Che ho appena
detto?». James e Sirius fecero una faccia tremendamente
offesa e poi, sempre sotto ordine di Remus, si diressero verso
l’interno del castello a testa china e con aria da cane
bastonato (cosa che a Sirius riusciva particolarmente bene).
Lily si avvicinò a
Remus mentre seguivano i due Malandrini, che intanto avevano cominciato
a sussurrarsi a vicenda qualcosa, forse insulti, forse un complotto
contro Remus.
«Prima o poi dovrai
insegnarmelo» gli sussurrò la ragazza. Lui
annuì, con aria grave.
«Ehy, Lily!»
la chiamò Emmeline. La ragazza si girò e vide
l’amica che cercava nervosamente qualcosa
all’interno della borsa. «Hai preso tu il mio
amuleto?».
Lily fece spallucce e
controllò nella propria tracolla.
«No, mi
spiace» disse. Emmeline fece una smorfia e tornò a
rovistare nella borsa con più determinazione.
«Amuleto?»
chiese Mary, divertita.
Lily sorrise.
«Emmeline sta cercando di creare un amuleto runico. Quella di
Rune Antiche ci ha detto che era inutile, ma lei…»
«Penso che la
professoressa sia solo mentalmente limitata»
commentò la ragazza.
James e Sirius la guardarono.
«Eh?».
«Solo
perché sui libri c'è scritto che non funzionano
non vuol dire che sia vero!» esclamò Emmeline.
«Em» fece
Mike, cauto. «Non ci sono prove che le rune abbiano poteri
magici, sono solo leggende».
«Be’, si
vedrà» replicò lei, decisa, per poi
avvicinarsi di un passo al ragazzo. «Scommetto quanto vuoi
che prima o poi il mio amuleto salverà la pelle a qualcuno
di noi».
Mike ghignò.
«Dieci Galeoni».
«Venti»
replicò Emmeline, con un luccichio negli occhi che
dimostrava quanto fosse attaccata alle proprie scommesse. Era in grado
di scommettere su qualsiasi cosa a patto che fosse abbastanza
improbabile. Aveva sempre vinto. Il ghigno di Mike si
allargò leggermente in un sorriso sghembo.
«Andata»
disse. «Giusto per curiosità,
dov’è questo amuleto?».
Emmeline arrossì
leggermente. «In classe… credo». Si
voltò verso Lily. «Per favore, accompagnami a
cercarlo!».
Lily sospirò
tristemente. Dopo i consigli che le aveva dato riguardo Mike, un favore
piccolo come quello glielo doveva. Che poi… non era neanche
tanto piccolo, considerati i cinque piani di scale che sarebbe stata
costretta a farsi.
«Mary, vieni anche
tu?» implorò la ragazza. Mary la guardò
come se fosse impazzita.
«Neanche
morta!» esclamò. «Anzi, me ne vado in
Sala Grande e aspetto la cena lì, piuttosto che fare anche
solo due gradini!».
Sirius era tornato indietro e le
aveva cinto le spalle con un braccio. «Oppure possiamo farci
un giro del giardino. Come ti sembra l’idea?».
Mary sorrise con malizia.
«Me gusta mucho».
James, dietro di loro, finse di
vomitare.
«Finiscila Ramoso! Sei
peggio di loro anche senza una ragazza» lo
rimproverò Mike, ghignando. James gli lanciò
un’occhiataccia e lui rise. Lily sospirò e,
facendo un cenno a Emmeline, salutarono gli altri e si diressero
all’interno. Dietro di loro, i Malandrini ricominciarono a
litigare. E a ridere.
«Sono come
fratelli» aveva detto la ragazza, mentre attraversavano il
corridoio del Quarto Piano verso un passaggio segreto che portava nelle
vicinanze dell’aula di Antiche Rune.
«Chi?» fece
Emmeline, emergendo dai propri pensieri. Fino a quel momento non
avevano parlato molto.
«I
Malandrini» specificò l’altra.
«Litigano continuamente ma si vogliono bene. Si
vede». Lily si voltò verso Emmeline.
«Anche io e Mike eravamo così?».
«In
pubblico» rispose. «Quando eravate con gli altri,
specialmente con i Malandrini in giro, discutevate sempre. Da soli,
invece, mi hai detto che era sempre molto premuroso».
«Sul serio?»
fece Lily, aggrottando le sopracciglia. «In
effetti… Quando mi chiedeva come stavo era sempre molto
dolce. Ma dopo qualche secondo diventava Sirius Due, la Vendetta.
È… strano, credo».
«Non strano»
replicò l’altra. «Evans».
Lily le lanciò uno
sguardo confuso, poi scosse la testa, sospirando, e accelerò
leggermente il passo. Scostò l’arazzo di un uomo
con il cilindro che prendeva il tè insieme a una lepre e
lasciò passare Emmeline, che salì in fretta le
scale a chiocciola. Mentre Lily si chiudeva il passaggio alle spalle,
le sembrò di avvertire un leggero pizzicore alla nuca, che
la spinse a voltarsi. Davanti a sé trovò solo il
morbido tessuto scarlatto, così proseguì per la
sua strada.
Trovare l’amuleto
nell’aula non fu affatto difficile. Creato da un rubino con
sopra incisa la runa Sigel e legato con un filo di
cuoio, l’oggetto riluceva alla luce che entrava dalle
finestre, facendo quasi male agli occhi. Emmeline e Lily si
avvicinarono al banco.
«Meno male che nessuno
l’ha preso» esclamò la prima,
sollevandolo in aria per osservarlo meglio. «Bello, vero?
È quasi completo. Devo solo fare il rituale per dare potere
alla runa, poi potrò intascare venti bei Galeoni! E, se ci
riesco, anche una E in Antiche Rune! Non male, eh?».
Lily sorrise, guardandola con
aria divertita, prima di osservare per bene l’amuleto. Il suo
sguardo, però, venne attirato da ciò che
c’era oltre. Sul muro, qualcuno aveva inciso qualcosa nella
pietra, una cicatrice nera che sembrava essere stata scolpita a colpi
di spada, o con qualcosa di simile. Per qualche istante Lily si
limitò a contemplarla, ma ben presto in quei segni
trovò delle parole.
La ragazza trattenne il fiato
violentemente e indicò la parete all’amica che,
confusa si volto. Con altrettanta confusione Emmeline
osservò la rossa.
«Che
c’è, Lily?» chiese. Lily la
guardò, sbalordita.
«La
scritta!» esclamò. Emmeline si girò
nuovamente.
«Lily, non
c’è scritto nulla» replicò,
cauta. Lily fece tornare lo sguardo sulla parete e, sbalordita, si
avvicinò per tastarla. Dovevano esserci dei segni di
ciò che aveva appena visto: le incisioni sulla pietra non
potevano sparire così facilmente!
Poi capì. Vetro,
acqua o pietra, solo lei aveva visto quelle scritte e solo lei poteva
collegarle.
«Lily, cosa hai
visto?» sussurrò Emmeline, aggrottando le
sopracciglia e avvicinandosi a lei quasi con timore.
«Non
più» recitò la ragazza,
portando una mano sulla fronte che aveva cominciato a dolerle.
«È questo che c’era scritto. Non
più».
«Be’»
fece Emmeline, tentando un sorrisetto. «Non ha poi molto
senso».
«Già. Non
ha senso» ripeté l’altra, togliendo una
mano dal muro. Si voltò verso Emmeline, sorridendo il
più sinceramente possibile. «Sarà stata
solo un po’ di suggestione per la questione di Mike, magari
con anche la stanchezza per oggi. Forse la questione della magia
dell’amuleto mi ha fatto un po’ effetto».
Era evidente che Emmeline non le
aveva creduto quasi per niente, ma lei sorrise comunque per gentilezza.
«Allora è meglio se torniamo in Sala Comune,
così ti riposi un po’, okay?».
Lily annuì,
ringraziandola mentalmente. Aveva bisogno di riposare, sicuramente. E,
soprattutto, aveva bisogno di stare da sola. Perché per la
decisione che doveva prendere era necessario che fosse da sola. Anzi,
non era necessario, era richiesto.
Non parlare. Non
più.
Un messaggio troppo chiaro per
poter essere ignorato.
Hello guys!
E siamo così alla fine del secondo (/ terzo) capitolo di
questa storia.
A dirla tutta non succede poi granché, ma si possono vedere
gli ingranaggi cominciare a girare. Delle "parole evanescenti" che
danno il titolo al capitolo, ovviamente, non parlerò, ma
sappiate che dal prossimo potremo vedere la storia iniziare sul serio.
Dato che non trovo altro da dire, passo a ringraziare cat_princesshp
che ha inserito la storia fra le seguite, asia_2000 che l'ha sistemata
fra le seguite e le ricordate, e _Bea_ che l'ha inserita fra le
preferite. Ma, soprattutto, ringrazio nuovamente 16th che continua a
espormi i suoi giudizi, giudizi che, possibilmente, vorrei ricevere
anche da voi, lettori silenziosi, per capire cosa vi piace e cosa non
di questa storia, in modo da capire come orientarmi e sapere se le mie
idee possano andarvi a genio o no. Vi chiedo, quindi, di lasciare una recensione, anche breve, per favore.
Detto questo... abbiamo appena visto Lily minacciata in segreto da
qualcuno di non identificato che la incita e non rivelare
più nulla della sua condizione. Dopo ciò, cosa
accadrà nella ronda con James? Cosa deciderà di
fare Lily, rivelargli la verità o tenere tutto per
sé? Stay tuned!
Con affetto,
hufflerin
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Capitolo 4 *** Fragment III - The rose on the hat ***
III
~The rose on the hat~
“«Ma io non ci voglio andare in mezzo ai matti» obbiettò *****.
«Be’, è inevitabile» le rispose il Gatto. «Siamo tutti matti qui. Io sono matto, tu sei matta.»
«Come fai a sapere che sono matta?» chiese *****.
«Devi esserlo» fece il Gatto. «altrimenti non saresti venuta qui»„
Nel
sogno, Lily stava giocando a carte con Mike. Erano seduti alla tavola
dei Grifondoro, in una Sala Grande deserta. I due sembravano non
trovare affatto strana la situazione e continuavano a pescare carte e a
scartarne altre, in un gioco all’apparenza infinito di cui
Lily non riusciva a ricordare le regole con chiarezza. La ragazza
osservava le sue carte e di tanto in tanto si scambiavano occhiate da
sopra le mani, sorridendo dietro le carte.
Il gioco andò avanti per alcuni turni senza che accadesse
nulla, poi Mike posò le sue carte sul tavolo.
«Finito!» aveva esclamato, allineando la sua scala
che andava dall’asso fino alla regina di cuori. Il re era
curiosamente posizionato fra il fante e la regina.
Lily fece una smorfia di disappunto osservando le proprie carte. Le
mancava poco per finire: se solo avesse avuto un due di cuori,
piuttosto che quella carta così bianca…
«Ehi, Mike?» chiese Lily, sentendosi più
lucida e stranamente nervosa.
«Dimmi» fece il fratello, con un sorriso gentile.
«Perché su queste carte ci sono solo i
cuori?» chiese lei, osservando con attenzione sia le sue che
quelle del ragazzo. Lui la guardò, confuso.
«Cos’altro dovrebbe esserci?»
replicò Mike.
«Be’, gli altri semi, no? Cuori, picche, quadri e
fiori. No?» insistette Lily.
Mike sbuffò. «Ma come ti saltano in mente certe
idee? Esistono solo i cuori, dovresti saperlo!».
Lily annuì, ma non ne era del tutto convinta. Prese la carta
bianca dalla sua mano e la mostrò al ragazzo.
«E allora perché questa è
vuota?».
«Semplice» sbottò lui. «Se non
è di cuori, allora non significa nulla, quindi quello
è ciò che rappresenta. Il Nulla». Mike
drizzò la schiena e poggiò i gomiti sul tavolo,
giungendo le mani davanti alla bocca. «Un po’ come
te e me, no?».
«Che intendi dire?» chiese Lily, aggrottando le
sopracciglia.
«Be’, io sono uno dei cuori, tu no»
spiegò lui, come se ciò chiarisse tutto. Lei gli
lanciò uno sguardo confuso, così Mike, sbuffando,
estrasse uno specchio dalla tasca della divisa e glielo porse. Lily lo
prese e si specchiò, facendolo cadere all’istante
e spaccandolo in mille pezzi. Fece appena in tempo a vedere le scritte
insanguinate sulla carta che prima era vuota, dopodiché si
svegliò, soffocando l’urlo che aveva lanciato nel
sogno, dopo che quel volto aveva ricambiato il suo sguardo. Un
non-volto, se così lo si vuole chiamare. Privo di naso,
occhi, bocca, capelli…
Nella sua mente, la carta ancora grondava parole di sangue.
Non parlare. Non più.
Lily mescolava pigramente il suo tè con un cucchiaino,
facendo sciogliere la zolletta nell’acqua bollente e
profumata. L’incubo era stato breve ma fin troppo intenso per
ciò che stava passando in quel momento. Al pensiero che
quello era solo il secondo giorno di scuola, Lily sentiva tutte le sue
forze sparire. Sentiva che, se avesse continuato così, entro
un mese al massimo sarebbe impazzita.
Bevve un sorso, senza curarsi del bruciore che il liquido le provocava
alla lingua, e si guardò intorno. Erano solo le sette di
mattina e nella Sala Grane erano presenti sì e no una
dozzina di persone, compresi due insegnanti che facevano colazione
leggendo la Gazzetta del Profeta. Il cielo era coperto da nuvole grigie
gonfie d’acqua. Il silenzio che regnava nella stanza era
irreale, abituata com’era al chiasso e alla confusione,
specialmente al suo tavolo, con i Malandrini che ritenevano che la
tranquillità fosse una cosa sopravvalutata. Se si stava bene
attenti, si riusciva addirittura a sentire le gocce di pioggia cadere
sull’antica pietra della costruzione.
Assonnata e ancora un po’ intontita, Lily si sostenne la
testa con la mano e socchiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, mentre
con l’altra ancora mescolava il tè fumante. Dopo
l’incubo che aveva avuto, aveva capito che dormire sarebbe
stato impossibile. Aveva quindi ricominciato a meditare sulle parole
che la perseguitavano dal giorno precedente, ma presto aveva dato
forfait e aveva sentito il bisogno di cambiare aria. Quindi si
ritrovava lì, distrutta e completamente priva della voglia
di fare lezione (a dirla tutta, non è che ne avesse mai
avuta molta, ma in quel momento aveva raggiunto i minimi storici).
Il suo campo visivo incontrò, però, una visione
celestiale e orrenda allo stesso tempo. Una delle sue acerrime nemiche
la osservava poco più in là, sfidandola ad
avvicinarsi, tentandola. Lily si mise il cucchiaino bollente in bocca,
assaporando il poco tè che era rimasto sopra, e, tenendolo
fra le labbra, valutava le sue opzioni. Avrebbe potuto cedere, ma
sapeva che se ne sarebbe pentita. Avrebbe potuto resistere, ma se ne
sarebbe pentita ugualmente.
Quando il suo conflitto interiore ebbe fine (cedendo, ovviamente),
l’oggetto del suo desiderio era stato preso e sistemato su un
piattino, quindi posato sul posto di fronte a lei da colui che ci si
stava sedendo.
Mike la guardò, sorridendo mentre giocherellava con le dita
con una piccola forchetta.
«Ciao, sorellina» disse, mantenendo un tono basso,
forse per non rompere l’atmosfera di pace che si era creata
nella Sala. «Come mai sveglia così
presto?».
«Pianificavo il tuo omicidio» rispose lei,
d’istinto. Forse non avrebbe dovuto essere così
scortese, ma Mike l’aveva appena derubata, quindi se ne
sentiva completamente in diritto. Lui, d’altro canto,
ridacchiò, per poi infilzare la fragola che sovrastava il
quadrato di torta e farla scomparire dietro le proprie labbra. Lily
assottigliò lo sguardo.
Mike sgranò gli occhi, come se avesse capito qualcosa solo
in quell’istante. «Oh, ne volevi un
pezzo?».
Le labbra di Lily diventarono tanto sottili da far invidia a quelle
della McGranitt, mentre il fratello prendeva un pezzo di torta con la
forchetta e glielo porgeva, invitandola a mangiarlo.
Lily soppesò l’idea per qualche istante, poi
decise di fidarsi e provò a mordere il dolce che le veniva
offerto. All’ultimo istante, Mike tolse la forchetta e
mangiò il pezzo al posto suo, ridacchiando e ammiccando.
«Sei un bastardo» mormorò la ragazza,
arrossendo un po’ e guardandolo malissimo. Lui
ghignò.
«Io ci andrei piano con questi insulti: siamo gemelli,
ricordi?» fece. Lily sussultò leggermente per la
battuta: le sembrava quasi troppo adatta alla situazione per essere
casuale. Lui sembrò accorgersi di qualcosa perché
cambiò argomento. «Allora, perché
sveglia così presto?».
Lei scrollò le spalle e, non vedendo perché
mentire, decise di dire la verità, per la prima volta da un
po’ troppo tempo per i suoi gusti.
«Il solito incubo» disse con noncuranza. Lui
aggrottò le sopracciglia, continuando a mangiare piccoli
pezzi di torta. «Tu?».
«Ti cercavo» rispose Mike, estraendo da una tasca
della tracolla una lettera. «L’ha portata Horus per
noi poco fa».
Lily la prese.
«Come facevi a sapere che non ero nel Dormitorio?»
chiese. Mike sorrise.
«Regola numero sette: i Malandrini non rivelano i propri
segreti» spiegò con semplicità.
Lei inarcò le sopracciglia. «Ah, be’,
ovvio. Come ho fatto a dimenticarmene?» disse, sarcastica.
Lui sbuffò e con un gesto la invitò ad aprire la
lettera. Lei obbedì e il nome del mittente la
scoraggiò all’istante.
«Che vuole Petunia adesso?» chiese, con aria stanca.
«Lei proprio niente, credo sia stata mamma a
costringerla» replicò Mike.
«Leggi».
Ci mise solo un paio di secondi, ma bastarono per farle venir voglia di
bruciare la lettera e per far costruire a Mike una torre di zollette di
zucchero piuttosto traballante (avendo finito la torta da un
po’, si era trovato un’altra occupazione).
«Quindi va a vivere da questo tizio, Vernon, eh?»
disse, seccata. «E si sposeranno a novembre…
Onestamente, non capisco perché mi abbia voluto
informare».
«Ci abbia voluti informare» la corresse Mike,
aggiungendo zollette alla pila sempre più in bilico. Lei si
morse un labbro: doveva evitare stupidaggini del genere. «Te
l’ho detto, penso sia stata nostra madre».
«E perché? Tanto non potremo partecipare, quindi
è inutile farcelo sapere» commentò lei,
aspramente, mentre valutava l’idea di far crollare la colonna
di zuccherini.
«Io in realtà vorrei andarci»
replicò Mike. Lily inarcò un sopracciglio.
«Sul serio?» chiese. Il ragazzo sorrise, malandrino.
«Certo! E mi divertirei a rovinarglielo!»
spiegò, ammiccando. Lei ridacchiò a sua volta,
per poi assumere un sorriso triste.
«Non se lo merita» mormorò, abbassando
lo sguardo. Mike sgranò gli occhi.
«Stai scherzando, vero?» esclamò.
«Mike, è solo invidiosa. Cercare di boicottare il
matrimonio peggiorerebbe solo le cose e inutilmente. Non ne vale la
pena» spiegò, incrociando le braccia e posando il
mento su di esse.
«Lily» Mike le prese una mano e la costrinse ad
alzare lo sguardo. Il volto del ragazzo era fin troppo vicino alla
colonna di zucchero. «So che non dovrei farlo, ma ti ricordi
delle estati del secondo e del terzo anno?».
Lei aprì e richiuse la bocca senza dire nulla.
Evidentemente, anche con Mike, Petunia non era stata meno perfida nei
suoi confronti.
«Non importa» decise infine. «Ora si
trasferirà e non dovremo più avere a che fare con
lei. Ripensare al passato è inutile».
Era ironico, ma le loro frasi avevano fin troppi richiami alla
situazione che lei stava vivendo.
Mike aggrottò le sopracciglia e la osservò con
una strana espressione.
«Che c’è?» fece lei,
infastidita.
«Mi sto chiedendo quanto debba essere stato brutto
l’incubo per farti invecchiare di vent’anni in una
volta» spiegò lui.
«Ehi!» esclamò Lily, offesa. Lui
scrollò le spalle, versandosi una tazza di tè con
gesti piuttosto eleganti, tanto da ricordare in parte Sirius.
Evidentemente la vicinanza gli aveva trasferito qualche abitudine
dell’amico, perché Lily era certa che
l’eleganza non fosse nei geni Evans. O, perlomeno, non si era
manifestata né in lei né in Petunia.
«Quando tornerai in te e riabbraccerai i propositi di
vendetta, fammi un fischio, okay?» disse Mike, dando un
colpetto alla torre di zollette. Le tre più in alto caddero
direttamente nella tazza, creando piccole macchie di tè
sulla tovaglia. Mike non se ne curò, mescolando la bevanda
con aria annoiata.
«Be’?» fece Lily, sorpresa. Mike
alzò lo sguardo su di lei inarcando un sopracciglio.
«“Be’”, cosa?»
replicò.
«Tutto qui?» chiese lei.
«Dovrebbe esserci altro?». Lily si
limitò, in risposta, a divorare uno dei pezzi di torta crema
e fragola* che tanto aveva desiderato poco prima.
Quando arrivarono anche gli altri ragazzi (Lily fu lieta che nessuno
chiedesse del loro largo anticipo) non si accennò
più a Petunia ma, piuttosto, venne a crearsi una certa
eccitazione per l’ultima ora che avrebbero avuto quella
giornata. Alle orecchie dei Malandrini era arrivata, infatti, la voce
di ciò che era successo il giorno precedente agli studenti
del settimo anno con il nuovo professore di Difesa,
“Hamilton”, le pareva di ricordare: a quanto
sembrava, il professore era a dir poco eccentrico, ma anche un genio.
Le loro fonti non erano entrate nel dettaglio, ma i ragazzi di
Grifondoro sembravano percorsi da continue scosse elettriche che li
rendevano frenetici, tanto da venir richiamati in continuazione da
un’impaziente professoressa McGranitt, che era stata
costretta più volte a interrompere la lezione. I Malandrini
decisero di darsi una calmata solo quando l’insegnante
minacciò imperiosamente di togliere venti punti a testa a
Grifondoro.
Mentre anche Mary sembrava piuttosto eccitata per la lezione di quel
pomeriggio, Lily ed Emmeline sembravano un po’ più
titubanti. “Eccentrico” poteva significare davvero
molte cose e, in quel periodo, per delle Nate Babbane poteva
rappresentare un vero svantaggio, se non una tortura.
«A pranzo gli chiediamo chi è questa
“fonte attendibile”» decise Lily,
sussurrando a Emmeline mentre il resto della classe si stava
esercitando nel ripasso generale di Incantesimi assegnato loro da
Vitious. L’amica annuì, un po’
preoccupata, lanciando l’Incantesimo di Esilio sul suo
cuscino, scaraventandolo in aria. Lily scagliò sullo stesso
cuscino un Incantesimo Levitante e questo tornò a posarsi
dolcemente sul tavolo.
«Ancora non mi hai detto cosa hai intenzione di fare stasera
con James» disse Emmeline, cambiando improvvisamente
discorso. Lily aggrottò le sopracciglia, sospettosa.
«Di che stai parlando?» chiese, pensando
immediatamente ai numerosissimi pensieri maliziosi che la ragazza
doveva aver fatto.
Emmeline sospirò. «Lils, non sono Mary,
ricordalo».
«E tu ricordati di non chiamarmi mai più
Lils» replicò lei, rabbrividendo. Era il
soprannome che usavano i suoi genitori e, quando i suoi amici lo
avevano scoperto, per lei era stato un trauma.
«Sì, sì, come ti pare». Viva
le amiche, proprio. «Comunque parlavo delle scritte e di
Mike. Glielo dirai?».
Lily deglutì. Quello era uno dei pensieri che
l’aveva accompagnata sin dal suo brusco risveglio. Le scritte
erano ancora incise nella sua mente e non aveva la minima idea di come
comportarsi. Non dire nulla significava, in un certo senso, ubbidire a
quelle scritte e ammettere a se stessa che ciò aveva
realmente visto qualcosa. Confessare tutto, invece, avrebbe potuto
essere controproducente: James avrebbe potuto crederla pazza. E, se le
scritte erano reali, allora l’artefice non sarebbe stato
affatto contento. O contenta.
«Non ne ho idea» confessò. Emmeline
sospirò, come se si aspettasse la risposta.
«Secondo me dovresti dirglielo»
commentò. «Se non vuoi parlarne con Mike
perché non ti fidi, almeno dillo a James. Lui lo conosci
bene».
Lily rimase per qualche secondo in silenzio. «Credo che
farò quello che mi verrà sul momento».
«Fa’ come vuoi» replicò
Emmeline. «Ma ricordati che James è parecchio
insistente quando è curioso, quindi l’unico modo
che avrai per distrarlo sarà saltargli addosso».
«Em!». L’esclamazione di Lily fece girare
parecchie teste. Mary, seduta poco più in là
assieme a Sirius, doveva aver capito di cosa stavano parlando
perché era scoppiata a ridere sotto lo sguardo stralunato e
divertito del fidanzato.
«Va bene, va bene!» fece Emmeline, esasperata.
«Ma devi darti una mossa: questo è il nostro
ultimo anno, l’ultima possibilità che
avrai».
«Esagerata» borbottò Lily, voltandosi
dall’altra parte per riprendere l’esercitazione.
Nessuna delle due tornò sull’argomento per il
resto della lezione.
A pranzo, invece, Lily prese coraggio e chiese ai Malandrini di
rivelarle il nome della loro fonte. Non ci fu bisogno che nessuno dei
quattro aprisse bocca: bastarono i ghigni che rivolsero a Remus e il
rossore di quest’ultimo per farle capire che Tonks era la
responsabile, cosa che la tranquillizzò non poco. Almeno
poteva essere sicura che il nuovo professore non fosse un Mangiamorte
in incognito.
È facile immaginare che le ore che precedettero Difesa
Contro le Arti Oscure passarono fin troppo lentamente per gli studenti
del settimo anno. Quando anche Aritmanzia e Pozioni finirono, i ragazzi
si catapultarono nell’aula di Difesa. Mentre il professore
ancora non era arrivato, ci fu una sorta di combattimento
all’ultimo sangue per i primi posti. I Malandrini e un
gruppetto di Serpeverde (fra cui Piton, che Lily evitò
accuratamente anche solo di guardare) rischiarono anche di mettersi a
duellare. Alla fine, Lily e Remus si erano ritrovati davanti, sebbene
lei non sapesse come, seguiti da James e Sirius, Emmeline e Mary e,
all’ultimo banco, Mike e un Serpeverde con un grande naso
aquilino e una faccia arcigna. A Lily dispiaceva relegare il
neo-fratello con uno sconosciuto dall’aria sgradevole, ma i
ragazzi dichiararono che non era colpa di nessuno: avevano fatto la
conta!
Quando il professore non si fece vedere per circa un quarto
d’ora, però, tutta la classe tornò ad
agitarsi. Avevano aspettato tanto per quel momento e
l’insegnante gli dava buca? Per i Malandrini era
inconcepibile!
Il professor Hamilton entrò proprio un istante dopo che
James e Sirius avevano annunciato alla classe che sarebbero andati a
cercarlo. Zoppicando e reggendosi su un bastone di legno scuro che Lily
non aveva notato la prima volta, l’insegnante si diresse
verso la cattedra senza degnare gli studenti di uno sguardo, poggiando
sul ripiano una sorta di fascicolo. Estrasse la bacchetta da una tasca
della giacca grigio polvere e la puntò sulla lavagna che, da
verde, diventò bianca. Il professore aprì il
fascicolo ed estrasse alcune foto che, avrebbero notato poco
più tardi, non erano animate. Poggiò le foto
sulla lavagna e queste rimasero incollate sulla superficie.
Il professore si girò finalmente verso la classe.
«Qualche mese fa, a Cardiff, abbiamo avuto tredici omicidi in
sole quarantottore» disse, sedendosi sulla cattedra.
«Le vittime sono di sesso, età e colore diversi,
non sembrano avere alcun legame e sono morti in luoghi distanti
l’uno dall’altro. L’unica cosa che hanno
in comune è il decesso: a tutti e dodici il cervello
è andato letteralmente a pezzi».
Lily spostò lo sguardo sulle immagini sulla lavagna: erano
raffigurati uomini e donne con rivoli di sangue che uscivano da bocca,
naso, orecchie…
Cosa può fare qualcosa del genere?,
pensò,
inorridendo, mentre sentiva Emmeline lanciare un piccolo gemito.
«I dettagli non sono mai stati rivelati al pubblico e gli
stessi omicidi sono stati tenuti segreti».
«Perché?» domandò James,
contrariato.
«Perché il nostro caro Ministro è un
emerito idiota» rispose il professore, facendo ridacchiare
qualche studente. «Come stavo dicendo, voi non potete saperne
nulla, anche agli Auror è stato ordinato di rimanere in
silenzio, quindi è, per me, un’ottima
opportunità» continuò, per poi fare un
cenno con la mano, come invitandoli a parlare.
«Be’, iniziate! Voglio sentire ipotesi, domande,
suggerimenti, qualsiasi cosa di vagamente intelligente per risolvere il
caso».
Per un attimo gli studenti rimasero in silenzio, gli occhi che
passavano rapidamente dall’insegnante alle foto. Per la
maggior parte sembravano un po’ storditi, ma alcuni erano
subito passati a cercare di dedurre qualcosa da quei pochi elementi.
«Erano Nati Babbani?» chiese Sirius. Lily, come
anche Emmeline, sapeva cosa intendesse il ragazzo, quindi non la
presero come un’offesa. Probabilmente, la cosa sarebbe stata
ben diversa se fosse stato un Serpeverde a fare la domanda.
«Un paio di loro» rispose il professore, indicando
le foto di una donna sui quaranta dai lunghi capelli corvini e un
ragazzo appena ventenne con un grande naso aquilino. La cosa escludeva,
quasi a priori, attentati da parte di Mangiamorte. Ovviamente avevano
ucciso anche Mezzosangue e, anche se si contavano sulle dita di una
mano, Purosangue, perché questi andavano contro di loro, ma
sembrava impossibile che persone così diverse potessero
avere avuto tutte dei conflitti con i Mangiamorte.
«Che cosa è stato usato per ucciderli?»
chiese Piton, facendo sussultare leggermente Lily.
«Un veleno, creato appositamente
dall’assassino» disse Hamilton. «Gli
ingredienti sono tenuti segreti dal Ministero e il composto ancora non
ha un nome ufficiale. Questo veleno, comunque, ha fatto entrare le
vittime in una sorta di stato comatoso e gli ha poi ridotto il cervello
in poltiglia».
«Quindi l’assassino dev’essere stato un
Pozionista esperto» continuò il ragazzo, con una
leggera sfumatura di riverenza nella voce. Il professore
annuì con semplicità, senza manifestare alcuna
emozione. Lily, invece, guardava di sottecchi il Serpeverde,
chiedendosi come avesse fatto a sbagliarsi tanto su di lui.
«Quanto c’è voluto per catturare
l’assassino?» chiese il ragazzo seduto accanto a
Mike, con una voce tanto profonda da sembrare falsa. Lily si chiese che
teoria potesse avere quel tipo, ma poi pensò che, magari,
potesse essere anche solo curiosità personale.
«Mai catturato» disse il professore con tono
leggero.
«Chi è stata l’ultima
vittima?» chiese improvvisamente Mike. Qualcosa
sembrò brillare negli occhi dell’insegnante.
«Un certo Thomas Clearwater» rispose Hamilton. Mike
aprì bocca, come per chiedere altro, ma il professore lo
interruppe. «Era un malato mentale, rinchiuso per alcuni anni
nel Mirrty Asylum per alcune tendenze violente che aveva mostrato in
pubblico. Aveva mandato in coma un bambino di dieci anni senza alcun
apparente motivo».
«Com’era la sua vita prima di essere
rinchiuso?» incalzò Mike. Lily aggrottò
le sopracciglia, chiedendosi perché il fratello volesse
tanto insistere su quel pover’uomo.
«Discreto studente a Hogwarts, diplomato con soli due
M.A.G.O. Ha lavorato come garzone nella Farmacia di Misurino a Diagon
Alley per tre anni mentre cercava di ottenere un posto al San
Mungo».
«In che materia aveva i M.A.G.O.?» chiese Remus,
sorprendendo Lily.
«Erbologia e Pozioni» rispose Hamilton, trattenendo
a stento un ghigno. Lily, come folgorata, capì a cosa
stavano pensando i due ragazzi.
Ma certo, pensò. Perché
è stata
l’ultima vittima? Se l’assassino non è
stato mai preso, avrebbe avuto tutto il tempo per uccidere altre
persone. Invece si è fermato… perché?
Se le vittime avessero avuto qualche legame, allora sarebbe stato
facile da capire, ma se, invece, erano a caso come sembra,
perché non continuare? A meno che…
«E dove sono state trovate le vittime,
precisamente?» chiese Mike. Hamilton sorrise e, con un cenno
della bacchetta, fece planare una cartina di Cardiff sulla lavagna.
Segni rossi indicavano le case in cui erano stati trovati i corpi:
dodici vittime erano disposte a distanza regolare l’una
dall’altra, in cerchio, attorno a una centrale. Il nome
“Thomas Clearwater” era scritto in caratteri dorati
e brillanti accanto al segno centrale.
«Mi lasci indovinare» proseguì Mike.
«Le vittime sono state trovate casualmente, ma da quella in
alto a destra, proseguendo in senso orario, l’età
aumenta. Giusto?».
Il professore sbuffò, divertito, e batté una
volta le mani. «Bene, penso che ormai tutti lo abbiano
capito».
Ci fu una serie di vari “sì”, alcuni un
po’ svogliati.
«Ciò che Evans ha capito è
esatto» proseguì l’uomo, battendo la
bacchetta sulla cartina. I vari segni rossi si congiunsero, formando un
cerchio diviso in spicchi e dei numeri romani, dall’I al XII,
completarono quello che era un perfetto orologio. «Thomas
Clearwater, seppur completamente ignorante nelle altre materie, era un
eccellente Pozionista. Aveva scoperto alcune particolari
proprietà che le foglie di mandragola assumevano quando
venivano in contatto con composti di sangue di drago e…
altro che non sto a elencarvi per evitare emulatori» il
professore lanciò una veloce occhiata a Piton. «Da
ciò, era riuscito a fondere il Distillato della Morte
Vivente con questa sua nuova scoperta, generando una tossina che prima
addormentava, poi uccideva in brevissimo tempo. Quando venne scovato il
suo laboratorio – che altro non era se non una semplice
cantina – e trovati i suoi appunti, si venne a conoscenza del
nome che Clearwater aveva dato alla sua creazione: Sangue del
Tempo». Hamilton indicò con il bastone
l’orologio sulla piantina. «Non si sa con
precisione cosa l’abbia spinto ad agire in questo modo:
abbiamo trovato nei suoi appunti molti accenni a una certa
“purificazione”, ma erano talmente confusi che
abbiamo rinunciato a comprenderli».
«Quindi… ha ucciso dodici persone più o
meno a caso e poi cosa? Si è suicidato?» chiese
Mary, un po’ incredula.
«Non si sa se si sia ucciso da solo o se qualcuno
l’abbia costretto, nonostante sembri che nessun altro fosse
entrato nella casa di Clearwater. Comunque, il caso è ora
chiuso, quindi la morte di Clearwater è stata archiviata
come suicidio e le indagini sono terminate» rispose
l’insegnante.
La campana di fine ora risuonò nel silenzio assorto della
classe, risvegliando gli studenti. Lily si guardò attorno,
stupefatta: le sembrava che l’insegnante fosse entrato solo
da pochi minuti. Come lei, anche altri studenti sembravano un
po’ confusi, sebbene alcuni Serpeverde sembrassero
più che altro sollevati.
«Voglio che tutti voi facciate una ricerca di almeno trenta
centimetri di pergamena sul Mirrty Asylum»
annunciò il professore. «Non m’interessa
di cosa parliate, se della storia o di qualche evento o personaggio
specifico, l’importante è che sia inerente
all’argomento. Avete due settimane di tempo. Ah, dimenticavo:
venti punti a Grifondoro per l’intuizione di Evans e
Lupin». Vide che gli studenti lo osservavano nuovamente
immobili. Inarcò un sopracciglio e fece cenno con la mano di
andarsene. «Be’? Che aspettate? Via!
Sciò! Circolare!».
Gli studenti, un po’ scombussolati, si alzarono e si
diressero fuori dalla porta più o meno in silenzio. Appena
varcata la soglia, James e Sirius cominciarono a discutere animatamente
di quanto, parole loro, fosse “figo” il professor
Hamilton. La discussione continuò per tutta la scala a
chiocciola che scendeva sul corridoio principale del Terzo Piano,
arrivando a frasi come «non è vero: io lo amo
più di te!» sotto lo sguardo divertito degli altri
Grifondoro.
«A me non è piaciuto granché»
borbottò Emmeline. I due la guardarono come se avesse li
avesse schiaffeggiati.
«Ma… ma… come osi?»
esclamò James, con il tono più sdegnato del suo
repertorio.
«Cos’hai di sbagliato?»
rincarò Sirius, mettendosi platealmente una mano sul cuore.
Mary e Mike risero mentre Emmeline fece una smorfia imbronciata.
«È che… sbatterci davanti
così tutta quella gente morta in un modo così
orrendo e parlarne così, alla leggera…»
spiegò. «Quelle persone sono morte veramente,
invece sembrava fosse quasi un gioco, tipo Cluedo».
«Clu-che?» fece Sirius,
inclinando leggermente la
testa. Remus gli lanciò un’occhiataccia,
intimandogli di tacere.
«Em, ormai è tardi per quelle persone»
disse Mary. «Non possiamo impedire le loro morti
né farli tornare in vita. Il loro assassino li ha seguiti
dall’altra parte, quindi non potremmo nemmeno vendicarli.
Tanto vale che la loro morte serva a qualcosa, no?».
Emmeline sgranò gli occhi e la guardò, sconvolta.
«Come, scusa? Cosa ti fa pensare che la morte possa essere
utile a qualcosa?».
«Non ho mai detto che la morte serva a
qualcosa!»
replicò Mary, alterandosi. Lily si preparò
mentalmente per bloccarla in caso avesse esagerato, ma non ce ne fu
bisogna.
«Quello che Mary intendeva dire»
s’intromise James con tono gentile, sorprendendo Lily.
«È che conoscere come le persone se ne sono andate
può rivelarsi utile per impedire che questo accada ad altre.
Se, per esempio, qualche altro pazzo cominciasse a uccidere usando lo
stesso veleno di Clearwater, saprebbero sia cosa stanno usando sia che
l’omicida deve avere qualche legame con il caso di
Clearwater, visto che è stato lui a inventarlo. Capisci?
Anche se quelle persone non ci sono più da tempo, possiamo
far sì che la loro morte non sia stata vana con
l’esperienza che ci hanno lasciato».
Emmeline, seppur un po’ sorpresa dalle parole del ragazzo,
annuì. Sirius emise un lungo fischio che
risvegliò gli altri dallo strano evento appena accaduto.
«Da quand’è che sei così
saggio, Ramoso?» chiese il ragazzo. James
ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli.
«Secondo me l’ha copiato da qualcuno»
disse Remus, alquanto sconvolto.
«Oh, dai, ragazzi! Un po’ di fiducia, per
Merlino!» esclamò James, contrariato.
«A te? Ma mai nella vita!» replicò Mike,
ridendo e seguito a breve dagli altri.
«Stavo pensando a una cosa» disse Lily, dopo un
po’, quando le risate cessarono.
«Tu che pensi? Strano, non l’avrei mai
detto…» fece Mike.
«Oh, taci!» replicò, anche se in parte
divertita. «Dicevo: stavo pensando che Hamilton conosceva i
vostri nomi, anche se voi non glieli avete mai detti».
Remus e Mike si guardarono, incerti e un po’ sorpresi.
«Be’, siamo i Malandrini, dopotutto»
disse Sirius, con un certo compiacimento. «Magari qualche
prof gli ha parlato di noi. Siamo famosi!».
«Sirius, voi non siete famosi: siete famigerati»
replicò Mary, facendo ridere le altre due ragazze.
«Che ci vuoi fare, è un mondo pieno
d’invidiosi!» disse l’altro, con un
sospiro.
«A cosa devo l’onore?» chiese il ragazzo,
con aria di superiorità, osservando Lily da dietro il tavolo
in mogano della Biblioteca. La Grifondoro sbuffò, un
po’ infastidita.
«Piantala, Remus: fare l’offeso non ti si
addice» replicò, sedendosi di fronte a lui e
posando la borsa sul tavolo.
«Non è vero, sono bravissimo a fare
l’offeso» disse Remus, convintissimo. Lily
inarcò un sopracciglio, fermandosi a guardarlo mentre
estraeva pergamena e inchiostro dalla borsa. «Sono James e
Sirius che sono fuori scala, quindi la gente ormai ha standard troppo
alti».
La ragazza sbuffò, divertita. «Già,
sicuramente il problema sono loro» disse, ironica.
«Comunque, non hai assolutamente nulla per cui fare
l’offeso».
«Davvero? E il fatto che sono diventato la settima ruota del
carro dove lo metti?» rispose lui, piccato. «Una
volta eravamo amici e ora sono l’ultima spiaggia? Vergogna su
di te, signorina Evans!».
«Non sei la settima ruota del carro!»
ribatté la ragazza. «Sei la sesta: ti pare che mi
confidi con Black?».
«Oh, allora tutto nella norma» fece lui, ironico,
con un sorrisetto. «Come mai sei venuta da sola?».
«Mary è in giro con Sirius ed Emmeline ha detto
che aveva sonno, quindi penso che sia andata a giocare a Spara Schiocco
con le ragazze del sesto. Mike e James?».
«Progettano» rispose Remus, con noncuranza. Lily
aggrottò le sopracciglia.
«Progettano cosa, esattamente?»
chiese. Poi, prima
che Remus potesse rifiutarsi di rispondere, aggiunse:
«Giusto, regola numero sette, dimenticavo».
Remus fece una smorfia di apprezzamento.
«Allora, da dove iniziamo?» chiese Lily, precisa
come suo solito.
«Ho chiesto a Madama Pince di fornirci alcuni articoli della
Gazzetta riguardanti il Mirrty» disse il ragazzo, indicando
una pila di giornali, tutti che parlassero, in qualche modo, del
manicomio. «Sarebbero molti di più, ma questi sono
quelli più importanti. Cominciamo?».
Lily sospirò. «Meglio di sì, altrimenti
credo potrei scappare e passare il resto della giornata a dormire e a
sentirmi in colpa per non aver iniziato».
«Si vede che non sei una Malandrina» fece Remus,
sorridendo. Lily rispose al sorriso e prese un giornale a caso,
iniziando a leggere.
Ci volle poco per capire che sarebbe stata una ricerca interessante ma
davvero molto tetra. Tanto per cominciare, il Mirrty era nato come
ospedale psichiatrico pubblico nel 1913 ma ben presto, a causa
dell’Incidente Azkaban, venne convertito in manicomio
criminale dalla stessa fondatrice, Madame Elizabeth Mirrty, per poter
accogliere i prigionieri precedentemente presenti nella prigione magica
e coloro che erano impazziti a causa di quello che venne definito
“il Banchetto dei Dissennatori” del 1914. In
seguito, Madame Mirrty offrì il manicomio come carcere
provvisorio al Ministero della Magia e il Ministro Evermonde, sebbene
un po’ titubante, fu costretta ad accettare, curandosi di far
iniziare i lavori del penitenziario di Brackden il più
presto possibile.
Nonostante tutto, Brackden venne completato solo nel 1929 e per ben
quindici anni il Mirrty Asylum ha ospitato un gran numero di criminali.
La tenuta, risalente al XVII secolo, era stata ampliata tanto da
rendere quasi impossibile capire quale fosse la struttura originaria,
questo soprattutto per tenere i malati mentali lontani da quelli
“sani” (nonostante sembrasse molto frequente lo
spostamento dalla seconda alla prima sezione).
Quando Brackden venne completato, tutti i criminali stabili vennero
trasferiti, lasciando molto più spazio agli altri. Il Mirrty
divenne quindi un vero e proprio manicomio criminale, con ali separate
per “gravità”. Tuttavia, gran parte
della struttura rimase vuota e tuttora non è ben chiaro cosa
accada al suo interno. Spesso si è parlato di esperimenti su
pazienti o scomparse degli stessi, ma il Ministero e Madame Mirrty
hanno sempre smentito tutto con prove tangibili (ovvero i pazienti
stessi, sempre mostrati fisicamente in ottima salute).
Spesso la Gazzetta del Profeta e altri giornali hanno cercato di capire
cosa accadeva all’interno dell’istituto.
“Tutto ciò che accade nel Mirrty Asylum
è approvato e controllato dal Ministero. Non possiamo
rivelare nulla, ma la struttura lavora insieme al nostro Ufficio
Misteri per garantire un futuro migliore per il Paese e per il
mondo”, ha asserito Ignatius Tuft nel 1960.
«Considerando che ha cercato di proporre i Dissennatori come
guardie a Brackden non mi fiderei troppo» aveva commentato
Remus. Lily si era trovata completamente d’accordo.
Il Mirrty Asylum apparteneva, in quel momento, a Julienne
Mirrty, nipote della fondatrice dell’istituto, che
regolarmente lasciava dichiarazioni al Ministero e alla Gazzetta per
rassicurarli sul perfetto funzionamento del manicomio.
«Questo non ha impedito a Clearwater di scappare»
commentò Mary, a cena, quando Remus e Lily raccontarono agli
altri ciò che avevano scoperto. Il Mirrty era noto a
qualsiasi mago, ma la storia era piuttosto oscura e, in genere, molti
evitavano anche di conoscerla, tantomeno raccontarla agli altri.
«I criminali evadono continuamente dal Mirrty, solo che il
Ministero cerca di metterlo a tacere» commentò
Sirius. Gli altri lo fissarono. «Che
c’è? I miei parlavano spesso del Mirrty: ho un
po’ di parenti rinchiusi lì dentro».
«Per essere una struttura governativa creata per tenere la
gente al sicuro, mi sembra non ci riesca un
granché» commentò Mike, bevendo un
sorso di succo di zucca. «Sembra quasi che vogliano
che la
gente evada».
Rimasero immobili e in silenzio per qualche secondo, analizzando le
parole del ragazzo.
«Nah» disse Sirius dopo un po’.
«Non ci guadagnerebbero nulla, solo più gente
morta e più lavoro per gli Auror. Quindi più
straordinari da pagare e più soldi che se ne vanno dal
caveau alla Gringott del Ministero. Non penso sia una
genialata».
«A meno che qualcuno non stia manipolando il Ministro per i
propri comodi» commentò Emmeline.
Mary sbuffò, divertita. «Non mi starai mica
diventando una di quelle che vedono complotti ovunque, vero?».
Emmeline la guardò male e l’amica rise.
«Be’, non è così
impossibile» disse James. «Minchum è un
idiota e un Purosangue in pieno stile Black – ah, piantala
Sirius: lo sai di che parlo –, non penso sarebbe difficile
per Voldemort portarlo dalla sua parte».
«E poi?» chiese Lily. «Che se ne fa
Voldemort di un manipolo di malati mentali?».
«Quelli non sono solo “malati
mentali”» ribatté James. «Sono
criminali. Sta’ sicura che un buon novanta percento si
schiererebbe più che volentieri con Voldemort, anche solo
per il gusto di uccidere».
«E poi la maggior parte delle persone che si trova al Mirrty
è esattamente come il tipico Mangiamorte: schizzato e con
tanta voglia di fare a fettine qualcuno. Dove credi rinchiudano i
seguaci di Voldemort quando li catturano?» fece Mary.
«Non mi meraviglio che gli Auror non facciano progressi,
visto che appena catturano qualcuno quello torna libero come se niente
fosse» commentò Remus.
«I miei e alcuni loro colleghi stanno cercando di convincere
il Ministro a mandare i Mangiamorte a Brackden, ma non li ascolta
nessuno» disse James con amarezza.
«Non credo migliorerebbe molto le cose: Brackden non
è poi così sicuro» replicò
Mary.
«Ma almeno le guardie sono sotto il diretto comando
dell’Ufficio Auror» spiegò
l’altro con pazienza. «Almeno loro dovrebbero
essere dalla parte giusta, per quanto ne so».
«In ogni caso, non credo che Voldemort c’entri con
le evasioni dal Mirrty: se avesse voluto intervenire e prendere dalla
sua parte i pazienti, avrebbe già provocato
un’evasione di massa» disse Lily.
«Prenderne un po’ per volta non ha molto
senso».
«Invece sì» ribatté Mary.
«È difficile controllare una folla di psicopatici
tutta insieme. Uno alla volta, invece, può convincerli a
entrare nelle sue fila e a fare i bravi soldatini».
«Io sarei più curioso di sapere di cosa si occupa
la parte del Mirrty che non viene usata per i pazienti»
commentò Mike. «Cosa potrebbe fare un manicomio
criminale per il governo?».
«Super-soldati-maghi pronti a combattere per la creazione
dell’Impero Magico Britannico?» propose Emmeline,
ridendo degli sguardi sconcertati e divertiti che aveva provocato.
«Io vorrei ribadire il fatto che Hamilton sia un
mito» disse Mary. «È riuscito a far
parlare i Malandrini di roba seria: non è
un’impresa da tutti».
«Ma noi parliamo di roba seria!» replicò
Sirius, offeso. «Ogni tanto».
Fortunatamente, la cena non venne rovinata dall’argomento
tetro che Remus e Lily avevano portato e per il resto della serata il
Mirrty Asylum e Voldemort vennero completamente dimenticati. Ben
più presente, invece, fu il problema che per Lily
rappresentava la ronda. Ancora non era certa se e cosa rivelare a James
e l’argomento le era sparito dalla mente fino a quel momento,
quindi non aveva pianificato nulla.
Lily era ancora indecisa mentre, nel suo Dormitorio, era distesa sul
letto, i capelli rossi che facevano a pugni col copriletto, e aspettava
che arrivasse il momento di scendere per la ronda. Di Mike,
pensò, forse poteva parlargli. Dopotutto, nonostante
l’amnesia, se la stava cavando abbastanza bene, non era
impazzita e parlare con lui non era poi così difficile. I
problemi c’erano quando ci si riferiva al loro passato: Lily
non era più certa di cosa fosse accaduto realmente e
chiedere spiegazioni al fratello la spaventava a morte. Parlare delle
scritte, invece, era fuori discussione. Con quelle, era sicura che si
sarebbe liberato un posto per lei al Mirrty, ed era abbastanza sicura
che non sarebbe uscita tanto facilmente.
«Ehm, Lily?» fece Emmeline mentre, seduta a gambe
incrociate sul proprio letto, sfogliava distrattamente una rivista
babbana.
«Mmh?» mormorò la Caposcuola, senza
prestarle particolare attenzione.
«Non avresti dovuto scendere dieci minuti fa?»
chiese.
Lily mormorò qualcosa d’indecifrabile, ma Emmeline
immaginò fosse qualche imprecazione rivolta a lei.
«E tu perché non sei in Sala Comune?»
chiese Lily, alzandosi a sedere e valutando l’idea se
raggiungere il neo-collega o darsi malata e posticipare il suo
trasferimento in manicomio.
«Aspetto il “via libera”
di
Mary» rispose la ragazza, arrossendo leggermente e
assottigliando le labbra, ricordando molto Lily (che, a sua volta,
ricordava la McGranitt).
«Underwood?» chiese la Caposcuola, finalmente
alzandosi dal letto e dirigendosi a passo lento verso la porta, mentre
una parte di sé ancora lottava per spingerla a fermarsi e
tornare indietro.
Emmeline, in risposta, si limitò ad annuire e ad abbassare
nuovamente gli occhi sulla rivista.
«Stavo pensando di accettare l’offerta di Sirius e
James» aggiunse. Lily, con la mano sulla maniglia, si
bloccò per lanciarle uno sguardo di disapprovazione.
«Va bene, va bene, non gli dirò nulla. Ora
vattene, o James troverà un modo per salire e ti
farà scendere lui. E gli darò una mano».
Borbottando nuove parole indistinte, Lily uscì dalla stanza,
chiudendosi la porta alle spalle. Fece un grande sospiro e, infine, si
decise a scendere le scale.
James quasi saltò in piedi quando la vide arrivare e Lily
notò che, lì accanto, Mike e Remus sembravano
piuttosto sollevati che fosse arrivata.
«Ehilà!» salutò allegramente
James, come se non avesse aspettato quasi un quarto d’ora.
«Era ora!» sbottò Mike, prima che Lily
potesse dire qualsiasi cosa. «James rischiava di avere una
crisi di nervi… e noi pure».
«Non è vero!» esclamò James,
offeso, mentre Lily arrossiva leggermente. «Siete voi che
sembravate impazziti».
«Certo!» replicò Remus, esasperato.
«Eri tu a farci impazzire!».
«“Non è che si è scordata? O
forse non vuole vedermi? E se si fosse sentita male ed io non posso
andare ad aiutarla perché sono troppo occupato a fare il
melodrammatico?” Porco Merlino, James! Faresti perdere la
pazienza anche a Silente in persona!» gli fece il verso Mike.
James sbuffò e si rivolse alla ragazza.
«Ti dispiace se andiamo?» chiese. «A
quanto pare non mi vogliono, qui».
Lily ridacchiò per la stranezza degli eventi e
annuì.
Mentre i Caposcuola si dirigevano verso il ritratto della Signora
Grassa, la voce di Mike arrivò da dietro le loro spalle:
«Vedete di non tornare prima delle due, oppure
sarò molto deluso da entrambi».
A suo favore, c’è da dire che non batté
ciglio quando la Fattura Pungente di sua sorella gli mancò
il volto per un soffio. Il ragazzo si limitò a sfoggiare un
sorriso furbo. «Si metteranno insieme prima della fine del
mese».
«Ottimo incantesimo» disse James, quando i due
furono dall’altra parte del ritratto. «Peccato per
la mira, però».
Lily inarcò un sopracciglio e lo guardò con
sufficienza. «Per chi mi hai preso? Quello era un colpo
d’avvertimento, la prossima volta gli faccio direttamente
saltare il naso».
Forse il rapporto con il fratello non stava andando nel migliore di
modi (sebbene avessero avuto qualche bel momento) e non avrebbe dovuto
essere così acida, ma il sorriso soddisfatto di James
sembrava dirle che aveva fatto la cosa giusta.
«Questa è la Lily Evans che conosco»
disse lui, incamminandosi verso un corridoio a caso. Lily lo
seguì, un po’ sorpresa.
«Che intendi dire?» chiese.
«Be’, ultimamente sei diventata un po’
più… introversa? Te ne stai sulle tue, spesso in
silenzio…» rispose, per poi aggiungere
frettolosamente: «Lo so che stai passando un brutto periodo
con gli incubi e… tutto quello che non vuoi dirci, ma mi
mancava questa Lily».
«E, sentiamo, cosa ti mancava di questa
me?» chiese
la ragazza, non senza un po’ di malizia presa in prestito da
Mary. «Attento, però: in base alla risposta la
durata della tua vita potrebbe accorciarsi di parecchio».
James rise. «Proprio questo! Mi mancava la Lily divertente,
sarcastica, ligia alle regole e sempre pronta a far saltare il naso a
chi la innervosisce».
«Hai dimenticato “geniale”»
disse lei, cercando di non apparire lusingata dalle parole del ragazzo.
Cosa che, fra l’altro, non era mai accaduta prima,
nonostante, in sei anni, non fossero mancati complimenti da parte di
James Potter.
«Be’, non lo sei poi così
tanto» replicò il ragazzo, accelerando un
po’ il passo, forse consapevole del pericolo in cui si stava
cacciando. Lily rimase interdetta per un attimo, prima di raggiungere
il suo ritmo.
«Ah, davvero? E come mai?» chiese, con tutta la
modestia del mondo. O forse no.
«Perché non hai chiesto a Tonks di venire a
studiare con te e Remus» rispose James, sicuro, lasciando
cadere Lily in un baratro di disperazione e sgomento. Trovava
incredibile che l’idea non le fosse venuta in mente: sarebbe
stato semplicissimo portarla in Biblioteca e, per qualche motivo di cui
“si era dimenticata”, volatilizzarsi e lasciare
quei due idioti da soli.
«Non ci posso credere» mormorò la
ragazza, con occhi spiritati. «Cosa, per Godric, non
ho
fatto».
«Si vede che non sei una Malandrina»
replicò il ragazzo, con una punta malcelata di orgoglio. Era
la seconda volta in meno di dodici ore che Lily sentiva quella frase.
«Perché i Malandrini sarebbero esperti di queste
cose?» chiese, sarcastica. «Devo forse ricordarti
che Sirius è l’unico di voi che ha una ragazza e
che è ancora un mistero perché stiano
insieme?».
James sembrò voler dire qualcosa, ma chiuse la
bocca e si limitò ad assumere un colorito più
acceso. Una parte di Lily le suggerì cosa potesse star
pensando il ragazzo e lei arrossì a sua volta. Possibile, si
chiese, che due persone che si conoscevano da sei anni (cinque dei
quali passati a urlarsi addosso per un motivo o per un altro)
arrossissero come dodicenni al primo appuntamento? La parte del
“primo appuntamento”, poi, le fece capire che aveva
bisogno di cambiare argomento, subito.
«Remus mi ha detto che tu e Mike progettavate qualcosa, oggi
pomeriggio» disse. James sembrò sorpreso per un
secondo, poi assunse il ghigno malandrino che era marchio di fabbrica
suo e di Sirius.
«Regola…».
«Numero sette, sì, lo so» lo interruppe
Lily, un po’ delusa.
Il ghigno di James si allargò un poco. «E allora
come mai chiedi?».
La ragazza scrollò le spalle. «Ero
curiosa».
«Lily Evans, rigido Caposcuola e cacciatrice di Malandrini
per eccellenza, è curiosa riguardo ai nostri
scherzi?» chiese il ragazzo, sorpreso e divertito.
«Ah-ah! Allora stavate progettando uno scherzo!»
esclamò la ragazza, trionfante, puntano un dito verso il
petto di James. «Voglio i dettagli».
«Perché, vuoi partecipare?»
sbuffò James, sarcastico e un po’ infastidito per
l’essersi fregato da solo.
«Forse» disse lei, prendendo il Grifondoro alla
sprovvista. «O forse potrei voler sapere chi sono le vittime,
così vedo se è il caso di fermarvi oppure
no».
«Oh, be’, allora ‘sta sicura che ti
dirò tutto» replicò lui, incrociando le
braccia e osservandola con aria di scherno. Lily non sapeva con
precisione quando si fossero fermati, ma in quel momento erano uno
davanti all’altra, con James che sovrastava la ragazza di
quasi una spanna.
«Allora farò in modo che Mary estorca le
informazioni da Sirius» disse lei con sicurezza, incrociando
le braccia a sua volta. «Sai benissimo che Black non
resisterà».
James imprecò a bassa voce. «Ma perché
devi per forza saperlo? Non puoi semplicemente goderti la sorpresa?
Vedrai che ti divertirai anche tu».
«Perché dovrei fidarmi?» chiese,
assottigliando lo sguardo.
«Perché… è da un anno che
non facciamo scherzi di quel tipo, e non
ho… non abbiamo
intenzione di ricominciare adesso» rispose, un po’
titubante.
«Okay, mi fido». Lily sorrise e, voltandosi,
riprese a camminare per il corridoio. James impiegò qualche
secondo per capire ciò che era appena successo, poi
trotterellò accanto a Lily, canticchiando qualcosa che
somigliava a un inno di vittoria.
Quando terminarono di controllare il Settimo Piano, i Caposcuola di
Grifondoro si spostarono ai piani più bassi, senza
riscontrare alcun problema. Al Sesto incrociarono Pix che stava
cercando di infilare pezzi di armatura a un gargoyle, ma entrambi
decisero di lasciarlo in pace: dopotutto non stava facendo nulla di
dannoso per gli studenti. Al Quarto, invece, incontrarono un paio di
Prefetti di Corvonero che pomiciavano allegramente in uno sgabuzzino
(anche piuttosto rumorosamente): Lily li rimproverò e gli
ordinò di continuare la ronda, senza togliergli alcun punto,
ma le sembrò di sentire James consigliare un posto
più appartato ai due; Lily decise di non indagare.
Proprio quando sembrava che tutto stesse andando per il meglio, al
Primo Piano, l’argomento venne tirato fuori.
«Ehi, Lily» mormorò James. Lei si
voltò a guardarlo, sorprendendosi nel trovarlo imbarazzato.
«Che succede?» chiese la ragazza, avvicinandosi a
lui.
«Ecco, non voglio essere scortese o assillarti o altro,
ma…» cominciò lui. Sebbene sembrasse
non saper continuare la frase, Lily immaginava cosa le avrebbe chiesto.
Aspettò, paziente, che il ragazzo continuasse.
«Insomma, sai che voglio aiutarti e, anche se adesso sembra
tutto normale, so che non è così. So che siamo
amici da poco e tutto il resto… ma mi piacerebbe che ti
confidassi con me, che mi dessi l’opportunità di
aiutarti». Il ragazzo sembrò bloccarsi un attimo,
come se stesse pensando a qualcosa, poi arrossì leggermente.
«So che posso sembrare ipocrita o presuntuoso
o…».
Lily lo interruppe prendendogli una mano e guidandolo con sé
verso un’aula in disuso. Fece entrare il ragazzo e richiuse
la porta, per poi accendere fiammelle bluastre che galleggiavano
nell’aria, illuminando la stanza. Era piuttosto piccola, per
essere una vecchia aula: poche scrivanie curiosamente alte erano
sistemate al centro della stanza, le sedie poggiate sopra, e, dietro
alla cattedra, una vecchia pendola era ferma, segnando le undici e
mezza.
«Carine» mormorò James, osservando le
luci create dalla ragazza, che prese una sedia e si sedette. James si
sistemò sul tavolo, facendo dondolare le gambe a pochi
millimetri da terra.
Lily si sfregò le mani, cercando di capire come cominciare.
La mano che James le poggiò su una spalla la fece sussultare.
«Ehi, se non vuoi non serve che…»
cominciò, interrompendosi sotto lo sguardo scettico della
ragazza.
«Ci ho pensato parecchio, su se, cosa e come dirtelo. Alla
fine credo di aver capito che un tuo consiglio potrebbe essermi
parecchio utile» disse lei.
«Spara» la incoraggiò James.
«Sto avendo alcuni… problemi, diciamo. E non parlo
degli incubi, non solo. Hai presente il viaggio
sull’Espresso, l’altro giorno, no? Be’,
potrei dire che, da quando mi sono risvegliata, mi… sono resa
conto della presenza di una certa persona» spiegò
lei, rimanendo sul vago. James si mosse un po’ sul posto e
Lily capì che le sue parole potevano essere interpretate in
un certo modo… «Sto parlando di Mike».
Questo, sicuramente, James non se l’aspettava. Rimase
immobile per qualche secondo, osservandola con serietà.
«Scusa?» fece, inebetito. Lei sospirò,
alzandosi. Sentiva di aver bisogno di muoversi un po’.
«Ne ho parlato anche con Emmeline e Mary e non abbiamo
nessuna idea di come sia possibile. Lui ancora non lo sa ma credo che
si farà sempre più insistente e non so come
dirgli di farsi gli affari suoi perché questi sono
affari
suoi e…».
«Ehi, frena, frena!» la interruppe James. Lily lo
guardò, mordendosi un labbro quasi a sangue. «Non
riesco più a seguirti! Per favore, dimmi, chiaro e tondo
cosa c’è che non va».
Lily chiuse gli occhi e fece un bel respiro. Sentì una
presenza davanti a sé e, quando li riaprì, vede
che James si era spostato di fronte a lei e la guardava, preoccupato.
Come si guarda un pazzo, pensò lei,
tristemente. Ma era
troppo tardi per tirarsi indietro.
«Mike. Non so chi sia, non ho alcun ricordo di
lui». Accadde appena finì di pronunciare queste
parole. La campana della scuola risuonò nella notte, in un
fracasso che mai aveva udito prima. Il rumore di una seconda campana,
più vicina e meno rumorosa, fece voltare la ragazza di
scatto. La pendola non era più ferma e le lancette avevano
cominciato a girare vorticosamente. All’indietro. Il rumore
assordante dei due orologi la spinse a tapparsi le orecchie e, quando
tutto cessò, sentiva ancora i rintocchi risuonare nel
cervello. Le lancette della pendola segnavano le dodici in punto.
«Cosa diamine sta succedendo?» chiese. Al nulla,
evidentemente, perché, voltandosi, vide che James era
sparito. Sentì il sangue gelarsi nelle sue vene e sudore
freddo scenderle giù per la nuca. Il respiro si
mozzò quando le fiamme che aveva generato divennero rosse,
illuminando una scritta incisa sulla parete. Corri.
Senza pensare,
uscì velocemente dall’aula, senza curarsi del
rumore (tanto, in ogni caso, la campana aveva già svegliato
tutta la scuola).
Quando uscì, inciampò e cadde a terra,
strusciando il ginocchio. Non emise, però, nemmeno un
piccolo gemito di dolore, tanto grandi erano paura e sorpresa. Sembrava
che fosse sorto il sole, ma non la solita stella gialla che brilla ogni
giorno nel cielo, bensì un astro rosso brillante, che
tingeva le pareti come sangue rappreso. Pareti che ora erano composte
da una roccia nera, tagliente e granulosa: non avrebbe saputo dire se
somigliasse più a sangue coagulato o a una colonia di un
miliardo di scarafaggi. Guardò la porta dietro di
sé e la vide di metallo scuro, con delle sbarre che
bloccavano una fessura rettangolare posta ad altezza d’uomo,
come la porta di una qualche prigione. O di un manicomio.
Cominciò a correre quando vide due mani chiudersi attorno a
quelle sbarre. Erano mani dalla pelle bianca e malaticcia, coperte di
vesciche e sangue rappreso. Tutto ciò che sapeva era che non
aveva la minima intenzione di incontrare e chi appartenessero, che
fossero reali o, ora ne era quasi certa, parto della sua mente malata.
Corse senza pensare, diretta verso il Piano Terra, sperando di uscire
dalla scuola. Arrivare alle scale fu faticoso e lungo,
poiché il pavimento era composto della stessa sostanza delle
pareti e questa sembrava trattenerla a terra, rendendo ogni passo
complicato e goffo. Ogni tanto, delle scritte comparivano sulle pareti,
ma Lily si rifiutava categoricamente di guardarle: temeva cosa
avrebbero potuto dirle.
Mentre scendeva le scale (scale metalliche e scivolose, coperte di
ruggine), Lily smise di trattenere le lacrime, che cominciarono a
sgorgare e ad appannarle la vista. Si passò la manica della
divisa sugli occhi, ma sembrava che l’acqua salata non
volesse smettere di uscire e, onestamente, alla ragazza non importava
poi granché.
Arrivata alla fine della scalinata, Lily corse verso la porta
d’ingresso, lottando estenuantemente contro il pavimento. Un
paio di volte cadde a terra e alzarsi fu molto complicato. Dei rumori
cominciarono a provenire dalle scale alle sue spalle, urla e strepiti
lontani. Non capì se fossero frutto della sua immaginazione
o altro, ma accelerò il passo, per quanto il pavimento
glielo permettesse.
Arrivata alla porta, poggiò le mani sui battenti, grata che
almeno quella fosse rimasta normale, e tentò di tirare.
Smise non appena questa tremò sui cardini, colpita da
qualcosa, all’esterno. Lily camminò
all’indietro, mentre la porta continuava a piegarsi sempre di
più verso l’interno. Alle orecchie le giunse un
verso animalesco, a metà fra un ruggito leonino e una risata
di iena.
La ragazza rimase immobile, con gli occhi spalancati
dall’orrore, a fissare la porta che veniva colpita dalla pura
forza bruta di qualche essere a lei sconosciuto, mentre la sostanza che
ricopriva il pavimento le fissava sempre di più le scarpe al
terreno. Lily era ferma, in quel mondo sconosciuto senza alcun pensiero
nella mente, solo la consapevolezza di non sapere,
non sapere cosa
fare, dove andare o come reagire, e un immenso terrore che le faceva
risuonare il cuore nelle orecchie.
Percepì vagamente le urla che, da dietro, cominciavano ad
avvicinarsi un po’ troppo, ma non furono nulla, assolutamente
nulla, in confronto all’essere che sradicò il
portone dalla pietra, ruggendo sotto il cielo rosso sangue di quello
che, si disse, poteva solo essere l’Inferno. E, a quanto
pareva, come comitato d’accoglienza aveva ricevuto il Diavolo
in persona, a giudicare dal mostro che aveva davanti.
Alto una decina di metri, l’essere aveva il busto da uomo, le
gambe caprine e il volto felino. Dietro di esso, una coda di serpente
vibrava nell’aria, sibilando e sputando veleno corrosivo.
Tutto l’essere era nero come la pece e le mani terminavano in
artigli grandi almeno quanto lei. Il mostro ruggì, mostrando le enormi zanne, e Lily
cadde all’indietro, come colpita da un’onda
d’urto. Sentiva il sudore colarle per il volto e
l’aria bloccarsi nella sua gola mentre l’essere si
avvicinava, l’intera scuola che tremava ogni volta che gli
zoccoli colpivano il terreno.
Lily, finalmente, seppe. Ebbe coscienza di star morendo e la cosa la
tranquillizzò un po’: almeno sarebbe scomparsa
mantenendo un briciolo di lucidità, cosa che, negli ultimi
tempi, era andata bellamente a farsi benedire.
La Grifondoro chiuse gli occhi e aspettò pazientemente che
l’essere la prendesse.
«Buonasera» disse una voce, calma e dolce. Lily
spalancò gli occhi, sorpresa. Si scoprì seduta su
una sedia di legno bianco, più un trono a giudicare dalla
splendida lavorazione. Davanti a sé, dietro a un tavolino
rotondo e seduto su un trono fatti dello stesso legno, era seduto un
ragazzo, forse di un paio d’anni più grande di
lei. Tutto il resto, invece, era Nulla. L’universo sembrava
essersi ridotto a quelle due persone e al luogo su cui erano sedute.
Con tutta l’oscurità che li avvolgeva, le sedie e
il tavolino erano quasi accecanti.
«Tè?» chiese il ragazzo, facendo un
cenno con la mano. Sul tavolo apparvero due tazze piene di
tè fumante, più un bricco di latte, un piattino
con delle zollette di zucchero, un vasetto di miele e un calice colmo
di fette di limone. Canticchiando a bocca chiusa un motivetto allegro,
il ragazzo versò un po’ di latte nella tazza e
cominciò a mescolare, sorridendo dolcemente.
Lily sentiva ancora il cuore in gola e non aveva la minima idea di
ciò che stesse accadendo, ma decise di stare al gioco. Tutto
quello doveva essere un parto della sua mente, non poteva essere
altrimenti, quindi prima lo accettava e meglio sarebbe stata. In un
certo senso, l’idea la rese più tranquilla: se
quella era la sua immaginazione, allora non poteva farsi alcun male.
Osservò il ragazzo dall’altra parte del tavolo.
Per l’aspetto, le ricordava un po’ James, sebbene i
capelli neri fossero più lunghi e una frangia copriva parte
dell’occhio sinistro. Gli occhi, però, che
intravedeva dietro le palpebre socchiuse, avevano uno scintillio
sinistro. Indossava una lunga giacca bordeaux, finemente decorata in
oro, accompagnata da un paio di guanti dello stesso colore; il tutto le
ricordava un po’ certe statue di cera che ritraevano uomini
di metà Ottocento. Da una tasca sporgeva la catena dorata di
un orologio, di cui le sembrava di percepire il leggero ticchettio anche da quella distanza. Poggiato delicatamente sulla testa,
c’era un cilindro di seta con un nastro dorato che ne circondava
la base. In mezzo al nastro, a sinistra, era stata sistemata
una splendida rosa rossa.
«Chi sei?» chiese Lily, non preoccupandosi
dell’educazione: dopotutto, quel ragazzo l’aveva
creato lei.
«Il mio nome ufficiale è Mad Hatter»
rispose, bevendo un sorso di tè. «Ma in genere mi
chiamano solo “il Cappellaio”».
«Capisco» mormorò Lily. Dopotutto, non
era difficile pensare che una matta come lei avesse creato un Matto per
farsi compagnia. «E… dove siamo?».
Il Cappellaio sbuffò, divertito. «E chi lo
sa?».
«Come, scusa?» chiese lei, sorpresa.
«Be’, se proprio vuoi una risposta, potremmo dire
che siamo ovunque e, allo stesso tempo, da nessuna parte. Anche
perché ovunque è da nessuna parte, se ci
pensi» disse lui, continuando a sorridere con gentilezza.
«Sul serio?» chiese lei, per nulla convinta.
«Hai mai visto “ovunque”?».
«Ehm… no».
«E pensi che lo vedrai mai?» insistette il
Cappellaio.
«No» rispose Lily, pensando che, quando sarebbe
stata rinchiusa al Mirrty, al suo risveglio, avrebbe visto ben poco del
mondo.
«Quindi l’”ovunque” non
è raggiungibile, in quanto nessuno può vedere
“tutto”. Per questo,
l’”ovunque” non c’è,
quindi è “da nessuna parte”»
concluse il ragazzo, bevendo un altro sorso. Lily rimase spiazzata per
un secondo.
«Ma il mondo esiste, l’universo
c’è. Quindi, se
l’”ovunque” comprende
l’universo, allora l’”ovunque”
esiste» ribatté la ragazza, aggrottando le
sopracciglia. Non riusciva a capire dove la sua mente volesse portarla:
dopo l’incontro con un mostro alto tre piani non aveva la
forza di fare ragionamenti così complicati.
«Ma l’universo è in continua espansione,
ogni volta che penserai di aver visto “tutto” ci
sarà sempre dell’”altro”
ancora da visitare».
«Questo significa solo che “ovunque”
è infinito, non che non esista!».
«In quest’universo ogni cosa esiste solo se ne
è presente l’opposto. La luce crea
l’oscurità e viceversa, il caldo esiste
perché c’è il freddo e viceversa. Se
l’”ovunque” fosse infinto, allora non
esisterebbe “da nessuna parte”. Ma, secondo il
principio precedente, se il “da nessuna parte” non
esiste allora neanche l’”ovunque” esiste,
poiché è impossibile definire qualcosa senza
conoscerne l’opposto».
«E allora? Questo vuol dire che sarai sempre da qualche parte
ed è impossibile non esserci».
«E tu, in questo momento, dove credi di essere?»
chiese il Cappellaio, con un sorriso furbo. Lily arrossì per
l’irritazione.
«È quello che ti ho chiesto due minuti
fa!» replicò.
«Be’, sei in un luogo che è
“ovunque”, prendendo in considerazione
quest’universo, e “da nessuna parte”,
prendendo in considerazione il tuo» spiegò
l’altro, aggiungendo dello zucchero al tè che,
benché fosse stato bevuto, riempiva ancora la tazza.
«Che vuol dire?» chiese Lily, cominciando a non
capire più nulla.
«Come hai detto tu, una persona c’è
sempre, pertanto è perennemente
nell’”ovunque”. Qui, inoltre,
il concetto ha ancora più sfumature, poiché lo
spazio e il tempo possono variare a piacimento. Per di più,
questo posto non è quello da cui provieni, quindi,
riferendoci a quel luogo, noi non siamo “da nessuna
parte”» rispose il Cappellaio. «Forse
può sembrarti un po’ complicato da capire, ma ci
arriverai. È un posto strano, il Paese delle
Meraviglie».
«Il “cosa”?» fece la ragazza,
sempre più confusa.
«Oh, è come lo chiamo io, ma ha molti nomi.
Prigione, Manicomio, Abisso, Altromondo, Inferno… a me piace
chiamarlo così, Paese delle Meraviglie. Molto
più poetico, non
trovi?» chiese il Cappellaio, come se fosse la cosa
più naturale del mondo.
«Ehm… sì, certamente» rispose
Lily, un po’ a disagio. La conversazione stava prendendo una
piega che non la convinceva affatto. Il Cappellaio ridacchiò.
«Direi che è ora di passare al motivo per cui ti
trovi qui, non sei d’accordo?» chiese il ragazzo,
prendendo una zolletta di zucchero e ingoiandola intera. «Sei
stata cattiva, lo sai, Lily Evans?».
Lily non si sorprese che conoscesse il suo nome, dopotutto lo aveva
creato lei.
«E cosa avrei fatto?» chiese la ragazza, anche se
in cuor suo conosceva la risposta.
«Non parlare. Non più»
recitò
il Cappellaio, diventando improvvisamente serio. «Era un
messaggio semplice e facile da comprendere, cara. Mi ci sono impegnato:
dopotutto è difficile entrare in contatto con il vostro
mondo senza un ospite e non avevo tempo per cercarne uno. Credevo che,
comunque, il messaggio avrebbe fatto effetto. Invece, eccoti
lì, pronta a raccontare tutto al primo ragazzo che ti fa gli
occhi dolci». Il Cappellaio sospirò, come se fosse
davvero dispiaciuto e Lily sentì il proprio respiro
diventare più affannoso. Sentiva la paura prendere
nuovamente il controllo del suo corpo. «Sai, credo che
dovrò prendere provvedimenti. Mi dispiace tanto, sei una
così brava ragazza, ma devi imparare a tener chiusa la
bocca». Il Cappellaio si alzò dalla sua sedia e
Lily tentò di fare altrettanto, scoprendo con orrore che non
riusciva a muoversi. Quando la ragazza alzò nuovamente lo
sguardo, l’altro era sparito.
«Sono qui» la voce, dura e
tagliente, venne
pronunciata proprio accanto al suo orecchio. Una mano coperta da un
guanto rosso smorzò velocemente l’urlo che la
ragazza aveva lanciato. Il Cappellaio le sussurrò
all’orecchio di fare silenzio e non muoversi. Lily
ubbidì, tremando per il terrore. Vide, con la coda
dell’occhio, il riflesso di una lunga lama che le passava
proprio accanto al collo. Dopo un istante percepì il freddo
metallo sulla pelle e dovette resistere all’impulso di
ritrarsi.
«Ecco, vedi?» sibilò il Cappellaio.
«Sei bravissima a ubbidire, hai solo bisogno… del
giusto stimolo. Bene, vorrà dire che provvederò a
dartelo». Lily sentì il fiato del Matto sul
collo. «Sai, quasi mi dispiace per quel ragazzo: era quasi
riuscito a farti innamorare di lui, e ora non potrai dirgli
più nulla. Oh, be’, se è
così che devono andare le cose, chi sono io per
discutere?».
Il Cappellaio inclinò la lama e, per un breve istante, Lily
vide il suo volto riflesso nell’acciaio e i suoi occhi dorati
che la osservavano, divertiti e maligni. Poi, Mad Hatter
passò la
spada sul suo collo.
Lily si alzò di scatto a sedere, ansimando e portando
istintivamente una mano sulla gola. All’improvviso, delle
mani le cinsero le spalle, facendola sobbalzare dal terrore, e
tentarono di spingerla nuovamente supina. Credendo che fosse di nuovo
il Cappellaio, Lily spinse via persona che la stava tenendo. James
arretrò, alzando le mani e osservandola con
un’espressione fra il preoccupato e il ferito, gli occhiali
che pendevano da un lato. Il ragazzo le disse qualcosa che non riuscì a sentire: il cuore le batteva così forte da tapparle le orecchie.
Lily si guardò intorno, sorpresa e con il fiato corto. Era
sdraiata su un letto di un candore abbagliante e, riconosciuto quello,
non fece fatica a capire di trovarsi nell’Infermeria. La
professoressa McGranitt si stava avvicinando di corsa insieme a
Madama Chips. James, accanto a lei, non muoveva un muscolo,
osservandola come si fa con un cucciolo ferito… o una fiera
pericolosa.
La ragazza era troppo confusa per capire cosa stesse accadendo:
recepì a malapena le parole di conforto delle due donne e
capì troppo tardi che ciò che Madama Chips le
stava facendo bere era una Pozione Soporifera. Lily non avrebbe voluto
riaddormentarsi, aveva troppa paura di rincontrare Mad Hatter nel Paese
delle Meraviglie, ma la pozione sconfisse la volontà e, in
pochi istanti, sentì i propri occhi chiudersi.
L’ultima cosa che il suo cervello registrò fu un
particolare nei capelli di James: nel bel mezzo del nero corvino, una
fiamma rosso sangue brillava alla fioca luce delle lampade. Un petalo
di rosa. Un particolare troppo strano per essere casuale. Seppe con
certezza da dove quel petalo proveniva: dalla rosa sul cappello di Mad
Hatter.
Mentre si addormentava, capì il senso delle ultime parole
del Cappellaio e il significato del petalo.
«Sono qui. Non parlare. Non più».
*Okay, ammetto di non sapere se le colazioni a Hogwarts prevedano anche
torte o altro… A me piace pensare di sì, quindi
consideriamola una sorta di licenza poetica, okay?!
Hello guys!
Finalmente, dopo secoli, sono riuscito a concludere il
capitolo! Yay!
Chiedo scusa per il ritardo, ma la scuola prende ogni briciola di
tempo, non trovo quasi più momenti per leggere,
figuratevi per scrivere. Ho dovuto aspettare una
mini-vacanza per poter concludere (mi sono riuscito a fare 7 pagine in
4 ore, e credo si veda dal casino che ho scritto...) e ignorare la
verifica di Fisica e le interrogazioni di Biologia per potermi trovare
un po' di tempo. Be', spero che almeno quei due 4 che
prenderò ne siano valsi la pena! (Chissà se la
fanfiction potrebbe valere crediti a scuola... temo di no, ma potrei
controllare).
Oh, be', dopo aver fatto causa a Crono per aver portato via tutto il
Tempo utile, direi che posso parlare del capitolo, che è...
un capitolo, credo di aver poco da aggiungere. Come avete potuto
leggere, si può dire che, finalmente, la fanfiction
è iniziata. Il personaggio di Mad Hatter è stato
ed è colui che dà più filo da torcere
a Lily, iniziando il suo piano malefico con scopi più o meno
(più "meno" che "più") chiari. So che il capitolo
è piuttosto confusionario (si passa da un argomento
all'altro rapidamente e penso sia un po' difficile capirci qualcosa) e
contorto, ma vi chiedo di prestarci particolare attenzione,
perché, probabilmente, sarà uno dei
più importanti di tutta la storia. Per quanto riguarda il
dibattito filosofico fra il Cappellaio e Lily... Si vede che quella
parte l'ho scritta ieri a mezzanotte, vero?
Non credo di aver altro da aggiungere... Tutto ciò che ci
sarebbe da dire sarebbe spoiler, e quello non va
bene!
Passo, quindi, ai più che dovuti ringraziamenti.
Voglio ringraziare Aregilla, Deek, Marty Evans e Selene Potter93 per
aver inserito la storia fra le seguite e Fenice25 per averla inserita
fra le seguite, le ricordate e le preferite (wow... sul serio?). Ma,
più di tutti, voglio ringraziare 16th e cat_princesshp per
le loro recensioni incoraggianti e che mi riempiono di soddisfazione.
Grazie, davvero, a tutti voi. Sì, okay, mi sembra giusto:
grazie anche ai numerosi lettori silenziosi!
Rinnovo l'invito a lasciare una recensione a questa storia, anche
breve, per farmi sapere cosa ne pensate, se crediate che tutto stia
andando a farsi friggere o se trovate che, dopotutto, un po' di sano
sovrannaturale/horror ci stia nel mondo magico di un (ricordo) universo
parallelo.
Non so se durante le vacanze di Natale riuscirò a scrivere
un nuovo capitolo (credo che mi concentrerò sulla mia altra
fanfiction, più impegnativa e che richiede più
concentrazione), ma spero di farcela.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Con affetto,
hufflerin
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