Irish Rain

di Lily White Matricide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Escape ***
Capitolo 2: *** We'll See How Fast You'll Be Running ***
Capitolo 3: *** And I Ran, I Did Run ***
Capitolo 4: *** Fire Is Dancing And Burning ***
Capitolo 5: *** Can't Stop What's Coming, Can't Stop What's On Its Way ***
Capitolo 6: *** The Waves ***
Capitolo 7: *** Winter ***
Capitolo 8: *** The Edge Of Glory ***
Capitolo 9: *** Let Them Talk ***
Capitolo 10: *** Little Earthquakes ***
Capitolo 11: *** Beneath The Surface ***
Capitolo 12: *** Springtime ***
Capitolo 13: *** Atonement ***
Capitolo 14: *** A Prince In Disguise ***
Capitolo 15: *** La Suggestion Diabolique ***
Capitolo 16: *** Red Rain ***
Capitolo 17: *** Grace Under Pressure ***
Capitolo 18: *** Bloody Claws ***
Capitolo 19: *** Cloudbusting ***
Capitolo 20: *** Sacrament Of Wilderness ***
Capitolo 21: *** Night Of Hunters ***
Capitolo 22: *** Anger Never Dies ***
Capitolo 23: *** Fearlessness ***
Capitolo 24: *** Chasing The Dragon ***
Capitolo 25: *** The Drapery Falls ***
Capitolo 26: *** Digging In The Dirt ***
Capitolo 27: *** Pull Me Under ***
Capitolo 28: *** Running Up That Hill ***
Capitolo 29: *** The Dark Eternal Night ***
Capitolo 30: *** Fear Of The Dark ***
Capitolo 31: *** A Saucerful Of Secrets ***
Capitolo 32: *** Dancing With Demons On The Shoulders ***
Capitolo 33: *** Human Behaviour ***
Capitolo 34: *** Little Talks ***
Capitolo 35: *** Don't Give Up ***
Capitolo 36: *** Shock In My Town ***
Capitolo 37: *** All I Need ***
Capitolo 38: *** Jig Of Life ***
Capitolo 39: *** Unme ***
Capitolo 40: *** Battle For The Sun ***
Capitolo 41: *** The Bigger Picture ***
Capitolo 42: *** Map Of The Problematique ***
Capitolo 43: *** Blood Roses ***
Capitolo 44: *** Mercy Street ***
Capitolo 45: *** Slavocracy ***



Capitolo 1
*** Escape ***



Irish Rain

  1.  

Escape

 

“Whenever it rains you will think of her." Neil Gaiman

La pioggia cadeva delicata, impalpabile, sulle finestre appannate di quella casa irlandese. I muri spessi celavano il clima festoso al suo interno: risate, grossi tavoli di legno colmi di bottiglie e bicchieri, sedie e panche recuperate da ogni angolo dell’edificio. L’ebbrezza si poteva quasi toccare con mano, l’allegria calda e vibrante coinvolgeva tutti.

 

Rumori di bicchieri che tintinnavano l’uno contro l’altro, liquido scuro che scorreva a non finire, gli accorsi a questa festa in un pomeriggio di inizio Agosto non sembravano preoccuparsi del freddo e del clima tetro. A quel ragazzo schivo e riservato piaceva però guardare tutto dalla finestrella di quella sala e ora era alquanto scocciato di non poterlo fare. Voleva usare la sua bacchetta per pulire tutto, e per zittire qualche ospite troppo loquace e rumoroso, ma non poteva farlo. Era in mezzo alla gente comune, ai Babbani. Doveva comportarsi come uno di loro. Prese così uno straccio lì vicino, pulì con cura il suo angolo e si riappoggiò alla finestra, tenendo in mano il suo libro di magia, mascherato con una copertina di un classico. Gli occhi scuri come la notte viaggiavano tra le pagine del libro, dando una rapida occhiata al gozzovigliare degli adulti, per poi scrutare il paesaggio attraverso la finestra.

 

La gente al di fuori camminava, chi senza ombrello, chi con colorati impermeabili, in un clima di serenità e di vivacità generale. Erano in corso delle feste a Galway e le bancarelle erano stracolme di oggetti curiosi agli occhi del giovane Severus, di soli quattordici anni. Lui si sentiva un mago, viveva per la magia, ma parte del suo sangue e delle sue origini erano assolutamente ordinari. In qualche modo quella sua normalità la rigettava, cercando di sentirsi un mago puro e a tutti gli effetti, non gli interessava troppo la normalità, anche se ammetteva che di tanto in tanto il mondo babbano lo incuriosiva. Aveva passato la mattinata a vedere come le donne si affannassero dietro la preparazione del pranzo e lui non si ricordava niente di simile con sua madre, dallo sguardo sempre torvo ed infelice. Non che il nutrirsi venisse recepito dal ragazzo come un bisogno primario, ma quando la sua migliore amica Lily gli portava i dolci ed i biscotti della signora Evans, tutto prendeva un’altra prospettiva.

 

Lily. Si voltò per cercarla. Era lei che aveva avuto l’idea di portarsi Severus in Irlanda, tra parenti ed amici assolutamente privi di poteri magici. Lily aveva una famiglia totalmente babbana, con una sorella odiosa e petulante che non faceva altro che dare dei pazzi al ragazzo ed alla sorella quando parlavano di magia o quando si scambiavano qualche innocente incantesimo. Bruciava d’invidia e glielo potevi leggere in faccia, con le sue espressioni stizzite ed astiose. Non era lontanamente paragonabile a Lil, né fisicamente né caratterialmente. Il giorno e la notte. Il ragazzo ricambiava l’odio mostrato da Petunia e cercava di ignorarla il più possibile, anche per non dare ulteriori grattacapi a Lily.

 

Cercò una massa folta di capelli lunghi e rossi, e tentò di sentire quella risata cristallina inconfondibile in mezzo a tutte le altre: tutte le volte che la sentiva, il suo cuore sussultava.

“Lily! Eccoti!” Severus nascose il libro e si alzò per andarle incontro.

“Sev, vieni qua, mi sto annoiando e ti stavo cercando. Non voglio stare qua in questa stanza soffocante”. Gli occhi verdi brillavano di una luce profonda e penetrante.

Il ragazzo rimase in silenzio e abbassò la testa, assorto nei suoi pensieri, cercando un’idea per fare contenta la giovane.

“Uhm, possiamo andare a farci un giro qua attorno, se ti va, nonostante la pioggia” la sua voce era esitante, ma si fece più sicura non appena Lily lo guardò raggiante. “E … E Lily ti compro qualcosa in quelle bancarelle, così ti ricordi di questo viaggio insieme. Non avevo mai visto un posto così bello”. 

Lily prese per un polso Severus: “Andiamo! Hai avuto una bellissima idea, ho tante cose da farti vedere ancora!”

I due corsero di sopra, correndo rumorosamente per le scale, nelle loro stanze a prendersi le felpe. Severus era tentato dal portarsi dietro la sua bacchetta magica, ma nel momento in cui cercò di nasconderla, Lily vide tutto e scoppiò a ridere.

“Quante volte ti ho detto che non vale la magia qua a Galway? Che non puoi portartela dietro?”

Il ragazzo abbassò il viso e lo nascose tra i fini capelli neri e lunghi. Abbozzò un sorriso timido ed alzò le mani in segno di resa. “Mi arrendo! Hai vinto tu anche questa volta!”. La ragazza si avvicinò a lui, mise una mano nella tasca della felpa del giovane e si prese la bacchetta.

“La metto in camera mia. Rimarrà al sicuro con la mia bacchetta e non sarai più tentato dal cercarla”.

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Capitolo 2
*** We'll See How Fast You'll Be Running ***


2.

We’ll See How Fast You’ll Be Running

 

"And, when you want something, all the universe conspires in helping you to achieve it." Paulo Coelho

L’odore della pioggia umida che cadeva sulle strade pavimentate del centro di Galway si mescolava al profumo inebriante dei dolci irlandesi venduti dalle bancarelle, Lily aveva un’enorme voglia di mangiarsi un Bumble’s Ginger Roulade e iniziò a tirare da una parte all’altra Severus, che si guardava attorno in silenzio, cercando di imprimersi ogni singolo dettaglio di quella città così piovosa ma … Magica, ai suoi occhi. Non l’avrebbe mai pensato. Si faceva trascinare placido da Lily, perché ogni momento passato con lei in serenità e tranquillità, era un lusso. Ad Hogwarts veniva puntualmente importunato da quei malandrini smidollati appartenenti alla stessa casa di Lily, Grifondoro. Non aveva così possibilità di passare tanto tempo con Lily lì, se non qualche attimo rubato agli impiccioni. Quel dolce allo zenzero, se avesse potuto, l’avrebbe fatto comparire più che volentieri e gliel’avrebbe donato.

 

Lily si fermò in mezzo alla strada, in mezzo alla gente e a tutto quel vociare e trionfante puntò la bancarella. “Eccolo! Rotolo allo zenzero, stiamo arrivando!”

“Iniziavo a perdere le speranze, Lily: il tuo entusiasmo mi ha decisamente affamato”.

Lily lo squadrò divertita “Direi che dovrei farti venire fame più spesso, sei troppo magro e stai crescendo tanto! Io dovrei smettere di mangiare qualsiasi cosa …”.

Severus inclinò il capo: “E perché mai? Sei … Uhm .. Stai bene così”. Si era bloccato, di nuovo. Voleva dirle che era bellissima così com’era, ai suoi occhi. Stava sbocciando ogni giorno di più e Severus lo notava con discrezione. Voleva farle qualche complimento di tanto in tanto, farle sentire quello che aveva nel cuore per lei, ma qualcosa lo bloccava. Se l’avesse respinto una volta per tutte? Se questo avesse compromesso la loro amicizia? Allora, il ragazzo preferiva il silenzio, preferiva averla accanto ed amarla in silenzio.

“Grazie, Sev, sei gentile con me” sorrise timidamente Lily e sembrò arrossire per un attimo “Ti sei proprio meritato il dolce allo zenzero!”

Il ragazzo per la prima volta rise di cuore ed apertamente “Allora farò in modo di andare avanti con i complimenti, così mi riempirai di dolci fino a svenire!”.

 

Aveva smesso di piovere, tuttavia le nuvole continuavano a correre veloci per il cielo, cambiando minuto dopo minuto la luce e permettendo a qualche raggio di sole pallido di filtrare e di riscaldare la gente a passeggio, che in un clima di festa generale preferiva scaldarsi con una brodaglia nera, dal potere inebriante. Lily gli aveva spiegato che era più o meno come la Burrobirra dei maghi, forse addirittura più buona, ma era proibita ai due ragazzi, in quanto erano troppo piccoli, secondo le leggi babbane.

“E come si chiama quel liquido nero? Sembra pece!” esclamò Severus intanto che mangiava lentamente il dolce allo zenzero.

“Si chiama Guinness ed è una birra. Hai visto quanta ne bevono qua e come diventano dei rincitrulliti quando bevono troppo?” sussurrò Lily, attenta a non farsi sentire dagli adulti.

“Non pensavo che avesse questo effetto devastante … Ma hanno qualche pozione per riprendersi poi?” chiese curioso il ragazzo, che amava osservare qualsiasi cosa nuova ed insolita. Era un acuto osservatore e voleva cogliere qualsiasi sfumatura di ciò che lo circondava.

La ragazza gettò la testa indietro e rise: “Beh, gli umani hanno rimedi svariati, magari non pozioni, ma sono … Più delle caramelle. Vedessi i miei genitori quante ne prendono quando si sentono male”.

Severus annuì, meditabondo.

“Dici che con qualche inganno si … può provare, questa … Guinness?” chiese timidamente, aspettandosi una reazione da parte di Lily.

La ragazza si voltò verso di lui con gli occhi verdi sgranati e splendenti. Dalla luce che emanavano, l’idea sembrò piacerle parecchio, ma pareva molto stupita.

“Sev … Ma … Ti vuoi ubriacare?” chiese con voce soffocata, trattenendo a stento una risata.

Snape arrossì violentemente e si affrettò a dire qualcosa. “No Lily, certo che no, in nessun modo! Vorrei solo … Berne un goccio, per sapere com’è”.

La giovane rimase in silenzio e si portò il pollice alla bocca, mordendolo lievemente. Faceva sempre così, quando pensava a qualcosa o cercava qualche idea utile.

“Beh, una volta mi è capitato di rubarne un sorso, non lo nego: d’altronde qua è così semplice con i fiumi di birra che scorrono. Qualcosa ci possiamo inventare, siamo piccoli per queste persone, ma non siamo dei tonti … Perché no?”.

Sev tirò un colpetto sul braccio di Lily: “Ahhh, ma allora ci hai provato anche tu! Furbetta … Volevi farmi sentire ridicolo?”

Lily rispose tirando un colpetto in testa al ragazzo “Non sei ridicolo! Non dirlo neanche per scherzo!”. I due scoppiarono a ridere, finirono i loro dolci e ripresero a camminare per le strade di Galway. Si stava bene, il sole appariva con più insistenza, ma il vento dall’oceano portava nubi sempre più nere.

 

“Eccolo lì! In quel pub danno birra a fiumi!” esclamò Lily “Lì tengono le bottiglie in esposizione, in queste occasioni. Non sarà difficile rubarne una”.

Sev e Lily camminarono lentamente, intimoriti dalle mura scure e dalle finestre dalle vetrate colorate, dalle insegne dorate e da quello zerbino dalla scritta ai loro occhi ingenui inquietante “Fáilte”.

Rimasero qualche attimo ad osservare l’entrata, incerti se entrare o meno.

“Sev, tu hai in mente qualcosa?” chiese Lily, avvicinandosi al ragazzo.

Il giovane sobbalzò “N-no, Lily. Non so come possiamo fare”.

Lily prese per mano Severus e respirò a fondo, decisa. Il ragazzo strinse con delicatezza la mano di lei, avvertendone il calore, in quel pomeriggio che rimaneva comunque freddo e ventoso. Quel calore gli attanagliò dolcemente lo stomaco.

“Andiamo. Qualcosa ci inventeremo” e spinse la porta in legno spesso, decisa e con uno sguardo lievemente corrucciato.

 

Il buio di quel pub poteva rivelarsi utile ed efficace. Il fatto che fosse pieno di gente non troppo in controllo delle proprie facoltà, era un ulteriore fattore a loro favore. Severus guardava tutto con uno sguardo sospettoso ed al contempo incuriosito. Il passo lento e misurato strideva con la frenesia che percorreva il locale e contagiava chiunque. La musica tipica irlandese di un duo di musicisti caricava d’entusiasmo i coraggiosi che abbozzavano qualche passo di danza. Faceva piuttosto caldo lì dentro, rispetto a fuori.

Ma eccole lì, le bottiglie disposte a piramide, sul bancone principale. Tutte scure e lucenti. Erano sì in esposizione, ma c’era sempre uno dei proprietari del locale presso il bancone, così che nessuno potesse essere percorso da strane idee. E il proprietario, un uomo grosso e rubizzo, non pareva troppo rassicurante e nemmeno troppo amichevole. 

I due ragazzi venivano ben tenuti d’occhio dal vecchio Brody. Erano troppo piccoli, per quanto Severus fosse parecchio alto per avere quattordici anni, e spiccavano in mezzo alla gente. Si avviarono verso i musicisti, per mimetizzarsi un po’ e non farsi notare. 

“Sev” sussurrò Lily al suo orecchio “Quel vecchio ci sta guardando, ma ho un’idea”.

Il ragazzo annuì e la esortò ad andare avanti.

“Possiamo fingere di cercare i nostri genitori qua dentro. Una ragazzina che piange attira sempre l’attenzione. Tu ti metterai verso il bancone, verso l’uscita. Rimani vicino alla piramide, quando vedi che ho attirato parecchio l’attenzione, prendi una bottiglia e te la infili sotto la felpa ... E’ abbastanza larga, sei troppo magro!” lo rimbeccò affettuosamente.

Sev abbozzò un sorriso e mise una mano sui capelli di Lily, mossi e fermati da un piccolo pettine con dei gigli intagliati nel legno. Il ragazzo glielo sfilò e con la stessa mano glieli scarruffò delicatamente.

“Magari aiutano anche dei capelli disordinati ...” disse affettuosamente. Lily sorrise e si voltò, camminando volutamente insicura e un po’ tremante. Severus, non perdendola di vista, scivolò verso la parte finale del bancone, fortunatamente Brody era impegnato a spillare birra più avanti. Alcuni clienti gli davano fortunatamente le spalle. Ed ecco che la messa in scena ebbe inizio. 

 

“Scusatemi, gentili signori” esordì Lily, di fronte ad una robusta coppia di avventori, fieri dei loro boccali colmi di Guinness. “A-a ... Avrei bisogno del vostro aiuto. Sono disperata”.

La donna posò il boccale e si avvicinò alla giovane.

“Dimmi, piccola, cos’hai? Hai un faccino sofferente. Che cosa ti è successo?”

Brody si avvicinò con sguardo torvo a Lily. 

“Ragazzina, cos’hai?”

Lily fece un sussulto esagerato, alzando lo sguardo colmo di lacrime.

“Ho ... Ho ... Sono così agitata, non mi guardi così, la prego!” fece Lily. Qualcuno si voltò verso di loro. Nessuno sembrava far caso a Severus, che cercava di rimanere attaccato alle bottiglie, cercando quasi di nascondersi.

“Brody, ma non vedi che è solo una ragazzina spaventata? Che temi?”

“E’ troppo piccola per stare qui” borbottò il vecchio proprietario e fece per indicare anche Severus, ma Lily prontamente cercò di riguadagnare attenzione.

Lily prese a singhiozzare. 

“Io, io ... Non mi cacci via, la prego! Sono solo venuta a ... a ...” la ragazza affondò il viso tra le mani ed iniziò a piangere rumorosamente, agitando la testa e la chioma rossa.

La donna mise la mano sulle spalle della piccola. Era fatta, il grosso della gente si era voltata e Brody era lì che guardava scuotendo la testa.

“No, no, tesoro non piangere, su ...”

Altri si fecero avanti e iniziarono a chiedere a Lily che cosa volesse e come potessero aiutarla.

 

Quello era il momento. Severus prese la prima bottiglia che aveva davanti, continuando a fissare la scena patetica che Lily aveva montato. Con un gesto svelto e felino, la infilò sotto la felpa verde ed argentata. 

“Non trovo i miei genitori, i nostri genitori! Ci siamo persi! Pensavo fossero in questo pub, mi sono sbagliata, mi sono confusa ... Ma non so dove andare ...”. Lily alzò la testa, cercando il suo amico con lo sguardo. Il sorrisetto furbo di Sev era il segnale che la missione era stata compiuta con successo.

La ragazza cercò di ricomporsi e si fece consolare ancora un po’ dai gentili, ma ingenui clienti. Poi, si allontanò, ringraziando affettuosamente tutti e raggiunse il ragazzo, che cercava di muoversi con un certo equilibrio, tenendo la bottiglia ben nascosta e salda, grazie ad una mano infilata in tasca.

Brody si riavvicinò all’adorata piramide e continuò a guardare con sguardo sospettoso i due che stavano aprendo la porta. Uscirono e appena fuori, Sev tirò fuori il trofeo agognato e lo guardarono amorevolmente.

“EHI” ruggì il vecchio uomo “Manca una bottiglia. Chi l’ha presa di voi e non ha pagato? NESSUNO fa fesso Brody! Io le conto le bottiglie!”. Calò un silenzio glaciale e qualcuno rise nervosamente all’interno del pub. Brody aprì la porta e vide la bottiglia in mano ai due ragazzi.

“VOI DUE! Mocciosi, ladruncoli, TORNATE INDIETRO!”

Un brivido gelido paralizzò per un millesimo di secondo i ragazzi, che si scambiarono un rapido sguardo d’intesa e si lanciarono in una corsa forsennata per le strade di Galway, senza meta, senza scopo.

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Capitolo 3
*** And I Ran, I Did Run ***


3.

And I Ran, I Did Run

 

"I hope she'll be a fool -- that's the best thing a girl can be in this world, a beautiful little fool."  F. Scott Fitzgerald

Continuarono a correre, sempre più veloci, facendosi spazio tra le persone che ridevano di questi due ragazzi che sfrecciavano tra le bancarelle, con il loro tesoro tra le mani. Probabilmente, non era la prima volta che in occasioni come queste i giovani cercassero di prendersi qualche libertà altrimenti proibita. Iniziarono a ridere tra di loro, incitandosi a correre sempre più forte, a seguire le stradine che portavano verso il porto e verso la spiaggia, così unica tra verde, case e sabbia. Lo scalpiccio delle scarpe riecheggiava per le mura più anguste: a volte si potevano avvertire le suole stridere, al contatto con l’asfalto ed il pietrisco bagnato.

Severus aveva il cuore in gola, non voleva perdere Lily nella fuga forsennata: si concentrava sulla chioma fulva che si agitava come una fiamma nel camino d’inverno. Non pensava al fiato che iniziava a mancargli, cercava con occhio attento la ragazza minuta che balzava, elegante ed esile come una cerva, sempre più avanti, sempre più verso una direzione ignota. Lily affinava l’udito per accertarsi che il ragazzo la stesse seguendo, di tanto in tanto con la coda dell’occhio cercava la figura pallida e slanciata, dalla chioma corvina e la felpa verde. 

Lily vide un edificio candido, con un giardino che dava sul mare, con un muro fatto di pietre levigatissime lambite dall’acqua salata. Rallentò, con il fiatone e fece cenno all’amico di fermarsi. Si fermarono, appoggiandosi al muro bianco, l’uno accanto all’altro e si guardarono negli occhi, in silenzio, recuperando il respiro e le energie. Sev si portò la bottiglia al petto, protettivo. Sorrise a Lily.

“Che corsa, eh Lily?” 

Lily respirò un po’ affannosamente ed annuì.

“Accidenti! Siamo terribili, ne combiniamo più nel mondo dei Babbani che nel mondo dei maghi, quando siamo assieme!”

I due continuarono a ridere, ripercorrendo nelle proprie menti quella marachella, comunque riuscita grazie alla loro intesa. Sarebbe stato un bellissimo ricordo da custodire di quel viaggio insieme, in quel posto magico ed ospitale.

Lily osservò con molta attenzione Severus, con i capelli neri e fini tutti scarmigliati e la felpa scombinata, il suo sguardo era molto dolce e luminoso e Sev se ne accorse.

“Vieni qua, Sev, Grande Custode della Bottiglia”. 

Il ragazzo si avvicinò, con quel piacevole gorgoglio allo stomaco che lo attanagliava. Lily, iniziò a sentire le guance lievemente calde e sentiva una dolce tensione propagarsi dal cuore fino alle braccia, fino alla punta delle dita. Allungò con gentilezza una mano verso il viso di Severus e gli sistemò i capelli, guardandolo con un sorriso che si faceva sempre più soddisfatto e radioso. Poi, gli sistemò la felpa con il cappuccio.

“G-grazie, Lily!”. Era come se quella dolce tensione fosse stata passata anche al ragazzo, tramite il tocco della giovane.

 

Severus, senza dire niente, con la mano libera, prese le ciocche libere di Lily e gliele mise dietro l’orecchio. Con la mano le pettinò cauto i capelli, avvertendone la consistenza morbida e toccando con mano le onde ed i ricci soffici della chioma. Senza dire nulla, la ragazza capì e gli passò il pettine che si era tolta poc’anzi al pub.

“Adesso sono a posto, Sev?” disse ridendo Lily.

“Ma certo! Andiamo a buttarci sull’erba … Sono esausto!”.

I due costeggiarono l’edificio bianco, sbirciando di tanto in tanto nelle vetrate scure, ed andarono ad adagiarsi sull’erba, che si stava asciugando grazie al sole che faceva quel che poteva, prima che arrivasse un altro scroscio.

I due sospirarono rilassati e felici, sedendosi con le gambe incrociate, l’uno di fronte all’altra. Finalmente, Severus posò davanti a loro la famigerata bottiglia. La osservarono per un po’ in silenzio, non sapendo bene cosa fare. Lo sciabordio delle onde contro gli scogli era troppo musicale, per essere interrotto da qualche parola.

“Uhm, come l’apriamo?” esordì Lily, prendendola in mano “Non abbiamo un apribottiglie”.

Sev la tolse di mano da Lily e l’analizzò, con fare pratico, toccando il collo della bottiglia ed il tappo appuntito. Provò a tirare con decisione il tappo, ma si fermò subito non appena sentì un sibilo sinistro, ed il liquido nero formò una schiuma chiara proprio in cima alla bottiglia.

“Uh-oh, mi sa che abbiamo agitato la Guinness” esclamò Lily “Dobbiamo fare attenzione nell’aprirla o schizzerà fuori tutto”.

Il ragazzo rimase in silenzio, lasciando che il sibilo proveniente dalla bottiglia si placasse; poi, riprese caparbio a tirare, stavolta con più gentilezza. Ancora una volta fischiò, con più cattiveria, però questo sigillo non sembrava volersi staccare.

“Uff, scusa Lily, ci sto provando” borbottò Sev “Abbi pazienza”.

La ragazza sorrise e con dolcezza posò una mano su quella del ragazzo, che per un attimo s’irrigidì, per poi ammorbidirsi di colpo, grazie ai tocchi leggeri e garbati della giovane.

“Non ti preoccupare, non abbiamo fretta, vero? Una soluzione la troveremo. Assieme ... Come sempre”.

 

Importava in quel momento la possibilità che potesse piovere ancora, che l’acqua rabbiosa potesse infradiciare i vestiti dei due ragazzi? Era così importante che fossero maghi o Babbani, che potessero usare la magia od essere persone totalmente normali? Dopo quella frase inaspettata, detta con la consueta dolcezza da parte di Lily, Severus aveva sentito il piacevole calore infiammargli il viso e gli contorceva il cuore. Voleva allungarsi verso di lei e abbracciarla forte e potersi lasciar guidare dal cuore, una volta per tutte. Lontano dalla propria casa triste. Lontano da Spinner’s End, lasciando che il suo cuore fosse libero di rotolare giù per i dolci pendii verdi d’Irlanda. Proprio dello stesso colore degli occhi di Lily.

 

“Sev? T-tutto bene?” gli chiese gentile Lily.

 

Severus si era incantato. Scosse un attimo la testa e sorrise un po’ confuso. Non se n’era accorto ed improvvisamente scoppiò a ridere con fragore. Lily rimase un attimo interdetta, ma scoppiò a ridere anche lei e si sentì felice nel vederlo sereno e lieto. Le si scaldava il cuore, voleva vederlo ridere, voleva dargli dei ricordi, delle occasioni per poter essere felice. Se lo sentiva dentro, desiderava la sua felicità ardentemente e cercava di passare con lui più tempo possibile, per quanto a Hogwarts a volte non fosse così semplice. Ma appena poteva, lontano da quegli odiosi ragazzi quali James Potter e Sirius Black, che la tampinavano spesso, lo cercava, con lo sguardo, camminando per il parco, per i corridoi, scorrendo il tavolo Serpeverde a cena o a pranzo. In biblioteca avevano trovato un rifugio sicuro dai malandrini, dato che Severus e Lily amavano studiare, e gli altri no.

 

Il ragazzo tossì vistosamente, dandosi un colpo sul petto e fece con voce ossequiosa: “Signorina, un po’ di contegno, ora non abbiamo tempo da perdere”. I due occhi neri si guardarono attorno, e guardando verso la scogliera, si illuminarono.

“Gli scogli! Usiamo quelli, per il tappo!”. I due si alzarono ed iniziarono a scendere giù per la scogliera, facendo attenzione a non scivolare e a non farsi male. Le onde s’infrangevano abbastanza violente, il mare si faceva cupo e scuro, visto che si stava rannuvolando nuovamente. L’odore salmastro si faceva sempre più intenso, man mano che i due giovani camminavano sulla scogliera.

 

E finalmente, il tappo volò via, e un poco di schiuma fuoriuscì, bagnando la mano di Sev. Lily urlò deliziata e contenta.

Sev le porse la bottiglia cerimonioso: “Prima le signore”.

La ragazza simulò un inchino elegante e prese con le due mani la bottiglia. Un brivido d’eccitazione percorreva i due ragazzi, si sentirono un po’ stupidi e un po’ più grandi di quanto non fossero. Lily sorseggiò lentamente la birra scura, chiudendo gli occhi rilassata, inclinando quanto bastava la bottiglia.

Lily fece una smorfia strana e contrasse il viso. Divenne rossa in faccia.

“Lil ...?” fece timidamente Severus, attendendo un responso dalla ragazza.

“Argh. E’ amarissima. Quella che avevo provato dai miei non era così amara. Ma non era nemmeno scura, credo”.

“Ma .. Ma ti piace?” chiese Sev in fibrillazione. Altro che pozioni Polisucco!

Lily guardò la bottiglia e prese un altro sorso di Guinness. Fece schioccare la lingua, prima di rispondere, esaminando attentamente il sapore del liquido alcolico, che le bruciava leggermente la gola.

“Si, mi piace!” fece decisa “Ora tocca a te!”.

Sev prese con attenzione la bottiglia e se la portò alle labbra e senza troppi indugi ne bevve un piccolo sorso. Il lieve bruciore prese il posto del liquido amarognolo che scivolava giù per la gola. Era amaro davvero, ma lo inebriava, all’istante sentì un’insolita leggerezza. Aveva leggermente caldo.

“Wow ... E’ ... Buona!!” fece con un sorriso. E con più decisione, bevve ancora un po’. 

“Ehi, ehi, aspetta! Non te la bere tutta, lasciamene ancora un po’!” esclamò Lily allungando una mano e gli prese la birra.

“Ma se facevi tutte le smorfie perché era amara? Eh ... Aspetta, dove corri?”

Lily stava saltellando da uno scoglio all’altro, con agilità e rapidità, tenendo in mano la bottiglia. Si avvicinava alle onde ed alla spuma ridendo e cercando di evitare gli spruzzi salmastri. L’equilibrio della ragazza sembrava in costante pericolo, e Sev doveva essere lì, accanto a lei, per prenderla nel momento in cui sarebbe potuta scivolare. Non poteva lasciare che cadesse. Anche per lui, un suo sorriso, la sua felicità, erano tutto.

Sev si lanciò all’inseguimento, ridendo e recuperando il terreno perduto. La pioggia riprese a cadere gentile e delicata, ma questo, per loro, non era un problema.

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Capitolo 4
*** Fire Is Dancing And Burning ***


4.

Fire Is Dancing And Burning

 

"Love is a fire. But whether it is going to warm your heart or burn down your house, you can never tell." Joan Crawford

Il clangore della bottiglia buttata nel cestino si spense praticamente subito, soffocato dalla vivace musica irlandese pronta a ravvivare la serata. Si stava facendo sera, il sole al tramonto aveva reso il cielo fiammeggiante, con il viola, il giallo delle nuvole che si scontravano con le restanti grigie e livide, che diventavano sempre più nere, annunciando l’arrivo della notte, portando con sé qualche sprazzo di cielo blu. Il mare si era calmato, non era più così spumeggiante come nel pomeriggio e gorgogliava placido in lontananza. La pioggia aveva smesso di tormentare la città di Galway e le pozzanghere si stavano rapidamente asciugando. Le lanterne e le torce illuminavano gli addobbi per la festa che si sarebbe tenuta quella sera. Strumenti musicali ovunque, uilleann pipes appoggiate sopra le custodie, tin whistles luccicanti alla luce delle candele, violini ed arpe, con l’immancabile bodhran a completare la vasta gamma di strumenti presenti sul palco. Severus e Lily si aggiravano curiosi per la piccola arena del concerto, un po’ più allegri del solito per la birra, in fondo era la prima che assaggiavano davvero. Avevano girovagato per Galway senza meta, prendendo ancora un dolce al cioccolato, erano entrati in un negozio di strumenti musicali e Lily aveva provato goffamente a suonare l’arpa. Si erano divertiti, senza genitori in giro, senza doversi sentire costretti in quelle quattro mura di casa. Si erano sentiti liberi. Chissà se i signori Evans si fossero preoccupati, di solito in vacanza lasciavano molta libertà alle proprie figlie.

 

La ragazza osservava Severus lì fermo accanto a lei, nei pressi di un’altra bancarella; il suo profilo era illuminato da una grossa lanterna. I capelli neri gli coprivano parte del viso, ma nonostante la pioggia erano rimasti ben lisci, sfiorando le spalle delicatamente. Il naso adunco dava una certa aura di severità al ragazzo, che aveva il più delle volte uno sguardo molto grave, talvolta Sev era semplicemente assorto nei suoi pensieri. Era lì, in piedi, vicinissimo a lei, con le braccia conserte ed osservava la preparazione dei musicisti sul palco. Probabilmente, non aveva mai visto niente di simile. 

Lily continuò ad osservarlo e si sentì più che contenta di averlo accanto. Forse il groviglio che provava dentro era molto più complicato di quello che potesse immaginare, tuttavia, voleva stargli accanto, certa che avrebbe trovato una risposta a quella sensazione piacevole che si manifestava quando lo vedeva alla mattina, quando lo trovava appoggiato alla finestra con il libro in mano, quando le toccava una guancia con la punta delle dita. A volte sentiva l’improvvisa voglia di abbracciarlo, di toccargli il volto. Ma si bloccava. E allora cercava un modo per averlo vicino comunque, per passeggiare con lui, quasi in maniera possessiva e spaccona. Probabilmente, lo metteva un po’ in imbarazzo quel suo modo di fare, tuttavia Lily non sapeva come maneggiare quel calderone esplosivo di sentimenti ed emozioni. Probabilmente, avrebbe dovuto provare ad essere semplice ed aggraziata. Sospirò sorridendo e continuò a fissarlo in silenzio. Proprio in quel momento, Sev si voltò. Il ragazzo a sua volta la guardò e sorrise timidamente.

 

“Che cosa guardavi, Lil’?” chiese gentilmente.

La ragazza si riscosse da quell’incanto, colta in flagrante. Annaspò per trovare una risposta adatta. No, questa volta non voleva fare la spaccona, questa volta voleva essere sincera. Le si strinse lo stomaco.

“Oh ... Eh ... Insomma, ti stavo guardando.”

La giovane probabilmente non percepì la portata di quella sua frase, ma Sev aveva sentito i suoi occhi di smeraldo fissi su di lui. E quella frase lo aveva lusingato non poco. Amare in silenzio a volte non vuole dire lasciare nell’oblio i propri sentimenti: si possono manifestare in molti altri modi. E non è detto che il silenzio dell’altro significhi che si stiano ignorando i segnali. 

Il ragazzo voleva dire qualcosa, eppure le parole si strozzarono in gola, svanendo, perdendosi nell’aria fresca e frizzante. Allora, per non perdere l’attimo, allungò timidamente una mano e prese quella di Lily, che sfoggiò un sorriso enorme, illuminato dalle fiamme danzanti, che sfarfallavano toccate dal vento. I capelli rossi diventavano una fiamma purissima, Sev si chiese se li avesse toccati ... Si sarebbe bruciato?

Lily non lasciò andare la presa, né la evitò e strinse dolcemente la mano del ragazzo. E si misero a camminare mano nella mano, timidamente, avvicinandosi l’uno all’altra. Faceva un po’ di freddo, Sev avvertiva che Lily respirava, un po’ tremando, allora pensò di stringerle ancora un po’ la mano, per trasmetterle un po’ di calore: certo, lui non si reputava il ritratto della salute e del calore.

Decisero di salire un po’ sul pendio di fronte al palco. Avrebbero avuto una vista migliore rispetto alla platea, dove stava iniziando ad accalcarsi un po’ di gente, che parlava rumorosamente ed eccitata. E sempre con un bicchiere in mano.

Si appoggiarono al prato umidiccio, ma fortunatamente erano vicini a due grosse lanterne, che emanavano parecchio calore. Si sedettero l’uno accanto all’altra, a gambe incrociate Sev, mentre Lily si raggomitolò, cingendo le gambe con le sue braccia esili. Soffriva un po’ il freddo.

La musica iniziò a riecheggiare: l’arpa iniziò a far risuonare le prime note, accompagnate da una voce soave che cantò una tipica canzone irlandese. “She Moved Through The Fair”. Era suggestiva in grado di ammutolire tutta la platea, che rimase ad ascoltare quella voce da sirena, quella figura di donna dai fluenti e lunghi capelli rossi - come quelli di Lily! - intrecciati ad una corona di fiori, ed era illuminata da poche luci e tantissime candele. Severus rimase a bocca aperta. Lily aveva un amore particolare per la musica, probabilmente un interesse perlopiù babbano, che tuttavia non aveva ancora attecchito in Sev. Lily di tanto in tanto metteva su un grande giradischi a casa dei dischi enormi e scuri. Scritte strane, gente capellona, i The Beatles. Parlavano d’amore e d’amore, di Dizzy Miss Lizzy e di Michelle “ma belle”. Il giovane Severus si ritrovava a canticchiare qualche cosa di questi ragazzi, ma non che ne fosse rimasto particolarmente colpito. Ma questa musica, così pura e semplice, ti colpiva al cuore. Si ritrovò ad applaudire con Lily, che si voltò sorridendo.

“Ah, ma allora ti piace la musica irlandese?!” gli chiese sorpresa.

Severus cercò di risponderle in maniera sensata. “E’ ... Non trovo le parole ... E’ magica”.

Lily scoppiò a ridere ed annuì: “Farebbe schiattare d’invidia una Veela”.

“Peggio. La farebbe sparire diretta nei boschi e non si farebbe mai più trovare”.

 

Il momento più bello era poter godere di quella musica ad occhi chiusi, permettendosi di poter volare via, lontano da quel parco, immaginando di camminare per colline verdi e scogliere da mozzare il fiato. Ti faceva sentire più leggero, ti faceva stare immensamente bene.

Le persone rimanevano immobili, di tanto in tanto applaudivano fragorosamente ed incitavano la cantante a dare ancora di più. Nemmeno Lily e Sev si rivolsero molto la parola, per non perdersi una  nota, una frase, magari presa dal poeta Patrick Kavanagh. Non sapevano chi fosse esattamente, ma doveva essere una persona molto sensibile. Ogni tanto, si guardavano e si sorridevano. Ma in quel momento, Lily, si fece più vicina a Sev, fino ad arrivare ad essere spalla contro spalla. Iniziava ad essere stanca e sbadigliò vistosamente. Spontaneamente, forse in altri momenti non l’avrebbe mai fatto, Sev cinse con un braccio Lily, e le fece appoggiare la testa sulla spalla. Ma ciò che sorprese ancora di più il ragazzo fu la mossa delicata di Lily, ingentilita ancor più dalla sonnolenza: cinse la vita del ragazzo, per mettersi più comoda sulla sua spalla spigolosa e fine, appoggiando l’altra mano sul ginocchio del giovane. Tutto era avvenuto nel massimo silenzio, intendendosi perfettamente, cercando di interpretare e leggere le mosse dell’altro senza chiedersi il perché o la ragione recondita.

Il ragazzo si sentiva lanciato su un altro pianeta, su un’altra dimensione. Mai, lui e Lily, erano stati così vicini e così ... A contatto l’uno con l’altra. Si sentì il cuore agitato, commosso, pronto a schizzargli fuori dal petto. Doveva mantenere la calma, voleva essere gentile, senza la solita goffaggine o timidezza. Lasciò che lo eleggesse a rifugio d’eccezione.

Lily sospirò contenta e continuò ad ascoltare la musica, mugugnando qualcosa di inintelligibile.

“Grazie, Sev” disse chiaramente all’improvviso, affondando ancora di più il viso tra i capelli neri.

“Lil, ma grazie ... D-di cosa?” balbettò Sev. Poteva sentire il respiro caldo di Lily sulla sua pelle pallida e sensibile.

“Che ci sei, che ti prendi cura di me” rispose sognante Lily, con la voce che rallentava sempre più, ma le parole erano lucide, lucidissime e valevano più di tutta la stellata che si era formata nel cielo sopra di loro.

“Grazie a te. Mi fai dimenticare che abito a Spinner’s End, mi fai dimenticare chi sono in questo posto meraviglioso, mi perdo in queste colline verdi ... Come i tuoi occhi ... E vorrei perdermici”. Sev sussultò a ripensare a quanto detto giusto l’istante prima. Dove aveva trovato il coraggio di dire una cosa simile? Eppure, l’effetto dell’alcool doveva essere già finito, o era il posto ad aver fatto una magia?

Lily alzò la testa per un attimo e lo guardò con occhi scintillanti. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma rimase mezza aperta, quasi a cercare le parole adatte.

“I miei occhi ... Hai detto? Hai detto che ...?” disse esitante.

Sev non riuscì a rispondere. Annuì e basta, sperando che Lily non si offendesse per essere andato troppo in là rispetto al solito. Lily continuò a guardarlo, con un sorriso che fiorì tra le sue labbra, ma era un sorriso mai visto prima. Quel gomitolo, quella matassa informe di fili, di emozioni, di tormenti e di brontolii allo stomaco, stava prendendo forma, stava indicando una via ben precisa. Lui la trovò immediatamente bellissima ed ipnotica, illuminata da quella lanterna che lentamente esauriva la propria fiamma e la propria danza. Un altro fuoco iniziava a crepitare lentamente, tra le mani, tra i cuori martellanti e gli sguardi sempre più intensi di Sev e Lily.

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Capitolo 5
*** Can't Stop What's Coming, Can't Stop What's On Its Way ***


5.

Can’t Stop What’s Coming, Can’t Stop What’s On Its Way

 

"Make me immortal with a kiss." Christopher Marlowe

La musica riecheggiava lontana e distante, il tocco del bodhran era un vago rintocco remoto. Tutto era un sussurro portato via dal vento, a miglia di distanza forse in quel momento la vita reale era ad anni luce dai due ragazzi, che si guardavano dolcemente negli occhi e si stringevano teneramente tra le braccia. Quella situazione era buffa per loro due, quasi surreale. Avevano passato tanti anni assieme, l’uno accanto all’altra praticamente tutti i giorni, ore intere passate a stretto contatto nelle situazioni più disparate... E ora? Il groviglio dei sentimenti li aveva portati col tempo a trovarsi ancora più vicino, ancora più uniti, su una strada complicata e tortuosa, ma non meno affascinante. Era un percorso da fare in due e loro non si erano resi conto di aver già fatto tanta di quella strada, mano nella mano. Le emozioni prima erano germogliate sotto la loro pelle, aspettando il loro momento di luce adatta per sbocciare. E quella sera, qualcosa voleva fiorire, in maniera imperiosa e potente.

Avevano paura a parlare, perché qualsiasi parola innocente avrebbe potuto recidere quei petali delicati e fragili, che avevano appena visto la luce. 

 

Severus allungò una mano sul viso di Lily e accarezzò una guancia piena di lentiggini, sfiorandole lo zigomo, fino a posare le dita sulle labbra della giovane. Al solito, si sentiva esitante, e non si era mai sentito così in tumulto, in senso estremamente positivo. Si sentiva bene, ma allo stesso tempo, era la prima volta che era così innamorato di Lily e lei sembrava altrettanto sconvolta. La ragazza era sempre stata così forte, sicura di sé, in tutta la sua fragile grazia e bellezza, ma anche lei si trovava di fronte a qualcosa di molto più grande di lei e prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo, prenderlo con le unghie e con i denti ... Si, avrebbe dovuto ammettere a se stessa che amava terribilmente Severus, quel ragazzo così serio e discreto e voleva che la baciasse. Ed era giunto il momento fatidico e lei si sentiva felice di poterlo ammettere, lì ed ora. Qualsiasi muro o resistenza era diventato inesistente. Non potevano più aspettare. 

 

In un momento chiusero gli occhi e si abbracciarono e Lily lasciò che le labbra di Sev si posassero sulle sue. La ragazza strinse forte le mani sulle spalle del ragazzo e cercò di lasciarsi andare, anche se la sua testa cercava di controllare i suoi arti, le sue mani, il movimento della sua testa ... Troppe cose da tenere d’occhio mentre si bacia una persona. “Ma come fanno gli adulti a baciarsi così spesso!?” pensò tra sé e sé divertita. Si sentiva tremendamente imbranata ed impacciata, ma ad un certo smise di pensare e cercò di concentrarsi su Sev e solo su di lui. Istintivamente sentì la voglia di toccargli i capelli e senza troppe esitazioni gli accarezzò i capelli, forse con un po’ di foga, perché per un attimo ebbe paura di avergli tirato qualche ciocca di capelli. Il ragazzo non ci fece troppo caso, non ci capiva più nulla, era al settimo cielo per quello che stava succedendo e non voleva lasciarla andare per nessun motivo al mondo.

 

Ma fu proprio Sev che si staccò per qualche attimo e baciò la fronte di Lily un po’ tremante. Se fosse stato fisicamente possibile, il cuore del ragazzo sarebbe schizzato fuori, a causa dei battiti fortissimi. Temeva che qualcuno potesse sentirli e canzonarlo per questo. Forse i Malandrini se si fossero trovati lì in quel momento - oh, ma perché pensava a quei quattro sbruffoni proprio ora che aveva appena baciato Lily? Niente da fare, il quattordicenne rimaneva un ragazzo complicato e contorto nei pensieri e nei comportamenti e ora, totalmente perso nei meandri dell’amore e negli occhi di Lily, ridenti e colmi di calore più che mai, sarebbe probabilmente peggiorato. Nessuna pozione d’amore l’avrebbe mai fatto stare così bene.

 

Lily prese le mani di Sev tra le sue e ruppe il silenzio, con un sussurro dolce.

“Grazie, Sev”.

Il ragazzo non sapeva cosa rispondere, non voleva essere ovvio, né scontato, né fuori luogo, però non voleva nemmeno che la ragazza continuasse a ringraziarlo. Per tutta risposta, prese una mano di Lily e ne baciò il dorso. La ragazza sussultò. In quel momento qualche applauso fragoroso fece tornare alla realtà i due adolescenti, che si voltarono a guardare gli ultimi istanti di concerto, mano nella mano. Avevano perso la cognizione del tempo, non sapevano che ore fossero, se i genitori di Lily fossero in pensiero per la fuga dei due ragazzi, se fosse notte fonda o le nove di sera. Sapevano solo che avevano bisogno di staccarsi da quella casa, dal loro mondo magico, da tutto quello che riguardava la loro vita di tutti i giorni. E con quanto successo, si sentivano diversi, più forti assieme e più legati di prima. 

 

Sev aiutò Lily ad alzarsi in piedi. Erano stanchi, convennero che era decisamente ora di andare a dormire. Gli ultimi fuochi si stavano spegnendo, lasciando solo brace e cenere. Faceva proprio freddo e la gente sgattaiolava verso casa, ciarlando e parlando animatamente. Le luci del palco si erano spente, i tecnici e gli addetti ai lavori stavano riponendo gli strumenti nelle custodie e stavano sistemando le attrezzature; molto probabilmente vi sarebbe stato un altro concerto. A Sev non sarebbe dispiaciuto tornare a sentire ancora un po’ di musica babbana.

I due camminavano piano e lentamente, godendosi la tranquillità delle vie, ora quiete, della città. Le vetrine dei negozi erano spente, le serrande erano abbassate, nei pub i padroni annunciavano l’ultimo giro di birre. Passarono ancora davanti al pub di Brody, e i due ragazzi si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere rumorosamente, ricordando la furbata fatta appena qualche ora prima. Le bancarelle erano chiuse, i carretti ed i banchetti erano chiusi da catenacci e lucchetti. Tutto era così buio e differente, rispetto solo a qualche ora fa. I sapori, i colori erano totalmente diversi, non c’era gaiezza per quelle strade, ma quiete.

“Dici che saranno in pensiero i tuoi genitori?” chiese stupidamente Sev, ma Lily rimase tranquilla.

“Non sono loro il problema, sanno come sono fatta e come sei fatto. Il problema è mia sorella Petunia. E’ una spiona” osservò Lily.

“Credo che il problema sia un altro: è molto gelosa di noi due, ma penso tu lo sappia già”.

La ragazza tacque un momento e poi aggiunse: “Hai ragione. Ha scritto al preside di Hogwarts supplicando di prendere anche lei, il giorno in cui i miei genitori hanno letto la lettera d’ammissione alla scuola di magia”.

Sev fu sorpreso. “Scherzi, Lil’? Ma è matta?”

“No, è gelosa, esattamente come dici tu. Ma i miei genitori, con gli amici ed i parenti, dicono che io frequento una scuola di musica ... Per bambini prodigio. Così giustificano le mie lunghe assenze da casa”.

Il ragazzo pensò alla goffaggine di Lily nel suonare l’arpa quel pomeriggio e ghignò tra sé e sé.

Lily gli tirò un pugno gentile sul braccio al ragazzo: “Va che so suonare il pianoforte, razza di stupido. Altrimenti ai parenti babbani che vogliono sentirmi suonare, che cosa dico? Non posso neanche barare con la magia!”. Il giovane continuava ad immaginarsi quelle scene surreali della famiglia di Lily che le chiedeva di suonare quello strano strumento - pianoforte, fortepiano, quello che era - e sghignazzava senza sosta.

 

Arrivarono davanti a casa, tutto era ancora illuminato, evidentemente c’era ancora gente a casa. Una figura fin troppo nota si stagliava sulla porta, con le braccia conserte e la solita espressione beffarda, contornata da due trecce lunghe e scure. 

“Petunia” mugugnò Lily “Non vede l’ora di massacrarci”.

Severus non poteva vederla, ma avrebbe difeso Lily con tutte le sue forze. Non voleva che questa serata finisse nella tristezza e nella rabbia. Questa volta non avrebbe permesso a nessuno di interporsi tra lui e Lily, nessuno avrebbe guastato quell’amore nascente e ai primi passi.

Petunia si voltò e corse dentro in casa, chiamando a gran voce i genitori, e loro accorsero prontamente.

Sev e Lily entrarono tranquilli in casa, con il ragazzo che proteggeva l’amata, stando praticamente davanti a lei.

I genitori in realtà non se la presero molto, dato che uno degli amici di Galway aveva visto in giro i ragazzini ed aveva prontamente riferito agli adulti gli spostamenti dei due. Si beccarono un rimprovero abbastanza mite - forse l’alcol li aveva ammorbiditi e resi più indulgenti. Sicuramente, la prossima volta non l’avrebbero passata così liscia: se ne andarono su per le scale tranquilli, ma ancora una volta, Petunia era pronta a dare ancora una volta battaglia.

“Piccioncini, vi siete divertiti oggi? Quanto siete patetici”.

Severus sentì montare la furia ed il disprezzo, mentre Lily provò solo tanta pena dolorosa per la sorella gelosa, ma lei tirò dritto per la sua stanza, Severus si fermò, guardandola con occhio truce.

“Non vorrei rivolgerti troppo la parola, ma vorrei solo dirti di evitare di importunare me e tua sorella. Avresti molto da guadagnarci”.

“Naso grosso, sta zitto e leva quelle manacce smorte da mia sorella, hai capito?” ribatté offensiva Petunia, pronta a scendere dalle scale dai genitori se qualcosa fosse andato storto. Severus rimase impassibile di fronte alle offese. Era conscio di avere il naso abbastanza importante. Lily invece divenne una furia.

“Razza di maleducata” la ragazza dalla chioma rossa si scagliò contro la sorella “Ma come ti permetti di dire queste cose a Sev? Idiota! Sei solo invidiosa!”

Il ragazzo prese per un polso Lily e l’attirò a sé. 

Avvicinò le labbra all’orecchio della ragazza: “Buona Lily, buona. Adesso ho in mente qualcosa che le farà passare la voglia di romperci le scatole. Fidati di me, andiamo verso le nostre stanze”.

Sev prese la mano di Lily e gliela strinse affettuosamente, Petunia, rossa in viso, reagì stizzita, esattamente come voleva il ragazzo.

“Patetico, sei semplicemente patetico. La prendi pure per mano ...”

“Ti piacerebbe essere al posto di Lily, vero? Ti piacerebbe avere quello che lei possiede? Lei è speciale. Tu, no”.

Scattò la bomba. Petunia strillò qualcosa di incomprensibile e corse giù per le scale, ed in quel momento Severus mormorò “Glisseo”. Le scale per un attimo si fecero lisce e Petunia ruzzolò giù, urlando e facendo un rumore d’inferno, ma non si accorse nemmeno dell’incantesimo del ragazzo, che iniziò a ridere sommessamente. Lily rimase interdetta, ma finalmente scoppiò a ridere, con una risata liberatoria. Petunia, forse, non avrebbe parlato più, per un bel po’.

 

Erano davanti alla porta della stanza di Lily. La ragazza sbadigliò.

“Sei terribile, ma hai fatto bene. Mia sorella mi aveva proprio esasperato”. Al di là di tutto, voleva ringraziarlo di cuore per la giornata e la compagnia. E per l’amore appena nato. 

C’era solo un modo per poterlo dire in maniera concisa. Lily circondò Sev con le sue braccia e si mise in punta di piedi. Prontamente, il ragazzo l’abbracciò e questa volta la baciò a colpo sicuro, con meno incertezze e più intensità.

“Buonanotte, mio Principe Sev” disse Lily, sciogliendosi dall’abbraccio con un sorriso radioso, svanendo dietro la porta della stanza.

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Capitolo 6
*** The Waves ***


6.

The Waves

 

“There was a star riding through clouds one night, and I said to the star, ‘Consume me’” Virginia Woolf

Lily si lasciò andare sul letto, esausta, ma al settimo cielo per quanto accaduto in quella giornata ricca ed emozionante. Il cuore batteva placido, ma tramite ogni battito lento e misurato, la sensazione di benessere si spargeva dentro di lei, andando sempre più nel profondo. Per un attimo, però, pensò a Petunia, la sorella invidiosa, spilungona, secca e spigolosa. Ma che in fondo, rimaneva sempre parte di sé. Talvolta, era come se le mancasse terribilmente non avere più un rapporto con la sorella, dall’altro, si sentiva grata di poter fare quello che le piacesse di più, senza doverla avere addosso tutto il tempo. Si era sentita sola in quella famiglia, da quando aveva scoperto i suoi poteri magici e i suoi genitori chiaramente dovevano farla apparire come una ragazza prodigio, la ragazza prodigio che suonava il pianoforte, ufficialmente. Questo le faceva molto male, la rattristava, perché sembrava che i genitori si vergognassero di avere una figlia unica e speciale e sull’altro fronte aveva una sorella totalmente diversa da lei che desiderava tutta la magia posseduta da Lily. E per questo ogni volta cercava di schernirla, di farle scherzi cattivi, di intromettersi nelle sue attività magiche, negli esercizi, nei compiti che le assegnavano. Aveva desiderato a lungo qualcuno che la capisse, che fosse un amico o molto di più di questo. Sev era arrivato, era lì per lei, dopo un lungo cammino di crescita assieme. Si sentiva fortunata, era come se con quel bacio si fosse placato il turbinare delle sue preoccupazioni, che teneva ben chiuse nel suo cuore. In quel momento atteso, dentro di sé, la gabbia di uccellini teneri e spaventati, che continuavano a cinguettare in maniera sempre più stridula e grottesca, era stata aperta. Erano volati via, lasciando un canto sempre più aggraziato e remoto.

 

Respirò a fondo nell’oscurità, con solo qualche luce pallida proveniente dalla strada a delineare la sua figura sul letto e gli oggetti della stanza. Chiuse gli occhi e le parve di fluttuare, sull’acqua poco mossa. Fluttuava e veniva trascinata nel fiume dei ricordi, là dove tutto sembra essere dimenticato, ma basta una corrente diversa dal solito per far riaffiorare dall’oblio il dolore di una perdita, l’odio di un litigio, la sofferenza per la distanza tra due o più cuori. 

 

Tornò indietro di qualche anno, qualche giorno prima della partenza verso Hogwarts, dove avrebbe frequentato il primo anno di Scuola di Magia e Stregoneria.

 

Lily aveva appena preso la sua bacchetta magica da Olivander e la rimirava contenta, esaminandola attenta contro la luce del sole. Era fine e lunga, di legno scuro, contenente una squama di sirena e della polvere di giada. Si voltò e guardò ancora una volta i libri acquistati qualche ora prima. Incantesimi, pozioni, erbe magiche, creature fantastiche, divinazione, tutte materie estremamente affascinanti e nuove agli occhi smeraldini di quella bambina. E poi c’era lei, appoggiata allo stipite della porta. Quella figura lunga e troppo magra, dallo sguardo estremamente triste, come un fuoco appena appena estinto tra le ceneri, ma sempre pronto a riaccendersi e a ferire.

“Guarda guarda, abbiamo pure il coraggio di sventolare in giro la bacchetta magica in giro per casa” osservò acida Petunia. Sempre pronta ad attaccare per difendere le sue mancanze e il suo essere ordinaria. Lily di scatto la ripose nell’astuccio pregiato, dalle sfumature verde petrolio.

“Petunia, vattene via” disse seccamente. Era come se l’avesse invitata ad entrare con veemenza. Si sedette sdegnosa tra i volumi e ne prese uno e con tono di voce supponente, da insopportabile so-tutto-io, si mise a leggere qualcosa sugli incantesimi. Lily la ignorava e pensava a riordinare la stanza, con gesti nervosi e frenetici, non sapendo dove mettere le mani, se sulla scrivania, o nel guardaroba. Era un tentativo disperato di ignorarla, di farla smettere. La rabbia e lo sconforto per quell’atteggiamento da parte della sorella maggiore continuava a crescere feroce. 

“Lily? Mi stai ascoltando?” chiese Petunia, chiudendo il libro rumorosamente.

La sorella non rispose, afferrò i libri ed iniziò a buttarli convulsamente nel baule. 

“Lascia giù i miei libri, non sono tuoi e tanto oramai la magia non ti interessa più. Sei solo invidiosa” disse con una fitta al cuore la bambina dai capelli rossi. Le doleva essere così tagliente, ma non vedeva altra scelta. Voleva difendersi.

Petunia scattò in piedi, sistemandosi con cura i capelli chiari. 

“Lo sai che mamma e papà non sono troppo contenti di questa follia ...” esordì Petunia.

Lily gettò con rabbia dei libri nel baule e scattò verso la ragazza.

“Follia!? Quale follia!? Ho un dono e ho la fortuna di poterlo coltivare. ... Io, io capisco che mamma e papà siano diffidenti, ma vedrai quanto saranno felici di me, delle mie doti! Non avranno più bisogno di scuse! Non si dovranno inventare più bugie”.

Petunia sorrise beffarda: “Staremo a vedere, scherzo della natura, divertiti nella tua gabbia di matti ... Con quell’orrido ragazzo”. Si voltò e se ne andò via, sbattendo la porta.

 

A distanza di pochi anni, le faceva ancora molto male, tanto che le lacrime, ancora una volta le solcarono il volto, inumidendo l’enorme cuscino morbido di quel letto irlandese in legno scuro e spesso. Ora però non era più da sola a reggere quell’impalcatura pesantissima, fatta di dolore e di conflitto perenne. Certo, a volte Sev non era stato troppo tenero con sua sorella. Non si erano mai sopportati, sin dal primo istante, Petunia appena lo aveva a tiro cercava di fargli qualche scherzo pesante, di rubargli qualche libro dalle mani, di stuzzicarlo con qualche battuta al vetriolo. Talvolta sembrava di assistere ad una gara a chi dicesse più cattiverie: Lily temeva che si potesse arrivare alle mani, ma Sev non era il tipo, era semmai lei che provava quell’impulso, forte da farle mancare il respiro, di scuotere la sorella, di spaventarla, di farla pentire amaramente di tutta la sua invidia e gelosia. 

 

La bella Lily, diventava un fiore rabbioso, una pianta piena di spine: anche lei, come tutti, aveva il suo lato oscuro, quello che non vorresti mai far vedere a nessuno. Aveva paura di perdere il controllo, di far scappare la gente da sé. Tante volte di notte si era svegliata con un groppo alla gola, con un fortissimo senso di claustrofobia, come se si sentisse schiacciata tra due muri. E in quelle notti travagliate ed agitate, aveva deciso di vivere a compartimenti stagni, almeno con sua sorella. Lily a casa cercava di essere tranquilla ed il più accomodante possibile, evitando scontri con la sorella e non parlando nemmeno per sogno di argomenti magici. Ad Hogwarts era la strega Lily Evans. Le cose con i suoi genitori sembravano andare meglio, ad ogni modo: si sentivano comunque orgogliosi di lei, della sua bravura, del suo impegno ad Hogwarts. Non avevano respinto Sev e la sua presenza assidua: la mamma di Lily lo proteggeva un po’ come una chioccia affettuosa, aveva capito che quel ragazzo era terribilmente solo. Gli faceva qualche dolce speciale, a volte gli sistemava qualche vestito, d’altronde anche lui stava crescendo e aveva bisogno di una presenza materna, dato che la signora Eileen Prince sembrava essere un po’ assente nella crescita di quel ragazzo.

 

Ancora una volta, scivolando lentamente nel sonno, la sua mente andò a ricercare un ricordo significativo, un tizzone ancora ardente che poteva ustionarla. Perché non riusciva ad addormentarsi? La vita con sua sorella negli ultimi anni le passò davanti, veloce come un lampo, come un proiettile che ti trapassa da parte a parte. Lily ogni tanto vedeva quella scena un po’ crudele in qualche film western o qualche film giallo che i suoi genitori vedevano di tanto in tanto in televisione, un vero e proprio bene di lusso che avevano in casa da qualche tempo. Faceva male, faceva un male terribile vivere così, e se lo disse una, due, dieci volte, forse anche bisbigliandolo nell’oscurità, portandosi una mano al petto. Lily era ancora una volta vittima di una delle sue notti travagliate, dove non riusciva più a smettere di pensare, di rimuginare. Si rigirò nel letto, afferrò le coperte. Aveva freddo, poi caldo, non appena si scopriva, aveva voglia di ricoprirsi. Cercava di contare le pecore, si canticchiava qualche ninnananna o melodia rassicurante, ma nulla. I suoi tormenti la inseguivano. Ma non voleva cedere.

 

Non era sola, non era affatto sola, doveva ricordarselo, ora e sempre. Questa volta non avrebbe tenuto Severus all’oscuro dei suoi tormenti. Era finalmente parte di sé, totalmente alla luce del sole, sarebbe stato più che felice di aiutarla a farla stare meglio. Risoluta, si alzò in piedi e camminò lentamente, stando ben attenta a non far scricchiolare il pavimento in legno. Aprì la porta e si accertò che tutti dormissero profondamente. Aveva perso la cognizione del tempo. Furtiva, camminò verso la porta di Sev. Vide qualche bagliore, uno sfarfallio di candele, pareva: Sev era ancora in piedi, molto probabilmente, a leggere uno dei suoi libri, a studiare qualche strana pozione, come sempre. Forse l’amore gli aveva dato qualche incentivo a darsi ancora più da fare nello studio. 

Lily voleva guardarlo di soppiatto, solo per qualche istante. Ecco che già quel ronzio fastidioso fatto di ricordi spiacevoli si placava. Aprì leggermente la porta, stando attenta che la luce non inondasse il corridoio e rimase ad osservarlo.

 

Era lì, sdraiato sul letto, a pancia in giù, con il suo libro appoggiato al cuscino. I capelli lunghi e neri sfioravano le pagine un po’ ingiallite di quel volume: probabilmente era di sua madre. Lo sguardo era attento e concentrato. Si sentiva a malapena il suo respiro tranquillo, vedevi però che era rilassato. Il lento movimento delle spalle e della schiena andava sempre dall’alto verso il basso, e viceversa, con regolarità. La ragazza, invece, tratteneva il fiato, per non spezzare quest’equilibrio delicato. Era una delle poche volte in cui Lily si trovava nella parte dell’osservatrice in incognito e Sev era l’osservato speciale. Quante volte Sev aveva osservato e seguito Lily, prima che si facesse avanti? La giovane sorrise tra sé e sé, osservando le dita di Sev che seguivano una didascalia, un paragrafo, o semplicemente, voltavano pagina. Il rumore della pagina rompeva quel silenzio. Ad un certo punto, però, Sev chiuse il libro soddisfatto e allungò un braccio per metterlo sul comodino. Lily si riscosse dall’incanto e sobbalzò. Aprì la porta con attenzione e sussurrò: “Sev, sono Lily!”

Sev si voltò di scatto e la guardò sorpreso, facendole segno di venire pure avanti. Lei chiuse lesta la porta e fece molta attenzione ad avvicinarsi a lui. Appena fu abbastanza vicina, il ragazzo le rivolse la parola.

“Lily, che ci fai qua? Non stavi dormendo?”

“Non riuscivo a dormire. A ... A volte ... Mi succede” spiegò lei, sedendosi a bordo letto, accanto a Sev, che si mise subito a sedere con le gambe incrociate.

Il giovane rimase in silenzio, sondando la mente di Lily, scrutando gli occhi verdi un po’ agitati, velati di tristezza.

“C’è qualcosa che non va .... Tua sorella, per caso? Ha ancora fatto qualcosa?” sibilò un po’ rabbioso.

Lily lo prese per mano. “No, cioè ... Ecco, non proprio. Penso spesso a ... Al nostro rapporto. Lei è gelosa, è invidiosa, ma ... Ma a me spiace tanto che sia così cattiva nei miei confronti. E’ ... E’ sempre mia sorella, lei.”. 

Sev le cinse le spalle con un braccio e le fece appoggiare la testa sulla sua spalla.

“Lily, dimmi tutto, ma davvero tutto. Sei turbata. A volte vedo che non dormi la notte ... Adesso ... Adesso che ... Uhm ...” non aveva mai pronunciato quelle parole, le aveva semplicemente sognate nei suoi sogni più folli. Tacque un secondo e prese la sicurezza necessaria per pronunciarle. 

“Sì, adesso che stiamo assieme, voglio aiutarti ancora di più, voglio starti vicino ancora di più”.

Lily era rimasta un po’ contratta, ma si rilassò e si lasciò sfuggire un lungo sospiro. Sev la prese sulle ginocchia e le cinse la vita con le braccia. Vuotò il sacco, bisbigliando, sussurrando, a volte non controllando per nulla il tono di voce. Gesticolò, si arrabbiò, pianse, e rise quando Sev le diede qualche bacio sulle guance un po’ rigate dalle lacrime, un po’ arrossate dallo sfogo e dalle emozioni. Lui rimaneva serio, in silenzio. Talvolta annuiva, altre volte la esortava ad andare avanti. Era un buon ascoltatore, più che un buon oratore. Leggeva più la mente, i gesti, le espressioni facciali. In questo era diverso da Lily, diversissimo. 

 

Persero la cognizione del tempo, la candela di cera si consumò, fino a diventare una pozza informe ed ustionante. Lily diventava sempre più leggera e spensierata, gli occhi tornavano a risplendere sereni. Si ritrovarono sdraiati l’uno accanto all’altra. Si presero per mano, con la ragazza che parlava sempre più lentamente, dicendo cose senza un filo logico, oramai nel mondo dei sogni. Crollarono addormentati, teneramente aggrovigliati.

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Capitolo 7
*** Winter ***


7.

Winter

 

"'Cause things are gonna change so fast
All the white horses have gone ahead
I tell you that I'll always want you near
You say that things change
My dear"

Tori Amos, “Winter”

La pioggia si cristallizzò, divenne neve.

Mutò in ghiaccio, seppellendo così il calore dell’estate, il vigore di quel verde dei colli irlandesi. Metteva a dormire i fiori, che chiudevano timorosi le loro corolle, lasciandosi coprire da quel sottile strato di acqua, che, seppur solida, lasciava trasparire ancora qualche pallido colore. Non esisteva brillantezza, tutto era nascosto, in una fase di stasi: la natura aspettava, col fiato sospeso, il ritorno di un raggio di sole che spazzasse via quel freddo. Le foglie si sbriciolavano al tocco delle dita di quella dama algida, che non risparmiava nessuno.

 

L’Irlanda, dall’estate spumeggiante, un paese capriccioso come una donna florida, vivace, portentosa, aveva ceduto il passo all’austerità di una signora nobile, meno appariscente, più posata, come il paesaggio inglese che circondava il castello di Hogwarts. Il rumore non era richiesto, le parole erano superflue, il silenzio diventava sacro. Era giunto il momento per tutti di contemplare il mondo in totale assenza di suono.

 

Non c’era più lo sciabordio delle onde di quell’oceano mutevole, ora blu cupo, a volte azzurro, talvolta color acquamarina, quel colore che lasciava presagire un temporale, una tempesta passeggera. Il lago nei pressi di Hogwarts era immobilizzato, tra le grinfie dell’inverno. Di tanto in tanto, nel lento cadere silenzioso della neve, si poteva avvertire un cupo mugolio dell’acqua, un mesto sussurro. Una litania, proveniente dal cuore di quelle acque intrappolate, che pregava la bella stagione di tornare presto, di infondere ancora una volta, com’era sempre stato sin dal principio, il proprio afflato vitale.

 

Un rumore di passi ovattato ruppe il silenzio. Due figure ammantante di nero si trascinavano in mezzo al sentiero totalmente innevato ed ancora non esplorato. La neve cadeva fitta e lieve, dolce e morbida come un cuscino; era tentatrice. Ti invitava a sdraiartici, per stringerti poi in una morsa mortale. Quelle due ombre nere squarciavano la perfezione del bianco, le loro due sciarpe dai colori differenti, oro e amaranto per l’una ed argento e verde per l’altro, erano un’inaspettata fiammata di colore. La figura più alta camminava sinuosa ed elegante, perfettamente a suo agio, pareva fluttuare sulla neve. I capelli neri coprivano gran parte del viso pallido e niveo. L’altra figura, dai capelli fiammanti e dalla figura parecchio minuta e piccola, sembrava più impacciata, incespicando e trascinando i propri passi lungo il sentiero. Da lontano, non si avvertiva il suo borbottare e brontolare per la propria goffaggine sulla neve.

 

Lily e Severus camminavano soli in quel bosco, di ritorno da Hogsmeade. Erano oramai al quarto anno, non avevano bisogno di guardiani o permessi particolari per potersi recare nel piccolo villaggio magico. Il ragazzo aveva chiesto alla propria ragazza di accompagnarlo giù in paese. Aveva un pacchetto da ritirare all’ufficio postale dei gufi - cosa insolita, per Sev, dato che non aveva nessuna corrispondenza e non aveva nemmeno un gufo, ma lui non aveva voluto sbottonarsi più di tanto, nonostante l’insistenza della giovane. Sapeva essere molto curiosa nei suoi confronti, tuttavia il ragazzo era in grado diventare imperscrutabile e neanche sotto la severa tortura dell’amata - spesso consistente in solletico con spighe, piume o quant’altro le capitasse sotto mano - rivelava il proprio segreto. Avevano fatto un salto veloce da Mielandia, dove Lily si era riempita le tasche di Api Frizzole e di Piperille Nere, rassicurando il proprio ragazzo che non avrebbe usato quest’ultime per dargli fuoco mentre si baciavano, e qualche dolcetto natalizio, da consumare nei pomeriggi interminabili di Dicembre. La felicità era palpabile e c’era vischio dappertutto, in ogni negozio, e quando si trovavano accidentalmente sotto, si guardavano timidamente, sperando che l’altro facesse il primo passo. Madama Piediburro era accorsa da quella coppia felice e li aveva fatti accomodare, per poi sventolare sopra le loro teste un ramoscello di vischio. I due giovani non avevano osato accontentarla, per un’eccessiva timidezza a lasciarsi andare a quelle effusioni davanti a tutti. “Siete disinvolti come due sacchi di patate! Che cosa sarà mai un casto bacio!” li aveva apostrofati, con un sospiro che trasudava stucchevole dolcezza. Quella frase li aveva fatti sprofondare ancora di più nelle loro poltroncine, ed i loro sguardi paonazzi e profondamente imbarazzati si erano concentrati sui vapori delle loro tazze di tè e sui magnifici pizzi e merletti che decoravano i tavolini pregiati del locale. 

 

Camminarono ancora per il villaggio. La ragazza si distraeva molto facilmente di fronte alle vetrine, appoggiando le mani minute ai vetri e guardando tutto con gli occhi verdi sfavillanti, che sembravano di un verde ancora più chiaro, in mezzo al candore della neve. Il colore dei suoi occhi si ingentiliva con l’alternarsi delle stagioni. In inverno non erano così sbarazzini come in estate, diventavano di un verde delicato. Severus era paziente con la ragazza che voleva entrare in ogni negozio e voleva cercare qualche regalo per la sua famiglia e qualche sua amica intima. La guardava in silenzio, bonariamente, con un sorriso timido quando la giovane gli chiedeva questo o quel parere.

 

Severus aveva il suo regalo per Lily. E ci teneva da morire a tenerglielo nascosto fino al giorno di Natale.

 

L’aspetto più difficile di quella gita breve a Hogsmeade era proprio liberarsi di Lily per qualche attimo. La spedì dentro il negozio di piume e pergamene, con la scusa di comprargli qualche pergamena nuova. Poi, corse a perdifiato verso la posta, scansando la massa di gente lì presente. Sicuramente, Lily l’avrebbe voluto accompagnare in posta, tuttavia, se avesse visto il pacchetto, avrebbe voluto vederne anche il contenuto. Lily era così piena di entusiasmo e curiosità, verso qualsiasi cosa facesse lui. Si sentiva ... Amato, come nessuno l’aveva mai amato in vita sua. Sentiva di avere un debito enorme nei confronti della giovane, pertanto voleva farle un regalo davvero speciale. Ci aveva messo giorni e giorni per trovarne uno giusto, ma erano tutti troppo banali, un po’ scontati. Poi l’aveva trovato, nei meandri della sua memoria. Era un oggettino carino, appartenuto a sua madre, ma lei lo aveva regalato subito ad una delle sue sorelle, e la zia di Severus, peraltro una di quelle tra le più affettuose nei suoi confronti, l’aveva ceduto al caro nipote volentieri, congedandosi con una pergamena fitta di domande circa la “fortunata”. Chiaro che non poteva metterselo lui, un anello d’argento e giada e la zia aveva ben capito tutto. Non aveva ancora risposto alla parente premurosa e mentre ritirava il pacchetto, si ripromise di risponderle, chiedendole il massimo riserbo circa il suo legame con Lily.

 

“Ma proprio non mi vuoi dire che cosa c’è dentro quel pacchetto?” chiese Lily, incespicando ulteriormente nel cammino, aggrappandosi a Severus, che prontamente l’aiutò a recuperare l’equilibrio.

Sev fece finta di non aver capito.

“Quale pacchetto?” chiese con tono noncurante ed un’aria imperscrutabile.

Lily sbuffò e prese una manciata di neve e gliela lanciò addosso. Il bel manto lungo si sparse di macchie bianche e cristalline.

“Non fare lo stupido! Lo so che sei andato a ritirare qualcosa in posta”.

Sev rimase lì per lì turbato da quella palla di neve. Era stato colto di sorpresa, quindi prontamente prese tra i guanti una manciata di neve e la lanciò a Lily, che era corsa più avanti per preparare le sue munizioni. La mancò di striscio, ma il piccolo mucchio di neve passò sopra, disgregandosi nell’aria, e lasciando sulla chioma fulva un’impercettibile coltre argentea.

Lily cercò di correre più avanti, intanto che veniva raggiunta in poche falcate da Sev, che le lanciava neve su neve, senza pietà; incespicò e cadde a terra. Se camminare nella neve non era il suo forte, mettersi a correre era stata una pessima idea. Lily si mise a sedere sul manto un po’ ghiacciato, cercando di ricomporsi. Sev si accovacciò e raccolse pazientemente il contenuto del sacchetto, pulendolo accuratamente dalla neve, trattenendo a stento un risolino. 

“Che ti ridi, tesoro?” fece sarcastica Lily “Vuoi essere trasformato in un pupazzo di neve!?”. Era tornata un po’ a fare la spaccona, ma dentro di se non voleva essere così poco leggiadra e poco aggraziata nei movimenti, di fronte a Severus. Le guance erano in fiamme, perché si sentiva una perfetta imbranata. Però Sev amava quel modo di fare, così lontano dal suo. Era il suo sole, si avvicinò con gentilezza alla ragazza, si levò un guanto, e le diede una carezza sul viso gelido. La sua mano era calda, morbida rispetto a quel freddo gelido e tagliente. Si rimise il guanto e con entrambe le braccia, la sollevò e la tirò su, aiutandola a scuotersi di dosso la neve restante, dandole poi un bacetto a fior di labbra, rassicurante.

 

Voleva mostrarle una cosa, prima di tornare al castello. Era qualcosa a cui teneva moltissimo. Era un incantesimo molto potente, ci aveva messo qualche tempo prima di impararlo, ma non vedeva l’ora di insegnarlo a Lily. Non era ancora stato insegnato in classe, erano appena al quarto anno e serviva a difendersi contro i Dissennatori. Era l’Incanto Patronus. Non stava più nella pelle, voleva che la sua ragazza lo vedesse e potesse praticarlo anche lei. Era un’ottima maga, veramente promettente, imparava in fretta e si vedeva che aveva una marcia in più, rispetto a tanti altri. Severus era incredibilmente avanti rispetto a tutti gli altri, specie per il numero di incantesimi imparati e per la cura che metteva nel preparare le pozioni, ottimizzando e correggendo qualche passaggio nell’elaborazione. La ragazza a lezione lo guardava rapita, osservando i gesti delicati e rapidi del ragazzo, che si muoveva come se stesse compiendo un rito sacro. O meglio, sembrava un’artista, un pittore, che dipingeva la sua tela, ma prima, si apprestava a preparare i suoi colori sulla tavolozza. Era ... un’artista delle pozioni.

 

“Voglio mostrati una cosa, Lily” esordì Sev. Stava riprendendo a nevicare, dopo una breve tregua, il chiarore del cielo stava lasciando il posto al calare della sera. I fiocchi erano ancora fini, esili, impercettibili.

Lily si fermò incuriosita. 

“Fammi vedere!” disse speranzosa, sperando che alludesse al pacchetto.

Sev frugò nella tasca interna del mantello ed estrasse la sua bacchetta magica.

“Tira fuori anche la tua bacchetta, Lil’”.

Lily estrasse la sua bacchetta, perplessa. 

“E’ un incantesimo?” fece la ragazza, un po’ esitante.

Severus annuì e le disse: “Ho imparato l’Incanto Patronus”.

La giovane rimase a bocca aperta: era incredibile, era veramente complicato da imparare, ma come aveva fatto lui a farcela? Sentiva un irrefrenabile desiderio di vederlo eseguito e di impararlo a sua volta.

 

“Expecto Patronum!” esclamò Severus, agitando la propria bacchetta con gesti ampi e ben misurati. Una luce argentea uscì dalla punta della bacchetta, rischiarando l’ambiente circostante, dove stava calando rapida l’oscurità.

Quella massa argentea si plasmò e divenne una bellissima cerva. La cerva iniziò a correre nella neve, girando anche attorno alla coppia, un po’ a debita distanza, ancora un po’ diffidente. Sev rimase a guardarla, a studiarla concentrata. L’animale si avvicinò a Lily che, affascinata e stupefatta, allungò una mano verso la cerva, che scappò verso il bosco, saltando leggiadra, per poi dissolversi nella sera.

La giovane era ammutolita. Gli occhi scintillavano nel buio crescente, la bocca era lievemente dischiusa. Era senza parole.

“E ... L-la cerva ti protegge dal b-bacio dei Dissennatori, g-giusto?” chiese balbettando Lily.

“Certo, li manda via e si allontanano da te. E’ fondamentale per proteggersi da quelle creature orribili”.

Lily si girò, con un fuoco negli occhi che bruciava di curiosità e di passione.

“Insegnamelo, ti prego!” esclamò.

Sev si mise dietro a Lily e le prese la mano che reggeva la bacchetta. Le spiegò il movimento, guidandola prima, poi lasciandola fare in autonomia dopo. Volle accertarsi che imparasse alla perfezione il movimento, senza fretta. Era molto preciso su queste cose.

Lily era un’allieva molto rapida e attenta, non fu molto difficile apprendere le giuste movenze da fare. La parte più difficile doveva arrivare.

“Dunque, la formula è .... Expecto Patrono?” chiese Lily, con la bacchetta ben puntata verso il bosco.

“Expecto Patronum” la corresse con gentilezza Sev.

“Ma, aspetta un attimo. Il tuo Patronum ha la forma di una cerva: e il mio, sarà diverso, giusto?”.

“Certo. Dipende da persona a persona. Ora ascoltami bene: per evocarlo, non basta che tu reciti la formula magica. Devi pensare ad un ricordo bellissimo della tua vita e concentrarti su di esso. Solo quello evocherà il tuo animale protettore e scaccerà i Dissennatori, che sono senza sentimenti e senza cuore”.

Lily si appoggiò un attimo la bacchetta sulle labbra. Era un suo gesto tipico, quando pensava o si concentrava. Stava pensando ad un ricordo felice. Però ne aveva un po’ tanti e si sovrapponevano tutti l’uno sopra l’altro.

Pensò prima al giorno in cui aveva conosciuto Severus e le aveva detto di possedere poteri magici.

“Expecto Patronus!” esclamò in un lampo, ripetendo bene il movimento precedentemente appreso. Aveva sbagliato la formula, quindi la concentrazione sul ricordo svanì. Lily sbuffò.

“Scusa Sev, non ti voglio far congelare qui, perdonami, adesso lo faccio giusto” si scusò la ragazza, voltandosi verso il ragazzo, che le era rimasto dietro, poco distante.

“Stai tranquilla Lily, vedrai che il prossimo ti verrà bene”.

Lily respirò a fondo, pensò di nuovo a quel ricordo. Nel momento in cui si concentrò ed esclamò “Expecto Patronum!” quel ricordo venne offuscato dall’immagine della sorella che le dava della pazza. Uscì qualche scintilla argentea e poco più. Forse ne doveva scegliere un altro.

Ci riprovò un paio di volte. Nulla da fare.

“Mi dispiace Sev, non ci riesco, non so perché!” disse desolata la ragazza. Sev tornò dietro di lei e le prese ancora una volta la mano nella sua, per guidarla nel movimento.

“E’ ... Difficile le prime volte, ci ho messo parecchio tempo per impararlo. E’ dura coordinare la mente e i movimenti del corpo e rimanere concentrati sul proprio ricordo. Ti aiuto io”. E le diede un bacio sulla guancia, d’incoraggiamento. Lily si sciolse. 

 

Pensò alla sera fresca irlandese, alle candele, ai fuochi. Agli occhi di Sev che l’avevano profondamente turbata. Al momento in cui si erano avvicinati e baciati; il momento in cui aveva chiuso gli occhi e il mondo era scivolato via, distante e remoto, sentendo solo le labbra di Sev e tutto il suo essere. 

 

“Expecto Patronum!” 

Questa volta schizzò fuori dalla bacchetta una palla argentea, con una forza tale da far cadere a terra i due ragazzi, che sprofondarono nella neve soffice e fresca che cadeva con fiocchi sempre più spessi. Ma Lily non staccò gli occhi dalla sua creatura, ansiosa di vedere che forma avrebbe preso. Ce l’aveva fatta! Il cuore batteva forte, era in giubilo. Tremava per l’emozione.

Severus la guardò con un sorriso enorme sul volto. L’abbracciò forte, schioccandole un forte bacio sulla guancia, osservando anche lui impaziente il Patronus di Lily.

Lily lasciò un gridolino di stupore, Sev ammutolì, guardando con occhi sbarrati la creatura appena formatasi.

Era una cerva. Proprio come la sua cerva. Una bella, slanciata, elegantissima cerva, che zampettava dapprima timorosa, poi con più vigore. Si voltò verso i due. 

“Vieni, vieni ....” sussurrò Lily, come se stesse parlando ad un animale vero, a tutti gli effetti. La cerva avanzò, esitante. La sua padrona si allungò verso di lei, ipnotizzata da quel scintillio argenteo. Sembrò arrivare a toccarle il musetto, ad accarezzarglielo con affetto. Svanì, lasciando per l’aria sempre più fredda una nebbiolina argentea lievissima.

Lily si voltò e quasi strozzò in un abbraccio vigoroso il suo ragazzo. Lo riempì convulsamente di baci sul volto, estasiata per essere riuscita ad evocare un Patronus. D’altronde, lui era la fonte alla base del suo ricordo che le aveva permesso di compiere quella magia.

Severus ancora non parlava, con gli occhi sgranati continuava a fissare la piccola nube d’argento rimasta, e si lasciava sbaciucchiare da Lily, inebetito.

“Lo stesso Patronus” mormorò.

La ragazza sembrava felicissima di quell’avvenimento e continuava a tenere stretto a sé l’amato. Lentamente, si ricompose e tornò in sé, con una felicità indescrivibile nel cuore. Il legame di Lily e Severus era sempre più profondo e il fatto di avere lo stesso Patronus ... Insomma, Severus non credeva nel destino da accettare e da subire. Credeva nei sentimenti, in quell’alchimia perfetta che regge il mondo, l’anima del mondo. E Lily e Sev stavano lentamente raggiungendo la formula perfetta, o quasi. Tutto con le loro forze ed i loro cuori tumultuosi d’adolescenti.

Rimasero ancora un attimo seduti a guardare le ultime tracce argentee, tra i fiocchi che coprivano i loro mantelli sempre più insistentemente. 

“La mia cerva ti proteggerà, in qualsiasi momento di difficoltà. Ovunque tu sia, lei ti proteggerà ... ... Sempre.” disse lentamente Lily, al suo orecchio, sfiorando con le labbra gelide e congelate l’orecchio del ragazzo. Era la sua promessa.

 

Sev la guardò con un sorriso e le lacrime gli rigavano il volto.

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Capitolo 8
*** The Edge Of Glory ***


8.

The Edge Of Glory

 

"You must accept it as it is, and hence accept all consequences. A wall is indeed a wall." Fëdor Dostoevskij

Dicembre avanzava lento e cupo, con i suoi pomeriggi oscuri interminabili, buoni da passare o in biblioteca a studiare tra tomi di svariate proporzioni e tra scaffali dalla vertiginosa altezza, o nel salotto di ciascuna delle quattro case della Scuola di Magia e di Stregoneria di Hogwarts, accovacciati pigramente su un comodo divano, accompagnati dallo scoppiettare del fuoco nel grosso camino. Talvolta, qualche studente con origini babbane portava il giradischi da casa propria, sperando di non romperlo o di danneggiarlo: nessuna Maledizione senza Perdono sarebbe stata abbastanza per placare l’ira dei genitori sventurati e privati del proprio costoso apparecchio, e portavano qualche vinile da ascoltare in compagnia. C’erano studenti che avevano la passione per la musica classica, per i compositori dai nomi impronunciabili e contorti - almeno, Lily aveva grosse difficoltà a pronunciare certi nomi impossibili. Altri studenti amavano il jazz e lo swing, e si divertivano a ballare sulle quelle note raffinate ed eleganti, talvolta accompagnati da voci sensuali e profonde. Lily portava sempre con sé, senza poter evitare un litigio ogni anno con Petunia, qualche vinile dei The Beatles, i suoi artisti preferiti in assoluto. Poi, aveva comprato di nascosto un paio di LP di una band che veniva considerata un po’ troppo irriverente dai suoi genitori, ed immancabilmente da sua sorella, che trovava delizioso il momento in cui poteva dar contro ai gusti della sorella più giovane. Erano i The Who e Lily era rimasta colpita da una loro canzone che portava il suo nome, “Pictures Of Lily”. L’ascoltava molto spesso e la canticchiava quando era di buonumore. Poi, c’erano i ragazzi del sesto o del settimo anno che portavano dischi che non facevano nemmeno ascoltare ai ragazzi più piccoli: non erano adatti a loro. Per Lily, erano fuori portata i dischi di tale Janis Joplin, o dei Deep Purple, o di quegli strani Pink Floyd. Ma bramava di poterli ascoltare un giorno, prendendoseli con la sana furbizia da adolescente o con la magia, molto più semplicemente. Che le piacessero o meno, aveva la curiosità di capire perché lei non potesse avere accesso al loro materiale. Provava un bizzarro piacere nell’ascoltare musica imprevedibile e poco raccomandata dai genitori, sentiva un brivido lungo la schiena che sapeva tutto di libertà. Era, nel suo piccolo, padrona della sua vita. Piccole soddisfazioni da quattordicenne che muoveva i primi passi in un mondo complicato.

 

Le note dolci e misurate di “Let It Be” scemavano nella sera, con un gracchiare rassicurante. Lily, nel frattempo, si stava preparando per andare al dopocena classico organizzato dal Professor Lumacorno, insegnante di Pozioni ad Hogwarts, nonché Direttore dei Serpeverde. Questo affabile uomo grassoccio amava molto circondarsi di persone di alto livello, in tutti i sensi: a partire dai figli di maghi potenti, ai giovani studenti che, grazie alle loro eccellenti capacità ed al loro ottimo rendimento scolastico, parevano promettere una luminosa ed onorata carriera nel mondo della magia. Ovviamente, il gentile Professore, in virtù di questo, aveva molto da guadagnare: regali, piccoli vizi perennemente soddisfatti, qualche capriccio personale esaudito. Non smentiva la sua natura di Serpeverde con questo amore per il potere da indossare alla stessa maniera in cui una signora ricca e perbene porta una pelliccia. Lily e Severus, per le loro doti straordinarie di pozionisti, erano chiaramente invitati una sera a settimana nello studio dell’arzillo Professore, che faceva servire cene raffinatissime, invitando i giovani convitati a parlare delle proprie passioni o della propria vita; altre volte, invitava qualche ex-allievo o qualche personaggio molto influente, pronto ad affascinare i ragazzi con il proprio charme o carisma, talvolta sensuale e magnetico come un profumo esotico e prezioso. 

 

Quella sera avrebbe avuto luogo molto semplicemente un innocente dopocena, con la solita luculliana quantità di dolci e di prelibatezze d’alta pasticceria, alle quali Lily non sapeva dire di no, in nessun modo. Delle volte, chiedeva l’aiuto di Sev, che le toglieva il piatto da sotto il naso, non capendo perché Lily si comportasse così. Aveva un po’ di complessi, esagerava, come tutte le ragazze che crescono e che non vogliono sfigurare di fronte al proprio amato. Il Professor Lumacorno, di fronte a quella scenetta tenera e ricorrente, rideva bonario e offriva nuovamente alla sua studentessa una porzione di tiramisù all’ananas. 

 

Si sistemò la gonna scura e il maglione grigio chiaro a collo alto. Lily si guardò allo specchio, ravvivandosi i capelli mossi e ribelli e non poté fare a meno di notare che il maglione ... La stringeva un pochino sul petto. Un improvviso rossore si impadronì delle sue guance, spingendo le sue mani a sistemare per riflesso il maglioncino, tirandolo un po’ qua e un po’ là, sperando si allargasse a sufficienza. Inutile, non poteva usare la magia contro il corpo che prendeva forma e sbocciava giorno dopo giorno. Le alunne più grandi sembravano sentirsi a loro agio con il loro corpo più adulto, soprattutto di fronte ai ragazzi. Lei no. Aveva l’impressione di avere gli occhi di tutti i ragazzi addosso e tutti calamitati sulle parti che destano attenzione. Non che degli altri ragazzi gliene importasse molto, ma era un’ipotetica occhiata di Sev a farle girare la testa. 

 

Non era più una bambina, doveva accettarlo serenamente.

 

Era successo di ritorno dall’Irlanda, Lily non si era sentita troppo bene. Aveva continui crampi al ventre, si sentiva un po’ di malumore, nervosa. Stava preparando i vestiti ed i libri da riporre nel baule per il suo quarto anno ad Hogwarts, ma aveva un po’ la testa altrove, preoccupata e presa da quel suo lieve malessere. Aveva cercato nei suoi libri, aveva cercato ovunque, in qualsiasi articolo delle riviste per signore di sua mamma, conservate in un cassetto del suo comodino. Niente, non c’era traccia di quella malattia. Non capiva che cosa avesse, sembrava qualcosa di raro. Non aveva molto appetito, si sentiva gonfia e dolorante. Era incredibilmente spaventata. No, decisamente, qualcosa non andava.

 

Un pomeriggio d’improvviso, era corsa da sua madre, piangendo, pensando che sarebbe morta da un momento all’altro, perché il suo corpo si stava ribellando. Pensava a qualche maledizione, a qualche pozione maledetta preparata male qualche giorno prima ed ingerita per capire se fosse buona. Sua madre, ridendo, l’aveva accolta in un abbraccio, rassicurandola, spiegandole che era tutto normale quello che le stava accadendo. Le asciugò le lacrime con il suo suo solito fazzoletto ben ricamato e le spiegò con la maggior delicatezza possibile, e con un filo di emozione nella sua voce, che cosa sarebbe successo di lì in avanti nel suo corpo. Ovviamente, non le disse proprio tutto, evitando argomenti che la buona educazione riteneva poco opportuni, ma che Lily avrebbe scoperto in autonomia qualche tempo dopo, grazie al suo animo curioso ed intraprendente. La Lily bambina era cresciuta, era arrivato il suo turno, esattamente com’era successo a Petunia qualche anno prima di lei. La signora Evans non aveva più due bambine, ma due “signorine”, come si diceva in quegli anni. Lily odiava essere chiamata “signorinella” o “signorina”. Lei era Lily e basta.

 

Sospirò.

 

Tolse il vinile e lo ripose con cura nella sua custodia e si avviò verso l’uscita dal dormitorio e dalla sala comune di Grifondoro. Salutò il fantasma Nick-Quasi-Senza-Testa, che s’inchinò con garbo, e salutò la guardiana della sua casa, la Signora Grassa. E poi trovò lui, che l’aspettava, in cima alle scale. Era vestito tutto di nero, con un maglione a collo alto anche lui. L’accolse con un sorriso e si chinò a baciarla delicatamente. La ragazza pensava che il suo corpo si sarebbe almeno degnato di crescere un po’ di più in altezza, dall’inizio dello sviluppo, ma rimaneva sempre piuttosto bassa rispetto al fidanzato.

“Pronta a strafogarti di dolci?” la canzonò il ragazzo, mentre scendevano le scale.

Il volto della ragazza si contrasse in una smorfia.

“Bleah, stavolta prometto solennemente di trattenermi. Altrimenti, diventerò enorme”.

Severus scoppiò a ridere fragorosamente. Lily diceva sempre così, per poi darla sempre vinta alla gola. Il ragazzo non ci trovava nulla di male nell’avere una passione per i dolci, benché lui non li amasse troppo, e l’amata tendeva come al solito ad esagerare, per spingerlo a dirle una frase confortante. Piuttosto che sembrare ovvio e banale come tutti gli altri, preferì ridere di gusto e prendersi una gentile gomitata dalla sua ragazza, che lo guardò in malo modo, nella sua solita maniera poco convincente, quando si trattava di Severus.

 

La serata si svolse nella solita piacevole maniera. Il Professor Lumacorno aveva accolto con caloroso entusiasmo la coppia, specie la “cara Lily Evans”, per la quale aveva un’ammirazione neanche troppo velata, per le sue abilità di maga e di pozionista. Per quanto riguardava Severus, il professore presagiva un grandissimo futuro nel mondo della magia, essendo uno dei più grandi maghi che lui avesse mai visto all’opera, quasi più potente di Albus Silente o del leggendario ed oscuro Gellert Grindelwald. Amava ripetere questa frase spesso e con orgoglio, ma Sev abbassava la testa, timidamente, e mormorava qualche parola di ringraziamento. Lily sentiva l’orgoglio sbocciarle nel cuore, ogni volta che sentiva quella frase, e si ritrovava a sorridere involontariamente. E, come in ogni dopocena nel Luma Club, finì per ritrovarsi in mano un piatto con una golosa fetta di Sacher. Severus prese solo dei raffinati biscotti, accompagnati da un tè scuro, una delle sue bevande preferite. Lumacorno gli mise una mano sulla spalla e si lanciò in una lunga quanto interessante spiegazione circa le varietà di tè, il trattamento di ogni singola pianta, il fiore di quel tè nero indiano. Sev ascoltava attento, guardandolo negli occhi ed annuendo di tanto in tanto. Lily, nel frattempo, osservava curiosa lo studio del proprio insegnante e cercava di attaccare bottone con qualche ragazza del gruppo, magari qualcuna appartenente a Corvonero od a Tassorosso, ma c’erano anche un paio di ragazze Serpeverde assolutamente normali, forse erano un po’ più schive e timide delle altre, ma non avevano il modo di fare altezzoso della famiglia Black, o di quella Lestrange.

Prendendo una coppa di profiteroles al cioccolato bianco, con scaglie di cioccolato scuro ed amaro, Lily osservava che il Professore era ricolmo di foto di ex-alunni, diventati poi personaggi famosi od influenti, con tanto di dedica all’uomo. Una cantante d’opera, svariati scrittori o giornalisti, ragazzi e ragazze diventati pedine fondamentali al Ministero della Magia. Vi erano anche oggetti pregiati riposti in una bacheca: vetri lavorati e colorati, sicuramente al tocco fragilissimi, cassette in legno scuro che sembravano rinchiudere chissà quale polvere o rimedio particolare; qualche strumento da lavoro tempestato di pietre preziose. Non si faceva mancare proprio nulla, osservò Lily, rapita da quell’angolo di sfarzo e di lusso.

L’anziano insegnante fece tintinnare il proprio cucchiaio contro la coppa di vetro, e i pochi ragazzi presenti ammutolirono, voltandosi verso l’uomo. Lumacorno richiese la loro attenzione e Lily si andò a sedere accanto a Sev, che stava scambiando qualche parola con un ragazzo più piccolo, un neofita del Luma Club. Gli passò una mano sui capelli e glieli scarruffò affettuosamente, segnalando così la sua presenza accanto a lui.

“Cari ragazze e ragazzi, come ogni anno il Natale è alle porte. E la nostra piccola festa di Natale non può di certo mancare. Siete come sempre tutti invitati, e sarà mia cura personale invitare qualche ex-alunno di Hogwarts ed ex-membro del nostro piccolo club. Potrete portare il cavaliere o la dama che più vi aggrada e vi aspetto numerosi. Sarà il nostro modo educato e perbene di scambiarci gli auguri di Natale”.

Lily e Sev si guardarono con un’espressione eloquente: i due migliori studenti di Lumacorno non potevano di certo mancare alla festicciola di Natale.

 

La bellezza della gioventù, la spensieratezza e l’effervescenza dell’adolescenza diventava uno spettacolo imperdibile, quando ci si trovava di fronte ad un evento tanto effimero come una lussuosa festa di Natale. Le ragazze correvano a rovistare nei loro bauli in cerca dei vestiti migliori per quel giorno, sceglievano un abito, per poi cambiare idea qualche ora dopo ed andare in profonde crisi di panico. Pergamene febbrili partivano in direzione delle proprie madri o delle sorelle maggiori, in cerca di qualche consiglio di bellezza, e nel weekend gruppi di ragazzine partivano alla volta di Hogsmeade, per vedere di trovare l’agognato abito da festa, o le scarpe che avrebbero fatto parlare per giorni le altre fanciulle. Il tutto avveniva senza avere la matematica certezza di essere invitate, ma poco importava. L’attesa spasmodica di un invito poteva diventare una guerra, man mano che ci si avvicinava al grande evento. Più ragazze speravano nell’invito di uno dei fortunati membri del Luma Club. E viceversa, qualche ragazzo coraggioso chiedeva ad un’alunna appartenente al circolo, di potersi infilare al ballo. Queste scene si ripetevano a pranzo, a cena, a colazione e persino durante le lezioni od agli allenamenti di Quidditch. La magia, in questo meraviglioso spaccato di vita quotidiana, diventava un mero accessorio, un ornamento in uno spettacolo chiamato umanità.

La mattina immediatamente seguente, Lily scrisse alla madre di inviarle quell’abito verde brillante che aveva comprato la scorsa primavera. Anche lei diventava un po’ civettuola in occasioni simili, e nutriva il comprensibile desiderio di stregare Severus, una volta di più. Mentre risistemava i vestiti nel baule, riguardò per l’ennesima volta il regalo che gli aveva preso per Natale, o meglio, i regali. Sorrise tra sé e sé, richiudendo il baule, e prese a cantare contenta, intanto che si avviava a fare colazione con le sue migliori amiche, Mary ed Emmeline. Di solito, faceva la strada con Sev, che si faceva trovare lungo il percorso: era la loro piccola abitudine, un rito mattutino, quello di camminare assieme, scambiandosi qualche bacio e qualche timida carezza. Altre volte capitava di non trovarsi al mattino, allora rimandavano tutto dopo la colazione, prima di andare alle rispettive lezioni. Quella mattina, Lily aveva tanta voglia di salutarlo prima di mangiare, e le dispiacque un poco non poterlo fare.

 

“E quindi tu sei già sistemata per la festa del Luma Club?” chiese eccitata Emmeline alla ragazza dai capelli rossi, che si stava accomodando al grosso e lungo tavolo Grifondoro, sistemando con cura la borsa dei libri a terra. C’era un piacevole chiacchiericcio mattutino in tutto il salone.

Mary la guardò storta e rispose con aria di sufficienza: “Emmeline, diamine, lo sai che Lily sta assieme a Severus Piton da .... Da quanto Lily?”

“Dallo scorso Agosto” rispose tranquilla. Lily si servì di una porzione abbondante di cereali da mettere nel latte, intanto scrutava attenta il tavolo dei Serpeverde, cercando il suo ragazzo. Era seduto rivolto verso i Grifondoro, pertanto i loro sguardi si incrociarono e si sorrisero. Sev con la mano fece segno alla ragazza che si sarebbero visti più tardi. Il sorriso di Lily divenne ancora più luminoso.

Mary, dai capelli mori e lo sguardo deciso, sbuffò, rivolgendo gli occhi al cielo: “Lil’, sei patetica e zuccherosa”. Lily le fece la linguaccia e mangiò in silenzio i suoi cereali.

Emmeline invece era tutta sognante, e gli occhioni blu erano colmi di gioia, ma anche di innocente invidia: “Sei fortunata, hai un ragazzo che ti adora” sospirò, cercando di mettere con difficoltà la marmellata sul pane. Era una ragazza che viveva in un mondo tutto suo, e quando era colta da attacchi di stucchevole romanticheria, combinava piccoli disastri.

Lily arrossì e non era mai riuscita a rispondere a certi complimenti, per cui cercò con ostinazione la brocca con il succo d’arancia. Non c’era. Eppure l’aveva vista qualche attimo fa accanto a sé.

“Uhm, ragazze, dov’è finito il succo d’arancia? L’avevo qua di fianco un attimo fa” chiese Lily.

Emmeline si ricompose e ripulì il pasticcio che aveva combinato con il suo cibo, mentre Mary si guardava attorno, e la sua faccia divenne terribilmente scocciata.

“Potter” disse, con una punta di disgusto.

Lily si girò e il buonumore di fronte a James Potter svanì all’istante. Era un Grifondoro loro coetaneo. Arrogante, irriverente, senza il minimo amore e rispetto per le lezioni e gli insegnamenti, finiva spesso in punizione perché non aveva niente di meglio da fare che disturbare gli altri studenti a suon di incantesimi e burle. Non era mai da solo, aveva altri tre compagni di scorribande: Remus Lupin, Peter Minus e l’affascinante Sirius Black. Erano le sue ombre, che si premuravano di proteggere le sue terga in caso di guai. Si sentiva affascinante e coraggioso, ma agli occhi di Lily e delle sue amiche rimaneva uno spaccone di infima categoria. Non ultimo, Lily non li sopportava perché ce l’avevano particolarmente con Severus e più di una volta avevano rischiato di fargli seriamente del male.

“Mia cara Evans, cercavi il succo di frutta?” fece con tono mellifluo il ragazzetto, non troppo alto, con gli occhiali e gli occhi chiari. Era in piedi, poco più avanti di lei: sicuramente aveva chiamato a sé la brocca con il solito incantesimo.

Lily si alzò e si diresse verso il giovane e disse imperiosa: “Cortesemente, mi ridaresti il succo di frutta?”. Gli tese la mano spazientita.

“Ma sentitela quant’è educata ‘cortesemente’, ora dice” la scimmiottò il bel Sirius, seduto al tavolo con la sua ricca colazione. Lily gli lanciò un’occhiata di fuoco sprezzante.

“Almeno io, a differenza tua, sono ben educata. Tu avresti seriamente bisogno di un bel corso di buone maniere e mi sembra strano che la tua nobile famiglia non te ne abbia mai fatto fare uno”. Era stata dura, ma aveva colpito, volutamente, un tasto dolente, per metterlo a tacere. Odiava quando quel quartetto faceva fronte comune contro una persona sola, lo trovava da vigliacchi.

James continuava a reggere in mano la brocca e la guardò con aria di sfida.

“Certo Evans, avrai la tua bella brocca, solo se accetterai di uscire con me”.

Lily inarcò un sopracciglio e rispose seccamente: “No”.

Qualcuno iniziava a guardare quel piccolo scontro con interesse, specie le ragazze di ogni casa mal vessate da quei quattro ragazzi terribili.

La ragazza ripeté lentamente: “James Potter, io non uscirò con te, né ora, né mai”. Con poco sforzo, prese il suo succo di frutta. Ma era certa che Potter sarebbe partito al contrattacco.

“Che cos’ho di meno rispetto a Mocciosus? Io almeno sono più bello e non ho i capelli neri lunghi e unti” fece sarcastico. 

“Severus, e non Mocciosus, ha un gran cervello, ecco cos’ha: tu e i tuoi tre lustrascarpe non ne fate nemmeno uno messi assieme” rispose pronta Lily, suscitando l’ilarità degli altri Grifondoro.

Lily non voleva rispondere alle provocazioni, specie se si trattava di Severus, pertanto girò su se stessa e prese il proprio bicchiere e se lo riempì rimanendo in piedi, attenta a quello che stavano dicendo. Erano rimasti lì in silenzio, un po’ frastornati da quella sconfitta: l’ambita Lily Evans continuava a dare picche al Malandrino Potter.

“Non so come faccia a stare con quel Mocciosus, la Evans, razza di smorfiosetta” disse arrabbiato Potter, visibilmente scuro in volto, per l’ennesimo no ricevuto. Gli altri tre ridacchiavano e mormoravano cose inintelligibili. 

“Davvero non capisco, quel ragazzo è veramente insulso. Sembra un morto che cammina. A momenti mi chiedo se respira. Gli farà la respirazione bocca a bocca per farlo stare in piedi?”. Sirius scoppiò a ridere un po’ troppo forte.

Per Lily era troppo.

Severus non era un essere insulso.

Respirava, parlava, rideva e giocava, con lei, con lei sola, unica custode del suo cuore.

Non era un morto. Lily odiava i paragoni con la morte. Severus era il suo ragazzo ed era più vivo che mai.

Riempì con una parola magica la brocca, nuovamente con del succo particolarmente ghiacciato, e si avvicinò nuovamente ai quattro con un sorrisetto affabile.

“Potter” fece lei aridamente “Girati”.

Potter si girò ma non fece in tempo a voltarsi che venne investito da un’ondata ghiacciata di succo d’arancia, che volò anche addosso a Sirius, seduto di fianco a lui. Sirius si alzò in piedi per difendere James, ma Lily fu pronta ed in poco tempo lanciò sul tavolo la brocca, che rotolò facendo un frastuono enorme, estrasse la bacchetta con una mano, e con l’altra prese per i capelli il povero Potter.

“State tutti fermi o ve ne pentirete amaramente. TUTTI, TUTTI E QUATTRO” sibilò furiosa la ragazza, spingendo la faccia del povero James nella ciotola con il latte ed i cereali. L’ilarità esplose feroce in tutti e quattro i tavoli, alcuni applaudirono giubilanti e Severus allarmato si alzò in piedi di scatto. Aveva assistito alla scena, ma non avrebbe mai pensato che Lily avrebbe reagito così. Si sentiva preoccupato ed allo stesso tempo piacevolmente colpito. Quella ragazza aveva mille sorprese. Ed era la sua ragazza.

“James Potter, razza di cretino ambulante. Io, Lily Evans, non uscirò mai e poi mai e ancora mai con te, finché sarò in vita e fintanto che avrò un cervello funzionante. Se non ti è chiaro il concetto, posso fare in modo che sia ancora più chiaro” e spinse con piacere crudele la testa dello sventurato ancora più a fondo della ciotola. Lo mollò e lo lasciò andare e James Potter aveva un’espressione alquanto terrorizzata in volto. Peter Minus, piccolo, nervoso, rise istericamente.

Lily puntò la bacchetta verso il ragazzetto: “Tu non ridere o ti faccio sparire dalla faccia della terra, pezzo d’idiota. Siete voi ... Siete voi gli insulsi. E questa vostra uscita me la pagherete in eterno”. Detto questo, tornò a fare colazione, ed un tripudio di applausi si levò nella sala, acclamando Lily Evans, la guerriera Grifondoro contro i Quattro Malandrini. Per un po’, sarebbero rimasti tranquilli, quei quattro.

Severus scoppiò a ridere in una risata liberatoria, applaudendo con vigore e urlando il nome di Lily assieme agli altri. Si sentiva in parte vendicato.

Si sedette a terminare il suo piccolo pasto con un sorriso mai visto prima dagli altri Serpeverde. Un ragazzetto timoroso gli chiese: “Ma la conosci quella tipa per essere così contento?”.

Sev rispose senza indugi, destando un po’ di sorpresa: “Si, è la mia ragazza ... E sono dannatamente fiero di lei”.

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Capitolo 9
*** Let Them Talk ***


9.

Let Them Talk

 

We cannot control the evil tongues of others; but a good life enables us to disregard them”. Cato the Elder

Quell’irritante mal di gola non dava pace a Sev, nemmeno nella sera della festa di Natale indetta da Lumacorno. Quei quattro Maladrini avevano proprio sbagliato giorno ed occasione in cui confondere la preparazione della Pozione dell’Euforia. Non contenti, l’avevano fatta provare a tutti gli studenti, sotto suggerimento del Professore Lumacorno, totalmente perso nello spirito natalizio. Era una pozione alquanto complicata da preparare e sarebbe bastato un errore solo per causare un disastro di proporzioni epiche. Un vecchio adagio recitava che se le cose possono andare male, la certezza è che possono pure andare peggio, e così era stato. Quegli scapestrati avevano non solo sbagliato il preparato, ma l’avevano fatto provare a tutti, diffondendo l’effetto collaterale ai presenti.

 

Così, qualche decina di ragazzi tra Serpeverde e Grifondoro, compresi Lily e Severus, si erano ritrovati a cantare ogniqualvolta volessero aprire bocca, e avrebbero dovuto aspettare in silenzio che passasse il fastidioso effetto. Certo, il buonsenso suggeriva di comportarsi in questa maniera civile, ma quel concetto era piuttosto ignoto ai quattro esagitati, che avevano sfoggiato tutte le loro mediocri doti canore per l’intero pomeriggio, irridendo e disturbando innocenti ragazze, istigando altri Serpeverde a rispondere ai motteggi cantati. E così si era scatenata una guerra canora insopportabile. I poveri professori erano stati costretti a munirsi di speciali protezioni per le orecchie, perché talvolta il frastuono superava ogni umana sopportazione, arrivando esasperati a togliere punti su punti ad entrambe le case. Ma chi aveva dovuto subire in maniera peggiore quell’anarchia di voci, nella varietà più ricca, che andava dal molto stonato al celestiale, era stata l’inossidabile infermiera di Hogwarts, Madama Chips. La donna, con pazienza e rigore, aveva messo in fila tutti, intimando gli studenti a non fiatare minimamente, pardon, a non azzardarsi a cantare. La pena poteva essere una punizione molto severa, sebbene non ne fosse stata rivelata la natura. Lily, contravvenendo quella minaccia, si mise a canticchiare sommessamente una canzone di una cantante francese che piaceva tanto a sua madre, Edith Piaf, inventandosi un po’ le parole, perché non parlava quella lingua. Però aveva voglia di cantare quelle strofe dolcissime in quel momento unico, dove aveva in dono una voce tutto sommato gradevole, che le permetteva di cantare fino a perdere il respiro e la voce. I due ragazzi, dopo aver preso la loro dose di pozione calmante, si erano avviati a prepararsi per la serata speciale.

 

Severus camminava nervosamente ai piedi della scalinata che li avrebbe condotti alla festa. I medicamenti della buona infermiera avevano solamente alleviato e calmato la gola in fiamme per poco, facendogli tornare gradualmente la voce. Il dolore di tanto in tanto tornava alla carica. Si sistemò un po’ nervoso il dolcevita di lana nero e morbido e controllò di avere la giacca abbinata in ordine. Non era sua, era stato un gentile prestito di un Serpeverde del sesto anno, nel tentativo di sdebitarsi per l’aiuto che Severus gli aveva dato in alcune pozioni elaborate. Quello studente si sentiva in imbarazzo nell’essere aiutato da un mago più piccolo di lui e doveva pur ripagarlo in qualche modo. Quella sera, il ragazzo non voleva sfigurare di fronte a Lily in nessun modo e quella giacca si era rivelata provvidenziale. Aspettava la sua Lily, sentendosi curioso, lievemente nervoso, con quel turbamento dolce che ti fa sentire un caldo terribile anche in pieno inverno.

 

Severus provava ad immaginarsi come si sarebbe vestita la sua ragazza, come gli sarebbe apparsa davanti. No, leggere la mente non serviva a nulla. Oltretutto, la magia avrebbe tolto tutto il fascino della sorpresa, del rimanere a bocca aperta di fronte alla persona che ami. Per una volta, desiderava sentirsi un ragazzo normale, che non usa la magia, ma aspetta, appoggiato al muro, guardandosi attorno, trovando qualcosa per ammazzare il tempo. Iniziavano a passargli davanti dei ragazzi Serpeverde con le loro dame di compagnia e lo salutarono. Lui rispose con un timido cenno del capo. Per un attimo, una voce carica di acido e di cattiveria si fece strada nella sua mente: e se Lily non fosse più arrivata? Se l’avesse lasciato lì, perché aveva cambiato idea tutto un tratto? Se non avesse più desiderato la sua compagnia?

Severus scosse il capo per scacciare quei pensieri indesiderati. La sua ragazza non era fatta così, non era una delle tante smorfiose lunatiche che incontravi in giro per la scuola. Soprattutto, come poteva la sua ragazza, amante dei dolci, non venire a quella festa? Era semplicemente paura. A volte la paura di perderla gli attanagliava il cuore. Davanti ai suoi occhi si vedeva senza di lei, senza il profumo garbato e delicato che avvertiva ogni volta che l’aveva tra le sue braccia, senza la sua risata limpida come un cielo estivo. Il mago chiudeva la mente di fronte a quei timori e non li lasciava trasparire, non voleva farsi travolgere da stupide paure.

 

“Sev! Eccomi qua, perdonami il ritardo!”.

 

Quella voce, fin troppo nota, lo riscosse e lo riportò felicemente alla vita, alla realtà. Si voltò e pensò di aver avuto un’allucinazione. Era davvero Lily, la sua ragazza, quella che aveva davanti? 

 

La giovane era vestita di un bellissimo abito verde brillante, molto semplice, lungo fino alle ginocchia, dalle linee pulite e senza scollature particolari, non adatte alla sua giovane età. La gonna aveva qualche piega, che esaltava il tessuto lucente e prezioso. Le spalle rimanevano nude, attraversate solo dalle spalline alquanto sottili; data la stagione, Lily aveva deciso di coprirsi almeno per la prima parte della serata con un mantello argentato, leggero e brillante. Le scarpe, basse e semplici, erano dello stesso colore del mantello. Nessuno avrebbe mai detto che la ragazza appartenesse ai Grifondoro, quanto ai Serpeverde, per i colori scelti. Ma la cosa più sorprendente di tutte, erano i meravigliosi capelli di Lily. Per la prima volta in vita sua, Severus la vedeva con i capelli lisci. Di norma, erano mossi, ribelli, indisciplinati, di buona lunghezza. Ma quella sera, erano una cascata color rubino, piatta e liscia. Erano molto più lunghi del solito, brillanti e setosi. Appena Lily si avvicinò per salutare il proprio ragazzo, Sev le prese tra le mani una ciocca e ci lasciò scorrere le dita, senza aver ancora proferito parola. La guardò negli occhi intensamente, con uno sguardo che esprimeva amore e meraviglia. Lily rise e gli gettò le braccia al collo.

“Allora ti piaccio stasera?” gli chiese, contenta di averlo lasciato senza parole.

Sev fece per dire qualcosa, ma tossì con forza. Maledetto mal di gola, ancora una volta.

“Lily, sei bellissima. Anche a costo di essere monotono e prevedibile”. Iniziarono a salire la piccola scalinata, mano nella mano.

La giovane si fermò un attimo e squadrò il proprio ragazzo, con sguardo attento, ma rapito nei confronti del giovane vestito tutto di nero.

“Ti trovo veramente carino” fece lei, schiarendosi la voce. Il volto era luminoso e felice, con gli occhi verdi che lo fissavano magnetico. Quello sguardo il ragazzo lo conosceva bene. Era quello che aveva poco prima che la baciasse la prima volta, era quello che aveva quando stavano tranquilli in solitudine a scambiarsi qualche effusione, stando ben attenti a non farsi scoprire. Proprio quello sguardo che nelle ultime settimane si era illuminato di una leggera irriverenza.

E con quella stessa irriverenza, mista al suo spirito giocoso e ancora un po’ bambino, Lily lo afferrò e in un lampo appoggiò le proprie labbra sulle sue. Fu un attimo, e lui non ci capì più nulla. Amava la sua irruenza innocente. La rendeva irresistibile.

“Lo sai che toglieranno dieci punti a Grifondoro per quest’audacità, signorina Evans?” la prese in giro, mentre entravano nella sala riccamente addobbata e decorata. Lily gli rispose con una delle sue solite boccacce.

 

Tessuti vellutati e broccati avvolgevano i piccoli tavoli ricolmi di qualsiasi delizia o leccornia. Non c’erano molte sedie per sedersi, e quelle poche erano destinati agli adulti. In alternativa, erano stati predisposti enormi cuscini dai colori cupi e dalle trame broccate raffinatissime. Alcuni ragazzi si erano già lanciati poco elegantemente su di essi, a parlare tranquillamente tra di loro. Si parlava amabilmente di Quidditch, di qualche disavventura durante le lezioni di Erbologia o di Trasfigurazione, ma soprattutto, delle imminenti vacanze di Natale. Le ragazze rimanevano in piedi, e ridevano di gusto, confrontandosi gli abiti e gli accessori. L’atmosfera era rilassata e piacevole.

“Miei cari ragazzi, sono felice di vedervi!” li accolse il Professor Lumacorno, dando loro un bicchiere alto e stretto ciascuno, con un liquido dorato e frizzante. Lily e Sev si scambiarono un’occhiata perplessa. “Temevo che a causa dello spiacevole incidente di oggi, non ce l’avreste fatta a presentarvi alla festa” continuò Lumacorno.

“Oh, no, Professore. Abbiamo solo un fastidioso mal di gola al momento, ma non è nulla di grave” rispose Lily. Il Professore fu molto lieto della loro presenza e si complimentò con la giovane allieva per l’abito e l’eleganza.

Sev continuava ad osservare meditabondo il proprio calice, incuriosito.

“Figliolo, quello è champagne. Serve per il nostro brindisi” gli spiegò affettuosamente il Professore. Lily aveva trovato Emmeline tra gli invitati, in quanto era stata invitata da un ragazzo del Luma Club. Iniziarono a chiacchierare radiose, con le voci leggere e un po’ stridule, come tutte le ragazzine elettrizzate da una festa e dal fatto di essere accompagnate da un cavaliere. Sev era rimasto a parlare un po’ con il Professore di Pozioni, che gli fece vedere la bottiglia di pregiato champagne.

“Mi sono state mandate in dono da un mio ex-allievo illustre, Lucius Malfoy. Non sono sicuro che tu te lo ricordi, Severus”. 

Sentendo quel nome, il ragazzo sobbalzò. Era parecchio più grande di lui, ma se lo ricordava bene, per i capelli lunghi di un biondo accecante, quasi bianco, e per gli occhi di ghiaccio. Soprattutto, si ricordava del suo atteggiamento altezzoso e snob, assieme alla sua splendida fidanzata, Narcissa Black. E poi, circolavano voci inquietanti circa le sue vedute: Lucius non vedeva di buon occhio i maghi nati babbani, come Lily. Non si poteva dimenticare uno come lui, anche se con Severus si era rivelato tutto sommato gentile ed estremamente educato, nonché colpito dalla rara conoscenza di magie ed incantesimi da parte del giovane mago. Non si erano conosciuti in maniera approfondita, data la differenza d’età.
“Questa sera il caro Lucius non è potuto venire, e per scusarsi ci ha mandato dello squisito Veuve Clicquot Ponsardin. Mi avrebbe fatto molto piacere averlo qua questa sera, ma mi ha scritto un biglietto, dove si scusava per esser stato trattenuto dal suo lavoro molto impegnativo”. Sev si sentì percorso da uno strano brivido freddo e s’incupì per un attimo. Sarebbe stato meglio non proseguire nell’indagine, avvertiva qualcosa di strano in quell’assenza, in quel mago dal fascino glaciale. Preferì ignorare quella sensazione, brindando educatamente con tutti gli altri, per poi andare a cercare la presenza rassicurante e luminosa di Lily, che lo accolse con un sorriso radioso. Le nubi, le preoccupazioni, il velo di oscurità venivano spazzate via da lei, vento di primavera. Era bella, con quel sorriso incorniciato da quelle ciocche lisce. Si era tolta il mantello e la sua pelle candida, costellata da lentiggini, veniva esaltata da quel verde vivo.

“Eccoti, vagabondo!” esclamò ridendo Lily, posando il suo piattino con dei dolcetti ed alzandosi per andargli incontro. Sev le cinse la vita, finalmente più sollevato, e le pizzicò affettuosamente un fianco.

“Sono qua, mangiona. Devo tenerti d’occhio, altrimenti mi scappi via con il piatto ricolmo di dolci”. Lily sbuffò, non troppo seriamente.

“Poi dovrai farmi le pozioni dimagranti, e mi chiedo se esistano, a dire il vero!” 

“No, non direi proprio, dovrei inventarmele di sana pianta! Sei rovinata!” 

Si adagiarono sui cuscini, rilassati, intanto che una delle ex-allieve di Lumacorno si esibiva con il suo piccolo gruppo di musicisti, presso il camino enorme della sala. Erano canzoni tipiche di Natale, ma il suo repertorio andava a recuperare anche canzoni babbane degli anni ’30 e ’40. 

 

Poi, all’improvviso, una delle tovaglie dei tavoli ebbe uno strano movimento, come se fosse stata colpita da una folata improvvisa di vento. Come se ci fosse qualcuno sotto. Chiaramente, nessuno se ne accorse, dato che erano tutti impegnati ad ascoltare la cantante, od a chiacchierare in tranquillità. Lo champagne contribuiva ad obnubilare i sensi, specie quelli degli adulti, a sufficienza per non accorgersi di alcunché. E poi, delle ombre sfrecciavano dietro le tende semitrasparenti a più strati. No, decisamente, c’era qualche intruso in quella sala. I sospetti erano molto pochi, era qualcuno che trovava infinitamente più divertente rovinare una festa a cui non erano stati invitati. E Lily e Sev si guardarono, leggermente sconsolati, e senza dirsi una parola, si alzarono in piedi e andarono verso le tende dell’entrata. Avevano praticamente chiaro di chi si trattasse. 

Lily estrasse la bacchetta.

“Vado a prendere Sirius Black, tanto so che è lui. Anche se stasera mi sembrano solo in due” disse lentamente, con un misto di rabbia e di rassegnazione nella voce, andando verso la tenda destra. Sentiva l’impellente bisogno di schiantare uno dei quattro, o meglio uno dei due quella sera, non ne poteva più delle loro interferenze e dei loro scherzi idioti. Sev andò verso la tenda sinistra rispetto all’entrata, arrivando alle spalle del suo acerrimo nemico, James Potter. Poteva avvertire la sua presenza lontano un chilometro. Era una presenza realmente disturbante per il giovane Serpeverde.

S’infilò con agilità nella tenda. Eccolo. 

Gli puntò con cautela la bacchetta tra le scapole.

“Buonasera, Potter” fece freddamente “Bella serata da passare dietro una tenda, non è vero?”

Potter rimase calmo, e con la solita voce insolente rispose: “Piuttosto, ti sembra leale attaccarmi alle spalle, Mocciosus?”.

Sev era più alto del Grifondoro; lo prese per una spalla e gli ficcò con più insistenza la bacchetta nel dorso.

“Tu, Potter, ti metti a pontificare sulla lealtà di un attacco? Tu, che non sai fare altro che aggredire una persona con almeno altre tre persone al tuo fianco? Quello invece ti sembra onesto, non è vero?” la sua voce era lapidaria, carica di livore nei confronti di quel ragazzetto antipatico, senza arte né parte, che lo aveva fatto patire non poche volte. Adesso provava un piacere oscuro ad averlo messo in difficoltà, ad averlo sorpreso così. Il sangue gli ribolliva nelle vene.

Lo prese per una spalla e lo tirò fuori dal suo nascondiglio. Perché sembrava sempre così dannatamente sicuro di sé? Perché pensava che avrebbe sempre avuto l’ultima parola? Severus mai e poi mai gli avrebbe dato la libertà di divertirsi a sabotare quella festa, anche a costo di farla saltare per aria lui stesso. Per quale motivo quei quattro non avevano ancora ricevuto una punizione definitiva per quel loro comportamento? Quel ragazzo di nero vestito, quello che l’arrogante Grifondoro aveva definito “un morto”, si sentiva bruciare l’anima di un fuoco dalle fiamme verdeggianti e bluastre. Sorrise cupamente, increspando le labbra.

“Lascia che ti accompagni all’uscita, non sei gradito qua dentro”. Il Serpeverde si sentiva per una volta in vantaggio, superiore, finalmente in una posizione di forza. Senza troppi complimenti, disarmò il suo nemico, per sicurezza.

“M-Mocciosus fai anche il buttafuori ora? Perché non vai da quella gattamorta della Evans e mi lasci tranquillo?” lo aggredì James, cercando di divincolarsi dalla presa di Sev, che gli stritolava la spalla, toccando un punto nevralgico, suscitandogli molto dolore. Sapeva dove colpire, con estrema precisione.

“Gattamorta a chi, ameba?” esclamò Lily, che aveva preso in ostaggio Sirius Black, in preda alle risate. Evidentemente, non era molto convinto di quell’imboscata. Probabilmente, solo James aveva in mente di rovinare la festa; ma sentendosi nudo se lasciato in solitudine, aveva dovuto implorare uno dei suoi altri tre compagni di scorribande affinché lo accompagnasse. Non c’era traccia di Peter o di Remus.

“James, te l’ho detto che saremmo stati buttati fuori, te ed i tuoi piani fatti coi piedi! Ma ... ma vedo che sei stato catturato dal nostro caro Piton! Quale onore! Non sei ancora riuscito a scivolare via? Dovrebbe essere unto abbastan.... AHIA!” Lily gli aveva lanciato una piccola scintilla ustionante, per farlo stare zitto.

“Fai silenzio, Black, o giuro che do fuoco a quella tua bella chioma riccioluta” sibilò Lily, tagliente come una lama.

Non c’era troppa gentilezza in Lily e Sev: era come se il loro sistema nervoso si fosse azzerato, avesse perso qualsiasi equilibrio o pazienza nei confronti di quello strano ed assillante quartetto, ridotto ad un duo, per l’occasione. Non erano gli unici a sentirsi così esasperati. Entrambi erano pronti a farsi sbattere in punizione, ma sentivano l’impellente e bruciante desiderio di dare una lezione indimenticabile a quegli idioti. I due maghi fecero scivolare gli ospiti indesiderati giù dalle scale, con un efficace “Glisseo” e li costrinsero alla fuga, dopo aver lanciato loro qualche scossa elettrica. Si sentivano un po’ stanchi e nervosi, provavano il desiderio fisico profondo di lasciarsi andare su quei cuscini, di chiudere gli occhi e di ascoltare la cantante invitata dal Professor Lumacorno. Volevano essere un po’ protetti in quell’ambiente più selezionato ed elitario. Era un pensiero alquanto strano per dei ragazzini di quattordici anni, ma erano provati dalla disavventura del pomeriggio e ora da quel tentativo d’intrusione.

 

Rientrarono alla festa, prontamente rinfrancati da quelle dolcissime note calde, provenienti da un tempo remoto; li faceva sentire chiusi in una sfera protettiva, in una campana di vetro: era quello di cui necessitavano, in quel momento. 

Attraversarono i drappeggi e le tende e Lily si voltò verso l’enorme finestra. 

“Guarda, nevica di nuovo!” esclamò la ragazza, sentendosi finalmente più serena. Si sedette presso la finestra, appoggiando le mani ai vetri spessi.

Da quell’ala del castello si riusciva a godere di una splendida vista. Le corti e i prati sottostanti erano illuminati da calde fiaccole. Tutto veniva seppellito dalla candida neve, che scendeva, a volte prepotente, aiutata dalle folate di vento, a volte dolce come una carezza. Il nervosismo che provavano si scioglieva, si districava, esattamente come quando si snoda un gomitolo grosso, dai fili particolarmente annodati. La ragazza si lasciò sfuggire un lungo sospiro, chiudendo gli occhi. Inspirando ed espirando lentamente, permetteva a tutta la tensione di disperdersi in quell’atmosfera gradevole e speciale. S’immaginò per un attimo sdraiata nella neve, là fuori, con solo quel vestito addosso, pensando che sarebbe stato bello lasciarsi seppellire da quel manto candido, addormentandosi in un letargo profondo; per poi risvegliarsi in primavera, con la neve che si scioglie, tornando acqua, lavando via tutta la negatività che aveva accumulato.

Riaprì gli occhi e trovò Sev seduto accanto a lei, che la guardava assorto, come si guarda una statua particolarmente bella, da contemplare in solitudine. In quella zona della sala erano appena illuminati da qualche lanterna, e dalle fiaccole esterne, riflesse dalla finestra. Lily gli sfiorò la mano con la punta delle dita.

“Stai meglio, Lily?” le chiese in un sussurro, appena percettibile.

Lei annuì, stringendo la mano dell’amato.

“Sono un po’ stanca, a dire il vero. Inizio a sentire la stanchezza dei loro scherzi e dei loro assilli. E di come ti prendono in giro, Sev ... Odio profondamente il loro modo di parlare di te ... Di me ... Di noi due assieme” si sfogò, trovando rifugio nel suo abbraccio garbato. L’artista continuava a cantare, questa volta in una lingua sconosciuta, ma dolce e sensuale. Assomigliava a quella canzone che Lily aveva cantato il pomeriggio ...

 

Non! Rien de rien ...

Non! Je ne regrette rien ...

 

Niente di niente. Lily voleva volare alta sulle sue preoccupazioni, desiderava lasciarsele alle spalle. Al diavolo il male che le facevano i quattro Malandrini. Al diavolo le prese in giro nei confronti di Severus. Che andassero a cercarsi le grane altrove. Lei sarebbe andata avanti decisa per la sua strada.

Sev la cullava come avrebbe cullato un neonato. Non voleva mostrarle la stanchezza, la tensione che aveva provato, doveva fare lo scoglio imperturbabile, al quale lei poteva aggrapparsi.

“Lasciali parlare” le disse calmo e gentile.

“Lascia che parlino, che facciano le loro ... Le loro ... Cretinate. Prima o poi pagheranno, e ci divertiremo noi a vederli caduti in rovina ...”. La ragazza per tutta risposta lo strinse ancora più forte.

 

Ni le bien qu’on m’a fait,

Ni le mal, tout ça m’est bien égal!

 

Piangeva un po’ nervosamente, Lily. Era uno dei suoi modi per sfogarsi. La dolce maga, così forte, così orgogliosa, anche lei necessitava di un momento di debolezza, aveva tutto il diritto di accartocciarsi su se stessa e di piangere. E sapeva bene che Sev avrebbe raccolto le sue lacrime, distillandole, purificandole, togliendone il sale. Come un alchimista, le avrebbe fatte diventare un’acqua miracolosa e dissetante. Si lasciava andare fiduciosa. Iniziò a muovere le labbra, con voce roca e un po’ discontinua, seguendo la canzone. Sì, era proprio quello il brano che aveva cantato in infermeria.

 

Non! Rien de rien,

Non! Je ne regrette rien ...

C’est payé, balayé, oublié ...

 

Lily prese coraggio, sollevata, e cantò con voce sempre più sicura. Sev ascoltava in silenzio, facendola ondeggiare tra le sue braccia, come se stessero ballando in mezzo alla sala. Fortunatamente per lui, non stavano ballando sotto gli occhi di tutti, ma si sforzò di immaginarselo, per il bene e per la serenità di quella ragazza che lo aveva stregato, anima e corpo. Anche a costo di sentirsi un idiota. Aveva quattordici anni, ma il suo orgoglio era fortissimo, era un muro che lui stesso talvolta non riusciva a valicare e lo metteva in difficoltà. Però, con Lily era tutto diverso, riusciva a lasciarsi andare.

 

Lily, seguendo la canzone, cantò con il suo stranissimo accento, rinvigorita e combattiva come sempre, finalmente pronta a rimettersi in cammino lungo quel tumultuoso percorso d’adolescente. E sull’orlo di una risata esclamò:

 

Je m’en fous du passé!”.

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Capitolo 10
*** Little Earthquakes ***


10.

Little Earthquakes

 

How did it happen that their lips came together?  How does it happen that birds sing, that snow melts, that the rose unfolds, that the dawn whitens behind the stark shapes of trees on the quivering summit of the hill?  A kiss, and all was said.”  Victor Hugo

Solo in quell’angolo dimenticato da qualsiasi entità superiore la neve poteva apparire grigia. Si arrivava a sperare nella pioggia, affinché cancellasse quell’ammasso gelido e lurido.

 

Solo in quella schiera di case anonime, tristi, trascurate, il trascorrere del tempo diventava una lenta agonia, un cupo disgregarsi di molecole, di atomi, di particelle infinitesimali. La polvere sembrava composta da un qualsiasi essere vivente in preda al lento erodersi.

 

Solo in quel posto il Natale poteva diventare la festività più squallida e ripugnante al mondo. E Severus lo sapeva bene: neanche quell’anno vi sarebbero state eccezioni.

 

Tuttavia, qualcosa lo teneva aggrappato questa volta: sarebbe andato da Lily, per pranzo e per cena, facendo immensamente felice pure la signora Evans. Avrebbe giusto passato la mattinata con i suoi genitori, con il tremendo presentimento che il solito litigio - con piatti, bicchieri infranti - avrebbe avuto il luogo. Era bizzarro come si fosse abituato ad un avvenimento così terribile. Non era neanche più il caso di chiamarlo avvenimento, probabilmente. Era divenuta routine. Gli scorreva via di dosso, come la pioggia scivola giù dalle tegole di un tetto.

 

Però, dentro di sé, nel profondo, nel suo cuore pulsante, innamorato, aveva voglia di passare un Natale normale. Una volta in quattordici anni, quasi quindici anni, poteva essere una richiesta tutto sommato comprensibile. Doveva lasciarsi alle spalle Spinner’s End e trovare la sua felicità in quel mondo segreto che avevano costruito lui e Lily, a partire da quell’estate in Irlanda. Vi avevano messo amore, complicità, affetto, attenzione in quel luogo ignoto agli altri, soprattutto ai suoi genitori che non capivano, lottando irrazionalmente, aggrappati ai loro puerili capricci. Desiderava cantare, gioire, sentirsi rimpinzato di pietanze natalizie - per quanto il cibo non fosse una passione smodata del ragazzo. 

 

Voleva un posto che potesse chiamare casa, senza contorcere il viso in un’espressione disgustata, senza dover sentire la nausea attanagliargli la bocca dello stomaco ogni Natale.

Osare. Voleva osare per la prima volta in vita sua, alla luce del sole invernale: voleva comportarsi in un modo in cui i suoi genitori non si sarebbero mai comportati. Osare ed amare. Osare ed essere felice.

 

Nessuna decorazione era stata preparata in quella casupola. Il razionale, caustico, cinico Tobias Piton, di professione chimico presso una delle industrie tessili di Cokeworth, non intendeva festeggiare alcunché. Era solito dire di non voler festeggiare matrimoni - probabilmente a causa del suo disastroso - nascite, natali, pasque e funerali - sebbene non ci fosse nulla da celebrare nella perdita di qualcuno caro, evidentemente per l’uomo era una liberazione. Era un babbano ed il fatto di avere una moglie strega ed un figlio mago, l’aveva profondamente inacidito negli anni: aveva desiderato fortissimamente che Severus non fosse uno stralunato come sua madre. Voleva farlo diventare chimico, insegnargli ogni segreto possibile di quella scienza: iniziarlo al mistero delle reazioni chimiche, dei legami forti e deboli tra ciascun atomo. Voleva dimostrargli che niente era magico, nulla era inspiegabile. C’era la Scienza a spiegare tutto. Ed era stato deluso, le leggi della genetica lo avevano tradito ed ingannato: Severus Piton era un mago. Ed era un mago molto potente.

 

In qualche maniera, Sev aveva ereditato lo spirito scientifico del padre nell’affrontare la preparazione e la creazione di pozioni. Era molto curioso, voleva conoscere le proprietà di ogni pianta od erba curatrice, gli effetti benefici, quelli malefici, dove poterle trovare, come poterle coltivare in caso di necessità. Le operazioni richiedevano altrettanto studio, la stessa fatica. Inutile spiegarlo al padre, l’avrebbe visto come un affronto, un insulto. Non c’era un dialogo: Tobias aveva eretto il suo muro, carico di sdegno e rancore, Severus il suo, fatto di pietra scura, ben levigata, carica di indifferenza. E chi pagava in tutto questo, in maniera quasi peggiore e straziante, era la madre, Eileen.

 

Con amarezza, una volta Severus scoprì che il nome di sua madre significava “raggio di sole”. Paradossalmente, la donna era triste, apatica, avvolta in una nube di dolore, di sofferenza. Era come se gli anni l’avessero chiusa in un ovatta dalle tinte buie. Non urlava più con Tobias, non spaccava più niente, non si alzava imperiosa scatenando la sua furia per casa. Aveva perso la forza di lottare contro di lui, contro la sua arrogante prepotenza, il suo umorismo acido e corrosivo, la cattiveria che aveva indurito il suo cuore negli anni. Eileen stava perdendo la voglia di vivere ed aveva già perso qualsiasi interesse nei confronti di Severus. Era già tanto che gli facessero trovare il cibo nel piatto, quando il ragazzo si trovava a casa. Forse era per quello che non mangiava molto e non amava molto il ritrovo a tavola con gli altri, in generale; non glielo avevano mai fatto amare.

 

Anche quel 25 Dicembre, si alzò, cercò di darsi una sistemata, con uno spirito decisamente diverso: oggi sarebbe stato con Lily. Il primo vero e proprio Natale con lei, il suo folletto dai capelli rossi. Fuori da quelle mura squallide, sarebbe stato al settimo cielo, avrebbe corso a perdifiato da lei, avrebbe visto le strade decorate in maniera finalmente festosa e lieta. Avrebbe portato il suo regalo prezioso a Lily, pregando qualsiasi cosa non visibile affinché le sarebbe piaciuto. Lo teneva nella tasca dei pantaloni; estraeva il piccolo cofanetto frequentemente, come per assicurarsi che ci fosse ancora.

 

Scese le scale cautamente, tentando di far meno rumore possibile, di passare inosservato di fronte a suo padre, seduto nell’angusta cucina a sorseggiare il suo caffè annacquato ed a fumare le sue pessime sigarette, che gli ingiallivano le dita. Il fumo saliva verso il soffitto, disegnando disegni astratti, volteggiando e roteando su se stesso. Sua madre sembrava assopita sul divano, in quello stato di dormiveglia disturbante, pareva sofferente. Non fece gli auguri a nessuno. Non ne volevano sapere, d’altronde. Cercò la sua sciarpa ed il suo cappotto tutto nero ed un po’ liso. 

 

“Severus” disse la voce di suo padre, rimbombando dalla cucina. 

Il ragazzo si fermò e fece qualche passo indietro. Che cosa voleva, ora?

“Sì?” fece Severus, calando sul viso la propria maschera d’indifferenza.

“Dove vai?” gli chiese freddo, squadrandolo con gli occhi scuri, identici a quelli del figlio.

Il giovane rispose con una scrollata di spalle. 

“Lo sai dove vado, quando sono qua” aggiungendo ringhiando, tra sé e sé: “Non mi fermerai, non oggi”.

Tobias si alzò in piedi, girò per il tavolo, allo stesso modo in cui una pantera in gabbia si aggira, nervosamente, estraendo gli artigli di tanto in tanto. Severus non disse nulla, perché qualsiasi parola aggiuntiva sarebbe stata un arma a favore del padre. Il fumo che aleggiava per la saletta lo disgustava, era insopportabile. Gli parvero momenti interminabili, stava perdendo la pazienza, voleva uscire di lì il prima possibile.

“Ho deciso che tu e tua madre ve ne andrete di qui al più presto. Non vi voglio più vedere”. 

Quelle parole furono assordanti, un’esplosione improvvisa. Una valanga di neve si era appena staccata dal fianco della montagna ed ora correva giù per la montagna, travolgendo qualsiasi cosa trovasse davanti, cercando di sotterrare Severus, che si voltò verso l’uomo, con gli occhi sgranati. Non aveva parole, non ne aveva mai avute per suo padre, ma ora era sdegnato. gli mancò il respiro.

“C-che cosa hai d-detto?” fece, tentando di riguadagnare disperatamente il controllo. Non doveva dargliela vinta, doveva essere freddo. Tremava di rabbia, di sorpresa.

“Che non vi voglio vedere più, perciò ho deciso che ve ne andrete da questa casa, il prima possibile”.

Lo disse calmo, con sguardo inespressivo, come se avesse detto una cosa qualunque, una constatazione sul meteo.

Severus irruppe nella cucina, in preda a quel fuoco oscuro che lo ghermiva ogni qualvolta sentiva suo padre aprire bocca. Angosciato, i suoi pensieri vagarono, brancolando nella confusione. Dove sarebbero andati lui e sua madre? Sua mamma non aveva un lavoro fisso, viveva di qualche lavoro occasionale, rigorosamente non magico, secondo il volere del marito. Dove potevano rifugiarsi? Come si sarebbero mantenuti?

Aveva il sangue agli occhi ed in meno che non si dica, aveva estratto la bacchetta magica. Non li avrebbe umiliati così. Lo avrebbe fatto soffrire, anche a costo di rimetterci un’espulsione da Hogwarts.

“Tu non lo farai, lurido bastardo!” ringhiò, con un tono di voce sconosciuto anche a se stesso.

Tobias si voltò, con gli occhi gelidi ed arricciò le labbra in un sorriso sarcastico.

“Io posso tutto, ricordatelo, Severus. Io decido ed io dispongo. Ed io non voglio avere più a che fare con dei malati di mente”.

Gettava benzina sul fuoco, buttava combustibile nell’animo impazzito del mago Severus, che era prossimo ad una devastante ed irrimediabile deflagrazione. Era prossimo al punto di non ritorno, era sull’orlo di compiere azioni di cui si sarebbe pentito amaramente. Si sentiva umiliato, offeso, schiaffeggiato in pieno volto da un padre che non aveva mai sopportato e che avrebbe voluto cancellare, avrebbe voluto vederlo morto.

La ragione si era spenta, stava sorgendo il drago tra i vapori acidi e sulfurei. Un drago nero come la notte, che affondava, eliminava la purezza di quel ragazzo tranquillo. L’arte oscura lo affascinava, la conosceva, l’aveva sempre studiata con interesse, ma mai avrebbe immaginato che sarebbe arrivato al desiderio di usarla. Sapeva benissimo a cosa andava incontro, la sua voce interiore, quella del ragazzo buono e tranquillo, continuava ad implorarlo di fermarsi, ma stava soffocando, stava annegando nel magma viscoso e corrosivo che era pronto ad incenerire qualsiasi cosa, persino il cuore di Severus. Era irriconoscibile.

Il mago oscuro era pronto a lanciargli la Maledizione Cruciatus. 

 

Lo voleva torturare.

Torturare per tutti gli anni di litigi, di soprusi nei confronti di sua madre.

Torturare per la tristezza causatagli in quelle quattro mura marce. 

Torturarlo, torturarlo ancora, per vederlo soffrire e fargli sparire una volta per tutte quell’aria strafottente, quella presunta “superiorità babbana” che palesava ad ogni piè sospinto.

Non avrebbe avuto pietà. 

 

Alzò la bacchetta e la puntò verso Tobias, che scoppiò in una risata secca e roca.

“Forza, maghetto, fallo ora finché puoi. Dopo non vedrò mai più la tua faccia odiosa, né quella di quella là, né mai più vedrò uno della vostra razza ...”

Un rimbombo sordo riecheggiò nel petto di Severus. Il drago ruggiva, dispiegando le ali nere e sinuose e squamate, pronto ad attaccare con i suoi artigli eburnei.

“TACI, MOSTRO! CRUC ...”

“EXPELLIARMUS!” urlò Eileen, puntando scattante e veloce la bacchetta verso Severus. Era stata svegliata dalla lite tra i due e comprese in qualche modo le intenzioni di suo figlio. L’amore di una madre, negligente od affettuosa che fosse, non avrebbe mai permesso al proprio figlio di macchiarsi di inutili delitti o reati, per colpe che non erano sue. Severus doveva crescere, lontano da lì, alla larga dalle beghe tra moglie e marito. Quell’incantesimo sarebbe stato il suo avvertimento, ma anche il suo modo silenzioso di proteggerlo dal fare atti incoscienti, più grandi dei suoi quattordici anni.

La bacchetta di Severus, lunga, esile e scura, cadde a terra, nel silenzio più totale. Rotolò e fermò la sua corsa, come tutti i ramoscelli di legno qualunque.

Severus si voltò a guardare sua madre, con uno sguardo indecifrabile. La mano destra, disarmata, tremava vistosamente. Il drago si era dissolto nell’aria, ora tornata mite e quieta, trafitto da un dardo di luce e di amore materno, un amore incondizionato e puro. Severus sembrava un bambino, un pulcino spaventato, un infante che, preso dalla foga, si era messo a giocare tra le onde più forti di lui, per poi finire cappottato e fradicio sul bagnasciuga.

Era sul punto di piangere, come se si fosse reso conto dell’onda distruttrice che avrebbe creato, se avesse proseguito. Voleva sotterrarsi, voleva sparire. Ma l’odio non era sopito, non era stato spento, ardeva nella cenere. Sentiva delle lacrime pure come il diamante pungergli gli occhi, lavandogli via il sangue bollente e rabbioso.

Tobias era rimasto terrorizzato nel suo angolo: data la sua avversione per la magia, aveva visto incantesimi molto di rado. 

Il suo viso si colorò, divenne paonazzo in un attimo. Cercò di ergersi in tutta la sua altezza, di ricomporsi.
“Sparisci. ORA.” sibilò al figlio con voce strozzata.

Severus continuava a fissare la madre, desiderando che si avvicinasse a lui, che lo proteggesse, che facesse fronte comune contro quell’uomo meschino. La donna lo guardava, pallida, debole, impotente. Era come se in quell’atto disperato di protezione avesse consumato tutte le poche energie che possedeva. Lo fissava come si fissava il soffitto, un muro, il nulla.

Il ragazzo disperato ed abbandonato, si chinò e raccolse la bacchetta, per poi fuggire da quella sala, senza guardare nessuno dei due, afferrando convulsamente il cappotto, senza neppure metterselo, ed uscì sbattendo la porta. 

Aveva un bisogno disperato di vedere la luce degli occhi di Lily. Di sentirsi amato, di sentirsi completo.

 

Lo aspettava, guardando la strada con impazienza dalla finestra del salotto. Petunia non perdeva occasione per punzecchiarla con acidità, ma Lily la ignorava, bruciando nell’attesa che Sev comparisse, sbucando come di consueto da una via minore. Sua mamma ultimava i preparativi del pranzo, destreggiandosi tra il forno e le pentole in cucina, dalla quale proveniva un profumo invitante. La giovane aveva faticato a dormire dalla felicità, ed anche lei, come il suo ragazzo, aveva continuato a rimirare i regali che aveva in serbo. Ad un certo punto, nel cuore della notte, si era resa conto che non gli aveva preparato nessun biglietto da mettere sui pacchetti, quindi, facendosi luce con la bacchetta, prese la pergamena e la piuma nuova fiammante e si era messa a scrivere. Non soddisfatta, aveva gettato via qualche piccola pergamena, sentendosi estremamente impacciata a scrivere biglietti di auguri. Si poteva essere estremamente abili a scrivere, ma quando si trattava di preparare un biglietto per una ricorrenza, Lily era fortemente convinta che anche il miglior poeta sarebbe andato in crisi, stracciando pergamene e strappandosi i capelli dalla disperazione.

 

Stava arrivando. Camminava piano, con la testa lievemente chinata verso terra. Lily si accorse che non aveva il cappotto addosso, reggendolo distrattamente tra le mani. Era impazzito ad andare in giro così, in quel freddo polare, con la neve che sarebbe caduta a breve? La ragazza urlò alla mamma che Severus era in arrivo ed istintivamente si buttò fuori, precipitandosi ad accoglierlo. Senza cappotto, chiaramente, ignorando le urla concitate della sorella e della madre. Lily indossava un abitino a mezze maniche di lana morbida, lungo fino alle ginocchia, di un color vino scuro; le gambe erano coperte da scuri e spessi collant neri e delle scarpine graziose dello stesso colore. Non si curò del freddo e del ghiaccio, che avrebbe potuta farla cadere rovinosamente per terra, e gli corse incontro. Il suo respiro saliva in cielo, in candidi filamenti leggeri. 

Appena si avvicinò a Sev, lo vide sconvolto in faccia, come se avesse corso a perdifiato. Era un po’ rosso in volto, il viso era contorto in un’espressione addolorata. Essa svanì all’istante, appena il ragazzo vide Lily. Non voleva rovinarle in nessun modo la giornata e desiderava buttarsi alle spalle tutto. La luce lo aspettava, anche se qualche traccia di buio rimase nei suoi occhi. La sua ragazza vedeva tutto, non si perdeva alcun dettaglio di Sev e si convinse che quelle scintille nere andassero spente. 

Sorrise timidamente alla meravigliosa giovane, che raggiante lo abbracciò, dandogli un bacio inaspettato, sulla punta ghiacciata del suo naso un po’ adunco. Il contatto con le sue labbra morbide e calde gli diede conforto e lo sciolse. Si sentiva meglio.

“Sei matto a camminare senza cappotto! Vieni con me, ti stavamo aspettando!” disse Lily e lo prese per un braccio, camminando con cautela verso la casa della famiglia Evans.

Le decorazioni, le luci variegate, l’albero di Natale nel piccolo ma accogliente salotto, furono in grado di rasserenare l’animo di Severus. Era entrato in un altro mondo, fatto di tranquillità, di battibecchi sereni, e persino Petunia quel giorno pareva vagamente sopportabile. La signora Evans lo abbracciò e gli diede due baci, solleticandogli il volto con quel rossetto e con i capelli rosso scuro, dicendogli come prima cosa che gli aveva preparato tanto buon cibo, dato che stava crescendo a vista d’occhio. Le lacrime erano pronte a fare capolino, per la commozione. Era così che ci sentiva ad essere amati? Era quello che non avrebbe mai ottenuto a casa Piton.

Lily aveva intuito che qualcosa a casa dell’amato fosse andato storto, non era una novità, ma non voleva indagare inutilmente. D’altronde, era Sev che doveva parlarne, lo conosceva troppo bene: gli dava fastidio quando si tentava di estrargli le parole di bocca. In ogni caso, lei era lì per farlo felice e fargli passare una festività memorabile. Il resto, sarebbe rimasto fuori dalla porta, a congelare. I ricordi brutti dovevano morire di freddo, in una lenta agonia.

 

Il pranzo fu estremamente piacevole, a parte quando Lily rischiò di volare dalla sedia, mentre apriva  il suo Christmas Cracker con Severus, che non si accorse di aver tirato troppo forte. Le piccole Cioccorane e le Gelatine Tutti i Gusti +1 ivi contenute si sparsero per il tavolo, scatenando l’ilarità generale. Quelle piccole bon-bon di carta erano state fatte da Lily, ed i dolci al suo interno erano stati acquistati da Mielandia. I genitori iniziavano ad apprezzare molto i dolci magici che la figlia portava da Hogsmeade, specie per le gelatine dai gusti imprevedibili ed agghiaccianti, così come avevano cominciato a mostrare un caldo interesse nei confronti degli studi magici della figlia e chiaramente non poterono non parlare di magia durante il pranzo, con buona pace di Petunia, che cercava di essere a tutti i costi al centro dell’attenzione, con la scuola, con le sue amiche del cuore e con i loro pettegolezzi e le prime “simpatie” per i ragazzi di Cokeworth. Quell’ultimo argomento lo affrontò scoccando occhiatacce alla sorella più piccola.

Lily e Sev si guardarono bene dal baciarsi o dal prendersi per mano o dal compiere qualsiasi gesto eccessivo sotto gli occhi dei genitori, ma qualche occhiata affettuosa se la scambiarono. La Grifondoro, mentre aspettava di assaporare lo squisito Christmas Pudding o la Scottish Christmas Cake di sua mamma, allungò un piede verso quello di Severus e lo toccò con gentilezza. Il Serpeverde la guardò, con un sorriso appena accennato e rispose a quel gesto affettuoso e un po’ clandestino. Lily gli mandò un bacio, muovendo in maniera impercettibile le labbra. Severus amava la forma della bocca della ragazza, con quel labbro superiore più fine rispetto a quello inferiore, più carnoso e sensuale. Con la mano, mimò il gesto di prendere quel piccolo regalo di Lily, il cui volto s’illuminò immediatamente di un sorriso radioso. 

Tuttavia, sembrava ancora amareggiato, con qualche velo di dolore negli occhi, ma la ragazza era convinta che tutto gli sarebbe passato non appena si sarebbero scambiati i regali. Finì rapidamente i suoi dolcetti, scalpitando per salire al piano di sopra con lui. Aiutarono la mamma di Lily e Petunia a sistemare la tavola e le stoviglie, riponendo gli avanzi di cibo nel piccolo frigorifero. Petunia sarebbe uscita per andare a trovare la sua amica del cuore, che abitava qualche casa più avanti, mentre i genitori avrebbero aspettato la visita di qualche parente od amico di famiglia. Era arrivato il momento tanto atteso dai due giovani. Lily si sentiva emozionata, Severus provava un leggero brivido nelle mani.

“Sev, andiamo su! Ho i regali per te!”. Non fece in tempo a finire la frase, che le sue gambe l’avevano già portata su per le scale; il ragazzo si affrettò a seguirla, tastandosi la tasca per l’ennesima volta in pochi minuti: l’anello c’era ancora.

Lily aprì la porta della sua graziosa quanto semplice cameretta. Era ordinata e ben tenuta, la proprietaria ci teneva particolarmente ad avere tutto in ordine. La libreria era colma di libri di magia e non, e sulla grande scrivania si poteva trovare il giradischi con la propria pila di vinili ben disposta e spolverata. Sui muri, erano appesi dei piccoli poster in bianco e nero dei The Beatles. Sev si guardò attorno, incuriosito come sempre, quella stanza sembrava riflettere la studentessa diligente e seria di Hogwarts ed allo stesso tempo, la ragazza frizzante e piena di vita e di curiosità per qualsiasi cosa. Si sentiva il benvenuto. Era così diversa dalla sua camera angusta e cupa.

Lily chiuse la porta, con discrezione.

“Sev, guardami negli occhi, per favore” gli chiese con gentilezza, non c’era cattiveria nella sua voce: voleva solo assicurarsi che andasse tutto bene.

Il ragazzo si voltò con estrema lentezza, non sapendo bene cosa fare, trovandosi colto di sorpresa. Non aveva senso indossare maschere di fronte a Lily e non era in grado di farlo. Con lei non aveva senso nascondersi. Non voleva più nascondersi: lei era il suo rifugio naturale; poteva aggrapparsi a lei, poteva essere sorretto dalle sue braccia esili, poteva nascondere il suo viso tra le ciocche di capelli rossi, come se fossero fronde d’alberi. 

Rimaneva ipnotizzato da quegli occhi verdi che tanto amava, ogni volta, come il primo giorno.

Lei lo guardò, entrando nel suo cuore, scrutando le iridi scure, pronta a spegnere qualsiasi fiammata  repentina. Lui sostenne il suo sguardo, lasciando che entrasse nella sua mente e nei suoi ricordi, senza ostacoli. Però non le avrebbe voluto rivelare in dettaglio quanto successo, non voleva farla spaventare, l’ultima cosa che voleva era di farla fuggire. Di perderla, per quell’inclinazione alle Arti Oscure. Avrebbe gestito lui e lui soltanto il drago interiore, non gli avrebbe mai permesso di bruciarle anche un solo capello. Si sarebbe fatto bruciare vivo, piuttosto.

 

Lily sospirò, con gli occhi lucidi. Dapprima, aveva potuto solo supporre qualcosa; ora, ne aveva la conferma.

“I tuoi genitori hanno litigato di nuovo, vero?” chiese in un soffio.

Severus si sedette sul bordo del letto ed annuì, senza guardarla. Una fitta di dolore gli prese il cuore. Sanguinava ancora per quanto accaduto qualche ora prima. Con lucidità aveva capito che avrebbe compiuto un errore imperdonabile, se non fosse stato per il disperato intervento di sua madre. Ma dopo quel gesto, si era sentito comunque incredibilmente solo, nel suo cuore aveva sentito come uno strappo, un taglio netto, nello stesso modo in cui un fiore viene reciso in maniera irreversibile dal proprio gambo. Era stato, forse, l’ultimo gesto d’amore di una madre stanca di vivere, di lottare contro il marito e di prendersi cura di un figlio, lasciato già da tempo al suo destino.

Lily non sopportava di vederlo così. Si sedette accanto a lui e gli posò una mano sul ginocchio.

“Tuo padre ti ha detto ... Le solite cose?” sussurrò.

Severus esitò, s’ingarbugliò. Le lacrime gli pungevano gli occhi, come spilli arroventati. Ancora, sentiva il desiderio irrefrenabile di piangere, ma come poteva, davanti a Lily, in quella giornata felice? Si sentiva fuori posto in quell’istante. Con chi altro poteva aprirsi così? Con chi altro avrebbe potuto piangere a dirotto? Non aveva mai pianto così di fronte a lei. Non era solito a lasciarsi andare alle lacrime, non più. Anni prima, prima di conoscere Lily, aveva versato abbastanza lacrime per quella situazione, poi, aveva bruscamente chiuso il rubinetto.

 

Voleva essere forte.

Voleva essere fiero.

Voleva rinchiudersi nel suo orgoglio, nella sua torre di granito.

 

Non ci riusciva. Era più forte di lui.

Tutta quella volontà si piegò di fronte alle lacrime inarrestabili. Fu questione di un attimo, non ebbe neanche il tempo di filtrare tutto quel dolore, di fermare la diga inarrestabile, di contenere lo strazio di sentirsi abbandonato una volta per tutte.

Singhiozzò vistosamente, ogni singulto portava via le braci di quel fuoco devastante ed incontrollabile che lo aveva preso. 

Lily era esterrefatta, senza parole. Non aveva mai visto il suo ragazzo crollare così. Non era normale. Si sentiva agitata, travolta da un’accozzaglia di sensazioni violente. Voleva fare qualcosa per lui, ma doveva lasciare che piangesse così. Doveva raccogliere le sue lacrime, come il fiore che raccoglie la rugiada del mattino. Gli circondò le spalle e lentamente, lo fece sdraiare e gli fece appoggiare la testa sul cuscino. Rimase accanto a lui, distesa, tenendogli le mani, non abbandonando per un solo istante. Ascoltò ogni singhiozzo, ogni gemito che tentava di divenire parola, ma si fermava lì, abbozzato, inintelligibile.

Per ogni lacrima di Sev, il cuore di Lily si contorceva addolorato. 

“H-ha detto ... C-che ... C-che non ci vuole più a c-casa” riuscì a dire faticosamente.

La ragazza aprì la bocca, ma impallidì di fronte a quella frase, e non fu in grado di dire nulla di sensato.

“I-io mi sono ar-arrabbiato. N-non c-ci può definire degli e-esseri i-inferiori ... E ...” gli morì la voce in gola, incapace di descrivere altro. La sua energia comunicativa si era esaurita, solo in un ultima frase strozzata riuscì a condensare tutto quanto.

“A-avevo la bacchetta in m-mano, e-ero fuori di m-me ... Mia ma-madre mi ha d-disarmato”. Con quel pianto gli pareva di liberarsi di tutte quelle frecce che l’avevano trafitto. Se le stava togliendo a mano, ad una ad una.

Lily era affranta. Aveva sentito abbastanza. Non voleva giudicarlo, in nessuna maniera, perché sapeva che aveva avuto tutt’altro che un’infanzia felice, aveva a malapena una famiglia. Sev aveva reagito così perché l’ultimo affronto lo aveva ferito nell’orgoglio, si sentiva certa di questo nella maniera più assoluta. Qualsiasi cosa fosse successa, non gli avrebbe mai fatto mancare il suo sostegno ed il suo amore incondizionato. Era l’unica cosa che potesse fare.

Anche lei stava piangendo, sommessamente, per empatia. Ma come poteva quell’uomo gretto e meschino arrivare a voler cacciare lui e sua madre di casa? Avrebbe voluto schiantarlo lei stessa. Quell’uomo aveva il cuore di pietra, se mai avesse avuto un cuore in quella cavità.

Sev continuava a piangere, come se volesse esaurire tutti i suoi liquidi; o forse, voleva ripulirsi del fango che si sentiva addosso. Sul cuscino di Lily si erano formate due enormi pozze umide.

Ed in quel momento, istintivamente, lei fece qualcosa che non aveva mai creduto possibile prima.

Accarezzò il viso di Sev, inumidendosi le dita di lacrime preziose.

“Sev, ci sono io. Va tutto bene” gli sussurrò con tenerezza. Lui per un attimo aprì gli occhi, lievemente arrossati e gonfi.

Lily allungò un braccio e lo usò come leva per alzarsi leggermente, solo per avere il suo viso a contatto con quello del ragazzo. I capelli rossi si confusero e s’intrecciarono con quelli neri.

Appoggiò quelle labbra asimmetriche, tanto amate, sulle palpebre chiuse del ragazzo. Le baciò entrambe, prima di passare ad ogni lacrima che aveva inondato le guance di Sev. Posò le sue labbra sotto gli occhi, sugli zigomi, sulla mascella, vicino alle orecchie del ragazzo. Ogni bacio era lieve, come se gli stessero tamponando con gentilezza il fazzoletto più morbido e delicato mai tessuto. Sev trattenne il respiro, non si voleva muovere, e si sentì rigenerato, bacio dopo bacio. Nessuna parola l’avrebbe consolato più di quel gesto stupefacente, coraggioso, di Lily. I morbidi petali del giglio erano la cura, la chiave, per sentirsi immediatamente meglio. Si rilassò grazie ai lenti movimenti di Lily, delicati ed attenti. La ragazza assaporava il gusto salmastro delle lacrime del ragazzo che amava, ma poco le importava: voleva solo farle sparire dal suo viso pallido Non poteva sopportare Sev in una simile condizione.

Quel gesto intenso venne suggellato da un delicato bacio sulle labbra.

Aprì gli occhi e si ritrovò davanti il viso di Lily ed il suo sorriso dolce. Si guardarono per qualche attimo e la ragazza gli accarezzò una guancia.

“Stai meglio, Sev?” gli chiese con gentilezza.

Lui annuì. Lily era la sua panacea. Si rimisero a sedere, sistemandosi un attimo i capelli e pulendosi il viso.

“S-scusa ... Ti ho bagnato il ...” esordì il ragazzo, sistemando goffo il cuscino di Lily. Aveva un dolce profumo di vaniglia. E se non fosse stata vaniglia, per lui sarebbe stato sempre quel sapore.

“Shh. Non fa niente. Sai quante volte ci ho pianto su io”.

Lily si alzò per aprire il baule ed estrarre i regali per Severus. Erano due pacchetti piuttosto voluminosi. Finalmente, l’atmosfera natalizia riprese il sopravvento, in maniera decisa e repentina. Con Lily il tempo, le atmosfere, cambiavano esattamente come quella benefica pioggia irlandese, mutevole, ma purificante. Era un’emozione indescrivibile.

Era il momento tanto atteso. E Sev pregava che il regalo fosse di suo gradimento.

“Prima i miei regali!” disse ridendo la ragazza, mettendoglieli davanti.

Sev prese i pacchetti ed aprì il primo, stando attento a non sgualcire la carta. Voleva goderseli centimetro per centimetro.

Il primo pacco conteneva dei libri rarissimi, provenienti da un paese lontanissimo ... Non capiva i caratteri, erano a lui sconosciuti. Era un testo di portentose pozioni velenose e pozioni curative in russo, gli spiegò Lily, e non venivano insegnate ad Hogwarts. Ma non doveva preoccuparsi, era scritto sia in russo, sia in inglese. Sev lo guardò come i babbani credenti osservano le reliquie dei santi. Era senza parole.

“Così diventerai il pozionista più abile di tutti. Ora apri il secondo, è importante anche quello!”. Sev non se lo fece ripetere due volte, e si trovò in mano dei sacchetti piccolissimi in velluto, di vari colori, con ricamate delle parole sempre in quell’alfabeto sconosciuto e nella propria lingua. Questi piccoli sacchetti erano accompagnati da un libro illustrato.
“Questi sono dei semi che non si trovano qua nel nostro continente. Vengono dalla Russia, dalla Siberia, dalla Cina, da paesi lontanissimi, là, dove abitano dei maghi potentissimi! E per fare quelle pozioni descritte nel libro, dovrai far crescere le piante da qualche parte, magari ad Hogwarts la Professoressa Sprite sarà ben felice di aiutarti a coltivarle nella sua serra”.

Sev aveva gli occhi luccicanti. Aveva nuova cose, rare, ambiziose, portentose, da imparare. Si sentiva fortificato. Abbracciò Lily, quasi stritolandola, al colmo della felicità. Non era ancora totalmente soddisfatto, mancava un tassello importante. Era il suo turno.

Tirò fuori dalla tasca il cofanetto e lo mise davanti a Lily, che si lasciò sfuggire un gridolino di sorpresa.

Lei allungò una mano e se lo rigirò tra le dita. Gli occhi le brillavano estasiata.

Nel momento in cui aprì la scatolina, sobbalzò.

“SEV!!! MA SEI MATTO!?” urlò, saltandogli in braccio, tenendo l’anello tra le mani. Sev sentì un macigno sollevarsi dallo stomaco ed era come se gli avessero dato ben una bottiglia intera di Guinness da bere in quel momento.

“Ma ... Ma ... Ma, è meraviglioso!” lo guardò meravigliata e cercò di capire a quale dito metterselo e prima di tutto, sulla mano destra, o sulla mano sinistra? E poi, faceva differenza su quale mano l’avrebbe indossato?

Optò per la sinistra e se lo mise sul dito medio, quello più grosso, così era sicura che non le sarebbe scivolato via. Fortunatamente le stava, ma si sarebbe portata dietro una catenella per metterselo al collo, per evitare che si rovinasse durante Erbologia o Pozioni.

“Lo terrò sempre con me. Sarà come averti accanto in ogni momento!” e lo ringraziò infinitamente, stringendolo forte a sé. 

Se questa era la sensazione che si provava ad ogni Natale trascorso felicemente, Severus Piton giurò solennemente a se stesso che avrebbe voluto festeggiare quell’evento tre volte al mese.

“Era ... Era un gioiello di famiglia” esordì Sev prendendo le mani di Lily, ed accarezzando il dito con l’anello.

“Non so quale storia abbia alle spalle, quest’anello. Ma non potevo farlo finire in mani migliori ... Tu, per me, sei ....” si sentì mancare il respiro per un istante. Sapeva che quello che avrebbe detto non sarebbe stato qualcosa di leggero. Ma a partire da quella frase, proveniente dal cuore, non si sarebbe più voltato a pensare a quella casa di Spinner’s End, dalla quale era stato definitivamente tagliato fuori.

“Tu, Lily, sei la mia famiglia”.

L'attirò a sé, baciandola con tutta la foga adolescenziale che aveva, prima che Lily potesse obiettare qualcosa. Tuttavia, a giudicare da come lo ricambiò, non aveva nulla da ridire.

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Capitolo 11
*** Beneath The Surface ***


11.

Beneath The Surface

 

“Is there ever really a right time?

You had lead me to believe,

Some day you would be there for me.

When the stars above aline...

When you weren't so concerned,

I kept looking for the clues”.
Dream Theater - Beneath The Surface

Hogwarts lo attendeva ancora una volta, con l’amore ed il calore di un grembo materno.

Quello che aveva perso una volta per tutte, a Spinner’s End. 

Era divenuto straniero tra altri due stranieri, in quella casa squallida. Sentiva il gelo attanagliargli il cuore in maniera più feroce, dopo quell’infelice episodio. Temeva di venire divorato dal suo drago, di venire inghiottito nell’oscurità e di non provare più nulla di buono. Faticava a dormire in quel letto che non sentiva più suo, gli pareva un letto pieno di spine. Evitava di mangiare con i suoi genitori, rimanendosene o in camera, o fermandosi da Lily qualche ora in più. La ragazza aveva compreso i motivi di quelle permanenze prolungate, a volte inaspettate: non aveva bisogno di alcuna spiegazione ulteriore, eppure, voleva fare di più per lui. Aveva capito che il cuore del suo Severus era lacerato da una ferita molto profondo e lei sola aveva in mano la cura adatta. Doveva fare in modo che non si infettasse.

Lily vedeva come era cambiato l’atteggiamento di Severus nei suoi confronti. Non lo faceva apposta, ma sembrava più travolgente, non era più un mare appena mosso dal vento, con delle increspature sulla sola superficie. Era come se persino le profondità del suo animo avessero iniziato ad agitarsi, formando tanti piccoli mulinelli pronti a trascinarti nel buio. Sev cercava di tenere a freno quel tumulto in una diga troppo debole per resistere a lungo. A volte aveva quel bisogno disperato di parlare con Lily, di sfogarsi fino a perdere la voce; temeva però di affidarle un peso troppo grosso ed impegnativo per la sua età; allora si tratteneva, per poi rimpiangere di non essersi aperto. Quando erano da soli, cercava di ricoprire di piccole attenzioni la sua ragazza, per non creare distanze inutili. Ogni bacio si faceva più irruento, gli abbracci interminabili. Era un’emozione nuova per entrambi, e se all’inizio se ne vergognavano, ora si sentivano più sicuri e più disposti ad accettarla, come parte dell’evoluzione di un rapporto. A piccoli passi, crescevano assieme.

Una volta varcata la porta di casa sua, però, Sev veniva assalito dal timore di allontanare Lily da sé, nel caso in cui le avesse confessato tutto fino in fondo. Non ultimo, il suo orgoglio era l’ostacolo più impegnativo da superare.

La Grifondoro, da brava ragazza arguta ed intelligente, era in grado di leggere questo tormento e questi dilemmi sul suo volto del ragazzo che amava e per il quale provava un affetto sterminato. Per cui, aveva deciso di fargli un regalo speciale, quel 9 Gennaio 1975. Non non sarebbe rimasta a guardare il dolore del giovane: si sarebbe resa partecipe e l’avrebbe aiutato ad aprirsi ed a scacciare via qualsiasi dubbio o paura.

 

Anche lei aveva le sue insicurezze, ma era fermamente convinta che assieme avrebbero superato tutte le difficoltà del caso.

Era una ragazza forte e non voleva vedere la sofferenza sul volto del ragazzo più importante della sua vita. Desiderava dimostrare di essere degna di portare quell’anello. Lo indossava con orgoglio e si sentiva a disagio quando non l’aveva al dito.

 

Lily, per il compleanno di Sev, aveva comprato un diario, dove entrambi avrebbero annotato le loro paure e si sarebbero confidati, qualora non avessero potuto parlare o passare del tempo assieme. Hogwarts era sì un luogo grande ed accogliente, ma qualche curioso e qualche Malandrino indesiderato poteva essere sempre in agguato. 

Sev non amava parlare, era ossessionato dal timore di spiegarsi male o di scegliere le parole sbagliate, oppure di non essere veloce abbastanza nel rispondere correttamente. Era incredibile quando si trattava di spiegare un incantesimo o la preparazione di questa o quella pozione. Al contrario, quando doveva parlare con altre persone, sembrava un altro. Preciso e chirurgico nella scelta dei vocaboli durante le interrogazioni e durante le lezioni, Sev esponeva il suo sapere con accuratezza, con una chiarezza disarmante per un adolescente. Prendeva la mole di nozioni, la distillava, la raffinava, fino a farla diventare materia preziosa. Alcuni studenti, senza cattiveria, ma con ammirazione, lo chiamavano l’Alchimista. La goffaggine e l’imbarazzo facevano sparire quell’indole precisa e scientifica, quando era costretto a stare con altre persone e dover socializzare. Gli pareva di essere esaminato, si sentiva sotto torchio e odiava essere giudicato da individui che conosceva appena.

Forse, con il diario, si sarebbe sentito più sicuro e si sarebbe aperto più volentieri. La ragazza aveva provveduto a proteggere quel volume con un incantesimo, che solo i due proprietari avrebbero potuto sciogliere. Le sue confessioni sarebbero sempre state al sicuro tra le sue mani.

Sperava che quel regalo fosse gradito.

Temeva che un giorno Sev si sarebbe chiuso definitivamente, costruendo mura impenetrabili attorno a sé.

Anche lei temeva la solitudine. Non avrebbe mai gradito giornate solamente soleggiate, la luce senza la notte. Sev era la parte più discreta e tranquilla di lei, non vi avrebbe mai rinunciato. Come se il Sole potesse rifiutarsi di alternarsi in cielo con la Luna. Follia.

 

Era buffo come non potesse più concepire un mondo senza Sev.

Potevano toglierle il pavimento da sotto i piedi, potevano toglierle i dolci, il cibo, i vestiti, che lei non ci avrebbe fatto troppo caso. Ma non sapeva più cosa fare se non avesse più avuto il saluto del suo mago. O se non ci fosse più stata una delle sue mani intrecciata alla propria.

Si chiedeva se fosse ossessionata … O se fosse innamorata e basta.

Gli adulti percepivano l’amore alla stessa maniera? E se fosse cresciuta poi, appiattendo i suoi sentimenti, rendendoli banali e prevedibili? O peggio, se non avesse più sopportato il ragazzo che aveva accanto?

Aveva paura anche di questo: di crescere e di perdere quel brio che le animava il cuore da qualche mese. Quell’amore vivace, intenso e ricco di complicità doveva vivere anche nell’età adulta. Lei e Sev non erano una coppia qualunque, erano speciali, più di tanti altri.

Era impossibile rimanere per sempre bambini, n’era cosciente. Però crescere le faceva comunque paura. Era un salto nel vuoto incredibile, senza certezze. Il diario sarebbe servito anche a quello. Sarebbero potuti crescere, mettendo giù, su quelle pagine lisce, tutto quello che sarebbe servito loro per sentirsi più sicuri e con dei punti di riferimento. Sarebbe stato meno spaventoso diventare grandi.

 

Lily accarezzò a lungo la copertina del proprio regalo, tastandone la superficie lievemente ruvida e di color grigio scuro. Prese una piuma e la intinse nell’inchiostro ed iniziò a scrivere sulla prima pagina. Prima di appoggiare la punta della piuma, esitò per qualche istante.

Iniziò a scrivere, con la sua calligrafia chiara ed un po’ tondeggiante.

 

 

Caro Sev,

 

Ti chiederai a cosa servirà questo diario …

E’ molto semplice.

Ti conosco, è difficile per te aprirti, parlare di quello che provi. Io so che vorresti parlarmi in qualche modo, confidarti con me.

Lo so che fai fatica, che ti è difficile scegliere le parole giuste. Non vuoi essere frainteso e temi che i tuoi stati d’animo vengano calpestati da chi ti tratta in maniera superficiale.

 

Io soffro con te e come te. Per questo, per il tuo compleanno, ho voluto regalarti questo diario. E’ tuo, ma anche mio. Questo è il nostro Pensatoio. Mio e tuo soltanto.

 

Anche io ho paura di non essere capita, che gli altri non capiscano i miei timori e le mie emozioni.

Ho paura che questi momenti irripetibili tra me e te vadano persi per sempre.

Ho paura di crescere e dimenticarmi questi anni meravigliosi assieme.

Ho paura di diventare una pura superficie, senza una profondità.

Di non essere più una ragazza, ma un fantasma.

Di non essere più un oceano, ma solo una pozzanghera.

 

Non voglio giacere nell’oscurità.

Ed essere sola ….

E rimanere senza te.


Preferisco urlare all’universo intero quello che provo,

piuttosto che provare dolore, che trattenere tutto con fatica dentro di me.

 

Per questo, voglio scrivere questo diario con te. Penso che sia il momento adatto per farlo.

Altrimenti, rischiamo di perdere quest’occasione.

 

Voglio fissare tutto quello che penso e che ricordo tra queste pagine, in modo tale che quando saremo grandi, portando i nostri figli al parco, potremmo ancora rileggerlo su una panchina …

E sentirci ancora noi due, Sev e Lily.

E ridere di quando ne abbiamo combinata una grossa, talmente grossa che rimarrà sulla bocca di tutti – ma l’abbiamo mai fatto? Forse è il caso di rimediare.

 

E potremmo sentirci ancora …

Dei bambini un po’ cresciuti.

Due maghi fortissimi ed unici.

Due anime che si sono trovate in Irlanda, per mai più lasciarsi.

 

Grazie per non avermi mai lasciato sola in questo mondo.

 

Buon compleanno, Sev!

 

Tua, Lily

 

P.s Sai che quando mi chiami Lilja mi fai impazzire? Ha un suono dolce. 

 

P.p.s

Da quando ti ho regalato quel libro di pozioni russo, mi affibbi stranissimi nomignoli. Magari mi stai dando della mandragola o del grinzafico e io non lo so. Ma mi piace rimanere nella mia beata ignoranza e pensare che tu mi stia dando della principessa o della bambolina …

 

Lily rilesse la pagina fitta di parole. Scosse un po’ il capo, temendo di essere stata troppo sdolcinata o sentimentale. Voleva scrivergli due parole molto semplici che racchiudevano tutto il contenuto del suo cuore, ma si era bloccata, con la piuma sospesa a mezz’aria. Non era ancora in grado di scriverlo, non perché non sentisse quel sentimento. Si sentiva ancora piccola per dirlo. Il momento giusto sarebbe arrivato, anche perché scrivere quel fiume l’aveva piuttosto affaticata. Spense la candela e si mise sotto le coperte.

 

Severus dopo la lezione di Aritmomanzia si era precipitato in biblioteca da Lily. Era uno di quei giorni in cui non avevano lezioni in comune, tuttavia la sua Grifondoro era riuscita a fargli gli auguri di compleanno, saltandogli in braccio poco prima di colazione. Il ragazzo aveva scelto come materie opzionali Aritmomanzia ed Antiche Rune. La ragazza aveva scelto Cura delle Creature Magiche, ma aveva rigettato Divinazione: la trovava una materia confusa, poco esatta e terribilmente inutile. Qual era la bellezza di predire il futuro guardando i fondi delle tazze di tè? La ragazza non l’avrebbe mai capito. 

Trovò Lily seduta presso un grosso tavolo vicino alla sezione dedicata all’Astronomia. Era una materia che l’appassionava molto in quel periodo e leggeva molto avidamente dei tomi enormi al riguardo. A volte, rimaneva alzata fino a tardi, per riconoscere, dalla sua finestra del dormitorio, le costellazioni in quel cielo invernale pulito e splendente. Alla mattina, era spettinata come non mai e sbadigliava senza sosta: tuttavia, il suo entusiasmo per aver individuato Orione, o la costellazione del Toro o dell’Auriga, era decisamente commovente e la ripagava di qualsiasi notte praticamente insonne. Aveva promesso a Sev che l’estate prossima avrebbero passato delle notti in bianco fuori per i prati o di Corkworth o di Galway per riconoscere le stelle in cielo.

Prima ancora che potesse proferire parola, Lily alzò la testa e lo salutò con entusiasmo e frettolosamente cercò di sistemare il caos che regnava su quel tavolo. Le mappe del cielo, le pergamene scarabocchiate, vennero tutte buttate nella borsa consunta della ragazza. Ci era molto affezionata, nonostante fosse un po’ usurata e rovinata.

“Stavi studiando Astronomia?” chiese Severus con un sorriso, accomodandosi accanto a Lily, che prontamente annuì.

“A proposito, non te l’ho più raccontato! Sai che i Babbani sono andati sulla Luna pochi anni fa? Quella sera eravamo tutti davanti alla televisione, con i vicini in salotto e non sapevamo più dove farli accomodare! E’ stata un’impresa incredibile!”

Il ragazzo spalancò gli occhi ed ascoltò la ragazza: di rado il mondo Babbano - ed ora più che mai, dopo l’incidente con suo padre - lo affascinava. Questa volta era genuinamente sorpreso.

Pose un sacco di domande a Lily: come ci erano arrivati sulla Luna? Qual era lo scopo dei Babbani in quella missione? Quanto erano rimasti sul satellite?

Rimasero a parlare un po’ dello spazio e degli astri, ma Lily non si dimenticò del regalo per il suo ragazzo: prese la borsa e se l’appoggiò sulle ginocchia, estraendo una scatola di medie dimensioni.

“Questa è da parte di mia mamma. Ti ha mandato i biscotti fatti da lei e ti augura buon compleanno!” esclamò contenta.

Sev aprì subito la scatola felice e prese uno dei biscotti, mangiandolo con calma.

“E questo è per te, da parte mia”. Gli porse il diario, avvolto in una carta velina leggerissima. Una volta aperto, il ragazzo lo guardò incuriosito.

“E’ ... Un diario o un libro?” 

“Leggi la prima pagina” fece Lily, visibilmente entusiasta e nervosa allo stesso tempo. Sperava che Sev capisse il senso di quel regalo.

Il ragazzo si trovò davanti la prima pagina scritta dalla Grifondoro ed alzò il diario, fino a portarselo piuttosto vicino agli occhi e ne lesse il contenuto, parola per parola.

Dovette rileggerle due volte.

Forse quattro volte.

Lily lo spiazzava, lo sorprendeva ogni volta. Era una ragazza davvero intelligente. Ma soprattutto, lo capiva, arrivando senza paura nel profondo del suo animo. Era una Grifondoro in tutto e per tutto, pensò per un attimo ... E lo amava, dimostrandoglielo continuamente.

Appoggiò il diario, sfiorandolo con le lunghe dita magre. Rimase a guardarlo per qualche istante, senza dire niente: cercava qualcosa di sensato e di significativo da dirle. 

“T-t ....” balbettò, rendendosi conto di sentirsi terribilmente idiota nella sua timidezza.

Lily gli prese le mani e lo incoraggiò, guardandolo con occhi scintillanti.

Forse era esagerato, magari non gliel’avrebbe più detto per chissà quanto. 

Basta ragionare, Severus. 

Quella voce perentoria dentro di sé lo spaventò.

Le strinse forte le mani e la guardò negli occhi e glielo disse con veemenza, sentendo il rossore arrivargli fino alla punta dei capelli. 

“TI AMO!”. Una ragazza del settimo anno, una Corvonero seduta un po’ più avanti, sobbalzò. Non che avesse capito il contenuto del messaggio, ma di solito un tono di voce così alto avrebbe fatto alterare Madame Pince. 

Si fissarono entrambi con gli occhi sgranati. Severus voleva scappare. Lily era rimasta piacevolmente spiazzata dal coraggio che aveva preso il ragazzo. Mai in vita sua si era spinto così in avanti: era tutto nuovo, ogni giorno si sentiva sempre più libero. Navigava verso un mare sempre più aperto e sperò che quello lo aiutasse a rimandare il suo dragone negli abissi.

“Sev ...” sospirò Lily, chiudendo per un attimo gli occhi lucidi “Anche io”.

Si sorrisero, guardandosi a lungo negli occhi, incapaci di fare altro.

 

Si accorsero di una cupa presenza al di sopra delle loro teste. Un’ombra con un lungo abito nero, i capelli brizzolati raccolti in uno chignon e degli occhiali dalle lenti spesse.

Madama Pince li guardava con ostilità, le braccia erano conserte.

“Ehm-ehm” si schiarì la voce. Fu sufficiente quello.

Presero le loro borse e fuggirono ridacchiando dalla biblioteca.

 

 

30 Gennaio 1975

 

Buon compleanno, Lily!

 

Finalmente ce l’ho fatta. 

Sono riuscito a scriverti qualcosa di sensato in queste pagine di diario. 

Perdonami, ci ho messo troppo tempo, mi sento un imbranato cronico con le parole.

 

Io mi fido di te ed per questo che alla fine, mi sono convinto a scrivere.

Concordo con te. Non dobbiamo dimenticarci di questi momenti passati assieme.

Trovo che sia una bella idea potersi confidare in queste pagine.

Le mie parole confuse e contorte non potrebbero avere custode migliore.

 

Quando sono da solo, continuo a pensare a quello che è successo a casa mia il giorno di Natale ... Non riesco a perdonarmelo.

Ci sono dei giorni in cui mi dico di aver fatto la cosa giusta, esasperato da tanto dolore e da tanta rabbia.

Altri giorni vorrei nascondermi e non vedere nessuno.

Ma ho te e questo mi fa sentire felice. E mi rendi più facile la vita. Più spensierata e serena.

 

Ti invidio Lily, hai una famiglia stupenda.

Merlino, tua sorella non è esattamente stupenda, ma sorvoliamo.

 

Fortunatamente, non hai vissuto l’orrore di stare in una casa dove non ci si parla.

Si litiga, se si vuole avere una parvenza di rapporto.

E’ un regime opprimente, dove le diverse parti, le idee differenti non possono convivere pacificamente.

Sai che si arriva all’odio, se oppressi?

 

No, Lily, non odio indistintamente tutti i Babbani.

Odio mio padre. E lui odia me per quello che sono, un mago. Ed è per questo che voleva mandarci via di casa a Natale.

Mia madre mi ha rifiutato, quel giorno. 

Mi sento amputato. Non ho più lei. L’unica che in quelle quattro mura potesse capirmi.

Avrei voluto spaccare qualsiasi cosa.

 

Da quel giorno, mi sento uno straniero e mi sento un fantasma. E’ una sensazione orribile.

A volte vorrei non essere mai nato.

Non in quella casa, non in quella famiglia.

 

Ripeto, poi ti vedo, sto con te e non ci penso più.

Sento i tuoi abbracci, i tuoi baci, i tuoi sorrisi e il tuo cuore immenso che mi accoglie ogni giorno e mi sento fortunato.

Sto bene con te.

 

Vorrei anche io diventare grande con te, non voglio rimanere solo!

 

Assieme faremo scintille! Te lo prometto! Non ti deluderò.

 

Grazie di tutto Lily e ancora tanti auguri!

 

Tuo, Sev.

 

P.s  Lilja! Sei speciale.

 

 

 

 

Il Serpeverde diede il diario a Lily il giorno del suo compleanno, chiuso in una nuova borsa per la ragazza.

“Sev! Ma non dovevi regalarmi una nuova borsa! Grazie di cuore!” esclamò la ragazza, baciandolo felice.

“Guardaci dentro ... Ce l’ho fatta!” disse orgoglioso il ragazzo.

Lily prese in mano il diario, raggiante.

“Che cosa hai scritto di bello!?” 

Il giovane sorrise misterioso, con quell’espressione inconfondibile, tra l’ironico ed il serio. Non se la sarebbe mai levata, nemmeno negli anni a venire.

“Leggi il diario e lo scoprirai”.

La ragazza dai capelli rossi si buttò su una sedia a leggere, avidamente.

 

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Capitolo 12
*** Springtime ***


12.

Springtime

 

“It's spring fever .. You don't quite know what it is you DO want, but it just fairly makes your heart ache, you want it so!” Mark Twain

L’enorme corpo di madre natura si stava risvegliando. Si scrollava di dosso le stalattiti di ghiaccio, scuotendo le chiome ed i rami dei propri alberi. Gli strati di gelo battevano in ritirata, formando tanti piccoli rivoli silenziosi, pronti a farsi strada tra l’erba tenera ed appena nata. Essa, assetata, porgeva le proprie labbra avide e screpolate verso l’aria, cercando di catturare l’acqua che defluiva via, ingoiandone ampi sorsi. 

Ciascun respiro sempre più sicuro ed ampio della terra ridava calore e tepore ad ogni creatura vivente. Il sole era più deciso nell’accarezzare il morbido manto verde rinvigorito. La pioggia, l’amata pioggia di Severus e Lily, si faceva premurosa: era come un balsamo nutriente, ben attenta a non colpire od a non recidere petali o soffici gemme. Cadeva con ticchettii gentili nei primi mesi. Non era ancora il momento di cadere con furia ed aggressività.

Giorno dopo giorno, si ridava colore e vigore ad un affresco di gigantesche proporzioni. Era un’opera magnifica, sempre più imperiosa ed affascinante, con il susseguirsi degli anni. Un occhio attento e sensibile al mutare delle stagioni non si sarebbe mai stancato di fronte ad uno spettacolo simile.

 

Nell’aria si respirava un’energia travolgente. Qualcosa era sempre pronto a scoppiare, toccato dalla giusta scintilla.

 

La stessa energia che era necessaria alle farfalle adulte per recidere la propria crisalide, in modo tale che potessero godere appieno della propria breve vita. Il brivido di posarsi su un fiore, di meravigliare le giovani studentesse di Hogwarts con la propria eleganza, fatta di disegni complicati sulle proprie ali.

Era la medesima energia occorrente ai fiori per sbocciare e spargere il loro profumo penetrante ovunque. Quelle fragranze bloccate in prigioni ghiacciate, ora fendevano l’aria, mescolandosi tutte assieme, quasi con il simpatico intento di rincitrullire gli studenti di Hogwarts. Le splendide rose coltivate con amore dalla Professoressa Sprite, i lussureggianti cespugli di fucsie selvatiche ed i cardi selvatici si divertivano a solleticare l’olfatto umano. Come conseguenza, sembrava proprio che i ragazzi della prestigiosa scuola di magia fossero più insofferenti al rimanere rinchiusi in classe, al dover seguire le lezioni e svolgere i compiti assegnati. Preferivano attraversare l’aria a tutta velocità con le loro scope volanti, magari per allenarsi a Quidditch, oppure sdraiarsi sui prati infiniti attorno a quell’imponente edificio. Il lago era una meta naturalmente molto ambita per poter studiare in tranquillità e trovare refrigerio - spesso con qualche tuffo del tutto indesiderato o inaspettato. Bastava una semplice disattenzione e, con le persone sbagliate attorno, il rischio che un ragazzo o soprattutto una ragazza finisse in acqua era molto alto. La povera sventurata, se di aspetto particolarmente gradevole, poteva pure incappare in commenti poco opportuni circa le sue qualità fisiche.

 

Emmeline Newey, Mary MacDonald e Marlene McKinnon avevano già provato la deprimente esperienza di essere buttate in acqua dai Malandrini, solo perché avevano ingenuamente accettato di “studiare” con quei mascalzoni. A dire il vero, la povera McKinnon sembrava averla presa proprio male, tanto da arrivare a versare più di qualche lacrima amara. Se ne andò, afferrando nervosamente i propri libri, dimenticandosi delle pergamene sparse per il prato, lanciando un’occhiata furiosa e disperata a Sirius Black.

Era innamorata di lui.

Si era sentita umiliata: era lì per quel ragazzo ribelle, per farsi notare ed avere una possibilità di stare con lui. Ed era stata irrisa più di tutti proprio da Black. Probabilmente era il suo modo per sentirsi sicuro di sé, ma con quell’occhiata triste e carica di rancore, il Grifondoro si ridimensionò parecchio.

Marlene iniziò a correre verso il castello, con i capelli biondi e lisci ancora bagnati, impacciata negli abiti zuppi, singhiozzando rumorosamente. Si stava facendo sera e Lily si era appena congedata da Severus, dopo l’intenso studio pomeridiano all’ombra di una grossa quercia.

Il pianto disperato di Marlene riecheggiava per la sala comune, arrivando fino al dormitorio. Condivideva la stanza con Lily, Emmeline e Mary oramai dal primo anno. Si erano trovate bene tutte assieme sin da subito, benché Marlene fosse la più schiva e riservata delle quattro. Di rado mostrava apertamente le sue emozioni ed era una ragazza molto quieta e tranquilla. Proveniva da una famiglia scozzese di maghi estremamente potente e Marlene non voleva deludere le aspettative della sua rigida famiglia. Era una delle migliori studentesse Grifondoro, assieme a Lily ed a qualche altra.

Lily si stava spazzolando i capelli con cura, districando con fatica ed una certa sofferenza i nodi ai capelli. Appena arrivava la bella stagione e le temperature si alzavano, iniziava a legarsi i capelli, in varie fogge e stili. Con l’arrivare delle temperature più calde, li teneva raccolti, ma apparivano più ribelli. Le ciocche rosse cadevano mosse, come tante piccole onde allegre, agitate da una brezza gentile. Nodo dopo nodo, con smorfie di dolore sempre più intense, Lily si riprometteva di accorciarli, a volte pensava proprio di tagliarseli di netto, senza mettere in conto un’eventuale reazione della madre, che si era sempre prodigata per curare quella chioma rossa e brillante. E poi pensava alle mani di Severus, dalle dita lunghe e fini che passavano senza sosta tra i suoi capelli e ci ripensava.

Si limitava a soffrire in silenzio.

“Per abbellire bisogna soffrire” borbottò Lily, riponendo la spazzola.

Alzò lo sguardo e vide irrompere l’amica in camera. La ragazza bionda crollò sul letto, scossa da forti singhiozzi. Lily accorse e si appoggiò a bordo letto, profondamente sorpresa, e si chinò verso Marlene.

“Marlene! Che cosa è successo?” la ragazza posò una mano sulla spalla dell’amica affranta.

Per qualche attimo continuò a singhiozzare, poi riacquistò il controllo.

“S-Sirius ...” iniziò un po’ esitante, mettendosi a sedere.

Lily già sentiva il sangue agli occhi. Uno di quei quattro nomi era in grado di mandarla fuori di testa in pochi secondi. Strinse i pugni e cercò di mantenersi lucida e calma.
“Che cosa ti ha fatto quel cialtrone?” disse quasi ringhiando, digrignando i denti fino a farli stridere tra loro.

“M-mi ha buttato in acqua. D-davanti a tutti ... Mi s-sono sentita umiliata. Rideva più forte di tu-tutti e ... Mi ha ferito”.

Lily scattò in piedi: “Lo credo bene, sono sensibili come dei draghi norvegesi in un negozio di cristalleria!”.

La ragazza si chiese perché quei quattro non sarebbero mai maturati. Perché si divertivano a dar fastidio alle persone, a tartassarle con i loro incantesimi stupidi. Lily era rimasta stupita dalla reazione della povera Marlene: si aspettava un Pietrificus Totalus da parte sua. Aveva sempre l’aria di una ragazza tutta d’un pezzo.

“Lily, a me piace Sirius” disse tutt’a un tratto la giovane, asciugandosi le lacrime, come se avesse letto nel pensiero della propria amica.

La giovane dai capelli rossi era sconcertata. Come faceva a piacergli un tipo simile?!

“Marlene, sei una ragazza intelligente e sensibile, ma ... ” esordì, misurando bene le parole, per non peggiorare la situazione “Perché proprio Sirius Black!?”

La bionda rimase in silenzio, con le mani in grembo. Guardava verso il basso, pensierosa e triste.

“Perché è un ragazzo solo, non ha nessun altro se non gli altri Malandrini. Però, se lo prendi da solo, non è così male ... Non è per niente spavaldo ...” si giustificò la giovane.

Lily si morse un labbro. Ancora non capiva, ma non poteva farci molto ed in qualche modo si riconosceva nella propria compagna di stanza. Lei veniva irrisa e presa in giro per il fatto che frequentasse Severus Piton, tante non si capacitavano di come potesse stare con lui, ma poco le importava. Lei amava Sev, vedeva nel profondo del suo cuore e le piaceva quello che vedeva e quello le bastava per spazzare via le malelingue.

A Marlene poteva piacere qualunque ragazzo, purché non venisse ferita inutilmente, come aveva fatto Black nel pomeriggio. Quello non lo poteva ammettere. Dopotutto, era una delle sue più care amiche e mal sopportava le ingiustizie, quali che fossero.

“Lene, si è comportato come un cretino e glielo devi urlare in faccia. Devi farlo sentire un verme, nella speranza che si ridimensioni”.

“Se poi dovessimo litigare? Io penso di piacergli, non voglio allontanarmi da lui”.

Non aveva tutti i torti neppure la fragile McKinnon.

Lily finì di prepararsi per andare a cena, rimase in silenzio per qualche minuto, con l’amica seduta, che pendeva dalle sue labbra. Cercava una risposta convincente da darle, che potesse spronarla a sentirsi sicura di se stessa. Ma non poteva ammettere che l’ennesimo misfatto dei Malandrini finisse impunito.

Se ci tiene davvero a te ... Saprà come farsi perdonare e terrà la testa china a dovere”.

Marlene sorrise speranzosa.

“Dici davvero?”.

Lily annuì, immaginando Sirius disperato che corre dietro ad una Marlene glaciale ed altezzosa e ridacchiò tra sé e sé.

Si diede un’ultima sistemata veloce e si voltò verso la compagna, facendole cenno di seguirla.

“Piuttosto vieni a cena. Non c’è niente di meglio che del buon cibo per dimenticarsi di certi brutti momenti”.

“Grazie Lily, ti faccio compagnia volentieri. Dopo gli parlerò serenamente”.

 

“Marlene, io non volevo offenderti davanti a tutti ...” si giustificò Sirius Black, seduto sul divano della sala comune dei Grifondoro. Gesticolava nervoso e tutta la sua arroganza e baldanza aveva lasciato spazio ad un ragazzo tremendamente spaventato. Ci teneva a farsi perdonare da Marlene.

La ragazza bionda, furibonda, alzò gli occhi al cielo e urlò: “Ah si?! E allora come mai hai lasciato che quel cretino di Potter mi buttasse in acqua!? Perché non lo hai schiantato!?”

“Io ... Ti prego, ascoltami” Sirius si alzò in piedi e con gentilezza cercò di prendere la mano della ragazza, che si scostò, ma non troppo. 

Lily era accoccolata su un divanetto poco distante, con in grembo un libro di Incantesimi. Alzò la testa, abbastanza scocciata da quel Black che non faceva altro che ripetere come un disco rotto di voler essere ascoltato, di perdonarlo, che non l’aveva fatto apposta. 

Meno male che dovevano parlarsi serenamente pensò la Grifondoro. E riprese a leggere, cercando di concentrarsi sul proprio volume. Grazie al cielo con Severus non aveva di questi problemi.

“Sirius, mi chiedo allora se non volevi offendermi, perché hai lasciato che i tuoi amici storditi si divertissero così” chiese con vigore la ragazza.

Il ragazzo si fece avanti deciso e strinse forte la mano della giovane, portandosela al petto.

“Marlene, tu mi piaci” disse d’un fiato Black.

Merlino, spero di aver sentito male fu il pensiero di Lily.

La McKinnon si ammorbidì, rivelando un sorriso malinconico.

“Non mi basta che io ti piaccia e basta. Devi essere te stesso di fronte a me, non un ... Un pallone gonfiato, per Merlino!” esclamò. 

Ben fatto, Lene! Lily sorrise tra sé e sé, compiaciuta.

Sirius abbassò la testa, mortificato.

“Io ... Io mi comporto così perché mi sento solo” sussurrò, in modo tale che solo la diretta interessata potesse cogliere quella frase. Lily, da buona osservatrice, capì il cambio di tono di voce da parte del ragazzo.

Oh mamma, la vittima no! La ragazza dagli occhi smeraldini rifletté per un attimo, temendo di essere sembrata ingiusta nei confronti del ragazzo.

In effetti, Sirius Black non aveva una situazione rosea. Ribelle sin dalla più tenera età, discendente da una delle più grandi famiglie di maghi purosangue, con generazioni intere cresciute nei Serpeverde, era stato smistato nei Grifondoro, con buona pace dei genitori. Essi avevano sopportato a fatica tutte le stravaganze, il carattere estroverso ed esagerato del figlio, ma quello era stato l’ultimo affronto. Era stata l’ultima goccia che aveva fatto traboccare il vaso, rovinando in maniera inesorabile i rapporti con i propri genitori e tutta la famiglia Black, comprese le due cugine Narcissa e Bellatrix, che chiaramente abbracciavano gli ideali della nobile casata. Andromeda, la terza cugina e sorella delle altre due, rimaneva quella più amata, perché era diversa, come lui. Ragionava con la sua testa, esattamente come Sirius. L’essere differente non veniva percepito come un difetto, anzi: era esibito con orgoglio in tutta la propria stanza presso Grimmauld Place 12. Motociclette, poster di avvenenti pin-up Babbane, stemmi e colori appartenenti a Grifondoro ovunque. Se avesse potuto, avrebbe dipinto le pareti d’oro ed amaranto.

Lily con un leggero senso di colpa, chiuse il libro e si avviò verso la propria stanza, camminando senza fare troppo rumore e senza farsi notare da Marlene e Sirius.

I due, illuminati appena dalle candele, si erano seduti e si parlavano sommessamente, l’uno molto vicino all’altra. Sirius in particolare parlava senza sosta e la giovane bionda annuiva, muovendo il capo con energia e lo guardava negli occhi con un’espressione sofferente, ma dolce e comprensiva. Di tanto in tanto, gli posava una mano sul ginocchio e lo esortava a proseguire. L’amore era nell’aria.

 

Lily si spogliò pigramente e si mise la sua camicia da notte preferita, di un tenue color lavanda. Era leggera e non vedeva l’ora di poterla indossare nelle notti miti di primavera o d’estate. Con dispiacere sapeva che se sarebbe cresciuta di più, sarebbe stata immettibile per lei. In altezza sentiva che sarebbe rimasta piuttosto bassa, esattamente come sua madre, al contrario dell’alta e secca Petunia. Ma il resto si sarebbe ribellato, lo sentiva.

C’era una sorta di rivalità fisica tra di loro, oltre a quella che le aveva divise per sempre.

Se una si cambiava in presenza dell’altra, partivano le occhiate furtive. Erano pronte a trovare differenze, difetti, pregi nel corpo dell’altra. Ogni cambiamento veniva accolto con ostilità. 

A casa Lily cercava sempre di uscire dal bagno perfettamente vestita, o chiudeva accuratamente la porta della stanza: non voleva concederle un singolo centimetro di pelle in più del dovuto. Non desiderava i suoi commenti acidi pure sul suo corpo. 

Si scrollò di dosso i soliti ricordi amari e si sdraiò sul letto. Affondò dolcemente nel materasso ed allungò una mano verso il comodino, prendendo il nuovo libro di lettura che aveva preso in biblioteca. Aveva esaurito i propri libri di lettura portati da casa e necessitava di qualcosa da leggere.

In biblioteca ad Hogwarts non era sicura di trovare la tipica letteratura babbana, ma ci aveva provato.

La burbera Madama Pince le aveva indicato una sezione senza un nome particolare, ma era stracolma di libri da smistare. 

“Dubito che molti di loro finiranno sugli scaffali di questa biblioteca. Non parlano di magia” sentenziò seccamente la bibliotecaria.

Lily, non avendo molto da fare, dato che Sev era a lezione, si precipitò in quella sezione, toccando i libri avidamente, tastandone le copertine, sfiorando con curiosità i titoli dorati e consumati dal tempo.

Piccole Donne. Aveva provato a leggerlo, era uno dei libri preferiti di Petunia. Lei lo aveva trovato di una noia mortale.

Delitto e Castigo. Le sembrava un libro troppo complicato.

Orgoglio e Pregiudizio. Lo leggeva spesso sua mamma, poteva prenderlo in considerazione.

Cime Tempestose.  Quello suonava interessante.

Afferrò la copia e se la mise in borsa.

Non si sentiva ancora soddisfatta della sua ricerca, quando il suo sguardo cadde su un grosso volume dalla copertina rossastra. 

Poesie d’Amore.

Lily non era molto appassionata di poesie, spesso finiva per non capirle, o le trovava troppo complicate. Figurarsi le poesie d’amore: o le trovava smielate, o svilivano eccessivamente quel sentimento intenso. La maggior parte delle volte, dopo la lettura, non si sentiva purificata, né tantomeno illuminata da alcuna luce sovrannaturale. Eppure qualcuno le aveva detto che ci si sarebbe dovuti sentire bene. Il più delle volte rimaneva ad interrogarsi sul significato di questa o quella lirica, su questa o quella figura retorica.

Aprì il libro e lesse l’elenco di autori al proprio interno. Per un attimo, vide le pagine agitarsi, scrollarsi via di dosso la polvere, per poi ricadere leggere nella loro immobilità. 

Le parve di sentire un vociare concitato all’interno del libro. Era un libro magico: quindi una voce le avrebbe potuto recitare le poesie. Era perfetto prima di addormentarsi, dato che Lily con la bella stagione iniziava a dormire sempre meno ed in estate, quando si trovava a Corkworth, faceva proprio fatica ad assopirsi.

Era lì sdraiata sul letto, pronta a farsi accompagnare verso il mondo dei sogni con dolcezza e amore. Si distese e rilassò le gambe ed i piedi. Con attenzione aprì la prima pagina. Decise che avrebbe scelto un autore senza un motivo preciso, a caso.

 

Gaio Valerio Catullo recitava il titolo elegante, con una grafia svolazzante e d’altri tempi. Guardò il ritratto di quel giovane poeta: dal viso abbastanza tondo, i lineamenti non erano affatto sgraziati. Gli occhi erano grandi ed i ricci scuri cadevano disordinatamente sul viso. Il naso era piuttosto grosso, le labbra piccole e sottili. Sembravano più delle labbra da donna, però. Erano dei boccioli di viola delicati.

“Mai sentito questo Catullo” osservò soprappensiero Lily. Non l’avesse mai fatto.

Il ritratto si animò ed il poeta strabuzzò gli occhi.

“Ragazza, bada a come parli! Io sono Catullo, il grande poeta d’amore dell’antica Roma!” il ritratto redarguì Lily con voce sdegnosa. La giovane sobbalzò spaventata.

“Va bene, non si agiti, signor Catullo. Non c’è bisogno di scaldarsi” gli rispose decisa Lily, per poi chiedergli curiosa “Ha qualche poesia da recitarmi, stasera?”.

Il ritratto si calmò ed il giovane ragazzo parve sorridere.

“Signorina ... Mi dica il suo nome. Non posso recitare di fronte ad una così bella fanciulla senza sapere il suo nome”.

Lily esitò. Potevano dei ritratti provare dei sentimenti? O semplicemente, riflettevano il carattere degli illustri personaggi defunti? Quel poeta pareva un donnaiolo, la ragazza ne aveva quasi la certezza.

“Mi chiamo Lily. Lily Evans”.

Il poeta la scrutò con attenzione, poi sorrise.

“Tutte le poesie d’amore che desidera Lily, la mia signora”.

Lily abbozzò ad un sorriso. Addirittura aveva un poeta al suo servizio, in quel momento. Si sentiva  colpita dalla gentilezza di quell’artista, proveniente da un mondo e da un’era totalmente distante da lei. 

Catullo schiarì la voce, facendo svolazzare la pagina. Evidentemente, era molto tempo che non prestava la sua voce alla recitazione di poesie. 

 

Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l'invidioso
per un numero di baci così alto.”

 

Lily, al di là del fascino dell’amore, dei baci tra due amanti, pensò a questa Lesbia. Doveva essere abbastanza restia a baciare il povero poeta sventurato. D’altronde, quest’ultimo sembrava innamorato alla follia. Non sentiva il fuoco imperioso delle poesie d’amore ghermirla. Neanche questa volta.

“Catullo, perdonami, potrei chiederti una cosa?” chiese dopo qualche attimo di silenzio la Grifondoro.

Il ritratto annuì.

“Lesbia era la tua ragazza?” gli chiese con confidenza.

L’interpellato annuì con aria grave.

“Non era solo mia, purtroppo, mia signora”.

Lily non era proprio una ragazza ingenua ed aveva capito che cosa intendesse il poeta latino. Ma come faceva quel poeta ad amare una ragazza che non poteva essere solo la sua? Non era troppo una donna virtuosa questa Lesbia.

“Ma come facevi ad amarla?” le chiese dubbiosa la ragazza, sapendo di mettere in evidente difficoltà il poeta.

“L-lei mi prometteva di volere solo me! Avrebbe rifiutato anche Giove in persona! Ma Lesbia ... Desiderava solo me ... A-a volte”.

La ragazza s’indignò: ma come poteva accettare di essere amato solo a volte? In amore era tutto o niente. Era la sua visione di quindicenne molto innamorata. La visione di amare il suo Sev a rate, condiviso con qualche altra ragazza gelosa od invidiosa, la fece rabbrividire. 

“Scusami e tu eri contento di averla solo qualche volta?” chiese a voce un po’ alta la giovane.

“Perché quelle poche volte che l’avevo per me, mi faceva stare bene” ribatté piccato il poeta.

“E pensi che lei si meritasse tutte queste poesie, dopo tutto quello che ti ha fatto penare?!”.

“Ma l’amore è così, mia signora ... Lei forse non è innamorata abbastanza per capirlo” rispose altezzoso Catullo “Forse non capisce fino in fondo che cosa comporta l’amore”.

Lily si sentì le guance avvampare e si sentiva abbastanza offesa da quell’affermazione. Urgeva prendere le distanze da quelle frasi.

“Mi dispiace di doverla contraddire, signor Catullo, ma io sono innamorata e pure tanto del mio Severus. Non ha trecento amanti in giro, è un ragazzo onesto e sincero ... E vuole solo me” disse con voce un po’ strozzata la ragazza.

“Mia signora, le ripeto che non capisce l’ampiezza dell’amore e la sua complessità. Non porta a fare scelte facili e lo sperimenterà non appena si troverà di fronte alle prime difficoltà”.

Lily si mise a sedere. Aveva voglia di chiudere quel libro ed andarsene a dormire. Prese il volume tra le mani e diede un’ultima risposta spazientita.

“L’amore saprà come guidarmi anche di fronte alle difficoltà, che per ora non mi preoccupano più di tanto. Ma mi permetta di ricordarle che l’ampiezza dell’amore è una cosa, mentre avere l’amante ampiamente condivisa è un’altra. Buonanotte”.

“Aspetti! Mia signora, la prego!” balbettò Catullo.

“Se amava davvero la sua Lesbia, non se la sarebbe mai fatta scappare. Ci pensi su. Buonanotte”.

Con gesto deciso, Lily chiuse l’enorme tomo, spargendo un po’ di polvere in giro e lo posò sul comodino, stizzita.

Nel profondo del suo cuore non avvertiva difficoltà in arrivo. O meglio, quali difficoltà avrebbe mai dovuto avere con Severus, ora? Avevano solo quindici anni, ne avevano ancora di strada da fare. Voleva godersi il suo amore sincero, onesto e pulito. Né più, né meno.

Il resto, l’avrebbe gestito con il suo fidanzato.

Mentre si addormentava tra le lenzuola candide e fresche, un ultimo pensiero le balenò per la testa.

Prima Marlene, poi questo strano poeta ... La primavera sarà bella, ma quest’aria intrisa d’amore rincitrullisce qualche cervello illustre e brillante. 

 

Sev e Lily si erano ritrovati sotto la quercia per studiare e giocare a Scacchi Magici. Severus era incredibilmente forte e polverizzava puntualmente Lily. La giovane Grifondoro litigava con i propri pezzi, i pedoni scappavano dove volevano, i cavalli si ammutinavano puntualmente, le torri non si spostavano, dubbiosi e scettici per quanto riguardava le mosse proposte dalla giocatrice. Non riusciva a fare in modo che le pedine si fidassero di lei. Forse non gradivano la strategia aggressiva della ragazza.

Sev era un giocatore attento, più riflessivo. Si prendeva il suo tempo, come se giocasse d’anticipo, cercando di prevedere le mosse di Lily. Non che fosse difficile, dato che la ragazza non riusciva a domare le proprie pedine e faceva molta fatica a condurre la partita.

E anche quel pomeriggio, all’ombra dell’albero imponente, cullati da un vento leggero di ponente che increspava il Lago Nero di Hogwarts, il giovane Serpeverde avrebbe vinto senza troppe difficoltà. Avevano sparso i loro libri ovunque sull’erba ed avevano buttato i maglioncini scuri e pesanti vicino al tronco della pianta. Lily si era levata le scarpe e le calze pesanti, rimanendo scalza. Le piaceva poter toccare l’erba e la terra ancora un po’ umida a piedi nudi.

“Scacco matto” disse soddisfatto Severus, muovendo l’ultima pedina. 

Lily sbuffò, afferrò il loro diario e segnò l’ennesima vittoria del ragazzo agli Scacchi Magici.

“Però, avrei un’ultima mossa da fare” disse la ragazza, con un sorrisetto furbo e gli occhi maliziosi.

“Fai pure” disse Severus tranquillo.

In un lampo, la ragazza balzò addosso a Severus e caddero sull’erba ridendo, facendo volare le pedine colorate ed animate ovunque.

Lily spietata solleticò Severus sui fianchi, sul collo, dietro le orecchie. Lo teneva ben bloccato sotto di sé ed il giovane si dimenava, ridendo prima sommessamente, poi sempre più fragorosamente, implorandola in maniera poco convincente di smetterla.

Con le mani cercava di rispondere agli attacchi della ragazza, ma era una battaglia persa, fino a quando non riuscì a bloccare un braccio di Lily, poi l’altro.

“Non vale!” brontolò la giovane, bloccata dal ragazzo.

“Nemmeno la tua difesa era contemplata nel manuale di Scacchi Magici, a dire il vero” sentenziò sarcastico il giovane.

Riuscì ad afferrare un piede nudo di Lily e prese a solleticarne la pianta.

“Sev ... NOOOOO!”

Non aveva mai visto la ragazza così scalmanata, scalciava e si agitava, ridendo con le lacrime agli occhi.

Severus si fermò per un attimo e Lily riprese fiato. Distesa sul prato, con i vestiti in disordine, i capelli confusamente sparpagliati per terra, era di una bellezza selvaggia ed intrigante. Non era di certo composta e perfetta come una fata di primavera. Il viso arrossato per il troppo ridere contrastava con quelle gambe bianchissime e più scoperte del solito. Se ci fosse stata sua madre presente, probabilmente l’avrebbe prontamente ripresa e le avrebbe ordinato di rimettersi a sedere perbene, perché con la gonna addosso non ci si può permettere di lasciare le gambe all’aria con quella naturalezza. Ma in quel momento, non che le importasse molto la postura. Si sentiva accaldata, scomposta, ma a suo agio, sapendo bene di avere lo sguardo discreto di Sev addosso. 

Sev lasciò andare il piede di Lily e si stese accanto a lei, non smettendo di guardarla rapito.

Lily lo guardò, immergendosi negli occhi scuri del ragazzo. Forse era quella giornata così assolata,  probabilmente era sempre stato così, ma il suo sguardo aveva una luce intensa. Era magnetico. Era una delle parti del suo corpo che gli piacevano di più.

“Non vale il solletico sui piedi ...” disse debolmente, senza staccargli gli occhi di dosso. 

Sev per tutta risposta allungò le braccia e la strinse a sé, baciandola prima lievemente, poi con ardore. Solo quando era certo di non avere gente attorno se non Lily, si faceva così sicuro. Quei gesti dovevano essere per lei soltanto. Nessuno, dai compagni Serpeverde, alla gente qualunque attorno a sé, doveva vedere quella parte di Severus. Apparteneva solo alla sua amata.

Lily rimase con gli occhi socchiusi, con il viso appena illuminato da qualche raggio di sole che filtrava tra le fronde. Gli strinse con dolcezza le braccia, nascoste sotto la camicia. Erano ancora piuttosto magre, ma si irrobustivano settimana dopo settimana. Il suo cuore batteva forte come sempre. Proprio come il primo giorno.

 

La Primavera rincitrulliva le menti, poteva essere vero.

La Primavera risvegliava la natura, era assodato.

La Primavera era in grado di far abbracciare due innamorati con un ardore del tutto ignoto. Quell’aspetto era del tutto da scoprire. Avevano un’intera stagione davanti, una vita intera, se l’avessero voluto.

 

I due rimasero sotto la quercia, abbracciati e parlando sommessamente, a godersi la fine del pomeriggio ed il calare del sole.

Si stavano rendendo nuovamente presentabili quando Lily vide le figure di Emmeline e Marlene correre verso di lei. Sembravano molto agitate.

“Lily, per fortuna ti abbiamo trovata! Oh, ciao Severus!” esclamò trafelata Emmeline, che si appoggiò al tronco per riprendere fiato. Marlene arrivò poco dopo.

“Ragazze! Che cosa succede?” chiese Lily preoccupata.

Marlene calma prese la parola “Mary ... Non troviamo più Mary”.

“Cosa? E dov’è finita? Non sarà fuori da qualche parte?”

Emmeline scosse la testa: “Ci eravamo date appuntamento nella Sala Comune di Grifondoro, dovevamo andare a vedere gli allenamenti di Quidditch assieme ... Ma non è mai arrivata”.

“Pensavamo fosse già al campo, che si fosse dimenticata di noi. Sai che è smemorata ... Siamo andate a controllare, ma non c’era. Abbiamo chiesto a tutti i presenti se l’avessero vista, ma niente”.

Lily sentì un brivido di terrore percorrerle la schiena. 

Dove poteva essere finita? 

Cosa poteva esserle successo? 

“Andiamo a cercarla. Sev, te la sentiresti di venire con noi? Avremmo bisogno di un ragazzo, non so dove potrebbe essere”.

Severus annuì, preoccupato. Non era mai capitato ad Hogwarts che qualcuno sparisse così nel nulla. Non negli ultimi anni. Sperava non si trattasse di magia oscura.

“Non c’è tempo da perdere, dobbiamo chiedere aiuto ad altri studenti” disse lucidamente Marlene.

Lily e Sev presero di corsa le loro borse e si misero a correre con le due Grifondoro.

*  *  *

Piccolo angolo autrice: magari dopo 12 capitoli è il caso che mi faccia vedere :D

 

Innanzitutto, un grandissimo GRAZIE di CUORE a tutti voi che leggete, recensite, sbirciate e basta questa piccola storia, un contributo personale ad una coppia che adoro, ma finita troppo tragicamente.

Sono tanto felice che stia volando e che sia apprezzata.

 

Questo capitolo l’ho voluto mantenere leggero, proprio perché il prossimo sarà impegnativo. In teoria doveva essere un capitolo unico immenso intitolato “Springtime & Voodoo”. Però non volevo rovinare la spensieratezza di questo capitolo! 

Il 13 arriverà presto e spero vi possa piacere. Temo che dovrò alzare un po’ il rating di Irish Rain, ma siamo tutti grandi adulti e vaccinati!


Un grosso abbraccio ed un grazie di cuore ancora,

a voi,

che credete nei miei piccoli tesori Sev e Lily.
Non smettete di credere nella pioggia.

 

 

Blankette_Girl

Alessandra <3

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Capitolo 13
*** Atonement ***


13.

Atonement

 

“The beginning of atonement is the sense of its necessity” Lord Byron

Il magnifico bagno dei maschi di Hogwarts, piastrellato di mattonelle di un cupo verde petrolio, era pieno d’acqua. Non solo per i giochi d’acqua raffinati, per rilassarsi e rinfrescarsi in qualsiasi momento. 

Una tubatura era stata rotta. Uno degli eleganti e candidi rubinetti era in mille pezzi, la ceramica frantumata era sparsa ovunque.

I getti d’acqua uscivano in maniera incostante dal lavabo distrutto. 

Lo scroscio dell’acqua era il perfetto sottofondo per Mulciber ed Avery ed i loro misfatti, in quanto avrebbe attutito le urla della vittima. I riflessi iridescenti del liquido che fluiva via nelle piccole grate a terra si riflettevano sugli specchi e sul soffitto scuro. Come se quella raffinatezza, quei colori delicati, potessero attenuare la scena terribile che si era prospettata.

Mulciber ed Avery, due Serpeverde noti per la loro discendenza da maghi vicini a Tom Riddle, il Signore Oscuro, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, inseguivano tra ghigni ed imprecazioni, la  loro vittima, che zoppicava con fatica verso un riparo sicuro.

Era pertanto naturale la loro inclinazione verso le Arti Oscure e non vedevano l’ora di mettere in pratica i preziosi insegnamenti che il loro mentore, la loro guida verso il Signore Oscuro, stava dispensando negli incontri clandestini presso una bettola di Hogsmeade. 

Ogni singola fibra muscolare di un Sangue Marcio andava fatta tremare. 

Le ossa babbane dovevano essere ossequiosamente intinte nel lago oscuro di magie proibite, di Maledizioni senza Perdono.

Il terrore e la paura dovevano regnare negli occhi di un nato Babbano. 

La magia era per pochi. E per i puri.

Lucius Malfoy, l’abile affabulatore dalla voce melliflua, durante quelle riunioni, incitava i due scapestrati non solo a studiare, esplorare le Arti Oscure, ma anche a praticarle. Non mancavano di certo le cavie ad Hogwarts. Volontarie o meno, era ininfluente.

Solo così, secondo il biondo Mangiamorte, avrebbero potuto vedere e conoscere Lord Voldemort in persona. Sarebbe stato certo orgoglioso di avere due talenti cristallini come i due studenti in questione. Un futuro brillante e quantomai glorioso li attendeva, accanto al mago più potente di tutti i tempi. 

Avidamente, non vedevano l’ora di compiacerlo, di soddisfare la crescente sete di sangue, di violenza. Una malsana voglia di fare il vuoto attorno a sé, di purificare quell’arte sempre più sporca di scorie non gradite.

Mary MacDonald non era di certo una maga debole, non le mancava il coraggio e la forza di volontà per opporsi a quello scontro impari.

Era stata colta di sorpresa, mentre camminava da sola verso il campo di Quidditch. Uno Schiantesimo di lieve potenza l’aveva colpita, per poi farla crollare a terra, indebolita, vagando tra coscienza ed incoscienza.

Il momento era stato propizio per i due maghi: Avery, il più corpulento e forzuto dei due, si avventò su di lei e la prese, portandola in braccio allo stesso modo con cui si trasporta un mucchio di stracci. Da lì, il percorso era stato piuttosto tranquillo e privo di imprevisti, data anche l’ora, anche se i due tennero alta la guardia e la bacchetta magica pronta a Schiantare chiunque fosse apparso davanti a loro.

Una volta arrivati nei bagni, chiusero le porte con cura e si dedicarono con piacere perverso a risvegliare la propria vittima con un deciso Innerva.

La giovane Grifondoro era scattata in piedi, rendendosi immediatamente conto di essere finita nel bagno dei maschi di Hogwarts. Cercò di correre verso la prima porta più vicina, ma Mulciber l’aveva afferrata per le spalle. Era troppo forte per lei, non riusciva a divincolarsi e gli urli venivano o soffocati dalla mano del rapitore, o dalla bacchetta magica di Avery, che con qualche scintilla verdastra la ammutoliva. Pronunciava i nomi degli incantesimi ringhiando, carico di disprezzo, come se avesse davanti un oggetto di scarso valore.

La presa su Mary era alquanto brutale, le dolevano le spalle e le braccia e quella combinazione di dolore lancinante non l’aiutava a mantenere la calma. Mulciber, spazientito, la scaraventò a terra, praticamente sopra i giochi d’acqua che zampillavano magicamente dal pavimento.

I vestiti s’inzupparono molto in fretta, poteva essere un ostacolo considerevole per i suoi movimenti, ma non se ne curò. Si alzò in fretta in piedi, ma non poté evitare il primo lampo verde che le arrivò addosso.

“Imperio” esclamò con vigore Avery. I suoi occhi scintillavano, nella trepidante attesa di vedere i risultati del suo incantesimo. La sua prima Maledizione senza Perdono su una Sangue Sporco.

Mary si sentì in una sorta di calma innaturale, come in una trance, probabilmente.

Si sentiva in pace, ma anche terribilmente vuota. Come se qualcuno la stesse muovendo come una marionetta, tirando i fili delle sue braccia e delle gambe.

Provò a ritornare in sé, richiamando tutte le forze che aveva. Vagava tra strati d’alterazione, di vuoto totale e di lucidità. In un attimo di lucidità provò a liberarsi dall’incantesimo maledetto.

Riuscì ad estrarre la sua bacchetta magica, cercando di lanciare un portentoso Schiantesimo.

“STUPEFICIUM!” urlò disperata ed in un attimo si scrollò di dosso quell’orribile sensazione di essere controllata da qualcun altro.

Prese di striscio Mulciber, che non fece in tempo a difendersi con un controincantesimo, e quest’ultimo incespicò, stupito. L’incantesimo impattò contro il lavabo dietro di lui, frantumandosi in mille pezzi. I getti d’acqua schizzarono molto alti, fino a toccare il soffitto.

I due Serpeverde si guardarono, un po’ meno sicuri di loro stessi. Speravano non si fosse sentito troppo il frantumarsi del lavandino.

Mary cercò di correre verso l’uscita. Le sue scarpe si immergevano nello strato lieve d’acqua che si era formato

“Dove scappi, Sangue Sporco?!” sghignazzò Avery, intanto che Mulciber si ricomponeva.

La ragazza sbatté contro la porta, picchiando i propri pugni disperata. Le venne lanciato un nuovo incantesimo come ammonimento. 

“Dovresti sentirti onorata, piuttosto: sei la nostra prima cavia” disse mellifluo Mulciber “Abbiamo ancora tante cose da fare assieme, non sei contenta?”.

La vittima si voltò verso i due maghi, con uno sguardo determinato, stringendo con forza la sua bacchetta. Non l’avrebbe mai data vinta ai due Serpeverde. Dato che non poteva fuggire, doveva combatterli.

“Prima di poter fare le porcherie con la Magia Oscura dovrete passare sopra il mio cadavere ... EXPELLIARMUS!” gridò. Dalla bacchetta di Mary uscivano delle scintille dorate ed ustionanti.

 

“L'orrore del reale è nulla contro l'idea dell'orrore. I miei pensieri, solo virtuali omicidi, scuotono la mia natura di uomo; funzione e immaginazione si mescolano; e nulla è, se non ciò che non è”.

 

Severus non lo dava a vedere, ma era il più preoccupato di tutti.

Cupe parole riecheggiavano dentro di sé, dando voce alle sue paure più folli ed inconfessabili. Quelle frasi che aveva letto quel pomeriggio con Lily, sul quel libro magico, non lo abbandonavano. Ronzavano come delle mosche fastidiose nella sua testa.

Erano vere.

Provava orrore al pensiero di quello che era successo, di quello che li attendeva nelle ore successive. Tuttavia, si sentiva ancora più terrorizzato di fronte alle sue elucubrazioni. 

Che cosa poteva essere successo? Preferiva a momenti non pensare più a nulla e trovarsi il misfatto davanti.

Sperava che non avesse a che fare con le Arti Oscure, ma non n’era certo. Non aveva alcuna sicurezza. Doveva essere pronto a tutto, non aveva idea di cosa sarebbe potuto accadere da lì in avanti.

Se avesse dovuto combattere, l’avrebbe fatto. 

Sarebbe fuggito via, se fosse stato necessario.

Avrebbe difeso Lily e chi avrebbe potuto, se ci fossero stati pericoli.

L’unica cosa di cui era certo era che quanto stava accadendo avrebbe macchiato la reputazione di qualcuno. Di più di qualcuno.

Come avrebbero fatto a cancellare quella macchia a suo avviso indelebile, se si fosse rivelata tale?

Cercava di mantenere la calma di fronte a Lily, giustamente preoccupata. Non disse nulla, si limitò a stringerle forte la mano mentre lei discuteva concitata con le altre. Si erano spartite le zone del castello di Hogwarts. In caso non l’avessero trovata per l’ora di cena, conclusero, avrebbero dovuto avvisare la Direttrice dei Grinfondoro, la professoressa McGranitt e molto probabilmente pure il Preside Silente. 

Il gruppo si era diviso in coppie, rigorosamente formate da un ragazzo ed una ragazza. Sev si era preso Lily con sé e si stavano aggirando per i sotterranei infestato da fantasmi. Erano nella zona dello studio del professor Lumacorno e dell’aula di Pozioni. La Sala Comune dei Serpeverde non era troppo distante.

Lily si teneva stretta al braccio del ragazzo, guardando con un certo timore gli spettri che si aggiravano tra le mura ed i pavimenti un po’ sconnessi in quell’ala dell’edificio.

L’oscurità totale, interrotta ed attenuata dalla fila ininterrotta di torce accese ed il clima particolarmente umido non aiutavano di certo a rendere quel luogo più gradevole. Si poteva avvertire l’odore della terra, del suolo perennemente intriso d’acqua. Non era gradevole, era un odore alquanto stantio e lievemente nauseante.

Sev era concentrato e silenzioso. Doveva trovare Mary e pensare a proteggere Lily ad ogni costo.

I suoi occhi scrutavano il vuoto, nella speranza che potesse davvero trovare qualcosa nelle tenebre. La risposta ai suoi dubbi. Mary.

I passi dei due ragazzi riecheggiavano per quel corridoio, segnalando la loro presenza in quella zona. Cercavano di non sbattere i piedi in maniera eccessiva e soprattutto, non volevano fermarsi.

“Sev, che cosa può esserle successo?” chiese tutt’a un tratto Lily, rallentando il ritmo della camminata.

Per tutta risposta, il ragazzo scosse la testa. 

“Davvero non lo so cosa possa esserle successo”. I suoi pensieri vagarono verso la Camera dei Segreti, era uno dei pochi a conoscere la storia di quella camera, sperando che quella Grifonodoro non fosse stata pietrificata per quella stanza costruita da Salazar Serpeverde. Era un’ipotesi assurda.

Vedeva la morte. Era una visione che avrebbe voluto strapparsi via dalla testa.

 

“Scuotetevi di dosso questo molle sonno, contraffazione della morte e guardate la morte stessa! Su, su, e guardate la grande immagine della triste sorte”.

 

Sev non ne poteva più di quelle frasi che gli tormentavano la mente: ma se non gli davano pace, allora presentavano un fondo di verità. Era sempre stato così per lui.

Lily era stanca ed esasperata.

Camminava e non otteneva niente. Brancolava nell’oscurità e non vedeva altro che quella. Nessun segno di Mary e di un eventuale passaggio di umani, lì.

“Ascolta, proviamo a chiedere a questi spettri se hanno visto qualcosa. Magari loro sanno qualcosa, vedono qualcosa che a noi non è concesso di vedere”.

Il ragazzo conosceva qualcuno di quei fantasmi, poiché nei sotterranei essi erano quasi tutti appartenenti a Serpeverde, o meglio, nella loro vita passata facevano parte di quella casa.

Una dama che fluttuava nell’aria, con vestiti tipici della corte francese del ‘700 stava osservando da qualche tempo i due ragazzi. Severus le fece segno di avvicinarsi a loro. Lei arrivò galleggiando, sistemandosi l’eccentrica parrucca. Gli abiti non avevano più colore e consistenza, ma sembravano ancora degli abiti di lusso. I ricchi gioielli scintillavano al collo ed ai polsi della donna.

Bonsoir, miei cari ragazzi, che cosa vi porta qua nei sotterranei?” li accolse con una voce flautata la nobildonna, inchinandosi con eleganza di fronte ai due ragazzi.

Severus prese la parola.

“Signora, ci aiuti. Da questo pomeriggio, è sparita l’amica della ragazza che vede accanto a me. Stiamo cercando ovunque, ma sembra essere sparita nel ... nulla”.

La dama, che non si era ancora presentata, agitò il ventaglio indignata di fronte a quelle parole.

Je vous en prie, non dite così, mio giovane mago. Hogvar’ non perde mai nessuno. Io, Marie Sophie Virginie de Polignac, cugina di quei conti de Polignac in Francia, non ho mai visto nessun studente, professore od elfo domestico perdersi in questo castello, jamais!”. 

“Allora” fece con una punta di sarcasmo Sev “M’illumini, signora: ha visto cose che i miei occhi mortali non hanno potuto vedere?”. A Lily, pur in quella tragica circostanza, le scappò da ridere.

Mon petit, non ho visto niente di particolare, tuttavia ... Posso dirti che c’erano delle serpi inquiete”.

Le ultime due parole lasciarono perplesso Sev. 

Qualcosa nella nebbia iniziava a prendere forma ad avere finalmente un senso. 

La forma di qualche serpe. Non voleva ammettere a se stesso che cosa potesse essere. Chi potesse aver scatenato quel putiferio.

“S-serpi, inquiete?” s’intromise Lily timidamente.

Virginie de Polignac si voltò verso la ragazza e la guardò con un po’ di disprezzo.

Ma petite, sai bene che dobbiamo apparire come fiori innocenti, ma dobbiamo nascondere le serpi che sono in noi. Tu sais, ma chère, di questi tempi in questi sotterranei ci sono troppi studenti che sembrano tranquilli. In realtà, tramano piani oscuri ...”.

Lily impallidì e si voltò verso il ragazzo.

Quelle sembianze serpentine presero delle forme umane.

La dama galleggiò con eleganza verso Sev e lo scrutò con attenzione.

Oh là là, voilà un serpent! Tu sei come loro!” esclamò trionfante.

Severus sobbalzò. “Signora, ma che cosa dice!?”.

“Oh, semplicemente che fai parte della loro casa. Quei due sono abbastanza misteriosi. Rudi, fiori pieni di spine, ma di notte tramano, camminano alla chetichella, rasentando i muri. Parlano e parlano ancora, lasciando che il veleno dentro di loro si sedimenti. E quando questo liquido mortale sarà pronto ad uccidere, ecco che potranno diventare serpi indisturbate, anche alla luce del sole”.

Il ragazzo sentiva le gambe cedere e non dovevano farlo, non in quel momento.

Mulciber ed Avery. Non aveva in mente altre persone, per svariati motivi.

I due cosiddetti Mangiamorte. I due più aperti simpatizzanti ed aspiranti utilizzatori della Magia Oscura.

I due più misteriosi, con un cupo ed orrido senso dell’umorismo.

Parlavano sempre più frequentemente di Arti Oscure, di teorie circa la purezza dei maghi e cose del genere. Quieti e studenti nella media, di notte alcune voci insistenti volevano che sparissero. Per vagare nella foresta, forse. Altre voci sussurravano che vagassero per le bettole di Hogsmeade. 

Altre ancora accennavano a solo a due parole: Notturn Alley. Come facessero andare in quel quartiere di Londra e tornare indietro nottetempo era una questione del tutto da chiarire.

Respirò a fondo. 

“Virginie” iniziò con la voce più ferma possibile “Sai dove sono andati? Abbiamo davvero bisogno di saperlo”.

La dama si avviò decisa verso un muro e svanì per qualche istante, senza dire nulla ai due, forse un po’ sconvolta da tanta confidenza da parte del ragazzo.

Lily si voltò verso Sev, con gli occhi spalancati. Vi potevi leggere la paura, ma soprattutto, tante domande che necessitavano di una risposta chiara.

“Chi ha portato via Mary? Dei Serpeverde?” gli chiese diretta e precisa, con un tono di voce fermo e senza esitazioni.

Severus non aveva alcuna intenzione di mentirle. Non a lei. Avrebbe potuto esserci Lily al posto di Mary, date le sue origini babbane.

Stavano iniziando a mettere in atto il loro piano diabolico. O meglio, non era di loro proprietà. Iniziavano ad attenersi scrupolosamente alle direttive del Signore Oscuro, dettate dalla bocca di qualche sedicente servitore di Voldemort.

“Si. Mulciber ed Avery” rispose secco il ragazzo. Si sentiva sconvolto. 

Personaggi come loro macchiavano il nome della sacra arte della magia, buona o maligna che fosse.

Severus era sicuramente uno dei maghi più potenti, lui avrebbe potuto avere una grande conoscenza della magia, Arti Oscure comprese. Ma un conto era praticare le Arti Oscure come materia di studio, come difesa in caso estremo ... Un altro conto era usarle impunemente e gratuitamente su una povera ragazza innocente, la cui unica colpa era di avere genitori babbani.

Sev sapeva di nutrire una certa attrazione per la magia oscura, ma sapeva bene che era per il suo amore per la conoscenza e per sua esclusiva curiosità. Non sarebbe mai riuscito a fare qualcosa di così abietto nei confronti di una studentessa, o di una persona qualsiasi.

Lui pensava a se stesso, a diventare un mago potente e completo. Certe idee balzane non lo toccavano. A lui interessava solo conoscere ed imparare il più possibile. Le lotte per il potere, la supremazia di questa o di quella razza non facevano per lui.

Lily si limitò a stringergli forte la mano. Il ragazzo vi avvertì la paura, ma soprattutto una rabbia crescente.

Il fantasma della nobildonna tornò.

Bien! Sono tornata e sono riuscita a capire, grazie ai miei simili dei piani superiori, dove si sono nascosti i serpenti! Sono nel bagno dei maschi, nascosti là con quella Marie”.

“Grazie” dissero seccamente entrambi, congedandosi dallo spettro di Marie Sophie Virginie de Polignac. Mentre si avviavano verso i piani superiori, la dama disse una frase inquietante.

De toute façon, io penso che comunque certa racaille* non abbia nemmeno diritto di avvicinarsi al mondo della magia. Specie se appartengono a quella razza di cui faceva parte quel disgraziato del marito che mi uccise perché possedevo dei poteri magici. Au revoir, mes chers”.

Non avevano tempo di starla ad ascoltare, ma quelle parole riecheggiarono per le pareti e parte di quelle frasi folli raggiunsero i due ragazzi.

Lily pregava in cuor suo che la povera Mary non fosse ferita in maniera grave. Confidava nella forza e nell’energia della ragazza. Sperava si fosse difesa, che fosse riuscita a sfregiare in qualche maniera quei due delinquenti.

 

Quando arrivarono ai bagni dei maschi, potevano vedere l’acqua scorrere placida da sotto le porte.

Sev disse a Lily di aspettarla lì fuori, ma la ragazza obiettò.

“No, entro con te! C’è Mary là dentro, non rimango fuori!” 

Il Serpeverde mise le mani sulle spalle della propria ragazza e nel tono più persuasivo possibile, cercò di convincerla a rimanere fuori, solo per qualche minuto.

“Lily, ti prego. Lascia che io vada dentro e controlli che non siano ancora lì quei due e soprattutto che non ci sia nulla di strano. Non voglio che ti accada nulla. Se tutto fosse in ordine, allora potrai entrare”.

La ragazza non rispose, con gli occhi lucidi si morse il labbro. Era disperata e preoccupata. Il cuore le batteva troppo forte per poter replicare con qualcosa di sensato.

Il ragazzo, mentre lanciò il suo “Alohomora” si voltò ancora una volta verso la sua amata, lanciandole uno sguardo rassicurante. 

La Grifondoro lasciò andare Severus, fidandosi di lui e prese in custodia il suo lungo mantello con lo stemma dei Serpeverde. 

Lo osservò a lungo, ricamato con fili verdi ed argentati. 

Lei non provava odio verso tutti i Serpeverde, lo trovava inutile e senza senso. Ma si sentiva ribollire il sangue nei confronti di alcuni di loro e nei confronti delle loro idee folli.

Questa era una questione che andava oltre l’appartenenza alle case. Era un problema di cosa fosse buono e cosa non lo fosse. Chi si schierava da una parte o dall’altra avrebbe dovuto accettare completamente le conseguenze di tale scelta. 

Passarono dei minuti interminabili, le parvero ore. Voleva entrare, la parte più irrazionale di lei aveva voglia di prendere i due malfattori e ridurli in cenere. E quelle ceneri, le avrebbe volute disperdere nel vento, per far sì che non si sarebbero mai più ricomposte e sarebbero rimaste solo sterile polvere e nulla più.

Lily camminava nervosamente, facendo avanti ed indietro di fronte all’ingresso del bagno. Intravedeva dei bagliori provenire dall’ampio locale, Sev stava facendo qualcosa, tuttavia il suo istinto le suggerì che non stava succedendo niente di grave: probabilmente, stava cercando di fare ordine e di sistemare come poteva quel macello. L’acqua smise di defluire ed iniziò a tornare indietro. Poco dopo, il ragazzo sbucò fuori dalla porta, provato ed un po’ spaventato. Sembrava più pallido del solito.

“Lily, vieni dentro”.

La ragazza non se lo fece ripetere due volte. Lanciò i due mantelli a terra e si precipitò dentro.

Il bagno era bellissimo, nuovamente ordinato e lucente. Erano spariti i cocci di ceramica, i frammenti di specchi e di legno. Le fontane zampillavano tranquillamente, come se niente fosse.

Al centro dell’immenso e ricco bagno, trovò Sev seduto a terra, con Mary tra le braccia. Era priva di sensi.

Lily corse con le lacrime agli occhi verso l’amica e si buttò accanto al proprio ragazzo.

Era ancora viva, respirava stancamente.

Per fortuna, non aveva ferite gravi, solo qualche graffio qua e là. Aveva un ginocchio sanguinante, magari le avrebbe dato fastidio solo per qualche giorno. Era molto pallida, madida di sudore. Di certo si era difesa strenuamente.

“C-che cosa le hanno f-fatto?” chiese in un soffio Lily.

“Hanno lottato di sicuro. Probabilmente quei due pensavano di avere vita facile ... Mary si è difesa con tutte le sue forze. Sicuramente ci sono stati degli Schiantesimi ...” tacque per un secondo, incerto se rivelarlo o meno “E molto probabilmente una Maledizione senza Perdono”.

La ragazza dai capelli rossi sbiancò.

Cruciatus? Imperio? Quale?!” 

Sev non rispose subito. 

“Credo la seconda che hai detto, ma non ne ho la piena certezza. Ora, ascoltami bene. Dobbiamo avvisare la professoressa McGranitt, il professor Lumacorno e ... Mary va portata in infermeria”.

Lily si alzò in piedi “Vado ad avvisare i due professori”. Detto questo, corse fuori dal bagno.

 

Nelle successive, Mulciber ed Avery non si presentarono a cena. Nemmeno Lily e Severus si fecero vedere ai rispettivi tavoli, così come i due professori Direttori di Grifondoro e Serpeverde. 

L’episodio ed i relativi dettagli andavano tenuti il più riservati possibile.

Chiaramente, i due studenti sarebbero stati messi in punizione, ma non solo: i loro movimenti nel corso del giorno e della notte sarebbero stati tenuti sotto stretta osservazione. I genitori dei due sarebbero stati avvisati ed eventualmente invitati ad Hogwarts per incontrare il Preside ed i professori. 

Lily e Severus discutevano sommessamente delle misure prese da parte degli insegnanti al di fuori dell’infermeria. Aspettavano di poter entrare e vedere Mary e sincerarsi delle sue condizioni di salute.

“Conoscendo le famiglie da cui provengono” borbottò Sev “I genitori accarezzeranno le testoline arruffate dei due ragazzi, complimentandosi per il loro tentativo ammirevole e daranno loro un buffetto affettuoso sulle guance”.

Lily si voltò a guardarlo. Non l’aveva mai sentito così amareggiato.

Il ragazzo anticipò qualsiasi parola della Grifondoro ed aggiunse: “D’altronde, non li chiamano Mangiamorte per caso ...”.

“Mi chiedo come tu faccia anche solo a parlarci, di tanto in tanto. Sono orribili” osservò Lily.

“Articolare discorsi che vadano al di là della Magia Oscura con loro è abbastanza difficile. Quelle volte che ho rivolto loro la parola è stato per parlare di un paio di lezioni di Difesa contro le Arti Oscure... Ma nulla più, credimi”.

“Sev, lo sai che mi fido ciecamente di te” rispose la ragazza, con un lieve sorriso “So che non ti faresti coinvolgere in quelle azioni atroci. Non sarebbe da te”.

Eppure, Severus si sentiva in colpa, come se il solo fatto di apprezzare le Arti Oscure l’avesse reso automaticamente colpevole di un misfatto con cui non aveva nulla a che fare. Reputava che in qualche modo quell’arte fosse stata intaccata da quell’azione barbara e sconsiderata. Il peso che gravava sulle sue spalle lo incitava a farsi avanti, per ripulire il disastro combinato. Si sentiva in dovere di ridare alla magia la sua lucentezza perfetta. Non avrebbe mai ammesso altri gesti simili, anche a costo di usare lui stesso qualche incantesimo contro Mulciber ed Avery.

Avrebbe fatto tutto questo senza chiedere nulla in cambio, spinto solo dal forte amore che provava per le arti magiche. Il suo bisogno di purificarsi era divenuto impellente.

Per qualche attimo, sentì quello strano ringhio cupo risvegliarsi dentro di sé. Partiva dalla bocca dello stomaco, facendolo rabbrividire.

Stai lontano da me” pensò Sev e si ricordò dei resti del proprio dragone nero. Di tanto in tanto, si risvegliavano, causandogli fastidio e qualche tormento. Ogni volta che lasciava la sua mente vagare per il mondo nascosto della Magia Oscura, i ricordi di quella mattina di Natale si rifacevano avanti. 

Quel nuovo avvenimento sarebbe stato solo nutrimento per la bestia macilenta. Si sarebbe rafforzata.

Lily, senza aggiungere altro, gli prese la mano e gliela strinse forte. Capiva lo stato d’animo di Severus.

La grossa porta in legno si aprì lentamente: la professoressa McGranitt ed il professor Lumacorno uscirono dall’infermeria, seguiti da Madama Chips.

I due ragazzi corsero incontro ai propri insegnanti.

“Professoressa McGranitt, come sta Mary?” chiese subito Lily.

“Signorina Evans, vorrei subito rassicurarla: la signorina MacDonald non ha ferite gravi e non è in pericolo di vita. E’ solo molto provata, ha dovuto affrontare da sola due maghi molto potenti, non esattamente con le migliori intenzioni”.

Il professor Lumacorno si avvicinò alla ragazza e, con i soliti modi affabili, volle rassicurarla.

“Abbiamo già preso i nostri provvedimenti con i signori Mulciber ed Avery, sono già nel mio studio che mi aspettano per la punizione ed un discorsetto. Le pergamene di richiamo sono già state scritte e firmate dal Preside Silente in persona e sono già in viaggio verso le famiglie dei due ragazzi. E’ stato molto grave e sconsiderato quello che hanno compiuto, ma crediamo che sia solo dovuto all’ambiente in cui sono cresciuti e siamo certi della piena collaborazione da parte dei loro genitori per far si che non ripetano quei gesti molto più grandi di loro”.

Severus non ne era così certo, ma non osò obiettare. Se avesse potuto sfondare i crani dei due compagni, lo avrebbe fatto seduta stante.

“Verranno tolti dei punti a Serpeverde” continuò la professoressa McGranitt “ma ne verranno anche aggiunti alla stessa casa, dato l’intervento del ragazzo che ha accanto, il signor Piton, che vorrei ringraziare per l’aiuto disinteressato e lucido, sapendo andar oltre alla rivalità tra le case”.

Lily si voltò e sorrise orgogliosamente a Sev, che ricambiò con un sorriso goffo.
“Professoressa, io non penso di meritarmi tutto questo” si schernì il ragazzo.

L’insegnante di Pozioni diede un colpetto sulla spalla al proprio studente, che si sentì ancora più a disagio per quei gesti a suo parere un po’ troppo confidenziali.

“L’ho sempre detto che il ragazzo è speciale, Minerva. L’ho sempre detto”.

Severus voleva aiutare in qualche modo la povera Mary, rendersi veramente utile, al di là di tutto. Rimase in silenzio mentre vedeva gli insegnanti parlare con Madama Chips circa le scorte di pozioni rinvigorenti ed energetiche e decise di cogliere la palla al balzo.

“C’è qualcosa che posso fare per aiutare davvero Mary, professori?” chiese il ragazzo, facendo voltare i diretti interessati.

“Signor Piton, non penso che ci sia altro che lei possa fare. Ha già fatto abbastanza” rispose gentilmente la professoressa McGranitt.

“N-non so, se il professor Lumacorno non ha nulla in contrario, potrei aiutarlo nella preparazione delle pozioni per Mary ...”. Mentre lo diceva, guardava il proprio professore e Direttore della casa. Lily lo guardò con sguardo interrogativo, non capendo il perché di quell’offerta.

Il volto dell’uomo anziano s’illuminò di un sorriso raggiante.

“Mi sembra un’ottima idea, da parte mia non ho alcun problema: non saranno pozioni troppo difficili da preparare”.

“Bene, signor Piton, vedo che il suo Direttore non ha nulla in contrario. Può procedere senza nessun problema. Poppy, Horace, signorina Evans e signor Piton vogliate scusarmi ora, ma torno dai miei ragazzi. Buonanotte a tutti” concluse con un sorriso elegante l’insegnante di Trasfigurazione, andandosene verso la Sala Comune di Grifondoro. Si percepiva appena lo strascico del suo lungo mantello verde, uno dei suoi mantelli preferiti.

“Potete andare. Piton, si ricordi che l’aspetto nel mio studio nei prossimi giorni nel pomeriggio, per preparare le pozioni. Ora potete andare” disse gentilmente Lumacorno ai due ragazzi.

Sev e Lily si avviarono con passo lento verso la Sala Grande, non troppo convinti di voler mangiare qualcosa. Rimasero in silenzio, lasciando che solo i loro passi riecheggiassero per le mura. Le loro mani si sfioravano appena. Erano stanchi.

“Sev, perché ti sei offerto di preparare le pozioni?” Lily interruppe quel lungo silenzio. “No, non fraintendermi, non ti sto criticando! Ma ... Tu non hai colpe, non hai fatto nulla a Mary, anzi. Non hai nulla da farti perdonare”.

Il ragazzo avrebbe desiderato spiegarle il vortice di sensazioni e di pensieri che a volte lo mandavano fuori di senno. Avrebbe voluto farle sentire il vortice potente che lasciava terra bruciata attorno a sé. Però, non voleva allontanarla: il solo pensiero lo terrorizzava.

Si sentiva colpevole di apprezzare, di sentirsi attirato dalle Arti Oscure, ma mai come in quel giorno, si era ripromesso che non avrebbe torto un capello alle persone innocenti.

Gli dispiaceva che Mary fosse stata maltrattata e ferita.

Si sentiva sporco come se fosse stato gettato nel fango. Doveva ripulirsi in qualche modo.

“Lily ... Non so se sono bravo a spiegarlo a parole” esordì.

“No Sev, non ti preoccupare, la mia era solo curiosità. Non sei tenuto a spiegarmelo, se non te la senti, davvero”.

Il giovane si fermò e guardò Lily per qualche istante. Con tenerezza le sistemò le ciocche di capelli rossi dietro le orecchie, per far si che i suoi occhi verdi non abbandonassero i suoi.

“E’ che mi dispiace per quello che è successo alla tua amica. Ma sento anche che quel gesto non potrà mai essere cancellato o ripulito da Mulciber ed Avery, perché loro andranno avanti per la loro strada, come se niente fosse. E ... Oggi, per come si sono comportati ...” tacque per qualche istante “E’ come se avessero macchiato parte di me. Lo sai che la magia è tutto quello che mi rimane, per sentirmi me stesso. No, aspetta, non mi fraintendere ...”.

La ragazza lo guardava con dolcezza e pazienza, senza alcuna fretta.

“E’ che ... Se tu sei la mia casa, la mia famiglia, la magia sono i muri con cui teniamo tutto assieme, no?”.

La Grifondoro ci pensò su un attimo e poi annuì, capendo il suo discorso.

“Certo! Se non fosse stato per la magia, non ci saremmo mai conosciuti”. Sev tirò un sospiro di sollievo, per fortuna aveva una ragazza intelligente.

“Io amo ogni singolo muro della nostra casa. Tutti, indistintamente, perché mi fanno sentire protetto e con uno scopo nella vita ... Io devo difendere la mia casa, è quello che devo fare. Oggi è come se mi avessero macchiato impunemente quelle pareti. Io devo ripulirle, per far sì che siano sempre nostre”. 

Finito quel discorso, si sentì esausto. Non aveva mai parlato così in vita sua. Tuttavia, si sentiva meglio, perché era riuscito ancora una volta a confidarsi con la persona che non solo amava più di ogni altra, ma di cui si fidava nella maniera più assoluta.

Per tutta risposta, Lily lo abbracciò e lo guardò con occhi scintillanti.

“Sono senza parole, Sev, hai detto delle cose belle ed inaspettate”.

“Sembrano esagerate, lo so” si schernì lui, ma Lily gli appoggiò un dito sulle labbra.

“Non sono esagerate. Quanto accaduto oggi è preoccupante, confesso che mi spaventa. Succederà ancora in futuro? Non lo so. Devo essere vigile sempre e comunque per difendermi da un qualsiasi attacco? Non lo so. L’unica certezza che ho sei tu e quello che abbiamo tra le nostre mani. Proteggiamo il nostro legame e facciamo in modo che niente e nessuno di oscuro si metta tra noi. E’ l’unica cosa che ti chiedo. Non posso sopportare l’idea di vederti cambiato in qualcuno che non sei mai stato. Non lasciare che quella gentaglia ti plasmi. Promettimelo”.

Severus annuì, sollevato.

“Lily, te lo prometto su qualsiasi cosa”.

“No, non promettere su niente, perché le cose nel mondo cambiano e sono mutevoli ed incostanti. Mi basta la tua promessa” rispose con un sorriso luminoso. Sev si chinò le diede un lungo bacio sulla fronte.

“Io che parlo per metafore e tu che fai la poetessa. Oggi dev’essere successo proprio un cataclisma!” cercò di scherzare il ragazzo. Quell’atmosfera opprimente lo aveva disturbato a sufficienza.

Lily scoppiò a ridere. Finalmente quel clima opprimente si stava diradando, ridando spazio alla spensieratezza dei due adolescenti.

Ripresero a camminare verso l’ingresso della Sala Comune dei Grinfondoro e Lily, poco prima di entrare, si voltò verso il ragazzo. Non aveva voglia di lasciarlo andare, oggi. Aveva ancora bisogno della sua compagnia.

“Avrei fame, Sev. Ho un po’ di cioccolato fondente e qualche biscotto danese in camera mia ... Ti va se li mangiamo assieme?” gli chiese con un sorriso. 

Sev annuì, per la gioia della sua ragazza. Lily era in grado di farlo stare bene in qualsiasi situazione. Anche di fronte alla fine del mondo, lei avrebbe trovato qualcosa di positivo per farlo stare meglio. 

“Allora torno subito, dammi qualche minuto”.

Lily svanì dietro il ritratto della Signora Grassa, che si limitò a guardare bonariamente il giovane Serpeverde.

 

* * *

Piccolo angolo autrice - perché ci sto prendendo gusto.

QUESTO CAPITOLO E’ MASTODONTICO. Puff pant. Mi ha fatto penare e soffrire. Ma mi sono sentita meglio, nel scriverlo. Anche perché è un periodo pieno ed emozionante. Mi ha purificato.

 

Grazie a tutti coloro che lo leggeranno e lo recensiranno o lo guarderanno e basta. Lo so che è impegnativo. Ma grazie di cuore!

 

Ah, l’Irlanda tornerà molto presto!

 

Un abbraccio

Blankette_Girl 

Alessandra <3

*racaille: gentaglia

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Capitolo 14
*** A Prince In Disguise ***


14.

A Prince In Disguise

 

“I am immortal, I have inside me blood of kings 

I have no rival, no man can be my equal

Take me to the future of you all

 

Born to be kings, princes of the universe

Fighting and free

Got your world in my hand

I'm here for your love and I'll make my stand

We were born to be princes of the universe”

Queen - Princes Of The Universe

 

 

Le finestre dietro il letto di Mary erano una visione dolce per i suoi occhi: pur ancora convalescente, era come se la bella stagione arrivasse fino ai piedi dei grandi vetri dell’infermeria. La ragazza osservava con invidia i ragazzi sparsi per i prati infiniti attorno al castello, li immaginava andare oltre le siepi e gli alberi visibili, verso il Lago Nero, dalle acque sempre più terse. Immaginava quanto si divertissero gli studenti nei pomeriggi sempre più lunghi, provava a cercare le sue amiche, là, in quel brulicare di vita e di allegria, mentre lei si ritrovava rinchiusa in un’infermeria vuota e noiosa. Le mancava anche il Quidditch da giocare o da vedere giocato dagli altri ragazzi. L’ebbrezza di librarsi in volo, mantenendosi in fragile equilibrio su un manico di scopa sottile, le mancava, esattamente come l’aria primaverile sempre più calda.

Forse, una volta o due nel prato l’era parso di vedere Lily con Severus: non era difficile riconoscere quella chioma rossa, d’altronde quel colore di capelli spiccava particolarmente nella moltitudine di teste castane, bionde e more. 

Era un po’ invidiosa del loro legame e dei loro sentimenti. Li trovava bellissimi assieme, così timidi ed impacciati e particolari. Desiderava anche lei avere una persona accanto, ma per qualche strano motivo, non era ancora riuscita a trovare un ragazzo che stesse con lei per più di una settimana. Ma aveva pazienza e soprattutto, aveva appena compiuto quindici anni. Aveva tutto il tempo del mondo per potersi rifare.

Grintosa ed energica com’era sempre stata, Mary avrebbe voluto alzarsi dal letto e prima di tutto avrebbe voluto ridurre in briciole i suoi due aggressori. Provava ancora rabbia e forte risentimento nei loro confronti: avrebbe atteso la prima lezione di Pozioni assieme ai Serpeverde per fare in modo che i loro due calderoni sarebbero saltati per aria. Accidentalmente.

La grande porta si aprì e sentì un rumore di passi. Allungò il collo per vedere chi potesse essere arrivato a farle visita in quel pomeriggio di Maggio luminoso.

Era Lily e reggeva tra le mani una boccetta di vetro, con all’interno un liquido rosso. La sua pozione rinvigorente. L’accolse con un sorriso.

“Ciao Mary! E’ arrivata la tua infermiera privata a portarti la tua pozione!”. Lily si sedette sul bordo del letto. Mary la guardò, vestita della sua divisa da Grifondoro e la sua borsa stracolma di libri.

Era bella. Era delicata e femminile. Illuminata dal sole, l’amica Grifondoro aveva una bellezza intrigante. Non perfetta, aveva quel tipo di lineamenti combinati in modo tale che o ti sentivi attratto perdutamente, o li trovavi sgraziati. La bocca aveva quella forma particolare dalle labbra asimmetriche, quando rideva forse si allargava un po’ troppo, rivelando la sua dentatura dai canini molto affilati. Gli occhi erano il suo punto forte, di quel verde smeraldino inconfondibile, che nelle giornate di sole accecante diventavano chiarissimi. Le sopracciglia erano buffe: se tutte le ragazze più grandi cercavano di tenerle corte con qualche accorgimento magico o meno, seguendo idealmente la linea dell’occhio e della palpebra, lei lasciava che fossero due ali di gabbiano lunghe, sottili e chiare.

Mary era alta ed atletica, Lily era piuttosto bassa e sottile. Non che la statura limitasse il carattere tutto pepe e schietto della ragazza, che scherzava molto volentieri sul proprio aspetto fisico. 

La convalescente faceva spesso dei disegni su quel gruppetto assortito di amiche e il riposo forzato le aveva permesso di creare tanti piccoli disegni magici su pergamena. Di solito Mary ritraeva se stessa sempre vestita da Quidditch, Lily aveva sempre l’aspetto di una bambola dagli occhi grandi e le labbra carnose, mentre Emmeline era una fata sbadata seduta su una falce di luna. Infine Marlene era un elfo bellissima, vestito di ghiaccio e dallo sguardo nobile e serio.

Mary diede la pergamena con i nuovi disegni alla propria amica, che li osservò contenta e soddisfatta.

“Ma non sono mica una bambolina! Mi fai sempre più bella di quello che sono!” protestò scherzando Lily.

“Non iniziare! Lo sai che cosa penso di te” la rimbeccò Mary, sorseggiando la sua pozione avidamente.

“Come ti senti, Mary? Tra quanto potrai tornare da noi?” le chiese l’amica.

La ragazza si stiracchiò, allungando le braccia ed inarcando la schiena, brontolando.

“Io mi sento in forze a sufficienza per disintegrare la faccia a quei due, ma penso che sia ancora questione di un paio di giorni, secondo Madama Chips. Vorrei tornare a giocare a Quidditch, mi manca!”

“Pensa che nelle prossime e future partite contro i Serpeverde potrai prenderti tutte le rivincite che vorrai, magari qualche colpo ben assestato ad un Bolide verso qualche Serpeverde ...” suggerì maliziosa Lily, facendole l’occhiolino.

Le due parlarono abbastanza a lungo: Lily l’aggiornò sulle attività svolte durante le lezioni, su quei pochi avvenimenti degni di nota a scuola; non capitava molto, anche perché ci si avvicinava alla fine dei corsi ed al termine di un altro anno.

Mary finì la sua pozione, bevendone avidamente le ultime gocce.

Tacque per qualche minuto, reggendo tra le mani la boccetta.

“Ringrazia Severus, per favore. Digli che non sarebbe dovuto arrivare a tanto” esordì, con tono di voce serio.

Lily prese il flacone vuoto e lo ripose in borsa.

“Lo so, è quello che gli ho detto pure io ... Ma, diciamo che ha una sorta di orgoglio tutto suo nell’appartenere a Serpeverde e non sopporta che la sua casa venga macchiata da gesti simili”.

“Allora ce ne fossero di più di persone come Severus in quella casa! Sinceramente, il buon nome della magia viene rovinato da tutti i maghi oscuri che Serpeverde sforna ...”.

Lily reagì un po’ stizzita a quelle parole.

“Mary, non tutti i maghi oscuri provengono da Serpeverde. E’ solo che lì le famiglie hanno dichiaratamente espresso le loro simpatie per Tu-Sai-Chi e hanno abbracciato l’idea che la purezza del sangue nella magia. Chi ti dice che non ci siano maghi oscuri anche tra i Grifondoro, o le restanti case, solo che scelgono di tenerlo nascosto? E poi, ci sono anche Serpeverdi assolutamente normali. Severus è un Mezzosangue, per esempio!”

Mary rimase stupita dalla decisa replica di Lily. Non aveva tutti i torti, però: era stata affrettata e prevenuta, e, dato che Lily aveva il proprio fidanzato nei Serpeverde, una reazione simile sarebbe stata piuttosto prevedibile.

“Già, Lily. Non volevo ... Offenderti. Anzi, Severus è una persona estremamente gentile”.

Lily le sorrise tranquilla.

“Non c’è problema, nessuna offesa. E’ che quello che sto imparando è che niente è quello che sembra. E mia mamma mi dice sempre di non giudicare mai in maniera affrettata qualcosa o qualcuno. Questo vale per tutti. Chiaro che non cambio idea su Mulciber ed Avery, loro hanno già mostrato la loro natura”.

“A proposito di quei due, Lily ti prego stai attenta. Non vorrei che succedesse qualcosa di simile anche a te” osservò preoccupata Mary.

“Stai tranquilla, finché ho Sev al mio fianco, non ho nulla da temere!” rispose sicura Lily.

“Sei stomachevole quando dici così” osservò ridendo l’amica. Lily scoppiò a ridere fragorosamente.

 

La Grifondoro si congedò da Mary, lasciandola riposare. Uscita dall’infermeria, si diresse verso lo studio del professor Lumacorno, dove avrebbe trovato Sev ad ultimare un nuovo paiolo di pozione rinvigorente. Da lì, sarebbero andati a godersi la pace e la tranquillità del Lago Nero, all’ombra del loro solito albero.

Scese nei sotterranei e bussò alla porta.

“Avanti!” esclamò con il solito tono di voce serafico l’anziano professore. Quando riconobbe la propria alunna, anzi, una delle sue alunne preferite, si alzò in piedi e le andò incontro.

“Stai cercando Severus?” le chiese. In privato, o negli incontri del Luma Club, il professore arrivava a chiamare i suoi favoriti per nome; durante le lezioni, tornava a dare del lei a tutti, com’era giusto che fosse.

Lily non si era mai azzardata a prendersi troppe confidenze: un professore rimaneva comunque un professore, con la propria autorità ed una certa importanza.

La ragazza annuì, guardandosi attorno: Severus non era lì. 

“Severus è andato nel mio magazzino a rimettere in ordine delle erbe. Puoi raggiungerlo là, se lo desideri. Esci, giri a destra e percorri il corridoio, fino ad arrivare alla terza porta sulla destra. Lo troverai lì”.

La giovane ringraziò rispettosamente il professore e seguì attentamente le indicazioni che le aveva dato. S’incamminò per il corridoio illuminato per lo più dalle torce, ma da qualche feritoia, arrivava qualche fascio di raggi di sole ben caldo e luminoso. 

Camminava soprappensiero e non contò le porte che aveva superato. Si fermò davanti a quella che pensò fosse la terza, incoraggiata dai rumori che sentiva provenire dal suo interno. Sicuramente, Severus stava mettendo in ordine. O forse stava risistemando l’intero magazzino e tutte le scorte del professore, a giudicare dai rumori piuttosto intensi.

Appoggiò la mano alla maniglia, volendogli fare una sorpresa, aprì la porta di scatto.

“Sev! ... OH!” esclamò, portandosi la mano alla bocca e diventando rossa in viso.

Non era la porta giusta, era il magazzino delle scope di Madama Bumb, che le teneva per i ragazzini del primo anno alle prime armi con il volo. 

Dentro vi trovò una coppia di studenti più grandi avvinghiati l’uno all’altra. Si stavano baciando e non era esattamente con l’intensità che ci mettevano lei e Sev, quando erano da soli. Era un po’ di più che qualche bacio innocente.

Erano un po’ scombinati anche i vestiti. I due ragazzi la guardarono pallidi e spaventati e si affrettarono a risistemarsi i propri abiti. Vide che la ragazza, una Tassorosso a giudicare dallo stemma del mantello, aveva la camicia tutta sbottonata.

Lily balbettò le scuse più sconnesse che avesse mai proferito e fece per chiudere la porta lentamente, guardando rigorosamente a terra, quando il ragazzo la bloccò, con fermezza.

“Non sei un Prefetto, vero?” le chiese un po’ ansioso.

Lily scosse la testa senza guardarlo, ancora con quell’immagine vivida e sensuale delle mani del ragazzo artigliate al corpo della giovane Tassorosso. Per un attimo, un bizzarro brivido le percorse la schiena, passando lungo le sue gambe, che le sembrarono subito più molli.

“H-ho solo sbagliato s-stanza. Non era mia intenzione interrompervi” si giustificò Lily. Non ci trovò nulla di male in quei gesti, ma non l’era mai capitato di trovarsi a sorprendere due persone in quel tipo di atteggiamenti.

La coppia, oramai ricompostasi e ritornata presentabile, uscì da quel ripostiglio. La ragazza più grande era di bell’aspetto e guardava Lily con uno sguardo piuttosto benevolo, mostrandole una certa comprensione.

“S-scusatemi ancora” disse ancora una volta Lily, profondamente imbarazzata. Osservò i due ragazzi allontanarsi: camminavano come se niente fosse accaduto, anzi ridacchiavano e sembravano più agitati di prima. Come se avesse fatto loro piacere quell’interruzione.

Rimase con la mano attaccata alla porta, con lo sguardo ben puntato in quel luogo polveroso e pieno di scope volanti.

In quel momento, un pensiero folle le attraversò la mente.

La visione di lei e Sev in quegli atteggiamenti le fece girare la testa. Non erano mai andati oltre le effusioni che si scambiano dei normali adolescenti, due ragazzi di quindici anni che non hanno troppe pretese.

Si sentiva un fuoco bruciarle dentro, in mezzo al petto. Quel fuoco irradiava tutte le sue scintille in tutto il corpo. 

Non respingeva quella sensazione che le dava qualche brivido, non le dispiaceva. Non le generava repulsione od imbarazzo una situazione simile con Sev.

Ma era davvero pronta per lasciarsi andare così? Probabilmente, non era qualcosa per la quale ci volesse una preparazione, dubitava che esistessero libri al riguardo. Doveva solo lasciarsi andare e trovare l’attimo giusto. Era lecito pensarlo, immaginarlo e un giorno arrivare alla realtà dei fatti. Tuttavia, lei non aveva mai avuto fantasie del genere, fino a quel momento.

Troncò il suo flusso di coscienza, maledicendosi per avergli permesso di svilupparsi in pensieri articolati. Chiuse di scatto la porta, così non avrebbe più visto quel posto che le aveva scatenato tutte quelle congetture e fantasie.

Corse verso la terza porta, finalmente quella giusta, e la trovò socchiusa, con un fascio di luce proiettato sul pavimento. I rumori erano più soffocati e misurati: era l’attenzione che Sev ci metteva nello spostare le boccette, le fiale ed i becher di materiali pregiati. Era un ragazzo molto attento e preciso nei movimenti.

Una voce carezzevole sussurrò a Lily: E se fosse così delicato e preciso anche con ... Te?

Lily scosse la testa e cacciò via quella voce suadente, che non era altro che la sua, soltanto più matura e consapevole.

Questa volta decise di bussare educatamente. Aveva già sbagliato prima e non voleva ripetere la stessa figuraccia in poco tempo.

“Avanti” fece la voce tranquilla di Sev. Almeno era lui, non si era sbagliata.

Aprì la porta e con sollievo vi si buttò dentro.

“Ciao Sev! Il professor Lumacorno mi aveva detto che eri qua”.

Severus era in cima ad una spessa scala di legno, che riponeva delle erbe nei contenitori giusti. Lily si avvicinò alle scatole sia in legno che in metallo pregiato e vide che le piccole pergamente di riconoscimento e classificazione stavano sbiadendo. Su altri contenitori c’erano mucchi di polvere. C’era un’odore pungente, simile al sapore di qualche preparato disinfettante, in quello stanzino. 

“Si, dovevo riporre del Orclumpo e un po’ di veleni che aveva utilizzato lui per alcune pozioni .. Ma a giudicare da come conserva i veleni, ho pensato che fosse il caso di dare una sistemata a questo inferno. Il professor Lumacorno sarà bravo, ma non cura i suoi magazzini e le sue scorte come dovrebbe”.

Lily l’osservava mentre spostava tutte quelle scatole, controllava rapidamente cosa ci fosse dentro, per riporci il componente giusto. I veleni più potenti aveva deciso di posizionarli più in alto possibile, mentre gli ingredienti più innocui ed adatti agli antidoti erano stati messi sugli scaffali più bassi. 

Scese attentamente dalla scala ed abbracciò Lily contento di tutti i suoi sforzi e del suo lavoro. Si sentiva meglio in quei giorni, come se il potersi rinchiudere in uno studio a fare pozioni a fin di bene fosse stata la sua valvola di sfogo efficace.

Non era troppo largo o spazioso quel magazzino: le scatole dimenticate e buttate a terra non aiutavano i movimenti dei due ragazzi. Rimasero un attimo abbracciati e Lily rise nervosamente, guardando a terra, cercando con lo sguardo un punto più libero dove muoversi. Sperava non si notassero le tracce del suo imbarazzo causato da quei due ragazzi nel ripostiglio delle scope.

“Lily, lo noto solo adesso: hai una faccia come se avessi appena visto qualcosa di straordinario, o di terribile”.

Punta nel vivo, la ragazza si affrettò a trovare una risposta convincente.

“E’ che ho fatto una corsa per venirti a cercare! Sono tanto rossa in faccia?”. La Grifondoro maledisse silenziosamente la sua carnagione molto chiara, che rendeva evidente anche un minimo rossore.

Sev inclinò la testa e la guardò un po’ perplesso: “In effetti ...”. 

Non solo Lily sembrava strana, come se qualcosa l’avesse turbata o sconvolta. Era sfuggente. Voleva spostarsi per darle un po’ più di respiro e nello stesso momento lei pensò di muoversi nella stessa direzione, finendo per incespicare e si trovò con la schiena contro la scala. Non si fece male, in quanto riuscì ad appoggiarvisi nella maniera più delicata possibile.

“Qua si fa fatica a muoversi in due” disse Sev, levando con un piede qualche contenitore, cacciandoli in qualche anfratto sotto gli scaffali.

Tese la mano verso la propria ragazza, che rimaneva appoggiata ad osservare Sev.

Forse era l’effetto di qualche pozione Amortentia colata via da qualche boccetta, forse era la strana voce suadente dentro di sé, la situazione imbarazzante che si era creata prima, che scatenò il desiderio di Lily di tenere tra le braccia Sev. In quel momento e in quell’istante.

Afferrò la mano del ragazzo e, come tante volte in passato, l’aveva attirato a sé. A lui non dispiaceva quel piccolo gioco della giovane, non gli era nuovo. Si lasciò abbracciare, con l’aria di uno che sa quale gioco sta avendo inizio, ma a cui non poteva farne a meno. La ragazza strofinò il proprio naso contro quello di Sev, che ridacchiò sommessamente.

Le loro labbra s’incontrarono e Lily si appoggiò alla scala, dapprima portando le mani sulla schiena di Severus. Una mano s’intrufolò tra i capelli, accarezzandoli con dolcezza. Dai capelli passò a toccare i muscoli del collo del ragazzo e il loro lento tendersi in seguito al tocco delle dita della ragazza.

Si presero il loro tempo, sicuramente quel magazzino non era il luogo più frequentato di tutta Hogwarts.

Severus pensò che Lily in quel momento non volesse più lasciarlo andare, stringendolo con più fermezza del solito. Assecondò felicemente la sua ragazza e l’accontentò come poteva. Intanto, si godette il sapore delle sue labbra, sempre vagamente dolci. Ed i suoi denti dispettosi.

“Si, è davvero preciso e delicato con me” pensò Lily, rispondendo a quella voce interiore. Sentendo come le accarezzava i capelli, come le sfiorava le guance con le dita e come le aveva appoggiato le mani sui suoi fianchi, la ragazza fantasticò sui suoi gesti così nobili. Non c’era mai un movimento convulso o nervoso in lui, semmai talvolta era più appassionato. E questo la faceva stare incredibilmente bene. 

Ricorda, anche i principi perdono il controllo” disse a sorpresa, in un colpo di coda inaspettato, quella voce. La ragazza la ricacciò nel suo angolo.

Lily credeva di avere avuto solo lei quel brivido lungo la schiena. Credeva di aver avuto solo lei quelle fantasie innocenti e quei piccoli desideri. E in quello stanzino, li aveva lasciati volare, per poco, in maniera controllata, dando loro un po’ di soddisfazione. Ma non era l’unica a sentirsi così.

“Lily, non che mi lamenti, solitamente ... Ma ...” faticò a trovare le parole adatte. Non era solito fare certe osservazioni, però quando gli capitava di dire qualcosa era perché si era verificato qualcosa di diverso dal solito. Le passò una mano sui capelli, sospirando per la sua cronica timidezza.

“Mi sei mancato” ammise lei, con un risolino. 

Si raddrizzò, abbandonando la scala come supporto e prese Sev per mano.

Uscirono in silenzio, spegnendo la lanterna che illuminava quel piccolo locale, lasciando che s’immergesse nell’oscurità totale. Affidarono a quel luogo i loro baci e le loro tenerezze, ora avvolte nel manto nero del buio. Era un altro posto dove lasciare un ricordo, un piccolo ed esile segno della loro esistenza. Probabilmente non sarebbero stati i primi né gli ultimi ad aver usato quel luogo come rifugio, ma poco importava.

“E’ sempre meglio il magazzino di Lumacorno, che quel buco pieno di scope polverose” rifletté con orgoglio la ragazza, intanto che si lasciavano i sotterranei alle spalle. Talvolta si sentiva vanitosa per piccole sciocchezze come quelle. Per quanto cercasse di assecondare i suoi desideri di ragazza più cresciuta, che iniziavano a manifestarsi, aveva ancora l’innocua vanità di una quindicenne. E questo il suo Sev l’aveva notato, arrivando ad apprezzare quella ragazza in crescita, sospesa ed incastrata tra due tappe della sua vita. Un bocciolo che cerca di fiorire, ma non è ancora maturo abbastanza.

Al Serpeverde piaceva da impazzire quel suo vivere sospesa, in quel miscuglio di innocenza e malizia ancora traballante. Ma non gliel’avrebbe mai confessato in quel periodo. Non si sentiva pronto.

 

Lo specchio d’acqua del Lago Nero era calmo e rifletteva il cielo e le nuvole come uno specchio perfetto. Solo alla pestifera Lily piaceva interrompere quella calma, spezzando la piattezza della superficie d’acqua con piccoli calci dati a piedi nudi.

La ragazza immergeva il proprio piede, fino a metà polpaccio, sfiorando con le dita il fondale sabbioso, incontrando a volte qualche sasso o qualche alga molliccia, e con forza lo faceva riemergere dalla profondità, lanciando schizzi ovunque. Turbava la tranquillità del lago, con scrosci corposi d’acqua che volteggiavano nell’aria, per poi schiantarsi sulla superficie, dando vita ad infiniti cerchi concentrici.

Lily adorava il rumore dell’acqua, partendo dal suo gorgoglio placido, a quegli scrosci improvvisi e frastornanti che causava con il suo piede. Tornava indietro di tanti anni, quando ad appena sei o sette anni i suoi genitori la portavano nel sud dell’Inghilterra a fare i suoi primi bagni al mare, con la costante paura di essere inghiottita da un cavallone improvviso. Rammentava suoi primi corsi di nuoto e il suo modo di nuotare tutt’ora impacciato. O le sovveniva quell’estate in Corsica, poco prima di conoscere Severus. La furia del mare che si abbatteva sugli scogli, il vento freddo di Maestrale che le scompigliava abiti e capelli. L’ululare del vento tra la pietra erosa e la musica dolce che ne proveniva, se la raffica si addentrava tra gli scogli nella maniera giusta ed accarezzava le superfici irregolari con delicatezza.

Ogni volta che metteva i piedi nel Lago Nero, la ragazza si arrotolava la gonna attorno ai fianchi, accorciandola di qualche centimetro, per evitare che si bagnasse inutilmente. A volte riusciva a coinvolgere Severus nei suoi giochi leggeri e spensierati, convincendolo ad immergere i suoi piedi bianchissimi fino a metà polpaccio, altre volte, il giovane si limitava ad osservare la propria amata dalla riva.

Di tanto in tanto, a sua insaputa, il ragazzo lanciava qualche piccolo incantesimo sull’acqua, schizzando a sorpresa Lily, che a quel punto tornava verso riva furiosa, cercando di prendere Sev o per un braccio o per un piede, nel tentativo di buttarlo in acqua.

Ogni volta, si lamentava di quegli incantesimi di Sev, sostenendo che non fossero corretti in una battaglia leale, fatta di sola forza fisica.

Si lamentava del fatto che si fosse bagnata la camicia ed il maglioncino. Sempre con il sorriso sulle labbra e la risata pronta.

Allora iniziava a rispondere con incantesimi di ogni sorta, fino ad arrivare ad infradiciare il proprio ragazzo.

Finivano per distendersi l’uno accanto all’altra sulla riva del lago, a quel punto totalmente zuppi ed un po’ infreddoliti, perché il sole iniziava a calare. Si dimenticavano del tempo edace, che consuma le giornate ed i momenti appena lasciati alle spalle. Parlavano e si guardavano negli occhi per attimi interminabili e Sev notava le cose più insignificanti di Lily, ed un giorno avrebbe voluto dirle, fermando tutto in un istante, che con i capelli bagnati era meravigliosa. Avrebbe cristallizzato quel momento, soffermandosi sul rosso cupo dei capelli umidi piatti sulla sua testa, sul collo e le spalle. Una nuova istantanea da tenere nella sua scatola dei ricordi personali.

Quel pomeriggio Lily era intenta a camminare nell’acqua piuttosto fresca, guardandosi distrattamente attorno, fino a quando non si soffermò su delle ninfee, che non aveva mai notato prima. Galleggiavano con i loro petali pallidi rosa, o bianchi, o persino azzurrini, sorrette da quelle foglie verdi e spesse.

Si avvicinò. Ne voleva cogliere una e conservarne i petali nel loro diario, che Sev stava scrivendo proprio in quel momento. Lily lo osservò da lontano: aveva un’espressione concentrata, con quel volumetto appoggiato sulle ginocchia. Stringeva la piuma con fermezza, come se stesse meditando su ogni singola parola. 

Staccò la ninfea azzurrina e tornò dal ragazzo per mostrargliela. 

Sev estrasse la bacchetta magica e toccò il fiore, dal quale uscirono tante scintille blu e bianche e la Grinfondoro sorrise estasiata. Si sedette accanto a lui, con la ninfea in grembo, intanto che si asciugava i piedi ancora un po’ bagnati ed impastati di sabbia e di erba.

Lo scricchiolare della piuma sulla carta del diario era l’unico rumore che accompagnava il loro silenzio. Il sole stava svanendo lentamente dietro le colline, le nubi in cielo s’infiammavano di rosa , di giallo e di arancio.

“Anche quest’anno sta per finire” esordì Lily, mentre si rimetteva le calze e le scarpe. Sev richiuse il diario e ripose tutto nella sua borsa, per poi voltarsi verso la sua ragazza, esortandola a continuare.

“Sto pensando a quante cose siano successe quest’anno, dalle più belle alle più brutte ... Ed in tutto questo, tu ci sei sempre stato. E’ incredibile. Mi sento fortunata” continuò lentamente la ragazza ed allungò una mano sul viso asciutto di Severus.

I suoi occhi scuri erano pieni di dolcezza. Attirò a sé la ragazza e lei appoggiò il capo sulla sua spalla.

“A volte io penso che tu sia un Principe e che tu stia nascondendo questa tua identità” sussurrò Lily.

Severus rimase sorpreso da quelle parole.

“Ti assicuro che non ho origini nobili, Lily” spiegò con un sorriso il ragazzo.

“Lo sei nell’animo, Sev! Guarda a tutte le cose che hai fatto ultimamente, per me, per Mary, seppure tu non avessi fatto niente di male. Sei straordinario”.

Il ragazzo si schernì.

“Sono solo un mago che riesce bene in alcune discipline ...”

“Non parlo del tuo essere mago, parlo di tutto quello che fai. Sei così nobile nel tuo modo di fare. Sei pieno di buone intenzioni” continuò ammirata Lily.

Alzò la testa di scatto e guardò Severus con i suoi occhi verdi penetranti, più smeraldini che mai, poiché illuminati dalla luce morente del sole, che diveniva di un arancione sempre più cupo.

Conosceva quello sguardo: i suoi occhi scrutavano il cuore di Sev, penetravano come due lampi rapidi e fugaci nel suo animo.

“Non cambiare, rimani sempre così” fu tutto quello che riuscì a dire.

Sev annuì.

 

Camminarono lentamente verso il castello. 

Dalla moltitudine di studenti del pomeriggio, si era passati a qualche manciata di ragazzi, che pigramente faceva ritorno all’edificio. In poco tempo sarebbe stata ora di cena.

Sev, prima di entrare, si mise a frugare nella borsa ed estrasse il diario. Lo porse a Lily.

“E’ il tuo turno” le disse con un sorriso. Lily aprì subito il volume, cercando avidamente le pagine scritte dal ragazzo. Sev con dolcezza la fermò e le richiuse il diario.

“Leggilo dopo cena, così hai qualcosa da leggere, più tardi!”

La ragazza sbuffò scherzosamente e aprì la borsa, quando il libro che reggeva tra le mani spiccò il volo.

Accio diario!” esclamò una voce alle loro spalle.

Si voltarono, estraendo fulminei le proprie bacchette.

Il diario era capitato tra le mani di Potter, che si beava di poter compiere qualche malefatta nei loro confronti.

“Potter, ridammelo” sibilò Lily, che si avventò su James. Il ragazzo fulmineo se lo portò dietro la schiena ed eluse i tentativi della Grinfondoro di riprendersi il proprio oggetto.

Sev, con un colpo deciso di bacchetta, richiamò a sé il diario, ma venne sorpreso da un Expelliarmus da parte dell’altro compare di James Potter, Remus Lupin, che ridacchiò contento.

La bacchetta di Sev cadde a terra, e ancora una volta, i due Malandrini riuscirono a riprendersi il diario, con Lily fuori di sé, che stava litigando con i due per riaverlo. La ragazza era un osso duro, non mollava la presa, in modo tale che non potessero aver modo di leggere i contenuti di quel libro. Non poteva schiantarli, non poteva far loro del male inutilmente.

Il Serpeverde si sentiva umiliato di fronte a quella mossa che l’aveva disarmato.

Sentiva la rabbia sorda farsi sempre più pressante dentro di lui. Non li sopportava, non sopportava come s’intromettessero nella loro vita privata sempre e comunque. Pareva volessero fare di tutto per farli litigare, per allontanarli.

Sapeva bene che James Potter provava qualche sentimento per Lily. Ogni volta che l’aveva a tiro, le chiedeva di uscire con lui. Lily rifiutava sdegnosa, ma non era in grado di scrollarselo di dosso.

Era a conoscenza dell’ambizione di quel Grifondoro dai capelli scuri e disordinati. Non era amore quello che provava quel mascalzone nei confronti di Lilian.

La differenza era che Potter l’avrebbe usata come un qualsiasi trofeo da esporre, una volta conquistata.

Severus invece sapeva cosa volesse dire amare profondamente una persona e prendersi cura di essa.

La magia non gli bastava più, in quel momento non era abbastanza. Doveva scaricare la forza che sentiva crescere nei suoi pugni. Non si era mai sentito così, era fuori di sé. Forse quello che avrebbe fatto ora avrebbe convinto quello sbruffone ad abbandonare il suo corteggiamento arrogante ed antipatico nei confronti della sua ragazza.

Non aveva mai sentito il desiderio fisico di dare un pugno a qualcuno, ma sapeva che quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta che l’avrebbe fatto in vita sua.

In qualche falcata si avvicinò a Potter, intanto che Lily si era avventata con forza su Remus, buttandolo a terra, ficcandogli le unghie nelle braccia, nel tentativo di strappargli via una volta per tutte quel maledetto oggetto. Remus si lamentava, ma opponeva una strenua resistenza. Lily sembrava una leonessa che non abbandonava la presa sulla propria preda.

Potter era lì in piedi, che anziché intervenire per separare i due, li stava incitando in quell’accenno di rissa.

Quando si voltò verso Severus non fece in tempo a schivare il gancio destro che gli arrivò sull’osso frontale e su quelli piccoli del naso. Vide gli occhiali volare via, probabilmente frantumati o con la montatura piegata. Cadde a terra, con un dolore lancinante che gli prendeva fronte, occhi e naso. Non gli importava di essersi fatto male, che sanguinasse.

Come si permetteva quel dannato Serpeverde di tirargli un pugno?

Severus si sentiva finalmente scarico, liberato da tutta quella rabbia. L’aveva tutta incanalata verso quel ragazzino idiota. A lui bastava così. Lily e Remus rimasero impietriti di fronte a quella scena, ancora avvinghiati nella loro baruffa.

Remus spinse via Lily e corse da James, che si era portato la mano al volto ed era sporca di sangue.

Non riuscì a fermare il ragazzo, sicuramente ben più basso di Severus, ma dalla forza decisamente superiore, che si buttò addosso al Serpeverde. Caddero entrambi a terra, tra calci sugli stinchi e sulle ginocchia, mani che cercavano di stringere qualche parte del corpo dell’avversario, con lo scopo di fargli del male.

Lily non era la ragazza che nelle risse urlava e basta. Non era il tipo di fanciulla indifesa e lo aveva dimostrato poco prima, azzuffandosi con Remus. 

Si buttò sui due, cercando di prendere per le spalle Sev e tirare un calcio sonante verso Potter, prendendosi qualche botta e graffio accidentalmente. Tentava disperatamente di separarli, ma i due ragazzi si stavano pestando ed erano avvinghiati come due cani che si mordono il collo a vicenda e non mollano la presa.

Potter stava tirando i capelli a Sev, che menava pugni a casaccio, prendendolo sul petto e dove capitava.

“LUPIN, RAZZA DI IDIOTA, AIUTAMI!” urlò Lily ad un certo punto, dopo essersi presa una tallonata sulle costole, sempre accidentalmente. Sev e James si urlavano cose incomprensibili, tra qualche gemito di dolore.

L’altro Grifondoro intervenne, riscossosi da quella sorta d’incantamento che l’aveva limitato ad osservare i due litiganti e la povera ragazza che cercava di intervenire.

Le forze dei due combattenti scemarono e Lupin, esattamente come si faceva di solito con i cani, riuscì a prendere James mettendogli le mani su naso e bocca. Senza respiro e a corto d’aria, il ragazzo mollò la presa. Lily aveva preso per le braccia Sev.

Severus guardava con disprezzo James, che ricambiava quello sguardo con odio.

“Mocciosus, questa me la paghi” disse il Grifondoro, sputando a terra rimasugli di saliva e sangue.

Severus era a corto di fiato e gli faceva male una mano. 

“Potter, io ti ho avvisato di stare lontano da Lily, innumerevoli volte” gli rispose sprezzante il ragazzo.

“Avrei dovuto lasciarti morire l’anno scorso, altro che salvarti la vita” fu tutto quello che riuscì a dire il Grifondoro.

Lily rimase profondamente turbata da quella frase e provò il desiderio di friggere la lingua al compagno di casa. Si riferiva a quell’orrendo scherzo fatto a Severus l’anno prima, dove i Malandrini, se non fosse stato per l’intervento di James, avrebbero rischiato seriamente l’espulsione. Potter era intervenuto per paura, non di certo perché avesse sviluppato un’immediata simpatia per il Serpeverde. Avevano superato abbondantemente il limite con quella pensata ed occorreva fermarla prima che fosse troppo tardi.

Sev rise sarcastico, ancora tenuto fermo dalla ragazza: “Pensavi che ti sarei stato eternamente grato, per quella mossa spinta dalla pura e semplice codardia?”.

James cercava di liberarsi dalla presa dell’amico, sbuffando ed imprecando.

Il Serpeverde proseguì: “O credevi che questo ti avrebbe messo in buona luce davanti a Lily, così da poterla esibire come un trofeo davanti a tutti i tuoi tirapiedi?”.

Lily tacque e non disse nulla. Stava dicendo tutto il suo fidanzato. E non aveva tutti i torti.

“Avanti, rispondi, pensavi che mi sarei sentito in debito con te e ti avrei ceduto Lily come si vende della merce al mercato? La verità è che io non ti devo nulla, Potter”.

James non disse nulla e chinò la testa. Si calmò e smise di agitarsi.

Severus con delicatezza si tolse dalla presa della ragazza e raccolse finalmente la sua bacchetta. Lily riprese il diario e quando incrociò lo sguardo di Potter, frustrato ed impotente, lo guardò con disgusto. Come poteva pensare che lei sarebbe andata con lui con quella facilità con cui solo le oche andavano dietro ai Malandrini.

Si sentiva profondamente offesa.

Quando si allontanarono, al di là della rabbia, si sentì orgogliosa di Sev. I gesti erano stati inaspettati, aveva perso il controllo di sé, ma aveva incanalato tutta la sua rabbia su James Potter. Sapeva che era esasperato dal Grinfondoro. Le sue parole, come al solito, erano state affilate come dei pugnali.

“Adesso non pensi più che io sia un Principe, vero?” chiese il ragazzo a Lily, con amarezza. Si buttarono sui primi grandi scalini in pietra antistanti la Sala Grande. Si guardò le braccia graffiate. Aveva qualche graffio sul collo e uno sul viso. Provava dolore ad una mano ed agli stinchi, per i calci che si era preso. Il cuoio capelluto gli doleva dove James aveva tirato con forza i capelli corvini del ragazzo.

Lily aveva male al costato per la tallonata presa. Aveva qualche graffio qua e là, ma non si lamentava troppo. Le parole di Sev le erano rimaste impresse nella memoria ed erano state il miglior balsamo lenitivo che avesse mai potuto richiedere.

“Al contrario, Sev” disse lentamente Lily, respirando a fondo per accertarsi che le costole dolenti non avessero niente di serio. Si voltò verso di lui, con un sorriso raggiante.

“Ancora una volta, mi hai difeso. Con qualche pugno inaspettato, certo. Con un po’ di forza in più ... Ma ancora una volta, hai difeso il nostro amore. Mai come prima hai mostrato di essere un Principe!”.

“Lo sai che non picchierò mai più nessuno, vero? Mi è bastato oggi”.

“Lo so, ed è per questo che la rissa di oggi ha ancora più valore” gli rispose Lily “Il Principe deve tirare fuori in casi eccezionali la propria parte leonina, per il proprio fine. A volte è necessario” concluse seria, come se stesse recitando a memoria i passi di un libro.

Sev la guardò stupito. 

“Dove le hai lette queste cose?”

“Sai quel libro magico? Ecco, ho avuto una piacevole chiacchierata con Machiavelli”.

“Me lo farai conoscere?” chiese Sev curioso.

“Forse” disse Lily misteriosa “Sono gelosa delle mie fonti” e gli fece l’occhiolino.

 

 

* * * * * * * * 

Ciao a tutti! Ebbene sì, sono qua puntuale come le tasse con un nuovo capitolo.

 

Devo dire che mi è piaciuto tanto, è un mosaico di sensazioni.

Sev che dà un pugno a James mi è sembrata una cosa liberatoria. Sarà la prima e l’ultima volta, d’altronde. Poi, hanno quindici anni sti ragazzi, chi a 15 anni non ha fatto risse? *me alza la mano contenta ricordando le risse con sua sorella ed i suoi amici*

 

Se qua i Queen mi hanno ispirato, il prossimo capitolo sarà oscuro ed ispirato dalla magnifica “Suggestion Diabolique” di Prokofiev. Haha!

 

Blankette_Girl

P.s. Come avete potuto notare, ho preferito ALZARE il rating! Ma siamo tutti grandi e vaccinati!

Alessandra <3

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Capitolo 15
*** La Suggestion Diabolique ***


15.

La Suggestion Diabolique

 

“Do you really think it is weakness that yields to temptation? I tell you that there are terrible temptations which it requires strength, strength and courage to yield to”. 

Oscar Wilde

 

C’era un solo uomo, in quella notte di fine primavera, che potesse smorzare la bellezza del cielo terso e pieno di stelle.

Solo un uomo poteva battere l’eleganza delle costellazioni e la loro accecante compostezza. Solo quell’uomo era in grado di essere più luminoso della Luna in cielo. Il suo pallore affascinante, le sue sembianze non più propriamente umane, gli occhi di un azzurro vivissimo, ma carichi di freddezza, lo facevano sembrare una creatura proveniente da un altro mondo.

Tom Orvoloson Riddle guardava quel trionfo di blu notte, di argento e di chiome di alberi centenari e dormienti dalla raffinata finestra del maniero di Lucius Malfoy. I gemelli brillavano dai polsini del suo elegante completo scuro e la cravatta era annodata alla Windsor in maniera impeccabile. Il suo mantello nero prezioso era stato riposto in uno degli innumerevoli armadi del maniero da uno degli elfi domestici.

C’era solo qualche piccola lanterna dai vetri bluastri e verdastri ad illuminare debolmente quella stanza ricca di legni pregiati e di oggetti in argento. Le teche in cristallo proteggevano i calici pregiati, di qualsiasi foggia e dimensione, adatti ai più svariati tipi di vino. La famiglia Malfoy non si era mai negata nessun piacere ed aveva sempre cercato di coltivare qualsiasi vizio od abitudine con la massima eleganza. 

I passi felpati di Lucius Malfoy fecero voltare l’uomo elegante, dal fascino serpentino. Le tende ispessite dagli strati di tessuti tutti diversi tra loro offuscarono il riflesso del satellite sul pavimento. 

“Mio Signore” esordì, con voce vellutata, ma carica di timore reverenziale. Il bel Lucius, sempre riccamente abbigliato, chinò la testa, nascondendo il volto tra la chioma bionda e liscia. Si stava inchinando ossequiosamente.

Lord Voldemort avanzò verso di lui, con uno sguardo piuttosto mite. Non amava particolarmente gli inchini e l’eccessiva ossequiosità. A volte non c’era proprio motivo per cui i suoi Mangiamorte si sperticassero in inutili inchini e riverenze.

Il più delle volte, si ritrovava ad apprezzare l’umorismo macabro del padre di Avery, la follia impertinente ma estremamente leale di Bellatrix Black, perennemente assetata di sangue. Lucius era una persona così elegante e pura, ed il Signore Oscuro si ritrovava a pensare che quell’uomo, a volte, fosse un po’ viscido con tutta quell’affettazione.

“Lucius, ti prego, lo sai che a casa tua non ti devi inchinare di fronte a nessuno” gli disse, osservando con una certa intensità il biondo Mangiamorte.

L’uomo risollevò la testa e si diresse verso il tavolo, evitando lo sguardo penetrante dell’altro ed invitò il proprio Signore, con un cenno del braccio, ad accomodarsi. Il padrone del maniero estrasse la propria bacchetta magica dal pregiato bastone da cammino che possedeva ed aumentò l’intensità della luce delle lanterne.

Lo poteva vedere molto più chiaramente. La fabbricazione e la creazione dei sei Horcrux lo stavano trasformando, poiché si prendevano parte di lui, inesorabilmente, artefatto dopo artefatto.

Era estremamente pallido, alla luce tremolante pareva di carnagione grigiastra od azzurrina. Il viso stava mutando aspetto, la pelle rimaneva comunque molto liscia, pur presentando qualche cambiamento nella fisionomia. Gli occhi erano fessure gelide pronte ad ipnotizzarti, per poi paralizzarti, incutendoti timore. Le dita lunghe ed affusolate si distesero sul tavolo, con un meraviglioso anello in oro bianco, la cui forma dava vita ad un serpente che si morde la coda.

“Mio Signore, gradisce del vino rosso?” gli chiese con riverenza Lucius.

L’uomo dall’affascinante aspetto era in contemplazione di una fiamma danzante in una lanterna alle spalle del proprio fedele servitore.

“Si, gradirei del buon vino. Un brindisi alle nostre due nuove stelle nascenti, futuri Mangiamorte, è d’obbligo. Scegli tu, Lucius: sei tu l’esperto”.

Malfoy fece un breve inchino ed una parete di legno intarsiato si aprì al comando del padrone di casa. Magicamente, una scaffalatura si fece avanti, dando alla luce tante bottiglie scure, ricche di pregiati liquidi color rubino. Lucius passò in rassegna ogni etichetta, ogni nome, alla ricerca del vino più adatto da servire a Lord Voldemort. Quelle bottiglie pregiate erano il vanto del nobile mago: ciascuna di loro veniva amorevolmente custodita in quella cantina, con un’attenzione maniacale per le temperature e per il posizionamento stesso di quegli oggetti, cercando l’angolazione giusta. Solo con quella cura ossessiva, quel liquido poteva scaldarti le corde vocali e scendere giù la giusta delicatezza.

In quella bottiglia, da poco arrivatagli da Pauillac, erano riposte tutte le sue speranze di compiacere il proprio illustre ospite. Era il vino più costoso ed ambito del momento e non era per palati qualunque, richiedeva una certa preparazione ed una certa raffinatezza.

Château Mouton Rothschild, mio Signore” disse l’uomo, mostrando all’Oscuro Signore il pregiatissimo vino. Voldemort allungò una mano verso l’etichetta deliziato.

“Eccellente” disse, con sguardo avido, intanto che apparivano due calici in cristallo piuttosto grossi, fatti per evitare la decantazione di quel vino dall’aroma complesso ed intenso, in modo che, sorso dopo sorso, andasse subito ad accarezzare e stuzzicare la parte posteriore del palato e della bocca.

Quel liquido di un rubino cupo si riversò nel cristallo perfetto, pulito con cura solamente con acqua calda e limone, per non rovinarne la purezza e fare in modo che non intaccasse quei gloriosi e delicati sapori.

I due uomini attesero qualche istante, e poi presero in mano i calici, sollevandoli delicatamente verso l’alto.

“A Mulciber ed Avery ed alla loro orgogliosa ed ostentata passione per la Magia Oscura” disse con voce flautata il mago più temuto del mondo magico. Posò le proprie labbra sottili sul millimetro di cristallo e lasciò che le note legnose si facessero strada nella propria bocca. Seguì la delicata asprezza dei frutti rossi, per poi lasciare spazio a quell’appena accennata nota di tabacco.

“E’ delizioso questo Château Mouton Rothschild. Non sbagli mai”.

L’interpellato si limitò a sorridere compiaciuto. 

“Mio fedele Lucius, sono molto soddisfatto di come tu abbia lavorato su Mulciber ed Avery. Le famiglie sono a dir poco entusiaste del loro brillante avvenire”. Lord Voldemort parlò con voce chiara, soppesando ogni parola, come se l’alcool le stesse plasmando con cura, dando un sapore, una sfumatura precisa ad ogni lettera. Trasudavano soddisfazione e compiacimento.

Ma c’era qualcosa in quel tono di voce, un certo margine di insoddisfazione.

“Tuttavia, mio prediletto, due nuovi futuri Mangiamorte non mi bastano” continuò con un certo dispiacere. La voce si fece poi più decisa, ed in quel momento le lanterne si fecero molto più luminose, le fiamme più vive e dorate che mai. 

“Per conquistare il mondo me ne occorrono di più”.

Un sibilo seducente su quelle ultime parole, un lampo di bramosia nei suoi occhi, e le fiamme tornarono delle loro modeste dimensioni. In quell’attimo di luce in più, Lord Voldemort pareva un serpente che attende di attorcigliare nelle proprie gelide spire la propria vittima. Il mondo intero. Aveva un sorriso così luminoso ed ingannevole: quell’espressione da bambino avrebbe fatto andare in brodo di giuggiole qualsiasi adulto. Ora, con i suoi quarantanove anni sulle spalle, con tutta la malvagità che aveva maturato in quelle lunghe decadi di solitudine e di odio, quel sorriso era pieno di luce diabolica.

Malfoy rimase li per lì interdetto e stizzito: non era di certo diventato il talent scout dei futuri Mangiamorte ad Hogwarts. Non poteva essere solo quello.

“Mio Signore, troveremo tutti i Mangiamorte necessari allo scopo” lo rassicurò il proprio servitore, con quella risposta alquanto banale e sterile, bevendo lentamente un sorso di vino.

Il potente mago fece oscillare il calice tra le mani, con quello che era rimasto di quel primo estatico assaggio.

Il suo viso si contrasse in un’espressione amareggiata. 

“Non mi basteranno mai, capisci, Lucius?” disse di punto in bianco. Si alzò in piedi, improvvisamente preoccupato, camminando attorno al lungo tavolo, alla ricerca di parole convincenti.
“Tu, i Lestrange, Bellatrix Black, Mulciber Senior ed Avery Senior, non mi bastate. Un giorno perirete anche voi, in battaglia, questo è certo. Solo io non morirò. E se voi non ci foste più, io come faccio a proseguire nel mio disegno di gloria?”.

Lucius si ritrovò per un attimo a considerare quell’estrema possibilità, la sua morte. Per la prima volta dacché era diventato un seguace del Signore Oscuro, si era trovato di fronte a quella possibilità.

Non ci sarebbero stati ossequi e riverenze a salvarlo. Dopotutto, lui serviva Lord Voldemort e la sua immensa conoscenza della Magia Oscura. Tom Orvoloson Riddle non cercava la soluzione ultima alla morte dell’umanità. Lui cercava solamente la propria via per l’immortalità.

Si sentì improvvisamente terrorizzato di fronte all’idea di perdere la sua Narcissa, la splendida moglie che amava teneramente e con ardore. Provò un vuoto incredibile di fronte al pensiero della morte. Davvero il Signore Oscuro non avrebbe mai e poi mai condiviso l’immortalità con qualcun altro dei suoi fedelissimi? Possibile che non ci fosse una via per poter arrivare a vivere per sempre con lui e come lui?

Non lo trovava giusto: doveva fare in modo che lui fosse un privilegiato, il migliore tra tutti, per poter ottenere un lusso simile. Avrebbe fatto per Lord Voldemort qualsiasi cosa. Anche a costo di umiliarsi e cercare in quella marmaglia di ragazzini Serpeverde i migliori Mangiamorte, i migliori assassini e torturatori di Babbani, di SangueMarcio e di feccia non degna di sventolare la bacchetta magica in aria.

“Signore” cercò di obiettare Lucius, deglutendo a fatica “Farò tutto quello che mi è possibile per poter rendere l’esercito dei Mangiamorte ... L’esercito più temuto di tutta la nostra storia della magia”.

Il mago si voltò a guardare estasiato il proprio fedele, sfoderando sempre quel sorriso diabolicamente fanciullesco.

Molto bene, Lucius, sapevo di poter contare su di te. Tu non mi deluderai mai” tacque un secondo, chiamando a sé, con un gesto della mano, la bottiglia di vino. Versò nel calice, con un gesto lento e preciso, un’abbondante quantità di vino rosso.

Sospirò, sorso dopo sorso, esattamente come quando dopo una lunga corsa si trova refrigerio con dell’acqua di fonte. Con un dito, sfiorò l’apertura del calice, seguendone il largo diametro.

“Non mi bastano degli assassini. Ho bisogno di uno ed uno soltanto che vada oltre la pura e comprensibile sete di sangue. Necessito una mente brillante, sveglia e che soprattutto sappia giocare con le menti altrui”.

Continuò ad osservare in maniera soddisfatta i piccoli cerchi che andava disegnando sul bordo del bicchiere pregiato. Lucius non rispose e si limitò a guardarlo, in attesa che continuasse con il suo discorso.

“Dubito che sia già tra di noi, questo fedele e scaltro servitore. Mi dispiace per voi, ma non vedo quel guizzo di intelligenza, quella furbizia e maestria nel manipolare le menti altrui in voi. Per ora sei tu la mia speranza, caro Lucius”.

C’erano delle note di disappunto ed erano evidenti. Apprezzava l’aggressività dei suoi servitori e fedeli amici, ma ancora non bastava. Non era sufficiente la violenza per la violenza, il Signore Oscuro non si accontentava di avere dei beccai e basta. Esigeva maghi con un minimo di intelligenza e di lungimiranza, necessitava di qualcuno di machiavellico e che innescasse nei restanti un desiderio di migliorarsi.

I suoi fedeli erano rimasti adagiati a sufficienza sugli allori: era giunto il momento di introdurre una sana competizione tra loro, senza esclusione di mezzi. Anche a costo di eliminarsi a vicenda. Nell’esistenza vi dovevano essere dei duri momenti di selezione: chi avrebbe perso la sfida, evidentemente non sarebbe stato adatto a seguire Voldemort fino in fondo. La gloria non era per tutti, era un piacere ed un lusso riservato solo a pochissimi eletti. Il Signore Oscuro non si vedeva affatto fuori da quella cerchia ristretta, anzi. Se avesse potuto, avrebbe fatto in modo di eliminare anche quelli rimasti al suo fianco. Però non ora, non ora, si disse: per arrivare in cima, aveva bisogno di loro. Tuttavia, non vedeva l’ora di godersi la vista dall’alto in completa solitudine ed onnipotenza.

Nel frattempo, Lucius Malfoy non sapeva se sentirsi felice della fiducia che Lord Voldemort riponeva in lui, o se sentirsi enormemente triste e deluso di sapere che la sua gloria, come quella dei suoi compari, era destinata ad essere transitoria. 

Malgrado tutto, avrebbe provato a ribaltare la situazione, anche a costo di eliminare personalmente tutti i suoi avversari.

L’ultimo sorso di quel secondo calice di Château Mouton Rothschild sciolse la calma composta di Lord Voldemort. Le pupille dilatate cancellavano il colore ceruleo delle iridi, le lanterne esaltavano quella luce rossastra e sinistra che si rifletteva nei suoi occhi.

“Vai, Lucius, trovalo in mezzo a tutti quei ragazzini. Sii le mie mani, i miei occhi, la mia voce! Trova il mio prediletto, spargendo il terrore in quel castello! In quella scuola devono temermi! I Serpeverde devono iniziare a capire che tutti, un giorno cadranno ai miei piedi e saranno tutti miei servitori, perché io sono l’erede di Salazar Serpeverde!” tuonò, alzando la voce sempre di più, facendola diventare stentorea. Gli mancava il fiato.

Era un oratore affascinante ed irresistibile. A volte però, si lasciava prendere la mano.

Dentro di sé, Lucius convenne che forse sarebbe stato meglio trovare quel Mangiamorte prediletto, per calmare i deliri di onnipotenza del suo padrone. Lottava dentro di sé, tra la consapevolezza di non essere il prescelto, ma di essere solo il mezzo che avrebbe portato al mago oscuro il suo alleato e servo impeccabile e fedele. Provò un’invidia immensa, che iniziò a roderlo lentamente nell’animo. Perché non poteva essere lui il braccio destro di Voldemort? Perché si sarebbe dovuto accontentare di essere sempre un gradino sotto?

“Lo troverò” fu tutto quello che riuscì a dire di sensato, scartando mentalmente i giovani Mulciber ed Avery. Non erano di certo delle cime. Tuttavia, erano piuttosto obbedienti e presentavano una certa rapidità e meticolosità nel mettere in pratica gli insegnamenti del Signore Oscuro. Non sarebbe stato difficile per loro trovare un nuovo prezioso adepto.

 

Severus si rigirava nel suo letto, non riuscendo a chiudere occhio. Non si trattava sfortunatamente delle notti sempre più calde e delle coperte troppo pesanti per la calda stagione in arrivo.

Aveva un piccolo sogno, una visione, che infestava il suo sonno per qualche secondo, da qualche giorno. Eppure, quei pochi istanti erano sufficienti a turbarlo enormemente. 

Vedeva quegli occhi di ghiaccio che lo fissavano. Erano degli occhi di rettile, le cui pupille nere dalla cupa sfumatura rossastra inghiottivano quell’azzurro stupefacente. 

Non diceva nulla, era come se si limitassero ad osservarlo nel sonno, attendendo il momento in cui ogni barriera si faceva debole od inesistente. Aveva avuto incubi peggiori e ben più truculenti nelle notti in cui si trovava a dormire a Spinner’s End o quando i suoi genitori litigavano furiosamente.

Si rigirò tra le lenzuola, togliendo la pesante coperta color verde e buttandola a terra e si mise su un fianco, brontolando e cercando di chiudere occhio. Non appena le palpebre si chiusero e la mente cercò di scivolare verso il sonno, ecco che apparvero nuovamente quegli occhi. Non appena Severus recuperava il controllo di sé, gli occhi di quel misterioso visitatore notturno si richiudevano. Era un tira e molla tra sonno e veglia senza posa. Pensò anche che si stava facendo suggestionare da quegli occhi e più ci pensava più gli sarebbero comparsi nel sonno molto più facilmente.

Alla quarta volta che quegli occhi gli sconvolsero il ciclo del sonno, decise di alzarsi. Magari leggendo un libro in Sala Comune, si sarebbe addormentato molto più in fretta sul comodo divano e non avrebbe pensato più a quella visione ricorrente.

Aprì lentamente il proprio baule, cercando tra i libri da leggere. Ne aveva presi un po’ dalla libreria di casa durante le vacanze di Natale, prima di ripartire alla volta di Hogwarts. Aveva scelto qualche libro appartenente a sua madre, riguardante materie piuttosto avanzate. Scartabellando tra i volumi, ne trovò uno dedicato all’Occlumanzia.

La sua mente ed il suo approccio razionale verso i problemi si misero subito a vagliare alcune ipotesi: e se l’Occlumanzia gli fosse tornata utile a tenere lontano quel sogno da sé? Chiudere la mente e la propria coscienza durante il sonno gli pareva un’idea bizzarra, probabilmente una soluzione necessaria. Credeva che, offrendo a quello spettatore indesiderato il buio totale, un sipario chiuso, senza attori o pensieri, trame o ricordi sul palcoscenico della sua mente, magari si sarebbe ritirato. Avrebbe desistito e non gli avrebbe più turbato i suoi scampoli preziosi di riposo.

Convinto e soddisfatto delle sue congetture, afferrò il libro prescelto e si avviò con passo felpato verso la Sala Comune. Si assicurò di non svegliare i suoi compagni di stanza, degli innocui e normali Serpeverde: una volta appurato che il loro respiro fosse bello pesante e profondo, lasciò il dormitorio.

Mentre si trovava nel piccolo corridoio di pietra, che separava la Sala Comune dalle stanze dei Serpeverde, gli parve di sentire delle voci. Agitato, si fermò a metà e si mosse con maggiore cautela. Potevano essere degli studenti del settimo anno intenti a studiare le ultime materie prima dell’inizio della sessione d’esami dedicate al conseguimento dei M.A.G.O. D’altronde, erano esami molto intensi ed impegnativi ed erano fondamentali per accedere alla propria professione dopo il percorso di studi ad Hogwarts. Negli anni passati, gli era capitato di trovarsi di notte a seguire la preparazione di alcuni studenti, soprattutto di Pozioni. A volte, si era ritrovato ad imparare molto di più da qualche studente molto appassionato e portato per la materia, che durante le lezioni del competente, ma a volte poco stimolante, professor Lumacorno.

Man mano che si faceva strada nel corridoio buio e dalle pietre fredde, si rese rapidamente conto che quelle voci gli erano ben note. Fin troppo. Erano Mulciber ed Avery.

A quanto pare, era finito il loro periodo di ostentata santità. Avevano ripreso a stare svegli la notte, a sparire nel nulla durante le ore di sonno e era già scemato il loro interesse nei confronti delle materie diverse da Difesa Contro le Arti Oscure. 

Decise di rimanere appoggiato alla parete di pietra. Doveva sapere di cosa stessero parlando, prima di farsi vedere. Sperava che non fossero intenti a progettare qualche altro misfatto. In ogni caso, era un’occasione troppo ghiotta per capire perché fossero ancora in piedi. Magari, erano appena tornati da uno di quegli incontri clandestini e Severus avrebbe potuto smascherarli con facilità.

Con il cuore lievemente agitato, Sev cercò di affinare l’udito. Tentò di sporgersi un minimo per visualizzare la scena, ma rischiò di capitombolare per terra. Si aggrappò alla parete e si mise solamente in ascolto.

“Metti giù quella Strillettera!” sibilò Mulciber ad Avery, estremamente preoccupato. Mulciber era in piedi, di fronte al divano dove si trovava l’altro compare. Le braci del fuoco del camino emanavano  un minimo di lucore rossastro. 

Avery stringeva tra le mani quella pergamena rossa e sigillata. Si contorceva, era pronta ad esplodere se non l’avessero letta subito.

“Mulciber, dobbiamo leggerla! Altrimenti esplode!” fece preoccupato l’altro.

L’amico strappò di mano ad Avery la Strillettera, cercando di farla in mille pezzi, ma ogni tentativo si rivelò vano.

“Non m’interessa! Lascia che esploda! Non voglio sentirne il contenuto!”. La buttò sul divano, esasperato.

Rimasero in silenzio, con Mulciber che camminava nervosamente su e giù per la stanza.

“Chi potrebbe avercela spedita?” chiese dopo un po’ Avery.

L’interpellato scosse la testa con decisione.

“Non ne ho proprio idea. Maledizione, sono sicuro che non si tratta dei miei genitori. Mio padre si congratulerebbe con me per l’impresa. E anche il tuo, Avery, lo sai”. Si buttò sul divano accanto al compagno, riprendendo in mano quel pezzo di pergamena.

“Magari, è solo una Strillettera di facciata. I nostri genitori comunque non si possono esporre troppo ... Hanno una parte da recitare” suggerì l’altro, meditabondo.

Severus ascoltava dannatamente incuriosito. Avrebbe donato tutto quello che aveva per possedere un Mantello dell’Invisibilità e poter prendere quella pergamena indisturbato.

Il ragazzo pensò con un certo sarcasmo che tanta arguzia ed intelligenza da parte di Avery non se la sarebbe mai aspettata. Adesso attendeva con ansia il momento di una loro leggerezza od ingenuità. Decise che li avrebbe colti in contropiede, non poteva permettersi di farseli scappare. Non un’altra volta.

Rimasero in silenzio, seduti sul divano a guardarsi attorno. Era il momento di entrare in scena e solo Merlino sapeva se sarebbe stato in grado di essere convincente nella sua recita. Non era un buon attore nel senso stretto del termine. Ma aveva sempre la magia come sua alleata: in caso di fiasco, un efficace incantesimo di memoria avrebbe salvato la situazione.

Lentamente, fece il suo ingresso nella sala, reggendo il suo libro tra le mani. 

“Buonasera” disse con la voce più sicura possibile. I due sobbalzarono. Come previsto, Mulciber armeggiò con la pergamena, cercando di ficcarsela rapidamente nella tasca dei pantaloni. Riuscì ad infilarla solo per metà, con la metà restante in bella vista. Era ancora vestito da giorno, come poté constatare Sev. La possibilità che fossero andati al di fuori del castello si fece più concreta nelle sue congetture.

“Ciao, Severus. Che ci fai in piedi?” fece un po’ teso Avery.

Potrei chiedervi la stessa cosa, delinquenti” pensò l’interpellato, che si limitò a rispondere un secco: “Quando inizia a fare più caldo inizio a soffrire d’insonnia”. Si accomodò su una poltrona di fronte a loro ed aprì il libro di Occlumanzia, fingendo di leggerlo con enorme interesse. In realtà, tutto ciò che riguardava la magia era importante e degno di nota, ma in quel preciso istante voleva capire che cosa passasse nella testa di quei due.

“Sempre a studiare, tu, eh?” fece sarcastico Mulciber, che si sentiva evidentemente a disagio. Era seduto sull’orlo del divano, come se fosse diventato all’improvviso tremendamente scomodo, una graticola.

Severus annuì. 

“Perché sprecare queste preziose ore d’insonnia? Potreste farlo anche voi: vi assicuro che quest’interessante attività mentale porta i suoi frutti” disse con fare canzonatorio, volutamente.

“Piuttosto, ce ne andiamo a dormire, vero Avery? Non vorremmo apparire cadaverici come te, Severus”. Si alzò di scatto e la Strillettera scivolò a terra, infilandosi appena sotto il divano, fcon leggero e debole fruscio.

Il Serpeverde sorrise deliziato, mentre augurò la buonanotte ai due manigoldi, che si affrettarono a raggiungere i propri giacigli.

Aspettò che l’eco dei passi di Mulciber ed Avery si fece sempre più flebile e quando svanì del tutto, saltò in piedi e raggiunse la missiva che si agitava sotto il divano.

La esaminò per qualche istante e rifletté sulla forma tutto sommato bizzarra per essere una Strillettera. Era un po’ più grossa del normale, sembrava per lo più una pergamena piegata che sembrava una Strillettera.

Si sedette pensieroso sulla poltrona, tenendosi quel quadrato di pergamena sulle gambe. Si sentiva indeciso. Avrebbe dovuto rischiare ed aprirla, anche a costo di svegliare mezzo dormitorio e di farsi spaccare la faccia da Mulciber ed Avery? Oppure avrebbe fatto meglio a lasciarla lì dov’era?

In ogni caso, se l’avesse aperta e se si fosse messa a strillare, magari avrebbe avuto una conferma dei suoi sospetti circa i contatti loschi dei due. Anche a costo di farsi pestare o schiantare.

Se l’avesse lasciata lì, si sarebbe pentito di non aver potuto sapere di più.

Al diavolo” mormorò Severus, prendendola in mano con decisione. In un attimo strappò il sigillo e chiuse gli occhi, pronto a sentire le strilla e gli strepiti della lettera. S’immaginava già i pugni ed i calci di quei due, ma non gliene importava nulla. La sua curiosità prevaleva su qualsiasi altra cosa, botte comprese.

Ma così non avvenne. Non fiatò.

Sev riaprì gli occhi sorpreso e vide che la pergamena si era elegantemente dispiegata di fronte a lui. Che fosse stato un espediente per disincentivare i curiosi a leggerla? Chiunque avesse ideato quell’espediente, aveva certamente sopravvalutato l’acume dei due delinquenti.

La scrittura contenuta nella missiva era molto elegante e raffinata. Severus si mise a leggere attento e curioso.

 

Fedeli Mulciber ed Avery,

 

il Signore Oscuro è stato informato del vostro nobile tentativo di mostrare con forza i principi che spingono noi Mangiamorte a seguire ed a realizzare il disegno del nostro Oscuro Signore.

Per quanto possa essere stata una mossa aggressiva e plateale, vi posso dire con certezza che n’è rimasto deliziato ed estasiato. Non aspettava altro che voi, tra le sue fila.

 

Compiacendo il Signore Oscuro, sono lieto di affidarvi una missione delicata ed importante.

Il nostro potente padrone è alla ricerca di nuovi aspiranti Mangiamorte, dato che arriverà presto il momento di lottare contro chi ostacola le Arti Oscure.

Abbiamo bisogno di combattenti e ... Di un Mangiamorte speciale.

Che non ami solo il sangue babbano scorrere a terra, come la nostra prode Bellatrix.

Che non siano amanti della pura forza bruta come i vostri rispettabili padri, da cui avete preso.

Quello che il Signore Oscuro desidera è una persona scaltra, intelligente, in grado di manipolare menti. Un abile attore, un fine stratega.

 

Non ci basta più la violenza per la violenza, dobbiamo ingannare i nostri nemici. Dobbiamo mostrare tutta la nostra intelligenza e la nostra astuzia nel tessere e tendere le nostre trappole.

 

Prima o poi, ciascun Serpeverde dovrà compiere una scelta. 

Il giorno in cui il nostro potente Signore comanderà il mondo magico, essi dovranno scegliere.

O fare come voi, dimostrando coerenza con la propria appartenenza alla casa di Salazar Serpeverde.

Oppure passare per traditori, ed essere puniti come i traditori meritano.

 

Andate e plasmate menti.

Andate e chiamate a voi i maghi più potenti di Serpeverde.

Andate e mostrate loro la via verso la gloria promessa da Lord Voldemort: lasciate che rimangano abbagliati dalla potenza della Magia Oscura.

 

Non deludetemi, attendo vostre notizie al più presto.

 

Lucius Malfoy

 

Severus rimase impietrito di fronte a quella lettera.

Stavano preparando una vera e propria guerra senza confini. E loro, degli adolescenti, dovevano essere pronti a combattere?

Contro chi? Contro cosa?

I Mangiamorte erano solo questo? Dei macellai? 

Era chiaro che Lord Voldemort volesse di più di un mero assassino, cercasse un prediletto a cui passare tutta la sua sapienza e la sua abilità. Ma chi poteva essere tra i Serpeverde? Come avrebbe fatto a scoprirlo? Non poteva tenere sotto torchio Mulciber ed Avery tutto il giorno, avrebbero scoperto tutto. Non erano stupidi del tutto.

O l’avrebbero preso per uno degli studenti da portare al Signore Oscuro. 

Lo stomaco di Severus si contorse con dolore. Non gli piaceva per nulla quello che aveva letto, ma c’era una parte di sé che bramava di sapere di più. Di capire cosa avessero intenzione di fare. Oramai sapeva troppe cose che non avrebbe dovuto sapere. E quello era stato l’inizio di tutto

Il cuore gli batteva forte ed una coda nera e squamata aspettava nell’ombra del suo petto il momento per ghermirlo. E gli occhi di quel drago avevano lo stesso colore del ghiaccio dei suoi sogni. Ora poteva vederli anche da sveglio, fissi davanti a sé. Non poteva più evitarli.

Cercò di ripiegare la lettera in qualche modo, con le mani tremanti, temendo di non poterla più rimettere a posto come prima. Alla prima piega, la pergamena riprese l’aspetto della Strillettera rossa. 

Con un certo sollievo, Severus la ributtò con decisione sotto il divano.

Si sentiva estremamente debole e stanco e camminò con incertezza verso il proprio letto, dimenticandosi il libro di Occlumanzia sul divano della Sala Comune.

I suoi pensieri andarono a Lily: come avrebbe fatto a dirle tutto questo? Aveva un bisogno disperato del suo aiuto e della sua saggezza ed intelligenza. Sperava che non sarebbe fuggita lontana da lui.

Cosa avrebbe dovuto farsene di quelle informazioni? 

Erano troppo scottanti, troppo grosse per reggerle tutte in solitudine. Avrebbe dovuto avvisare il Preside? Avrebbe fatto qualcosa per proteggere i suoi ragazzi?

Era confuso e stanco. Voleva maledire la sua curiosità, che l’aveva fatto entrare nella scacchiera di quel gioco infernale dal quale probabilmente avrebbe dovuto starsene alla larga. Era diventato una pedina e ora doveva giocare.

Si rese conto in quel momento che sapere tutto questo avrebbe portato a delle conseguenze pesanti ed inimmaginabili, per un quindicenne. Ma dall’altro lato, non appena vide il diario suo e di Lily posato sul comodino, un barlume di speranza si fece largo nel suo cuore. Sarebbe stato in grado di proteggerla nel momento più critico e difficile. Sarebbe stato in grado di essere al suo fianco e di metterla in salvo da quella follia.

Si buttò esausto e madido di sudore tra le lenzuola. Era combattuto, avrebbe dovuto combattere prima di tutto con il drago dentro di sé che stava riassumendo una forma ben precisa. Avrebbe dovuto combattere su uno dei due fronti che si stavano aprendo davanti a sé.

Ma non avrebbe mai lasciato Lily, la sua Lily, alla mercé dei Mangiamorte. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di proteggerla. Qualsiasi cosa.

Addormentandosi, i due occhi di ghiaccio presero il colore di un meraviglioso e familiare verde smeraldo. E non lo guardavano con odio.

***

PUFF. PANT.

Mamma mia, sto capitolo non so perché ma mi piace.

Al solito, ero partita con il timore che Voldemort non mi desse soddisfazione, ma il mio adorato Quentin Tarantino è giunto in mio soccorso dandomi qualche suggerimento. <3

 

Un sentito ringraziamento va anche a Prokofiev, il cui brano meraviglioso dà il titolo al capitolo.

 

Preparatevi, perché ci saranno parecchi colpi di scena.

 

Grazie ancora per tutto il vostro affetto che mostrate per Irish Rain!

Alessandra :D

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Capitolo 16
*** Red Rain ***


16.

Red Rain

“Red rain is coming down

Red rain

Red rain is pouring down

Pouring down all over me

 

I am standing up at the water's edge in my dream

I cannot make a single sound as you scream

It can't be that cold, the ground is still warm to touch

This place is so quiet, sensing that storm”

Red Rain - Peter Gabriel

 
Il vento scuoteva le chiome degli alberi, scompigliava i loro capelli, annodandoli tra loro.

Spazzava via lo splendore delle giornate oramai estive, portando da nord nuvoloni scuri e carichi di pioggia.

Severus osservava l’incresparsi nervoso dell’acqua, che aveva nascosto i propri fondali e la limpidezza del lago era stata velata da un grigiore che rifletteva perfettamente il mutare rapido del cielo e il cavalcare maestoso delle nuvole nell’aria.

Lily e Severus si erano rimessi in fretta e furia i loro maglioni caldi ed accoglienti, sorpresi dal cambiamento repentino del tempo. 

Iniziava la stagione in cui i temporali si risvegliavano, con il loro frastuono di tuoni e la pioggia che lasciava da parte ogni carezza o dolcezza.

Non era la pioggia gentile e scherzosa dell’Irlanda. Questa pioggia scozzese era rude, in qualsiasi stagione. Le gocce di pioggia a volte erano pungenti ed affilate come schegge di vetro di un bicchiere in frantumi.

Stava arrivando con il vento freddo del nord.

Gli altri studenti si affrettavano a rientrare nel castello, sorpresi dal mutare del tempo repentino.

Non era come l’Irlanda, dove il tempo ti faceva impazzire, ma finivi per perdonarlo, data l’accoglienza di quelle strade, di quelle mura e del verde accecante che avevi tutto attorno. 

Lily guardava Severus, che a sua volta osservava, in piedi, con lo sguardo perso verso l’orizzonte, il lago agitato, i colli scossi e percossi dal vento, andando oltre, verso un mondo immaginario di cui la ragazza sapeva ancora niente.

Aveva lo sguardo meno luminoso del solito e pareva più pallido di quanto non lo fosse già. Le occhiaie erano più evidenti, scavavano il contorno degli occhi, facendolo apparire meno in salute, certamente più stanco e lievemente più teso del solito.

Lei vedeva tutto quello che gli stava succedendo. Anche quel suo rimanere in piedi, senza volersi decidere ad allontanarsi dalla riva del lago, le parve anomalo. Non sembrava molto propenso a ripararsi dalla pioggia incombente.

Severus era proprio lì, ad aspettare quello scroscio come si attende un miracolo. O come si aspetta una risposta fondamentale. O dell’acqua quando si è febbricitanti, o assetati in un deserto senza fine.

Non gli importava se quella pioggia gli avrebbe infradiciato i vestiti, o bagnato le pagine dei suoi preziosi libri.

Quei giorni erano stati così intensi, li aveva passati a riflettere, ad aspettare febbrilmente indizi e ulteriori indicazioni circa le mosse di Mulciber ed Avery.

 

Aveva pensato a come dirle tutto quello che stava prendendo forma. 

Provava un desiderio irrefrenabile di svuotare il suo carico confuso di preoccupazioni, di informazioni roventi come lapilli appena eruttati da un vulcano che si preparava ad un’eruzione esplosiva e devastante.

Avrebbe voluto gettarli a terra, sarebbe stato così facile buttare tutto nelle profondità di quel lago, seppellire tutti quei segreti indesiderati in un fondale cupo e senza fine. 

Ma come avrebbe potuto? 

Stava accadendo tutto sotto i suoi occhi, non poteva fare finta di nulla. Non poteva bellamente ignorare una guerra in arrivo e la sua generazione, i suoi coetanei vi sarebbero stati coinvolti, schierati da una parte o dall’altra, aizzati da un ideale tanto elitario quanto perverso, ovvero la purezza del sangue nel mondo magico.

E lui, da che parte doveva stare?

L’unica risposta che aveva trovato in quel suo arrovellarsi era una sola: ovunque potesse proteggere Lily, in modo tale che non le venisse torto un solo capello. Ovunque potesse smantellare una volta per tutte quei folli progetti, quel branco di pazzi, che non volevano altro che far piovere sangue e distruzione ovunque. Ovunque, in modo tale che l’onore dei Serpeverde fosse rimasto intatto.

Aveva sognato ancora quegli occhi azzurri e quel rosso che li esaltava.

Le gocce di pioggia diventavano rosse, nel sogno, e quello lo spaventava. Quel colore acceso lo faceva svegliare di soprassalto, senza fiato.

Ancora una volta, nel vento, le onde fulve della chioma di Lily lo rassicuravano. Poteva toccare quel rosso, poteva passarci le dita e sentirci solo morbidezza.

Per i Mangiamorte il rosso era solo il sangue puro contro il sangue sporco di discendenze non gradite.

Severus si sentiva superiore in qualche modo, perché possedeva una veduta più larga di tutti quei Serpeverde ossessionati da quegli ideali.

Sarebbero mai stati in grado di emozionarsi di fronte ai capelli scarmigliati e arruffati dal vento della persona che ami?

Avrebbero compreso il valore di avere una persona al proprio fianco e di volerla difendere a tutti i costi?

Sentirsi accettati ed amati era un concetto sconosciuto tra i fedeli di Lord Voldemort. C’era un amore morboso solo per il Signore Oscuro e la sua padronanza delle Arti Oscure. E se in ogni suo gesto si nascondesse un incantesimo volto ad ammaliare quelle menti, fino ad ottunderle completamente? 

Non avrebbero mai colto la bellezza di quell’istante in cui fermi quella persona che ti fa stare bene, anima e corpo, e in cui vorresti dirle qualcosa di incredibilmente bello, che risplenda tanto potente come la luce di quegli occhi o di quello sguardo che ti fa cadere ai suoi piedi, in un subbuglio di emozioni.

Il valore delle sue labbra, di quelle labbra, che ti sfiorano alla mattina, salutandoti affettuosamente, era sconosciuto a quegli scellerati.

A dei rozzi che non vedevano altro che una SangueSporco in più da eliminare.

Questo non l’accettava in nessuna maniera; ed era per questo che quelle informazioni preziose in mano sua desiderava che diventassero non dei piccoli sassi infuocati, ma delle bombe pronte a ferire gravemente quei delinquenti.

Tuttavia, aveva solo quindici anni e da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Doveva fidarsi di qualcuno, di una persona e di un mago potente che potesse, con la sua esperienza, renderle veramente efficaci. Non sapeva dove sbattere la testa.

Forse, con l’adeguato supporto della persona giusta, avrebbe potuto spiegare tutto a Lily, senza passare per un simpatizzante del Signore Oscuro, o per un aspirante Mangiamorte.

Rimaneva il fatto che a lui le Arti Oscure non dispiacevano affatto e le studiava con avidità. Sia come difendersi da esse, sia come attaccare con esse. Però non sarebbe mai arrivato ad uccidere gratuitamente con quel tipo di incantesimi, tantomeno perseguitare o torturare gente innocente. E per un attimo, in quelle notti irrequiete e travagliate, un sussurro diabolico, intanto che gli occhi glaciali lo fissavano, si faceva strada.

Era un respiro caldo, pronto a diventare fiamma da un momento all’altro.

Tu sei fatto per le Arti Oscure. Non ti accontentare di qualche banale incantesimo lì a scuola. Devi puntare più in alto”.

Era come se quella voce provenisse direttamente da lui, da un angolo remoto di sé, quell’angolo buio dove si nascondeva il drago, che lentamente stava prendendo nuovamente una forma e sarebbe stato difficile da debellare. Si poteva avvertire unicamente il suo fiato caldo, che passava tra i denti, luccicanti e famelici nel buio.

Severus stava impazzendo dietro a quei pensieri, ma non poteva fare a meno di pensare che ora non poteva più tornare indietro. Doveva giocare bene la sua partita, ma prima doveva riuscire a bilanciare il peso di quelle rivelazioni sulle sue spalle.

Per questo guardava le nuvole grigie, quelle più scure, affinché lavassero via il suo tormento e lo rendessero pronto ad affrontare il cammino in salita più duro che gli fosse mai capitato in vita sua.

E in qualche modo, avrebbe detto qualcosa a Lily, con i dovuti tempi e modi. 

Iniziava a piovere. 

 

Lily aveva fatto qualche passo verso il castello, per poi ritornare indietro, accorgendosi che Sev non la stava seguendo. Qualche goccia iniziò a cadere a terra, nel lago, riempiendolo di tanti minuscoli cerchi concentrici, le cui linee s’intersecavano tra loro, dando vita ad un enorme disegno astratto ed in continua trasformazione.

Era preoccupata. 

Non che avessero passato un brutto pomeriggio, anzi, ma c’era qualche silenzio di troppo in quel ragazzo, qualche sguardo un po’ perso in più che la fece preoccupare.

In cuor suo, sperava che non avesse nulla a che fare con la loro relazione. O meglio, sperava che non ci fossero problemi a livello di sentimenti: d’altronde che problemi potevano avere, andando d’accordo per la maggior parte del tempo? Qualche bisticcio o qualche momento di stizza era sopraggiunto, ma erano stati degli episodi così insignificanti ed ininfluenti che erano stati rapidamente superati.

La Grifondoro non era una ragazza che desse qualcosa per scontato, figurarsi se avesse mai dato per scontato qualche problema riguardante il suo fidanzato.

Rimase in silenzio ed a qualche passo di distanza da Severus, poi si decise, un po’ intirizzita dal freddo, a farsi avanti. Il leggero e diffuso ticchettio della pioggia si faceva sempre più persistente. I vestiti lentamente s’impregnavano dell’acqua fredda che cadeva con decisione crescente su Hogwarts.

Si sarebbe infradiciata, ma poco importava: voleva aiutare Severus. Non le importava nemmeno del baule da iniziare a riempire di vestiti e di oggetti prima della partenza verso casa. Evidentemente, c’era qualcosa da affrontare a testa bassa.

Cercò di muoversi il più silenziosamente possibile, ed una volta accanto a Sev, gli posò con dolcezza una mano sulla spalla.

“Sev ..” disse lentamente, con la voce soffocata un po’ dal vento freddo del nord. Era cambiata con rapidità sconcertante quella giornata. Le parve di avere davanti un ragazzo ancora più cupo di prima, come se seguisse pure lui il mutare delle condizioni atmosferiche. Almeno fino a qualche attimo prima erano abbracciati e qualche parola, mentre davano un’occhiata agli ultimi appunti di Trasfigurazione, se l’erano scambiata.

Severus si riscosse e si voltò a guardarla. Aveva un’espressione grave in volto, gli occhi sembravano opachi, quasi a voler nascondere in quei due pozzi neri e profondi, tutta la sua agitazione.

Lily prese la parola per prima.

“Che cos’hai?” gli chiese diretta, con tutta la dolcezza e il garbo possibili.

Per un attimo, pensò che potesse essere malinconico per un altro anno ad Hogwarts volato via. Era conscia che il ritorno a Spinner’s End sarebbe stato molto difficile quest’anno.

Eppure, quel pensiero non la rassicurò affatto, perché capì che si nascondeva dell’altro dietro quel velo di malinconia e di silenzio. Il timore che fosse qualcosa di ben più grave si fece più reale che mai.

La pioggia cadde più forte. Le gocce s’ispessirono, colpendo qualsiasi cosa con più insistenza.

Era fredda. 

Lily iniziò a sentire l’acqua arrivare fino alla camicia, che assieme al maglione, stavano iniziando ad appiattirsi ed a farsi più aderenti al suo corpo.

Sev guardò per qualche istante a terra: doveva farsi coraggio e riuscire a sostenere quello sguardo limpido e spiazzante.

“Io ... C’è un problema” fu tutto quello che riuscì a dire alla giovane amata, riprendendo a guardare il lago.

Lily decisamente più preoccupata, abbandonò il fianco del ragazzo, per piazzarsi esattamente davanti a lui. Non l’avrebbe evitata.

“Sev, ti chiedo di parlarmene, per favore” gli chiese con gentilezza.

Il ragazzo sospirò, guardandola negli occhi.

“Non sono così sicuro di volerne parlare”.

Lily inclinò la testa da un lato: “Perché? Lo sai che ti ho sempre ascoltato!”.

Oh Lily, come faccio a dirti quello che sta succedendo con tranquillità, senza sentirmi attanagliato dalla paura di perderti?

Come posso avere la certezza che tutto quello che ti vorrei raccontare non venga male interpretato?

Ho il terrore di perderti.

Tutto era lì, nella sua mente, ben disposto, pronto ad essere spiegato. Quando gli argomenti da dire sono ben ordinati nel proprio cervello, non è assicurato che siano facili da esporre.

Qualsiasi verità intera o parziale od infinitesimale le avrebbe raccontato, avrebbe portato ad una conseguenza.

Lily era la sua ragazza, ma era anche la sua migliore amica e confidente.

“Stanno succedendo delle cose strane ... Tra i Serpeverde” disse in un soffio Sev, rimanendo composto e ben controllato sotto la pioggia che si faceva assordante e fitta. Gli abiti erano oramai zuppi. Cominciarono entrambi ad avvertire un certo freddo.

La ragazza si buttò i capelli leggermente bagnati all’indietro, in modo tale che non le si incollassero al viso. Il rosso brillante e vivace aveva lasciato spazio ad un rosso cupo e più scuro.

Si avvicinò al suo ragazzo e con un gesto affettuoso, gli tolse i capelli neri dal viso. Quel gesto sbloccò il ragazzo, che non attendeva altro che una carezza da parte sua, per trovare il giusto stimolo a parlare. Le poche parole misurate di Sev erano andate diritte al punto ed era ben disposta ad ascoltarlo.

“Sospetto che Mulciber ed Avery abbiano ripreso ad uscire la notte”.

Lily annuì. Conoscendo i personaggi, effettivamente, poteva essere prevedibile.

“C’è dell’altro che non so, non è così?” 

“Credo di aver capito a chi facciano visita, soprattutto. E ti confesso che questo m’inquieta non poco”. Per quanto fossero affermazioni gravi, si sentiva leggermente meglio.

Il ragazzo con la mano fradicia e fredda prese quella di lei altrettanto bagnata, pur possedendo ancora con un minimo di morbidezza e calore.

Lily lo interrogò con lo sguardo, perplessa.

“Chi?” chiese secca ed asciutta.

“Ci tieni tanto a saperlo? Mi rendo conto che ogni parola ha porta ad una conseguen ..” 

“Sev, dimmelo e basta. Assieme affrontiamo tutto, o no?” tagliò corto Lily, con un sorriso incoraggiante. 

In mezzo alla pioggia battente, in quella sinfonia di gocce che percuotevano ogni superficie esposta, lei era sempre il rimedio migliore. Se avesse mai trovato la migliore pozione rigenerante, lei sarebbe stata sempre dieci volte più efficace.

“Frequentano un Mangiamorte, molto vicino al Signore Oscuro. Forse è proprio il prediletto di Tu-Sai-Chi”. Più le rivelava quella scomoda verità, più si sentiva meglio.

L’espressione della ragazza si fece immediatamente più seria. Severus sentì entrambe le mani di Lily stringerlo con forza.

“Hai delle prove? Nomi? Fatti concreti?” insistette la ragazza.

Le occhiaie di Sev potevano essere la risposta perfetta alle sue domande: evidentemente, dormiva molto meno per poterli tenere d’occhio. Per ottenere un briciolo di prove empiriche.

“Non proprio, siamo al livello delle ‘bizzarre coincidenze’. Mettiamola così. Non li ho ancora colti in flagrante”.

A parte la lettera che hai letto di Lucius Malfoy disse la voce suadente dentro di sé.

Al ragazzo non bastava una stupida lettera camuffata. Necessitava di prove schiaccianti ed inconfutabili.

Lily abbassò lo sguardo, rimanendo in silenzio. Il suo ragazzo stava perdendo il sonno per stare dietro a quei due disgraziati, che si stavano andando ad infilare in un pericolo molto più grande di loro. Doveva sostenerlo in qualche modo, non poteva rimanere a guardare. Non era concepibile. 

“Come posso aiutarti e sostenerti, Sev?” gli domandò decisa e determinata.

La Grifondoro aveva un cuore coraggioso. La sua natura le impediva di rimanere indifferente di fronte a qualsiasi avvenimento. Tuttavia, secondo il Serpeverde doveva rimanersene fuori. Ci avrebbe pensato lui a difenderla. 

La verità era che in quel turbinare di preoccupazioni, entrambi volevano fare da scudo all’altro.

“Lily, lascia fare a me, ti prego. Stanne fuori”.

La ragazza s’innervosì e scosse il capo con decisione.

“Non ne rimango fuori” non si accorse di aver alzato la voce. Era fatta così: diventava più aggressiva quando le cose sfuggivano al suo controllo, al suo razionale desiderio di avere gli eventi sotto controllo. Era dolcemente possessiva, ma prima di tutto, era innamorata di Sev e tutto ciò che lo riguardava, riguardava anche lei.

“Per favore, è meglio così. Rimanine fuori!” s’indurì Sev. Forse non avrebbe mai dovuto parlargliene. Si diede dello stupido.

“Ciò che sta avvenendo riguarda anche me!” disse stizzita Lily, e riprese con decisione “Da quando Mulciber ed Avery hanno colpito Mary, ho capito che ce l’hanno con le persone come me, come lei. Per loro siamo insetti da schiacciare! Abbiamo il sangue marcio, secondo loro!”

“Non dire così, te ne prego”. Sev si agitò, sciogliendosi dalla presa di Lily, evitando il suo sguardo penetrante. Indietreggiò di qualche passo. Sapeva che sarebbe andata a finire così. Gli faceva male discutere o bisticciare con lei anche solo per delle inezie, figurarsi per questioni serie ed importanti come quelle. Erano due testardi, quando discutevano si arroccavano sulle proprie posizioni, fino a quando la testa dell’uno non sbatteva contro la testa dell’altro. 

La ragazza allargò le braccia spazientita.

“Va bene, allora cosa devo fare, adesso che so cosa sta succedendo, ma non posso intervenire? Aspettare che mi ammazzino?” sibilò sarcastica Lily, fradicia e spazientita. Fece ricadere le braccia lungo i fianchi e lo schiocco delle mani sui vestiti zuppi rimbombò tra i due ragazzi.

Sev la fulminò con lo sguardo. Lily era in grado, delle volte, di esagerare fino ad esasperarlo. Fortunatamente, non capitava molto spesso, ma non era necessario arrivare a tanto. La ragazza sapeva bene quali tasti toccare per fargli perdere le staffe.

“NON PARLARE COSI’!”. Lily sobbalzò, non l’aveva mai rimbeccata con tale veemenza.

Non voleva che si definisse lei stessa una SangueMarcio, tanto più non sopportava le provocazioni gratuite sulla sua morte. Era proprio quello che stava cercando di evitare con tutte le forze. Il solo pensiero lo faceva andare fuori di testa.

Sev tornò verso di lei e la prese con forza per le spalle. Lily non si tirò indietro, ma il suo sguardo tradì una certa sorpresa.

“Io ti voglio proteggere, perché sei così ostinata a volerti infilare in questa questione?!” esclamò esasperato.

Lily lo prese per le braccia.

“Perché da solo non ce la fai! E hai bisogno di aiuto! Voglio esserci per te e ancora non lo capisci! Mettiti nei miei panni, non posso rimanere a guardare, dopo tutto quello che è successo!”.

Sev attenuò la presa sulle sue spalle. Il terreno presso la riva del Lago Nero si stava facendo molle e scivoloso. Fili d’erba teneri e imbevuti d’acqua si stavano incollando sulle loro scarpe nere.

La ragazza aggiustò l’equilibrio, sistemandosi in modo tale che il piccolo strato di fango non la facesse scivolare.

“Lily, potremmo correre dei pericoli ...” disse più calmo Severus, in un ultimo debole tentativo di dissuaderla. 

“Me ne infischio dei pericoli! A me importa che tu non finisca in guai seri con quei due, o chi per essi. Questa storia non mi piace”. 

Si portò una mano al petto, ed era la mano che portava il suo anello, scintillante per le minuscole gocce di pioggia. Iniziava a tremare per il freddo.

Ho paura anche io, Sev. Non lo disse, nella speranza che si capisse da sé. Io ho paura che quei due ti facciano del male.

“Mulciber ed Avery li gestirò, l’importante è che non coinvolgano nessun altro nei loro loschi progetti” rispose calmo. 

Non voglio che facciano del male a te! 

Non lo disse, pensando che bastassero quelle parole. Lo disse con un gesto, vedendola infreddolita: l’attirò a sé e l’abbracciò, accarezzandole la testa.

Si era già pentito di aver perso la pazienza con lei, che si era offerta di aiutarlo a condividere il peso delle sue azioni. Si sentiva in colpa per aver usato quel tono di voce con lei, per averla tenuta fuori al freddo e sotto la pioggia e di averla voluta escludere da quella questione importante.

Lei si lasciò stringere sollevata. Aveva compreso l’entità della faccenda. L’averlo confessato non avrebbe mai e poi mai risolto il problema, semmai quello sarebbe stato l’inizio di tutta l’indagine. Ma avrebbero potuto proseguire assieme ed era quello che le importava di più. Severus poteva contare su di lei.

“Scusami se ho reagito così” sussurrò Lily, guardandolo negli occhi. Gli occhi verdi di lei erano lievemente lucidi. “Non sopporto i misteri ed i segreti su certi argomenti”.

Il ragazzo le sorrise gentile e continuò ad accarezzarle i capelli bagnati.

“Sei una zuccona” disse, dandole un colpetto in testa “Ma riesci sempre a farmi stare meglio”.

Lily sorrise rinfrancata.

“E tu sei uno zuccone perché ti ostini a tenere tutto dentro!”.

Sev la strinse più forte, cercando di scaldarla un po’. Rimase in silenzio, rimuginando ancora.

“Credi che debba dirle al Preside Silente tutte queste cose che ho scoperto?” fece tutt’a un tratto.

La ragazza rifletté su come rispondere.

“Dovresti dirgli qualcosa quando hai prove più certe. Devi essere certo di quello che hai tra le mani. Non penso abbia tempo da perdere sui dei sospetti campati per aria. Penso voglia delle prove certe”.

“Mi aiuterai, allora, a trovare queste certezze? Belle o brutte che siano”.

La Grifondoro annuì con energia. 

“Scopriremo la verità, assieme. Che sia piacevole o sgradevole, io non ti abbandono”.

Avevano veramente freddo, così, stando ben attenti a non infangarsi troppo le scarpe, si avviarono lentamente verso il castello, sotto la pioggia che non voleva saperne di smettere di cadere.

Mentre camminavano, Lily prese la mano di Severus, che avvertì qualche brivido piacevole lungo la schiena, assieme a quelli causati dal freddo. Era un po’ fredda, ma stringendola bene si poteva avvertire il dolce calore appena sotto il primo strato di pelle.

“Ho voglia di un tè caldo. E di mettere ad asciugare questi vestiti zuppi” esclamò serena Lily.

Lei era imprevedibile come il tempo. Per un attimo non gli parve di essere più in Scozia, ma a qualche migliaio di chilometri più lontano, dove la musica di un’arpa poteva rendere sopportabile anche la peggiore giornata mai avuta. Provò l’irrefrenabile desiderio di poterci tornare davvero, un giorno, per lasciarsi alle spalle tutti guai e le losche trame che stavano prendendo consistenza nell’oscurità. Per essere un mago normale, senza turbamenti o grane da risolvere.

Per qualche attimo, la pioggia non sembrò più così aggressiva o cattiva. Pareva piacevole.

 

Dalle vetrate dello studio della Presidenza, si poteva dominare con lo sguardo l’intero panorama circostante. Osservò quei due studenti rimanere sotto la pioggia a lungo, per poi avviarsi mano nella mano verso il castello.

Il mago anziano, dai gentili occhi blu e dalla barba candida, si sistemò gli occhiali a mezzaluna con un sorriso gentile, rivolto a quella coppia di studenti, che chiaramente non poterono percepire la benevolenza di quel sorriso. La pioggia improvvisa non gli era meno sgradita di una giornata di sole: entrambe le condizioni atmosferiche possedevano una propria bellezza.

Ma quel pomeriggio, sentiva una leggera malinconia attanagliargli il cuore. Si voltò a guardare il suo grande tavolo di palissandro, con splendidi intarsi e decorazioni. Era pieno di pergamene importanti, ma non erano portatrici di buone notizie.

Illuminate da un candelabro dalle candele azzurrine, quelle pergamene gli portavano notizie circa i movimenti del suo ex-allievo, Tom Riddle. Non lo chiamava Lord Voldemort, non riconosceva alcuna nobiltà nelle sue imprese oscure, nel suo disprezzo per i nati Babbani. Presagiva, allo stesso modo in cui si avverte l’arrivo di una tempesta, che il peggio dovesse ancora arrivare.

Si trovava di fronte a quella scrivania piena di scartoffie. Appoggiò la mano dalle lunghe dita affusolate sulle pergamene, accarezzandole, avvertendone la ruvidità ed i solchi leggeri tracciati da quelle piume.

Non c’era più tempo.

Le informazioni che gli venivano fornite dagli Auror del Ministero della Magia non gli erano più sufficienti. Non sapeva abbastanza circa i movimenti di Tom Riddle e dei suoi seguaci, i Mangiamorte. Quanti fossero lo ignorava, che cosa stessero tramando nell’ombra era prevedibile.

Tuttavia, non riusciva a capire la portata di quello che sarebbe avvenuto da lì in avanti: sarebbe stata questione di mesi? O di anni? O di giorni?

Sentiva il tempo scivolare via, come sabbia tra le mani.

Il Ministero rimaneva sempre troppo ingessato, quando si doveva affrontare quell’argomento spinoso. Si preferiva a momenti glissare, o rimanere nelle risposte di circostanza. I funzionari ed i rappresentanti di quell’organo governativo parevano assumere quel fastidioso atteggiamento comune, preferendo evitare di affrontare un argomento scomodo, passando a parlare delle solite inutilità, che non portavano da nessuna parte e non portavano nessun giovamento.

Se il Ministero non gli avesse dato più aiuto, avrebbe dovuto agire da solo, nell’ombra. 

Aveva bisogno di maghi leali, di gente giovane che condividesse lo stesso ideale del Preside di Hogwarts. Doveva riunirli sotto un’unica associazione segreta, sotto un unico nome emblematico.

Chi sarebbero mai stati i folli a seguirlo in quell’impresa?

Ci aveva a lungo riflettuto, ma non aveva ancora trovato qualcuno realmente disposto a mettersi in gioco a tal punto. Non tra i suoi potenti conoscenti ed amici. Aveva bisogno di persone non coinvolte in beghe di potere. Aveva imparato a sue spese quanto fosse deleterio avere un amore ossessivo per il potere. A suo tempo, era stata la sua più grande debolezza.

Albus Silente non aveva più vent’anni, ignorava quanto ancora avrebbe potuto vivere: ma fintanto che sarebbe stato in vita, avrebbe dato la caccia al suo ex-allievo. Non voleva rivedere alcuni spettri del passato riprendere vita, non avrebbe mai concesso il lusso a Riddle di portare a termine i suoi piani ed i suoi progetti. Non si era mai lasciato affascinare dal suo aspetto elegante, non si era mai lasciato ammaliare dai suoi gesti mentre mostrava la sua immensa abilità nel lanciare incantesimi, non si era mai lasciato ipnotizzare dal fascino glaciale dei suoi occhi azzurri e del suo incarnato pallido, che gli conferiva un aspetto in un certo senso angelico.

Guardò la sua amata fenice, Fanny, appollaiata sul suo trespolo. Fedele e sempre presente, quel pomeriggio non poteva volare tranquilla nel cielo. Lei non amava troppo la pioggia e s’immalinconiva ogni qual volta si manifestasse lì ad Hogwarts. Un fioco canto proveniva dal suo becco grande, lucido e appuntito.

Avrebbe chiamato quell’associazione segreta l’Ordine della Fenice. Aveva già deciso da tempo il nome di quel movimento.

Nella sua mente continuava a prendere forma, giorno dopo giorno. Era un contenitore vuoto. Mancavano ancora le persone giuste, ma non aveva più tempo per starle ad aspettare: le avrebbe trovate personalmente, ad una ad una. Ma non avrebbe accolto chiunque tra le proprie fila.

I ruoli, pochi ed essenziali, erano già definiti nella sua mente. Sarebbe già stato un successo trovare qualcuno in grado di poter ricoprire quelle cariche. 

Tuttavia, ve n’era uno, un solo ruolo particolare, che avrebbe richiesto il miglior candidato, il miglior mago giovane in circolazione. Serpeverde, possibilmente. E possibilmente, molto portato per la pratica e lo studio della Arti Oscure.

Quello sarebbe stato il ruolo più difficile da ricoprire.

Camminò con ampie falcate per la sua stanza, avvicinandosi a quel bacile di pietra, riccamente decorato dalle rune, appoggiato ad una solida base di pietra, anch’essa riccamente decorata da rune antiche. Era il suo Pensatoio, ed in esso fluttuava una sostanza argentea, pronta ad accogliere i pensieri, i ricordi, le preoccupazioni del Preside di Hogwarts.

Lo guardò, con lo sguardo velato dalla preoccupazione.

Forse, si disse, stava invecchiando, ed era stato colto da qualche forma di demenza senile. Come poteva pensare che ci fosse qualcuno realmente disposto ad accettare quell’incarico?

Nessuno avrebbe messo a repentaglio la propria vita per l’Ordine della Fenice. Nessuno sarebbe stato così pazzo da arrivare a spiare il Signore Oscuro per lui.

O forse c’era qualcuno pronto a farlo, ma sarebbe stato estremamente duro da convincere.

Silente era pronto ad offrire a quella persona piena di coraggio tutta la protezione necessaria.

Chi avrebbe mai sacrificato la propria vita per la nobile causa sostenuta dal mago più potente che il mondo della magia avesse mai conosciuto?

Non avrebbe perso la speranza di trovare qualcuno a cui affidare il compito più delicato di tutti.

Non gli bastava più avere vaghe informazioni, basate su momenti fugaci d’osservazione. Quella persona avrebbe dovuto persino arrivare ad ingraziarsi il Signore Oscuro, se necessario. 

Sospirò. Forse tutta quella volontà di estirpare il male dal mondo della magia gli stava dando alla testa. Non voleva darsi per vinto, però: avrebbe portato a termine quella missione, a costo di rimetterci personalmente la sua stessa vita.

Il ticchettio della pioggia riprese a cadere insistente sui grandi vetri del suo studio. Il cielo si stava facendo più scuro, con un gesto secco aumentò l’intensità delle candele.

Sentì un rumore di passi provenire dall’ingresso del suo studio. S’andò a sedere alla scrivania, facendo sparire in un cassetto, con un tocco di bacchetta, le proprie pergamene riservate e personali.

“Preside Silente, desiderava vedermi?”. Il Professor Lumacorno comparì nel suo studio, camminando a passi lenti.

L’anziano mago lo accolse con un sorriso affabile.

“Horace, vieni avanti. Vorrei parlarti di un problema molto urgente. Ho bisogno della tua massima collaborazione e della tua discrezione” disse serio il Preside di Hogwarts.


* * *


Ok, è il momento dei credits.

 

Per questo capitolo vorrei ringraziare enormemente la mia socia The Edge Of Darkness (che come vedete è la mia socia di “malefatte”, e lei su EFP sta proponendo una bellissima What If su Star Wars, ovvero “Over The Hills And Far Away”. E su Fanfiction.net il seguito della stessa, intitolato proprio “Red Rain”, da una canzone del genio Peter Gabriel).

 

Ebbene, i miei ringraziamenti vanno a lei, perché qualche tempo fa mi ha fatto scoprire Peter Gabriel (posso dire che è colpa mia se ti ho fatto scoprire Tori Amos?) e mi sono innamorata della versione di “Red Rain” che presto uscirà nel nuovo album New Blood. E quella canzone mi ha detto molto per Irish Rain e soprattutto mi ha fatto pensare a Sev e Lily. Pertanto, se vi capita, andatevela a cercare in rete appena disponibile. Oppure chiedete alla sottoscritta, spacciatrice di musica per diletto :D

 

Devo dire che mi sono piaciuti i miei due tesorini così cocciuti e ostinati. Così innamorati e pronti a difendersi. Ma Silente chissà che cosa avrà in mente, eh? Specie, il dialogo con Lumacorno ... Eheheh.

 

Grazie ancora a tutti per il vostro affettuoso e costante supporto <3

 

Alessandra :D

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Capitolo 17
*** Grace Under Pressure ***


 

17.

Grace Under Pressure

 

“Courage is grace under pressure”
Ernest Hemingway


 

I ritratti dei predecessori di Albus Silente si apprestavano ad assistere a quel delicato colloquio. Incastonati nelle loro cornici pregiate, in legno laccato d’oro, si muovevano, curiosi ed inquieti allo stesso tempo. Il preside in carica aveva chiesto loro consiglio, colloquiando con ciascuno di loro, nelle sere precedenti. Ogni ritratto aveva dato la propria opinione e stranamente persino l’arcigno ed oscuro Phineas Nigellus Black, parente della nobile famiglia Black, si era mostrato tutto sommato d’accordo circa le modalità che Silente aveva in mente di adoperare. Lui, incline all’uso della Magia Oscura e dagli ideali piuttosto discutibili, non lontani da quelli di Lord Voldemort.

Tuttavia, Silente aveva sempre pensato che ciò che importava davvero era il modo con cui si esprimevano tali idee. L’anziano mago, poi, aveva come pregio il riuscire a trovare un lato positivo in qualsiasi persona o cosa. Abilità che gli riusciva particolarmente bene con le persone difficili da gestire, spesso considerate delle poco di buono.

Silente, prima di chiudere il cassetto, nel quale erano riposte quelle pergamene riservate, buttò un’ultima occhiata malinconica alla fotografia, sempre posta in cima a qualsiasi pila di scartoffie.

Ariana Silente. 

Sua sorella, la sua piccola stella, strega potentissima sin dalla più tenera età, traumatizzata a vita dalla violenza di tre Babbani. La sua psiche ne aveva risentito di quell’incontro fatale, portandola al limite della follia, scatenando i suoi poteri magici in maniera completamente incontrollabile. Sia sua madre, che Albus stesso, ed il fratello Aberforth, fecero di tutto per proteggerla e nasconderla, onde evitare che venisse confinata al San Mungo per la sua infermità mentale.

Quel segreto mantenuto in maniera fin troppo ossessiva, aveva avuto un prezzo da pagare, ovvero la morte di Kendra, la madre di quei ragazzi, uccisa proprio da un attacco della figlia, in preda ad una delle ricorrenti crisi.

Ma nessuno avrebbe mai portato fuori da quelle quattro mura il terribile segreto.

Albus Silente imparò la discrezione, il dover avere dei segreti da mantenere, spiacevoli o meno che fossero, proprio da sua madre.

Quella riservatezza si portò via un’altra vita, proprio quella di Ariana stessa, che qualche anno più tardi si frappose in una lotta tra i due fratelli e l’amico-nemico Gellert Grindelwald.

Una frazione di secondo, un incantesimo scagliato male, ed Ariana cadde a terra, esanime.

Silente non volle mai sapere chi fosse stato dei tre ad uccidere la povera Ariana. Eppure, sentiva un peso nel cuore, che si trascinava dietro da anni e altri lunghi anni sarebbero stati necessari per alleggerire quel peso. Impossibile cancellarlo per sempre. Lei era sangue del suo sangue.

Quella foto spensierata, con il ritratto animato di una ragazza apparentemente sana, che addenta contenta una fetta di torta di zucca e ride, spargendo briciole dappertutto, era il suo monito, lo sarebbe sempre stato.

La foto lo ammoniva a non sbagliare più, a non farsi prendere in una frenesia di idee distorte e malate. Di avere segreti, ma di avere anche qualcuno di fidato con cui condividerli. E di non fidarsi mai di una persona sola, ma di imparare a scegliere bene i propri amici e collaboratori.

Non avrebbe più sbagliato. Ed era per questo che ora, sebbene piuttosto avanti con gli anni, avrebbe estirpato ancora una volta le radici di ogni male: quelle che Lord Voldemort stava cercando di far affondare nel cuore di ciascun mago, specie Serpeverde. Questa volta, però, non sarebbe più stato solo.

Con un lento sospirò, chiuse il cassetto e si sistemò con un dito gli occhiali a mezzaluna.

Lumacorno l’osservava in silenzio.

Aveva una strana espressione, pareva a disagio.

“Horace” iniziò calmo ed affabile “Che cosa posso offrirti da bere?”.

“Preside, ci manchereb-”

“Insisto. Sarà una lunga chiacchierata e sono certo che prima o poi ti ritroverai con le labbra talmente secche che imploreranno per un po’ d’acqua”.

Il preside sorrise al vecchio insegnante.

“Prendo dell’Acquaviola, allora. Grazie”.

Silente fece apparire due calici in cristallo, con una splendida gradazione dal trasparente al lilla delicato. Seguì una bottiglia di Acquaviola, e ne versò parte del contenuto nei due bicchieri, sempre facendola lievitare per aria.

Bevvero in silenzio, Silente nel frattempo raccolse tutti i suoi pensieri e cercò di organizzarli in maniera coerente e convincente. Necessitava del supporto del vecchio insegnante di Pozioni, soprattutto perché era anche il Direttore della casa dei Serpeverde.

Posò il calice, che tintinnò lievemente a contatto con il grosso tavolo. Fuori la pioggia si era calmata, diventando una pioggerella inconsistente ed impalpabile. La voce del vento si era fatta più grossa e possente.

“Horace, quello che ti sto per dire è della massima urgenza” iniziò Albus, senza troppi giri di parole “E necessito della tua piena collaborazione, e della tua discrezione”.

Lumacorno annuì e si sistemò la postura. Si tese verso la scrivania e verso il proprio superiore. Era tutt’orecchi.

“Come prima cosa, ho bisogno che continui a tenere d’occhio, tramite anche i Prefetti della casa, Mulciber ed Avery. Giorno e mi spiace dovertelo dire, anche di notte, nel limite del possibile”.

“Preside, per qual motivo? Non mi è stato riportato più niente di sospetto. Anche a lezione i due sono assolutamente irreprensibili”.

Silente si portò alle labbra nuovamente dell’Acquaviola.

“Horace, ignora come si comportano a lezione, è tutta una facciata che hanno messo per apparire senza macchia”.

Silente stava tastando il terreno, girava attorno al suo interlocutore con fare circospetto, per capire quanto potesse rivelargli di segreto, affinché si convincesse a collaborare per Silente ed il nascente Ordine della Fenice. Soprattutto occorreva scegliere cosa rivelargli.

Ogni informazione rivelata poteva aprire porte preziose ed utili. Poteva aggirare ostacoli e pericoli. Ma ciascuna di loro aveva un peso ed un valore.

“Io ho bisogno di sapere se escono di notte, quei due ragazzi. Ho ricevuto delle informazioni altamente riservate da parte del Ministero che giustificano questa mia richiesta”. Il modo in cui aveva enfatizzato la parola “Ministero” era volto ad attirare l’attenzione di Lumacorno, e ad incuriosirlo una volta per tutte.

Conosceva bene i suoi insegnanti e sapeva come il potere fosse un’attrazione per il vecchio Horace. Non era l’uomo che voleva possedere il potere, come voleva fare il Signore Oscuro; non era una persona che aveva cercato di giocare con il fuoco del potere, per poi bruciarsi, com’era successo al giovane Albus. L’anziano Serpeverde amava corteggiarlo, per ottenere qualche beneficio o piccolo lusso, per il suo puro piacere personale. Non desiderava diventare il Sole, voleva limitarsi ad essere come la Luna. Un satellite che vive di luce riflessa e perennemente devoto all’astro più potente e caldo.

“Che tipo d’informazioni? Perché non mi hai avvisato prima, Albus?” l’insegnante s’irrigidì sulla sedia. La sua faccia era tutt’altro che rilassata ora. Afferrò il calice violaceo ed ingollò un sorso della bevanda leggera. Aveva abbandonato la deferenza e l’ossequiosità, chiamandolo direttamente per nome.

Era proprio la reazione che si aspettava. Stava mostrando il suo interesse a ricevere quelle informazioni preziose, tramite quell’apostrofe.

Silente allungò una mano verso il cassetto contenente le pergamene preziose, ma si fermò. Prima era il caso di anticipargli il contenuto a voce, per metterlo costantemente alla prova. Poi, una volta appurato che fosse estremamente desideroso di avere la prova tangibile delle parole di Silente, gli avrebbe mostrato le carte.

“In quanto Preside, mi arrogo il diritto di prendermi il mio tempo per capire su chi possa contare e con chi condividere queste informazioni vitali” disse, simulando un certo distacco. Gli occorreva fare uno strano giochetto, un tira e molla, ed in questo caso Lumacorno, sentendosi nuovamente messo a debita distanza, avrebbe fatto di tutto per recuperarla. Voleva sentirsi importante.

“Preside, lei sa bene che può contare su di me. Non le ho mai dato motivo di pensare altrimenti”. Era tornato a dargli del lei, in segno di rispetto.

“Al contrario, Horace, sei sempre stato un ottimo professore. Hai sempre avuto un comportamento impeccabile. Mi fido di te, non dubitarne” tacque “E queste informazioni sono certo che saranno in ottime mani”.

Questo rimpiattino si faceva estenuante, pur essendo fondamentale ed essenziale. Non poteva permettersi che anche una sola persona si rivelasse un custode inaffidabile: tutto il piano sarebbe crollato e tutti i coinvolti sarebbero stati esposti a gravi pericoli.

“Le mie fonti mi hanno rivelato che qualche sera fa, Mulciber ed Avery non fossero esattamente nella loro Sala Comune. A quanto pare stavano vagando per Hogsmeade, cercando una bettola nella quale infilarsi. Bizzarro, non trovi, che si siano recati proprio alla Testa di Porco?”.

Le fonti in questo caso non erano propriamente tutte ministeriali: alcune informazioni erano state gentilmente concesse dal fratello del Preside, Aberforth, proprietario del locale. Qualche Auror in incognito aveva completato l’opera.

Il professore di Pozioni divenne rosso in volto.

“Come hanno fatto a recarsi ad Hogsmeade di notte? Che ci facevano là?”

Silente sorrise, compiaciuto. Non era nato per essere uno spregevole manipolatore di uomini, ma sapeva su cosa fare leva in ciascun individuo. Non aveva ancora finito con l’anziano insegnante.

“Non abbiamo ancora la certezza completa, ma i due stavano incontrando un Mangiamorte” disse serio il Preside.

Horace Lumacorno rimase in silenzio, come pietrificato.

“M-mi spiace che questo sia potuto accadere, Preside, le assicuro che ..”

Silente lo zittì con un gesto garbato della mano.

“Non è colpa tua. Loro hanno evidentemente scelto la loro strada. Noi adesso dobbiamo proseguire per la nostra, ed assicurarci che Mulciber ed Avery non trascinino su questa strada altri studenti. E’ molto importante”.

Il tono grave del capo della scuola non lasciava spazio a discussioni. Dato che Mulciber ed Avery erano appartenenti ai Serpeverde, Lumacorno si sarebbe sentito responsabile in qualche maniera. Ed era questo che l’avrebbe spinto a fare qualsiasi cosa per non sfigurare.

“Non sappiamo che cosa ci attenderà nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, forse nei prossimi anni. Una guerra, forse? Sappiamo però per certo che il cosiddetto Signore Oscuro, Tom Riddle, non sta rimanendo a guardare. Si sta preparando a combattere per realizzare i suoi progetti e cerca più adepti possibili, senza i quali non riuscirebbe nel suo intento”.

Lumacorno provava una certa paura a sentirlo parlare e sobbalzò quando sentì il nome di Tom Riddle. Stringeva il proprio calice fino a far diventare le proprie nocche esangui. Era entrato in gioco anche lui, non poteva più sottrarsi. Adesso doveva mostrarsi coraggioso e fare la sua parte. Non doveva avere quella titubanza che l’avrebbe tagliato fuori.

Il Preside si fermò per un attimo e il professore di Pozioni gli fece segno di proseguire.

“Grazie, Horace. Sai bene che siamo vecchi e stanchi, non possiamo più perdere tempo. Le notizie sono comunque troppo aleatorie e frammentarie, da parte degli Auror del Ministero della Magia”. Si poteva sentire, nella voce pacata del Preside, una leggera lamentela.

“Che cosa ha intenzione di fare?” chiese diretto Lumacorno.

“Semplice: una società segreta, volta a combattere il nostro ex-alunno Riddle. Dicono che stia fabbricando gli Horcrux e che stia diventando irriconoscibile”.

Il professore venne assalito dai ricordi spiacevoli. Si era sempre sentito in parte colpevole di avergli rivelato a suo tempo che cosa fossero gli Horcrux. E sapeva dentro di sé che non si sarebbe mai fermato ed avrebbe iniziato a produrli. Aveva peccato d’ingenuità in maniera abbastanza grave: d’altronde Riddle era stato uno degli allievi più strabilianti dacché insegnava ad Hogwarts.

“Preside, è tutto vero? ”. L’insegnante deglutì. Gli sembrava tutto così surreale.

“Horace, non sono mai stato così serio in vita mia. Non possiamo permettere che Tom Riddle invochi una guerra dove i nostri studenti potrebbero finire per ammazzarsi a vicenda. Dobbiamo fermare tutto il prima possibile”. Anche a costo di non obbedire al Ministero. Non lo disse, però.

“Chi accetterebbe una follia simile?” chiese preoccupato il Serpeverde.

“Chiunque abbia a cuore questa questione. Ne ho già discusso con la Professoressa McGranitt e-”. Lumacorno lo interruppe bruscamente: “Lei ha già parlato di tutto questo a Minerva?”.

Ecco che la sua fiducia non avrebbe più tentennato: Silente era riuscito ad incastrare tutti i pezzi di quell’enorme e delicato puzzle, facendo anche leva sulla rivalità tra Serpeverde e Grifondoro.

Nel frattempo, Fanny, sul suo trespolo, fischiettò qualche motivetto allegro. Non c’era proprio nulla di cui essere allegri.

Lo studio ovale si era fatto buio, i lineamenti di Lumacorno erano immersi in quel contrasto di ultimi scampoli di luce e di oscurità. Si era innervosito.

Silente gli versò un altro po’ di Acquaviola nel bicchiere.

“Sì, Horace, e Minerva mi ha garantito il suo supporto. Come a lei, ti chiederò di coinvolgere in qualche modo i tuoi studenti migliori. Hai già modo di poterli tenere d’occhio, dato che i migliori partecipano al tuo ... Luma Club”.

Lumacorno si sentì imbarazzato, sebbene non ci fosse nulla di male in quei ritrovi esclusivi ed elitari.

Il vecchio professore annuì.

“Dato che è proprio Serpeverde la casa più delicata, ti pregherei di fare molta attenzione nello scegliere gli studenti da presentarmi”.

“Preside, ma non è avventato avere una società segreta composta da soli studenti? Chi potrebbe guidarli?”. Non era una domanda fuori luogo, anzi.

Silente si era premurato di accennare la questione ad un paio di Auror di notevole importanza, ma attendeva una loro ulteriore conferma.

“Ho già qualche Auror, insofferente ai modi di operare del Ministero, disposto ad entrare a far parte dell’Ordine”. Doveva esporre informazioni molto più sicure di quello che fossero veramente. Non poteva trasmettere insicurezza: il leader doveva avere sempre delle certezze anche di fronte all’incertezza più totale.

“Addestreranno loro i ragazzi?” chiese Lumacorno. Talvolta poteva sembrare molto egoista e vanesio, quell’anziano professore di Pozioni, ma quei ragazzi rimanevano comunque dei giovani inesperti, buttati a repentaglio, prima che potessero rendersene veramente conto, nel mondo degli adulti. Un mondo di maghi che si preparava alla battaglia: i venti di guerra cominciavano ad ululare tra i colli.

Quante vite sarebbero state troncate nella loro giovinezza? Quanti sarebbero stati sacrificati nel bagno di sangue? Se i vecchi potevano solo indicare la via da percorrere, solo i giovani potevano farsi carico di quel pesante fardello.

Silente si alzò in piedi: dopo un po’, si trovava scomodo a dover parlare seduto, incollato ad una poltrona tutto sommato confortevole.

“Horace: hai la mia parola. Verranno seguiti ed addestrati e sia chiaro che non voglio forzare nessuno ad entrare in questo Ordine. Chi entrerà lo farà di propria spontanea volontà. Ti chiedo soltanto di aiutarmi. Tieni d’occhio Mulciber ed Avery e trovami qualche bravo Serpeverde che ci aiuti. Penso che non tutti i tuoi studenti condividano gli ideali di Riddle”.

“Certamente: non siamo tutti degli aspiranti macellai” disse un po’ indispettito, sentendo forte nel petto l’orgoglio di fare parte della casa fondata da Salazar Serpeverde.

Mancava un piccolo dettaglio, quello più importante, ma Silente evitò accuratamente di dirglielo.

Non gli disse della necessità di avere una spia da mettere tra le fila dei Mangiamorte. Era un’idea che voleva tenersi ancora per sé. Necessitava di ponderarci su: inoltre, voleva occuparsi personalmente del reclutamento di quella persona pronta a mettere a totale repentaglio la sua vita. Non era certo che sarebbe riuscito a trovarla. Ogni giorno gli capitava di pensarci e di ripensarci. Avrebbe avuto la conferma solo nel momento in cui l’avrebbe avuta davanti ai suoi occhi.

“Posso contare su di te, quindi, Horace? Questa è l’ultima battaglia che voglio combattere in vita mia. Sono vecchio e ho lottato abbastanza in vita mia”. Non era ancora il momento di ammettere di essere stanchi.

Lumacorno annuì: “Tutto l’aiuto che posso darle, Preside. Sarà anche l’ultima mia battaglia. D’altronde, vorrei che i miei nipoti possano avere un futuro, quindi lotterò, e poi mi ritirerò” ammise con un sorriso. Il professore era sempre stato piuttosto riservato circa la sua vita privata, ma non era la prima volta che rivelava qualche parte di sé. Si alzò ed uscì piuttosto turbato e pensieroso dallo studio di Silente, con il buio totale, e la pioggia oramai completamente svanita. Il cielo era ancora frastagliato, le nuvole vagavano veloci verso sud.

Silente sorrise soddisfatto, facendo svanire i bicchieri e la bottiglia di Acquaviola.

Aveva un alleato prezioso, forse il più prezioso. Gli era costato fatica e una buona dose di abilità retorica, ma alla fine era lo stesso Lumacorno che aveva acconsentito ad aiutarlo nella sua lotta contro Tom Riddle. E poteva anche intuirne i motivi personali, ma se avesse infierito davanti a lui sugli errori commessi in passato, sarebbe stato perfido. Non era nella sua natura.

Fanny era molto bella, al buio. Sembrava una fiammella allegra e spensierata che fendeva l’oscurità. Era ora di farla volare nell’aria fresca e non più martoriata dalla pioggia.

L’uccello con un cinguettare allegro, spalancò le ali, non appena vide la finestra aperta e si lanciò nel blu scuro della sera. Il Lago Nero era lievemente increspato, i colli verdi, pur nel buio, conservavano la propria bellezza intatta. Anche il loro verde pareva rilucere nell’oscurità.

Magari, un giorno, quando Lord Voldemort sarebbe stato sconfitto, si sarebbe goduto una serena vecchiaia tra le montagne della Scozia. Ci sperava ancora, tutto sommato. Ma rimaneva ancora un sogno lontanissimo.

 

Un altro anno ad Hogwarts stava giungendo al termine. Nella stanza di Lily regnava il caos più totale.

Erano tutte ancora nel loro mondo beato, dove non esistevano società segrete, confessioni o sotterfugi. Proprio in quei giorni il Preside Silente si era assentato più del dovuto, dato che l’Ordine della Fenice stava iniziando a prendere una forma sempre più concreta: ma agli studenti poco importava, le vacanze estive si stavano nuovamente avvicinando. C’era chi terminava il lungo viaggio di sette anni di studi magici, e si avviava a scegliere quale percorso professionale intraprendere. I più grandi lasciavano spazio ai più piccolini e dei nuovi e timidi undicenni sarebbero approdati ad Hogwarts il prossimo Settembre. Chi finalmente otteneva gli ultimi M.A.G.O era o impaziente di lasciare la scuola, o aveva la lacrima facile e si lasciava immalinconire da sette anni di ricordi.

Le quattro Grifondoro avevano i loro enormi bauli completamente spalancati. Ciascuna di loro aveva un metodo diverso nel fare le valigie ed erano uno più caotico dell’altro.

Lily, molto semplicemente, si limitava a riversare sul letto tutto il contenuto del baule e lo rimetteva a posto da zero. V’erano vestiti stropicciati - sua madre sarebbe trasalita per come Lily trattava gli abiti - libri sparpagliati, piccoli regali da portare a casa, dolcetti e sacchetti di caramelle che lasciavano i granelli di zucchero ovunque e cianfrusaglie di ogni tipo.

E non mancavano i peli del gatto di Mary, che aveva recentemente adottato. Era un gatto grigio e bianco, dalla coda molto pelosa e dalla criniera molto morbida. Lily non lo sopportava. Bastet, così si chiamava il gatto, o meglio la gatta, sembrava amare il profumo dei suoi vestiti appena lavati, e l’odore del baule della ragazza. Così, se Lily inavvertitamente avesse lasciato il baule semiaperto, al suo ritorno in camera avrebbe trovato il felino troneggiare sulla sua pila di vestiti, con quegli occhi gialli scintillanti che brillavano di furbizia, quasi sapesse di mandare in bestia la ragazza dai capelli rossi.

Ogni volta, le toccava togliere i peli dagli abiti ed anche la magia saltuariamente si rivelava inefficace. Sev si divertiva a vedere la sua Lily irritarsi di fronte ad un altro pelo di gatto, e scuoteva il maglione stizzita, facendo svolazzare i fili grigiastri per aria.

La preparazione dei bauli richiedeva parecchio tempo, poiché veniva spesso interrotta da chiacchiere e da risate. Le ragazze, poi, ne approfittavano per salutare altre compagne in partenza.

A Lily dispiaceva lasciare Hogwarts, ma allo stesso tempo era felice di poter tornare a casa dai propri genitori, Norah ed Andrew. Petunia l’avrebbe accolta con l’indifferenza di chi accoglie una persona uscita cinque minuti prima; oramai Lily aveva accettato questa realtà. La sorella più grande non faceva molto per dimostrarsi calorosa ed amichevole, quindi non c’era neanche bisogno che lei si sforzasse di essere particolarmente affettuosa: avesse sbattuto la testa contro il muro, sarebbe stato uguale.

Inoltre, delle lunghe e meritate vacanze attendevano sia lei che Sev. Sapeva praticamente per certo che si sarebbero recati nuovamente in Irlanda a trovare amici e qualche parente da parte di madre. Sua nonna, passata a miglior vita prematuramente, la vivace Eimear Moore, era irlandese. Gli zii irlandesi, tante volte vedevano in Lily la vera discendente di Eimear, sia fisicamente, che caratterialmente. Lily non poteva esprimersi al riguardo, dato che la nonna era scomparsa nei suoi primi anni di vita e si ricordava poco o niente di lei. Per di più, sua madre non ne parlava molto volentieri. Non perché non andassero d’accordo, ma perché il loro legame era talmente forte che la morte improvvisa di Eimear aveva lasciato Norah molto sofferente.

Lily avrebbe voluto saperne di più sulla propria nonna, al di là di possedere solo qualche foto.

Soprattutto, sperava che Sev potesse tornare con lei. D’altro canto, era nato tutto lì a Galway. Aveva bisogno della sua presenza, perché quei posti non sarebbero stati mai più gli stessi senza di lui. Ci teneva tanto a passare ancora una volta un’estate ricca e piena con lui.

Sentì una massa di pelo strusciarsi tra le sue gambe. Era ancora quella gatta. Si era fatta rivedere, dopo quasi due giorni di assenza. Mary si era preoccupata per la sua scomparsa.

Con cautela, finì di ripiegare delle magliette, si spostò, onde evitare di prendere dentro Bastet, e le ripose nel baule. Il felino la guardava, seduto con eleganza davanti al letto della Grifondoro. Agitava la coda, con movimenti lenti e misurati.

Lily non sapeva che fare. Non aveva mai avuto dei gatti e non capiva perché Bastet ce l’avesse con lei.

“Mary! La tua gatta … Mi guarda male”.

Non solo, appena Lily tentò di riavvicinarsi al proprio letto, la gatta le soffiò piena d’astio. La ragazza si spaventò.

“MARY! Vieni qua!! Questa gatta è posseduta!” strillò la Grinfondoro, abbastanza impaurita. Temeva la potesse graffiare.

La padrona aveva rovesciato a terra tutto il contenuto del suo baule ed era impegnata ad ultimare i propri preparativi. A quello strillo, si alzò in piedi e corse dall’amica.

Si chinò verso il proprio gatto, che sorprendentemente soffiò anche a lei. Agitò una zampina, estraendo gli artigli. Mary si ritrasse.

“Bastet!” la rimproverò e con un gesto fulmineo la prese per la collottola. Lily si agitò, perché aveva paura che potesse fare del male all’animale, ma Mary aveva esperienza con gli animali.

L’amica di Lily trattenne il respiro.

“La gatta non sta bene, Lily” fece in tono grave. La rossa si chinò accanto a Mary e vide che le pupille dell’animale erano rossastre. Soffiò e si dimenò ancora un po’, ma Mary con la presa salda la tenne ancora buona. Sentì che nel collarino blu piuttosto spesso, vi era nascosto qualcosa.

“Mary! Sembra davvero posseduta” disse in un soffio. Allungò incerta la mano verso la gatta, che soffiò furiosamente.

“Lily, le hanno fatto qualcosa! E ha un pezzettino di pergamena nel collarino! Prendiglielo!”.

Lily era troppo insicura, ma Mary le urlò di andare a colpo sicuro e di non aver paura con il gatto, altrimenti avrebbe graffiato entrambe. Affondò la mano nel pelo di Bastet e riuscì ad afferrare il pezzettino di pergamena, intanto che Bastet si agitava e dimenava. Emmeline e Marlene si erano avvicinate preoccupate alle due.

Mary lasciò andare la gatta, che scappò sotto il letto della propria padrona, miagolando spaventata.

Le due ragazze si alzarono in piedi. Lily guardava con sguardo interrogativo quel frammento di pergamena.

“Aprilo, su. Vorrei proprio sapere chi è quel bastardo che mi ha maledetto Bastet” ringhiò Mary.

Marlene trasalì per il bastardo detto da Mary.

Lily lo aprì velocemente e come prima cosa ne lesse il contenuto. Lo rilesse con attenzione, una, due, tre volte e sbiancò in volto. Non volle farlo vedere subito alle sue compagne. Aveva letto parole terribili.

Quelle parole erano rivolte a lei ed a Mary, in quella stanza. Erano le uniche nate Babbane, lì. Ma era sicuramente un messaggio rivolto a tutte quelle e a quelli come loro.

Marlene si avvicinò alla ragazza sotto shock e con delicatezza le sfilò la pergamena dalla mano. Lily non si mosse. Si sentiva tremare tutta, da capo a piedi. Lo stomaco le si strinse in una morsa acida e dolorosa. Fiumi neri di rabbia si stavano riversando dentro le sue vene.

Marlene lesse ad alta voce il contenuto, scritto con una grafia elegante ed impeccabile, nel silenzio più totale.

“L’ascesa del Signore Oscuro si avvicina. Tremate, SangueSporco”.

Mary trasalì. Emmeline sgranò gli occhi. Le urla femminili e terrorizzate da film del terrore sarebbero state fuori luogo. Si guardarono tutte in silenzio.

“Maledizione! Ancora con questa storia?!” urlò furiosa Mary.

Lily per tutta risposta, si voltò, frugò tra il mucchio di vestiti e prese la bacchetta magica, schiumando di rabbia, agganciandola alla cintura della gonna. Prese il maglioncino stropicciato e se lo infilò nervosamente, senza dire una parola, tese la mano a Marlene, senza neanche guardarla.

“Marlene, dammi la pergamena” disse perentoria. Era del tutto involontario, non ce l’aveva con lei, con nessuna di loro. Iniziava però ad avvertire paura in un luogo che pensava che l’avrebbe sempre protetta da questo tipo di follie.

Mary era agitata e camminava nervosamente per la stanza, seguendo il profilo circolare del tappeto al centro di essa.

“Lily! Ma che cosa vuoi fare ora?” chiese timidamente Emmeline.

La rossa diede una rapida occhiata alla pergamena. Non sapeva chi potesse averla mai scritta. Sapeva che Mulciber ed Avery potevano aver maledetto la gatta, incantandola e costringendola a fare ciò che desideravano. Tuttavia, non era proprio certa che la scrittura fosse proprio la loro. Aveva bisogno di Sev per capirlo. Aveva bisogno del suo aiuto e del suo consiglio. E questa volta, sarebbe andata fin dal Preside. Non le interessava che quello fosse l’ultimo giorno di scuola per tutti, avrebbe mosso mari e monti per far sì che quella follia finisse.

Hogwarts era la sua casa, dove poteva essere se stessa e sentirsi una strega, ed era orgogliosa di esserlo. Non avrebbe mai accettato che qualcuno, fosse pure il Signore Oscuro, si potesse frapporre tra lei e la sua casa del cuore. E non avrebbe mai accettato che quelle idee malate serpeggiassero tra gli studenti di Hogwarts. Quando si è più giovani, si è molto più volubili e suscettibili di fronte al fascino irresistibile delle idee e dei grandi progetti, colmi di gloria e di vanità.

Aveva sperato ardentemente che quello di Mary fosse solo un episodio, un momento delirante ed incosciente da parte di quei due.

Non sapeva che nell’oscurità, qualcosa di enorme si stava facendo strada, e quella stessa oscurità si preparava ad inghiottire qualsiasi cosa, persino il Sole, se ne avesse avuto il potere. Aveva solo quindici anni, come poteva pensare che sarebbero stati tutti travolti da qualcosa molto più grande di loro?

“Dove stai andando, Lily?” ripeté Marlene, seria in volto.

“Vado da Silente” disse seccamente Lily, avviandosi di gran carriera verso la Sala Comune, per uscire e precipitarsi verso l’ufficio del Preside.

“Veniamo con t-“ fece Mary. Lily la fermò con un gesto brusco.

“NO! Ci penso io. Statene fuori”. Si ricordò di quelle parole, dette da Severus a lei, qualche tempo prima. Lei ora era dentro fino al collo, ma voleva che le sue più care amiche non venissero coinvolte.

Non sarebbe andata subito dal Preside, aveva bisogno di vedere prima Severus. Il suo aiuto sarebbe stato più cruciale che mai. Ne aveva bisogno, ora più che mai. Non voleva camminare nell’oscurità da sola.

Oltrepassato il ritratto della Signora Grassa, Lily iniziò a correre.

 

 

 

 

* * * * *

Uh oh, adesso si che iniziano i cazzi amari.
Scusate la finezza da scaricatrice di porto.
 
E’ stato un capitolo molto impegnativo e ha preso una piega totalmente diversa da quella che mi aspettavo. Adesso i duri devono iniziare a giocare e a fare a botte con quegli stronzetti che tramano alle loro spalle ;) Forza Sev! Forza Lily! Nel prossimo capitolo tornerà quella gran donna che è Minerva McGranitt. Ma qualche attimo di relax i nostri tesori l’avranno.
 
Ho anche la pagina autrice su FB! Aggiungetemi, se vi va!
Aspetto le vostre recensioni con tanta giuoia e gaudio!
 
Un abbraccio,
Blankette_Girl
Alessandra <3

P.S mi scuso per la formattazione penosa che ha preso questo capitolo, ma mia sorella si è portata via il Mac e su Windows non riesco a metterla come negli altri capitoli. Entro sera tarda o domani la sistemo!

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Capitolo 18
*** Bloody Claws ***


18.

Bloody Claws


"Confusion gone, it's in your hands

Your turn to ask why

 

Life is like a mystery

With many clues, but with few anwers

To tell us what it is that we can do to look

For messages that keep us from the truth"

Death - A Moment Of Clarity

 

Lily passò accanto agi studenti, intenti a bivaccare per i corridoi, spintonandone via qualcuno che si metteva in mezzo nel suo tragitto. Lily imprecò varie volte, facendosi strada e scansando persone che volevano fermarla e farle perdere tempo.

Dopotutto, era normale che ciò accadesse, nella terza settimana di Giugno. Era l’ultimo giorno di permanenza ad Hogwarts, quel pomeriggio sarebbe stato speso nell’attesa del banchetto di fine anno. Non c’era altro da fare se non ammazzare il tempo in maniera stupida.

Per Lily e Severus quell’anno sembrava non finire mai. Non si sarebbero potuti godere un pomeriggio in totale libertà: non avrebbero potuto salutare Hogwarts come avrebbero desiderato.

Avevano tra le mani affari troppo delicati e troppo scottanti per lasciarsi andare al divertimento come tutti gli altri.

La ragazza sapeva la strada a memoria, l’aveva percorsa tante di quelle volte al punto da poterla percorrere anche ad occhi chiusi. Scese le scale a chiocciola, talvolta saltando i gradini a due a due, per fare prima. Abbandonò la luce giugnina, calda ed avvolgente, per immergersi nell’oscurità, affrettandosi verso i corridoi perennemente semibui che conducevano verso la Sala Comune di Serpeverde.

Si fermò un attimo a riprendere fiato, appoggiando la sua piccola mano al muro. Curvò leggermente la schiena, chinò la testa e con la bocca semiaperta riprese fiato. Respirò avidamente l’aria umida dal sapore di muschio, di terra umida. Altre volte le avrebbe fatto un po’ senso respirare quell’aria opprimente, ma in quel momento doveva accontentarsi di quella. Non aveva tempo da perdere ed occorreva riprendersi il più presto possibile.

Ne approfittò per controllare se nella piccola tasca della gonna, ci fosse ancora quella maledetta pergamena.

Vi frugò per qualche attimo e la estrasse, lentamente, con una strana paura che le attanagliava il petto. Aveva timore a rileggere quelle parole, dense di cattiveria. Nella semioscurità, aiutata solo da qualche torcia, si fece coraggio e le rilesse. 

Una goccia di sudore che le imperlava la fronte, scivolò giù lungo la tempia e la guancia, per proseguire il proprio volo verso terra.

Regnava un silenzio strano, dove il respiro appena udibile della giovane Grifondoro, riecheggiava ora amplificato. Il ticchettio di quella goccia di sudore suonava infinito, eterno. Le sue dita a contatto con quella pergamena davano vita ad un bizzarro crepitio, come se volessero sbriciolare quell’infido pezzetto di carta giallastra.

Forse era tutta una sua suggestione, pensò, con il cuore in gola. Ad ogni modo, non si sentiva affatto al sicuro.

Tremate, SangueSporco”

Un sospiro carico di spavento le sfuggì dalle labbra. Alla vista di quelle parole, le sembrò di sentire degli artigli afferrarle la gola, non esattamente appena sotto il mento, ma più verso la base del collo, poco sopra la clavicola. Deglutì.

Sapeva che il Signore Oscuro bramava il suo sangue, il suo SangueMarcio, impuro, come l’acqua cristallina impestata di catrame e sudiciume di varia natura.

E come l’acqua sporca, v’era un urgenza a doverla purificare.

Perché avevano preso di mira lei? Perché si erano accaniti su Mary?

Quali altre persone avrebbero potuto prendere come bersaglio? Quanti altri si sarebbero potuti cascare in idiozie simili?

Tolse la mano che l’aveva sorretta dal muro. La passò velocemente sul tessuto del maglioncino, per levarsi quella sensazione di viscidume ed umidità che avvertiva dopo aver toccato quella superficie in pietra. Ancora una volta, le balenò un pensiero rivolto a sua madre, che sarebbe inorridita verso quel gesto, che avrebbe rovinato inevitabilmente la purezza di quella lana color grigio scuro.

Scosse la testa, impedendo alla sua mente di divagare ulteriormente. Non si era ripresa del tutto, ma non poteva più fermarsi. 

Riprese a correre ed ignorò la fatica crescente, i rumori amplificati. Schivò, con un urlo stridulo, uno degli spettri appartenenti a Serpeverde. Molti di loro fluttuavano tediati e con la solita aura di snobbery che li circondava.

Una volta davanti all’entrata della Sala Comune, Lily vide qualche studente lanciarle occhiate perplesse e dubbiose. Certamente, non poteva entrare lei personalmente.

Si guardò attorno, esaminando attentamente i Serpeverde lì fuori, c’era chi se ne stava in piedi appoggiato al muro, c’era chi invece se ne stava seduto. 

Lily osservò la brillantezza dei tessuti dei loro mantelli. Erano veramente belli. Le scarpe perfettamente tirate a lucido di qualche ragazzo, particolarmente benestante, la incantarono per qualche attimo. 

Forse era la luce soffusa delle torce, combinata a quella verdastra che proveniva da fuori a conferire a quei ragazzi un fascino oscuro e misterioso. Non tutti avevano un’aria cattiva od ostile, se guardati con attenzione. La luce verdastra faceva risaltare le pelli morbide e delicate delle ragazze più grandi, che iniziavano a diventare coscienti del proprio rango e del portamento da avere. I loro boccoli, le messe in piega impeccabili, o quasi, le rendeva perfette bambole da esporre nei migliori scaffali, quelli che le avrebbero messe ben in vista. Ed il primo Purosangue, amorevolmente spinto dai genitori, l’avrebbe presa con sé e sposata, per dar vita a nuove sane e forti generazioni di altri Purosangue.

Un moto di tristezza pervase Lily. Almeno lei era stata libera di scegliere, seppur agli occhi di qualcuno di loro sarebbe sempre apparsa come una stracciona SangueSporco. Magari altri Serpeverde l’avrebbero vista come una normale maga. Studiosa, molto intelligente, dal fascino particolare. Tutto qua.

Uno di quei ragazzi appoggiato al muro le parve familiare, ed anche lui stava scrutando Lily con attenzione. Non n’era sicura, le parve René Zabini: era così diverso dagli altri. Aveva la pelle leggermente più scura rispetto agli altri, ed era di costituzione possente, ma slanciata. Attirava molte ragazze per il viso, dalle labbra molto carnose e i lineamenti decisi, ed i capelli ricci, che faceva crescere fino ad una lunghezza media. Aveva sempre un comportamento molto sprezzante e snob, probabilmente suggerito dalle sue origini creole e francesi. Provava un odio viscerale per molte persone e faceva molta fatica a fare amicizia con gli altri Serpeverde. Aveva sempre avuto paura che le sue origini fossero uno dei motivi per cui le persone lo tenessero a distanza. Allora, di conseguenza, per proteggersi, aveva abbracciato qualsiasi idea di purezza di sangue, facendo sfoggio dell’eleganza assoluta e di un portamento invidiabile, in qualsiasi circostanza. Possedeva quell’elemento nello stile che lo faceva sembrare un ragazzo superiore al resto del gruppo.

Tuttavia, non aveva nulla in contrario nei confronti di Lily, seppur venisse tenuta, come tutte le ragazze Grifondoro, a debita distanza.

Si avvicinò, lasciando in disparte i propri amici, facendo ondeggiare in maniera squisitamente teatrale il proprio mantello.

“Che cosa ti porta qui?” chiese Zabini in maniera piuttosto distaccata.

“Avrei bisogno di parlare con Severus con molta urgenza”.

“Severus non è qua” osservò il creolo.

“Grazie, me n’ero accorta” rispose sarcastica Lily, serrando le mani in due piccoli pugni nervosi.

René spostò con gentilezza Lily, toccandola appena con le mani ben curate, prendendola per le spalle e scansandola dall’ingresso.

“Te lo vado a chiamare io” le disse, mentre entrava nella Sala Comune.

 

Severus aveva appena ritrovato trionfante il proprio libro di Occlumanzia. Appartenuto a sua madre, molto probabilmente nello stato in cui si trovava, non si sarebbe turbata di fronte alla scomparsa del libro; lui invece era rimasto molto turbato dalla scomparsa del libro. Non aveva soldi sufficienti per permettersi un costosissimo libro avanzato di Occlumanzia, disciplina che di certo non avrebbero insegnato ad Hogwarts a livello progredito. Quel libro gli serviva. Corse a buttarlo nel suo baule con le poche cose che vi aveva messo e non appena uscì dalla sua stanza, si trovò l’elegante Zabini davanti. Lui avrebbe salutato definitivamente Hogwarts, dopo aver ottenuto i suoi buoni M.A.G.O. Severus l’aveva aiutato in Pozioni, materia in cui il creolo non brillava affatto.

“Ti cercano fuori” gli disse secco.

“Chi mi vuole, Zabini?” gli chiese Severus altrettanto seccamente.

René alzò le spalle. “Una ragazza molto bellina” la sua faccia si animò di un curioso misto tra dispiacere e disprezzo “Peccato che sia una Grifondoro”.

Sev si fece immediatamente più attento, e chiuse il baule rumorosamente, con il clangore delle fibbie e dei passanti delle cinghie a fare ancora più frastuono.

“Fà piano, Piton! Merlino, sei uno zotico quando sbatti le cose in giro” osservò irritato René, sbuffando.

Senza dire una parola, Sev lo superò. Che cosa poteva avere Lily? Non doveva finire i suoi bagagli?

Anche lui avvertì degli artigli poco piacevoli attanagliargli la gola, prima ancora che potesse sapere cosa potesse essere accaduto in maniera precisa. Ed era piuttosto certo che il suo istinto non si sbagliasse: quello che stava provando lui, l’aveva sentito anche Lily ed era per quello che si era precipitata da lui. Il loro legame aveva raggiunto un’alchimia speciale, che andava oltre l’amore incondizionato: cambiava di stato mese dopo mese, si purificava e si trasformava in un nuovo elemento, pronto per essere sciolto, distillato e trasformato in qualcosa di ancor più prezioso. 

Attraversò la Sala Comune scansando compagni e conoscenti e con la coda dell’occhio, prima di lasciare quella stanza, vide su un divano Mulciber ed Avery seduti, intenti a parlare fittamente. Per la prima volta dopo qualche tempo, non erano da soli, ma ridacchiavano in maniera inquietante con qualcun altro. Sev non ebbe tempo di controllare chi fosse, però quella nuova compagnia non gli piacque per nulla. N’era quasi certo, era un individuo simile a loro: con lo stesso umorismo perverso e deviato, con la stessa cattiveria trattenuta a stento nel proprio cuore di pietra. 

Come poteva correre fuori tranquillo e lasciarlo perdere quel nuovo ragazzo accanto a due persone così poco raccomandabili? Severus si fermò di botto, rischiando di andare a sbattere contro un ragazzo del quinto anno, che lo guardò in cagnesco, irritato da quel contatto brusco e del tutto accidentale. In quel momento, intanto che il Serpeverde venne gentilmente spintonato via, Sev si profuse in scuse elaborate ed interminabili, approfittandone per osservare con attenzione quel Serpeverde accomodato sulla poltroncina davanti ai due delinquenti.

Non riusciva a capire chi fosse. Aveva i capelli corti, scuri, due occhi di ghiaccio e dei lineamenti molto marcati, ma quel volto non gli suggeriva nessun nome. Non che conoscesse tutti i ragazzi del suo anno, dato che il ragazzo in questione sembrava essere un suo coetaneo.

Doveva trovare il modo di capire chi fosse e soprattutto cosa ci facesse con Mulciber ed Avery.

“PITON! Sei ancora qua?” ruggì René, dall’altra parte della Sala “Sei proprio un maleducato a far aspettare quella ragazza!”. Per un attimo alcuni Serpeverde si voltarono verso Sev, ridendo e sbeffeggiandolo e guardandolo divertiti. Anche i due Serpeverde sospetti si voltarono per guardarlo e scossero la testa, compatendolo. I Serpeverde potevano essere nobili e di alto lignaggio, ma non avevano il senso del gruppo, dell’amicizia leale. Il piacere di irridere qualcuno era sempre nell’aria.

Severus sobbalzò e scoccò all’impiccione un’occhiata di fuoco.

“Fatti gli affari tuoi, Zabini!” urlò, intanto che spariva, dirigendosi verso l’uscita.

 

Quando si trovò davanti Lily, poté cogliere immediatamente il sollievo nei suoi occhi verdi, ma in fondo ad essi vi scorse paura e spavento. Ancora più in fondo, vedeva un’onda anomala nera che si faceva sempre più evidente, pronta a travolgere tutto e tutti: era la rabbia.

Lily aprì bocca per dire qualcosa, fece per gettarsi tra le braccia di Severus, in maniera impulsiva e spontanea, ma Sev riuscì a bloccarla con lo sguardo. La prese per un polso e la fece camminare il più lontano possibile da sguardi indiscreti e persone non gradite che sarebbero potute uscire da un momento all’altro.

Sev la stava tirando inconsapevolmente: lei non osò obiettare, non che le desse particolarmente fastidio, comunque. Avevano problemi ben più urgenti da discutere e da affrontare.

La riportò verso la luce, sicuramente il luogo più adatto alla giovane Grifondoro. La ragazza abbassò per un attimo la testa, non appena rivide la luce, come se non fosse più abituata ad essa. Andarono a mettersi dietro una delle spesse colonne presso la Sala Grande, che stava per essere addobbata a festa: non sarebbero però stati rivelati subito i colori della Casa vincitrice. Entrambi i ragazzi sapevano che sarebbe stata una questione tra Corvonero e Tassorosso: per una volta, non si sarebbe ripetuto l’eterno duello Serpeverde contro Grifondoro. Entrambe le case avevano sofferto di pesanti perdite di punti, per ovvi avvenimenti, e per le immancabili furbate da parte dei Malandrini. 

Lily non fu in grado di parlargli. Lasciò che il proprio corpo trasmettesse il messaggio. Nervosamente, aprì il pugno destro e cacciò nella mano di Severus il frammento di pergamena. Lo guardò molto seria e il ragazzo, senza ulteriori indugi, ne lesse il contenuto. Impallidì, per diventare più pallido di quanto non lo fosse già di suo. Aveva compreso chi potesse aver scritto quelle fesserie, non era la prima volta che s’imbatteva in quella grafia. Non voleva però tradire la propria sorpresa ed essere costretto a dire a Lily quello che aveva fatto, ovvero aver letto una missiva di un Mangiamorte rivolta ai due che avevano del male a Mary. Non era sua intenzione spiegarle in che guaio si stava andando a cacciare e che si prospettavano tempi difficili per tutti.

La ragazza era visibilmente agitata, respirava un po’ affannosamente e lo guardava con un’espressione negli occhi indecifrabile. Cercava il conforto nello sguardo di Severus, che era tutt’altro che sereno.

“Come ..?” osò chiedere Severus, temendo che quel dannato messaggio fosse rivolto direttamente a Lily. In tal caso, qualsiasi modo di riportarlo a miti consigli sarebbe stato vano.

“Non ho la certezza che siano proprio loro, ma hanno maledetto la gatta di Mary e oggi sembrava volesse piantare i suoi artigli nei miei stinchi. Comunque, nel suo collarino abbiamo trovato questo messaggio”.

Severus deglutì e lo riesaminò con attenzione. La grafia era di Lucius. Che avesse dettato le parole del Signore Oscuro come minaccia e che i ragazzi si fossero avventati sulle due ragazze Nate Babbane che conoscevano di più?

Questo mandò il sangue alla testa Sev, che ultimamente non faceva altro che cercare di tenere fuori da eventuali pericoli la sua ragazza. Adesso Mulciber ed Avery la sfidavano a viso aperto e dato il carattere di Lily, difficilmente sarebbe stata buona ad aspettare che qualcuno la vendicasse.

Aveva voglia di schiantarli, pietrificarli: qualsiasi cosa, purché non proseguissero in quella follia.

“La scrittura non è la loro” bisbigliò Severus, richiudendo il bigliettino.

“Chiaro” disse sarcastica Lily “Se lo saranno fatto scrivere da qualche ragazzo più grande, chissà tramite quale incantesimo oscuro”.

Severus la guardò con aria grave, senza replicare. Lui sapeva. Era giunto il momento di parlarne a tu per tu con Silente, sarebbe stata un’informazione preziosissima ed utile al vecchio Preside. Non voleva che ci fosse Lily a scoprire che lui le avesse potuto tenere nascosto qualcosa: gli avrebbe staccato la testa a morsi, o a colpi di bacchetta.

Ma era per tenerla al di fuori di questa guerra, da questi giochetti e sotterfugi.

“Sev, ho davvero paura della piega che stanno prendendo gli eventi. Se non posso essere al sicuro qua ad Hogwarts, dove lo potrò mai essere?”.

Aveva ragione, ed il Serpeverde in cuor suo lo sapeva. Poteva cercare di consolarla con delle vane frasi di circostanza, ostentando una sicurezza che in quel momento non possedeva affatto. Non disse niente. L’unica cosa da fare era di far intervenire, in qualche modo, i professori.

“Andiamo da Silente” disse con la maggior sicurezza possibile Severus e prese Lily per mano.

Iniziarono a correre.

In quel momento, durante quella corsa, Lily si sentì rinfrancata. 

Non doveva temere la solitudine, gli artigli che la spaventavano e l’afferravano alla gola. Non doveva più temere il buio e la cattiveria delle persone, con Sev.

Aveva trovato qualcuno con cui correre, senza paura.

 

Di fronte allo studio del Preside, i due ragazzi pronunciarono la parola d’ordine per accedervi.

Gelatina al Rabarbaro” esclamarono, con una smorfia di disgusto sui loro volti. Non osavano immaginarsi che gusto orrendo potesse essere, ma le parole d’ordine per accedere allo studio del potente Silente erano sempre state piuttosto bizzarre.

V’entrarono, impazienti di potergli parlare. Lily e Sev corsero su per i gradini in pietra e con loro grande disappunto, non trovarono Silente.

Al suo posto, vi trovarono la Professoressa McGranitt, intenta a firmare le ultime carte che decretavano la vittoria della Coppa delle Case a tutti gli effetti da parte di una delle quattro Case di Hogwarts. 

Alzò la testa, i capelli erano raccolti in una crocchia piuttosto austera, e li fissò con sorpresa.

“Signorina Evans! Signor Piton! A cosa devo il piacere di questa vostra visita?”. Si alzò rapidamente in piedi, sistemandosi con cura il suo lungo ed adorato mantello verde ed andò incontro ai ragazzi, che si guardavano attorno, cercando il Preside.

“M-mi scusi, Professoressa, dovremmo parlare con il Preside Silente” esordì Severus.

“Ragazzo, mi dispiace, ma il Preside non tornerà prima di sera e fino a quel momento lo sostituirò io. Posso comunque aiutarvi?”

Lily annuì. “E’ una questione grave” disse, senza esitazioni.

La Professoressa e Direttrice di Grifondoro la guardò con attenzione con i suoi occhi azzurri e vivaci. La propria alunna non era la tipica ragazzina che parlava a vanvera: pertanto, un’affermazione simile da parte della signorina Evans, presentava una buona base di verità.

“Signorina Evans, mi dica, allora” la esortò.

Lily guardò Sev, che estrasse subito il frammento di pergamena e lo tese alla donna.

Le mani affusolate di Minerva McGranitt afferrarono con garbo quel bigliettino e se lo portò il più vicino possibile. Mosse la bocca, senza emettere alcun suono, leggendolo assorta.

Abbassò le braccia, guardando molto preoccupata i ragazzi.

“Come l’avete trovato?” chiese molto seria la donna.

Lily si lanciò nel racconto un’altra volta, rimanendo comunque calma, parlando senza fretta, non omettendo nessun dettaglio. Non azzardò nessuna accusa od ipotesi, sapendo che con la McGranitt era richiesta la massima precisione e sicurezza.

Severus si limitò ad ascoltare, rimanendo in silenzio, ma dentro di sé stava affannosamente cercando un modo per poter confessare i suoi sospetti alla Vicepreside, senza che Lily dovesse trovarsi per forza nello studio ovale.

“E’ una questione molto grave” osservò l’insegnante di Trasfigurazione. “Avete qualche sospetto? Riconoscete la grafia dell’individuo?”. 

Entrambi i ragazzi scossero la testa, Severus si sentì costretto a farlo e non gli piacque per nulla mentire in quella circostanza.

“Mi permetta, Professoressa” disse il Serpeverde “sospettiamo che si possa trattare dei miei due compagni di Casa, Mulciber ed Avery. Non sono nuovi a certi misfatti. Ma so per certo, che quella non è la loro grafia”.

“Qualsiasi affermazione voi facciate, verrà da me tenuta in considerazione. Date le circostanze e la sfortunata situazione, è un obbligo da parte mia. Hogwarts deve rimanere un luogo protetto e al sicuro dalle mire di Colui-che-non-deve-essere-nominato”.

Lily si sentì vagamente rassicurata da quella frase. Poteva sperare ancora di avere un posto sicuro dove imparare l’arte magica, allora.

Severus era scocciato dal fatto che non potesse parlare liberamente. Sentiva che quella sua informazione andava detta, poiché sarebbe stata ben utilizzata. La McGranitt se ne accorse di quell’irritazione e aveva capito che il ragazzo non aveva detto tutto. Non era diventata un’ottima insegnante e Vicepreside per caso.

“Mi dispiace che quest’episodio spiacevole vi abbia rovinato il vostro ultimo pomeriggio a Hogwarts. Potete tornare nelle vostre rispettive Sale Comuni, ma prima desidererei parlare a quattr’occhi con il Signor Piton. Andrà avvisato anche il Professor Lumacorno”.

Detto dalla Professoressa McGranitt, Lily lo prese come un ordine e non si sarebbe mai sognata di contraddire la propria Direttrice in quelle circostanze.

Lily guardò Severus, con uno sguardo speranzoso, chiedendogli tacitamente di raccontarle poi il resto della conversazione privata. Sev annuì, sollevato, ed osservò la Grifondoro scendere i gradini e scomparire dallo studio.

Quando sentirono il portone in legno finalmente chiudersi, Severus si voltò verso la McGranitt, che lo guardava con un lieve sorriso incoraggiante.

“Signor Piton, ha qualcos’altro da dirmi, che non voleva ammettere in presenza della Signorina Evans?”.

Il ragazzo annuì. 

“So chi ha scritto quel bigliettino” esordì “Lucius Malfoy. E’ un Mangiamorte, ora”.

La McGranitt parve sobbalzare sull’ultima parola pronunciata da Severus, ma non era una donna che si scomponeva di fronte a certi eventi. Lo fissò in silenzio.

“Andiamoci a sedere” disse “Avrà molto da raccontarmi e da raccontare al Preside. Sarà qui da un momento all’altro”.

Severus sapeva che non avrebbe potuto raccontare nulla a Lily, di quello che sarebbe successo, da lì in avanti. E gli dispiacque non poco, ma qualcosa si sarebbe inventato.

Lo faccio per tenerti lontana dai pericoli pensò, mentre strinse con le mani i braccioli della sedia. 

Ora sia lui che Lily erano costretti a fare un altro tuffo nel vuoto, verso un baratro ignoto, senza altre certezze, poiché i tempi spensierati sembravano dolorosamente giunti al termine.

 

Severus durante il banchetto di fine anno non aveva molto appetito. Non prestò nemmeno attenzione alla premiazione di Corvonero ed il castello che si tingeva di decorazioni e festoni color nero e blu. Non diede minimamente retta al discorso di Silente, perché l’aveva scioccato, con le rivelazioni che proprio lui, il Preside in persona, gli aveva fatto. Come se quello fosse stato un bel ringraziamento per l’aiuto dato nella lotta contro il Signore Oscuro. Perché gli aveva rivelato fatti, informazioni, che avevano solo aggravato la sua posizione? Più voleva uscire da quel gioco pericoloso, più veniva trascinato dentro.

La sua mente gli impedì in quel momento di pensare a quegli attimi delicati e sconvolgenti, di tornare indietro a ricordare una sola di queste parole. Nella sua testa riecheggiavano fragorose come una minaccia a scegliere da che parte stare e chi servire, in quanto Serpeverde. 

Da un lato aveva degli artigli di un drago nero, assetati di sangue e di gloria. Almeno lì, se avesse sbagliato qualcosa, la morte sarebbe stata la soluzione istantanea.

Dall’altro lato vedeva un vecchio mago potente con una fenice in spalla. Ma dietro a Silente, gli si sarebbe prospettato il cammino più oscuro e delicato. Dove l’errore di uno avrebbe trascinato tutti gli altri nell’abisso.

Forse non si era accorto della sorpresa ma del profondo interesse che Silente aveva avuto nel pomeriggio, nei confronti di Severus. Non si era accorto che il Preside tutt’ad un tratto era stato aiutato dal destino e gli aveva portato un ragazzo fondamentale, di fronte a lui. Probabilmente, il vecchio mago era stato troppo avventato, ma anche lui, per il bene di tutti, per far trionfare il bene sul male una volta per tutte, si era sentito di dover azzardare.

Non voleva ricordare quel colloquio, quelle strane profferte criptiche, poco chiare. Come se Silente stesse mettendolo alla prova.

Stizzito, prese un calice di succo di zucca e lo bevve tutto d’un fiato. Si chiese se ci fosse un modo rapido per dimenticare tutto.

Perché io? Perché proprio io? Io ho solo quindici anni e l’unica cosa che voglio è proteggere Lily. Lei è la mia ragione per cui sto facendo tutto questo. Io non voglio servire nessuno, io non voglio mettermi da nessuna parte. Io voglio stare con lei e tenerla lontana dai guai. Voglio solo essere libero da tutto e da tutti.

Alzò lo sguardo e si guardò attorno. Quella sera non sopportava il vociare sguaiato dei suoi compagni e il chiacchiericcio frivolo e diffuso per tutta la Sala Grande. Non aveva voglia di parlare, di ricordare quelle parole, frasi che erano state in grado di 

Tutti e quattro i tavoli erano ricchissimi ed imbanditi di ogni leccornia, che molti di quei ragazzi provavano ed assaggiavano avidamente. Per il resto dell’estate avrebbero rimpianto la cucina di Hogwarts.

Vide Lily, che pareva anche lei preoccupata, o comunque con la testa altrove. Quella sera anche lei non sembrava avere molta fame.

Aveva evitato accuratamente di parlare con lei, che fortunatamente era stata travolta dalla folla di amiche e compagni di Casa che volevano salutarla e fare festa con lei. Tuttavia, lei non si mostrò particolarmente entusiasta all’idea di festeggiare. 

Si era stranamente rinchiusa in se stessa, con un desiderio sempre più opprimente di tornarsene a casa. La sua casa di Cokeworth. Voleva starsene con Sev al parco, presso quel laghetto sempre più paludoso di anno in anno; voleva studiare, leggere, divertirsi. Aspettava il momento di ripartire per l’Irlanda e ci avrebbe riportato Severus: quella era una delle sue poche certezze.

Non aveva così voglia di affrontare ancora una volta l’argomento spinoso con Severus. Si sarebbe accontentata di stare con lui e con lui solo per qualche minuto in un luogo appartato, giusto per far riposare i suoi pensieri stanchi e logorati tra le sue mani.

Ma quando lo vide, ed i loro sguardi s’incontrarono e si scontrarono l’uno con l’altro, lei non poté fare a meno di sorridergli.

Era pur sempre un modo per infondergli sicurezza, per potersi lasciare tutto alle spalle. In cuor loro sapevano che ora avevano fatto un grosso passo verso la crescita, verso il mondo degli adulti, loro malgrado.

Lasciavano il quarto anno con dubbi ed incertezze, e grossi pesi nel cuore. Anche Hogwarts, nel quinto anno che sarebbe iniziato a Settembre, sarebbe stata vista da una prospettiva diversa, con la consapevolezza che sarebbe stato un luogo da difendere con le unghie e con i denti. Era un loro obbligo morale. La casa non è sempre pronta a proteggerti incondizionatamente: talvolta, necessita anche lei di protezione, da parte dei suoi abitanti.

Che fossero stati pronti o meno, da Settembre in avanti avrebbero dovuto farlo comunque.

Lily, per farlo sorridere, si portò le punte delle dita sulle labbra e vi schioccò un bacio, che fece volare attraverso la grande sala riccamente decorata.

Sev, come sempre, fece finta di afferrarlo e di portarselo alle labbra.

Potevano togliergli tutto, anche la magia, che pensiero ardito per un orgoglioso mago come lui, ma non lei. Non l’avrebbe mai potuto sopportare. Per lei lui avrebbe rischiato la vita infinite volte, senza mai chiedere nulla in cambio.

Perché lei era la ragazza con la quale avrebbe potuto correre senza paura. Anche verso l’ignoto, anche verso i campi di battaglia di quella maledetta guerra che si profilava all’orizzonte.

* * *

Eccomi qua. Come dire, qua si chiude una prima parte importante di Irish Rain. Adesso ci saranno pochi momenti di sole, ma vi prometto che saranno comunque dei bei momenti solari da ricordare!

 

Adesso qua si inizierà a correre in salita e qualche simpaticone rinfocolerà il tormento interiore di Severus. Oh Lily, armati di santa pazienza e fai vedere di che pasta sei fatta. Ma soprattutto, che cosa gli deve aver detto Silente nel pomeriggio? Non ho voluto rivelarlo. Non ancora. Non posso rivelare ancora molto. Altrimenti, avrei rovinato un po’ l’effetto sorpresa.

 

Intanto, mentre posto, è morto Marco Simoncelli. Forse qualcuno di voi che mi conosce da un po’ sa che io seguo moltissimo F1 e MotoGp e, per quanto non l’amassi troppo in pista, è pur sempre un ragazzo di 24 anni (e io ne ho 22, questo mi fa rabbrividire) che muore inseguendo un sogno. Per cui, caro Marco, spero che l’aureola non ti s’incastri nella voluminosa chioma e che anche lassù, tu abbia qualcuno con cui correre. Sei stato comunque un personaggio, e sei un talento spezzato. Ci mancherà la tua sincerità e schiettezza. Un abbraccio al tuo papà e alla tua fidanzata Kate e a tutti i meccanici e ragazzi che hanno lavorato con te.

 

Un abbraccio,

 

Blankette_Girl

Alessandra <3

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Capitolo 19
*** Cloudbusting ***


19.

Cloudbusting


“E se sbagli?”

“Pazienza. L'errore è sempre meglio del nulla”.

Oriana Fallaci, “Niente e Così Sia”.

 

Come poteva rinascere la forza in una donna che per buona parte della sua vita aveva vissuto un’esistenza a metà? Era possibile potersi rialzare, dopo anni di umiliazioni, sia fisiche che psicologiche, subite tutte dentro quelle mura polverose di Cokeworth?

Dove si era nascosto il suo orgoglio di essere una strega purosangue, una Prince, per tutto quel tempo? Chi era la donna che tutt’un tratto non riconobbe più, di fronte allo specchio pieno di aloni, di macchie di acqua mai pulite via, di ruggine che infestava la cornice metallica?

Perché Eileen Prince si era mascherata da Babbana? Perché aveva accettato di mettere da parte la sua natura di strega, di brillante capitano della squadra di Gobbiglie ad Hogwarts? 

Si era chiesta, dopo aver pronunciato dopo tanto tempo quell’Expelliarmus verso suo figlio, perché si fosse fatta violenza su se stessa in quella maniera. In parte la risposta era riposta nel sangue del suo sangue, Severus, che aveva cercato dapprima di crescere in maniera perlomeno decente, per poi lasciarlo da parte, abbandonarlo, nella stessa maniera in cui si abbandona un cappotto od una sciarpa su una sedia e si lascia che quell’indumento prenda polvere. Non si ha più la forza di prendersene cura, lo si guarda come si osserva un soprammobile di poco valore.

Tutto questo aveva avuto un caro prezzo da pagare. Aveva perso se stessa, prima di tutto, poi il figlio Severus, che aveva un orgoglio così marcato nel sentirsi un mago a tutti gli effetti. Da ultimo, ma non meno importante, proprio come un acquerello che sbiadisce impietosamente, aveva perso il mondo magico. Il suo mondo d’appartenenza.

Come mai aveva permesso che tutto ciò potesse accadere? L’aver preferito una vita grama ed infima, dopo quel Natale triste e sconvolgente, l’era parso improvvisamente una follia. Non le bastava più.

Le donne potevano essere creature molto strane, delle volte. Maghe, Babbane, nessuna sfuggiva a quella parte di stranezza e d’incomprensibilità, insita in un luogo dell’anima molto remoto, che le spingeva a prendere strade e percorsi impensabili. Probabilmente sbagliati, con il consueto senno di poi.

Qualcosa, in quell’Expelliarmus, aveva riacceso una scintilla che pareva sepolta tra le ceneri oramai fredde di quel fuoco che un tempo bruciava dentro Eileen. Timidamente, aveva sentito il calore diffondersi nelle sue membra magre, ma piuttosto rammollite con il passare del tempo. Ed un mucchio di domande aveva cominciato ad affastellarsi in maniera frenetica nella sua mente.

Al dubbio più importante, ovvero perché si fosse ridotta in quello stato così miserabile, non riuscì a rispondere: che fosse stato un risultato della sua infausta scelta d’unirsi ad un Babbano? 

Il destino era stato crudele con lei - così aveva pensato Eileen Prince in principio, ma poteva essere stata una possibile conseguenza di una sua scelta sbagliata.

Ora doveva trovare il modo di recuperare il tempo perduto, di ritrovare i cocci sparsi di se stessa: lei, che si era sentita sempre forte e così tutta d’un pezzo, si era semplicemente sbriciolata di fronte ad un uomo che non l’avrebbe mai potuta intimorire, in altri tempi.

Con l’arrivo dell’anno nuovo, una volta rimandato Severus ad Hogwarts, in maniera del tutto rapsodica provò a ridarsi un contegno, un’identità forte, invano. Si sentiva sfinita, senza forze e commise il grosso errore di dare troppo nell’occhio, insospettendo così Tobias Piton, che prese a non darle pace, nella solita maniera che i codardi usano: con le minacce di percosse, urla e strepiti che oramai avevano il sapore di pessimo assenzio. Non aveva mai smesso di bere una sola goccia d’alcol, quell’uomo spregevole. Dal whisky di infima qualità, si era passati al gin, e solo Merlino sapeva cos’altro si potesse essere tracannato quell’uomo, fino ad arrivare alla bevanda più pericolosa: l’assenzio.

Quante volte, presa dallo scoramento, nella consapevolezza di aver fallito per l’ennesima volta e di non aver fatto alcun passo in avanti, si era buttata sul divano, senza la minima grazia o femminilità. Le lacrime avevano ripreso a scorrere quiete, l’una dopo l’altra in una lenta processione lungo le guance pallide e smunte. Piangeva in silenzio per non farsi sentire.

Forse era davvero troppo tardi ed aveva esaurito le proprie possibilità di rifarsi, di poter tornare se stessa e cacciare da quella casa di Spinner’s End tutti i brutti ricordi. Che l’unica soluzione fosse abbandonarsi nuovamente a quel divano sfatto, nella stessa maniera in cui un sacco pieno di cianfrusaglie viene abbandonato a bordo strada? Quello squallido quartiere, quel marito infame e sudicio l’avevano irrimediabilmente trasformata. Tanto valeva lasciarsi morire, non interessarsi più di nulla se non della propria fine, che arrivava a chiamare di continuo, lentamente, con mormorii lugubri. Intonava una litania verso la morte.

Ed era nelle ore più calde, quando la primavera era entrata nel vivo, pronta a lasciare il proprio posto all’estate, che ad Eileen pareva quasi di vedere la signora con la falce. Arrivava, la vedeva, fusa nell’orizzonte che pareva sciogliere le mura delle case più robuste e sembrava liquefare l’asfalto ed un odore di pece e catrame si cospargeva per il triste quartiere. Le chiome degli alberi erano immobili, non osavano fremere. 

Aveva sempre più caldo la donna: che fosse quello morire? In una vampata di calore soffocante? E nel momento di massima tensione, ebbe paura, il sudore le inumidì la fronte. Si chiese perché lei?

Era una donna a metà, voleva solo tornare ad essere quello che era sempre stata. Era stata costretta a reprimere la sua identità, dopo che i dolci fumi dell’amore si erano dissolti nell’aria di Gennaio di quindici anni prima, quando era nato Severus.

La paura di svanire per sempre è insita nel codice genetico di ogni uomo, ogni singola cellula del corpo teme di spegnersi per sempre. Neanche la magia poteva porre rimedio alla destinazione ultima dell’uomo.

Ma la morte passò oltre, fluttuando oltre il divano, concedendole di respirare nuovamente, allentando il fiato caldo che sentiva addosso. Non la vedeva, ma la sentiva. Non era lei che doveva morire. Malgrado tutto, probabilmente le sarebbe stata concessa una possibilità di rialzarsi e di rifarsi. 

Si mise a sedere sorpresa, guardando oltre la cucina, verso le scale polverose e scricchiolanti. Non emetteva alcun rumore quella dama invincibile, eppure percepiva ogni sua vibrazione metallica nell’aria, una lieve perturbazione nella quiete opprimente. Una sensazione vaga e disturbante. Non aveva senso seguirla: che mossa stupida sarebbe stata gettarsi tra le sue braccia invisibili.

Eppure era magnetica, si sentiva inevitabilmente attratta dalle sue spire, dal suo stritolare gli individui senza pietà.

In un attimo, il sole tornò a splendere con la stessa vivacità di sempre, un alito di vento mosse le foglie e il battito d’ali degli uccelli, adagiati sui rami nodosi degli alberi, riempì nuovamente il cielo.

Uno schianto secco di bottiglia in frantumi, il rumore di un peso morto che cade a terra al piano di sopra riscosse Eileen, che prontamente saltò giù dal divano e corse verso la loro stanza, con un vago senso di stupore. Quel tonfo secco aveva riacceso qualcosa in lei, le aveva ridonato un’inaspettata energia.

Tobias. 

Non sapeva se l’avesse gridato, appena sussurrato o semplicemente pensato. Ma non era lei la vittima della signora con la falce.

 

Tobias Piton non era morto, ma il suo fegato stava iniziando a dare gravi segni di cedimento.

Eileen terrorizzata l’aveva dovuto far trasportare in ospedale, in una struttura babbana nella quale si trovava profondamente a disagio.

I medici le avevano parlato, più di uno, chi con termini complicati ed oscuri, chi cercava di spiegarle con gentilezza quello che stava succedendo al marito. Non sapeva cosa pensare di fronte a tutte quelle macchine che fischiavano, ronzavano, attorno a lui. Sembrava vagamente giallastro in volto e pareva molto sofferente.

Le avevano detto che l’alcool stava iniziando a distruggere anche la sua psiche, che in futuro avrebbe potuto avere disturbi della personalità, a causa di questo suo consumo smodato di alcolici. 

Qualcosa scattò nell’animo di Eileen. L’istinto le suggerì di proteggersi e di proteggere suo figlio, una volta per tutte. Le suggerì di non permettere più che certi comportamenti venissero perpetrati in quella casa sgangherata. Che cosa avrebbe pensato Severus di ritorno da Hogwarts, nel vedere un padre fuori di senno e perennemente attaccato alla bottiglia ed una madre totalmente impotente di fronte a questo?

Non lo poteva più permettere, ne andava della sua dignità.

Una donna può sopportare le peggiori angherie, può subire violenze di tutti i tipi, ma arriva sempre un momento dove la misura è colma e la propria capacità di sopportazione viene meno.

Da agnelli si diventa leonesse, da acqua stagnante e paludosa si ritrova la forza di essere nuovamente delle onde anomale.

Eileen Prince stringeva nervosamente la tracolla della borsetta in pelle consunta che si era portata dietro. Guardava quell’uomo sdraiato in tutta la sua fragilità, il viso contorto in una smorfia di pura sofferenza. Non sarebbe tornato a casa subito, non si sarebbe rialzato presto da quel letto. E lei si sentiva stranamente sollevata di fronte a quella notizia.

Era libera, anche solo per qualche giorno? Libera, come non lo era più stata per tanto tempo.

Sentì il bisogno di correre lontano da quel luogo, di tornare a casa e rifarla sua, in qualche modo. Poteva anche essere troppo tardi per recuperare un rapporto vero con il proprio figlio, non sarebbe stata sempre felice e spensierata e quella casa non aveva la possibilità di divenire un luogo davvero lieto. Poteva perlomeno provarci, evitando di gettare al vento quella possibilità. Non era detto nemmeno che Severus si sarebbe riavvicinato a lei. Da qualche parte doveva pur cominciare a tendergli nuovamente la mano.

Camminò spedita per i corridoi del nosocomio, ignorando le barelle, l’odore acre e penetrante dei medicinali, dei disinfettanti. Ignorò persino le occhiatacce dei degenti e dei loro parenti, che la vedevano passare veloce accanto a loro. Camminò senza guardare in faccia nessuno. Non era il suo posto quello, non ne poteva più di stare in mezzo ai Babbani. Lei era una maga.

 

Con grande coraggio Eileen aveva aperto ogni singolo armadietto e cassetto di quella casa trascurata a Spinner’s End. Aveva cercato nervosamente bottiglie, piccoli contenitori che potessero contenere anche solo una goccia d’alcol. Frugò sotto i divani, sotto il letto della loro camera. Aveva estratto nuovamente la bacchetta magica da un cassetto del comodino. Non l’aveva mai più tirata fuori da quel Natale, doveva aveva impedito al proprio figlio di torturare suo padre. Quando l’aveva ripresa in mano ed aveva pronunciato qualche incantesimo per aiutarsi in casa, si sentì rinvigorita, per qualche attimo si ritrovò a sorridere compiaciuta di quel coraggio. 

Le bottiglie che trovò, piene o vuote che fossero, finirono in qualche sacco, frantumandosi. Il rumore di quel vetro che esplodeva, si sfaldava in maniera assordante, era bello alle orecchie di Eileen Prince. Qualcosa si disgregava in Tobias, qualcosa in lei tornava a riprendere una forma coerente. La grande ruota del destino girava e l’aveva risparmiata, a quel giro. Ora doveva guadagnarsi un nuovo giro sulla giostra della vita.

La casa necessitava di un’enorme pulita e non era affatto sicura che ce l’avrebbe fatta entro un paio di giorni. Voleva renderla presentabile ed accogliente per suo figlio. Ci avrebbe provato con tutte le sue forze.

Solo nel momento in cui entrò in camera sua, il peso della solitudine di Severus le piombò addosso. Comprese l’entità del danno che aveva combinato in quei lunghi anni bui. Sapeva che quell’insieme di scelta sbagliate avrebbero avuto conseguenze incancellabili. 

Il suo cuore di madre era affranto. Aveva spinto il suo ragazzo nell’oscurità, costringendolo a trovare conforto in qualcun altro, in qualcosa d’altro che non fosse la sua famiglia.

Si aggirò per gli scaffali colmi di libri di magia e sorrise orgogliosa: almeno, da quel che sapeva, era un mago eccezionale, fuori dal comune. Era fiera di avergli potuto trasmettere l’amore per la magia. Severus aveva accolto quel dono come un’occasione per dimostrare il suo valore e l’aveva coltivato con passione ed estrema dedizione.

Non gli aveva mai detto quanto fosse orgogliosa di lui.

Che fosse un Serpeverde, proseguendo nella tradizione della famiglia Prince.

Non gli aveva mai espresso la soddisfazione che provava nel vedere i voti straordinari che prendeva ad Hogwarts. 

Non gli aveva mai sfiorato i capelli neri come la notte, esattamente come i suoi, e l’aveva osservato fare i compiti di Trasfigurazione, di Storia della Magia, chiedendogli se potesse essergli utile.

Non lo aveva mai abbracciato, non si era mai interessata a lui nella maniera in cui una madre avrebbe dovuto interessarsi.

Ebbe paura, mentre si sedette sul letto di Severus, che non sarebbe mai più stata in grado di ricucire il rapporto con il proprio figlio. Non sarebbe mai divenuto un legame profondo, temeva.

Un raggio di sole timido e di un rosso forte tinse i muri della stanza. Il sole tramontava sempre più tardi, ma quel rosso carico impressionò Eileen. Doveva farsi coraggio ed utilizzare tutte le sue energie per allontanare quel mostro di Tobias da quelle quattro mura e riavvicinare Severus. 

Quel rosso le diede la forza di fare quello che le madri fanno, quando i figli sono assenti: ovvero curiosare un po’ per la stanza del figlio, sbirciando nei cassetti, guardando se avesse qualche piccolo innocente segreto da custodire.

Se solo avesse saputo l’entità dei segreti che Severus stava tenendo dentro di sé. Se solo avesse potuto sbirciare nel suo cuore per un istante solo, avrebbe capito che qualcosa di lui le sarebbe sempre stato inafferrabile, immerso nell’oscurità.

Nel frattempo, guardando tra pergamene e piume oramai con l’inchiostro secco e raggrumato sulle punte, trovò una foto magica.

Vedeva suo figlio abbracciare in maniera goffa e timida una ragazza, con la divisa dei colori di Grifondoro, e reggeva un libro tra le mani. La ragazza, dai capelli mossi e di un rosso forte e deciso, rideva sorpresa da quel gesto da parte di Severus.

Le si scaldò il cuore.

Non era da solo, allora.

Quella ragazza le sembrava familiare, decisamente il viso non era nuovo. 

Si chiese se quella giovane fosse la figlia di quella bizzarra ex-attrice di teatro, una donna bellissima, di nome Norah, e quel distinto professore di storia medievale, Charles Evans, che abitavano poco distanti. In effetti quella ragazza nella foto ricordava in qualche maniera quella donna affascinante ed elegante.

Era stata così isolata negli ultimi anni, tanto da non riuscire a vedere nemmeno che il proprio figlio stesse sviluppando le sue prime simpatie per le ragazze.

Girò la foto e guardò cosa ci potesse essere scritto dietro. In effetti, quella ragazza aveva lasciato un piccola scritta, semplice ed ordinata. 

 

Così non ti dimenticherai di me, quando saremo un po’ lontani.

 

Tua Lily.

 

Lily Evans, dunque. Ed era una Grifondoro. E sicuramente era una Nata Babbana, dati i genitori. Non che avesse nulla in contrario, alla fine aveva rivelato la natura di maga e studiava ad Hogwarts. 

Ripose con delicatezza la foto nel cassetto e lo richiuse. 

Un sorriso dolce e materno le comparì sul volto.

Forse era il caso di andarlo a riprendere al binario 9 e 3/4, come non faceva più da qualche anno.

Avrebbe potuto ricordare gli anni in cui era lei la ragazza ad essere accompagnata al binario il 1 Settembre, per prendere il treno verso Hogwarts. Poteva rituffarsi nella bolgia di quel binario che solamente i maghi conoscevano, respirare la vitalità dell’intera King’s Cross, essere avvolta dal gentile vapore della locomotiva dell’Hogwarts Express. Poteva tornare a camminare con fatica tra la folla gioiosa di maghi e maghe che attendevano i propri figli di ritorno dalla prestigiosa scuola di magia. Avrebbe magari incontrato nuovamente dei compagni di scuola.

Provava un certo entusiasmo, si sentiva senza dubbio meglio. Era più padrona della sua vita, aveva controllo su ogni gesto. Poteva anche uscire da quelle quattro mura e vedere la triste Cokeworth con occhi diversi e forse si sarebbe resa conto che quel paese poteva avere qualche angolo gradevole.

Regnava il silenzio in quella casa, ma era una quiete non più causata dal terrore di far rumore e scatenare l’ira di Tobias Piton. Era la pace che permetteva nuovamente ad Eileen Prince di sentire il battito del suo cuore ed il canto della sua anima assopitasi per tanti, troppi anni.

 

Lily e Sev erano oramai a bordo dell’Hogwarts Express e si erano cambiati con i loro abiti di tutti i giorni.

Il Serpeverde vedeva ora la propria ragazza seduta presso il finestrino dello scompartimento, nel suo vestito estivo a fiori che tanto le piaceva. Lily guardava fuori con aria assorta il paesaggio che scorreva via non troppo velocemente e si lasciava cullare dal lento oscillare del vagone. Era certo che si sarebbe addormentata entro breve, con la testa che avrebbe fatto fatica a sorreggersi sul palmo della mano.

I suoi occhi verdi magnetici sarebbero stati velati da quelle palpebre chiare. Severus si chiese che cosa avrebbe mai potuto vedere, nel mondo dei sogni. Lui non sognava da tantissimo tempo e se aveva qualche sogno, al risveglio era difficile che se lo ricordasse.

La guardava, intanto che scivolava nel sonno con la solita facilità disarmante. La sua testolina piena di capelli mossi e ribelli ciondolava seguendo il dondolio del treno. A volte riapriva gli occhi di scatto, si sistemava, sprofondando nuovamente nel torpore.

Severus si spostò, rimettendo il proprio libro nella piccola borsa in suo possesso. Era seduto di fronte a lei, ma volle sedersi accanto alla ragazza. Così, se Lily avesse voluto, avrebbe potuto appoggiare il capo sulla spalla di lui ed avrebbe potuto riposare meglio.

Dopo qualche minuto sentì la testa di Lily appoggiarsi su di lui con delicatezza. Severus sorrise appena, soddisfatto. Si sentiva bene quando poteva proteggerla così.

Oltre la vetrata del compartimento, vide passare Sirius Black e Severus per un attimo s’irrigidì, temendo che volesse venire ad importunarlo con gli altri Malandrini. Invece il ragazzo proseguì per la sua strada e lo seguì una ragazza che Severus riconobbe all’istante. Era Marlene McKinnon, che sorrideva estasiata mentre seguiva Black. La bionda ragazza reggeva tra le mani una bellissima rosa rossa. Lily gli aveva accennato del loro legame appena nato. Non che stravedesse per Sirius Black, tutt’altro, ma tra sé e sé sperò che questo potesse dargli una seria regolata.

Il ragazzo si limitò poi a guardare il paesaggio che sfuggiva via dal finestrino. Il territorio circostante si faceva sempre meno aspro e ribelle, la Scozia se l’erano lasciata definitivamente alle spalle. Si tornava al verde, le enormi distese di campi infondevano serenità, ma tutto sembrava più controllato dalla mano dell’uomo.

Severus non amava i luoghi troppo controllati. Era un ragazzo molto disciplinato ed amava l’ordine e la calma nello studio e nella pratica della magia, ma amava la forza dirompente della natura e la sua fierezza. La natura era meravigliosa nella sua indipendenza dalla mano distruttrice dell’uomo. Si ricordava dell’Irlanda, della Scozia stessa. Si sentiva perfettamente a suo agio in tanta maestosità. 

Sentì Lily agitarsi lievemente e sollevò la testa, sospirando.

Anche appena sveglia, i suoi occhi avevano una brillantezza incredibile. Si guardò attorno e poi si voltò verso Sev con un sorriso pigro ed assonnato. 

Il Serpeverde sentì il cuore battergli forte, di fronte a quello sguardo così innocente. Non era cambiato nulla da quasi un anno prima, quando si era messo assieme a Lily a Galway, ma anche da quando si era accorto di amarla, parecchio tempo prima.

“Tutto bene, Lily?” chiese Sev, passandole una mano tra i capelli.

Lily per tutta risposta sbadigliò ed annuì. Si sgranchì le gambe e le braccia, per poi rimpiombare nuovamente nel morbido sedile e prese per mano il ragazzo.

“Ho fatto un sogno, Sev” disse pensierosa.

Il ragazzo era tutt’orecchie. 

“Raccontamelo”.

L’espressione di Lily si fece preoccupata.

“Non me lo ricordo!” si giustificò lei, con un sorrisetto dei suoi soliti.

“Lily, smettila con quel giochetto. Sì che ti ricordi che cos’hai sognato” sbuffò Sev, giocoso.

La ragazza sdegnosa tese la mano ben aperta.

“Te lo racconto solo se mi regali un’Ape Frizzola”.

Si guardarono negli occhi per qualche attimo e scoppiarono a ridere fragorosamente.

La Grifondoro a volte si divertiva a pungolare il proprio ragazzo e diventava infantile, ma era solo per cercare qualche attenzione in più. Chi era Sev per negargliele? 

Gli piaceva prendersi cura di lei, esattamente come si fa con un fiore. Con amore sincero, senza zuccherosa sollecitudine, senza asfissiarla. Dopotutto, un fiore ha il suo orgoglio nel reggersi con il suo esile e forte gambo. 

Non aveva bisogno di cambiare per lei, non aveva bisogno di trasformarsi in una persona perfetta ed ideale, perché era accettato nella sua imperfezione di quindicenne. E lui, dal canto suo, non sentiva di volere una ragazza che non fosse Lily. Non voleva una smorfiosa Serpeverde purosangue, falsa ed artefatta nel modo di atteggiarsi. D’altronde, non era affatto sicuro che un nobile padre di famiglia avrebbe mai considerato Severus come un buon partito per la propria delicata bambina, abituata ad avere tutto nella vita. Non aveva né soldi da parte, né lussuosi manieri ereditati da nonni facoltosi.

Fortunatamente, Lily si accontentava di lui e questo gli bastava per sentirsi in pace, ogni volta che stava in compagnia di lei.

Severus prese il sacchetto di Api Frizzole e lo tese verso Lily, che fece per infilarvi la mano, ma il ragazzo allontanò prontamente il contenitore dalla sua presa.

“OHI!” esclamò Lily tuffandosi addosso a Sev “DAMMELE!”.

Sev nascose le caramelle dietro la schiena e scosse la testa deciso.

“Cattivo” piagnucolò Lily con poca convinzione, trattenendo a stento le risa.

“Sono un Serpeverde, ricordatelo, signorina” fece altezzoso Severus, tenendosi ben stretti i dolcetti.

Lily si allungò verso di lui e lo baciò a sorpresa, muovendo lentamente e gentilmente le sue labbra contro le sue.

Lei sapeva benissimo come farlo capitolare ed era una furbetta quando faceva così. E quel comportamento gli provocava qualche piacevole brivido lungo il proprio corpo.

Lei, dal canto suo, amava stupirlo così. E le piaceva baciarlo quando poteva, senza troppe domande od esitazioni. 

Si staccò dalle sue labbra e lo guardò con occhi raggianti.

Sev brontolò, bofonchiando qualcosa d’incomprensibile e le tese le caramelle.

Lily soddisfatta ne prese un paio ed iniziò a mordicchiarne una distrattamente, sentendo l’acidità degli agrumi, la dolcezza dello zucchero a granelli e il piacevole effetto effervescente che aveva inizio non appena la caramella veniva morsa.

“L’hai sempre vinta, Lily” disse Sev, incrociando le braccia sul petto.

“Sono una Grifondoro, ricordatelo, tesoro” gli rispose con orgoglio Lily.

 

Il treno arrivò al binario 9 e 3/4 con la consueta puntualità. Sulla banchina della stazione di King’s Cross una folla di genitori attendeva il ritorno dei propri figli, alcuni con la tranquillità di chi oramai ci ha fatto l’abitudine ad attendere il proprio pargolo di ritorno da Hogwarts, altri invece profondamente emozionati.

Il treno si fermò, con la locomotiva che buttava fuori vapore caldo dal comignolo. I vagoni smisero di dondolare con dolcezza e si fermarono. Nel treno si scatenò il trambusto più totale: c’era come sempre chi voleva saltare giù dal treno e correre dai propri genitori, non prima di aver recuperato tutti i suoi possedimenti, lanciando via nella foga quelli altrui. I malcapitati si ritrovavano sparsi per il compartimento borse, mantelli, cibo sgranocchiato distrattamente lungo il viaggio. C’erano invece gli studenti più grandi, che, oramai avvezzi a quella frenesia, attendevano pazientemente il proprio turno per poter recuperare i propri bagagli e scendere dal treno in tutta calma e serenità, senza dover spintonare gli altri e senza dover provare l’impellente desiderio di voler schiantare qualche ragazzetto esagitato.

Severus e Lily attesero il loro momento, radunando le proprie cose con calma. Emmeline, Mary e Marlene passarono a salutare Lily e tutte e quattro si abbracciarono forte, con la promessa di scriversi qualche lettera durante l’estate.

“Marlene, non disegnare troppi cuori nelle pergamene, ti prego, potrei sentirmi male!” la canzonò Mary, che provava la sua solita avversità nei confronti di qualsiasi coppia appena nata attorno a sé. La McKinnon arrossì, stringendo tra le mani la rosa che Sirius le aveva regalato. Non voleva tornare nella sua famiglia troppo rigida e alle noiose vacanze in Normandia. Black la faceva sentire libera e se stessa. Si sarebbe annoiata terribilmente quell’estate.

Mary si avvicinò a Sev e grintosamente gli tese la mano. Lui la guardò un po’ perplesso.

“Severus, non ti ho ringraziato a sufficienza per ... Beh, per quella cosa” disse, finendo la frase a voce più bassa.

L’attacco che aveva subìto da Mulciber ed Avery quel pomeriggio.

Sev le strinse la mano con vigore non appena capì a cosa alludesse la ragazza, non doveva di certo ringraziarlo ancora.

“C-ci mancherebbe, Mary. Dovere” farfugliò. 

“Allora buona estate! Divertiti con Lily!” esclamò la ragazza vivacemente ed uscì dal compartimento, infilandosi in mezzo al nugolo di ragazzi che spintonavano per scendere.

La situazione si calmò abbastanza in fretta e Severus e Lily poterono scendere e recuperare i propri bauli e sistemarli su un carrello portabagagli. Come ogni anno, da quando la madre di Severus aveva smesso di accompagnarlo e di venirlo a riprendere al binario, i due ragazzi avrebbero attraversato la colonna in mattoni, per ritrovarsi tra i binari 9 e 10, ad uso dei Babbani. Là, Norah e Charles Evans li avrebbero accolti e riportati a Cokeworth in una grossa Volvo 265 station wagon.

Si stavano dirigendo verso l’uscita, quando Severus parve irrigidirsi tutt’ad un tratto, come se fosse stato pietrificato di colpo. Guardava diritto davanti a sé con uno sguardo che Lily interpretò come se avesse visto un fantasma.

Merlino, che idiozia, i fantasmi li vediamo tutti i giorni ad Hogwarts pensò la Grifondoro.

Lily prese per una spalla Sev, per cercare di voltarlo verso di lei, ma si era irrigidito, era un fascio di nervi. Sentiva il suo respiro farsi agitato e tentava di dire qualcosa, ma la voce non usciva.

“ ... Ma” fu tutto quello che Lily riuscì a comprendere. 

La ragazza guardò davanti a sé e le parve incredibile quello che vide.

Eileen Prince stava arrivando timidamente verso di lui, verso di loro.

Si era resa presentabile, raccogliendo i lunghi capelli neri in una lunga treccia fine ed indossava un vestito estivo grigio chiaro, o meglio, sembrava un azzurro stinto. Reggeva in mano la sua solita borsetta nera consumata, ma aveva il viso più sereno e rilassato, anche se invecchiato troppo precocemente.

Lily poteva notare come si assomigliassero particolarmente. Il viso magro e il naso grande li accomunava, così come gli occhi neri. Quelli della madre di Sev tradivano una certa emozione, quelli del ragazzo erano colmi di stupore.

Vedeva suo figlio cresciuto, come se non lo vedesse da tanto tempo: si era fermato tutto dalla prima ed ultima volta che l’aveva accompagnato al binario, al primo anno di Hogwarts.

Ed in quel momento era emozionata come non mai, per lei era passato troppo tempo. Quel bambino che allora aveva undici anni, stava diventando un ragazzo di quindici anni, con dei lineamenti che si stavano facendo più maturi, pur rimanendo un adolescente.

Severus rimaneva impalato ed aggrappato al carrello. Non sapeva cosa fare, troppi eventi l’avevano fatto soffrire, si era sentito escluso da quel Natale, era stato trascurato troppo a lungo ... Ma rimaneva sua madre, Merlino.

Da qualche parte il suo cuore riconosceva ancora quel legame, aveva ancora un senso.

E fu quella parte del suo cuore a farlo camminare, a farlo allontanare lentamente da quel carrello, aiutato da uno spintone deciso di Lily.

“Severus ...” mormorò felice Eileen, tendendogli una mano.

Sev avanzava timoroso. Non sapeva come comportarsi e nemmeno Eileen, a dire il vero. Abbracciarsi gli sembrava troppo strano, c’era ancora molta distanza da recuperare per poter arrivare ad un abbraccio credibile.

Quando gli fu abbastanza vicino, Eileen posò la mano sulla sua spalla, stringendola affettuosamente.

Gli occhi neri della donna brillavano, inumiditi.

“Bentornato, Severus” disse con voce gentile.

Lily nel frattempo cercò di avvicinarsi con discrezione. Non aveva mai visto la madre di Sev. Lui le aveva parlato più di una volta della sua famiglia, dei suoi problemi, ma non aveva mai visto di persona i suoi genitori.

Le sembrava tutto così surreale, pareva spuntata dal nulla, di punto in bianco. Come se non fosse mai esistita prima.

Anche Sev sembrava disorientato, come se si fosse dimenticato come si comportasse un figlio nei confronti della propria madre.

Sentiva un tumulto così forte, solo Lily riusciva a sconvolgerlo in maniera così potente. Avvertiva quella mano calda sulla sua spalla sciogliere il ghiaccio che gli pesava nel cuore. Non l’avrebbe mai sciolto del tutto, ma in quell’istante tutta quell’acqua gli si stava per riversare negli occhi.

Non voglio piangere, non ora. Doveva apparire forte.

Si sentiva orgoglioso di quello che era diventato, senza l’aiuto dei genitori, troppo impegnati a farsi la guerra tra di loro. 

Sentiva rabbia, sentiva persino sollievo e gioia. Qualcosa si stava smuovendo nel cielo grigio che aveva gravato sulla sua famiglia per troppo tempo.

Qualcosa di buono poteva accadere, qualche nube poteva andarsene ed Eileen giurò a se stessa che avrebbe fatto qualsiasi cosa per dare finalmente un po’ di sole a Severus. Senza Tobias tra i piedi. Non sapeva quanto sarebbe durata la malattia del marito, non sapeva se sarebbe mai più tornato a casa, ma stava respirando la libertà e voleva usarla per suo figlio. 

Tobias qualche mese prima voleva sbarazzarsi di loro, in maniera assolutamente crudele. Ora le scelte, gli sbagli, l’eterna danza della vita e della morte stavano portando Tobias ad eliminarsi da quell’enorme gioco che era la vita. Per quanto fosse crudele delle volte quel gioco, esso concedeva qualche sprazzo di luce.

Si veniva trascinati nel vento, come piccole piume, si poteva essere travolti dalle nubi temporalesche, ma c’era chi era in grado di perseverare nella ricerca incessante di una via d’uscita, fino a trovarla.

Qualcosa aveva perseverato in Eileen in tutti quegli anni: l’amore mai sopito per Severus le aveva mostrato la via d’uscita, per scappare lontano da quell’inferno ch’era stata la sua unione con Tobias Piton.

 

“Ciao, mamma” disse il ragazzo, accennando un sorriso. Le toccò la mano appoggiata alla propria spalla, incerto.

Il sorriso di sua madre si fece ancora più ampio e lei guardò oltre le spalle di Sev. Vide Lily, che si avvicinava lenta e timorosa.

Eileen constatò che stava diventando davvero bella, ma non la solita bella ragazza generica. Aveva un fascino tutto suo, fatto di lineamenti combinati in maniera unica tra loro. Gli occhi verdi erano vivi e penetranti più che mai ed il rosso della foto magica non rendeva abbastanza giustizia alla chioma della ragazza. Indossava pure un grazioso abito a fiori ed un lungo cardigan in tessuto leggero.

Aveva un’aria molto intelligente e sembrava una ragazza decisa. E tremendamente curiosa.

Eileen provò un senso di gratitudine nei confronti di quella giovane, che si era presa cura di Severus, nella sua maniera personale. Non l’aveva lasciato solo e gli aveva dato amore e conforto.

Lentamente, il binario si stava spopolando. Il vociare delle persone lì presenti si faceva sempre più tenue, c’era sempre meno calca.

La donna guardò Lily, che, sentendosi osservata, avanzò più decisa verso di lei e verso Severus.

“Severus, lei è Lily Evans, non è vero?” gli chiese con un sorriso.

Il ragazzo si voltò verso la Grifondoro e poi si voltò arrossendo verso la madre, senza dire niente di sensato. Era stato preso nel vivo e non si aspettava Lily così vicina. La ragazza comunque arrivò accanto a Severus e salutò rispettosa la madre di lui.

“Lily, finalmente ti conosco!” esclamò raggiante Eileen Prince, prendendo per mano la ragazza.

La ragazza arrossì, stupita dal fatto che la signora sapesse il suo nome. “E’ un piacere, s-signora Pit .. Prince”. Si ricordò per un pelo di chiamarla Prince e non Piton.

Severus non sapeva proprio cosa dire, come interagire. Il corso degli eventi, che Sev aveva attentamente programmato e previsto, era stato totalmente stravolto. Si aspettava il solito ritorno a Spinner’s End, in solitudine, e sapeva che avrebbe odiato ogni singolo istante in quella casa, bramando di poter correre verso Lily, verso il loro parco ed il loro laghetto.

Invece, ignorava la sorte di suo padre e ignorava il motivo per cui sua madre si trovasse lì. Era tutto sommato serena e presentabile, evento più unico che raro, negli ultimi anni. E non aveva la più pallida idea di cosa si sarebbe potuto trovare a casa. Dubitava di trovarsi un padre illuminato e redento. Per un attimo pensò che forse suo padre fosse fuggito da quella casa. Sperava di essersi per sempre sbarazzato di lui.

In quel silenzio imbarazzato, Sev si riavvicinò al carrello con i bauli e guardò Lily.

“Lily, i tuoi genitori ti stanno aspettando fuori di qui, forse è meglio che ti accompagni da loro” disse impacciato Sev, spingendo, con un certo nervosismo, il carrello avanti ed indietro. Stava tentando di darsi disperatamente una calmata.

La ragazza annuì.

“Lasciate che vi accompagni. Spero non ti dispiaccia se saluto i tuoi genitori, Lily” fece Eileen. I tre presero a camminare lentamente, Severus era in testa a quel gruppetto.

“Oh, no affatto, signora!” sorrise Lily. Si sentiva a suo agio di fronte a quella donna. Aveva sempre temuto che la madre di Sev fosse un’arpia tanto quanto il padre, invece sembrava una persona gentile ed affettuosa. Quel silenzio tra madre e figlio la metteva a disagio, ma era dovuto al fatto che Eileen e Severus non erano più abituati ad un certo tipo di rapporto.

Il cigolare del carrello si fece più insistente, piegato dal peso dei due grossi contenitori. In mezzo a quel cigolio fastidioso e stridulo, Eileen esclamò qualcosa che spiazzò totalmente Severus.

“Cara Lily, vorrei una di queste sere poterti avere ospite a cena. Giusto per conoscerci meglio”.

La ragazza rispose con una frase di circostanza, senza accettare, né rifiutare quell’invito gentile.

Sev si voltò di scatto.

“Un momento! E pa ... Tobias?” chiese secco, probabilmente in maniera molto più aspra di quanto intendesse, perché gli venne da mordersi la lingua, nel vedere come l’espressione di sua madre si fece seria. Lily si accorse che Severus non chiamava Tobias “padre” o “papà”. E si chiese anche lei che fine avesse fatto l’uomo.

Eileen si avvicinò e posando una mano sulla schiena del ragazzo, lo invitò a proseguire verso l’uscita. 

Prima di attraversare la colonna, la donna liquidò tutto con un sorrisetto un po’ forzato: “Ne parliamo a casa. Vai caro, attraversa la colonna, su!”. E lo spinse con vigore verso la colonna in mattoni.

 

 

* * *

Ho pensato tanto ad Eileen Prince ed alla sua storia sfortunata.

Ma ho anche pensato che prima o poi il karma, il destino, la vita, quello che volete, si prende una piccola o grande rivincita e presenta il conto a chi deve presentarlo. 

E la forza di una donna sta anche nel riuscire a risollevarsi appena ne ha l’opportunità.

Poi oh, Severus da uno dei due il carattere deve averlo preso, e di certo non l’ha preso da Tobias. *me s’immagina Sev attaccato alla bottiglia, irascibile e alterato* ... No, grazie.

Non vuol dire che il loro legame diventi felice, mi basta anche solo riavvicinarli un po’ e farli tornare in maniera più pura e semplice madre e figlio. E poi Eileen dovrà pur vedere Lily, la ragazza che ha tenuto in sesto ed assieme il figliolo. 

 

Scusate questi vaneggiamenti <3 Ma per me Eileen ha una certa importanza.

Tra poco arriverà una parte che aspettavo da tanto di poter scrivere <3

 

Un abbraccio e aspetto le vostre recensioni e le vostre idee :D

La mia pagina autrice su Facebook è qua.

 

Blankette_Girl

Alessandra <3

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Capitolo 20
*** Sacrament Of Wilderness ***


20.

Sacrament Of Wilderness


 

“Wilderness is not a luxury, but a necessity of the human spirit”

Edward Abbey

 

La Luna splendeva sulla scrivania di Lily, irradiando luce argentea su ogni oggetto esposto. Illuminava la pelle già molto chiara della ragazza, che aveva deciso di lasciare totalmente spalancata la finestra, per godersi quel satellite splendente, così tondo e pieno, alto nel cielo blu di Cokeworth.

A volte persino quel paesino squallido e spoglio possedeva un cielo pulito e terso e la ragazza, complice il fatto che faticasse a dormire nelle notti d’estate, non voleva perdersi quello spettacolo. Oltretutto, quelle notti insonni divenivano un’ottima occasione per mettere a frutto gli insegnamenti di Astronomia, una delle materie preferite della Grifondoro.

Non vedeva solo il cielo, le sue stelle e le sue costellazioni, ma sotto quell’immensa volta osservava una città addormentarsi più o meno serenamente; le luci delle piccole villette a schiera si accendevano e spegnevano freneticamente, per poi dare spazio all’oscurità totale. Le poche macchine che circolavano sulle strade di Cokeworth venivano accuratamente parcheggiate nei garage dei benestanti possessori, lasciando le strade totalmente deserte, con qualche occasionale ubriaco che faceva ritorno a casa su gambe malferme. Di rado aveva visto malintenzionati attraversare quelle vie.

Lily si sentiva attratta da quelle notti, poiché possedevano un’energia sconosciuta; una forza atavica che la chiamava ad alzarsi dalla sedia, dall’uscire di casa come se fosse una ladruncola, fuggendo dalla finestra della sua camera, aggrappandosi alla grondaia di casa e scivolando giù con cautela. Aveva provato a saltare su uno dei rami del vecchio albero vicino alla camera da letto: ma dato che aveva rischiato di rompersi il collo, a causa delle sue scarse doti di arrampicatrice d’alberi, aveva ripiegato sulla rassicurante grondaia, che pareva reggere il suo peso e le sue numerosi fughe notturne.

Il sapore della libertà aveva un gusto più deciso e selvaggio, in quelle notti di luna piena. Non aveva più solo quindici anni, non le importava più l’età. Si sentiva padrona di se stessa come non lo era durante il giorno. Quei momenti di rara bellezza andavano assaporati fino in fondo e le causavano una gioiosa ebbrezza che la portava a correre fino al cuore della città. Là, dove i pub si preparavano ad annunciare l’ultimo giro di bevute ed i padroni dei locali si accingevano a buttare fuori anche l’ultimo degli ubriachi, là dove le saracinesche dei negozi erano tutte abbassate, e i manichini delle boutique d’abiti erano molto più inquietanti rispetto al giorno. Là dove la vita era un torrente che scorreva sottoterra, dove le persone più composte ed insospettabili potevano divenire degli individui irriconoscibili. Proprio come quando Lily aveva intravisto, qualche sera prima, il medico di famiglia uscire dal pub non proprio al massimo delle proprie facoltà, accompagnato da una giovane brunetta, che non era affatto la moglie, ma poteva benissimo avere l’età di un’ipotetica figlia. O come quando aveva visto due insospettabili professori della scuola superiore di Cokeworth, litigare sul conto salato di alcolici da pagare.

La notte di luna piena era in grado di compiere magie, di trasformare la vita di una città apparentemente monotona e grigia come Cokeworth. E Lily si trovò a preferire la Cokeworth di notte, poiché poteva osservare tutto e tutti con più libertà, facendo ovviamente attenzione a non essere scoperta. Se qualche conoscente dei suoi genitori l’avesse scoperta, le sue fughe notturne sarebbero giunte ad una brusca fine. Sua madre Norah l’avrebbe ribaltata come un calzino e certamente avrebbe chiamato qualche specialista per bloccare la finestra della figlia ribelle. Era in grado di arrivare a punizioni tanto severe al punto che le pene infernali, descritte nei libri medievali di Charles Evans, parevano un’incredibile fonte di gioia e sollievo. E dire che era stata una ribelle pure sua madre, a suo tempo, intraprendendo una discreta carriera di attrice di teatro, arrivando ad essere buttata fuori di casa dal padre, che voleva che si dedicasse a qualcosa di più concreto e redditizio. Fortunatamente, la nonna di Lily, Eimear Moore, una donna irlandese di robustissimi principi, ma autrice anche lei di numerosi gesti inconsueti da giovane, si era premurata di riaccoglierla in casa dopo qualche giorno, facendo in modo che padre e figlia si riconciliassero. 

Lily, seduta davanti alla scrivania, pensò di non avere molti dubbi circa chi le avesse trasmesso tutta quella vivacità e curiosità nei confronti del mondo. 

Osservava ipnotizzata la Luna, giocando con il sacchetto di Gobbiglie che le aveva regalato la mamma di Severus un paio di sere prima, quando Lily si era recata a cena da Sev.

Era stata una serata piacevole senza la presenza di Tobias, che era ricoverato in ospedale per un malessere più o meno grave, da quel che aveva capito, giacché Eileen e Sev erano rimasti un po’ sul vago. Eileen si era rivelata una donna particolarmente interessante, nonché un’ottima cuoca. Come piccolo pensiero, aveva voluto regalare quelle piccole sfere alla giovane Grifondoro, ricordandole che a suo tempo lei era stata il capitano della squadra di Gobbiglie.

Aprì il sacchetto in velluto verde scuro, lasciando che quelle biglie rotolassero sulla superficie liscia e regolare del tavolo, per poi afferrarne una.

Se la portò al viso, all’altezza degli occhi. Con un gesto lento e preciso, fece in modo di sovrapporla alla Luna. Ora vedeva una Gobbiglia con una corona argentea attorno a sé. Spostò nuovamente la sfera, per poter rivedere il satellite nel cielo. Quel piccolo gioco le parve molto divertente e lo ripeté svariate volte. Stava ammazzando il tempo, nell’attesa che anche suo padre andasse a dormire. Sentiva il ronzio della televisione al piano di sotto e tendeva l’orecchio nella speranza che presto quell’apparecchio venisse spento, per consentirle di sgattaiolare fuori. Quella sera, poi, sentiva una voglia martellante di uscire, poiché la Luna, nella massima pienezza e luminosità, aveva ammantato di una luce magica tutta Cokeworth. Si poteva persino fare a meno dei lampioni quella notte. Tra l’altro quelle odiose luci gialle a bordo strada attiravano troppi sciami di insetti ronzanti, che infastidivano la ragazza, fortemente tentata dall’arrostirli tutti.

Si alzò un attimo e con passo felpato si avvicinò alla porta della stanza. Vi appoggiò l’orecchio, per sentire se ci fosse ancora qualcuno sveglio in quella casa. Erano quasi le undici e mezza, secondo il suo piccolo orologio dalle lancette fluorescenti, appoggiato sul comodino. 

Non le parve di sentire alcun rumore di passi o di televisione accesa. Per sicurezza, aprì lievemente la porta e si guardò attorno, muovendo con attenzione la testa da sinistra verso destra e viceversa.

Silenzio e buio totale.

Lily sorrise tra sé e sé compiaciuta, richiudendo con cautela la porta. Poi, corse a cambiarsi nuovamente, levandosi il pigiama e rimettendosi i pantaloncini corti beige e la canotta azzurra. Cercò disperatamente un cardigan dello stesso colore della canotta, ma non lo trovò, optando per quello bianco. Non aveva troppo tempo per cercare gli accostamenti perfetti nel proprio abbigliamento, quindi afferrò i sandali, se li mise ai piedi e si mise a cavalcioni sulla finestra. Si guardò attorno con fare circospetto, assicurandosi che i vicini non fossero fuori in veranda, o che ci fosse qualche passante per strada. 

Lily appurò con soddisfazione che anche quella fase si stava svolgendo senza troppi intoppi. Poté così allungare un braccio ed una gamba, agganciandosi alla grondaia. Oramai era divenuto un gesto abituale e con un piccolo balzo ed il minimo rumore, si ritrovò abbracciata alla grondaia. Si aiutò a scendere con il sostegno dei piedi appoggiati al muro, che le dettavano lentamente il ritmo della discesa. Con le mani cercò di aggrapparsi il più saldamente possibile al tubo in rame ossidato, evitando che scivolassero via.

Qualche scricchiolio di troppo l’allarmò. A volte non vedeva l’ora di arrivare a fare i corsi di Smaterializzazione ad Hogwarts per poter compiere le sue fughe notturne senza patemi, ma avrebbe dovuto attendere fino al sesto anno, per ottenere la licenza ad utilizzare quella complessa forma di trasporto. Creare delle Passaporte era fuori discussione: non sapeva nemmeno da che parte iniziare, malgrado avesse letto che la preparazione fosse piuttosto semplice.  

Toccò terra senza troppi problemi ed iniziò a correre lontano da casa, tenendo lo sguardo rivolto verso la propria abitazione il più possibile. A distanza di sicurezza, Lily poté concentrarsi unicamente sulla sua corsa e sul proprio itinerario, che doveva essere privo di qualunque incontro con persone a lei note e con malintenzionati.

Quella sera desiderava solamente andare al laghetto presso il quale aveva conosciuto Severus e dove aveva passato tantissimi pomeriggi assieme a lui. Voleva vedere quel luogo baciato dai raggi della Luna.

 

Anche il laghetto di Cokeworth, nato da una cava artificiale, sembrava aver perso la sua aria poco sana e piuttosto paludosa ed inquinata, quella sera. Con gli anni quel piccolo specchio d’acqua aveva perso limpidezza e non veniva più pulito a dovere. Le erbacce e le alghe maleodoranti si accumulavano sempre di più, attorno e dentro il lago, scoraggiando di fatto un eventuale avvicinamento. Potervisi immergere era fuori discussione, a meno che non si volessero scatenare le ire dei genitori, impregnando i tessuti degli abiti di un odore d’acqua non esattamente invitante.

Tuttavia, Lily rimaneva molto affezionata a quel luogo semplice ed un po’ appartato e vi ritornava volentieri.

Quella sera, sembrava che le ninfee, che galleggiavano sulla superficie dell’acqua, fossero più vive e colorate. L’acqua pareva più vivace ed increspata. Le erbacce al tatto risultavano più morbide e gradevoli e con una grazia tutta particolare, nel il modo in cui si intrecciavano ai fiori, all’erba verde e tenera. Neanche il povero salice piangente, di giorno curvo e sofferente, sembrava così malconcio. Quella notte, le fronde sembravano le ciocche di capelli appartenenti ad una bella ragazza china sullo specchio d’acqua. Le fronde del salice erano immerse nel lago, e, gentilmente mosse dall’impercettibile brezza notturna, disegnavano piccoli cerchi concentrici, che si spandevano per la superficie del lago.

Un silenzio gradevolissimo e piacevole incorniciava quel posto, di tanto in tanto Lily udiva il frinire dei grilli ed il gracidare delle rane.

Con sua grande meraviglia, vide anche delle prime timide lucciole illuminare i prati e l’acqua. Non si vedevano molto spesso da quelle parti, e quando si facevano vedere, Lily le rincorreva per tenerle tra le mani. Non voleva catturarle come facevano i suoi coetanei, intrappolandole in barattoli di vetro e tenendole lì dentro fino a farle morire; desiderava solamente tenerle tra i propri palmi per qualche istante, per osservarle da vicino nel loro tenue lucore.

Si avvicinò al piccolo gruppo di coleotteri ed iniziò la sua caccia. Quella sera sembravano proprio imprendibili e sfuggenti. Dopo qualche tentativo fallito, Lily si sedette a bordo lago in pura e semplice contemplazione.

Si sentiva attratta dall’acqua, dal suo pacato sciabordio. Le increspature appena accennate la ipnotizzavano, la intrappolavano in quel gioco di linee argentee in movimento. Si avvicinò ancora di più al bordo del lago, guardando il riflesso della Luna. Sembrava un viso sorridente, lo pensava da tempo. E pareva sorriderle benevola, quando Lily osò mettere una mano nell’acqua fresca. La tirò su dopo qualche breve istante e vide che non aveva raccolto alghe poco rassicuranti. E l’acqua sembrava realmente pulita.

Si sporse verso l’acqua. Voleva vedere la sua figura riflessa nel lago. Era un’azione vanitosa e si ricordava che sua madre le aveva raccontato di un personaggio di rara bellezza chiamato Narciso, che si era innamorato del suo stesso bellissimo riflesso, per poi morire dalla disperazione di non poter essere ricambiato.

Lei non si sentiva né bella, né tantomeno vanitosa. Era curiosa di vedere il suo riflesso.

Lentamente, si allungò verso l’acqua e per un attimo rimase interdetta, pensando che fosse uno scherzo.

Era lei riflessa nelle acque del lago di Cokeworth, si riconobbe, ma c’era qualcosa di strano.

Lily rimase perplessa e continuò a guardare quella figura. La esaminò con attenzione e con un certo spavento si rese conto che era proprio lei, solo più grande.

Si ritrasse di colpo, facendo sparire la Lily adulta dalle acque.

Chi aveva incantato quelle acque aveva deciso di far prendere un bello spavento a chi tentava di specchiarcisi, pensò Lily. Non era turbata dalle acque stregate, poiché era una strega preparata a qualsiasi cosa, la turbava quello che avrebbe potuto vedere del suo futuro, perché non ci aveva ancora pensato seriamente. Per lei, rimaneva una grande nebbia indefinita e non sapeva nemmeno da che parte iniziare a costruirsi l’avvenire. Passato lo spavento, provò nuovamente ad osservare quella figura magica.

Era lei, n’era certa. I capelli rossi c’erano, gli occhi verdi pure, i lineamenti del viso erano quelli.

Intravedeva, però, un’espressione molto più seria. Non c’era più la beatitudine dell’adolescenza, semmai un volto adulto, segnato da una serie di eventi non esattamente tra i più felici.

Si preoccupò relativamente della serietà di quella Lily, a dire il vero: di certo, dati gli ultimi avvenimenti, non si prospettava un futuro tra i più rosei. 

Tuttavia, quello che colpì la Grifondoro era l’aura che circondava la Lily adulta, che continuava ad osservarla seria e determinata. Era una sorta di ombra argentea, ma non esattamente di quel colore: passava dal rosa, al lilla, al grigio perlaceo. Lei ricordava bene quei colori. Erano i colori dell’aurora nel cielo. Ma quella sera, non arrivò a comprendere pienamente il suo futuro. Si limitò ad osservarla, a ricordare quell’aura attorno alla figura adulta, con una remota inquietudine nel cuore.

Il futuro era un velo da squarciare. Per il momento, rimaneva un manto nero imperscrutabile. Tuttavia, quella sera aveva avuto la fortuna di essersi potuta infilare tra le pieghe di quel manto e di poter guardare oltre quelle settimane di fine Giugno. Allo stesso modo in cui un attore di teatro cerca di capire quanta gente sia arrivata allo spettacolo, smuovendo il pesante sipario in modo da intravedere il pubblico, Lily aveva potuto avere un assaggio del proprio futuro.

Mentre si sedeva nuovamente composta a bordo lago, le venne in mente il pilastro fondamentale dal quale avrebbe voluto costruire tutto. 

Severus dov’era? Perché non lo poteva vedere, perché le acque incantate non le avevano rivelato nulla di lui?

Per un attimo, Lily pensò che l’espressione seria della Lily adulta era dovuta alla mancanza di Severus. Ma lei, innamorata quindicenne, si rifiutava di pensare ad un avvenire senza di lui.

Si alzò in piedi di scatto e pensò di correre da Sev, di buttarlo giù dal letto - ammesso che stesse dormendo - e di trascinarlo lì e far apparire il suo riflesso adulto. Assieme, avrebbero potuto avere la risposta a tutto. 

Esigeva una rassicurazione: che il suo Sev potesse essere ancora lì con lei, dopo tanti anni. Una vita senza di lui l’avrebbe gettata nel panico e nella disperazione. Nell’amore possessivo e potente di quindicenne, sognava ancora di stare per sempre con la persona con cui era cresciuta. In caso contrario, sarebbe stata in grado di scatenare una guerra devastante tra sé ed il destino e tutte le forze che si erano frapposte tra lei ed il suo sogno d’amore. Aveva quindici anni e tutta la forza di volontà per poterci credere ancora con così tanta determinazione.

 

Lily corse indietro verso Spinner’s End, questa volta assolutamente noncurante di chi avrebbe potuto incontrare a mezzanotte passata. Era una leggerezza non da poco, ma poco importava. Aveva bisogno di una risposta chiara e precisa circa il suo futuro sentimentale. Almeno da quel punto di vista, aveva un bisogno forte di certezze. 

Corse più forte che poté, nella speranza che Sev fosse ancora sveglio: di solito dormiva pochissimo, in tutte le stagioni faceva le ore piccole per leggere questo o quel libro, o per esercitarsi con la magia. Le sue ore di sonno s’aggiravano tra le quattro, cinque al massimo.

Quando si trovò davanti alla casa di Sev, tirò un sospiro di sollievo nel vedere che la finestra era ancora aperta. Si poteva pure vedere la luce fioca della sua abat-jour. Lily si avvicinò ancora di più all’edificio, cercando di trovare una grondaia per arrampicarsi su da lui. Purtroppo non ve n’erano in prossimità della sua stanza. Non c’erano neppure alberi entro breve distanza, seppure Lily non li amava come mezzo per arrampicarsi. Tuttavia, per Sev si sarebbe pure rotta l’osso del collo, su quello era irremovibile.

Cercò allora qualche sasso per terra: l’avrebbe lanciato nella stanza del Serpeverde, sperando di non prenderlo in testa o di rompere qualcosa. Se fosse atterrato nel punto giusto, il ragazzo si sarebbe sicuramente sporto alla finestra per vedere chi gli avesse lanciato una pietra in camera. Non potevano ancora usare la magia liberamente: doveva utilizzare metodi più spartani e decisamente Babbani.

Quando trovò il sasso adatto, prese per qualche attimo la mira e con precisione lo lanciò verso la stanza di Severus. Per qualche attimo, si aspettò il fragore di qualche oggetto rotto, o un eventuale urlo di dolore da parte del Serpeverde, colpito dal frammento di pietra. Per fortuna di Lily, sentì solo un tonfo piuttosto sordo e un rumore di passi veloci.

Vide la testa di Sev sbucare dalla finestra, guardarsi attorno, per poi trovare Lily, che gli stava facendo ampi gesti per attirare la sua attenzione. Era molto sorpreso di vederla lì sotto.

“Lily!” esclamò, cercando di controllare il tono di voce “Ma che ci fai qua?! A quest’ora, poi...”.

La ragazza per tutta risposta gli fece segno perentoriamente di scendere giù.

“E come!?” sibilò Severus, poco pratico di fughe da casa.

Lily allargò le braccia e scosse la testa. Non ne aveva idea: doveva conoscere lui i modi di fuggire indisturbato dalla propria casa, dopotutto.

Sev sembrò brontolare qualcosa e scuotendo la testa scomparì dalla vista della ragazza. 

La Grifondoro cautamente riprese a guardarsi attorno. Era tutto silenzioso e non v’era traccia di gente sveglia ed a passeggio per quelle strade. Ora che aveva visto Sev, il suo cuore si era placato. Era buffo come si sentisse così tanto in agitazione, senza di lui.

Lo vide uscire dalla porta d’ingresso, alla chetichella, facendo in modo di non sbatterla. Prudentemente, le diede un paio di giri di chiave. 

Sev con passo veloce si avvicinò a Lily, che in preda ad una bizzarra euforia lo abbracciò forte e gli diede un bacio veloce sulle labbra. Scalpitava nel mostrargli il lago stregato.

“Lily! Si può sapere che ti prende? È la notte di Luna piena che ti rende così esagitata?!” sibilò, pensando di fare della semplice ironia. Lily lo guardò raggiante.

“È proprio così! Su, andiamo! Non c’è tempo da perdere!”. Detto questo, lo prese per un braccio ed iniziò a correre nuovamente verso il laghetto di Cokeworth.

Sev non che ci avesse capito molto, dato che Lily non si era affatto dilungata in spiegazioni. Ma la sua vorace curiosità verso qualsiasi cosa che riguardasse la magia, combinata al suo amore incondizionato verso Lily, fecero in modo di farlo correre velocemente verso il lago, senza mai abbandonare la mano della ragazza.

 

Una volta arrivati, si buttarono sull’erba a prendere fiato. Distesi l’uno accanto all’altra, affannati, si guardarono in silenzio. Sev non aveva ancora avuto il tempo di notare le lucciole, il frinire dei grilli, il gracidare delle rane e quant’altro, che Lily lo afferrò nuovamente per mano e lo invitò a mettersi a sedere. 

Decisamente, da seduto poté notare la splendida luna piena che faceva risplendere l’acqua di una purezza insolita. 

“È successo qualcosa all’acqua, vieni a vedere!” disse concitata Lily.

Severus sorrise nel vederla così scalmanata ed agitata. Era un piacere per gli occhi e per il cuore vederla piena di entusiasmo e il ragazzo si sentì contagiato dallo stato d’animo elettrizzato dell’amata.

Si avvicinarono entrambi allo specchio d’acqua e aspettarono che i propri riflessi assumessero una forma ben definita. Lily si lasciò sfuggire un urlo elettrizzato.
“Eccomi! Guardami bene!” esclamò, strattonando il ragazzo, avvicinandolo a sé.

Sev aguzzò la vista e osservò la figura di Lily. Vi vide esattamente la ragazza che aveva a fianco: sorridente, con lo sguardo raggiante ed elettrizzato, vestita di bianco, di azzurro e di beige. E gli inconfondibili capelli rossi che cadevano lunghi sulla schiena.

Non aveva il coraggio di deluderla o di contraddirla, ma qualcosa doveva pur dirle, anche a costo di sembrarle un orrendo guastafeste.

“Veramente, Lily, non te la prendere, io vedo... Te. Come sei in questo preciso istante” disse un po’ imbarazzato, stringendole la mano con affetto, pronto a consolarla nel caso di cocente delusione.

La ragazza si limitò a guardarlo un po’ dubbiosa e si chinò ancora di più verso l’acqua, facendo cadere delle ciocche di capelli nel liquido trasparente.

“Non vedi quello che vedo io!? Sono adulta nel mio riflesso!” insisté la ragazza, con un tono che non ammetteva contraddizioni.

Severus non sapeva cosa replicare, temeva di farla arrabbiare. Ed in quella sera così bella, sarebbe stato un peccato.

Lily si voltò pensierosa e spinse Severus a specchiarsi nell’acqua.

“Già, ti vedo anche io come sei adesso, Sev” disse Lily, scrutando attentamente il riflesso del ragazzo che aveva davanti. Era esattamente identico al Serpeverde che aveva accanto a lei.

Che il futuro fosse visibile solo al diretto interessato? Poteva essere così, si disse Lily mentalmente. Ma bruciava dalla voglia di sapere che cosa vedeva Sev. 

“Sev, tu che cosa vedi?” gli chiese la ragazza, curiosa. 

Il ragazzo si fece molto serio, poiché quello che vide non gli piacque per nulla.

Era un Severus adulto, con un’aria malinconica e tormentata. Era vestito tutto di nero e il braccio destro continuava a stringere con forza il braccio sinistro, come se facesse male. 

Non era una visione buona, lo percepiva dall’aura nera come la notte che circondava la figura adulta.

All’improvviso, però, quella figura sofferente si fece più serena, smettendo di stringersi il braccio sinistro. Abbozzò un sorriso ed il colore dell’aura cambiò, da nero a verde. Quel verde inconfondibile.

Sev rimase confuso da quella visione ambigua. Da cupa era diventata serena. Da persona tesa e più triste era tornato a ritrovare una sorta di pace, attorniato da un’ombra di un gradevolissimo verde. E poi, perché all’inizio si stringeva il braccio sinistro come se gli facesse tremendamente male?

Che cosa poteva dire a Lily, per farla stare tranquilla? Per farle sembrare tutto un gioco innocente e senza troppe preoccupazioni?

Aveva paura del futuro, aveva una paura tremenda di quello che avrebbe potuto profilarsi all’orizzonte. E il timore più grande era di non garantire serenità a Lily. Lui era lì per proteggerla, per farla stare bene. Possibile che avrebbe dovuto lottare per quella serenità? Forse era proprio quello il messaggio.

Cercò di rimanere sul vago: “Mi vedo vestito di nero...” iniziò incerto “Mi vedo serio, ma con un lieve sorriso, dopo”.

Lily pendeva dalle sue labbra, con sguardo avido lo esortò a proseguire.

“E di che colore hai l’aura? La mia continua a cambiare colore... Ed è simile al cielo all’alba!” esclamò sorridente.

Mentalmente, Sev escluse il nero a priori. La guardò con un accenno di sorriso. 

È verde come i tuoi magnifici occhi rifletté Severus. Non era un colore qualsiasi.

“È.. Verde” disse lentamente.

La ragazza sembrava rassicurata. Nella figura di Severus c’era un rimando a lei, ai suoi occhi, perché sapeva bene che quel verde non era un colore qualsiasi. Il futuro sembrava incerto, cupo, non troppo felice. Ma sarebbero rimasti collegati, in qualche modo. Ora poteva provare a riflettere sull’avvenire.

“Quest’acqua incantata mi fa pensare, Sev” disse Lily, guardandolo negli occhi.

Il ragazzo allungò un braccio e le cinse le spalle. Lily appoggiò il capo sulla spalla di Sev, guardando con sguardo meditabondo tutto il panorama circostante.

Quel gesto protettivo distese Lily, che si sentì spronata a proseguire.

“Che cosa vuoi fare da grande? Dopo Hogwarts, intendo” chiese di punto in bianco la ragazza, stringendo forte la mano di Sev.

Bella domanda disse tra sé e sé il ragazzo. Meditò per qualche minuto su tutto quello che stava capitando ad Hogwarts, dell’oscurità che si preparava a sorgere ed ad offuscare le vite di molti, loro due inclusi. Non aveva idea di quello che avrebbe fatto nella vita, poiché si sentiva in balia di onde, di forze sconosciute. Di forze che si opponevano, giacché una era fatta di luce, e l’altra di tenebra. E lui doveva destreggiarsi in mezzo a quel turbine, assecondarlo e respingerlo allo stesso tempo, onde evitare di essere sommerso. Doveva tenere a bada il suo drago interiore, farlo crescere per poi ucciderlo, con la stessa spada con la quale l’aveva ammaestrato. Doveva portare in salvo Lily da tutto quello, niente di più e niente di meno.

“Non ne ho la più pallida idea” disse con semplicità. Lily sorrise, sapendo di essere nella sua stessa condizione.

La ragazza si accoccolò ancor più a Severus.

“Nemmeno io” rispose con un sorriso “Però ho provato a pensarci. Non mi dispiacerebbe guarire le persone malate. Ma non sono sicura di reggere di fronte a tutta quella sofferenza, se volessi diventare MediMaga”.

Sev provò ad immaginarsi Lily in quel ruolo ed ammise che non le dispiacque affatto. Aveva la personalità giusta, la predisposizione a stare con le persone, ad aiutarle come poteva. Era una persona altruista, senza ombra di dubbio. Non era certo di potersi definire tale lui stesso.

“Io non mi ci vedo per nulla MediMago” disse con sincerità Sev “Poi i malati fanno di testa loro, metti non seguono le mie istruzioni, io vado fuori di matto e litigo con loro. Poi pensa a quei pazienti paranoici che pensano di avere della Magia Oscura addosso anche per uno starnuto!”.

Lily scoppiò a ridere. Non aveva tutti i torti: era un mestiere che richiedeva molta pazienza.

“Ma tu sei sempre stato paziente con me” obiettò Lily, con uno sguardo benevolo.

Solo perché sei tu, Lilja. Non sono una persona dotata di molta pazienza, generalmente. Non lo disse, ma lo pensò con intensità.

“Hai mai pensato di fare l’insegnante? Non so, l’insegnante di Pozioni. Zabini mi aveva detto che hai aiutato parecchia gente in quella materia, quest’anno... E sei bravo ad insegnare” provò a chiedere lei, senza dargli il tempo di dire altro.

Sev scosse con energia il capo.

“Merlino, l’insegnante no! Sono certo che metterei in punizione tre quarti degli studenti della mia classe! È stato un miracolo aiutare quei tonti del settimo anno!” ribatté con stizza “Erano dei casi persi”.

“Non tutti sono eccezionali come te” osservò Lily “Ma puoi sempre far puntare all’eccellenza i tuoi studenti, cosa che hai trasmesso a me. Faresti emergere dei talenti cristallini in quella disciplina”.

In effetti, pensò Sev, non aveva tutti i torti. Però non poteva farci nulla se la sua indole era poco paziente. Per poter insegnare avrebbe dovuto inventarsi una potente pozione per creargli infinite riserve di pazienza.

“Comunque” disse Sev, cercando cambiare discorso, anche per cacciare via la visione disturbante che aveva avuto poco tempo prima “Penso che abbiamo ancora abbastanza tempo per poter decidere del nostro futuro”.

Se dovessi sbagliare a decidere da che parte stare, metterei a repentaglio non solo la mia vita, ma anche la tua, Lily.

Si sarebbe preso un po’ di tempo per studiare i due fronti della tempesta. Avrebbe cercato di soppesare tutti i pro ed i contro di ambedue le parti. Sarebbe stato un momento duro quello della scelta, in entrambi i casi avrebbe dovuto combattere, ma solo una di quelle due fazioni gli avrebbe garantito una via d’uscita, una soluzione a tutto quel grande caos che era la guerra.

In quel momento, perso nei suoi pensieri, avvertì il tocco delle labbra di Lily sulle sue guance.

Ripetutamente, Lily gli baciò la guancia, scivolando verso l’orecchio e gli sussurrò lentamente: “Per quale mondo ti sei perso, Sev?”.

Il morbido movimento delle labbra di Lily e la voce fioca, appena un sussurro, diedero qualche piacevole brivido a Severus. Sorrise, godendosi quella sensazione, non rispondendo apposta, per pungolarla. Era il suo modo di cercare le attenzioni di Lily. Con rare parole e molti gesti.

“Sev” Lily trascinò ogni singola lettera del suo nome.

Da dove salta fuori quella voce suadente? Si disse il Serpeverde, con un certo timore, ma anche una strana curiosità di capire cosa stesse prendendo a Lily.

Il ragazzo si girò con uno dei suoi sorrisi furbi.

“Signorina, non provochi con quel tono di voce” la rimbeccò con dolcezza.

Lily aggrottò la fronte e lo guardò con un’aria angelica.

Quale tono di voce?” disse scimmiottando alcune smorfiose di Hogwarts, che loro conoscevano bene.

Sev l’attrasse a sé e le diede un bacio sulla fronte.

Lo sai qual è. Lo sai benissimo.

Solo con gli occhi, uno sguardo ardente, fatto dell’ardore puro e semplice di un quindicenne, le rispose. Lily resse il gioco, guardandolo in maniera sfrontata, ma sempre con quell’aria ancora fanciullesca ed infantile.

Non si rendeva conto di quanto stesse lentamente cambiando, di quanto a volte sembrasse più grande della sua età. Sev non riusciva a capire se Lily se ne rendesse conto di tutto quel lento mutare, o se usasse quell’arma in maniera totalmente inconsapevole. Forse era la seconda possibilità. Non c’era malizia, non c’era più che il semplice desiderio di essere accolta tra le sue braccia.

Era complicatissimo crescere, era difficile capire il proprio corpo e le sue reazioni.

Era troppo presto per lasciarsi andare, e non lo sentivano affatto come un desiderio pulsante, era proprio vago e poco preponderante. D’altronde, avevano ancora tutto il tempo del mondo per conoscersi.

Niente però impediva a Lily, alla sua dolce e sbarazzina Lily, di infilare una mano sotto la maglietta grigia di Severus, in modo che potesse toccare la schiena nuda del ragazzo, e accarezzare con le dita la forma appena sporgente delle vertebre. Si dedicava con ostinazione alle spalle, alla schiena, non andando oltre. Si sentiva contenta così e quella soddisfazione si rifletteva nei suoi indimenticabili occhi verdi. Lily si sdraiò sull’erba, rilassata e tranquilla.

Nulla fermò Sev dall’appoggiarsi con un gomito accanto a lei e dall’allungare una mano sul fianco appena scoperto di Lily. Era stato tentato di farlo più di una volta, di accarezzare con dolcezza la pelle nuda della ragazza, ma per qualche strano motivo si era sempre fermato. La Grinfondoro non avrebbe avuto nulla da obiettare, non quella sera. Aveva gli occhi socchiusi e la mano di Severus posata sul suo fianco la rilassò ulteriormente, facendola sospirare tranquilla. Alzò una mano anche lei e la sovrappose a quella del ragazzo. La fece scivolare un po’ più sotto la canotta di Lily, quanto bastò alla ragazza per intrecciare le dita alle sue. 

Poteva sentire perfettamente il suo respiro regolare, la pelle liscia e delicata della sua ragazza, che parve scivolare in un vago dormiveglia. La osservò sonnecchiare, illuminata dalla luna. Sembrava una creatura proveniente da un’altra dimensione e le guardò il viso disteso e osservò come venivano esaltate le lentiggini da quella luce lunare.

Severus avvicinò il proprio volto a quello di Lily, sistemandosi su un fianco e si abbandonò al piacevole sonno sull’erba morbida, accanto a lei.

La strinse più forte che poté. Una cosa era certa: il suo futuro era lei, allo stesso modo in cui Lily era certa che il suo futuro, nel bene e nel male, sarebbe stato con Severus. 

 

Rientrarono verso casa che la Luna stava calando verso l’orizzonte, rossa e fiammeggiante come non mai. Il cielo non era più blu profondo, verso est si poteva vedere un vago azzurro farsi strada tra le scure pennellate che dominavano la volta celeste.

Lily camminava a passo lento, tenendo per mano Sev. Di tanto in tanto si guardavano ancora attorno, per vedere se ci fosse qualcuno nei paraggi. Entro breve, qualcuno avrebbe iniziato a svegliarsi: erano i lavoratori delle fabbriche circostanti, o chi doveva viaggiare molto per lavoro. 

Sev sentì un fruscio improvviso nei cespugli di agazzino. Qualcosa scuoteva gli alti e sottili fusti della pianta. Istintivamente, Sev estrasse la bacchetta magica dalla cintola, pur essendo perfettamente conscio di non poter utilizzare la magia al di fuori della scuola.

“Ma che fai! Non puoi usarla!” esclamò Lily, strappandogli di mano la bacchetta magica.

Un gatto nero schizzò fuori dalla pianta e scappò, saltando nel giardino di una villetta poco distante.

Il ragazzo, che aveva trattenuto il fiato per lo spavento, riprese a respirare normalmente.

“Pensavo ci fosse un m-mostro” balbettò il Serpeverde.

“Era solo un gatto, sciocco!” disse ridendo Lily.

Tuttavia, il Serpeverde aveva tutti i suoi buoni motivi per aver reagito così.

“C’è una cosa che non ti ho raccontato, stanotte”. Se n’era dimenticato, distratto com’era dalla visione del suo futuro, dalla chiacchierata con la ragazza e le seguenti piccole effusioni che si erano scambiati.

I due ripresero a camminare e Sev scalciò distrattamente un sasso dal marciapiede.

“C’è una strana storia... Riguardante la Luna piena. Ci sono alcuni maghi che la temono molto” esordì il ragazzo, andando a scavare nei meandri della propria memoria, dei propri ricordi più remoti. 

Lily dubitò che si trattasse di una storia riguardante i Lupi Mannari, in quanto era un argomento già ampiamente affrontato durante le lezioni di Difesa Contro le Arti Oscure.

“Dicono che, a volte, nelle notti di plenilunio, i raggi lunari incantino le acque, alterando la percezione del tempo, aprendo varchi nel futuro. Dicono che alcuni maghi siano spariti nel nulla, proiettati nel futuro”.

Lily lo ascoltava attentamente. Il pensiero di essere proiettata di alcuni secoli avanti nel tempo, perdendo così Severus, la sua famiglia, quello che aveva costruito fino a quel momento, la fece rabbrividire.

“Comunque, non è questo il punto. Dicono che la Luna abbia due facce: quella “sorridente”, che vive risplendendo di luce riflessa dal Sole e la faccia perennemente nell’ombra, mai illuminata. In questa faccia oscura, si accumula odio ed amarezza, che dà origine a dei mostri terrificanti. E quando la parte luminosa è nel pieno del suo splendore, la parte ombrosa piange piena di rancore ed invidia. Le lacrime si riempiono di questi mostri e queste cadono sulla Terra”.

La ragazza lo guardava allibita.

“E tu credi a queste cose!?” gli chiese sorpresa “Mostri che cadono dalla Luna!? Non ho mai visto piangere la Luna! Dai, Sev, come credi che sia possibile?”

Sev si fermò ed arrossì violentemente in faccia.

“Io mi sono limitato a raccontartela e basta! Non è detto che ci creda. E la Luna di stanotte mi ha ricordato questa storia”.

“Sai come sono fatta, Sev: io se le cose non le ho davanti, non ci credo. Fintanto che non avrò uno di quei mostri lunari davanti, o fintanto che non vedrò la Luna piangere, per me rimarrà solo una leggenda!”.

Sev era fondamentalmente d’accordo con Lily. Non credeva così ciecamente a certe storie, ma pensava che nel mondo magico tutto fosse possibile. Esisteva soprattutto nel mondo magico una zona d’ombra, dove potevano succedere le cose più impensabili. Ed era soprattutto quella zona immersa nell’oscurità ad attrarlo di più.

La sua amata lo teneva nella zona illuminata dal sole, lo faceva stare bene.

Ma lui, nella sua zona d’ombra aveva pianto lacrime amare, aveva pianto veleno, soprattutto quando era stato più volte maltrattato da suo padre. Aveva elaborato le magie più oscure, ancora abbozzate su alcune pergamene. Era qualcosa che avrebbe tenuto lontano dalla sua ragazza solare e spensierata. Più di una volta aveva anche pensato di dare fuoco a quelle pergamene oscure.

Erano arrivati di fronte a casa di Lily, con il cielo che si era fatto decisamente più chiaro. 

Lily abbracciò Sev: aveva il viso un po’ stanco, ma aveva un’espressione soddisfatta e felice. La Grifondoro avrebbe dormito le solite quattro ore scarse, fino a quando sua sorella o sua madre non l’avrebbero buttata giù dal letto.

Anche quella notte era stata sufficiente a calmare la sua sacra voglia di libertà totale. Ed aveva avuto la persona amata al suo fianco.

Lily si alzò in punta di piedi e diede un bacio sulla guancia a Severus.

“Attento ai mostri per strada!” lo prese in giro ancora per un attimo, prima di ritornare in camera sua. Il Serpeverde ridacchiò divertito.

Il ragazzo vide la Grifondoro aggrapparsi alla grondaia e in poche rapide mosse silenziose rituffarsi nel buio della sua camera.

La ragazza chiuse la finestra e si cambiò rapidamente, scivolando nel sonno praticamente all’istante.

Mentre Sev rientrò in casa sua, dalla normale porta d’ingresso principale, pensò che alla fine, a quella storia delle “Lacrime della Luna”, anche qualche mago illustre aveva finito per crederci, quasi fino a perdere la ragione.

Non aveva voglia di discutere con Lily per quelle futilità e testona com’era, non si sarebbe mossa d’un millimetro dalle sue posizioni. Si addormentò abbastanza in fretta, e cadde in un sonno senza sogni, come sempre.

Il Serpeverde non poteva sapere che, quella stessa sera, nella foresta dello Staffordshire, il mago più temuto del momento, il Signore Oscuro, stava attendendo con impazienza quelle lacrime piene di sventura e disgrazia. E da quelle lacrime piene di dolore e sofferenza, avrebbe trovato la Magia Oscura più potente e devastante, per spargere il terrore attorno a sé. Attendeva avidamente, attorniato dai suoi fedeli Mangiamorte.

* * *

Che peperina Lily! La Luna piena causa strane manie nei miei personaggi :D

In realtà penso che Lily si trovi al classico punto in cui hai quindici anni anagraficamente, ma mentalmente il corpo in cui ti trovi ti sembra un po’ piccino e vorresti crescere in fretta, mettendoti a bagno i piedi ogni sera XD Lei opta per le sue fughe notturne, per avere un’altra prospettiva del paese in cui vive, delle persone che incontra di giorno... 

 

Che dire, è un capitolo curioso, ma inizia ad andare oltre il presente, s’inizia a riflettere sul futuro.

Lily non ha ancora compreso al 100% la sua figura da adulta, ma c’è una grossa connessione con la figura di Sev (che pare aver capito un po’ di più del suo futuro e fa finta di non aver capito nulla per non allarmare Lily).

E soprattutto, pensavo alla fine di riuscire a mettere dentro anche Lord Voldemort, ma ho deciso che me lo tengo in un bel capitolo 21, oscuro e dark come non mai, che vedrà l’ingresso di qualche personaggio interessante e di un paio di cose che determineranno la seconda parte della saga di Irish Rain (ebbene sì: ci sarà una seconda parte molto dark che si chiamerà - per ora - The Crystal Dancer, anche se io la chiamo anche Russian Dance perché sarà bello funambolico). Devo solo capire tra quanto avrà inizio ma Irish per ora ne avrà per un po’ :D

 

Allora ci vediamo tutti nel capitolo 21: Night Of Hunters (già lo amo come capitolo <3). Cercherò di rimanere il più costante possibile con gli aggiornamenti, forse a metà Novembre sarà un filo irregolare, ma non mollo!

 

Ancora grazie mille per il FIUME di recensioni che sta arrivando e persino nuove segnalazioni per mettere la storia tra le scelte *__* *me s’inchina battendo una craniata contro il tavolo*

 

Ok, la smetto di straparlare, oggi avevo voglia di ciciarare! Vi ricordo la mia pagina Facebook, qua.

 

Un abbraccio,

 

Alessandra :D

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Capitolo 21
*** Night Of Hunters ***


21.

Night Of Hunters


“Humankind has reached a turning point

Poised for conflict at ground zero

Ready for a war

Do we look to our unearthly guide

Or to white coat heroes

Searching for a cure”

 

“Turn to the light

Don't be frightened of the shadows it creates

Turn to the light

Turning away would be a terrible mistake”

Dream Theater - The Great Debate

 

Nella fitta foresta dello Staffordshire, il Signore Oscuro attendeva quel pianto della Luna. Con lo sguardo brillante ed avido cercava non la luce argentea, ma i crateri bui brulicanti di creature appartenenti all’oscurità. Cercava i lamenti, i ringhi rochi di bestie dalle zanne levigate e splendenti, pronte a colpire senza pietà. Non sapeva nemmeno che forma avessero, ma le bramava, le chiamava con il cuore pulsante d’inquietante bramosia.

Cercava quella goccia color rubino, affinché cadesse sulla Terra, attratta dalla forza di gravità del pianeta, per liberare tutta la sua furia cieca. La libertà delle creature lunari sarebbe durata poco, però: lui avrebbe imbrigliato la potenza oscura sprigionata da quei mostri, l’avrebbe assoggettata e se ne sarebbe servito a piene mani. Non si accontentava della Magia Oscura che conosceva: a questo punto voleva di più, era insaziabile. Doveva dominare su quel pianeta nella maniera più assoluta e per comandare, aveva bisogno di poteri illimitati.

Non gli parve una follia la visione che gli si prospettò davanti: oltre alla Terra, avrebbe potuto dominare anche la Luna, luogo dove esisteva un’incredibile energia misteriosa, dove si era generata la più oscura delle magie, ma che nessun mago era mai stato in grado di controllare e di sfruttare a proprio piacimento.

Lord Voldemort era avido, ma allo stesso tempo era un visionario, a volte fin troppo, ed era lungimirante. Non tutti i suoi Mangiamorte, fedelmente radunati quella notte, avevano pienamente compreso il piano del temibile mago. A dire il vero, alcuni di loro erano sinceramente perplessi da quella bizzarra richiesta.

Incuteva timore, quel consesso nel cuore della foresta inglese. I Mangiamorte si erano disposti a semicerchio attorno al proprio signore, che si era posizionato al centro di quello spiazzo, dove le fronde degli alberi lasciavano vedere il cielo in maniera limpida e nitida. Un cerchio di torce circondava i presenti e le scintille delle fiamme volavano nell’aria calda, incontrollate e veloci.

Nessuno di quei Mangiamorte era autorizzato ad interrompere Lord Voldemort nella sacra contemplazione del cielo; nessuno doveva azzardarsi ad interrompere quel contatto vitale, tra il mago tra i maghi oscuri e il satelliti, poiché gli occhi dal fascino serpentino scrutavano attentamente la superficie lunare, andando oltre la lucentezza romantica ed argentea della Luna. Il Signore Oscuro era in grado di vedere perfettamente al buio, si orientava meravigliosamente tra le ombre, sue schiave e suddite. Lui era il re indiscusso delle ombre. Nessuno dei suoi servitori doveva frapporsi tra lui e le sue fedeli compagne di vita.

Bellatrix Lestrange lo osservava in silenzio, con sguardo estatico. Lo aveva davanti, poteva osservare come il manto nero di ottima fattura si appoggiasse con eleganza estrema sulle spalle. Vedeva come gli scivolasse lungo la schiena con leggiadria, come sfiorasse appena la terra un po’ arida, dove si trovava Lord Voldemort, dato che quella era una delle poche zone della foresta dello Staffordshire in cui il sole riusciva a battere direttamente sul suolo. Lo osservava, in quel cerchio di fuoco fatto di fiamme danzanti ed a stento tratteneva l’ardente desiderio di poter correre lì accanto a lui, di nutrirsi di quelle ombre, di pendere dalle sue labbra per qualsiasi parola proferita. Lei pensava di amarlo di un amore scellerato, incontrollato ed incontenibile. Agli occhi degli altri compagni, era semplicemente ossessionata dal Signore Oscuro. Quel sentimento non aveva niente di puro o di nobile: nasceva dall’irrazionalità pura, dalla malvagità più sconsiderata. Non aveva alcun fascino, quella morbosità da parte della donna.

Bellatrix era molto affascinante, nella sua peculiare bellezza. I capelli neri e mossi sfuggivano al cappuccio del mantello, dono del marito Rodolphus Lestrange il giorno in cui Bella - il soprannome che le avevano dato tutti, praticamente sin dalla nascita - diventò Mangiamorte. Il mantello era nero in raso, foderato con lo stesso pregiato tessuto. Due catenelle in argento costituivano la chiusura del prezioso indumento all’altezza del collo. L’argento era il materiale utilizzato pure per la maschera che celava il viso della donna. Il metallo non presentava una superficie liscia e levigata, anzi, era finemente lavorato con decorazioni simili a tanti piccoli fiori e rami selvatici. Lei un tempo aveva la grazia di un fiore, ma con gli anni si era indurita, diventando un legno selvatico, fiero, indipendente. Le fessure per gli occhi lasciavano spazio a due iridi marroni, arricchiti da una luce sinistra ed inquietante, accentuata dalle fiamme delle torce. Potevi leggerle la follia in quei occhi, che non avevano nulla di sano o di rassicurante.

La donna credeva ciecamente nel suo signore, al contrario di altri Mangiamorte, che iniziavano a mostrare segni d’impazienza ed insofferenza a starsene lì impalati nel cuore della radura. Bella se ne stava in piedi con schiena ritta e sguardo orgoglioso, in attesa di un segno, scoccando occhiate furiose nei confronti di chi si muoveva spazientito. Nessuno poteva permettersi di perdere la pazienza con il mago più temuto dell’Inghilterra. Ad un certo punto, le venne da pietrificare il proprio cognato, Lucius Malfoy, che aveva osato passare il bastone da passeggio da una mano all’altra, interrompendo quel religioso silenzio. L’unica che non portava la maschera da Mangiamorte era sua sorella Narcissa, che se ne stava in disparte, intabarrata in un impalpabile manto di seta nera, sotto una grossa quercia.

Bellatrix non sapeva il motivo chiaro e preciso per cui erano stati radunati in quella foresta piuttosto lontana da casa: tuttavia, il proprio Signore Oscuro aveva sempre dei buoni motivi per cui radunare i propri adepti, di questo n’era più che certa.

La voce suadente e calma di Tom Riddle squarciò il silenzio, allo stesso modo in cui si rompe volutamente, e con studiata lentezza, un tessuto meraviglioso e raro e non puoi fare a meno di godere del piacevole suono del tessuto che si lacera.

“Igor, mio fedele servitore, vieni avanti” disse con estrema lentezza il mago.

Una figura molto alta, accanto a Lucius Malfoy, si fece avanti. L’uomo si tolse il cappuccio, rivelando i capelli corvini di media lunghezza e si tolse la maschera argentata: non sopportava quel metallo addosso, lo faceva soffocare. In generale, detestava il caldo opprimente che avvertiva in Inghilterra, per quanto quel paese non si potesse propriamente definire caldo. Qualsiasi posto diverso dalle sue terre d’origine, le fredde terre dell’Est Europa, tra la Polonia e l’U.R.S.S, gli pareva inospitale e caldo all’inverosimile. La maschera rivelò un viso dai tratti marcati, in parte nascosti dalla folta barba scura. Gli occhi chiari di Igor Karkaroff erano sempre imperscrutabili e particolarmente inespressivi, a dispetto della voce, sempre ricca d’emozioni e di sfumature.

In poche falcate, Karkaroff raggiunse il Signore Oscuro, mettendosi alla sua destra, tenendo rispettosamente un passo di distanza tra sé ed il padrone.

Lord Voldemort si voltò, levandosi a sua volta il cappuccio. Lo guardò negli occhi, alzando leggermente il volto, a causa della notevole altezza del fedele servitore. Il Signore Oscuro non avrebbe mai dovuto alzare lo sguardo per guardare qualcuno: in futuro, avrebbe potuto guardare dall’alto verso il basso tutti, poiché tutti si sarebbero gettati ai suoi piedi, impauriti, intimoriti, o solo con l’intento di adularlo.

“Mio buon Igor, hai fatto un ottimo lavoro, nell’interpretare il movimento delle stelle e della Luna. Il momento è particolarmente propizio e tra pochi istanti assisteremo tutti alle Lacrime della Luna, che cadranno in questa foresta. Tieniti pronto, poiché questa è la tua notte, celebra il tuo successo schiacciante, portando al mio cospetto le creature più forti, quelle che mi renderanno invincibile una volta per tutte in questo mondo...”. Un ghigno soddisfatto apparve sul volto di Lord Voldemort, che posò una mano curata sulla spalla dello slavo.

“M-mio Signore” esordì il Mangiamorte, con un accento slavo molto marcato “Non la deluderò. Ha la mia parola”. Si sentiva lusingato di quella garbata mano sulla spalla.

Con un gesto deciso, non pieno di rabbia, quanto carico di compiacimento, il Signore Oscuro invitò tutti gli adepti ad avvicinarsi a lui, solo di qualche passo.

“Miei fedeli amici, stasera è la Notte dei Cacciatori. Dopo mesi di studi e di osservazioni, il vostro compagno Igor ha trovato un modo per rendermi ancora più potente. Creature oscure giungeranno dalla Luna, proprio quelle creature mitiche descritte in maniera estremamente lacunosa nei libri che pensano di esaurire la conoscenza della Magia Oscura. Quei libri che ci hanno costretto a leggere, ad imparare riga per riga, a considerare un punto di riferimento per i nostri studi. In questa notte, noi riscriveremo quei libri scadenti, riscriveremo la storia della magia, dando una nuova definizione della Magia Oscura. La porteremo ad un nuovo livello, ad un nuovo insormontabile limite, catturando queste creature ed intrappolando i loro devastanti poteri magici nelle nostre misere bacchette. Voi stasera avrete l’immensa fortuna di diventare dei veri e propri cacciatori e di essere partecipi di questo progetto che ci catapulterà nella gloria. Non deludetemi, portate al mio cospetto queste bestie potenti, giacché è da questa notte, che nessuno si scorderà più il nostro nome, il mio nome”.

Non c’erano bisogno d’applausi, bastava lo sguardo euforico di Bellatrix a dirgli tutto, poiché era quello che si aspettava dai suoi servitori. Invece, qualche Mangiamorte guardò perplesso il compagno a fianco: possibile che il Signore Oscuro credesse a simili fandonie, che si lasciasse trascinare in quel vortice fallace che era la mitologia? E loro dovevano andare a caccia di quelle creature, perdersi in quella foresta tutt’altro che gradevole ed ospitale, per cercare bestie che non esistevano, se non nell’immaginario collettivo?

Gli scettici guardarono il cielo, fortunatamente i loro ghigni sarcastici erano ben nascosti dietro la maschera metallica. Aspettavano queste famigerate creature, schernendole nei loro pensieri.

Tuttavia, se avessero potuto strapparsi quelle stesse maschere dal volto in quel preciso istante, i loro volti avrebbero tradito la meraviglia più grande.

Delle ombre rossastre stavano letteralmente precipitando dal cielo. Non si vedevano bene, bisognava aguzzare lo sguardo, dato che erano poco illuminate dalla Luna serafica. Non facevano nemmeno troppo rumore, considerato il tonfo sordo di primi mostri caduti nella foresta.

Lord Voldemort allargò le braccia e rise in maniera sinistra. Quelle risate un po’ sguaiate riecheggiarono cupe per la radura.

Finalmente! Che la Notte dei Cacciatori inizi!” esclamò deliziato, abbandonando la consueta pacatezza e l’elegante compostezza che l’avevano sempre contraddistinto, per lasciarsi andare a dei sentimenti più intensi, più vivi, meno controllati.

Bellatrix afferrò per un braccio il consorte Rodolphus e strillò qualcosa d’incomprensibile, in preda ad un’incontrollabile gioia. I due iniziarono a correre, là dove le prime Lacrime della Luna erano atterrate, svanendo tra i cespugli e le frasche fitte della foresta.

I Mangiamorte più malfidenti avevano sbagliato a non credere alle parole di Lord Voldemort ed era stata una leggerezza imperdonabile. Il Signore Oscuro aveva letto nelle menti di coloro che non si erano fidati di lui ed al momento giusto, questa mancanza di fiducia si sarebbe ritorta contro di loro, senza alcuna pietà. Tom Riddle non dimenticava mai alcunché, neppure l’errore anche più infinitesimale.

Con un’occhiata di fuoco, il Signore Oscuro incitò gli ultimi Mangiamorte a smaterializzarsi nel resto della radura, per unirsi alla caccia frenetica degli altri.

 

Lord Voldemort attendeva nervosamente il ritorno dei suoi fedeli servitori, certo che avrebbero avuto un abbondante bottino da consegnargli. Voleva quelle creature vive, naturalmente, per poterle studiare dettagliatamente, per poterne catturare la potentissima Magia Oscura e farla sua. Era ossessionato da quell’obiettivo, sicuramente sarebbero occorsi mesi per capire come poter domare quella potenza inusitata per un mago medio. Ma Lord Voldemort non era destinato ad essere un mago qualunque e puntava ad obiettivi impensabili, irraggiungibili per tutti, compresi alcuni suoi fedeli. D’altro canto, avrebbe potuto contare sul supporto di Durmstrang, la scuola di Magia nell’Europa continentale che puntava molto non tanto sulla difesa, quanto sulla pratica delle Arti Oscure. Le ammissioni erano molto rigide ed i ragazzi nella loro totalità erano dei purosangue. Durmstrang era nettamente più elitaria di Hogwarts, inducendo il temuto mago a trovare sostenitori al di fuori della scuola di magia inglese, anche per degli ovvi motivi di sicurezza: Hogwarts, d’altronde, era guidata da Albus Silente, l’unico mago che temesse ancora davvero. Ed un giorno di pioggia di qualche anno prima, aveva ricevuto la visita di quella strana persona proveniente dall’Est Europa, educata a Durmstrang. Quando gli si era presentato davanti questo giovane uomo davanti, che rispondeva al nome di Igor Aleksandrovic Karkaroff, Tom Riddle capì di avere di fronte una persona sinceramente interessata al disegno di gloria che Lord Voldemort stava faticosamente e minuziosamente mettendo assieme, e gli si era presentato con dei bizzarri studi circa creature leggendarie, osservando che la loro Magia Oscura era infinitamente più potente rispetto a quella normalmente appresa a scuola. Soprattutto, era una materia pressoché ignota e che avrebbe necessitato di molti lunghi studi. Non ultimo, quegli studi avrebbero avuto bisogno del sostegno di una persona veramente interessata.

Di fronte a quell’offerta così sincera e spassionata, Lord Voldemort si era insospettito: era chiaro che quel Karkaroff cercasse il suo sostegno non gratuitamente. Aveva bisogno di qualcuno di potente che lo sostenesse; d’altronde, un nome potente era sempre in grado di incutere timore.

Il mago oscuro non sapeva se si trovasse di fronte ad un ciarlatano, ad uno sfruttatore, o forse entrambe le cose. Tuttavia, sapeva che nel caso in cui si fosse rivelato un perditempo, avrebbe potuto eliminarlo facilmente. Accettò di sostenerlo, con un prezzo da pagare: lui si sarebbe impossessato di quei poteri, una volta appurato che si sarebbe riusciti ad apprendere qualcosa da quelle creature misteriose. Sempre che fossero riusciti a trovarle in quella vasta foresta, beninteso.

Così, quello strano uomo, accettando le condizioni impostegli senza repliche, si era dedicato meticolosamente all’osservazione degli astri; aveva esplorato foreste in giro per il Vecchio Continente; aveva scalato le montagne più ripide, per addentrarsi nei ghiacciai più antichi, alla ricerca di una traccia lasciata da qualche bestia mitica. Era stato estremamente rigoroso e preciso nelle sue annotazioni, nelle sue ricerche: per quanto lo scetticismo serpeggiasse tra i fedeli più fidati del Signore Oscuro, tale precisione non era degna di un buffone perditempo. Lord Voldemort fu estremamente paziente e la sua pazienza venne ricompensata. Ora poteva accarezzare la prospettiva di poter davvero divenire il mago tra i maghi, lo stregone più potente non solo della Terra, ma dell’universo.

Uno schiocco secco e violento lo riportò nuovamente alla realtà di quella bellissima notte d’estate. Lo sguardo era famelico, avido nel voler vedere con i suoi occhi le bestie.

Igor Karkaroff era stato veloce: i suoi studi evidentemente gli avevano consentito di poter trovare una strategia volta ad una cattura rapida delle prede. Arrivò al cospetto del Signore Oscuro, portando con sé, attraverso il fluttuare lento del Wingardium Leviosa, una piccola creatura nera, evidentemente immobilizzata o schiantata. Con un movimento rapido della bacchetta magica, portò il piccolo mostro di fronte a sé, in modo tale che il proprio signore potesse vederlo ed ammirarlo.

Karkaroff era lievemente affaticato, respirava pesantemente ed aveva uno strappo su una manica della giacca.

Tom Riddle con passi lenti, girò attorno a quel corpicino nero, fatto d’ombra. Aveva delle sembianze piuttosto riconoscibili: gli arti superiori ed inferiori erano particolarmente lunghi e stretti. Le mani di questa creatura possedevano lunghe dita affusolate, dalle unghie molto taglienti. La testa tondeggiante ed i piedi erano sproporzionati rispetto al corpo gracile, simile a quello di un bambino malnutrito.

Gli occhi grandi e gialli erano spalancati: Karkaroff aveva immobilizzato la preda nel momento di massima paura e stupore. Lord Voldemort la guardava perplesso: era una creatura così piccola, ma avvertiva delle vibrazioni potentissime provenire da quel corpuscolo.

“Come si chiama questa creatura, Karkaroff?” chiese seccamente il Signore Oscuro.

Schattenwesen... Skìa” rispose il servitore, temendo di vedere in quei occhi di ghiaccio la delusione. Tentò di spiegargli qualcosa, per convincerlo della potenza inaudita di Skìa: “E’ in grado di intrappolare le creature viventi dentro di sé e riesce a diventare un’ombra di grandi dimensioni. E inghiottendo le proprie prede, può dare vita a nuove piccole Skìa, tramite la... Gemmazione”.

Il Signore Oscuro non disse nulla, ma trovò quelle informazioni tutto sommato utili. Skìa poteva essere utile a far sparire un po’ di individui sgraditi, nella massima discrezione.

Un altro schiocco brutale riecheggiò nella radura, facendo riapparire Bellatrix Black ed il consorte Rodolphus. La donna imprecava a denti stretti, con i capelli scompigliati, ed il bellissimo mantello squarciato in quasi tutta la sua lunghezza. L’uomo che la seguiva, portava fluttuando quello che agli occhi del potente mago oscuro pareva un puro e semplice ciocco di legno, con qualche ciuffo d’erba e qualche macchia di muschio sulla superficie rugosa.

Un moto di stizza prese il Signore Oscuro. Un’altra creatura insignificante, per giunta era un pezzo di legno, qualcosa che potevi trovare ovunque, anche sulla terra.

Esaminandolo accuratamente, però, notò come il legno non fosse del colore bruno che si trovava solitamente negli alberi comuni, era molto più scuro e si potevano scorgere numerose nervature ricche di umori rossastri. Il pezzo di legno presentava una grossa dentatura al centro. Era ben acuminata.

“Mio Signore! Questo stupido pezzo di legno ha rischiato di staccarmi la testa!” esclamò inorridita Bellatrix, puntando la bacchetta contro la preda immobilizzata.

“Bella non esagera” confermò Rodolphus in maniera pacata e composta, a differenza della moglie, che sembrava fuori di sé per quell’affronto. “E’ stata presa d’assalto da quei piccoli schifosi tronchetti isterici. L’hanno attaccata in gruppo. Penso ne abbia pure uccisi un paio…” aggiunse, facendo fluttuare la creatura di legno accanto a Skìa. In volto aveva un’espressione sprezzante, come se fosse stato umiliato nel profondo, nel dover compiere quell’azione per conto del proprio padrone. A differenza di Bellatrix, che avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche torturare i propri cari, se gliel’avesse chiesto il Signore Oscuro, lui era troppo nobile per sporcarsi le mani in una scalcagnata foresta. A caccia di cosa, poi? Di insulsi tronchetti di legno?

Non disdegnava mai la tortura ai danni dei maghi Nati Babbani, in compenso, prestandosi a quell’agghiacciante pratica con sadico piacere.

Karkaroff parve accorgersi del disgusto di Lestrange e leziosamente si mise ad esporre le sue conoscenze sulla curiosa creatura: “Rodolphus, è normale che gli Xylostros attacchino in gruppo. Sin da quando sono di piccole dimensioni, imparano a stare in gruppo: cacciano in gruppo, poiché sono carnivori, assieme crescono e solo assieme, mettendosi l’uno sopra l’altro, riescono a fermare addirittura i corsi d’acqua….”.

“Merlino, Igor, non essere stupido, sulla Luna non c’è acqua!” esclamò esasperato Rodolphus.

Seid still, Rodolphus!” sibilò lo slavo “Sto parlando del comportamento degli Xylostros sulla Terra. Queste creature non piovono da stasera in questo posto, è da secoli che la Luna piange! Maghi illustri del Medioevo per decenni hanno studiato questi mostri provenienti da là! Wie kann man nur so dumm sein?” esclamò rabbioso il Mangiamorte, ringhiando l’ultima frase in tedesco. Negli anni, quella lingua era diventata la sua lingua principale, dato che a Durmstrang si parlava in tedesco, sebbene molti studenti provenissero da paesi facenti parte dell’U.R.S.S. o dai Paesi Baltici.

“Vai avanti, Igor” lo sollecitò Lord Voldemort, irritato da quel bisticcio infantile. Sapeva molto bene che Lestrange fosse stizzito dal fatto che ora Igor fosse il fulcro della serata e che assorbisse tutta la sua attenzione. Anche Bellatrix era visibilmente irritata dal fatto che non fosse più la regina indiscussa della serata, ma in quel momento delicato e frenetico allo stesso tempo era in discussione il futuro delle Arti Oscure com’erano comunemente intese fino a quel momento.

“Dicevo” riprese l’interpellato, guardando con una certa gratitudine il proprio padrone “Gli Xylostros agiscono sempre in gruppo, e da adulti possono arrivare a distruggere interi villaggi, grazie alla robustezza dei loro rami. Possono sradicare edifici sin dalle fondamenta, con le radici che si ritrovano in età adulta. Gli unici maghi che riuscirono a sottomettere gli Xylostros ed ad usarli come una vera e propria macchina da guerra furono i maghi antenati degli armeni, per difendersi dagli antenati degli azeri. In quella zona, a cavallo tra l’Europa e l’Asia, si dice che crescano tutt’ora centinaia di migliaia di Xylostros indisturbati e che le popolazioni magiche del posto, con il legno di queste creature, siano in grado di costruire portentosi amuleti”.

Il Signore Oscuro ascoltava con un crescente interesse: era solo questione di farli crescere a dovere, quindi. Potevano rivelarsi degli eccellenti alleati, per poter distruggere villaggi pieni di Nati Babbani. 

Lentamente, ciascun pezzo di quel piano complesso sarebbe andato al suo posto, ed anche quelle creature in apparenza così insignificanti, avrebbero avuto un senso, tra le sue mani, poiché avrebbe posseduto pure i loro poteri magici. Le avrebbe controllate tutte, come si comandano le marionette con i fili, avrebbe guidato i loro movimenti verso una lenta ma profonda distruzione di quello che aveva sempre definito sporco, sgradevole, non degno di apparire sulla faccia della Terra.

Con un ghigno diabolico sempre più soddisfatto, accolse Lucius Malfoy, di ritorno da un altro angolo della foresta. Il suo più fedele servitore non pareva così contento: aveva l’aria di uno che aveva appena provato lo spavento più forte di tutta la sua vita. Era zuppo di sudore ed aveva il fiato corto. Fece lievitare con un gesto bizzoso la sua preda, faticosamente cacciata e catturata, e parve buttarla sopra le altre due, con sdegno e disgusto. Non disse niente, la sua espressione facciale era sufficiente a capire quanta fatica gli fosse costata quella caccia, alla quale aveva partecipato unicamente per compiacere il proprio signore.

Rispetto alle altre, la terza bestia era la più inquietante ed indefinibile.

Era avvolta in una sorta di manto viscido ed opaco, come se fosse una creatura appena nata. Lo strato viscido copriva quel piccolo corpo nella sua interezza, eccezion fatta per i piedi, simili in tutto e per tutto a quelli umani. La consistenza però, non era per nulla uguale a quella umana. Le piccole ossa erano fragili e semitrasparenti, se non totalmente trasparenti, in alcuni tratti, ricordando la delicatezza del cristallo. Sembrava un scheletro di cristallo puro.

“Fai piano, Lucius!” urlò Igor, estraendo la bacchetta per attutire la caduta della creatura. “E’ di cristallo, Crioshad, ed è devastante se si dovesse frantumare in mille pezzi!”.

Con un gesto rapido e ben coordinato, fece appoggiare Crioshad, immobilizzato, a terra.

“Ne ho ammazzato uno prima, di quei nani di cristallo. Si è polverizzato, in una nube acida e scura e guarda che cosa ha fatto al mio mantello!”.

Gli tese esterrefatto un lembo dell’indumento ed Igor constatò che quel tessuto lentamente si sarebbe cristallizzato. 

“Levatelo immediatamente di dosso” disse freddamente “Non vorrei tu diventassi di cristallo nel giro di... Diciamo qualche anno, se tutto va bene”. Narcissa si precipitò a togliere il mantello al marito, allarmata da quelle parole brutali dette dallo slavo.

Lord Voldemort era rimasto a guardare Crioshad incuriosito e sentendo Igor parlare dei poteri di quella gracile creatura, si voltò verso il proprio servitore.

Gli occhi di quell’uomo fin troppo consapevole di essere sadico e crudele, stava brillando una luce fin troppo nota ad i suoi adepti. Era la luce che scintillava negli occhi affamati del predatore, che, una volta catturata la preda, non vede l’ora di festeggiare il ricco bottino, dando inizio ad un banchetto infernale dove tutte le schiere di demoni erano invitati a godere di quella ricchezza, in un’estasi confusa e disordinata.

“...Igor, questa creatura può trasformare le persone in cristallo?” chiese, con una voce insolitamente acuta, carica di eccitazione.

“Mio Signore, è così: in forma adulta, Crioshad può ricordare nelle sembianze un Dissennatore, ma è dotato di un potere devastante, ovvero quello di lanciare una maledizione, più che un vero incantesimo. Questa maledizione s’impossessa del corpo dell’essere vivente, che sia un animale, un vegetale, od un umano, e lo controlla, fino a quando non è tramutato completamente in cristallo. Chiaramente, in un essere umano, specialmente se mago, la maledizione ci impiega molto tempo a svilupparsi, poiché Crioshad deve fare i conti con la volontà della persona che cerca di controllare. Non si hanno notizie però di maghi che sono riusciti a domare questa maledizione”.

Il demone tra i demoni non può accontentarsi di vedere la sofferenza, rapida e chirurgica, sulle proprie vittime. Perché non dare spettacolo, perché non fare dell’affliggere sofferenze inaudite un’arte sublime, che solo il migliore, il prescelto, avrebbe potuto avere il privilegio di praticare?

Tom Riddle sentiva il piacevole brivido del possesso unico ed esclusivo, del potere assoluto sopra tutti. Lui era nato per quello: per essere il mago più temuto dell’universo, nient’altro. 

Quella notte era stata proficua ed incredibilmente densa di eventi e questi avrebbero spalancato le porte della gloria a lui, ed a lui soltanto, giacché gli altri, per quanto bravi servitori, erano semplicemente degli schiavi al suo servizio, mera carne da macello. Senza offesa, o cattiveria. Lord Voldemort era convinto che la forza che reggeva il mondo assegnasse dei ruoli prestabiliti. La vita era una selva oscura, piena di insidie e solo i migliori riuscivano a scalare quella montagna di persone che vivevano senza infamia e senza lode.

Congedò tutti i Mangiamorte, con un gesto lento e quasi distratto. Lentamente, uno dopo l’altro, si smaterializzarono tutti, per precipitarsi nelle proprie case, a trovare riposo e requie. Tenne lì con sé solamente Karkaroff, che sembrava piuttosto onorato di essere rimasto l’unico nella raduna protetta, lì, con il Signore Oscuro.

“Crioshad ha qualche punto debole? Come lo si elimina?” chiese Voldemort lentamente.

I tre corpi minuti appoggiati a terra, erano illuminati dalle torce, dalle fiamme morenti. Lord Voldemort, alzò le braccia in un gesto teatrale, spegnendo le ultime lingue di fuoco. 

Igor Karkaroff rimase in silenzio.

“Crioshad, come Skìa e Xylostros, può essere eliminato solo con l’Ardemonio o l’Avada Kedavra”. 

Voldemort sorrise soddisfatto. Quelle creature oscure potevano essere eliminate solo con un fuoco maledetto e carico d’odio. Quanti maghi esistenti sarebbero mai riusciti ad evocare una fiamma oscura e devastante come quella dell’Ardemonio? Chi avrebbe mai provato un piacere perverso nel pronunciare la Maledizione senza Perdono che ti avrebbe mandato all’altro mondo? Pochi, ed erano tutti divenuti Mangiamorte al suo servizio. Ora si trattava di mettersi al lavoro, per poter schiacciare tutti gli impuri al più presto. Non c’era più tempo da perdere.

“Portali a Durmstrang, Igor Aleksandrovic. Sai quello che devi fare”. Era stato laconico, distante anni luce. Non gli interessava più di chi gli avesse dato tutte quelle informazioni. Era terminato il momento di splendore, di assoluto protagonismo di Karkaroff. Era un povero illuso a pensare che quel momento sarebbe durato a lungo. Ora era ritornato nella schiera dei Mangiamorte qualunque e doveva riguadagnarsi nuova gloria, nuovo prestigio, schiacciando l’odiato Lestrange, la gelosa Bellatrix ed il viscido Malfoy. Non voleva essere uno dei tanti, voleva vivere della luce del suo Signore Oscuro, esattamente come la Luna rifletteva i raggi di un Sole troppo lontano e troppo perfetto per potersi curare del resto del Sistema Solare. Voldemort, fondamentalmente, era un dannato egoista.

Con uno scoppio piuttosto ovattato, anche Igor Karkaroff lasciò la foresta dello Staffordshire, assieme alle sue nuove creature. Non aveva tempo da perdere.

* * *

Seid still”: modo educato in tedesco per dire “stai zitto” (perché il tedesco è molto ricco e ci sono venti modi per dirlo).

Wie kann man nur so dumm sein?”: “Si può essere così stupidi”? O, “Come si può essere così stupidi”. <3 Adoro sta frase in tedesco <3

 

Comunque, buongiorno a voi! Adesso mi direte che cosa mi sono fumata per tirare fuori un capitolo simile.

E’ vero, è tutta roba buona *me ride*.

Ma io non mi immagino un Voldemort moscio e loffio come purtroppo ho visto nei film (ed era interpretato da un grande attore, scusate se è poco). Lui è un stronzetto egoista che non si accontenta mai. Ha l’odio e crede in quest’odio e con questo deve far tremare le persone, capite? E figurarsi se si accontenta di qualche Crucio, di qualche Imperio...

 

In questo capitolo troviamo anche la gelosia di Bella di non poter essere la cocca sempre e comunque, un Rodolphus che non ha molto in simpatia Karkaroff e Malfoy che a momenti ci diventa una statuina di cristallo.

Queste tre creature, Skìa, Xylostros e Crioshad non sono ancora pronte per fare l’ingresso in Irish Rain. Karkaroff è un po’ come l’ingegnere pazzo sovietico delle storie, di alcuni videogiochi (chi ha giocato a “Command&Conquer: Red Alert” magari capisce di cosa sto parlando XD) lo lascerò sperimentare beatamente nel suo laboratorio con gli altri folli a Durmstrang. Ho immaginato la scuola in Germania, in qualche meandro della Foresta Nera, anche perché il nome non mi suggerisce altre località. Karkaroff, facendo qualche ricerca etimologica, è più plausibile che sia polacco, o giù di lì :D Gli ho voluto dare un po’ di allure russa con Igor Aleksandrovic, perché è semplicemente bello poter dare un po’ più di spessore ai propri personaggi anche con un nome in più che spiega un po’ di cose.

 

Per il prossimo capitolo, allacciate le cinture che si torna in Irlanda! Ed andremo a trovare i parenti irlandesi di Lily (e ci sarà tanto roccherolle, rock&roll. Evviva i cugini ribelli <3). La brutta notizia è che purtroppo per domenica prossima dubito fortemente di riuscire ad aggiornare, dato che ho una settimana di lavoro impegnativa, che mi porterà via praticamente tutte le giornate dal lunedì al venerdì. E nel weekend, sarò ben felice di ospitare a casa la mia amica The Edge Of Darkness. 

 

Quindi per il prossimo aggiornamento dovrete aspettare un pochino. In settimana sicuramente proverò a fare qualcosa di piccolo su “Fire On The Side” e “Dancer In The Dark”.

 

Vi ricordo la mia pagina Facebook, qui.

 

Grazie infinite per l’affetto con il quale mi recensite e mi seguite: anche voi, lettori invisibili! <3

 

Un abbraccio,

 

Alessandra :D

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Capitolo 22
*** Anger Never Dies ***


 

22.

Anger Never Dies


 

“Anybody can become angry - that is easy, but to be angry with the right person and to the right degree and at the right time and for the right purpose, and in the right way - that is not within everybody's power and is not easy”. 

Aristotele

 

L’Irlanda aveva nuovamente preso tra le braccia quei due giovani adolescenti. Li aveva accolti, generosa come sempre, con la sua esplosione di colori e di vivacità. Se li voleva coccolare in quell’Agosto interminabile; era amorevole come una madre, sbarazzina come una sorella dispettosa. Lily non stava più nella pelle, aveva atteso avidamente le vacanze dai parenti irlandesi. Non vedeva l’ora di rotolarsi per i prati di Galway, verdi e morbidi, presso il mare; smaniava per poter vagare per le strade della città in tutta libertà, senza limiti d’orario, senza che qualcuno andasse bellamente a spiattellare ai genitori quello che i ragazzini combinavano a zonzo per le strette vie. Galway aveva uno strano potere inebriante su quella ragazza. Forse erano i capelli rossi delle persone, che erano molto più frequenti lì, rispetto alle chiome castane chiare o bionde degli inglesi, forse erano proprio le persone, più allegre, più ospitali rispetto all’Inghilterra, a rendere la ragazza così radiosa e serena. Respirava a pieni polmoni quell’aria estiva, molto più frizzante e piena di vita rispetto a Cokeworth. Quel paese aveva la magia in ogni singolo antro e non la nascondeva, al contrario del paese natale di Lily e di Sev: la sfoggiava come una medaglia, o meglio ancora una corona tempestata di gemme preziose.

Dal canto suo, Sev aveva acconsentito a tornare a Galway, per il semplice motivo che in quella città venivano custoditi i suoi ricordi più belli legati alla sua amata. Quel paese era davvero magico, era riuscito a far avvicinare quei due ragazzi in maniera assolutamente naturale e ad unirli con un timido bacio. E da quel giorno in cui si erano baciati, l’Irlanda non aveva fatto altro che benedire la loro innocente e sincera unione. Anche la pioggia copiosa e mutevole d’Agosto appariva meno insopportabile del solito, meno dispettosa nel volerli sorprendere ed infradiciare. Era divenuta più simile ad un manto protettivo, tutto sommato piacevole. I due ragazzi avevano imparato ad apprezzare quella pioggia irlandese, a non curarsi dei vestiti zuppi, delle scarpe immerse nelle pozzanghere. Semplicemente, correvano sotto la pioggia indisturbati, come se fossero divenuti acqua anche loro, parte di quel meraviglioso e portentoso scroscio che gettava scompiglio nella grande città del Connacht. Perché sapevano che il sole sarebbe sempre tornato a splendere, riflettendo i propri raggi benevoli sul mare e sul fiume Corrib. I due ragazzi erano soliti sedersi presso quel corso d’acqua, appoggiati a grosse rocce, osservando i club di kayak in allenamento lungo il fiume.

Per il Serpeverde, dopo Hogwarts, Galway era il luogo in cui si sentiva davvero se stesso ed in quella natura più selvaggia ed orgogliosa trovava un’energia che lo faceva sentire bene, anche più in salute del solito. Aveva più voglia di camminare, di esplorare i meandri di quella città. Ma provava un certo piacere a lasciarsi andare sui prati ben curati dei parchi irlandesi: poteva rimanervi ore senza fare assolutamente nulla e non era certamente da lui, brillante studente di Hogwarts. Era in grado di strappare fili d’erba, di intrecciarli distrattamente, o di fare il dispettoso a sorpresa, infastidendo Lily con il solletico. Lei, per tutta risposta, gli tirava pizzicotti sulle braccia per farlo smettere. Farle il solletico era un’impresa non indifferente, in quanto Lily era solita a scatenarsi ed agitarsi come un’anguilla.

Anche l’attività più inutile ed insignificante era in grado di avere una bellezza tutta sua, in quel paese magico. 

E come non ricordare la musica celtica, che aveva fatto scattare la scintilla definitiva tra i due ragazzi? Per quanto Severus non potesse definirsi un amante della musica Babbana, quel genere era davvero di suo gradimento e lo ascoltava con molto piacere, assieme agli immancabili vinili posseduti da Lily, che aveva finito per apprezzare.

Presso la casa degli zii di Lily, Paul e Meara, non mancava una piccola stanza dedicata agli strumenti musicali, dato che la zia era una musicista, proprio in un gruppo che suonava musica celtica nel tempo libero. Alcuni anziani del vicinato mormoravano che zia Meara non fosse tanto normale. Si diceva che avesse delle strane abitudini e degli strani comportamenti, ma non lo dicevano con cattiveria o con quell’aria piena di finta compassione. In quelle parole sembrava nascondersi una velata invidia, un vago desiderio di stranezza. Lily più di una volta aveva sospettato che zia Meara fosse una strega, ma non aveva mai visto neppure un episodio di magia involontaria in lei. Probabilmente, aveva imparato a tenere a bada le sue stranezze, o meglio, i suoi poteri magici.

Lily quando aveva voglia di starsene tranquilla, si rifugiava in quella stanza. Non toccava gli strumenti musicali, eccezion fatta per il pianoforte. Era stata proprio quella zia ad avvicinare Lily a quello strumento: quando Lily era una bambina che si reggeva appena in piedi, Meara era solita farla sedere sulle sue gambe, mentre suonava il piano. La bambina aveva sviluppato un discreto orecchio e aveva provato a suonare con la donna, più di una volta. Da lì, Lily aveva cominciato a studiare pianoforte, non abbandonando lo studio dello strumento nemmeno quando era ad Hogwarts, avendo trovato la Stanza delle Necessità piena zeppa di strumenti un pomeriggio del terzo anno, mentre vagava per il castello in compagnia delle sue amiche. Non si sentiva un talento eccezionale, ma possedeva una buona scioltezza ed una solida tecnica, che le consentiva di suonare brani complicati. Non aveva mai amato il virtuosismo nel pianoforte, aveva sempre preferito brani calmi e sereni. Anche nel suonare quello strumento cercava sentimenti dolci e pacati, mai esagerati od affrettati. 

Quando Lily e Sev cercavano la tranquillità necessaria per poter tirare fuori i loro libri di magia, che dovevano rimanere nascosti agli occhi Babbani, si rifugiavano in quella stanza calda, con la mobilia in legno dal colore piuttosto chiaro. Bastava tirare fuori un vinile qualsiasi, la maggior parte delle volte erano i The Beatles, o talvolta erano i The Who, per fare in modo che gli adulti capissero che i due si stavano rilassando in quella stanzetta e che non volevano essere disturbati. 

In un batter d’occhio, il pavimento, e persino il tavolino di vetro con la base in ferro battuto, si riempiva di libri e di pergamene. La grossa borsa di Lily rimaneva sempre a portata di mano: nel caso in cui ci fosse stato un Babbano in zona, che non fosse uno dei genitori di Lily, avrebbero potuto riporre tempestivamente i libri là dentro.

Stavano bene in quella piccolo locale, ben soleggiato, grazie alla finestra ampia che dava verso i prati e verso il mare. Non parlavano molto, salvo quando avevano bisogno dell’aiuto dell’altro. Lo scricchiolio dell’osso della piuma sulla pergamena poteva essere talvolta confuso con il graffiare della puntina del braccio del giradischi. Poteva capitare che la giovane Grifondoro alzasse la testa preoccupata, dopo qualche graffio di troppo: ci teneva terribilmente ai suoi vinili, faticosamente comprati con le paghette dei genitori. Voleva evitare che una stupida puntina potesse rovinarle l’LP.

Mentre studiavano, Lily e Sev rimanevano a stretto contatto l’uno con l’altra. Non di rado la gamba della ragazza sfregava contro quella magra e pallida del Serpeverde, così come capitava che Sev allungasse una mano e toccasse il dorso della mano di Lily, come per incoraggiarla a continuare a studiare ancora per poco, prima di uscire a divertirsi, fino a sera.

Durante un pomeriggio piuttosto piovoso e freddo per essere Agosto, i due vennero interrotti da dei passi pesanti e sgraziati, che sembravano proprio dirigersi verso la loro stanza. In un battibaleno, fecero sparire i loro libri e Lily corse ad alzare un po’ il volume delle casse collegate al giradischi. Chiunque si stesse avvicinando alla stanza, doveva essere in grado di apprezzare “Who’s Next” dei The Who. Altrimenti, la ragazza avrebbe allontanato gli scocciatori in poco tempo.

La porta si aprì, senza la minima grazia od eleganza, sbattendo lievemente contro il muro. Questo gesto sgraziato ed irruento fece sobbalzare i due, che si voltarono a guardare con meraviglia la ragazza che aveva spalancato la porta.

Maeve Moore, la ribelle tra i due figli di Paul e Meara, la cugina di Lily, li osservava con un ghigno vagamente soddisfatto.

“Meno male che non sono tutti dei vecchi bacucchi in fatto di musica!” esclamò contenta, entrando senza chiedere minimamente il permesso. Ai piedi portava degli stivali neri un po’ infangati per nulla femminili e le stringhe erano tutte slacciate. Era vestita di nero, con dei pantaloni molto attillati e con un giubbino di pelle sopra la maglietta scollata. 

Già a giudicare dal suo abbigliamento, Lily si chiese come Maeve potesse uscire di casa conciata così. Gli zii non le erano mai sembrate delle persone di vedute troppo ampie, ma poteva benissimo sbagliarsi: dal canto suo, poteva dirsi piuttosto fortunata ad aver avuto una madre esuberante e vivace a suo tempo, addirittura cacciata di casa per qualche giorno. Con le figlie Norah Evans aveva adottato un atteggiamento rigoroso, ma era disposta a far correre qualche bravata, specie quelle Lily, dato che Petunia era un’insopportabile e noiosa bacchettona. Probabilmente, la bionda sorella aveva preso il peggio del sangue irlandese che scorreva nella famiglia materna.

Quello che impressionò di più la Grifondoro erano i capelli cotonati della cugina, di un colore castano scuro, lunghi fino alle spalle, ed il pesante trucco agli occhi marroni. Per un attimo, Lily provò ad immaginare le litigate tra zia Meara e Maeve per il trucco ed i capelli tinti. La ragazza a diciannove anni riusciva a spuntarla sempre lei su quelle discussioni, senza troppe difficoltà. 

Maeve si buttò sulla poltroncina della stanza e sorrise ai due ragazzi. C’era da dire che era proprio graziosa come ragazza, abbigliamento a parte.

“Cuginetta Lily, tu si che te ne intendi! Lascia però che ti dia qualche altro consiglio... Roba forte” disse, facendo l’occhiolino a Sev “Che ne dici, ometto?”.

Severus arrossì violentemente, un po’ perché era stato chiamato in causa, un po’ perché quell’appellativo lo faceva sentire ridicolo. E non era la prima volta che lo chiamava con quel nomignolo imbarazzante.

“Maeve, chiamami Severus” ringhiò il ragazzo, piccato, senza la minima gentilezza.

La ragazza si alzò in piedi, ed iniziò a frugare negli scaffali dedicati ai vinili, ignorando per qualche attimo il richiamo del giovane.

“Ehi, ehi, Severus, calma! D’accordo, ti chiamerò così, non t’agitare” rispose a scoppio ritardato, mentre sembrava aver trovato il disco desiderato. Fece segno a Lily di togliere il suo vinile dei The Who, che lo ripose nella custodia con estrema cautela. Maeve si avvicinò al piatto, tenendo ben nascosto il logo del gruppo dagli occhi dei due ragazzi. Alzò il braccio del giradischi con cura, vi sistemò il proprio LP e abbassò il braccio, appoggiando con cura la puntina sulla superficie nera.

“Questa è roba per duri, ascoltate bene, marmocchi!”.

Lily guardò irritata la cugina: di tanto in tanto riusciva ad essere insopportabile, quando parlava in quella maniera; aveva solo quattro anni in più rispetto a lei, eppure si atteggiava a donna matura e piena di esperienze, che chiaramente nessuno di loro avrebbe mai capito.

Maeve alzò il volume delle casse, quando attaccò il primo riff di chitarra, grezzo e deciso. Si ripeté un paio di volte, prima che una voce unica, che i due ragazzi non avevano mai sentito prima di allora, si fece largo. E intanto quel riff di chitarra continuava a martellare in sottofondo.

 

You need coolin', baby, I'm not foolin'

I'm gonna send ya back to schoolin'

Way down inside, a-honey, you need it

I'm gonna give you my love

I'm gonna give you my love, oh

 

Wanna Whole Lotta Love

Wanna Whole Lotta Love

Wanna Whole Lotta Love...

 

Lily e Sev urlarono contemporaneamente alla cugina di abbassare il volume, non appena la batteria fece il suo ingresso, istintiva e martellante.

Maeve aveva socchiuso gli occhi, imitando i movimenti del batterista, e disse semplicemente: “Ohi, sono i Led Zeppelin! È un crimine abbassare il volume quando suonano loro!”. Detto questo, continuò a dimenarsi, come in preda all’estasi. I due la guardavano come se fosse ammattita di colpo. Sev scosse la testa, perplesso, e tornò a sedersi. Dalla borsa di Lily estrasse l’unico libro babbano che si erano portati dietro, un semplice libro di avventure.

Lily rimaneva impalata a guardare la cugina divertirsi, seguendo il ritmo della musica. Inconsapevolmente, la giovane si ritrovò a battere un piede contro il pavimento ed a far oscillare la testa, anche lei a tempo. La voce di quel cantante aveva un che di affascinante e selvaggio. Non aveva mai sentito cantare così, in quella maniera totalmente viscerale. Non le dispiaceva affatto. Quella canzone aveva un suono così diretto, un pugno nello stomaco che si tramutava in gentile carezza che faceva rabbrividire.

Non c’era modo di stancarsi di quella canzone, era meravigliosa, così piena di passione, quasi da far arrossire Lily, sebbene non ci fosse nulla per cui provare imbarazzo. Pertanto, si decise a mettersi a ballare con la ragazza, sotto lo sguardo sconcertato di Sev, che scosse la testa e tornò a leggere il suo libro, con fare assorto.

Finito il brano, Maeve si decise ad abbassare il volume una volta per tutte. Sembrava al settimo cielo e Lily si era scatenata e si sentiva decisamente bene, come se si fosse sfogata.

“Brava cuginetta! Sei sulla buona strada per diventare come me” osservò Maeve, con un ghigno.

Sev alzò la testa dal volume e guardò con sguardo truce Maeve.

Non ti azzardare a dare strane idee a Lily. 

Rifletté tra sé e sé che la sua ragazza era bella così com’era, non aveva di certo bisogno di riempirsi gli occhi di trucco scuro, come se l’avessero presa a botte. I suoi occhi rimanevano di un verde unico ed irripetibile. Lo spirito ribelle, poi, non le mancava affatto. Non era l’abito a determinare un certo carattere od un certo atteggiamento. Sev trovava questo tipo di questioni una pura e semplice buffonata.

Maeve in tutta risposta gli fece una linguaccia, al che il ragazzo roteò gli occhi, fissando il cielo. Fare linguacce era una caratteristica tipica delle donne irlandesi di casa Moore, ma anche di casa Evans.

“Rilassati, bimbo, stavo solo parlando di musica, quanto sei permaloso. Che tipo che sei” ribatté sarcastica Maeve, che si rimise a cercare altri vinili nella collezione, estraendone un altro. Sev pensò che sì, effettivamente aveva una leggera tendenza a perdere la pazienza molto facilmente, ma non era nulla di grave, dopotutto.

Sabbath Bloody Sabbath, senti qua che forza!” esclamò la ragazza, rivolta a Lily, che oramai pendeva dalle labbra della cugina ribelle, la vera pecora nera di casa Moore. In qualche modo, sapeva cosa volesse dire essere la persona diversa in famiglia, quella che, suo malgrado, si ritrova addosso gli sguardi di tutti, poiché il suo essere differente causa disagi e invidie profonde.

Per un istante, pensò a quanto si sarebbe potuta divertire con una sorella strega. Quanto avrebbero potuto condividere assieme, quanto avrebbero imparato camminando l’una accanto all’altra. Sarebbero state due persone affiatate ed unite.

Tuttavia, Lily si rese conto che se Petunia avesse posseduto dei poteri magici, lei non avrebbe mai conosciuto Severus. O forse sì, non lo sapeva con esattezza. Solo che non sarebbe mai stata la stessa cosa.

La vita le aveva tolto il legame profondo con una sorella che ora la disprezzava e la trattava come se fosse un soprammobile, ma, allo stesso tempo, le aveva regalato una persona unica, che l’amava proprio per quello che era. Severus.

A volte, la Grifondoro si perdeva in quelle spirali di riflessioni, fatte d’ipotesi, di se e di ma. Si sentiva sciocca ogni volta che le capitava. L’incertezza non l’aveva mai aiutata, semmai era sempre stata in grado di gettarla nella confusione: si accontentava dei fatti che aveva di fronte a sé, delle certezze. Quindi, si limitò a guardare Sev che leggeva assorto e sorrise, pensando che non ci fosse dono più bello nella sua vita. 

La musica era partita da qualche minuto, ma la giovane non se n’era accorta, essendosi persa nei suoi castelli in aria. Maeve le tirò una gomitata, mostrandole l’artwork e la custodia del vinile.

Le melodie rimanevano sempre sul rock, ma erano certamente più funeree e lente. La voce del cantante non la faceva impazzire, la trovava estremamente sgraziata.

“Mi piaceva di più... Come si chiama quello dei Led Zeppelin?” chiese innocente Lily.

Robert Plant”

Maeve lo disse come se si fosse trattata della sua unica ragione di vita, come se stesse parlando della persona più meravigliosa del mondo. Si portò una mano sul cuore e sospirò, piena d’amore e di ammirazione.

“E questo qui invece è...?”

Ozzy Osbourne. Black Sabbath, ricordatelo tesoro, questi qua saranno delle leggende!”.

Sev non ebbe il coraggio di dirlo, né tantomeno voleva dare una soddisfazione a quella folle di Maeve, ma i Black Sabbath non gli dispiacevano. Erano cupi al punto giusto per i suoi gusti. Ed avevano delle melodie a volte più da scoprire, da riascoltare, rispetto al gruppo di prima, senza nulla togliere ai bravi Led Zeppelin. 

Continuò a quel punto a fingere di leggere il libro, godendosi il vinile in tutta tranquillità, intanto che le due ragazze parlottavano di tanto in tanto e si divertivano ad improvvisarsi ballerine.

“Ah, senti qua, è proprio magica questa canzone!” esclamò Maeve di punto in bianco, catturando l’attenzione di entrambi.

La parola “magica” mise sul chi vive i due ragazzi. Non volevano che trapelasse nulla della loro natura di maghi, anche perché non potevano fare magie o rivelare i propri poteri ai Babbani.

“M-magica?” chiese un po’ titubante Lily, bloccandosi di colpo. 

Sabbra Cadabra, perché è così che dicono i maghi, no? Per fare le magie!” disse ridendo la ragazza, continuando ad ascoltare attentamente il vinile, intanto che accennava ancora a qualche passo di danza.

Quella frase che a Maeve sembrò una frase assolutamente normale, suonò come la facezia più divertente alle orecchie dei due, che si scambiarono un’occhiata tra il divertito ed il profondamente perplesso, incerti se ridere o meno.

Sev per tutta risposta si portò una mano sugli occhi, scuotendo la testa e brontolando.

“Merlino, cosa mi tocca sentire” borbottò il Serpeverde. Lily scoppiò a ridere fragorosamente.

Il ragazzo si sentiva preso in giro nella sua natura di mago, nel suo orgoglio di abile praticante di arti magiche. Su quello poteva dirsi terribilmente permaloso. Se avesse potuto, avrebbe estratto la bacchetta magica dalla tasca dei pantaloni e le avrebbe mostrato cosa era in grado di fare in qualità di uno dei maghi più promettenti di tutta Hogwarts.

“Sabbra Cadabra! Ma come si permette quella sudicia Babbana?!” pensò sdegnoso il Serpeverde, e probabilmente quel sentimento era ben visibile agli occhi di tutti, perfettamente dipinto sul suo volto.

Lily rideva. Maeve cercava di capire che cosa avesse detto di così tanto divertente.

Severus rimase di colpo pietrificato sulla poltrona. Cosa aveva pensato?

Sudicia Babbana.

Non era possibile. Le mani stringevano forte il libro e il cuore gli batteva all’impazzata. Stava solo scherzando Maeve, perché tanta cattiveria gli stava sgorgando dall’animo? Perché l’aveva insultata gratuitamente?

Non aveva detto nulla di male, era solo una frase dettata dall’ignoranza della ragazza per quanto riguardava il mondo magico. I Babbani come suo padre, quell’uomo spregevole e senz’anima, erano quelli da disprezzare, da odiare visceralmente, da cruciare senza pietà, per la sofferenza che causavano ai maghi come lui. Perché aveva offeso nella sua mente una ragazza innocente, che probabilmente sarebbe rimasta indifferente di fronte all’argomento magia?

Non aveva colpe. Non ne aveva per nessun motivo al mondo, Merlino.

Quel gorgoglio sinistro tornò a fargli visita, accarezzandogli la gola con qualche artiglio ben acuminato. Era riuscito a tenerlo a bada così bene, ma nell’ombra e nel silenzio era cresciuto di parecchio, soprattutto quando Silente lo aveva sconvolto con quel colloquio, poco prima della fine dell’anno.

Quelle parole erano state tutto nutrimento per la bestia che teneva dentro di sé. Il suo drago le aveva inghiottite avidamente, sminuzzandole con i denti grandi e assetati di prede da divorare. 

Adesso, era come cercare di nascondere un mostro di grandi dimensioni sotto una coperta troppo piccola. E questa bestia, astutamente, stava cercando di mimetizzarsi, di diventare in maniera subdola parte di lui, senza che Severus potesse accorgersene.

Si sentiva male, si sentiva terribilmente a disagio e aveva solo un desiderio: quello di andare via da quella stanza, di lasciare intatta e perfetta quell’atmosfera allegra e serena. Perché nessuna di quelle due ragazze si meritava di essere dilaniata da una bestia che bramava la libertà più cruda e selvaggia.

Chiuse il libro di scatto e si alzò in piedi. Si sentiva soffocare in quella stanza ed aveva l’urgenza di scappare di lì. Quel drago era responsabilità sua e sua soltanto. Se c’era una persona che doveva essere ferita dalle zanne che aveva lasciato crescere, quella doveva essere lui. 

“L-Lily” la chiamò piano, deglutendo a fatica, come se gli bruciasse tutta la gola per davvero.

Lei si voltò, preoccupata, perché la voce di Sev era diventata un pigolio debole e fragile. 

Si avvicinò e si sedette accanto a lui, guardandolo negli occhi premurosa ed anche curiosa di capire che cosa gli stesse prendendo.

“S-Sev?” provò a chiamarlo così, molto semplicemente, evitando ulteriori domande. Il ragazzo aveva un’espressione spaventata in volto e notava che respirava a fatica.

Il ragazzo cercò ancora una volta di ricacciare giù gli artigli, benché gli stessero scarnificando la trachea. Li spinse giù, con forza, nel loro cantuccio buio e senza aria, affinché ci potessero rimanere ancora un poco.

“Vado a sdraiarmi” disse, mentre si alzava con decisione dal divano. Alzarsi in piedi gli parve uno sforzo titanico, la testa gli doleva, come se stesse cercando disperatamente di tenere a bada ogni singolo pensiero. L’impulso era quello di lasciarsi cadere tra i cuscini, per non rialzarsi più, soccombendo al fuoco oscuro che lo bruciava. Nei momenti in cui il drago cercava di farsi strada dentro di lui, però, scattava un meccanismo di autodifesa, che imbrigliava e congelava tutti i pensieri, tutti i movimenti fuori posto. Era come se si congelasse, tenendo in vita solo le azioni necessarie e i bisogni essenziali.

Lily lo fissò perplessa, fortunatamente Maeve era presa dai Black Sabbath e non stava più dando retta ai due ragazzi. Ne approfittò per seguire Sev: uscirono dalla stanza e Lily chiuse la porta dietro di sé, senza sbatterla, accostandola appena. Il ragazzo camminava piano, misurando attentamente ogni passo, per non far rumore, per passare inosservato. Vedeva solo se stesso in quel momento, non si era nemmeno accorto che la sua amata lo stesse seguendo.

“Che cos’hai?” chiese lei, rompendo quel silenzio irreale che si era creato. Provava fastidio a disturbarlo, era una delle cose che odiava di più, irrompere nel suo mondo travagliato. Ma lei si sentiva in dovere di farlo, per impedire che si chiudesse ermeticamente in se stesso.

Forse Sev non se n’era accorto, ma lei si era resa conto che il chiudersi in se stesso di Sev era diventato molto frequente negli ultimi tempi. La Grifondoro a volte lo lasciava fare, ma quando gli episodi si facevano troppo frequenti, l’istinto le suggeriva di intervenire e di richiamare il ragazzo nel mondo reale, di aprirsi e lasciare che si confidasse con lei. Era un buon compromesso.

Il ragazzo si voltò molto lentamente, evitando accuratamente lo sguardo limpido e sincero di Lily. Temeva che i suoi occhi neri bruciassero d’ira incontrollata, di fiamme malsane e profondamente disturbanti, per chiunque osasse immergervisi.

“Ho bisogno di un po’ d’aria” ribadì con voce secca e priva di espressione.

La ragazza sapeva bene come muoversi per potersi avvicinare al ragazzo in difficoltà. Come prima cosa doveva rimanere a distanza, per non soffocarlo. Come seconda cosa, non doveva abbandonarlo con gli occhi, perché lui era molto sensibile all’intensità dello sguardo di lei. Se l’avesse guardata in faccia, allora si sarebbe potuta avvicinare. Era una piccola strategia che la Grifondoro aveva studiato e perfezionato con gli anni. A volte, era come cercare di convincere un gatto diffidente ad avvicinarsi a lei. 

Lei lo guardò, ancora un po’ incerta.

“Come vuoi, Sev. Tu lo sai che...” 

“...Che se voglio, sei qui per me e ne possiamo parlare” finì Sev, accennando ad un sorriso un po’ sofferente e guardandola finalmente negli occhi.

“Ho solo bisogno di... Un po’ d’aria fresca, davvero” cercò di rassicurarla. 

Mi sento patetico, mi sento un verme a tenerti nascosto tutto. Ma è per il tuo bene.

Lily s’illuminò in volto e finalmente poté avvicinarsi a lui. Allungò una mano sul viso magro di Sev e gli accarezzò una guancia. Si guardò attorno rapidamente e si avvicinò ulteriormente per dargli un bacio sulle labbra. Volevano tenere il loro legame al sicuro da occhi indiscreti e da adulti impiccioni.

“Allora vai fuori. Dopo ti raggiungo” disse lei con un sorriso. Indietreggiò e tornò dalla cugina che continuava ad ascoltare musica ad alto volume.

Severus accelerò il passo, attraversando il corridoio, evitando la sala da pranzo dove si trovavano le donne di casa a parlare, passando per il salotto decisamente meno popolato e più quieto. Aprì la porta con cautela, per non sbatterla e non disturbare nessuno.

Appena fuori, corse verso il parco, con il dolore che lo attanagliava al petto ed un’improvvisa voglia di crollare lì, sulla prima panchina a disposizione. Non gliene importava nulla della pioggia battente, del freddo. Anzi, quell’acqua purificante era persino ben accetta.

Aveva voglia di riversare su quel legno, su quell’asfalto, tutte le lacrime che aveva in petto.

Poteva anche riempire di luce quella parte oscura di sé, di lasciarla libera alla luce pallidissima e grigia del pomeriggio piovoso di Galway. Poteva cogliere l’occasione per lasciare che quel drago si liquefacesse al tocco delle gocce sacre di pioggia. Poteva essere il momento perfetto per indebolire quella bestia e rigettarla nel suo cantuccio, flebile come non mai.

Semplicemente, non ce la faceva, non era ancora pronto per infliggerle il colpo di grazia. Non aveva ancora la forza di affrontare quello scontro devastante, perché voleva sapere da dove nascesse quel drago nero e pieno di rabbia, di che cosa si nutrisse, perché avesse scelto proprio lui come rifugio e come strumento.

Arrivò al parco, con gli indumenti già zuppi. Aveva imparato a non curarsi di quella pioggia, perché sapeva che prima o poi avrebbe lavato via ogni sua colpa. E sapeva che, una volta purificato, sarebbe stato degno di stare accanto a Lily un’altra volta.

Si buttò sul sedile di un’altalena e rivolse lo sguardo verso il cielo e le nubi cariche d’acqua, provenienti dall’oceano.

Chiuse gli occhi e respirò a fondo, lasciando che quelle gocce lo colpissero in pieno volto, sulle spalle, sul petto, su tutto il corpo. Con violenza, delicatezza, furia, come se fossero carezze provenienti dalle mani più morbide e vellutate. In quel momento gli era indifferente.

Lentamente, iniziò a ricordare.

 

“Severus, sei troppo intelligente per rimanere al di sopra di tutto questo. Io ho bisogno che tu mi aiuti” disse Silente, in piedi, con le mani appoggiate al grosso tavolo in legno. I suoi occhi azzurri erano fermi, freddi, pur essendo di un azzurro molto vivo. Le lenti a mezzaluna rilucevano, grazie alla luce danzante delle molte candele.

“Preside” Severus cercò di rimanere calmo, senza tradire alcuna emozione “Ho solo quindici anni. Che cosa posso fare per lei? Ben poco, penso”. Lui aveva avuto bisogno del Preside per cercare di spiegargli che Mulciber ed Avery avevano ripreso ad avere comportamenti sospetti. Che lui... Sapeva delle intenzioni dei Mangiamorte, di Lucius Malfoy. 

Ogni parola era ragionata, misurata ed appropriata. Il Preside rimase molto colpito da quella maturità ed aveva intravisto in lui la persona adatta al compito più delicato di tutti.

Aveva ancora bisogno di analizzarlo, di esaminarlo, di capire se potesse davvero fidarsi di lui.

“Hai già fatto molto, Severus, e non te ne sei nemmeno accorto. Oppure, non vuoi ammettere a te stesso l’importanza di questo gesto”.

Il ragazzo lo guardò attentamente, continuando ad apparire più o meno imperturbabile.

“Tu mi hai rivelato un legame importante tra alcuni tuoi compagni, un Mangiamorte ed il Signore Oscuro. Non è poco. Ma mi chiedo per quale motivo tu l’abbia fatto”.

Severus deglutì, ma rimase fermo ed in silenzio. 

Silente osservò che quel ragazzo aveva un autocontrollo spaventoso. Sapeva cosa mostrare e cosa nascondere al Preside della Scuola di Hogwarts. Magari non n’era ancora ben conscio, ma poteva diventare un eccezionale Occlumante. E un carattere un po’ scaltro e diffidente rispetto agli altri era quello che cercava nella persona da avvicinare al Signore Oscuro.

“Ragazzo, tu conosci il valore delle parole. Non mi sembri un ragazzo che le usa a sproposito. Le hai dette a me, in quanto autorità massima di Hogwarts, ma anche perché sembravi non vedere l’ora di liberarti di un peso”. 

Silente aveva colto il lato più debole di Sev, il lato goffamente esposto, quello che ancora doveva imparare a mascherare. Aveva trovato un modo per valicare il muro che il ragazzo stava cercando di ergere.

“Le parole hanno un potere enorme. Sai bene che noi, pochi privilegiati che possiamo controllare questa enorme forza magica che abbiamo dentro di noi, proprio tramite le nostre parole”.

“E tu sai come Mulciber ed Avery, tuoi compagni di casa, siano stati affascinati dalle parole e dalle intenzioni del Signore Oscuro. Dobbiamo fermare il Signore Oscuro, affinché non attragga a sé altre persone. Tu non mi hai detto niente per caso. Tu hai cercato me, io adesso cerco te e ti chiedo aiuto”.

Severus era pietrificato. Così Silente cercava il suo aiuto. O perlomeno, sembrava sondare il terreno per fargli una proposta non indifferente.

Poteva alzarsi in piedi, lasciare quello studio indignato da quelle parole. Invece rimase ad ascoltare. Tanto, pensò sarcastico, era dentro quel vortice fino al collo. Tanto valeva immergersi fino in fondo. 

“Mi dica, allora, Preside” disse alquanto distaccato. Dentro di sé, sapeva che si stava andando a cacciare ancora di più in una palude irta di pericoli.

Silente rimaneva sempre più stupefatto di come quel ragazzo rimanesse in totale controllo del caos che provava dentro. Probabilmente, davanti ad una persona a lui cara, avrebbe perso il controllo e sarebbe crollato, accartocciandosi su se stesso.

E solo per quello, il vecchio mago si rese conto di averne bisogno più che mai, perché quel ragazzo aveva un’abilità cristallina nel dissimulare, di chiudersi ostinatamente in una fortezza, quando necessario. Andava semplicemente addestrato e allenato. Di una cosa era certo: Severus Piton sarebbe diventato la spia perfetta e avrebbe fatto qualunque cosa per averlo come alleato; non era di certo una persona da avere come nemico.

Non si dilungò in molte parole circa l’Ordine della Fenice, per evitare che il ragazzo facesse troppe domande inutili. Gli parlò in maniera pura e semplice di Lord Voldemort, dei suoi obiettivi, che Sev aveva potuto in qualche modo intuire, e di cosa occorreva fare per sconfiggerlo.

Nel momento in cui Silente ammise di essere in cerca di una persona per un ruolo delicato, ma cruciale, Severus aveva capito. 

Non era una ragazzo stupido. Era un Serpeverde, sapeva delle azioni di Mulciber ed Avery, non si sarebbe fermato ed avrebbe indagato ulteriormente per i fatti suoi, perché questa era la sua natura e non poteva cambiarla. Non poteva nemmeno fermare la sua curiosità verso le Arti Oscure, con la grossa differenza che non le avrebbe mai usate per fare del male a qualcuno in maniera assolutamente gratuita. 

Albus Silente aveva bisogno di una spia, di una persona assolutamente fidata da addestrare, da avvicinare a Lord Voldemort.

“Ho bisogno di una spia. E tu hai il carattere giusto, Severus. Tu con me puoi distruggere Voldemort”.

Il ragazzo era rimasto in silenzio, per un tempo che a Silente parve infinito.

Aveva solo quindici anni. Poteva davvero essere la persona adatta?

Era un compito rischiosissimo. Poteva finire molto male, se scoperto dal Signore Oscuro, che non era certamente clemente, a giudicare dalle conversazioni preoccupanti di Mulciber ed Avery.

Ma era l’unica possibilità per poter fare qualcosa di concreto ed utile in quella battaglia che si stava preparando all’orizzonte. Era una scommessa ardita: in caso di vittoria, avrebbe potuto essere artefice di un’azione incredibile. Ma non era la gloria che cercava, lui cercava l’amore di Lily. Rimaneva un ragazzo affamato d’amore. E voleva proteggere quel sentimento meraviglioso, quella persona che difficilmente avrebbe ritrovato nella vita. Lei era la ragione per cui avrebbe potuto compiere quella follia.

Silente lo osservava attentamente, affascinato da quegli occhi neri che bruciavano, vivi più che mai; lasciavano intendere la sua attenta valutazione della proposta.

“Ho tempo per pensarci ulteriormente su? Ho bisogno di tempo” fu tutto quello che il ragazzo riuscì a dire.

“Abbiamo ancora un po’ di tempo. Non oltre Dicembre, però”. Nel frattempo, benché fosse praticamente sicuro che il Serpeverde avrebbe accettato, avrebbe continuato a valutare altri candidati. Non poteva fidarsi di una sola persona, in quel caso. Doveva per forza riporre la propria fiducia in altre persone.

Non si dissero più nulla, ma entrambi rimasero fermi al loro posto per qualche minuto, senza guardarsi, né parlarsi.

 

Sev riaprì gli occhi e quel lungo ricordo si dissolse nell’aria. Quel ricordo gli era parso lungo come l’eternità. Il tempo era cambiato, la pioggia aveva cessato di cadere. Le nubi non erano più compatte nel cielo, erano sfilacciate, lasciavano filtrare i raggi del sole, che lentamente accarezzavano il viso del ragazzo.

Si sentiva meglio, ma il conflitto persisteva, l’aveva solo calmato per un po’. Ed avrebbe dovuto scegliere se accettare o rifiutare la proposta di Silente. A volte non dormiva la notte, ripensando ossessivamente agli aspetti negativi o positivi di quella proposta assurda. E sopra tutti quei pensieri, rimaneva sempre la sua Lily a reggere i piatti della bilancia. 

Lily l’aveva raggiunto al parco giochi, ed era davanti a lui, luminosa come una creatura sovrannaturale. Sev teneva gli occhi socchiusi, per la strana luce che si era creata dopo la pioggia, ed era forse per quello che le pareva così tanto celestiale, e vagamente sfocata.

Aprì gli occhi e la ragazza divenne nitida, meravigliosa come sempre. Benché glielo dicesse veramente di rado; e quelle poche volte che glielo diceva, lei si scherniva.

Non si parlavano. I passi di Lily verso di lui erano dei fruscii gentili sull’erba. I suoi sandali scuri si tuffavano nell’erba che non era ben tagliata e curata come quella delle migliori ville di Galway.

Il sorriso rassicurante di Lily tranquillizzò il ragazzo, che rimase seduto sull’altalena, dondolandosi lentamente avanti ed indietro.

Il cigolio lento e cadenzato dell’altalena si fermò quando la ragazza fu davanti a lui. Sev fece per alzarsi, perché sapeva che lei era arrivata per riportarlo a casa. Lo riportava a riva, dopo che aveva nuotato in mezzo ai mulinelli ed alle onde.

Ma lei lo fermò, appoggiando con delicatezza le mani sulle sue spalle.

In un attimo, con un gesto delicato, Lily aveva appoggiato la testa di Sev sul proprio petto. Lo circondò con le braccia ed i capelli rossi caddero gentilmente in avanti, come per proteggerlo.

Non era ancora donna Lily, era ancora piuttosto acerba, e sapeva che lei non sarebbe mai stata troppo generosa, rimanendo con un corpo minuto e fragile. Ma se poteva essergli di conforto, non si tirava mai indietro e lo abbracciava più che poteva.

La ragazza sentiva il respiro di Severus sul suo petto. Era caldo e lentamente tornava ad una velocità normale e sembrava sempre più rilassato. Lily passò le dita tra i capelli di Sev, come se glieli stesse pettinando affettuosamente. Il ragazzo si strinse ancora di più a Lily e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare e proteggere da lei. Si sentiva estremamente fortunato ad avere una ragazza come lei, non poteva lasciarsela scappare. Per lei avrebbe dato la vita, il sangue, avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche la più insensata.

Non avevano bisogno di parlare, poiché lei aveva capito il tormento del ragazzo: come poteva costringerlo a sputare l’osso, se non se la fosse sentita? Lei era una strega anche in quello. Sentiva tutto il mare in tempesta di Severus. Si metteva su uno scoglio ed aspettava, con la lanterna in mano, per guidarlo a casa, ancora una volta. L’importante è che Severus fosse riuscito a seppellire nelle profondità del mare, seppur temporaneamente, i suoi problemi. E lei avrebbe vigilato attenta, pronta ad intervenire alla tempesta successiva.

“Andiamo a casa, Sev” gli sussurrò con dolcezza Lily.

Sev si alzò, la prese per mano, e finalmente poté camminare nuovamente verso casa.

 

* * *

Un capitolo che ha preso una bella piega strana ed inaspettata XD Perché è scoppiato, come la rabbia che dorme dentro il petto! Come la rabbia di Sev, che nei mesi non è stata che nutrita dall’episodio di Mulciber ed Avery, dalle parole di Silente... Insomma, il drago si sta nutrendo e ha i graffi sempre più profondi. Certo che Albus trova il modo di mettere in difficoltà Sev senza troppi giri di parole... Beh, con Harry non è che l’abbia protetto da molte cose, l’ha ben spinto nel macello e nel caos. E mi sembra plausibile che sia capace a dire un ragazzo che le cose si stanno mettendo male e che ha bisogno di aiuto senza mezzi termini. Soprattutto quando dice “tu hai bisogno di me, io di te”, come se ci fosse comunque un prezzo da pagare. Comunque, Albus non ha finito nel porre le condizioni... Ma arriveranno più avanti le condizioni per diventare spia di Silente (che poi Silente pensa che Severus serva lui e basta... Seh, l’importante è crederci, hai presente Lily, Albus? Lei è la boss). Ad ogni modo Lily è una santa, povera cocca.

 

Comunque, il prossimo capitolo vedrà ancora la presenza di Maeve, per una parte bellissima e simpatica sulla famiglia di Lily <3 e soprattutto torna la Guinness... <3

 

Questa è la canzone, non è bellissima?

 

E la mia pagina Facebook.

 

Un abbraccio e grazie a tutti quelli che seguono (34 *__*) e che preferiscono la storia (29 *__*) e ricordano questa storia (5 :*)

 

Alessandra :D

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Capitolo 23
*** Fearlessness ***


23.

Fearlessness

Fearlessness soon reminded me,

"You must be stronger than they"

cautioning, "There are those who live

to be cruel for the fun of it."”

 

“He let in a dark companion

that orbited in between us

His siren friends convinced him that Love

was no match against storms to come

Their songs inflamed by Doubt

Fearlessness drown them out”

Tori Amos - Fearlessness

 

Che cos’è il coraggio, Albus?

Quella voce roca e carica di rabbia lo perseguitava da anni. Era la voce di suo fratello Aberforth, che gli urlava contro, qualche tempo dopo i funerali di Ariana, la piccola ed adorata sorellina, scomparsa in circostanze che non furono mai chiarite. O che nessuno dei diretti interessati volle mai chiarire.

Albus non aveva avuto il coraggio di aprire gli occhi fino a quel drammatico momento, poiché essi troppo impegnati a contemplare l’effimera gloria promessa da quello che reputava il suo migliore amico, Gellert Grindelwald. 

Lui non aveva avuto il coraggio sufficiente per destarsi da quel sogno che con il tempo si stava trasformando in un incubo, pieno di nefandezze, disegni oscuri e crudeltà. A suo tempo, aveva difeso Gellert in ogni modo, aveva difeso il Bene Superiore, quel valore in cui avevano tanto creduto, sminuendo qualsiasi accusa di voler diventare dei tiranni nel mondo della magia, di voler far dominare la Magia Oscura e di imporre un nuovo ordine nel mondo magico.

La morte di Ariana gli aveva fatto fare un passo indietro. L’aveva riportato alla ragione, si era reso conto di aver dato troppo spazio a quella persona temibile e poco raccomandabile, permettendogli di diventare troppo forte da affrontare, per i maghi comuni.

Allora era sceso in campo lui, Albus Percival Wulfric Brian Silente, e si era deciso a sconfiggere una volta per tutte la persona che una volta aveva stimato ed amato più di qualsiasi altra nella sua vita.

La sconfitta di Grindelwald gli aveva infuso un enorme coraggio, aveva rafforzato la sua volontà di debellare il male nel mondo magico. Era rimasto il suo unico proposito nella sua lunga vita e a volte lo faceva ammattire, rasentando l’ossessione. E quello stesso proposito lo aveva portato fin lì, fino alla creazione dell’Ordine della Fenice, che aveva un unico scopo: destabilizzare e neutralizzare Lord Voldemort. Una volta per tutte. 

Non era stato per nulla semplice trovare dei maghi sufficientemente determinati ad unirsi al potente mago; ma in quella sera di Agosto, il Preside di Hogwarts si sentiva estremamente orgoglioso nel poter dare inizio alla prima riunione ufficiale dell’Ordine. 

Aveva cercato di rispondere in svariati modi a quella domanda del fratello circa il coraggio, che si trascinava da tempo immemore, e quella sera poteva avere una risposta, od una parvenza di essa. 

Il coraggio sono loro”. 

Guardava con fierezza le persone che si stavano accomodando al tavolo della Tana, messa a disposizione da Molly ed Arthur Weasley, tra i primi ad entrare nell’Ordine.

Chi aveva aderito a quell’organizzazione segreta era ben conscio dei pericoli che avrebbe affrontato. Ciascuno di loro sapeva che avrebbe potuto rimetterci nientemeno che la vita stessa. Il coraggio di quelle persone, condito forse da un pizzico di sconsideratezza e di follia, gli scaldò il cuore, che aveva un bisogno disperato di speranza. Con il passare degli anni, necessitava d’amore, un sentimento di cui tutti necessitavano. Tuttavia, Silente si era reso conto di aver fatto del male a troppe persone con quel sentimento potente e gentile allo stesso tempo. Per anni, si era sentito incapace ad amare adeguatamente, in maniera sana ed equilibrata. Si era sentito vittima di una maledizione, che vedeva tutte le persone amate soffrire ingiustamente ed atrocemente. Probabilmente, quello era lo scotto da pagare per i grossi errori passati, una sorta di punizione. Ma non perdeva la speranza, rimanendo un ottimista incrollabile. Avrebbe avuto il dono di amare e di essere amato, magari un domani, quando tutto quello sarebbe finito.

La casa dei coniugi Weasley era traballante, bizzarra, ma tanto accogliente. La coppia era di una generosità e di un’ospitalità molto rara. E non si erano smentiti, nemmeno quando si era trattato di decidere la sede delle prime riunioni dell’Ordine della Fenice. I due bambini di Molly ed Arthur, Bill e Charlie, erano stati messi già a dormire. Erano certamente troppo piccoli per capire le parole degli adulti e la portata degli cupi eventi che si prospettavano all’orizzonte. E non era una riunione consona a dei bambini innocenti ed ignari dei complicati giochi tra bene e male.

Molly aveva preparato delle bevande fresche e dissetanti per tutti, giacché quella sera d’Agosto era alquanto torrida. I ricchi indumenti dei maghi, fatti di tessuti pregiati e piuttosto pesanti d’inverno, si facevano solitamente più leggeri, dalle tinte tendenzialmente più chiare ed i tessuti, a contatto con il pavimento, frusciavano in maniera soave e gradevole. La padrona di casa era bella nel suo semplice abito color giallo pallido e degli zoccoletti di legno e pareva raggiante nel trovarsi molta gente in casa. Silente si sedette a capotavola, e si sistemò le lunghe vesti color azzurro pallido, osservando soddisfatto i partecipanti, intanto che sorseggiava la deliziosa bevanda preparata da Molly, a base di arancia, limone, ananas e un pizzico di cannella. 

I due fratelli di Molly, Gideon e Fabian Prewett, si avvicinarono a salutare calorosamente il Preside di Hogwarts, che li accolse con molta gioia. Vedere nei loro occhi la determinazione e la cocciutaggine era davvero commovente ed una vera fonte d’ispirazione. 

Le loro parole erano cariche di passione, di un fuoco purissimo desideroso d’eliminare il fuoco oscuro appiccato da Lord Voldemort. Erano pronti a tutto, ciascuno di loro, era pronto a dare il proprio contributo alla causa.

I primi momenti alla Tana furono dedicati ai convenevoli, ai saluti semplici ed affettuosi, mentre lentamente i partecipanti si accomodavano al proprio posto. Uno degli ultimi ad arrivare fu Edgar Bones, un ritardatario cronico, che venne accolto con qualche allegra risata.

Nel momento in cui Silente si alzò in piedi, calò il silenzio e nella sala da pranzo di casa Weasley calò il silenzio totale.

Il Preside parlò con passione, con parole sincere e pura gratitudine nei confronti dei presenti. Tuttavia, non si perse in inutili convenevoli fini a loro stessi ed andò al nocciolo della questione: Lord Voldemort ed i suoi Mangiamorte. 

Il Signore Oscuro stava raggiungendo il massimo della propria potenza, stava diventando estremamente temibile, grazie alla creazione degli Horcrux. Però, erano gli stessi temibili artefatti a renderlo estremamente instabile e vulnerabile. Allora, i Mangiamorte non erano unicamente i suoi servitori, le mani pronte a lanciare senza pietà alcuna Maledizioni senza Perdono, ma erano la sua fonte di sicurezza. Era gente verso la quale poteva fare sfoggio di tutto il suo fascino e sulle quali poteva esercitare tutta l’autorità necessaria. Senza di loro, probabilmente sarebbe stato difficile per lui andare avanti nel suo disegno turpe. Ed erano proprio i Mangiamorte quelli da neutralizzare per primi. Era una piramide fatta di malvagità, da far crollare partendo dalle fondamenta. Poteva suonare molto semplice sulla carta, nella pura teoria, osservò Silente, tuttavia non era così facile ed il successo non sarebbe stato affatto scontato od immediato, tutt’altro. I nemici non erano degli stolti di prima categoria e non erano affatto impreparati, alcuni di loro erano degli ossi duri e non si facevano individuare così facilmente. Erano piuttosto abili nel mimetizzarsi tra i maghi ordinari, anzi; secondo alcune fonti del Ministero della Magia, il loro scopo era di infiltrarsi tra le cariche più alte del governo magico, per poter agire indisturbati, ed agevolare l’ascesa al potere del Signore Oscuro.

Occorreva unire le forze contro quell’ondata di oscurità, non darsi mai per vinti, avere fiducia in pochissimi e diffidare di molte persone. Dovevano farsi forza a vicenda, perché sapevano bene di non essere nel mondo delle fiabe, in un universo perfetto dove un solo mago sarebbe stato in grado di salvare tutti. Uno solo contro i fedeli del Signore Oscuro e il Mago Oscuro per eccellenza non sarebbe mai bastato. 

Siccome non vivevano nel mondo delle fiabe, anche i membri dell’Ordine avevano la loro utilità ad avere degli Auror del Ministero aderenti all’organizzazione. Erano esperti, potevano dare notizie pressoché certe a Silente ed in tempo reale. La loro esperienza era comprovata ed era d’aiuto. Viceversa, al Ministero avere un’organizzazione non direttamente controllata da loro, ma in qualche modo collegata all’organo governativo, non disturbava; al contrario, andava a caccia di nemici comuni, li consegnava al Ministero, preferibilmente vivi, ed i seguaci di Lord Voldemort sarebbero stati pronti per un processo di fronte al Wizengamot. Terminato quello, le porte del carcere di Azkaban si sarebbero spalancate, per mai più riaprirsi.

Silente parlò per quello che gli parve un lunghissimo momento. Si era fermato qualche breve istante per capire se ci fossero domande, ma tutti i membri avevano ben in mente il loro obiettivo da perseguire. Erano stati tutti estremamente attenti, c’era chi annuiva in segno di approvazione, c’era chi fissava molto attentamente l’anziano mago, per non perdersi nemmeno una sola parola. L’anziano aveva avuto qualche pausa, per sistemarsi gli occhiali a mezzaluna sul naso, e si era dissetato più di una volta, per levarsi quella fastidiosa sensazione di secchezza che provava sulle labbra.

Al termine del lungo discorso, non cercò l’applauso, ma arrivò spontaneo dagli ascoltatori. Si sentiva commosso, preoccupato, ma deciso a portare avanti quella sua missione, nutrendo una fiducia profondissima verso ogni singola persona presente. Sperava che quell’elemento fondamentale fosse arrivato ai membri del neonato Ordine. Senza di quello, sarebbe stato molto difficile proseguire uniti e compatti verso un obiettivo comune. 

Qualcuno dei presenti cercò di ringraziare più volte Silente per il fatto di essersi messo in gioco ancora una volta, benché in questo caso la posta in gioco fosse molto alta e non ammetteva fallimenti o leggerezze imperdonabili.

Il vecchio mago accennò ad un sorriso ampio; gli occhi celesti erano lucidi e brillanti. Forse la vecchiaia e la maturità porta a comprendere che nella vita, specie se quest’ultima è in grave pericolo, non importano più gli applausi, il consenso a tutti i costi. Basta sopravvivere alla tempesta e riuscire a proteggere quelli che ami.

Prima di sedersi, e di lasciare la parola agli Auror dell’Ordine, riuscì a dire molto semplicemente: 

“Non ringraziate me. Ringraziate voi stessi, il vostro coraggio e la vostra forza di volontà. State combattendo per il vostro futuro”.

 

Come di consueto, Lily attese che in quella casa piombasse il silenzio ed il buio totale. 

Aveva voglia d’intrufolarsi come sempre in camera di Sev, che riposava nella stanzetta di fronte a quella di lei. La Grifondoro condivideva la stanza con la sorella Petunia, che dormiva già da qualche tempo, respirando piuttosto rumorosamente. La sorella era stata mediamente insopportabile durante la vacanza estiva a Galway. Non che fosse una vera e propria novità, ma la bionda ragazza non accennava ad addolcirsi con gli anni. I battibecchi con Sev non erano di certo mancati, ma a questo giro il Serpeverde si era sempre ben guardato dal provocarla o dall’istigarla con il suo ruvido sarcasmo, la migliore difesa che avesse a disposizione. Si era limitato a guardarla con sguardi compassionevoli, ed aveva risposto alle sue provocazioni molto di rado, assestando qualche risposta brusca che non lasciava spazio a repliche. Non aveva fiato da sprecare nei confronti di un’inguaribile invidiosa. Lei non si sarebbe mai impegnata a mutare atteggiamento nei confronti suoi e di Lily, e lui non si sarebbe preoccupato minimamente di ingentilire i modi nei confronti dell’acida ragazza. 

Di fronte all’ennesimo battibecco di Petunia e Severus, la cugina Maeve aveva sentenziato, strappando una risata a Lily: “Mi chiedo chi mai la sopporterà, Tunia. Fossi il suo ragazzo, l’avrei già mandata al diavolo”.

Lily si ricordò quante volte la cugina le avesse chiesto che tipo di legame esistesse tra lei ed il Serpeverde, ma non aveva mai voluto risponderle chiaramente, poiché con Sev avevano deciso di mantenere il profilo più discreto possibile. Dire qualcosa a Maeve sarebbe stato l’equivalente di mettere i manifesti ovunque per Galway. Non che la cugina fosse una pettegola, ma era molto schietta e sincera, non tenendo mai alcunché dentro di sé. E Lily riteneva poco probabile che una ragazza così sveglia come l’irlandese non avesse già compreso la natura del loro legame.

La Grifondoro entrò in camera di Sev, che si era assopito con un libro di Storia di Magia tra le mani. Non era decisamente uno degli oggetti di studio più interessanti ed era facile addormentarsi mentre si studiava quella materia, ed anche i più studiosi erano vittime innocenti del sonno causato da quel libro enorme.

Lily si chinò su Sev e gli tolse dalle mani il pesante tomo, piegando l’angolo della pagina, in modo da lasciargli un segno. Sapeva benissimo che il giovane odiava quel tipo di segno, perché rovinava la pagina, ma Lily insisteva per non fargli perdere il punto. Tanto sapeva che Severus avrebbe brontolato nel caso in cui non avesse ritrovato immediatamente la pagina. Era così categorico ed irremovibile nel suo metodo di studio, oramai la Grifondoro ci aveva fatto l’abitudine.

La giovane si sedette a bordo letto, allungando una mano sui capelli di Sev, che dormiva con un’espressione piuttosto tesa in volto. Lily temeva sempre che stesse dormendo male, colto da incubi, ma non appena gli accarezzava i capelli o il viso, il ragazzo pareva distendersi e rilassarsi.

Con qualche carezza gentile, Sev veniva riscosso dal sonno, anche solo per qualche attimo, in modo tale che facesse un po’ di spazio a Lily, che solitamente si coricava accanto a lui. Erano soliti sdraiarsi su un fianco, a volte faccia a faccia, altre volte Lily dava la schiena a Sev, ma si abbracciavano molto meglio. 

Lily continuò a sfiorargli la testa ed i capelli: quella sera era un po’ più difficile del solito destarlo. La ragazza si chinò verso Sev e gli diede un bacio sulla fronte.

Dopo qualche istante, il Serpeverde aprì lentamente gli occhi e si ritrovò davanti gli occhi verdi di Lily, immersi nell’oscurità. Non disse nulla di sensato, perché non gli riusciva neppure di articolare dei pensieri coerenti o logici a quell’ora della notte, benché fosse stato svegliato nella maniera più dolce ed affettuosa che potesse esistere per lui. Si limitò a digrignare i denti ed a mugugnare qualcosa, facendo spazio alla ragazza, che ringraziò con voce sommessa e si sdraiò accanto a lui. 

Lily rimase con gli occhi ben aperti, ascoltando il respiro regolare del ragazzo.

Sapeva molto bene che c’era qualcosa che non andava dentro Sev. Era cosciente di non poter fare nulla, di non poter intervenire per risolvere i conflitti interiori della persona che amava. In quella vicinanza percepiva una sorta di distanza tra loro due. Severus a volte era più lontano, meno presente, ma Lily era ben lontana da fargliene una colpa. Doveva rimanere ad attenderlo, non poteva fare altro. A volte, per quanto ci si ami, vi sono delle cose che non possono essere affrontate assieme. Era duro da accettare per una ragazzina molto innamorata, ma l’amore non era mai uguale a se stesso. Anche lui cresceva e si evolveva ogni giorno ed era un cammino lungo, che non presupponeva sempre l’unione di due persone, anzi, alcuni percorsi andavano affrontati in solitudine.

Si ritrovò a pensare al coraggio di Sev nell’affrontare tutte le sue peripezie: la famiglia mai felice, un padre violento ed incontrollabile, il suo essere preso di mira dai Malandrini, anche per il fatto di non essere molto socievole. Si domandò se lei, al posto suo, avrebbe avuto tutta quella forza ad affrontare tutto. E poi, si rese conto che il motore di tutto era l’amore, che instancabile gli offriva un sostengo non da poco. Ed era lei il suo punto di riferimento.

Innumerevoli volte si era chiesta che cosa potesse essere il coraggio. Aveva immaginato che il coraggio fosse riuscire a mettere in riga i quattro scapestrati ad Hogwarts; poteva essere il riuscire a sopportare le angherie di sua sorella, la sua estenuante invidia. Era il coraggio di essere una Nata Babbana e di tenere testa a quei disgraziati di Mulciber ed Avery. Ma tutto quello non era nulla, se confrontato a tutto quello che aveva passato Severus in quegli anni.

Lui era il coraggio

Era la sua risposta definitiva. E per questo, non avrebbe mai smesso di amarlo.

Non gliel’aveva mai detto esplicitamente, a dire il vero non se lo dicevano praticamente mai, di amarsi. Qualche frase dolce veniva fuori spontaneamente mentre si trovavano assieme, qualche bella parola carica di sentimento veniva scritta nel loro diario, ma piuttosto di rado. 

Lily strinse forte le mani di Sev tra le sue. Avvertì dei leggeri movimenti e dei mugolii assonnati da parte del ragazzo. Il Serpeverde si fece ancora più vicino, stringendola ancora più affettuosamente a sé.

“Sev” sussurrò, appena fu certa di avere tutta la sua attenzione.

“Sì...” rispose lui, con la voce ancora un po’ impastata dal sonno. Lily avvertiva il viso del ragazzo perso tra i suoi capelli mossi e lunghi e, dato che gli dava le spalle, provò ad immaginare i suoi occhi aperti, ma ancora assonnati ed il viso disteso e rilassato.

“Lo sai che ti amo?” disse lei emozionata, bisbigliando appena quelle due parole che fecero sorridere il ragazzo nell’oscurità. Sentì le labbra di Sev sulla nuca, un bacio affettuoso che le fece capire che il messaggio era ampiamente arrivato al destinatario. Si sentiva felice.

Anche esprimere il proprio amore alla persona più importante della propria vita è un atto che richiede molto coraggio. Perché può capitare che, nel momento in cui si ha la forza di dirlo, essa se ne sia già andata molto lontano. Perché dichiarare il proprio amore significa mettere a nudo parti di sé che non è detto che vengano accettate. E Lily aveva sempre pensato che l’amore si reggesse in piedi in fragile equilibrio, tra comprensione e fraintendimento totale. Aveva sempre avuto timore ad esporsi. Ma con Sev era tutto diverso. Poteva essere coraggiosa, poteva chiudere gli occhi e lanciarsi nel vuoto, sicura che lui l’avrebbe presa tra le braccia.

Poteva essere coraggiosa anche lei, come ogni Grifondoro che si rispetti.

 

Severus pensò che, dopotutto, Maeve Moore non fosse così male. Era più sopportabile di quella piattola di Petunia e decisamente aveva una testa quantomeno interessante, non era la solita Babbana di vedute limitate ed ordinarie. 

Quel suo essere totalmente fuori dagli schemi le causava non pochi battibecchi a tavola con i genitori, che parevano piuttosto sconfortati ogni volta che arrivavano a scontrarsi con la figlia. Non che avesse dimenticato le buone maniere, che cercava di usare quando c’era il parentado al completo, ma era il modo in cui esprimeva le sue idee che portava discussioni e grattacapi con il resto dei parenti. Severus conosceva bene la sensazione che si provava di fronte ad aspre discussioni per differenze di vedute. Ne aveva viste fin troppe tra i suoi genitori, aveva visto cocci di vasi e piatti infranti, aveva udito porte sbattere violentemente, urla che potevano scuotere le mura in cemento di quella casa squallida. 

Maeve non cedeva di un solo millimetro di fronte ai genitori che le dicevano di moderare i termini, di smetterla di chiamare tutte le persone al di sopra di una certa età con l’appellativo “vecchia, bacucca o decrepita”, di non alzare la voce con i parenti. Ed alla fine, la spuntava sempre lei, con il suo odio per le guerre, per le nazioni che sfruttavano quelle più povere, gettandole in uno stato ancora più misero di prima. Odiava i lavori monotoni e d’ufficio, odiava il doversi vestire secondo un’etichetta e delle regole. Aveva da dire su qualsiasi regola imposta. E quando i genitori riuscivano a rimproverarla davanti a tutti, con il loro cipiglio severo, lei non chinava la testa, bensì li guardava con aria di sfida. Gli occhi talvolta le brillavano, come se fossero pronti per piangere dalla tensione. Ma piangeva dal nervoso lontana dagli occhi di tutti, e fumava le sue Benson & Hedges in camera sua, in totale solitudine. Cercavano di rimproverarla costantemente anche per il fatto che fumasse troppo, per essere una ragazza della sua età. Ma lei andava avanti a fumarsi le sue sigarette, iniziando a nascondere accuratamente i pacchetti, perché sapeva che cercavano di portarglieli via.

Quella sera, dopo l’ennesima violenta discussione tra Maeve ed i parenti, era calato il solito silenzio imbarazzato, quel silenzio dove non si sa mai che cosa dire per allentare la tensione, dove si ha quasi paura di far tintinnare le posate contro i piatti. Severus e Lily si erano scambiati delle occhiate perplesse ed anche un po’ esasperate da questo conflitto costante. Avevano aiutato le donne di casa a sistemare i piatti e gli avanzi della serata, per poi rifugiarsi nelle proprie camere a prendere le felpe e qualche moneta, in vista della loro passeggiata per le bancarelle serali di Galway. 

Severus aveva bisogno di svagarsi con Lily. Di starsene fuori casa, quella sera. Tutte quelle persone adulte gli ricordavano la sua famiglia, e la lettera poco incoraggiante arrivata quello stesso pomeriggio. 

Sua madre Eileen non gli scriveva mai, mentre si trovava in Irlanda. Non gli aveva mai scritto in generale, nemmeno quando si trovava ad Hogwarts. Un piccolo gufo rossiccio gli era piombato in camera proprio quel pomeriggio, recapitandogli una pergamena proveniente da Spinner’s End. In quel momento Lily non era con lui, era uscita con sua madre per prendere gli ingredienti per la cena, e Sev l’aprì subito, consumato da una strana curiosità.

Rimase per qualche istante a fissare la pergamena, rileggendola più e più volte, cercando di afferrare il senso preciso di quelle parole, che lasciavano poco spazio alla fantasia.

La scrittura minuta ed ordinata di Eileen Prince, sua madre, gli comunicava in poche e secche parole, che suo padre aveva la salute in declino, e che non si poteva fare più nulla per salvarlo, perché alcuni organi vitali erano gravemente compromessi.

Suo padre, Tobias, stava morendo. Era solo questione di tempo.

La madre, poco più sotto, l’aveva rassicurato, scrivendogli che non ci sarebbe stato bisogno che lui rientrasse anzitempo dall’Irlanda, giacché il declino sarebbe stato piuttosto lento. E poi, le vacanze irlandesi stavano giungendo al termine. 

Era rimasto senza parole, come se ne avesse mai avute molte, in vita sua.

Le braccia caddero lungo i fianchi, con la mano sinistra che reggeva, fino a ridurre ad una piccola palla quella pergamena.

Non si sentiva triste e quest’insensibilità gli parve terribile. Provava uno strano formicolio alle braccia, che si propagava per il petto, prendendogli il collo, le guance, scendendo fino alle gambe. Erano brividi che gioivano per la vendetta del destino su un uomo tanto perfido. Ma come poteva sentirsi lontanamente soddisfatto da quell’inevitabile fine? Il destino stava presentando il conto.

Era suo padre, dopotutto, nonostante il male commesso.

Il suo corpo non dimenticava il dolore, non aveva mai cancellato le ferite inferte dall’aggressività di quell’essere meschino. Non dimenticava le bottiglie di alcool lasciate in giro per casa, quell’umore sempre più cupo, instabile, esplosivo... Scorreva anche nel suo sangue, forse era anche quel sangue cattivo ad averlo indirizzato a Serpeverde. Forse quel maledetto Cappello Parlante aveva visto tutto, aveva visto il suo Io nascosto, in tutto il suo squallore. Forse era quello stesso sangue impuro di Tobias ad aver dato vita al suo tormento interno.

Non era abbattuto. D’altronde, si era sempre categoricamente rifiutato di andarlo a trovare in ospedale. Non voleva, e sua madre gliel’aveva chiesto una sola volta, prendendosi un perentorio rifiuto. Era comprensibile. Oltretutto, l’idea rivedere i pochi parenti Babbani del padre gli faceva venire il voltastomaco. Quante volte poteva averli visti? Una, due? Forse quando era nato, quando i suoi genitori avevano assaporato la felicità effimera di un’unione destinata a far soffrire tutti.

Si sentiva spaventato ed impaurito dalla potenza violenta e distruttrice dei suoi pensieri e dal suo cuore immobile, pietrificato. 

Provò a rassicurarsi goffamente, dicendosi che magari una volta a casa, qualcosa si sarebbe mosso dentro di sé. 

Povero idiota. Sei pure falso. Non sprecheresti una lacrima per Tobias. 

Era vero. Era tutto vero. La voce della sua coscienza gli stava impedendo di costruirsi delle false illusioni, perché non erano da lui.

Anche il fatto di non riuscire a stare male per il padre morente non era un lato bello del suo carattere. E come tutte le cose brutte, i sassi scomodi da scalciare via, seppellì tutto da qualche parte, in qualche meandro della sua anima nera come la notte, e chiuse a chiave quel baule pieno di oggetti pesanti e taglienti. Non l’avrebbe detto a Lily, come non le avrebbe detto quello che Silente gli aveva detto qualche settimana prima; non le avrebbe detto che aveva intenzione di accettare, giacché non aveva nulla da perdere, ma aveva un mezzo per proteggere Lily e darle una vita felice e lontana dal male, dalle menti distorte di persone che non avevano avuto modo di conoscere amore ed affetto. Lei aveva un mondo felice nel quale rifugiarsi e vivere, dove non c’era spazio per la malinconia e la tristezza. Fintanto che lei l’avrebbe voluto accanto a sé, lui avrebbe vissuto di quella luce felice e spensierata, riflessa nei suoi occhi verdi come quei prati irlandesi che tanto aveva imparato ad apprezzare. 

 

Quella sera erano usciti a passeggiare, tenendosi mano nella mano. Lily scherzava e parlava senza sosta, inarrestabile, piena di energia e vitalità. Severus l’ascoltava, sorridendo di tanto in tanto, stringendola a sé a sorpresa, dandole qualche bacio affettuoso, noncurante della gente, che non parve far caso ai due giovani innamorati. Si sentivano rilassati, in mezzo alla folla, cullati dal dolce suono di qualche arpa celtica o di un tin whistle in lontananza.

Lily era spaventosa nel suo appetito pantagruelico. Aveva appena cenato e tuttavia era in grado di ingurgitare altro cibo, tra dolci o leccornie tipicamente irlandesi. Come ogni ragazza, si lamentava del fatto che prima o poi sarebbe ingrassata e sarebbe diventata inguardabile, ma rimaneva una ragazza dal fisico asciutto e dalle forme non generose. Era una ragazza e come tutte le altre non era mai contenta del suo corpo. 

Si sedettero sul bordo di un’aiuola presso il grande parco del quartiere Claddagh, osservando la fiumana umana riversarsi per le vie. In quella bolgia videro dei gruppi di bizzarri ragazzi vestiti per lo più in pelle, con pantaloni attillati, ed abiti scuri, mentre altri avevano accostamenti di colori decisamente discutibili. 

Lily nel gruppo che si dirigeva verso la passeggiata sul mare, il Seapoint Promenade, vide Maeve, spaccona e festaiola secondo la sua indole, con il volto non più triste ed avvilito per la discussione di prima. Parlava ad un ragazzo con una camicia viola e dei pantaloni scuri strappati. Aveva un fiume di capelli biondo miele piuttosto lunghi, ma ben curati. Sembrava particolarmente felice di stare in compagnia di quel giovane, osservò Lily.

La Grifondoro si alzò in piedi e fece ampi gesti alla cugina, chiamandola per nome e questa si voltò, verso l’altro lato della strada, dove si trovavano i due ragazzi. 

“Dai, Lily, lasciala in pace, non vedi che sta andando da qualche parte con altre persone?” borbottò Sev, che voleva starsene in solitudine con la propria amata.

“Voglio solo salutarla!” esclamò Lily, intanto che la cugina si staccava dal proprio gruppetto di personaggi strambi, per andare incontro ai due.

Come se non la vedesse da anni pensò sarcastico Sev.

“Ma guardali qua! I due fidanzatini in libera uscita! Bello andare in giro senza i vecchi che vi tengono d’occhio, eh?” disse Maeve più allegra del solito.

Perfetto, ha già capito che stiamo assieme. Tra quanto aprirà bocca nel momento meno opportuno, facendolo sapere ai quattro venti?

Quella sera non era in grado di mettere un freno al suo sarcasmo corrosivo, complice la brutta notizia del pomeriggio.

“Noi non...” cercò di controbattere Sev, ma Maeve gli tirò un affettuoso spintone.

“Suvvia Severus, non c’è niente di male! E poi, hai paura che lo vada a dire ai vecchi? Ma per favore!”.

Quel modo di parlare troppo giovanile ed irriverente non piaceva particolarmente a Severus, tuttavia Maeve era fatta così e bisognava prenderla per quello che era. 

“Dove stavi andando?” chiese allegra Lily, come se non vedesse l’ora di unirsi a lei.

“Cuginetta, sto andando in posti che per te non sono indicati. Zia Norah mi staccherebbe la testa. Comunque, stavo andando al pub ad annegare i miei dolori nella Guinness”. 

Lily e Severus si guardarono, memori della loro piccola bravata dell’anno scorso, e ridacchiarono, ricordando il sapore amarognolo della birra scura.

Maeve li guardò incrociando le braccia, fingendo un’aria autoritaria e pestando il piede a terra: “Qualcuno qua ha già provato la Guinness a tradimento. Bene, bene, allora stasera mi farete compagnia, marmocchi”. 

Detto questo, la ragazza sparì in mezzo alla gente e s’infilò nel pub più vicino, stracolmo di avventori. Dopo qualche minuto, ne uscì con tre bottiglie di Guinness fresche tutte per loro. Era una sera piuttosto calda per gli standard irlandesi e Lily e Sev avrebbero bevuto qualcosa di diverso dal solito molto volentieri.

Maeve appoggiò il collo della bottiglia al bordo dell’aiuola e fece leva per togliere il tappo, con un colpo secco. Un po’ di liquido scuro cadde a terra, ma la ragazza era divenuta esperta in quella tecnica un po’ rude di stappare le bottiglie. 

Lily e Sev si ritrovarono con la loro Guinness in mano, contenti solo come quando un gesto così può sembrare il massimo della ribellione. E poi, questa volta avevano una bottiglia a testa, non più una da condividere.

“Su, forza, non rimanete imbambolati come se aveste delle reliquie in mano! Va bevuta ‘sta roba!” esclamò Maeve, facendo tintinnare la propria bottiglia contro quelle dei ragazzi, per poi bere qualche sorso di birra. I due ragazzi la imitarono prontamente. La Burrobirra era nulla in confronto alla bontà della Guinness. Gli altri maghi, pensò Lily, non sapevano cosa si stessero perdendo lì in Irlanda.

Tornarono a sedersi nel posto di prima e Maeve osservava attenta la gente che camminava per strada. Rimasero in silenzio per qualche attimo, concentrati sulle loro bottiglie e sul liquido che scorreva piacevolmente nelle loro gole.

“Voi due siete dei bei tipi” disse tutt’ad un tratto Maeve “Mi piacete, siete strani”.

I due interpellati si scambiarono un’occhiata furtiva. Loro erano sì strani, in quanto maghi, ma la cugina non scherzava affatto, nel suo essere travolgente nello stesso modo incontrollato di una mina vagante.

“I miei vecchi chiedono sempre a zia Norah che scuole frequentiate. Sapete com’è il mio vecchio. Sempre a parlare di Irlanda, Regno Unito e cattolicesimo, santi e mica santi” Maeve si fermò per ingollare un altro sorso di Guinness “Ma zia risponde in maniera un po’ evasiva. Ma non è questo il punto”. Lily e Sev tirarono un sospiro di sollievo. Non potevano rivelare l’esistenza di Hogwarts in mezzo a tutta quella gente, sarebbero stati presi per pazzi. Poi, non erano sicuri che Maeve avrebbe creduto alle loro parole.

“Ecco, perché mio padre si aspetta che tutti vengano educati nella stessa maniera in cui lui è stato educato. Pensa che tutti debbano pensarla esattamente come lui, altrimenti siamo tutti dei mentecatti o dei cretini”.

Merlino, l’alcool la trasforma in un fiume in piena.

Maeve beveva per togliere alcune barriere, e trovare qualcuno con cui sfogarsi. Anche lei in un certo senso era molto coraggiosa. Essere così diversa in mezzo a gente omologata e non cambiare minimamente opinione richiedeva una bella forza d’animo.

“Deve capire che i tempi sono cambiati! Che ci sono idee differenti! Non esiste solo il bianco ed il nero, che esistono alternative. Cristo, è proprio uno zuccone”. E giù un altro sorso di birra.

Sev era concentrato ad assaporare la sua Guinness con calma e lentezza, provando un piacevole calore ed una leggerissima e gradevole vertigine. Non era abituato a bere una bottiglia da solo, d’altronde aveva quindici anni.

“Quel che è certo, è che voi due non andate in una scuola cattolica, ma proprio no” concluse la cugina, guardando Lily che a momenti si strozzava dal ridere.

“Non ho proprio la faccia di una che cresce tra le suore ed Vangelo secondo Giovanni” esclamò Lily. Piuttosto che leggere quel tomo noioso e bacchettone, mi leggerei tre volumi di Storia delle Guerre dei Troll finlandesi.

“Con quei capelli rossi, saresti stata l’incubo della Madre Superiora!”.

Sev alzò la testa, lasciando da parte i propri pensieri. Che cosa avevano di sbagliato i capelli rossi di Lily nella religione cattolica?

La Grifondoro parve leggere nel pensiero del ragazzo e prontamente gli spiegò, abbassando la voce: “I capelli rossi per certe persone significa che sei un poco di buono e che porti guai. In passato sospettavano che le donne come me fossero delle streghe”.

Sev trovava discutibile quella banale superstizione e si meravigliava dell’ottusità Babbana. Lily era una gran strega, a prescindere dal colore dei capelli.

“E poi, le donne dai capelli rossi...” Maeve s’interruppe con un ghigno “Beato te, Sev! Anche se sei troppo piccolo per capire certe cose”.

A quel giro, toccò al Serpeverde strozzarsi mentre finiva la sua birra e ne sputò un po’ a terra. Aveva capito eccome. Gli era capitato di sentire dei Serpeverde più grandi parlare tra di loro in Sala Comune, mentre esprimevano i loro gusti in fatto di ragazze. Ed ovviamente, come ogni ragazzo in preda ai primi bollori, non erano mancate battute ed apprezzamenti molto particolari nei confronti di questa mora o di quella bionda, o di quella ragazza dai capelli rosso fuoco. 

Lily guardò Sev diventare paonazzo dall’imbarazzo ed abbassare la testa, guardandosi la punta dei piedi.

La Grifondoro appoggiò una mano sulla schiena del ragazzo ed estremamente incuriosita, provò a capire a cosa si alludesse, invano. Sev smise di parlare, come se gli fosse svanita la voce all’improvviso.

“Lily, lascia perdere! Capirai pure tu quando sarà il momento!” disse Maeve, cercando di togliere dall’imbarazzo il povero Serpeverde. Sembrava estremamente divertita.

Tacquero tutti per qualche attimo e Maeve aveva già finito la sua Guinness. La bottiglia era finita sotto la sua scarpa, e la faceva rotolare avanti ed indietro, distrattamente.

“Comunque, lasciate che vi dica una cosa, visto che siete speciali come me: non lasciate mai che qualcuno vi fermi, o vi dica cosa dovete fare. Non permettete che vi cambino e che vi dicano che è per il vostro bene. Fregatevene di tutto e di tutti, ed andate avanti per la vostra strada. Non diventate noiosi ed omologati come il resto dei nostri parenti. Siete belli così nella vostra follia”.

Ha parlato quella normale pensò Severus tra sé e sé Ma ha detto una cosa degna di essere ricordata. Convenne che non tutti i Babbani venivano per nuocere. Per fortuna. 

* * *

 

Meno male che avevo detto che non sarei riuscita a postare. Invece le parole sono arrivate da sé. 

Ho voluto affrontare la tematica del coraggio da più prospettive: un accenno di Silente e dell’Ordine della Fenice (la sede del primo ordine non è proprio specificata, allora ho pensato di usare la Tana, che verrà poi riutilizzata per il secondo Ordine), il coraggio di esporre i propri sentimenti, il coraggio anche di rimanere coerenti con se stessi. Il coraggio di affrontare la scomparsa di una persona. Il coraggio di affrontare tutti, malgrado le proprie differenze di vedute.

Le parole di Maeve saranno molto utili. E poi, mi è piaciuta l’allegria finale, ci vuole di tanto in tanto :D

Al solito, in questo periodo cercherò di aggiornare come posso! Lavorando tra Mediaworld e gioiellerie, il tempo è un po’ poco! Grazie per tutto questo monte di recensioni! E’ veramente commovente! *__*

 

La canzone è Fearlessness di Tori Amos. Se non avete sentito “Night Of Hunters”, correte ad ascoltarvelo! Per chi ama il pianoforte e la musica classica e le reinterpretazioni <3 Metto le versioni live di Tori, perché rendono sempre benissimo e Tori live rende sempre meravigliosamente.

 

E questa è la mia pagina Facebook.

 

Un bacione ed un abbraccio a tutti!

 

Alessandra :D

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Capitolo 24
*** Chasing The Dragon ***


24.

Chasing The Dragon
 


“Nothing will be forever gone

Memories will stay and find their way

What goes around will come around

Don't deny your fears

So let them go and fade into light

Give up the fight here”

 

Poison is slowly seeping through my veins

Stealing the only dignity in me

I pick them up and let them fall

To cause your pain and hit them all

 

“One more life to live is what I want”

 

One more chance to heal what I have harmed

 

Epica - Chasing The Dragon

 

Era notte fonda presso la grande villa di Tom Riddle presso Kilmarnock, in Scozia. Da quando Lord Voldemort aveva ucciso suo padre ed i suoi nonni paterni, aveva lasciato che il maestoso maniero dei Riddle venisse passato di proprietario in proprietario, sebbene gli acquirenti fossero molto riluttanti ad acquistarlo, dato l’efferato crimine che si era consumato qualche decennio prima, nel 1943. Pertanto, quel maniero era rimasto per lo più disabitato, vuoto e silenzioso. Il Signore Oscuro non voleva destare sospetti ed aveva preferito trovare una sontuosa villa altrove. E l’aveva trovata, ed era un’abitazione risalente all’epoca vittoriana, nell’Ayrshire Orientale, poco al di fuori di Kilmarnock, a qualche chilometro di distanza da un piccolo villaggio popolato da maghi. 

La sola idea di poter prendere una villa in una città stracolma da Babbani lo ripugnava, ma non voleva nemmeno mescolarsi al resto della comunità magica, non sapendo quanti maghi Purosangue ci fossero in quella zona. Provava sincero disgusto al pensiero di mescolarsi a qualche strega o mago Nato Babbano, a sua insaputa.

Aveva optato per lo sfarzo di quella villa di grandi dimensioni, protetta da un magnifico e lussureggiante parco, ed aveva apprezzato la solitudine che circondava quell’edificio elegante e sobrio. Avrebbe potuto radunare i propri Mangiamorte indisturbato, farli sentire a loro agio in comode poltroncine imbottite e ricamate, come si usava nel diciannovesimo secolo. Non sarebbero mancati i quadri da rimirare durante i loro ritrovi, tutti avrebbero toccato, con dita tremanti dall’invidia, i tessuti delle tende che avrebbero velato le grandi finestre di Villa Riddle, così l’aveva chiamata. Se li sarebbe viziati e cullati nel lusso, nella ricchezza, senza sconfinare nell’eccesso e nell’ostentazione. Li avrebbe stimolati a dare il meglio di sé, di fronte all’eleganza ed alla raffinatezza della mobilia di quell’abitazione: i migliori Mangiamorte si sarebbero potuti trovare anche coperti d’oro, qualora i disegni di gloria di Lord Voldemort fossero andati a buon fine. Tuttavia, la sua idea di ricompensare i servitori più fedeli era piuttosto altalenante, era sincero con se stesso. A volte sentiva di volere il mondo intero esclusivamente per sé, con i Mangiamorte che si eliminavano l’uno l’altro come gladiatori nell’arena; talvolta si sentiva magnanimo e si divertiva a prospettare un’eventuale ricompensa per qualche leale servitore particolarmente meritevole. Ma rimanevano pure e semplici fantasie, si conosceva fin troppo bene, era ben conscio di essere avido e terribilmente egoista, che la gioia di dominare sul mondo doveva essere sua e sua soltanto. 

Era possessivo, poiché tutto gli era stato negato. Gli era stata tolta la possibilità di crescere con una famiglia normale, non aveva avuto amore da nessuno. Ora che aveva suscitato paura tra le fila dei maghi, ed aveva ottenuto riverenza e rispetto da buona parte di famiglie nobili ed appartenenti a Serpeverde, non voleva più privarsi di quel piacevole brivido che gli dava il potere ottenuto con la forza, l’energia deflagrante delle idee imposte senza mediazione o senza mezzi termini.

Lord Voldemort era seduto sulla sua poltrona preferita, reggendo tra le mani un libro di lettura di un autore erroneamente considerato Babbano, in realtà uno dei più promettenti maghi oscuri di tutti i tempi, stroncato da un male incurabile: H.P Lovecraft. Tom Riddle era rimasto affascinato da quell’uomo scomparso prematuramente; forse era stata proprio l’energia magica che aveva dovuto reprimere ad ucciderlo, dato che aveva ricevuto un’educazione molto rigida e la madre l’aveva soffocato con il suo essere eccessivamente protettiva. Era uno scrittore visionario, nevrotico, instabile, ma estremamente potente e ricco di fascino. Ma al di là dei suoi racconti e delle sue opere, si nascondeva un enorme studio sul mondo magico, alla scoperta dei limiti della Magia Oscura, per crearne di nuovi. Lovecraft aveva una conoscenza enorme, ma se l’era fatta da sé, con sdegno per la comune concezione di sapienza, troppo limitata per un intelletto simile. Le scienze non lo soddisfacevano, forse le spiegazioni fornite circa il mondo e l’universo lo lasciavano con quella sete di volere di più, di saperne di più, più di qualsiasi altra persona al mondo. 

Il Signore Oscuro aveva sviluppato una certa simpatia - o forse era meglio chiamarla empatia - con lo scrittore e mago americano, costretto a studiare materie magiche di nascosto, camuffando quello studio frenetico e febbrile in appunti di chimica ed astronomia. Erano due anime molto simili, in qualche modo. E Lord Voldemort sentiva di dover far trionfare, una volta di più, la potenza delle Arti Oscure in ogni dove, schiacciando i Babbani e la loro ottusità.

La lampada, dalla sobria plafoniera in tessuto, era appoggiata al tavolino poco distante dalla poltrona di Riddle. La luce era calda ed avvolgente, e sembrava conferire un colorito più sano a quel mago potente, che perdeva giorno dopo giorno le proprie fattezze umane. Gli unici rumori ad interrompere quella quiete al limite dell’irreale erano lo sfogliare delle pagine dell’antologia di Lovecraft, e l’orologio a pendolo in legno scuro, con il lento oscillare del disco di ottone placcato d’oro a scandire il passare del tempo.

Di tanto in tanto, il potente mago alzava lo sguardo, proprio per capire che ore fossero, oppure per guardare fuori dalla finestra.

La Luna era persa dietro le nuvole vellutate di Agosto, così differenti rispetto alle nuvole invernali, più pesanti e lugubri. Al Signore Oscuro non importava nulla di quel cielo estivo, men che meno della brillantezza di quel satellite argenteo, al quale aveva tolto quelle tre creature astiose e crudeli. Era divenuto inutile, un semplice orpello della volta celeste. Anzi, un inutile ammasso di ossigeno, magnesio, ferro, titanio ed alluminio.  

Lord Voldemort attendeva l’arrivo di lei, di Bellatrix Black, la sua Mangiamorte preferita, l’unica donna che avesse acconsentito di farsi marchiare il braccio sinistro dal funesto simbolo. Era estremamente fedele al Signore Oscuro, era ossessiva nel suo voler compiacere e soddisfare il proprio padrone. Talvolta era colta da veri e propri attacchi d’ira, nel caso in cui non riuscisse a dargli ciò che desiderava. 

Tom Riddle non aveva mai amato nessuna donna in vita sua, e certamente non amava Bellatrix, ma si era sentito inspiegabilmente attratto da quel fuoco selvaggio ed ardente che bruciava negli occhi della fiera donna. Era attratto dal suo essere così viscerale, umorale ed instabile. 

Col tempo, era diventato possessivo nei suoi confronti. Riunione dopo riunione, l’aveva conosciuta, non solo come Mangiamorte, ma come persona. L’aveva messa alla prova, si era fidato - per quanto si fidasse completamente solo di se stesso - e le aveva affidato dei compiti delicati, che aveva eseguito in maniera pressoché impeccabile. Come persona era assolutamente disturbante, ma si era rivelata la perfetta maga Purosangue: aveva preso molto sul serio - forse fin troppo - l’intera questione della purezza di sangue, che i genitori le avevano amorevolmente inculcato in testa sin dalla più tenera età. Era la delizia degli occhi del Signore Oscuro, che compiaciuto l’osservava quando si infervorava, quando osservava le sue mani che fremevano dal desiderio di poter afferrare la bacchetta magica e poter Cruciare e torturare qualche vittima indegna. 

L’impudente agitarsi della lunga chioma di ricci neri davanti ai suoi occhi era ciò che aveva scatenato il desiderio di Lord Voldemort di averla solo per sé. Tutto era scoppiato all’improvviso non troppo tempo prima, quando Bellatrix era stata promessa in sposa a Rodolphus Lestrange. Era stata una serata strana, dove il Signore Oscuro era apparso irritato e di poche parole. Aveva evitato accuratamente la donna per tutta il corso del consesso, come se non fosse mai esistita. La realtà era che non voleva essere colto nella sua debolezza più grande, ovvero la gelosia, quel suo smaniare per non poter avere subito l’oggetto del suo desiderio. E Bellatrix era il centro dei suoi desideri.

I matrimoni Purosangue non erano fatti per coronare sogni d’amore, erano fatti per mettere al mondo altri Purosangue. Lord Voldemort era inoltre convinto che queste cerimonie fossero fatte quasi per essere rovinate subito dopo.

Poco dopo il matrimonio in grande stile con Rodolphus, Bellatrix si era ritrovata tra le braccia di Tom Riddle, che finalmente poteva godersi il suo meritato trofeo. Non potevano dire di amarsi. Non si trattavano come una coppia di fidanzati, men che meno come marito e moglie. 

Si limitavano a lasciare segni indelebili del loro fuoco appassionato sull’altro, senza pietà e senza tenerezza. Bellatrix si era sentita estremamente fiera di appartenere al Signore Oscuro e ne faceva quasi un vanto da ostentare davanti a tutti. Ed evidentemente, Rodolphus sapeva di questa liaison tra il proprio padrone e quella che di fronte alla legge magica era sua moglie. Tuttavia, non aveva mai osato bloccare le fughe della consorte, forse perché sperava in questo modo di rimanere nelle grazie del proprio padrone. In realtà, mai pensiero fu più sciocco di quello, perché a Lord Voldemort non poteva importare minimamente dell’ostacolo che si frapponeva tra lui e Bellatrix. E, a dire il vero, il Signore Oscuro non riusciva a spiegarsi la fredda attrazione nei confronti di quella donna così focosa. La sua bramosia si estingueva nel momento in cui l’afferrava per un polso e l’attirava a sé, nel momento in cui la conduceva nella sua camera da letto. Ma, una volta terminato il loro momento di passione, difficilmente voleva starle accanto o provava il desiderio di stringerla a sé, di averla tra le braccia mentre riposava. Lord Voldemort si alzava, recuperava la sua raffinata vestaglia in raso, e la lasciava tra le lenzuola, per andare in sala, a sedersi sulla sua poltrona preferita - proprio quella dove era seduto in quel momento di riflessione e di attesa - con in mano un bicchiere di pregiato Hennessy V.S.

Il mago oscuro era sicuro che niente sarebbe cambiato, quella sera, niente sarebbe stato diverso dal solito.

Bellatrix Black apparve, con il consueto schiocco secco derivante dalla Materializzazione, appena rischiarata dalla lampada vicino a Riddle.

“Mio Signore” chinò leggermente la testa, facendo ricadere in avanti la massa di ricci neri, portandosi una mano al petto.

“Buonasera, Bellatrix” l’accolse l’uomo, con un leggero sorriso soddisfatto.

Avevano un rapporto strano: Lord Voldemort aveva immaginato più volte la donna correre da lui ed inchinarsi, prendergli la mano e baciargliela con ossessione. Invece erano sempre rimasti a qualche passo di distanza, lasciando che lentamente l’ardore si facesse strada, annullando ogni distanza. La strega rimaneva in piedi, fiera, orgogliosa, con l’abito scuro in chiffon, lungo fino ai piedi e con una scollatura non vistosa, guardandolo negli occhi. Attendeva un piccolo cenno da parte dell’amante, per accomodarsi su una poltrona poco distante.

Agli occhi del mago oscuro, quella sera Bellatrix era affascinante e conturbante. Non era lasciva, non era volgare, era una donna che aveva ben chiaro in testa quello che desiderava.

Con un gesto appena accennato, il Signore Oscuro fece accomodare la donna. Prima di ogni altra cosa, però, la Mangiamorte desiderava parlare con il proprio padrone.

“Mio Signore” esordì, con un ghigno soddisfatto. Lord Voldemort notò, ancora una volta, come non lo chiamasse mai per nome, nemmeno quando erano in intimità. Era rispettosa, ossequiosa, c’era una sorta di venerazione in quel suo modo di pronunciare “Mio Signore”. 

Si sentiva deliziato da quel susseguirsi di sillabe e da quella voce inconfondibile, che possedeva qualche briciolo di follia. Si sedette anche lui, sprofondando rilassato nello schienale della poltrona, pur rimanendo composto in maniera impeccabile. 

“Sono stata a casa di mia sorella Narcissa e di Lucius. Avevano come ospiti i Mulciber e gli Avery” si fermò un attimo e fece schioccare la lingua, con un moto di disappunto “Sarebbero stati molto felici di vedere il Signore Oscuro, questa sera...”.

Riddle s’irrigidì lievemente e sbuffò. Non era la persona da feste e incontri esclusivi con famiglie Purosangue ogni settimana. E non aveva intenzione di stare a sentire un resoconto dettagliato di tutte le inutili frivolezze dette delle famiglie partecipanti.

“Ad ogni modo, promettono bene i marmocchi di Mulciber ed Avery. Hanno fatto un ottimo lavoro con la SangueSporco, ad Hogwarts. Peccato che Silente abbia come al solito messo il naso in affari non suoi” aggiunse Bellatrix, sogghignando. Accavallò le gambe, certa di ottenere la totale attenzione dell’amante.

Lord Voldemort la guardò, con gli occhi di ghiaccio scintillanti di soddisfazione. Aspettarsi un complimento del genere da parte della più assetata di sangue del gruppo era come aspettarsi un’improvvisa nevicata in estate. Ed in virtù di questo, il suo parere era di vitale importanza, quando si trattava di reclutare futuri Mangiamorte.

Il mago oscuro non le rispose subito, e chiamò a sé la bottiglia di pregiato liquore. Non era l’ideale per la stagione più calda, ma quell’estate in Scozia non era eccessivamente afosa.

Bellatrix lo osservò in silenzio prendere i due bicchieri e versarvi due dita di Hennessy S.V. 

Provò un piacevole brivido nel vedere le mani reggere la bottiglia, la precisione e la lentezza con la quale Riddle versava il liquido nei bicchieri. Pregustava il momento in cui quelle mani sarebbero state solo ed esclusivamente per lei.

“Non male per essere ancora dei ragazzini, sono d’accordo, mia cara Bellatrix” ammise il Signore Oscuro, alzandosi per darle il bicchiere. Le lo prese tra le mani, ringraziandolo con un cenno del capo. La mano sinistra della donna era libera, e Lord Voldemort la portò alle labbra, sfiorandola appena. Notò con piacere che la fede nuziale era sparita dall’anulare, già da qualche tempo. 

Era un gesto raro e la strega doveva solo godersi il momento di magnanimità di Lord Voldemort.

“Tuttavia” aggiunse l’uomo, sedendosi sul bracciolo della poltrona dove si era accomodata l’amante “Sai bene che non mi bastano. Io ho bisogno di più Mangiamorte... E ho bisogno di trovare il mio erede, il migliore di tutti, capisci?”.

Bellatrix aveva più volte pensato di poter essere lei la prescelta. Forse una volta quella frase l’avrebbe fatta impazzire di rabbia, l’avrebbe fatta scattare in piedi, urlando furiosa, ma ora aveva compreso che lei era già la preferita del Signore Oscuro, ed a lei interessava puramente compiacerlo. Non le interessava di divenire ufficialmente la favorita del mago più temibile di quei tempi. E aveva pensato lei stessa di potergli dare un erede, l’era apparsa una soluzione molto più semplice, ma per qualche oscuro motivo, Lord Voldemort non si era mai espresso al riguardo, forse per mantenere il matrimonio di facciata dell’amante, accuratamente arrangiato dalle famiglie Black e Lestrange. O forse, il tempo stringeva ed un neonato, il figlio di Tom Riddle, sarebbe stato pressoché inutile alla causa. Avrebbero dovuto aspettare troppi anni, prima di uscire allo scoperto. Il Signore Oscuro aveva fretta.

La donna annuì, ma fu pronta a replicare, con più eccitazione: “Mio Signore, i due ragazzi hanno fatto il nome di un certo Severus Piton a Lucius. Proprio quello che ha soccorso la SangueSporco”.

“Vai avanti” la incalzò il mago, curioso di saperne di più. Allungò una mano e l’affondò nei capelli della donna, fermati da un piccolo pettine in argento. Lo sfilò con cautela e lasciò libera la massa di ricci scuri. Apprezzava la chioma selvaggia della donna e lei amava quando il Signore Oscuro le scioglieva i capelli. Un altro gesto raro; evidentemente era particolarmente espansivo, quella sera.

“E’ un Mezzosangue, appartenente a Serpeverde. Dicono che sia uno dei maghi più promettenti di tutta Hogwarts... E dicono anche che sia piuttosto incline alle Arti Oscure”.

Riddle convenne che quello sembrava essere un ottimo presupposto per poterlo prendere in considerazione.

“Suppongo che Lucius abbia ottenuto buona parte delle informazioni sul ragazzo dal caro Professor Lumacorno”.

“Lumacorno ha la lingua lunga, figurati se non ha parlato del ragazzo, a Lucius, in maniera dettagliata. Lo porta su un palmo di mano, è il miglior pozionista della scuola, a suo dire” disse la donna, ridacchiando “Però, sembra che il nostro amico Silente lo tenga d’occhio, da quando Mulciber ed Avery hanno attaccato quell’inutilità di ragazza”.

Lord Voldemort bevve un sorso di liquore e rimase in silenzio per qualche attimo. Si alzò in piedi e fece qualche passo per l’ampio salotto.

“Vorrà fargli un lavaggio del cervello, inculcandogli in testa tutte quelle smancerie ed inutilità che solo le persone con tanti scheletri nell’armadio sono in grado di possedere, per essere considerati dei santi e dei puri”.

La donna rise un po’ sguaiatamente, soprattutto all’idea che il Preside di Hogwarts fosse un santo e bevve con voluttà il proprio cognac.

“Bellatrix, sai cosa penso dei maghi potenti. Meglio farseli amici che nemici. Dobbiamo fare in modo di entrare in contatto con questo Severus Piton. Ho bisogno di parlare con Lucius, in maniera tale che dia istruzioni precise a Mulciber ed Avery. Non possiamo farcelo scappare, se è vero quel che dicono su di lui”.

Quella era la sua ultima parola sulla questione, non c’era molto altro da aggiungere, e sarebbero state inutili altri commenti.

Lord Voldemort aveva decisamente ricevuto una bella notizia ed in fondo, era grato all’amante, ma non gliel’avrebbe mai detto. Si sarebbe limitato ad essere più magnanimo e generoso, quella sera, per accontentare lo slancio passionale della donna. Si preannunciava un futuro di gloria per il Signore Oscuro e poteva concedersi una serata più distesa, meno turbata dal chiodo fisso del futuro trionfale che cercava ottenere disperatamente. 

Si riavvicinò alla strega e la prese per un polso, con una forza sorprendente, facendole scivolare dalla mano il bicchiere, che cadde a terra, senza però rompersi. Qualche goccia del liquido macchiò il prezioso tappeto sul pavimento, che attutì anche la caduta, ma i due non fecero troppo caso, dato che si stavano rapidamente allontanando di lì,diretti verso la sontuosa camera da letto di Lord Voldemort.

 

Il ritorno dall’Irlanda era sempre doloroso. Più passava il tempo, più Lily e Severus faticavano a lasciare quel paese splendido. L’ultima sera a Galway, i due ragazzi erano usciti di nascosto, per l’ennesima volta da quando si erano messi assieme un anno prima, per ammirare le stelle, dato che Lily gli aveva promesso di insegnargli qualcosa di più circa le costellazioni.

Non avevano festeggiato il loro primo anno assieme in grande stile, però si erano sentiti particolarmente felici di quell’anno emozionante e quello a loro era più che sufficiente.

Quella sera, mentre osservavano le costellazioni e si appuntavano su piccoli pezzi di carta la loro posizione, Lily gli disse che non le sarebbe dispiaciuto vivere in Irlanda un domani, al termine dei sette anni ad Hogwarts, piuttosto che in Inghilterra. 

“Sempre che tu sia d’accordo” si affrettò ad aggiungere la ragazza, visibilmente rossa in viso. Si chinò a scrivere nervosamente la posizione della costellazione di Ofiuco, per poter cercare quella del Serpente. La mano destra reggeva in maniera malferma la biro. Avevano dovuto prendere una semplice biro dal nutrito portapenne degli zii. Portarsi dietro la solita penna ed il calamaio avrebbe destato qualche sospetto nei parenti impiccioni.

Severus la guardò stupito da quelle parole. Lily non era solita esporsi molto su certi argomenti sentimentali, data soprattutto la giovane età. Veniva sempre detto loro che a quindici anni non si era in grado di capire la profondità di un legame, la complessità dello stare assieme e le relative difficoltà.

A Sev parevano tutte delle enormi, tremende sciocchezze. E la smentita palese l’aveva lì davanti. Lily aveva riflettuto a lungo sul futuro e sperava che potesse essere condiviso con il ragazzo che amava. Come tutte le adolescenti, aveva fantasticato su quello che sarebbe potuto essere del loro amore, come sarebbe potuto crescere. Ma aveva sempre avuto grosse difficoltà a dare una voce ai suoi sogni romantici, forse perché temeva di essere fraintesa.

Era evidente che si aspettasse una piccola risposta, un segno d’interesse da parte del ragazzo.

Severus ci teneva tantissimo, ci sperava davvero con tutto il cuore che potessero crescere assieme e stare assieme ancora a lungo. E chissà se l’Irlanda sarebbe stata in grado di fargli dimenticare del suo conflitto interiore. 

“Perché no?” rispose Sev “Mi... Mi piace questo posto”.

Il sorriso di Lily sembrò una stella appena nata: spazzò via la bellezza e la limpidezza della volta celeste in un solo istante.

Il ricordo di quel sorriso parve risollevarlo, mentre si trovava nel corridoio dell’ospedale dove si trovava suo padre, nei pressi di Cokeworth. Alla fine aveva ceduto ed era andato con la madre a rendergli visita.

Di ritorno dalle vacanze con Lily ed i signori Evans, sapeva che sua madre avrebbe cercato di convincerlo ad andare a trovare Tobias Piton. Non che Eileen sperasse in una riappacificazione, ma perché potessero vedersi per l’ultima volta, perché ogni giorno, poteva essere l’ultimo. E, come ogni buona madre di famiglia che si rispetti, persino nei tempi più cupi e nei momenti più disastrosi, vi era un’apparenza da mantenere. Doveva solo stringere i denti, poiché dopo, n’era certa più che mai, non vi sarebbe più stata alcuna facciata da mantenere in piedi. Ed era inutile girarci attorno, Tobias Piton era giunto alla fine dei suoi giorni, e la sua agonia stava lentamente arrivando alla fine.

Per qualche giorno, la madre di Severus non aveva minimamente tentato di toccare l’argomento; poi la donna si era fatta coraggio ed aveva accennato al figlio il desiderio che lui andasse dal padre, anche per pochissimi minuti.

Sapeva che come risposta avrebbe ricevuto solo del silenzio; conoscendo suo figlio, però, era cosciente del fatto che il ragazzo si sarebbe messo a riflettere, prendendo in considerazione la proposta. Conosceva il suo bambino, poiché rimaneva un bambino fragile ai suoi occhi amorevoli, ed era certa che si sarebbe un po’ tormentato, prima di arrivare ad una scelta definitiva. 

Aveva capitolato, aveva acconsentito, una sera dopo cena, annuendo con il capo, guardando a terra.

Si sentiva terribilmente a disagio, in quella corsia d’ospedale, con gente sofferente, piena di parenti in attesa di una bella o brutta notizia. Lui sapeva già il destino di suo padre, attendeva solo di entrare in quella stanzetta solitaria ed inquietante e dargli definitivamente l’ultimo saluto.

Non voleva trattenersi molto, giacché la vista di suo padre, seppur estremamente sofferente, e probabilmente sotto effetto di sedativi, lo alterava e lo incarogniva in maniera spaventosa. Se si trovava lì era solo per sua madre, e per Lily, che una volta appresa la decisione del ragazzo, si era offerta di accompagnarlo. Lui aveva rifiutato seccamente, in maniera un po’ scorbutica, ma senza alcuna cattiveria nei confronti della ragazza amata. Non voleva mostrarle una delle persone più spregevoli del mondo intero, non voleva farle conoscere suo padre.

Lui, Tobias Piton, che era considerato dal figlio in qualche modo responsabile del veleno che guastava il suo sangue. Non perché fosse Babbano, aveva come esempio i genitori di Lily, due Babbani che avevano accettato la natura di strega della loro adorata figlia, piuttosto perché lo riteneva responsabile di averlo incattivito. Anche lui aveva contribuito ad accentuare il conflitto interiore del figlio, spingendolo verso l’ombra, verso le grinfie delle Arti Oscure. 

Severus si era sentito in qualche modo giustificato a sentirsi attratto a quella branca proibita della  magia, ed ogni comportamento del padre non avevano fatto altro che farlo affondare in quel lago nero, dalle acque nocive e profonde.

Era così difficile per quel ragazzo tornare in superficie. Man mano che affondava sempre di più, le acque si facevano sempre più buie, la luce del sole faticava a filtrare e non arrivava a rischiarare il fondale. Tuttavia, Severus era certo che dopo la morte del padre, qualcosa si sarebbe sistemato. Quello spregevole uomo, ubriacone ed iracondo, sarebbe divenuto un pallido ricordo, sarebbe stato lentamente dimenticato, condannato all’oblio. Sarebbe stato molto più semplice tornare a vivere in quella casa, per quanto magari sarebbe stato infinitamente strano poter camminare a testa alta, non avendo più timore di incrociare lo sguardo perfido di Tobias.

Sev stringeva i pugni dal nervoso, cacciati nelle tasche dei suoi pantaloni migliori, dalle gambe troppo larghe per le sue, che erano magre e lunghe. Stava cercando di rassicurarsi, mentalmente, per evitare di risvegliare la sua nemesi. 

Divertente come rassicurare e raggirare siano separate soltanto da una linea molto sottile pensò sarcastico il ragazzo, che si sentì patetico nel cercare nuovamente delle scuse, per convincersi che la pace dei sensi sarebbe arrivata dopo la scomparsa di suo padre. Si stava illudendo una volta di più.

Un’infermiera si trascinò pigramente per la corsia, con il carrello metallico pieno di bottiglie, contenitori di ogni foggia, medicamenti dalle sigle strane ed inquietanti probabilmente solo agli occhi del giovane mago, che non era abituato alla terminologia medica babbana. Il cigolio delle piccole ruote del carrello riecheggiava nel silenzio dei presenti, che non osavano proferire parola, persi nei loro pensieri e nelle loro preoccupazioni. Soltanto il lamento di un malato in una stanza poco più avanti interruppe quella quiete forzata, costringendo l’infermiera ad accelerare il passo ed a spingere con più vigore il proprio carrello, non senza aver prima brontolato qualcosa di incomprensibile.

Nel frattempo, la porta della stanza dove si trovava Tobias si aprì e ne uscì Eileen, seguita da un uomo che Severus riconobbe essere un medico, per via del camice bianco e di quello strano strumento che serviva per auscultare il battito del cuore. Suo padre, qualche anno prima, aveva costretto Eileen a rivolgersi a medici Babbani, per quanto lei volesse portare il figlio dai MediMaghi per le visite di routine. Il ragazzo si era ricordato di quello strumento, appoggiato sul suo petto, intanto che il medico gli chiedeva di respirare lentamente e profondamente. Non ne aveva mai imparato il nome, però.

Il ragazzo si alzò, sapendo bene che era giunto il suo momento di entrare e salutare suo padre.

Eileen sembrava scossa, aveva un’espressione alquanto preoccupata in volto. Il medico era invece molto serio ed iniziò a parlottare con la madre del Serpeverde. Prontamente, lei gli fece segno di fermarsi.

“Non qui, c’è mio figlio” sussurrò in maniera appena percettibile “Ne parliamo quando Severus è dentro da suo padre”.

Il dottore si rivolse al ragazzo, con tono gentile: “Vai dentro, figliolo. Tuo padre probabilmente non ti sentirà, se vorrai parlargli, perché è sotto effetto di sedativi”.

Sev ringraziò con un cenno del capo e si diresse verso la porta della stanza di Tobias. Aprì la porta con estrema lentezza, come se volesse prepararsi all’incontro, e la richiuse altrettanto lentamente.

“Sa, dottore, mio figlio non è di molte parole” cercò di spiegare con un sorriso di circostanza Eileen “Lo perdoni, è molto scosso da quanto accaduto da suo padre”.

“Signora Piton” esordì il medico, ma venne interrotto dalla repentina correzione della donna.

“Signora Prince” disse lei rapida, provando uno strano brivido nell’essere chiamata con quel cognome che non riconosceva più da tanto tempo.

“Mi scusi, signora Prince. Una curiosità: suo figlio sa che suo padre non arriverà alla fine di questa settimana?”.

“Ovviamente” annuì la madre di Severus. Era una bugia bella e buona. Ma sapeva che il suo ragazzo era troppo intelligente per non capire che suo padre, di lì a poco, sicuramente poco prima del rientro ad Hogwarts del ragazzo, sarebbe morto. Ma come ogni madre, desiderava proteggerlo dal trauma di dover perdere qualcuno di molto vicino a sé, amato od odiato che fosse.

 

Quando Severus chiuse la porta alle sue spalle, trattenne il fiato, istintivamente, come se si fosse immerso.

Non sapeva che cosa aspettarsi, se suo padre fosse stato davvero sofferente o perfettamente lucido da infierirgli ancora qualche colpo basso. 

Il proprio sguardo incontrò come prima cosa quello strano macchinario accanto al letto di suo padre, che presentava alcune righe irregolari sullo schermo ed emetteva strani suoni e ronzii.

Erano i parametri vitali di suo padre, gli parve di capire, dalla regolarità con la quale si ripetevano quelle linee sullo schermo. 

Rimase a guardare per qualche attimo quel susseguirsi di suoni e di linee, come ipnotizzato. Sembrò quasi non accorgersi di suo padre sdraiato sul letto, con uno strano e ripugnante colorito giallastro, mugugnare qualcosa, perso nell’effetto degli antidolorifici e dei sedativi. 

Non si avvicinò al capezzale di Tobias Piton, il cui volto era piuttosto irrigidito dal dolore, in una smorfia che esprimeva tutt’altro che agio. 

Lo guardava come si osserva un oggetto fino ad allora sconosciuto. 

Vide che la malattia lo stava facendo soffrire, lo stava facendo contorcere nel dolore. E questo non faceva stare bene Severus, non gioiva affatto, ma una voce dentro di sé gli diceva che stava ricevendo quello che si meritava. E quella stessa voce malefica gli suggerì che, dopotutto, poteva anche dargli il colpo di grazia.

Il ragazzo scosse energicamente il capo, per mettere a tacere quella tentazione. Non poteva e soprattutto non voleva comportarsi da vigliacco. Gli era stato negato lo scontro diretto ed in condizioni tutto sommato di parità lo scorso Natale, ed ora non voleva approfittarsene, per quanto il suo mostro interiore volesse approfittare della debolezza dell’uomo, che mugolava in maniera piuttosto soffocata, lamentandosi per il dolore. Neanche la posizione fetale, tutta su un fianco, parve aiutarlo.

Sarebbe così facile attaccarlo e porre fine ai suoi giorni. 

Severus fece qualche passo in avanti, stranamente incuriosito. Suo padre da vicino era inquietante, e la sua sofferenza parve colpirlo, ora che era a distanza ravvicinata.

Per qualche istante pensò che si potesse perdonare quella persona, negli ultimi momenti della sua esistenza, che si potesse cancellare il male compiuto, che si potesse sperare in una vita migliore, ammesso che ce ne fosse una dopo il trapasso. Rifletté che, effettivamente, Tobias Piton avrebbe impiegato un’altra vita per cancellare le ferite inflitte a suo figlio ed a sua moglie.

Ma Severus, lui non si merita un’altra possibilità. Non c’è peggiore punizione che condannarlo all’oblio.

Una fiammata calda ed imperiosa s’impadronì del suo cuore, che prese a battere forte, come in procinto di esplodere da un momento all’altro. Era praticamente ai piedi del letto di Tobias ed allungò una mano sulle lenzuola bianche. Le dita le spiegazzarono convulsamente, con nervosismo ed era quasi sul punto di volerle ridurre a brandelli.

Se suo padre non si meritava un’altra possibilità, pensò, allora anche lui, ch’era diventato quello che era diventato a causa delle vessazioni dell’uomo, avrebbe ricevuto quella punizione, al termine della sua vita. Gli sembrava un destino inevitabile, poiché parte di lui stava assecondando la discesa in quella spirale oscura.

Poteva augurargli un dolce sonno? Un viaggio sereno verso l’aldilà, della cui esistenza Severus dubitava fortemente?

Si morse un labbro e si sentì sul punto di piangere per quello che l’avrebbe atteso. Adesso aveva voglia di strappare via quei fili collegati al corpo di suo padre, di privarlo dei suoi antidolorifici.

“Devi capire la mia sofferenza, quella sofferenza che tu stesso mi hai causato” sibilò, con voce roca, e si stupì che potesse essere la sua. Si chiese se l’avesse detto per davvero.

Molto bene, Severus, inizi a capire come ci si sente. Tuo padre se ne va in un letto d’ospedale, accudito ed assistito e ti lascia in balia del mondo ingiusto, di questa vita infame che ti ha prospettato. E tu dovrai riparare ai danni lasciati da lui. E soffrirai, perché non ti ha lasciato nient’altro che questo. Ma puoi alzarti in piedi e vivere vendicandoti sui simili di quell’uomo infido. E non sei il solo a volerti vendicare sui Babbani come tuo padre.

Adesso il drago era in grado di parlare, le sue corde vocali avevano preso forma e potevano vibrare, instillargli dubbi, causargli tormenti. Non riusciva a fermarlo. E lo guardava con occhi gelidi.

Si ricordò del suo incubo ricorrente, di quei occhi di ghiaccio che l’osservavano costantemente, studiandolo con attenzione.

Era spacciato.

Aveva voglia di urlare, piangere, accasciarsi su quel letto e svuotare l’anima contro suo padre, che probabilmente non l’avrebbe sentito chiaramente, ma avrebbe emesso solo qualche fioco lamento, forse più per il dolore, che per il vero fastidio causato dal ragazzo. 

Stava piangendo dalla disperazione, a testa china, guardandosi i piedi, quasi ghermito dalla rassegnazione, quando si ricordò che forse non tutto era perduto. 

Il fiato che gli era venuto a mancare, lentamente fece ritorno. Si concentrò sul respiro, rendendo sempre più profonda ciascuna inspirazione.

A differenza di suo padre, a lui era stata offerta una via d’uscita, dal costo estremamente salato. Ma era pur sempre meglio che essere vittima delle scelte sbagliate altrui.

Albus Silente gli stava dando la possibilità di potersi rendere utile, di poter correggere la sua tendenza alle Arti Oscure, di renderla un esplosivo utile per far collassare colui che le Arti Oscure le avrebbe utilizzate con bieca crudeltà. Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.

Aveva in mano una rabbia potente e preziosa, che poteva spazzare via il male insito nel mondo magico. Non doveva usarla per distruggere se stesso, non doveva disintegrare ciò che di buono era in lui. 

Perché sua madre gli aveva dato amore, anche se un po’ distante, gli aveva piantato i semi del bene e quelli del coraggio. Poteva farli crescere forti e rigogliosi.

Lily gli aveva insegnato ad amare, e gli aveva fatto capire che l’amore era anche per i ragazzi insicuri, timidi ed impacciati come lui. Lui che non aveva ricchezze, non aveva bellezza, non aveva la spavalderia dei Malandrini o la sicurezza dei suoi coetanei.

Però, poteva sempre salvare Lily da un destino segnato. Poteva darle una vita felice e lui non chiedeva altro dalla vita. Non voleva fare la scelta sbagliata, desiderava fare la scelta giusta, per lei. Voleva rimediare ai suoi errori, riparare ai danni che aveva causato con il suo carattere strano, che non avrebbe mai cambiato. Voleva disperatamente imparare a capire che cosa volesse dire mettersi in gioco per guadagnarsi una vita libera, non necessariamente felice, ma perlomeno serena.

Lui che aveva sempre pensato di essere ricattato, ghermito da quelle due enormi entità chiamate comunemente “Bene” e “Male”, aveva capito quale fosse la sua strada. E non sarebbe stato un percorso facile, ma era l’unico possibile, se voleva davvero ottenere qualcosa. E non sarebbe stato molto semplice da spiegare a Lily, figurarsi a sua madre, ammesso che l’avrebbe mai spiegato loro. 

Alzò la testa e cercò di ricomporsi, guardando per l’ultima volta suo padre, sapendo che non si sarebbero mai più incontrati, perché era certo più che mai che le loro strade sarebbero state da lì in avanti, e per l’eternità, divise e ben distinte. 

Recuperò la lucidità e la calma necessaria per staccarsi dal letto, per lasciare andare le lenzuola stropicciate, per separarsi per sempre da quella persona che l’aveva fatto soffrire.

Severus Piton non avrebbe ripetuto il grosso errore di causare del male alle persone vicine a lui. Non avrebbe mai sfiorato con un dito la sua Lily, per la quale non avrebbe mai nutrito altro che amore e gratitudine, per averlo tenuto a galla nei momenti più difficili. Piuttosto, giurò a se stesso, si sarebbe tagliato mani e lingua di netto.

Guardò il monitor con i parametri vitali di suo padre, che ora sembrava riposare più sereno, meno turbato dalla presenza del figlio. Vide che il battito cardiaco era rallentato, seppur di poco.

Indietreggiò, allontanandosi dal letto, sentendosi un estraneo di fronte a quell’uomo dal colorito itterico.

Severus avrebbe dimenticato i momenti peggiori, le memorie dolorose.

Aveva una speranza di camminare verso il sole, di godere del colore dei giorni migliori. Ne aveva tutti i diritti e avrebbe pagato qualsiasi prezzo per potere avere quello che voleva ferocemente.

Ogni cosa sarebbe andata al suo posto, nel cerchio della vita e degli eventi. Ciò che lo avvelenava e che gli rubava qualsiasi dignità sarebbe evaporato di fronte alla luce accecante della libertà, di un giorno splendente senza fine. 

Si avvicinò alla porta della stanza, sapendo che non doveva sprecare quella possibilità di trafiggere da parte a parte il drago, di cui ora sapeva l’identità. E si sarebbe preso gioco di quel nome, l’avrebbe umiliato, quel drago maledetto. Era pronto ad inseguirlo ed a fronteggiarlo. 

Ma per arrivare a quello scontro, avrebbe dovuto accogliere la proposta di Silente ed ora era pronto ad accettarla fino in fondo. Avrebbe dovuto mettere la propria vita a totale repentaglio, per preservare quella della ragazza che amava di più. 

Ne valeva la pena, n’era convinto più che mai.

 

“The dragon is wreaking havoc in my brain

Plays my emotion a never-ending game”

 

“Nothing will be forever gone

Memories will stay and find their way

What goes around will come around

Don't deny your fears

So let them go and fade into light

Give up the fight here”

 

“One more life to live for me”

 

“I want the night just to color the day

The morning to chase all my nightmares away

Don't you deny that we're all human beings

We all have our flaws that can make us obscene”
 

* * *

Olé, e anche un’altra parte tosta di Irish Rain è andata.

Devo ringraziare un certo RaspberryLad per avermi fatto tornare la fiamma per gli Epica, dato che il capitolo è ispirato a questa canzone. 

Ad ogni modo, accidenti, tra poco arriveranno dei bei capitoli interessanti. Sehr sehr interessanti XD Non vedo l'ora di far scendere in campo Lucius <3

 

Sicuramente per domenica prossima non riuscirò ad aggiornare, dato che comunque domenica prossima è Natale iiiih *___* Non vedo l’ora, amo troppo questa festività.

E dato che tra poco è Natale desidero ringraziarvi di tutto tutto cuore, davvero. In questi mesi ho conosciuto nuove persone, tante e tanti autori bravissimi e gente meravigliosa, principalmente nel fandom di Harry Potter. Ho ritrovato molta motivazione, ho trovato tanta voglia di fare e soprattutto di scrivere e di condividere con voi tante cose. Ho trovato la voglia di vivere più libera. Sono stati due anni molto impegnativi, ma ora ho la serenità necessaria per guardare avanti con un sorriso.

Grazie per la fiducia che mi date e le calorosissime recensioni. Sapete chi siete, e provo tanto affetto sincero per voi, davvero.

 

Per chi ha voglia di mettersi in gioco, ho indetto un simpatico e creativo contest! Collegatevi a questa pagina *___* Non potevo non dedicarlo a Tori Amos! (Tori, un giorno mi ospiterai come premio nella tua meravigliosa casa irlandese a Cork <3)

 

Questa è la mia pagina Facebook. Uuuh, quanti siamo diventati *__*

 

Un buon Natale di cuore (anche da parte di Lily e Sev) e un abbraccio enorme ed immenso!

 

Dalla vostra

 

Alessandra <3

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Capitolo 25
*** The Drapery Falls ***


25.

The Drapery Falls



“Wept for solace and submit to faith

In his shadow I'm choking

Yet flourishing”

 

“Master”

 

“A delusion made me stronger

Yet I'm draped in pale withering flesh

I sacrificed more than I had

And left my woes beneath the mire”

 

Opeth - Beneath The Mire

 

 

Nel bene e nel male, la morte stravolge la vita di coloro che sono rimasti in vita. 

Che si odi o che si ami colui che è trapassato, la sua mancanza diventa un silenzio assordante ed arriva a far sentire i vivi estranei nei luoghi che ha lasciato per sempre. L’ordine perfetto delle stanze diviene surreale, inconsueto, anche se lo si accoglie con sollievo, dopo il maelström in cui si viene risucchiati dopo la scomparsa di qualcuno.

Severus aveva dormito forse una manciata di ore tra il momento della morte di Tobias Piton ed il funerale, poco prima del ritorno ad Hogwarts. O forse non aveva dormito affatto, perché non si sentiva affatto riposato. Era stato travolto dagli eventi, dai pochi parenti Babbani che gli avevano invaso casa, sballottandolo di qua e là, facendogli domande futili ed osservando quanto fosse cresciuto dall’ultima volta che l’avevano visto. Fortunatamente, nessuno di loro si azzardò a paragonare le fattezze del giovane Serpeverde a quelle del padre, in quanto prima di tutto sarebbe stata una falsità bella e buona - la classica falsità di chi cerca di richiamare in vita a tutti i costi la persona scomparsa, arrampicandosi sui vetri, trovando rimandi e somiglianze in chi resta - ed in secondo luogo, era risaputo che Sev assomigliasse molto di più alla madre Eileen. Non ultimo, Severus sarebbe andato su tutte le furie sentendosi paragonato all’uomo che tanto aveva detestato.

Sua madre era stata estremamente composta, dignitosa, come una buona moglie che accoglie una perdita pesante, ma attesa, dopotutto; il ragazzo, però, colse un certo sollievo, una brillantezza negli occhi che si riesce solamente a scorgere in coloro che intravedono la luce alla fine di un lungo tunnel. 

Certo, si disse il ragazzo, forse era triste per la perdita, che l’aveva colpita in qualche modo, perché un tempo i suoi genitori si erano amati, ma dall’altro lato sperava di aver definitivamente voltato pagina.

Ma dov’era quella speranza, dov’era quel fremito inarrestabile che spinge l’uomo in avanti, verso un nuovo capitolo tutto da scrivere? Severus non l’aveva ancora percepito, si disse che poteva essere questione di tempo. Per il momento, non trovava quel guizzo di felicità nel poter ricominciare daccapo. Non era pervenuto nella cucina ora ordinata, con un vago profumo di limone. Non era stato individuato nella luce tenue, meno estiva ed accecante del solito, che filtrava attraverso le tendine oramai rovinate della cucina. 

Sev esaminava quell’angolo della casa, passando una mano sulla superficie regolare del tavolo. Era lì che si trovava qualche giorno prima, assieme a Lily, quando aveva saputo del decesso di Tobias. Il tavolo era coperto da una tovaglia macchiata e un po’ sdrucita, per proteggere il legno, e vi avevano messo sopra tutto l’occorrente per preparare qualche pozione. Lily aveva semplicemente intuito che qualcosa sarebbe presto accaduto, e si era premurata di tenere impegnato Severus come poteva. Aveva tentato ogni cosa per tenerlo il più calmo e sereno possibile e sapeva che con le Pozioni si sarebbe rilassato e non avrebbe più avuto pensieri cupi. 

Nel bel mezzo della preparazione della Bevanda della Pace - Lily aveva voluto evitare qualsiasi pozione che avesse nomi dai rimandi tristi - Severus aveva intravisto Eileen dalla finestra e si era rabbuiato all’istante. La Grifondoro aveva percepito il cambio di espressione del ragazzo, che senza guardarla si era asciugato le mani in un asciugapiatti in prossimità del lavandino, per poi aprire la porta della cucina e richiuderla con cautela. La ragazza aveva continuato a preparare l’infuso di tiglio, nel quale avrebbe poi riversato l’essenza di elleboro per la fase di ebollizione del composto.

Lily aveva tentato di tendere l’orecchio verso il salotto, ma aveva sentito solo un gran sbattere di porte e qualche passo affrettato. 

Aveva rischiato di spaccare l’ampolla con l’essenza di elleboro dal nervoso che l’aveva scossa, all’improvviso. Allora aveva deciso di precipitarsi fuori dalla cucina, per capire che cosa fosse successo ed aveva trovato Eileen Prince insolitamente abbracciata al figlio che piangeva senza sosta, apparentemente inconsolabile.

Lily aveva ritenuto che fosse normale piangere, per liberarsi dalla tensione che si accumula mentre una persona soffre nella sua agonia, a prescindere da quello che si possa provare nei confronti di un uomo simile. Ad ogni modo, aveva i suoi motivi per piangere la scomparsa di un uomo che aveva arrecato molti dolori alle due persone di fronte a lei. Lily non era nessuno per giudicarla.

Severus aveva lo sguardo perso, un po’ sorpreso ed un po’ spaventato, sebbene sapesse che la fine era imminente. Era pronto mentalmente, si era ripetuto molte volte che era solo questione di poco, ma la notizia l’aveva sconvolto comunque. Teneva le mani della madre tra le sue, intanto che lei piangeva sulla sua spalla.

Lily era corsa ad abbracciare entrambi, cercando di infondere loro forza. Nel momento di difficoltà suprema, lei non doveva venire meno, per nessun motivo al mondo.

Severus tornò in sé, lasciandosi il ricordo alle spalle, come se fosse distante anni luce, e si sedette, appoggiando un gomito al tavolo. 

C’era un motivo per cui si era rintanato in cucina, ed era tutto riposto in quella gabbietta, dove se ne stava rintanato il piccolo gufo che la madre aveva regalato a Severus di ritorno dall’Irlanda. Il volatile, di un particolare ma grazioso piumaggio grigiastro, era stato chiamato Thingol da Lily ed al ragazzo quel nome parve davvero azzeccato.

Il batuffolo di piume, non appena vide il ragazzo mettere mano alla pergamena ed all’inchiostro, iniziò ad agitarsi, sbattendo le ali e prese a bubolare vivacemente. 

Severus avrebbe dovuto scrivere la manciata di righe più impegnativa di tutta la sua vita. Proprio lui, che era solito riempire di fiumi di parole le proprie pergamene.

Questa volta non si trattava di scrivere delle banali nozioni acquisite a scuola, tra i banchi di legno incisi da qualche ragazzetto troppo esuberante e ribelle, ma di prendere una decisione vitale, che sentiva oramai matura. Non percepiva più suo padre come un ostacolo e si sentiva perfettamente in grado di domare il suo lato più oscuro, giacché credeva di essersi liberato una volta per tutte di colui che l’aveva sempre istigato. 

Guardò la pergamena vuota, ancora da riempire. La fissò come si osserva un oggetto con sospetto, perché non aveva ancora la più pallida idea di cosa scriverci. E quel frammento avrebbe delineato una volta per tutte il suo cammino.

All’improvviso, ebbe un po’ di paura e si sentì meno sicuro delle sue intenzioni. 

Non poteva più vacillare, non se lo poteva più permettere. Si maledisse per la sua insicurezza.

Trasse un lungo respiro, afferrò con veemenza la piuma ed iniziò a scrivere. Si fermò. Alzò la pergamena dal tavolo, per portarla agli occhi. La stracciò e sbuffando ne prese un’altra.

Provò a scrivere, in maniera decisa ed ostinata, graffiando la superficie di quei fogli con rabbia, perché sentiva il suo destino più chiaro che mai e doveva solo dirlo chiaro e tondo, mandando al diavolo qualsiasi insicurezza. Infine, si decise per scrivere pochissime e laconiche parole, più eloquenti di qualsiasi altro panegirico inutile ed ampolloso.

 

Preside Silente,

 

Ho riflettuto a lungo.

Accetto.

 

Cordialmente,

Severus Piton

 

 

Girò nervosamente per la cucina, con quella misera missiva tra le mani. Poteva andare bene? Sarebbe stato abbastanza per il Preside di Hogwarts? Che altro doveva aggiungere?

Alla fine, pensò, forse era meglio rimanere il più cauti e sintetici possibili: il ragazzo pensò bene anche di rimanere vago, in modo tale che, in caso di intercettazione, non si sarebbe capito il contenuto del messaggio. 

Severus rimase interdetto dai propri pensieri. Erano inarrestabili e soprattutto... Erano già perfettamente in linea con il ruolo che gli era stato assegnato.

Si stava già calando negli abiti neri come la notte, con la blusa piena di piccoli bottoni, come aveva visto nella visione riflessa nel lago quella notte. La sua mente viaggiava più veloce del passare del tempo stesso, nel tentativo di scrutare il futuro, di dargli una forma ed una certezza.

Ma con quel compito gravoso che l’attendeva, ovvero diventare la spia di Albus Silente, l’avvenire si sarebbe fatto tutt’altro che certo.

Improvvisamente, si chiese se accettare la proposta del Preside di Hogwarts comportasse anche il divenire Mangiamorte, tanto per eseguire in maniera impeccabile fino in fondo quanto richiesto dal vecchio mago. Non gli piaceva per nulla come prospettiva e sperava di non dover arrivare a tanto, soprattutto per Lily. Solamente per lei. Avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa, ma mai al suo amore.

Deglutì e scosse la testa con decisione, procedendo spedito verso la gabbietta di Thingol, che oramai era scatenato e scalpitava per mettersi in volo con la missiva.

“Merlino, Thingol, sta buono!” esclamò il ragazzo scocciato, con il lieve timore che l’animale, colto da tanto entusiasmo, potesse mordergli accidentalmente le dita.

Gli legò alla zampina il frammento di pergamena e aprì la finestra, per poi vedere il piccolo pennuto lanciarsi nel cielo illuminato dal sole estivo, quello di fine Agosto che perde forza e calore, per farsi più mite e meno ustionante. 

Severus richiuse la finestra non appena il gufo scomparve dal suo campo visivo. Il suo sguardo cadde nuovamente su quelle orrende tendine che decoravano la cucina. Era l’ultimo segno della presenza di suo padre. Le aveva imposte lui, prima ancora che Severus nascesse. Non erano mai piaciute, né alla madre, né tantomeno a lui. Ma a Tobias Piton dava fastidio la luce in cucina e voleva proteggersi da essa. Avevano avuto il compito di nascondere agli occhi estranei l’orrore dei litigi, delle percosse, degli insulti di casa Piton.

In quel momento, si rese conto della mancanza di suo padre e di come ogni pensiero riferito a lui fosse fuori luogo. Estraneo, molto semplicemente.

Si sentiva più libero di prendere una decisione in quella casa, che poteva ricostruire e rimettere in sesto a suo piacimento.

Afferrò il tessuto rovinato del tendaggio e con un gesto secco e liberatorio, lo strappò via, facendo saltare via gli anelli in ottone, che rotolarono ovunque. Alcuni scivolarono lungo il ripiano, altri cascarono nel lavello, mentre altri ancora scivolarono a terra. Buttò a terra quello che rimaneva delle tende, con un profondo senso di soddisfazione.

Il sipario era stato levato. Il cammino era stato segnato. Avrebbe deciso lui e lui soltanto quando farlo calare. Aveva una missione da compiere, ora.

 

Lily rincorreva due bambini su per delle scale in pietra. Urlava loro di aspettare, di non lasciarla indietro, ma non riusciva mai a raggiungerli, perché l’abito nero dal lungo ed infinito strascico le impediva di andare più veloce. I suoi urli sembravano essere privi di suono, dato che i due bambini non parevano darle minimamente retta.

Sentiva la fatica di portarsi dietro quel tessuto nero e pesante, le piume morbide che le coprivano il corsetto, sentendosi in profondo imbarazzo nell’indossare una cosa simile a quindici anni.

Ma in quel sogno non aveva affatto quindici anni. Pareva una ragazza più grande, decisamente una donna fatta e finita. Aveva i capelli parecchio più lunghi, sempre mossi, ma erano raccolti in una pettinatura che aveva perso la propria eleganza, man mano che Lily esplorava quell’edificio.

Era lucida, consapevole di essere lei a decidere in quale direzione andare, quale porta aprire e quale rampa di scale salire. Non era la prima volta che quel sogno inquietante e lucido le infestava il sonno, ma si era dimenticata da quanto tempo la turbasse. Volta per volta, aveva lentamente esplorato il castello, aveva scelto accuratamente di aprire questa o quella porta, per poter vedere il contenuto della stanza.

Non aveva mai capito perché si trovasse in quel luogo pieno di muschio, dalle pareti verdastre, dai fiori che cercavano la loro via nella pietra.

C’erano rose che tentavano di aprirsi, piene di spine.

I petali candidi delle margherite si facevano strada tra i rovi che qua e là nascondevano le piastrelle del pavimento. 

I tulipani rimanevano timidamente chiusi al cospetto della ragazza dai capelli rossi, preferendo nascondersi sotto i tavoli di legno, bucherellati dai tarli.

C’erano fiori e bulbi di tutti i tipi. Non fiorivano più, si appassivano dopo il passaggio dello strascico nero portato da Lily. Non poteva farci nulla, e nemmeno si accorgeva di far morire tutte quelle piante, perché cercava di inseguire quei due bambini, così somiglianti a lei ed a Severus. 

Li chiamava, ma non si fermavano, anzi, ridevano della lentezza e della goffaggine della ragazza dall’abito nero.

Lei diceva di cercare il Principe Mezzosangue, ma la guardavano con sguardo beffardo.

Questa sera quale porta le avrebbero fatto aprire? 

Eccoli lì, ad attenderla davanti all’ennesimo uscio da varcare.

“Dov’è il Principe Mezzosangue? Sono stanca di cercarlo!” esclamò la ragazza, apparendo inaspettatamente capricciosa ed aggressiva. Non era nella sua indole, le sembrava di essere diventata totalmente un’altra persona. Acida, come sua sorella Petunia, viziata come nessun’altra persona al mondo.

“Principessa Nerogiglio, apra quella porta” ghignò la ragazzina dai capelli rossi, quasi per canzonarla. C’era qualcosa di malvagio nei suoi occhi verdi.

“Lo troverà sicuramente” disse con una risata il ragazzo magro, dal pallore estremamente malsano ed i capelli lunghi - troppo lunghi per essere quelli del suo ragazzo - e neri, di un nero inquietante, come la pece appiccicosa surriscaldata dl sole estivo.

Lily si sentiva molto affaticata, voleva uscire da quel corpo che non era ancora pronta ad accettare, ma non si fermò ed afferrò la maniglia, aprendo la porta con un gesto imperioso. 

Venne accolta da quattro giullari vestiti di assurdi colori sgargianti e Lily giurò di vedere le fattezze di James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e Peter Minus dietro il pesante trucco bianco.

Le venne da urlare dallo spavento, in mezzo agli schiamazzi dei quattro, che presero a girarle attorno sbeffeggiandola.

“SILENZIO!” disse un’altra voce femminile alle loro spalle. Quella voce fece sobbalzare Lily e i quattro molestatori, che si allontanarono da lei e corsero verso l’altra voce femminile.

Lily poté finalmente vedere quella donna e rimase inorridita.

C’era un’altra Lily davanti a sé, sempre adulta.

Aveva dei capelli rossi irresistibili, la Principessa Nerogiglio - perché poi aveva iniziato a chiamarsi Principessa Nerogiglio se le dava fastidio? - dovette riconoscerlo, bruciava d’invidia per quella chioma fulva fluente e liscia.

Non era vestita di nero: era abbigliata di un bianco da far bruciare gli occhi. Il vestito era molto più semplice di quello nero della Principessa Nerogiglio, che era lungo, voluminoso e principesco. Piuttosto era aderente e di giusta lunghezza, ma la donna era ammantata da una lunga e soffice pelliccia bianca.

Da un’orrenda, mostruosa pelliccia bianca come la neve.

Lily odiava le pellicce, le aveva sempre detestate. Non sopportava di portare dei cadaveri addosso.

“Principessa Biancogiglio! Ci perdoni!” esclamò uno dei quattro giullari e la Principessa Nerogiglio non seppe dire chi fosse dei quattro Malandrini a chiamarla così.

Le faceva paura il viso di quella donna, coperta da una maschera bianchissima, con degli smeraldi a contornarle gli occhi. I suoi occhi verdi erano puri, ma pieni di cattiveria. Erano velenosi.

“Inetti! Idioti! Volete per caso rovinare il giorno del mio matrimonio?! Imbecilli!” disse la donna ammantata di bianco, sistemandosi la pelliccia sulle spalle.

Lily, la Principessa Nerogiglio poté vedere lo sposo della nobile donna vestita di bianco. Non riuscì a vederlo in faccia, dato che rimaneva sfocata ed indefinita. Ma provò molto, molto orrore nel vederlo.

 

Lily si svegliò di soprassalto, aggrappandosi al bordo della vasca da bagno, spargendo acqua ovunque. Si era addormentata di nuovo nella vasca. Erano stati giorni impegnativi, tra la morte del padre di Severus ed il funerale aveva dormito veramente poco, per poter stare accanto al suo ragazzo.

Il calore dell’acqua e la piacevolezza della schiuma che la ricoprivano le avevano messo parecchia sonnolenza, fino a farla assopire. E quel sogno spiacevole, enigmatico, era tornato a farle visita. Non che l’avesse ogni notte, ma almeno due volte al mese si faceva vedere ed ogni volta era diverso, con presenze e personaggi differenti, tranne che per lei ed i bambini, quegli inquietanti e perfidi Severus e Lily.

Dapprima non aveva dato peso a quella visione onirica, ma dato che continuava a presentarsi, aveva deciso di annotarsi ogni singola variazione su una pergamena, che teneva ben nascosta da tutti. 

Non era sicura che ciò che vedeva in sogno fosse portatore di segni positivi, tutt’altro. Sentiva che qualcosa di brutto, o di particolarmente negativo era alle porte. Cercò però di incupirsi il meno possibile, cercando di collegare in maniera forzata - forse illusoria - quel sogno alla scomparsa del padre di Severus. Tuttavia, Lily sapeva che, sin da quando aveva scoperto di essere una strega, quelle visioni erano sempre state riferite ad eventi futuri, ancora tutti da scoprire. Aveva avuto numerose piccole premonizioni, e credeva che quell’abilità facesse parte di qualsiasi mago o strega. Ancora non sapeva che quel dono non era affatto alla portata di tutti. Ignorava che quello era solo una minima parte di un mistero dentro di lei ancora tutto da svelare ed il tempo avrebbe spiegato ogni cosa. 

Lily uscì dalla vasca, afferrando un asciugamano per il corpo e ne prese uno più piccolo per la testa. Poi, asciugò rapidamente il pavimento dagli schizzi d’acqua ed aprì la piccola finestrella del bagno, in modo che potesse entrare dell’aria più fresca e potesse andare via la condensa sui vetri e sullo specchio sopra il lavabo.

Prima di uscire dal bagno, si guardò con un po’ d’ansia allo specchio, e si vide con le sue fattezze da quindicenne. Tirò un sospiro di sollievo e poté finalmente uscire di lì, sperando di non venire rimproverata da suo padre o sua madre, perché aveva trascorso troppo tempo nella vasca, o perché aveva sprecato troppa acqua. 

Camminò per il corridoio di casa con la testa ancora presa dal sogno, nel tentativo di non dimenticarsi alcun dettaglio da appuntare sulla pergamena. 

Passando davanti alla stanza di Petunia, la giovane si rese conto di quanto la sorella maggiore passasse molto tempo chiusa in stanza negli ultimi giorni, ma che fosse di umore decisamente migliore rispetto alla norma. Non che nei suoi confronti fosse particolarmente amichevole, anzi, ma c’era qualcosa di diverso nel suo atteggiamento ed i suoi occhi brillavano di una luce più dolce e meno cattiva.

Vide che la porta era accostata e Lily non poté fare a meno di avvicinarsi allo spiraglio, per vedere che cosa stesse combinando Petunia. Si spiavano e si studiavano l’una all’insaputa dell’altra, evitavano qualsiasi contatto potenzialmente pericoloso.

La ragazza vide che la sorella era seduta a terra, con la schiena appoggiata al letto. A terra vide pure il telefono. Evidentemente, era ancora al telefono con la sua migliore amica, quella sciocca ragazza di nome Jeanette. Era una ragazzetta vanesia e piuttosto superficiale, Lily si chiese che cosa avessero da dirsi tutti i giorni al telefono, dato che Petunia e quest’ultima si vedevano piuttosto regolarmente. E poi, rifletté Lily, chiamare costava parecchio ed i genitori si sarebbero sicuramente arrabbiati di fronte ad una bolletta salata. 

“...Sì! Ti assicuro che quel Vernon Dursley ultimamente mi sta parecchio addosso!” disse sommessamente Petunia, portandosi una mano alla bocca, per trattenere una risatina deliziata.

Chi è quel Vernon? si chiese la ragazza dai capelli rossi, avvicinandosi ancora di più per origliare meglio. Di certo, non era sgradito agli occhi della sorella.

“Mi ha preso per mano, sì... Ma no!” continuò la sorella, con fare civettuolo, passando da una mano all’altra la cornetta bianca del telefono.

Mia sorella ha il fidanzato. 

Lily si chiese con una punta di cattiveria chi fosse lo sfortunato a doverla sopportare, o a volerla avere accanto. Ma scacciò via l’eccesso di perfidia e proseguì nell’ascolto con crescente curiosità.

“No, mi ha sorpreso! E poi ha appoggiato la mano sul mio ginocchio!” continuò Tunia, giocando con il filo del telefono.

La sorella minore sobbalzò, al pensiero di vedere la mano di un ragazzo sulla gamba lunga e pallida della sorella. Non che si sentisse una moralista o una bacchettona, giacché si ricordava fin troppo bene le mani di Severus, seppur ancora timide ed incerte, sotto la sua maglietta. Però un conto era ciò che accadeva a lei, un altro era vedere quei gesti su altre persone.

“Santo Dio, Jeanette, no che non l’ho baciato! Non sono una poco di buono che bacia tutti subito!”.

Se considera baciare subito qualcuno essere delle poco di buono, allora non oso immaginare che cosa possa essere una ragazza che fa quella cosa con un ragazzo.

Era un termine orribile e disgustosamente generico, ma a casa non si toccava mai quell’argomento, né tantomeno veniva chiamato per nome. Solo Maeve, in estate, aveva usato la frase “fare sesso” davanti a delle persone adulte, con il solito caos che n’era seguito per tanta schiettezza e disinvoltura. E per poco a zio Paul non era venuto un infarto, perché “le bambine non dovevano sentir parlare di quegli argomenti da adulti”, riferendosi alle due sorelle Evans.

Dall’altra parte della linea, evidentemente l’amica stava prendendo in giro Petunia e la sua ritrosia.

“Jean, saranno appena due mesi che ci frequentiamo. Io voglio una relazione normale! Da persone perbene. Non voglio frequentare gente anormale o che i miei genitori non approvano”.

Lily non poté trattenere una risata fragorosa, ma si rese conto di essere troppo vicina alla porta e corse il serio rischio di essere scoperta dalla sorella maggiore. Come un fulmine, Tunia si voltò ed intravide Lily fuggire via in maniera piuttosto impacciata, tenendosi l’asciugamano, per evitare che le scivolasse via di dosso.

“Aspetta, ti richiamo dopo” sibilò stizzita Petunia all’amica, riattaccando il ricevitore. Si alzò in piedi e veloce si avviò verso la stanza della sorella minore, dove si era prontamente barricata, appoggiandosi alla porta con tutto il suo peso.

Petunia diede qualche colpo deciso alla porta, chiedendo piuttosto alterata di poter entrare, ma Lily fece finta di non sentire e rimase ferma immobile contro la porta, maledicendosi per tutta quella curiosità che le aveva fatto origliare la conversazione al telefono. Con qualche spintone, la sorella maggiore riuscì ad entrare nella stanza di Lily, che ruzzolò a terra.

Era tanto tempo che Petunia non entrava in camera di Lily. Una volta, fino a qualche anno prima, ci entrava per giocare con lei. Le librerie erano piene di libri normali, di fiabe per bambine normali. Avevano sempre avuto giocattoli normali e le bambole che tutte le bambine della loro età possedevano. Adesso non più. C’erano quei libri per folli, pieni di cialtronerie ed insulsaggini che ammaloravano il cervello della sorella minore. C’erano oggetti strani che le persone normali e perbene non avrebbero mai ammesso nelle loro case.

Era profondamente disgustata, ma fece finta di nulla e si concentrò sulla sorella, che si era rialzata in piedi e si era sistemata l’asciugamano attorno al corpo.

“Lily, oltre che essere completamente ammattita” iniziò Petunia avvicinandosi a lei con fare abbastanza minaccioso “Hai persino dimenticato le buone maniere?”.

Lily abbassò la testa, pensando tra sé e sé che, in fondo, la sorella non avesse completamente torto. Però in qualche modo voleva difendersi, evitando che si potesse degenerare in un’inutile sceneggiata per una sciocchezza.

“Ti ho sentito parlare al telefono con Jeanette. Ero solo curiosa di sentire che cosa avessi da dirle, dopo che hai passato l’intera serata di ieri al telefono con lei” rispose stizzita la ragazza dai capelli rossi, togliendosi l’asciugamano dalla testa. Cercò di mantenere la calma e si guardò attorno per cercare la spazzola per i capelli.

Petunia non disse nulla, ma le appoggiò la mano sulla spalla. Il voltò per qualche istante le si illuminò di un sorriso in apparenza estremamente dolce e materno, pieno di affettuosa apprensione.

Lily si bloccò immediatamente quando sentì la stretta farsi tutt’altro che delicata. Provò un dolore lancinante e si bloccò. Non si mise ad urlare, ma soffrì in silenzio.

“Mollami!” sibilò Lily, cercando di sfuggire dalla stretta di Tunia.

Lo sguardo materno si era trasformato nel solito fatto d’invidia e disprezzo.

“Quello che ho da dire a Jeanette sono puri e semplici fatti miei” disse la ragazza bionda con un ghigno “E faresti bene a farti un po’ di affari tuoi. Non mi vorrai costringere a dire a mamma e papà qualcosa riguardo te e quell’orrendo ragazzo, vero?”.

Lily la guardò furiosa e si divincolò dalla presa della sorella. Le voltò le spalle, e sdegnosa si mise a cercare i vestiti puliti nella cassettiera poco distante.

Severus non è un orrendo ragazzo, non ti permettere mai più di chiamarlo in questo modo” ribatté la Grinfondoro “Come se io chiamassi Vernon... Uhm, porco pervertito? Come sarebbero contenti mamma e papà”. Si voltò ed incrociò le braccia, godendosi l’impallidire di Petunia.

Lily sapeva essere molto perfida, se istigata. Ed era chiaro che la sorella non la raccontava giusta, fino in fondo, circa lei e quel fantomatico Vernon Dursley.

“Tu non chiamarlo...Non dire ai nostri genitori...!” Petunia la minacciò, alzando la voce, dicendo frasi sconnesse.

“Tu non chiamare Severus orrendo ragazzo ed io non chiamerò Vernon porco pervertito. E’ molto semplice, no? Non è nulla di così complicato” ribatté Lily.

Petunia ritenne inutile proseguire oltre nella discussione, ma era terrorizzata dall’idea che Lily potesse spifferare qualcosa a Norah e Charles. Lily dissimulava, ma temeva che la sorella potesse fare altrettanto.

“Guai a te, Lily. Non una parola con i genitori, né con le tue amichette malate di scuola. Altrimenti...”.

“....Altrimenti? Sentiamo, tremo di paura” la interruppe sarcastica.

“V-vado a dire a mamma che in Irlanda hai preso degli oggetti di nonna Eimear senza il suo permesso” ribatté Petunia, cercando di appendersi a qualsiasi scusa pur di incutere un minimo di timore nella sorella più piccola.

“A dire il vero me li ha dati Maeve, dato che erano lì a fare la muffa in una cassapanca” rispose tranquilla la sorella. 

“Adesso potresti gentilmente uscire dalla stanza? Sai, non vorrei prendermi un accidente e vorrei vestirmi, prima di cena”. 

Dopo quel gentile invito, Petunia se ne andò stizzita dalla stanza, sbattendo la porta rumorosamente. Lily si levò l’asciugamano di dosso e si vestì come se nulla fosse accaduto.

 

Quella sera, Lily e Sev erano persi nei loro pensieri. 

Ultimamente, erano più silenziosi tra loro, e nonostante tutto era qualcosa di normale, dopo quanto successo. 

Ma ciascuno di loro possedeva le proprie preoccupazioni inconfessate, da tenere rigorosamente dentro di loro. Reputavano che, dato il periodo, sarebbero stati dei colpi duri da mandare giù, da accettare. Entrambi attendevano con impazienza il momento in cui si sarebbero potuti aprire di più l’uno verso l’altro. Per il momento, ciascuno portava il suo fardello, evitando di appesantire l’altro.

E mentre passeggiavano mano nella mano, facendo lo stesso percorso di sempre in giro per Cokeworth, Severus si chiedeva cosa gli avrebbe risposto Albus Silente, se ad Hogwarts lo avrebbe convocato subito il primo giorno di lezioni. Si chiese che cosa avrebbe dovuto fare di preciso, per diventare una spia a tutti gli effetti. Si chiese dove e come avrebbe potuto fare pratica, giacché la teoria e l’essere bravi ad Hogwarts sicuramente non sarebbe mai bastato da solo per fronteggiare Lord Voldemort in maniera convincente. Non era un gioco, non era più uno scherzo, la sua vita da studente. 

Mentre il vento della sera li accarezzava e li faceva rabbrividire, Lily ripensò a quel sogno, a cosa potesse significare. Perché si era sdoppiata in quel sogno, scindendosi in due parti, una bianca ed una nera? E perché lei, fondamentalmente buona, era abbigliata di nero? Perché la parte bianca di sé era cattiva e perfida? Le fiabe e la tradizione le avevano sempre insegnato che il nero fosse il male ed il bianco il bene; ma stava imparando che il nero non era necessariamente indice di malvagità ed il bianco non era per forza simbolo di purezza. E chi era il Principe Mezzosangue? Chi erano quei due bambini cattivi e senza cuore, che la facevano correre a perdifiato per quel castello sconfinato e privo di vita, dove i fiori, al suo passaggio con quell’abito enorme, si rifiutavano di fiorire?

Che fosse un avvertimento di non far scappare Severus in futuro? Di fare attenzione a non trattarlo male, a capirlo nelle sue difficoltà? Lily non aveva alcun dubbio al riguardo, gli sarebbe stato accanto sempre, di fronte anche alle difficoltà insuperabili. Ci pensò con un sorriso, mentre riguardava l’anello che Sev le aveva regalato qualche mese prima. 

Si sedettero su una panchina poco distante da casa di Lily ed entrambi in quel momento provarono un po’ di malinconia. Vennero folgorati nello stesso momento da un dolore lancinante al petto.

Era la solitudine, la paura di rimanere da soli per sempre.

Qualsiasi cosa sarebbe accaduta di lì in avanti, la paura di rimanere soli era infinitamente più importante della paura di morire, scomparire, non esserci più.

Con la morte, si dissero, almeno tutto finisce in un istante. E se non ci dovesse essere un aldilà, non si proverebbe più nulla. Se qualcosa invece dovesse mai esistere, si potrebbero ritrovare le persone amate che hanno lasciato il mondo troppo presto.

Ma l’ottica di vivere e rimanere soli, separati per il resto della vita, era a dir poco insopportabile. Inaccettabile.

Avevano parlato poco, ma si erano tenuti per mano tutta la sera, come se non volessero più separarsi. Sulla panchina si erano stretti l’uno all’altra, per non perdere il contatto fisico, quel contatto che li faceva sentire uniti.

Curiosamente, sulla panchina non si erano guardati, per fare in modo che non potessero leggere il tormento l’uno negli occhi dell’altra.

Avevano osservato la strada, il cielo, i tetti delle case ed il valzer di luci che si accendevano e spegnevano nelle abitazioni circostanti.

Ma quando si voltarono il fuoco divampò tra loro. Un fuoco disperato che è in grado di bruciare l’anima di due quindicenni, se non si è maturi abbastanza. Ma Lily e Sev stavano maturando in fretta, costretti dalle circostanze, da una guerra che non volevano, che disprezzavano, aborrivano, odiavano. Tuttavia, erano costretti a combatterla: per loro stessi, per tutta la comunità magica.

Era amore, forse molto di più di quell’amore fatto di sogni romantici ed illusioni. Era un amore che prendeva quelle due anime e le legava in maniera indissolubile. 

Probabilmente con dei fidanzati diversi, in quelle circostanze sarebbero affondati, presi da rabbia e disperazione, dall’isterismo e dal panico.

Invece riuscivano a rimanere seduti su una panchina, erano in grado di passeggiare, di avere ancora una vita normale.

Si guardarono negli occhi intensamente, aggrappandosi allo sguardo luminoso dell’altro, come per ringraziarsi vicendevolmente di essere lì, di sopportare il silenzio, i mugugni, il rimuginare dell’altro.

Lily prese per le spalle Sev, attirandolo a sé, cercando quel bacio travolgente che solo due persone innamorate sanno darsi, noncuranti delle persone che possono passare per la strada in quel momento, noncuranti del mondo intero.

Si afferrarono maldestramente per i capelli, si aggrapparono con le mani alle spalle dell’altro, ignorando l’intensità della stretta, si tastarono reciprocamente i volti, come per avere la conferma che non si sarebbero dissolti da un momento all’altro. Le loro labbra si esplorarono, sfiorarono guance, fronti, baciarono ripetutamente incavi del collo, palmi e dorsi delle mani, prima di passare alle dita.

Quando riaprirono gli occhi, si trovarono a corto di fiato, ma si sentivano al settimo cielo, come se in quei baci avessero sfogato tutte le loro paure. Le parole erano semplicemente divenute di troppo.

“Lily” disse Severus, passandole dolcemente una mano su una guancia “Promettimi che non mi lascerai mai”.

Gli avevano insegnato che la parola “mai” era una parola ingannevole e pericolosa, da usare con cautela. Ma aveva lasciato alle spalle qualsiasi cautela, già da un bel pezzo. Ed esporsi così tanto con Lily gli pareva una meravigliosa follia, in quei momenti cupi e di sofferenza. Voleva godersi ancora un po’ di sole, fintanto che gli era concesso, prima di diventare una volta per tutte adulto, per affrontare Lord Voldemort.

Lily sorrise e lo abbracciò forte, forte fino a quasi strozzarlo.

“Non ti lascerò mai. Promesso”.

Anche a lei avevano detto di non fare per nessun motivo promesse di quel genere. Ma ne aveva bisogno come l’aria, di una rassicurazione simile. E se ne infischiò bellamente di quegli insegnamenti.

Il sipario sulla loro adolescenza stava lentamente calando, e tutto era pronto e predisposto per portare in scena, nelle loro vite, un atto molto più cupo e complicato di quanto si potessero realmente aspettare.


Thingol: nome elfico che vuol dire "Mantogrigio". Tolkien veglia su di noi nei secoli dei secoli. Amen

* * *

Questo, nonostante tutto, è il capitolo che volevo, con un finale potente, sebbene il prossimo capitolo sarà bello complicato. L’amore è la base da cui partire, sempre e comunque, anche nella disgrazia, anche se la catastrofe *e qua parte la toccata scaramantica* sembra sempre essere dietro l’angolo.

Perché questa secondo me è la storia di Lily e Sev. Sebbene non siano facili le loro vite, uniti possono andare oltre tantissime cose negative, cosa che la Rowling non è riuscita a far fare (o non ha voluto far fare) ai due ragazzi.

Questo è il mio augurio, il mio regalo, per tutti voi che leggete. Con l’amore si può tutto, che sia in qualsiasi forma, di amicizia, di fratellanza, di relazione sentimentale, con un lui, una lei, come vi pare. Non sottovalutiamo mai l’amore della nostra e significativa metà di noi. Perché essa riesce sempre a salvarci, in qualche maniera.

 

Per chi non mi avesse ancora aggiunto, questa è la mia pagina Facebook

 

Buon anno a tutti e di cuore <3 Vi auguro un 2012 veramente stellare e spettacolare (alla facciazza di Monti, dei sacrifici che ci dissangueranno, del fatto che quest’Italia sta andando a rotoli e che tutto sembra essere cupo e triste e sembra tutto così senza speranza. YES, WE CAN!).

 

I brani che hanno ispirato questo capitolo sono due: uno dei Tool e uno degli Opeth. Sono un po’ pesantini, riconosco che non a tutti possano piacere, ma ecco, io li metto sempre, si sa mai :D

 

Alessandra :D

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Capitolo 26
*** Digging In The Dirt ***


26.

Digging In The Dirt

 

“Hear me now
Bearing down upon a path we choose
Chosen from the start living different rules
Existence something to cherish true
Will not succumb to doubts that I hold onto
Release the fear of my pain
In so much pain
Give me the will to fight
Every obstacle that I have inside
Release the fear and…”

“All my life
Always I've felt alone
Conditioned to believe that I'm always wrong
Only truth will help to set me free
My every weakness I must turn into strength
Every rage, every tear”

Machine Head - Imperium

Nelle grandi famiglie non mancano mai oggetti curiosi che vengono passati di padre in figlio, o di madre in figlia. Molto spesso, tali oggetti non vengono mai reputati veramente importanti o necessari, pertanto il più delle volte finiscono per giacere inutilizzati nei fondi dei cassetti, nei meandri più remoti dei bauli o degli armadi. Non ultimo, il più delle volte non si comprendeva il reale motivo per cui venissero tramandati, ma venivano comunque conservati con cura, per un bizzarro attaccamento che si viene a creare nel momento in cui li si ha per le mani.
Norah Evans era solita dire che ciò che viene lasciato da chi passa a miglior vita acquisisce un senso col passare del tempo, e che bisognava dunque essere pazienti e mai irriconoscenti nei confronti delle eredità, fossero esse ricche, modeste, concrete o puramente simboliche.
Durante la vacanza in Irlanda, Lily aveva avuto il coraggio di salire nella soffitta della casa di Galway, aprendo una botola polverosa e scricchiolante. Sapeva che lì venivano conservati degli abiti e degli oggetti appartenuti a nonna Eimear e la curiosità della ragazza era troppo forte per lasciare il contenuto di quei bauli alla mercé della polvere e dell’oblio.
D’altronde, la Grifondoro si era più volte interrogata circa le proprie origini. Andava molto fiera del suo sangue in parte irlandese, si sentiva in sintonia perfetta con quella terra e la sua natura tanto selvaggia, contornata da un’aura di mistero, che sapeva quasi di magico. E la sua curiosità era ulteriormente alimentata dal fatto che più di un familiare avesse più volte accennato ad una certa somiglianza tra Eimear e la nipote, nel carattere ed in alcuni atteggiamenti. Ma la conoscenza della nonna era limitata a delle elegantissime foto in bianco e nero, dove la donna sembrava una diva degli anni ’30, ed ai racconti dei parenti, mentre la madre non sembrava molto incline a parlarne. Più di una volta, aveva fatto capire di soffrirci ancora molto. Lily, soprattutto dopo la perdita del padre da parte di Severus, era giunta alla conclusione che ciascuno avesse i propri tempi e modi nel reagire ad un lutto. Di una cosa era certa: non si superava mai davvero del tutto la scomparsa di qualcuno di caro.
Con l’aiuto di una Maeve alquanto accondiscendente e meno esuberante del solito, aveva riportato alla luce mucchi di vestiti, che per quanto fossero belli e ben confezionati, erano decisamente fuori moda. Alle due ragazze dispiaceva non poterli mettere, ma d’altro canto erano cambiati i tempi e le tendenze.
Lily si era però innamorata di una vestaglia in seta nera ed oro. L’indumento ricordava un kimono giapponese, dato che veniva stretto in vita da un’ampia fascia nera impreziosita da ricami dorati, e presentava delle maniche molto lunghe che sfioravano il pavimento, ed erano tempestate di perle dorate dalla forma irregolare.
La Grifondoro la prese tra le mani e con le dita l’afferrò più volte, per sentire la consistenza e la leggerezza del tessuto. Era così bella da toccare. Intanto che Maeve imprecava contro un baule che non ne voleva sapere di aprirsi, Lily se la provò, cercando di non sembrare troppo ridicola. Nonna Eimear era un po’ più alta di lei, dato che il tessuto toccava terra ed interferiva parecchio mentre camminava.
Un gran tonfo riportò Lily alla realtà.
“Bellezza!” la chiamò trionfante Maeve, facendole segno di avvicinarsi al baule appena aperto “Guarda un po’ che cosa ho trovato per te”.
Lily si tolse di dosso la vestaglia e si chinò verso il contenitore, afferrando dei libri ed un piccolo portagioie.
“Vai piano! Sembra che tu non abbia mai visto dei libri in vita tua!” disse Maeve ridendo.
Lily scese trionfante da quella soffitta con una vestaglia nera, un libro scritto in gaelico irlandese, un altro libro intitolato “Storia della Magia Irlandese”, ed un ciondolo con un nodo celtico che non aveva mai visto prima di allora: il ciondolo era di forma circolare, ma i nodi andavano a formare un albero, dalle radici alla chioma, racchiudendolo in una cornice esterna, fatta sempre di nodi.
Quel libro di Storia della Magia Irlandese e quel gioiello così particolare avevano risvegliato qualcosa dentro di lei. Sentiva una certa euforia scatenarsi e percorrerla da capo a piedi.  

 

Se c’era una domanda che per Lily necessitasse di una risposta era quella riguardante perché fosse nata con poteri magici in una famiglia decisamente ordinaria. C’era qualcosa che le scienze Babbane non riuscivano a spiegare, ovvero i suoi poteri magici, ma c’era anche qualcosa che il sapere dei maghi non era in grado di chiarire, ovvero come fosse possibile che dei Babbani normalissimi potessero dare vita a dei maghi.
L’unico modo per trovare risposte era di scavare nel passato, fosse anche quello più remoto. Lily aveva riposto molte speranze nel corso di Storia della Magia ad Hogwarts, perché in principio pensava che prima o poi sarebbe stato affrontato quel capitolo riguardante le origini dei maghi. Invece, era stato un clamoroso buco nell’acqua: il Professor Rüf si era rivelato estremamente noioso, propinando agli studenti uno sterile susseguirsi di guerre, di avvenimenti di dubbia utilità, quali rivolte di folletti, insurrezioni di Centauri, riunioni di maghi, patti stipulati tra varie famiglie magiche.
Se c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi anni, specie in quell’ultimo anno ricco di avvenimenti tumultuosi, era che a volte era meglio cercarsi le risposte da sé, nel caso in cui le spiegazioni fornite non fossero state sufficienti od esaustive. Anche a costo di cacciarsi nei guai.
Lily era sul treno diretto ad Hogwarts, per la quinta volta in vita sua, pronta ad affrontare un nuovo anno, non priva di dubbi ed incertezze, che si trascinava dopo gli inquietanti episodi di qualche mese prima. Giacché quei avvenimenti riguardavano le origini Babbane di maghi e streghe come lei, il desiderio di comprendere fino in fondo il suo sangue si era fatto nuovamente avanti.
Seduta nel compartimento assieme a Severus, ed a due studentesse Corvonero del settimo anno, Lily reggeva tra le mani quel libro rinvenuto a Galway. L’aveva esaminato a lungo, prima di aprirlo, cercando di capire quanti anni potesse avere. Da quello che era riuscita a concludere, era un’edizione risalente al diciannovesimo secolo di un manoscritto proveniente da secoli precedenti, anche perché gli eventi narrati nel libro si fermavano all’Irlanda della Rinascita Gaelica ed al declino Normanno del quattordicesimo secolo.
Il dondolio dell’Hogwarts Express, che più volte negli anni precedenti l’aveva fatta assopire entro poco tempo, passò del tutto in secondo piano.
“Perché mia Nonna Eimear aveva quel libro di Storia della Magia?” s’interrogò mentalmente, aggrottando la fronte. La ragazza lanciò un’occhiata a Severus, che era immerso nel libro di pozioni russo che gli aveva regalato proprio lei lo scorso Natale.
Lily ruppe ogni indugio ed aprì il libro, partendo dall’indice, che trovò accuratamente suddiviso in svariati capitoli e periodi di tempo. Si accorse che il libro non era scritto solo in inglese, ma riportava anche la versione in irlandese, che Lily non conosceva affatto, sebbene di tanto in tanto Maeve ed i suoi familiari parlassero in quella lingua anche in sua presenza. Sua madre Norah non di rado partecipava a quelle incomprensibili discussioni, ma non aveva insegnato l’irlandese alle due figlie, non vedendone un’utilità precisa. La Grifondoro sapeva dire a malapena “Dia dhuit” o “Cen chaoi bhfuil tú?”.
La ragazza si sistemò meglio sul proprio sedile, appoggiando bene la schiena contro il morbido schienale della poltroncina. Ricordò a se stessa che qualsiasi cosa avrebbe letto in quel libro, avrebbe dovuto combinarlo con le nozioni apprese nel corso del Professor Rüf.
Superati i primi paragrafi di rito, assolutamente superflui per la ragazza, finalmente arrivò qualche informazione nuova e realmente interessante: i maghi irlandesi, prima dell’anno Mille – e prima della fondazione di Hogwarts nell’anno 993 d.C, pensò la ragazza – vivevano tra i Babbani senza problemi. Tuttavia, ogni mago, in base alla propria abilità, doveva render conto ad una delle numerose confraternite della comunità magica. Tali confraternite funzionavano esattamente come quelle Babbane, che avevano caratterizzato buona parte dell’Alto Medioevo, con la sola differenza che esaltavano le abilità magiche. Ogni gilda era contraddistinta da un simbolo ben preciso, che però sfortunatamente non veniva riportato graficamente in quell’edizione in possesso della Grifondoro, ma veniva solamente accennato, con il nome corrispondente in irlandese.
Lily lasciò un attimo il libro da parte e cercò affannosamente nella borsa una pergamena ed una penna sulla quale scrivere il nome delle confraternite, per poter proseguire nelle sue ricerche nella ben fornita biblioteca di Hogwarts: era certa che avrebbe trovato qualcosa al riguardo.
Sev sollevò gli occhi dal proprio libro, incuriosito dall’entusiasmo di Lily, e dal suo trafficare nella borsa.
“Lily” la chiamò con gentilezza, ma lei sobbalzò, evidentemente persa nei suoi pensieri.
“Sev! Ah! Scusa, ero distratta da quel libro che ho trovato in soffitta a Galway!” disse lei frettolosamente.
“E’ interessante?” le chiese Sev a bassa voce, perché non voleva farsi sentire dalle due ragazze nel compartimento.
La giovane annuì, con un bel sorriso.
“Credo che possa rispondere ad alcune mie domande esistenziali” aggiunse poi “Ah, perdonami: non è che avresti una pergamena e qualcosa con cui scrivere? Non ho niente in borsa”.
Il ragazzo afferrò la propria borsa ed estrasse una pergamena, una penna, ed un piccolo calamaio con una modesta quantità d’inchiostro e diede il tutto a Lily.
La guardò avventarsi sulla pergamena e la vide scrivere con grafia poco ordinata e nervosa.
“Perdonami se t’interrompo Lily, ma…” osservò un po’ esitante il ragazzo, appoggiandole timidamente una mano sulla spalla “…Se scrivi così male, poi non riuscirai a rileggere quei nomi, quando ti serviranno”.
Lily alzò gli occhi verso il proprio ragazzo e lo osservò interdetta. Riguardò il frammento di pergamena e convenne che il Serpeverde non avesse tutti i torti. In quel momento, un puro capriccio da ragazzina le attraversò la mente.
“Sev, per favore, me li riscriveresti tu i nomi? Hai una bellissima grafia” gli chiese con occhi scintillanti, porgendogli la pergamena.
Il ragazzo afferrò il foglio, scuotendo il capo. Nel frattempo, le due Corvonero si alzarono ed uscirono dal compartimento, dirigendosi verso l’angusto corridoio dell’Hogwarts Express.
“Avanti, dimmi” la esortò Severus.
La ragazza iniziò a dettargli quella manciata di nomi che le servivano, con il nome del relativo simbolo.
“L’ultimo nome è “Confraternita degli Evocatori”. Il simbolo è… Accidenti, te lo devo dire in gaelico, perché si legge male in inglese, sembra che sia stato volutamente cancellato” la ragazza voltò pagina per cercare il testo in gaelico.
“Ci sono: è il Crann Bethadh” esclamò trionfante la ragazza ad alta voce, fiera di aver azzeccato la pronuncia irlandese, mettendo assieme le poche regole che conosceva di quella lingua molto ostica.
Una delle due compagne di scompartimento che si stava riaccomodando al proprio posto, sollevò il capo e la guardò con sguardo piuttosto stupito, come se si fosse sentita chiamata in causa. Lo sguardo di Lily incrociò quello della Corvonero. Alla Grifondoro quella ragazza non risultò del tutto sconosciuta. Aveva un viso molto delicato, dai lineamenti puliti, e due grandi occhi azzurro chiaro. I capelli erano di un bel biondo ramato, folti e lisci, che le ricadevano sulle spalle. La Grifondoro tacque per qualche momento e la fissò negli occhi, e per tutta risposta, la Corvonero accennò ad un sorriso, distendendo le labbra sottili.
“Lily, ripetimelo più lentamente, per favore” le disse Sev, richiamando la sua attenzione.
“Scusami, hai ragione!” si scusò la ragazza, distogliendo lo sguardo dalla studentessa, e scandì le due parole con precisione.
Lily osservò con soddisfazione il piccolo elenco redatto da Severus e lo infilò tra le pagine del volume. Gli occhi scuri del ragazzo fissavano il tomo con una certa curiosità, e dato che voleva soddisfarla, si chinò in avanti, verso Lily, per parlarle indisturbato e lontano dalle intercettazioni delle due ragazze, che non parevano comunque interessate ai loro discorsi.
“Che cosa c’è di tanto interessante in quel libro?” sussurrò il ragazzo all’amata. Lei, con uno dei suoi sorrisi enigmatici, si chinò verso di lui.
“Sto cercando di capire le mie origini” rispose lei, raggiante e fiduciosa, assolutamente certa di essere sulla buona strada per risolvere l’enigma.
“Attraverso un libro di Storia della Magia Irlandese?”.
Lily annuì decisa.
“Mia mamma è in parte irlandese, te lo sei dimenticato?”.
E come poterlo dimenticare, pensò Sev, che aveva sempre visto in quei capelli rossi morbidi e lunghi ed in quei occhi verdi e scintillanti, la quintessenza della ragazza irlandese. Il ragazzo esortò la Grifondoro a proseguire nel suo racconto.
“Ecco, questo libro era tra gli oggetti che ho trovato in soffitta a Galway. Apparteneva a nonna Eimear, anche se non sembra che l’abbia mai aperto. Non ha lasciato appunti od annotazioni tra le pagine. Ma è strano che una Babbana abbia un libro che tratta di magia, no?”.
Severus annuì, trovandolo in effetti alquanto bizzarro.
Lily fece una piccola pausa, tirando fuori dalla tasca del cardigan una piccola manciata di Gelatine Tuttigusti +1 e scegliendone una, con fare sospetto.
“Carbone. Poteva andarmi peggio” disse, mentre masticava la caramella con una smorfia strana in volto. Severus rifiutò educatamente i dolcetti di Lily. L’ultima volta che aveva assaggiato una di quelle caramelle simili alle Babbane Jelly Beans, aveva trovato il gusto caucciù, e non aveva più voluto assaggiarle.
“Comunque sia, sospetto di avere qualche antenato mago in famiglia. Non è possibile che i miei poteri magici siano saltati fuori dal nulla, non credi?”.
Sev si portò una mano alla tempia, massaggiandosela lievemente. Quello era uno dei gesti tipici del ragazzo quando rifletteva o ponderava una risposta plausibile.
“Può essere” rispose lui, meditabondo “D’altronde, da quel che so, i maghi sin dai tempi più antichi si univano ai Babbani. Magari, qualche tuo antenato mago ha dato alla luce a un Magonò…”.
Lily sorrise raggiante, felice che Severus l’avesse capita.
“Già! E probabilmente, i poteri magici non sono riemersi subito, non nei figli dei Magonò in questione, ma magari nei loro nipoti o nei bisnipoti”.
“Non è una teoria priva di una sua logica” convenne Sev, ammirando tra sé e sé il fervore e l’entusiasmo della ragazza.
“E ti dirò di più” aggiunse “Per esempio, in Irlanda, prima della cristianizzazione, i maghi erano molto più liberi, e vivevano a stretto contatto con i Babbani. Non come adesso, che non possiamo e non dobbiamo farci vedere dai Babbani, altrimenti loro ci prendono per folli e noi passiamo un guaio non da poco”. Tacque per qualche attimo e prese un’altra gelatina da mangiare, questa volta al gusto budino di panna e fragole.
“I problemi per i maghi irlandesi – e non solo loro – sono iniziati con la conversione al cristianesimo, combinata alle invasioni dei popoli del Nord Europa”.
“I Vichinghi?” aggiunse il ragazzo.
“Sì, loro. San Patrizio lasciò una certa libertà negli usi degli irlandesi, ed i maghi poterono continuare a vivere nelle loro confraternite e a praticare le loro arti magiche come prima. Solo che, qualche secolo dopo, con l’arrivo dei Vichinghi… Gli irlandesi, in ginocchio per tutte quelle invasioni, hanno iniziato a vedere di cattivo occhio i maghi, sospettando che addirittura fossero conniventi con l’invasore, favorendone l’arrivo con la magia. Anche perché, i maghi avevano rifiutato di convertirsi al Cristianesimo”.
Lily riaprì il libro di Storia della Magia Irlandese ed iniziò a leggere con voce solenne: “Mael Sechnaill, Re di Mide e Re Supremo d’Irlanda, nel 848 d.C. sconfigge un’armata norvegese a Sciath Nechtain, pur avendo molti meno soldati rispetto ai norvegesi. Il Re, cercando di giustificare questa guerra come uno scontro tra cristiani e pagani, aveva invocato l’aiuto dell’imperatore francese Carlo il Calvo, che non aveva risposto alla richiesta del sovrano irlandese”.
“La vittoria degli irlandesi dura poco, dato che nel 852 d.C. i norvegesi, capitanati da Ivar Beinlaus ed Olaf il Bianco, sbarcano nella Baia di Dublino, dove viene fondata la città di Dublino. Da questa data in avanti, il dominio vichingo prosegue incontrastato fino al 1014 d.C., anno della battaglia di Clontarf, dove i Vichinghi cessano di essere la forza dominante dell’Irlanda”.
“In questo periodo di tempo, i maghi, visti con sospetto e con odio dopo il Proclama di An Mhì, furono costretti a nascondersi dai cristiani. Molti di loro vennero esiliati assieme ad alcune tribù di re detronizzati. Queste tribù vennero portate in Scozia ed in altre parti dell’Inghilterra, tra cui la Cornovaglia ed il Galles”.
E magari quei maghi esiliati in Scozia si sono rifugiati alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, fondata nel 993 d.C, circa” dedusse Severus “Il Professor Rüf non ha detto che la nostra scuola era nata inizialmente per difendere i maghi perseguitati? Penso che anche in Scozia avessero problemi con le invasioni dei Vichinghi”.
“E’ così” affermò la ragazza “La nostra scuola è nata per difendere i maghi rimasti nei paesi circostanti”.
Severus e Lily si guardarono negli occhi, fieri di tutto quello sforzo mentale per costruire una teoria plausibile che potesse spiegare molti quesiti lasciati irrisolti.
Il ragazzo si alzò per sgranchirsi le gambe, ma rimase sempre vicino a Lily per concludere il discorso iniziato.
“Perché ti sei segnata a parte i nomi delle confraternite ed i relativi simboli? Pensi che siano tanto importanti per le tue ricerche?” le chiese, prima di andarsene verso il corridoio.
Lily si fece più pensierosa, incerta se rivelare a Severus l’esistenza di quel ciondolo dalla forma misteriosa.
“Sempre a Galway, quel pomeriggio, ho trovato un ciondolo dalla forma strana” ammise la ragazza.
“Ce l’hai qua con te?” le chiese Sev.
Lily scosse la testa.
“L’ho lasciato nel baule, non volevo perderlo nella folla di studenti, o sull’Hogwarts Express”.
Ad ogni modo, la ragazza tentò di descriverglielo e quella descrizione catturò l’attenzione di quella studentessa Corvonero, che alzò la testa e fissò nuovamente Lily, evitando accuratamente lo sguardo di Severus.
“Sono certo che ad Hogwarts, in biblioteca, troveremo qualcosa riguardante quei simboli. Certo che è strano, ammetto di non aver mai sentito parlare di quel ciondolo circolare con un albero al centro”.
Detto questo, Sev accarezzò affettuosamente la testa di Lily, ed uscì dallo scompartimento, senza dire nulla. Lily sapeva che sarebbe andato a farsi un giro in solitudine, perché ne aveva bisogno, di tanto in tanto, di starsene in pace con i suoi pensieri. Sicuramente, si sarebbe recato dai suoi compagni Serpeverde per un saluto più di rito che sincero e sentito.
La ragazza lo guardò allontanarsi, pensando che se non ci fossero state le due studentesse nello scompartimento, probabilmente Severus l’avrebbe baciata. Ma era meglio così, non amavano scambiarsi effusioni in pubblico.
Lily riprese in mano quel libro, avvertendo quella strana eccitazione dentro di sé, ancora una volta. Un istinto primordiale e remoto, le diceva che era sulla buona strada. A quel punto non le interessava più sapere l’identità precisa dei suoi antenati maghi, desiderava semplicemente capire da quale confraternita discendesse la parte magica di sé, poiché sentiva che quel ciondolo, dalla foggia inconsueta e particolare, avesse a che fare proprio con una di quelle gilde. Lily ignorava, però, che quella ricerca circa le sue origini, eseguita di sicuro con la massima serietà, le avrebbe seriamente cambiato la vita.
“Perdonami” disse la Corvonero che per ben due volte le aveva puntato gli occhi addosso. Lily alzò la testa dal libro e lo richiuse, riponendolo in borsa. La Corvonero si alzò, per sedersi accanto alla Grifondoro.
“Ho ascoltato te e quel ragazzo parlare di alcune cose che mi hanno colpito molto… Posso scambiare quattro chiacchiere con te?”.
Lily la guardò intensamente negli occhi, cercando di capire quanto potesse fidarsi di lei, dato che non era sprovveduta al punto tale da dare confidenza a chiunque. L’istinto la tranquillizzò, però, suggerendole di parlarle senza timori. Non sembrava avere cattive intenzioni.
“Naturalmente. Sono Lily Evans. Chiamami pure Lily” le tese la mano amichevole.
Miranda Lynch” si presentò con un sorriso gentile, stringendole la mano “Il tuo volto non mi è affatto nuovo, mi pare di averti già visto in biblioteca qualche tempo fa”.
Lily arrossì, ricordandosi di quando Severus le aveva dichiarato ad alta voce il suo amore per lei, facendo sobbalzare proprio Miranda.
“Già… Può essere” rispose vaga la ragazza, con una smorfia che tradiva un po’ di imbarazzo.
Tacquero per qualche istante, poi Miranda prese la parola.
“Ascolta, andrò dritta al nodo della questione, è il caso di dirlo”. Detto questo, allentò un attimo il nodo della cravatta dai colori tipici di Corvonero, per poter infilare agilmente le dita sotto la camicia. Lily la osservò perplessa, fino a quando non si trovò davanti lo stesso ciondolo rinvenuto a casa degli zii irlandesi.
“Merlino! E’ proprio uguale al mio!” esclamò Lily, toccandolo con un certo timore.
“Perché tu sei come me” disse enigmatica la ragazza, con uno strano sorriso sulle labbra.

 

Severus camminò verso il compartimento dei Serpeverde, rimuginando su quanto detto prima assieme a Lily. Da un lato, poteva capire quest’esigenza da parte della ragazza, ovvero quella di chiarire qualcosa che non riusciva a spiegarsi fino in fondo: lui aveva delle origini chiare ed inequivocabili, era un Mezzosangue, non aveva margine per supporre una nascita differente. Lily aveva bisogno di certezze, aveva bisogno di sapere chi le avesse dato i poteri magici. Poteva capirla, si sentiva senza radici solide da affondare nel terreno. Lui non sapeva che cosa volesse dire sentirsi spersi, con un passato remoto nebuloso. Severus aveva capito sin da subito dove stabilirsi, a quale appiglio aggrapparsi per sentirsi vivo. Si era sempre sentito solo, ma irrimediabilmente perso, mai, anche grazie al mondo della magia che l’aveva accolto, e grazie a Lily.
Camminava lentamente, immerso nei suoi pensieri, non facendo caso al frastuono ed al ciarlare dei ragazzi sparsi per l’angusto corridoio o per gli scompartimenti dalle porte sempre aperte, in modo tale che i ragazzi potessero entrare ed uscire indisturbati e nella massima tranquillità.
Aprì la porta a scorrimento, di un nero laccato e lucente, la quale portava al vagone con gli scompartimenti riservati ai Serpeverde, che non amavano affatto mescolarsi agli studenti delle altre casate. Nemmeno Severus amava stare in mezzo ai ragazzi delle altre case, e mai si sarebbe sognato di farlo, ma voleva rimanere accanto a Lily il più possibile, pertanto accettava di mettersi su un vagone diverso, a patto che non ci fossero personaggi a lui sgraditi, come per esempio i Malandrini, che aveva intravisto nel loro compartimento, intenti a lanciarsi dolciumi addosso.
L’atmosfera era nettamente più inquietante rispetto agli altri vagoni, da un certo punto di vista, per il silenzio che dominava per la maggior parte del tempo, dato che i ragazzi e le ragazze non urlavano, né strepitavano, ma preferivano parlare con voci sommesse. L’arredo interno era sobrio, ma estremamente elegante e confortevole, ed era più ricco rispetto alle poltroncine comode, ma spartane, degli altri scompartimenti.
Le ragazze Serpeverde di qualsiasi età parlavano delle feste frivole alle quali avevano partecipato durante l’estate, per mettersi in mostra di fronte alle buone famiglie Purosangue. La caccia del buon partito, del facoltoso ed avvenente marito, iniziava abbastanza presto per loro. Alcune ragazze, non tutte, del sesto o del settimo anno sfoggiavano qualche piccolo gioiello, a comprovare che erano impegnate in un legame che le avrebbe portate ad un matrimonio sfarzoso ed alla nascita di futuri pargoli Purosangue. Di tradire la fedeltà a quel sangue puro e nobile, non se ne parlava proprio. E se a qualcuna balenasse quell’idea folle e balzana, di certo non lo diceva ai Serpeverde, e, soprattutto, non sarebbe mai più stata degna di stare in mezzo a quei maghi di nobile stirpe.
C’era un altro motivo per cui Severus si era spinto nel vagone dei suoi compagni di casata: era proprio curioso di sapere che cosa avessero combinato quei due scriteriati di Mulciber ed Avery, durante l’estate. Non avrebbero mancato di gonfiarsi il petto orgogliosi e di urlare con voce grossa e sprezzante quanto compiuto lontano da Hogwarts. Lontano dalla scuola, avrebbero comunque goduto del supporto incondizionato dei genitori, le cui idee circa la purezza di sangue erano ben note agli studenti della casa di Salazar Serpeverde.
Era desideroso di sapere che cosa avessero fatto, anche perché non voleva arrivare da Silente privo di informazioni essenziali e molto utili alla causa. Aveva accettato quel compito e si era voluto mettere all’opera sin da subito, per dimostrare al Preside che di lui ci si poteva fidare e che la sua ammirevole solerzia non erano solo delle leggende narrate da un adorante Professor Lumacorno, che, Severus n’era certo, era stato coinvolto nell’operazione di reclutamento. Figurati se Lumacorno non avesse seguito il vento buono e favorevole che l’avrebbe portato verso lidi sicuri, al riparo da qualsiasi problema o difficoltà, rifletté Severus. Non osò immaginare in che razza di panegirici si fosse lanciato il vecchio insegnante di Pozioni, di fronte a Silente, nei confronti del ragazzo. Ed era proprio per quel motivo che voleva farsi trovare pronto e già in azione: perché sapeva che il Preside di Hogwarts nutriva aspettative molto alte verso coloro che avevano deciso di collaborare con lui, e non gliene importava molto che il proprio aiutante potesse avere quindici anni o quarantacinque. In ogni caso, il compito si prospettava tutt’altro che facile, anche perché Severus non sapeva da che parte s’iniziasse a spiare le persone. Concluse, quindi, che le migliori maestre erano unicamente la pratica e l’esperienza. Non poteva certo permettersi errori gravi nei momenti cruciali, tanto valeva esercitarsi con quei manigoldi vanesi, fieri dei loro misfatti. Nessuno aveva spiegato loro che l’irriverenza e la poca riservatezza nei confronti dei loro crimini conduceva ad una sconsideratezza grossolana, che li portava a parlare senza remore di quanto erano soliti fare.
Il Serpeverde li vide comodamente seduti sulle poltroncine in pelle nera, con lo sguardo pieno di ottusa sfrontatezza, con le loro bocche spalancate a parlare, a dire stupidaggini piene di vanità, ad esibirei i loro trofei ottenuti con il terrore e la violenza.
Gli ascoltatori li ascoltavano rapiti, con occhi scintillanti, ipnotizzati da quel racconto pregno di cattiveria e perfidia, sperando di poter arrivare pure loro ad essere un giorno come Mulciber ed Avery.
C’era un posto vuoto, accanto a quei due disgraziati, e sembrava fatto apposta per Severus. Con un ghigno soddisfatto, il ragazzo si sedette accanto a loro, dopo che l’ebbero salutato con calore, aggiungendo che lo stavano aspettando con trepidazione.
“Severus, siediti, qua, accanto a noi” lo invitò Mulciber, con un scintillio sadico negli occhi, che trepidavano per raccontare quella che si preannunciava l’impresa del secolo.
“Ti sei perso un po’ di avvenimenti, quest’estate. Lascia che ti venga raccontato qualcosa” aggiunse Avery.
Severus si accomodò, mantenendo quel ghigno soddisfatto sulle labbra. Incrociò le braccia al petto, pronto ad acquisire informazioni vitali da poter usare contro di loro, al momento opportuno.
Per un attimo, aveva temuto di non essere in grado di ascoltare a mente serena racconti simili. A sorpresa, invece, era calmo come non mai, e pregustava il momento in cui avrebbero capito, e sfortunatamente per loro sarebbe stato troppo tardi, che occorreva sempre valutare bene a chi affidare le proprie confidenze.
Si sentiva come un boia che affila accuratamente la lama della propria ascia, prima di far rotolare nella polvere quelle teste che prima aveva ingannato.
“Non vedo l’ora di sentire i vostri eroici racconti” disse Severus deliziato, con una forte, fortissima dose di sarcasmo su quella parola “eroici”. Non colsero quell’ironia fine, anzi, il loro ego si sentì gonfiato a tal punto che si lanciarono nel resoconto delle loro mirabolanti imprese.
Per la prima volta, Severus si sentiva più sprezzante del pericolo, perché era maturato, aveva scelto la sua strada senza paura e ne accettava ogni singola conseguenza, dalla più blanda alla più estrema, perché sapeva di essere sostenuto da un nobile intento. E si sentì, per qualche attimo, un piccolo, promettente
guastafeste.

 

*   * *

Dia dhuit” o “Cen chaoi bhfuil tú?”: ovvero, “Buongiorno” e “Come stai?” in irlandese. La pronuncia è più o meno la seguente: “Ghi-ih guit” e “Chein-ghi uil tuu?”

Crann Bethadh”: pronuncia “Cran Beha-ah”. No, non vi dico ancora cosa vuol dire (anche se Mr.Google vi può dare una mano, se proprio morite di curiosità :P).

Ok, per chi non lo sapesse, la storia è una mia grande passione e ce l’ho voluta infilare dentro senza pietà! Chiaramente, la parte riguardante i maghi è finzione, mentre gran parte degli avvenimenti con date e nomi precisi – tranne il Proclama di An Mhi – sono tutti veri. Però chissà, la storia d’Irlanda in alcuni secoli era molto lacunosa e piena di invasioni e mica invasioni, poi la fantasia fa il resto, non credete? Poi, mi è piaciuto fantasticare su cosa potesse essere il mondo della magia tanti secoli fa, mi concedete questa piccola licenza? XD Poi, personalmente stendo a credere che un mago Nato Babbano nasca così dal nulla XD Poi, parere personale.

Mi piace questo Sev piccolo guastafeste bastardo che si cala nella parte. E Miranda? Che dite di questo personaggio nuovo? Secondo voi che ha detto a Lily? E Mulciber ed Avery? Che hanno combinato secondo voi?

Per chi non mi avesse ancora aggiunto, questa è la mia pagina Facebook. E vi ricordo ancora una volta il mio contest, per chi volesse partecipare :D

Ed il weekend prossimo si va a Roma! Aspettatemiiiih <3

Grazie ancora per il supporto!

Alessandra :D

P.s. Dimenticavo il brano!!! <3 “Diggin’ In The Dirt” del sommo Peter Gabriel. E in versione “New Blood”.

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Capitolo 27
*** Pull Me Under ***


27.

Pull Me Under

“I'll take seven lives for one
And then my only father's son
As sure as I did ever love him
I am not afraid”

“This world is spinning around me
The whole world keeps
spinning around me
All life is future to past
Every breath leaves me one less
to my last”

“Pull me under, pull me under
Pull me under I'm not afraid
All that I feel is honour and spite
All I can do is set it right”

Dream Theater – Pull Me Under

Albus Silente osservava il ragazzo che aveva di fronte a sé. Severus Piton era entrato nel suo ufficio leggermente nervoso, a capo chino, timoroso di farsi vedere negli occhi. La sicurezza con la quale era riuscito ad ottenere un resoconto dettagliato dei misfatti dei due compagni di casa, Mulciber ed Avery, era stata presto sostituita dall’irritante ansia di deludere il Preside di Hogwarts. Il giovane era stato scortato presso l’ufficio del mago dal professor Lumacorno, che con discrezione, appena dopo la cena inaugurale, aveva preso in disparte il suo miglior allievo di Pozioni, comunicandogli la volontà del Preside di vederlo.
Severus trovò tutt’altro che sorprendente quell’annuncio, mentre il proprio insegnante suonava decisamente eccitato di fronte alla prospettiva di avere uno dei suoi pupilli al servizio del mago più potente e rispettabile del mondo magico. Il tono dell’uomo sembrava tale e quale a quello di un bambino pronto a recarsi al parco divertimenti. Severus pensò acido che cosa ci trovasse di così tanto piacevole, convincendosi che, forse, il proprio insegnante non fosse al corrente proprio di tutto. D’altronde, conoscendo l’anziano professore, quella che si era venuta a creare non era altro che un’ottima occasione per mettere in luce la casa di cui era Direttore da molto tempo. Serpeverde, si disse il giovane, si stava mettendo sotto una cattiva ed una buona luce allo stesso tempo, ma sarebbe bastato l’intervento di Severus, prima che potesse accadere l’irreparabile e l’imponderabile?

La consueta cena di apertura del nuovo anno scolastico gli era praticamente scivolata addosso.
Non che negli anni precedenti smaniasse per unirsi ai festeggiamenti – e per cosa poi? Si interrogava il giovane Serpeverde: non capiva che bisogno ci fosse di gioire per il fatto che ci apprestasse a compiere il proprio dovere – ma durante quella cena luculliana la sua mente vagava altrove, concentrata a non dimenticare un solo dettaglio del minuzioso resoconto dei suoi due compagni di casa, che sedevano poco distanti da lui, coi piatti ricolmi di cibo succulento.
Severus non si era smentito: aveva mangiato poco, e se avesse potuto, non avrebbe mangiato affatto, giacché lo stomaco era completamente chiuso. La tensione si faceva sempre più crescente, man mano che si avvicinava il momento di incontrare Silente.
Il solito discorso di rito da parte del Preside si era perso nel chiacchiericcio sommesso di alcuni Serpeverde che non sopportavano quel momento, insofferenti nei confronti di Silente. Il giovane l’aveva guardato con attenzione, osservando come si muovesse, l’espressione del viso segnato dal passare del tempo, lo splendore di quei occhi cerulei, che parevano tanto profondi tanto insidiosi quanto un lago ghiacciato in inverno. Nelle profondità, nascondevano qualcosa che non li avevano resi così puri, in passato.
N’era sempre più convinto che quell’uomo stesse cercando di riparare ad un errore fatale e quella certezza si fece sempre più lampante quando se lo trovò davanti, lontano dai tavoli imbanditi e dai frizzi ed i lazzi degli studenti. I suoi occhi sembravano velati dalla malinconia di avere poco tempo a disposizione per riscattarsi.

I due iniziarono a parlare tra loro con molta calma e lentezza, ciascuno studiava con cura l’approccio ideale da adottare con il proprio interlocutore
.
Era normale non fidarsi istantaneamente l’uno dell’altro. Lentamente, quella tensione che gravava sull’aria e su Severus si fece sempre più rarefatta, arrivando al momento del primo resoconto, dove il giovane mago non avrebbe dovuto mostrare la minima insicurezza.
Rimase abbastanza soddisfatto dell’accuratezza dell’esposizione, anche perché era riuscito a controllare piuttosto bene le proprie emozioni, abilità che aveva messo a punto in tanti anni, sia a casa, che in mezzo agli studenti di Hogwarts.

Silente lo guardò a lungo, cercando di scrutare gli occhi neri di quel ragazzo pallido e magro, che quando era nervoso tendeva ad incurvare le spalle ed a chinare la testa, nascondendo il volto tra quei capelli neri che si facevano piuttosto lunghi, con il passare degli anni. Tentò di capire come Severus potesse essere già così sicuro di sé a soli quindici anni, come potesse avere un’esposizione così chirurgica e precisa anche nel raccontare di due suoi compagni di casa, sospettati di avere legami con Lord Voldemort, che avevano voluto compiacere proprio il Signore Oscuro, torturando con piacere due teppistelli Babbani trovati in un parco nei pressi di Livingston.
Al Preside non fece per nulla piacere sapere che quei due studenti si fossero affrettati nel mettere in pratica le idee di Tom Riddle, con una violenza ed un sadismo che non era assolutamente adatto a dei ragazzi della loro età. Tuttavia, sapeva benissimo che Lord Voldemort era abilissimo nell’esercitare un fascino irresistibile su chiunque avesse attorno. L’aveva sempre fatto, sin da quando era studente ad Hogwarts.
Finito il racconto di Severus, che pareva molto più rilassato, avendo smesso di battere il piede contro il pavimento con insistenza, il vecchio mago si prese qualche attimo per riflettere.
Era rimasto molto colpito dalla sicurezza e schiettezza di quel ragazzo, ma aveva bisogno di capire se, oltre ad essere un ottimo osservatore ed una promettente spia, potesse anche essere una sorta di suo braccio destro. Talvolta, e gli costava ammetterlo, sentiva la fatica di pianificare tutto da solo e stava iniziando a prendere in considerazione di rendere partecipi delle sue strategie più persone a lui fidate. L’Ordine della Fenice non poteva sapere tutto, affidare piani preziosi unicamente ai suoi membri non sarebbe mai stata una scelta prudente, in caso di scontri diretti con i Mangiamorte o con il Signore Oscuro in persona.
Provò a sondare il terreno con qualche domanda, anche per capire se il ragazzo fosse dotato di un certo spirito d’iniziativa.
“Severus” iniziò calmo “Come pensi di procedere nelle prossime settimane?”.
Il ragazzo sgranò appena gli occhi, rimanendo sorpreso. Non che amasse particolarmente essere comandato da qualcuno, perché era un ragazzo disciplinato, ma non era una marionetta, però non si aspettava uno straccio di domanda da parte del Preside. Era impreparato. Silente sorrise appena.
“Ragazzo, per quanto ti sia già dimostrato intraprendente ed molto attento ai movimenti dei tuoi compagni di casa, non voglio lasciarti in balia di te stesso in questo gravoso compito che ti ho affidato”.
Il ragazzo si morse un labbro. Certo, pensò, non voleva lasciarlo solo sin da subito, ma di fronte al Signore Oscuro ed ai suoi Mangiamorte, lo sarebbe stato, completamente. Dato che comunque necessitava un aiuto, tanto valeva rispondere alla domanda del Preside.
“Suppongo che dovrò passare molto tempo a stretto contatto con loro” azzardò il ragazzo, appoggiando la schiena alla rigida sedia in legno scuro.
Silente annuì. “Non devi stare con loro necessariamente per molto tempo, perlomeno non da subito. Immagino che tu non abbia legami profondi con Mulciber ed Avery”.
Il Serpeverde scosse la testa. Avevano parlato di tanto in tanto, avevano passato qualche pomeriggio assieme nella Sala Comune della loro casa, si erano confrontati su alcuni argomenti spinosi in maniera superficiale, ma non erano andati oltre quel tipo di rapporto di circostanza.
Silente si alzò in piedi, non amava passare troppo tempo seduto. Si avvicinò alla grande finestra dietro alla sua scrivania e l’aprì. Una piccola scintilla luminosa sembrò avvicinarsi al grande studio dell’anziano mago. Severus aguzzò la vista e si accorse che non era altro che Fanny, la bella fenice del Preside, di ritorno dal suo volo serale. Entrò, volando lenta e maestosa, passando sopra la testa del ragazzo, che la guardò affascinato posarsi sul suo trespolo. Il canto della fenice era dolce ed allietò le orecchie di Silente e di Severus.

“Mi permetto di raccomandarti la massima discrezione, allora. Tienili d’occhio, parla con loro di tanto in tanto, ma senza esagerare, per adesso”.
"Perché pensa che siano così intelligenti da diventare sospettosi non appena mi mostrerò interessato a loro?”
pensò beffardo il ragazzo, che aveva sempre considerato Mulciber ed Avery alquanto stupidi ed era piuttosto meravigliato dal fatto che una persona come Silente potesse temere la loro intelligenza. D’altro canto, a suo tempo era rimasto sorpreso che Lucius Malfoy potesse fare affidamento su quei due. Comunque, doveva fidarsi di Silente e seguire i suoi consigli, almeno per i primi tempi. Avrebbe dovuto imparare ancora qualcosa, prima poter arrivare ad agire in autonomia.
“Sarà fatto, Preside” si limitò a rispondere il ragazzo.
“Un’altra cosa, prima di lasciarti andare: se dovessero uscire di notte dal castello, lasciali andare, non tentare di fermarli e per ora, non seguirli”.
“Preside, mi perdoni, ma come faccio a…?” osò interromperlo Severus. Soprattutto, come faceva ad essere certo che avrebbero infranto nuovamente le regole e sarebbero usciti dal castello di notte?
“Inizierai a seguirli nelle loro uscite notturne solo quando ti inviteranno loro a farlo. Devi fare in modo che ti accettino completamente nella loro cerchia, ma penso che ti ci vorrà qualche tempo”. Silente continuava ad essere fermo nelle sue affermazioni.
Severus tacque, con i pensieri già rivolti a come fare per catturare la loro attenzione, in modo tale da essere reso partecipe delle loro azioni. Sapeva che Mulciber ed Avery non fossero due cime a scuola, poteva sempre sfruttare quel pretesto per avvicinarsi a loro. Con i G.U.F.O. al termine del quinto anno, sarebbe stato un gioco da ragazzi attirarli nel tranello, dato che Severus puntava ad avere risultati eccellenti agli esami.
“Ha ragione, Preside” rispose il ragazzo.
“Bene. Direi che non ho nient’altro da dirti. Sono soddisfatto di quello che hai fatto. Penso che sia un buon inizio”.

Il ragazzo vide una certa sincerità in quelle parole, che in qualche modo lo fecero sentire utile e prezioso. Si era mai sentito così in vita sua, a parte quando si trovava con Lily, verso la quale si sentiva estremamente riconoscente per averlo strappato dalle braccia del buio totale e del disfattismo più nero? Aveva sempre studiato per sé, era diventato uno dei maghi più promettenti solo ed esclusivamente per se stesso. Adesso aveva un motivo per cui valesse la pena mettere a disposizione tutto quello che aveva appreso ad Hogwarts. In quel momento sapeva che quell’abisso in cui si era lasciato trascinare volutamente aveva un senso d’esistere: perché lui potesse combatterlo, per combattere anche il suo tormento interiore. Là, nelle oscurità profonde dove risiedeva il Signore Oscuro con tutti i suoi Mangiamorte, era riposta la risposta a tutti i suoi problemi. Doveva immergersi ed andare a fronteggiare non solo quei deviati, ma anche il lato più deviato e sadico di sé, perché sapeva bene che la sua passione per la Magia Oscura avrebbe potuto degenerare da un momento all’altro. Era cosciente che ad un certo punto l’autocontrollo non sarebbe più bastato a tenere a freno il drago vorace e lo scontro diretto sarebbe stato necessario. E tra il ruolo della preda e del cacciatore, preferiva di gran lunga il secondo, forse perché una parte di lui aveva sempre provato un bizzarro piacere nel mettere con le spalle al muro le persone. Sia fisicamente, che da un punto di vista psicologico.
Mentre si allontanava dall’ufficio di Silente, per la prima volta in vita sua si sentiva più sicuro della strada che aveva deciso di imboccare. Camminava più certo, più orgoglioso, anche se non avrebbe mai e poi mai raggiunto la spavalderia dell’uomo pieno di sé, che incede a passo spedito verso il compimento del proprio destino.
L’unico aspetto spinoso di tutta la questione era di trovare il modo di spiegare a Lily le sue future assenze e di come il loro rapporto sarebbe potuto proseguire. Non ci aveva pensato nemmeno per un secondo di lasciarla, ma il dubbio che non potesse essere capito ed accettato s’insinuò, destandogli non poca ansia. Doveva concentrare le sue forze e tutte le sue capacità su quel momento cruciale, dove sarebbe stato importantissimo cercare di non incrinare il rapporto più importante di tutta la sua vita. Anche perché, si stava facendo trascinare in quell’abisso proprio per lei. Per non consegnarla a nessuno che potesse farle del male, un domani.
Ironicamente, temeva di più il momento della verità con Lily, che il dover fronteggiare i Mangiamorte ed il Signore Oscuro, forse perché di solito si ha più paura di perdere l’amore, piuttosto che la libertà e la vita per sconfiggere il nemico.

 

Lily necessitava di un po’ d’aria fresca. La Sala Comune di Grifondoro era straripante come sempre all’inizio di ogni anno nuovo.
Non era dell’umore adatto per stare con i suoi compagni e le sue compagne di casa. I Malandrini erano più scatenati che mai, intenti a festeggiare la nomina di Remus Lupin a prefetto di Grifondoro, mentre le sue amiche parlavano e confabulavano senza sosta, impedendole di concentrarsi sul suo diario in condivisione con Sev.
A dire il vero, non era neppure dell’idea di scrivere il diario, dato che la sua mente era rimasta ferma a quel dialogo bizzarro avuto con Miranda sull’Hogwarts Express. La Corvonero era stata straordinaria nel raccontarle quello che il libro di Storia della Magia Irlandese non aveva riportato. Ma era stata pure abilissima nel non rivelarle la sua identità e ciò per cui lei e Lily si assomigliassero. Era come se le avesse mostrato una borsa con dentro dei tesori rari, gliel’avesse fatta toccare e tenere in mano, per poi riprendersela di prepotenza, rifiutandosi di aprirla e di spartire il contenuto con lei.
Dato che Sev si era perso quella conversazione, Lily pensò di fargli un piccolo resoconto scritto, dato che le aveva fatto capire di volerla aiutare. Si sistemò su una poltrona abbastanza lontana dal resto dei Grifondoro ed aprì il diario per scrivere, inaugurando la sua nuova piuma comprata da poco.

 

Sev,
cerco di scriverti lontano dagli schiamazzi dei Grifondoro in Sala Comune, anche se sarà molto difficile ed ho voglia di ammutolire qualcuno con un Novox.
Dovrò riabituarmi al non averti tutto per me per la maggior parte della giornata. Dovrò abituarmi a scriverti nuovamente su questo diario che non abbiamo praticamente toccato durante l’estate.
Già, devo persino riabituarmi all’idea di stare in divisa tutto il giorno.
 

Ad ogni modo, a titolo informativo, ti devo dare una brutta notizia. Silente ha nominato prefetto di Grifondoro Lupin. Puoi immaginarti il tripudio degli altri tre, sebbene il Preside lo abbia nominato per far calmare i suoi cari amici. Ma ho paura che non sarà così, affatto. 
A parte questo, ne approfitto per scriverti di Miranda e di quello che mi ha detto mentre non c’eri. Te lo metto per iscritto, dato che non so quando ne potremo parlare tranquillamente faccia a faccia; penso che nei prossimi giorni non faranno altro che ripeterci fino alla nausea di non prendere sottogamba i G.U.F.O., di studiare fino a non avere più una vita sociale e ci subisseranno di compiti da fare.
Ah, per inciso, rinnovo la sfida che ci siamo lanciati quest’estate: non mi farò battere da un Serpeverde ai G.U.F.O. Sei avvisato.

Merlino, come al solito mi perdo in troppi discorsi e urge tornare al punto. Scusami. 

Ho la testa che è in confusione totale.

Miranda mi ha detto troppe, troppe cose, senza risolvere alcun mio dubbio, forse mi ha confuso ancora di più le idee, dato che pure lei possiede il ciondolo di cui ti parlavo. Ma non mi ha detto molto altro, al riguardo. Ha parlato a lungo delle tribù irlandesi esiliate in Cornovaglia e Scozia, dicendomi che il mio cognome, Evans, è senza ombra di dubbio celtico ed è diffusissimo in Galles e Cornovaglia. Ha parlato di un tentativo degli esiliati di tornare in Irlanda nel corso dei decenni, più forti e potenti di prima. Si narra che proprio da queste parti – hai capito bene! – gli esiliati, aiutati da un tale Nathair Nonhobencapitochi, sia stato fondato un movimento, il Dearg Slèabua, che tornò in Irlanda, con le ultime invasioni, riuscendo a decimare le ultime confraternite magiche, costringendole a fuggire in Scozia, Inghilterra e Galles.

 Ma so per certo che non devo trovare le mie origini magiche nella famiglia di mio padre. Non è negli Evans la risposta. Io so che devo cercare nei Moore la risposta a tutto...

Lily si ritrovò davanti Remus Lupin che la fissava incuriosito. La ragazza smise di scrivere e chiuse di scatto il diario, portandoselo al petto e fulminando con lo sguardo il prefetto fresco di nomina.
“Che cosa vuoi, Lupin? Non vedi che sto scrivendo gli affari miei sul diario?” chiese brusca la ragazza, mettendosi immediatamente sulla difensiva. Memore della rissa della primavera precedente, non aveva la minima intenzione a lasciare il diario incustodito e, soprattutto, non si sarebbe fatta troppi problemi ad alzare le mani un’altra volta. Talvolta, le maniere Babbane davano molta più soddisfazione di uno Schiantesimo o di un Expelliarmus.
“Scusami Lily, non volevo spaventarti e non sono qua per rubarti il diario” disse con gentilezza Remus.
La ragazza abbassò lievemente le difese, ma rimase sempre sospettosa.
“Ho visto il tuo ciondolo e mi hai incuriosito molto” le spiegò con molta semplicità.

Lily prese tra le mani il ciondolo con l’albero racchiuso in un cerchio fatto di nodi celtici e se lo tolse. Lo aveva messo non appena era giunta nel dormitorio. Marlene, Emmeline e Mary erano rimaste colpite da quell’ornamento e le avevano rivolto molte domande al riguardo. Fortunatamente quei quesiti non avevano toccato quella matassa di enigmi da risolvere, quindi Lily aveva potuto rispondere senza arrampicarsi sugli specchi.
“Lo conosci?” chiese la ragazza, decisamente più gentile. Ad essere sinceri, dei quattro Malandrini, Remus Lupin era quello più innocuo, se preso singolarmente. Era un ragazzo molto intelligente, sebbene potesse andare di gran lunga meglio, dalla salute più delicata e fragile rispetto a quella dei suoi tre compari di scorribande. Attorno a lui vi era un alone di mistero, qualcosa di sfuggente, che non riusciva mai ad essere spiegato completamente.
Il ragazzo si appoggiò al bracciolo della poltrona sulla quale si era accomodata Lily. Le prese dalle mani il ciondolo e lo osservò con attenzione. La Grifondoro continuava a guardare Remus con un po’ di diffidenza, come se temesse che il ragazzo potesse scappare con il suo gioiello.
“Mi pare molto antico come simbolo” disse il Grifondoro “Dove lo hai trovato?”.
Lily si tranquillizzò e cercò di capire se valesse la pena rispondergli o meno.
“A casa di mia nonna, in Irlanda” replicò asciutta.
“Tua nonna però non era una maga”.
“No” disse Lily sbuffando “Eimear Moore non lo era affatto, ed è per questo che mi sembra così strano trovare un ciondolo del genere in casa sua”.
La ragazza capì che un minimo, con Remus, si sarebbe potuta sbottonare. Magari le avrebbe dato qualche suggerimento utile, le avrebbe risolto uno dei mille enigmi che si erano accumulati in brevissimo tempo. Ad una condizione, però.
“Potrei anche spiegarti perché me lo sono portata dietro e perché questo simbolo mi assilli da qualche settimana. Ma non voglio che tu vada a dire qualcosa a quei tre” sibilò Lily, con uno sguardo che prometteva pene infernali nel caso in cui o James, o Sirius, o Peter fossero venuti a conoscenza di quel segreto.
Il ragazzo le sorrise, con un’espressione priva di quella malizia tipica dei Malandrini in procinto di combinarne una delle loro.
“Sono un prefetto, ora, devo anche avere una certa serietà. Non lo andrò a dire a nessuno, comunque” scherzò Remus.

“Sarà meglio per te, non obbligarmi a stringere un Voto Infrangibile con te. Mi scoccerebbe avere un Malandrino sulla coscienza, nel caso in cui ti scappasse una parola di troppo” disse con un sorrisetto sarcastico la ragazza.
Detto questo, Lily cercò di riassumergli per sommi capi quello che aveva letto sul libro di Storia della Magia Irlandese, il suo incontro con Miranda Lynch ed il suo sospetto che il ciondolo avesse a che fare con tutta quella successione di eventi.
Remus l’ascoltò in silenzio, guardandola con aria assorta e concentrata. Gli occhi chiari continuavano ad esaminare il piccolo oggetto e le dita lo sfioravano con delicatezza.
“Questo ciondolo può riferirsi ad una delle confraternite, non ho idea di quale delle tante. Ne sono state riconosciute e classificate molte nel corso dei secoli”.
“Quindi mi dici che è come cercare un ago in un pagliaio?” chiese Lily, impaziente, presa dalla sua consueta frenesia di sapere tutto e subito.
“Non per forza. Possiamo andare per eliminazione ed esclusione, scegliendo solo le supposizioni che ci sembrano più plausibili. Conosci il Novacula Occami?”.
Lily strabuzzò gli occhi, guardandolo come se avesse appena pronunciato una Maledizione senza Perdono, o più semplicemente, qualcosa di assurdo.
“Il cosiddetto ‘Rasoio di Occam’, è un metodo molto utile per risolvere i problemi. In sostanza, dice di non moltiplicare gli elementi più del necessario” le spiegò con un sorriso “Ti basterà partire dalle confraternite più nominate sui libri di Storia della Magia della Biblioteca di Hogwarts. Quelle minori puoi lasciarle perdere, a quel punto, perché non ne varrà la pena sprecarci troppo tempo”.
La ragazza sentì il panico alla sola idea di dover analizzare i libri dell’immensa sezione di Storia della Magia appartenenti alla nutrita Biblioteca del castello. Ma riconobbe che fosse necessario farlo, dato che sin dall’alba dei tempi i problemi non erano mai stati in grado di risolversi da soli ed all’istante.
“Merlino, sarà un’impresa titanica, altro che Rasoio di Occam” sospirò Lily, ma era pronta a cominciare le ricerche sin da subito, anche a costo di non dormire più la notte. Ad ogni modo, poteva sempre fare affidamento su Sev e avrebbero potuto dividersi i libri da esaminare.
“C’è un libro che parla dettagliatamente solo delle confraternite magiche, ma ci scommetto tutti i miei galeoni che l’hanno messo nella Sezione Proibita della libreria” disse Remus, con un tono di voce un po’ troppo alto. Lily gli fece segno di abbassare il volume, poiché la Sala Comune si stava svuotando e potevano essere sentiti con più facilità. Gli altri Malandrini si erano calmati, con Sirius Black in compagnia di Marlene, che lo teneva teneramente per mano. Lily si chiese per l’ennesima volta come l’amica potesse stare con uno scalmanato simile.

“Come si chiama quel libro?” chiese Lily, in un sussurro appena percettibile.
Fatti e Misfatti delle Confraternite Magiche, di Morinn Asnavor”.
“Ottimo. Come faccio ad andare nella Sezione Proibita della Biblioteca senza la firma di un professore? Il Professor Rüf a malapena ci spiega qualcosa che stia al di fuori dei libri del corso. Mi pietrificherebbe se gli chiedessi di autorizzare una mia iniziativa” borbottò Lily, che iniziò a spremersi le meningi per accaparrarsi quel libro con l’inganno.
“Sei tu quella che fa parte del Luma Club” suggerì il compagno di casa di Lily “Potresti avere la soluzione ai tuoi problemi proprio davanti a te”.
La ragazza tacque per qualche momento, portandosi alle labbra un dito e se lo mordicchiò. Era il suo gesto tipico di quando si sentiva particolarmente nervosa. Forse aveva capito che cosa intendesse dire. Poteva accedere in tutta tranquillità alla Sezione Proibita utilizzando la Pozione Polisucco. Doveva trovare solo la persona adatta a cui rubare i capelli. Ci avrebbe pensato poi e avrebbe comunque chiesto a Severus tutto l’aiuto possibile.
“Ho capito, Remus, mi preoccuperò poi di come infilarmi in quella parte della libreria. Un’ultima cosa: quali capitoli mi consigli di analizzare subito, del libro di Asnavor?”.
“Penso che tu debba cercare il simbolo nei capitoli dedicati alla Confraternita degli Evocatori o in quelli in cui si parla della Confraternita dei Saggi di Danann. Punterei su quei due capitoli, mi sembrano i più plausibili. Possono avere a che fare con quest’albero, che ricorda molto l’Albero della Vita della mitologia non solo magica, ma anche quella Babbana”.
“Dici quello da cui nasce la saggezza e quello che regge non solo il nostro mondo, ma altri otto o nove?” chiese Lily. Aveva letto qualcosa di mitologia nei libri di suo padre, che aveva fatto di quegli studi il suo lavoro. In quel momento, si sentì estremamente grata nei confronti del genitore, per averle passato una curiosità malsana verso il mondo antico, e per averle insegnato a leggere prima di tanti altri suoi coetanei. Inoltre, si sentiva fiera di poter mettere finalmente a disposizione tutta quella mole di nozioni appresa negli anni.

“Esattamente” confermò Remus, che in quel momento restituì il ciondolo alla ragazza e si alzò in piedi.
“Perdonami, Lily, ma ora vado a compiere i miei doveri di prefetto. Sarà bene controllare che non ci siano Grifondoro in giro per il castello” fece ironico il ragazzo.
La Grifondoro si sentì in dovere di ringraziarlo. Era stato estremamente gentile e paziente con lei e per la prima volta riuscì a vederlo non come uno dei quattro Malandrini, ma come un ragazzo piuttosto in gamba e particolarmente preparato su quel tipo di argomenti.
Lily si alzò in piedi, raccogliendo il diario e la penna, ed il mantello nero con lo stemma della sua casa, che aveva buttato disordinatamente sulla poltrona. Tutto quel lavorio incessante l’aveva stancata molto. Pensò che si sarebbe addormentata di schianto, una volta arrivata a letto, o in alternativa, sarebbe rimasta sveglia con una quantità spaventosa di adrenalina in corpo, dovuta a tutte quelle febbrili ricerche.

“Allora, caro il mio prefetto, avrei un ultimo favore da chiederti” disse con un ghigno in volto Lily “Tieni James Potter lontano da me: da quando ho messo piede ad Hogwarts, mi ha chiesto già tre volte di uscire con lui”. Remus alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, pensando che l’amico fosse proprio incorreggibile.
“Non hai proprio intenzione di cedere alla sua corte spietata” constatò tranquillo il ragazzo.
“Perché dovrei? Sono già felice di chi ho accanto” rispose, pensando a Severus, al suo migliore amico e fidanzato.

Lily se ne andò verso il dormitorio, sempre più certa di essere sulla buona strada per capire chi fosse veramente. Lo capiva dal suo cuore che batteva all’impazzata, mentre si rigirava tra le dita quell’albero in argento. Quell’albero non reggeva solamente le sorti del mondo, ma aveva scritto tra i suoi rami la natura di Lily. Le radici di quell’albero magico e misterioso non erano solo quelle da cui era nato il mondo, ma era nata anche lei. Lo sentiva. Doveva solo averne la conferma definitiva.

Nel buio del suo salotto, Tom Riddle accolse il suo amato gufo nero, Jötnar, un volatile di grosse dimensioni, caratterizzato da un’ampia apertura alare e da due occhi color rosso sangue. Il volatile appariva molto affamato, dato che aveva viaggiato dalla Germania all’Inghilterra senza sosta. Si avventò sul proprio ratto da mangiare con un strillo acuto e famelico, intanto che il Signore Oscuro apriva la missiva che aveva trasportato. Sembrava ansioso di ricevere quella pergamena, a giudicare dalla velocità con cui distrusse il sigillo in cera nera apposto sopra la lettera. I suoi occhi chiari viaggiarono velocemente sulle poche righe d’inchiostro scritte dal mittente.
Lord Voldemort posò la lettera sul pregiato tavolo poco distante e sorrise trionfante, con un ghigno diabolico e gli occhi che luccicavano folli nel buio della sera.

Mio Signore,

Non potrei portarle notizie migliori. E’ stato molto, molto faticoso ottenere un risultato accettabile dalle Tre Creature Oscure, ma sono molto felice di dirle che le sperimentazioni sono giunte ad un buon punto.

La Creatura Eletta destinata ad eliminare i maghi Nati Babbani sembra essere Crioshad. Stiamo cercando di renderlo resistente all’Ardemonio ed all’Anatema che Uccide. E’ una bestia di rara potenza e crudeltà. Pochi maghi saranno in grado di tenerle testa, ed anche se così fosse, sarà molto difficile che sopravvivano alla maledizione che verrà inflitta loro.

Grazie a Crioshad potremo dare nuovamente vita al nobile movimento di Salazar Serpeverde, con lei a comandare tutti noi, e l’intero mondo magico, mio Signore. Gli ultimi eredi delle confraternite magiche saranno presto eliminati, assieme alla feccia del mondo magico, in modo tale che non esilieranno per una seconda volta gli eredi di Salazar dalle nobili terre d’Irlanda, Regno Unito e Germania. Evocatori, Saggi, Alchimisti, tutte quelle confraternite non avranno più ragione d’essere dopo il passaggio di Lord Voldemort ed i suoi Mangiamorte! Crioshad è la punizione che si meritano, dopo tutto quello che hanno fatto ai nostri antenati.

Il Dearg Slèabua è pronto per rinascere ancora una volta, più potente e forte di prima.

Morte ai traditori del sangue puro, poiché il loro sangue marcio colorerà le nostre lance.
Morte ai traditori del sangue puro, poiché il loro sangue putrido verrà ghiacciato da Crioshad.
Morte ai traditori del sangue puro, poiché il loro sangue rivoltante si dissolverà nelle fiamme degli Inferi.

Suo servo e fedele Mangiamorte,

Igor Karkaroff.

 

* * *

Della serie, le cose si complicano. O forse no. Si scoprono le prime confraternite: quella degli Evocatori o dei Saggi di Danann (si dice che quella popolazione dell’Irlanda, quella dei Tuatha de Danann, fosse una delle tante popolazioni pre-gaeliche con origini nordiche. E l’Albero della Vita/Cosmico/del Mondo è un’immagine diffusissima nella mitologia norrena. Yggdrasill anyone? Ad ogni modo, era diffuso anche in Irlanda, questo simbolo, quindi penso che in maniera seppur remota possano avere una connessione). Solo una, o meglio, due di queste confraternite varrà davvero nel corso della storia e una, come potete vedere, è il movimento dei Dearg Slèabua (le Lance Rosse, così ad occhio). E il Dearg Slèabua non è stato fondato che da Salazar Serpeverde in persona (Nathair vuol dire serpente in Irlandese, era un altro modo per chiamarlo, nella setta :D) assieme agli esiliati irlandesi. E chi meglio dell’erede di Serpeverde, ovvero Tom Riddle, potrebbe ridarle vita? L’altra setta non ve la dico, cioè comunque lo saprete presto! (Non è difficile).

Cos’altro ho da dirvi? Ah, che la ricerca delle origini di Lily sarà uno dei temi che amerò approfondire, perché per lei non è da poco questo tema. E quindi risolverà questo suo cruccio. Oh sì, ma che sofferenza. (Tranquille, Remus Lupin NON si invaghirà di Lily. Però mi piace che rimanga affezionato a lei al di là dell’essere un Malandrino).

Sev, beh, non ho molto da dire. Il piccolo bastardello mi sta venendo bene e lo sto amando alla follia. *ç* Come reagirà al fatto che Lily vorrà accedere alla Sezione Proibita? XD Ah ce li vedo battibeccare i due amorini sul fatto che sia giusto o sbagliato o cosa XD Oh santa padella.

Comunque, la canzone di questo capitolo è proprio questa qua. Dream Theater tanto amore.

Per chi non mi avesse ancora aggiunto, questa è la mia pagina Facebook. E vi ricordo ancora una volta il mio contest, per chi volesse partecipare :D

Posso solo dirvi, ancora una volta, GRAZIE INFINITE!

Alessandra :D

P.S. questo capitolo lo dedico ai miei amici e amiche romani <3 Love you, you know who you are.

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Capitolo 28
*** Running Up That Hill ***


28.

Running Up That Hill

“You don't want to hurt me,
But see how deep the bullet lies.
Unaware, I'm tearing you asunder.
Ooh, There is thunder in our hearts”.

“Is there so much hate for the ones who love?
Tell me we both matter don't we?”

“You,
It's you and me,
It's you and me who won't be unhappy”.

“And if I only could,
I'd make a deal with God,
And I'd get him to swap our places,
Be running up that road,
Be running up that hill,
Be running up that building”.

Kate Bush – Running Up That Hill (A Deal With God)

Lucius Malfoy non capì subito il motivo per il quale il Signore Oscuro fosse ansioso di vederlo. Una sera di Settembre inoltrato, gli era stata recapitata una pergamena di modeste dimensioni, con l’ordine secco e perentorio da parte di Lord Voldemort di recarsi immediatamente a Kilmarnock. Il Mangiamorte aveva lasciato quindi la propria abitazione e si era Materializzato nel salone di quella villa che aveva imparato a conoscere molto bene negli ultimi mesi. UItimanente, non aveva trascorso molto tempo con la moglie Narcissa e di ciò era molto dispiaciuto, per quanto agli eredi di casa Malfoy non venisse richiesto di amare le proprie spose o di coprirle di affetto e di attenzioni.
Lucius non venne accolto da alcun saluto, da alcun convenevole, ma solamente dalla consueta semioscurità e trovò il Signore Oscuro in piedi presso il grosso tavolo. Su di esso erano stati appoggiati svariati candelabri, le cui candele di color rosso scuro erano ridotte a piccoli mozziconi di cera calda, che colava giù per i numerosi ornamenti in argento, macchiando la superficie in legno. Quelle macchie non erano importanti, era però fondamentale che non si depositassero sulle numerose pergamene dispiegate sul tavolo.
Il Mangiamorte si avvicinò al proprio superiore con timore reverenziale, che era intento ad osservare con espressione concentrata una pergamena davanti a sé. Ebbe l’accortezza di non fare il minimo rumore, perché il Signore Oscuro non amava per nulla il frastuono nei momenti di massima concentrazione. Ed era in grado di perdere le staffe molto facilmente in caso di inopportuno deconcentrazione.
“Lucius, avvicinati e guarda” disse calmo, sebbene la sua voce fosse piena di trepidazione e di eccitazione.
L’uomo si appoggiò al tavolo e si chinò leggermente in avanti, curioso di vedere anche lui il contenuto di quelle carte.
C’era realmente da perdersi in quella distesa ocra e nera, di pergamene e di inchiostro, dove ad un certo punto i fogli si sovrapponevano ad altri, creando un caos ordinato e sistematico.
Malfoy riconobbe l’ inconfondibile calligrafia di Karkaroff. Fiumi di parole erano state riversate su quelle pergamene e non era difficile indovinare il tema principale di quel fitto carteggio: avevano parlato solo ed esclusivamente delle tre Creature Oscure e dei loro progressi. Anzi, a giudicare da alcuni disegni, sembrava che si parlasse di solamente di una, di Crioshad e di un progetto riguardante una... fortezza?
“Mio Signore” chiese Lucius, sfiorando soprappensiero uno schizzo rappresentante la Creatura Oscura in fase adulta e pronta ad attaccare “Che cosa sono quei disegni?”. Detto questo, l’uomo indicò delle pergamene molto più grosse, poco illuminate dalla luce morente delle candele, e che erano dispiegate in tutta la loro ampiezza poco lontano da lui e da Lord Voldemort.
Il Signore Oscuro non rispose subito, ma si limitò ad impugnare la propria bacchetta magica, prima posata sul tavolo. Con un gesto rapido, e mormorando appena, sollevò le grosse mappe per farle arrivare esattamente davanti a loro.
Quello che Lucius aveva a malapena potuto supporre, in quel momento divenne una certezza, che non aveva bisogno di ulteriori indagini.
“Caro Lucius” esordì Lord Voldemort, intanto che puntava la bacchetta verso le candele, per aumentare l’intensità della loro luce “Ti ricordi quando ti ho detto che saresti dovuto andare in Germania, in uno di questi mesi?”.
Il Mangiamorte annuì.
“E’ giunto il momento di andare a fare visita al caro Karkaroff, che scalpita nel poterci mostrare di persona la potenza devastante di Crioshad”.
Lucius osservò a lungo le mappe, senza replicare. Il Signore Oscuro, però, non aveva ancora risposto alla sua domanda, visto che apparentemente quelle mappe non sembravano centrare per nulla con la Creatura Oscura. I suoi occhi freddi cercavano un nome, un riferimento geografico preciso, per capire dove si trovasse quella fortezza. Si chiese se dovessero recarsi a Durmstrang, dove Igor Karkaroff aveva un ruolo puramente di copertura.
Tom Riddle arricciò le labbra in un sorrisetto ironico.
“Lucius, quante volte ti ho detto di imparare a proteggere i tuoi pensieri in maniera efficace?” disse, in tono paternalistico.
L’uomo sobbalzò, sorpreso, ed imprecò, poiché si dimenticava che il Signore Oscuro di tanto in tanto amava metteva alla prova i suoi fedeli, penetrando nelle loro menti, per analizzare il flusso dei loro pensieri. D’altronde, essendo sempre stato un grande Legilimante, poteva forse trattenersi dal praticare una delle sue arti magiche preferite? E se c’era una disciplina magica in cui Lucius Malfoy non era mai stato particolarmente portato, era proprio la Legilimanzia. Forse perché l’idea di chiudere e controllare la propria mente contrastava con il proprio ego smisurato, che non vedeva l’ora di esibire ed ostentare e di sentirsi al centro dei pensieri altrui.
Malfoy chinò la testa, lasciando che i lunghi capelli biondo chiaro gli coprissero il volto. Almeno in quel modo sarebbe riuscito a nascondere la propria vergogna ed il proprio imbarazzo, per quell’intrusione e soprattutto per il fatto che i suoi pensieri fossero noti al mago oscuro.
“Ad ogni modo, non è Durmstrang la nostra destinazione” riprese tranquillo Tom Riddle, che alzò la bacchetta e chiamò un’altra mappa, leggermente più piccola di quelle riguardanti la pianta della fortezza. La pergamena che si posò di fronte ai loro occhi era una banalissima carta geografica della Germania.
Lord Voldemort appoggiò la punta della bacchetta in una regione tedesca del nord, in un punto che si affacciava sul Mar Baltico. Da quel punto preciso, il mago oscuro sembrò tracciare una linea invisibile, ma dritta, verso nordovest.
“Qua, al confine con la Danimarca, tra Niebull e Leck, abbiamo la Scuola di Magia e Stregoneria di Durmstrang” spiegò con semplicità e praticità. Sempre con la bacchetta, poi, ripercorse quella linea ideale che aveva tracciato in precedenza, arrivando a puntare un isolotto nel Mar Baltico.
“Mentre qui, nell’Isola di Fehmarn, abbiamo il nostro punto d’incontro con Karkaroff”.
“E’ lì che si trova... La fortezza di cui parlate in queste pergamene?” chiese Lucius, in maniera piuttosto schietta e diretta, evitando così che Tom Riddle potesse ancora infiltrarsi nei suoi pensieri.
Die dunkle Festung, la fortezza oscura, così la chiama, nel nostro lungo scambio epistolare. E’ lì che nasconde le tre Creature Oscure. Anche se ora sembra essere molto concentrato su Crioshad” replicò il mago oscuro, che si voltò per guardare Lucius negli occhi. Ma il Mangiamorte non fece caso a quello sguardo pieno di ambizione ed assetato di gloria, perché Malfoy era impegnato a contemplare la fortezza, che sembrava di notevoli dimensioni. Pareva una piccola città ed i piani sotterranei sembravano essere progettati per custodire molti scomodi segreti. Per qualche istante, Malfoy si concesse di immaginare che cosa avrebbero mai potuto nascondere sotterranei così profondi e bui. Tuttavia, la voce del proprio superiore lo riportò alla realtà, dato che l’elenco di ordini non era ancora finito.
“Ma prima di partire per la Germania, ho bisogno che tu ti rechi ad Hogwarts”.
“Mi devo recare io di persona in Scozia?” chiese Lucius.
Lord Voldemort annuì. “E’ troppo tempo che non ricevo notizie circa Mulciber ed Avery. Non so nemmeno se abbiano provato ad avvicinarsi ulteriormente a questo fantomatico Severus Piton. Non ho voglia di aspettare i loro comodi, pertanto, desidero che tu vada ad Hogwarts e vorrei che ti mettessi in contatto diretto con questo Severus. Devi essere veloce. Il tempo stringe e non voglio nemmeno far aspettare Karkaroff”.
Non che il Mangiamorte avesse molte possibilità di replica di fronte a degli ordini precisi e diretti e non gli rimase altro che annuire, rassicurando il temibile mago che avrebbe fatto più in fretta possibile a raggiungere Hogwarts, in modo tale di portargli notizie fresche riguardo quel Serpeverde che sembrava essere molto promettente e sulla bocca di tutti.
Mentre i due brindavano, con un pregiato Hennessey d’annata, a Crioshad, alla Germania, ed all’avvenire ricco di avvenimenti, Lucius Malfoy brindò persino a quella lingua lunga di Horace Lumacorno. Il motivo era molto semplice: continuava a mandargli pergamene insulse dove gli parlava senza sosta dei nuovi membri del suo patetico circolo - si chiamava Luma Club? Lucius non se lo ricordava - e di quanto fossero promettenti le nuove generazioni e di quanto il Professore di Pozioni parlasse diffusamente di lui, nei suoi incontri serali. E in ogni lettera, lo pregava di venirlo a trovare, in modo tale che potesse presentarlo ai suoi allievi, che non vedevano l’ora di poterlo conoscere di persona.
Involontariamente, Lumacorno gli aveva dato il modo di presentarsi ad Hogwarts in maniera del tutto legale, senza sotterfugi, ed avrebbe incontrato con la massima semplicità Severus Piton, senza dover elaborare inutili stramberie. Avrebbe avuto la massima resa con un minimo dispendio di forze. Aveva tutti i suoi buoni motivi per brindare con entusiasmo, quella sera. Ma si fece furbo e scaltro, proteggendo accuratamente dall’occhio di Lord Voldemort tutti i suoi piani.
Sì, convenne tra sé e sé il Mangiamorte, c’era molto a cui brindare e tanti altri calici tintinnanti si sarebbero levati, se tutto fosse andato secondo i piani.

Tornare ad Hogwarts per Severus e Lily significava non solo tornare alla loro routine fatta di lezioni, di studio in biblioteca, di passeggiate attorno al Lago Nero o di qualche sporadica gita ad Hogsmeade, ma voleva anche dire partecipare alle serate del Luma Club. Quando erano stati ammessi nel circolo privato del Professor Lumacorno, non si erano di certo sentiti al settimo cielo, perché non era mai stato nella loro indole partecipare a quel tipo di vita mondana, se così potesse essere definito quel ritrovo di studenti. Non erano due persone molto amanti della vita sociale: Lily aveva le sue poche amiche e le bastavano, per quanto si dicesse che fosse particolarmente popolare e ricercata tra i ragazzi di Hogwarts. Ma a lei non importava nulla di essere ambita, anche perché James Potter costituiva di suo una notevole scocciatura molto difficile da levarsi di torno, figurarsi avere attorno altri ragazzi altrettanto spacconi ed irritanti. Per quanto riguardava Severus, era presto detto, visto che lui non amava il contatto con le persone, di qualsiasi tipo e genere. Solo Lily era la sua graditissima eccezione, così come il rapporto piuttosto distaccato e formale con i professori della Scuola di Magia e Stregoneria. Stava iniziando ad apprezzare particolarmente quel tipo di rapporto gerarchico, perché lo trovava piuttosto comodo e pratico nella quotidianità. La sua sfida rimaneva tenere alla larga i suoi coetanei, troppo ciarlieri e chiassosi, per nulla devoti come lui allo studio della nobile arte magica. Per di più, Severus era persino più duro con gli altri membri del Luma Club, che non gli parevano affatto degni di essere definiti tra i migliori pozionisti di Hogwarts. Oltretutto, sempre secondo lui, il Professor Lumacorno era troppo lasco nei requisiti per accedere alle classi avanzate di Pozioni, e questo non smetteva mai di ribadirlo, con un’aria un po’ sprezzante ed un po’ rassegnata. Anche quella sera, mentre si avviava con la Grifondoro verso l’ufficio dell’insegnante di Pozioni, non fece altro che borbottare il suo disappunto nei confronti dell’eccessiva tolleranza adottata dal vecchio mago.
La ragazza, che camminava per i corridoi, non tenendo per mano il Serpeverde, aveva un po’ la testa altrove e si sentiva lievemente nervosa e non stava dando retta a Sev ed ai suoi brontolii. Fino a qualche settimana prima, non avrebbe mai atteso con ansia l’arrivo di una serata con Horace Lumacorno. Ma ora non vedeva l’ora di trovarsi in quello studio, con di fronte il proprio insegnante, impeccabile nel suo completo di tweed grigiastro, pronta a trarlo in trappola per afferrare un paio di suoi capelli, un paio di candidi, corti, finissimi capelli di Horace Lumacorno. Aveva discusso a lungo con Severus e l’aveva pregato di aiutarla: quel libro di Asnavor le serviva, ed era disposta a prenderlo, con qualsiasi mezzo, anche con l’inganno, ma in fondo, era a fin di bene. Quella ricerca era divenuta la sua ossessione, il suo chiodo fisso. Si addormentava rigirandosi tra le dita quel ciondolo e si risvegliava, dopo essersi dimenata nel sonno, ritrovandosi la catenina e quell’alberello annodati tra i capelli. In ogni istante libero del suo tempo, rimuginava pensando dove potesse nascondersi la chiave che avrebbe risolto tutti i suoi dubbi, e non avrebbe avuto pace fino a quando non avrebbe avuto tutto in suo controllo.
Si era confrontata con Sev, che calmo e pacato le aveva suggerito che, forse, non sarebbe stato necessario ricorrere ad un escamotage simile. Lily, così le aveva detto il ragazzo, con la maggior delicatezza e tatto possibile, poteva sempre fare leva sulla sua bravura nella materia insegnata da Lumacorno, sul fatto che l’insegnante la stimasse enormemente ed in maniera assolutamente genuina. Se gli avesse detto molto semplicemente che nessun professore le aveva rilasciato la firma e l’autorizzazione per accedere alla Sezione Proibita della biblioteca di Hogwarts, e che ne avesse veramente bisogno per un libro, Severus era certo che l’insegnante gliel’avrebbe concessa senza problemi.
Ma la ragazza, ostinata e con la testa più dura delle mura di Azkaban, non la pensava così e reputava che l’unica soluzione per ottenere quel volume fosse assumere le sembianze di Horace Lumacorno attraverso la preparazione della laboriosa Pozione Polisucco. Nessuno dei due si era schiodato dalla propria posizione, ed in certi momenti non erano riusciti ad evitare alcuni momenti di tensione. Tuttavia, avevano evitato accuratamente di parlarne, cadendo in un mutismo surreale, dopo una brutta discussione dove la ragazza si era particolarmente alterata per la poca comprensione dimostrata dal ragazzo.
Severus desiderava solo che Lily capisse che lui non voleva fare altro che proteggerla e non voleva che ricorresse a certi metodi non consoni al suo carattere, alla sua indole solare e sincera. Il suo intento era di aiutarla nel migliore dei modi, evitandole guai inutili, ma le sue scarse doti di oratore non l’avevano aiutato, anzi, avevano solamente contribuito a peggiorare la situazione ed a farlo sentire un autentico verme.
Era curioso come lui fosse pronto a mentire, come fosse disposto a prestarsi a uno spudorato doppiogioco, allo spionaggio più bieco e senza scrupoli, ma che non sopportasse che la sua amata elaborasse piani loschi, solo per accaparrarsi un libro. Forse perché Lily era una ragazza incapace di fare del male nel vero senso della parola. Era pura, era schietta, non era perfetta, ma che sciocchezza sarebbe stata macchiare quell’anima bianca di sciocchi misfatti!
Camminavano calmi, senza fretta, quando Lily rallentò il passo, fermandosi in prossimità di una delle innumerevoli torce che illuminavano il corridoio buio. Dal taschino del cardigan, estrasse una piccola fialetta vuota, che attendeva di essere riempita. Se la rigirò tra le mani, con il vetro che riluceva sotto il fuoco intenso delle torce. Sev si fermò e si avvicinò a lei. Capì che era pensierosa e che si sentiva sola e un po’ tentennante, perché il ragazzo aveva voluto evitare ulteriori discussioni al riguardo. Gli dispiaceva vederla così silenziosa ed insicura.
Lily aveva la testa china verso il piccolo contenitore di vetro e si mordeva il labbro inferiore. Il ragazzo era certo che si stesse interrogando se quella fosse la cosa giusta da fare.
Gli si strinse il cuore. Era stato uno zuccone ad essersi fossilizzato sulla sua idea: in fondo, si disse, Lily lo faceva solo per un libro, per una questione che le stava estremamente a cuore. Non avrebbe ucciso o fatto del male a nessuno per quello.
Severus appoggiò la propria mano su quella della Grifondoro, proprio quella che reggeva la piccola fiala.
“Lily” sussurrò il Serpeverde. La giovane alzò gli occhi verdi, un po’ lucidi - che avesse pianto per le discussioni, per i dubbi che l’avevano dilaniata, nei giorni precedenti? si domandò il ragazzo - ma meravigliosi come sempre.
Sev la guardò, cercando di rassicurarla e di farle forza. Se usare i capelli di Lumacorno per la Pozione Polisucco era proprio quello che voleva...
“Sei ancora sicura che questo sia il metodo migliore?” le chiese, attento ad usare un tono di voce calmo e privo di ostilità.
La ragazza scosse la testa, con un’espressione alquanto confusa. Sev capì che la giovane stava cercando il suo appoggio.
“Penso di sì, ma mi dispiace che tu non abbia capito le mie ragioni” rispose, un po’ addolorata “Io non voglio fare del male a nessuno, ci tengo davvero molto a sapere chi siano veramente i miei antenati e so che con la Pozione Polisucco posso accedere alla Sezione Proibita senza problemi”. Aveva parlato con tono veloce, per non tradire nessuna emozione, per evitare che la sua voce s’incrinasse e la facesse incespicare.
Sev sospirò e l’abbracciò con calore ed affetto, come non faceva da quando avevano battibeccato. La ragazza appoggiò il viso sulla spalla del ragazzo, ritrovando quel contatto che aveva temuto di non meritarsi più, dopo quelle discussioni, e dopo aver eretto a tempo di record un muro per difendersi da lui. Erano adolescenti come tutti gli altri, in questo: si complicavano la vita con molto poco e a volte andavano in paranoia per motivi ancora più sciocchi. E, similmente, si ritrovavano, si chiarivano e facevano pace con molta più facilità rispetto agli adulti.
“Ti serve ancora il mio aiuto?” le chiese il ragazzo, sistemandole i capelli con gentilezza.
Lily sorrise contenta e lo strinse ancora più forte. Il Serpeverde prese quel gesto per un sì.
“Se è questo quello che vuoi, allora conta su di me” aggiunse, sapendo che, in fondo, la parte più difficile del piano sarebbe stata recuperare i capelli del professore. La pozione non era complessa, almeno non per loro.
“Grazie, grazie davvero, Sev” lo ringraziò Lily, decisamente sollevata. Si alzò in punta di piedi e gli diede qualche bacio sulla guancia. Era il suo modo per ringraziarlo, un po’ ingenuo, ma molto apprezzato dal ragazzo.
“Lo vorresti un bacio?” gli chiese sbarazzina Lily, con il suo inconfondibile sorrisetto furbo.
“E me lo chiedi? Certo che..”.
Non ebbe il tempo di finire la frase che la ragazza lo stava già baciando con gioia. Dopotutto, era bello fare pace con quella testa matta, pensò Severus.

Horace Lumacorno era una persona fondamentalmente buona, ed era molto affezionato ai suoi studenti più promettenti. Alla luce di questo suo affetto per i suoi pupilli, trovò essenziale dedicare parte della riunione del Luma Club ai G.U.F.O., alle modalità di svolgimento, ai piccoli trucchi e consigli per svolgere gli esami al meglio, soprattutto per quanto riguardava la prova di Pozioni. Gli esaminatori di tale materia, rigorosamente esterni al corpo insegnanti di Hogwarts, spiegò l’insegnante, non brillavano di certo per originalità nella scelta delle pozioni da preparare durante i G.U.F.O.: oramai si poteva indovinare quasi con certezza quale sarebbe stato il tema dell’esame anno dopo anno. Ad ogni modo, ci teneva che i suoi studenti migliori potessero dare il meglio di loro, con il massimo dei voti.
Tuttavia, ebbe paura di aver esagerato, o di aver caricato d’aspettative i propri alunni, quando vide il volto grazioso di Lily Evans decisamente turbato. Quella cara ragazza era piacevole da avere attorno, era briosa, vivace e molto curiosa, nonché arguta nelle sue osservazioni. Ma quella sera sembrava con la mente altrove e con poco appetito. Merlino, lei che ammetteva con molta schiettezza di amare i dolci, quella sera aveva fatto fatica a finire la crostata di frutti di bosco. Aveva visto come parlottasse con Severus Piton, l’altro suo prediletto, ed aveva notato come non ci fosse gaiezza nei suoi gesti, che anzi tradivano una certa tensione. Povera ragazza, si disse, forse l’aveva spaventata con quei discorsi troppo seri. Eppure, era convinto nella maniera più assoluta di aver parlato con lo scopo di rassicurare i suoi prediletti. Probabilmente, la giovane era in preda ad una comprensibile crisi d’ansia e di nervosismo: come tutti gli studenti prossimi ad una grande prova, aveva timore di non essere in grado di superarla, o di non sentirsi all’altezza.
L’insegnante di Pozioni si era un attimo fermato a parlare con alcuni studenti che avrebbero affrontato i M.A.G.O. l’estate seguente, ma non perse di vista la cara ragazza, che camminava nervosamente su e giù per il suo studio. A volte si fermava e scambiava qualche parola con qualche altro studente, a volte si fermava a guardare nervosamente le vetrinette contenenti gli oggetti più bizzarri e preziosi del professore.
In realtà, Lily non stava affatto pensando ai G.U.F.O., agli esami ed alle pozioni: stava semplicemente aspettando il momento in cui il professore, accaldato per via di qualche bicchierino di Ogden Firewhiskey di troppo, si levasse la giacca in tweed e l’appoggiasse sulla sedia, rimanendo in camicia e gilet. E quella sera sembrava non voler bere troppo liquore, quindi non si sarebbe tolto la giacca, o perlomeno non subito.
La Grifondoro camminava agitata per l’ufficio, sentendosi non solo una leonessa in gabbia, ma nell’ordine una iellata ed un’inetta, e per un attimo pensò che Sev avesse ragione nell’optare per una soluzione più comoda e fattibile. Ma oramai era in azione e non poteva più tornare indietro. Tastò la tasca del cardigan per l’ennesima volta, come per assicurarsi di avere ancora la fiala di vetro. Stava iniziando a scalpitare, anche perché Severus era stato fermato da un ragazzo del quarto anno, un Serpeverde come lui, e gli stava ponendo delle domande su degli ingredienti per una pozione complessa da preparare.
La ragazza continuò a guardarsi attorno, perché era stufa di guardare quelle vetrinette piene di ciarpame, e quando vide la piccola teca contenente i liquori che Lumacorno riservava alle grandi occasioni, ridacchiò tra sé e sé.
Poteva sempre convincerlo a tirare fuori una di quelle bottiglie di Firewhiskey e concedersi un sano bicchierino. Sapeva bene che non l’avrebbe mai offerto ai propri studenti al di sotto dei diciassette anni, ma a lei interessava che un po’ di alcool nel corpo del professore sortisse l’effetto desiderato.
Nello stesso momento in cui si avvicinò a quelle bottiglie, Severus si liberò dello studente del quarto anno, e si diresse verso Lily, che lo guardò come se fosse un eroe.
“Meno male che ti sei liberato!” gli mormorò, con sguardo riconoscente “Sto impazzendo qua dentro e non so più cosa fare per far sì che posi quella giacca da qualche parte”.
Severus guardò le bottiglie di liquore attento.
“Spaccargli in testa una di queste potrebbe causarti non pochi problemi” disse sarcastico e Lily lo fulminò.
“Ti sembra il momento adatto per dire simili scemenze?” sibilò la ragazza di rimando.
“Era per sdrammatizzare. Comunque, lascia fare a me” disse sicuro di sé il ragazzo.
“Sev, che cosa hai in mente?”.
“Lily, ti ho detto che ti avrei aiutato, no? Allora lascia fare a me”.
“Ma io...”.
Severus si fece molto serio e scuro in volto, e la interruppe.
“Ti fidi di me o no?” le chiese bruscamente. Cambiando atteggiamento in maniera repentina, sperava di ottenere l’attenzione del professore. Non voleva essere veramente duro con Lily.
“Certo!” esclamò lei spaventata, cercando di evitare un altro battibecco e l’ennesima discussione.
Il Serpeverde le appoggiò una mano sulla spalla e gliela strinse con dolcezza. L’espressione dura svanì dal volto del ragazzo.
“Allora lascia fare a me. Vai a sederti su quella poltroncina” le disse gentilmente e la Grifondoro annuì, andandosi ad accomodare dove le aveva indicato Sev, che rimase in piedi vicino alla vetrinetta e cercò il professor Lumacorno con lo sguardo. Appena riuscì ad ottenere la sua attenzione, gli fece cenno di avvicinarsi a lui.
“Professore, mi scusi” esordì il ragazzo, cercando di mostrarsi molto interessato a quei liquori “Vorrei sapere qualcosa circa le varietà di questi Firewhiskey. Vorrei portarne una bottiglia a mia madre”.
“Ah, la cara Eileen Prince. Come sta? E’ tanti anni che non la vedo. Ma vieni, lascia che ti spieghi qualcosa, intanto che mi racconti qualcosa di lei”.
Lily osservò il vecchio insegnante avvicinarsi al proprio ragazzo, deliziato di potergli riempire la testa informazioni assolutamente inutili circa la qualità di un Firewhiskey, e le venne da ridere. La sua mente, per qualche attimo, andò a quell’estate a Galway, nel pub di Brody, dove aveva elaborato quella patetica messinscena in cui interpretava la parte di una bambina sola e persa per la città, pur di distrarre tutti e rubare una Guinness da bere a tradimento. Per qualche istante, sorrise di quel ricordo ingenuo e di quel tentativo goffo di ottenere quello che desiderava a tutti i costi. Quante cose potevano cambiare nel giro di poco meno di due anni? Sembrava che fossero trascorsi decenni, che fosse cambiato tutto nel frattempo, al punto tale da rendere irriconoscibile, o quasi, la quattordicenne di allora. Sembrava un’altra vita, un altro mondo, dove non esisteva malvagità, magia oscura e magia onesta a confronto. In quel momento, la vita non le pareva altro che un continuo saliscendi dai pendii ora dolci, ora ripidi, delle colline. Ci si dimenticava presto quello che rimaneva alle spalle, perché si doveva riprendere subito fiato per affrontare una nuova salita.
Per un attimo, Lily pensò che sarebbe stato bello scambiare il posto con la Lily quattordicenne, per dimenticare il presente.
Ma era proprio il presente a cui doveva tornare e la ragazza si era letteralmente persa nel groviglio dei suoi pensieri, tanto che non si era accorta che il professor Lumacorno avesse tirato fuori delle bottiglie dalla teca, che le avesse appoggiate sul tavolinetto davanti a lei e che stesse ammorbando Severus di chiacchiere inutili.
Il vecchio insegnante non si era ancora tolto quella maledetta giacca di dosso, eppure, aveva iniziato a bere Firewhiskey, per la gioia di Lily. Bisognava convincerlo a levarsi l’indumento una volta per tutte.
La ragazza si prese il proprio tempo per osservare l’espressione di Severus, che sembrava domandarsi chi gliel’avesse fatto fare di cacciarsi in un guaio simile, ma allo stesso tempo si sforzava di rimanere il più concentrato possibile verso Lumacorno. Era evidente, però, che pure lui non vedeva l’ora di arrivare alla fine di quel tormento. Anche perché, bicchierino dopo bicchierino, l’insegnante iniziava a perdere lucidità, ed i suoi discorsi erano meno chiari, ma leggermente più confusi.
Il Serpeverde era ben abituato al chiacchiericcio di Lily, era solito ascoltare le lunghe e noiose lezioni di Storia della Magia, ma non era mai stato investito da un blaterare così inarrestabile e sempre meno sensato. Non amava interrompere i discorsi altrui, ma doveva trovare il modo di sbloccare quella situazione assurda.
Vide il professore versarsi un altro bicchiere di Firewhiskey, berlo ed appoggiarlo al tavolinetto, per poi aprire la bocca per continuare a parlare. Questa volta il ragazzo giocò d’astuzia ed anticipo.
“Mi perdoni, professore: la vedo accaldato. Non vuole un bicchiere d’acqua?” chiese, pieno di sollecitudine. Lanciò un’occhiata di sollievo a Lily, ma le fece segno di tenersi pronta.
La ragazza, che si era oramai buttata sul divano, rassegnata all’idea di doverci stare ancora a lungo, si ricompose.
“Io? Un bicchiere d’acqua?” fece Lumacorno, con un sorriso un po’ perso, tipico di chi esagera con gli alcoolici “Ma no, ma no…”.
“Professore, insisto: ha parlato tanto. Ho approfittato della sua cortesia e disponibilità, non vorrei approfittare pure delle sue corde vocali”.
A Lily stava scappando una risata e si chiese dove il ragazzo avesse imparato ad essere così faccia tosta. Forse, aveva imparato stando in mezzo a tanti viscidi Serpeverde.
L’insegnante cercò nelle tasche della giacca la bacchetta magica, e farfugliò cose incomprensibili. E fu proprio in quel momento che se la tolse, per cercarla meglio.
“Ma dove avrò mai messo la bacchetta, diamine…” brontolò Lumacorno.
Lily, su segnale di Severus, balzò in piedi. Il ragazzo prese la giacca dalle mani dell’uomo e la tese alla ragazza, che non vedeva l’ora di stringerla tra le mani.
“Tieni tu la giacca, Lily. Ecco, grazie… Ah, professore, non stia a cercare la bacchetta, facciamo quattro passi verso il tavolo”. Detto questo, lo allontanò da lì e la ragazza si fiondò sulla giacca, cercando qualche capello corto rimasto sul tessuto di tweed, tastando affannosamente con le dita. Estrasse la fialetta e, mentre controllava che gli altri studenti non la guardassero, trovò trionfante tre – ben tre! – capelli dell’anziano professore. Trionfante, li rinchiuse nel contenitore, e sigillò il tutto con il tappo in sughero, e si ricacciò la fiala in tasca, finalmente soddisfatta.
Aspettò che Severus ed il professore facessero ritorno al divano e li accolse con un sorriso e con la giacca dell’insegnante tra le braccia, pronta per ridargliela.
“Merlino, professore! Si è fatto tardi!” osservò lei, non tanto per rendere ancora più ridicola quella commedia, ma perché si stava facendo realmente più tardi del solito.
Lumacorno, resosi conto dell’ora, richiamò tutti gli studenti e concluse la riunione, augurando loro una buonanotte e programmando una nuova riunione per la settimana successiva. Il professore anticipò che, con buona probabilità, vi sarebbe stato un ospite speciale, un suo ex-allievo ed ex-membro del Luma Club, ma non volle dire chi. A Severus, istintivamente, quell’annuncio non piacque per nulla, ma non lo diede a vedere. Poteva sempre sbagliarsi.

Lily e Severus stavano facendo ritorno verso i dormitori, e il ragazzo era talmente esausto dalla serata che lasciò che Lily ridesse a crepapelle e senza sosta.
“Merlino, Sev! Dovevo fotografare la tua faccia. Non ne potevi più di starlo a sentire!” disse Lily, asciugandosi una lacrima per il troppo ridere.
Cosa non si fa per amore” pensò il ragazzo, guardando verso l’alto soffitto del corridoio.
“Piuttosto, Lily, dimmi che almeno sei riuscita a prendere quello che volevi” disse lui stancamente.
La ragazza si fermò ed estrasse dalla tasca la fiala e la sventolò davanti al ragazzo, che fortunatamente non aveva lavorato invano.
Si avvicinò e lo abbracciò forte, passandogli una mano tra i capelli.
“Sev, grazie. Non so come ringraziarti”.
“Non ringraziarmi per così poco” rispose lui con un sorriso appena accennato. Vederla felice, serena e determinata a portare avanti il suo piano era quello che lo gratificava di più. Nei giorni successivi ci sarebbe stata la parte più interessante del piano, ovvero, la preparazione della Pozione Polisucco.
“Ma dimmi un po’, Severus, dove hai imparato ad essere così faccia tosta? Lumacorno ci è proprio cascato in pieno, pensava tu fossi estremamente interessato all’argomento…” osservò Lily, mentre camminava verso il dormitorio dei Grifondoro.
“Non è così difficile…” rispose Sev, che in realtà non sapeva bene come spiegarle che stava imparando a mettere su una maschera ogni volta che era costretto a stare con persone di cui non gliene importava molto, o che, peggio ancora, non sopportava affatto. Quella sera, con Lumacorno non aveva fatto altro che impratichirsi ulteriormente ed era molto soddisfatto del risultato ottenuto. Quel tipo di attività gli serviva, era il suo modo per poter sopportare quegli inetti di Mulciber ed Avery ogni giorno.
“Dici che riuscirei a sopportare persino quella lagna di mia sorella, se imparassi a fare quello che fai tu?” gli chiese la ragazza.
“Tua sorella non sarebbe sopportabile neanche se ti trasfigurassi in un muro di pietra per non ascoltarla più” ribatté acido.
Lily gli diede un colpetto sul braccio.
“Ma come sei cattivo!” esclamò lei, per poi ridere divertita.

No, non sono cattivo” pensò serio Severus “Faccio solo finta di essere cattivo ed interessato a diventare un seguace di Lord Voldemort. Sarebbe così facile se qualche altro mago arrivasse da me e mi proponesse di scambiarci di posto. Lo farei senza problemi. Ma non posso tornare indietro e forse, non lo voglio nemmeno. Perché questa è la prima cosa che faccio veramente da solo e con la mia testa”. Magari fosse stato facile aprire la bocca e parlare a mente serena e spiegare il motivo per cui si comportasse così. Ma lo faceva per lei e sperava che, un giorno, anche solo quel “lo faccio per te” le potesse arrivare. E lo faceva per lei perché potesse continuare a correre tranquilla su quelle belle colline irlandesi, dove l’aveva sempre immaginata nei suoi sogni.

* * *

Rieccomi qua! *sparge amore e cuoricini a tutto spiano*

Sapete, mi sono proprio divertita a scrivere questo capitolo. Perché nel prossimo sicuramente – o tra due capitoli – ci sarà l’avventura tetesca di Voldemort e Lucius verso die dunkle Festnung. Come ho scritto da qualche parte, per motivi di suoni, di lingua, Durmstrang per me si trova tra Germania e Danimarca. Poi lo Jutland è così carino, non trovate? Pieno di vento e di laghi <3 Ah, e l’Isola di Fehmarn esiste davvero! :D

Mi sono divertita molto con Lily e Sev, che, sì, come avete notato sono adolescenti e bisticciano anche loro, e che cavolo. Ma altrettanto in fretta fanno pace, amori di mamma (altrimenti se ne andavano a letto senza cena perché poi mi toccava sentire due volte la stessa storia, le stesse lamentele etc. etc.). Poi sono semplicemente due demoni quando si mettono in testa certe cose. Certo, si poteva fare molto più semplice, chiedere una firmetta e basta, e il gioco era fatto. Ma vi ricordate quanto ci si complica la vita inutilmente a 15 anni? Ecco, poi come ho detto, meglio evitare di discutere con Lily XD

E mi sono rotolata dal ridere nel vedere Sev che fa la “faccia da tolla” con Lumacorno che è sulla via della storta con tutti quei “bicerìn”, Lily che si trattiene dal ridere nel vedere che Sev fa così (anche se non fa tanto ridere a lui, però parlasse con Lily :P)… Beh, è stato un bel saliscendi questo capitolo e spero che sia passata questa sensazione e che vi sia piaciuto!

Chiudo le note con le solite cose di rito: questa è la mia pagina Facebook. E vi ricordo ancora una volta il mio contest!

Il brano è della mitica Kate Bush, l’immortale “Running Up That Hill”.

Grazie ancora davvero tanto: per quelli che seguono, ricordano e preferiscono e per coloro che hanno lasciato anche la recensione per le scelte! Grazie <3

 

 

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Capitolo 29
*** The Dark Eternal Night ***


29.

The Dark Eternal Night

“He has risen up
Out of the blackness
Chaos
The last of the prophets
Sinister
A sickening monstrous sight”

“Amidst fallen ruins
Grotesque creatures battle
Shadowed on a screen
Yellow evil faces leer”

“Vacant monuments
Corpses of dead worlds left behind”

“Drifting beyond all time
Out of a churning sky
Drawn to the beckoning light
Of the dark eternal night”

Dream Theater – The Dark Eternal Night

 

 

Todendorf.
Bisdorf.
Lemkendorf.
Vadersdorf.

 
I piccoli villaggi di quell’isolotto piatto e monotono del Mar Baltico avevano finito per confondersi l’uno con l’altro. Terminavano quasi tutti per quel maledetto “-dorf” ed a Lucius parevano tutti identici: la maggior parte di essi era percorso da una stradina principale polverosa, battuta dal vento perennemente gelido, a prescindere dalla direzione da cui soffiasse, ed era costeggiata da qualche casupola di pietra scura. Non c’era niente d’interessante in quella distesa di nulla e di desolazione. Gli abitanti erano pochi e non molto socievoli – anzi, guardavano con occhio piuttosto ostile quei due uomini inglesi che sembravano non capire sino in fondo il loro Niederdeutsch - e Lucius Malfoy ogni giorno di più continuava a chiedersi il motivo di quella partenza anticipata e di quella permanenza in terra tedesca oltremodo prolungata. Anche perché, di Karkaroff non vi era ancora stata traccia, né tantomeno aveva potuto visitare la fantomatica fortezza da lui descritta, poiché, molto semplicemente, sull’isola Fehmarn non c’era alcun castello, stregato o Babbano che fosse.
L’uomo si era ben guardato dal porre simili domande al Signore Oscuro, giacché Lord Voldemort non tollerava delle insopportabili e superflue domande, e si era limitato a sopportare in silenzio la noia di quei giorni, seguendo il proprio superiore ovunque si andasse, passando interminabili ore nella nutrita biblioteca di Burg auf Fehmarn, intanto che il Signore Oscuro consultava volumi enormi sulla storia dello Schleswig-Holstein. Almeno lui parlava e capiva il tedesco e poteva ammazzare il tempo documentandosi sul luogo e la regione circostante, ma Lucius non sapeva che cosa fare, e diventava sempre più irrequieto, cercando un modo per disintegrare quel tempo che non passava più.  Alla sera, appena rientrato nella sua stanza di un semplice albergo di Burg, si buttava sul letto e si lambiccava il cervello, pensando che il Signore Oscuro ed Igor Karkaroff fossero totalmente ammattiti. E poi, come si permetteva quel folle polacco a far attendere così il mago più temuto del mondo magico? Sperava che ci fosse un buon motivo nel farlo attendere così tanto, altrimenti, Malfoy sarebbe stato molto lieto di cruciarlo di persona. Per di più, quell’albergo gli pareva decisamente squallido in confronto allo sfarzo ed all’eleganza a cui era abituato. Ma il Signore Oscuro aveva deciso così, e di certo Lucius non l’avrebbe contraddetto neanche se avessero dormito in mezzo alla strada.
Finalmente, l’estenuante attesa finì una notte d’Ottobre.

La Luna era svanita dietro le nubi spesse cariche di pioggia e Lucius si era sdraiato da poco, e stava fissando il soffitto. Poco prima che si coricasse, gli era stato ordinato di tirare fuori dal baule il suo lungo mantello nero da Mangiamorte, rifinito con degli alamari argentati, perché sarebbero potuti uscire da un momento all’altro, dato che entro breve sarebbe giunto Igor Karkaroff. Malfoy, decisamente rinvigorito da quella notizia, aveva tirato fuori il proprio indumento dal baule e l’aveva appeso ad una gruccia di legno. Poi, aveva estratto dal sacco in velluto la propria maschera da Mangiamorte, che fino a qualche attimo prima riluceva sul tavolino accanto all’armadio, toccata dai raggi lunari.
Un paio di colpi secchi alla porta lo fecero balzare giù dal letto e corse prontamente ad aprire.
Una figura alta, ammantata anch’essa di nero, lo stava aspettando. Igor Karkaroff non aveva la maschera addosso, se l’era tolta per non destare sospetti all’interno dell’albergo, dove comunque sembravano dormire tutti sonni tranquilli.
I due non si salutarono, ma si fecero un cenno col capo, come se non si vedessero che da poche ore.
“Lucius,  il Signore Oscuro ci aspetta nella stanza accanto” disse molto semplicemente il polacco, che si allontanò dalla stanza di Lucius, per raggiungere quella di Lord Voldemort. Il Mangiamorte indossò velocemente il mantello, afferrò la maschera e la bacchetta magica, infilandosela in una piccola tasca interna del manto. Lasciò la stanza, avendo cura di non fare troppo rumore e raggiunse Karkaroff, che diede due colpi rapidi alla porta del loro superiore.
Lord Voldemort aprì la porta, perfettamente vestito ed anche lui indossava un mantello nero, impeccabile come sempre. Qualsiasi indumento si mettesse, risultava per sembrare sempre più elegante che addosso ad altre persone.
Una volta dentro la stanza del Signore Oscuro, immersa nel buio totale, salvo per la scarsa illuminazione proveniente da fuori, Igor si mise a trafficare con un borsello, nascosto sotto il suo mantello, agganciato alla spessa cintura di cuoio che portava in vita.
Il Mangiamorte estrasse un fagotto, fatto di un tessuto lucido e rosso, che tolse subito, per rivelare tre piccole daghe dalle lame damascate. Gli altri due presenti le afferrarono incuriositi. Sul diritto delle lame vi era incisa una frase poco leggibile nell’oscurità della stanza, ma Lucius si sforzò di leggerla ad alta voce.
Meine Ehre heißt… Rein, Rain…” lesse con fatica il Mangiamorte. Tedesco, quella maledetta lingua un’altra volta, pensò Malfoy, chiedendosi a che diavolo servissero quelle daghe con quelle incisioni.
Meine Ehre heißt Reinheit” ripeté Karkaroff con voce sicura, senza nemmeno guardare la daga.
“Il mio onore si chiama purezza” tradusse Lord Voldemort, che continuava ad esaminare la lama con sguardo attento. Il rovescio, assieme ad altre decorazioni intricate, portava la data d’incisione e un simbolo che tutti e tre conoscevano bene. Dentro un triangolo, vi erano incisi un cerchio e un’asta verticale.
“Mio Signore” disse stupito Lucius “Queste daghe appartenevano…”. Si fermò, sapendo che Lord Voldemort non amava molto le domande superflue.
Il mago fissò il suo fedele servitore con una strana luce sinistra negli occhi. Il dito indice della mano destra di Tom Riddle picchettava sulla punta dell’arma ben affilata.
“Vai avanti” lo esortò.
“Queste daghe d’onore appartenevano all’organizzazione oscura di Gellert Grindelwald”. Lucius finì la frase estremamente sorpreso. Gli venne la curiosità di chiedergli come avesse fatto a trovarle, giacché si diceva che non fosse sopravvissuto nessun oggetto appartenente all’esercito di morte e di distruzione, proprio per evitare che nessun mago dopo Grindelwald potesse avere idee distorte e folli. Ma Lord Voldemort non aveva avuto bisogno di impugnare una daga d’onore oscura e maledetta per diventare quello che era diventato. A volte i maghi che contrastavano le forze del male erano in grado di avere idee tremendamente stupide. Ed era per questa loro grossolana ingenuità che rimanevano soltanto dalla parte dei buoni, al contrario dei maghi oscuri, che potevano avere accesso a molto di più.
“Esatto, ed il buon Karkaroff ha provveduto a recuperarne un po’ per noi, per farle diventare delle Passaporte”.
“Ci condurranno verso la Fortezza, non è così?” tornò alla carica Malfoy, ma Lord Voldemort non rispose e cercò con lo sguardo Karkaroff, che si limitò a riaprire il borsello per consegnare agli altri due foderi di metallo nero e grigio, per proteggerle dopo l’utilizzo.
Karkaroff si tirò su il cappuccio e indossò la maschera da Mangiamorte e venne subito imitato da Lucius. Lord Voldemort si limitò a coprirsi la testa con il cappuccio del proprio mantello. Non indossava maschere e non lo aveva mai fatto, probabilmente perché desiderava che le sue vittime s’imprimessero nella memoria le sue fattezze, prima di chiudere gli occhi per sempre o venire torturati. I suoi lineamenti erano decisamente inquietanti, illuminati in parte dalla fioca luce esterna, in parte totalmente oscurati dal tessuto spesso dell’indumento. Gli occhi rimanevano brillanti e vivi sia nella luce che nella penombra, in qualsiasi circostanza.
“Mio Signore, Lucius” iniziò Igor, tendendo la mano che reggeva la daga di fronte a sé “Vi prego di venire avanti con le vostre armi e di appoggiare le vostre lame sulla mia”.
I due fecero quanto detto dal Mangiamorte, facendo attenzione a non fare troppo rumore nell’appoggiare i pugnali uno sopra l’altro.
Rimasero in quella posizione per qualche istante, quando Karkaroff, con un cenno del capo, autorizzò il Signore Oscuro a dare vita alla Passaporta.
Portus” disse piano Lord Voldemort.
Le tre daghe vennero avvolte da un alone bluastro e i tre scomparvero velocemente nella notte.
 

“Maledizione, Lynch! Perché non ci hai lasciato salire di sopra!? Potevamo prenderli!” esclamò furioso Gideon Prewett, sbattendo la bacchetta sul tavolo della rustica hall dell’albergo di Burg. Il ragazzo, dai capelli rossicci e dal fisico molto atletico, era fuori di sé ed aveva voglia di distruggere tutto. Gli occhi scuri desideravano incenerire l’uomo di mezza età, Gabriel Lynch, che se ne stava seduto tranquillo dall’altra parte del tavolo, nelle sue eccentriche vesti blu notte.
Fabian, il gemello di Gideon, allungò la mano e nascose prontamente la bacchetta del fratello e gli fece segno di darsi una calmata, in quanto non avrebbe ottenuto nulla con quelle urla. Il giovane mago era rosso in volto, con la mascella contratta, per evitare di rovesciare ulteriori improperi verso Gabriel, che lo guardava con gli occhi azzurri gelidi. L’uomo si portò una mano sulla lunga barba brizzolata, ed assunse un’espressione assorta, ma non sembrava dare minimamente retta al ragazzo infuriato.
“Dannata testa di troll” sibilò Gideon, che incrociò le braccia, aspettando che l’uomo gli rispondesse.
“Gideon, non mi costringere a scagliare un Novox su quella lingua lunga che ti ritrovi!” lo minacciò Fabian.
“Abbi rispetto per le scelte del Maestro e soprattutto, dobbiamo attenerci a quanto ci è stato ordinato dall’Ordine e da Albus…”.
“Me ne infischio dell’Ordine e delle sue ridicolaggini! Ce li avevamo a portata di bacchetta quei Mangiamorte!” sbraitò e si alzò in piedi, camminando nervosamente per la piccola hall.
In quel momento, Gabriel si alzò e si parò davanti a Gideon, che fu tentato dal mettergli le mani addosso.
“Mio caro Prewett, sei proprio sicuro che fossero solo tre Mangiamorte?” gli chiese con voce pacata.
“Ma certo che sì!” sbottò Gideon, che indicò il piccolo mucchio di pergamene appoggiate sul tavolo “I rapporti degli Auror e del Ministero della Magia tedesco dicono che…”.
Gabriel gli scoccò un’occhiata sprezzante.
“Gli Auror e tutti quei politicanti sono inaffidabili” rispose con sdegno l’uomo “Non sono sensibili abbastanza per percepire le forze che smuovono il mondo magico. Quindi, scrivono corbellerie in rapporti insulsi e puramente accessori, vi spingono a fare idiozie, facendovi sottovalutare il vostro nemico, e morite come degli insetti arrostiti nel fuoco. Altro che morte da eroi”.
Ci risiamo” pensò con un sospiro Fabian, che si portò una mano agli occhi “Ancora con questa storia che al Ministero sono tutti dei mentecatti, che non sono maghi attenti, ma persi nella burocrazia, che è davvero una pessima scelta non insegnare più le Arti Arcane nelle scuole di magia, che questi sono i risultati…”.
“Allora, di grazia” lo canzonò Gideon “Maestro Evocatore, chi erano quei tre che si sono o Smaterializzati o che hanno utilizzato una Passaporta, là di sopra? E se hanno usato una Passaporta, sarà stata creata con la Magia Oscura, per sfuggire ai controlli del Ministero…”. Con un gesto secco della mano, Gabriel interruppe quelle elucubrazioni, così veementi e graffianti.
“Due Mangiamorte e Lord Voldemort in persona” rispose lapidario l’Evocatore “Poco importa che abbiano adoperato Passaporte legali o meno, loro sono Maghi Oscuri e possono tutto”.
Fabian sobbalzò, lasciandosi scappare un “Che cosa!?”.
Il fratello gemello, poi, non si sarebbe mai aspettato una risposta simile, pensò che Gabriel stesse semplicemente scherzando. Ma un mago così speciale, che prendeva la sua arte ed il suo lavoro troppo sul serio, non sarebbe mai stato in grado di scherzare su quel tipo di cose.
“Pensi ancora di salire di sopra e scagliare su quei tre un Anatema che Uccide?”.
Gideon tacque, abbassando la testa e si fissò i piedi, imbarazzato.
Il ragazzo aveva troppa foga di attaccare, di fare più di quello che gli era stato ordinato. Non che lo facesse per vanto o per mettersi in mostra: detestava visceralmente la Magia Oscura e Lord Voldemort ed era desideroso di mettere a disposizione dell’Ordine le sue abilità come mago e combattente. Come suo fratello Fabian, era un osso duro nei duelli, ed era molto rapido nel lanciare incantesimi e nel difendersi dagli attacchi degli avversari. Tutta questa abilità e bravura, però, delle volte lo portavano a sottovalutare la pericolosità del nemico e lo portavano ad agire in maniera troppo plateale.
Quel silenzio era decisamente pesante: Fabian non sapeva più da che parte guardare, Gideon era mortificato, piegato dallo sguardo freddo e fermo dell’uomo. Gabriel si alzò in piedi, lisciandosi la veste con una mano.
“Quante volte te lo devo ripetere che dobbiamo essere delle ombre?” disse pacato “Ma ora vieni, Gideon, non abbiamo ancora terminato il nostro compito, stasera”.
L’interpellato si avvicinò a lui, ancora dispiaciuto.
“Fabian, tu resta qua nella hall e scrivi subito una pergamena ad Albus. Libera il tuo gufo e fa che voli verso la Scozia il più velocemente possibile”. Il ragazzo non attese ulteriori disposizioni, e si alzò, dirigendosi verso le scale che lo avrebbero condotto al piano di sopra, verso la sua stanza.
L’altro giovane Prewett afferrò il lungo mantello scuro e se lo mise addosso e altrettanto fece Gabriel.
“Dove andiamo?” chiese Gideon, curioso.
“Andiamo a scoprire dove si trova il loro nascondiglio” spiegò Gabriel, mentre apriva la porta che dava sulla strada, a dire il vero non molto illuminata e totalmente deserta. L’Evocatore si tirò su il cappuccio e si guardò attorno, prima di mettersi in cammino. Il giovane mago lo seguì a breve distanza, perplesso, ed incerto se estrarre la bacchetta magica per illuminare ulteriormente il proprio cammino. Bisognava stare all’erta e pronti a difendersi in caso di attacco a sorpresa, e Gideon doveva proteggere l’Evocatore, che era una risorsa preziosissima all’interno dell’Ordine della Fenice.
L’uomo, Gabriel Lynch, era un mago estremamente orgoglioso delle sue origini ed aveva deciso, seppur con qualche tentennamento, di mettere a disposizione dell’Ordine la propria profonda conoscenza delle Arti Arcane. Discendente da una grande famiglia di Evocatori che risiedeva da secoli presso l’Isola di Anglesey, sulla costa nord-occidentale del Galles, Gabriel aveva frequentato Hogwarts a suo tempo, alla fine degli Anni Venti, ed era stato uno dei migliori studenti che Corvonero avesse mai avuto negli ultimi decenni. Nella sua carriera di studente si era distinto per la sua personale battaglia per la reintroduzione delle Arti Arcane nella prestigiosa Scuola di Magia e Stregoneria, dopo che erano state lasciate da parte con il declino del Rinascimento Inglese, fondando un piccolo movimento all’interno del castello, dove l’allora giovane mago si era impegnato a cercare dei maghi simili a lui, che non erano coscienti di essere predisposti alla pratica di quell’arte misteriosa e molto nebulosa agli occhi del giovane Prewett, che peraltro, non aveva ancora ben capito in cosa consistesse essere degli Evocatori.
Non che i maghi specializzati in quella pratica parlassero volentieri delle proprie abilità, proprio perché, nei secoli passati, troppa tolleranza e trasparenza avevano fatto sì che la Confraternita degli Evocatori venisse decimata, sia nel Regno Unito che in Irlanda, oltre che nel resto d’Europa. Per reazione, i superstiti della grande gilda si erano gelosamente chiusi nella piccola isola, che per loro era sempre stata semplicemente Inis Mona, in lingua gallese.
Gideon Prewett dapprima l’aveva preso per un delirante ed un ciarlatano, che parlava di concentrazione, di sensibilità e di forze non percepibili da tutti i maghi. Poi, una sera, Gabriel – che alcuni chiamavano ossequiosamente “Maestro” – aveva parlato di loro. Delle Creature Arcane. E non solo ne aveva parlato in maniera appassionata e decisa, ma ne aveva evocate, per dimostrare di non essere un impostore.
L’Evocatore aveva percepito la diffidenza di alcuni dei membri dell’Ordine della Fenice e la plateale ostilità iniziale di Gideon, quindi, durante una delle prime riunioni dell’organizzazione di Silente, li aveva portati in un piccolo bosco poco distante dalla Tana di Arthur e Molly Weasley. Quel luogo era noto per essere infestato da creature inquietanti, alcune delle quali provenivano dalla Luna, per quel fenomeno che pareva solamente leggendario alle orecchie dei più.
Gabriel con pochi gesti aveva messo a tacere le speculazioni e le cattiverie. Prima dell’invocazione, aveva tirato fuori dalla tasca un ciondolo a forma di albero, racchiuso dentro un cerchio impreziosito da nodi celtici. A bassa voce, appena udibile da Silente e da pochi altri maghi, aveva invocato l’aiuto dell’Albero della Vita:


“Albero della Vita,
lascia che io possa toccare la tua chioma sacra,
splendente nella luce dei Tre Mondi dei Giusti.
Rendimi degno di chiamare a me gli Spiriti Puri.
Albero della Vita,
fa che distruggano le tenebre che attanagliano questo Mondo,
fa che ricaccino sotto le tue radici le Creature Oscure,
fa che mi rendano Giusto tra i Giusti".

 
L’aria si era fatta carica di energia, persino gli altri maghi se n’erano resi conto. L’Evocatore aveva puntato verso il cielo la propria bacchetta, e poco dopo una luce fortissima ed accecante aveva fatto breccia nella notte. Per qualche istante, quella specie di figura umana candida, di cui erano chiaramente distinguibili solamente le braccia, i piedi, ed una testa dalla forma un po’ allungata e dalla lunghissima chioma, dato che il resto del corpo era avvolto da fiamme bianche e vive, si era avvicinata all’Evocatore, che le aveva parlato, e con la bacchetta le aveva indicato la via. Quella creatura si era librata in aria ed in un istante era sparita nella foresta, che si era animata di bagliori e lampi accecanti poco dopo. Gideon Prewett era rimasto sbalordito e da quella sera, non aveva più osato mettere in discussione le capacità straordinarie di quel mago, sebbene talvolta continuassero a scontrarsi, per via dei loro caratteri e dei loro modi di agire nettamente differenti.

 
Ancora una volta, l’impulso di estrarre la bacchetta e di fare di testa propria si era impossessato del guardiano dell’Evocatore. Continuavano a camminare, lasciandosi alle spalle Burg ed addentrandosi nella campagna deserta. Non c’erano rovine, non c’erano fortezze, nulla di così straordinario, ma solo cascine modeste e campi sconfinati, battuti dal vento freddo ed avvolti nell’oscurità, giacché la Luna era stata coperta da densi strati di nuvole.
I mantelli dei due maghi ondeggiavano, seguendo il ritmo della loro camminata, e talvolta erano sbatacchiati da un’improvvisa folata di vento più intensa. Nei cespugli a bordo della strada si avvertiva qualche fruscio al loro passaggio. Probabilmente, era qualche piccolo roditore o uccello notturno spaventato da quelle presenze.
A giudicare dai pochi cartelli che fornivano indicazioni precise, dovevano aver camminato – e perché non avevano utilizzato la Smaterializzazione? Si era chiesto Gideon più volte – verso nord-ovest per una buona mezz’ora, diretti verso Landkirchen, che si era fatta sempre più vicina. Ad un certo punto, però, Gabriel aveva svoltato verso destra, verso nord, e si erano addentrati nuovamente nella campagna, lasciandosi alle spalle quell’ultima parvenza di civiltà.
Quella notte lunga, oscura ed eterna sembrava non finire mai in mezzo a quell’isola piatta e monotona.
“Chiedo scusa, Gabriel, si può sapere perché ci stiamo allontanando da Landkirchen?” chiese Gideon lievemente irritato.
L’Evocatore rallentò il passo, accostandosi al giovane mago.
“Perché non abbiamo nulla da fare, là. Le forze oscure si stanno concentrando lontano dai centri abitati. Questa sembra essere la strada giusta”.
Prewett tacque, e continuò a seguirlo, scalciando via un sasso in maniera distratta, che colpì la strada violentemente, per poi rallentare la propria corsa sull’erba ed infine rotolare nel piccolo canale lì di fianco.
Non sentiva alcun pericolo attorno, sembrava tutto a posto in quei campi estesi ed ordinati, mietuti da pochissimi mesi, in attesa di poter ridare buoni frutti nella bella stagione dalle temperature più clementi.
Non si era reso conto che lui e Gabriel si stavano dirigendo verso un piccolo cumulo di macerie, forse i resti di una fattoria crollata. Eppure, sembrava che nessuno volesse rimuovere quel cumulo di pietre accatastate l’una sopra l’altra. Dei rampicanti crescevano su alcune di esse, coprendole alla vista dei due maghi. L’Evocatore si fermò a qualche metro da esse ed estrasse la bacchetta.
Lumos!” esclamò, facendo in modo che l’area circostante s’illuminasse, per esaminare meglio quel mucchio di macerie. Un piccolo topo scappò via spaventato, passando accanto a Gideon e perdendosi nel buio.
Gabriel tirò fuori il suo ciondolo, e camminò attorno alle pietre, guardandole circospetto. Procedeva lento e attento a non abbassare la guardia. Il fruscio del suo mantello sull’erba era alquanto inquietante, date le circostanze. Teneva la bacchetta magica ben puntata davanti a sé.
Homenum Revelio” mormorò a bassa voce e delle scintille fuoriuscirono dalla bacchetta, schizzando poco lontano da lui . Quell’incantesimo non diede i risultati sperati, perché l’uomo scosse la testa.
“Eppure sono qua, lo sento”.
“Ma l’Homenum Revelio non funziona” constatò Gideon Prewett, avvicinandosi all’Evocatore e tenendo lo sguardo fisso su quelle pietre così innocenti ed innocue.
“Temo ci vorrà altro per capire se si nascondono qua sotto” disse Gabriel, arrotolandosi le maniche del mantello e della veste “Allontanati da qua”.
“Ma, Lord Voldemort e i suoi Mangiamorte si trovano qua sotto?” chiese Gideon.
“Sotto queste rovine si potrebbe trovare di tutto, persino il Mondo degli Inferi. Non mi stupirebbe”.
Con un gesto secco della mano fece segno al giovane mago di allontanarsi da lì, e prontamente Prewett si allontanò, osservando Gabriel allargare le braccia verso il cielo nuvoloso e mormorare parole incomprensibili. Che fosse un’altra delle sue litanie da invocatore? Non le utilizzava sempre, però quando ciò accadeva, era per motivi molto gravi ed avversari decisamente ostici, come in quel caso.
Bodva, infondi la Saggezza in noi e mostraci la strada del Bene!”.
Fu un attimo interminabile: le nubi parvero dissolversi di fronte a quella sfera di fuoco che scendeva lentamente dal cielo, accompagnata da scintille biancastre e gialle. Durante la discesa prese lentamente forma, e pareva un corpo di donna – per quanto fosse etereo e fatto di fiamme - per la parte superiore, mentre dai fianchi in giù le gambe erano possenti e squamate come quelle di un drago. La Creatura Arcana rimase sospesa a mezz’aria, illuminando non solo i due maghi e le rovine, ma buona parte dei campi circostanti. Si guardò attorno, per poi aprire di schianto le due ali che teneva nascoste tra le fiamme e volare in picchiata verso il suolo. Gideon d’istinto si parò gli occhi ed indietreggiò, e rischiò di cadere a terra. Vide che Bodva venne inghiottita dalla terra – o era lei che era semplicemente riuscita a penetrare nel sottosuolo? – e il buio calò nuovamente, denso come non mai.


Lily era felice di avere Severus tutto per sé, in quello sgabuzzino poco distante dal piccolo magazzino del professor Lumacorno. Avevano scelto quel rifugio per poter preparare la Pozione Polisucco indisturbati, dato che potevano avere accesso agli ingredienti dell’insegnante di Pozioni, in caso di necessità.

La Grifondoro aveva voluto evitare l’utilizzo della Stanza delle Necessità, in quanto troppo prevedibile: d’altronde, da un paio d’anni a quella parte, il nuovo custode di Hogwarts, Argus Gazza, aveva preso il posto di Apollyon Pringle, e si era rivelato una vera e propria spina nel fianco per gli studenti, dato che li detestava con tutte le sue forze. I quattro Malandrini non avevano perso occasione per tartassarlo di scherzi e per trovare un buon motivo per poter finire in punizione, stracciando qualsiasi record di punizioni date a degli studenti in pochi mesi. In più, il custode Magonò si avvaleva dell’aiuto di un’odiosa gatta da lui adorata, Mrs. Purr, che sembrava essere perennemente tra i piedi in ogni angolo del castello.
Quello sgabuzzino, dove Lily qualche mese prima aveva sorpreso due ragazzi più grandi ad amoreggiare, era stato chiuso da una grossa catena con un lucchetto pesante. Ma dato che il custode non era in grado di compiere magie, bastò un semplice Alohomora per ovviare al problema.
Inizialmente, muoversi in quello piccolo spazio angusto fu un po’ difficile, ma i due ragazzi si erano organizzati in maniera che i loro movimenti non toccassero il calderone o che non rovesciassero gli ingredienti per la Pozione Polisucco. Se prima Lily si sentiva in imbarazzo per i piccoli contatti con Severus – forse memore di quanto visto proprio in quello sgabuzzino – in seguito ci fece l’abitudine e ridacchiava divertita quando le loro mani s’incontravano mentre afferravano lo stesso ingrediente o i piedi si pestavano inavvertitamente. Le piaceva perché sentiva Sev nuovamente vicino, più vicino al cuore, più vicino alla loro vita più spensierata e felice di timidi ragazzi innamorati.
Non era una ragazza sciocca e frivola, aveva compreso che qualcosa avesse tenuto lontano da lei il suo ragazzo. Qualcosa nell’atteggiamento del Serpeverde era mutato. Si era fatto più sfuggente, sempre più silenzioso, come se la sua mente non fosse mai troppo concentrata sul presente. Oramai, sapeva come trattarlo e come riuscire a metterlo a suo agio, senza che lui dovesse necessariamente spiegare come si sentisse o che cosa gli passasse per la testa.
Eppure, qualcosa non le tornava e temeva che fosse qualcosa di troppo grande da poter gestire. E temeva che quell’ombra che vedeva gli portasse via Severus, costringendola a rincorrerlo, ad inseguirlo affannosamente come nel sogno ricorrente che le infestava il sonno. Temeva di diventare come quella Principessa Biancogiglio, senza sorriso, con una maschera sul viso a nascondere un volto senza espressione. Lei voleva essere la Principessa Nerogiglio che correva a salvare il suo Principe Mezzosangue dalle trappole che la vita gli avrebbe teso. E chiudersi per qualche ora in quello sgabuzzino piccolo, accovacciarsi attorno al calderone ed agli ingredienti, spalla contro spalla, era un modo per richiamarlo ad una vita forse un po’ più spensierata, che comunque non gli avrebbe fatto male.
Severus era un po’ turbato dal fatto che Lucius Malfoy non si fosse più fatto vedere alle cene del Professor Lumacorno e che Mulciber ed Avery fossero troppo, troppo tranquilli. Si era torturato per giorni nell’ultimo mese, nel cercare di capire che piani avessero, ma sembravano anche loro in attesa. Anche con Silente era sempre più irrequieto, ed il Preside lo rassicurava e lo esortava a portare pazienza, certo che Severus sarebbe stato rapido e pronto nel momento in cui i due Serpeverde avrebbero scoperto le carte, soprattutto perché si erano avvicinati molto di più al ragazzo.
Ma in maniera molto graduale ed estremamente piacevole, Severus stava prendendo le giuste distanze dalla sua missione e dai suoi compiti di spia, per riavvicinarsi a Lily. Con il senno di poi, si era reso conto di averla un po’ trascurata e lasciata da parte. D’altronde era un ragazzo di quindici anni, e, come tutti i ragazzi, necessitava di bilanciare costantemente la propria vita. E la sua vita era stata un costante allontanarsi e riavvicinarsi a qualcosa o a qualcuno. Si era avvicinato al mondo magico e si era allontanato da quello Babbano. Si era molto allontanato da suo padre, fino a separarsi definitivamente da lui e più avanti nella sua vita aveva ritrovato sua madre. Si era allontanato da quell’istinto malefico di fare del male alle persone diverse da lui in maniera gratuita e totalmente priva di senso. Si era avvicinato all’idea che si potessero scegliere le tenebre per far sì che la splendida luce di un’altra persona potesse continuare a brillare.
Quel giorno con ogni probabilità avrebbero avuto la conferma che la Pozione Polisucco avrebbe necessitato solamente di qualche giorno in più per la preparazione. Alla ragazza dispiaceva, perché aveva trascorso dei bei pomeriggi con Severus, dove si erano trovati l’uno talmente vicino all’altra da scoppiare a ridere all’improvviso, per quella vicinanza così netta, fatta di piccoli contatti costanti e di qualche bacio più lungo e leggermente più intenso di quelli brevi e frettolosi nei corridoi, per non farsi vedere dagli altri. Si godevano quei momenti, anche a costo di perdere qualche Mosca Criospa o qualche Sanguisuga in fuga dai barattoli. 
Lily si era appena tolta il lungo mantello nero con lo stemma di Grifondoro, e l’aveva appoggiato sullo sgabello polveroso, ed osservava Severus fare altrettanto con il suo indumento con il logo di Serpeverde. Le dava le spalle e lei sentì il bisogno urgente di abbracciarlo, di fargli capire che lei sarebbe stata sempre il suo sostegno. Sentiva la necessità di riportarlo prepotentemente dalla sua parte, nella sua piccola realtà forse meno intricata e complessa rispetto a quella che li attendeva fuori da quello sgabuzzino angusto. Lily si avvicinò a lui, e gli circondò la vita con le braccia, appoggiando la testa sulla sua schiena ampia, ma ancora poco robusta. Qualche ciocca di capelli neri le solleticava la fronte, il naso e gli occhi e le venne da ridere. Si appoggiò al ragazzo ad occhi chiusi, godendosi quel lieve profumo di legno che si avvertiva tra i vestiti del giovane. Severus non si era affatto opposto a quell’abbraccio, e anzi, si sentì felice di quel gesto spontaneo ed affettuoso. Forse perché era ciò di cui avesse veramente bisogno. Di quelle mani appena più calde di tutto il resto, che lo afferravano, lo strappavano dal freddo di una vita accuratamente pianificata e fatta di tante piccole maschere, silenzi e sotterfugi, per riportarlo in quel piccolo mondo fatto solo di due adolescenti e le loro paturnie, i loro amori ed i loro libri di scuola. Aveva bisogno di entrambi i mondi per sentirsi vivo ed in movimento.
Non scappare da me” disse Lily seria, stringendo le dita sui fianchi di Sev, come se volesse andare oltre il maglioncino e il tessuto della camicia, per artigliarsi alla pelle del ragazzo.
Severus sospirò, ed un sorriso apparve tra le sue labbra. Quanto fosse intelligente quella ragazza, lo sapeva solo lei: capiva molto di lui, senza che il diretto interessato dovesse parlarne apertamente. Inoltre, aveva persino quell’incredibile capacità di andare oltre quelle piccole difese erette dal Serpeverde, che gli servivano per proteggere se stesso e lei da quello che veniva progettato nelle tenebre e nel sottosuolo da maghi ancora troppo potenti per loro.
Lily sembrava non volerne sapere di rimanere a guardare, eludendo qualsiasi ostacolo che potesse darle solamente una visione parziale del mondo. Non aveva paura della verità, nella maniera più assoluta. Ma da brava ragazza ostinata e fin troppo determinata, non aveva ancora imparato che la verità cruda e bruciante era in grado di fare molto male. Severus temeva davvero il giorno in cui Lily si fosse ferita nella foga di sapere qualcosa di troppo scottante per essere confessato subito.
Si concentrò su quelle mani piccole che lo stringevano affettuose e liberò le proprie, per poterle appoggiare su quelle della ragazza.
Nel frattempo, scosse la testa per risponderle che, no, non sarebbe scappato da lei, poiché non l’avrebbe mai voluto. I capelli neri del ragazzo le solleticarono la faccia e lei prese a ridere forte e di cuore, assai divertita.
Severus ebbe appena il tempo di godersi quella risata, che Lily fece scivolare via le mani, tirandole indietro e sentì che si era allontanata da lui di qualche passo. Si voltò e la vide già china sulla Pozione Polisucco che ribolliva nel piccolo calderone. Aveva assunto un colore verdastro, più un verde “alga ammuffita” secondo la Grifondoro, che sembrava essere decisamente adatto al professor Lumacorno.
“Sembra essere pronta” constatò Lily, rimestando il mestolo nel liquido non propriamente invitante. Severus si accovacciò accanto a lei, i loro volti erano molto vicini. Sev con la coda dell’occhio poté vedere la felicità negli occhi verdi della ragazza, mista a quella soddisfazione da canaglia impaziente di poter compiere il suo misfatto.
Il Serpeverde allungò una mano per tirare indietro i capelli di Lily, che stavano crescendo parecchio e rischiavano di impiastricciarsi nel preparato. Poi, sempre con la stessa mano, prese in mano il mestolo, per assicurarsi che la pozione fosse realmente pronta. Non aveva un buon odore, anzi, pensò con una smorfia disgustata sul volto.
“Sa di alga marcia da secoli, altro che ammuffita” sibilò inorridito.
“Mi farò coraggio” deglutì Lily, con l’entusiasmo che andava scemando a causa dell’odore poco piacevole dell’intruglio “…E la berrò”.
Sev sobbalzò.
“Non se ne parla nemmeno, la berrò io” disse risoluto. Così, si convinse, in caso di imprevisto, Lily sarebbe stata fuori dai guai.
Lily incrociò le braccia e lo fissò indispettita.
“Scherzi? Il piano è mio, mi prendo le mie responsabilità. Non dire idiozie, la bevo io, buona o cattiva che sia!”.
Il Serpeverde sbuffò. Convincerla a fare alla sua maniera sarebbe stato più difficile che distillare l’Elisir di Lunga Vita. Era un’irremovibile testona. Iniziarono a battibeccare, sembrando più due gattini che soffiavano l’uno contro l’altro, ancora timorosi di prendersi a graffiate.
Ad un certo punto, Lily esasperata gli lanciò una proposta assurda, per cavarsi da quella situazione scomoda.
“D’accordo, dato che hai la testa dura come il muro, ti propongo un duello” fece, con il suo sorrisetto furbo.
Severus si coprì gli occhi con una mano. Era per caso impazzita?
“Merlino, Lily Evans, riesci ad avere un’idea normale o ultimamente ti ha dato di volta il cervello?” esclamò spazientito.
“Mi stai costringendo tu a prendere decisioni drastiche” brontolò la ragazza, estraendo la bacchetta magica dalla tasca del mantello che aveva lasciato appoggiato sullo sgabello. Tirò fuori anche quella di Severus e gliela lanciò. Il ragazzo l’afferrò al volo, perplesso.
“La regola di questo duello è una e semplicissima: al mio tre, tenteremo di disarmarci a vicenda con un Expelliarmus. Chi vince, berrà la pozione. Facile, no?”.
Severus sapeva bene che Lily era molto rapida nello scagliare incantesimi ed era un altro dei suoi punti di forza, oltre al talento naturale nella preparazione delle pozioni. Lui non era veloce quanto lei, era molto più potente e preciso, quello sì. Ma la ragazza generalmente era una scheggia nel disarmare gli altri maghi.
Non aveva altra scelta, dato che l’alternativa era finire a prendersi a male parole senza concludere nulla, con il rischio magari di rovesciare la pozione, se il conflitto fosse degenerato. Sperò di essere rapido abbastanza nel disarmarla.
“Tutto questo è una follia, lo sai?” le chiese il ragazzo, mentre si alzava in piedi, sistemandosi con cura i pantaloni.
“Non sarei una strega, se fossi normale” rispose lei sarcastica.
In quel momento, erano uno di fronte all’altra, con la bacchetta ben puntata verso l’avversario.
“Ti avverto che non ho la minima intenzione di essere gentile in questo duello” la minacciò lui, più per convincersi che sarebbe riuscito a spuntarla, cosa per nulla certa.
“Nemmeno io. Pronto?”.
Severus annuì. Strinse forte la sua bacchetta, sperando che le dita non diventassero scivolose per la tensione.
Uno…”.
Il ragazzo si concentrò sulla bacchetta avversaria, cercando di respirare con regolarità e profondamente. Per i suoi occhi, esisteva solo una mano ed una bacchetta in legno di salice.
Due…”.
Lily non era la sua fidanzata, non era la persona che amava di più in tutto il mondo Babbano o magico che fosse. In quel frangente, era solo un nemico da battere in un duello fatale. Continuò a ripeterselo come un folle, fino a quando le parole non si confusero tra loro, perdendo qualsiasi senso logico.
Tre!” esclamò Lily.
Due scintille dorate uscirono dalla punta delle loro bacchette magiche, con un fischio forte e secco come una frustata. Ma soltanto una perforò l’aria più veloce e scattante, decisa a disarmare l’avversario.

 

* * *

Miei cari, ben ritrovati! <3 Una piccola parentesi dedicata alle note che vi possono aiutare (ma anche no, forse) :D

Schleswig-Holstein e Isola di Fehmarn (e relative cittadine di Burg, Landkirchen ed altre): qua. E’ stupenda come regione <3 Così piatta, così piena di vento e mare. E poi c’è Wacken in quella regione. *fine delirio* Ah, della frase "Meine Ehre heißt Reinheit" ho già messo la traduzione nel testo (bravo Tom che impari il tedesco, così si fa <3). Quelle daghe sappiate che assomigliano molto a quelle d'onore dei soldati tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale. Ho fatto un po' di ricerche nell'antiquariato militare, che peraltro mi piace tanto.

Isola di Anglesey / Inis Mona: qua.

Le cose iniziano a farsi interessanti e complicate, lo so. E vi dico, amo Peter Gab… Ehm, Gabriel Lynch! E l’Evocazione, davvero, è un aspetto della magia (che fa parte delle Arti Arcane) che amo molto. Spero piaccia ed interessi anche voi, perché è fondamentale contro le Creature Oscure. Comunque, saprete ulteriori cose con il tempo e con i capitoli! :D

E Lily e Sev, awwww *se li coccola, schivando il loro duello*. Si accettano scommesse su chi vincerà XD Sono due matti, io li adoro quando fanno così. Sì, lo so, Severus lo faranno santo e Lily dimostra tutta la sua natura di rossa di capelli (NIENTE BATTUTE STRANE XD Cioè se dovete, fatele a distanza, non traumatizzatemi i bambini). Comunque, quella Pozione Polisucco… Puargh. Non la berrei nemmeno sotto tortura XD

E dato che ho visto martedì scorso, per la quinta volta, i Dream Theater in concerto, i Nostri danno il titolo ad un nuovo capitolo! Qua il brano.

Vi ricordo per la milionesima volta la mia pagina Facebook. E vi ricordo ancora una volta il mio contest!

Grazie per tutto questo affetto e seguito, ancora una volta sono decisamente commossa e fortunata ad avervi!! Siete la mia piccola famiglia. Cercherò di aggiornare quando posso, anche perché sto iniziando a scrivere la tesi. Help! Ma non abbandono Irish Rain! Vi chiedo solo un po’ di pazienza!

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Capitolo 30
*** Fear Of The Dark ***


30.

Fear Of The Dark

Even a happy life cannot be without a measure of darkness, and the word happy would lose its meaning if it were not balanced by sadness. It is far better take things as they come along with patience and equanimity”.
Carl Jung

 
L’incantesimo lanciato da Lily fu il più veloce e colpì la bacchetta di Severus, strappandola alla presa ferma del ragazzo. La piccola asta di legno, fatta di betulla laccata e levigata, lunga quindici pollici e dal nucleo di cuore di drago, cadde a terra con un tonfo sordo.
Severus strinse forte i pugni e contrasse il volto in una smorfia stizzita, cercando di contenere il proprio disappunto. D’altronde doveva aspettarselo, Lily nei duelli era incredibilmente veloce e mettersi contro di lei era stata una pessima scelta.
La ragazza sorrise trionfante e raccolse la bacchetta del Serpeverde  e gliela porse, controllando che né il manico, decorato da eleganti incisioni, né il resto dello strumento fossero stati scheggiati o rovinati dalla caduta.
Sev gliela strappò di mano e se la cacciò in tasca irritato, senza proferire parola.
“Suvvia, Sev, cambierò sembianze per soltanto un’ora!” esclamò lei, mentre si chinava verso la Pozione Polisucco, per imbottigliarla in due piccole boccette di vetro. Per sicurezza, ne avevano preparato una doppia razione; così, se le cose si fossero protratte per più di un’ora, avrebbero avuto abbastanza pozione per poter assumere le sembianze dell’insegnante per almeno due ore.
Lily stava imbottigliando l’intruglio con attenzione, evitando di perderne una sola goccia. Sev la osservò e il pensiero che entro poco lei avrebbe assunto le sembianze di Horace Lumacorno, lo fece rabbrividire. Lei, che aveva un viso così particolare, fresco e sbarazzino. Non riusciva ad immaginarsela trasformata in un uomo basso, grassoccio e dalla pelle del viso lievemente cadente.
Ma non era quello il punto dell’intera questione: e se fossero stati scoperti? E se Lumacorno, contrariamente a quanto era solito fare, si fosse aggirato per i corridoi del castello? Il rischio che stavano correndo era decisamente grosso, ma non potevano più tirarsi indietro. A quel punto dovevano solo eseguire fino in fondo il loro piano e sperare che nulla andasse storto.
Lily chiuse con due tappi di sughero i contenitori di vetro, e rimase per terra ad osservarle, abbracciando con le braccia le proprie gambe. Appoggiò il mento sulle ginocchia appuntite. Severus si accorse che stava respirando forte e stava tentando di calmarsi, prendendo lunghi respiri profondi. Si era rabbuiata.
Gli occhi verdi brillavano di una luce forte e decisa, ma era normale che la ragazza si sentisse spaventata e che inciampasse nelle sue piccole paranoie, nonostante la determinazione fosse una delle sue prerogative. Quello era un vero e proprio salto nel vuoto e nel buio, non aveva mai provato a cambiare sembianze, ad infrangere le regole di Hogwarts in maniera seria. C’era quel timore che qualcosa andasse male o che non potesse più tornare ad avere le fattezze della Lily di sempre; o che togliessero punti a Grifondoro, o che potessero espellerla assieme a Severus. In quell’istante, si disse che avrebbe ingollato più volentieri un calderone di brodo di pollo.
Severus si sedette accanto a lei, dimentico della stizza che gli aveva attanagliato lo stomaco poc’anzi. Aveva il compito di incoraggiare la sua ragazza a non tirarsi indietro. La prese per mano, ed allungò l’altra mano verso la boccetta di vetro, afferrandola.
Lily incontrò lo sguardo fermo del ragazzo - che era certo che i due non avessero sbagliato nulla nella preparazione della pozione - ed abbozzò un sorriso incerto.
“Non sono più così sicura di berla…” ammise, riluttante. Le sue iridi verdi si stavano caricando di dubbi, di incertezze e Severus la capì. Lily stava cercando quel sostegno che non avrebbe mai trovato in altre persone, se non in lui.
Il ragazzo posò la bottiglietta a terra ed appoggiò entrambe le mani sulle spalle di Lily ed avvicinò il proprio viso al quello di lei.
Sev appoggiò le labbra su quelle di Lily, trovandole tese e nervose. Le mani della ragazza erano due piccoli pugni duri che toccavano il petto di Sev. Lui generalmente non insisteva, ma si sentiva in dovere di sciogliere quella tensione, e continuò ad accarezzare quelle labbra che amava, specialmente quando riusciva a distenderle ed assaporarle in tutta la loro morbidezza. Il respiro della giovane si fece più rilassato e riuscì a distendere i palmi delle mani, facendoli scivolare dietro il collo del ragazzo. Le sue dita s’intrecciarono ai capelli neri di lui, giocandoci senza cattiveria, ma nella sua consueta maniera affettuosa.
Quando Lily iniziava a tirargli lentamente il labbro inferiore, significava che si era rilassata del tutto.
Sev si staccò da lei, guardandola negli occhi, scintillanti e colmi di gratitudine.
“La berrai e farai tutto quello che ci sarà da fare. Puoi farcela” le disse rassicurante, accarezzandole con una mano la guancia piena di lentiggini.
La ragazza prese la boccetta di vetro, evitando accuratamente di guardare il liquido verdastro. Il pop del tappo che si sfilava dal collo della bottiglietta fu abbastanza secco.
Severus si batté la fronte con una mano.
“Lily! Aspetta! Ho trovato dei vestiti di Lumacorno. A volte il professore chiede a qualcuno di noi Serpeverde di andargli a prendere i vestiti in lavanderia…”. Il ragazzo aveva con sé una sacca di tela e difatti Lily non aveva capito il motivo per il quale se la portasse in giro. Senza ulteriori spiegazioni, Sev tirò fuori una camicia, un gilet, un paio di pantaloni ed una giacca appartenenti all’insegnante di Pozioni.
Il giovane mago osservò Lily portarsi alle labbra la boccetta di vetro, ed ingoiò un primo abbondante sorso di Pozione Polisucco. Fece una smorfia disgustata e sollevò la bottiglietta ancora più decisa, bevendo ancor più velocemente, per respingere l’impulso di fermarsi e rigurgitare l’intruglio dall’odore sgradevole, che era persino peggio dell’alga ammuffita da secoli.
La ragazza, dalle guance violentemente arrossate, si portò una mano alla gola, facendo cadere a terra il contenitore di vetro, che si ruppe in mille pezzi.
Lily avvertì le proprie membra contrarsi e dilatarsi rapidamente e le parve di sentire dolore ovunque, in qualsiasi parte del proprio corpo, che sembrava in procinto di sciogliersi, di smembrarsi. Stava semplicemente cambiando forma, dolorosamente e con fatica.
Il corpo della giovane si stava facendo più pesante - Lily pensò che muoversi nel corpo tarchiato del vecchio mago sarebbe stata un’impresa titanica - e decisamente più sgraziato e largo. Il dolore e l’acuta nausea che le attanagliava lo stomaco scemò, lasciando spazio ad un forte senso di smarrimento. Provò a parlare, credendo di sentire la propria voce squillante vibrare tra le corde vocali: invece, sentì il tono di voce di Lumacorno, un po’ nasale e talvolta roco. Per i primi minuti, ne fu parecchio sorpresa, ma era solo questione d’abitudine. Provò a fare qualche passo, ma il ragazzo davanti a sé, un po’ imbarazzato, le aveva teso i vestiti, evitando di guardarla per qualche momento.
“I vestiti, Lil… Voglio dire, professore”.
Non appena Lily iniziò a cambiarsi per mettersi il completo del vecchio mago, Severus si girò dall’altra parte, aspettando che si fosse vestita del tutto.
“Severus” disse la ragazza e il Serpeverde rifletté che Lily – ovviamente quando era Lily, in tutto e per tutto, a partire dai capelli, agli occhi verdi, al corpo minuto ed alla voce allegra – non l’aveva mai chiamato con il nome per esteso, negli ultimi anni. Gli sembrava tutto così strano e surreale: non sapeva se rivolgersi in maniera rispettosa, o chiamarla per nome e trattarla come la ragazza di sempre, pur sotto mentite spoglie.
Lei si schiarì la voce e si sistemò, cercando di assomigliare il più possibile a Lumacorno, sia nella postura che nei gesti.
“Cortesemente, Severus, mi accompagneresti in biblioteca?” fece decisa lei. Il giovane mago non sapeva se ridere o sprofondare nell’imbarazzo più totale, o semplicemente, recitare la parte scomoda di uno dei favoriti di Lumacorno. Optò per la terza soluzione, dato che era quella che conosceva meglio, essendo realmente uno degli studenti preferiti del vecchio.
Sev annuì ed aprì la porta dello sgabuzzino. Lily uscì, con passo ancora un po’ incerto e un po’ troppo veloce per l’anziano insegnante, ma si trattava puramente di una sottigliezza.
“Abbiamo poco meno di un’ora” disse Lily, controllando la piccola clessidra che si era portata dietro, mettendola in una delle taschine della giacca.
“Sbrighiamoci” aggiunse Severus, dato che non vedeva l’ora di rivedere Lily con le sue fattezze.


Il tragitto tra lo sgabuzzino – il cui lucchetto della porta era stato accuratamente chiuso e protetto a prova di incantesimo di sfondamento – e la biblioteca non diede particolari problemi ai due. Accanto a loro passarono un paio di studenti Corvonero, che salutarono educatamente quello che per loro era il vero insegnante di Pozioni. D’altronde, la maggior parte dei ragazzi approfittava dei quei pomeriggi insolitamente più luminosi del normale per stare fuori a studiare o a bighellonare o a giocare pigramente a Quidditch, senza troppe velleità agonistiche, a differenza delle squadre che si allenavano con molto impegno e dedizione quasi tutti i giorni. Lily in un certo senso era grata al capitano della squadra di Grifondoro, perché in questo modo non solo teneva impegnato James Potter, il Cacciatore della squadra, ma anche i restanti Malandrini, che rimanevano a guardarli mentre si libravano in cielo, tentando di sabotare i Bolidi con qualche incantesimo lanciato a tradimento.
Entrarono nella vasta libreria di Hogwarts e vennero accolti dalla poco amichevole Madame Pince, la bibliotecaria. Magra com’era, era solita avvolgersi in vesti lunghe e nere, sembrando un vero e proprio avvoltoio – e non che il naso sgraziato ed adunco aiutasse particolarmente a renderla più simpatica o gradevole.
Lily, nei panni dell’anziano professore, cercò di essere il più educata e gentile possibile. Si mise davanti al banco dove Madame Pince sedeva tutta impettita, sfogliando con cura un libro di notevoli dimensioni. Avvertendo l’arrivo del professore, alzò lo sguardo e si tolse gli occhialetti da lettura che aveva ben inforcati sul naso, appoggiandoli accanto al volume.
“Buongiorno, professor Lumacorno” salutò asciutta la donna.
Il vecchio mago tirò fuori il suo sorriso cordiale che era solito sfoggiare con i colleghi ad Hogwarts.
“Buongiorno, cara Irma” disse affabile “Avrei bisogno di prendere in prestito un libro”.
La donna lo guardò, con quello solito sguardo pieno di preoccupazione all’idea che un libro sarebbe finito presto in mani non certo amorevoli e premurose come le sue.
Si alzò in piedi, lisciandosi la lunga gonna scura, come per scacciare via la tensione dovuta a quella richiesta. Di solito, quando i professori si recavano in biblioteca, erano soliti richiedere libri che erano riposti sugli scaffali più alti, oppure volumi nascosti in una sezione che non veniva più visitata da qualche decennio. Quelli erano decisamente momenti di tensione, all’interno del suo piccolo regno fatto di migliaia di tomi preziosissimi per l’intera comunità magica.
“Ha bisogno di un libro riguardante la preparazione di pozioni?” azzardò lei, in cuor suo speranzosa che la risposta dell’insegnante potesse essere affermativa, dato che sarebbe stato piuttosto facile esaudire quella richiesta.
Tuttavia, la sua preghiera non venne ascoltata, e per l’ennesima volta si trovò di fronte all’esigenza bizzarra di un professore di Hogwarts.
“Non questa volta” rispose Lumacorno – Lily si stava divertendo moltissimo nel recitare nei panni del proprio professore. Contrariamente a quello che si potesse aspettare, non le risultava troppo difficile imitare le sue movenze, i suoi gesti, il modo di parlare affabile e ben educato – “Avrei bisogno di un libro proveniente dalla… - tossicchiò – Sezione Proibita”.
Madame Pince scoccò un’occhiata piuttosto fredda e tagliente al professore. Poteva accettare tutto, ma che fosse un libro introvabile e per di più nella Sezione Proibita… Si augurò che fosse un libro degno di appartenere a quella parte inaccessibile della biblioteca. La strega prese un grosso librone impolverato da sotto il tavolo e lo appoggiò sulla superficie legnosa e graffiata; poi, impugnò la bacchetta, pronta a sfogliare magicamente le pagine di quell’enorme tomo.
“Mi dia il titolo, così le so dire subito dove lo può trovare”.
Lily per qualche breve istante rimase in silenzio, ripensando al nome del libro ed al suo autore. La sua memoria non era così brillante nel memorizzare scrittori e titoli di opere. Eppure, se l’era ripetuto mentalmente fino ad un attimo prima, in maniera ossessiva. E in quel momento, non riusciva a ricordarsi se quello scrittore si chiamasse Maurice, Dorian, o Fabian. Severus capì che la ragazza era in difficoltà sul nome dell’autore, quindi intervenne per toglierla dall’impiccio. Era rimasto in silenzio ed in disparte per tutto il tempo, come era giusto che un alunno si comportasse nei confronti di un proprio professore all’opera: ma gli alunni migliori sapevano parlare solo quando era strettamente necessario.
“Mi scusi professore, credo di ricordare che si tratti di Asnavor” suggerì discreto e con gentilezza.
Il volto di Lumacorno s’illuminò – Lily provò gratitudine in quel salvataggio in extremis da parte del ragazzo.
Fatti e Misfatti delle Confraternite Magiche, di Morinn Asnavor! Ma certo, come potevo dimenticarlo?” esclamò il vecchio professore – forse la ragazza ci aveva messo più entusiasmo rispetto al vero Horace Lumacorno, ma poco importava.
Madama Pince lo fissò un po’ perplessa, chiedendosi se il vecchio professore di Pozioni stesse perdendo lucidità con il passare del tempo.
“Mi scusi, mia cara Irma, ma, sa, quando si hanno parecchi pensieri per la testa… Lei capisce, vero?”. Severus si avvicinò al proprio insegnante e gli diede un piccolo calcio sulla gamba sinistra. Fu un movimento impercettibile e serviva a Lily per capire quando si sarebbe dovuta ricomporre, nel caso in cui avesse esagerato. Per di più, non avevano molto tempo a disposizione.
La strega inarcò un sopracciglio, sempre più meravigliata, ma fece in modo di non farlo notare troppo.
“Naturalmente” rispose lei con un tono di voce gelido, per poi dare un colpetto di bacchetta sulla copertina in cuoio del grosso libro, che si aprì di scatto, facendo rumore e sollevando una discreta quantità di polvere.
Morinn Asnavor!” esclamò la bibliotecaria, puntando nuovamente la bacchetta sulle pagine del volume, ed esse iniziarono a scorrere rapidamente, ad una velocità vertiginosa, per poi fermarsi di colpo. La donna appoggiò il proprio strumento sul tavolo, si rimise nuovamente gli occhiali da lettura e con la punta del dito controllò minuziosamente ogni riga della pagina.
Dopo qualche attimo di silenzio, Madame Pince fece cenno al professore di seguirla. Solitamente, lasciava che gli insegnanti si avventurassero da soli nella Sezione Proibita. Tuttavia, dato che il libro non era stato consultato negli ultimi due secoli e mezzo, la sua assistenza sarebbe stata necessaria.
“Venga con me” disse “Potrebbe volerci un po’ prima di trovarlo”.
Lily deglutì, spaventata. Quanto ci avrebbero potuto mettere? Il tempo stringeva inesorabile.
“Quanto potrebbe volerci?” chiese, nel modo più calmo e gentile possibile.
“Da un attimo, a qualche ora, professore. Nessuno, negli ultimi duecentocinquant’anni ha consultato quel volume. Dobbiamo solo sperare di trovarlo subito” spiegò la bibliotecaria.
Già, speriamo, per Merlino. Altrimenti potremmo seriamente finire in un mare di guai” pensò preoccupata, lanciando un’ultima occhiata disperata a Sev.
Severus cercò di apparire il più calmo possibile, dato che sotto le spoglie di quell’uomo grassoccio si nascondeva Lily: ma di rado in vita sua si era sentito così agitato, con il cuore in gola e sempre più affannato con il passare dei minuti. Se avesse potuto, avrebbe fermato il tempo con un colpo di bacchetta. Se ne fosse stato in grado, avrebbe setacciato personalmente ogni scaffale della Sezione Proibita, e avrebbe guardato ogni singolo libro con i suoi occhi, fino a farli bruciare dal dolore e dallo sforzo. Ma a lui non rimaneva altro che attendere nervosamente fuori da lì.


Severus stava camminando su e giù per la biblioteca sempre più velocemente e con crescente preoccupazione: mancavano solo quindici minuti alla fine dell’effetto della Pozione Polisucco su Lily.
Ancora non era tornata e tutto quello che aveva sentito provenire dalla Sezione Proibita erano libri spostati di qua e di là, oppure volumi che venivano appoggiati a terra, naturalmente con grande cura ed attenzione, per evitare che Madama Pince potesse avere una sincope per via di un libro maltrattato.
Il professor Lumacorno tornò alla luce del giorno, abbandonando quell’ala buia della biblioteca. Aveva l’aria sfinita, ma gli occhi sembravano raggianti. Tra le mani reggeva l’agognato libro: era di grosse dimensioni, con una copertina blu poco rovinata; il titolo del volume era in oro, scritto in un carattere molto semplice e leggibile anche a distanza.
“L’abbiamo trovato” disse a Severus sollevato, mostrandogli il proprio trofeo soddisfatto “Ora possiamo andare. Ci scusi, cara Irma, ma siamo piuttosto di fretta”.
Madama Pince non diede molta retta ai due, dato che era già china sul grosso registro ad appuntare il prestito appena concesso. Borbottava e brontolava per tutti i libri che aveva dovuto spostare da uno scaffale all’altro, per tirare fuori quello ricercato dal professore: come al solito si trovava in alto, dietro una pila di libri dedicati alla Storia Proibita della Magia.
Salutò l’insegnante ed il giovane studente Serpeverde – anche se a Lily ed a Severus parve più un ringhio, ed i due lasciarono velocemente la biblioteca, per tornare verso lo sgabuzzino.
Lily si era sentita di colpo strana. Tutt’ad un tratto aveva sentito la fatica di muoversi in un corpo non suo; per di più, mentre si trovava nella Sezione Proibita, era entrata in uno strano stato d’agitazione, per via della poca luce che vi arrivava e per il poco tempo che aveva a disposizione per trovare il libro. Si era sentita due volte prigioniera, prima nel corpo del professore e poi di quell’ala della libreria riservata a pochissime persone. Con gli occhi di Lumacorno, tutto le sembrava più buio del normale. Che fosse dovuto alla vista non perfetta dell’anziano mago? Alla fobia del buio in quei luoghi un po’ troppo stretti ed angusti? All’agitazione per l’approssimarsi della fine dell’effetto della Pozione Polisucco?
Trovare quel libro in poco tempo era stato un vero e proprio colpo di fortuna.
Severus si accorse del malessere della ragazza.
“Stai bene?” gli chiese lui accigliato.
Lily scosse la testa. Se fosse stata lei, in condizioni normali, Severus l’avrebbe abbracciata e rassicurata; ma ora dovevano semplicemente affrettarsi a raggiungere lo sgabuzzino. Il percorso non sembrava presentare ostacoli, proprio come all’andata, ma ad un certo punto, una voce sgradevole li fermò.
“Professor Lumacorno” lo chiamò Argus Gazza, con Mrs. Purr che gli zampettava attorno “Giusto lei cercavo”.
Severus guardò preoccupato il proprio insegnante, per poi osservare il Magonò avvicinarsi a loro due, ed imprecò a denti stretti. Doveva portare Lily via di lì al più presto, non poteva permettersi di perdere tempo con il custode.
“Mi dica pure, Gazza” disse stancamente Lily, con un sorriso forzato, con gran stupore da parte del giovane Serpeverde. La ragazza era convinta che solo così, concedendogli pochi istanti per ascoltarlo, sarebbero potuti andare via senza problemi.
“C’è un gufo che continuava a volare da queste parti, nel tentativo di trovare il suo studio per recapitarle una lettera. Siccome era troppo irritante e fastidioso, ho fatto in modo che andasse nella voliera”.
“Certo, capisco, lo andrò a…” cercò di rispondere a Gazza, ma venne bruscamente interrotto dal ragazzo.
“Professore, torni pure nel suo studio. Dato che non sta bene, gliel’andrò a prendere personalmente”. Lily fu grata per quell’intervento tempestivo da parte del ragazzo.
Gazza guardò dubbioso Severus, ma si limitò a scrollare le spalle.
“Basta che quel gufo non si faccia più sorprendere a tentare di sfondare i vetri per entrare qua dentro” borbottò “Altrimenti sarà mia cura farlo arrosto”. Si allontanò rapido, ridacchiando come se trovasse molto allettante quella prospettiva.
“Grazie, Severus” disse grata Lily, che cominciava ad avvertire qualche sinistro cambiamento, come se si stesse progressivamente rimpicciolendo.
Sev la prese per un braccio e la invitò a continuare a camminare. Gli occhi stavano tornando ad essere verdi.
“Torna allo sgabuzzino! Ci vediamo là!” le sibilò. Lily si assicurò che non ci fosse nessuno e prese a camminare più veloce che poté.
Scese le scale e poté sentire che quegli abiti le stavano diventando larghi, un vero e proprio impaccio nella corsa disperata verso il proprio rifugio. Le mani afferrarono gli indumenti sempre più cadenti e strinse forte i denti, così forte da temere di spaccarli, dato che era sul punto di provare di nuovo quella spiacevole sensazione di nausea acuta.
Aveva una paura tremenda, di rimanere bloccata nel buio, in quella irritante situazione di incertezza, sospesa nel mutamento da un corpo all’altro. Sentiva che i capelli si stavano allungando, persino il cuoio capelluto le doleva come se tanti piccoli spilli lo stessero perforando.
Il corpo stava tornando ad essere minuto, femminile, sgraziato e bello come solo quello di una quindicenne può essere – o almeno, così sperava disperatamente la Grifondoro, che vedeva tutto sempre più appannato ed indistinto. Con la mano destra tastava il muro, cercando affannosamente la porta di legno e quando la trovò si accorse che la mano era praticamente ringiovanita del tutto, tornando ad essere quella piccola di Lily. Un ciuffetto di capelli rossi le cadeva sulla fronte, allungandosi sempre più.
Estrasse dalla tasca interna della giacca la bacchetta magica ed ebbe la forza di dire “Alohomora!”, prima di buttarsi dentro lo sgabuzzino.
Chiuse la porta, noncurante che sbattesse fragorosamente e si buttò a terra, senza fiato,  sbattendo il libro sul pavimento, e finì per sollevare piccole nuvole di polvere.
Si augurò che tutto potesse finire il prima possibile, che di quell’uomo corpulento e massiccio non rimanesse più traccia sul suo corpo di ragazzina.
Non sapeva che la Pozione Polisucco potesse fare così male, nessuno glielo aveva mai detto, né lei aveva cercato qualche opinione al riguardo, per non destare sospetti. Era come se una parte di lei si sentisse davvero a disagio all’idea del cambiamento, seppur temporaneo; era come se, durante l’ora in cui aveva assunto le sembianze del professor Lumacorno, qualcosa misterioso di sé avesse lottato contro quella mutazione, quella trasformazione che l’avrebbe portata ad essere un’altra persona, di cui conosceva solamente il modo di porsi con gli studenti, ma di cui non sapeva nient’altro.
Era saltata nel buio, era stata avventata. E quella parte di lei – quella stessa parte ignota che l’aveva spinta ad indagare sulle sue origini, che l’aveva spinta a portare sempre con sé quel ciondolo - la stava ammonendo, la stava avvertendo di non fare mai più una follia simile.
La nausea se ne andò, così come era arrivata e il respiro si fece più calmo e regolare.
Aveva chiuso gli occhi e si era portata le braccia sopra la testa, come per proteggersi da un pericolo totalmente immaginario. Le abbassò e riaprì gli occhi.
Tutto era più chiaro, ogni oggetto aveva riacquistato la sua tonalità naturale, non c’era più quello strano velo davanti ai suoi occhi a rendere tutto più scuro e spento.
Si tirò su a sedere e si guardò con un certo sollievo: era tornata ad essere lei, la Lily di sempre. Nulla sembrava essere fuori posto. Rinfrancata, la ragazza si tolse di dosso quei vestiti, per recuperare i propri, che erano stati buttati alla rinfusa per la stanza. Una volta rivestita, diede una sistemata a quel piccolo rifugio, e riparò la boccetta rotta in precedenza con un colpo di bacchetta. Era così bello potersi muovere nuovamente nel suo corpo, grazioso ed imperfetto. Ma era nuovamente lei, completa, tutta d’un pezzo.
Raccolse il libro e sapeva che tra le sue pagine vi avrebbe trovato la soluzione ai suoi dubbi.
Lasciò quello stanzino angusto e si diresse verso la Sala Grande. Non era ancora ora di cena, ma si disse che poteva sempre aspettare Severus lì, dopotutto era uno dei loro luoghi di ritrovo. Nel frattempo, avrebbe potuto iniziare a dare una rapida sfogliata al libro di Asnavor.
I corridoi di Hogwarts si stavano riempiendo nuovamente di studenti, dato che erano passate le ore in cui si poteva stare fuori a godersi il pomeriggio. C’era chi usciva dalle aule studio ed andava a riporre nelle rispettive Sale Comuni i libri, c’erano i giocatori di Quidditch che andavano a mettere via i bauli con le palle da gioco, prima di darsi una sistemata prima di cena.
Lily si sedette su dei gradini poco distante dalla grande porta della Sala Grande – nello stesso posto dove qualche mese prima lei e Severus si erano rifugiati dopo la rissa con Potter e Lupin – ed appoggiò il libro sulle proprie ginocchia.
Sospirò, guardando la luce del sole calante filtrare dalle vetrate. Quel vago stato di disagio non accennava a passare.
Il momento in cui calava la sera definitivamente era incredibilmente luminoso, nello stesso modo in cui l’attimo prima del sorgere del sole era il più buio in assoluto. Ma tutta quell’oscurità la inquietava, ultimamente, come se avesse il timore che potesse inghiottirla una volta per tutte.
Forse, le era tornata un’infantile paura del buio, poiché non aveva risposte chiare e precise circa alcune domande importanti, ma quando mai aveva avuto l’opportunità di avere chiarezza, nelle ultime settimane? Nella sua vita, non c’era sempre spazio per la luce pura ed immacolata: a dire il vero, vi era stata molta più oscurità di quanto lei avesse mai potuto ammettere. E se per tanti Severus rappresentava l’oscurità, per lei era la luce. Una piacevole e delicata luminosità che le aveva toccato il cuore e l’aveva fatta felice.
Si chiese come mai Severus avesse così fretta di andare a recuperare quel messaggio per il Professor Lumacorno. Certo, lei prima non stava bene, non vedeva l’ora di tornare ad essere lei, però qualcosa le rimaneva oscuro ed inspiegabile, sfuggente.
Si disse che magari era tutta colpa della Pozione Polisucco a renderla così instabile ed ansiosa.
Per non pensarci più, iniziò a sfogliare con interesse il libro, e sembrava davvero molto intrigante, per quanto non avesse ancora trovato ciò che le interessava davvero, quando una voce a lei familiare la distolse dal paragrafo che descriveva l’avvelenamento di un re della Contea di Limerick da parte della Confraternita degli Alchimisti.
“Stai bene, Lily? Sei piuttosto pallida” osservò una voce femminile.

La Grifondoro alzò di scatto la testa, e vide quella ragazza, o meglio, il suo profilo slanciato, stagliarsi tra i raggi del sole calante. Lily aguzzò la vista e si accorse che era Miranda Lynch.
“Miranda!” esclamò, chiudendo il libro con un gesto repentino “No, sto… Sono un po’ stanca, a dire il vero”.

La Corvonero sorrise cordiale, anche se i suoi occhi sembravano comunque sospettosi.
“Ci sono passata anche io, al quinto anno. I professori sembravano non darci più pace con i G.U.F.O…”.
Era un trucco per far ammettere a Lily che, no, gli esami del quinto anno erano in realtà l’ultimo dei suoi pensieri e che quel dialogo misterioso sull’Hogwarts Express aveva avuto su di lei lo stesso effetto di uno sciame d’api che ronzavano attorno ad un alveare? Non era una ragazzina sciocca e ancora si sentiva un po’ sospettosa nei confronti della misteriosa Miranda. Pertanto, la Grifondoro si limitò a qualche frase vaga e di circostanza. Inoltre, si guardò bene dal dirle qualcosa riguardante il libro, per quanto fosse certa che la Corvonero non avrebbe potuto fare a meno di notarlo.
Miranda lo stava proprio osservando, compiaciuta che Lily avesse dato retta alla propria curiosità, e fece appena in tempo ad avvicinarsi un po’ di più per leggere il titolo, che venne chiamata dal Professor Vitious, l’insegnante di Incantesimi e Direttore di Corvonero.
“Signorina Evans, mi spiace interrompere questa conversazione con la signorina Lynch, ma la mia studentessa è attesa con urgenza dal Preside” spiegò costernato il mago dalla statura molto bassa.
“Ci vediamo, Lily” le disse con un sorrisetto Miranda “Sono sicura che quel libro lo troverai molto interessante”. La Grifondoro  non si scompose di fronte ad una frase simile, in un certo senso se l’aspettava. Seguì con lo sguardo i due, e vide che la Corvonero si era chinata verso il professor Vitious e che aveva cambiato di colpo espressione, diventando molto più seria ed accigliata. Il mago e la giovane, poi, avevano accelerato il passo, scomparendo nel corridoio che conduceva all’ufficio di Silente.
Lily si chiese se avrebbe mai scoperto qualcosa di più su Miranda. Perché, alla fine, ammesso che fosse vero quello che la giovane Corvonero le aveva detto in treno, scoprire qualcosa su di lei poteva dire scoprire qualcosa del passato - seppur remoto - della famiglia di Lily. Probabilmente, avrebbe dovuto affrontarla in maniera più diretta, senza indugi e senza barriere.
Nel frattempo, Lily non si accorse di aver fatto scorrere le pagine di quel volume fino al capitolo dedicato alla Confraternita degli Evocatori.

Severus era corso alla Guferia, situata nella Torre Ovest del castello. Non aveva avuto il tempo di godersi quella luce arancione pallido tipica di quei tramonti autunnali. Non si era potuto fermare a vedere quanto fossero belli i pendii scozzesi avvolti da quei raggi d’alabastro, che parevano fermare Hogwarts e l’ambiente circostante in una dimensione remota e d’altri tempi.
Si era sentito particolarmente ansioso di andare a recuperare quella lettera per il professor Lumacorno, come se qualcosa dentro di lui gli avesse detto di farlo e basta, perché vi avrebbe trovato qualcosa di molto interessante ed utile. Dall’altro lato, era convinto che Lily fosse arrivata sana e salva al loro piccolo rifugio ed era sicuro che la ragazza stesse bene e lo stesse aspettando da qualche parte.
Correva, saliva le scale intimorito dall’assurda idea che qualcun altro potesse soffiargli la missiva. Non si accorgeva che i passi si facevano via via più rumorosi, e che riecheggiavano e vibravano contro la pietra della Torre Ovest, forse spaventando i gufi all’interno, o forse li faceva bubolare più del solito.
Sev non amava molto quei volatili, pur essendo molto affezionato al suo Thingol, che era un gufetto estremamente intelligente, vivace, e pure un po’ snob, dato che non apprezzava molto stare in mezzo a tutti i suoi simili. Se ne stava sempre in disparte e sembrava guardare tutti gli altri volatili con aria altezzosa.
Il Serpeverde lo vide appollaiato sulla destra, non appena mise piede nella Guferia. Scosse la testa, riflettendo un po’ divertito che tale gufo, tale padrone, sebbene il detto popolare non fosse proprio quello.
Si guardò attorno, non avendo la più pallida idea di quale gufo, civetta, o barbagianni potesse avere la pergamena destinata al vecchio mago. L’arrivo inaspettato ed anche un po’ brusco del ragazzo aveva agitato i volatili e c’era chi aveva aperto le ali decisamente spaventato ed irritato da quella presenza, e c’era chi non si era minimamente curato del giovane mago. Altri invece erano volati fuori, per la loro caccia serale nei dintorni del castello.
Praticamente al centro della Guferia, vide appoggiato ad un trespolo un gufo enorme rispetto agli altri. Si accorse che lo stava osservando, con le iridi arancioni ben vigili ed attente. Lo stava aspettando.
Severus vide il suo primo gufo reale in vita sua. Non erano affatto diffusi in Gran Bretagna, anzi, aveva letto che non vivevano proprio sulle isole britanniche, e che erano più tipici dell’Europa continentale e buona parte di quella mediterranea. Quindi, non poteva che arrivare da uno di quei paesi. L’animale aveva una piccola pergamena agganciata alla zampa destra.
Il ragazzo gli si avvicinò con un certo timore, dato che era davvero molto grosso, e sembrava particolarmente aggressivo. Non aveva nemmeno una piccola leccornia da dargli, per ricompensarlo di quel volo lungo ed estenuante, ma aveva potuto constatare come quel volatile si fosse già accaparrato le prede di altri gufi, intimoriti da quella presenza ingombrante.
Alla fine, il volatile non si rivelò così aggressivo e si lasciò prendere tranquillamente la lettera dalla zampa. Sev indietreggiò senza interrompere quel contatto visivo con il grosso gufo, come se avesse paura di venire aggredito. Però, una volta uscito dalla Guferia, le sue mani si avventarono su quella pergamena, e bando a qualsiasi educazione o compostezza, l’aprì, dato che non era sigillata, ma semplicemente chiusa con un laccetto.
Con un certo spavento, riconobbe quella bella scrittura elegante e familiare.
 

Gentile Professor Lumacorno,

mi rincresce molto di non essermi più fatto vivo, ma mi creda, il lavoro nell’ultimo mese mi ha portato alquanto lontano da qui. Entro i prossimi due, tre giorni, sarò di ritorno in Gran Bretagna e ovviamente parteciperò con grande gioia alla sua cena in compagnia dei suoi migliori studenti e sarò ben felice di dare loro qualche consiglio circa il futuro. 

Cordialmente,

Lucius Malfoy
 

Il ragazzo aveva completamente trattenuto il respiro mentre era impegnato nella lettura ed ebbe come l’impressione che qualcosa nel suo petto fosse in procinto di esplodere, dopo aver riconosciuto il mittente di quella lettera.
Quella non era una bella notizia, era una notizia disastrosa. Certo, avrebbe potuto vedere di persona il mentore di Mulciber ed Avery, avrebbe potuto finalmente associargli delle fattezze, però si rese conto che Lily avrebbe visto uno dei peggiori tirapiedi delle forze oscure. E questo non sarebbe dovuto accadere.
E adesso, cosa avrebbe fatto per salvare la situazione? Cosa avrebbe potuto fare per impedire a Malfoy di venire a cena dal professor Lumacorno? Nulla, assolutamente nulla. E men che meno avrebbe obbligato Lily a starsene chiusa nella sua Sala Comune a giocare a Gobbiglie, quella sera. Non era nella sua natura controllare la ragazza o impedirle di fare qualcosa. Ma nemmeno poteva dirle chi fosse veramente quell’uomo.
Severus si appoggiò esausto sul muro della torre, ricacciandosi in tasca la pergamena per Lumacorno. Il trascurabile dettaglio che gliel’avrebbe dovuta consegnare entro poco passò totalmente in secondo piano.
Questo era un guaio serio, molto serio, e ciò che aveva dovuto affrontare prima non era lontanamente paragonabile a quello che avrebbe dovuto fronteggiare nei giorni a seguire.
Delle nubi infuocate nascosero il sole oramai tramontato del tutto, ma la corona di raggi solari attraversava ancora buona parte del cielo chiaro e dalle tinte pastello, divenendo sempre più deboli, man mano che l’azzurro scuro guadagnava terreno, cacciando oltre l’orizzonte quelle tinte calde e rassicuranti.
Severus aveva come l’impressione che, da lì in avanti, ogni sera, dovunque lui si sarebbe trovato, che fosse un corridoio buio, un anfratto della Sala Comune non raggiunto dalle fiamme, avrebbe sentito quella presenza spiacevole ed ossessiva di quel Mangiamorte di cui non conosceva ancora il volto, ma ne conosceva già l’immensa perfidia.
La luce stava cambiando, stava sparendo del tutto, ed iniziava già a sentirsi ansioso.
Quello che ancora ignorava era che Lily stesse provando esattamente lo stesso preoccupante stato d’animo, seppur a distanza. Non era importante che fossero inquieti per ragioni differenti, il buio li copriva nello stesso manto spesso e soffocante.


When the light begins to change
I sometimes feel a little strange
A little anxious when it's dark.

Fear of the dark, fear of the dark,
I have constant fear that something's always near
Fear of the dark, fear of the dark,
I have a phobia that someone's always there…


I have a phobia that someone’s always there…

 

 

Lo so, non mi sarei mai aspettata un aggiornamento così rapido – e così cicciotto e corposo, non sono poche pagine. Ma meglio così, dato che la tesi sta iniziando lentamente a decollare e così il secondo semestre d’università, pieno come non mai. Dunque, è un capitolo incentrato molto su Severus e Lily, non come opposto Luna – Sole, Ombra – Luce, ma come due entità in simbiosi, che viaggiano assieme tra ombra e luce, sebbene le loro destinazioni siano ben differenti e comunque di differenti dimensioni. Una sorta di fiamma a due lingue che viaggia dal bianco al nero, al nero al bianco.

Avete presente i saliscendi? A voi non lasciano uno strano senso di disagio di fondo? Come se lo stomaco fosse lievemente sottosopra, ma continua a darvi uno strano senso di fastidio e vi mette di malumore… Ecco. Lily ha una strana reazione alla Pozione Polisucco che le lascia quell’orrendo stato d’ansia, e quello che sta succedendo in quel momento specifico è un po’ troppo per essere sopportato. Sev ha fatto bene a dare un’occhiata a quella pergamena, solo che ora si trova nei cavoli amari… E la nostra cara Miranda nel prossimo capitolo avrà una parte piuttosto di rilievo, e sapremo ancora un pochetto di più su di lei. Ah, vi dico solo: Silente vede e provvede e supervisiona sempre tuuuuuutto. Lui non ha paura delle tenebre, le tenebre farebbero meglio a temere lui. O gli Evocatori. E comunque, nel prossimo capitolo Voldemort sembrerà essersi spaventato non poco.

Io come sempre vi ringrazio enormemente, davvero, siete commoventi ç__ç *sniff, si soffia il naso rumorosamente*. A presto, ad ogni modo, non so davvero come ringraziarvi ç___ç Mi sento troppo fortunata e felice!

Vi lascio, come sempre, la mia pagina Facebook, il mio contest e la canzone! Forza, cantiamo “Fear Of The Dark” a squarciagola! :D

Un abbraccio fortissimo ad ognuno di voi.

Blankette_Girl
Alessandra

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Capitolo 31
*** A Saucerful Of Secrets ***


Cap 31

31.

A Saucerful Of Secrets

 

The man who can keep a secret may be wise, but he’s not half as wise as the man with no secrets to keep”.
Edgar Watson Howe

Miranda sapeva bene che quando suo padre lasciava Inis Mona, significava che c’era qualcosa di realmente grave, tale per cui era costretto a lasciare l’isola. Ultimamente, la sua destinazione era stata per lo più Hogwarts o la Tana, dove l’Ordine si trovava per stabilire i propri piani d’azione. Fino a quel momento, Miranda Lynch era stata poco coinvolta nell’organizzazione di Albus Silente, ma sapeva, date le sue doti di veggente, oltre che di Evocatrice, che prima o poi non sarebbe più stata una semplice spettatrice: l’Albero della Vita le aveva predetto che avrebbe trovato qualcuno di simile a lei, al di fuori della Confraternita gelosa del proprio sapere, rinchiusa in quell’isola tra Regno Unito ed Irlanda. Le visioni che aveva avuto durante le meditazioni circa il suo futuro erano nebulose, ma sapeva che non vi sarebbe stato nulla di buono all’orizzonte. L’avvenire si preannunciava grigio, se non proprio nero.
Lily Evans nelle sue visioni – era lei, ne aveva la granitica certezza: non c’erano altre ragazze con i capelli rossi e gli occhi verdi come i suoi e quei tratti somatici così particolari, non da bellezza pura, ma pur sempre attraenti ed incantevoli – aveva una forza magica dentro di sé molto potente, ma ancora inespressa, come se aspettasse il momento buono per svelarsi in tutta la sua energia.
Miranda, dopo averla incontrata e dopo aver visto che portava il ciondolo della Confraternita, si era interrogata a lungo, chiedendosi se la Grifondoro fosse cosciente delle sue origini, o se semplicemente aspettasse qualcuno – lei, forse? - che la introducesse nell’universo delle Arti Arcane, accessibili a pochissimi fortunati che accettavano la propria predisposizione a tale branca della magia.
Non aveva ancora detto niente a suo padre, perché tale indagine avrebbe necessitato di tutte le certezze e le prove del caso. Lily era una Nata Babbana, come avrebbe potuto andare da lei e dirle a bruciapelo che faceva parte di una nobilissima stirpe di maghi dai poteri superiori a tutti gli altri componenti del mondo magico? Poteri e facoltà che probabilmente le avevano trasmesso degli antenati remoti, usando i discendenti Babbani – o più verosimilmente dei Maghinò – come tramite?
Senza dubbio, la povera quindicenne sarebbe rimasta pietrificata da quella rivelazione così nuda e cruda e l’avrebbe presa per folle, o peggio, una ciarlatana, e non poteva esserci offesa peggiore per un’Evocatrice.
Forse era giunto il momento di rendere partecipe il capo della Confraternita di quella scoperta, anche perché non avrebbe potuto più tenere nascosto quello che sapeva ancora a lungo. E dati cupi veli che oscuravano il futuro, sarebbe stato molto più saggio tentare di tirare fuori la luce da Lily, piuttosto che lasciare che quel piccolo e debole bagliore dentro la sua anima si estinguesse perché nessuna mano amorevole si aveva voluto proteggerlo e dargli ancora più luminosità e calore.
Miranda, accompagnata dal professor Vitious, che appariva molto preoccupato e turbato, arrivò presso lo studio del Preside e guardò il Direttore della propria Casa per la parola d’ordine.
Menta Piperita e Frutta Candita” disse l’insegnante un po’ imbarazzato, ma la porta si aprì, e i due poterono salire le scale.
Miranda mentre saliva i gradini sentiva la tensione farsi più decisa ed evidente. Avvertiva la presenza di suo padre sin dalle scale in pietra, non aveva bisogno di vederlo per capire che fosse lì, nello studio di Silente. Aveva un’energia sconfinata, che si propagava per l’aria in maniera autoritaria, ma sempre ben in controllo. Più di una volta l’aveva paragonata ad una di quelle sequoie altissime, che svettavano oltreoceano, senza mai sembrare minacciose, pur incutendo molto timore per la loro altezza e possanza.
Gabriel Lynch, suo padre, poteva essere una persona molto saggia, dalla pazienza olimpica, sempre tutto di un pezzo, con quell’aria imperturbabile dei sapienti che vanno oltre le brutture e gli orrori del mondo. Tuttavia, poteva anche trasformarsi in un’autentica furia, quando qualcuno di a lui non gradito gli calpestava i piedi. Albus Silente non solo gli aveva pestato i piedi, ma era come se ci fosse passato sopra più volte e con insistenza. Il potente mago aveva ricercato la Confraternita degli Evocatori a lungo, senza mai desistere: sapeva che potevano essere vitali nella lotta contro Lord Voldemort, perché quell’uomo malvagio stava tramando molto di più di quello che un mago normale potesse immaginare. Lo faceva nell’ombra, geloso di tutti coloro che si avvicinavano a ciò che nascondeva nell’oscurità e Silente sapeva che solo gli Evocatori potevano fare breccia in quel muro di buio e cattiveria con la loro luce e con le loro capacità.
Tuttavia, convincere il Maestro tra i Maestri era stata un’impresa davvero ardua. Non aveva nessuna intenzione di mettere a repentaglio la vita dei membri della millenaria Confraternita, per via degli altri maghi che non erano stati vigili abbastanza nel fermare Tom Riddle. Si era sempre sentito in collera con la comunità magica al di fuori di Inis Mona per una banale questione di orgoglio: il Ministero dell’Istruzione Magica aveva tolto le Arti Arcane dagli insegnamenti fondamentali ad Hogwarts già da qualche secolo, impedendo di fatto che qualche potenziale giovane Evocatore potesse accettare la propria natura e sviluppare quel dono. Nel momento di estremo bisogno, però, si erano rivolti a loro, gli unici rimasti a praticare l’Evocazione, chiedendo loro aiuto e supporto. Ne andava della stabilità di tutta la comunità di streghe e di maghi, non solo inglesi, ma anche quelli degli altri paesi europei, e non solo, nell’ipotesi più catastrofica.
Lynch aveva accettato e si ritrovava dunque nello studio di Silente, con uno sguardo che tradiva una certa preoccupazione. Di rado, la figlia Miranda l’aveva visto così teso, dato che aveva persino lasciato da parte l’aria di sdegnoso contegno che l’aveva sempre contraddistinto ogni qualvolta lasciasse Inis Mona.
“Buonasera, Preside” disse la Corvonero educatamente, avvicinandosi a suo padre, che era seduto su una poltroncina davanti alla scrivania di Silente.
“Papà” sussurrò appena la ragazza, appoggiando una mano sulla spalla del Maestro e prima di tutto genitore. Gabriel fece un garbato cenno col capo, e strinse con affetto quella mano che gli stringeva la spalla. Sentì una leggera scossa attraversare la propria mano, per poi propagarsi per il braccio, la spalla ed il petto. Era decisamente d’umore cupo. Non parlava, i suoi occhi azzurri cercavano quelli di Silente, che se ne stava in piedi, presso l’ampia finestra del suo studio, a guardare l’arrivo della sera. Sulla scrivania vi erano appoggiate molte pergamene, che coprivano i libri, le piume per scrivere e le boccette d’inchiostro colorate, persino la scatola di caramelle al limone o all’arancia, immancabile per Silente, era dispersa tra i mucchi di fogli spessi.
Il Preside si voltò e accolse con un sorriso sincero la giovane.
“Miranda, buonasera. Prego, accomodati” disse, appellando con la bacchetta magica una poltroncina per la ragazza, che si sedette accanto a suo padre.
Miranda agitò nervosamente i piedi, facendoli ticchettare rumorosamente sul pavimento, ma smise all’istante non appena suo padre le scoccò un’occhiata eloquente. Quel rumore lo disturbava e lo indisponeva e stava silenziosamente intimando alla figlia di controllare la propria ansia ed agitazione.
Dopo qualche attimo di silenzio, Silente abbandonò la propria postazione vicino alla finestra, per avvicinarsi ai due seduti davanti al suo tavolo.
Rimase in piedi, ma appoggiò le mani sulla superficie di legno. Le dita lunghe e magre sbucavano dalle ampie maniche della veste color verde salvia, accarezzando le pergamene sopra srotolate.
“Desidero andare al punto, Miranda, la ragione per cui ti ho chiamato è molto semplice” esordì Silente, guadagnandosi tutta l’attenzione della ragazza, che si chinò leggermente in avanti, protesa verso il Preside.
“Potrebbero accadere cose molto gravi ed oscure nei prossimi mesi” le spiegò Silente “Ed è per questo che, qualche mese fa, ho deciso di rivolgermi a tuo padre”. La Corvonero annuì, al corrente della storia, seppur per sommi capi.
“In questi ultimi giorni, si è assentato da casa vostra, per recarsi con Fabian e Gideon Prewett in Germania, per conto dell’Ordine della Fenice” tacque un attimo, come per trovare le parole giuste “E quello che ha potuto vedere non era affatto incoraggiante”.
Miranda guardò suo padre e gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma vide che continuava a fissare Silente, per cui rivolse nuovamente tutta la sua attenzione verso il Preside.
“In buona sostanza, sospettavamo che il Signore Oscuro – e Miranda sgranò gli occhi per lo stupore a sentire quel nome, benché sapesse bene chi fosse – stesse tramando qualcosa lontano dal nostro paese. Il nostro Ministero della Magia e quello tedesco si sono prontamente attivati per cercare di capire il motivo di quella concentrazione di Magia Oscura nell’isola di Fehmarn, ma solo l’intervento di tuo padre è stato in grado di portarci una risposta chiara e precisa”.

La Corvonero gettò un’occhiata a tutti i fogli sparsi per la scrivania di Silente, intravvedendo i simboli del Ministero della Magia inglese su alcune pergamene, mentre su altre era chiaramente riportato lo stemma di quello tedesco. A quelle missive ufficiali se ne sommavano altre, senza loghi ufficiali: probabilmente era tutta corrispondenza tra Albus e gli altri membri dell’Ordine.
La ragazza si chiese che cosa potesse fare lei in tutta quella faccenda spinosa, considerato che nessuno le aveva chiesto di unirsi all’organizzazione segreta del Preside di Hogwarts, sebbene lei ne avesse .
Silente parve leggerle nella mente, poiché proseguì dicendo: “I tempi sono maturi per farti entrare nell’Ordine della Fenice, in qualità di Evocatrice, accanto a tuo padre ed altri volontari che presto si uniranno a noi. Sempre che tu sia d’accordo”.
Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto prendere una scelta: quello sarebbe stato il suo ultimo anno presso la Scuola di Magia e Stregoneria e ancora non sapeva bene che cosa avrebbe fatto. Aveva una mezza idea di diventare un Auror, ragione per cui aveva portato avanti lo studio di materie come Difesa Contro le Arti Oscure, Pozioni, Trasfigurazione ed Incantesimi; tuttavia, il desiderio di diventare Auror e quindi dipendente del Ministero della Magia aveva fatto inorridire il padre e gli altri membri della Confraternita, che non vedevano di buon occhio l’organo di governo del mondo magico. Quell’occasione poteva essere quella buona: non era necessario che diventasse parte dell’élite combattente per combattere i Maghi Oscuri, ora poteva servire quella giusta causa con le doti di Evocatrice che aveva ereditato dalla sua nobile famiglia.
“Accetto” rispose asciutta la ragazza, sentendosi comunque lievemente emozionata. Era liberatorio sapere che ora si possedeva una collocazione precisa nel mondo, con uno scopo da perseguire ed ottenere. Non sarebbe stato facile, ma lei aveva sempre detestato la Magia Oscura e tutto ciò che aveva sempre voluto era combatterla ed estirparla dal proprio mondo.
“Molto bene” replicò Silente, con una nota di soddisfazione “Ora puoi sapere che cosa ha visto tuo padre quella notte a Fehmarn”. Con un cenno del capo, Silente concesse a Gabriel di alzarsi in piedi e di avvicinarsi alla figlia, che rimase seduta. Aveva compreso che cosa sarebbe successo entro pochi minuti.
L’uomo si andò a posizionare dietro la ragazza e le appoggiò le mani sulle spalle. Miranda strinse forte i braccioli della poltroncina e si concentrò, respirando profondamente. Chiuse gli occhi ed avvertì le mani del padre farsi sempre più calde e quello stesso calore si diffondeva sulle spalle della ragazza, superando lo strato di vestiti e viaggiando sottopelle, diffondendosi in tutto il corpo.
Il calore lasciò spazio ad una leggera scossa elettrica – o perlomeno, a Miranda era sempre parsa tale – che sembrò andarle a pizzicare le dita di mani e piedi. Quando arrivò alla testa, la ragazza lasciò che si diffondesse, non la contrastò. La presa del Maestro si faceva sempre più forte, ma non le causava dolore o fastidio. Doveva focalizzarsi sulla propria testa e fare in modo di non ostacolare quella tensione che la stava attraversando.
La mente della Corvonero abbandonò lo studio di Silente, Hogwarts e viaggiò a migliaia di chilometri di distanza, indietro nel tempo.
Gli Evocatori non necessitavano di un Pensatoio per vedere i ricordi di un altro Evocatore. A loro era sufficiente il Passaggio della Visione per poter vedere quanto accaduto. Non solo, tale rito era in grado di far vedere quanto successo attraverso gli occhi della Creatura Arcana e per questo era richiesta molta concentrazione ed energia da parte di chi accettava quella visione. Era una magia piuttosto sfiancante ed impegnativa, certamente non adatta a dei principianti, che erano soliti svenire dalla fatica ai primi tentativi. Miranda era tutt’altro che una principiante, dato che aveva ricevuto un’educazione rigida da Gabriel, che si aspettava che la propria figlia diventasse un’abile Evocatrice.
Quello che vide, però, la spaventò e la turbò come pochi altri avvenimenti in vita sua.

Bodva si era addentrato nella Fortezza Oscura, attraversando gli strati di terra e di pietra. Aveva attraversato il sottosuolo con agilità, seguendo la Magia Oscura che si stava addensando in quel luogo.
Fluttuava veloce
, per ritrovarsi in poco tempo in un corridoio freddo ed umido. Buio come la notte, poiché non vi erano torce ad illuminare la Fortezza. Bodva brillava appena, il proprio magnifico splendore pareva essersi affievolito di fronte a quell’oscurità densa, come se fosse solida. Si guardò attorno, per vedere quale direzione imboccare. Verso sinistra si potevano udire appena dei lamenti, continui e fiochi, che via via si facevano sempre più deboli. A destra si poteva udire un gran baccano, con delle voci che urlavano concitate sopra degli scoppi e dei boati, ma sembravano molto felici e soddisfatte di quello che stava succedendo.
Bodva si diresse verso i lamenti, forse impietosita, forse perché aveva avvertito la sofferenza degli uomini, cosa a cui nessuna Creatura Arcana poteva rimanere indifferente. Il tenue bagliore dello spirito aveva rivelato delle piccole celle, protette da grosse sbarre di metallo, che rilucevano al passaggio dell’entità. Ad alcune sbarre di metallo era stato grattato via lo strato di vernice scura da delle unghie… Forse umane, a giudicare dalle piccole graffiate.
Ed in effetti, in ogni singola celletta vi era un umano: chi si aggrappava alle sbarre, chi si appoggiava ad esse, oramai sfinito e senza più voce per invocare aiuto. Non più umani, ma relitti, parevano più dei vegetali che stancamente tentavano di reggersi in piedi, afferrando l’ultima scintilla di vita, prima che si spegnesse nel denso nero di quel carcere disumano.
Bodva passava accanto a loro lentamente, e non poteva fare altro che dare sollievo alle pene di quei prigionieri. Le Creature Arcane potevano combattere solo contro le Creature Oscure, per purificarle e renderle degne di contemplare il Sacro Albero. Non erano esseri miracolosi, potevano alleviare le sofferenze, potevano dare la pace eterna ai tormentati, ma non potevano fare l’impossibile.
Quei prigionieri erano stati vittime della Creatura Oscura che imperversava dall’altra parte della Fortezza.
Lo vedeva dagli arti inferiori che stavano diventando lentamente cristallo: le gambe di un prigioniero erano praticamente divenute trasparenti – e si potevano vedere i vasi sanguigni cristallizzati, tante piccole venature irregolari che attraversavano gli arti oramai fragili e delicati, esattamente come un piccolo calice prezioso. Un altro, tra coloro che erano stati imprigionati, iniziava ad avere le mani rigide, l’incarnato non era più del proprio colore naturale, ma stava diventando sempre più pallido e senza vita, pronto a diventare sempre più grigio, e poi trasparente, sottile e fragile.

La Creatura Arcana si voltò, pronta a lasciare quel corridoio e decisa a fronteggiare lo spirito corrotto che stava instillando i semi del male in quelle persone innocenti ed indifese.
Con rapidità si mosse, arrivando là dove regnava il caos, dove esplosioni e scintille animavano il buio. E Bodva vide una creatura adulta in quell’arena di modeste dimensioni: uno scheletro semi-trasparente, dalle ossa appuntite, le cui estremità erano irregolari nella forma e parevano tante piccole lame conficcate nel cristallo. Si muoveva agilmente ed ogni spostamento era accompagnato da uno strano fischio, oppure da un tintinnio quasi glaciale.
Il suo cranio era di forma allungata ed era costellato di tante piccole schegge taglienti. Gli occhi erano due fessure scavate nel cristallo, dalla luce rossastra. Stava attaccando qualcuno, un mago innocente, solamente colpevole di essere contro il Signore Oscuro.
E il Signore Oscuro se ne stava in piedi proprio al limitare di quella piccola arena dove la Creatura Oscura stava dando il meglio di sé, per compiacerlo. Era alto, avvolto nel suo mantello con il cappuccio ed osservava soddisfatto quello scontro devastante, a braccia conserte.
Bodva si lanciò verso Crioshad – aveva sentito l’altro uomo alto dall’accento sovietico chiamare il mostro in quel modo – lasciando dietro di sé una piccola scia luminosa, spaventando i presenti. La Creatura Arcana lanciò delle lunghe lingue di fuoco verso Crioshad, che lasciò perdere l’umano con cui stava combattendo ed aspettò che lo Spirito Bianco scagliasse un altro attacco. Bodva arrivò alla carica, chiudendo in un cerchio di fuoco la Creatura Oscura e se stessa. Con una delle possenti zampe di drago, assestò un calcio in pieno petto all’avversario, che indietreggiò, cercando di evitare il Fuoco Sacro che l’avrebbe distrutto per sempre. La mossa di Bodva danneggiò qualcosa nel torace di Crioshad, poiché si sentì un suono simile all’incrinarsi del vetro, come colpito da un sasso.

La Creatura Oscura cercò di rispondere all’attacco, confusa anche dalle urla e dai tentativi dell’uomo dallo strano accento di riprendere il controllo della situazione. Tra le sue mani apparvero piccole sfere bluastre, che scagliò in direzione dell’entità di fuoco e di scintille, che le respinse, lasciando che si sciogliessero tra le fiamme incandescenti che demarcavano il loro territorio di scontro.
Bodva continuò a concentrarsi sul petto del mostro, sapendo di dovergli frantumare il nucleo principale, poiché era lì che si radunava tutta l’energia più oscura e devastante.
E infine, Crioshad si ruppe in mille pezzi e si sciolse nel calore del Fuoco puro e giusto degli Spiriti Eletti.

Miranda stava perdendo la concentrazione, data l’intensità della visione, ma tenne duro, per vedere l’ultimo stralcio della memoria di Bodva. In quel momento, le spalle iniziavano a dolerle, come tutto il resto del corpo, sempre più spossato.
Bodva incontrò gli occhi freddi del Signore Oscuro. Ignorò le altre due persone accanto a lui, letteralmente paralizzate dalla paura e si concentrò sul temibile mago.
Non aveva paura, Lord Voldemort, sebbene per qualche secondo, sembrò essere scosso da quell’apparizione del tutto inaspettata ed improvvisa. Osservava con viva curiosità quello spirito di fiamme, forme femminili e di drago messe assieme. La osservava con un certo distacco, come per dirle che di lei non aveva affatto paura, che non vedeva l’ora di dare fuoco all’Albero della Vita, di trionfare sulla luce con il suo mondo d’ombra…

“Basta così, Gabriel” disse Albus, lievemente preoccupato “Miranda è stremata”.
La ragazza si sentì molto meglio, non appena il Maestro levò le mani dalle sue spalle. Era come se le fosse stato tolto dalla schiena un macigno enorme.
Riaprì gli occhi e tante piccole gocce di sudore le rotolavano giù per la fronte e le guance, attraversando il collo e finendo la loro corsa là dove iniziavano i vestiti.
Silente fece comparire sulla propria scrivania, improvvisamente linda ed ordinata, una piccola ciotola piena d’acqua e due asciugamani morbidi. Miranda si buttò sulla ciotola e si lavò la faccia e si rinfrescò, noncurante di schizzare il tavolo da lavoro del Preside di Hogwarts.
Si stava asciugando il viso, quando il Preside le disse: “Tutto quello che vedrai riguardante l’Ordine della Fenice lo terrai per te e per te soltanto. Ora, avrai il tuo primo compito da portare a termine, nel minor tempo possibile, con la collaborazione di tuo padre”.
Miranda annuì e Gabriel per un istante sospettò che comunque quell’uomo non avrebbe mai fatto affidamento solamente su di loro. Era solito riporre fiducia in più persone, alle quali confidava loro segreti e rivelazioni differenti. Solo lui conosceva l’intera verità, ma non voleva che fosse in mano a troppe persone. Ciascuno di loro si doveva accontentare di una semplice, infinitesima parte del tutto. Ma dovevano farsi andare bene quel modo d’agire, altrimenti non avrebbero mai potuto dare un significativo contributo a quella lotta contro le forze oscure.
“Abbiamo bisogno di Evocatori. Non solo quelli di Inis Mona e della Confraternita, ma di giovani con questo dono che siano abbastanza volenterosi da imparare in poco tempo e di unirsi a noi” disse Silente e la Corvonero pensò immediatamente a Lily e le venne un deciso groppo in gola. Come poteva trascinarla in qualcosa di cui non era nemmeno a conoscenza? E poi, prima c’era da superare il trauma di essere un’Evocatrice, come poteva infilarla anche tra i ranghi dell’Ordine della Fenice? Aprì la bocca per obiettare, ma suo padre fu più svelto e l’anticipò.
“Preside, mi permetta di dire che scoprire di essere Evocatore non è come vincere alla Stregolotteria di Diagon Alley” osservò irritato “Non è un dono che tutti possiedono e che si scopre svegliandosi una mattina…”.
Silente stava offrendo una caramella all’arancia a Miranda e non parve scomporsi più di tanto di fronte a quell’osservazione.
“Precisamente, Gabriel, non voglio che mi portiate gente qualunque” disse con un sorriso “Desidero che mi portiate nuovi Evocatori”.
Perché, alla fine, Silente era convinto che quella guerra avrebbe dato possibilità ai ragazzi portati per le Arti Arcane di poterle studiare e di poterle coltivare. Ed era anche giunto il momento che la Confraternita degli Evocatori uscisse dalla propria clausura forzata ad Inis Mona e spalancasse le proprie porte a streghe come Lily Evans. 

Il sogno delle Due Principesse continuava a tormentare Lily, tornando alla carica quella notte stessa, non appena chiuse gli occhi.
La Principessa Biancogiglio stringeva orgogliosa il braccio del suo giullare preferito, i cui lineamenti ricordavano troppo quelli di James Potter. La Principessa Nerogiglio scappò via, sbattendo la porta terrorizzata – Lily mai e poi mai avrebbe preso sottobraccio il molesto Malandrino! – e corse su per l’ennesima rampa di scale, seguendo le strilla dei due bambini.
I due piccoli, che ricordavano sempre di più Severus e Lily, stavano litigando ed erano decisamente adolescenti. Discutevano in maniera molto animata in un corridoio, che pareva identico a quello appena fuori dalla Sala Comune di Grifondoro. Non vi era traccia del ritratto della Signora Grassa, ma Lily semplicemente aveva capito che l’ambiente ricordava in maniera piuttosto chiara il castello di Hogwarts.
L’adolescente che discuteva con il ragazzo che ricordava Severus, le assomigliava proprio, sembrava lievemente più adulta, forse aveva già sedici anni, o forse diciassette. Ma aveva uno sguardo ostile, di quelli che non vogliono ascoltare l’interlocutore, tantomeno vogliono dare una possibilità di chiarirsi una volta per tutte. Aveva le braccia conserte ed era vestita con una lunga camicia da notte azzurrina, come poté notare la Principessa Nerogiglio, avvicinandosi a loro due.
Severus sembrava pure lui più grande dei suoi quindici anni, era decisamente cresciuto, ma sembrava molto spaventato e gesticolava nervoso, disperato all’idea di non poter risolvere quel conflitto.
“Mi dispiace” diceva lui, in un tono quasi supplichevole.
“Non mi interessa” ribadiva lei, decisa, senza quasi degnarlo di uno sguardo.
“Mi dispiace!” ripeteva il ragazzo, a voce più alta.
“Risparmia il fiato!” lo rimbeccava Lily, sperando di andarsene via e di chiudere quella faccenda il più presto possibile.
Alla Principessa Nerogiglio le si strinse il cuore, provando un dolore reale ed autentico. Pensò alla vita reale, ai battibecchi con Severus, ai piccoli litigi inutili, dimenticati in fretta. Quella discussione sembrava essere senza soluzione, senza rimedio. E tutto questo la preoccupò per davvero, lasciando da parte la confusione che provava di fronte a quelle assurde visioni.
“Sono uscita solo perché Mary mi ha detto che minacciavi di dormire qui” disse lei, arida.
“Potrei farlo. L’avrei fatto. Non volevo chiamarti SangueSporco, solo che…” annaspò, cercando le parole giuste per convincerla a rimanere, ad aprirsi, ma non ci riuscì. La Principessa aveva il cuore in gola. Severus l’avrebbe chiamata SangueSporco? Come? Quando? Perché?
“Ti è scappato!” non c’era pena nelle parole di Lily, solo tanto sarcasmo corrosivo.
“E’ troppo tardi…”. Le parole di quella Lily, dura, intransigente, sorda al dolore del ragazzo, causato da una parola di troppo, divennero echi distanti. La Principessa Nerogiglio continuò a guardare i due, annaspando, mossa da un’incredibile voglia di intervenire, di porre fine a quella discussione angosciante. Fino a quando, quell’adolescente dai capelli rossi come i suoi e con la veste da notte, non gli voltò le spalle, senza neanche dare il tempo a Severus di replicare.
Che cosa le voleva dire quel litigio brutale, quella scena spiacevole e dolorosa?

La Principessa corse dal ragazzo, per consolarlo, per dirgli che lei, Lily, non lo avrebbe mai trattato così male. Il Serpeverde le dava le spalle e non si accorse che stava crescendo ancora, fino a diventare un ventenne, presumibilmente.
Aveva addosso un lungo manto nero, dei vestiti tutti neri, la blusa aveva tanti piccoli bottoni, l’uno in fila all’altro, ordinatamente abbottonati.
La scena stava vorticosamente cambiando attorno alla Principessa Nerogiglio e a quel Severus adulto. E quando il giovane si voltò, Lily si accorse che erano tornati nel salone pieno di fiori e di muschio.
Accanto a loro vi era un grosso trono in legno, pieno di incisioni e decorazioni. Ma la Principessa Nerogiglio non se ne accorse, non ancora. Aveva trovato il Principe Mezzosangue, ma il suo volto era celato da una maschera argentata.
Fece qualche passo avanti e gli tese una mano, per levargli decisa quella maschera, che, ne era certa, Severus si era dovuto mettere per nascondere il proprio dolore di fronte alla perdita devastante. Perché ne era certa, quella Lily lo aveva rifiutato una volta per tutte.
Il Principe Mezzosangue afferrò i polsi della Principessa, trascinandola verso il trono di legno. Voleva ribellarsi a quella presa, ma quel ragazzo aveva sviluppato una forza fisica notevole. Desiderava solo guardarlo negli occhi per rassicurarlo, ma lui l’aveva fatta sedere, senza troppi complimenti, facendole aderire la schiena contro quello schienale intarsiato. Poteva sentire premere sulla pelle quel disegno, ne avrebbe potuto quasi indovinare la forma, senza neanche avere il bisogno di guardarlo con gli occhi.
Ora che aveva quel ragazzo mascherato vicino, poteva vedere la sofferenza negli occhi. Provò un’ultima volta ad avvicinare la mano al viso del Principe, ma lui scomparve di fronte a lei, lasciando solo una piccola nube di fumo nera. 

Lily si svegliò di soprassalto, e sentì un fiume di lacrime scenderle dagli occhi. Tastò convulsamente il cuscino e sapeva di averlo inumidito di lacrime.
Voleva vedere disperatamente Severus. Voleva solo un suo abbraccio, la sua consolazione silenziosa, ma infallibile. Voleva smezzare le sue tavolette di cioccolato con lui, sapendo che Severus ne avrebbe mangiato solo un blocchetto per volta, e ridere di quel sogno; prendere i rimasugli della carta stagnola, appallottolarla e lanciarla lontano, facendola passare attraverso i fantasmi che animavano il castello, facendoli indignare ed infuriare.
Desiderava baciarlo per allontanare quel presagio triste.
Lily si assicurò di non aver svegliato Emmeline, Mary e Marlene, che sembravano dormire placide nei loro letti, e rifletté che quello poteva essere un avvertimento. Una possibilità di come sarebbero potute andare le cose, se avessero sbagliato qualcosa nei loro comportamenti. Si ripromise di fare attenzione a non rovinare nulla nella sua relazione con Severus, di non guastarla in nessun modo, perché farlo scappare non era certamente ciò che voleva.
Non riuscendo più a chiudere occhio, allungò una mano, per prendere il libro di Morinn Asnavor e leggerne solo qualche pagina, giusto per conciliare il sonno: d’altronde, la parte introduttiva al capitolo della Confraternita degli Evocatori era molto dettagliata – a volte forse fin troppo, ma risultava molto interessante da leggere riga per riga.
Sopra il libro, però, la Grifondoro vi aveva posato il proprio ciondolo, con il risultato che se l’era ritrovato davanti ancora una volta, assieme alle pagine ancora tutte da leggere.
Una strana urgenza si fece sempre più forte nel petto di Lily. Ma perché stava leggendo, senza cercare ciò che le interessava davvero, ovvero il significato di quell’albero?
La giovane con un semplice Lumos illuminò lo spazio circostante, noncurante di svegliare le altre, che dormivano comunque tranquille, ad eccezione di Mary che era solita rigirarsi e brontolare nel sonno, ed iniziò a sfogliare febbrilmente le pagine del volume. Non c’erano ancora state figure, immagini, schizzi di quel simbolo.
Lily non si curò più delle parole, dei paragrafi e prese a sfogliare febbrilmente, con la veemenza di chi è disposto a strappare le pagine pur di arrivare ad avere il motivo della propria ricerca davanti a sé. Non le importava di fare rumore, di far svegliare tutte per quelle pagine sfogliate con violenza.
A momenti, non si accorse di averlo davanti. Quel simbolo ricopriva due facciate ed era stato finemente disegnato. Ogni nodo era stato tratteggiato con estrema cura, ogni ramo sembrava realmente flessuoso ed elegante.
Lo guardò intensamente, non collegando subito il suo ciondolo con l’albero a quello raffigurato sul libro.
Sotto le radici dell’albero, era stato scritto qualcosa, in caratteri celtici. La ragazza avvicinò la punta della bacchetta alla scritta e lesse, a bassa voce: “Crann Bethadh”.
Guardò poco più in basso, per leggere la didascalia, scritta in caratteri piccolissimi ed appena leggibili.
Albero della Vita, simbolo della C.d.E, elemento di spicco delle mitologie nordiche. Gli Evocatori portavano al collo un piccolo ciondolo con l’Albero sopra raffigurato per distinguersi dagli altri maghi e veniva passato di famiglia in famiglia, di padre in figlio, di madre in figlia…”
… E il ciondolo era passato da un’antenata all’altra, fino ad arrivare a nonna Eimear, pur non manifestando, almeno in apparenza, dei poteri magici, passando poi indirettamente per Norah – che lo aveva tenuto per breve tempo prima di rimetterlo nella cassapanca – fino ad arrivare a lei, a Lily.
La natura non sbagliava mai, non faceva accadere nulla per caso, e faceva in modo che tutto accadesse nei tempi e nei modi più adeguati. A chi era appartenuto il ciondolo della famiglia Moore? Chi era l’antenata Evocatrice che aveva dato vita a quella spirale di eventi, di passaggi, di eredità, per far arrivare quel dono fuori dal comune a Lily?
Prima poteva non avere importanza chi fosse, ma in quel momento, Lily sentì il bisogno di sapere il suo nome, dato che non poteva più vederla. Si dava un nome a qualcosa per possederlo, per dargli un limite, degli attributi. Nel momento in cui si pronunciava un nome, si finiva per categorizzare quella persona entro delle caratteristiche ben precise.
Lily aveva compreso, nell’autunno dei suoi quindici anni, chi fosse davvero: una Grifondoro, una strega Nata Babbana, ma prima di tutto un’Evocatrice che aveva appena scoperto il proprio dono. Non era più un’ipotesi, ma una schiacciante certezza nel cuore.
La parte più difficile, si disse, non sarebbe stata parlare con Miranda, ma parlarne con Severus. Per un attimo, la giovane temette che quella rivelazione sarebbe potuto essere ciò che li avrebbe definitivamente allontanati; si decise a tenerlo ancora un po’ per sé, d’altronde doveva ancora metabolizzare quella scoperta che ancora non l’aveva travolta con la propria devastante portata. Ma non capì, perlomeno non ancora, che sarebbe stato ciò che li avrebbe tenuti assieme per la vita, sfidando qualsiasi cosa e persona, Silente e Lord Voldemort inclusi.
Quello sarebbe stato il suo piccolo grande segreto, ed avrebbe atteso il momento più adatto per confessarlo al ragazzo, che di segreti iniziava ad averne un po’ troppi. 

Il ragazzo non stava dormendo. Era seduto su uno dei tanti divanetti della Sala Comune di Serpeverde, con il libro di Occlumanzia aperto sulle gambe. Non che stesse dando molta retta a quanto scritto su quel libro, però.
Mulciber ed Avery se n’erano da poco andati dalla Sala, lasciando che Severus si torturasse nel dubbio e nella confusione, dopo quella loro richiesta.
C’era un motivo per cui ultimamente si fossero avvicinati in maniera significativa al Serpeverde. La natura umana non agisce mai per caso, come poteva dimenticarselo?
Gente come loro agiva per ottenere sempre qualcosa che tornasse loro utile. Il mondo ideale prevedeva l’agire disinteressato, gratuito, spontaneo. Ma nel mondo reale, tutto quello non aveva spazio, non più, non in quel periodo dove l’ingenuità e la serenità stavano lasciando il posto ad un conflitto di enormi proporzioni.
Li aveva aiutati in Pozioni, in Trasfigurazione, in Storia della Magia: aveva dovuto sopportare qualsiasi loro idiozia – e perché Lucius Malfoy aveva scelto loro due come tirapiedi? Si era ripetuto il ragazzo fino alla nausea- nell’interesse dell’Ordine della Fenice, di Silente, che comunque  non voleva scontentare in nessun modo, sebbene parte di lui provasse un po’ di rancore nei suoi confronti, poiché voleva disperatamente avere accesso a tutti i segreti del vecchio mago. Ma sapeva bene che non avrebbe mai potuto sapere tutto. Silente era astuto nel non dire proprio tutto ai suoi collaboratori e confidenti. Eppure, la smania di sapere di un ragazzo di quindici anni non capiva quel non voler dire proprio tutto. Si scontrava malamente con la logica prudenza del Preside a non voler dare troppi carichi a chi era al suo servizio. A volte pensava che fosse un grande egoista, a volte pensava che agisse per il bene delle vite dei membri dell’Ordine,
E adesso, si sentiva un po’ smarrito, perché avrebbe voluto parlargli disperatamente, chiedergli consiglio su come agire.
Mulciber ed Avery gli avevano chiesto di poter partecipare alla cena del Luma Club con Lucius Malfoy, al quale evidentemente non facevano parte, date le loro scarse capacità di pozionisti. Si erano arrampicati sugli specchi, dicendo che Malfoy era un amico delle loro famiglie e che desideravano ricevere consigli per il loro futuro da una persona così ben in vista nella comunità magica. Lo avevano pregato di parlarne con Lumacorno, di poter fare un’eccezione e di ammetterli al prestigioso evento.
Qualcosa si era immediatamente scontrato dentro Severus: da un lato, era un modo per averli ancora di più sottocontrollo, per monitorare il loro legame con Malfoy, sempre nell’interesse dell’Ordine. Dall’altro, c’era Lily. Non avrebbe mai e poi mai voluto che si mescolasse con quella gente bieca e malvagia. Non voleva esporla ad un pericolo troppo grosso. Ma come avrebbe potuto fare, per tenerla lontana da quella maledetta cena? Se le avesse detto qualcosa, avrebbe dovuto confessarle il suo lavoro per Silente, il suo ruolo, ciò che sapeva del Signore Oscuro e dei suoi Mangiamorte, perché la ragazza non era quel genere di persona che si accontentava delle mezze verità, ma anzi, non era soddisfatta finché non sapeva tutto quello che c’era da sapere. E in cuor suo, sapeva che una parola sbagliata al riguardo avrebbe potuto portare conseguenze molto dolorose nel loro rapporto.
Non poteva però tenerla lontana dal Luma Club, ed era sicuro che Lumacorno l’avrebbe voluta presente a tutti i costi, dato che era la studentessa più brava del corso assieme a Severus.
Il ragazzo chiuse di scatto il libro e serrò i pugni, alzandoli a mezz’aria, agitandoli furiosamente. Quella galassia di segreti e sotterfugi non sarebbe durata a lungo, e un ragazzo di quindici anni non poteva reggere la forza ed il peso di tutta quell’oscurità da solo, perché quell’oscurità avrebbe finito per risucchiarlo in vortice nero di malvagità e menzogna.
Aveva bisogno di Lily, della sua risata, del suo suonare il pianoforte, del suo essere positiva e solare per poter andare avanti a proteggerla. Per il resto, ne avrebbe parlato con Silente l’indomani. Tutto aveva un rimedio, ma si stava rendendo conto di come una persona senza segreti vivesse infinitamente meglio di una persona che di segreti ne aveva fin troppi da mantenere. Ma l’individuo che non ha segreti, si disse, non aveva la minima idea di quanto il mondo fosse intricato e complesso e di quanto bisognasse scavare a fondo per trovare la verità.
E forse, scoprire la verità, purificandola dalla massa di falsità e perfidia che la circondava, valeva bene qualche bugia a fin di bene. O almeno, così pensava, sperando forse in una comprensione altrui che nel mondo ideale rimaneva così semplice da ottenere.

 

“Oh I wish it was over, 
And I wish you were here 
Still I’m hoping that somehow…” 

‘Cause your soul is on fire 
A shot in the dark, 
What did they aim for when they missed your heart?” 

I breathe underwater 
It’s all in my hands 
What can I do? 
Don’t let it fall apart 
A shot in the dark

Within Temptation – Shot In The Dark

* * *

Oh, oh. Lily è un’Evocatriceeeeeee! *ç* E ha dei sogni a dir poco oscuri ed inquietanti (TRANQUILLI: E’ SOLO UN SOGNO!!!! E mi serviva riportare quella parte ahimè fin troppo celebre). Comunque la nostra peperina non si ferma qua. Miranda ora non può più essere una sfinge e deve giocare più pulito e chiaro con la nostra Lily. Mi è piaciuto molto il fatto di aver “inventato” un rito per passarsi i ricordi in maniera suggestiva. Scusate per la parte dove vengono descritti i prigionieri, spero di non aver spaventato nessuno, ma i Maghi Oscuri mica si comportano bene, nono. Mica baci ed abbracci come il Voldemort dei film. Questi sono cattivi, signori e signore mie.

Vi lascio, come sempre, la mia pagina Facebook, il mio contest e la canzone! Quanto amo i Within Temptation, “Shot In The Dark” è stupenda! (Non avete ancora sentito “The Unforgiving”? CORRETE A SENTIRLO e unitevi al nostro fan club di sculettamento su “Sinéad”! Io, Raspberry Lad ed altri siamo membri onorari).

Un abbraccio forte forte ed uno sbaciucchio a ciascuno di voi. Ci vediamo al capitolo 32, ovvero “Dancing With A Demon On The Shoulder” (qualcuno avrà già indovinato la canzone del prossimo capitolo <3). Grazie ancora per questo seguito affettuosissimo. Tra poco sono 500 recensioni *ç* e chi l’avrebbe mai detto!? *ç* *me lancia fiori e cuori a tutti*.

A prestissimo!

Blankette_Girl
Alessandra

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Capitolo 32
*** Dancing With Demons On The Shoulders ***


32.
Dancing With Demons On The Shoulders

 

“In every century, in every country, they'll call us something different. They'll say we're ghosts, angels, demons, elemental spirits, and giving us a name doesn't help anybody. When did a name change what someone is?”

Brenna Yovanoff

 

Spia? Serpeverde? Doppiogiochista? Uno dei migliori studenti che Hogwarts avesse mai avuto? Un abile pozionista? Un Mezzosangue?

Che cosa importavano tutte quelle sfaccettature, quei nomi, quelle etichette - si disse Severus - se non riusciva ancora a dire a Lily in cosa si stesse trasformando, in cosa consistesse il proprio avvenire con chiarezza?

Quell’incertezza, quel doversi tenere tutto dentro lo stava rendendo molto irritabile, più suscettibile del solito. Si domandò perché a volte le persone si fossilizzassero sulle parole, dando loro più consistenza di quanto fosse necessaria, spesso non vedendo la realtà dei fatti, o ancora peggio, rifiutandosi di andare oltre quella parola che si era trasformata in pomo della discordia. 

Vedeva Lily ogni giorno, per studiare assieme come facevano da cinque anni a quella parte, quando si trovavano ad Hogwarts, per passare i pomeriggi sempre più freddi con lei, ed ogni volta la lingua pareva bloccarsi, attaccandosi al palato, sfiorando i denti, non riuscendo a tramutare in parole quello che nella sua mente turbinava da troppo tempo. Tutto quell’esitare non faceva bene alla sua concentrazione nello studio, tant’è che negli ultimi giorni, Severus veniva richiamato sovente dalla giovane Grifondoro, stupita di quei cali di attenzione da parte del Serpeverde. Il fatto era che Severus voleva confessarle la pura e semplice verità, ma essa era pesante come un’incudine. Se lanciata fuori con violenza, poteva fare molto più danno del silenzio.

Ma in quella quiete densa e forzata si poteva sentire un lieve scalpiccio di tanti piccoli demoni che si rincorrevano sulle spalle di Sev, passandogli tra i capelli, il colletto della camicia e scivolavano giù, aggrappandosi alla cravatta verde ed argento. Severus non si era accorto che quei mostriciattoli saltavano anche sulle spalle di Lily, usavano le lunghe ciocche di capelli rossi come liane, le correvano su e giù per le braccia. E non la facevano dormire di notte, spingendola a leggere e a rileggere quell’enorme libro dal quale non pareva proprio volersi separare.

Talvolta, una scoperta, per quanto sconvolgente e grandiosa fosse, liberava dei piccoli esserini oscuri, figli del dubbio - dire o non dire a qualcuno di quella rivelazione?, figli della paura di essere presi per folli e dell’angoscia che ci si isoli, che non si venga visti più come le stesse persone di prima. E quei piccoli demoni si nutrivano del rimuginare preoccupato delle persone, diventando sempre più difficili da gestire, date le dimensioni non più ridotte. Era nato così il drago del ragazzo, non c’erano altre spiegazioni. Anni di furia repressa contro il proprio padre, che non aveva fatto altro che umiliarlo ogni giorno, che non aveva fatto altro che sminuire le capacità sue e di sua madre, arrivando a far diventare quella bestia troppo grande per il giovane. Quello stesso mostro era sempre in agguato, cercando di nutrirsi di altri piccole creature oscure che lo angosciavano. 

Non poteva più portare tutto dentro, accollarsi un ulteriore carico sulle sue spalle già affollate e comunque ancora sottili e fragili come quelle di un’adolescente che ha bisogno di fortificarsi e di crescere passo dopo passo. Severus si era reso conto di essere cresciuto tutto d’un colpo: l’ascesa dei Maghi Oscuri, gli episodi inquietanti ad Hogwarts ad opera di Mulciber ed Avery - sapientemente orchestrati da Lucius Malfoy - la morte di suo padre... Per il suo corpo era decisamente troppo da sopportare. Poteva cedere di schianto, si ammoniva di tanto in tanto; le sue ossa potevano rompersi, sfaldarsi, cadere a terra, provate da tanto peso, spinte da uno spirito da giovane uomo che ruggiva e spingeva: a volte poteva sentirlo premere sulla cassa toracica.

Severus stava crescendo e Lily non era da meno: ma come sempre, data la sua natura premurosa e generosa, era più preoccupata per il ragazzo che aveva accanto ogni giorno. Lily aveva riflettuto molto, dopo le sue scoperte, e si era detta che il suo ragazzo aveva avuto molti più problemi in vita sua, rispetto a lei, che aveva una famiglia più o meno felice e serena, che non le faceva mancare mai nulla. L’essere strega e soprattutto Evocatrice l’avevano fatta sentire ancora più ricca di quanto non lo fosse già. In qualche modo, avrebbe tanto voluto mettere a disposizione di Severus quella ricchezza, ereditata da lontanissimi antenati. In qualche modo, era risoluta a dirgli della sua natura, per dimostrargli che lei era altrettanto forte come lui, che era una maga potente sulla quale poter fare affidamento. Poi, quella nuova forza che sentiva dentro di sé avrebbe dovuto dare pure una decisa scrollata a quei fastidiosi demoni che le annodavano i capelli e si agitavano, mentre lei s’addentrava nella storia della Confraternita degli Evocatori.

 

Lily conosceva troppo bene Sev e sapeva che doveva distenderlo. I suoi pensieri lo stavano portando troppo lontano da lei, dallo studio, da qualsiasi piccolo rituale quotidiano. 

Un pomeriggio piovoso e piuttosto freddo, la ragazza non andò con Sev in biblioteca, ma cambiò destinazione, senza dirgli niente, dato che voleva che fosse una sorpresa. Era un venerdì, potevano concedersi un pomeriggio di riposo, lontano dai libri. Per di più, la Grifondoro aveva una voglia impellente di suonare un po’ il pianoforte, per continuare a studiare un brano che le stava piacendo molto di Bach.

Si trovarono fuori dalla Sala Grande e Lily gli andò incontro raggiante. Il ragazzo si accorse che non aveva la borsa colma di libri, ma stringeva sotto un braccio dei piccoli fascicoli, o meglio degli spartiti.

“Niente biblioteca?” chiese lui sorpreso “Io non...”. 

La giovane lo prese per mano, portandolo con entusiasmo verso la Stanza delle Necessità.

“Un po’ di relax non ci farà di certo male... Penso che ne abbiamo bisogno, tutti e due” osservò lei e Severus capì che Lily aveva visto giusto, andando oltre quei silenzi un po’ più lunghi ed i suoi occhi neri persi nel vuoto, cosa insolita per lui.

Il Serpeverde si fece trascinare piuttosto contento fino alla Stanza delle Necessità, sentendosi già più rinfrancato rispetto a prima. Oltretutto, gli piaceva rimanere vicino a Lily mentre si metteva a suonare il pianoforte, anche se, esagerata com’era, ne faceva comparire di ogni tipo: dal clavicembalo, alla celesta, al fortepiano. Una volta, aveva persino fatto comparire una tastiera risalente al 1500, il virginale, che veniva considerato uno strumento portatile, chiuso in assi rettangolari di legno, decorate perlopiù con fregi di foglie. A Sev, però, non piacevano i suoni pizzicati, preferiva i martelletti del pianoforte che percuotevano dolcemente le corde. 

I due entrarono nella Stanza delle Necessità, dopo essersi assicurati che il custode Gazza non fosse nei paraggi con la sua insopportabile gatta. 

Severus si trovò davanti al solito trionfo di tastiere e vide il solito grande pianoforte a coda nero che Lily usava ogni volta, dopo aver saltellato da una tastiera all’altra.

“Merlino, Lily, non potevi prendere un pianoforte come quello che hai a Cokeworth?”  le aveva chiesto, una delle prime volte che si erano trovati in quella stanza.

“Non avrò mai un pianoforte a coda, a casa” rispose lei, mentre si sedeva sul seggiolino, e lo regolava, ruotando le piccole manopole a lato “E poi, non sarò mai una pianista di professione, quindi, almeno qua, mi concedo di sognare con un gran pianoforte da concerto”. Lo sguardo di Lily si era fatto lievemente più malinconico, come se provasse amarezza per quel sogno mancato.

“Tu per me rimarrai sempre una brava pianista” aveva osservato gentile Severus, strappandole un grande sorriso. 

Quel giorno, Lily andò decisa verso il suo pianoforte e si accomodò. A volte non sapeva spiegarsi quell’urgenza di mettersi subito a suonare. Quello stato d’animo le faceva scivolare le dita sui tasti neri e bianchi, a volte la faceva sbagliare, presa dalla foga di suonare, e la costringeva a ricominciare dalla battuta precedente. A volte la faceva sentire molto rigida sulla tastiera, dando vita a suoni duri e taglienti, poco gradevoli e carezzevoli.

Ma quel giorno, voleva trasformare quell’energia in dolcezza e delicatezza, dato che il brano che si apprestava a suonare era stato pensato per essere tale. Non solo, però: voleva che quella tenerezza arrivasse a Severus, in modo che potesse sentirsi meglio, anche solo per qualche minuto.

Quel Siciliano, tratto dalla Sonata per Flauto No.2 di Bach, per lei era diventato la massima espressione della dolcezza, che la faceva sfiorare i tasti, come se i suoi polpastrelli si fossero fatti morbidi come petali e tasti fossero una pelle delicata da toccare appena. Sperò di poterlo suonare al meglio, mettendoci l’intenzione giusta. 

Aprì lo spartito, che aveva letto e che si era studiata per qualche tempo rigorosamente a mani separate, e lo appoggiò sul leggio. Severus si era seduto poco distante, sul seggiolino appartenente ad un fortepiano e stava per tirare fuori qualcosa dalla borsa, ma Lily lo fermò con decisione.

“Niente libri! Ascolta e basta” esclamò la ragazza, intanto che appoggiava le mani sulla tastiera e le scaldava un poco, articolando bene le dita.

Di fronte ad un ordine simile, Severus lasciò i libri lì dov’erano e si concentrò sulla musica proveniente da quello strumento, capace di zittire il ticchettio della pioggia così persistente. Era come se persino le gocce diventassero silenziose, per rispettare quella melodia così cullante.

Il ragazzo osservò la ragazza che s’impegnava nel suonare a due mani, nel mettere assieme quelle battute che aveva imparato con profitto, dando loro coerenza ed armonia. Ad un certo punto, si sentì totalmente ghermito da quella melodia, si sentì più sereno e sollevato. Per qualche breve istante, ciò che gli pareva prima complicato, ora gli sembrava più semplice da affrontare.

Spinto dal ritmo andantino del brano, si disse che poteva spiegare tutto a Lily e per quanto odiasse interromperla, si fece più vicino a lei ed era intenzionato a non attendere un minuto di più. 

Eppure, quella canzone procedeva leggera e sognante, ed esitò ancora un po’, prima di interromperla, dato che Lily riusciva a suonare con una certa scioltezza. Ma non sapeva che la ragazza lo stava tenendo d’occhio e stava sentendo il tumulto dei demoni di Severus, nonché i suoi. E con la musica li stava tenendo a debita distanza, provando una volta di più che la musica fosse veramente la magia più potente di tutte.

Sapeva di poterlo aiutare, di poterlo rincuorare, farlo stare meglio. Non attraverso le parole, almeno non subito, ma era in grado di distrarlo con leggerezza.

Lily s’interruppe e appoggiò le mani in grembo, voltandosi sorridente verso Severus.

“Ti piace?” gli chiese.

“E’ b-bello” rispose lui, con gli occhi scintillanti, preso un po’ in contropiede. Era bellissimo, e lo era ancora di più dal momento in cui lo stava suonando lei, con i capelli raccolti e fermati da una piuma per scrivere, per evitare che le cascassero in avanti.

Lily si alzò dal seggiolino e gli fece segno di sedersi.

“Siediti qua e suona con me” gli propose.

Severus sobbalzò.

“Ma non so suonare il pianoforte!” obiettò un po’ nervoso. Che aveva in mente, quella ragazza sorprendente?

“Puoi sempre imparare!” disse lei, prendendolo per un braccio ed invitandolo a sedersi dove era stata lei fino a qualche attimo prima. 

Severus avvertì tutti i suoi demoni ruzzolare giù dalla schiena, per quanto qualcuno poco graziosamente rimanesse aggrappato al lungo mantello nero, dai bordi delle maniche verde scuro. Perché non provare a rilassarsi?

Si sedette, un po’ teso: vedere le persone suonare era un conto, trovarsi di fronte una tastiera che attendeva il tuo tocco, era decisamente un’altra cosa. Lily era dietro di lui, con le mani appoggiate sulle sue spalle.

“Come sei teso!” disse, stringendole forte tra le se dita “Rilassa le braccia, falle cadere lungo il tuo corpo - Severus obbedì - ottimo, così”.

Lily con la mano destra afferrò il braccio destro di Severus.

“Lascia che ti guidi io” gli spiegò, mentre sollevava il suo braccio - “Merlino, Sev, sei un pezzo di legno! Distenditi!” gli diceva ridendo - e gli appoggiava la mano sulla tastiera. Ripeté l’operazione con il braccio sinistro, e Severus si sentì un po’ spaesato, ma allo stesso tempo deliziato di poter provare un’esperienza unica in vita sua.

Gli venne da schiacciare qualche tasto a caso e Lily parve leggerlo nel pensiero.

“Schiaccia pure i tasti, mica ti mangia!” disse la ragazza, guidando le sue dita nella pressione dei tasti color avorio. Il ragazzo provò una strana emozione nel sentire quel suono, prodotto dalla sua mano su quel tasto - che nota era, peraltro? Lui non le sapeva leggere - e si godette quella vibrazione nell’aria, così fragile e tenera. Lily era ancora dietro di lui, ma era sicuro che stesse sorridendo contenta. Avvertì le labbra di lei appoggiarsi sui suoi capelli, schioccandogli un bacio. 

“Era un sol! Bravo!” disse lei, mentre si sedeva accanto a lui e mentre sistemava un altro spartito, ad una rapida occhiata molto più semplice di quello di Bach. Lily gli spiegò che era un semplice valzer a quattro mani, e che lui aveva da suonare solo tre note, con una mano sola, ma doveva tenere bene il tempo.

Lasciò che suonasse e provasse a lungo, e lentamente il polso del ragazzo si fece più morbido, così come il suono. Lily, senza dirgli nulla, iniziò a suonare con lui. 

Era difficile stare concentrati sulla propria melodia, quando c’era un’altra persona a suonare al proprio fianco, pensò Severus, ma ce la mise tutta. 

Il ragazzo si sentiva molto più leggero, provava quella pace - armonia, forse? - che Lily doveva avvertire ogni volta che si metteva a suonare. Era un sentimento sublime, che calmava qualsiasi turbamento o ansia. Era paragonabile a quella sensazione soave che sentiva esplodere nel cuore quando si trovava tra le braccia della ragazza accanto a lui. 

Era più disteso, più calmo, stava bene e sentiva di poter affrontare tutto e tutti. 

Le ultime note riecheggiarono per qualche secondo, per poi spegnersi nell’aria, che si era caricata di tenerezza e di affetto. La pioggia non cadeva più, dato che qualche pallido raggio di sole filtrava dalle alte finestre della Stanza delle Necessità. 

Lily aveva ancora le mani sulla tastiera e Sev ne allungò una verso i capelli mossi della ragazza, prendendoli tra le mani, attorcigliandoli tra le sue dita, come se fosse una grande matassa di lana soffice. Con dolcezza, attrasse la ragazza a sé e le diede un bacio, mentre Lily scoppiò a ridere perché non aveva ancora tolto le mani dal pianoforte e si stava sbilanciando verso di lui, con il rischio di cadergli addosso. Con una mano si aggrappò alla spalla di Sev, mentre con l’altra si appoggiò alla mano del ragazzo ancora sulla tastiera. Un piccolo accordo stonato uscì dalla cassa dello strumento, ma poco importava quel sovrapporsi di diesis, bemolli e note naturali, perché erano concentrati su quel bacio lento e dolce. Avevano trovato la loro armonia in quel movimento di labbra, noncuranti del fatto che le loro dita continuassero a toccare e sfiorare i tasti, lasciando che stonassero liberamente. 

Sev si staccò di scatto dalle labbra di Lily e le sistemò i capelli dietro l’orecchio, per poi avvicinarvisi e mordicchiare il lobo affettuosamente. La ragazza si agitò e si lasciò sfuggire una risata divertita. Si era accorto che quello era uno dei suoi punti deboli, e quando era di buonumore, si divertiva a stuzzicarla. Lily agitò le gambe e portò le mani sui fianchi del ragazzo, e prese a pizzicarli e a solleticarli con forza.

“Basta! Basta!” implorò lei, ma lui non sembrava darle molta retta, continuando ad appoggiare le labbra dietro l’orecchio di lei. 

Dov’erano quei pestiferi e fastidiosi demoni? Erano stati scrollati via, dalle note, dalla certezza di non essere più davvero soli. Perché a Severus non importava chi fosse veramente Lily. Le importava averla lì, in quel preciso istante di tempo, al suo fianco, come persona da proteggere, ma anche come colei che l’avrebbe sempre sostenuto ed ascoltato. Ed era giunto il momento di dirle qualcosa di molto serio ed importante.

 

“Lily, ascoltami, per favore”.

Il momento del gioco, dello svago, si era dissolto nell’aria, le note non riecheggiavano più, lasciando il posto ad un silenzio carico di tensione e di attesa.

Anche la luce pareva essere mutata: non era più quella luce dorata e delicata che fa la sua comparsa mentre piove con meno insistenza, ma si era fatta via via più plumbea e meno vivace.

Lily avrebbe voluto giocare d’anticipo e avrebbe voluto fermarlo, per dirgli che pure lei aveva da dirgli qualcosa di urgente da dirgli.

La musica era svanita, ma era rimasta una certa pacifica apertura verso l’altro. Una predisposizione all’ascolto, alla comprensione reciproca e attorno a loro regnava un’assenza di timore verso il confronto. 

La ragazza si fece di colpo seria, attenta e appoggiò le proprie mani sulle ginocchia di Severus. Creò quel contatto visivo che era solita cercare nel suo ragazzo ed annuì, permettendogli di parlare.

“Vedi... Alla prossima cena del Lumaclub, ci sarà Lucius Malfoy” esordì, con quella solita immancabile certezza di non essere un bravo oratore. 

“Lo so, non so quante volte l’abbia già ripetuto il professore” osservò Lily.

“No ecco, c’è dell’altro e non so quanto ti possa far piacere quello che sto per dirti”.

Lily si fece più attenta e raddrizzò la schiena, come se qualcosa l’avesse punta. Quando Sev diceva così, c’era effettivamente da preoccuparsi.

“Mulciber ed Avery hanno chiesto di partecipare anche loro alla cena...”.

“COME SCUSA?!” la ragazza strinse le mani sulle ginocchia del ragazzo con molta forza, quasi volesse staccargli via gli arti con una semplice stretta. Severus evitò accuratamente di dirle che avevano pregato lui affinché potesse convincere l’insegnante ad ammetterli alla cena.

Evitò accuratamente di confessarle che non solo Lumacorno aveva acconsentito a farli partecipare all’incontro con Malfoy, ma che Sev stesso era stato spinto da Silente a tirare in mezzo i suoi due compagni di casa, in modo tale che potesse avere qualche prova in più dei loro legami con quell’uomo viscido e molto sospetto. Le doveva bastare l’avvertimento di stare molto attenta a quei tre.

“Lumacorno si sarà opposto, spero” osservò indignata Lily, con una gran voglia di Pietrificare i due Serpeverde.

Sev trattenne il fiato e rimase senza parole, non sapendo come risponderle.

“...Vuoi dire che verranno?” chiese la ragazza, lanciando uno sguardo fosco al giovane, che per tutta risposta annuì, facendo in modo di non guardare altrove, ma di mostrarsi sicuro.

La Grifondoro voleva sbattere il coperchio dello strumento con rabbia e nervosismo, ma il proprio ragazzo la fermò, afferrandole il polso ed inchiodandola con lo sguardo. Quella sfuriata irrazionale e dettata dall’impulsività non avrebbe giovato a nessuno e non avrebbe risolto la situazione. Non era più il momento di lasciarsi andare a moti di stizza gratuiti.

“Ascoltami” riprese il ragazzo, bloccandole saldamente il polso “Quello che ti chiedo è di stare alla larga da Mulciber ed Avery”. Dove aveva trovato quella calma, quella determinazione? Si era domandato Sev, in un lampo di consapevolezza di non essere più così cronicamente insicuro. Lily lo guardava come se avesse davanti un adulto che la stava rimproverando e che la stava facendo tornare in sé.

Le stava per scappare un “Sono loro che devono stare alla larga da me”, ma quello sguardo così determinato la fece tacere.

“E soprattutto, non rivolgere la parola a Lucius Malfoy, non dare informazioni su di te a quell’uomo… Non ci…” si bloccò per un attimo, pensando che si sarebbe tradito, e si corresse “Non mi fido di lui. Lascia che Lumacorno dica quanto sei brava in Pozioni ed è sufficiente”.

Lily annuì, con gli occhi verdi sinceramente preoccupati. Sev mollò la presa sul polso della ragazza, che se lo massaggiò delicatamente. Al ragazzo dispiacque di essere stato così duro.

“Ma che ha di tanto particolare questo Lucius Malfoy?” osò chiedere lei, immaginando di essere rimasta all’oscuro di qualcosa. Qualcosa che i Serpeverde non divulgavano molto volentieri.

“Si dice” e mai formula impersonale fu più efficace “che abbia qualche legame sospetto con…”.

“Con?” lo incalzò lei, trattenendo il fiato.

“Il Signore Oscuro” rispose secco lui, guardandola con aria grave e seria.

Lily rimase senza parole. Non aveva altro da fare che dirgli quello che aveva scoperto negli ultimi giorni circa le sue origini e gli Evocatori. Essere discendente da tali maghi e potenziale membro di una delle Confraternite più antiche del mondo magico era un’informazione da tenere accuratamente alla larga da un individuo sospettato di avere legami con Lord Voldemort.

Protetti da quell’aura di serenità ancora persistente attorno a loro, sentivano di poter affrontare più argomenti spinosi e delicati, fondamentali per il loro futuro, e in parte per l’avvenire di coloro che avevano attorno.

“Severus” esordì lei, rompendo quel silenzio persistente “Ho qualcosa da dirti anche io”.

“Non so nemmeno da che parte iniziare, quindi cercherò chiara: sono un’Evocatrice. No, aspetta…” Lily si tormentò le mani, mordicchiandosi un labbro.

“I miei antenati sono degli Evocatori, delle mie antenate, molto più probabilmente”.

“E pensi di esserlo anche tu?” le chiese incoraggiante il ragazzo.

“Sì” rispose diretta e senza esitazioni la giovane, che estrasse il ciondolo con l’albero inscritto dentro un cerchio di nodi celtici, al quale Severus oramai aveva fatto l’abitudine.

“Miranda Lynch, la tua amica, evidentemente lo sapeva prima che tu potessi scoprirlo” attestò il ragazzo, allungando le dita verso il ciondolo, per sfiorarlo ed accarezzarlo.

Lily sospirò e per qualche breve istante le ripassò davanti Miranda che la guardava con curiosità sull’Hogwarts Express e che diceva quel “Tu sei come me” che aveva avuto il medesimo effetto di una valanga con la neve soffice e acquosa di fine inverno.

“Già. Ma non ho finito” aggiunse la ragazza, aggiustandosi i capelli rossi in una coda, questa volta fermandoli con un elastico che aveva trovato in una tasca della borsa.

“Gli Evocatori, da quello che ho letto nel libro, sono sempre stati perseguitati, che fossero rifugiati in Scozia o che fossero in Irlanda, dal Dearg Slèabua…”.

Sev si appoggiò con un gomito al pianoforte, al quale aveva coperto i tasti con il coperchio nero e laccato. Aveva un’aria pensierosa, dato che la sua mente cercava di rimettere assieme in maniera coerente tutti gli indizi e le informazioni che aveva raccolto in quelle frenetiche settimane.

“Mi avevi scritto qualcosa al riguardo sul diario. Hai trovato altro su quella setta?” chiese il ragazzo, dispiaciuto di non aver potuto aiutare di più la propria ragazza.

“E’ proprio questo il punto. Il Dearg Slèabua è stato fondato da Salazar Serpeverde, una volta fuggito da Hogwarts, al fine di poter eliminare i maghi dalle origini non Purosangue non solo dalla Scozia, ma da tutta l’Inghilterra e dall’Irlanda. E aveva stabilito che, in caso di fallimento, il Dearg Slèabua si sarebbe sciolto…”

“Lily, fermati! Come Salazar Serpeverde ha fondato il Dearg..?” chiese Sev, che iniziava a non trovarsi più nella matassa intricata di informazioni che gli stava dando la Grifondoro.

La ragazza si batté la fronte con una mano.

“Certo, non te l’ho detto! Nathair in gaelico irlandese vuol dire serpente!”. Il fondatore di Hogwarts fuggiasco aveva cambiato nome, pur lasciando intendere, a chi capisse l’irlandese, la sua origine.

“E questo movimento ora non esiste più?”. Al Serpeverde stava venendo un grosso, grossissimo dubbio, o meglio, sospetto.

Lily aprì la borsa e riversò sulla cassa armonica ben chiusa, tutte le pergamene che aveva con sé. Molte di esse contenevano appunti preziosi presi dal volume – il provvidenziale volume – di Morinn Asnavor. La ragazza ne esaminò alcune prima di parlare nuovamente.

“Nel libro dice che il Dearg Slèabua sarebbe stato riformato solo ed esclusivamente dall’Erede di Salazar Serpeverde, quando avrebbe trovato nuovi adepti desiderosi di portare a termine il compito lasciato dal fondatore”.

“Lo stesso Erede che avrebbe dovuto aprire la Camera dei Segreti” osservò Severus. Per quanto quel luogo fosse una leggenda per molti professori e studenti, i due giovani erano convinti che quel luogo esistesse, dando così peso alle voci che volevano non Rubeus Hagrid, ma qualcun altro, ad aver aperto quel luogo tetro ed oscuro qualche decennio prima. Il buon guardiacaccia di Hogwarts non avrebbe mai e poi mai fatto del male a chicchessia. Doveva essere stato qualcun altro di molto più infido, di malvagio. Qualcuno che sapeva bene come mentire e come vendere le sue menzogne, per poter agire indisturbato.

Lily e Sev si guardarono, presi da un’illuminazione e dissero in coro: “Che HA APERTO la Camera dei Segreti!”.

La Grifondoro aggiunse: “…E che ora sta cercando di riformare il Dearg Slèabua, reclutando nuove leve, come Mulciber ed Avery!”. Lucius Malfoy non era altro che uno dei tirapiedi di Lord Voldemort, e sicuramente era coinvolto nella Confraternita Oscura – così veniva chiamata in altri termini l’organizzazione di Salazar Serpeverde.

Severus aveva voglia di abbracciare quella ragazza arguta, dalla mente elastica e brillante. Preso dall’entusiasmo dovuto alla scoperta, non si negò quel gesto, e la strinse con tenerezza tra le sue braccia. Aveva in mano qualcosa di veramente scottante da dare in mano a Silente: potevano eliminare i Mangiamorte del Signore Oscuro e il Dearg Slèabua in contemporanea, nelle dovute condizioni favorevoli. 

Si sentiva in una posizione di forza e doveva dire tutto a Silente, quella sera stessa; anche se, la sua apprensione nei confronti di Lily non accennò a diminuire, anzi.

“Lily non farti scappare nulla circa le tue origini davanti a Malfoy… Se fosse davvero un servitore di Lord Voldemort…” la pregò. A maggior ragione, se fosse saltato fuori davanti all’uomo che Lily era un’Evocatrice, sarebbe stato molto più semplice poterla eliminare in vista di un conflitto futuro.

“Lo so! Guarda che non sono tonta, eh!” esclamò lei, indignata, capendo comunque la preoccupazione del ragazzo, al quale non importava affatto che Lily fosse una Nata Babbana, una Grifondoro, un’Evocatrice, o semplicemente una brillante studentessa. Era Lily, la ragazza che lo aveva conquistato e che condivideva ogni cosa con lui, e quello valeva più di mille limitanti definizioni.

 

Erano usciti di corsa dalla Stanza delle Necessità, ognuno con il bisogno impellente di parlare con una persona diversa. Lily corse a cercare Miranda in biblioteca – fortunatamente, era una ragazza prevedibile nelle sue abitudini, e non che ad Hogwarts si potesse fare molto altro; mentre Sev si diresse verso lo studio del Preside Silente, al quale comunque non era intenzionato di dire che Lily Evans fosse una potenziale Evocatrice, onde evitare che potesse essere coinvolta negli affari dell’Ordine della Fenice, o peggio ancora, messa in prima fila a combattere contro i Mangiamorte. Conoscendola bene, spericolata come stava diventando, non si sarebbe meravigliato se si fosse lanciata verso i servitori di Lord Voldemort alla prima occasione utile, spinta da qualcuno che ne avrebbe esaltato le doti di maga per il proprio scopo.

Ciò che ignorava era che, prima o poi, qualcun altro avrebbe detto di Lily al potente mago, che inevitabilmente l’avrebbe messa nel suo grande scacchiere pieno di persone agguerrite pronte per combattere con lui e per lui, ma anche contro di lui.

Severus pronunciò con molto imbarazzo la parola d’accesso all’ufficio di Silente – “Come si fa ad avere in mente parole d’ordine così tanto ridicole?” pensava il Serpeverde, sentendosi un po’ superiore a quelle bambinate – e salì i gradini con una certa fretta, ma sicuro di sé. Che cosa era successo dentro quella Stanza? Che incantesimo avevano fatto per farlo sentire così, più maturo e determinato, lui che si metteva sempre in discussione, quando si trattava di dover affrontare argomenti spinosi e delicati?

I piccoli demoni non osavano più arrampicarsi sulla sua schiena, perché sarebbero finiti a terra in un colpo solo. Stavano a distanza, timorosi di essere eliminati una volta per tutte da quella nuova sicurezza che spingeva Severus.

Stava maturando, ma il diretto interessato se ne accorgeva a grandi miglioramenti, a grandi balzi, tanto grandi da spaventarlo, perché gli sembrava di essere troppo diverso da prima.

Trovò il Preside che accarezzava le piume di Fanny, appollaiata sul suo trespolo e Severus vide il Pensatoio ben in esposizione, con quella sostanza eterea scintillante e galleggiante al suo interno. Sembrava che il mago lo avesse appena utilizzato per rivedere dei ricordi e delle memorie a lui importanti.

Silente sembrava corrucciato, ma si rischiarò vedendo il ragazzo e la sua aria che preannunciava buone notizie, o perlomeno interessanti.

Lo fece accomodare e lo ascoltò, stando sempre in piedi, presso la finestra, ma lo ascoltò con curiosità ed attenzione, non interrompendolo, lasciando che potesse esporgli tutta la sua precisa ricostruzione dei fatti.

Finita la spiegazione di Severus, Albus Silente parve molto soddisfatto.

“Quindi vuoi dirmi che chi ha aperto la Camera dei Segreti trentatré anni fa, ora sta cercando di riformare il Dearg Slèabua?”.

Il Serpeverde annuì.

“Immagino a questo punto con un obiettivo molto più grande che eliminare solo le varie Confraternite, e in particolare quella degli Evocatori…” constatò Silente.

“Temo che Mulciber ed Avery abbiano intenzione di diventare Mangiamorte e membri della Confraternita Oscura, per uccidere i maghi Nati Babbani” ipotizzò il ragazzo.

“Lord Voldemort non sta lasciando nulla di intentato per realizzare il suo progetto che ha dovuto lasciare a metà, quando ha cercato di aprire la Camera dei Segreti” osservò Silente.

Severus aveva un vago sospetto che Lord Voldemort potesse essere l’Erede di Serpeverde, ma si era accontentato di pensare ad un qualsiasi Serpeverde come Lucius Malfoy.

Silente parve molto contento che i suoi decennali sospetti venissero finalmente confermati.

“Non mi sono mai fidato di Tom Riddle e delle sue accuse rivolte ad Hagrid a suo tempo. Quel ragazzo aveva l’incredibile dote di ammaliare tutti. Ammetto che fosse un ragazzo dalle facoltà portentose, ma non mi sono mai fidato fino in fondo. C’era qualcosa di troppo strano in lui e ora ne ho la conferma” tacque per qualche secondo “Il fatto che ci sia lui dietro sia i Mangiamorte, sia al Dearg Slèabua ci può rendere le cose più semplici, ma anche più difficili”.

“Lord Voldemort è a capo di tutto” tentò di dedurre il ragazzo “Ma non penso che sia così sprovveduto da affidare la gestione dei due gruppi alla stessa identica persona”.

“Ed è per questo che comunque sarà necessario dividere l’Ordine della Fenice in due gruppi d’azione” osservò il Preside con fare pratico “Tuttavia, ciò non toglie che quello mi hai detto questa sera sia molto prezioso ed io te ne sono molto grato”.

Severus non sembrò dare retta a quelle parole di Silente, e parve più curioso di vedere in quali memorie si fosse immerso il Preside poc’anzi. I suoi occhi puntavano al bacile in pietra decorato con delle rune, sapendo che in vita sua, forse, non avrebbe mai utilizzato un simile oggetto magico. Silente, ad ogni modo, sapeva molte cose sulle Confraternite, soprattutto su quella fondata da Salazar Serpeverde, e fu seriamente tentato dal fargli una domanda indiscreta, alla quale non pensava di poter ottenere una risposta tanto onesta.

“C’era qualcosa che desideravi chiedermi, Severus?” fece il Preside tutto ad un tratto avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sulla spalla. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui qualcuno di diverso dalla propria ragazza o da sua madre avesse cercato un timido contatto fisico.

Il ragazzo esitò appena, ma poi si decise a porgli quella domanda.

“Quello che stava guardando là” ed indicò con un dito il Pensatoio “Ha a che fare con le Confraternite e Lord Voldemort?”.

Gli occhi azzurri di Silente si velarono di malinconia e guardarono l’oggetto magico con aria grave.

“Sei proprio sicuro di voler vedere perché so molte cose al riguardo?”.

Il giovane non aveva idea di che cosa si sarebbe trovato davanti. Segreto più o segreto meno, tanto valeva averne un altro da custodire.

Severus annuì, non privo di una certa curiosità.

“Questa memoria prima di adesso mi sembrava solo un capitolo doloroso della mia vita. Ma gli errori di gioventù non si dimenticano mai per un motivo preciso: per potersi migliorare per il resto dei propri giorni e di riparare al danno fatto”.

Silente fece segno al Serpeverde di alzarsi e di seguirlo presso il Pensatoio. Sev ebbe la certezza che anche il potente Preside di Hogwarts avesse avuto la sua piccola orda di demoni sulle spalle e sulla schiena. Con la differenza che lui non li aveva cacciati via, li aveva imbottigliati ed intrappolati nel passato, per evitare che intaccassero il suo futuro.

 

* * * 

 

 

Ahh, il fluff tra Severus e Lily al pianoforte. La musica mette armonia e coraggio nei nostri due intrepidi bambini! <3 Perché era questa la mia intenzione, di distenderli e di farli tornare alla carica! Ma Silente ha qualche segreto nel Pensatoio... E ci sarà Grindelwald in quel ricordo, oh sì. I cattivi sono tutti legati a doppio filo e hanno tutti un motivo d’esistere qua! E poi, Silente ripeto che non è perfetto e l’aura di santità e perfezione cade ad un certo punto nei sette libri. Ma comunque gli errori adolescenziali servono per migliorarsi <3 E Severus capirà anche perché Albus è così determinato - forse troppo - a sconfiggere il male, senza mezzi termini. E nel prossimo capitolo avremo il nostro simpatico Lucius a farci compagnia!

 

Ho esaurito le parole per potervi ringraziare, ed esprimere tutta la mia gioia per questo affetto nei confronti di Irish Rain! :D Mi fate scrivere con gioia :D

 

Come sempre,  eccovi la mia pagina Facebook e la canzone! A questo giro sono due.

 

Florence + The Machine.

Siciliano di Bach, facente parte della Sonata per Flauto no.2 BMW 1031.

 

Un bacione,

Ale <3

 

 

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Capitolo 33
*** Human Behaviour ***


33.

Human Behaviour

 

“There's definitely, definitely, definitely no logic

To human behaviour

But yet so, yet so irresistible

And there's no map

They're terribly moody

And human behaviour

Then all of a sudden turn happy

But, oh, to get involved in the exchange

Of human emotions is ever so, ever so satisfying”

Björk - Human Behaviour

 

Severus si avvicinò a quella materia lattiginosa e sfuggente contenuta nel bacile. Gli parve una nebbiolina poco più densa di quella che invadeva i campi circostanti Cokeworth nei mesi più freddi. Esitò, incerto, forse lievemente intimorito da ciò che avrebbe potuto trovare al di là di quella coltre argentea. 

“Coraggio, Severus” lo esortò con una certa gentilezza il Preside, poco più dietro di lui. 

Il ragazzo si chinò sul il Pensatoio e v’immerse il viso, avvertendo istantaneamente un soffio d’aria fredda sulla sua pelle. Poi, si sentì come risucchiato nell’ambiente che si andava delineando davanti ai suoi occhi. Non venne trascinato dentro quella memoria con brutalità, come aveva temuto, ma con una certa gentilezza, come se qualcuno d’invisibile lo stesse strattonando per la manica del mantello. 

Si trovò in quella che sembrava senza ombra di dubbio un villaggio magico, le cui case erano di muri spessi di pietra e talvolta di legno. Ai suoi occhi, era abbastanza evidente che quel tipo di alloggi fossero di un’altra epoca e, a giudicare da come era abbigliato qualche sparuto mago che compariva di tanto in tanto, doveva essere la fine dell‘800, al massimo i primi anni del ‘900. 

Severus si dovette abituare all’idea che attorno a lui ci sarebbero stati rumori e suoni diversi rispetto a quelli della sua epoca. In lontananza, poteva sentire il galoppare dei cavalli che trainavano dei calessi, le cui ruote, a contatto con la strada più sporca e di certo non asfaltata e dalla superficie regolare come negli anni settanta, sollevavano grosse nuvole di polvere. Era estate, probabilmente Giugno o Luglio, guardando i campi di grano oramai dorato e prossimo alla mietitura.

Il ragazzo si rese conto di potersi muovere piuttosto liberamente, pertanto si guardò attorno alla ricerca di un’indicazione che gli mostrasse il nome del villaggio. Trovò un grosso pannello in legno riverniciato di bianco - un bianco oramai sporcato e rovinato dalle intemperie - e una grossa scritta in caratteri piuttosto leggibili: Godric’s Hollow.

Nel momento in cui si avviò verso la piazzetta centrale, costituita da delle semplici panchine e una fontana al centro dei pochi edifici circostanti, una figura incappucciata apparve dietro di lui. Camminava piuttosto rapida, sembrava estremamente di fretta, ma Severus non ci fece caso mentre gli passava di fianco, chiedendosi piuttosto come quell’individuo potesse sopportare la calura del sole, sotto quell’indumento pesante. La persona misteriosa, come se avesse sentito il Serpeverde, si tolse di dosso il mantello ed il relativo cappuccio, ricacciandolo nella bisaccia che si era portato appresso. 

Il ragazzo si accorse che non poteva essere visto dagli abitanti di Godric’s Hollow, per cui si prese la libertà di avvicinarsi a quel mago apparso poco prima, per poterne vedere i lineamenti con esattezza.

Severus si rese conto che era un ragazzo, poco più grande di lui e Lily, sicuramente aveva appena concluso i propri studi a Hogwarts, si era detto. Era molto alto, dalla costituzione non gracile, ma non era neppure troppo grosso. Alla luce del sole, i capelli biondi rilucevano, ed erano esattamente del colore delle spighe di grano nei campi poco distanti; gli sfioravano le spalle, coperte da una camicia chiara ad ampie maniche a sbuffo. La carnagione era molto pallida, a tal punto da sembrargli un po’ malato e fragile, ma gli occhi azzurri gli sembravano molto vigili ed attenti.

Il giovane riprese a camminare, lasciando la piazzetta centrale, e il Serpeverde lo seguì rapidamente. Il biondino s’infilò in un vicolo di poche case a schiera e arrivò all’ultima abitazione della viuzza. A Severus quel silenzio faceva molta specie: poteva sentire il vento estivo soffiare sugli alberi, il trottare in lontananza delle carrozze, ed il rumore degli stivali del giovane davanti a lui, ma poco altro. Niente chiacchiericcio, niente musica, niente di niente. Anche ad un ragazzo quieto e tranquillo come lui, quel nulla parve fin troppo pesante.

Il mago oltrepassò il cancelletto, fatto di assi di legno scalcagnate e da fissare nuovamente con qualche chiodo e pochi colpi di martello, dirigendosi verso la porta della piccola casa, che sembrava socchiusa e leggermente cigolante. In generale, quell’abitazione e quel giardinetto sembrano decisamente trascurati, come se mancasse qualcuno a prendersene cura. Il ragazzo biondo saltò agevolmente i tre gradini che lo separavano dalla porta e vi entrò, facendo ben attenzione a non far troppo rumore. Sev corse verso l’ingresso, temendo di rimanere chiuso fuori, e si trovò in poco nell’atrio della piccola casa. 

Davanti a lui, il giovane biondo stava salutando un suo coetaneo, un po’ più basso di lui, ma con i capelli rossicci e il viso dai lineamenti più puliti e delicati rispetto all’interlocutore.

Severus guardò bene quel ragazzo dal bel viso e si accorse che era nientemeno che Albus Silente da giovane. Si trattenne dal cacciare un urlo di stupore, e si avvicinò agli altri.

“Gellert! Finalmente, ti stavo aspettando” disse il giovane Silente, con l’aria preoccupata di chi ha atteso fin troppo a lungo. 

C’era una luce splendente e sincera nei suoi occhi, come se fosse al colmo della felicità nel rivedere quel ragazzo alto e distinto, come se non avesse atteso che quel pomeriggio, spasmodicamente, per averlo in casa.

A ben pensarci, e a ben osservare Gellert - Sev sperava di aver compreso correttamente il nome del biondino - anche lui non sembrava totalmente nuovo agli occhi del Serpeverde. E quel ragazzo aveva un qualcosa di inquietante e di sinistro, che bruciava lento nelle sue iridi chiare, ed ardeva simile ad una candela lenta a sciogliersi.

“Vieni” disse laconico e con una voce un po’ troppo aspra per essere un giovane mago. Quell’accento metteva in risalto le sue origini tedesche in maniera chiara ed inequivocabile.

I due salirono le scale e Severus li seguì, salendo i gradini rapidamente, continuando ad affannarsi a non fare il minimo rumore sospetto, per quanto non avrebbero mai potuto udirlo.

“Ariana riposa?” chiese Gellert, lanciando un’occhiata alla porta chiusa che dava sull’angusto corridoio del piano di sopra. Albus rispose con un cenno affermativo del capo.

“Dov’è Aberforth?” proseguì duro e guardingo il ragazzo tedesco, stringendo con mani gelose la bisaccia che si portava dietro.

Albus gli sorrise lievemente, nel tentativo di stemperare la tensione, sfiorandogli un braccio con una mano.

“Non temere, lui è fuori e non tornerà prima di sera, forse a notte inoltrata”.

Detto questo, l’altro s’infilò nella stanza del giovane Albus, con passo veloce, che seguì l’amico. Dato che avevano appena socchiuso la porta, Severus poté avvicinarvisi e intravvedere le due figure nella stanza, rimaste in piedi davanti ad un tavolo. La bisaccia di Gellert era stata appoggiata sulla superficie legnosa e sotto di essa sbucava qualche pergamena e un grosso libro aperto, dalla copertina rossastra. 

“Le hai trovate?” chiese con una certa ansia ed anticipazione il giovane Silente, rivolgendo il proprio sguardo sulla borsa, senza osare toccarla, dato che Gellert vi aveva appoggiato una mano sopra, con fare protettivo.

Il tedesco fece un sorrisetto pieno di furba soddisfazione.

“Gellert Grindelwald trova sempre tutto” disse e Sev dovette fare un grande sforzo per non sobbalzare o agitarsi e trattenne il fiato, come si fa sott’acqua. Albus Silente era amico intimo di Gellert Grindelwald? Sembrava in piena adorazione, pendeva dalle labbra del ragazzo. Quello stesso ragazzo che poi, circa quarantacinque anni più tardi, avrebbe sconfitto, condannandolo al buio ed alla miseria del carcere di massima sicurezza di Nurmengard. Severus non riusciva a spiegarsi come potesse essere amico di uno dei maghi oscuri più temuti e potenti della prima parte del secolo. Ma in fondo, si disse, il comportamento degli uomini - maghi o Babbani che fossero - era il più delle volte inspiegabile. Il giovane spettatore si fece coraggio e si avvicinò ai due, oltrepassando la porta d’ingresso.

I vetri e gli specchi sembravano lastre piene di sangue, dato che il sole infuocato stava calando dietro i colli non troppo alti che circondavano Godric’s Hollow e tutto quel rosso intenso inquietava Severus, forse perché si apprestava a scoprire qualcosa di poco piacevole. Non era minimamente paragonabile al rosso dei capelli di Lily, nei quali avrebbe sempre affondato con piacere volto e mani.

Il mago tedesco estrasse dalla borsa due piccole daghe arrugginite, con ancora qualche traccia di terriccio ed erba sull’impugnatura che sembrava finemente decorata. Severus allungò il collo e si spostò freneticamente per vedere, come se si sentisse escluso da quella visione.

Il giovane Albus aveva l’aria estasiata, come se quella fosse una sensazionale scoperta, la cui portata epocale avrebbe cambiato la vita di tutti. Sfiorò con le lunghe dita la lama di uno di quei pugnali, levandone lo sporco e ridandole un po’ di lucentezza. Rivelò tracce di una scritta incisa sul diritto della lama.

“E’ scritto in Rune Antiche” mormorò Silente, cercando di decifrare l’incisione.

Il mio onore si chiama purezza” declamò solenne Gellert Grindelwald “Appartenevano ai membri del Dearg Slèabua. Comunque, ne farò fare delle copie per me e per te, e per tutti coloro che ci vorranno aiutare a riportare in vita la millenaria organizzazione di Nathair...”.

“Per il Bene Superiore” aggiunse Silente con sussiego, afferrando con una mano l’arma ancora troppo sporca per le sue mani delicate, ma lui non ci fece troppo caso.

Genau, mein kleiner Schätzchen” rispose compiaciuto Grindelwald “Domineremo  il mondo e non ci sarà alcun Evocatore, Alchimista, SangueSporco, o mago da strapazzo in grado di contrastarci. Avranno tutti paura di noi e della nostra organizzazione. Ma porteremo il Bene Superiore a tutti coloro che ne saranno degni”. Gellert si mosse verso la finestra e scostò le tende spesse, lasciando che gli ultimi raggi trionfanti di una giornata gloriosa inondassero la stanza, tingendola di arancione, rosso e giallo. Il ragazzo si appoggiò all’intelaiatura della finestra e si beò di quella luce dalle tinte forti. Il giovane Albus lo guardava a distanza, con gratitudine e gioia, come se quel mago venuto da lontano fosse il salvatore che l’avrebbe trascinato fuori da quella miseria fatta di polvere e quattro casupole che rispondeva al nome di Godric’s Hollow. E pareva una creatura mitica, quel ragazzo, avvolto dai fuochi del tramonto, pareva una di quelle divinità discese da un paradiso lontano ed inaccessibile agli umani, che non volevano altro che quell’immortalità e quell’onnipotenza in un luogo al di sopra della terra, al di sopra dell’universo intero. Il biondo dei suoi capelli era divenuto oro, la pelle bianca era una luminosità eburnea. Ma Severus era tutt’altro che affascinato da quel disegno di gloria e non subiva per nulla il fascino inquietante di quel ragazzo straniero. Sapendo chi sarebbe diventato, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di combatterlo in quella stanza. Lo avrebbe fatto davvero, se non fosse stato un intruso in un passato già scritto e già svoltosi. 

“Come ultima cosa” aggiunse Gellert, socchiudendo gli occhi, come se si stesse già immaginando la scena “Arriveremo a controllare l’Albero della Vita, e potremo comandarlo a nostro piacimento, senza che nessun Evocatore protegga i Nove Mondi dell’Oltrevita”.

Così come era stato risucchiato dentro il Pensatoio, uno strattone leggero lo riportò alla realtà. Alzò il capo di scatto, sollevando sbuffi di fumo attorno a sé. Tirò un profondo sospiro di sollievo, e riprese a respirare con regolarità. Sembrava appena tornato da un’immersione nelle profondità del mare, ed in parte era vero: si era immerso nelle profondità della memoria di uno dei maghi più potenti e rispettati del mondo magico, capendo perché era così ossessionato dall’idea di dover combattere il male a tutti i costi. 

Albus Silente aveva accarezzato l’idea di poter diventare potente, molto potente, ma non si era reso conto che avrebbe fatto del male a tutte le persone che aveva attorno. Quella debolezza avrebbe portato dolori e sventure, e in parte era andata così, dando corda a Gellert Grindelwald e rifiutando la realtà che fosse un individuo malvagio. Agli occhi di Sev, un comportamento simile era inconcepibile. Era come se avesse dovuto dire che Lord Voldemort, in fondo, fosse una persona a modo e tanto buona e nobile. Sarebbe stato come ammettere che Mulciber ed Avery fossero due ragazzi per bene.

Il giovane Serpeverde era confuso dal comportamento imprevedibile ed inspiegabile di gran parte del genere umano e forse era anche per quello che aveva difficoltà a rapportarsi con la maggior parte delle persone. Severus cercava la coerenza a tutti i costi, cercava una logica infallibile da adottare in qualsiasi situazione. Preferiva agire a testa bassa, anche a costo di sbagliare, per poi lambiccarsi il cervello affinché potesse comprendere dove la sua logica avesse fallito, piuttosto che illudersi della bontà di un’azione nata male e storta sin da subito, mascherandola di ipocriti nobili intenti e venderla così, malamente infiocchettata ed imbellettata, a tutti coloro che l’avrebbero richiamato al buonsenso.

Albus Silente da ragazzo aveva creduto di poter dominare il mondo dalla cima dell’Albero della Vita, di poter dominare le nove porte che segnavano il passaggio dalla vita ad uno dei mondi ultraterreni. Tutto grazie a quel Bene Superiore che non era altro che malvagità allo stato puro, attorniata da una falsa aura di santità e di nobiltà. E lui stesso aveva provveduto a distruggere quell’impalcatura, proprio lui aveva dato alle fiamme quel castello di carte che aveva contribuito a mettere in piedi.

Severus cercò lo sguardo addolorato di quel mago, che gli parve incredibilmente più vecchio di prima, perché quell’errore gli aveva segnato anima e corpo. Trovò due occhi azzurri pieni di malinconia, lasciando temporaneamente da parte la determinazione, e parvero dirgli di non condannarlo su due piedi, ma di capire il motivo per cui ora lui era quello che era diventato. Vi lesse anche una preghiera: di non diventare come lui, e di perdonarlo qualora avesse sfruttato troppo lui, o qualsiasi altra persona dell’Ordine della Fenice, perché non vi sarebbe stata mai cattiveria, ma semplicemente una volontà irremovibile a riparare una volta per tutte a quell’errore.

Severus lo guardò e si sentì ancora una volta in una posizione di forza. Tuttavia, decise di non giudicarlo, di non puntargli il dito addosso, come forse avrebbe fatto dettato dall’impulso del momento, perché sentì che non sarebbe stato troppo corretto. Sarebbe stato come infierire su una persona già accartocciata nel proprio dolore ed era qualcosa d’infame.

Non seguì il proprio impulso, non seguì il proprio istinto talvolta irascibile ed indomabile, e lo perdonò, capendolo e comprendendo le scelte difficili che aveva dovuto fare tanti anni prima. Comprendere una persona ed i suoi sbagli, rifletté, era estremamente più arduo che condannarla senza possibilità di appello ad espiare le proprie colpe. Tuttavia, i gesti più difficili, si riuscivano a compiere nei momenti più imprevedibili ed inaspettati. In fondo, anche quella era la bellezza e la peculiarità del comportamento umano e non sarebbe mai stato trovata un’altra forma di vita in grado di essere così complessa ed intricata, a volte sorprendentemente abile nel perdersi nel cosiddetto bicchiere d’acqua.

Lasciando lo studio in silenzio, Sev pensò che per comprendere i comportamenti dell’umanità intera, non sarebbe mai bastata una vita. E lui per primo si definì tra i ragazzi più incomprensibili del creato, proprio perché aveva accettato l’errore di una persona che aveva commesso una pecca molto grave. Ma gli andava bene così, si sentiva perfettamente a posto con la sua intricata coscienza.

 

“I'll tip my hat to the new constitution

Take a bow for the new revolution

Smile and grin at the change all around me”

 

Lily non si spiegava tutta quella euforia, intanto che ascoltava “Won’t Get Fooled Again” degli Who, mentre attendeva di poter andare alla cena organizzata da Lumacorno. Aveva appena parlato con Miranda, le aveva rovesciato addosso quella verità bruciante come lava che cola lungo il fianco del vulcano. Si aspettava una reazione sorpresa, forse si aspettava che Miranda si complimentasse con lei per la velocità con la quale aveva indagato e tirato le conclusioni circa le proprie origini. Invece no: la Corvonero si era dimostrata estremamente calma e lucida, certamente molto soddisfatta, ma l’aveva prontamente avvertita che quello sarebbe stato l’inizio di un nuovo cammino, che con ogni certezza l’avrebbe portata lontano da Hogwarts e dalla vita normale di tutti i giorni. Poi, aveva aggiunto che essere Evocatrici avrebbe comportato molto esercizio mentale e magico, e soprattutto molti sacrifici, di cui Lily ignorava la natura. Non sapeva neanche da che parte iniziare ad esercitare quel dono potente e temibile, ma era convinta che Miranda sarebbe stata un’ottima guida, severa ed esigente e che le avrebbe fornito tutte le informazioni necessarie. 

Ancora, non si sentiva spaventata, ma entusiasta di quel nuovo capitolo che si apprestava a scrivere nella sua storia. Si sentiva molto più potente, più sicura di sé, e non si era curata troppo - forse peccando di leggerezza - della Corvonero che  si era allontanata, per scomparire non verso il dormitorio della sua casa, ma verso l’ufficio del Preside Silente.

Lily ignorava che Miranda, trionfante, ma anche con una punta di preoccupazione, aveva adempiuto ad uno dei suoi primi doveri di membro dell’Ordine della Fenice, comunicando al proprio diretto superiore di aver trovato una nuova Evocatrice da addestrare. La Grifondoro non sapeva che il suo nome era stato accuratamente segnato in una pergamena incantata, pronta a viaggiare legata alla zampina di un gufo che avrebbe attraversato la Scozia avvolto e protetto dalle tenebre, in direzione di Inis Mona, sfidando il vento del Mare d’Irlanda, per consegnarla al Maestro Gabriel Lynch. E non poteva sapere che il grande Maestro, profondo conoscitore di un’arte millenaria, avrebbe scosso la testa di fronte alla prospettiva di accogliere una nuova apprendista troppo cresciuta ed esterna alla Confraternita stabilitasi presso l’isola da secoli. Rassegnato, si sarebbe deciso poi a confrontarsi con l’Albero della Vita e gli Spiriti Saggi, tramite una lunga ed attenta meditazione sotto la chioma sempreverde di quell’enorme albero invisibile agli occhi Babbani.

Quello che però la ragazza sapeva nel profondo del suo cuore era che in quel momento, quella sensazione di non essere mai da sola, che ci fosse qualcosa, qualcuno, un’entità attorno a sé che l’aveva sempre protetta e difesa, aveva un nome ed una provenienza, una storia e un motivo d’essere. E ora, le dava una forza incredibile, si sentiva in grado di affrontare qualsiasi cosa, persino quel losco Lucius Malfoy di cui Severus parlava tanto con aria preoccupata, come se costituisse un pericolo quasi mortale. 

Quel cambiamento non le aveva fatto del male, le aveva fatto semplicemente del bene. Era così che ci si sentiva, si era chiesta, quando si aveva un nuovo entusiasmante percorso da attraversare? Allora, si era risposta, avrebbe preferito scoprire prima la sua natura, perché non avrebbe mai più fatto a meno di quell’energia positiva che le scorreva nel sangue.

Già, il sangue. Lily si fermò a riflettere, vicino al giradischi, preso dalla Sala Comune, dato che i ragazzi di Grifondoro continuavano a mettere i soliti vinili che avevano sentito fino alla nausea. L’esuberante Mary si era stufata e ne aveva approfittato per ripassare l’utilizzo del Wingardium Leviosa, facendo levitare l’apparecchio Babbano - opportunamente modificato in modo tale che funzionasse anche tra le mura di Hogwarts - nell’ampia stanza sua e delle altre.

Chi l’avrebbe mai detto che da una SangueSporco - Lily pronunciò con voce appena udibile quell’appellativo spregevole con un nuovo senso di soddisfazione e piena di rivalsa - sarebbe nata un’Evocatrice, una strega con dei poteri millenari? Chi l’avrebbe mai detto che da quella ragazza, da alcuni ingiustamente giudicata per i suoi natali diversi, sarebbe spuntata fuori una maga dai poteri magici temibili e riveriti? Era fiera, fierissima, di essere una sudicia Nata Babbana.

“Ma guardatela, sorride soddisfatta e non condivide il motivo di tanta soddisfazione con noi!”. 

Mary l’apostrofò con il suo solito fare spaccone e vivace, dandole una leggera pacca sulla spalla. Lily rise, e finì di abbottonarsi il vestito grigio chiaro, dalle ampie maniche a sbuffo e dai sottili fili arancioni che si andavano ad intrecciare alla trama del tessuto grigio, e che andavano a colorare gli orli dell’abito. Era stato un regalo di sua cugina Maeve, per il compleanno, fatto in clamoroso ritardo, e per scusarsi le aveva pure regalato da abbinare un paio di buffe scarpe in velluto arancione scuro, dalla punta tonda. Sembravano quelle calzature per le bambine al loro primo giorno di scuola e Lily le aveva trovate sin da subito adorabili. Petunia aveva guardato sprezzante quei doni, soprattutto le scarpe, commentando che una persona per bene non avrebbe mai abbinato il grigio chiaro all’arancione scuro. Maeve le aveva ribattuto con una buona dose di sarcasmo di non sapere che in famiglia ci fosse un’esperta di haute couture e che sicuramente la prossima volta, prima di comprare un qualsivoglia vestito, le avrebbe chiesto consiglio. 

La Grifondoro non era molto sicura se fosse il caso di dire alle proprie compagne quanto scoperto in quelle ultime settimane, mossa soprattutto dal timore che potessero prenderla per matta. Anche se, rifletté, prima o poi l’avrebbero scoperto.

Lily fece un lungo respiro e prese a sistemarsi la gonna, tirandola verso il basso. Era uno dei suoi tanti gesti dettati dal nervosismo.

“Vedi, Mary, è qualcosa di molto importante...” iniziò la ragazza, cauta.

“Oh, Severus ti ha fatto una proposta di matrimonio?” continuò divertita l’altra, sgranando gli occhi sorpresa “Dimmi che ti posso fare da damigella con un vestito che mi farà sembrare una ridicola bomboniera vivente!”.

Lily gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere, seguita da Marlene ed Emmeline che lasciarono da parte i libri ed i compiti di Erbologia e si fecero più attente.

“No! No! Merlino, ma ti pare? Non abbiamo neanche sedici anni!” ribatté Lily, che tornò seria “Riguarda... Me”. Con un gesto rapido, alzò il volume delle casse del giradischi, e sistemò la puntina dell’apparecchio in modo tale che potesse nuovamente riprodurre “Who’s Next” nella sua interezza. La leggendaria introduzione di “Baba O’ Riley” fatta al sintetizzatore, con l’arrivo poi della tastiera, riecheggiò nell’aria e la Grifondoro fu certa che nessuno avrebbe osato disturbarle o interromperle, protette da quel muro di suono.

“Venite tutte e tre qua, vicino a me”. Le interpellate si avvicinarono a Lily, decisamente curiose di sentire che cosa avesse da dire.

La ragazza iniziò a spiegare, dapprima un po’ titubante e attenta alla scelta delle parole, una parte di Storia della Magia che non veniva raccontata ad Hogwarts. Passò per le Confraternite e le peripezie che avevano dovuto affrontare per rimanere in vita fino a quel momento. Raccontò loro di come avesse trovato in casa della nonna Babbana il ciondolo appartenente alla Confraternita degli Evocatori, assieme ad un libro di Storia della Magia Irlandese. Spiegò loro di essersi fatta prestare - non poteva confessare loro l’imbroglio fatto a Lumacorno e la preparazione della Pozione Polisucco - un libro della Sezione Proibita, che non fece altro che confermare che nella famiglia Moore vi era stato qualche Evocatore, prima che nascessero persone assolutamente normali e non dotate di poteri magici. O meglio, non erano coscienti di passare di generazione in generazione, quel dono straordinario.

Lily mostrò loro il monile e le amiche lo guardarono con un certo timore reverenziale.

“Tutto questo è straordinario!” esclamò Mary ammirata “Lily, sei una tosta! L’ho sempre detto, io, che noi Nate Babbane abbiamo una marcia in più!”.

Marlene accarezzava il ciondolo con le dita e aveva gli occhi pieni di vivacità e curiosità. Era rimasta colpita dalla figura dell’Albero della Vita.
“Ne avevo sentito parlare di queste Confraternite, in maniera molto vaga, nello stesso modo in cui si racconta una leggenda... Ma Lily, sei certa che questo ciondolo non sia stato comprato da qualche parte o che non sia un falso?”.

“Ci ho pensato, sì” rispose sincera la ragazza, sistemandosi i capelli rossi dietro le orecchie “Ma documentandomi, ho scoperto che chiunque uscisse volontariamente dalla Confraternita degli Evocatori, o commettesse qualcosa tale per cui fosse passabile d’espulsione, o peggio ancora rifiutasse il Dono dell’Evocazione... Beh, a tali persone il ciondolo veniva distrutto personalmente dal Maestro a capo dell’organizzazione, bruciandolo con l’Ardemonio”.

“I tuoi antenati non hanno mai commesso niente di simile, quindi?” chiese Marlene, guardandola negli occhi.

“Non hanno mai rifiutato il Dono. Penso che di fronte a dei discendenti assolutamente normali, si siano limitati a tramandarsi il ciondolo e il bagaglio di conoscenze, nella speranza e nell’attesa che qualcuno manifestasse nuovamente delle facoltà magiche”.

Emmeline aveva rigirato il ciondolo tra le dita e, con il suo consueto fare sognante, disse di aver notato delle piccole incisioni.

“Guarda, Lily, penso che ci sia scritto qualcosa di utile qua sopra”.

La ragazza osservò quelle scritte che le erano sempre sfuggite. Non che non le avesse mai viste, ma non era mai riuscita a decifrarle in maniera sensata. Avere delle amiche in gamba poteva essere una benedizione, pensò Lily, poiché molto spesso erano in grado di far notare cose che lei semplicemente non avrebbe mai percepito.

Aguzzò la vista e tentò di decifrare l’incisione, piuttosto leggera e anche molto rovinata dal passare del tempo.

“Potrebbe essere il nome della mia famiglia secoli fa, ma non ne sono certa” rifletté Lily “Questo confermerebbe che il ciondolo è di possesso di una sola famiglia e basta. Ma non riesco proprio a dare un senso a questi tratti”.

“Se me lo presti, stasera posso tentare di decifrarli per te” propose Emmeline gentile e piena di buone intenzioni.

Lily era diventata molto gelosa del suo ciondolo. Aveva iniziato a portarselo addosso giorno e notte, diventando una strana sorta di feticcio. Tutto sommato, poteva essere una fisima comprensibile, dato che grazie a quell’oggetto aveva capito di essere una Evocatrice. Tuttavia, si fidava molto di Emmeline, che per quanto fosse una persona con la testa tra le nuvole e persa nel suo mondo, non avrebbe mai perso un oggetto di valore di una cara compagna di Casa. Oltretutto, era molto brava in Rune Antiche e in qualsiasi tipo compito comportasse il tradurre o decifrare qualche scritta o carattere agli altri sconosciuto.

Lily prese le mani di Emmeline, vi appoggiò il ciondolo e le gliele strinse forte, chiudendo le sue dita, come a protezione del gioiello.

“D’accordo. Ma non devi lasciarlo incustodito, non devi farlo vedere a nessun altro che non siano Mary e Marlene, non devi dire a nessuno che hai in mano un ciondolo millenario. Intesi?”. 

La ragazza bionda e pallida annuì, e se lo mise al collo, nascondendolo sotto la camicia e al maglione, in modo tale che in nessun modo se lo sarebbe potuto dimenticare da qualche parte.

“Ora devo andare, Lumacorno e un’altra favolosa cena mi attendono” spiegò Lily, che non vedeva l’ora di vedere quel fantomatico Lucius Malfoy. Ed era certa che Severus l’avrebbe pregata fino allo sfinimento di non parlargli, di non incrociare il suo sguardo, di non fare nulla di nulla per attirare l’attenzione di quell’uomo sinistro. Tuttavia, malgrado le ottime intenzioni e ragioni di Sev, tutto quel tenere a distanza la propria ragazza da un personaggio sospetto era paragonabile allo spegnere un fuoco con del Firewhiskey. Ma era sempre stata così, non c’era modo di cambiarla, faceva parte della sua natura: di fronte a ripetuti divieti, Lily aveva sempre compiuto l’esatto opposto di quanto raccomandato.

 

Lucius Malfoy era furibondo.

Il nobile uomo era fuori di sé, non si era mai sentito così umiliato in vita sua. Lui, che aveva sempre tratto giovamento dal trattare tutti in maniera sprezzante, dal sentirsi perennemente superiore al resto delle persone che lo circondavano. 

Non aveva mai tenuto conto di quel circolo di forze che reggevano tutto l’universo, mondo magico incluso, che muovevano tutto e finivano per ripresentarsi con una certa regolarità. Non aveva mai considerato la possibilità che quanto fatto, prima o poi gli sarebbe tornato indietro, con la stessa intensità o, peggio ancora, con forza maggiore.

E così era stato, lasciandolo tramortito, interdetto, furiosamente perplesso, incapace per qualche giorno di parlare, di reagire in qualsiasi maniera, costruttiva o distruttiva che fosse. 

Lord Voldemort aveva nominato Igor Karkaroff Priore del Dearg Slèabua, in assenza del Signore Oscuro, stabilendo a tutti gli effetti la rinascita dell’organizzazione segreta di Salazar Serpeverde.

Uno smacco vergognoso per Malfoy, che desiderava quella carica e voleva più di tutti divenire primo tra i Mangiamorte. Aveva dovuto accettare quella nomina di fronte a tutti, sfoderando un sorriso artefatto, forzato. Fuori doveva mostrare un compiacimento che dentro di sé, chiuse le porte ed i cancelli di Villa Malfoy, era puro acido che gli corrodeva anima e corpo.

Che cosa aveva sbagliato, dove si era mostrato poco degno di essere nominato il migliore di tutti? Aveva tirato pugni contro le pareti, contro il tavolo pregiato, aveva scagliato la sua maschera da Mangiamorte lontano da lui, e non gli sarebbe  dispiaciuto per nulla se si fosse ammaccata, fino a perderne le sembianze, deturpandone le forme perfette e levigate. 

Narcissa, la moglie sempre presente, ferma, discreta e dalle poche parole precise e sagge, lo aveva fatto riflettere; era stata un balsamo perfetto per lenire le ferite nell’orgoglio del marito. Lo aveva ascoltato e lo aveva esortato a studiarsi la mossa perfetta per almeno divenire definitivamente il braccio destro del Signore Oscuro, senza esitazioni. Lucius aveva riflettuto, grato del supporto morale, benché le donne in casa Malfoy avessero il tacito obbligo di starsene al loro posto senza intervenire negli affari importanti degli uomini. Ma Narcissa era sempre stata una piacevole eccezione, e Lucius apprezzava molto la mente brillante ed arguta della moglie, che non parlava mai a sproposito e dimostrava una lucidità talvolta superiore a qualche collega Mangiamorte del marito.

Aveva riflettuto a lungo, rimuginando giorno e notte, giungendo alla conclusione che fosse arrivato il momento di disfarsi dei soliti schemi, delle solite procedure e delle solite consumate pedine in una scacchiera che necessitava di nuovi giocatori. Sarebbe andato ad Hogwarts per trovare qualcuno di straordinario, non un nuovo rozzo e goffo tirapiedi della risma di Mulciber o Avery. Nulla da eccepire sul fatto che fossero ottimi esecutori di ordini, erano delle semplici pedine da spostare qua e là, ma non avevano spirito d’iniziativa. 

Lucius voleva qualcuno di straordinario da portare al cospetto del Signore Oscuro, e quella sera, mentre era seduto al grande tavolo finemente apparecchiato, in attesa degli allievi del Professor Lumacorno, aveva una netta sensazione che sarebbe riuscito nell’intento. Avrebbe stupito il mago oscuro e lo avrebbe fatto ricredere circa le sue abilità e le responsabilità che gli avrebbe potuto e dovuto affidare in futuro. E Karkaroff avrebbe avuto ben da prodigarsi, per recuperare il terreno perduto.

Sorseggiava soddisfatto un bicchiere di acqua tonica, insaporito da qualche goccia di cedro, e masticava svogliatamente dei cubetti di ananas candito, offerti dall’insegnante, che camminava visibilmente elettrizzato su e giù per lo studio, attendendo i suoi pupilli, i suoi fiori all’occhiello.

Farfugliava frasi smozzicate, dettate dall’entusiasmo, dall’attesa spasmodica di poter fare un figurone con i suoi ragazzi. Certo, quei due Mulciber ed Avery non erano ufficialmente dei membri del Lumaclub, ma i loro genitori vantavano una solida amicizia con i Malfoy, per cui un’eccezione alla regola non avrebbe nuociuto a nessuno. 

Vediamo, vediamo cos’ha da mostrare ancora una volta il vecchio Lumacorno nella sua fiera delle vanità!” pensò Lucius Malfoy, che era altrettanto vanitoso.

Sentendo i passi dei ragazzi in arrivo, si sistemò sulla sedia, mettendo in mostra tutta la compostezza che i propri genitori gli avevano imposto di fronte agli ospiti. Dovunque fosse, amava il fatto che fossero sempre gli altri a recarsi da lui, e mai il contrario, ad eccezion fatta del Signore Oscuro. 

Vide dei ragazzetti insignificanti entrare nello studio, forse erano del secondo o terzo anno, e salutarono il professore, per poi avvicinarsi con una certa diffidenza  a quell’uomo elegantissimo e distinto, e gli tesero la mano.

Visi qualunque, anonimi. Strette di mano deboli e senza grinta. 

Non era quello che stava cercando, non erano quelli dei potenziali fedeli del Signore Oscuro. E poi, erano troppo piccoli, ci sarebbe voluto troppo tempo per addestrarli.

Gli studenti in procinto di concludere l’ultimo anno di studi ad Hogwarts gli sembravano già troppo indirizzati verso una strada ben delineata. Non erano plasmabili, erano eccessivamente sicuri, loro.

Vide quei due ragazzi - Lily e Severus - dietro gli adoranti Mulciber ed Avery, che gli strinsero la mano, ma se avessero potuto gli si sarebbero gettati ai piedi. Vide quei due giovani, percependone una forza immensa, un potere magico spaventoso. 

“Miei cari, benarrivati” li accolse Lumacorno, appoggiando una mano sulla spalla del Serpeverde, che fissava con determinazione l’uomo davanti a sé. Gli occhi neri come la notte si scontrarono con quelli gelidi e cerulei di Lucius, ma non ebbero paura di sostenere quello sguardo pieno d’alterigia. 

“Lucius, loro due sono i ragazzi più bravi che io abbia mai visto negli ultimi anni qua ad Hogwarts. La signorina qui presente, poi, ha un talento per le Pozioni innato. Mai vista una pozionista come lei”.

Lily, mossa da grande curiosità e per nulla intimorita dal fatto che Malfoy la stesse letteralmente esaminando, gli tese la mano con un piglio deciso. Aveva la mano molto più piccola di quella dell’uomo, ma la sua stretta non mancava di vigore ed energia. Soprattutto, era molto calda, e si poteva percepire una fortissima forza magica scorrerle nelle vene.

Lucius capì che non si trattava di una ragazzina qualunque, non una di quelle smorfiose viziate dai propri genitori, ma gli sembrava troppo particolare e troppo eclettica per essere una Serpeverde. A giudicare da come si era abbigliata, pareva una giovane a stretto contatto con i Babbani e quella prospettiva lo fece inorridire. Già bastava il cugino della moglie Narcissa, quel Sirius Black, ribelle e totalmente ammaliato dal fascino dei Babbani e del loro mondo, a rovinare un pregiato albero genealogico fatto di purezza di sangue e di legami di assoluta convenienza.

Comunque, quella Lily Evans era decisamente da non perdere di vista, per un motivo o quell’altro.

Ma l’altro ragazzo - “Merlino!” pensò tra sé e sé Malfoy, vedendolo arrivare con passo svelto e sicuro “Questo è quello che stavo cercando!” - era colui che stava aspettando da tempo, ed era certo che Mulciber ed Avery gliel’avessero nominato. 

Severus era pronto, prontissimo a fare ciò che lui e Silente avevano escogitato. Ancora una volta si meravigliò con quale facilità recitò quel copione scritto qualche ora prima con il Preside. Un copione che non era stato messo su pergamena, ma unicamente nella sua mente, abbozzato come un canovaccio da utilizzare in maniera tassativa. 

Non era sciocco e capì perfettamente che Lucius Malfoy stava facendo un grosso sforzo per non avventarsi sulla preda, nello stesso modo in cui un lupo avverte odor di selvaggina e di carne sanguinolenta, ma non può farsi vedere alla luce del sole, onde evitare di finire tra le grinfie dei bracconieri. 

Severus era cosciente che il Mangiamorte lo stesse cercando. E lui era lì per dargli la caccia e per farsi prendere nella morsa metallica di quella trappola che il nobile era convinto di aver messo così bene. Ma non sapeva che Sev, scaltro e attento, avrebbe fatto in modo che in quella trappola ci potessero finire entrambi e chiusi in quella prigione, ognuno vittima dell’altro, si sarebbero potuti sfidare ed affrontare in libertà.

La stretta di mano di quel ragazzo era forte e decisa, malgrado le mani fossero un po’ ossute e dalle dita piuttosto lunghe e sottili.

“Severus Piton, tu sei quello che stavo cercando” pensò Lucius, pregustandosi il momento in cui avrebbe presentato a Lord Voldemort quella mente brillante. Ci voleva un grande brindisi, per acclamare un nuovo futuro Mangiamorte.

“Lucius Malfoy, sei proprio l’allocco vanesio che mi aiuterà a distruggere tutto quello che Lord Voldemort ha creato” si disse il ragazzo, baldanzoso e certo che il fedele servitore del Signore Oscuro sarebbe corso a fare il suo nome a chi di dovere. Ci voleva proprio, quel tintinnare di vetri. Alla caduta ed alla rovina di Lord Voldemort.

"Genau, mein kleiner Schätzchen": esatto, mio piccolo tesoro (o tesorino, come preferite, in tono compiaciuto e crudele, però :D).

* * *

 

Ta-daaaah! Vi sono mancata? Eccomi qua con un nuovo nuovissimo capitolo tutto per voi <3 Grazie ancora per l’attesa, il seguito, l’ammoreh, le recensioni! Spero almeno di tenere una certa regolarità ed una certa precisione negli aggiornamenti! Fortunatamente, il prossimo capitolo ce l’ho già ben delineato nella mia testolina matta! 

Ah, ma trovo che questo Sev bastardello che vuole fregare tutti sia adorabile. Bravo Sev, bravo! Il confronto con lo scornato Lucius andrà avanti brevemente anche nel prossimo capitolo, ma giusto per giustificare l’entusiasmo di Lucius nei confronti di Severus. E dovrà comunicare all’Oscuro Signore la sua bella scoperta. 

Insomma, anche il prossimo capitolo sarà bello nutrito ed intenso! :D Spero come sempre di non deludere nessuno :D 

 

Vi lascio la stramba canzone, di Bjork, che adoro (non come Tori, ma quasi :D) e come di consueto la mia pagina Facebook.

 

P.s. Dimenticavo la leggendaria “Won’t Get Fooled Again” dei The Who!

 

Un abbraccione gigante a tutti e a tutte! 

 

Alla prossima,

 

Vostra Blankette_Girl <3

a.k.a Ale <3

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Capitolo 34
*** Little Talks ***


34.

Little Talks

 

“Why is it that when we talk to God we’re said to be praying, but when God talks to us we’re schizophrenic?” 

Lily Tomlin

 

Lucius Malfoy era stato educato a parlare solo quando strettamente necessario. E nella nobile famiglia Purosangue, vantarsi era considerato, nella misura opportuna, un’ottima attività dove l’oratore doveva essere in grado di mostrare tutta la sua abilità nel non risultare pedante, pesante o fastidioso alle orecchie dei propri rispettabili interlocutori.

Era un’abilità che aveva richiesto anni di esercizio attento ed inflessibile, sotto la sorveglianza del severo padre, Abraxas Malfoy, che sosteneva che prima di imparare a parlare e ad intervenire in una discussione, bisognasse ascoltare il silenzio.

“Ma padre” obiettò l’allora adolescente “Il silenzio è...”.

“Un oceano di suoni impercettibili, inascoltati dai maghi comuni” replicava con sussiego l’uomo altero, interrompendo bruscamente l’osservazione del figlio. 

“Il silenzio è una melodia per pochi eletti. Prima di parlare, bisogna saperlo ascoltare”.

La rigida educazione all’eloquenza in casa Malfoy passava per quel primo rigoroso precetto. Le ore passate ad ascoltare quello che suonava come il nulla più assoluto avevano reso Lucius una persona più calma, un ragazzo che aveva rifiutato gli svaghi superficiali dei suoi coetanei, per concentrarsi su ciò che riteneva veramente vitale alla propria sopravvivenza e a quella della sua nobile famiglia. Quell’inesprimibile nulla che lo circondava, mentre rimaneva chiuso in una stanza a riflettere, rispettando le disposizioni di suo padre, nascondeva dei rumori, ed erano poi diventati suoni molto più comprensibili. Giorno dopo giorno erano divenuti familiari, intellegibili, parte della quotidianità del giovane rampollo. Aver compreso, studiato ed esplorato l’Oceano del Silenzio - come l’aveva ribattezzato il padre - significava essere pronti per fare un passo in avanti in quella società di maghi che andava imbarbarendosi ogni giorno di più; quella comunità aveva perso il valore della parola autentica, permettendo che prima s’imbastardissero i vocaboli, per poi passare alla propria cultura, arrivando ad ammettere Nati Babbani e simpatizzanti per i non-maghi nel mondo magico; per non parlare di Hogwarts e l’insegnamento della Babbanologia. Albus Silente, che non aveva nulla in contrario ad ammettere maghi e streghe Nati Babbani, anzi, non era visto di buon occhio nella nobile casata Purosangue. Né lui, né tutti coloro che avevano tollerato una simile apertura del mondo magico.

Lucius si era gettato con un certo entusiasmo in quel mare confuso di frequenze, di oscillazioni di suoni, di rumori, che erano le voci altrui. Aveva imparato a trovare la frequenza a lui congeniale, a destreggiarsi in quel groviglio di voci simili alla sua, che cercavano come lui qualcosa che li rendesse superiori a tutti gli altri. Si era trovato a suo agio in mezzo ai Mangiamorte, a Lord Voldemort ed ai suoi perfidi ideali.

La malvagità richiedeva una certa intelligenza ed una notevole dose d’impegno e Lucius si era applicato a praticarla con solerzia. Essa non era mai casuale come l’idiozia che spingeva ad agire dei casi persi, senza talento e senza acume. L’idiozia, si diceva, era tale e quale a quel gioco stupido con il quale erano soliti dilettarsi i giovani e sciocchi maghi nel tempo libero, ovvero la Pignatta Magica. I partecipanti, rigorosamente bendati, dovevano cercare di colpire con la propria bacchetta magica, attraverso un innocuo incantesimo, una pignatta di stoffa, che si muoveva per la stanza. Talvolta aveva le sembianze di un leprecauno, a volte di un goblin, altre volte di un piccolo unicorno. Ma era solo grazie ad una buona dose di fortuna che si riusciva a colpire l’oggetto incantato, facendolo diventare un mucchio di caramelle e di dolci di Mielandia. La ricompensa veniva sempre gustata con avidità e soddisfazione. 

Ecco, l’idiozia era propria di quei due ragazzetti che aveva di fronte a sé, Mulciber ed Avery, che si muovevano incerti e impacciati quella sera, cercando di compiacere in tutte le maniere lui, presente a quell’insulsa e vana festa fatta di pigro ed ozioso chiacchiericcio. A volte colpivano accidentalmente l’obiettivo, come quando erano riusciti a torturare e spaventare la SangueSporco; altre volte lo mancavano clamorosamente, facendo più danni che altro, come la volta in cui avevano lasciato la Strillettera nella Sala Comune di Serpeverde.

Quanto lo irritava il loro ciarlare privo di arguzia e di efficacia! Era così palese che fossero lì solamente perché Lumacorno aveva avuto il buon cuore e l’accortezza di accoglierli presso il proprio Lumaclub. Erano fastidiosi, pertanto l’uomo cercò di rabbonirli con qualche frase di circostanza, specie quando chiedevano di poterlo vedere. E con quell’espressione tremante e smozzicata, intendevano proprio esprimere il desiderio di incontrare Lord Voldemort.

Manco fosse una celebrità da teatrino di bassa lega!” si era detto il mago, sorseggiando il proprio liquore - un’Acquaviola raffinatissima proveniente dalla Provenza, a detta dell’insegnante di Pozioni - e guardando con un certo disprezzo i due Serpeverde che tentavano disperatamente di fare un passo in avanti nella loro traballante carriera di Mangiamorte. 

Lord Voldemort se lo sarebbero dovuti guadagnare.

Lucius Malfoy continuò ad osservare i giovani presenti nello studio, e si concentrò su uno in particolare, e non era altro che Sev. Lily si era spostata, ascoltando la preghiera del proprio ragazzo di stare lontano da quel viscido uomo biondo, e si mise a parlare con due ragazze del sesto anno.  

Quel Serpeverde taciturno sembrava vagare per altre frequenze, per altri mondi, guardando ciò che lo circondava con una certa indifferenza, ammesso che dietro quegli occhi neri non bruciasse il sacro fuoco dell’astuzia e della curiosità morbosa. Non parlava, ma ascoltava molto gli altri, con quell’aria composta, seria e tranquilla, e ciò colpì molto Malfoy, dato che alla sua età lui non aveva minimamente placato i bollori e gli entusiasmi dell’adolescenza. Rimase impressionato, pertanto si decise ad avvicinarsi a quel giovane mago quieto, nella speranza di non essersi illuso dell’enormi potenzialità che aveva intravisto.

Si alzò, decidendosi ad accomodarsi accanto al ragazzo, dato che si era liberato un posto, ma prima finì il calice di liquore, e si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo.

Severus comprese che era finalmente giunto il momento di lasciare da parte qualsiasi esitazione, dato che ogni parola sbagliata l’avrebbe allontanato dall’obiettivo e avrebbe complicato la vita all’Ordine della Fenice.

Decise di rompere il ghiaccio, salutandolo cortesemente.

“Buonasera, signor Malfoy” lo accolse asciutto, appoggiando le mani sulle ginocchia, lievemente tremanti. Non doveva mostrarsi tremante o titubante.

“Buonasera, ragazzo” rispose Lucius, tendendogli la mano, invitandolo a presentarsi.

“Severus Piton” si presentò il giovane seccamente. L’uomo si poté così accomodare accanto a lui.

Sev avvertì il battito del cuore accelerare e per qualche attimo se lo sentì in gola. Lanciò un’occhiata verso Lily, come per accertarsi che lei fosse al sicuro, intanto che il si scervellava su come potesse proseguire la conversazione con il nemico che si sarebbe dovuto ingraziare. Per un attimo pensò di non essere in grado di ingannare le persone a sufficienza. Forse era solo capace di piccole innocenti bugie, di nascondere le cose agli altri per tenersele dentro di sé, ma mentire per gli altri era tutta un’altra questione. Per fortuna, la smania di parlare dell’uomo accanto a sé gli venne in soccorso.

“Severus, è vero che sei il miglior pozionista del corso?” chiese il giovane uomo, rilassandosi ed appoggiando la schiena sul morbido schienale. Lumacorno gli aveva parlato molto del proprio brillante studente, lanciandosi in lodi sperticate ed entusiaste.

Il territorio era decisamente a lui familiare: quale migliore occasione per sfoggiare la classica umiltà dello studente modello, che così facendo non fa altro che riscuotere ancora più ammirazione da parte degli altri?

“Non si finisce mai di imparare nella sottile arte delle Pozioni. La strada per diventare il migliore è molto lunga e richiede molto studio, anche al di fuori di Hogwarts”.

“Sei soddisfatto di quello che ti stanno insegnando, Severus?”.

Forse intendeva se fosse soddisfatto di come gli stessero insegnando le materie. Il ragazzo intuì, spaventandosi un po’ di come la sua mente elaborasse quella conversazione ad una velocità vertiginosa, che rispondendo in maniera corretta a quella domanda, avrebbe potuto aprire un’ulteriore porta, avvicinandosi al proprio obiettivo.

Prese un sorso d’acqua, cogliendo l’occasione per meditare ancora qualche istante sulla risposta.

“Non tanto a dire il vero”. Touché. Lucius Malfoy raddrizzò la schiena e gli lanciò un’occhiata interrogativa che lo esortava a continuare.

Sev prese coraggio ed alzò un braccio, muovendolo leggermente, come accompagnamento alla propria spiegazione. 

“Voglio dire, sembra che si possa imparare molto di più che qualche banale incantesimo di difesa, o una pozione d’amore o portafortuna, qua ad Hogwarts... Ho quest’impressione che si punti a formare dei maghi mediocri, non eccezionali”.

Malfoy arricciò le labbra deliziato. Quel giovane Serpeverde voleva di più e lui avrebbe fatto carte false per poterlo avvicinare a quel grande pozzo di sapienza che il Signore Oscuro era pronto a mettere a disposizione a qualsiasi mente promettente. 

“E dimmi, Severus, non ti sembra che questa mediocrità nell’insegnamento sia dovuta a delle presenze... Diciamo inopportune?”.

Lily. I maghi Nati Babbani. I SangueSporco, per i Mangiamorte e Lord Voldemort. 

Severus capì subito dove volesse andare a parare. Merlino, si disse, se quello era un modo per strappargli di bocca che tutti i SangueSporco dovessero sparire dalla faccia del mondo magico, allora Lucius Malfoy si era sbagliato di grosso, perché Severus non avrebbe mai detto quella parola, neanche sotto tortura.

“Cosa intende per presenze inopportune?” chiese con artefatto candore Severus, in modo tale che Lucius si esponesse ancora di più.

“Intendo maghi che non hanno una secolare discendenza come la mia famiglia, ma che hanno origini più umili”.

“I Nati Babbani?”.

Noi - “Noi chi?” si chiese Severus, pensando che Lucius Malfoy alludesse ai fedeli di Lord Voldemort - li chiamiamo con un nome più appropriato, ma vedo che hai inteso. Comunque, è a causa loro che non si insegna più la magia come una volta, da quando alcune menti poco lungimiranti hanno deciso di ammettere anche loro ad Hogwarts. Loro non hanno la conoscenza di tante piccole sottigliezze e finezze che noi Purosangue ci tramandiamo da generazioni, di padre in figlio. Loro non sanno cosa voglia far parte del mondo magico a tutti gli effetti, i S... Loro, non sanno che significhi vivere tutti i giorni in un mondo a parte”.

Severus annuì con aria grave, pensando che, forse, non se la stesse cavando così male.

“Certo, naturalmente. Quindi bisogna accontentarsi di imparare poche cose per volta, pur sapendo che si può imparare molto di più”.

“E noi - “Ancora quel noi! Accidenti a lui!” imprecò mentalmente il ragazzo -” disse Lucius, abbassando lievemente la voce, comunque protetta dalle conversazioni altrui “Possiamo insegnarti molto di più, possiamo offrire molto altro ai Serpeverde ambiziosi come te”.
“Un momento” lo interruppe Severus, con uno strano ghigno in volto, come quello di colui che sa di avere la situazione in pugno “Che cosa glielo fa pensare che io sia ambizioso?”. Incrociò le braccia con fare sicuro e si sentì nella posizione di lanciare un’occhiata di sfida al mago.

“Andiamo, Severus, hai quell’ambizione pura che solo gli appartenenti alla casa di Salazar Serpeverde possiedono. Vuoi di più, vuoi essere superiore a questa massa di maghetti senza avvenire. Te lo si vede in faccia”.

Quello era indubbio, essere il migliore di tutti faceva parte della natura di Severus, a prescindere dalla purezza del proprio sangue. Lucius stava seguendo la traccia giusta per arrivare alla trappola che il ragazzo gli aveva teso, ed era certo che Lucius stesse pensando di mettere il giovane con le spalle al muro. Gli stava dando solo un grosso aiuto ad esporsi ancora di più, ad avvicinarsi a quella buca nascosta dove la tagliola ben aperta era pronta a scattare.

“Certo che lo voglio: esigo di più ed il meglio dalla magia. E’ parte di me” disse con un sorrisetto sprezzante.

Lucius si avvicinò all’orecchio di Severus e si coprì la bocca per evitare che qualcuno potesse percepire quanto stava per dire. Il ragazzo cercò di non scomposi, anzi, apparve piuttosto calmo.

“Sai che il Signore Oscuro può darti molto di più di tutto questo. Pensaci, prenditi qualche giorno per rifletterci su. Ti sto offrendo l’occasione della vita”.

Sev deglutì, cercando con lo sguardo Lily, pregando che non si stesse voltando e che non lo guardasse dritto negli occhi con sguardo preoccupato.

“Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?” esitò Severus, guardando il proprio interlocutore intensamente.

“Non usare nomignoli ridicoli che solo i codardi affibbiano a Lui, hai capito di chi sto parlando. Credi che mi accontenti di un banale impiego al Ministero come faccio credere a tutti questi studentelli attorno a te?” ribatté piccato Lucius.

“Lei mi sta facendo un’offerta molto pesante...”. Severus cercò un po’ di temporeggiare, ma leggeva l’impazienza e l’attesa negli occhi dell’uomo, che sembrava estremamente soddisfatto di aver trovato un nuovo adepto per Lord Voldemort.

“Io ti sto offrendo il nettare più raffinato e dolce: quello del potere assoluto. Una volta che lo assaggi, non ne puoi fare a meno. Ne vorresti bere ancora di più”.

Severus rispose prontamente: “Ma se bevuto in quantità eccessive, questo nettare, può portare a spiacevoli mal di testa”. Non sapeva neanche come avesse potuto mai pensare ad una replica simile, ma Lucius parve ancora una volta colpito dalla sua prontezza e dall’incisività delle sue parole. Forse, era un dono che quel giovane uomo non aveva mai avuto, e per questo, si sentì punto nel vivo.

“Ti dico solo di darmi una risposta, non di perderti in morali da pochi soldi, ragazzo” lo apostrofò, richiamandolo all’ordine.

Tra i due calò un silenzio greve. Severus necessitava di riprendere le energie per maturare una risposta convincente, l’affondo finale che avrebbe posto fine a qualsiasi questione od esitazione. Non poteva tentennare o mostrarsi insicuro, non in quel momento delicato.

“A chi posso far sapere della mia decisione di seguirvi?”.

“A Mulciber o ad Avery” rispose, quasi distrattamente, guardando i due individui che si guardavano attorno nervosamente, profondamente a disagio in quell’ambiente a loro così estraneo “E manda un gufo all’indirizzo che ti farò pervenire: non mi fido troppo di loro, meglio rimanere in contatto diretto”. Detto questo, Lucius sorrise deliziato e si congedò da Sev, che gli strinse la mano farfugliando qualche parola di commiato. Seguì l’uomo con lo sguardo e vide che parlottò brevemente con Lumacorno, per poi avvicinarsi ai suoi due compagni di casa, per poi non vederlo più nel campo visivo.

Severus guardava la stanza e vedeva le bocche altrui muoversi come se da esse non provenisse alcun suono. Era esausto, aveva dato molto di più di quello che avesse ritenuto possibile. Col senno di poi, non era stato molto complicato, aveva giocato a suo favore quel fascino e quella curiosità verso le Arti Oscure, tenuta bene a bada, ma l’ansia di sbagliare qualcosa lo aveva tenuto in agitazione fino all’ultimo. 

Si sentiva tutto sommato contento, perché sentiva di aver dominato una volta per tutte il drago che lo divorava, che per anni lo aveva incitato a passare al Lato Oscuro della magia. Non gli aveva mai più voluto parlare, aveva compiuto grandi sforzi per ignorare la sua voce suadente, promettendosi che, prima di parlare nuovamente a quella voce nella sua testa, avrebbe fatto di tutto per domare il suo istinto malvagio che lo divorava da sempre.

Ci era riuscito. Ora poteva nuovamente parlare con la bestia, in una maniera del tutto nuova: era saltato sul dorso del drago e poteva comandarlo a suo totale piacimento, avendone in mano le briglie del comando. Non aveva in mente altro che un ordine: fare terra bruciata attorno a Lord Voldemort ed ai suoi fedeli con quella creatura domata ed ammansita.

Nel momento in cui si sentì completamente padrone di se stesso, Lily si voltò a guardarlo, con sguardo apprensivo e sinceramente preoccupato. Sev le regalò un raro sorriso, non troppo radioso, ma rassicurante. Non poteva andare meglio.

 

“O’ Mordha. O’ Mordha. Moore?”.

Lily si ripeteva mentalmente quelle parole, scritte su un pezzetto di pergamena da Emmeline, che le aveva tradotto in breve tempo le rune incise sul ciondolo. La mano destra scarabocchiava pigramente su un foglio poco distante, riportando con la piuma quelle parole misteriose che risuonavano nella mente della ragazza, mentre la mano sinistra toccava il ciondolo che aveva al collo, debitamente nascosto sotto il maglioncino. Il pendente le arrivava all’altezza dello sterno e se lo toccava con le dita, tastandolo con leggerezza e delicatezza. 

Un estraneo avrebbe detto che la Grifondoro soffrisse di frequenti mal di stomaco, a giudicare da quel gesto, ma Severus, che era seduto davanti a lei in quel grosso tavolo della biblioteca di Hogwarts, sapeva la verità ed accennava ad un sorriso ogni qual volta la vedesse fare così. Stava scrivendo un lungo tema riguardante le Maledizioni nella magia dell’Antico Egitto e come difendersi da esse, con una certa serenità e soddisfazione. Aveva liquidato in poco Mulciber ed Avery, che erano diventati le sue ombre e che, nei giorni seguenti all’incontro con Lucius Malfoy, non avevano fatto altro che tartassarlo di domande. Non gli avevano dato pace, e l’aiuto nei compiti di Pozioni e Trasfigurazione non erano diventati altro che occasione di chiacchiere circa Malfoy, i Mangiamorte e le Arti Oscure. Poi, continuavano a chiedergli se si fosse deciso ad unirsi a loro una volta per tutte. Il ragazzo temporeggiava abilmente, continuando a consultarsi quasi quotidianamente con il Preside, affinché si creasse un’attesa spasmodica e anche un po’ teatrale. Nel frattempo, di notte, al sicuro nel suo giaciglio, Severus preparava accuratamente la pergamena da inviare a Lucius Malfoy.

Lily continuava a meditare su quel cognome in gaelico irlandese. Che fosse la forma antica del cognome della famiglia di sua madre, quello era fuor di dubbio. Ma non pareva mai sazia, continuava a volerne sapere di più. Dunque gli antenati esistevano davvero, e a quel punto, immaginò, dovevano essere sepolti da qualche parte in Irlanda, magari in qualche pittoresco cimitero abbandonato pieno di croci celtiche nascoste da folte piante rampicanti. Avrebbe dovuto chiedere a Miranda dove si trovasse il luogo di sepoltura degli Evocatori, ammesso che ce ne fosse uno uguale per tutti. In caso contrario, scandagliare palmo a palmo l’Irlanda sarebbe stata una scelta impraticabile e molto dispendiosa, senza contare il fatto che Lily era ancora minorenne e non poteva viaggiare in solitudine e in libertà totale. Coinvolgere Maeve in quella sorta di esplorazione, poi, sarebbe stato come permettere ad una granata di innescarsi e di esplodere, facendo danni ovunque.

Appoggiò la piuma nel calamaio e posò la mano destra sulla superficie del tavolo, e tornò agli impegnativi compiti di Erbologia, che comportavano lo studio delle proprietà dei muschi della tundra siberiana in un capitolo di un enorme tomo scritto da un folle mago russo, Boris Borisovic Kamenev, che aveva passato una vita solitaria nei luoghi più freddi del pianeta, nel tentativo di classificare tutte le sparute forme di vita vegetali di quei posti. Di quel volume ne esisteva un solo esemplare nella biblioteca della scuola, ed era sempre molto richiesto dagli studenti, dato che non era più acquistabile nella libreria di Diagon Alley da un paio di decenni.

Sev allungò una mano e toccò appena le dita della ragazza, in segno d’affetto, e anche per richiamarla ai suoi doveri. Lily, per tutta risposta, sorrise e allungò un piede verso quello del ragazzo. Prima toccò ripetutamente la punta della scarpa, per poi scivolare verso il fianco del piede, strofinandolo con delicatezza e gentilezza. Severus non si mosse e lasciò che la ragazza esprimesse il suo affetto ed il suo bisogno di attenzioni in quella maniera particolare, continuando a concentrarsi - un po’ a fatica - sulle parole da utilizzare nel tema assegnatogli. 

A Lily piaceva fare la parte della ragazza desiderosa di carezze e di cure da parte del ragazzo che amava, e talvolta aveva l’incredibile faccia tosta di farlo nelle situazioni più imprevedibili ed impensate. Era anche un modo indiretto per ottenere qualche incoraggiamento da parte di Severus, quando le cose si facevano più difficili.

Continuò a leggere attentamente il capitolo di Erbologia, appuntandosi le informazioni essenziali su una pergamena, godendosi il tacere degli altri studenti, il piacevole scricchiolio delle piume sulla carta ed il rumore delle pagine sfogliate ad intervalli più o meno regolari. Continuò a strofinare il piede contro quello di Severus, in attesa di una risposta che non accennava ad arrivare.

“Ma guarda, ecco chi aveva il libro che tanto cercavo!” esclamò una voce a loro fin troppo familiare. Lily e Sev alzarono di scatto la testa e Sev istintivamente strinse il piede della ragazza tra i suoi due, in modo che non scivolasse indietro. Lily sobbalzò sorpresa da quel gesto improvviso e protettivo.

“E guarda caso, cercavi proprio questo libro, eh, Potter?” sibilò di rimando la ragazza, che appoggiò la mano sopra le pagine del grosso volume, per far capire a Potter che non se lo sarebbe portato via molto facilmente. Assieme a James, c’era pure Remus, pallido e dall’aria stanca e provata. Rimase piuttosto in disparte, lasciando che Potter interloquisse con gli altri due.

“Mia cara - Severus strinse ancora di più il piede della ragazza, stringendolo tra il collo delle caviglie - studio anche io, altrimenti non sarei arrivato al quinto anno” osservò il Grifondoro con un sorriso sornione. 

“Vedere te studiare, Potter, è un evento, renditene conto. Non mi meraviglio che faccia più freddo del solito” ribatté Lily piccata, senza guardarlo, intenta a proteggere il libro.

“Evans, qual è il tuo problema con me?” chiese Potter, cercando di sedersi accanto a Lily, ma venne fermato da due sguardi decisamente ostili.

Esisti” disse secca la ragazza, chiudendo di scatto il libro e portandolo lontano da Potter. Severus continuava a stringere il piede di Lily, talmente forte che la ragazza sentì la circolazione quasi fermarsi, facendole sentire un lieve formicolio sotto pelle. Ma vi era un’affermazione decisa, in quel gesto: tu appartieni a me. E non le dispiaceva affatto.

Remus intervenne, prendendo per una spalla l’amico.

“James, lasciali in pace e vediamo di non fare troppo rumore in biblioteca”. Il ragazzo si voltò di scatto, sorpreso da quell’inaspettata presa di posizione.

“Da quando in qua proteggi Mocciosus e la Evans?” gli chiese acido. Severus aveva voglia di alzarsi in piedi e di farlo volare via con un incantesimo. Odiava essere chiamato Mocciosus e non sopportava di essere umiliato così di fronte a tutti.

In quel momento ebbe un’illuminazione: poteva farlo volteggiare in maniera ridicola a mezz’aria, se solo avesse inventato un incantesimo apposito. Era in grado di farlo ed aveva sempre voluto cimentarsi nella creazione di nuovi incantesimi. Rimase calmo e composto al proprio posto, ma ribolliva di eccitazione all’idea che presto quel ragazzetto viziato avrebbe ricevuto il trattamento che si meritava da sempre.

“Sono un Prefetto e rientra nei miei compiti richiamare anche te all’ordine” spiegò calmo e pacato Remus, guardando intensamente Lily, che ricambiò lo sguardo con gratitudine. Lei non aveva dimenticato la sera in cui l’aveva aiutata e non aveva nulla contro quel ragazzo, che pareva molto differente dagli altri tre Malandrini.

“Io ho tutti i diritti a richiedere questo libro a lei, e lo avrò!” esclamò stizzito il ragazzo, sistemandosi nervosamente gli occhiali.

“Non essere sciocco: ha tutti i diritti a finire di studiare, poi te lo potrà dare. Non c’è bisogno di essere così prepotenti”.

Potter alzò le mani in segno di resa e borbottò: “Bene, dato che sembrate tutti alleati contro di me, andrò a comprarmi una copia di questo libro a Hogsmeade, dato che ne possiedono una in vendita a quindici galeoni. Per fortuna che i miei mi hanno mandato un po’ di soldi”. Detto questo, si toccò la tasca piena di galeoni scintillanti e tintinnanti con soddisfazione, e si allontanò di lì. Remus guardò Lily come per chiederle scusa, ma a quel punto Severus, abbastanza alterato, alzò lo sguardo e bruscamente lo invitò a lasciare la biblioteca una volta per tutte. 

“Vai a vantarti delle tue ricchezze altrove, pallone gonfiato” disse Lily, mentre vedeva James allontanarsi da lì con l’amico. La ragazza sbuffò e riaprì il libro con un gesto potente, facendo voltare gli altri studenti poco lontani da loro.

“Non avete mai visto una ragazza sbattere un libro dalla rabbia!?” esclamò stizzita Lily, fulminando tutti con lo sguardo. I presenti si affrettarono a tornare a scrivere e a leggere, prima che Madame Pince potesse intervenire con la consueta severità.

Sev teneva ancora bloccato il piede di Lily, ma lei non parve protestare, anzi. 

“Devo lasciare il tuo piede libero, o mi scaglierai un Petrificus Totalus se me lo tengo stretto ancora un po’?” ironizzò Sev. La Grifondoro lo guardò e ridacchiò.

“Lo sai che non potrei mai. Poi chi mi sopporterebbe se tu rimanessi pietrificato?”. Gli occhi verdi di Lily brillavano nella luce fioca della biblioteca, illuminata dalle torce dalle fiamme un po’ deboli per gli occhi degli studenti. Non aiutavano nemmeno le ampie finestre vicino ai tavoli, dato che erano fatte da vetri opachi, per evitare che gli studenti si potessero distrarre durante lo studio. Le meraviglie della Scozia, talvolta, erano più preferibili di un lungo trattato di pace tra Goblin e maghi dopo una battaglia del 1300, o di un capitolo dedicato alla lettura del palmo della mano per predire il futuro.

“Non sei da sopportare, tu sei da...” esitò, guardandosi attorno. Apprezzare? Non era la parola più adatta. Ammirare? Non era calzante. “Da amare” sussurrò in un attimo. Lily capì e il volto s’illuminò di un sorriso solare. Si beò di quelle semplici parole, apprezzando quelle brevi conversazioni con il proprio fidanzato.

“Tu mi ami, Sev?” chiese lei, dopo qualche attimo di silenzio, intanto che scriveva le proprietà di un’erba dal nome impronunciabile. Sentì le guance arrossire e diventare più calde per quella domanda che non aveva mai osato porre. Sapeva che Sev l’amava, glielo aveva detto sempre in biblioteca qualche mese prima, ed era certa di ricambiarlo, ma non le era mai capitato di chiederglielo in maniera così diretta.

Il ragazzo ci pensò su per qualche istante, e mentre annuì sereno, lasciò andare il piede di Lily.

 

Arrivando da Dublino, attraversando il Mare d’Irlanda, se si puntava con la prua della nave alle coste settentrionali dell’Isola di Anglesey, l’Albero della Vita si sarebbe visto sin da cinque, sei miglia marine di distanza. Anche se, da quella distanza, agli occhi di un mago, l’Albero sarebbe apparso come un ologramma, una visione, suggerita dalla propria resistenza più o meno buona al mare cattivo. Infatti, a partire da quella distanza, per proteggere la baia di Cemlyn e la Confraternita degli Evocatori, il mare si agitava sempre e comunque, scatenando potenti correnti e onde, non solo nei confronti delle sparute navi Babbane che vi transitavano, scoraggiandole ad avvicinarsi alle coste frastagliate dell’isola, ma anche verso i maghi che vi si avventurassero con le loro piccole imbarcazioni magiche. Non era possibile Materializzarsi e Smaterializzarsi nell’area della baia e della vicina laguna di Cemlyn: l’unico punto sulla terraferma che fosse mai stato messo a disposizione dei maghi visitatori occasionali era presso il piccolo villaggio di Tregele, a due chilometri di distanza da dove si erano stabiliti gli Evocatori nei secoli precedenti. Ovviamente, i maghi che avevano preso accordi con i Maestri della Confraternita, godevano di speciali permessi e Passaporte per Materializzarsi all’interno dell’esteso villaggio.

Chiamarlo villaggio forse non era il termine più appropriato, perché Mile Droichead sembrava in agglomerato di tanti piccoli isolotti, strutturati a loro volta come dei giardini pensili. Questi isolotti, circondati da mura in pietra grigia, venivano collegati tra di loro da innumerevoli ponti di diverse dimensioni, ed era per questo che il luogo era stato ribattezzato “Mille Ponti” in gaelico. Per il mago abile a sufficienza da poter volare con la propria scopa, dall’alto, quella specie di gemma incastonata tra la terra e l’acqua sembrava avere la forma di una stella a cinque punte, o un’enorme foglia, i cui collegamenti e strade apparivano come delle sottili e lievi venature. La strada principale di Mile Droichead, la Via della Purificazione, partiva dal livello più basso del villaggio, a ridosso della laguna, per poi salire vertiginosamente, in una lunghissima scalinata fatta da migliaia di gradini stretti e pieni di muschio ed erbacce, soprattutto per la prima parte di scalinata che era oscurata da porticati, e dai ponti che collegavano i livelli superiori; infine, la scalinata arrivava alla cima di tutta la città-fortezza, ovvero il Tempio. Il prode scalatore - il più delle volte un giovane Evocatore che doveva salire per intero la sterminata scala per poter accedere agli insegnamenti e allo studio dell’Arte Arcana - veniva ricompensato con una splendida vista di tutta l’isola, dall’enorme spiazzo lastricato di pietre colorate. Nelle giornate più limpide e terse, poi, si aveva l’impressione di dominare il mondo intero, dato che si poteva vedere senza alcuna fatica il resto del Regno Unito e si poteva vedere persino l’Irlanda, distante un’ottantina di miglia marine. L’altezza del tempio era vertiginosa, ma non arrivava mai a superare la chioma dell’Albero della Vita, da lì ben visibile, non più un indefinito ologramma.

Lo si poteva vedere in maniera chiara e distinta, senza doversi preoccupare di nessun battello incantato sbatacchiato dalle onde. E si aveva la percezione che fosse così reale e vivo, soprattutto in primavera, nei mesi di aprile e di maggio, quando l’enorme Albero dava vita a tanti piccoli fiori sulle tonalità del rosa, del bianco e del glicine. I fiori, agitati dal vento primaverile, si staccavano dai rami, sfaldandosi in tanti piccoli petali, e volavano ovunque, sospinti dalla corrente d’aria più calda e meno fredda del solito. Arrivavano a Mile Droichead, invadendo con il loro profumo dolce, ma mai ostinato, le abitazioni dei maghi, le stradine ed i vicoli della città. Si immergevano nella laguna, s’infilavano nei nidi delle numerose specie di uccelli che popolavano la baia di Cemlyn. Ma quando arrivavano verso la spiaggia un po’ sabbiosa e un po’ pietrosa, viaggiando tra le alte pareti che la proteggevano, resistendo da centinaia di migliaia di anni alle sferzate di vento e di acqua salata, i petali si trasfiguravano in tante piccole conchiglie. I pochi coraggiosi Babbani che si avventuravano da quelle parti, per pescare o per fare foto alla flora ed alla fauna del posto, non dovevano sapere dell’esistenza di un Albero prodigioso, di un Albero che reggeva le sorti del mondo magico e di Nove Mondi dell’Oltrevita. Quindi, i fiori di quell’enorme pianta magica divenivano innocue conchiglie, dalle sfumature color pastello, ed erano divenute piccoli oggettini da collezione, tra i Babbani ed i rari turisti, che una volta ritornati a casa li rivendevano a caro prezzo, mettendo da parte un considerevole gruzzolo.

Gabriel Lynch vedeva quel paesaggio mozzafiato da molti decenni. Lo aveva visto per innumerevoli primavere, estati, autunni ed inverni, in tutte le condizioni possibili, e l’unica cosa attorno a lui che non fosse mai mutata era proprio l’Albero, ed era vitale che non cambiasse nulla nell’enorme pianta millenaria. Le vite potevano scivolare via, come l’acqua che scorreva nei piccoli canali della città-fortezza, potevano evaporare, bruciare per un attimo, come sterpaglia che prende fuoco all’istante, o ardere lentamente come le ceneri che attendono l’ultima secchiata d’acqua prima di spegnersi per sempre e diventare una poltiglia nerastra indefinita, ma quell’Albero non avrebbe mai dovuto perdere un solo ramo, una sola gemma. Era ciò che consentiva ai defunti di passare da un mondo all’altro, dalla vita alla morte, anche a seconda di quello che avevano fatto durante la vita terrena. Ogni passaggio era seguito da un Evocatore, che si occupava di aprire le porte di uno dei mondi accessibili e guidare lo spirito del defunto. Ciascuno di loro, durante la loro esperienza di praticanti dell’Arte Arcana, doveva imparare a conoscere bene almeno uno dei Nove Mondi. C’era chi poi arrivava a conoscerli tutti e nove, ed ambiva a diventare il Maestro, la guida suprema della Confraternita; ma prima di arrivare a conoscere tutti e nove i mondi, era necessaria molta pratica e molto studio. Molte volte, una conoscenza superficiale di Niflheim, per esempio, gli inferi ghiacciati e ventosi come venivano comunemente chiamati, poteva liberare demoni sulla terra, che correvano a corrompere le anime Babbane e anche quelle dei maghi. Gli Evocatori erano anche degli eccellenti guaritori, specie quando si trattava di malattie dell’anima e maledizioni, o anatemi ostici da rimuovere. Molto spesso, Gabriel si era mescolato ai Babbani, per intervenire sui danni che i demoni di Niflheim avevano inflitto agli uomini, o per estinguere il fuoco malvagio di Muspelheim, il regno delle fiamme nere, che faceva agire in maniera sconsiderata gli abitanti della terra; e molte volte essi, di fronte ai mali inguaribili che torturavano le persone, gli avevano chiesto se fosse uno di quei fattucchieri a cui la gente donava molti soldi, affinché i loro affanni potessero svanire in un attimo. Gli chiedevano se fosse un pazzo, se credesse davvero al sovrannaturale, se fosse un visionario e si fosse inventato tutto dopo aver ingerito quelle droghe nuove e sintetiche che certi giovani deviati avevano iniziato a diffondere negli ultimi anni.

Molte volte era stato tentato dal rispondere che non si era inventato alcunché. Ma si limitava a rimanere in silenzio, e continuava a pregare e ad invocare gli Spiriti Puri che abitavano i Tre Mondi dei Giusti - sempre facenti parte di quei Nove Mondi retti dall’Albero della Vita - affinché potessero intervenire, scendere sulla Terra e mondare quell’anima corrotta. 

E tante volte, di ritorno da quelle fatiche non richieste, dalle quali otteneva tanta gratitudine, ma anche tanto sospetto e astio da parte dei Babbani più ignoranti, si recava nel punto più alto di Mile Droichead ed osservava l’Albero della Vita, che era la risposta a tutto e la sua fonte di sollievo. Oppure, delle volte, andava ad appoggiarsi ad una delle sue enormi radici, e conversava con qualche Spirito Saggio, disceso da Asgard, uno dei Tre Mondi dei Giusti, a patto che non arrivasse nessun altro a disturbare quelle profonde conversazioni.

In quel pomeriggio d’autunno, Gabriel Lynch sentiva il bisogno più che mai di recarsi sotto quella chioma e quel tronco immenso, di invocare l’aiuto di qualche Spirito Giusto, affinché potessero guidarlo nella scelta più corretta da fare. Erano passati secoli dall’ultima volta in cui un membro esterno alla Confraternita veniva ammesso alla città-fortezza per apprendere l’Arte Arcana. Dopo la decimazione degli Evocatori era stato stabilito di non ammettere più nessuno che provenisse da altre terre o villaggi, ma d’altronde i tempi che si prospettavano erano tutt’altro che luminosi e c’era un bisogno disperato di nuovi allievi. I giovani di Mile Droichead non sembravano neppure più così tanto affascinati da quella disciplina antica, e il Maestro stesso aveva acconsentito a malincuore a permettere a Miranda, sua figlia, un’Evocatrice praticamente già formata, di frequentare Hogwarts, passando sette anni con il costante timore che non volesse più tornare in quel luogo chiuso ed estremamente selettivo.

Non era del tutto convinto di voler accettare Lily Evans all’interno della Confraternita. Si sentiva combattuto, perché in quella ragazza aveva visto un’immensa potenza, ma anche un animo difficilmente plasmabile, dato che quella ragazza era fuoco allo stato puro e con lei si rischiava più di bruciarsi e di rimanere feriti, se presa in maniera sbagliata. E poi, era già piuttosto grande: era davvero disposta a fare un grosso sacrificio per il suo bene, ma soprattutto per quello dell’Ordine della Fenice e dell’intero mondo magico?

Solo chi poteva vivere al di sopra del mondo umano, al di sopra di qualsiasi affanno e controversia, poteva leggere a mente serena l’avvenire. E solo chi aveva dimenticato che cosa volesse dire avere a che fare con guerre e malvagità, poteva vedere con assoluta positività l’animo di una ragazzina focosa e ribelle come Lily.

Gabriel aveva bisogno del loro aiuto e non avrebbe atteso l’alba di un nuovo giorno. Si allontanò dalla piazza centrale del Tempio, avvolgendosi nel grande mantello grigio foderato di blu scuro, e scomparve nel pomeriggio sempre più buio di Mile Droichead.

* * *

A questo giro le note potrebbero essere devastanti. Lettori avvisati XD

Allora, partiamo con delle doverose scuse, sono vergognosa, vi ho fatto aspettare un mucchio di tempo! Ma spero che vi sia piaciuto questo capitolo densissimo. Mi è piaciuto molto da scrivere, anche perché sto attendendo con ansia il momento di poter iniziare a scrivere il 35, che vedrà l’ingresso di un personaggio parecchio importante! 

Desidero chiarirvi qualcosa circa gli Evocatori, e le varie cose che ho chiamato in causa in questo capitolo, nel caso vi fosse sfuggito qualcosa. Per questo, vi chiedo di leggerle bene:

  1. Dove abitano gli Evocatori: sull’Isola di Anglesey, altrimenti detta Inis Mona, o Ynys Mon. Qua. Il loro villaggio Mile Droichead, città-fortezza di mia invenzione, è situato nella baia di Cemlyn, a nord dell’isola. Non ci si può Materializzare o Smaterializzare, nel senso che i maghi visitatori e che capitano di lì non possono entrare e uscire da quell’area a loro piacimento e l’unico punto a loro disposizione dove poterlo fare è a due chilometri da lì. Gli Evocatori possono spostarsi in maniera più libera, chiaramente, e così possono i maghi che hanno preso accordi direttamente con i Maestri. Possono utilizzare o la Materializzazione o una Passaporta creata ad hoc.
  2. L’Albero della Vita: è un tratto comune alle mitologie nordiche, ma anche nella mitologia celtica è ben presente (beh, se consideriamo che Normanni e Vichinghi sono arrivati in Irlanda e a più ondate, è normale che le culture si contaminino, no?). Bene. Io ho preferito usare un po’ a mio piacimento le caratteristiche dello Yggdrasil (nella mitologia norrena) o Crann Bethadh (nella mitologia celtica). Prima di tutto, l’Albero della Vita regge Nove Mondi dell’aldilà: ho voluto raggrupparli in gruppi di tre, ovvero Tre Mondi dei Giusti (troverete nominato Asgard nel capitolo. Ci sono le divinità e gli spiriti oramai beati e saggi, non più turbati da alcunché), Tre Mondi Infernali (nel capitolo troverete Niflheim e Muspelheim, esiste anche Helheim, ma è un mondo terribile e non lo nominerò se non in The Old Ways e nella terza parte della saga), e i Tre Mondi delle Creature Leggendarie (che non ho nominato, giganti e goblin e esseri fantasmagorici e vivaci arriveranno più avanti. Bodhva, che ho tirato in causa, fa parte dei Tre Mondi delle Creature Leggendarie, è un tipetto tosto, lui :P). L’unica cosa che mi ha mandato un po’ in dubbio era se utilizzare i nomi originali utilizzati nella mitologia norrena. Onestamente, essendo la cultura celtica molto meno scritta di quella norrena, non esistono dettagli al riguardo dei mondi dell’aldilà, anche perché per loro sembrava ci fosse un enorme Oltremondo e basta, con un troiaio di creature tutte mescolate tra loro. Allora, mi perdonerete se ogni tanto chiamerò in causa i nomi originali dei mondi retti dall’Albero, tanto cercherò di fare in modo di richiamare delle piccole caratteristiche di ciascun mondo. Per esempio, Muspelheim è il regno delle fiamme nere; Niflheim è il regno degli inferi ghiacciati, e così via :P Un po’ omerica e poetica come soluzione, ma aiuta a ricordarsi ogni mondo che vado a trattare. Che, mica mi posso ricordare tutto :P
  3. Che cosa fanno gli Evocatori: non posso farvi troppi spoiler! Accontentatevi di quello che ho scritto :P Sarà chiarito in maniera graduale ed esaustiva nella seconda parte di Irish Rain, che si chiamerà “The Old Ways”. Abbiate pazienza, fanciulli e fanciulle :P

 

Orbene, dopo che siete morti e caduti tutti dalla sedia, vorrei approfittarne per dedicare questo capitolo - nella speranza che non me lo tirino dietro - a delle persone in particolare: a The Edge Of Darkness, per essere stata così paziente e un’ospite deliziosa, nonché compagna di trollate, spoiler delle rispettive fanfiction e chi ne ha più ne metta. Il tutto, in un improbabile viaggio tra Milano, Bologna, ragù alla bolognese, Bombocrepe e outlet di libri. (La donna SA tante cose su Irish Rain. MA TANTE). A DiraReal, per essere una writer favolosa, una persona adorabile e molto carina. E un’ottima compagna di concerti e avventure musicali :D E di chiacchierate interminabili (dove io parlo fin troppo e lei pazientemente ascolta). A Kira91 per essere un piccolo grande tesoro, divertente e gentilissimo e ospitale *_* E per avere degli animali adorabili :3 Meow! Infine, lo dedico anche a RaspberryLad, l’ammore bigné pasticcino compagno di deliri, trashate, minchiate galattiche, balletti demenziali su Amaranth al concerto dei Nightwish. 

 

Ed è dedicato sempre a voi che mi seguite e che mi recensite con tanto affetto. Davvero, non potrei chiedere di più. Grazie di cuore. Vi lascio anche la canzoncina degli Of Monsters And Men, allegra, spensierata, nelle melodie, il testo invece parla molto dei propri demoni interiori. Enjoy! Il video è stupendo! 

 

Blankette_Girl <3

Ale

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Capitolo 35
*** Don't Give Up ***


Piccola nota di apertura: soprattutto per la prima parte del capitolo, vi consiglio questa canzone. Anche perché Kate Lynch è proprio Kate Bush :P
 

35.

Don’t Give Up


“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio”.

Eugenio Montale

 

Per quella bambina di appena sette anni, l’Albero era divenuto il suo migliore amico.

Miranda Lynch non voleva la compagnia dei suoi coetanei, non voleva prendere parte a nessuna attività educativa o ricreativa di Mile Droichead: preferiva le grosse radici rassicuranti dove appoggiarsi e sedersi per ore, per poter leggere i libri di fiabe che sua madre le aveva lasciato come ultimo dono, prima di andarsene. Le leggeva di continuo, disperatamente, nella speranza ingenua che in quelle pagine risuonasse la voce inconfondibile di quella bella donna, elegante e gentile, tanto affettuosa con tutti. E rimaneva sotto l’Albero a lungo, credendo che prima o poi sua madre l’avrebbe chiamata, dall’alto di quella chioma sempre verde e folta. Ingenuamente, pensava che volesse giocare a nascondino con lei, passando da un mondo all’altro, da una fronda all’altra di quella pianta gigantesca.

Quell’Albero maestoso era l’unico a sapere dove se ne fosse andata la dolce Catherine Lynch, detta Kate, spirata un giorno d’estate instabile e temporalesco. Si era messa a letto per non rialzarsi mai più, una sera qualunque di giugno, dopo aver messo a dormire l’unica sua figlia e di Gabriel: non aveva più voglia di mangiare, di parlare con le persone che le stavano attorno, persino di bere acqua in quelle sterminate giornate caldissime ed afose. Dormiva, per la maggior parte del tempo, e benché riposasse per buona parte del giorno, il viso appariva sempre più stanco e pallido, segnato da delle occhiaie violacee e sempre più profonde. Miranda era piccola, forse troppo piccola per capire che cosa stesse divorando la madre, privandola dell’energia vitale, ma aveva compreso che qualcosa non andasse dagli occhi di suo padre, le cui iridi azzurre si erano velate di dolore, anzi, di pura disperazione, benché l’uomo non volesse darlo troppo vedere alla figlia. Gabriel Lynch passava più tempo possibile con la moglie sofferente, chiuso in quella che era nei tempi felici la loro camera da letto, che aveva una spettacolare vista verso i prati, la laguna e l’Albero della Vita. In quei momenti, non esistevano guaritori, aiutanti, Evocatori di nessun tipo. Quando il Maestro della Confraternita decideva di chiudersi nella stanza per assistere la moglie, lui diveniva semplicemente un uomo profondamente legato alla compagna malata. Tutti sparivano dalla casa dei Lynch, e Miranda si appoggiava a quella porta chiusa ed inaccessibile, anche solo per carpire una parola significativa, un segno di vita in più da parte della madre Kate, ma tutto ciò che riusciva a comprendere era quel “Non arrenderti”, sussurrato, ripetuto come una litania da parte dell’uomo, pieno d’amore e di impotenza di fronte ad un destino che non riusciva a cambiare, per quanto avesse provato a fare tutto ciò che era in suo potere fare.

Miranda una sera, era oramai agosto inoltrato, prima che scoppiasse il temporale annunciato da forti tuoni e folate di vento improvvise, aveva avvertito che qualcosa di brutto sarebbe accaduto e da bambina testarda aveva aperto la porta, giusto per vedere suo padre tirare su a sedere sua madre, appoggiandola al piccolo mucchio di cuscini che aveva a disposizione. Kate era spaventosamente magra, ma era la prima volta in quel periodo di pene e sofferenze che era riuscita a mettersi a sedere. Il viso era molto scavato, ma nonostante tutto sembrava un po’ più vitale del solito. Gli occhi scuri di Kate si erano immediatamente illuminati alla vista di Miranda e le aveva teso le braccia, invitandola ad abbracciarla.

La bambina, nonostante fosse corsa tra le braccia della madre, saltando sul letto, aggrappandosi alla donna, stringendole convulsamente la veste chiara, non riusciva a scacciarsi quell’orrenda sensazione sgradevole di dosso. Quel senso indescrivibile di mancanza imminente. 

Al debole abbraccio di Kate si era aggiunto quello del padre, molto più forte e vigoroso. Gabriel stringeva sia la moglie che la figlia, e quest’ultima aveva sentito una lacrima caderle tra i capelli. Una lacrima in un mare di dolore come quello poteva essere silente, ma in quella circostanza rimbombava assordante nella testa della bambina, come se un macigno fosse caduto poco distante, spaccandosi in mille pezzi. Perché Gabriel, suo padre, era devastato di fronte alla moglie, seppure lei mostrasse un lieve miglioramento ed una parvenza di ritrovata vitalità?

“Gabriel, non piangere” gli aveva detto flebile, ma ferma, Kate, alzando una mano verso il viso dell’uomo, per asciugargli le lacrime. Miranda aveva alzato la testa e aveva notato lo scambio di sguardi più intenso che avesse mai visto. Quello di due persone che si amano profondamente, quello di due persone che hanno condiviso tutto dall’inizio fino all’ultimo istante e che si devono separare. La bambina si era accorta che il padre stava avendo enormi difficoltà nel trovare qualcosa di sensato da dire, e trattenne a malapena un piccolo singulto.

Kate aveva un’inspiegabile aura di serenità attorno a sé, e il viso andava rilassandosi sempre di più, ed un sorriso lieve le aveva increspato le labbra. 

“Vorrei che tu mi portassi alla Fonte Sacra” aveva mormorato, mentre con una mano accarezzava i capelli lunghi di Miranda, e con l’altra toccava con gentilezza la guancia umida del compagno.

Gabriel aveva capito che erano arrivati alla fine, alla separazione estrema ed ultima, nel momento in cui Kate aveva espresso quel desiderio in apparenza semplicissimo. Era ad un passo dal crollo totale, dal ripiegarsi dentro quell’involucro di dolore e devastazione che aveva caratterizzato quei giorni infelici, ma non poteva fare un torto a sua moglie, che aveva espresso il suo ultimo desiderio. Dagli occhi non erano più scese lacrime, ma il suo sguardo era rassegnato e cupo.

Miranda si era prontamente spostata, per lasciare che suo padre potesse prendere in braccio la donna, che si era lasciata sfuggire una risata come non faceva da tempo. Nel momento in cui era stata sollevata e si era ritrovata tra le braccia del marito, si era sentita bene come nel giorno del suo matrimonio, si era sentita amata ed adorata come la prima volta che Gabriel l’aveva presa in braccio proprio alla Fonte Sacra, dove si erano incontrati anni prima. Miranda li aveva guardati a lungo, e si era sentita di troppo in quel momento così intimo e privato tra i due genitori. La bambina non era gelosa di quel legame speciale tra loro, perché sapeva che se non si fossero amati così tanto, perlomeno ai suoi occhi, lei non sarebbe stata lì, in quell’angolo di mondo remoto, su quell’isola inglese tanto particolare.

Aveva lasciato che suo padre uscisse dalla stanza con sua madre tra le braccia e li guardò allontanarsi. Il silenzio era denso, pesante, insostenibile, alleggerito dal leggero fruscio della veste di Gabriel e dal rumore dei suoi passi, che si faceva via via sempre più remoto e distante, lasciando spazio ai tuoni sempre più potenti. 

E man mano che il tempo si faceva sempre più cupo e minaccioso, più si faceva forte l’idea che sua madre non sarebbe mai più tornata in quella casa. Miranda era rientrata nella camera da letto dei genitori, si era sdraiata su quel letto sfatto, ed aveva cercato le ultime tracce di calore materno tra le lenzuola. Avevano un buon profumo di arancia e vaniglia, l’aroma preferito di Kate Lynch.

 

Non c’era magia o rito che tenesse di fronte alla certezza che Catherine stava morendo e lo stava per lasciare. La teneva tra le braccia, la stringeva forte, attento a non farle del male, ma sentiva che qualcosa della donna stava scivolando via. L’anima pura e deliziosa della compagna stava sgusciando via da quel corpo provato e stanco. Il corpo sarebbe diventato presto un guscio senz’anima, un fiume secco senza più acqua. Ma Kate sembrava serena e si lasciava stringere forte, anzi, si beava di quella stretta forte e protettiva; si guardava attorno, senza temere l’incombente temporale, lasciando che il vento le annodasse la massa di capelli castani. Sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto il vento in faccia, la pioggia addosso. Sapeva di avere un male incurabile, che l’aveva lentamente consumata, ma non aveva voluto essere curata, non aveva voluto che Gabriel si addentrasse nel suo corpo cercando l’origine della sua sofferenza atroce. Non voleva che la persona più importante della sua vita, assieme alla figlia Miranda, si facesse carico di quel male. Già era abbastanza duro da sopportare per lei sola: sarebbe morta di apprensione se il marito, con le sue doti di guaritore, si fosse fatto carico delle pene di Kate. 

Gabriel scendeva i gradini della Via della Purificazione lentamente, seguendo il desiderio dell’amata, che faceva vagare lo sguardo da una parte all’altra di quella città-fortezza nella quale si erano incontrati anni prima, quando il Maestro era solo un giovane apprendista Evocatore, e Kate era appena tornata da Hogwarts con i suoi M.A.G.O. e tutto il suo desiderio di curare i malati di malattie magiche, oltre che essere Evocatrice. Si erano conosciuti, si erano amati col tempo, dandosi appuntamento il più delle volte presso la Fonte Sacra, avevano deciso di rimanere lì per il resto dei loro giorni e avevano avuto Miranda, ed avevano sempre sperato che potesse essere la prima di una famiglia numerosa.

Non provava più rancore per quei figli mai più arrivati, per quell’illusione felice presto sparita, divorata dalla malattia e dalla sofferenza. Aveva fatto quello che aveva potuto in vita sua, aveva conosciuto l’altra parte di sé, l’aveva amata, le aveva promesso fedeltà; aveva voluto bene ai suoi malati, alle persone bisognose delle sue cure. Aveva cresciuto nel migliore dei modi la sua Miranda, così piccola e così curiosa del mondo circostante. Le aveva raccontato le fiabe ed i miti che riguardavano la Confraternita ed il mondo magico, e le aveva sempre raccomandato di voler bene all’Albero della Vita, poiché lui le sarebbe stato sempre amico e l’avrebbe sempre protetta. Poteva osare chiedere di più alla vita? Non lo riteneva più giusto, lo riteneva un atto di egoismo assoluto. Kate non era egoista, non lo era mai stata.

Lasciati indietro i ponti deserti di Mile Droichead, Gabriel aveva sceso l’ultima parte di gradini della Via della Purificazione, attraversando poi la porta principale della cittadina. Era rimasta solo una strada pavimentata che si perdeva nel verde e nei campi di Ynys Mon. L’uomo l’aveva percorsa deciso, mentre piccole gocce d’acqua avevano iniziato a cadere su di lui, e su Kate, che aveva gettato la testa all’indietro ed aveva aperto la bocca, giocosamente, per fare in modo di prendere qualche goccia di pioggia. Aveva camminato spedito, puntando verso l’Albero della Vita, che si faceva sempre più vicino, ed alla prima biforcazione, aveva svoltato a destra, dirigendosi verso il mare e le alte pareti di roccia che proteggevano le spiaggette sassose. 

Si era lasciato indietro l’Albero e la laguna, ed il percorso si era fatto più tortuoso e sconnesso, ma poco gli importava, dato che a Kate non rimaneva molto da vivere. Non gli importava nemmeno più del temporale, dato che i tuoni si confondevano con il ruggire delle onde sempre più alte e spumose. Arrivato di fronte a quella che in apparenza sembrava una parete di roccia qualunque, Gabriel aveva mormorato qualche parola, e il muro si era diviso in due, invitandolo ad entrare con la consorte, che in quel momento gli aveva chiesto di poter scendere e di poter camminare verso la Fonte. L’uomo l’aveva appoggiata a terra, e Kate aveva preso a camminare con lentezza, sostenendosi al braccio del compagno. Una volta imboccato l’ingresso della grotta, il muro di pietra si era richiuso dietro di loro. Una splendida fila di torce dalle fiamme violacee e bluastre illuminava la grotta, e si poteva vedere il gocciolare argenteo dell’acqua lungo le pareti e a terra. La donna si bagnò la mano, appoggiandola su uno di quei tanti rivoli che si era formato negli anni, e se la passò sul viso. Forse era l’effetto di quella luce bassa e dalle tinte scure, ma Catherine sembrava radiosa, priva di affanni, come se si stesse rinvigorendo, man mano che si avvicinava alla fine.

“Andiamo” gli aveva detto con un sorriso gentile sulle labbra.

Si erano addentrati nella grotta, seguendo il rumore dell’acqua che gorgogliava sempre più forte. Erano arrivati di fronte ad un enorme spiazzo, scavato nella pietra, per loro inconfondibile. La Fonte Sacra era un luogo magico, dove l’acqua dolce sgorgava da una parete di roccia dalle molteplici bocche. I getti d’acqua si raccoglievano poi in un piccolo bacino sottostante, che si faceva piuttosto profondo, sempre scavato nel pavimento roccioso, dove i maghi e gli Evocatori venivano a raccogliere in piccole ampolle l’Acqua Sacra, ottima per preparare potenti pozioni curative e rigeneranti. Ed era proprio lì, al limitare di quel bacino, che si trovavano Kate e Gabriel. 

Le fiamme delle torce danzavano frenetiche, gettando minuscole scintille blu e viola ovunque. Si scontravano con la dura pietra, o si spegnevano tuffandosi nel piccolo laghetto, toccando qualche ninfea magica che galleggiava pigramente sulla superficie dell’acqua.

Kate aveva immerso i piedi nell’acqua, noncurante del fatto che si stesse bagnando anche la gonna dell’ampia veste color crema. Aveva fatto qualche passo in avanti, dando le spalle al compagno, per poi voltarsi verso di lui. Gabriel l’aveva subito raggiunta, stringendola in un abbraccio che non avrebbe più voluto far finire.

“Lo sai che cosa ti sto per chiedere” gli aveva detto Kate, guardandolo intensamente negli occhi “Ne abbiamo parlato a lungo”.

Gabriel si era limitato ad annuire, con il cuore sempre più pesante. Certo che lo sapeva, aveva dovuto accettare di compiere le ultime volontà della moglie e non poteva più tornare indietro. 

“Ho forse altra scelta?” aveva replicato sommessamente l’uomo, accarezzandole il viso ed i capelli con amore. Con un semplice gesto, aveva avvicinato il viso della compagna al suo, e Gabriel aveva appoggiato le labbra sulla fronte della donna, per poi scivolare delicatamente verso la bocca di Kate. L’aveva sentita stringerlo forte e ricambiare quel bacio intensamente, con calore, con l’atroce consapevolezza che sarebbe stato l’ultimo che si sarebbero scambiati in quella vita. Aveva sentito le gambe di Catherine cedere, e il mago l’aveva aiutata ad inginocchiarsi nel lago. Kate aveva cercato poi un altro bacio e si era aggrappata alle spalle del compagno, tremante e consapevole che da quel momento in poi non sarebbero più tornati indietro. Si agitava, batteva le mani nell’acqua, si stava infradiciando tutta la veste, incollandosela al corpo, come se non volesse cancellare quella sensazione di vita che se ne va una volta per tutte. Gabriel non voleva vederla agitata nel Rito del Trapasso. Aveva esitato per qualche attimo, pensando che si potesse tornare sui propri passi, che potesse approfittarne di quel momento di debolezza e di fragilità per cercare piuttosto di entrare in lei e prendere quell’ammasso di dolore e pena, e toglierglielo una volta per tutte, per farsene carico lui. Ma Kate era veloce e attenta e aveva subito cercato di ricomporsi.

“Non arrenderti di fronte a questa mia fragilità. Vai avanti e fai quello che devi fare”.

“Non potrai più tornare indietro, Kate” aveva cercato di dirle ancora una volta il marito, invano.

“Lo so, ma sono stanca e non manca molto alla fine. E se compi tu il rito, io non ho più paura”.

Gabriel si era allora distanziato dalla donna, e aveva preso una manciata d’acqua tra le mani e gliel’aveva riversata sul capo, per purificarla e benedirla, bagnandole i capelli e quel che rimaneva della veste asciutta. Lei lo aveva subito guardato con sollievo e gratitudine, mormorando un “Grazie” appena udibile, con gli occhi lucidi. Era il suo modo per dimostrargli il suo amore.

L’aveva fatta sdraiare sulla pietra asciutta, facendo in modo che con la magia la roccia fosse più morbida. Dalla cintola scura, Gabriel aveva estratto una piccola ampolla con un liquido rossastro e Kate sapeva bene che cosa fosse. Ci erano volute tre settimane per preparare quella pozione, e sapeva quanto fosse costato al compagno doverla preparare. L’avrebbe fatta addormentare dolcemente, lasciando che il dolore prendesse il sopravvento su di lei, una volta per tutte, mentre scivolava nel sonno. Kate l’aveva bevuta sorso dopo sorso, sentendo un piacevole ed istantaneo torpore. Aveva la mano sinistra stretta a quella di Gabriel e lentamente la presa si era fatta sempre più debole. Aveva guardato gli occhi azzurri dell’uomo finché aveva potuto - quelle iridi azzurre che l’avevano subito conquistata per quella brillantezza - finché non erano divenute indistinte e sfocate, finché tutto non si era fatto nero ed indistinguibile. Poi, il nulla.

 

Gabriel non si era accorto che le lacrime erano cadute silenziose e di loro spontanea volontà dal momento in cui aveva dato da bere la pozione a Kate. Non si era accorto che erano diventate un fiume inarrestabile nell’istante in cui la mano dell’amata era scivolata via dalla sua e si era appoggiata a terra.

A quel punto, con mano malferma, si era avvicinato all’amata senza vita e le aveva levato dal collo il ciondolo da Evocatrice. Aveva stretto per qualche breve istante ancora la mano sinistra della donna, per sfilarle dall’anulare l’anello di oro bianco che portava al dito dal giorno in cui si erano sposati. Aveva fatto scivolare la vera nella catenella del ciondolo e si era messo il tutto al collo, noncurante del fatto che in quel momento portasse due ciondoli.

Si era alzato in piedi e aveva guardato l’espressione serena di Kate, che pareva solamente addormentata. Aveva estratto la bacchetta magica e l’aveva puntata verso l’alto, verso un cielo ideale coperto da fredda roccia. Aveva iniziato a camminare attorno alla donna appena spirata, mormorando formule magiche, girando tre volte attorno a lei. Poi, aveva abbassato la bacchetta di scatto, puntandola verso il torace della donna e si era fermato.

Dall’esterno poteva sembrare un rito sciocco ed estremamente facile da compiere, ma il Rito del Trapasso richiedeva invece un grosso sforzo mentale e fisico, che non ammetteva cali di concentrazione. Il Maestro aveva guardato a lungo ed intensamente la bacchetta puntata sulla donna, sperando che qualcosa potesse accadere in fretta. 

Dal petto di Kate sembrò uscire una fiamma biancastra, dalle sfumature dorate. Veniva fuori lentamente, procedendo verso l’alto: era la sua anima ed aveva un colore bellissimo ed unico. Gabriel la guidò, continuando a mormorare piccole formule magiche, fino a quando non uscì del tutto. Era una fiamma molto bella, dalla luce incantevole. Galleggiò a mezz’aria per qualche attimo, e si era avvicinata timidamente all’uomo, che aveva abbassato la bacchetta. Lì, c’era tutta la sua Kate, che aveva amato e che avrebbe sempre amato. Lì, in una fiamma calda c’era lei.

“Sei libera, Catherine” aveva sussurrato a quell’entità luminosa che si era fatta man mano più vicina. All’improvviso, la fiamma aveva cessato di galleggiare insicura ed era schizzata verso l’uscita della Fonte Sacra. Gabriel corse per seguirla, evitando accuratamente di inciampare, a causa della veste zuppa d’acqua. Sapeva che cosa avrebbe fatto entro pochi istanti. Aveva corso finché aveva potuto, seguendo quell’entità di luce ed oro impazzita, che aveva preso a zigzagare tra le rocce, tra l’erba, scompigliandola tutta, puntando verso l’Albero della Vita.

Quella era la sua Kate. Era libera, era la sua nuova vita, quella, racchiusa nella sua anima dorata e splendente. Correva godendosi il cielo meno plumbeo e con sprazzi di sereno, schivava le sparute gocce di pioggia che cadevano impercettibili, seguiva il vento che era diventato una brezza gradevole dal mare. Viaggiava veloce, seminando l’amato che voleva seguirla disperatamente, che non voleva perdersi un solo movimento di quella fiamma vivace e piena di nuova vita. Era riuscito a correre  fino all’Albero, dove aveva potuto vedere che l’anima di Kate si era fermata, come per aspettarlo. Sopra l’enorme pianta, il cielo era terso e brillante. 

In un attimo, la fiamma dorata schizzò verso l’alto, ad una velocità folle, per un occhio umano. Stava puntando al Mondo dei Giusti, e Gabriel stava invocando tra sé e sé tutte le divinità giuste affinché potessero accettare sua moglie tra i Giusti. Sarebbe svanita nel cielo, da lì a poco, accolta da quello sprazzo di cielo azzurro. Era come se le divinità si fossero affacciate in quel grigiore per vedere chi sarebbe arrivato di nuovo da accogliere. L’Albero sembrava essersi circondato di un’aura argentea, che faceva le foglie più scintillanti, che rendeva il possente tronco luminoso. Si stava preparando a mandare Kate verso il mondo che le spettava.

La fiamma dorata continuava la sua corsa sfrenata verso l’alto e quando aveva superato la chioma dell’Albero, che si era fatto molto luminoso, si era sfaldata, quasi in un’esplosione di gioia, in infinite perle iridescenti che si dissolsero a contatto con i raggi di sole, che aveva fatto capolino tra le nubi.

 

La mancanza non si poteva descrivere, fino a quando non si era in grado di avvertirla, di viverla, aveva sempre pensato Gabriel Lynch, mentre si lasciò alle spalle quel ricordo amaro e atroce, che dopo quasi dieci anni continuava a tormentarlo come se fosse ancora una ferita fresca e mai richiusa. 

La mancanza se prima non era possibile descriverla per assenza di esperienza, una volta vissuta rimaneva altrettanto indescrivibile, perché il fiume di parole e di sentimenti che si desiderava riversare addosso a quel vuoto incolmabile, era evaporato, trascinato via dal vento che mette a tacere tutto con poche ed imperiose folate. La mancanza faceva ammutolire e basta.

Gabriel ogni volta che si recava all’Albero della Vita, non poteva fare a meno di pensare a Kate, a quel pomeriggio in cui se n’era andata. Ma non poteva fare a meno di pensare anche a Miranda, la sua adorata figlia, che dopo la morte della madre aveva trascorso moltissime ore all’ombra di quell’Albero. E se le prime volte aveva tentato di richiamarla per portarla a casa, per farle mangiare qualcosa, alla fine si era trovato seduto accanto alla piccola, tenendola sulle ginocchia e leggendole quel libro di fiabe e di miti oramai consumato dal tempo e dalle dita, che avevano sfogliato quelle pagine senza sosta. Aveva cercato di essere il più presente possibile, non perché volesse rivedere a tutti i costi qualche riflesso di Catherine, ma semplicemente perché voleva che Miranda crescesse nel modo migliore e più sano possibile, in modo tale che non avvertisse nessuna mancanza dolorosa, sebbene nella vita non ci si riprendesse mai dalla scomparsa di qualcuno che si era amato con tutte le forze. Le cicatrici rimanevano, si chiudevano, diventavano una linea invisibile appena percepibile sulla pelle, ma la sensazione di dolore intenso e lancinante rimaneva tale e quale a prima. 

Gabriel aveva di fronte ancora una volta l’Albero, quell’Albero che tutti dovevano rispettare e riverire. La pianta magica i cui segreti erano stati spiegati per esteso a Miranda, che non sembrava essere mai paga di imparare dal padre. L’Albero per il quale lui avrebbe sempre lottato strenuamente. 

Si stava facendo decisamente buio, ma l’uomo non lo temeva, protetto da quella gigantesca pianta. Alzò i palmi delle mani verso il cielo e chiuse gli occhi, concentrandosi sul proprio respiro e su quell’istante preciso. S’isolò da tutto il resto del mondo, andando a cercare con la mente - ma anche e soprattutto con il cuore - la giusta motivazione per evocare uno Spirito Giusto, per dare un buon motivo a tanta magnificenza per abbandonare Asgard, per attraversare Bifröst, lo sterminato ponte iridescente che collegava il mondo delle divinità con quello degli umani. Aveva bisogno di una luce guida come non mai, poiché durante l’esistenza era sempre necessario avere qualcuno di più saggio, con più esperienza e ampiezza d’orizzonti al proprio fianco. Lui aveva guidato tanti giovani aspiranti Evocatori, aveva guidato Kate finché aveva potuto, ma lui sua volta aveva tratto molti insegnamenti dalla semplicità di spirito della compagna; non avrebbe mai voluto smettere di poter essere un punto di riferimento della figlia, ma allo stesso tempo, continuava ad imparare nuove cose da chi era stato sulla Terra prima di lui. Una guida poteva essere una persona, uno spirito, un libro vecchio secoli, ma dalle parole sempre attuali. Colui che si reputava sazio ed esperto, era destinato a rimanere chiuso in una prigione di mediocrità, monotonia e stoltezza.

Vide uno sfarfallio di luce appena sopra la chioma ed esso rischiarò i prati circostanti. Tenne gli occhi fissi verso quel bagliore via via sempre più intenso, che scendeva lentamente verso di lui. L’Evocazione era una pratica che non ammetteva cali di concentrazione e richiedeva un considerevole sforzo fisico.

Quella luce divenne sempre più grossa e si andò progressivamente definendo, prendendo la forma di un umano, anche se più grande e alto della media. Portava una corazza splendente ed una grande spada era riposta in un’elsa tempestata di quelle che dovevano essere le rarissime gemme degli Elfi Bianchi, praticamente introvabili sulla Terra. Quel dettaglio fu abbastanza per fargli capire chi gli si fosse appena apparso. Il protettore degli Elfi e di tutti i governanti di qualsiasi mondo conosciuto, colui che garantiva il nascere del sole e la prosperità ogni giorno.

Freyr” mormorò rispettoso Gabriel, abbassando le mani ed inchinandosi verso la divinità che avanzava verso di lui a passo lento. Gli Spiriti non avevano particolari espressioni di gioia o di rabbia sul volto, erano soliti esprimere i loro stati d’animo con maggiore o minore luminosità. Inoltre, le conversazioni tra le entità evocate ed i maghi erano udibili unicamente tra i due interlocutori. Agli altri partecipanti, o chiunque si trovasse presso uno spirito, la conversazione assumeva i rumori più diversi. Talvolta poteva essere il rumore del vento, delle onde, delle fronde che si agitano, il cadere delle gocce di pioggia.

Non tutti erano a conoscenza del fatto che agli spiriti costasse molta energia il passaggio da un mondo all’altro e che le conversazioni fossero generalmente di breve durata, anche per non far arrivare l’Evocatore allo stremo delle forze.

“Maestro Lynch, eccomi” rispose lentamente lo Spirito Giusto, che chinò la testa lievemente, in segno di saluto all’Evocatore “Quale turba ti affligge?”.

Gabriel si rialzò in piedi e guardò con sincerità quell’aura pura e luminosa e desiderò subito ritrovare la propria serenità; pertanto, evitò ulteriori convenevoli e passò al nocciolo della questione.

“Si tratta della Confraternita. Ci attendono tempi duri e abbiamo bisogno di addestrare nuovi Evocatori”.

“Da Asgard noi vediamo tutto, e siamo turbati dalla nube oscura che pare avvolgere Midgard, il vostro pianeta. Siamo pronti ad aiutarvi, a qualsiasi costo”.

Di problemi se ne stavano aggrovigliando decisamente troppi, pensò Lynch, ed occorreva partire da quelli più piccoli e semplici, prima di pretendere di risolvere quelli dell’intero mondo magico minacciato da Lord Voldemort e le Creature Oscure.

“Si tratta di una giovane maga. Proviene da una famiglia i cui antenati erano Evocatori, ma lei ha scoperto solo adesso la sua discendenza”.

Freyr si guardava attorno, contemplando le meraviglie della terra e di quell’isola, ed ascoltava attentamente le parole del Maestro. Le pietre dell’elsa della spada brillavano nella sera scura e senza luna.

“Come si chiama la giovane?” chiese lo spirito.

“Lily... Lily Evans. I suoi antenati sono i Moore. Irlandesi”.

“Caduti per proteggere gli Evocatori contro il Dearg Slèabua” constatò Freyr. Per lui non esisteva passato, presente o futuro: tutto era un continuo divenire. Quelli che per gli uomini potevano essere secoli, per lui era un semplice battito di ciglia. Si stava riferendo chiaramente ad una battaglia avvenuta secoli addietro e per lui sembrava essere avvenuta qualche giorno prima. 

“Esattamente” confermò asciutto l’uomo.

“Eppure stai esitando: non ti fidi di lei?”.

“E’ pur sempre una ragazzina di cui non sappiamo molto, a parte la sua discendenza. Ci possiamo veramente fidare? Possiamo farla entrare nella Confraternita, contravvenendo alle regole che voi stessi avete così tanto appoggiato, per la nostra sopravvivenza?”.

“E se quest’eccezione fosse per far sopravvivere qualcosa di più grande?”. Freyr allungò un braccio ed indico la vastità delle pianure, la profondità del mare, l’asperità degli scogli. La Terra, che era stata messa sotto la protezione di Thor dall’alba dei tempi, colui che aveva piantato l’Albero della Vita per ordine di Odino, quando quella era solo una tenera pianta dal fusto sottilissimo e dall’aspetto fragile. Quell’Albero era cresciuto con amore, sconfiggendo quello del Vuoto, del Dolore e della Miseria che Loki, signore di Helheim aveva cercato di piantare, per gettare nella devastazione e nel caos quel pianeta giovane e promettente. Freyr aveva ragione. Colui che possedeva più lungimiranza, difficilmente si sbagliava.

“Quella ragazza sembra essere molto forte, ma anche piuttosto difficile da plasmare, però sento che può essere la chiave per poter fronteggiare le difficoltà che ci attendono” osservò il Maestro, avvicinandosi allo Spirito, cercando di abbracciare con lo sguardo le meraviglie di quel territorio, e tentò di andare, seppur idealmente, oltre quell’isola.

“Una ragazza così può sempre essere corretta e messa sulla strada giusta per diventare un’ottima Evocatrice. Se è arrivata a scoprire i suoi poteri da sola, avrà certamente voglia di mettersi alla prova. Non è qualcosa che fanno tutti, quella di mettersi su una strada piena di duro lavoro e sacrifici” Freyr tacque un’istante e poi riprese “Se fosse mai mossa da intenti malvagi, provvederà da sola a tracciarsi il suo destino infelice. E noi Spiriti di Asgard non la perdoneremo, dovesse fare del male alla Confraternita e agli altri maghi: è la nostra promessa, Maestro”. Le promesse degli Spiriti Giusti erano degne di tal nome e Gabriel si sentì sollevato.

La voce pacata e profonda di Freyr accusava piccoli segni di fatica, parlava più lentamente, come se stesse faticando a rimanere a contatto con il mondo umano, anelando all’eterna pace di Asgard.

“Non lasciare che il dubbio estingua la fiamma che brucia nella giovane Lily. Dalle una possibilità. Falla provare. Tu sai sondare negli animi meglio di chiunque altro e hai sempre fatto un eccellente lavoro con i tuoi discepoli, per non parlare di Miranda. Dunque, metti la ragazza alla prova. Se non si fermerà di fronte alle prime difficoltà, avrai di fronte la luce che vi farà dimenticare le tenebre, ed al nuovo vento che spazzerà via le nubi di Midgard. A presto, Maestro, fedele amico di noi Giusti di Asgard”.

Gabriel Lynch vide lo spirito lanciarsi verso il cielo, come aveva visto fare numerose volte dopo un’Evocazione. Ma mai era riuscito a dimenticare come Kate si fosse lanciata verso il cielo, verso Bifröst, verso un mondo migliore e più sereno.

Avrebbe voluto fermare Freyr, protettore degli Elfi Bianchi, uno degli spiriti più potenti di Asgard, per chiedergli scioccamente se Kate stesse bene, se fosse effettivamente con loro, se si sentisse in pace, se fosse splendente e luminosa come tutti loro. Nei momenti più bui e travagliati, si era trovato a dubitare circa la vita dopo la morte,  disperato all’idea di non poterla più riabbracciare, terrorizzato di fronte alla prospettiva di aver illuso la figlia, la quale non aveva mai smesso di cercarla, e che in tutti quegli anni aveva praticato con il massimo impegno l’Arte Arcana dell’Evocazione, per poter incontrare sua madre, per poterla riavere lì per un pugno di secondi. 

L’uomo non aveva mai avuto la forza di evocare la compagna, perché sapeva che avrebbe finito per rivolerla indietro, come un perfetto egoista. Perché era conscio che, con la vecchiaia, le ferite riaperte non si sarebbero mai più richiuse, ma ci sarebbe stato un perenne e malinconico sanguinare, fino a quando l’ultima goccia di forza e di energia, non sarebbe caduta a terra, mettendo fine a quel lento perire, così sciocco perché voluto, cercato allo stesso modo in cui le prede si mettono in trappola da sole. 

I ricordi andavano tenuti a bada. I ricordi erano in grado di togliere le energie vitali, di far entrare in un circolo vizioso in cui vita reale e quella immaginaria si confondevano, e quell’ammasso confuso di esistenza vorticava per inerzia verso la fine di quella spirale. Dopo l’ultima sofferta voluta, ci sarebbe stato un tonfo secco. E ci si sarebbe ritrovati ad essere un mucchio di carne, con lo spirito rotto in mille pezzi, come uno specchio infranto. I ricordi erano in grado di uccidere.

Lynch si ritrovò gli occhi umidi, come non li aveva mai più avuti da quel pomeriggio di tanti anni prima. Guardò il cielo e l’ultima scia biancastra di Freyr disperdersi nella vastità di quel blu avvolgente ed infinito, per poi passare alla moltitudine di luci di Mile Droichead, che pareva un remoto baluginare, come se quella cittadella fosse solo uno scherzo della vista, un sogno lucidissimo, ma inavvicinabile. Ma avrebbe difeso quel sogno con le unghie e con i denti, qualora gli fossero mancate le energie per compiere magie. Avrebbe fatto in modo che quel sogno potesse vivere per sempre, dopo di lui, dopo Miranda e tutti i successori della famiglia Lynch.

Avrebbe protetto e cresciuto Lily come una seconda figlia, l’avrebbe fatta diventare la più forte Evocatrice che la Confraternita avesse mai conosciuto, fosse anche l’ultima cosa che avrebbe fatto.

 

Era da un po’ che osservava Severus Piton all’opera. 

Era da qualche giorno che lo vedeva affaccendato, tra pergamene e scrittura febbrile, alternata a lunghi momenti di stasi, di meditazione in cui il ragazzo - più grande di lui di un anno - alzava la mano destra, immaginando di impugnare la propria bacchetta magica e di muoverla, secondo un disegno ben preciso. Aveva visto nascere quei movimenti, li aveva visti quando erano solamente dei gesti appena abbozzati, frutto di un pensiero che doveva ancora assumere una forma piena e compiuta, manifestazione di un’intuizione felice e destinata a diventare qualcosa.

Regulus Black aveva guardato ipnotizzato quei movimenti, quello studio solitario e attento, distogliendo la propria attenzione dai compiti che perdevano qualsiasi attrattiva. Un po’ era geloso di tanta maestria, di quella leggerezza naturale nel muovere il polso e nel tenere le dita snodate e flessibili, senza dare l’impressione che fossero troppo deboli, per non parlare di quanto Regulus avrebbe dato per poter dare un ritmo ben preciso ad ogni suo gesto, come solo Severus sapeva fare.

Lui aveva un fardello pesante addosso, che gli impediva di essere altrettanto sinuoso ed ipnotico nei movimenti, anzi, lo faceva sembrare terribilmente goffo e meccanico. Era da qualche anno che non viveva più la vita di Regulus Arcturus Black e basta: da quando suo fratello maggiore, Sirius Black, era stato smistato a Grifondoro, il giovane Serpeverde si era ritrovato sulle spalle un’ingombrante e duplice aspettativa. Non solo i severi genitori avevano respinto il verdetto del Cappello Parlante, osteggiando apertamente Sirius, che se ne faceva un baffo di tutte quelle “cialtronerie” - le aveva chiamate così? Forse aveva adoperato una parola molto più pesante - sulla purezza del sangue, sul fatto che i Black potevano solo appartenere alla nobile e pura casata fondata da Salazar Serpeverde; avevano riversato su Regulus tutte le paure, i timori che una sciagura simile si potesse abbattere una seconda volta sulla loro famiglia. Non aveva aiutato il fatto che il più piccolo dei due figli avesse pienamente rispettato le tradizioni dei Black, anzi, li aveva resi ancora più apprensivi nei confronti del suo rendimento scolastico, delle sue amicizie traballanti con i migliori rampolli Purosangue, che non riusciva a tenersi stretto del tutto, delle sue idee riguardo gli alunni delle altre case, specie i Nati Babbani, la cui frequentazione era stata severamente proibita dai genitori.

Regulus era prigioniero di quella famiglia, dei suoi meccanismi, dei suoi dogmi. Tutto si era intrecciato, in modo tale da divenire una rete alla quale era difficile scampare, forse era più semplice perire, piuttosto che tentare la fuga, con il rischio di finire ancora più ingarbugliato nei fili malefici di quella tela. Si sentiva intrappolato e quella trama sottile ma robusta gli offuscava la vista, lo intorpidiva, impedendogli di vivere appieno. Vedeva tutto tramite un filtro che lui non aveva affatto voluto, e se solo avesse provato ad uscire da quella prigione, non sarebbe sopravvissuto a lungo. 

Il giovane, però, era giunto alla conclusione che tanto valeva provare a prendere in mano le redini della propria esistenza, compiendo azioni che potesse definire totalmente proprie, anche se queste sarebbero state di numero esiguo. Meglio rischiare e soccombere, godendosi anche solo un attimo di sole, pieno, visto con i propri occhi liberi da impedimenti, che muoversi appena, in quel bozzolo viscido in cui era stato immobilizzato dalla sua famiglia e dalla vana smania di essere a tutti i costi dei Purosangue.

Aveva bisogno di diventare grande, di crescere a modo suo: voleva essere un mago diverso da tutti, ma soprattutto padrone delle proprie azioni.

Era da un po’ che osservava Severus Piton. 

E lo invidiava, voleva essere come lui, perché gli sembrava una persona totalmente indipendente, responsabile del proprio agire, che sapeva in qualsiasi istante cause e conseguenze delle proprie azioni.

Osservava da giorni il proprio compagno di casa, e non lo trovò patetico nella sua solitudine, come troppe altre persone si ostinavano a fare: lo trovò estremamente nobile e fiero in quella distanza presa dagli altri, in quella sua volontà di non mescolarsi a chiunque. I suoi occhi bruciavano di una curiosità e di una conoscenza della magia superiore ai loro coetanei, che forse erano più presi da pensieri meno impegnativi come lo studio della magia, era logico che fosse più in disparte. La magia vera ti prendeva interamente, senza possibilità di distrazioni, di piaceri, di divertimenti infantili.

Regulus voleva avvicinarsi a Severus, a chiedergli come si facesse ad essere così bravi, così disciplinati fino all’ossessione, perché voleva imparare anche lui ad essere così. Aspirava ad essere un mago infinitamente migliore, non per i suoi parenti, ma per se stesso. Voleva essere molto di più del solito nobile fedele a degli ideali solo perché glieli hanno inculcati coloro che a loro volta erano stati indottrinati da altri che erano passati per lo stesso processo. Non voleva essere un Black qualunque, desiderava che il suo nome - Regulus Arcturus Black - fosse il nome che tutti i discendenti avrebbero pronunciato con ammirazione e stupore, e anche con una certa reverenza. E si sarebbe liberato di quei genitori che lo asfissiavano di pergamene inquisitorie circa le amicizie che avrebbe dovuto consolidare ad ogni costo, che gli controllavano l’andamento scolastico in maniera oltremodo scrupolosa, che lo manovravano come se fosse un burattino senza volontà. Avrebbe conosciuto il bene ed il male con i suoi occhi, con i suoi passi falsi ed i suoi balzi in avanti. Bruciassero pure nell’Ardemonio i suoi genitori, per quello che gli riguardava, nei suoi tumultuosi quattordici anni di vita non avevano fatto altro che dargli impicci e grattacapi. E tutto per colpa di Sirius.

Regulus stava per abbandonare la sua comoda poltrona in Sala Comune, per avvicinarsi a Severus, che frattanto stava rileggendo la pergamena appena riempita di schemi e appunti, quando il pensiero del fratello lo fece sprofondare nuovamente tra i confortevoli cuscini. 

Il Serpeverde di tanto in tanto sentiva la mancanza del fratello maggiore. Conducevano due vite separate, oramai parallele, destinate a non ricongiungersi mai, soltanto a riavvicinarsi in sporadiche occasioni. Non quando si trovavano a casa, a Grimmauld Place, dato che Sirius se ne stava ermeticamente chiuso nella sua camera dai colori rosso ed oro, con le foto di giovani Babbane in costume da bagno, che avevano fatto inorridire la madre Walburga, severa nelle sue lunghe vesti nere o talvolta di un porpora spento. A volte Regulus lo seguiva con lo sguardo, mentre nei corridoi bighellonava con altri tre ragazzi Grifondoro dai quali non sembrava separarsi mai. A volte lo vedeva ridere e scherzare all’ombra di una quercia, e ultimamente lo aveva visto in compagnia di una ragazza bionda, molto carina, anche lei della stessa casa di Sirius, dai lineamenti eleganti e dai modi apparentemente molto schivi e gentili. 

Sirius, quasi rinnegato, ripudiato, stava comunque facendo la sua vita. Aveva degli amici leali, quella che sembrava una fidanzata, i suoi divertimenti... Lui no; lui doveva rimanere chiuso nella torre dei Black, intrappolato nella sua tela, impossibilitato a vedere il mondo autentico, a sopravvivere secondo i dettami della famiglia.

Era giunto il momento di prendere una boccata d’aria fresca e di porre fine ad una stupida prigionia che non poteva più sopportare. Voleva la sua vita, in quell’istante preciso, e non avrebbe aspettato oltre.

E la vita, o meglio, una delle chiavi per ottenerla, passava per quel ragazzo brillante e taciturno che aveva davanti a sé, ne era certo; ed aveva bisogno di averlo vicino, di averlo come guida.

* * *

 

Questo capitolo è dedicato a Unbreakable_Vow per il suo imminente compleanno <3 Love you.

 

Avete tutti i santi diritti a mandarmi a quel paese, lo so. Ma sto facendo in modo di farvi capitoli densi e cicciosi per sopperire alla mancanza e alla distanza tra un capitolo e l’altro. Tsk, mica me ne dimentico dei miei bimbi! E dei miei adorati lettori ai quali non sarò grata abbastanza per questo amore per Irish Rain. <3


A proposito, voi vi chiederete da dove diamine viene fuori tutta quella “backstory” di Gabriel e la moglie Kate... Beh, serve. Vedrete che serve, soprattutto perché voglio dare spessore a Gabriel e vedrete che serve a giustificare come si comporterà in seguito. Poi, vi ho dato un ulteriore scorcio di quello che può fare un Evocatore. Avete fatto anche la conoscenza di Bifröst, il ponte arcobaleno che collega Midgard (come viene chiamata la Terra dagli spiriti) e Asgard. Freyr è un figo di spirito, lo adoro con quella sua spada <3 E protegge gli Elfi Bianchi u.u E mica Gabriel va a chiamare il primo pirla che passa!

 

Per somma giuoia e gaudio di alcune, surprise surprise, ecco a voi REGULUS *____* E lo sto adorando, perché sarà un bel personaggio e ci sarà da divertirsi!

 

La canzone l’ho già messa <3 Non mi rimane altro che ricordarvi la mia Pagina Facebook e ringraziarvi ancora tanto per tutto l’affetto che ci mettete nel seguire Irish! Fatemi sentire un po’ la vostra voce <3

 

A presto,

 

Blankette_Girl

Ale <3

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Capitolo 36
*** Shock In My Town ***


36.

Shock In My Town


“Ho sentito urla di furore di generazioni senza più passato, di neoprimitivi”

Franco Battiato - Shock In My Town

 

Il Professor Vitious aveva cambiato il programma delle prove del coro di Hogwarts con pochissimo preavviso e tale decisione aveva scatenato non poco malcontento negli studenti che partecipavano all’attività musicale della scuola. Per gli studenti meno virtuosi e meno preoccupati dei voti, ogni occasione era buona per lamentarsi del carico di compiti assegnato dai professori e si erano dunque lanciati a capofitto nel coro messo assieme dall’insegnante di Incantesimi, forse per avere più una scusa buona da sfruttare in caso di un compito svolto con approssimazione e fretta. Com’era comodo poter dire in tono disperato ed accorato “Ieri il Professor Vitious ci ha fatto provare fino all’ora di cena”, per poter suscitare compassione nella Professoressa McGranitt che aveva appena messo uno “Scadente” sul compito dello studente poco zelante. Purtroppo per lo studente, non era facile commuovere l’inflessibile Direttrice di Grifondoro, e di fronte a quell’esemplare arrampicarsi sugli specchi, il giudizio rischiava di diventare un’elegante T di “Troll”, con un semplice colpo di bacchetta. Così, esaurita la possibilità di poter sfruttare le prove del coro come scusa del proprio rendimento scolastico poco soddisfacente, gli studenti avevano iniziato a lamentarsi dei brani proposti, dei cambi di programma all’ultimo minuto, il dover correre a sentire il brano in questione, magari cercando un giradischi opportunamente modificato, o accedendo alla Stanza delle Necessità. 

Ma c’era una ragione ben più profonda di un semplice capriccio del professore, al quale comunque non era esente, essendo un essere vivente come tutti gli altri: era un’improvvisa malinconia che gli aveva attanagliato il cuore, un brusco accelerare dei battiti del cuore, apparentemente senza motivo. Tra le pieghe della fronte corrucciata si annidava un’inspiegabile ansia, una preoccupazione verso l’ignoto ed il nulla. A dire il vero, ogni mago non era esente dall’avere presagi, e non sempre n’era consapevole. E quello che sentiva il piccolo insegnante dentro il suo cuore era un presagio triste, una cortina di tristezza e cupezza che avvolgeva tutto, le colline, l’imponente castello, ogni singola pietra che andava a comporre le sue mura. Persino la nebbia, che non l’aveva mai disturbato, né infastidito, gli pareva insostenibile, più angosciante nel suo avvolgere tutto in quel mantello grigiastro. Gli pareva tanto simile a quel grigio inquietante proprio della materia che i Dissennatori succhiavano via dalle proprie vittime: anche quella nebbia invernale suggeva dagli individui qualsiasi pensiero felice.

Allora, chiuso nella sua grande stanza, quella che spettava al Direttore di Corvonero, preso da quell’ansia, quella irrazionale nostalgia di casa, della sua piccola abitazione nel cuore della Scozia, aveva iniziato a riascoltare brani di musica classica in latino. Nutriva un forte amore per la musica classica Babbana, poiché alcuni brani erano così calzanti con i suoi stati d’animo. E chi l’avrebbe mai detto che un compositore Babbano sarebbe riuscito a toccare il cuore di un goblin? Con le lacrime agli occhi, aveva ascoltato lo “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi, un musicista Babbano italiano che apprezzava particolarmente, soprattutto per le opere buffe, che avrebbe così tanto voluto poter riprodurre in uno spettacolo teatrale ad Hogwarts. Ma quel canto doloroso, di una madre che soffre nel vedere il figlio nella sua ora fatale, ricordava la sua stessa sofferenza nei confronti del suo piccolo villaggio magico nei pressi di Dunkeld, avvertendo qualcosa di nefasto ed oscuro nell’aria. Si era sentito capito, compreso nella sua inquietudine in quella manciata di minuti di musica struggente, ed aveva così deciso di proporlo al proprio coro, agendo più per se stesso che per i ragazzi che partecipavano a quell’attività, per la prima volta dacché insegnava ad Hogwarts.

Lily, che di solito si accontentava di fare da semplice contralto nel coro, rifiutandosi categoricamente di fare da solista, avendo anche il ruolo di occasionale accompagnatrice al pianoforte o al clavicembalo - strumento amatissimo dall’insegnante di Incantesimi - aveva protestato vivacemente per quel cambio di programma: non era così immediato per lei impararsi una partitura in maniera soddisfacente, pertanto, non assicurava una riuscita ottimale dell’accompagnamento, sebbene si fosse rinchiusa con Severus nella Stanza delle Necessità ad esercitarsi. Il povero Serpeverde aveva avuto il compito delicato di sopportare la ragazza nei suoi scatti d’ira e frustrazione, e le aveva fatto da sprone in quel difficile pomeriggio di preparazione dello “Stabat Mater”.

Per di più, dopo un’ora di prove inconcludenti con il coro, Lily aveva voglia di prendere gli spartiti ed andarsene, perché le due soliste, un contralto ed un soprano, sbagliavano continuamente le note d’attacco al pezzo. Insomma, aveva anche da studiare una pozione di difficile preparazione e provare e riprovare la preparazione all’infinito. Non poteva perdere troppo tempo con gente poco seria e poco incline ad eseguire alla perfezione il proprio compito. Severus la guardava in un misto tra stupore e divertimento, quando reagiva in maniera così altezzosa.

“Siamo sicuri che il Cappello non abbia sbagliato nel mandarla a Grifondoro? Sarebbe stata un’eccezionale Serpeverde con quel delizioso modo spocchioso di fare” pensava tra sé e sé, intanto che la ragazza si sistemava la gonna, mentre si accomodava allo sgabello del clavicembalo. A lui, Lily altezzosa, irritante agli occhi degli altri in quel saperne una più degli altri, piaceva molto. Non che Lily fosse di natura così, ma era un comportamento che le veniva spontaneo quando si sentiva presa in giro dagli altri. La capiva, sapeva come ci si potesse sentire nel conoscere molto, e doversi abbassare al livello degli altri, per evitare di passare per anormali, per topi di biblioteca e cervelloni buoni solo ad accumulare nozioni. Severus aveva preferito continuare ad essere tacciato di anormalità, ma semplicemente perché a lui la solitudine non gli dispiaceva affatto, ci era abituato e si trovava meglio in una biblioteca vuota, che nel bel mezzo di un corridoio pieno di gente urlante e chiassosa. Lily invece aveva bisogno di un minimo contatto con gli altri, era una ragazza solare e generosa, vivace e - quasi - sempre con il sorriso sulle labbra. Era nella sua natura stare con le persone, dare e ricevere, sempre protesa verso l’altro, purché fosse minimamente interessato a lei. Quel mondo nuovo, quello della magia, di Hogwarts, di quei coetanei che avevano come lei poteri magici, continuava ad essere un mondo ricco di fascino e di mistero, anche dopo cinque anni di frequentazione. 

“Ragazze, ragazze” intervenì il Professor Vitious, scuotendo la testa e rivolgendosi al contralto ed al soprano, rispettivamente una Corvonero del sesto anno ed una Tassorosso del settimo “Ascoltate bene le note - Evans, la prego, riparta dalla quarta battuta”. 

Lily si voltò verso Severus, che era seduto su una delle panche della Sala Grande, e tirò fuori la lingua, facendo roteare gli occhi, esasperata. Il ragazzo abbozzò ad un sorriso e la esortò a continuare con un cenno del capo. Lui non ci capiva molto di musica, però trovava che fosse una forma d’intrattenimento interessante e piacevole. Aveva iniziato ad apprezzare qualche compositore Babbano grazie a Lily, e qualche gruppo contemporaneo grazie a Maeve, che non faceva altro che bombardarli di musica quando si trovavano a Galway. 

Ripresero un’altra volta da quella famigerata battuta - era la decima, undicesima volta? Severus non ricordava - e fortunatamente le cose parvero andare meglio, le due cantanti soliste azzeccarono la tonalità e il coro poté subentrare e sostenere le due voci. 

Severus però non si era reso conto che alle sue spalle c’era Albus Silente, seduto su un’altra panca, quella del tavolo dei Grifondoro. Il Preside non aveva mai fatto mistero di amare molto la musica, ed era un ospite praticamente fisso alle prove del coro, in quanto credeva molto nella magia di quella forma d’arte. Solitamente ascoltava il coro con gli occhi socchiusi e gli occhiali a mezzaluna che scivolavano lentamente giù dal naso. Il Preside però era sempre pronto a sistemarseli, con un gesto rapido della mano, intanto che con l’altra teneva il tempo, in maniera bizzarra e totalmente estemporanea, picchettando le dita sul grande tavolo in legno. 

Quel pomeriggio, però, il mago era più attento che mai e non stava perdendo traccia di alcun gioco di sguardi tra Lily e Severus, e non perdeva d’occhio Miranda Lynch, che partecipava al coro nel ruolo di soprano. C’era un motivo per cui si trovava lì, era evidente ai suoi occhi attenti e vigili come non mai.

Quei due ragazzi erano molto più che amici o compagni di scuola, ed erano due futuri elementi fondamentali dell’Ordine della Fenice. Il vecchio Preside non aveva fatto altro che dare ai due giovani due ruoli contrapposti: Severus Piton avrebbe dovuto spiare Lord Voldemort ed i suoi Mangiamorte, spingendosi a fingere di essere uno di loro, mentre Lily Evans sarebbe diventata un’Evocatrice, proprio ciò che il Signore Oscuro ed i suoi servitori fedeli temevano di più!

Si era reso conto di aver dato ai due ragazzi un compito gravoso, che li avrebbe visti avversari, l’uno contro l’altro, in teoria. Non si capacitava della leggerezza con la quale aveva sottovalutato la potenza di un legame sentimentale. Si chiedeva se fosse giusto e legittimo che i due ragazzi continuassero a frequentarsi, nonostante i loro ruoli delicati, che col tempo avrebbero richiesto ancora più impegno. Se Severus un domani si fosse fatto scappare qualcosa circa il suo amore per Lily di fronte al Signore Oscuro od un suo Mangiamorte, Lord Voldemort avrebbe potuto avere facile accesso ai piani dell’Ordine della Fenice, arrivando a sapere tutto degli Evocatori, che si nascondevano proprio dall’erede di Salazar Serpeverde, il quale secoli prima aveva fondato il Dearg Sléabua proprio per eliminarli una volta per tutte. Se invece Lily avesse fatto sapere alla Confraternita degli Evocatori del suo legame con una spia, che andava comunque ritenuta un Mangiamorte a tutti gli effetti per non far saltare la copertura, l’espulsione da Mile Droichead sarebbe stata inevitabile, con conseguente rottura del ciondolo dell’Albero della Vita. La rottura del monile sarebbe stata la massima onta per un’Evocatrice come Lily Evans, in quanto né lei, né i suoi eredi avrebbero mai più potuto entrare nella Confraternita.

Dall’altro lato, il voler sfruttare tutte le persone accanto a sé come pedine in una scacchiera, per quanto fosse una sua abitudine e non aveva mai negato di averne abusato, lo infastidiva, soprattutto quando le prendeva in simpatia, o sotto la propria ala protettrice; e si rendeva conto che questo modo di fare lo metteva a profondo disagio, lasciandolo nella confusione più totale.

Ad un livello più profondo, poi, gli errori del passato continuavano a tormentarlo, i rapporti con il fratello Aberforth si erano guastati, un amante e complice era andato perduto per sempre, l’adorata sorella Ariana era morta, senza la possibilità che potesse tornare indietro dall’aldilà. Erano sempre le persone a lui più care a pagare il prezzo più caro. E se separare Lily e Severus avesse significato per loro l’infelicità a vita? Se l’infelicità avesse portato i due ragazzi a non svolgere i loro compiti, desiderando solo una vita anonima, senza infamia e senza lode? Se Severus, non avendo più Lily, avesse abbracciato totalmente e genuinamente la causa di Lord Voldemort? E se lei avesse desiderato tornare ad una vita senza magia, totalmente Babbana ed ordinaria, senza il suo ragazzo, che era molto di più di un semplice fidanzato, ma era una guida, un punto di riferimento, una considerevole parte di lei?

Silente aveva visto gli occhi verdi della Grifondoro illuminarsi di fronte a Severus, l’aveva vista felice, sorridente, quando potevano stare assieme, senza l’assillo degli altri, l’aveva vista stare per ore sui prati del parco attorno ad Hogwarts in sua compagnia. E ora l’aveva lì, davanti a sé, incaponirsi su quello “Stabat Mater” che faticava a venire bene. Ma il suo sguardo, tra una pausa e l’altra, andava sempre a lui, quel ragazzo silenzioso e tranquillo seduto poco più avanti di lui.

Aveva visto Severus, di cui conosceva bene le travagliate vicende familiari, farsi meno buio e scontroso, ogni volta che aveva attorno quella ragazzina vivace. Lo aveva visto aprirsi a lei, confidarsi, farsi accarezzare e vezzeggiare, senza alcuna reazione d’astio, senza opporre resistenze. Silente vedeva e sapeva, anche tramite Miranda, che aveva tenuto d’occhio i due ragazzi per conto del Preside.

La Corvonero si allontanò momentaneamente dal coro, approfittando per un momento di pausa per dissetarsi e far riposare le corde vocali e si avvicinò a Silente. Gli occhi azzurri della ragazza dicevano solo una cosa: “Non separare i due ragazzi. Per nessun motivo al mondo”. Il suo sguardo era determinato e fermo come non mai; era pronta a discutere e a litigare con Silente, casomai avesse avuto la balzana idea di frapporsi tra i due ragazzi.

La verità era che l’amore era la magia più potente di tutte ed era il motore fondamentale che faceva girare il mondo, e ancor più il mondo magico, che aveva bisogno di un’iniezione di sentimenti positivi, per contrastare le mire di Lord Voldemort. 

Silente non poté fare altro che annuire con aria grave, mentre vide Severus accogliere tra le sue braccia la Grifondoro esausta dopo tutto quel provare e suonare sempre le stesse note.

L’amore era l’unica magia invincibile contro Lord Voldemort. Senza quello, l’Ordine della Fenice avrebbe combattuto una guerra già persa in partenza.

 

In Sala Grande le prove erano terminate e Lily si era buttata su uno dei gradini della scalinata poco distante. Sev l’aveva raggiunta, carico delle loro borse e dei loro mantelli; aveva appoggiato tutto con cura vicino a Lily e si era seduto accanto a lei. La Grifondoro sedeva accovacciata, con il mento appoggiato sulle ginocchia, e le braccia abbracciavano le gambe. Era tutta spettinata, la fascia grigia per i capelli con lo stemma Grifondoro ricamato a mano - gliel’aveva fatta sua madre qualche tempo prima - non era ferma sulla testa, ma era scivolata indietro, lasciando la chioma fulva nell’anarchia più totale.

“Sono stanca. Morta” si lamentò Lily sbadigliando vistosamente. 

La mano davanti alla bocca, Lily!” la redarguì Sev imitando la voce di Petunia, così rigida ed affettata nel modo di fare.

Quell’improvvisa imitazione della sorella fece ridere la ragazza.

“Oh, stai buona, Petunia, e non rompermi le scatole!” ribatté la Grifondoro, allungando una mano e dando uno spintone affettuoso al ragazzo. 

Sev vide che Lily era piuttosto stanca, lo si vedeva dalle occhiaie più evidenti, segno di notti passate a recuperare ciò che non era stata in grado di fare nel pomeriggio, e dalla quantità di sonno arretrato che si faceva vedere soprattutto durante le ore pomeridiane di lezione. Avere due ore di Storia della Magia il mercoledì ed il venerdì pomeriggio non aiutava affatto. Severus più di una volta nell’ultimo periodo aveva richiamato all’attenzione la giovane, che era sull’orlo di crollare addormentata, complice anche la poca luce che filtrava nell’aula del Professor Rüf.

Ma in quel momento preciso, il vederla così fragile ed affaticata gli fece stringere il cuore, preso in una morsa di tenerezza e dolcezza.

Sev afferrò Lily per le spalle e le fece appoggiare la testa sulle sue ginocchia. La ragazza non protestò, anzi, e si sistemò su un fianco, per stare più comoda, per quanto si potesse essere comodi su dei gradini di pietra.

“Non è il massimo della comodità, lo ammetto. Ma intanto puoi chiudere gli occhi per un po’” osservò Sev, mentre passava una mano tra i capelli di Lily. Quello era uno dei gesti che la rilassava all’istante e il ragazzo lo sapeva fin troppo bene. La Grifondoro, poi, apprezzava la delicatezza di Sev nei confronti della sua chioma, vedendo altre ragazze che si lamentavano della rozzezza degli altri maschi nei loro confronti.

“Non posso...” tentò di protestare Lily con voce stanca e gli occhi socchiusi. Stava già scivolando nel sonno e combatteva per rimanere sveglia ancora qualche attimo. “Ho la pozione di Lumacorno da studiare”.

Le dita di Sev indugiarono sulle tempie della ragazza, massaggiandole con tanti piccoli movimenti circolari. Il ragazzo, poi, le fece scivolare dietro l’orecchio di Lily. La giovane gradiva particolarmente quel gesto, tanto quanto poteva apprezzarlo un gatto, ci mancavano solo le fusa, che Lily scherzosamente di tanto in tanto cercava di imitare. In quel momento, però, la ragazza si abbandonò al sonno, lasciandosi andare completamente, ricompensando il Serpeverde con un’espressione serena e soddisfatta. Parve sorridere mentre dormiva, di quel sorriso fanciullesco puro, privo di turbamenti. Chissà che cosa stava sognando, chissà se le sue visioni fossero magiche, ordinarie, surreali, o inquietanti. 

Sev non si rese conto del sorriso spontaneo che gli era spuntato sulle labbra, intenerito dalla ragazza che si era assopita appoggiata alle sue gambe. Continuò ad accarezzarle i capelli, toccandole le guance piene di lentiggini - “Sev! Crea una pozione per farle sparire! Le odio!” piagnucolava Lily, nei normalissimi momenti in cui una ragazza odiava tutto di sé. Lui invece le adorava e non sapeva più come dirglielo - la punta del naso, sfiorandole le labbra leggermente aperte. 

Il ragazzo sentì degli occhi addosso e alzò lo sguardo, sulla difensiva, pronto a proteggere il riposo dell’amata, come un prode cavaliere aveva sfidato nelle fiabe - Erano fiabe Babbane? O quelle di Beda il Bardo? Non ricordava, tutto era mescolato e confuso nel calderone dei ricordi - un drago per poter far sì che la sua principessa potesse dormire ancora un po’, e risvegliarsi più bella e viva come non mai.

Albus Silente era davanti a loro. Guardava quel quadretto toccante con gli occhi sinceramente commossi, con la nostalgia di non poter avere qualcuno che potesse dargli lo stesso conforto, la stessa affettuosa protezione.

Ciascuno aveva scelto la propria strada e c’era chi al bivio aveva scelto la strada che sembrava migliore, salvo poi accorgersi che aveva perso il bene più prezioso: l’amore e l’affetto delle persone. Colui che bramava il potere, colui che aspirava a comandare, era fondamentalmente, ed irrimediabilmente, solo.

Ci si accorgeva della solitudine quando era troppo tardi per tornare indietro, quando le persone si erano fatte troppo lontane e distanti, quando i loro tratti erano divenuti sfocati e confusi nella nebbia fredda e maligna, una foschia crudele che era in grado di far perdere di vista ciò che era veramente importante. Egoisticamente, si sceglieva di andare avanti e di proseguire, per evitare di essere divorati dalla coltre.

Poteva Albus Silente, ritrovatosi completamente solo a causa di scelte avventate ed egoiste, ridurre alla solitudine totale quei due ragazzi, solo perché c’era quel dannato potere in mezzo?

Merlino, no che non poteva. Non era corretto. Perché costringere due ragazzi a percorrere una strada che era già stata battuta da lui con risultati disastrosi? Chi era lui per decidere per loro?

Vedeva quei due ragazzi, nell’innocenza dei loro quindici anni, farsi forza, affrontare le difficoltà di ogni giorno, mano nella mano. Tutto ciò che lui non aveva mai avuto, o meglio, che aveva rigettato stupidamente. 

Severus continuò a guardarlo, con un certo timore, ma con la determinazione di chi non è disposto a dare di più di quanto non stesse dando per la causa di Silente. Aveva messo la sua vita a rischio - e fintanto che era solo la sua per preservare quella di Lily andava benissimo - ma non era disposto a sacrificare il cuore, quello apparteneva alla ragazza che riposava sulle sue gambe. Lei era il motore di tutto, senza quello, lui sarebbe stato completamente inutile. Guardava il Preside come si guarda una minaccia, anche perché il vecchio mago aveva visto il lato migliore di lui, e nessuno, se non Lily, era autorizzato a vederlo in certi atteggiamenti. 

Gli occhi neri e determinati del ragazzo fecero abbassare quelli cerulei e cristallini dell’uomo. Severus lo vide fare qualche passo indietro, verso l’oscurità indistinta del dedalo che era Hogwarts, quando era immersa nel buio della sera. 

Albus Silente sparì nel buio, ma una voce riecheggiò, sospinta da qualche spiffero gelato che filtrava nelle mura del castello.

“Nessuno dovrà mai vedere il lato migliore di te?”.

Le mani di Severus continuavano ad accarezzare i capelli di Lily. Il ragazzo sapeva che il Preside si trovava ancora lì, ma aveva preferito l’oscurità, sopraffatto e tramortito dall’emozione di vedere quei due ragazzi così uniti.

“Nessuno” tagliò corto il Serpeverde.

Un rumore di passi e Silente era sparito del tutto, diretto verso il suo ufficio.

“Nessuno tranne te” sussurrò Sev, chinandosi verso l’orecchio di Lily.

 

Non ci sarebbe stato alcun riposo per Dunkeld quella notte, dopo il crepuscolo. Nessuna ninna nanna sarebbe stata cantata dalla madre al proprio figlio in procinto di addormentarsi. Semmai, si sarebbe udito solo il canto straziante della madre addolorata - impotente, piegata dal passare degli anni - nel vedere il proprio figlio soffrire, dopo essersi battuto contro la malvagità dilagante. Senza possibilità di ricacciare la morsa di cristallo indietro, senza la possibilità di difendersi contro il primo attacco che Lord Voldemort aveva intenzione di sferrare.

Come un fiero compositore che ha la possibilità di vedere eseguita la sua opera - il suo Meisterwerk, che sarebbe sopravvissuto nei secoli, riecheggiando assieme al suo nome, che nessuno avrebbe mai più pronunciato invano - da un’enorme orchestra, il Signore Oscuro aveva preso il proprio posto sulla piccola torre di pietra all’ingresso del villaggio magico. Gli spettava il posto migliore di diritto. Doveva godersi lo spettacolo appieno, doveva vedere tutti i suoi esecutori, i suoi Mangiamorte, doveva controllare che tutto andasse alla perfezione, sebbene quella fosse solo una prova generale. Ma nelle prove generali era previsto anche il pubblico, tra il quale poteva nascondersi qualche spia, qualche infiltrato. Forse, i buoni, i paladini della giustizia, pensavano che il Signore Oscuro non sapesse di loro, ma si sarebbero resi conto presto che lui non attendeva che loro. Quelli sarebbero stati gli ospiti speciali, i suoi prediletti, da trattare con un occhio di riguardo, ai quali sarebbero spettati dei posti d’onore, di tutto rilievo. Lord Voldemort avrebbe fatto in modo che quei invitati speciali sarebbero rimasti inchiodati al proprio sedile, come a teatro, quando i grandi signori giungevano abbigliati ed incipriati di tutto punto per la nuova opera della quale tutti avrebbero presto parlato. I loro sedili erano comodi, dai morbidi cuscini, dorati, lo scheletro di legno era intarsiato, dorato, talmente bello da avere paura a toccarlo.

Gli ospiti del Signore Oscuro non si sarebbero alzati da quelle poltroncine lussuose per nessun motivo al mondo, a meno che non avrebbero preferito due zanne di serpente sul loro collo. Il suo serpente, Nagini, fremeva, non vedeva l’ora di essere lasciata libera, ma per il momento era confinata nella sua bolla d’aria, che galleggiava accanto al proprio padrone.

Lord Voldemort era appoggiato ad un rozzo parapetto di legno in cima alla torre, ed era stato messo per la sicurezza di quei pochi che si volevano avventurare in quell’edificio che non aveva più motivo d’esistere da qualche decennio. Il crepuscolo era meraviglioso, poiché era un momento di perfezione, di fragilità immensa, dove il mondo era sospeso e avvolto in un’aura di luminosità precaria, dopo il tramonto del sole. Era una luce di speranza, che brillava fioca, colorava il cielo, tempestandolo di tinte vivaci e forti, bordava le nuvole di un profilo dorato accecante. Ma il manto della notte senza luna avrebbe coperto e cancellato quello spettacolo, con un gesto secco ed imperioso, lo stesso con il quale Lord Voldemort  scacciava via i suoi servitori più maldestri ed incompetenti, lo stesso gesto con il quale scacciava via ogni turbamento che appannasse il suo splendente disegno di gloria.

Lui avrebbe posto fine al mondo magico come tutti lo conoscevano. Un mondo fatto di caos, di dubbie mescolanze, di ambiguità. Lui - e solo lui, perché era la mente, aveva speso anni a costruire quel mondo ancora ideale, era lui che aveva speso più di ogni altro, fisicamente e mentalmente - avrebbe riportato in vita un mondo più puro, tinto di un solo affascinante ed inequivocabile colore, dove lui avrebbe regnato indiscusso. Chiunque avrebbe osato mettere in discussione la sua autorità, avrebbe brancolato nel buio, trascinando suoi arti cristallizzati.

Il crepuscolo del mondo magico fatto solo di buoni sentimenti, ipocrisie e patetiche morali sarebbe iniziato quella notte stessa. Avrebbe dato vita ad una nuova era, ed i libri di Storia della Magia non avrebbero parlato d’altro, che di quell’era splendida nella sua austerità, granitica nel suo rigore che non avrebbe ammesso alternative o dubbi. Il manto della notte, mai come in quella sera gelida, gli era parso dei colori del blu più profondo e maestoso, impreziosito dallo scintillare delle stelle imperiture, simili a centinaia di piccole schegge dorate ed argentate. 

Era l’alba della sua Era, dove la notte avrebbe preso il posto del giorno ed esso sarebbe stato un mero interludio, un passaggio totalmente trascurabile, perché solo durante la notte il Signore Oscuro avrebbe compiuto le sue magie. Nefaste, deprecabili per i buoni, ma mirabolanti per i suoi fedeli.

Parte dei suoi Mangiamorte attendeva pazientemente dietro di lui; loro erano abituati a quelle attese, a quei silenzi interminabili dove Lord Voldemort rifletteva, e si abbandonava ai suoi flussi di coscienza.

Un’altra parte di loro attendeva nel bosco nei pressi del villaggio, e quel gruppo era capitanato da Igor Karkaroff, che non era che il Priore del Dearg Slèbua; questi era assistito da Lucius Malfoy, che in fondo non ne voleva sapere molto di essere un puro e semplice assistente del tedesco - sebbene le origini del compare fossero slave - com’era solito bollarlo con tono sprezzante, quando si trovava al sicuro tra le mura di Villa Malfoy. Ma aveva accettato comunque il compito ingrato, sperando tra sé e sé che qualcosa potesse metterlo in luce. A volte, la sua smania di dover emergere a tutti i costi, di arrivare vicino, vicinissimo al Signore Oscuro, era paragonabile a quella di una ballerina che sgambetta, che si muove e si agita, pur di arrivare in prima fila e di essere vista e lodata da tutti. Il posto di stella di prima grandezza era occupato da tempo, per cui, Lucius Malfoy si accontentava di poter stare poco più indietro, affannandosi a non finire indietro, dimenticato e trascurato da Lord Voldemort.

Il Mangiamorte si aggirava ansioso tra quelle gabbie, coperte da grossi teli neri. I vari esemplari di Crioshad erano lì dentro, ringhiavano e le unghie di cristallo scricchiolavano, stridevano contro il fondo metallico delle gabbie. Erano tutte creature in fase adulta, Karkaroff era riuscito a far crescere piuttosto in fretta almeno tre esemplari. Altri due erano ancora un po’ acerbi, ma voleva metterli alla prova lo stesso. Avrebbero comunque contribuito a quell’attacco di prova, anche in caso di eliminazione. Ogni dato per lo slavo era fondamentale. Ogni successo ed insuccesso costituiva un tassello importante per la riuscita di quel progetto che lo privava del sonno da qualche mese, che gli metteva a repentaglio ogni normale bisogno. Non conosceva più distinzione tra giorno e notte, mangiava e beveva quando se lo sentiva, non curandosi del tempo che passava.

Lucius sentiva le Creature Oscure scalpitare, ansiose di essere liberate. Non osava sollevare un lembo di tessuto, perché non voleva finire cristallizzato a causa di uno scatto d’ira da parte di uno di quei mostri.

Alzò lo sguardo verso la torre di Dunkeld, in attesa di un segnale che tardava ad arrivare. La tensione gli stava chiudendo lo stomaco in una morsa acida ed alquanto dolorosa. Detestava il dover stare impalato ad attendere ordini da qualcun altro, ma non poteva di certo dire a Lord Voldemort di sbrigarsi, perché lui voleva passare all’azione. Gli occhi si spostarono verso Karkaroff, che aveva la bacchetta impugnata nella mano destra, mentre la sinistra era appoggiata ad una delle gabbie. Le dita stringevano forte il tessuto scuro, tradendo un leggero nervosismo, o piuttosto trepidazione. Anche lui attendeva che qualcosa si muovesse dalla torre. I loro sguardi s’incrociarono.

“Dimmi, Lucius, non dovevano esserci anche i tuoi due prediletti?” chiese Igor.

“Io non ho prediletti” ribatté Malfoy, con un sorrisetto sprezzante “Non so di chi parli”.

“Ma sì, quei due ragazzini, che ti stanno sempre addosso neanche fossi...” e con un cenno del capo, Karkaroff indicò la cima dell’edificio dove si trovava Lord Voldemort.

“Capisco. No, non ci sono”. Si riferiva a Mulciber e ad Avery. Non erano lì con lui, sarebbe stato troppo rischioso portarli allo sbaraglio in una prova d’attacco così importante e delicata. Potevano rovinare il piano, o peggio, finire per essere catturati dai nemici, con il rischio che facessero il suo nome, che rivelassero tutti i piani, svelando i Mangiamorte ed i progetti del Signore Oscuro all’intero mondo magico. Sarebbero stati un inutile fardello da gestire. Poi, dovevano imparare ad aspettare il loro momento, dovevano accontentarsi di quello che potevano vedere, ma non potevano passare all’azione, non ancora.. Dovevano farsi bastare quello che riuscivano ad imparare dalle riunioni di Lord Voldemort e dei suoi fedeli. E dovevano assolutamente migliorare nel loro rendimento scolastico, era necessario che si applicassero con più impegno ad Hogwarts, per diventare degli abili Mangiamorte. Lucius Malfoy non aveva di certo intenzione di dare loro ripetizioni o di sopperire alle loro mancanze, ma confidava anche nell’aiuto e nella collaborazione di Severus Piton, che era nettamente più bravo degli altri due. 

Il cielo si era fatto buio, i colori erano stati inghiottiti da quell’enorme bestia vorace che era la notte. Malfoy si ricordò all’improvviso di quella leggenda che narrava l’alternarsi del giorno e della notte: due bestie si rincorrevano per la volta celeste, e si divoravano a vicenda. Il mostro della tenebra scacciava la creatura del giorno, ingurgitandola. Ma il giorno rimaneva vivo nel ventre del buio e lottava per tornare a dominare sul mondo. E il sorgere del sole annunciava il trionfo del giorno sulla notte, alla quale era stato squarciato il ventre, ed era stata a sua volta inghiottita dalla creatura di sole e d’oro, ed a sua volta era costretta a combattere per riconquistare il cielo.

Anche loro erano in lotta, ma avevano avuto il loro periodo di dominio nel corso della storia. Erano stati defraudati del loro potere, del loro prestigio, ed era giunto il momento di riprendersi tutto con gli interessi. Loro erano stati costretti a riunirsi nell’ombra, a tramare lontani dai raggi del sole perfido, che voleva stanarli e bruciarli. Anche loro lottavano nel ventre di quel mondo eccessivamente splendente, per tornare a dominare una volta per tutte. E il sole non sarebbe mai più sorto.

Una scintilla rossa uscì dalla punta di una bacchetta in cima alla torre - forse quella di Bellatrix? Conoscendola, stava scalpitando per poter radere al suolo quel villaggio magico, con svariate famiglie di maghi Nati Babbani - ed immediatamente i Mangiamorte radunati nel bosco poco distante compresero che era ora dell’azione. Ora di bruciare, ora di distruggere, ora di purificare tutto, con la perfetta trasparenza e lucentezza del cristallo di Crioshad.

 

Mary non aveva molto appetito, era nervosa e stanca, quella sera. 

Aveva evitato la compagnia ciarliera di Lily, Marlene ed Emmeline. Aveva mangiato solamente delle verdure cotte - “Mary! Vederti mangiare solo verdure è desolante” aveva esclamato Lily stupita, salvo poi pentirsi di quell’uscita inopportuna, dato l’umore tetro dell’amica - ed aveva sbocconcellato un pezzo di pane, guardando il piatto che aveva davanti. Si era ritirata in dormitorio, passando di corsa per la Sala Comune, cercando di evitare quei perdigiorno dei Malandrini, che invano avevano cercato di trattenerla. Arrivata al suo giaciglio, non si era tolta la divisa scolastica, aveva semplicemente lanciato le scarpe sotto il letto, e si era buttata sul materasso, affondando la testa nel cuscino morbido. Non aveva acceso candele o torce, voleva rimanersene nel buio totale, voleva affrontarlo, giacché ultimamente lo temeva, e le disturbava il sonno. 

Aveva il costante timore che ci fosse qualcuno, qualcosa a tenerla d’occhio, mentre dormiva. Per di più, le pareva di sentire qualcosa afferrarle le caviglie e quegli arti erano freddi, gelidi, come il cristallo.

Si era detta che non erano altro che suggestioni, paure infantili tornate alla carica a causa dello stress e della tensione del quinto anno, degli esami in arrivo. Tuttavia, ci aveva riflettuto a lungo e non si ricordava di alcuna fobia di mostri di cristallo. Da maga Nata Babbana, ricordava paure per delle creature con molti denti affilati, per mostri dalle sembianze di rettili, di piccoli diavoli, esseri tipici dell’immaginario dei bambini Babbani, ma non possedevano di certo arti freddi. Si può essere piccoli quanto si vuole nel momento in cui si conosce il significato dell’avere paura di qualcosa, ma non ci si dimentica mai dell’oggetto dei propri timori, e benché esso sia coperto da strati di polvere e di oblio, è impossibile dimenticarselo. Esso riemergeva dal pulviscolo, con i tratti più nitidi che mai, ed è pronto a far rivivere alla propria vittima ogni singolo attimo di terrore.

Perché ora temeva degli artigli gelidi e taglienti? 

E anche se ci fossero stati per davvero, era convinta che la magia l’avrebbe salvata. Stava diventando una buona maga anche per quello, per sconfiggere dei mostri, che provenissero dalla sua testa o dalla mente di un mago malvagio.

Un rumore di passi l’inquietò e si mise su a sedere di scatto. Un colpo di bacchetta fece luce in quella stanza. Era Lily.

“Mary! Che ci facevi al buio?” chiese la giovane un po’ preoccupata.

“Niente” rispose asciutta l’altra “Ero semplicemente troppo stanca per fare luce”.

L’amica la guardò un po’ perplessa, intanto che entrambe si cambiavano, per mettersi il pigiama. Lily sbadigliò. 

“Sono esausta, credo che entro venti minuti sarò nel mondo dei sogni. E credo che me ne infischierò dei compiti da finire, per una volta”. Impossibile: piuttosto Lily si sarebbe svegliata prima delle altre per ultimarli e consegnarli in maniera impeccabile all’insegnante di turno.

“Mh-mh” annuì distrattamente Mary, passandosi una mano sulla caviglia. Quella presa l’era sembrata così reale... Si sedette sul letto, continuando a toccarsi ora la caviglia, ora il polpaccio.

Lily si avvicinò all’amica pensierosa e si sedette accanto a lei.

“Non me ne andrò fino a quando non mi dirai che cosa ti prende. Prima le verdure, poi tutto questo silenzio, a momenti non rispondi. Che cos’hai?”.

Mary la guardò intensamente negli occhi.

“Dormo male e faccio brutti sogni” spiegò con semplicità la compagna di casa “E... Ho paura del buio e me ne vergogno da morire”.

Lily avrebbe voluto dirle che lei da qualche tempo aveva quello strano sogno dove era sdoppiata in due donne diverse, una vestita di nero e follemente innamorata del Principe Mezzosangue - che iniziava a capire chi potesse essere, in fondo non era così difficile - e una vestita di bianco, sadica e crudele, in compagnia di quattro giullari simili in tutto e per tutto ai Malandrini. Ma non poteva, non fino a quando non avrebbe avuto chiaro il senso di quella visione onirica.

“Riesci a ricordarti quello che vedi nei sogni?”.

“Non sono proprio sogni” Mary tacque per qualche istante “Cioè penso che lo siano, ma sembrano così reali...”.

“...Al punto che ti sembra che sia tutto vero”.

“Sento qualcosa afferrarmi per le gambe. Ed è freddo” si lamentò l’amica “Non ho mai sognato creature fredde”.

La mente di Lily andò alla spiacevole sensazione che provocavano i Dissennatori, non ne aveva mai visti di persona, però sapeva dai libri che cosa fossero in grado di far sentire alle proprie vittime; tuttavia, non erano certo creature che si nascondevano sotto i letti delle ragazze. 

“Ti ricordi qualcos’altro di questi... Mostri?”.

Mary scosse la testa. “Non ricordo altro e ho paura. Ho paura di impazzire, di non dormire più serena”.

Lily oramai credeva che in ciascun sogno si nascondesse un presagio, un messaggio che stava alle persone recepire e decifrare. Un messaggio rivolto al proprio avvenire, specie quando questi sogni si facevano ricorrenti. Aveva paura di spaventare ulteriormente l’amica, ma d’altro canto non poteva nascondersi dietro frasi di circostanza - “Tranquilla, ti passerà!” - accompagnate da goffe pacche sulle spalle, per nascondere la propria incapacità di saper consolare una persona cara.

La giovane fece per aprire bocca, quando Marlene entrò in stanza, con passo rapido e sguardo preoccupato. Cercò con gli occhi sia Lily, sia Mary. Non annunciava buone notizie, soprattutto per il modo in cui stringeva tra le mani una pergamena in parte bruciacchiata.

“Mary” disse con tono grave “Appena hai lasciato la Sala Comune, sono arrivati due gufi, uno per Silente, uno per te, ma arrivavano entrambi da Dunkeld. Silente è partito all’istante, assieme al Professor Vitious. Aveva un’aria spaventatissima, chissà perché...”. Non poteva sapere che anche l’insegnante abitasse in quel villaggio scozzese. Ma Mary lo sapeva eccome e saltò in piedi, dirigendosi verso l’amica. Abitava in quel villaggio da un cinque, sei anni, da quando i suoi genitori avevano saputo di Hogwarts. Erano elettrizzati dal fatto di avere una figlia maga, quindi avevano accettato la sfida di trasferirsi in un paesino scozzese popolato per metà da maghi e per metà da Babbani.

“Che cosa è successo?” perché Mary in quel momento sentiva lo stesso freddo che avvertiva nei suoi incubi? Per quale motivo si sentiva attanagliata in una morsa d’ansia e di terrore? 

Marlene senza dire una parola la invitò a sedersi, poi le mise tra le mani la missiva. La grafia era disordinata e nervosa, a volte le parole non si leggevano in maniera chiara a causa delle macchie scure, le fiammate, che avevano annerito la pergamena.

 

Cara Mary, sono Annabelle, la tua vicina di casa a Dunkeld. E’ successo qualcosa di terribile. Ci stanno attaccando - “Chi!? Chi sta attaccando casa mia!?” pensò nel panico la ragazza - hanno attaccato il nostro villaggio... Hanno cercato i maghi Nati Babbani, avevano loro come obiettivo. E’ terribile. Hanno devastato - “Chi ha devastato la mia casa!?” ripeté Mary disperata - casa tua, e dei tuoi genitori, che non erano lì, ma sono sopraggiunti una volta finito l’attacco. Sono qua, davanti a me, impietriti sul mio divano. Sono sotto shock, non avevano mai visto una cosa simile. Ho protetto casa mia come potevo, assieme a mio marito. Per fortuna stiamo entrambi bene.

 

Hanno preso la famiglia Hill... Ti ricordi quella numerosa famiglia di maghi Nati Babbani? Hanno preso tutti, genitori Babbani compresi. Non ho capito chi fossero gli aggressori, a dire il vero, erano tutti coperti da maschere metalliche e mantelli neri. E controllavano creature terribili, quelle che vedi solo nei libri e nelle leggende che ti raccontano. Erano raccapriccianti, tanti piccoli scheletrini, demonietti dalle ossa trasparenti coperti da dei brandelli di tessuto scuro e viscido. Sembravano dei piccoli Dissennatori.

 

Ti scrivo perché i tuoi genitori sono troppo spaventati al momento per poter scrivere qualcosa di sensato. Stai al sicuro ad Hogwarts, per il momento li ospiterò io a casa mia, ma ti prego: convincili andare a vivere lontano dai maghi - lo so, loro vogliono convivere con noi, e noi con loro, ma ho paura che questo sia solo l’inizio di qualcosa di molto brutto. Stiamo tornando indietro, stiamo tornando verso un’era oscura e primitiva, dove solo la follia e la barbarie ci dominavano. E non c’era spazio per i maghi con sangue Babbano. Ti prego, ascolta il mio consiglio. Cerca di farli andare a vivere in una città Babbana, che sia Londra, Manchester, Edimburgo, Liverpool. Ma tienili lontani da qualsiasi villaggio magico. 

 

Tua,
Annabelle
”.

 

A Mary venne da urlare, ma tutto ciò che voleva gridare, si tramutò in silenziose lacrime, che colavano lungo le guance. Gli incubi stavano diventando un’atroce realtà.

Le altre tre ragazze si erano radunate attorno a Mary, cercando di farle forza e di farla reagire, per evitare che impazzisse del tutto. Un rumore di passi le fece voltare verso l’ingresso dell’ampia stanza. Minerva McGranitt, la direttrice della loro casa, stava entrando con aria estremamente preoccupata e stava avanzando verso il letto di Mary MacDonald.

“Evans, McKinnon e Newey” disse con aria molto seria “Vi chiedo di lasciare me e la signorina MacDonald sole per qualche istante. La situazione è estremamente grave”.

Le tre ragazze uscirono di corsa dalla stanza e fecero in modo di rimanere in prossimità dell’ingresso, nella speranza di poter carpire qualche frammento di conversazione. La mente di Lily iniziò a fare febbrili connessioni con tutte le informazioni che aveva accumulato in quelle settimane e ciò che stava accadendo nel mondo magico; gli attacchi ai Nati Babbani, quei strani personaggi che sbucavano fuori dalle tenebre - a partire da Lucius Malfoy, Mulciber ed Avery che sembravano così desiderosi di dimostrare una superiorità nei confronti dei maghi come lei... No, era decisamente troppo perché si trattasse di un caso, di eventi fortuiti e temporanei. Qualcosa era pronto a scuotere il mondo magico sin dalle fondamenta. E aveva la paura feroce che fosse Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Ma come poteva lei, semplice quindicenne, poterne avere l’assoluta certezza? 

Aveva un bisogno disperato di confrontarsi con Sev, di mettere assieme tutti i frammenti del puzzle. Ce l’avrebbe fatta solo con il suo insostituibile aiuto ed intuito. Ma in quel momento doveva fidarsi di se stessa e della sua intelligenza e non poteva permettersi di perdere un solo dettaglio.

Merlino, a volte rimpiangeva di non essere una semplice e normale ragazzina di quindici anni. Senza magia, senza Hogwarts. A volte rimpiangeva di non essere una normale ragazzina pronta alla sua audizione per il conservatorio, con la sua piccola e segreta ambizione di fare musica da camera. A volte rimpiangeva di non avere un rapporto normale e sano con sua sorella. Ma quella sarebbe stata un’altra storia, se fosse stata differente, che l’avrebbe portata lontano dalla sua vera natura, probabilmente. Non c’era niente di peggio che rifiutare o rinnegare quello che si era. E Lord Voldemort voleva annientare i maghi della stessa natura di Lily. Doveva forse iniziare a temere anche per la sorte dei suoi genitori? Avrebbero attaccato pure Cokeworth? Lei intuiva che ci fosse lui, il Signore Oscuro, dietro a tutto quel caos, sapeva che voleva schiacciarli tutti come insetti. Ma in cuor suo, continuava a sperare che fosse il Signore Oscuro a finire disintegrato dalla sua stessa ingordigia ed ambizione.

Lily strinse forte il ciondolo che portava al collo, sperando che potesse esserle di conforto in quei momenti difficili.

* * *

Avete tutti i sacrosanti diritti di cruciarmi e torturarmi. UN MESE E MEZZO SENZA AGGIORNARE IRISH RAIN! Poi, adesso che è entrata tra le Scelte!!!

Ma solo Merlino sa quanto voglia levarmi di dosso l’università e dedicarmi ad altro. Ahimè devo stringere i denti e dare gli ultimi esami che non ho nessuna voglia di fare e una tesi divertente - sui Beatles e sui Genesis e la psicologia dei leader nelle due suddette band - che invece vorrei aver già scritto. E vorrei suonare di più il pianoforte, per quanto riesca a suonarlo con regolarità. E vorrei vorrei vorrei vorrei e basta. *inserite cose a vostro / mio piacimento*

 

Intanto, vorrei davvero ringraziarvi per aver fatto in modo che la mia storia entrasse tra le Storie Scelte di EFP. Davvero, non so come ringraziarvi, sono commossa! E’ un traguardo che mi da’ motivazione e non ho alcuna intenzione di mollare il colpo, sebbene gli aggiornamenti siano decisamente più rarefatti. E’ solo per la dannata Real Life, non vi preoccupate.

 

Vi lascio il brano del capitolo - una meraviglia del Maestro Battiato, un vero poeta per me. E come sempre, non so come ringraziarvi per tutto questo affetto e seguito. Siete preziosi per me, sempre <3 E non mi dimentico di voi.

 

Ah, per chi non conosce lo Stabat Mater di Pergolesi. Qua <3 

 

Un abbraccione gigante,


Blankette_Girl

Ale <3

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Capitolo 37
*** All I Need ***


37.
All I Need

There it is before you - smiling, frowning, inviting, grand, mean, insipid, or savage, and always mute with an air of whispering. Come and find out”. 

Joseph Conrad

 

Faceva freddo.

C’era acqua che colava dappertutto; e tanta umidità al punto tale che sembrava superare i mantelli neri, le spesse vesti scure, andava oltre lo strato sottile della pelle, per arrivare fino alle ossa.

Bellatrix detestava quell’umidità - preferendo il freddo secco come uno schiaffo o lo schioccare della sua bacchetta quando attaccava gli avversari - e il rumore delle gocce, che prima attraversavano le mura di quel sotterraneo, una sorta di prigione improvvisata all’interno di una grossa villa di Dunkeld.

La Mangiamorte non poteva soffrire neppure l’individuo che aveva davanti a sé. Non lo sopportava, perché era sfuggente proprio come quelle gocce che correvano sulla pietra, ora precipitavano verso terra, ora strisciavano lente, infiltrandosi laddove le mura fossero più porose e rovinate. Sparivano alla vista, per continuare la loro corsa indisturbata verso terra e per proseguire il loro lento ticchettio contro il pavimento.

Cercava di dargli un volto, ma esso era nascosto sotto il cappuccio e ne vedeva a malapena il mento, la forma delle labbra sottili, coperti da quello che poteva sembrare una sciarpa scura, come il mantello. Non riusciva ad inquadrare il suono della sua voce, perché era un sussurro rivolto solo a Lord Voldemort. Con gli altri non parlava, e quando qualcuno - tra cui Rodolphus e Lucius - aveva cercato di rivolgergli la parola, quell’individuo si chiudeva in un ermetico silenzio. 

Bellatrix sapeva bene che quello fosse il momento meno adatto per avvicinarsi al Signore Oscuro, che stava guardando gli ostaggi catturati in quell’attacco a sorpresa, rimanendo a debita distanza, giacché non aveva molto da spartire con dei maghi Nati Babbani, figurarsi con dei Babbani, che si guardavano attorno con il terrore negli occhi. Il mago oscuro non li contemplava nemmeno tra gli esseri viventi, figurarsi considerarli umani.

“Mio Signore” mormorò Bellatrix, rigirando la bacchetta tra le dita. Lord Voldemort si voltò verso di lei, assorto nei propri pensieri. Probabilmente, stava studiando la prossima mossa, cosa fare dei prigionieri, dove portarli, se trattenerli in Inghilterra o mandarli in Germania presso la Fortezza Oscura. L’uomo la esortò a parlare, con un breve cenno del capo.

La strega si fece più vicina, scoccando un’occhiata sospettosa al misterioso individuo che percorreva il sotterraneo a passi lunghi e lenti, rigirandosi tra le mani gli estremi di una catenella, che gli servivano per tenere una misteriosa borraccia ferma alla cintola. La Mangiamorte non era sicura che si trattasse proprio di una borraccia, poteva solo indovinarlo - che cosa poteva dire di sapere per certo, d’altronde, di quell’uomo? Ad una delle estremità, c’era un ciondolo di metallo, illuminato dallo sfarfallio tenue delle torce che bruciavano lentamente, con qualche occasionale schiocco e crepitio. 

Sembrava un cerchio e nella parte superiore vi era saldata una mezzaluna rivolta verso l’alto, mentre in quella inferiore una croce greca. Era certa di averlo visto in uno dei libri della Sezione Proibita di Hogwarts qualche anno prima, ma soprattutto nell’immensa biblioteca della famiglia Black, che vantava grandissimi ed oscuri alchimisti nei secoli. Era il simbolo del mercurio.

Esitò per qualche istante, rimanendo perplessa e confusa dalla visione.

“Chi è quel mago?” chiese poi, avvicinando le labbra all’orecchio teso del Signore Oscuro.

“Un misterioso portento della magia oscura” fu la sua replica. Il tono di voce sembrava divertito di fronte a quella situazione assurda. Avevano appena semi-distrutto un villaggio di maghi mescolati a Babbani, avevano catturato dei maghi SangueSporco, sospettati di avere troppi legami con le forze che volevano fermare Lord Voldemort ed i suoi fedeli... E lui sembrava essere divertito da quell’individuo che non aveva nome, non si faceva vedere in faccia, non si sapeva da dove venisse. Un piccolo dettaglio trascurabile, in fondo, per uno che poteva diventare totalmente intrattabile per la superficialità di colui che aveva osato lasciare indietro una minima inezia. 

Tuttavia, Bellatrix aveva il lusso di poter essere schietta e sincera di fronte al suo diretto superiore e Lord Voldemort apprezzava molto quella caratteristica. Non c’erano inutili perifrasi, ipocrisie o facciate di sorta, quando la Mangiamorte voleva esprimere un parere.

“Questo portento - ed ebbe cura di sottolineare quell’epiteto - non mi piace. Non mi fido di lui. E’ sfuggente”.

“Come il mercurio” aggiunse Lord Voldemort, lasciando che le nocche della mano destra toccassero quelle della mano della strega, quella che non reggeva la bacchetta ed era distesa lungo il fianco. La donna arricciò le labbra perplessa, e la sua memoria tornò ad un ricordo sciocco, di quando era ancora una studentessa: Andromeda Black non era molto brava in Pozioni e le si era infranta una boccia di mercurio. Si ricordò delle gocce luccicanti che rotolavano a terra, sfuggendo ai tentativi goffi della sorella minore di raccogliere a mano il metallo liquido, quando sarebbe bastato un semplice Incantesimo Evanescente a risolvere il tutto. Perché sporcarsi le mani quando la magia poteva risolvere tutto più facilmente? Lei allora non aveva capito la strada che la sorella minore avrebbe intrapreso da lì a poco tempo, così come Andromeda non aveva minimamente presagito l’avvenire della sorella maggiore. In quel momento Andromeda, dovunque fosse, magari aveva i suoi pensieri rivolti a Bella e forse sperava che lei potesse ricredersi, potesse pentirsi del fatto di esser diventata una Mangiamorte. A Bellatrix, invece, non importava nulla del destino di un membro della sua famiglia, dato che aveva cessato di essere tale nel momento in cui aveva deciso di andare apertamente contro i ferrei principi della famiglia Black. 

Non aveva tempo per il rimpianto e per di più tale sentimento non era degno di una Black. Dromeda era chiusa ermeticamente in uno scrigno della sua memoria, e sperava che potesse affondare ancora di più nelle profondità dell’immenso mare dell’oblio, fino a dimenticarla del tutto.

“Apprezzo la tua schiettezza, mia cara Bellatrix, ma devi sapere che ho fiducia totale in Igor Karkaroff. E se decide di scegliersi un qualsiasi assistente, può contare sulla mia approvazione”. Karkaroff, come il proprio superiore, cercava l’eccellenza nelle persone che collaboravano con lui. E quell’uomo enigmatico era quanto di meglio avesse trovato. Ne aveva parlato con toni entusiastici al Signore Oscuro, che era desideroso di vederlo all’opera.

Mercurius - le supposizioni di Bellatrix non l’avevano portata così lontano dall’indovinare almeno il nome di quel mago - li ascoltava, pur evitando un qualsiasi contatto con loro. Stava raccogliendo le energie necessarie per interrogare gli ostaggi, ma doveva prima di tutto controllare gli scatti d’ira e d’aggressività che scaturivano dal suo uso smodato ed ossessivo del mercurio in tutte le sue forme nei suoi esperimenti. Era talmente divenuto dipendente da quell’elemento tanto da farsi chiamare come lui, da disegnarne ovunque il simbolo alchemico... Tanto da voler cambiare fattezze con la facilità con cui il mercurio era in grado di evaporare o tornare allo stato liquido. Per lui il cambiare forma era un’esigenza dettata da una cronica e feroce insicurezza che si portava dietro da anni. A nulla erano valsi i tentativi dei genitori e dei suoi professori di fargli superare quell’ostacolo nella maniera più naturale possibile, il misterioso mago aveva trovato conforto in quei vapori altamente tossici che gli causavano veri e propri attacchi di violenza. Ma era proprio in quei momenti instabili che aveva visto quanto lo temessero e quanto i più malvagi fossero disposti ad una corte spietata, pur di averlo tra le loro schiere. Si sentiva forte quando i suoi sensi erano offuscati da quella nube nociva. Sentiva di poter servire sia le forze del bene, che le forze del male, perché non si accontentava di stare da una sola parte. Fintanto che la sua cura gliel’avrebbe permesso, avrebbe continuato ad oscillare da una parte all’altra, mutando sempre forma e fattezze, continuando a comprarsi la fiducia dei suoi superiori, pur tenendo le proprie carte ancora coperte. Doveva illuderli che la sua mano di carte valesse più di tutti, che era in grado di schiacciarli, se solo avessero osato rifiutare i suoi servigi. Mercurius era subdolo e poteva rivelarsi un grandissimo infame, ma era un grandissimo infame dalla meticolosa etica, nel suo lavoro: non si torturavano gratuitamente le proprie vittime, era da preferirsi la sottile pressione psicologica, fino a farle cedere del tutto. E poi, una persona temibile sapeva essere magnanima. Doveva esserlo, di tanto in tanto, perché voleva dimostrare di essere sempre e comunque una spanna al di sopra di coloro che erano cattivi e basta.

Guardò Lord Voldemort, guardò i due Babbani a terra e riguardò il proprio signore e gli si avvicinò con cautela.

“Liberiamo i Babbani”. 

Gli occhi gelidi di del mago lo guardarono stupito. Non lo vedeva negli occhi, ma sapeva che guardavano verso terra, perché temevano lo sguardo del Signore Oscuro.

“Mio Signore, non ci servono dei prigionieri inutili” spiegò con estrema semplicità.

Bellatrix, che era poco distante, trattenne il respiro, inorridita all’idea di perdere due facili vittime da torturare. In fondo, era una specialista della Maledizione Cruciatus ed ogni occasione era propizia per affinare la propria arte. Fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma Mercurius con un gesto le intimò di fare silenzio, di non impicciarsi in quella questione tra lui ed il Signore Oscuro. Lei gli avrebbe puntato volentieri la bacchetta addosso e avrebbe scaricato su di lui tutta la sua ira.

“Non ha senso trattenere dei prigionieri che sono già come dei cadaveri, che non hanno nulla da dirci, né da darci. I maghi SangueSporco sono quelli che ci interessano”.

Lord Voldemort fece qualche passo in avanti, proprio verso i Babbani e si chinò, con il volto in parte coperto dal cappuccio, per esaminarli, con la freddezza con cui uno scienziato osserva le proprie cavie in gabbia.

Poi, con un gesto della mano, fece svanire le catene dei signori Hill. La coppia si guardò stupita e guardò il mago oscuro, che si era già voltato verso Mercurius.

“Sei contento, piccolo prodigio? Ho seguito le tue massime sulla magnanimità con la massima solerzia”. Le sue parole erano sarcastiche, ma era divertito da quel siparietto grottesco, dove lui doveva recitare la parte del condottiero generoso ed esemplare. “Rodolphus, portali via di qui. Lasciali dove ti pare, basta che ci liberiamo di loro. Ne ho abbastanza di questa messinscena. Ed elimina le loro ultime memorie. Puoi farlo”. 

Rodolphus Lestrange andò verso i due ostaggi appena liberati, non degnandosi nemmeno di toccarli, come se fossero un mucchio di stracci.

“Ma Signore, l’Ordine di Merlino sancisce che...” obiettò lui, confuso.

In quel momento Lord Voldemort perse tutta la poca pazienza che aveva.

“Dell’Ordine di Merlino non me ne importa nulla!” tuonò “Quello che dico io vale più di qualsiasi altra stupida ed insulsa legge fatta da maghi mollaccioni! Io sono la vostra legge!”.

Se i Mangiamorte avessero potuto essere inghiottiti da quelle mura, si sarebbero fatti murare vivi volentieri. L’unica che non temeva quelle sfuriate era proprio Bellatrix, che era ben contenta di quel suo modo di affermare di essere l’autorità assoluta. Era per quello che si era unita ai Mangiamorte. Perché lui era tutto il suo mondo. Per lei era il giorno e la notte, il bello ed il cattivo tempo, la calma e la furia, la legge e l’infrazione. Il mondo nelle sue mani sarebbe potuto morire e rinascere più malvagio di prima, se solo avesse pronunciato le fatidiche parole di distruzione.

“E ora, sbrigati, Mercurius, prima che ci pensi io” ordinò Lord Voldemort, guardando con sguardo sinistro i maghi SangueSporco.

 

Lily lanciò il più lontano possibile la sua copia de La Gazzetta del Profeta, non senza averla prima appallottolata con stizza. Dato che era ora di colazione, e la Sala Comune brulicava di giovani sonnolenti - l’unico che sembrava essere sempre scattante appena sveglio era Severus - il volo del quotidiano appallottolato, con conseguente attraversamento del fantasma di un indignato Sir Nicholas de Mimsy-Porpington, suscitò qualche spavento e un paio di rovesciamenti di ciotole piene di latte e cereali. 

Emmeline finì di mangiare il suo toast con burro e marmellata, con la sua consueta calma olimpica e guardò alquanto sorpresa l’amica.

“Beh? Che ti prende?” chiese.

La ragazza stava ingollando il proprio succo d’arancia - quello di zucca le faceva venire la nausea dopo un sorso - e appoggiò il bicchiere, quasi sbattendolo sul tavolo.

“C’è che alla Gazzetta del Profeta sono rincitrulliti tutti” borbottò Lily, afferrando dei biscotti secchi da un cestino appena riempitosi “Hanno scritto un articolo a dir poco delirante su quanto accaduto al paese di Mary”. Si guardò attorno per vedere se l’amica fosse arrivata a fare colazione, ma non la vide al tavolo dei Grifondoro. Quello non era di certo il primo pasto saltato dalla compagna di casa, ma in fondo, dopo quello che le era capitato, era comprensibile che il nutrirsi fosse l’ultimo dei suoi pensieri. Mary MacDonald aveva passato più ore negli uffici del Preside Silente e della Professoressa McGranitt in quei giorni, che in tutta la sua carriera scolastica. Non aveva ancora visto i suoi genitori in quei giorni travagliati, ed era proprio ciò che aveva ripetutamente chiesto di ottenere. Quel suo desiderio non era stato esaudito, anche perché era stato reputato più saggio spostare i suoi genitori in una città grossa, ed in misura precauzionale erano stati  portati a Bristol, da dei cugini della madre, abbastanza lontano da Hogwarts. In più, si prospettava l’idea di far rimanere Mary nel castello scozzese durante le vacanze natalizie, onde evitare che venissero monitorati e tracciati i suoi movimenti da aiutanti di Lord Voldemort - poiché tra i membri dell’Ordine della Fenice vi erano pochi dubbi circa la paternità dell’attacco. Di fronte alla prospettiva di rimanere ad Hogwarts per Natale, l’amica di Lily era scoppiata in un pianto nervoso. Le avevano distrutto casa, non aveva più un posto dove vivere, un paese dove essere accettata come maga Nata Babbana. I ricordi di quella casa erano vivi solo nella sua testa e mai più sarebbero tornati ad essere tangibili, se non in una nuova abitazione. 

“Fammi leggere l’articolo” disse Marlene, incuriosita. Si guardò attorno per recuperare il giornale accartocciato e vide che Sirius Black - quello che doveva essere il suo ragazzo, benché lei non avesse ufficializzato il legame tra le sue amiche - lo teneva in mano.

“Sirius!” esclamò Marlene, arrossendo violentemente “I-Il... Giornale”. I suoi occhi non incontrarono quelli grigi del Grifondoro, ma puntarono dritti verso terra.

Il ragazzo, con uno splendido sorriso da Malandrino, ebbe cura di riaprire il giornale, lisciare le pagine con cura, e lo porse alla ragazza. Ne approfittò e le allungò un bacio sulla guancia e se ne andò, raggiungendo i restanti Malandrini, che erano intenti a fare il consueto baccano poco più avanti.

“Ha imparato ad essere gentile e non a comportarsi con te come un troll in una cristalleria?” commentò ironica Lily, lanciando un’occhiata verso i Malandrini, evitando di essere intercettata da James Potter, che non rinunciava mai a corteggiarla.

“Sirius è un po’ particolare, ma con me è carino” rispose imbarazzata Marlene, tenendo lo sguardo ben fisso sull’articolo.

 

E SE I MAGHI SCOMPARSI DA DUNKELD NON ESISTESSERO?

A cura di Rita Skeeter, inviata speciale a Dunkeld.

 

Se a Dunkeld le macerie sono ancora fumanti e si è alle prese con la conta dei danni - a dire il vero meno ingenti del previsto - qualche dubbio circa la natura di questo singolare attacco comincia a serpeggiare in seno alla comunità magica che costituisce la maggioranza del villaggio. A Dunkeld, come ben i lettori sapranno, da qualche decennio i Babbani sono i benvenuti, e molto spesso, tali Babbani hanno generato figli maghi Nati Babbani, che si sono perfettamente integrati nella comunità magica, preferendola a quella Babbana d’origine. 

Ora, sembra proprio che proprio i maghi Nati Babbani siano l’obiettivo di questi attacchi compiuti da ignoti. Le vittime di questo pacifico villaggio scozzese si dice che siano membri della famiglia Hill, formata da due genitori Babbani e da tre presunti figli maghi, spariti nel nulla la notte dell’attacco.

 

L’abilità di un giornalista sta nel cercare la verità ad ogni costo, rovistando a volte nel marcio e nel putrido e spesso, di fronte a tale scomoda verità si cerca piuttosto di insabbiarla. Ma io, Rita Skeeter, non ho paura di scuotere gli animi dei lettori, ed è con grande piacere che vi sottopongo un’intervista esclusiva a Jane e Richard Hill, fatta pochi giorni dopo l’attacco che dicono di aver subito. Ovviamente, godevano di ottima salute e hanno mostrato una certa perplessità di fronte alle mie domande circa i loro figli, come se non esistessero.

 

Da quello che si può notare, prima di tutto, è che in casa loro non c’è affatto traccia di altri abitanti. Quello che hanno saputo dire al riguardo, imbarazzati è stato solo “Noi siamo due vecchi pensionati soli... Ci dovete aver confuso con un’altra famiglia”.

 

E quel che è peggio, incalzati dalle mie puntuali e precise domande circa la magia, il loro rapporto con il mondo magico, sono state le loro risposte: “Non sappiamo di cosa stia parlando... Che cos’è la magia, ci scusi?”. Sapete bene che io sono una professionista che non scrive nulla se non è sostenuto da prove concrete, ma queste mi sono sembrate schiaccianti: questi arzilli signori si sono inventati tutto, devastando un’altra abitazione della famiglia MacDonald, con Babbani e una figlia maga Nata Babbana - sapete, le liti tra vicini sono molto comuni tra Babbani, mi sono informata, usando come scusa una misteriosa aggressione - e hanno utilizzato la scusa di un attacco magico per nascondere la loro aggressione.

 

Il Ministero della Magia avrà molto da riflettere ed indagare circa quest’evento misterioso e il comportamento bizzarro di questi Babbani che abitano nelle comunità magiche da qualche anno. La famiglia Hill, comunque, è stata trasferita ad Edimburgo, presso un ospedale Babbano per ulteriori accertamenti circa il loro stato di salute, dato che è ovvio ed evidente che non siano pienamente in possesso delle loro facoltà mentali. E intanto, si cerca di capire se questi Malcom, Lucretia e Neil, i supposti figli dei signori Hill, esistano per davvero. Il mistero continua.

 

Rita Skeeter

 

“Ma...” osservò perplessa Marlene, guardando Emmeline, altrettanto confusa “Dov’è l’intervista? Riporta giusto due frasi dei signori Hill!”.

Lily sbuffò e scosse la testa, senza aggiungere altro. 

“E’ una ciarlatana, questa Rita Skeeter, ma possibile che abbiano permesso di farle pubblicare una simile sciocchezza? E’ piena di bugie! Ma cos’ha bevuto mentre lo scriveva?” disse angosciata Emmeline “Non oso immaginare come possa reagire Mary di fronte a queste sciocchezze!”.

“Sarà bene che Mary che non legga niente di tutto questo” stabilì Lily, alzandosi e prendendo la copia del quotidiano spiegazzata “Sono giorni delicati ed è di pessimo umore. Non vorrei peggiorarglielo ulteriormente”.

Si allontanò con la borsa dei libri e andò a cercare Severus, al quale voleva far leggere quel mucchio di insulsaggini. Sicuramente avrebbe avuto informazioni molto più affidabili rispetto all’articolo. Necessitava di vederlo, anche perché il sogno ricorrente era tornato alla carica e si era svelato in tutti i suoi misteri prima di allora irrisolti. Misteri che riguardavano loro due soltanto.

 

Si erano ripetute le solite scene, quasi più velocemente e vorticosamente del solito. La Principessa Biancogiglio, i suoi giullari fedeli, i ragazzini che litigavano - o meglio, Lily e Severus che litigavano - l’incontro tra la Principessa Nerogiglio e il Principe Mezzosangue, che fuggiva o quando la ragazza tentava di togliergli la maschera argentata, o quando i giullari in avvicinamento lo facevano spaventare e fuggire. In quest’ultimo caso, poi, la Principessa Nerogiglio si trovava intrappolata nei loro scherzi e motteggi, per poi subire un umiliante incantesimo che la faceva fluttuare per aria e...

In quel punto si svegliava sempre di soprassalto, confusa, abbattuta ed in crisi, perché non riusciva a liberarsi di quel sogno, che le causava sempre più ansia. Quell’incantesimo che la faceva fluttuare per aria, poi, l’agitava non poco.

Ma la notte precedente, Lily era riuscita a fermare il suo Principe e a farlo rimanere lì con lei, in modo tale che non si presentassero i quattro giullari. Aveva agito in maniera molto semplice, forse un po’ ingenua ed un po’ astuta. Non aveva più allungato le mani verso il suo viso coperto dalla maschera, ma lo aveva preso per un polso, guardandolo con occhi supplichevoli - benché non fosse da lei comportarsi così - affinché potesse rimanere con lei.

Era certa che quel verde carico di disperazione avesse fatto tentennare il Principe nella sua fuga verso l’ignoto. Il verde non era solo il mare in tempesta, il mare che uccideva senza pietà. Il verde dei suoi occhi era in grado di intenerirsi, di diventare più cupo e sofferente. Quella sfumatura nei suoi occhi era la più rara, ma la più viva di tutte. E sia al Severus reale, che a quello onirico - e i sogni di quel genere non erano nient’altro che frammenti di futuro - gli occhi tristi di Lily turbavano moltissimo.

“Ti prego, fermati. Non mi abbandonare”. 

Lily non stava fingendo. Non voleva un futuro solitario, non voleva ritrovarsi con il cuore devastato ed un Principe in fuga per colpa sua. Lo stava trattenendo per un polso, appoggiando l’altra mano sulla spalla. Il Principe Mezzosangue si fermò, guardandola direttamente negli occhi. La Principessa Nerogiglio poté indovinare la sua espressione, celata da quello strato d’argento e seppe che lui stava capendo la sua paura.

“Ho paura, Sev!” esclamò lei, chiamandolo con il nomignolo che usava da anni. Forse solo così lo avrebbe fermato, con quel calore che aveva sempre avuto per lui. 

Le spalle del ragazzo si rilassarono, si chinò sempre di più verso la Principessa che sedeva sul trono ligneo, sempre con la schiena premuta contro lo schienale intarsiato. Arrivò ad avere il proprio viso all’altezza di quello della ragazza. 

Le mani della ragazza vennero accompagnate sulla maschera del Principe e lentamente la sfilarono. 

Era proprio Severus. Più grande, forse con il viso più stanco, leggermente scavato dalle occhiaie. Ma era lui, con i suoi occhi neri più vivi e ardenti che mai.

“Sono io che ti faccio scappare?” chiese la Principessa, passandogli le dita sullo zigomo.

“Scappo da me stesso, perché in questo futuro ti ho fatto del male” disse addolorato “Scappo perché ho ferito la Principessa Biancogiglio e non ne vuole più sapere di me, ora che è protetta dai suoi giullari”.

“Tu non mi hai mai fatto del male, non intenzionalmente! Lo sai che mi fido di te!”

Per qualche attimo la Principessa Nerogiglio pensò che forse, in quel futuro, non era tanto lui ad averle fatto del male, quanto lei ad avergli fatto qualcosa di meschino, spingendolo a reagire in maniera crudele. E forse, tutto stava nella Principessa Biancogiglio che non si era più separata dai quattro giullari; quattro come i Malandrini. 

L’eco di quel litigio - dove Lily non dava possibilità di replica a Severus - le rimbombò in testa, costringendola a scegliere con cura le parole, affinché il Principe non scappasse un’altra volta. Era lei che lo avrebbe costretto alla rovina e alla fuga. Era tutta colpa sua. 

“Sev! Ascoltami, è colpa mia se ti ridurrai così!” gli spiegò concitatamente e con tutta la determinazione che aveva, Lily desiderò poter cambiare il futuro. 

Il ragazzo la guardò meravigliato.

“E’ colpa dell’altra mia parte di me, la Principessa Biancogiglio. Non è buona come pensi. E’ crudele. Ma io non voglio darle retta e voglio cambiare il nostro futuro!”. Tacque per qualche secondo. “Ti chiedo scusa per tutto il dolore che ti darò, perché non potremo mai evitarlo... Ma sappi che non ti volterò mai le spalle”.

Sev si era inginocchiato davanti a lei, con le mani distese sulle gambe di lei e appoggiate al suo grembo, e la guardava con una strana gioia negli occhi, con quella brillantezza di chi sa di avere una nuova, seconda possibilità. 

“Ma io ti ho detto qualcosa di brutto ed irripetibile...” aggiunse.

“Sono solo parole. Le parole non hanno importanza. Contiamo solo noi due”. Lily, la Principessa Nerogiglio, gli sorrise.

Era tutto buio in quel salone, ma qualche candela si riaccese, forse animata da quanto detto dalla ragazza. Qualche timido raggio di sole illuminò le vetrate colorate, facendo in modo che il pavimento, sempre pieno di gigli in fiore, si riempisse di macchie colorate. Gli strilli ed i deliri dei giullari erano sempre più distanti, come se si stessero allontanando da quelle stanze. 

“Allora posso essere parte del tuo futuro?” chiese un po’ titubante il Principe Mezzosangue, intanto che la Principessa gli passava una mano tra i capelli, com’era solita fare quando Severus appoggiava la testa sul suo grembo.

La Principessa Nerogiglio annuì, e fece alzare il Principe per attirarlo a sé.

Nelle fiabe era sempre il cavaliere a baciare la principessa addormentata. Lily aveva sempre pensato che fosse brutto baciare una persona che era addormentata e che non poteva sentire nulla di quella magia che era il primo bacio. E trovava noioso che fosse sempre l’uomo a doversi muovere e la donna a cadere sempre vittima di qualche sortilegio, che ci cascava per colpa della sua ingenuità - perché non era normale andarsi ad infilare in una trappola che tutti le avevano detto di evitare! Lily era stata maestra nel cacciarsi nei guai a suo tempo, ma stava decisamente migliorando, se così si potesse dire.

Allora, aveva preso tra le braccia il suo Principe e lo aveva baciato con tutto l’amore e il calore che aveva nel cuore in quel momento, per quanto fosse un sogno destinato a svanire. 

Non era più angosciata, perché avvolta dalle braccia di Sev e dal suo mantello nero, si sentiva al sicuro. Quelle mura non le erano più estranee, perché si stavano riempiendo di luce e di vita, spazzando via la Principessa Biancogiglio vestita di pellicce ed attorniata da giullari perdigiorno. Le finestre esplodevano in mille pezzi, svelando fuori un panorama mozzafiato, fatto di colline verdi e meravigliosa pioggia irlandese in mezzo ai raggi di sole che filtravano dalle ultime nubi rimaste.

Quelle labbra sottili che la baciavano l’avrebbero fatta sempre sentire intera. Avrebbe vissuto pienamente, infischiandosene di essere solo un giglio nero agli occhi di tutti, imparando a discernere gli errori imperdonabili dalle sciocchezze, ed avrebbe sempre curato le ferite di entrambi, quelle che sarebbero arrivate con l’esperienza, gli sbagli, la vita e le avrebbe fasciate di quel meraviglioso nero, nobile ed elegante. Perché nessuno, tranne lei, aveva avuto il coraggio di andare oltre quel mantello scuro e quella maschera argentata, per poter vedere l’infinità di colori che il Principe Mezzosangue le avrebbe regalato in futuro. Lui era tutto ciò di cui avesse bisogno.

 

Lily non aveva trovato Severus per il loro solito saluto dopo la colazione. La serenità che le aveva regalato il sogno si era affievolita e l’angoscia si era fatta largo nel buonumore della ragazza. Il venerdì era il giorno in cui non avevano molte ore in comune, e la Grifondoro era stata costretta ad una breve e frenetica ricerca tra i corridoi stretti e pieni di studenti di ogni età, prima di correre verso le serre di Erbologia, situate sotto le due torri principali di Hogwarts. Doveva fare attenzione a scendere gli scalini in quei giorni, perché l’inverno iniziava a farsi parecchio rigido e i gradini che davano verso le serre erano il più delle volte ghiacciati e non di rado si vedevano spettacolari voli da parte degli studenti meno accorti. La sua testa continuò a cercare Severus disperatamente, benché la lezione della professoressa Sprite fosse assieme ai Tassorosso, nonostante fosse in ritardo di qualche minuto... E non si accorse dell’ultimo gradino ghiacciato. 

Lily vide il mondo capovolgersi, non fece in tempo a sentire la suola della scarpa destra scivolare sull’infida superficie ghiacciata. Volò a terra, assieme alla borsa, che cadde parecchio più avanti e udì un sinistro infrangersi di quello che poteva essere vetro. 

“No! La boccetta d’inchiostro!” esclamò Lily terrorizzata più per gli appunti pieni d’inchiostro nero, che per la caduta di per sé e il dolore lancinante che le aveva preso la mano sinistra, non appena l’aveva usata per appoggiarsi e rialzarsi. 

Si trascinò verso la borsa, sistemandosi alla bene e meglio gli abiti sotto il mantello nero, e riversò il contenuto sul sentiero mezzo ghiacciato. Con la bacchetta magica ed un semplice Reparo, Lily ricompose la boccetta d’inchiostro, riuscendo a recuperare il liquido nero che si stava spargendo ovunque. Controllò che le sue pergamene, i libri, ed i quaderni rilegati in pelle non fossero macchiati e li ributtò all’interno della borsa, passando poi ad un rapido controllo della mano sinistra.

A prima vista non sembrava essere rotta e a tenerla ferma non le faceva molto male, ma le causava molto dolore muovere le dita e stringere qualsiasi cosa. Provava un certo fastidio al dito medio e si accorse che rischiava di gonfiarsi e di indolenzirsi ancora di più con il gioiello ancora infilato al dito. Con terrore, si ricordò di quel racconto di sua madre e di quell’anello tagliato, perché il dito era troppo gonfio per poterlo sfilare agevolmente.

Intanto che correva dentro la serra, si sfilò l’anello e se lo appese alla catenella del ciondolo con l’Albero della Vita. Poi, una volta a lezione, non finì più di scusarsi con la professoressa Sprite, pregando tra sé e sé che non togliesse punti a Grinfondoro, e si mise al lavoro alacremente, non dando troppo a vedere la fatica con cui muoveva la mano sinistra. Frattanto, fuori aveva iniziato a nevicare lentamente ed ogni fiocco si posava a terra senza fretta, appoggiandosi appena. Nel silenzio più totale, lontano da qualsiasi folla rumoreggiante, si sarebbe potuto avvertire il leggero tocco della neve sull’erba. Lily pregò che non ci fossero altre lastre di ghiaccio ad attentare alla sua salute, tuttavia constatò che la neve le sarebbe tornata utile per alleviarle il dolore mano. Incredibile, pensò Lily, come di fronte a quell’inconveniente fosse tornato alla ribalta il suo spirito pratico puramente Babbano. Poteva bastare un composto di erbe curative, sgraffignate a qualche pianta nella serra, o una pozione preparata durante le lezioni di Lumacorno a guarire la mano infortunata. Invece Lily era chinata a terra, e aveva lasciato che il gruppo di compagni di casa proseguisse verso la lezione di Trasfigurazione, per prendere una manciata di neve fresca ed applicarla sulla mano. 

Marlene si voltò in quel momento e se ne accorse, tornando indietro, proprio verso l’amica.

“Lily! Che cosa stai facendo con la neve?” le chiese, osservando i gesti frettolosi della ragazza.

“Niente!” ribatté l’altra, nascondendo la mano sotto il mantello.

“Fammi vedere la mano” ribadì Marlene, avvicinandosi bruscamente a lei.

La Grifondoro riluttante fece vedere la mano, dalla quale la neve stava scivolando via, scaldata dal contatto con la pelle della ragazza. Guardò l’amica, i cui occhi chiari s’indurirono e si morse il labbro inferiore. Marlene poteva sembrare più fredda e distaccata, e qualche estraneo l’aveva ingiustamente definita snob e altera, ma Lily e le altre erano sue amiche, ed erano le più preziose che avesse, perché quel legame era nato in maniera spontanea, lontano da casa e dai legami tenuti d’occhio dai genitori. Non erano solamente tre ragazze con cui condivideva il dormitorio da qualche anno, erano le sue confidenti, con le quali si era aperta molto e aveva rivelato lati di sé che altrimenti avrebbe tenuto solamente per lei, nella camera di casa sua.

“Ti porto immediatamente da Madama Chips!” esclamò Lene preoccupata, tenendo tra le sue mani quella dolorante dell’amica. Era leggermente gonfia, ma non sembrava avere lividi preoccupanti.

“Non è rotto!” obiettò l’altra, ritirandola immediatamente. 

“Non mi interessa! Non bisogna scherzare con queste cose!”.

Marlene sapeva essere autoritaria e persuasiva al momento opportuno e Lily, in quei frangenti, non poteva fare altro che chinare la testa ed assecondare l’amica. Strada facendo, sperava di incrociare Sev, che sembrava essere sparito nel nulla.

 

Nel pomeriggio, la nevicata si era fatta decisamente più intensa e i dintorni di Hogwarts erano quasi del tutto bianchi. Nessuno, né studenti, né insegnanti, si erano azzardati a sfidare il gelo, preferendo il calore di una poltrona e di una tazza di tè, in compagnia o dei compiti o delle chiacchiere dei propri compagni di casa. Nemmeno i Malandrini erano fuori a lanciare palle di neve a chiunque fosse nel loro raggio d’azione, per ripiegare in qualche aula abbandonata a progettare chissà quale nuovo ed irritante scherzo.

Nessuno tranne Severus, che si era avventurato fuori, camminando senza seguire un sentiero in particolare, e se ci fosse stato, era sepolto sotto un sempre più consistente strato di neve. Si era avvolto nel suo mantello nero, con lo stemma di Serpeverde ricamato all’altezza del cuore. Aveva preso la sciarpa verde ed argento e se l’era avvolta fino a coprirsi il collo, le orecchie ed il volto fino all’altezza del naso. Non era solito portare cappellini o berretti, ma date le condizioni climatiche non aveva potuto fare a meno di calcarsi in testa un berretto neri. Nella mano destra, protetta da un guanto di lana, stringeva la propria bacchetta magica.

Aveva il bisogno di sciogliere la tensione che aveva accumulato in quei giorni. E nei momenti di debolezza, in cui si chiudeva totalmente in se stesso, non voleva essere visto da nessuno, non voleva avere a che fare con le altre persone. La sua mente era affollata da timori, pensieri cupi, tutt’altro che lieti. Era stato in mezzo ad una bufera di informazioni preoccupanti circa quanto accaduto a Dunkeld. Con il passare dei giorni, ciò che era una pura indiscrezione, era diventata un’amara verità: Lord Voldemort stava iniziando a fare sul serio, e quell’attacco non era che solamente l’inizio, un avvertimento.

“Andrà a prendere tutti i maghi Nati Babbani” aveva mormorato Mulciber, protetto dal buio totale del dormitorio.

“Dovesse stanarli casa per casa” aveva aggiunto Avery, con un sinistro sogghigno “Lucius Malfoy ha detto che hanno armi potenti per poter ripulire l’intera Inghilterra nel giro di qualche notte”.

“Però queste armi vorrei tanto vederle e provarle” si era lamentato Mulciber, come se si stesse lamentando del tempo avverso. 

Sev aveva trattenuto il fiato dopo quella frase disgraziata. Se la sarebbe incisa sulla pelle, a costo di non dimenticarsela e l’avrebbe riferita a Silente.

Armi potenti, dunque. Lord Voldemort non aveva intenzione di risparmiare nessuno. Cercava e voleva la guerra totale che lo avrebbe portato a dominare di loro, in caso di vittoria.

Severus aveva parlato molto, forse fin troppo per lui, con Albus Silente. Il Preside aveva ascoltato tutto, senza dire nulla, ma il suo sguardo grave era molto eloquente. Si era sentito pure lui una goccia d’acqua pura in un oceano di malvagità. Tuttavia, non poteva tentennare, non poteva abbandonare l’Ordine, non poteva fermarsi di fronte al gigante d’oscurità che avanzava a passo sicuro e spedito, schiacciando tutto ciò che gli arrecava fastidio con sicurezza.

Ma non era detto che il gigante dovesse vincere a tutti i costi; Lord Voldemort aveva la supremazia magica e fisica. Albus Silente aveva l’astuzia, la paziente pianificazione di ogni singola mossa, pochi ma fedeli e validi alleati ed aiutanti. C’era qualche speranza ed andava tenuta in vita fino al primo scontro diretto. 

Il ragazzo chiuse gli occhi e si lasciò andare nella neve che scendeva sempre più copiosa, e di tanto in tanto rabbrividiva per qualche sferzata di vento freddo. 

Non l’avrebbe mai ammesso, ma necessitava di qualche pensiero felice, perché i suoi si erano dissolti in quella nuvola nera di pessime notizie. A stare con Lily ci aveva fatto l’abitudine ad essere sereno e ad avere una certa pace nel cuore; nei momenti in cui questo stato d’animo veniva meno, si sentiva perso e rivoleva indietro quella mite sensazione di benessere. 

Necessitava di felicità perché si sentiva disperatamente incerto sull’avvenire e preoccupato per Lily, che a sua volta era turbata circa la sicurezza della sua famiglia e temeva che potesse succederle qualcosa di simile alla famiglia Hill.

Sollevò la bacchetta e la puntò dritto davanti a sé, senza l’intenzione di colpire nessuno in particolare. Tenne gli occhi chiusi, evocando i migliori ricordi felici che avesse accumulato da quando stava con Lily. 

Era nell’indole di ogni persona soffrire quando l’altra si trovava in difficoltà; ed era nei momenti più cupi che ci si rendeva conto del legame con gli altri, di quanto fosse importante stare bene, raccogliere il meglio da qualsiasi esperienza. Era nella sua indole legarsi ad una persona - non a tante - e fare qualsiasi cosa per lei. Era così naturale per lui tendere una mano alla ragazza che amava, correre da lei nel momento del bisogno. Gli veniva così spontaneo esserci per lei, niente di più.

Ma in quei giorni si era un po’ perso. Era più distaccato, chiuso in un mutismo pieno di amarezza. Le ore di lezione scorrevano via come se non avessero più così tanta importanza, come se fossero solo rumore di sottofondo. Sedeva con i suoi compagni di casa giusto il necessario per mangiare qualcosa e non svenire dalla fame. Rimaneva ermeticamente chiuso nelle sue angosce, nel suo vedere Lily triste e turbata per Mary, la vedeva correre ed affannarsi per evitare che l’amica crollasse di fronte a quella situazione comunque insostenibile per un’adolescente.

Si concentrò sui ricordi felici, i piccoli gesti quotidiani che lo facevano stare bene. Voleva tornare a stare bene, desiderava che Lily tornasse ad avere un’espressione più serena sul volto. Rivoleva indietro il verde felice e splendente, non quel verde da mare in tempesta, rabbioso e sofferente. 

“Expecto Patronum”.

Dalla punta della bacchetta uscì un filo argenteo che presto si tramutò nella cerva argentea che conosceva bene. I fiocchi di neve sembravano non toccare minimamente la creatura evocata dal ragazzo. Non eseguiva l’Incanto Patronus da quando lo aveva insegnato a Lily lo scorso inverno. Non ne aveva avuto - fortunatamente - necessità di doverlo utilizzare contro i Dissennatori.

Ma in mezzo a quella distesa innevata, evocare il suo Patronus aveva una funzione curativa, quella luce argentea era stata in grado di richiamare quanto di meglio avesse vissuto nell’ultimo anno. 

Ripensò alle battaglie di palle di neve, alle passeggiate lente verso Hogsmeade - sembrava passata un’eternità dall’ultima gita verso il villaggio magico - a Mielandia ed al sacchetto di dolci che si prendeva la ragazza, pieno fino a scoppiare.

Tutto quello pareva lontano anni luce, appartenente ad un’altra era, distante e remota, ma la cerva aveva riavvicinato Sev a quella sensazione di piacevole tepore che solo un ricordo felice era in grado di generare.

Il suo Patronus continuava a zampettare cauto attorno a lui. Alzava la testa verso il cielo coperto, come se fosse curioso di sapere da dove provenisse la neve.

Si sentiva meglio, meno turbato e un po’ più fiducioso verso il futuro. Si avvicinavano le vacanze invernali, e al ritorno a Cokeworth, stabilì che avrebbe protetto sia Lily, che la sua famiglia. Questo era quello che poteva fare. Proteggerli, nient’altro. E avrebbe mantenuto i contatti con il Preside, rimanendo a sua completa disposizione. 

Un’altra cerva gli passò accanto e zampettò verso la sua. Si voltò di scatto, perché solo un’altra persona aveva il Patronus identico al suo.

Lily era dietro di lui, avvolta nel suo mantello, con quel buffo berretto con i pon-pon in testa, e la sciarpa Grifondoro. Sembrava così piccola e buffa, con le gambe che affondavano nella neve. Avanzò verso di lui a fatica, proteggendosi la mano sinistra, tenendola sul petto. Sorrideva serena. Evidentemente anche per lei l’Incanto Patronus aveva una funzione curativa.

“E’ permesso? Posso entrare anche io nel tuo guscio?” gli chiese gentilmente la ragazza, appena fu abbastanza vicina a lui.

“Hai ragione, Lily...” disse lui, cercando le parole giuste per scusarsi del suo essere scostante. Aprì il mantello e l’avvolse, com’era solito fare. Lily spariva, quando era avvolta dal tessuto nero di Sev, che non sembrava smettere di crescere in altezza, almeno secondo lei. La ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla, strofinando il naso contro il tessuto della sciarpa verde ed argento.

“Scusami” disse lui.

“Siamo entrambi preoccupati per quello che sta succedendo” osservò lei con semplicità “Non fartene una colpa! Sei fatto così. Io preferisco assillare le persone in difficoltà, tu ti chiudi in te stesso. Più vado avanti, più capisco che non esiste un modo giusto per reagire verso certi avvenimenti”.

Lily alzò la testa verso Sev e allungò la mano sana per togliere la sciarpa dalle labbra del ragazzo, che la strinse forte. Si lasciò baciare da quelle labbra che così calde non erano, dato che erano rimasti fuori al freddo per un po’, ma a lui sembrarono morbide e calde come sempre. Sentì la mano guantata della ragazza sfiorargli il viso e scivolare verso la testa, mentre l’altra mano rimaneva leggermente schiacciata tra i due. Non la muoveva e Severus si accorse del dolore di Lily non appena si strinsero un po’ più forte.

“Ahi!” esclamò lei, toccandosi la mano infortunata.

“Che ti sei fatta alla mano?” scattò lui, preoccupato.

“Ma niente, una botta...”. Severus si tolse il guanto e poté constatare che, sotto lo strato di lana, la mano sinistra di Lily fosse veramente gonfia.

“Devi andare da Madama Chips! Subito!” esclamò.

“Ci sono già stata! Mi ha messo una pomata fatta di erbe disgustosa e mi ha fasciato la mano!”.

“Non mi stai raccontando una bugia?”. Severus si era fatto molto serio. 

Lily scoppiò a ridere. “Ma non dire sciocchezze! Perché dovrei?”.

“Perché hai una certa tendenza a minimizzare i tuoi infortuni. Ti devo ricordare quando sei caduta dall’altalena a undici anni e ti sei aperta un polpaccio?” le ricordò il ragazzo, prendendola in giro. 

“Ma ancora ti ricordi di quel mio piccolo taglio...”.

“Non era un piccolo taglio. Era uno squarcio”.

“Quanto sei esagerato” ribatté lei, ridendo.

“Non sono esagerato, se non ci fossi stato io saresti morta dissanguata”.

I due rimasero in silenzio dopo quello scambio allegro di battute e guardarono le due cerve rincorrersi vivacemente e poi scomparvero verso il bosco, pieno di sempreverdi dalle chiome candide.

Severus aveva davvero bisogno della sincerità di Lily; con quella, avrebbe difficilmente sbagliato nel proteggerla, non l’avrebbe soffocata con i suoi timori e le sue insicurezze.

“Ti ricordi il mio sogno ricorrente?” disse ad un tratto Lily “Sono riuscita a non farti a scappare”.

“Tu? Far scappare me? Non sarebbe il contrario in un sogno normale?” chiese Severus con un sorrisetto ironico.

“Stupido. Lo sai che non è un sogno normale! La Principessa Biancogiglio era una gran smorfiosa. Ti ha fatto soffrire e ti ha fatto scappare da me”.

“Ma la Principessa Nerogiglio ha vinto sulla principessa cattiva e ha promesso di far stare bene il Principe Mezzosangue, giusto?”.

“Giusto. E vissero felici e contenti” concluse soddisfatta Lily. Peccato che troppe storie vere e reali non finissero in quel modo, pensò la ragazza.

Sev abbracciò forte Lily e la baciò di nuovo, con molto trasporto, per dirle che le avrebbe dato quel “Vissero felici e contenti” a qualsiasi costo. Se lo meritavano entrambi.

* * *

 

Miei cari lettori, eccomi qua! La vostra Blankette non si è dimenticata di voi! Questo è un aggiornamento bello succoso prima delle vacanze - le mie saranno brevi in Slovenia, ma spero che le vostre siano lunghe e belle riposanti! Il capitolo 38 è già in mente e direi pronto per essere scritto, spero di non far passare troppo, troppo tempo prima di pubblicarlo! Abituatevi a Mercurius, perché purtroppo - o fortunatamente per me - ci sarà. Ricordatevelo e temetelo! *risata malefica*.

 

Detto questo, vi abbraccio tutti come sempre e vi mando amore sparso, fresco ed estivo <3 Vi ricordo la mia pagina Facebook e le canzoni del capitolo:

 

All I Need - Within Temptation

You - Inspirational 

 

Buone vacanze! E a presto con il capitolo 38!

 

Un abbraccio,

 

Blankette_Girl

Ale

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Capitolo 38
*** Jig Of Life ***


38.

Jig Of Life

"Life is not about waiting for the storm to pass, it’s about learning how to dance in the rain".

Anonymous

 

 

“Miranda, come festeggiano gli Evocatori il Natale?” le aveva chiesto Lily e nello sguardo vi si poteva leggere tutta la curiosità di una ragazza che voleva iniziare a capire come fosse fatto il mondo nel quale avrebbe abitato di lì a pochi anni.

La Corvonero non aveva trovato una risposta particolarmente descrittiva o ricca di dettagli, perché era un’abitudine talmente radicata in lei, che non sapeva raccontarla ad altri maghi o streghe. Non festeggiavano il Natale per le motivazioni Babbane che le aveva spiegato l’amica Grifondoro, quanto piuttosto per celebrare la luce che tornava progressivamente a scaldare Mile Droichead. Era un momento di festa dove ci si ritrovava ai piedi dell’Albero della Vita ad omaggiare le divinità e a ricordare coloro che avevano raggiunto i Tre Mondi dei Giusti, attraversando Bifröst, l’arcobaleno eterno che collegava la Terra con Asgard. Terminata la solenne cerimonia, si tornava presso Mile Droichead e le famiglie banchettavano nelle proprie case su tavoli decorati da ghirlande di sempreverdi. La luce era la componente fondamentale della festività, ragione per cui in ogni angolo della casa fluttuavano a mezz’aria moltissime candele, dai colori e dalle dimensioni più disparate. Non mancavano neanche le candele profumate, e qualche mago particolarmente burlone si era cimentato nel creare delle candele che adottassero lo stesso principio delle Gelatine Tuttigusti +1, ovviamente nelle profumazioni più disgustose e rivoltanti, nel vano tentativo di liberarsi dei parenti meno graditi. Che si fosse Babbani, o che si fosse maghi, le riunioni di famiglia erano sempre un momento intenso ed impegnativo per molti, estremamente indigesto per altri.

Poi, non mancavano le decorazioni delle finestre, che venivano coperte da sottili pannelli di alabastro, in modo tale che il tenue sole invernale - qualora ci fosse stato - potesse avvolgere il luogo del festeggiamento in una splendida luce dorata e delicata.

Lily aveva ascoltato a bocca aperta quel piccolo dettaglio che era poi riuscita a sottrarre alla reticenza di Miranda. Si era immaginata la propria casa immersa in quella luce dorata - lieve come una carezza sui capelli - e si era sentita in qualche modo in pace, scacciando via il turbamento che l’aveva accompagnata nelle ultime settimane. Aveva atteso con trepidazione il ritorno a casa, per sincerarsi che i suoi genitori stessero bene e che non fossero stati attaccati da nessuna forza oscura. Per quanto si fidasse delle rassicurazioni del Preside Silente, niente era in grado di rinfrancarla come il vedere tutto con i propri occhi. Appena aveva riconosciuto suo padre e sua madre fuori dal Binario 9 e 3/4 aveva lanciato i suoi bagagli a terra e si era lanciata ad abbracciarli, come se non li rivedesse da anni. I signori Evans erano all’oscuro di quanto accaduto ai genitori di Mary MacDonald, quindi presero quella richiesta dirompente d’amore e d’affetto come un comportamento normale da parte di un’adolescente che stava crescendo e stava affrontando i consueti saliscendi che caratterizzavano gli affetti familiari. Severus si era avvicinato alla famiglia di Lily con sua madre Eileen e aveva visto gli occhi della ragazza risplendere, come smeraldi portati via dal fango e dalla polvere, nuovamente brillanti e vivi.

La signora Prince - non amava essere chiamata “la vedova Piton”, come alcune malelingue di Cokeworth facevano - aveva salutato con un sorriso e con delle strette di mano Charles e Norah e si era fermata a scambiare quattro chiacchiere con loro. Norah ed Eileen non poterono fare a meno di parlare con un sospiro carico di nostalgia dei loro bambini, del tempo che passava e di come stessero crescendo in fretta, troppo in fretta per il cuore di una madre. 

Lily guardava i suoi genitori sereni e piuttosto distesi conversare con una strega Purosangue - la madre del suo ragazzo - e avrebbe desiderato poter incorniciare quel momento in una splendida cornice di luce d’alabastro. 

 

La mattina di Natale, Miranda aveva letto la pergamena di Lily che le aveva riportato fedelmente quel turbinio d’emozioni, quella gioia di poter riabbracciare i suoi genitori e la felicità di poter festeggiare il Natale con loro. Aveva preso la scatoletta di tè al bergamotto e cannella che la giovane amica le aveva inviato come regalo, decisa a preparare nel pomeriggio del buon tè da far provare anche a suo padre, che amava molto sorseggiare quella bevanda ed apprezzava scoprire nuovi sapori provenienti da tutto il mondo, anche quello Babbano, all’occorrenza. 

La ragazza diede una rapida occhiata alla tavola imbandita e decorata di tutto punto davanti a lei. Da quando non c’era più sua madre, era stata sua zia Lauren - una delle tante donne che si erano prese cura di lei, per lei erano tutte delle zie - ad occuparsi di addobbare la sala da pranzo dell’abitazione sua e di suo padre. Poi, il testimone era passato proprio a lei, e la Corvonero ogni anno si era ingegnata per trovare decorazioni differenti, piccoli pensieri per tutti i presenti, non solo presi durante le gite ad Hogsmeade, ma anche tramite corrispondenza. Rendendo onore alla casata di Priscilla Corvonero, la giovane non aveva tempo di passare tutti i weekend nel villaggio magico, si era dunque adoperata per trovare regali differenti, che non fossero le solite scatole piene di dolciumi, costosissimi diari rilegati in pelle di drago - era stato uno dei primi doni fatti a suo padre Gabriel, e Miranda aveva risparmiato galeoni per mesi - e chincaglierie varie. Aveva trovato un negozio situato nel cuore dell’Europa, che vendeva oggetti di qualsiasi tipo via corrispondenza, e che non aveva mai visto nel Regno Unito. Verso Ottobre era solita ordinare tutto, e per fine Novembre, mattina dopo mattina, al suo tavolo venivano recapitati pacchi di ogni dimensione da gufi che non vedevano l’ora di andare a riposarsi e a rifocillarsi alla guferia. 

Quest’anno, Miranda si era finalmente decisa a fare un regalo alla persona della quale si era invaghita da un anno a quella parte. Marcus era un ragazzo tanto gentile e a modo, quanto misterioso. Di lui non sapeva molto, in effetti, se non che fosse orfano e che fosse un eccellente Guaritore - il che implicava essere un ottimo pozionista, ma anche un erborista preparato - e gestiva non tanto l’Ospedale presso il Tempio di Mile Droichead, in quanto era troppo giovane per ricoprire una carica simile, sebbene fosse estremamente bravo e godesse del rispetto di buona parte dei migliori Evocatori della comunità, quanto era stato messo a capo dei laboratori che preparavano i rimedi ed i medicamenti per l’Ospedale e per il villaggio-fortezza. 

Marcus trascorreva molte ore nei laboratori, era un lavoratore scrupoloso ed attento, di rado si concedeva ai piaceri di una pinta di Burrobirra o di Ogden Stravecchio in una delle taverne di Mile Droichead, o al dolce far niente nella propria casa accogliente e spaziosa, ma sempre vuota, data l’assenza del proprietario.

Il ragazzo era alto e molto magro, forse troppo, aveva pensato Miranda, che con preoccupazione quasi materna aveva temuto che non si nutrisse a sufficienza. L’incarnato era molto pallido e sotto gli occhi di un azzurro poco brillante presentava due notevoli occhiaie. I suoi lineamenti erano generalmente piuttosto delicati, per essere quelli di un ragazzo, salvo per i due zigomi marcati, che rendevano il volto di Marcus poco armonioso, ma affascinante. I capelli erano finissimi e di un biondo molto chiaro, che alla luce del giorno - alla quale raramente si esponeva - parevano quasi bianchi. Nonostante la giovane età - Miranda aveva ipotizzato che il ragazzo fosse un suo coetaneo - erano già piuttosto radi, soprattutto all’altezza delle tempie. 

La Corvonero lo attendeva con ansia, perché sapeva che, in fondo, un pochino il ragazzo l’aveva presa in simpatia. Era schivo, di poche, pochissime parole, e perlopiù parlava a Miranda, come se fosse in un continuo flusso di coscienza, di tutto quello che faceva in laboratorio, di quello che studiava e ricercava. La giovane lo ascoltava paziente, rapita dal suo modo di narrare preciso e attento - un po’ come Severus con Lily, aveva notato. E li invidiava, sotto sotto, perché Severus era attento e protettivo nei confronti della sua ragazza - e le ore volavano in compagnia di Marcus. Peccato che quelle ore trascorse assieme fossero sempre e solo una manciata, tra gli studi di lei e gli impegni nei laboratori e nella gestione dei medicamenti di lui. Praticamente, potevano vedersi solo a Natale ed in estate. 

Stringeva tra le mani il regalo per Marcus e lo aveva messo a sedere il più vicino possibile a lei. Sperava che quello bastasse per dimostrargli che ci teneva molto a lui, alla sua presenza ed alla sua compagnia.

“Miranda” la chiamò Gabriel sorridente “Aspetti Marcus?”.

La ragazza imbarazzata appoggiò il regalo sul tavolo. Non osò guardare negli occhi  il padre, che aveva capito i suoi sentimenti. 

“Non è un crimine provare qualcosa per un ragazzo” le disse, carezzandole una guancia. 

“E’ così evidente?” chiese impacciata la ragazza.  

“A giudicare dalle ore che passi nei laboratori... Sì, direi di sì” osservò serenamente Gabriel. “Mi ricordi quando passavo le ore in Ospedale a cercare tua madre, anche solo per ottenere che mi notasse in mezzo agli altri”.

Quel ricordo non era stato espresso con il dolore di una ferita ancora aperta e mai richiusasi, anzi. C’era una voglia di vedere la vita continuare e continuare ancora, anno dopo anno. L’amore passava di esistenza in esistenza, di generazione in generazione ed univa tutti, dando un senso compiuto alle singole persone. L’amore aveva unito Gabriel e Catherine, la morte li aveva divisi; la vita era andata avanti nel suo corso inarrestabile. Ora cercava di unire sua figlia ed un’altra persona che ad ogni modo gli era cara, non solo da un punto di vista professionale. I suoi sensi da Evocatore cercavano di scrutare nel futuro di sua figlia e di Marcus: ma il tutto, era avvolto in una misteriosa nube. E forse, era meglio così.

 

Lord Voldemort aveva solo un ricordo preciso del periodo di Natale presso il Wool’s Orphanage dov’era cresciuto per anni.

Era il terrore che spargeva nei bambini attorno a sé. Tutti quei mocciosi che in qualche modo riuscivano a ricevere sempre un dono per il giorno di Natale. A volte erano solamente giochi di seconda mano, che gli istitutori del brefotrofio, o qualche vistatore assiduo della struttura, ma al piccolo Tom Riddle non interessava. Loro avevano regali, in qualche modo erano amati e vezzeggiati. Lui no. Gli altri avevano briciole di affetto e amore, raffazzonate ed infinitesimali, mentre a lui non sembrava esserne destinata neanche una. 

E tutto quello che desiderava era incendiare ed incenerire tutto e tutti, per quell’ingiustizia  - e riusciva a farlo, se ci pensava intensamente. Allora non era pienamente consapevole del modo in cui si vendicava sugli altri orfani dei regali da loro ricevuti, ma qualcosa dentro di lui - qualcosa che gli stringeva in una morsa il petto e le viscere - gli diceva che quello era il modo migliore per dimostrare tutto l’odio che provava. Era il metodo migliore per ottenere il rispetto da parte degli altri, per fare in modo che la volta successiva non l’avrebbero più escluso dai loro giochi e dalle loro attività. E qualcuno, magari, gli avrebbe ceduto il proprio dono di Natale, stretto nella morsa della paura. 

A dare una definizione a quel potere di bruciare porte, tende, materassi e cuscini, a quella facoltà che tanto spaventava Amy, Dennis e Billy, ci aveva pensato Albus Silente, in uno dei primi pomeriggi d’estate del 1938. 

Il Signore Oscuro si ricordava fin troppo bene quell’incontro, che cosa stava facendo - fissava l’armadio davanti al suo letto scalcagnato e cigolante, con il proposito di aprirlo e chiuderlo a suo piacimento - e poteva ricordare distintamente il rumore del vento caldo, che portava nubi vagamente rossastre da un deserto lontanissimo. Lo sapeva, perché grazie ai suoi studi attenti, avvenuti tra quelle pile di libri in apparenza troppo complicati per gli altri, portati all’orfanotrofio da adulti sconosciuti e desiderosi di liberare spazio in casa, era in grado di riconoscere ciascun vento e riconosceva, seppur rozzamente, le varie perturbazioni che oscuravano il cielo sopra di lui. 

Avvertiva qualcosa nell’aria, qualcosa di più temibile di un temporale estivo che avrebbe lasciato tracce di sabbia una volta passato. Sentiva che si stava avvicinando qualcuno di simile a lui, che, forse, lo avrebbe capito e lo avrebbe portato lontano da quel posto misero e squallido, dove veniva considerato uno matto, alla pari di quelli che venivano portati in manicomio. Amy, la smorfiosa coetanea che infestava i suoi pomeriggi, i suoi necessari silenzi dopo il frastuono e gli schiamazzi degli altri che giocavano in cortile, tra mattoni e sparuta erba, non faceva che raccontare quello che aveva sentito “dai grandi”, ovvero che i bambini cattivi finivano in manicomio: al St.Andrew nel Northampton, per la precisione. 

E al piccolo Tom Riddle, nei momenti di solitudine, era venuto il sospetto che a lui, al bambino cattivo per eccellenza, solitario e freddo come la pietra, ma che sapeva dare fuoco praticamente a tutto con la forza del pensiero, potesse toccare quella sorte. Allora, attendeva che quel vento caldo, e quelle nubi rosse del deserto, lo portasse via da quell’infimo orfanotrofio.

Aveva udito la signora Cole salire le scale in legno, accompagnata da qualcuno, dal passo più svelto e deciso, e l’aveva sentita continuare a ripetere il cognome dell’ospite - “Sirente... Serente... Silenpe” - tra sé e sé, come una piccola nenia. 

“E’ sicuro di voler parlare con il giovane Riddle, Siren.. Signor Silente?” chiese stancamente l’istitutrice “E’ un ragazzo difficile, gliel’ho detto”.

“Sono certo che invece mi capirà senza problemi, signora Cole” ribadì fermamente l’altro. Aveva una voce profonda, ogni sillaba era densa di saggezza e di determinazione. Sembrava anziano, ma sicuramente nel pieno delle sue facoltà. Il ragazzo pregò tra sé e sé che non fosse davvero qualcuno del manicomio e corse alla finestra, lasciata semiaperta: nel caso, sarebbe saltato giù e avrebbe tentato la fuga.

La porta si aprì e Tom Riddle si trovò di fronte ad Albus Silente per la prima volta in vita sua. Colui che gli aveva detto che la forza che aveva in corpo, si chiamava magia.

Fortunatamente, quei tempi appartenevano solamente al passato. 

Lord Voldemort si rituffò nel presente, immergendosi nello splendore della villa gotico vittoriana dei Lestrange. Il salone dove si teneva il ricevimento - il Natale non era che una delle tante occasioni per i Purosangue per ritrovarsi, e per il Signore Oscuro era un’ottima opportunità per continuare a tessere la sua tela intricata, che nessun altro, se non lui, era in grado di gestire - non era un trionfo di luci, candele o sempreverdi. Era cupa, inquietante nel mostrare a tutti un arazzo immenso che rappresentava l’albero genealogico della famiglia Black, intrecciata a quella dei Lestrange. Le tinte predominanti di quel maestoso artefatto erano verde scuro, blu notte, grigio e marrone scuro, mentre i nomi di ciascun membro delle famiglie, era incastonato ed intessuto in un riquadro color ocra, più che dorato. Andromeda Black era stata cancellata da tempo dall’albero, al suo posto non c’era che un buco bruciacchiato, avendo sposato un dannato SangueSporco e voci inquietanti erano giunte a Bellatrix, ovvero che la sorella avesse messo al mondo una figlia. Il sangue dei Black si era mescolato a del sangue marcio e lurido, l’ultima cosa che la famiglia Purosangue potesse desiderare. 

Il Signore Oscuro aveva intravisto Bellatrix poco più in là, in apparenza con il viso stanco, segnato da pesanti occhiaie, e si stava intrattenendo con con la sorella Narcissa, elegante ed impeccabile come sempre, in compagnia del cognato Lucius, che aveva un’aria estremamente annoiata in volto, come se le due donne stessero parlando di cose di poco conto. 

Tom Riddle sapeva bene che cosa fosse passato per la testa all’amante, in quell’ultimo periodo, dato che non si dava pace nella consapevolezza di avere una nipote SangueSporco, e che, di conseguenza, il sangue dei Black si fosse mescolato con la peggior razza di maghi. Per quanto instabile fosse l’animo della strega, e per quanto imperscrutabile fosse nella sua complessità e nel suo essere umorale, il Signore Oscuro, che non amava affatto perdere tempo a capire le donne, aveva compreso il turbamento di Bellatrix. La Mangiamorte voleva ristabilire l’equilibrio nel modo più diretto e duro possibile, cercando un erede talmente Purosangue, che tutti i maghi lo avrebbero temuto e rispettato.

Lui sapeva che la moglie di Rodolphus stava cercando un erede da nientemeno che Lord Voldemort. Lo aveva capito, e non voleva darle questa soddisfazione, non così, dato che la decisione era partita da lei sola. 

Ma non aveva compreso il dramma peggiore di Bellatrix, ed era quello il motivo più profondo delle sue notti insonni, della sua inappetenza e dei suoi silenzi sempre più frequenti, dei suoi sguardi cupi persi nel vuoto: aveva scoperto di non poter procreare. Era sterile. E tutte le speranze di poter ristabilire la purezza del sangue dei Black erano riposte in Narcissa, la quale, scoperto il dramma della sorella, che aveva rivelato a lei sola la propria disgrazia, sentiva il peso della responsabilità che le avevano affidato. Non aveva mai voluto diventare una Mangiamorte come sua sorella, suo cognato e suo marito; tuttavia, credeva altrettanto fermamente nell’importanza del sangue puro e senza macchie. C’era qualcosa, ancora, che la fermava dal mettere al mondo un figlio. C’era qualcosa in lei, che le diceva che era troppo giovane, che doveva godersi ancora per qualche anno una vita più spensierata. Sentiva di dover creare ancora un’alchimia forte con Lucius, che amava sinceramente, a dispetto di quello che le malelingue - più diffuse che mai soprattutto nelle nobili famiglie Purosangue - potessero dire circa il loro legame. Nel profondo, sentiva che mettere al mondo un figlio, solo per poter avere un erede Black con tutti i crismi, fosse tremendamente sbagliato, e che avrebbe potuto portare a terribili conseguenze, ancora confuse nell’indecifrabilità di un futuro remoto, troppo remoto per una maga di vent’anni che della vita, alla fine, al di là della bella vita da nobile, non sapeva molto.

Igor Karkaroff non era affatto il tipo da persona da festeggiamenti, che fossero Babbani o ricorrenze del mondo magico. L’unica cosa che reputava andasse celebrata a dovere ed ogni giorno era la Magia Oscura ed il suo lavoro sulle Creature Oscure. Si sentiva a disagio di fronte a una classe nobile impettita ed ingessata nelle sue formalità, intrappolata nei suoi paté e champagne e calici di cristallo e nelle chiacchiere vacue e senza senso. Era venuto di malavoglia presso la villa di Bellatrix e Rodolphus, ma doveva pur parlare con Lord Voldemort di una sensazionale scoperta che aveva fatto, dopo l’attacco a Dunkeld.

Nel suo modo di operare, era vitale un’attenta analisi successiva all’attacco, per poter capire gli errori, ed eventuali punti deboli delle Creature Oscure, che in fondo erano uscite allo scoperto per la prima volta. Il tutto, contornato dalla consueta tensione che comportava servire il Signore Oscuro, che non tollerava molto gli errori e le sviste.

Se n’era rimasto in disparte, sorseggiando un calice di champagne, che non era di suo gusto, dato che preferiva sapori più forti, forse troppo genuini e decisi, per quel gruppo di maghi dallo stomaco delicato e raffinato. Aveva parlottato con Rodolphus e Lucius, distrattamente e non aveva affatto voglia di interagire con gli altri partecipanti. Cercava con lo sguardo il cenno di intesa tra lui ed il proprio Signore, in modo tale da potersi lasciare alle spalle tutto quel chiacchiericcio inutile, e raggiungere il piano di sopra, dove avrebbero potuto parlare in tutta tranquillità.

Il segnale tanto atteso arrivò e i due uomini lasciarono il salone, dove oramai gli invitati, sazi, ed alcuni di loro decisamente succubi degli effetti dell’alcool, si erano accomodati su delle comode poltroncine e degli accoglienti divani. Il fuoco nel grande camino della sala non si era che ridotto a delle piccole fiamme, sempre più deboli e fredde, incapaci di incenerire i robusti ciocchi di legno che erano stati messi, per ravvivare il fuoco.

Lord Voldemort salì le scale per primo, con una certa fretta, o con un certo sollievo, forse, nell’allontanarsi da tutte quelle persone, e scelse di fermarsi in corridoio. Non volle entrare in nessuna delle stanze dei suoi due Mangiamorte, ma si fermò nella penombra del lungo corridoio.

Igor Karkaroff rimase a debita distanza, appoggiando la schiena al muro, rimanendo in apnea per qualche brevissimo istante, nella trepidante attesa che potesse parlare.

“Ebbene?” chiese il Signore Oscuro, incrociando le braccia e guardando tranquillo verso la fine del corridoio.

“Non sono rimasto con le mani in mano, mio Signore” disse precipitosamente Igor, con il timore che potesse essere tacciato di poca produttività. “Ho trovato un modo per rendere le Creature Oscure ancora più potenti” rivelò.

Il Signore Oscuro si voltò e puntò gli occhi su di lui, ravvivati da una sincera curiosità.

“Continua, mi interessa”.

“Ho scoperto che un punto vulnerabile e sensibile di Crioshad è proprio il petto, dove si accumula tutta la sua forza magica”.

Lord Voldemort annuì, pensando che, effettivamente, nella notte dell’attacco, Crioshad fosse piuttosto distinguibile nelle tenebre per un fioco luccichio nel petto, che si intravedeva nello scheletro di cristallo. Non era evidente, aveva un colore o verdastro o giallastro a seconda delle creature, e sembrava cambiare intensità a seconda della quantità di magia utilizzata. Era un aspetto da migliorare, e il suo fedele Karkaroff non lo aveva deluso, cercando una soluzione efficace nel minor tempo possibile. 

“Mio Signore, lei meglio di me sa che cosa possa fortificare qualcosa di fisicamente debole”.

Il Signore Oscuro aggrottò la fronte - ed in quel momento, un istantaneo ricordo di lui bambino, che si proteggeva dalla pioggia, inconsapevolmente, creandosi uno scudo magico, per evitare di inzuppare i pochi vestiti che aveva in suo possesso - e capì quello che il Mangiamorte intendesse. Lui, ragazzetto apparentemente fragile, malmostoso e scontroso, aveva sfruttato la magia per superare la sua debolezza fisica.

“La magia” sussurrò, più rivolto a se stesso che a Karkaroff.

“Esattamente. Dunque, ho cercato qualsiasi rito che potesse aiutarci a rinforzare le Creature Oscure. Ed il suggerimento è arrivato proprio da Mercurius: la Magia Arcana ci può aiutare a proteggerle e a fortificarle. E nessun mago ordinario, conosce la Magia Arcana, che non viene insegnata se non alla Confraternita degli Evocatori”.

“E noi sappiamo che Mercurius conosce le Arti Arcane” aggiunse Lord Voldemort, decisamente allettato da quella prospettiva.

“Precisamente, mio Signore. Ho trovato quello che fa al caso nostro, ovvero un rito, un rito infernale, da quel che ho letto, che coinvolge l’Evocazione di Loki”. 

Loki, pensò Lord Voldemort, il dio del male, il male che doveva contrastare il bene onnipresente. Ogni gesto pieno di bontà nel mondo, si diceva che venisse controbilanciato da uno estremamente maligno. C’era dell’equilibrio anche in quella successione di eventi positivi e negativi. Loki, il dio associato al ragno, che instancabile continuava a tessere la sua tela, dove avrebbe intrappolato il mondo intero, se avesse potuto. E nel rito, non si doveva fare altro che evocare il dio Loki, sotto forma di ragno, e fare in modo che potesse avvolgere il nucleo magico di Crioshad in una ragnatela potentissima, eliminabile solo tramite la Magia Arcana. Ma non era un compito facile: l’Evocatore che eseguiva il rito doveva conoscere bene i Tre Mondi Infernali, perché il rischio che correva era mortale. Bastava un’incertezza, una sbavatura, e Loki poteva porre fine alla sua vita, anche solo per capriccio. Perdere Mercurius sarebbe stato gravissimo ai fini dei suoi piani. 

“Sei sicuro che Mercurius sia in grado di affrontare questo rito?” chiese, un po’ sospettoso. Gli occhi, due lampi nella semioscurità, gelarono Igor Karkaroff, solo per qualche istante.

“Naturalmente” rispose “Si è già offerto di eseguirlo”. 

“Molto bene. Perché in questo caso non possiamo permetterci un fallimento. E non possiamo permetterci di perdere uno come lui. Gli altri - e con un cenno indicò gli altri Mangiamorte radunati al piano di sotto - sono perfettamente sostituibili, ma lui non lo è. Nemmeno tu, a dire il vero, ma nel caso in cui Mercurius dovesse soccombere, faresti la sua stessa sorte. All’istante”.

Karkaroff rimase in silenzio e deglutì, sentendosi la gola sempre più secca, con un disperato bisogno di idratarla. 

“A proposito” osservò Lord Voldemort “Dov’è Mercurius? Non l’ho visto tra voi, oggi”.

“Non saprei, mio Signore. Se non è venuto, ci sarà un buon motivo”. Che a lui non era dato sapere, pensò Karkaroff, che da un lato non voleva fare da balia agli altri, dall’altro era piuttosto sollevato che Mercurius mancasse, perché una sua eventuale presenza gli avrebbe rubato tutta la scena. Ogni Mangiamorte era malato di protagonismo. Nessuno lo diceva, ma ogni singolo gesto, ogni comportamento, rendevano quell’ossessione solamente più eclatante. 

“Spero per lui che sia molto valido. Non sopporto la sua mancanza di cura per questo tipo di eventi” commentò con una punta di disprezzo, mentre si avviava giù per le scale, per tornare verso i suoi importanti legami da consolidare. 

 

Lily amava trascorrere il Natale nella sua casa di Cokeworth. Aveva sempre apprezzato i piccoli rituali, le solite tradizioni della famiglia Evans, che forse ad un occhio esterno potevano sembrare monotone, forse troppo lineari e modeste, quando si trattava di un mago. Ma il Natale con i suoi genitori aveva davvero qualcosa di magico, era un giorno speciale, dove il legame affettivo si faceva più forte e solido. Si era sempre sentita protetta, malgrado il rapporto un po’ deteriorato con Petunia. 

Ma quell’anno, non era più Lily quella a dover essere protetta dai suoi genitori. Erano loro, in un certo senso, ad aver bisogno della sua presenza e della sua protezione. Era un compito implicito, che la Grifondoro si era imposta di portare a termine, stando attenta a non perdere ogni singolo movimento attorno a sé, ogni avvenimento, fosse anche quello più insignificante. Non si sentiva mai totalmente al sicuro, e l’ansia si faceva crescente di sera, quando andava a dormire, quando la guardia si abbassava per lasciare spazio al giusto riposo. Si era fatta decisamente più tesa in quei giorni, e quello stato d’animo non la lasciava andare, complice il fatto che, a quindici anni, si tendeva a prendere con eccessiva serietà le responsabilità più grandi, e a quindici anni si era molto più intransigenti ed inflessibili rispetto agli adulti più responsabili. 

Tutt’ad un tratto, un paio di giorni prima di Natale, gli eventi le erano venuti incontro, allentando quel nervosismo di fondo che l’accompagnava. 

Severus era passata a trovarla a casa un pomeriggio, come aveva sempre fatto durante l’inverno a Cokeworth, per prendere un tè in sua compagnia. Talvolta entrava in casa, accolto da Charles o Norah, e Lily era nel piccolo studio accanto, a suonare il pianoforte. La madre della ragazza allungava due tazze di tè caldo a Sev, che entrava nello studio silenziosamente, lasciando che le note continuassero a riecheggiare per la stanza. La vedeva sempre di spalle, con i capelli legati in maniera disordinata, a volte semplicemente fermati con una matita - una volta ad Hogwarts se li era legati con una piuma, per abitudine e per distrazione, sporcandosi il collo ed i capelli d’inchiostro, per il divertimento dei Malandrini, che ovviamente l’avevano presa in giro fino all’esasperazione - e la prima cosa che notava erano sempre le mani bianchissime come i tasti, muoversi con agilità, sapevano sempre - o quasi - dove andare ad appoggiarsi, con quale intensità suonare. Ci aveva provato a suonare con Lily, che insisteva per fargli fare qualcosa di semplice, ma si era sentito un pezzo di legno, e le sue mani da affusolate e precise, quando si trattava di preparare una pozione, gli parevano troppo, troppo rigide nel suonare uno strumento. 

Guardava la sua espressione seria e pensosa - aveva notato che Lily non sorrideva molto quando suonava, forse perché preferiva la concentrazione assoluta, le prime volte che studiava un brano nuovo. Con la pratica e l’esperienza, mentre suonava brani conosciuti e ben studiati, si concedeva di suonare più rilassata e distesa - e cercava, a volte, di capire le emozioni, le sensazioni che stava provando mentre suonava. Era qualcosa che aveva provato a fare sin dall’inizio, sin dalle prime volte in cui avevano passato delle ore assieme, ma era giunto alla conclusione che in quei frangenti, neanche l’Occlumanzia avrebbe potuto essere efficace. Allora, si godeva quel trionfo di espressioni e smorfie, fantasticando sui pensieri della giovane.

Quel pomeriggio non era stato da meno, sebbene Lily, dopo aver finito di suonare, avesse abbracciato con entusiasmo il ragazzo e gli avesse detto con tono trionfante: “A Natale i miei vanno dai Dursley con mia sorella!”.

Sev aveva ricambiato l’abbraccio, un po’ confuso e un po’ spaesato da quell’esclamazione. Lily si era resa conto di essere stata poco chiara e si era data un colpetto in fronte con la mano.

“Già, non lo sai! Mia sorella ha il fidanzato... Si chiama Vernon Dursley, l’ho scoperto la scorsa estate. E i genitori di lui hanno invitato i miei a pranzo”.

Il ragazzo non capiva tutto l’entusiasmo per quella notizia. Non amando particolarmente Petunia, non si preoccupava particolarmente della sua vita sentimentale. Anzi, non gliene importava proprio nulla.

“E sei contenta per loro, che andranno a conoscere la famiglia che soppo... Volevo dire, accoglierà tua sorella come fidanzata di Vernon?” aveva chiesto perplesso.

“Certo! Sai che sono preoccupata per la mia famiglia, dopo quello che è successo a quella di Mary. Saperli lontani di qui, anche solo per qualche ora, in un posto totalmente Babbano, ora come ora mi rincuora”.

Sev aveva annuito, comprendendo finalmente le ragioni della propria ragazza.

“Naturalmente. Se questo può farti sentire più tranquilla...”.

“Posso venire da te a Natale?” gli aveva chiesto interrompendolo, con gli occhi luminosi e felici, stringendo tra le sue mani quelle del ragazzo.

Sev colto di sorpresa da quella richiesta, aveva balbettato qualcosa, prima di dare una risposta chiara. Era felicissimo di poterla avere a casa sua il giorno di Natale, l’unico dubbio poteva essere l’accoglienza della famiglia Prince, notoriamente composta da Purosangue, ospite a casa di Eileen e Severus dopo anni di assenza, dato che non avevano affatto accettato il matrimonio della madre di Sev con Tobias. 

“Certamente” aveva risposto Sev, contento ed anche un po’ preoccupato per le possibili reazioni dei suoi familiari. Lily esultò, baciandolo con trasporto e noncurante che i genitori potessero entrare nella stanza da un momento all’altro. Sev non sapeva ancora che i suoi timori fossero assolutamente infondati.

 

Severus ammirò il regalo di sua madre Eileen, disteso sul letto, passando un dito su quella favolosa giacca nera, piena di bottoni neri, che partivano dal colletto rigido, fino ad arrivare alla fine del petto. E c’erano bottoni anche sulle maniche, che arrivavano fino ai gomiti. Abbinati c’erano pure degli eleganti e semplici pantaloni neri e degli stivaletti con la punta quadrata. Non aveva mai indossato dei vestiti così belli in vita sua, li aveva sempre visti addosso ai genitori dei suoi compagni di casata più abbienti - benché non mancassero assolutamente maghi ricchi con abiti sfarzosi anche tra i Grifondoro, Corvonero e Tassorosso - e, in cuor suo, li aveva sempre un po’ invidiati. Non che per lui l’apparenza fosse tutto, ma il potersi non sentire a disagio per i suoi vestiti, era pur sempre un dispiacere in meno di fronte agli altri. A prima vista, la sua preoccupazione era andata tutta a come sua madre avesse potuto spendere tutti quei soldi in vestiti - problema che comunque si era posto vedendo casa sempre più in ordine e con qualche piccolo cambiamento - ma sapeva che aveva ripreso a lavorare poco per volta. 

Per completare il tutto, Eileen aveva preso uno splendido mantello nero, che era appeso davanti a lui. Sebbene fosse ancora in pigiama, lo aveva preso tra le mani, e poi lo aveva indossato, sentendosi veramente elegante, un grande mago che camminava nella notte, che intimoriva i passanti con il suo mantello nero. Si sentì più adulto, più potente. E anche un po’ più affascinante, dato che il mantello in qualche modo esaltava la sua figura alta e snella.

Eileen lo guardava appoggiata allo stipite della porta, con espressione serena e soddisfatta.

“Ti piacciono?” gli chiese dolcemente.

Sev annuì, con un piccolo sorriso sulle labbra.

“Sono dei regali meravigliosi. Grazie”. 

Il ragazzo si avvicinò alla donna con il mantello ancora addosso, per regalarle un gesto raro da parte sua, non perché non le volesse bene, ma perché non era solito abbracciare persone che non fossero Lily. E se qualcuno avesse visto Severus compiere un gesto simile in pubblico, lo avrebbe preso in giro all’inverosimile. Eileen si sentì protetta da suo figlio, le parti si erano ribaltate: lei si era sentita in colpa per non averlo protetto abbastanza da suo padre, dalla sua ira e dal suo squallore, che aveva ben nascosto a suo tempo, dietro una maschera di finta cortesia e buone maniere. Ora toccava a Severus proteggerla da qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere, da lì in avanti. E lo avrebbe fatto, l’avrebbe tenuta lontana da Lord Voldemort e da tutti i suoi servitori, a qualunque costo. Il suo compito di informatore per Silente era affar suo, e tale sarebbe sempre rimasto, per il bene di tutti.

La donna guardò il proprio figlio negli occhi, avrebbe voluto dirgli che era grata a qualunque entità sovrannaturale esistente per avergli dato un ragazzo così a modo ed intelligente, e che presto, tutta la sofferenza che si erano portati dentro, sarebbe svanita del tutto, rimpiazzata da momenti più luminosi e felici. Eileen sentiva costantemente il peso del tempo perduto, sprecato e buttato via. Sapeva che nessuno gliel’avrebbe restituito, che non avrebbe più avuto seconde possibilità per rivivere certe occasioni uniche nella vita. 

Stava per dirgli tutto questo, lo stava per rendere partecipe dei suoi pensieri e delle sue ansie, com’è giusto che fosse, quando sentì dei fragorosi scoppi provenire da sotto. Severus sobbalzò spaventato e si mise subito in guardia. Eileen rimase immobile per un attimo, e scoppiò a ridere poco dopo. 

“Sono arrivati gli zii!” esclamò, mentre correva giù per le scale, felice come una bambina. Venne accolta da saluti festosi e da uno schiamazzare lieto che Severus non avrebbe mai detto tipico dei Prince. O meglio, i suoi vaghi ricordi erano sovrapposti da un'immagine idealizzata di una tipica famiglia Purosangue, rigida e seria.

Eileen Prince aveva una sorella ed un fratello ancora in vita, Isabelle, che gli aveva dato l'anello per Lily l'anno prima, e Albert, mentre una sorella, Adrienne, più piccola era morta quando quest’ultima era adolescente. Avevano avuto una vita piuttosto regolare e senza particolari tormenti, lontani dalle famiglie Purosangue vicine a Lord Voldemort, pur essendo stati tutti smistati a Serpeverde, a Hogwarts. Era tanti anni che Severus non li vedeva, se li ricordava poco, pochissimo, mentre loro certamente si ricordavano tutto, malgrado gli anni di assenza e di rapporti mantenuti via corrispondenza. E la prima cosa che gli avrebbero detto, ci avrebbe scommesso, era che assomigliava ad Eileen da ragazza. 

Il giovane si vestì di fretta e furia, per non farli aspettare troppo, e con un po’ di civetteria si pregustava il momento in cui avrebbe visto Lily, e possibilmente la sua reazione stupita di fronte a quegli abiti eleganti. Guardò l’orologio a muro, e vide che mancava solo mezz’ora all’arrivo della ragazza.

I minuti che precedevano un loro incontro erano sempre magici, carichi di una dolce tensione, che li faceva camminare nervosamente per casa, o per il luogo dove avevano stabilito di incontrarsi. Erano anche quelli più lenti a passare, parevano ore interminabili, e in quel lasso di tempo, non sapevano più cosa pensare. Sev ripensava mentalmente a cosa avrebbe potuto dirle di bello per allietarla, a cosa avrebbero potuto fare di memorabile quel giorno; Lily sperava sempre di essere in ordine e di non stordirlo con il suo chiacchiericcio praticamente continuo, ma sempre frizzante e divertente. In quei minuti, durante la mattina di Natale, Sev si rigirò tra le mani il regalo per Lily, un semplice braccialetto in pietra dura, in agata. Le perle irregolari e lievemente puntute erano in tutte le sfumature di rosso scuro e di beige, un accostamento che aveva trovato azzeccato per la ragazza, che riprendeva vagamente i colori di Grifondoro. Sperava che le potesse piacere, non era niente di paragonabile all’anello di famiglia che le aveva donato l’anno prima, ma l’agata aveva questa virtù protettiva, secondo qualche leggenda magica. Per quanto non credesse troppo in queste leggende, in quel momento si era sentito di prenderle qualcosa di simbolico, qualcosa di lui che avrebbe sempre potuto portarsi dietro, come un piccolo talismano. Istante dopo istante, si chiedeva se le sarebbe potuto piacere, se l’avrebbe mai indossato. 

Per ammazzare l’attesa, aveva un po’ di anni di conversazioni in arretrato da recuperare con gli zii, per cui cercò di dimostrarsi il più loquace possibile - compatibilmente con il suo carattere di natura schivo e silenzioso - e attento ed interessato ad ogni loro esternazione. Ma i suoi occhi andavano alla finestra, alla porta principale della casa di Spinner’s End. Le sue mani giocavano con i biscotti allo zenzero nel piattino che zia Isabelle gli aveva allungato, sbriciolandoli in tanti piccoli pezzetti - e di tanto in tanto Eileen gli afferrava i polsi con dolcezza e gli toglieva le mani dal piatto, come si faceva con un bambino piccolo che anziché mangiare, giocava con il cibo - ed i piedi, negli stivaletti nuovi, picchettavano a terra sempre più nervosamente.

Continuò a spezzettare i biscotti e a picchettare i piedi a terra, fino a quando non sentì bussare alla porta. Quel tocco gentile, quel susseguirsi di colpi ben cadenzati, erano di Lily. Inconfondibili, poteva quasi immaginare la piccola mano bianca, con qualche lentiggine sul dorso, toccare la superficie fredda e scura della porta. Poteva sentire le vibrazioni, che seguivano i colpi, propagarsi, turbando la quiete di quel Natale soleggiato e freddissimo.

Sev scattò in piedi e senza dire niente a nessuno, corse alla porta. Gli zii si guardarono tra di loro stupiti da quello slancio. Eileen sorrise benevola.

Il ragazzo aprì la porta, ed lluminata dalla splendida luce di Dicembre, Lily apparve nella sua semplicità e nel suo splendore di quindicenne, ancora a metà strada tra il fanciullesco e l’adulto. Portava un lungo cappotto nero, la sciarpa Grifondoro al collo, ed i capelli erano sciolti e morbidi. Aveva il fiatone, aveva corso, impaziente di coprire quella breve distanza nel minor tempo possibile. Tra le mani, reggeva un sacchetto, chiuso con dei nastri, per non svelarne il contenuto. Era un morbido maglione grigio scuro per Sev, con i polsini bordati di verde, fatto dalla mamma di Lily, su precisa indicazione della figlia, che voleva fare un regalo unico al proprio ragazzo - “Ma tesoro glielo devi fare tu, il maglione, se vuoi che sia un tuo regalo” aveva obiettato con gentilezza Norah. “Mamma, non ho pazienza e sono incapace a fare la maglia!” aveva ribattuto Lily ostinata, intanto che giocava con la lana, come un gatto

“Buon Natale, Sev!” esclamò festosa, e subito i suoi occhi erano andati ai nuovi vestiti del ragazzo. “Ma... Sev! Che bello che sei!” aggiunse, guardandolo raggiante “Fatti vedere meglio!”. Lo aveva trascinato fuori dalla porta, per qualche attimo, per guardarlo meglio. Gli aveva girato attorno, senza dire una parola.

“Non sono bello” bofonchiò il ragazzo, imbarazzato. 

“Smettila, mi sembri Marlene quando si lamenta di essere inguardabile, quando non lo è! Stai benissimo con questi vestiti!”.

“Non sono una ragazzina capricciosa in cerca di complimenti” protestò il ragazzo, tradendo un piccolo sorriso, mentre apriva le braccia per abbracciarla.

“Sì che lo sei, quando fai così, stupido” rispose Lily, mentre strofinava le guance sul suo petto e gli porgeva le labbra per un bacio. Era rimasta piccola, era un continuo farsi problemi circa la sua altezza, ma diceva sempre che Severus fosse alto abbastanza per tutti e due, scacciando con una risata quello sciocco rammarico.

Il vociare allegro della ragazza aveva attirato gli zii di Severus all’uscio, e guardavano curiosi quel piccolo ciclone dai capelli rossi abbracciato al nipote. 

“Ragazzi miei, entrate in casa. Mica vi mangiamo!” osservò benevola zia Isabelle.

Lily guardò sorpresa i familiari di Sev, perché non sapeva che ci fossero pure loro. Lanciò un’occhiata interrogativa al ragazzo, che le appoggiò una mano sulla schiena e le diede una leggera spinta in avanti.

“Lily, questi sono i miei zii Isabelle e suo marito Ethan. Mio zio Albert e sua moglie Clara. Zii, lei è Lily. La mia ragazza”. Nella sua voce c’era tutto l’orgoglio che Sev potesse avere, nel presentare la persona che, nonostante i suoi quindici anni, rimaneva quella più importante della sua breve vita. I suoi coetanei potevano dirgli che non sarebbe durata per sempre, potevano dirgli che Lily sarebbe stata una delle tante, che legarsi ad una sola persona era pura utopia... Ma per lui, Lily era tutto. E questo gli bastava per essere felice per una vita intera.

* * *

 

TRE MESI. TRE FOTTUTISSIMI MESI.

Faccio schifo, no sul serio, faccio schifo.

Tiratemi i pomodori. Marci, se possibile. SPLAT!

 

No, no, non pensate che io mi sia dimenticata di voi e di loro - che non voglia più scrivere, che mi sia dimenticata dei miei bambini, che io abbia altro per la testa... O meglio, in mezzo ho avuto qualche disavventura, finalmente ho finito gli esami e sto scrivendo la tesi, e qualche piacevole notizia da un punto di vista professionale, ma soprattutto sentimentale  (pensavo che sarei morta zitella, meno male che è arrivato all’improvviso un fanciullo nella mia vita) <3 Ma tutto è bene quello che finisce bene, no? Spero tanto vi piaccia questo capitolo, che mi ha fatto ammattire più che altro perché volevo pubblicarlo e ci tenevo da morire, ma ci ho messo davvero tanto a scriverlo. Ho voluto farlo un po’ più ritmato e ricco di scene, anche perché il capitolo 39 è benzina sul fuoco. KABOOM. E non sto scherzando. (No, Irish Rain non diventa a RATING ROSSO per avere più letture. Però magari, non si sa mai. Scherzo eh XD). E questo è un piccolo assaggio di quello che potrebbe accadere.

 

A questo proposito, non vi lascerò altri tre mesi senza, perché sto scrivendo già le prime righe del capitolo 39 :D Quindi, sicuramente non lo scrivo in una settimana (salvo sorprese), anche perché la tesi richiede un po’ d’impegno, ma sicuramente non dovrete aspettare tre mesi come questo capitolo. E s’intitolerà “UNME”. 

 

Volevo ringraziare Dira, Eleonora, Alessio, le due Giulie, Greta, Jone, e tutti i lettori di Irish Rain che non hanno smesso di starmi vicino in questi mesi indaffarati, ma vi giuro, soddisfacenti da un punto di vista strettamente personale. E’ tutta benzina ed entusiasmo in più che voglio spendere e mettere a disposizione assolutamente anche per Irish Rain, che, vi ripeto, non abbandonerò in nessun modo, anche se nel frattempo sto scrivendo piccole cose originali. I miei Lily e Sev rimangono sempre i miei splendidi bambini e ci faranno compagnia ancora molto a lungo! :D Anche perché, ho *tante* sorprese, per quanto riguarda Irish, e sono certa che vi piaceranno.

 

Questa è la canzone, splendida Kate Bush. Mi ha aiutato a fare questo capitolo di tante piccole scene, vitali a modo loro <3

 

A prestissimo, e vi prego, recensite per insultarmi <3 

 

Blankette_Girl

aka

Ale <3 

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Capitolo 39
*** Unme ***


39.
Unme


“Endless spiral
of denial
I can’t even hear my cry
Contraddiction
of perception
Everything’s a lie”

“‘Cause I was forced to be unme
like in a mirror gallery
I left my dreams into ash
and took my part
Into a cruel masquerade”

“In a vortex of misunderstanding I must hide
Noone seems to remind my own name
nor my hurted pride
An evanescent feeling of loneliness
I’m beggin’ help, you look so careless
that we’re many miles away”

Unme - Winter Haze

 

Le ceneri del tessuto dell’albero genealogico dei Black ardevano a terra, con qualche leggero sfrigolio, impercettibile alle orecchie dei membri della famiglia Purosangue, dato che stavano assistendo alla sfuriata di Walburga Black, madre dell’irreprensibile Regulus e anche madre di una vera e propria maledizione, ai suoi occhi: Sirius. 

Quel figlio degenere era fuggito da casa loro; se n’era andato una volta per tutte, stanco di dover sopportare principi che non condivideva, uno stile di vita che non lo rappresentava, era stufo di difendere idee che non venivano capite, rispedite al mittente, forse occasionalmente ascoltate, ma dimenticate in fretta, per non sporcarsi l’udito di tante teorie vergognose.

Non che le tensioni nella nobile famiglia fossero una novità, ma durante quelle vacanze di Natale, si erano inasprite, fino a diventare praticamente inconciliabili. Sirius aveva praticamente saltato i festeggiamenti il giorno di Natale, il ricco pranzo con la famiglia al gran completo. A casa, sembrava un’altra persona - un ragazzo cupo, scontroso, apparendo sempre molto rigido e contratto; lo sfolgorante fascino da ragazzo ribelle si spegneva, lasciando solo ceneri sparse, grigiore nell’incarnato del giovane, occhiaie profonde e labbra perennemente increspate ed assottigliate in una smorfia poco amichevole. 

La misura era colma. Non riusciva più a sopportare di doversi incastrare a tutti i costi in logiche non sue, in una vita non sua. La sua famiglia non era altro che una delle tante gocce che andavano ad unirsi ad un flutto nero, torbido - le altre famiglie che condividevano quei perversi ideali di purezza - dal quale nessuno sarebbe scampato. Sirius quando pensava al futuro, suo e della famiglia - perché, per quanto fossero animati da ideali perversi, loro erano le persone che gli avevano dato la vita, un riparo, gli avevano insegnato a camminare, a parlare, in qualche modo, ad essere fiero di se stesso - vedeva solo una fitta nebbia invernale e poco altro. Nessun contorno distinto, nessuna forma familiare e a lui nota, soltanto una massa di indefinibile nulla. Tra le pareti della sua stanza, diversamente da quanto poteva accadergli ad Hogwarts, confortato dalla vicinanza degli amici e da un ambiente stimolante e più sereno, questi pensieri non lo facevano dormire, si rigirava tra le coperte, fino a ritrovarsi madido di sudore, dopo una notte insonne e travagliata. Le prime luci dell’alba filtravano dalle imposte di legno e Sirius si ritrovava a stringere la foto con i suoi unici amici e compagni di scuola - Ramoso, Lunastorta e Codaliscia - oppure si metteva a rileggere qualche lettera di Marlene, a scribacchiare una possibile risposta. 

In loro, i suoi migliori amici, i suoi compagni di scorribande, era deposta la sua salvezza. In Marlene, c’era una dolce promessa di felicità e comprensione, per quanto i legami nati a sedici anni non fossero una garanzia di amore eterno o di una relazione duratura, a lui piaceva pensare che potesse essere effettivamente così. Vedeva Lily Evans con quell’odioso Piton, ed a volerla dire tutta era invidioso di saperli molto uniti - e forse era anche per quello che provava un sottile piacere nel vessarlo. Era un guascone, ma in fondo, sapeva sognare e possedeva un lato più dolce che non mostrava a nessuno, se non a Marlene, quella Grifondoro intrappolata in una famiglia tanto autorevole quanto potente ed intrappolata in una morsa di timidezza ed insicurezze sulle quali ci avrebbe riso su, con il passare degli anni. Ci avrebbero riso assieme, stando abbracciati tra delle mura che avrebbero potuto chiamare casa, un posto che avrebbero potuto definire loro.

E quel desiderio di libertà e di indipendenza era esploso, facendosi dirompente e non più trascurabile, portandolo all’estrema conseguenza: fuggire, andare via una volta per tutte, non soffrire più a causa degli inconciliabili contrasti di idee tra sé e la famiglia. Un desiderio che si era fatto realtà e sempre più concreto, tra il suono ovattato dei suoi passi nella neve, man mano che la casa che lo aveva ospitato sin dalla nascita, si confondeva con l’oscurità, con gli alberi ed il bosco che si lasciava alle spalle. Una libertà che aveva avuto un prezzo ed una notevole fatica: per non farsi scoprire non aveva usato la magia, in modo tale che avrebbe raggiunto la sua meta nel modo più sicuro, per non essere riconosciuto da qualche mago della zona e quindi essere riportato a casa. I mezzi Babbani, i civilissimi treni ed autobus usati dai Babbani inglesi, sarebbero stati i suoi protettori e la sua salvezza. Per quanto quel ragazzo potesse destare curiosità in mezzo alla gente, con la sciarpa dei colori di Grifondoro - tutto sommato facilmente scambiabile con una squadra di calcio inglese - ed un grosso borsone in pelle, dall’aspetto piuttosto vecchio, dove aveva messo la sua bacchetta magica, qualche pergamena, i suoi vestiti di tutti i giorni e quelli da mago, per Hogwarts. Fortunatamente, il fatto di aver deciso di scappare di casa durante le vacanze di Natale, implicava che il baule con libri e calderone e il necessario per la scuola, fossero rimasti ad Hogwarts.

Era però rimasto trascurato un piccolo dettaglio insignificante: per poter fuggire in tutta scioltezza, senza ripensamenti o pentimenti, non aveva detto niente alla persona scelta per ospitarlo di lì in avanti, ovvero James Potter. E men che meno aveva detto qualcosa alla sua orgogliosa e cocciuta ragazza, Marlene, che avrebbe cercato qualsiasi razionale appiglio per portare il ragazzo a miti consigli, che Sirius avrebbe finito per accettare per poco, per poi rifiutarli con decisione. Indubbiamente, quella del Grifondoro era stata una scelta azzardata e senza mezzi termini, facilmente definibile da altri presuntuosa, ma in quello, checché si sentisse in rottura totale con la sua famiglia, Sirius aveva ereditato in pieno il sangue dei Black. Ed il sangue, non si cancella mai. Neanche con un gran rifiuto, un gesto estremo come una fuga da casa, alla quale non avrebbe più fatto ritorno, neanche sotto Maledizione Imperius.

 

James Potter si svegliò di soprassalto, udendo quelli che sembravano, perlomeno nel dormiveglia, delle fucilate alla porta. Data la poca luce che filtrava dalla finestra della stanza, doveva essere l’alba e chi mai avrebbe potuto disturbare il sonno della famiglia Potter, negli ultimi giorni dell’anno? Solo qualche balordo alticcio. O, peggio, un amico in difficoltà ed in serio pericolo.

Arrotolato com’era nelle coperte, il giovane aveva letteralmente rischiato di volare a terra, dato che voleva correre al piano di sotto per primo, per non disturbare e non spaventare i propri genitori, che dormivano tranquilli nella loro stanza. In secondo luogo, avrebbe rischiato seriamente di svegliarli e di fare ancora più baccano di quei colpi infernali alla porta, rotolando giù per le scale se non avesse preso gli occhiali e non li avesse indossati.

Il ragazzo odiava svegliarsi presto, già ad Hogwarts era un trauma alzarsi di buon mattino per andare a lezione, figurarsi se il suo augusto sonno veniva interrotto quando si trovava a casa durante le vacanze. Considerato che James era figlio unico, avuto in età piuttosto avanzata dai signori Potter, a lui veniva concesso di tutto, persino di dormire fino all’una di pomeriggio. Era un ragazzo tutto sommato fortunato, quanto anche a ricchezze di famiglia, ed estremamente viziato, il che andava ad alimentare la sua insopportabile sbruffoneria e la sicurezza che aveva di sé - molto poco apprezzata da buona parte della popolazione femminile della Scuola di Magia e Stregoneria.

Giunto di fronte alla porta d’ingresso, James considerò opportuno guardare nello spioncino, prima di aprire allo sconosciuto. Poteva comunque essere un malintenzionato e Babbano o mago che fosse, non era tenuto a disturbare la sua famiglia. Quando vide la figura dell’amico Sirius Black, per poco non gli venne un colpo. Aprì rapidamente la porta, per vedere il ragazzo tremante di freddo, con le scarpe e i pantaloni bagnati fino alle ginocchia.

“Merlino, Sirius. Lo hai fatto davvero” mormorò con una punta di spavento - più che altro per la reazione che i suoi genitori avrebbero potuto avere alla vista di Sirius e alla decisione presa dallo stesso.

Sirius lo guardava senza dire nulla, ma dallo sguardo trapelava una replica chiara: “Beh, l’ho fatto. E adesso, lasceresti al freddo un amico?”.

James scosse la testa rassegnato, prendendo il borsone in pelle dalle mani congelate ed arrossate dell’amico e facendogli cenno di entrare.

“Fai piano, i miei dormono di sopra. E spero che tu non li abbia svegliati” gli spiegò sottovoce “Perché di sorbirmi una ramanzina all’alba del 28 Dicembre, non ne ho proprio voglia”.

“Io...” cercò di rispondere Sirius, mentre si toglieva le scarpe zuppe e le appoggiava in un punto dove non avrebbero arrecato disturbo, ma venne interrotto da un gesto perentorio dell’amico, che gli indicò la via della cucina. 

Guidato da James, in punta di piedi arrivò in quella stanza, che si rivelò essere piuttosto grande una volta illuminata, con un grande tavolo rotondo, sopra il quale era appoggiato un bel cesto di frutta invernale: pere, arance, mandarini, mele rosse e gialle. Sirius si sedette, intanto che James apriva un armadietto alla ricerca di una teiera, ed afferrò una mela, facendola rotolare sulla superficie.

Cercò di indovinare l’espressione di James, che sembrava molto concentrata sul prendere la teiera, riempirla d’acqua ed appoggiarla sul fuoco. C’erano poi le tazze da prendere, i cucchiai, la scatola di latta di biscotti, dei piattini, la torta di carote, dei tovagliolini e... Aveva dato di volta il cervello, a Sirius? Gli era piombato in casa a pochi giorni dalla ripartenza per Hogwarts, senza dirgli nulla, senza avvisarlo, e ci avrebbe giurato che Sirius non avrebbe più messo piede a casa Black. E, conoscendo quanto fossero rigidi - ed anche fuori di testa - i Black, avrebbero avuto la forza di radere al suolo la casa dei Potter per tale gesto, perché non stavano a guardare chi fosse veramente complice o meno, delle follie del figlio. Per non parlare della reazione dei suoi genitori...

“James” disse con voce calma Sirius “Spiegherò tutto io ai tuoi genitori e dirò loro che tu non ne sapevi nulla. Davvero”. 

Il ragazzo si sistemò nervosamente gli occhiali sul naso e passò una mano tra i capelli. Gli occhi castani erano piuttosto seri, mentre la bocca si era piegata in una strana smorfia, tra un sorrisetto ed un accenno di broncio. 

“Certo, è facile come essere un Goblin con le tasche piene di oro rubato che rotola a terra, e giurare di non aver preso niente dai fondi della Gringott” osservò, incrociando le braccia.

Sirius fece per dire qualcosa, ma rimase alquanto spiazzato da quel paragone. 

“Che razza di paragone è, James? Come ti vengono in mente alle sette di mattina?”. Scoppiò a ridere rumorosamente e anche James lo seguì. Mise dei filtri di tè dentro le tazze e mise a tavola i dolcetti che aveva trovato in giro per la cucina.

James pensò, oltre ai rispettivi genitori, anche la reazione di Marlene non era affatto da sottovalutare. Quella ragazza gli incuteva un certo timore, e non poteva suscitargli una sensazione diversa, dato che era una delle migliori amiche di Lily Evans, che stava cercando di corteggiare disperatamente da mesi, e dalla quale non otteneva che decisi ed irremovibili rifiuti. La McKinnon gli aveva dato l’impressione di essere quel tipo di ragazza mite e buona, anche piuttosto quieta e riservata, ma da non far alterare, altrimenti era in grado di risvegliare anche i morti. Comunque, da quel punto di vista, erano unicamente affari di Sirius.

“Lascia perdere” tagliò corto il ragazzo “Non so nemmeno io come mi vengano in mente”. Si sedette con Sirius al tavolo e prese una grossa fetta di torta alle carote. “Beh, ti conviene fare un’abbondante colazione: potrebbe essere una giornata più lunga e difficile di quanto tu possa pensare”. 

L’amico sorrise, senza perdere quell’incrollabile senso di sollievo che lo accompagnava da quando si era lasciato casa Black alle spalle, al contrario dei timori che affollavano la mente di James. Sirius sentiva di aver fatto la mossa giusta, ed era pronto a dimostrarlo al mondo intero. Era tornato ad essere se stesso, aveva gettato la maschera che aveva dovuto indossa per troppo tempo. Non era la sua vita, quella di stare in gabbia, in un ambiente a lui ostile. Lui era una creatura libera, assolutamente ed irrimediabilmente tale.

“Grazie, James. Non lo dimenticherò” disse Sirius.  

 

Di fronte a quel ragno, fatto forse di fumo grigiastro e luminoso, i Mangiamorte rimasero profondamente meravigliati. Quel ragno che era arrivato dal cuore della terra, che tremò talmente tanto al punto da spaccarsi ed inghiottire qualsiasi cosa trovasse a tiro, e che pareva portarsi con sé le peggiori creature dall’aldilà. Per un attimo, anche i servitori più scettici di Lord Voldemort, che avevano vacillato e dubitato di fronte a quell’interesse per l’Evocazione da parte del loro superiore, ebbero paura e temettero per la loro sorte. Il senso di spaesamento iniziale venne subito sostituito dalla curiosità di sapere se quel ragno fosse un semplice fantasma, uno spirito, o una creatura vivente, nascosta nelle profondità della Terra. 

Eppure, le zampe affondavano nella terra bagnata dalla pioggia gelida di Dicembre, lasciavano orme e sollevavano fango, tanto quanto gli stivali e gli orli dei mantelli dei maghi attorno a Lord Voldemort ed al suo nuovo prediletto, Mercurius. C’era qualcosa di inspiegabile, di straordinario e di spaventoso, in quel rito d’evocazione. Qualcuno dei seguaci del Mago Oscuro, pensò che stessero tutti vivendo un’allucinazione collettiva. Una straordinaria e pomposa visione indotta dal freddo, dal diluvio, dalla mancanza di sonno e di cibo, dato che negli ultimi mesi, la frenesia di dover spargere il terrore nel mondo magico, aveva fatto fare sacrifici e straordinari a tutti quanti. 

Mercurius era rimasto al centro di quel gruppo di persone, e Lord Voldemort era a pochi passi di distanza da lui. I suoi occhi luccicavano avidi di curiosità, in attesa di vedere il prodigio farsi realtà. Crioshad era incatenato e sedato in gabbia, il nucleo luminoso nel petto era un debole sfarfallio nell’oscurità.

“L’Albero della Vita è la mia guida. E’ la guida anche per un Evocatore come me” aveva esordito con voce non troppo potente, ma pur sempre ferma. “Ma se gli Evocatori, che il comune pensiero definirebbe ‘buoni’, guardano sempre alla folta chioma di quest’albero millenario, alle divinità che abitano le sfere più alte del cielo, dimenticandosi delle radici... Ebbene, per gli Evocatori come me, l’attrazione sta proprio lì. Nelle radici che percorrono il mondo intero, che tengono saldamente assieme la terra. Ed è lì, in quelle profondità, nel punto più oscuro, dove il gelo ed il fuoco sono una cosa sola, che si nascondono gli spiriti più potenti, puniti ingiustamente, perché più forti, superiori a coloro che se ne stanno là in alto”. 

Bellatrix ascoltò affascinata quello che sembrava un bellissimo racconto, ammaliata dalla voce dell’Evocatore, pensando che sarebbe stato un bel gioco, qualche minuto di magia insolita e poco altro. Giusto per far vedere quant’era stato bravo a fare i compiti a casa per l’Oscuro Signore. Poi, Mercurius smise di parlare, prese un sorso di qualcosa, che teneva nella sua fiaschetta, e si accucciò a terra, appoggiando sull’erba i palmi delle mani. Dopo poco, il sottosuolo iniziò a tremare in maniera spaventosa e Mercurius sembrò andare in trance: si rialzò in piedi, muovendosi con passi lenti, facendo gesti ampi, invitando quell’enorme spirito a forma di ragno, sorto dalle viscere della terra, a seguirlo, ad avvicinarsi a Crioshad, che avvertì l’agitazione attorno a lui ed iniziò ad aggirarsi per la gabbia, mentre il suo nucleo si faceva sempre più luminoso e prendeva una colorazione violacea. Le catene strisciavano a terra, sbattevano contro le sbarre metalliche della gabbia, facendo sempre più rumore. Crioshad non emise alcun suono, neanche un sibilo od un ringhio sommesso. Aveva paura, ed in quanto Creatura Oscura, aveva rilevato la presenza di un’entità ancora più oscura e malvagia, altrettanto minacciosa verso il mostro allevato con grandi sforzi da Igor Karkaroff.

L’unico che sembrava mormorare qualcosa era Mercurius, qualcosa di vagamente somigliante ad un continuo “Loki... Loki... Loki...”, mentre Lord Voldemort assisteva alla scena impassibile, a braccia conserte, con quell’unico ed inestinguibile desiderio segnato su ogni ruga del volto di vedere completato un altro passo verso la dominazione assoluta. Passo dopo passo, il Signore Oscuro si era dimostrato una guida perfetta, sempre attenta all’operato altrui, e soprattutto, sempre disposto a trovare qualcosa da imparare. Era convinto che la sua sete di conoscenza lo avrebbe portato molto lontano, là dove gli altri maghi, quelli qualunque e timorosi, nettamente convinti che fosse un male andare ad abbracciare quella conoscenza definita “proibita”, non si erano mai azzardati ad arrivare. Era un ottimo discepolo, un allievo ineccepibile, sebbene gli anni di Hogwarts fossero passati da parecchio tempo, ma era un ruolo che recitava unicamente per poter eclissare - o eliminare - il maestro di turno. E forse, un giorno anche Mercurius non gli sarebbe stato più di alcuna utilità, una volta appreso tutto quello che c’era da sapere da lui. Ma, a quel punto, Lord Voldemort avrebbe padroneggiato perfettamente le Arti Arcane, e avrebbe dominato il mondo intero. 

Gli occhi seguivano ogni movimento, non si perdevano neppure l’insofferenza di alcuni Mangiamorte, né la paura folle degli altri, che avrebbero preferito scomparire nel nulla, piuttosto che stare lì a vedere quello spettacolo sinistro.

A Bellatrix scappò un piccolo urlo di spavento, quando Loki - era proprio lui, nientemeno che il signore degli inferi! Eppure pensava che avesse un’altra forma, una forma più simile all’essere umano - passò attraverso le grate della gabbia, per mettersi praticamente accanto a Crioshad. Per qualche istante, il signore dei demoni sembrò studiare con viva curiosità la Creatura Oscura, che si era fatta completamente immobile dalla paura. In quel momento, qualcosa di simile ad una testa parve farsi spazio nel corpo del ragno, come se stesse uscendo dal corpo dell’aracnide. Era un viso, allungato e puntuto, con un ghigno che lo attraversava da zigomo a zigomo. Sembravano le fattezze di un giullare, più morto di stenti e fatiche, che di agi, derivati dal favore di un re particolarmente benevolo. 

Poi, in un istante, il ragno, con un gesto fulmineo, afferrò Crioshad per il nucleo e lo sollevò, come se fosse un fuscello, schiacciandolo contro la gabbia, esercitando una pressione tale da poterlo disintegrare. La Creatura Oscura prese ad emettere grida strazianti, a dimenarsi in preda ad un dolore inimmaginabile. Lucius Malfoy girò la testa altrove, per non vedere concretizzarsi ciò che la sua mente temeva, e soprattutto per non provare ulteriore disgusto, e per evitare l’ira del Signore Oscuro, nel caso in cui Crioshad fosse finito veramente in mille pezzi. Mercurius non diceva niente, continuava a non perdere il contatto visivo con la divinità, e a muovere le labbra, senza che emettesse qualcosa di intellegibile agli altri.

Igor Karkaroff, Bellatrix e Mercurius, pur distanti gli uni dagli altri, osservarono tutto con un certo morboso fascino. Osservarono il nucleo di Crioshad cambiare colore sempre più rapidamente, fino a quando non sembrò esplodere, emettendo scintille rossastre e gialle. In quel momento, dopo quella presa secca e brutale, Crioshad smise di lamentarsi e di dimenarsi, ed il suo nucleo diventò di un bianco purissimo, per poi essere velato da numerosi strati di nero. Poi, scomparve nel nero del suo corpo. Loki appoggiò nuovamente a terra la Creatura Oscura, che stava in piedi perfettamente sui suoi arti, senza alcun tentennamento. Le due entità parvero guardarsi per qualche breve attimo e poi Loki indietreggiò e uscì dalla gabbia a passi lenti, sprofondando sempre più verso il sottosuolo. Il volto inquietante sparì di colpo, rientrando di scatto verso il corpo dell’aracnide. Poi, nessuno lo vide più. 

Calò un silenzio surreale tra i presenti, unicamente interrotto dallo sferzare del vento gelido che si era levato in pochissimi istanti. 

Crioshad ruggì, sprigionando un’energia che Mercurius e Lord Voldemort trovarono mai vista prima nella Creatura Oscura. Il rito era stato compiuto alla perfezione.

 

“Che cosa ha fatto Sirius!?” esclamò Lily incredula, mentre Marlene la pregava di non urlare.

“Ti prego, non voglio che lo sappiano tutti...” sussurrò la giovane con profondo imbarazzo, mentre Lily nascondeva la faccia tra le mani, mormorando uno schiettissimo “Che idiota” appena udibile. La giovane Evans già reputava il ragazzo un dannato egocentrico, che con l’età non sarebbe affatto migliorato, anzi, con le sue azioni sconsiderate avrebbe messo a rischio anche la reputazione - semmai ne avessero avuta una - dei suoi compagni di scorribande, che non avevano mai contribuito a renderlo più maturo. In più, Sirius, fuggendo di casa e piombando senza alcun avviso sull’uscio della famiglia Potter, aveva reso l’amico James vittima del suo egocentrismo. 

Il ritorno ad Hogwarts, comunque, era stato animato proprio da quella notizia, che i Grifondoro direttamente coinvolti avevano cercato di tenere il più nascosta possibile. Ma niente sfuggiva a Lily, sempre attenta e sensibile nei confronti delle proprie amiche più care. Di fronte ai silenzi pieni di vergogna di Marlene, al suo stare in disparte, al continuo parlottare concitato con Sirius, la ragazza non aveva potuto trattenere le proprie perplessità al riguardo. E così, Marlene aveva rapidamente vuotato il sacco, sapendo che all’amica non si potesse tenere nascosto davvero nulla. 

Lily si spostò dalla poltroncina sulla quale si era seduta, per raggiungere l’amica sul divano. 

“E tu cosa gli hai detto?” sibilò a Marlene.

La ragazza alzò le spalle, sconsolata. “Che cosa potevo dirgli?”. 

Lily rimase in silenzio e si fece rossa in viso per l’indignazione. Fosse stata nei panni dell’amica, avrebbe rigirato Sirius come un calzino. Alzò la testa e vide dall’altro lato della sala proprio Sirius uscire in compagnia di James, per andare ad importunare chissà chi. Sperava sempre che non andassero a tartassare gente più debole ed indifesa. Potevano benissimo allagare i bagni dei maschi, far esplodere qualche calderone, saccheggiare le scorte di erbe ed ingredienti del Professor Lumacorno, qualsiasi cosa che avrebbe arrecato danno soltanto a loro stessi, nel caso; ma non poteva più sopportare che facessero male a qualcun altro. Già Severus aveva sofferto e subìto a sufficienza, per colpa di quei quattro Malandrini, e la ragazza viveva con quella costante e fastidiosa preoccupazione che potesse accadergli qualcosa.

In quell’ultimo periodo, si era ritrovata a pensare quanto fosse stato repentino quel passaggio dell’esistenza, dove prima c’era sempre qualcun altro a preoccuparsi per la tua salute e la tua incolumità, proteggendoti ; poi, dall’oggi al domani, ti ritrovavi gettato tra le asperità del mondo solo, e oltre a provvedere alla tua stessa sopravvivenza, vi era un pulsante bisogno di proteggere le persone più care. Solo che Lily, come tutti i suoi coetanei, avrebbe voluto un minimo di preavviso, anche uno straccio di istruzioni su come muoversi in un mondo ben diverso dal nido di Hogwarts, che qualcuno avesse avuto l’accortezza di dirle che “Da oggi Hogwarts non ti proteggerà più come ha sempre fatto. Se vuoi che continui ad esistere, devi difenderla”. Perché era quello che stava succedendo, si diceva, esaminando attentamente i fatti avvenuti nelle ultime settimane e dai quali non era proprio riuscita a stare lontana. Tuttavia, sentiva anche che quegli eventi l’avevano travolta, come onde che la portavano lontano da quella riva sicura e protettiva. Quella riva, là dove poteva toccare agevolmente il fondale, era la sua casa, i suoi genitori, la vita tranquilla di Cokeworth e la gradevole routine di Hogwarts - colazione, lezioni, pranzo, lezioni, studio, cena, studio. Ma sapeva che aveva un’altra riva da raggiungere, il cui cielo era carico di nubi nere, dalla quale si stagliava un enorme albero... Era una riva che era sempre esistita, prima di lei, che ci sarebbe stata dopo di lei, ma era quella che le aveva dato le sue origini più remote, quando era solo uno sbuffo di fumo in chissà quale dei Nove Mondi. Ma quella riva era minacciata, più del nido che l’aveva protetta per quasi sedici anni, in quei mesi strani. Lo sapeva, lo sentiva dentro - un senso di frustrazione e di inquietudine sempre più intenso. 

Quando era presa da quei pensieri, si ritrovava a stringere forte tra le mani il suo ciondolo, quel monile che era stato delle donne della famiglia Moore e che univa tutte le loro esistenze in un cerchio. All’alba dei tempi erano nate Evocatrici, si erano tutte nascoste per l’Irlanda e oltre, per sfuggire allo sterminio e avevano accettato un destino normale, da persone comuni. L’Arte dell’Evocazione sembrava esser stata dimenticata, ma aveva continuato a scorrere dentro di loro, sotto pelle, fino a quando qualcosa era sbocciato nuovamente nella figura di Lily. Nel momento cruciale in cui proprio la sua stessa gente necessitava del suo aiuto, del suo ritorno alla casa millenaria - perché sì, Miranda Lynch, la sua potentissima famiglia e tutti i membri di Mile Droichead erano la sua gente, condividevano con lei lo stesso dono. Non poteva più negarlo. Non poteva più fingere di essere una maga qualunque. Negare la propria essenza avrebbe significato nascondersi nella folla - il che avrebbe implicato che non sarebbe stata più degna di indossare quel ciondolo. Né lei, né qualsiasi erede futuro, ammesso che sarebbero arrivati ad arricchire la sua già piena esistenza.

E non poteva nemmeno negare di non provare invidia di fronte alla naturalezza di Severus di fronte a quel passaggio delicato della vita. Gli eventi sembravano averlo colto perfettamente preparato e sicuro, come se avesse già in mente che cosa fare. Forse era qualcosa di prettamente maschile, quello di crescere con meno fratture e traumi, meno pensieri e paranoie. Era come se Severus avesse tutto chiaro e ben distinto nella sua mente, con la giusta freddezza per affrontare qualsiasi cosa. Dimostrava più dei suoi sedici anni da poco compiuti e Lily voleva chiedergli come facesse, quale fosse il segreto per riuscire a vivere così. Riusciva ad interloquire con gentaccia poco raccomandabile come Mulciber e Avery senza scomporsi più di tanto, estorceva loro informazioni con una naturalezza per lei quasi esasperante. Stava in giro con quel Regulus Black che a lei non piaceva affatto, un po’ per partito preso, dato lo scapestrato e odioso fratello Sirius. Non si fidava, ma non aveva ancora avuto il modo di dirlo a Sev. Eppure, il pregiudizio vacillava non appena lo guardava negli occhi e si rendeva conto che i preconcetti erano solo veli che si gettavano sulle persone per evitare di averci a che fare in maniera diretta. Aveva solo paura che fosse un altro individuo poco raccomandabile - e sapeva bene che la paura frenava la sua curiosità di sapere di più circa quel ragazzo dallo sguardo vivo ed intelligente.

Severus - che non era di suo così sicuro, come pensava Lily, anzi; ma si fidava di quel suo miscuglio di raziocinio e istinto che lo guidavano a proteggere Lily e a combattere al suo fianco - aveva voluto capire e conoscere Regulus, che recava dentro di sé un dramma interiore, che anche Sev aveva dentro, seppur di natura diversa. Lo sentiva, perché il ragazzo, chiuso e schivo in apparenza, aveva una certa empatia verso le persone simili a lui. 

Regulus Black non era se stesso. Si era ritrovato da solo, con un fratello fuggiasco, e con tutte le aspettative dei genitori su di lui, in quanto unico erede smistato a Serpeverde. Era come se si ritrovasse tra le mani un’arma che non voleva e non era in grado di usare. Doveva disprezzare i Nati Babbani? Doveva predicare la purezza della razza magica? Doveva stare solo in compagnia dei Serpeverde e sentirsi fiero unicamente per quello? Doveva essere bravo ed eccellere negli studi, cosicché i suoi genitori potessero essere orgogliosi di lui e presentarlo alle feste con i Malfoy ed i Lestrange? Doveva essere nientemeno che perfetto, per fare in modo che Sirius e le sue malefatte potessero essere tempestivamente dimenticate?

La verità era che non lo sapeva affatto, ed anche lui desiderava avere quel maledetto manuale d’istruzioni. Doveva vivere di bugie e di maschere? Doveva anteporre le aspettative degli altri di fronte ai suoi propri desideri? Era così necessario chinare la testa e fare quello che gli veniva detto, ‘perché era sempre stato così ed era giusto così’? Cosa era giusto e cosa era sbagliato in quel mondo magico? 

Secondo Regulus, il destino dell’uomo - a prescindere che fosse mago o Babbano - era quello di vivere con gli altri, di camminare assieme, di incastrare assieme visioni e differenti vedute; non di respingersi a vicenda, cercare una supremazia creata tutta dall’essere umano. Supremazia che aveva schiacciato Sirius, che aveva preferito fuggire. Il fratello minore si era a lungo interrogato circa la giustezza del gesto del fratello maggiore. I principi potevano essere condivisibili, ma il gesto - voltare le spalle alla vita, per scegliere di vivere sempre nascosto e protetto dai propri simili - no. Non lo riusciva ad accettare. Continuava a pensare che fosse da pusillanimi. E si era reso conto che non aveva più parlato con lui, non lo aveva fermato per avere una chiacchierata da fratelli - non che negli anni ne avessero mai avute, a dire il vero - da quando era fuggito. Si poteva camminare assieme durante l’esistenza, ma le decisioni di allontanarsi, di rinnegare le proprie radici, di stravolgere la propria esistenza, venivano prese in totale solitudine, con una punta di sacrosanto egoismo nei confronti di chi si aspetta di averti per sempre.

Ma doveva scegliere qualcuno con cui camminare, da chi farsi aiutare. Aveva bisogno di un compagno di viaggio, e aveva scelto Severus, perché gli sembrava quello più affidabile. Se lo sentiva, ma aveva bisogno di conoscerlo meglio, per mettere fine a quella recita da perfetto Serpeverde, Purosangue estremamente fedele ai principi di purezza. Qualsiasi errore lo avrebbe fatto di testa sua; qualsiasi decisione l’avrebbe presa in totale autonomia. Casomai avesse deciso di diventare un seguace del Signore Oscuro, lo avrebbe fatto pienamente convinto e consapevole delle conseguenze. Avesse deciso di affrontarlo per destabilizzarlo, distruggerlo, scaricargli addosso tutto il disprezzo che provava per aver sconvolto non solo la sua esistenza, ma temeva anche quella di molti altri. 

 

A Severus piaceva moltissimo la neve, in quel periodo dell’anno. Era da poco passato il suo compleanno e malgrado il freddo, passava un’oretta fuori ogni giorno, prima che giungesse il buio, a volte in compagnia di Lily, a volte se ne stava fuori per ingannare l’attesa di stare nuovamente con lei. La neve lo aveva legato a dolcissimi ricordi, i primi passi di lui e Lily assieme, quella volta che le aveva insegnato a utilizzare l’Incanto Patronus - quel giorno indimenticabile dove avevano scoperto di avere lo stesso Patronus, una cerva. Lo aveva legato alle volte che, sempre con Lily, si recava ad Hogsmeade a bere un tè caldo, in compagnia della voce argentina della ragazza e di un libro da sfogliare negli attimi di silenzio. Amava la neve, poiché era in perfetto contrasto con i capelli rossi, gli occhi verdi di lei, la sciarpa con i colori di Grifondoro. La compattezza della neve, il bianco uniforme, in confronto divenivano un candore monotono di fronte alle lentiggini della ragazza. No, Severus non la vedeva in ogni cosa, non la idealizzava nella natura, men che meno nella neve, così perfetta, in confronto ai lineamenti particolari della ragazza, alle sue orecchie grandi, al suo essere una macchia variopinta piccola piccola in un enorme mare di bianco. Probabilmente lei non si sarebbe mai vista bella da togliere il fiato, non si sarebbe mai vista paragonabile alle dolci distese invernali. Probabilmente non sarebbe mai stata bella, ‘la maledizione dei rossi di capelli’, diceva la Grifondoro con una scrollata di spalle, che tuttavia continuava a rotolarsi nella neve fresca, felice e spensierata. Eppure, per Severus era la bellezza fatta a persona. Perché Lily era la rappresentazione più viva e viscerale dell’esistenza stessa. Era la terra, e non si sarebbe mai sciolta con il primo caldo. Non sarebbe durata solo qualche giorno, per poi sparire e mai più tornare. Era lì, la potevi toccare, stringere forte senza che si sbriciolasse in tanti fiocchi fragili. Anche lei era fragile, ma la sua corazza era molto più forte di quanto lei stessa potesse mai immaginare. Era fragile quando si sminuiva, era fragile quando andava in paranoia e si faceva mille problemi per nulla. Ma niente era più avvolgente di un suo abbraccio, niente era più potente e minaccioso di quando perdeva le staffe e brontolava stizzita, agitando la bacchetta magica, qualora ce l’avesse a portata di mano. Neanche la più bella e intensa delle nevicate riuscivano a dare a Sev quelle sensazioni forti. 

Ed era proprio lì che se ne stava il Serpeverde, sotto la neve, a scribacchiare qualcosa su una pergamena che si portava sempre dietro. La mano destra scriveva agilmente, malgrado Sev avesse levato il guanto, per scrivere meglio.

Vi era abbozzato un incantesimo di sua invenzione, che non vedeva l’ora di utilizzare sui Malandrini, giusto perché doveva rendergli un po’ la pariglia per tutto quello che gli avevano fatto in quegli anni. E non che durante il quinto anno si fossero calmati, pertanto, trovava indispensabile dover placare gli animi, anche per affrontare serenamente i G.U.F.O. 

Certo, se Lily avesse saputo che cosa stava elaborando, probabilmente avrebbe avuto da ridire; ma se avesse saputo anche a chi poteva essere diretto, forse sarebbe stata la prima a volerlo imparare, per rigirare Sirius e soprattutto James Potter come dei calzini.  

Era una sorta di Wingardium Leviosa - in qualche modo, l’idea era nata da quell’incantesimo - rivolto però agli esseri umani. Il bello è che i malcapitati potevano essere rigirati sottosopra, rimanendo appesi a mezz’aria per la caviglia. Severus stava disegnando e ultimando i movimenti, ma per verificarne l’efficacia, avrebbe dovuto trovare qualche volontario pronto a farsi rigirare per aria e ad accettare qualche fiasco e qualche sonora quanto fallimentare caduta a terra. Il ragazzo, però, in un secondo frammento di pergamena, aveva iniziato ad abbozzare il controincantesimo; ma si trattava, appunto, di una bozza. Peraltro, il ragazzo si disse che doveva trovare un nome adatto ad entrambi gli incantesimi. In qualche modo, avrebbe chiesto aiuto a Lily, sperando che non avesse troppa voglia di scoprire che cosa ci fosse realmente dietro - benché fosse inevitabile. 

Il vento leggero spazzava via i fiocchi di neve che si posavano sul suo mantello, sul suo berretto e sui capelli rimasti fuori dalla protezione dell’indumento. Sev iniziava ad essere stanco di stare fuori e di scrivere al freddo. E dato che era ora di rientrare e di andare da Lily, per passare un po’ di tempo assieme prima di cena, si infilò in tasca la pergamena, si rimise il guanto e spazzò via ulteriori fiocchi di neve dal mantello, senza mancare di scrollare la neve dagli stivaletti, battendoli contro uno dei tanti vialetti pavimentati che riconducevano all’interno del castello. C’erano pochi altri temerari fuori, a godersi la nevicata, che andava via via inasprendosi. E due di quei pochi sembravano proprio essere Potter e Black. 

Severus alzò gli occhi al cielo, accelerando il passo lungo il vialetto, sperando di non farsi notare, perché non aveva proprio voglia di finire coinvolto in una delle loro solite trovate. I due stavano camminando e raccoglievano neve pigramente, lanciandola in giro, senza mirare a qualcuno in particolare, accompagnati dal consueto sghignazzare. 

Il Serpeverde evitò qualsiasi contatto visivo, tenendo gli occhi bassi e ben puntati a terra, ripetendo tra sé e sé di camminare veloce e di spicciarsi a raggiungere il portone d’ingresso. Si sentiva quasi al sicuro, in prossimità dell’ingresso, quando sulla sua schiena arrivò una bella palla di neve. S’irrigidì, sentendo un lieve fastidio sul punto colpito. Non erano stati teneri. 

Non si voltò neppure, ben sapendo che i Malandrini lo avevano fatto fuggire, per poi riprenderlo all’ultimo. Preferì fare finta di niente, benché la voglia di reagire fosse davvero tanta.

“Mocciosus!” strillò James, correndo verso di lui “Aspetti la neve per farti lo shampoo ai capelli?”.

Sirius ridacchiò, raccogliendo la neve, per farne una nuova palla di neve.

“Guarda che esistono i bagni, è molto più semplice utilizzarli e rischi meno la salute” aggiunse quest’ultimo.

Sev alzò le spalle di fronte a quell’offesa e cercò di aprire il portone, ma desiderava sempre di più voltarsi e conciarli per le feste. Per qualche attimo, la tentazione di testare su di loro il suo nuovo incantesimo si fece molto forte. Il suo sangue freddo venne meno, di fronte ad un’altra palla di neve, che lo colpì in piena nuca. Parte della palla di neve scivolò sotto i vestiti, entrando in contatto diretto con la pelle. Severus si voltò furente, mentre con una mano cercava di estrarre la bacchetta dal taschino del mantello.


* * *

FINALMENTE.

Sono tornataaaaah *___*

Non uccidetemi, ma la vita reale è stata *MOLTO* esigente, con una laurea in mezzo (FINALMENTE) e dubbi, angosce, ambasce e perplessità; intanto mi scuso profondamente per il ritardo astronomico. Non vi dico fino a che punto sono stata presa, ma in questi mesi ho pure fatto fatica a suonare il pianoforte, accidenti. Spero che possiate comunque apprezzare il mio capitolo!

 

Per me scrivere “Irish Rain” è sempre rilassantissimo e piacevole, ma non volevo nemmeno uscire con un capitolo scritto a casaccio ‘perché dovevo pubblicarlo’. Sono i miei bambini (oddio, meglio, della Zia Row) e devo trattarli dignitosissimamente. Oh. Non voglio abbandonare i miei bambini, non lo farò, dovessi metterci anni a completare questa storia. Ma spero altrettanto che voi siate con me a seguire Lily e Sev e le loro peripezie, anche se ci metterò un po’! Ma non mancherò mai di farlo con il cuore e la passione che ci ho messo sin dal Capitolo 1. 

 

Detto questo, cuccatevi “Unme”, brano degli italianissimi Winter Haze :D Spero vi possa piacere :D

 

A presto (spero!) con il capitolo 40! 

 

Vostra,

Blankette_Girl, o Ale.

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Capitolo 40
*** Battle For The Sun ***


40.
Battle For The Sun

Lily e Severus, Irish Rain

I, I, I, will battle for the sun, sun, sun.
And I, I, I won’t stop until I'm done, done, done.
You, you, you are getting in the way, way, way.
And I, I, I have nothing left to say, say, say”.

I, I, I, I, I will brush off all the dirt, dirt, dirt, dirt, dirt, dirt, dirt.
And I, I, I, I, I will pretend it didn't hurt, hurt, hurt, hurt, hurt, hurt, hurt, hurt”.

Battle For The Sun - Placebo

Severus cercava di estrarre la bacchetta dal taschino del mantello, e gli sembrò un’impresa impossibile, con il guanto che gli indeboliva la presa - gli pareva che la bacchetta stesse scivolando in un buco immaginario della tasca, che scivolasse sempre più giù tra le pieghe dell’indumento. Era imprendibile, per cui stizzito si tolse il guanto e lo gettò a terra, alla mercé della neve che lo avrebbe seppellito implacabile. Avrebbe tenuto il suo strumento prediletto nella mano nuda, noncurante del freddo, con un tremendo senso di eroismo, di sfida verso tutti: l’ennesima riprova che lui era davvero superiore a loro, a quei due ragazzetti viziati che non gli avevano mai dato pace e che non sapevano che cosa fosse la sofferenza. Secondo la sua personalissima prospettiva.
Era incredibile come l’orgoglio, mescolato alla rabbia verso i due, fosse in grado di aggrapparsi a piccolezze come il fatto della mano nuda, sfoderata dalla sua calda protezione; o come potesse esplodere all’istante e fare scatenare fiamme e fumi  che andavano a oscurare l’incrollabile razionalità e lucidità del Serpeverde. Il fatto era che non poteva essere sempre un adulto nell’animo, incastrato in un corpo di adolescente. Era una costante che valeva per tutti e neanche i periodi più difficili e oscuri - come quello che andava dipanandosi - avrebbero reso completi e maturi dei ragazzi che avevano tutto ancora da esperire e vivere, tra sbagli e ammende.
Invece, faceva sorridere teneramente come l’orgoglio potesse far credere ai giovani che certe sofferenze fossero strettamente personali, che nessun altro, di qualsiasi età, fosse in grado di capire certi moti dell’animo, certi gesti, che dal punto di vista di chi soffre sono ampiamente giustificati.
Sev voleva solo avere una rivincita - per una volta, un’ampia e sacrosanta rivincita - e aveva creato quell’incantesimo apposta per divertirsi sui Malandrini. Non era niente di doloroso, ma vederli fluttuare per aria, rigorosamente a testa in giù, poteva essere un momento di soddisfacente dileggio. Per lui, e pensava anche per chi non li aveva mai sopportati, ma aveva dovuto subire le peggiori angherie.
E quando James Potter gli aveva strillato: “Aspetti la neve per farti lo shampoo ai capelli?”, Severus si era toccato i capelli, per un istante fugace, con fare quasi vergognoso, come colto sul vivo, o preso dal timore che davvero i suoi capelli potessero essere poco presentabili. Quello che dicevano quei due purtroppo, tra la stragrande maggioranza dei ragazzi presenti a Hogwarts, contava, e che fosse fondato o meno, non importava: se Severus Piton aveva i capelli sporchi, per qualche altro ragazzo, era così, e sarebbe stato un buon motivo di derisione. Sev aveva poi alzato le spalle, ma il danno lo avevano fatto, lanciandogli le palle di neve addosso.
E per il Serpeverde, le palle di neve non sarebbero mai bastate a fermare quella coppia di lingue lunghe - ci voleva molto, molto di più.
Sev sfilò con successo la bacchetta e la puntò verso i due, i quali, per nulla intimoriti, si guardarono e scoppiarono in una fragorosa risata. Se possibile, lo sguardo del giovane Serpeverde si fece ancora più truce e deciso.
“James, Mocciosus ci vuole sfidare a duello” osservò Sirius, mettendosi le mani in tasca, come se la cosa non lo intimorisse minimamente e lui fosse fuori, unicamente per farsi un’innocente passeggiata.
Potter fece finta di non vedere bene, per cui si tolse gli occhiali e se li pulì con il bordo del mantello, facendo una faccia esageratamente sbalordita.
“Ma guarda un po’! Ha una bacchetta magica in mano!” esclamò, per poi estrarre dalla tasca la propria. Guardò Sirius, che comprese, fece un cenno del capo, e tirò fuori anche la sua bacchetta.
Sev non si innervosì più di tanto, anzi: rilassò le spalle, e si raddrizzò. Lasciò cadere il braccio teso lungo il fianco. L’espressione torva mutò in un ghigno sarcastico.
“Due contro uno non vi pare un po’ scorretto?” chiese, facendo qualche passo verso di loro. Gli interpellati indietreggiarono, guardinghi. “Insomma, è anche ora che qualcuno vi insegni che cosa sia la cavalleria nei duelli tra maghi”.
“Sei il solito codardo!” esclamò James Potter “ELETTRO!”.
Un lampo uscì dalla punta della bacchetta del Grifondoro, e questa serpeggiò verso Severus, che, astutamente, rispose con “AGUAMENTI!”.
L’effetto fu devastante. L’acqua incontrò la scarica elettrica e si trasformò in un getto d’acqua elettrificato, diretto ai due Grifondoro. Sirius rispose fulmineo, facendo svanire nel nulla l’incantesimo, prima che questo potesse spedire i due direttamente in Infermeria da Madama Chips, bruciacchiati e sconfitti.
Il Serpeverde però non ci stava a farsi umiliare così. Aveva un freddo atroce e si stava facendo sempre più buio. La persona disciplinata e ligia che era in lui, probabilmente stava cercando di dirgli flebilmente che era inutile perdere tempo ad azzuffarsi con quei due. Ma quella parte di sé, la stessa che guidava l’orgoglio e per qualche strano motivo, pure la testardaggine adolescenziale, gli diceva di sfidare e affondare nella neve i suoi due eterni antagonisti.
“Io non sono un codardo!” esclamò Sev, facendo riecheggiare con forza quelle parole, il suo fermo diniego di fronte ad un’affermazione che gli avevano detto troppe, troppe volte. Lui non era un codardo: probabilmente non era neppure la persona più coraggiosa del mondo magico; tuttavia, esisteva una sottile differenza - che, come sempre, gli adolescenti non arrivano a conoscere subito - tra l’essere coraggiosi e l’essere incoscienti. E a volte, anche Severus era un incosciente.
Partì di nuovo all’attacco, questa volta affidandosi a un cumulo di neve da sollevare e lanciare addosso a quei due. Una volta buttati a terra, nella sua mente si pregustò il momento in cui avrebbe potuto provare il suo incantesimo, che li avrebbe coperti di ridicolo. Li avrebbe fatti fluttuare per aria, e loro a testa in giù, a non capire che cosa gli fosse successo. Loro, che avrebbero potuto solo dimenarsi come dei pesci fuor d’acqua. Senza la possibilità di ritornare con i piedi per terra, a meno che Sev, preso da un attacco di magnanimità, probabilmente pago dell’umiliazione inflitta, non avrebbe posto fine all’incantesimo.

Qualcuno, però, stava osservando il duello da un po’.
Non era neanche troppo nascosto, Regulus Black, era solamente uscito nel parco, come un normale studente, per farsi una passeggiata pomeridiana, in apparenza. Sfortunatamente, il suo momento di relax era durato giusto dalla Sala Comune di Serpeverde, all’uscita che dava sul parco. Aveva riconosciuto subito le voci di Sirius e James e avrebbe riconosciuto Severus lontano un chilometro. Il primo lampo, scaturito dallo scontro tra i due incantesimi, aveva paralizzato Regulus, che aveva avuto il terrore di rimanere fulminato ed aveva avuto la tentazione di darsi alla fuga, come se niente fosse successo. Un Serpeverde, in fondo, è un gran fuggitivo, perché la paura di perdere il proprio status è sempre in agguato, e per un Serpeverde lo status quo è tutto. Ma ci sono anche Serpeverde a cui di essere qualcuno, di essere ricco e ben vestito nell’apparenza, ma un gran codardo nella sostanza, non gliene importa alcunché. Black aveva una storia troppo particolare, per essere uno della prima categoria, perché in essa vi era raggruppata tutta la sua famiglia - considerava anche il fratello, la pecora nera Grifondoro, un gran codardo, in qualche modo - e lui voleva essere diverso, da tutti.
E se molti appartenenti alla casa di Salazar Serpeverde guardavano alle amicizie come un puro soppesare di vantaggi e svantaggi verso di sé e la propria famiglia, ve n’erano alcuni che aggiravano questi giochi di convenienze e guardavano al valore intrinseco di avere degli amici. Regulus, ancora una volta, voleva evitare di mettere in pratica quei rituali cari alla sua famiglia e agire secondo la propria coscienza e il proprio animo, che gli suggerivano di avere Sev come amico.
Per quanto a volte il proprio compagno di casa fosse imperscrutabile, non sentiva ostilità da parte sua. E non voleva lasciarlo in difficoltà, specie in un duello impari, da un punto di vista quantitativo e non qualitativo - Black sapeva benissimo che Severus fosse nettamente superiore, come mago, ai due che stava affrontando.
Ma c’era di più: per quanto un lato di sé, più infantile e sognatore, non fosse entusiasta all’idea di duellare contro suo fratello, era pur sempre un’occasione per riavvicinarsi a lui; l’altro lato, quello dell’irremovibile orgoglio, non vedeva l’ora di far vedere a Sirius che essere Serpeverde era pur sempre meglio che essere un Grifondoro, a partire dalle brutte compagnie che potevano essere Potter, Lupin e Minus.
Quindi, Regulus si mosse cauto, attento a non farsi vedere, tantomeno sentire - dato spostarsi nella neve comportava movimenti più difficoltosi e rumorosi rispetto al muoversi in altre condizioni atmosferiche. Estrasse la bacchetta, pronto a disarmare Sirius e James, pronti a difendersi dal cumulo di neve che Sev stava frettolosamente levando in aria, per lanciarlo addosso ai due.
Quando fu appena appena dietro Severus, il ragazzo esclamò rapidamente, e per due volte: “Expelliarmus!”. I due bagliori passarono accanto a Sev, il quale, spaventato, perse la concentrazione e il cumulo di neve appena sollevato, si sbriciolò a terra in mille fiocchi di neve. Sirius e James rimasero disarmati.
Severus si girò, furente, non sapendo chi fosse l’autore di quest’attacco. Aveva solo voglia di vendicarsi e lo avevano interrotto. Sentiva di essere perfettamente in grado di farcela da solo. Non temeva tanto un intervento da parte di un Professore, perché, nella sua orgogliosa logica, reputava che fosse in un momento in cui nessuno avrebbe potuto vederli duellare. Non voleva proprio ferirli... Solamente spaventarli un po’. Ma per un attimo, fu preso in una morsa di paura e di rabbia.
Vide che era Regulus Black, figura ammantata di nero nel candore che stava ricoprendo tutto - Regulus, orgoglioso e fiero per uno sciocco incantesimo di disarmo lanciato verso il fratello, a cui non rivolgeva la parola da parecchio tempo.
“Regulus!” esclamò stizzito Severus “Che diamine ci fai qui?!”. Grugnì qualcosa di incomprensibile, per poi passare a un ringhio. “Non è affar tuo. Sparisci”.
James sembrò non perdere occasione per canzonare la sua vittima preferita.
“Cos’è, Mocciosus? Al quinto anno di scuola hai ancora bisogno della guardia del corpo?”. Sirius tacque.
TACI!” abbaiò Sev, puntando minacciosamente la bacchetta addosso a Potter. Il suo sguardo però si rivolse ancora una volta al compagno di casa, in attesa di una spiegazione valida da parte sua.
“Non volevo interrompere nulla” spiegò con fare brillante Regulus - e quanto a faccia tosta, i geni li avevano presi entrambi i fratelli Black - “Volevo solo partecipare a questo duello”.
“Non ho bisogno di aiuto” ribatté Sev, che si sentì messo in difficoltà dall’intervento del compagno di casa.
Sirius, invece, raccolse entrambe le bacchette e parve accettare la sfida con determinazione. Anche per lui, quello era un momento per cui avere un fratello vicino, ma dall’altra parte della barricata, significava dimostrargli che far parte di Serpeverde voleva dire essere pienamente tale e quale alla famiglia che aveva ripudiato.
“Due contro due? Ci sto” disse Sirius, puntando la propria bacchetta verso il fratello. “Volete fare tanto i signori e i corretti, ma ne uscirete umiliati, come sempre. Mai mettersi contro due Grifondoro!”.
James si sistemò gli occhiali, levando la condensa e la neve dalle lenti, e sbuffò, per poi puntare la bacchetta contro i due avversari.
“Anche questa volta ci siamo cacciati nei guai, Felpato” disse rassegnato “Ma venderemo cara la pelle, come al solito”.

A Lily si era rotto l’orologio da polso ed era disperata. Si sentiva disorientata, perché era un regalo dei suoi genitori ed era anche ciò che scandiva la sua giornata e l’aiutava a organizzarsi meglio. Certo, poteva sempre guardare l’orologio a pendolo nella Sala Comune dei Grifondoro, come aveva fatto con nervosismo per tutto il pomeriggio, quasi con la paura di non riuscire a studiare e a fare i compiti prima di cena.
A un certo punto, aveva proprio smesso di badare al tempo, concentrandosi sulla pergamena che aveva da scrivere per Storia della Magia, riguardante le alleanze tra maghi e giganti nei secoli. Aveva iniziato a scrivere e si era resa conto del passare delle ore solo per il buio che aveva invaso la Sala Comune e il silenzio che aveva preso il posto del chiacchiericcio pomeridiano.
Alzò la testa e vide che era rimasta solo Marlene, intenta a studiare qualcosa di Rune Antiche. La ragazza si alzò in piedi, mettendo per un attimo da parte la pergamena, la piuma e l’inchiostro, e si avviò verso l’amica.
“Marlene” chiese Lily “Sarà ora di cena?”.
L’amica sollevò la testa e si girò a guardare l’orologio a pendolo.
“Quasi. Ma... Non potevi capirlo dal tuo perenne brontolio allo stomaco?” la prese in giro Marlene.
“Scema. Non ho sempre così fame” rispose Lily, facendo la finta offesa “Per esempio, non oggi”. E infatti, non aveva molta fame e non capiva il perché.
“Quando non hai la tua solita fame, vuol dire che non stai bene”.
Quest’osservazione non era del tutto lontana dal vero, ma Lily non volle darci troppo peso. Si guardò attorno, distrattamente, e poi raccolse le sue cose.
“Vado in camera a lasciare libri e quant’altro. Poi andrò in cerca di Sev” disse ad alta voce, come se non fosse proprio rivolta del tutto a Marlene, la quale, comunque, aveva ben nascosto la preoccupazione verso Sirius. Era sparito, non lo aveva visto per tutto il pomeriggio.
Quel momento di riflessione e solitudine, comunque, venne interrotto da Remus Lupin, che entrò trafelato nella Sala Comune, con ancora sciarpa e mantello addosso. Dalle scarpe, la neve mezza sciolta scivolava via, finendo sul pavimento in piccole pozze, che rilucevano alla scarsa luce dei candelabri della sala.
Marlene si alzò di scatto. “Che succede?!” esclamò. Era così strano, ma non troppo, vedere Lupin in giro da solo, senza i suoi soliti compari.
“Gazza, o meglio, quella sua dannata gatta, Mrs. Purr, ha visto Sirius e James fuori nel parco...” tacque, guardandosi attorno “Dov’è Lily? Avrei bisogno anche di lei”.
“E’ salita un attimo. Non mi puoi proprio dire che sta succedendo, visto che c’è di mezzo Sirius?” chiese Marlene, un po’ ansiosa.
“Diciamo che c’è anche... Piton, di mezzo” rispose Remus, facendo una strana smorfia - e non era ben chiaro se quella smorfia fosse carica di disprezzo verso il Serpeverde, o se fosse semplicemente piena di sconsolatezza verso i due amici che non perdevano occasione di cacciarsi nei guai. Il problema era che non avevano mai capito che ciò danneggiava l’intera casa di Grifondoro, nell’assegnazione dell’annuale Coppa delle Case. Non capivano che, con il loro comportamento sconsiderato, spesso perdevano punti preziosi, cosa che la perseverante casa di Corvonero non faceva praticamente mai, e così valeva anche per i calcolatori appartenenti a Serpeverde, salvo diavolerie combinate, specie nell’ultimo periodo, da Mulciber e Avery. Ogni anno, invece, la casa di Tassorosso, pazientemente si metteva ad accumulare punti, senza infamia e senza lode, ma in qualche occasione aveva potuto sovrastare gli eterni duellanti, Grifondoro e Serpeverde. Remus non rinnegava quanto fatto prima, ed era ancora parte di quel gruppo di scapestrati, ma comunque, in vista degli esami, aveva deciso di darsi una calmata.
Lily sentì solo la fine della frase, mentre stava scendendo le scale, per poi precipitarsi da Remus.
“Che è successo a Severus!?” chiese precipitosamente. Per un attimo, ebbe paura che c’entrassero anche Mulciber e Avery, che, come sempre, gironzolavano attorno al ragazzo, come dei cani randagi affamati che cercano qualche osso da spolpare. E Lily si ricordò della frase che era solita ripetere a Sev - benché lo sapesse che il suo ragazzo doveva tenerli d’occhio per conto di Silente. Lo sapeva, ma li trovava perversi nel loro cercare di intrappolare Sev nei loro loschi affari, nelle loro piccole e subdole turpi azioni verso i maghi Nati Babbani.
Lo sapeva, doveva però tenere la lingua e il cuore a freno.
“Sev, sono perversi, hanno un umorismo perverso e delle idee malate. Come si fa a essere loro amici?” gli chiedeva spesso preoccupata.
“Non sono miei amici, infatti” rispondeva tranquillo “Devo solo capire chi li guida in queste manifestazioni di ostilità verso persone come Mary. Ma a quanto pare, se hanno della corrispondenza con degli esterni, la nascondono molto bene, o semplicemente la bruciano”.
Ma ogni volta che la rassicurava, vedeva lo spavento nei suoi occhi verdi. Non lo trovava giusto che Sev si sobbarcasse tutta quella responsabilità... Ma era oramai coinvolto e non c’era modo di farlo uscire da quel giro. Anche se, Lily avrebbe voluto esprimergli in maniera migliore le proprie paure, anziché guardarlo come se fosse un cucciolo spaventato, con gli occhi spalancati e stupiti. Le parole si materializzavano nella sua testa, volteggiavano, annodandosi alle preoccupazioni, rendendole più pesanti e insostenibili; ma quando scendevano verso la lingua, e giungeva il momento di parlare, di liberarsi di quelle zavorre, tutto evaporava via, e sulla lingua le rimaneva solo tanta amarezza.
Lily era intelligente abbastanza per sapere che i timori andavano detti ad alta voce, andavano ben scanditi e messi in luce, senza lasciare neanche il minimo dettaglio sotto silenzio. Eppure era difficile parlare di certi argomenti.
Marlene era ferma, immobile, e non sapeva cosa dire. Desiderava ardentemente che Sirius smettesse di comportarsi come un teppistello qualunque e iniziasse ad essere uno studente e un mago decente. Anche per lei, come per Lily, era difficile parlare e probabilmente, perché c’era un’altra paura a fermarle: quella di rimanere da sole alla prima parola sbagliata o alla prima discussione o confronto.
Lupin, nel frattempo, braccato, non sapendo come spiegarsi nella maniera migliore, per evitare che le due ragazze lo subissassero di domande, disse semplicemente, con una proverbiale mancanza di tatto: “Severus, Sirius, James e Regulus Black stanno duellando furiosamente, là fuori. E Gazza è andato a chiamare la Professoressa McGranitt e il Professor Lumacorno, per farli smettere”. C’era aria di guai seri, dato che quello stupido custode era andato a chiamare i direttori delle case in persona. C’era aria di guai, perché questo fattaccio poteva anche tradursi in punizioni esemplari, non corporali come avrebbe voluto il custode Magonò, ma punizioni che comunque avrebbero influito sulla classifica della Coppa delle Case.
Lily e Marlene sembrarono colpite da un’improvvisa secchiata d’acqua fredda. In entrambe le ragazze, passò davanti l’immagine del rispettivo ragazzo duellare con l’avversario, che, in entrambi i casi, era il ragazzo della compagna di casa. E per qualche grottesco istante, in Lily si palesò l’idea, a quel punto, di lanciarsi nella zuffa e peggiorare la situazione. Scacciò via quel pensiero incosciente, scocciata da quell’inconveniente improvviso ed imprevisto.
“Andiamo a fermarli prima che arrivino i direttori delle case” disse Lily ferma e decisa.
“Ma se ci trovano lì?” chiese Marlene un po’ dubbiosa “Finiremo nei guai pure noi”. Lei non aveva nessuna intenzione di essere punita per qualcosa che non aveva combinato e ciò che temeva di più, era una Strillettera da parte dei suoi genitori, che le avrebbero proibito un qualsiasi allontanamento da casa, nel periodo di vacanze estive e invernali.
“Preferisci che Sirius si freghi da solo, totalmente, o vuoi anche solo cercare di impedire che si cacci in un pasticcio ben più grosso di lui?” replicò Lily, che uscì dalla Sala Comune assieme a Remus.
Non c’era bisogno di una risposta. Anche gli inconvenienti andavano affrontati subito e sarebbe stato sciocco trascurarli e ancora più incosciente non fare nulla per risolverli.  

I poltergeist più pestiferi di Hogwarts gioivano di occasioni come queste, dove gli studenti infrangevano clamorosamente le regole della scuola. Pix, storico infestatore della prestigiosa scuola sin dalla fondazione, vedendo che Mrs.Purr stava correndo ad avvisare il proprio padrone, si divertì nel lanciarle schizzi d’acqua, provenienti dal consueto lago che faceva, aprendo i rubinetti dei bagni dei maschi sparsi per il castello. Il diabolico spirito avrebbe tanto voluto fare di quei laghi d’acqua delle belle lastre di ghiaccio per veder scivolare qualcuno come Gazza o qualche altro studente ingenuo.
Pix, alla vista di Remus, Marlene e Lily che correvano verso il parco attorno ad Hogwarts, si sentì deliziato e pregustò il momento in cui avrebbe potuto importunarli. Si parò davanti a loro, ma ottenne per tutta risposta uno scocciato “Levati, Pix!” all’unisono, che lasciò quest’ultimo proprio frastornato. Li vide passare accanto a lui, per cui li inseguì per un breve tratto, cercando di attirare la loro attenzione, ma Lily sbottò, senza neanche voltarsi: “Pix, chiamo il Barone Sanguinario se non ti dai una calmata, te lo giuro”. La Grifondoro si fermò un attimo e si voltò con sguardo perfido: “E sai che posso farlo”. Il poltergeist la guardò terrorizzato e sembrò volare a nascondersi dentro una polverosa armatura medievale, fino a quando, qualche minuto dopo, non gli parve di sentire nuovamente dei passi. Pix scrutò attentamente il corridoio, attraverso le fessure dell’elmo, per capire chi fosse. Sperava che non fossero proprio i due individui che temeva di più, ad Hogwarts: il Barone Sanguinario - che non camminava, quindi escluse che potesse essere lui - oppure il Preside, Albus Silente. Gli unici due che riuscissero a domare il fantasma e di cui quest’ultimo avesse davvero paura.
Man mano che i passi si avvicinavano a lui, Pix si sentì elettrizzato dall’idea di potersi divertire un po’: uscì quindi dall’elmo e si parò davanti a coloro che stavano attraversando il corridoio. Una smorfia di delusione, e anche di fifa, lo attraversò. Era Gazza, ma non poteva scatenarsi su di lui, in quanto era in compagnia della Professoressa McGranitt e del Professor Lumacorno: il custode della scuola pareva al settimo cielo, e dimostrava ai due tutto il suo entusiasmo con le sue strilla che assomigliavano più a dei rantoli.
Infrazione... Regole... Punizione!” esclamava sconnessamente, intanto che razzolava attorno ai due maghi. Non vedeva l’ora che i due direttori potessero vedere quello che lui e la sua adorata gatta avevano potuto vedere poc’anzi.
I due professori non risposero al giubilo di Gazza, ma si limitarono a camminare con passo svelto verso l’esterno. Ciascuno di loro era preso nei propri pensieri e preoccupazioni: nessuno di quelli coinvolti nel duello era nuovo a richiami o provvedimenti disciplinari. A dire il vero, come amava sottolineare l’insegnante di Pozioni, con una punta di disprezzo e antica rivalità verso Grifondoro, il brillante Severus Piton si ritrovava vittima di angherie da parte di quei scapestrati, e la maggior parte delle volte, subiva unicamente il loro trattamento. Non era il momento di puerili discussioni e rivalità, ma la granitica insegnante di Trasfigurazione non era del tutto d’accordo.
“Infrazione... Regole... Punizione! Silente! Ecco, bisogna dirlo a Silente!” esclamò sempre più euforico Gazza. Aveva sempre sognato di poter infliggere punizioni fisiche agli studenti indisciplinati, ma aveva sempre ottenuto un netto rifiuto da parte del Preside, poco avvezzo a quel tipo di pene da infliggere. Non funzionava con tutti, ma preferiva una chiacchierata a tu per tu con gli indisciplinati. Se poteva, cercava di non togliere punti, semmai, di premiare quelli che si distinguevano per buone azioni degne di nota.
“Il Preside Silente è molto impegnato in questi giorni” lo rimbeccò con freddezza la direttrice di Grifondoro “Non credo proprio che abbia tempo per stare dietro a queste quisquilie”. A Gazza, quelle parole suonarono come delle sassate sulle ginocchia, per cui, da lì in poi tacque, riassumendo la sua solita faccia malmostosa e ostile verso il mondo intero.
“Mi auguro che quest’ennesima segnalazione di scontri tra studenti, sia fondata e sensata, signor Gazza” osservò tagliente sempre la McGranitt.
Argus Gazza non rispose, ma esibì il suo migliore sorriso, guercio e beffardo, sperando ancora di essere il primo ad arrivare sul luogo del duello.
Sfortunatamente per lui, non fu più così, in quanto il trio composto da Remus, Lily e Marlene fu rapido abbastanza a precedere il trio con Gazza e i due professori.
Quando aprirono il portone, vennero accolti da folate di vento gelido, fiocchi di neve che si sciolsero alla prima luce e al primo calore delle lanterne, ma soprattutto da bagliori causati dagli scontri tra incantesimi. A terra vi erano segni nerastri e qualche piccolo cespuglio circostante, fortunatamente con pochissime foglie data la stagione, emanava un forte odore di bruciato.
Il trio di ragazzi si ritrovò davanti a quattro belve che non volevano arrendersi, sembravano dei cani che si azzannavano il collo e non mollavano più la presa. Lily rimase sinceramente spaventata da quello spettacolo e tirò fuori prontamente la propria bacchetta magica. Era decisa comunque a disarmare Potter e Black, per il suo sadico senso di soddisfazione - forse era dentro Grifondoro anche per quel senso di sadismo senza misura verso i nemici. Certo, era turbata, e allo stesso tempo affascinata, dalla furia che ci stava mettendo Sev, in quel duello. Di rado, o forse non l’aveva proprio mai visto così furente, lo aveva visto perdere il controllo in quella maniera. Si batteva con un energia, attento a rispondere colpo su colpo... Ma da un lato, Lily non voleva assolutamente che Sev, il suo brillante Sev, uno dei migliori studenti di Hogwarts, non solo di Serpeverde, passasse un guaio per quei due idioti che avevano voglia di azzuffarsi. Dall’altro, qualcosa nel cuore le diceva di lasciarlo fare.
Remus fu più veloce di lei, e ovviamente, lui disarmò Regulus e Severus. Lei rispose disarmando Sirius e James. I quattro, sorpresi, si voltarono, con una faccia paragonabile a quella dei bambini interrotti durante una zuffa e scoperti dagli insegnanti.
“Smettetela! Adesso!” esclamò Lupin stizzito “La volete piantare con le vostre bambinate?!”. Forse, anche per lui quella rivalità aveva sorpassato qualsiasi limite. O semplicemente, stava cercando di comportarsi da Prefetto, visto che Silente gli aveva affidato la carica con la speranza di poter fermare o poter far ragionare i propri turbolenti amici.
Lily guardò Sev dispiaciuta, lo fissò intensamente, con la dolcezza con cui avrebbe voluto dirgli, a tu per tu, tra un tè caldo e una fetta di torta e una coperta sulle gambe, con il loro diario pieno di appunti e riflessioni accanto: “L’ho fatto per il tuo bene, perché tu sei solamente molto di più che questo, che un duello con gentaccia che non è minimamente alla tua altezza”. Lo pregò, sempre con gli occhi, di capire e di mettere da parte il suo orgoglio. Quello che aveva anche lei, perché capiva i motivi per cui a quel punto avesse perso la pazienza e si fosse stufato di stare in silenzio e subire tutto quello che passava per la testa dei Malandrini. Ancora una volta, non riuscì a parlare, ma disse tutto attraverso gli occhi.
Lily lo vedeva più spazientito verso gli scocciatori, verso quelle persone che gli avevano fatto perdere tempo. Lo vedeva preoccupato per la situazione in cui il mondo magico imperversava, lo vedeva teso e desideroso di fare del suo meglio per proteggere colei che amava dal marcio e dalla cattiveria che si diffondeva in quel mondo. Scalpitava, in attesa di poter fare di più di quello che stava facendo, perché forse di collaborare solo con Silente non gli andava. Voleva essere portato sul campo d’azione. Aveva bisogno di fare qualcosa. Di vivere di parole, di contatti, era paragonabile a brancolare nella nebbia. Voleva dimostrare di saper fare, e poco gli importava di avere solo sedici anni. Si sentiva usato solo per delle doti puramente intellettuali che aveva dimostrato, ma lui voleva anche mettere in mostra il suo valore in campo. L’ombra di tutto quel machiavellico ragionare e pianificare lo aveva stufato, voleva anche un po’ di sole, la luce che solo l’azione sapeva regalare al combattente.
E aveva spento il cervello e si era lanciato in questo duello.
Sirius raccolse furioso la sua bacchetta: era spettinato, arrossato in volto e aveva i pantaloni sporchi e strappati su un ginocchio, da cui usciva sangue. Severus perdeva un po’ di sangue al naso e aveva il mantello un po’ sbrindellato, mentre James aveva gli occhiali rotti: li raccolse ed eseguì un semplice incantesimo di riparazione, pulendoli accuratamente dalla neve.
In silenzio, Lily si avvicinò a Sev, riparandogli accuratamente il mantello con qualche tocco di bacchetta. Poi, tirò fuori dal taschino del proprio mantello, un fazzoletto, ed iniziò a pulire il sangue dal naso di Sev, che la guardò con gratitudine per essere intervenuta, dopo la rabbia iniziale.
“Fa male?” gli sussurrò, cercando di essere il più delicata possibile. “Non così tanto” rispose il ragazzo. Sembrava frastornato, come appena sceso da una giostra particolarmente violenta.
“Cerchiamo di levare le tende il più presto possibile, prima che arrivino Lumacorno e la McGranitt” disse frettolosamente Remus, mentre Marlene controllava che Sirius non si fosse fatto troppo male al ginocchio.
“Troppo tardi” osservò Regulus con una calma olimpica decisamente fuori luogo “Sono già arrivati”. Un’altra secchiata d’acqua fredda si rovesciò sul gruppetto.
“Credo che ci dovrete parecchie spiegazioni” esordì grave la direttrice di Grifondoro, guardandoli tutti negli occhi, con quello sguardo felino e severo allo stesso tempo, reso ancor più austero dagli occhiali che indossava. “Seguitemi. Tutti quanti. Potter, Black... Sirius, il Prefetto Lupin, Evans, McKinnon e anche i signori Piton e Black... Regulus, vogliate seguirmi nel mio ufficio” ordinò laconica e con ben poca voglia di starsene fuori ad aspettare al freddo. Il Professor Lumacorno guardava mortificato i suoi pupilli, fermamente convinto che non fosse colpa dei suoi due disciplinati ragazzi.
Si formò un triste trenino di studenti dietro i professori, con Gazza che ghignava nella semi-oscurità. Potter, mentre camminava in fondo al gruppo, pestò qualcosa che attirò la sua attenzione, perché si accorse che sotto la neve, si nascondeva qualcosa. Si chinò e prese di corsa l’oggetto, affondando la mano nel gelo. Era la pergamena di Sev e con gesto fulmineo, se la ficcò in tasca, riconoscendone la grafia.

Dentro l’ufficio di Silente, vi era seduto un uomo che sembrava un perfetto businessman. Indossava delle scarpe nere tirate a lucido, come nuove, un completo da uomo - con cravatta e gilet impeccabili - ben lontano dalle sgargianti ed ampie vesti che era solito portare il Preside di Hogwarts, o qualsiasi altro mago al mondo. A completare il tutto, era la mancanza di mantello, sostituito da un sobrio cappotto nero, agganciato all’appendino poco distante dalla scrivania di Silente, e una bombetta, appoggiata sopra al cappotto.
I suoi capelli erano paragonabili a quelli di una statua. Erano accuratamente pettinati - con una nettissima e drittissima riga da un lato - e impomatati, non andando mai fuori posto. Mai un ricciolo, mai un ciuffo ribelle, quella chioma brizzolata se ne stava incollata al cranio in maniera disciplinata. Nel frattempo, le candele si erano accese, dato il buio che era sopraggiunto, rendendo più calda l’atmosfera. Eppure, quella luce avvolgente non sembrò affatto ingentilire l’aspetto di quell’uomo, sembrò proprio rifiutare qualsiasi contatto con lui.
Poco distanti da lui, i quadri degli ex-Presidi di Hogwarts, lo osservavano con una certa diffidenza, per non dire ostilità, soprattutto da parte di Phineas Nigellus Black, che lo aveva poco in simpatia - come aveva poco in simpatia chiunque, del resto. Non per niente, era stato il preside meno amato della storia della Scuola di Magia e Stregoneria.
L’unico che rivolse la parola a quello strano uomo seduto presso la scrivania vuota del Preside, fu il ritratto di un uomo, vissuto probabilmente nel diciassettesimo o diciottesimo secolo, dai capelli neri folti e una barba bianchissima. Indossava delle vesti color porpora e verde scuro, aspetto che fece inorridire l’uomo seduto alla scrivania. Pensò che fosse la solita questione di pessimo gusto inglese - questione alla quale lui si sentiva estraneo, con la sua solita poca modestia, e il suo modo di abbigliarsi ne era una dimostrazione - che si perpetrava da secoli, e dalla quale neppure i maghi si potevano salvare. Anzi, talvolta credeva che i maghi attorno a lui fossero anche peggio dei Babbani inglesi, in fatto di moda.
Signor Crouch” esordì la figura del ritratto “Qual buon vento la porta qui a Hogwarts?”.
L’interpellato - Barty Crouch, capo del Dipartimento di Applicazione delle Leggi Magiche - lo guardò appena di striscio e rispose, continuando a guardare dritto davanti a sé, incuriosito dal trespolo vuoto di Fanny, la fenice del Preside Silente. Evidentemente, o era fuori a volare in mezzo alla neve, o era con il proprio padrone.
“Nessun buon vento - e se ce ne fosse, sarebbe un vento infausto, Preside Everard”.
Gli altri ritratti rimasero per qualche attimo sgomenti e parlottarono tra loro. Sapevano tutto, o quasi, dato che Silente ultimamente aveva portato molta gente a colloquio nel suo studio... Soprattutto quel ragazzo, quel Serpeverde, Severus Piton, al quale, proprio l’ex-Preside Serpeverde, aveva detto di starsene fuori da quella storia, che comunque fosse, non era niente di strano nel mondo della magia. Per tutta risposta, Sev lo guardava perplesso, come se il vecchio stesse semplicemente delirando.  
“Sciocchezze” esclamò Nigellus Black con disprezzo “Siete i soliti esagerati - di certe questioni ne fate un caso di Sta...”.
“Nigellus, vergognati!” esclamò un altro ritratto, puntando il dito verso Black “Si parla di Riddle, un mio ex-studente, e un membro della tua casata Serpeverde! In quel ragazzo non c’era niente di giusto sin da quando era studente - me n’ero ben accorto, anche se troppo tardi, perché ero totalmente ammaliato dal suo talento. E ora c’è persino qualche altro mago che gli sta dando corda... E siamo in questa situazione, per colpa di queste assurdità sui maghi puri e non puri che Riddle aveva in mente da tempo!”.
“Dippet... Per favore, non deliziare la platea con il tuo solito piagnisteo pieno di sensi di colpa...”.
I ritratti discussero ancora più animatamente tra loro, scatenando una bolgia che, in presenza di Silente, mai si sarebbe scatenata. E infatti, dal camino, ci fu una fiammata verdastra, che segnalò l’arrivo del Preside, tramite Metropolvere.
Barty Crouch si portò una mano ai capelli, per assicurarsi che la piega fosse impeccabile, e si alzò, controllando che l’abito non fosse troppo spiegazzato.
Silente era appena arrivato - e il solito moto di disgusto inconsapevole verso gli abiti variopinti da mago lo colse.
“Buonasera, Bartemius” lo salutò affabile il Preside, scrollandosi di dosso la polvere dal camino, con qualche colpo rapido di bacchetta. “Vedo che sei in largo anticipo, come al solito” tacque e sorrise, con gli occhi luminosi dietro gli occhiali, per poi aggiungere “O forse sono sempre in ritardo io!”.
Crouch non rispose, limitandosi a un cenno con il capo e un sorrisetto forzato. Tese la mano a Silente e gli strinse la mano con forza.
Non trovò niente di meglio da dire che: “Ha usato la Metropolvere, Preside... Non è da lei”. Crouch non amava le eccezioni alle regole, non amava particolarmente quelle menti estemporanee che sfuggivano a qualsiasi incasellamento e classificazione: tuttavia, ammetteva che Silente aveva un certo stile nell’essere imprevedibile ed estemporaneo.
“Non volevo causare troppi turbamenti ai tuoi colleghi del Dipartimento dei Trasporti Magici” rispose sereno Silente, che nel frattempo, aprì una delle finestre. Una folata di vento piuttosto violenta entrò nell’ufficio, agitando le fiamme delle candele e facendo intirizzire Crouch, che lo guardò perplesso.
Il Preside attese il ritorno di Fanny, che entrò svolazzando, sparpagliando neve ovunque. La fenice si accomodò sul suo trespolo, cinguettando contenta. Sbatté le ali, scrollandosi di dosso gli ultimi fiocchi, in modo che il suo piumaggio tornasse del solito color fuoco, con una gamma di rossi ed arancioni brillanti e vivaci.
“Gradisci qualcosa da bere?” chiese Silente, che con un gesto della bacchetta aprì la credenza, mostrando bottiglie di Acquaviola, svariati tipi di Whiskey Incendiario, vini elfici, qualche bottiglia pregiata di Burrobirra, Rum al ribes rosso e liquori al cioccolato.
“Cerco di non bere, quando ci sono questioni di lavoro, in mezzo” rispose rigidamente Crouch, afferrando la sua borsa da lavoro, e appoggiandola sulla scrivania. Ma Silente aveva preso già del vino elfico e tre calici in vetro colorato.
“Preside, ma chi stiamo aspettando?” chiese sempre Crouch, aggrottando le sopracciglia.
Silente appoggiò i calici sulla scrivania e nello stesso momento, un altro bagliore verde illuminò la stanza.
“Nientemeno che Gabriel Lynch” osservò Silente. “Suppongo che al Ministero, siate piuttosto refrattari nel voler avere a che fare con la Confraternita degli Evocatori...”.
Crouch sbiancò in voltò e si irrigidì. A giudicare dall’espressione sul volto, il capo Dipartimento di Applicazioni delle Leggi Magiche non aveva alcun piacere a incontrare un altro individuo eccentrico, che si era rifiutato di chinare il capo di fronte alle leggi magiche; il Ministero aveva cercato più volte di far spostare gli Evocatori da Mile Droichéad, per tenerli sotto controllo e sfruttarli in caso di pericolo - ufficiosamente - mentre ufficialmente, era proprio per non meglio specificati motivi di sicurezza. Da quando Lynch era il Maestro della Confraternita, erano arrivati solo gran rifiuti, forse perché aveva intuito le losche mire del Ministero.
“E suppongo che neanche stasera avrò molto piacere ad averci a che fare, dato che dal loro Maestro, non otteniamo che rifiuti, di fronte alle nostre misure di sicurezza che vogliamo imporre alla popolazione del villaggio”.
Gabriel arrivò, e si avviò con portamento regale alla scrivania, avvolto nel suo mantello iridescente, come ogni Evocatore di un certo rango possedeva, e ricambiò lo sguardo di disgusto rivoltogli da Crouch. Si scambiò un’occhiata d’intesa con Silente: il Preside gli aveva raccomandato di non infuriarsi alla prima parola sbagliata del funzionario del Ministero, perché in quella serata avrebbero dovuto discutere, nella maniera più serena possibile, delle recenti manifestazioni di Magia Oscura nel mondo magico. Gabriel aveva accettato, solo nel nome dell’amicizia che lo legava a Albus Silente, e solo nel nome della Confraternita che guidava, ma che doveva anche proteggere da queste manifestazioni malvagie.
Lynch si tolse il mantello, che si levò in volo e si andò ad appendere da solo all’appendino. La fenice di Silente interruppe il proprio canto, meravigliata, per vedere lo sfolgorante indumento librarsi per aria e appendersi al gancio del mobile. Poi, guardò i tre calici appoggiati al tavolo e osservò, con un sorriso sornione: “Suppongo che la giusta bevanda possa aiutare a mantenere gli animi sereni in questa lunga sera”. L’unico che rimaneva rigido e terrorizzato, era proprio Barty Crouch.
Il Preside gli versò del vino e porse il calice al Maestro: “Me lo auguro, Gabriel. Se non siamo uniti ora, maghi, Evocatori e Ministero, difficilmente vinceremo questa battaglia contro le Forze Oscure”. La sua speranza era che tutto potesse andare per il meglio.
Si sbagliava di grosso.  


* * *

Ma buonasera a tutti e a tutte!

Ebbene sì, forse sto tornando a vivere. Ho cambiato città, ho ripreso a studiare, sto cercando un lavoretto che mi soddisfi nella mia nuova città, ovvero Parma! Sono stati dei mesi tremendi, e qualcuno di voi sa di che razza di lungo periodo di tormenti e problemi io abbia avuto...
Che cosa devo dire... Che mi è mancata tantissimo, Irish Rain. Che ora posso dire che tornerò ad aggiornare molto più spesso (diciamo - in media - una volta ogni due settimane). Adesso, ho anche deciso di pubblicare quando ho anche il capitolo successivo perlomeno iniziato. Quindi, non temete, ho appena iniziato a scrivere il Capitolo 41 (per tutte le fan di Gabriel Lynch: badass!Gabriel in arrivo... Come avrete immaginato, non corre buon sangue tra lui e il Ministero). Mi siete mancati anche voi, che mi avete dimostrato moltissimo supporto, nonostante io non aggiornassi da molto. Grazie per la vostra pazienza. Ma, come detto, dovessi metterci moltissimo, Irish Rain non la lascio neanche per idea e la voglio finire, così come le altre due parti che ho in mente per la mia personalissima Snevans. Voglio anche infrangere quella strana maledizione che colpisce le fanfiction con pairing Lily/Severus, dato che gran parte (e anche la mia preferita, sigh) sono rimaste interrotte...

A prestissimo, con il capitolo 41! Oh, e dimenticavo, la canzone di questo capitolo è questa: Battle For The Sun dei Placebo.

Un abbraccio a tutti voi, ora devo andare a finire una recensione ad un’amica e ad una fanwriter di Star Wars di primissimo livello. Per me.

<3 Lily White Matricide (ex-Blankette_Girl) aka Ale

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Capitolo 41
*** The Bigger Picture ***


41.

The Bigger Picture



“What if caught in a moment 

I get lost and can't find my way 

What if all along I was wrong 

In every turn, in every way”
 

“Would you talk me off the ledge 

Or let me take the fall 

Better to try and fail 

Then to never try at all”
 

“Shed your light on me 

Be my eyes when I can’t see 

Shed your light on me 

Be my guide so I can see 

The bigger picture”

The Bigger Picture - Dream Theater

 

Due calici di vino elfico erano stati vuotati rapidamente, mentre il terzo era ancora pieno, appoggiato poco distante dalla mano dell’uomo vestito più da Babbano che da mago. Illuminato dalla luce calda dello studio, all’interno del vetro colorato si potevano vedere le bollicine risalire verso la superficie ancora con vivacità. Manco a dirlo, era l’impomatato e ingessato Barty Crouch a non aver bevuto il vino offerto da Silente. 
Un mago dell’esperienza paragonabile al Preside di Hogwarts, o al Maestro Lynch, conosceva bene il valore delle parole - del peso che potevano avere in un incontro delicato come quello, della loro facoltà di creare necessità nelle persone, di condizionarle, talvolta in maniera temporanea, talvolta definitivamente. Ma non bastavano le parole, soprattutto quando l’orizzonte che si andava prospettando era tutt’altro che ridotto unicamente a dei segni, a delle ombre e a dei sussurri. Le parole non bastavano più nel momento in cui qualcuno degli interlocutori si rifiutava di comunicare, rimanendo arroccato nella sua torre di silenzio e di smorfie facciali rigide, ben lontane dall’essere serene. 
Dunque, che cosa poteva fare un mago esperto in quella riunione, dove Crouch, prevedibilmente, se ne sarebbe stato sulle sue posizioni e non avrebbe ceduto terreno, soprattutto a parole? Ecco la prospettiva di giocare la carta del linguaggio non verbale, quello dei gesti. La bellezza di un gesto stava nel suo essere teatrale all’improvviso, o all’occorrenza velato e discreto. Un gesto poteva essere tutto, laddove le parole potevano fallire. Il primo gesto distensivo voleva essere quello del vino, un’offerta semplice, che sottendeva un messaggio di cordialità e di convivialità. Almeno nelle intenzioni. 
Affrontare un osso duro come Crouch implicava innanzitutto cautela. Presupponeva una continua attenzione nell’avvicinarsi al confronto e alla discussione, al nodo cruciale della questione. Era un avvicinamento lento e faticoso, con continui aggiramenti del discorso, circonlocuzioni, uno sfiancante e continuo correggere e ridisegnare la rotta che portava alla meta. Il suo era un linguaggio da burocrati: non poteva esserci niente di peggio di un mago con l’atteggiamento da burocrate, pensavano segretamente sia Albus Silente, sia Gabriel Lynch. Specialmente quest’ultimo non era venuto lì per sprecare molto tempo, poiché aveva idea di cosa sarebbe successo di lì a breve. In quanto Evocatore, senza aggiungere il fatto che ne fosse il Maestro, era una sua caratteristica aver sviluppato in profondità l’arte della Divinazione - non quella che reputava da fattucchieri e impostori, che incidentalmente veniva insegnata nella maggior parte delle Scuole di Magia nel mondo - ma quella che portava al passo successivo, all’apprendimento e alla pratica dell’Evocazione. Da giovane, prima di diventare la guida della Confraternita, si era battuto intensamente per ottenere l’insegnamento di Divinazione a Hogwarts, con l’intento di restituire dignità a una materia sulla via dell’oblio. Aveva un grande progetto didattico, un grande sogno: rendere l’Evocazione un’arte accessibile a tutti. Invece, si era trovato molte porte chiuse - e quella del Ministero della Magia in primis - e si era trovato chiuso in una Confraternita che non riusciva a integrarsi con il resto del mondo magico, perché era lo stesso mondo magico a esprimere diffidenza,  indifferenza o peggio aperta ostilità. Per anni, aveva sofferto di questa spaccatura, ma la saggezza e gli anni che passavano gli avevano insegnato ad accettare che non sempre la convivenza e l’armonia erano possibili, pertanto si era adoperato per mantenere un certo equilibrio almeno tra gli abitanti di Mile Droichead. In quelle settimane cupe e impegnative, aveva consultato gli Spiriti Giusti a lungo, si era intrattenuto con loro, per sapere se ciò che vedeva lui avesse un senso, come umile componente di uno scenario ben più grande del mondo magico di quel pianeta.
Loro vedevano aldilà del tempo presente. Erano anime pure e dentro di loro erano racchiusi passato, presente e futuro, il Tempo senza un Inizio e una Fine. Li aveva interrogati, aveva imparato dal loro senso di serenità e superiorità a mettere da parte le ferite del passato - tutta tranne una, per la quale il cuore nel silenzio mormorava ancora sofferente e negli attimi di debolezza arrivava a urlare sconsolato - per poter accantonare una volta per tutte il torto subito dagli uomini del Ministero nel corso degli anni. Gli Spiriti Giusti gli avevano rivelato che quella poteva essere una possibilità vitale, pur nel momento drammatico e oscuro, di riavvicinarsi al resto del mondo magico. Che combattere il Signore Oscuro potesse essere una possibilità per essere riconosciuti una volta per tutte? Poteva saperlo solamente provando a offrire tutto l’aiuto e la collaborazione che poteva dare, dando per primo il buon esempio verso i membri della Confraternita, affinché non sviluppassero sentimenti di odio o intolleranza verso il resto del mondo; sentimenti che non erano affatto sconosciuti ad alcuni membri, quelli più conservatori, che avevano un rapporto difficoltoso con l’esterno. Ed era a loro che il Maestro Lynch si era dedicato negli ultimi tempi, nella speranza di ammorbidirli, di renderli più coscienti del fatto che non fossero più salvi degli altri, in caso di vittoria del Signore Oscuro. Così come un’eventuale sconfitta da parte del mondo magico avrebbe portato alla distruzione della Confraternita e alla mancanza di protezione dell’Albero della Vita, che reggeva i Nove Mondi. E al solo pensiero che Lord Voldemort potesse avere accesso a Helheim - un mondo che non andava mai nominato e che ogni buon Evocatore, o aspirante tale, aveva conosciuto con terrore una volta lungo la Via della Purificazione, al Maestro mancava un battito del cuore.
Tuttavia, affrontare Barty Crouch era tremendamente difficile e stava mettendo a dura prova tutti i suoi buoni propositi e la sua pazienza. Silente se n’era accorto, così come si era reso conto che il tempo della cordialità e dei convenevoli stava inesorabilmente terminando. Si riempì il calice di nuovo, questa volta si concesse solo due dita di vino elfico - quelle famose “due dita di vino” per farsi coraggio, perché anche i migliori ne avevano bisogno. Non era la prima volta che lo faceva - era un’abitudine che era solito ripetere sin da quel doloroso momento in cui aveva dovuto affrontare Gellert Grindelwald. 
“Sapete bene perché ci troviamo qui” esordì, e la sua espressione in volto si fece estremamente grave. “Ho bisogno della collaborazione di tutti, a partire da voi e ciò che siete qui a rappresentare”. 
Se avesse potuto, Barty Crouch si sarebbe irrigidito ancora di più. Le sue mani si fecero pugni, pugni serrati con macchie di rosso e bianco sparse sulla cute. Lynch spinse appena più lontano il calice vuoto, con la punta delle dita, e raddrizzò la schiena, senza irrigidirla, e prese un respiro profondo. 
“In queste settimane, ho accumulato quantità di pergamene, corrispondenza, rapporti e indiscrezioni  sulle attività di Lord Voldemort - appena udì il nome, Crouch sobbalzò lievemente, mentre il Maestro rimase  indifferente - tali da perdere la testa. Ne avrei per giorni, e come ben sapete, non posso neanche impiegare tutte le mie giornate a leggere. La situazione è troppo grave per poter avere del tempo da perdere. Mi sono preoccupato di concentrarmi sui fatti più importanti, che ora vi dirò -”.
“Mi auguro vivamente di non essere venuto qua per delle indiscrezioni, al Ministero c’è di meglio da fare” lo interruppe Crouch tagliente. Lynch alzò gli occhi al cielo per qualche istante e pregò Odino di dargli la forza di non sollevarlo di peso - senza alcun aiuto della bacchetta magica - e di gettarlo nel gelo di Nifelheim e nel caldo insopportabile di Muspelheim. Si trattenne dal dire qualsiasi altra cosa.
Silente si fermò e lo guardò fingendo sorpresa - non che non conoscesse il suo interlocutore, ma doveva un po’ fargli credere che il Ministero fosse in perfetto controllo e vantaggio su tutti loro. Doveva farglielo credere per qualche secondo, solo per qualche istante in attesa di una reazione di Lynch…
“Non possiamo allarmare e scombinare il Dipartimento, e men che meno gli Auror, per delle voci, per un sentito dire senza certezze” continuò rigido il funzionario. “Quello che vedo, e quello che ci ha mandato, Preside, è solo un mucchio di carta buona da gettare nel camino, se non è accompagnata da fatti”.
Nella mente di Gabriel Lynch, in quell’esatto momento, ricomparvero i ricordi di quelle notti tedesche con i due fratelli Prewett all’inseguimento di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, dei primi passi dell’Ordine della Fenice - un’Ordine che non doveva esistere ufficialmente, che doveva sfuggire al controllo del Ministero, ma doveva comunque servirsi di quest’ultimo, attingendovi più informazioni e risorse possibili, Auror, per essere più precisi. Un’Ordine che doveva essere evanescente, una barzelletta per qualche burocrate, e allo stesso tempo più vivo e operativo che mai, nel quale una volta entrato, dovevi sperare di uscirne vivo. 
Non gli sembrò per nulla corretto essere paragonato a della carta da bruciare, inutile. Non poteva  tollerarlo, aveva accettato sin da subito di aiutare Silente, per evitare che la Arti Oscure prevalessero sulle Arcane. Perché la conseguenza era una soltanto: l’arrivo del Caos, del Ragnarök. E la voce di Kate risuonò ferma nella sua mente, con quella venatura di dolcezza che aveva sempre avuto - un monito che attraversava i Mondi, che arrivava da lei, che risiedeva da qualche parte dell’Universo di luminoso ed eterno, dove la paura non era più un sentimento conosciuto: 

“Tempo di asce, tempo di spade

s'infrangeranno scudi,

tempo di venti, tempo di lupi,

prima che il mondo crolli.

Strepita il suolo;

volano via le streghe.

Neppure un uomo

un altro ne risparmierà”.

“Trema di Yggdrasill, il frassino eretto, geme l'antico albero…” continuò a mezza voce Gabriel, come se avesse sua moglie davanti a lui, ammantata di blu, il colore dell’infinito, a recitare l’intera Profezia della Veggente Völuspá. Silente e Crouch lo stavano fissando, con il Preside compiaciuto nel vedere che la decisione di Lynch nel difendere la sua causa stava crescendo. Il Maestro tornò nella stanza e si rivolse diretto al funzionario del Ministero e lo guardò dritto negli occhi, senza temerlo, come se avesse l’intera schiera di dèi a fargli forza.
“Crouch, se è carta buona da bruciare quella che il Preside Silente le ha faticosamente mandato in questi mesi, e che voi tutti avete bellamente ignorato, sottovalutando l’entità del problema… Allora stia certo che il primo obiettivo di Lord Voldemort sarà il Ministero e lei sarà il primo a passare per una delle tre Maledizioni senza Perdono”. Il funzionario sbarrò gli occhi e fece per trovare una risposta adatta a tale accusa, ma le labbra si mossero senza far fuoriuscire il benché minimo suono. Annaspava come un pesce fuor d’acqua. 
“L-Lei! Lynch! Come si p-permette!” esclamò paonazzo in volto aggrappandosi al tavolo “Al Ministero nessuno sottovaluta…”.
“E allora perché nessuno al Ministero, ultimamente, vuole ascoltare, o solo avere nel proprio ufficio Alastor Moody, che qualcosa da dire al riguardo ce l’avrebbe?!” continuò Lynch imperterrito. Sul volto di Silente apparve un sorriso luminoso e grato. Da quando il più bravo degli Auror aveva deciso di abbracciare la causa del Preside di Hogwarts, e da quando aveva deciso di spendere molto tempo in missione, sulle tracce di Lord Voldemort e dei suoi servitori, più di qualche Auror fin troppo ligio e fedele al Ministero aveva iniziato a guardarlo storto - e aveva preso le distanze da lui, mettendone in dubbio la professionalità e la bravura. Alastor Moody, fortunatamente poteva contare su Albus Silente, che aveva cercato di ripristinare il buon nome dello scozzese tra gli addetti ai lavori, con scarsi risultati. Pertanto, era grato a Lynch per aver affrontato la questione personalmente.
“L’Auror Moody è stato invitato, tramite una lettera di richiamo” spiegò Crouch stizzito, sull’orlo di mettersi a urlare di nuovo, “A non destabilizzare l’ambiente di lavoro con…”.
“Glielo ripeto, senza scadere nel burocratesimo” lo interruppe sarcastico Lynch, in evidente posizione di forza “Quello che Moody ha visto, quello che ho visto io, quello che ha visto Silente, e qualche altro Auror che non ha il cervello totalmente, come Dorcas Meadowes, del Signore Oscuro all’opera, basterebbe per essere ricoverati al quinto piano del San Mungo! Lord Voldemort -”.
“NON LO NOMINI!” esclamò terrorizzato Crouch, sbattendo una mano sul tavolo.
“LORD VOLDEMORT” Lynch alzò la voce apposta “Sta cercando di usare OGNI MEZZO per eliminare i maghi e le streghe Nati Babbani - o SANGUE SPORCO, se vogliamo chiamarli così, perché lo so che voi al Ministero non disdegnate di discriminare i maghi in base alla discendenza e qualche volta questa simpatica parolina vi scappa - voi al Ministero non siete molto diversi da Lord Voldemort, in questo…”.
“NON È ASSOLUTAMENTE VERO!”. Barty Crouch si alzò in piedi, come per intimorire il Maestro Lynch, che rimase seduto a guardarlo, con gli occhi di un azzurro intenso che lo sfidavano. Incrociò le braccia e continuò senza paura a punzecchiarlo, sbattendogli in faccia verità corroborate da numerosi documenti che lui non aveva avuto tempo di esaminare - o forse non aveva voluto voglia di leggere, per evitare scomode e spiacevoli verità.
“E come può eliminare totalmente Nati Babbani? - E per pietà le risparmio di risentire la parola Sangue Sporco, forse mi dev’essere appena scappata… È semplice, può farlo solo prendendo pieno controllo del Ministero, mettendovi dei servitori a comandarlo. E noi come potremo mai contrastare Lord Voldemort se riesce a prendere controllo del Ministero?”
“La smetta, i suoi sono VANEGGIAMENTI! La porterò di fronte al Wizengamot per…”
“Vaneggiamenti? I miei sono vaneggiamenti!? Lo chieda agli abitanti di Dunkeld, attaccati non troppo tempo fa! Chieda ai genitori della signorina MacDonald, ai signori Hill, che hanno visto portarsi via i figli… Chieda a tutti gli abitanti - che VOI avete costretto al silenzio - quella notte! Chieda ai giornalisti presenti per delle inchieste - che VOI avete censurato, li avete fatti tacere tutti, tranne Rita Skeeter! Le assicuro che già adesso stare a discutere con lei sta intralciando il nostro lavoro! Le non ha neanche idea di che cosa stia facendo Lord Voldemort là fuori! Stiamo perdendo tempo prezioso!”. 
“L’attacco a Dunkeld non è stato nient’altro che…” cercò di giustificarsi un Crouch sempre più rosso in volto e sudato in fronte.
“NIENT’ALTRO CHE COSA?!”. Gabriel Lynch scattò in piedi e si diresse verso il Pensatoio. Prima di fare quanto deciso, si voltò verso Silente, che annuì senza aggiungere altro. Gli era grato per quello che stava facendo in quel momento e null’altro aveva da dire, poteva solo autorizzarlo a usare il Pensatoio.
“NIENT’ALTRO CHE COSA!?” ripeté il mago, che si portò la bacchetta alla tempia, da dove uscì un filo argenteo: i suoi ricordi di tutto quello che aveva visto e vissuto negli ultimi mesi. Quella nuvola di fumo venne accompagnata nel bacile di pietra, sul quale erano incise delle rune antiche. Di Pensatoi ne esistevano pochissimi al mondo e si diceva che fosse stato Thor in persona ad averli forgiati, accidentalmente: durante una delle sue gigantomachie, un gigante colpito da Mjöllnir, il martello di Thor, cadde sulle montagne più alte di Midgard, e distruggendole, i frammenti divennero dei bacili in pietra, che gli umani dovevano utilizzare per purificarsi e conservare i pensieri più intelligenti, per evitare di fare la fine degli stolti giganti o di attirarsi le ire di Thor. Gli uomini senza poteri magici non seppero cosa farsene, i maghi li utilizzarono come Pensatoi, per riflettere sul passato o per aiutarsi nel migliorare come maghi e come persone, nel corso della Storia, proprio come intendeva Thor. 
Gabriel Lynch con un gesto lento e circolare della bacchetta, proiettò i ricordi nello studio di Silente e Crouch fu costretto a guardarli.
“Mi dica poi, se questi sono vaneggiamenti” sibilò il Maestro, fulminando con lo sguardo il funzionario del Ministero.

Lily era costernata e fissava il muro oltre il cappello della McGranitt. Tre quarti delle parole della professoressa e responsabile di Grifondoro le scivolavano via, si dissolvevano appena le arrivavano vicino. Diventavano polvere da soffiare via di dosso, erano qualcosa di sgradito. Si sentiva in colpa per non essere stata in grado di togliere dai guai Severus; si vergognava, perché quella era la prima vera ramanzina che si prendeva a Hogwarts. Bruciava d’ira verso i suoi compagni di casa, e si ritrovava persa nella matassa dei suoi pensieri, a maledire il Cappello Parlante quel giorno che aveva osato accostarla a quel branco di perdigiorno imbecilli appartenenti a Grifondoro. Avrebbe preferito essere una Corvonero, una Tassorosso… Una Serpeverde. Se solo fosse stata una Serpeverde! James Potter l’avrebbe evitata, avrebbe guardato altre ragazzette senza arte né parte, le avrebbe affascinate per il fatto che fosse un chiacchierone, uno spaccone, un giocatore di Quidditch, un mago mediocre pieno di espedienti spettacolari. Sì, avrebbe preferito essere Serpeverde per stare accanto a Severus, per studiare con lui in tranquillità, senza che qualcuno le facesse notare come facesse a essere “amica” di un Serpeverde - lei non era un’amica di Sev, lei non poteva essere solo questo, non lo avrebbe mai accettato, Lily lo sentiva nel cuore di essere fatta per lui. Era ancora giovane, chissà a quali impegni e prove l’avrebbe sottoposta la vita, chissà quanti “cambierai idea e ti farai le tue esperienze, non esiste solo Hogwarts, non esiste solo Cokeworth, non esiste solo lui come ragazzo”, ma lei sperava di essere ancora lì, in quel mondo, tra qualche anno. Sperava diventare Evocatrice, di scoprire fino in fondo le sue radici, sapeva che quel percorso sarebbe stato doloroso e difficile, l’avrebbe portata lontanissimo da casa, in un’altro mondo ancora, o quasi. Sperava di essere ancora innamorata di Sev come prima e anche più di prima, di sposarsi vestiti da maghi in qualche collina irlandese sperduta, senza abito bianco, velo, bouquet e altre baggianate buone per le donne che volevano diventare delle bomboniere - desideri Babbani che avevano alcune streghe più grandi di lei e che lei rifiutava. Desiderava avere una famiglia con lui, di essere completamente immersa nel mondo della magia, di essere una donna di valore, coraggiosa e onesta. Non c’erano alternative, per lei. 
Con la coda dell’occhio, cercò Sev, seduto accanto a lei, con il sangue rattrappito sotto il naso e sulle labbra. Stava con la testa ben dritta e lo sguardo fermo, le mani che stringevano le gambe con forza e sembrava deciso a difendersi dall’ennesima bravata targata Malandrini. Sembrava pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Che un Serpeverde fosse in realtà ben più coraggioso di qualcuno di Grifondoro? Fino adesso, Lily aveva avuto a che fare con una culla di scellerati patentati, anziché una culla di coraggiosi di cuore. 
No, Serpeverde non lo puoi essere… E lo sai” le disse una voce maligna dentro di sé e lei, d’istinto, come sempre quando si spaventava per i suoi pensieri che prendevano voci diverse, si portava la mano al petto, lì, dove sotto il maglione si nascondeva il suo ciondolo. 
Lo sai che il sangue ti ha tradito e non lo potrai mai essere” continuò la voce, ma lei scosse la testa con vigore. Il sangue non era il problema… O forse sì? Continuò a scuotere la testa per scacciare quei pensieri. La professoressa McGranitt s’interruppe e la guardò.
“Signorina Evans, per caso non le va bene il fatto che sia a Serpeverde, che a Grifondoro vengano levati cinquanta punti?” le chiese perplessa da quel gesto veemente. Lily si spaventò e si vergognò ancora di più di aver dato corda a quei pensieri e si pentì di essersi distratta. 
“Mi scusi, professoressa…” iniziò Lily, ma non sapeva neanche che cosa dire, come giustificare la sua distrazione in maniera credibile. Ma in quel momento, Sev allungò una mano, di nascosto, per sfiorare la sua, che pendeva lungo la sedia. E nel frattempo, intervenne il professor Lumacorno, che stravedeva per Lily, non era un mistero. Gli unici a loro agio sembravano i Malandrini, non nuovi a essere convocati nello studio di qualche insegnante, dopo una bravata.
“Minerva, la ragazza è solo scossa…” aggiunse il professor Lumacorno comprensivo. Lily fece l’unica cosa che poteva venirle meglio, in casi come quelli, da buona adolescente irreprensibile e conscia di essersi buttata in qualcosa di più grande di lei: una lacrima le rigò il viso, non ne poté fare a meno, ma non fece una piega, la lasciò scorrere, così come le altre che arrivarono poco dopo, senza tirare su con il naso e senza soffocare i singhiozzi. Marlene McKinnon stava già piangendo come una fontana, senza alcuna remora nel farsi sentire da tutti. Si sentiva una stupida a essere corsa in soccorso di Sirius, che se la rideva con i suoi compari e non sembrava avere minimamente cura di lei. Già pensava con timore alla Strillettera che sarebbe arrivata dalla sua famiglia, alle minacce di punizione e di reclusione durante le vacanze estive. Però, forse Marlene piangeva molto più forte per il fatto che Sirius la stesse trascurando nel momento di bisogno e si sentiva ferita da questo comportamento.
La McGranitt sospirò - in fondo forse era dispiaciuta, o forse sapeva che le signorine Evans e McKinnon erano state coinvolte in quella baraonda loro malgrado. “E sia, comunque in aggiunta avrete dei capitoli in più da studiare per quanto riguarda la mia materia e vorrei ricevere un elaborato scritto riguardante uno dei temi affrontati in questi capitoli che avrete da studiare in più” tacque per qualche momento “Entro venerdì”. Due giorni più tardi. “Horace, hai qualcosa da assegnare loro, per punizione?”. L’insegnante di Pozioni si sentì preso alla sprovvista. “Uh… Eh… Magari un bel Distillato della Pace? Per dimenticarci questo brutto episodio… Sì, sì…”. 
I ragazzi coinvolti nella ramanzina non sapevano se ridere - per l’ironia profondamente sbagliata della richiesta di Lumacorno, povero ingenuo! - o piangere - per la difficoltà estrema del Distillato. Lily e Sev si scambiarono un’occhiata d’intesa - avrebbero avuto un po’ i pomeriggi impegnati, ma sul Distillato avrebbero unito le forze per ottenere un ottimo risultato. 
“Direi che è tutto. Potete andare” disse la McGranitt. I ragazzi si alzarono lentamente e in silenzio lasciarono lo studio. Lily si precipitò da Sev e lo guardò in faccia, per sincerarsi che avesse smesso di sanguinare.
“Vuoi fare un salto da Madama Chips?” gli sussurrò con dolcezza - per evitare che gli altri la sentissero. Gli passò teneramente una mano sui capelli e gli sorrise dolcemente. 
“Non penso di averne bisogno, ho smesso di sanguinare…” rispose Sev, ma non aveva finito di rispondere, che Lily lo stava già trascinando in infermeria. Si lasciò trascinare con piacere dalla ragazza, ma si accorse di avere la tasca dei pantaloni più leggera di prima.
La pergamena con il suo incantesimo segreto.
La doveva aver persa durante la rissa con gli altri e di colpo fermò Lily, dandole qualche strattone.
“Lily… Ferma… Ferma! Temo di aver perso qualcosa nel parco!” esclamò un po’ allarmato. Lily si fermò e si voltò.
“Oh… Cosa? Qualcosa di importante?” gli chiese piena di curiosità. Sev non reputava che fosse giunto il momento più adatto per spiegare a Lily dell’incantesimo che stava creando - e lo stava creando per vendicarsi sui Malandrini. Non era giusto, lo sapeva, ma non avrebbe fatto loro del male fisico, era per essere finalmente in grado di prendersi gioco di loro. Lui era solo contro quattro.  Quello scontro continuo durava da anni e non si era mai trovato veramente in posizione di vantaggio. Se numericamente non poteva batterli, poteva farlo con l’intelligenza e l’arguzia. 
“Niente di così importante” dissimulò “Una pergamena con degli appunti”.
“Di quale materia? Ti posso prestare i miei, così ti rimetti in pari!” disse Lily, che si avvicinò al finestrone che dava verso il parco. “Oramai è buio, e sta continuando a nevicare… Ho paura che siano rimasti sotto la neve e che l’inchiostro sia sbiadito”. Sev si morse un labbro e sbuffò. 
“Sono proprio un cretino…” disse ad alta voce. Si sentiva veramente un cretino per aver avuto la leggerezza di elaborare un incantesimo delicato su pergamena e di non averne fatta una copia da tenere nel suo baule. Per fortuna aveva un’ottima memoria e poteva perfettamente ricostruirlo su carta. Ma qualcosa dentro di sé gli faceva pensare che la pergamena, sfortunatamente, non era sotto la neve, ma era finita nelle mani sbagliate. Lo sentiva - e doveva finire al più presto il contro-incantesimo, perché era conscio che, una volta in mano ai Malandrini, questi ultimi avrebbero iniziato a usarlo senza il minimo controllo e raziocinio.
La ragazza si avvicinò a lui e lo abbracciò e lo tirò giù, fino ad avere la testa sul suo petto. 
“Sev, va tutto bene. Sono cose che capitano. Ti aiuto io” lo rassicurò, lasciando poi la presa. Il ragazzo si sentiva preso dalla voglia di starsene appoggiato a lei più di quanto pensasse fosse normale - almeno in pubblico. Ultimamente doveva tenere a freno qualche pensiero di troppo, quando si fermava a guardare Lily, quando passava qualche attimo totalmente da solo, assieme a lei. Erano pensieri perfettamente normali, si diceva e lo sapeva che fossero normali, ma era il contesto a essere profondamente sbagliato. Insomma, lui e Lily prendevano in giro le coppie di studenti del sesto e settimo anno beccati a pomiciare da Gazza e dai Poltergeist del castello, ma Severus ogni tanto aveva la tentazione di imitare quelle coppie e di trascinare Lily in qualche angolo poco illuminato e…
Severus, FERMATI, dov’è finito il tuo contegno!?” pensò, credendo di essersi riuscito a fermare in tempo.
Ma Lily lo spiazzò, com’era solita fare. Quella ragazza era fatta per lui, non c’era altra spiegazione: qualche divinità l’aveva creata e destinata a lui sin dal principio, altrimenti non riusciva a spiegarsi quella splendida facoltà di leggergli nella mente e prendersi gioco di lui, dei suoi pensieri, con una naturalezza disarmante. 
“Lo so che vorresti stare appoggiato a me più a lungo, non hai molto da toccare, però, mi spiace dirtelo”. Si guardò in giro e poi si appoggiò le mani sul seno, furtiva. “Sono piatta - e neanche un incantesimo può fare qualcosa al riguardo!”.
Non era ancora il Sev che da adulto tutti avrebbero conosciuto - dalla battutina sempre pronta, sarcastico, pungente - ma qualcosa dentro di lui, di quel Severus adulto, stava germogliando. E si ritrovò a rispondere a Lily, in maniera assolutamente non studiata, ma palesemente provocatoria, a voce bassa: “Converrai che potrei farci qualcosa io al riguardo…”. I suoi occhi scuri ebbero un bagliore nuovo, un bagliore che Lily aveva colto ultimamente, a cui non aveva risposto, volutamente. Perché sapeva che qualcosa sarebbe andato fuori controllo, se lo avesse reso partecipe di alcune cose che le passavano per la testa. Pensieri normalissimi, si diceva pure Lily, con i quali aveva imparato a convivere. Aveva cercato di origliare qualche discorso delle ragazze più grandi, aveva cercato in biblioteca qualche libro - qualcosa aveva fatto per informarsi, ma i suoi pensieri nonostante tutto, continuavano a galoppare. A tratti la turbavano, a tratti le piacevano, ma non poteva mandarli fuori controllo. Non a Hogwarts. Non prima dei G.U.F.O.. 
Lily rimase interdetta, fece per rispondere, per continuare quella battaglia sul filo delle battutine - e lei amava quel senso dell’umorismo di Severus, non ne poteva fare a meno, era in grado di farle perdere la testa - ma rimase senza parole. “Sev…” riuscì solo a dire. “Non a Hogwarts. Non prima dei G.U.F.O.. Lily, accidenti, FERMATI!” la sua mente era divisa tra quella Lily che avrebbe accettato l’invito di Sev, per pura e semplice curiosità e non ancora per necessità fisiologica, e quella Lily ligia al dovere, che aveva in mente di prendere il massimo dei voti agli esami del quinto anno e non doveva avere troppe distrazioni - visto che quella di stasera le era costata non poco.
Il ragazzo riprese il controllo della situazione: “Andiamo in infermeria che mi faccio controllare il naso”. Sembrava imbarazzato.
“Sarà meglio…” osservò lei “Comunque, che appunti erano? Non mi avevi risposto prima!” disse Lily, cercando di riprendere un discorso quanto più normale possibile. 
“Uh… Erano di… Storia della Magia” mentì Sev. 
“Merlino, che noia mortale, quasi hai fatto bene a perderli” osservò Lily scherzosa. Il ragazzo le lanciò un’occhiataccia: che fosse vero o meno, lui ci teneva molto ad avere appunti ordinati e precisi e di tutte le lezioni frequentate.  
“Va bene, Sev, stavo scherzando - domani te li porto”. Lily lo prese per mano e riprese a camminare “Che poi prendi un Oltre Ogni Previsione, anziché un Eccezionale come il tuo solito, e ci rimani male” e gli fece una linguaccia. 
“Disse quella che aveva tutti Troll” la rimbeccò Severus, inarcando un sopracciglio. Lui scherzava, ma dentro di sé continuava a essere terrorizzato dal fatto che la pergamena potesse essere finita nelle mani sbagliate.

* * * 

E di nuovo ciao a tutti!

Sono così felice di essere tornata a scrivere! :D Mi siete mancati un po’ tutti!

Vi confesso una cosa: non sono stata con le mani in mano dall’ultimo aggiornamento di Irish Rain. Ho scritto qualche capitolo e mi sono portata avanti nel silenzio. Solo che, per come sono fatta io, non volevo pubblicarli troppo nudi e crudi. Avevano bisogno di tempo, di correzioni e ripensamenti, anche perché è un momento delicato della storia e non volevo rovinarlo. E non voglio rovinarlo! Così come non vorrei rovinare Irish Rain per la fretta.

Quindi, sì, ci saranno aggiornamenti estivi decisamente più frequenti rispetto a quelli da Cometa di Halley :P Non so se riuscirò a garantire lo stesso in autunno / inverno, ma ci provo!

Per il resto, la vita va avanti, mesi difficili e mesi meno difficili, una brutta bestia sconfitta, nel frattempo, e… Via, tra studio, canto, scrittura… Mi faccio un poco di pubblicità, perché è quasi un annetto che ho una band a Parma: i Signal To Noise ;) Chissà, magari si viene a suonare dalle parte di qualche mio lettore / mia lettrice :P

A prestissimo, dunque!

Lily White Matricide <3

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Capitolo 42
*** Map Of The Problematique ***


42.

Map Of The Problematique

 

“Loneliness be over

When will this loneliness be over

Life will flash before my eyes

So scattered and lost

I want to touch the other side

And no one thinks they are to blame

Why can't we see

That when we bleed we bleed the same"

Map Of The Problematique - Muse

Miranda Lynch si sentiva fortunata, per quanto la situazione fosse delicata. Si sentiva fortunata, perché ultimamente riusciva a vedere suo padre, anche solo per qualche minuto, quando lui si recava da Albus Silente. C’era un buon motivo per sentirsi felice di averlo più vicino del solito. 
Tanti adolescenti approfittavano di Hogwarts come un modo per distaccarsi dai genitori, come un’occasione per muovere qualche passo in totale autonomia, o quasi. Era un’occasione per liberarsi di rimproveri, di controlli, di tante piccole infinitesimali discussioni su quanto fosse in ordine la stanza, se i compiti fossero stati fatti, sull’orario del coprifuoco quando si usciva con gli amici. Lei non aveva fatto eccezione, fino a un anno prima era una di queste adolescenti ribelli che aveva bisogno di respirare aria nuova, a cui non piacevano quasi tutti gli abitanti di Mile Droichead, che considerava dei vecchi conservatori noiosi e chiusi di mente; si sentiva soffocare all’interno della Confraternita e ci rimaneva unicamente perché voleva diventare un’Evocatrice - era consapevole che quella sarebbe stata la sua strada. Era chiaro ci rimanesse solo per suo padre. Non che avesse avuto mai particolari problemi con lui, il loro legame era molto forte, schietto e sincero, ma mai opprimente da parte di Gabriel. Anche Catherine non avrebbe mai tollerato di avere un rapporto troppo severo con Miranda negli anni; ma forse neanche un rapporto da genitori-amici, o da madre-sorella; nessuno dei tre poteva saperlo con certezza, perché Kate se n’era andata prima del tempo e Gabriel aveva avuto il compito delicatissimo di trovare il giusto equilibrio tra fermezza e complicità. Lo aveva dovuto fare in apparenza da solo, ma lui non si era mai sentito tale, costantemente accompagnato dalla presenza della moglie. Aveva avuto anche lui la paura di sbagliare tutto con sua figlia, di darle principi sbagliati, di impedirle di fare i suoi errori in autonomia, ostacolando qualsiasi percorso diverso da quelli conosciuti. Aveva avuto timore di essere stato a tratti troppo permissivo, di aver chiuso troppi occhi su aspetti che potevano ritorcerglisi contro. C’erano sere in cui pensava che guidare la Confraternita fosse incredibilmente più facile che crescere una figlia; e c’erano molti, moltissimi momenti in cui Miranda era cresciuta in maniera veramente esemplare, avendo preso il buon carattere di Catherine e l’intelligenza e la curiosità di Gabriel. Momenti in cui l’uomo si sentiva totalmente ripagato di qualsiasi fatica e di qualsiasi vaneggiamento o preoccupazione che lo lasciava insonne la notte. Ogni giorno si sentiva orgoglioso di quello che era e stava diventando sua figlia, e non aveva mai voluto costringerla a diventare Evocatrice. Pertanto, il giorno in cui il Maestro aveva deciso di affrontare il discorso con la figlia, si era trovato subito di fronte alla determinazione di Miranda di seguire le orme dei genitori; e questa determinazione era accompagnata da una grande naturalezza, come se la ragazza non volesse sentire altre alternative o come se le avesse già soppesate e le avesse già eliminate dalla lista in totale autonomia.
“Sei sicura di non voler andare fuori di qui? Ci sono tante possibilità fuori da Mile Droichead” aveva osservato affettuosamente Gabriel, benché emozionato di sapere che la figlia avesse scelto quella strada. “Potresti avere una vita diversa dalla nostra…”
Miranda aveva lo sguardo fisso verso la finestra, verso uno spettacolare tramonto estivo, appena dopo un temporale. Guardava fuori, con il viso appoggiato a una mano. Ma nel momento in cui suo padre aveva iniziato a parlare, si era voltata per guardato negli occhi. Era tipico della ragazza passare dall’essere pensierosa all’estremamente concentrato - forse era finita a Corvonero per quello. 
“Sai, papà, ci ho pensato” iniziò Miranda - intanto che la sua mano si allungava verso la tazza di tisana allo zenzero - “Ci ho pensato su quello che vorrei fare dopo Hogwarts, il mio futuro… Per quanto fuori da questo posto la vita sembri più allettante, il mio posto è qua. L’Evocazione è un’arte che sento molto mia ed è un percorso che mi sento di affrontare”.
Il Gabriel padre la guardava commosso, in piedi, dall’altra parte del tavolo, mentre il Gabriel Maestro e guida della Confraternita era fermo nel farle presente i rischi e i sacrifici che richiedeva la Via della Purificazione, la cui prova finale era la visita dei Nove Mondi e l’evocazione di uno Spirito. L’uomo aveva deciso già da tempo che sarebbe stato la guida di sua figlia lungo la Via - alcuni aspiranti Evocatori venivano seguiti da altri Maestri - anche se questo avrebbe comportato il passo più doloroso. Nella visita dei Nove Mondi, arrivando all’ultimo, quello più temuto, quello più crudele che molti faticavano persino a nominare, Gabriel si sarebbe incarnato nel demone più crudele, a rappresentare la paura più grande della figlia. Quella prova di rado era mortale, nella lunghissima storia della Confraternita vi erano stati pochissimi morti, era più facile che quei pochi sfortunati non passassero la prova, o peggio, la passassero rinunciando al loro Dono, il che implicava l’uscita dalla Confraternita. Nella sua esperienza di Maestro gli era già capitato di diventare il demone di qualcuno, ma il pensiero di diventare il demone di sua figlia, e potenzialmente essere in grado di ucciderla, non l’aveva ancora razionalizzato del tutto. Il Gabriel Maestro voleva che diventasse la migliore delle Evocatrici, e per quanto il Gabriel padre avrebbe fatto di tutto per renderle la Via della Purificazione più facile e più sopportabile, il Maestro non le avrebbe fatto sconti. 
Miranda si sentiva fortunata per questo e quel ricordo era l’esempio massimo della sua fortuna - perché avrebbe avuto accanto suo padre in un momento importantissimo della sua vita, di giovane donna e di strega. Ma, c’era un ma che impreziosiva quei minuti rubati, quei dialoghi veloci, quei “Miranda, stai bene?” “Sì, papà, studio e dormo poco” “E mi auguro che tu ti ricordi di mangiare, ogni tanto”, quell’immancabile pacchetto di Cose-Che-Ti-Possono-Essere-Utili. Era quella consapevolezza di fragilità, quell’eventualità che per una guerra, non avrebbe potuto avere suo padre accanto. Si è Maestri, si è Evocatori, si può essere onnipotenti, ma tutti su quel pianeta erano fatti di carne e sangue. E prima o poi, si moriva. Una ferita è pur sempre ferita, il sangue scorre fuori uguale per tutti: amici, nemici, conoscenti e sconosciuti, Evocatori, maghi e Babbani. La fine era una sola per tutti, si diceva, Miranda. Il timore che Gabriel fosse portato via da quella guerra faceva aggrappare la ragazza a quei minuti in più, inaspettati, e per questo ancora più graditi. Tuttavia, continuava a sperare di poter iniziare il cammino lungo la Via guidata da suo padre. 
Quella sera in cui si era incontrato con Silente e anche qualcuno del Ministero - Crouch, forse? Miranda aveva capito male? - Gabriel era esausto. Aveva chiesto, malgrado l’orario indecente, di vedere Miranda per più della solita manciata di minuti. La giovane ovviamente aveva saputo dell’arrivo del padre con anticipo ed era rimasta sveglia. Silente aveva concesso l’incontro tra padre e figlia mettendo a disposizione il suo studio e la ragazza era arrivata ancora con la divisa addosso.
“Potevi stare più comoda…” le fece notare con dolcezza Gabriel, mentre si alzava per andarle incontro e abbracciarla.
La ragazza sorrise e lo abbracciò forte, appoggiando la testa sulla sua spalla, non senza prima averlo baciato sulla guancia. Ogni volta che lo vedeva, in quel periodo, il suo abbraccio si faceva sempre un po’ più forte e prolungato. Aveva il viso un po’ stanco, sicuramente meno stanco di quello del padre, ma all’uomo non sfuggirono le occhiaie un po’ più pronunciate, il viso lievemente sciupato e i capelli raccolti distrattamente e un po’ piatti. Gabriel le passò una mano tra i capelli, senza disfarle la pettinatura improvvisata.
“La vuoi un po’ di cioccolata?” le chiese Gabriel e Miranda si sciolse dall’abbraccio, contenta di essere in qualche modo ancora viziata. 
“Certo! Che domande!” rispose, mentre il padre le passava tre tavolette di cioccolato.
“Silente mi ha detto che ne avresti avuto bisogno, in questo periodo” aggiunse l’uomo.
“Il Preside sa sempre tutto di tutti” disse la ragazza con un sorrisetto, scartando già una tavoletta e prendendone un blocchetto “Cioccolato fondente e petali di rosa! Che raffinatezza”. 
Gabriel le fece segno di sedersi da qualche parte.
“Com’è agnata la riugnone con Scilente?” chiese Miranda, con la bocca piena “Che vi sciete-“
“Miranda” la corresse dolcemente l’uomo “La bocca piena”. Di colpo, gli tornò in mente quando la ragazza era solo una bambina, e aveva appena imparato a non spargere il cibo ovunque fuori dal piatto e a mangiare da sola, senza che qualcuno la imboccasse. Era una bambina chiacchierona, ma non chiassosa, e le prime volte in cui aveva imparato a mangiare in autonomia e aveva un buon livello di conversazione… Si dimenticava di finire il cibo nel piatto, persa nelle cose da raccontare.
La ragazza sobbalzò e si portò la mano alla bocca. 
Shcusha!” disse imbarazzata. Si fermò e inghiottì il boccone, per poi continuare “Che vi siete detti?”. Lei era al corrente della situazione, ma per il semplice motivo che lei e suo padre non volevano avere segreti. Questa era una questione abbastanza delicata, ma Miranda era stata educata anche alla riservatezza e alla discrezione.
Gabriel sospirò - un lungo sospiro liberatorio, durante il quale, qualche ruga parve distendersi. “È stata una cosa lunga, ma… In un certo senso, il Ministero ci appoggia”. 
“In un certo senso?” fece lei, per poi addentare un altro po’ di cioccolata.
“È stato dura convincerli - abbiamo dovuto usare le maniere forti”.
La ragazza non poteva immaginare che Lynch fosse arrivato a usare i suoi personali ricordi, proiettati dal Pensatoio, per convincere Crouch della gravità della situazione. Era stata una mossa dura, ma aveva ottenuto l’effetto sperato, perlomeno in parte. All’Ordine bastava avere un tacito appoggio da parte del Ministero, per quanto riguardava eventuali attacchi verso Lord Voldemort o attacchi subiti dal Signore Oscuro, e all’Ordine bastava un accesso libero, ma segreto, alle informazioni che il Ministero possedeva tramite il Dipartimento dell’Applicazione delle Leggi Magiche. Non ultimo, per l’Ordine guidato da Silente era fondamentale che gli Auror si sentissero liberi di unirsi all’organizzazione segreta e di mettersi a disposizione senza limiti. Un attonito Crouch aveva ceduto su tutta la linea, dopo aver visto tutto quello che c’era da vedere - e Lynch non era sicuro che da lì in avanti il capo del Dipartimento avrebbe avuto sonni tranquilli, dopo aver visto i ricordi e le testimonianze di prima mano del Maestro della Confraternita. Tuttavia, a volte certi stupidi burocrati non lasciavano alcuna scelta, ma questi erano anche in grado di prendere decisioni draconiane, dopo aver preso consapevolezza che loro non sarebbero stati meno in pericolo del resto del mondo magico, in caso di attacco. E la decisione drastica sarebbe arrivata presto e avrebbe complicato ulteriormente i rapporti tra l’Ordine della Fenice, Confraternita degli Evocatori e Ministero della Magia. Per Lynch e Silente, però, quella rimaneva una pur piccola vittoria e volevano godersela per qualche ora, prima di pensare al resto della lunga guerra. 
Padre e figlia rimasero in silenzio per un po’, con Gabriel che osservava Miranda sbocconcellare la cioccolata - l’unico rumore per qualche minuto fu quello della stagnola rotta e della cioccolata che si spezzava in blocchetti.    
“Vero che anche se ci sarà una guerra, non mi lascerai sola?” chiese Miranda tutt’a un tratto.
Gabriel, che era assorto, spalancò gli occhi e la guardò. Non aveva mai chiesto una cosa del genere. La ragazza sapeva tutto sin dall’inizio, ma non aveva mai esternato questo suo timore, peraltro pienamente comprensibile.
L’uomo si alzò, per andare verso la giovane, che aveva gli occhi bassi e fissava la pallottola di stagnola e il cartoncino della confezione tutto spezzettato. Aveva gli occhi lucidi. Lynch si rese conto di quanto la Miranda donna - che si intravedeva appena in alcuni atteggiamenti più fermi e posati - stesse lottando con la Miranda adolescente, ancora un po’ umorale, emotiva e alla ricerca di riferimenti al di fuori di sé. Una Miranda che aveva bisogno del conforto del padre, che forse esprimeva tutta la sua fragilità e difficoltà nel non sentirsi pronta del tutto a camminare sulle proprie gambe, per quanto volesse. Era cresciuta solo con Gabriel come riferimento, e anche a cinquant’anni sarebbe stato sempre il suo punto di riferimento, perché lui, assieme a sua madre, era tutto quello che aveva ed era colui che le aveva dato - e le stava ancora dando - tutto per crescerla. 
Senza guardarlo, la ragazza lo prese per un braccio, lo strattonò - e Gabriel ridacchiò - e nascose la testa tra le mani dell’uomo, che udì un lieve singhiozzo. Le sue mani si bagnarono di qualche lacrima della ragazza.
“Miranda…” rispose l’uomo commosso “Certo che non ti lascio sola”. Non si era mai sentito di dover fare il padre-eroe, quello che doveva essere l’unico uomo di riferimento nella vita della ragazza, quello che doveva essere il protagonista assoluto nei meravigliosi racconti della figlia ai suoi amici. Ma era felice di quella dimostrazione di affetto, di quella considerazione, ed era visibilmente emozionato. L’uomo aveva due sogni: uno gli era stato portato via, passare una vita con Kate non era più possibile, forse in un’altra vita si sarebbero incontrati di nuovo e avrebbero potuto avere un’altra possibilità; mentre invece l’altro era di stare accanto alla figlia il più a lungo possibile, e almeno quello voleva realizzarlo.
“Lo sai che farò di tutto per metterti al sicuro e tenere in vita la Confraternita”.
Miranda finalmente alzò la testa e si fece vedere, con la faccia inumidita dalle lacrime, ma sorridnte.
“Solo… Non esagerare, papà. Devo diventare Evocatrice sotto la tua guida. Ricordi?”.

Severus stava aspettando che Lily ritornasse da Hogsmeade con gli ultimi ingredienti per poter preparare il Distillato della Pace. Nei giorni immediatamente successivi alla rissa nel parco, si era buttato sul tema di Trasfigurazione - che andava scritto con precisione, la McGranitt non amava l’approssimazione - per poi concentrarsi sul Distillato, che era di difficile preparazione e non ammetteva distrazioni o altri compiti da fare in mezzo. Fortunatamente, non avevano ricevuto un termine di consegna del preparato, diversamente da quanto deciso dalla McGranitt per la sua materia, quindi avevano un po’ di tempo - e soprattutto il weekend a disposizione - per preparare la pozione con cura. Nei giorni immediatamente successivi alla rissa, però, aveva notato quanto Mulciber e Avery si fossero fatti alquanto irritanti nei suoi confronti. Avevano preso un atteggiamento troppo amichevole, che poco piaceva a Severus. Per ovvi motivi, non poteva allontanarli del tutto, perché era necessario capire fino a che punto fossero vicini al Signore Oscuro. Se non loro - e si augurava che fosse così, data la giovane età, ma il suo precoce cinismo era del parere contrario - quantomeno gli interessava sapere fino a che punto le famiglie dei due fossero immischiate in quelle losche vicende. E aveva cercato di entrare molto in confidenza pure Regulus Black, fin troppo, per i suoi gusti. Doveva rigorosamente agire in solitudine e non voleva che nessuno si mettesse in mezzo, perché avrebbe potuto costituire un serio impiccio nella sua faticosa acquisizione di informazioni. Tuttavia, gli sembrava una brava persona, per essere di una famiglia Purosangue e Serpeverde, e non sembrava neanche avere tendenze all’idiozia come suo fratello Sirius - e non a caso quest’ultimo era finito a Grifondoro, scatenando sentimenti di onta e disonore nei familiari. 
Regulus era una persona discreta e abbastanza sulle sue, in apparenza. In apparenza, perché a Sev dava l’idea di essere uno che potesse esplodere da un momento all’altro - se preso in maniera sbagliata. Era piuttosto studioso ed aveva una resa che dava buoni e ottimi voti e la famiglia non mancava mai di lodarlo e premiarlo in maniera eclatante, mandando gufi con doni di ogni genere, per far notare a Sirius di essere dalla parte del torto e che la strada dell’obbedienza aveva più vantaggi rispetto a quella della ribellione. Ma Regulus perché cercava lui? Quando vedeva Severus in Sala Comune, si limitava a sederglisi vicino e a osservarlo, qualsiasi cosa facesse. Essere guardato così, mentre leggeva per piacere o mentre studiava, lo metteva profondamente a disagio. Più di una volta era tentato dal chiedergli bruscamente “Black, che cosa vuoi? Non me ne basta uno di Black con cui avere a che fare?”, però si sentiva in colpa a trattare in malo modo una persona che non aveva niente di cui spartire con il ben più scellerato fratello. Ogni tanto si scambiavano qualche parola, ma le conversazioni rimanevano abbastanza distaccate e non particolarmente interessanti. Il loro argomento preferito erano le pozioni, dato che Regulus era stato ammesso al Luma Club per la sua buona rendita e bravura. Ma al di là di quello, a Sev sarebbe piaciuto chiedergli perché si fosse lanciato nella rissa. Per quale motivo? Aveva bisogno di confrontarsi con il fratello, forse? Perché cacciarsi in un guaio inutile? Potevano vedersela in separata sede. 
Poi, il giorno seguente alla rissa, Regulus gli aveva rivolto la parola, mentre Severus stava prendendo appunti per il suo tema.
“Severus, ti posso chiedere una cosa?” gli chiese.
Il ragazzo alzò lo sguardo e lo guardò con un’aria da “Se proprio devi”. 
“Mulciber e Avery -” iniziò Regulus.
“Non sono miei amici” lo interruppe Sev “E abbassa la voce”.
“Ma sono potenti, no?”.
Potenti? Sono dei maghi mediocri, buoni solo a usare la bacchetta per lanciare questo o quell’incantesimo, pensò il giovane.
“Dipende cosa intendi”. 
La loro conversazione media era sempre molto arida, ma in quel frangente, Severus si era messo sulla difensiva ed era diventato tagliente.
Regulus rimase in silenzio. Lui si era scelto Severus come guida, in totale autonomia, perché ancora non poteva dire di essere suo “amico”. E il diretto interessato avrebbe dovuto sbrigarsi a rendersi conto che non si sarebbe liberato di Regulus molto facilmente. 
“Se per potenti intendi due maghi che sono in grado di esaltarsi per un incantesimo lanciato con la bacchetta, allora sì, lo sono”.
“Riformulo la domanda, allora: hanno famiglie potenti?” Regulus guardò il compagno di casata in maniera eloquente, invitandolo a capire al volo quello che era il messaggio subliminale.
“Non credo che la Sala Comune di Serpeverde sia il luogo più opportuno per parlarne”.
“Lo so che cosa stanno cercando di fare quei due” osservò l’altro “Non sono consapevoli del guaio in cui si stanno cacciando”
Severus inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia “Vediamo, che cosa sai?” chiese sarcastico.
“Loro sanno che cosa sta succedendo di ‘strano’ nel nostro mondo - sanno degli attacchi ai Nati Babbani, hanno qualche fonte esterna che li informa. E simpatizzano per Tu-Sai-Chi, per usare un eufemismo” sulle ultime parole abbassò la voce.
Severus rimase sbalordito, Regulus sorrise innocente.
“A volte fare Black di cognome non è sinonimo di imbecillità” commentò “Ed essere il pupillo della famiglia ha i suoi vantaggi - anche la mia famiglia Purosangue è…”.
A Sev ribollì il sangue. Quel moccioso ne faceva pure motivo di vanto avere la famiglia coinvolta nei progetti del Signore Oscuro. Doveva metterlo in guardia circa il guaio in cui si sarebbe andato a cacciare, a fare il bambino d’oro della famiglia Black, subito. 
“Non mi interessa che cosa pensi il tuo parentado o che cosa faccia a casa sua. Però lasciami dire che, se a Tu-Sai-Chi dovesse andare male, loro sarebbero i primi a finire ad Azkaban. Se vuoi un mio consiglio: stanne fuori, è meglio”.
Regulus rimase stupito - non si aspettava una reazione del genere da parte dell’altro, pensava che…
“Ma io pensavo che tu volessi diventare come Mulciber e Avery…”.
“E abbracciare e sostenere qualche assurda e retrograda idea di purezza di sangue? E finire ad Azkaban a vita, se mi va bene, per questo? Regulus, ti facevo più intelligente” lo punzecchiò. Forse Regulus e Sev avrebbero potuto essere amici e compagni di battaglia. Ma doveva prima capire perché a Regulus interessava così tanto entrare nel giro di servitori e tirapiedi di Lord Voldemort.
“Tutti a casa sono certi che -“ iniziò Black.
“Beati loro che hanno certezze prima ancora di essere entrati nel vivo dell’azione” lo rimbeccò Severus “Rifletti se valga la pena sostenere un’idea del genere”. Il ragazzo non aveva mai dato peso alla questione di sangue puro o meno - essendo lui stesso un Mezzosangue, gli pareva un controsenso schierarsi a favore dei Purosangue. Della questione gli importava nella misura in cui Lily, da Nata Babbana, era in pericolo. Era lei che doveva salvare - e se poteva fare qualcosa per altri Nati Babbani, collaborando con Silente, che vedeva il problema in tutta la sua complessità e gravità, tanto meglio. Sarà stato egoista, ma per Sev, Lily era tutto. Lui avrebbe fronteggiato il Signore Oscuro per lei, non per chissà quale gloria.
“Dimmi Regulus, perché faresti una cosa del genere?”.
“Perché voglio vedere se questo Tu-Sai-Chi è davvero potente come dicono” rispose.
“Sei stupido, o completamente stupido!?” esclamò Sev allibito.
Regulus era stufo di essere il prediletto di casa, un prediletto che doveva seguire pedissequamente i precetti famigliari. Non voleva più essere una pecorella mite e obbediente, voleva diventare la stella più brillante della famiglia Black, esattamente come la stella da cui avevano preso il nome. Non voleva essere un suddito, lui voleva essere il re della famiglia. E per diventare re, a volte occorreva essere autori di azioni uniche e degne di nota. Diventare il preferito di Lord Voldemort, a prescindere dal fatto che condividesse i suoi principi o meno? Poteva essere un’idea. I Black, alla fine, erano una famiglia di servitori vestiti di sete e velluti, e lui voleva affrancarsi da quella condizione insopportabile.
Solo che Regulus non poteva spiegare tutto questo a Severus. Non in quel momento, perché sarebbe stato certamente frainteso.
“Abbi fiducia in me, permettimi di seguirti e vedrai che non ti sembrerò più stupido” gli disse.

“Eccomi, Sev!” esclamò Lily, trovandolo in una delle aule messe a disposizione per gli studenti come laboratorio per preparare pozioni. Di solito, c’era sempre uno studente del settimo anno, in accordo con il professor Lumacorno, a controllare che il laboratorio non fosse messo sottosopra e che nessuno studente si facesse del male durante la propria esercitazione. Di solito, gli studenti messi a guardia del laboratorio erano tutti membri del Luma Club. 
Lily appoggiò la busta con gli ingredienti che mancavano alla preparazione e iniziò a tirarli fuori. 
“Due dosi di polvere lunare… Due mazzi di fiori di gelsomino… Il resto è lì con te, Sev?”.
“Certo. Intanto che ti aspettavo, ho lavato i paioli e l’attrezzatura”. Sev si tolse il mantello, il maglioncino e si tirò su le maniche della camicia. Lily fece lo stesso e aprì il libro di Pozioni alla pagina del Distillato della Pace. 
“Pronto?” chiese Lily. Sev annuì.
Sembravano due chirurghi all’opera, attenti e concentrati nella preparazione della pozione. Le uniche parole che si scambiavano erano richieste di ingredienti o di qualche strumento. Cercavano di eseguire ogni passo della preparazione insieme, in modo tale da non sbagliare procedure e tempi. 
Quando ebbero mescolato entrambi la polvere lunare, per tre volte in senso antiorario, Lily prese la clessidra e fece in modo che segnasse sette minuti esatti. Nel dubbio, Sev prese come riferimento il vecchio orologio a pendolo presente nel laboratorio. 
In quei sette minuti, a Lily venne la tentazione di chiedere al ragazzo perché fosse così tanto inquieto negli ultimi giorni; da quando c’era stata la rissa, non era più così sereno. Una persona esterna, che non conosceva affatto Severus, poteva dire che fosse una semplice ansia nel voler finire i compiti assegnati per punizione. La ragazza sapeva benissimo che i compiti erano l’ultimo dei problemi del giovane, perché era molto ligio e scrupoloso. Lily era consapevole che prenderlo di petto, soprattutto durante la preparazione di una pozione tanto delicata, poteva dare pessimi risultati in termini di conversazione, oltre che un preparato da rifare da zero. Entrambi i ragazzi, inoltre, non avevano così tanti soldi da spendere nuovamente in polvere lunare e gelsomini. 
Nell’esatto momento in cui Lily trovò il modo più stupido per iniziare la conversazione con Sev, il ragazzo trovò anche lui un motivo per parlare.
“Sai che Miranda mi ha regalato una copia della Edda in prosa!?” esclamò Lily, mentre contemporaneamente Sev disse: “Quanto ti devo per gli ingredienti?”. 
I due ragazzi si guardarono interdetti e scoppiarono a ridere.
“Vai, Lily, prima tu” disse Sev ridacchiando.
“Okay… Dicevo, sai che Miranda mi ha regalato una copia della Edda in prosa?”.
“Bellissima! È per farti capire come sono nati gli Evocatori?” chiese il ragazzo sinceramente incuriosito.
“Sì, qualcosa del genere; per la Confraternita degli Evocatori è il testo di riferimento per quanto riguarda la nascita del mondo magico. Secondo il padre di Miranda, all’interno del libro ci sono anche molti riferimenti agli incantesimi che utilizziamo oggi. Non solo incantesimi, ma anche strumenti, luoghi magici… È interessante!” spiegò la ragazza, intanto che teneva d’occhio la clessidra. Il ragazzo, nel frattempo, stava richiudendo il barattolo di polvere lunare, non senza prima aver pulito gli strumenti utilizzati. Il passo successivo era l’aggiunta dell’elleboro, da far bollire per non più di venti minuti, altrimenti, oltre quel tempo di ebollizione, il fiore avrebbe rilasciato una sostanza tossica. Ed era proprio quello l’errore più comune, che mandava a monte gran parte delle preparazioni del Distillato della Pace: oltre i venti minuti, la pozione sarebbe diventata il Distillato del Sonno Eterno. Chiunque lo avesse bevuto, sarebbe crollato in un sonno eterno e preparare l’antidoto non era così semplice. 
“Se vuoi” aggiunse Lily “te lo presto da leggere”.
“Volentieri” rispose concentrato il ragazzo. “Sono passati sei minuti!” aggiunse, con una punta di eccitazione. “Ah, Lily, quanto ti devo per gli ingredienti?”.
“Ma ti pare, Sev? Nulla!” esclamò lei, mentre tornava di fronte al suo paiolo.
“Non scherzare, ti saranno costati un occhio della testa!” ribatte lui.
“Vorrà dire che mi offrirai qualcosa a Mielandia o ai Tre Manici di Scopa, qual è il problema?” rispose lei con un sorriso, pregustando già la bontà di un sacchetto colmo di Api Frizzole e Pallini Acidi. Oppure, nella sua testa si immaginava già nel pub di Madame Rosmerta, con un boccale di Burrobirra e un bel Sandwich Artù Doppio: era un panino composto da doppio strato di pollo, insalata, cetrioli freschi, formaggio tagliato a strisce sottili, funghi e la fenomenale Salsa Rosmerta - la cui ricetta era segreta e la pergamena su cui era stata scritta era custodita nientemeno che alla Gringott. Il tutto era accompagnato da patatine fritte roventi e croccanti.
“Smettila di pensare al Sandwich Artù Doppio, che poi ti lamenti che sei in carne” le fece il verso Severus.
“Ma io non sono in carne! Solo che a volte mangio come se non avessi mai visto del cibo in vita mia” si giustificò la ragazza “E… Me ne pento”.
“Non ti preoccupare, tra un quindici anni il metabolismo ti chiederà il conto. Per ora, puoi continuare a mangiare per due senza diventare una balaenoptera musculus” la consolò Sev. Se quello poteva essere considerato un modo per consolarla.
Lily ridacchiò per il modo in cui Sev era solito scherzare - sempre pungente e raffinato - intanto che buttava nel paiolo l’elleboro e rigirava la clessidra.
“Venti minuti” osservò la ragazza. 
Questa volta riuscirò a parlargli come si deve e scoprirò che cosa c’era scritto in quella pergamena. Altro che appunti di Storia della Magia, pensò Lily.
“Sev, ascolta” iniziò lei “Gli appunti che avevi perso… Erano davvero di Storia della Magia?”.
Colpito e affondato, Sev sbiancò in volto.
Lily lo aveva ingannato come sempre, ogni volta che voleva sapere qualcosa di importante. Passava prima per un argomento stupido, per fargli abbassare la guardia, poi tornava all’attacco con la domanda spinosa.
Aveva vinto lei, con la sua ostinazione e la sua curiosità. Le piaceva anche per questo. E a questo punto, le doveva una spiegazione - a prescindere da una sua possibile reazione. 
“No, non lo erano” rispose lui, cercando di essere il più calmo possibile “Ma suppongo che adesso ti debba una spiegazione”.
Ho poco meno di venti minuti per spiegarle tutto, cercare di evitare una Maledizione senza Perdono, e fare bene il Distillato pensò Sev. Tuttavia, giunto a quel punto, non poteva mentirle di nuovo.

James era pronto per provare a usare quell’incantesimo. Pensava di aver imparato bene i movimenti, osservandoli mentre li eseguiva di fronte a uno specchio del dormitorio.
E se c’era un pregio di Mocciosus, era proprio che scrivesse bene e fosse molto chiaro e preciso in ogni didascalia e in ogni disegno. Non glielo avrebbe mai detto, ma doveva ammetterlo almeno a se stesso, tanta precisione lo stava aiutando a imparare un incantesimo nuovo. Si sarebbe divertito un sacco a scagliarlo contro Mocciosus e qualche altra persona che gli stesse particolarmente antipatica. Vederli sospesi per aria, fluttuando a testa in giù, sarebbe stato decisamente spassoso. Poteva essere divertente da sperimentare sulle ragazze, in caso di un rifiuto a uscire con lui, ma si sarebbe attirato non poche antipatie e non pochi schiaffi. 
Pensava di essere pronto a sperimentarla su uno dei suoi cari amici Malandrini. E si decise a farlo in un pomeriggio di bighellonamento - senza particolari danni causati a cose o persone - mentre vagavano per un’ala del castello particolarmente non frequentata.
Le mani di James prudevano d’eccitazione, dentro di sé era tutto un fremito. Su chi provarlo? Su Minus era fuori discussione, non dava soddisfazione, si sarebbe limitato a farfugliare e tartagliare qualcosa. Non valeva la pena di provarlo neanche su Sirius, avrebbe reagito troppo bene allo scherzetto, e avrebbe scatenato una zuffa giocosa, che si sarebbe protratta troppo a lungo per non allertare qualche Poltergeist o Mrs. Purr, che vedeva e sentiva tutto, dovunque si trovasse. E allarmare la gatta del custode Gazza comportava l’immediata comparsa dello stesso. Ne seguivano conseguenti convocazioni dai professori, punizioni e punti tolti a Grifondoro. L’ultima rissa con Mocciosus era costata parecchi punti a tutti - e stava costando cara in termini di reputazione a Remus, che era stato nominato Prefetto, nomina ricevuta con la vana speranza di riuscire calmare i propri amici.
Per quello che riguardava, a James non cambiava che Remus fosse Prefetto o meno - era prima di tutto uno dei suoi migliori amici - il loro rapporto era basato sull’allegria e su una sana, forse anche troppa, dose di goliardia. Lo avevano sostenuto in tutto e per tutto, nella difficoltà suprema di accettare la propria natura di licantropo, erano diventati Animagi per lui, per farlo sentire accettato.
A Remus non gli si addiceva per niente il ruolo di Prefetto e valeva la pena di ricordarglielo.
“Ehi, Lunastorta!” esclamò James quel pomeriggio. Remus alzò la testa dal suo libro che stava leggendo senza troppo impegno.
“Che hai, Ramoso?” chiese lui.
“Devo farti vedere una cosa. Alzati in piedi” lo invitò James.
Remus si alzò e in quell’attimo, James ripassò mentalmente i movimenti, un istante prima che li ripetesse veramente ed esclamasse: “Levicorpus!”.
In un attimo, l’amico si sollevò in aria e finì a testa in giù. Sirius rimase sbalordito, mentre Minus iniziò a tremare spaventato - e, come prevedibile, iniziò a farfugliare qualcosa senza senso. 
L’amico a testa in giù iniziò ad agitarsi e a imprecare.
Merlino! Ma James sei impazzito!? Fammi scendere! E questo dove lo hai preso!?”
Sirius iniziò a ridere a crepapelle, poi urlò: “E questo da dove lo hai tirato fuori!? Devi insegnarlo anche a me!”.
“PRIMA FAMMI SCENDERE, CRETINO!” urlò Remus.
Sentitelo, il Prefettino Cretino!” lo canzonò James. 
“Perfettino Cretino!” disse sguaiato Sirius.
Liberacorpus” con un movimento veloce, James liberò l’amico da quell’agonia.
Si guardarono tutti in faccia, con Remus che per qualche secondo fu tentato dallo strangolare James. Poi scoppiò a ridere.
“Bel colpo!” si avvicinò e diede una pacca sulla spalla a James “adesso però ci devi raccontare dove lo hai tirato fuori”.
“Beh, dovete ringraziare Mocciosus” spiegò lui. Gli altri lo guardarono un po’ perplessi.
“Davvero, quel tonto di Mocciosus, forse accecato dai capelli che non si taglia da un po’, il giorno che ci siamo scontrati, ha perso per strada questa” e tirò fuori dalla tasca la pergamena. Gli altri si avvicinarono per vederla. 
“Accidenti! Ha perso proprio una pergamena da poco…” osservò Sirius “che imbecille!”.
“Spiegata fino al minimo dettaglio, direi” continuò Remus e prese in mano il pezzo di pergamena. Continuò a esaminarla e aggiunse “Direi che possiamo imparare tutti quest’incantesimo”.
“Teniamolo solo per noi quattro, però” si affrettò ad aggiungere James “Ho in mente il mio ringraziamento a Mocciosus, per questa perla…” e gli occhi azzurri si riempirono del bagliore furbo tipico di un Malandrino. La strada per avere Lily gli sembrò di colpo tutta in discesa.

* * * 

Riflessione stupidissima: mi è venuto in mente un dettaglio logistico non indifferente. Se per compito gli alunni di Hogwarts si trovavano delle pozioni da preparare, dove accidenti andavano? Stavo facendo mente locale e non mi ricordo di aule attrezzate nei libri, anche perché per fare pozioni, è un po’ come stare a Chimica, parlando da Babbana. Hai bisogno di un laboratorio attrezzato dove esercitarti, non puoi neanche imparare la teoria a memoria e poi al primo colpo azzeccare tutto. 

Beh, non ho molto altro da aggiungere - ve l’avevo detto che avrei aggiornato più in fretta in questo periodo! Altri due capitoli sono in fase di scrittura, vediamo cosa riserverà la trance scrittoria nelle prossime settimane. 

A prestissimo! Buon ascolto di “Map Of The Problematique” dei Muse!

Lily White Matricide <3

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Capitolo 43
*** Blood Roses ***


43.

Blood Roses



“You gave him you blood

And your warm little diamond

He likes killing you after you're dead

You think I'm a queer

I think you're a queer

Said I think you're a queer

I think you're a queer

I shaved every place where you been boy

I said I shaved every place where you been, yes"

Blood Roses - Tori Amos

 

La fatica di Voldemort diventava anche la sua fatica.
Ogni goccia di sudore del mago era come se iniziasse a scorrere anche sulla sua fronte, attaccando le ciocche di capelli corvini alle tempie, alla fronte, al naso. Lo vedeva impegnarsi, affannarsi dietro quella gloria che voleva raggiungere a tutti i costi, una gloria più grande di tutti loro e Bellatrix soffriva con lui. Si struggeva per ogni minuscola, quanto rara, dimostrazione di un qualsiasi stato d’animo dell’uomo per cui provava un’adorazione che si immergeva completamente nel liquido viscoso e opaco dell’ossessione. 
Non credeva nell’amore, era un sentimento per i deboli, così si diceva. E secondo Bellatrix, quel sentimento non aveva i contorni definiti e precisi della devozione, della fedeltà assoluta e incondizionata. L’amore era solo una ventata effimera di petali di fiori, di uccellini canterini e di giornate di sole splendente. Lei era devota. Fedele. Ossequiosa. Se il suo amante le avesse detto di trasfigurarsi in uno zerbino, perché lui era contrariato del fatto che i suoi stivali si fossero imbrattati di fango, lei lo avrebbe fatto senza mettere in dubbio l’ordine. Con quel gesto gli avrebbe fatto passare il malumore scatenato da uno sciocco paio di stivali infangati - qualsiasi cosa pur di dargli sollievo e conforto. Qualsiasi cosa, purché fosse lei sola a poterglieli dare.
Eppure, nell’ultimo periodo, lo struggimento della donna si era fatto più intenso, più doloroso, fino a farlo diventare fitte di amarissimo risentimento. Ma ci vedeva pure il riflesso preoccupante dell’odio. Aveva paura a dire che ogni tanto si ritrovava a odiarlo. Odiare Voldemort voleva dire cacciarsi in un guaio, talvolta mortale.
Odiarlo significava mettersi contro di lui - e lui tanto era impenetrabile, tanto era bravo a capire le sensazioni dei suoi sottoposti. La Legilimanzia era un’arte che aveva appreso e studiato a lungo per incantare e ingannare le persone con le sue meravigliose bugie, che una volta raccontate parevano dei capolavori di retorica.
Odiarlo voleva dire rifiutarlo sia come persona, sia come mago, e significava tirarsi indietro dal suo progetto. Uno sgarro, una frase contrariata, un’obiezione ed eri automaticamente fuori, un nuovo avversario da emarginare e possibilmente eliminare. Ma Bellatrix non voleva essere tagliata fuori, voleva fare tutto quello che le fosse possibile per eliminare la feccia del mondo magico - e se poteva farlo da protagonista, era proprio grazie a Lord Voldemort, che aveva radunato e organizzato le forze disorganizzate dei sostenitori della purezza di sangue.
Eppure, ultimamente non poteva fare a meno di nutrire qualcosa di oscuro per lui, che la metteva inconsciamente contro di lui, malgrado tutta la sua devozione. Forse era un’accumularsi di frustrazioni nate nella speranza di poter vedere qualcosa di più sul suo volto, un assaggio di emozione, un lampo nei suoi occhi. Una confessione inaspettata, qualche parola o frase esclusivamente dette a lei o pensate per lei. Niente, da quando erano iniziati i loro rendez-vous segreti e privati, non aveva mai avuto niente di tutto questo. Una parte di lei iniziava a scalpitare per qualcosa di più, per un segno di riconoscenza che lei potesse custodire gelosamente e poterlo definire proprio. Si rotolava da sola nel letto, con Voldemort già lontano, nel suo studio, rivestito di tutto punto, nuovamente in perfetto equilibrio fisico e mentale, con i pensieri lontani da Bellatrix. Lei rotolava tra le lenzuola e le coperte pregiate che coprivano il letto del suo amante, si aggrappava ai cuscini, se li stringeva al petto, cercando qualche traccia ancora fresca di lui, per imprimersela sulla pelle il più a lungo possibile. Ma lui… Sembrava così tutto d’un pezzo. Non lasciava alcuna traccia di sé nel letto, come se fosse invisibile o leggero sulle lenzuola, mentre il ventre di lei era un deserto incapace di accogliere tracce di vita.  A cos’altro poteva aggrapparsi? A quei sporadici baci? A quei momenti trascorsi tra le lenzuola quando lo voleva lui? Non lo sapeva più. A volte le sembravano un sogno, a volte un incubo, perché destinati a finire senza che lei ci guadagnasse qualcosa, né come persona, né come strega. Bellatrix affondava il viso in un tessuto che sapeva solo di marsiglia e poco altro; disperata, sperava in una prossima volta, un prossimo incontro, in cui avrebbe potuto ottenere di più. Eppure, quella “prossima volta” fatidica stentava ad arrivare, e intanto il risentimento cresceva a dismisura, presentandosi all’improvviso, come un ospite sgradito nel suo altare di devozione verso Voldemort. 
Non osava nemmeno mettere in dubbio il modus operandi di Voldemort, l’organizzazione che stava dando a chi aveva deciso di seguirlo; eppure, iniziava a provare del risentimento anche lì, un sentimento bizzoso che si alternava a piccoli scatti d’impazienza, nell’attesa che anche lei avesse un ruolo. 
Era gelosa di tutti gli altri Mangiamorte. Suo marito Rodolphus non contava in quanto marito, era dentro quel calderone di rivalità e gelosie che provava verso chi cercava di sgomitare nel mucchio per farsi notare e diventare il Mangiamorte prediletto del Signore Oscuro. Il problema era che quella gelosia stava diventando deleteria sul rendimento di Bellatrix sul campo: tutti avevano un ruolo preciso, o che era andato definendosi nel corso dei mesi, tranne lei. Lucius Malfoy, suo cognato, era “la bella faccia” della Magia Oscura, gestiva i rapporti al di fuori della cerchia di servitori del Signore Oscuro, rapporti che potevano anche essere tra funzionari di alto livello del Ministero; ma ci teneva anche a mantenere un’aria di sofisticata dignità a Hogwarts, tra i professori, grazie al buon legame con il Professor Lumacorno. Lo slavo, Karkaroff, che Voldemort chiamava Igor Aleksandrovič con molta formalità nel suo tono di voce, era colui che aveva lungamente studiato la magia tradizionale slava e germanica, e aveva bussato alla porta di Lord Voldemort con quelle sue creature strane, in quella Notte dei Cacciatori. E a volte, portava il suo amante lontano, togliendolo dalla sua vista. Perché questo Karkaroff sosteneva che non fosse sufficiente appoggiarsi al mondo della magia inglese, per poterlo conquistare: bisognava contare su tutto l’appoggio esterno possibile. E i suoi studi antropologici e magici lo avevano portato sulle piste della magia slava e quella germanica, da dove aveva scoperto l’esistenza delle Creature Oscure. 
Poi, era arrivato quel Mercurius - assolutamente ambiguo, la donna non aveva ancora capito quali fossero i suoi intenti e non capiva il motivo per cui Lord Voldemort gli desse così tanto credito, su una base di fatti a suo giudizio inesistente. Farneticava sulle Arti Arcane, oramai dimenticate da tutti e, come Karkaroff, sosteneva che per conquistare il mondo magico e oltre, non bastasse il mondo magico inglese. Mentre Bellatrix non voleva nessuno attorno e pensava di essere sufficiente per conquistare una nazione intera con il Signore Oscuro. Lei si sentiva onnipotente accanto a lui, quando era con lui, quando sapeva di avere i suoi occhi addosso nel momento in cui lei lanciava una delle Maledizioni senza Perdono. Usare una Maledizione Cruciatus aveva un gusto in più di cui solo lei conosceva il sapore. 
Pensava di essere sufficiente. Non lo era - e le sue occhiate si facevano più cupe, quando Voldemort si fermava a parlare con Karkaroff per sapere come andasse l’addestramento dei Crioshad, quando si chinava per esaminare gli scritti di Mercurius appoggiati sul tavolo. Quando lui e Lucius erano seduti delle comode poltroncine a sorseggiare vino e a ridacchiare di quanto fosse sciocco questo o quel funzionario al Ministero, o quanto ottuse fossero quelle persone che sostenevano le loro posizioni pro-Nati Babbani di fronte a Malfoy. 
Lei chi era? Lei, Bellatrix, perché era lì, allora? Per scaldargli il letto? Per svuotarlo di una necessità fisiologica che destabilizzava le sue facoltà mentali e magiche? Poteva soprassedere su un qualsiasi riconoscimento sentimentale - e d’altronde lei era sposata, ed era altrettanto vero che in una cerchia del genere, era praticamente certo che qualcuno sapesse della sua liaison con il Signore Oscuro. Ed era altrettanto certo che la notizia fosse passata di bocca in bocca, per arrivare fino a Narcissa, sua sorella; o peggio, poteva essere arrivata ai genitori, Cygnus e Druella. Tuttavia, poteva diventare anche motivo di vanto, l’avere il matrimonio di facciata e l’amante di un certo livello e spessore. Poteva mettere in buona luce la famiglia intera, in caso di vittoria. 
Bellatrix chi era in quel momento? Si sentiva solamente un pezzo di carne - lei che gli aveva dato, forse coscientemente o incoscientemente, molto di più di sé. Gli aveva dato diamanti, il meglio di sé - e l’odiava per questo, perché sembrava totalmente indifferente verso il valore della strega, che voleva il suo posto, il suo ruolo al più presto, ora che la faccenda si stava facendo seria e decisamente interessante. 

Il silenzio non voleva dire quiete totale. Per i poco attenti, ma chi sa ascoltare nel profondo di ciò che lo circonda, il silenzio aveva un suono, un rumore di fondo. Troppo spesso si associava la quiete alla stasi totale, e nel mondo della magia non c’era errore più marchiano che si potesse fare. La magia, l’energia magica che era dentro tutti i maghi e le streghe, aveva una gamma e varietà di suoni - ogni incantesimo aveva il suo fragore, il suo scoppio specifico, il suono di un Alohomora era ben distinguibile da quello di un Expelliarmus. Ma quando la magia non veniva evocata e praticata, non taceva, tutt’altro. 
Il suono della magia c’era sempre e comunque. Era appena una vibrazione, un vetro finissimo leggermente percosso, aveva quel timbro soffuso, ma limpido. Vibrava dentro tutti; o meglio, tutti i maghi buoni.
Mentre il rumore della magia nelle persone che iniziavano ad avere i semi urlanti della cattiveria dentro di loro, aveva tutt’altro timbro. Si faceva sempre più distorto, si mescolava allo stridere dei primi atti intrisi di perfidia. Lo corrompeva in maniera irrimediabile - tanto che a un certo punto, il suono della rettitudine sembrava l’unico a essere fuori luogo. E quando quest’ultimo cercava di intervenire, per ristabilire l’equilibrio, causava una cacofonia insopportabile che arrivava in maniera distinta alle orecchie di colui che ospitava tutto quel baccano.
Una persona onesta e retta era fondamentalmente un’armonia di suoni - fatti da nobili sentimenti, gesti quotidiani, pensieri, capacità e abilità, tra cui la magia. Ricercare i motivi per cui quest’armonia, a un certo punto, s’interrompeva in alcuni individui, era un’impresa troppo grande per uno solo. Ma succedeva. E quest’interruzione e corruzione non guardava in faccia a nessuno - colpiva a prescindere dall’età, dalla razza, dal colore della pelle, a prescindere dalla purezza del sangue.  
C’era una distorsione particolare, nel suono della cattiveria: era suadente, poteva dare fastidio per la sua distorsione, all’inizio, ma alcuni arrivavano ad abituarsi. Il suono della malvagità aveva bisogno di percussioni continue, affinché non si disperdesse e si placasse; queste percussioni non erano altro che atti malvagi - e ciascuno si adoperava per dare un ritmo a quelle azioni bieche. Poteva essere lento e profondo - poche azioni malvagie ma durature - come poteva essere martellante, dipendeva dall’individuo. 
Mulciber e Avery si erano accorti da qualche tempo di quelle dissonanze e percussioni dentro di loro - nel momento in cui avevano provato il desiderio di aggredire qualche altro SangueSporco tra gli studenti di Hogwarts. Ma erano stati fermati da colui che li aveva inizialmente esortati a mettersi alla prova, a testare la loro cattiveria. Lucius Malfoy aveva apprezzato - e prontamente riportato a chi di dovere - il tentativo di mettersi in mostra, ma da lì in avanti avrebbero dovuto procedere con molta più discrezione, per non essere scoperti e per non essere espulsi da Hogwarts e dare il via a qualcosa di molto più grande di loro, che entrambe le fazioni non sarebbero state in grado di gestire in maniera organizzata nelle prime fasi. 
Tuttavia, i due Serpeverde avevano sentito il rimbombo della prima percussione della cattiveria dentro di loro, quando avevano attaccato Mary MacDonald. Ne avevano apprezzato il suono, un timbro nuovo e diverso rispetto al mortorio che si sentivano dentro, quando imparavano i fondamenti della magia a Hogwarts. Era un suono nuovo, che avevano cercato invano negli schiocchi di un Incantesimo di Difesa, nel sobbollire di una pozione che di velenoso e letale non aveva assolutamente nulla. L’avevano trovato e non volevano più che li abbandonasse. 
Ma come fare? Se non potevano più andare a colpo sicuro, come avevano fatto prima, cosa potevano fare? 
Il suono della malvagità non era fatto di una nota sola: era fatto di tante altre note nascoste, sfumature da scoprire e da far risuonare. L’agire in maniera aggressiva era solo una parte di quel suono - bisognava scoprire altri modi di essere malvagi.
Mulciber e Avery erano stufi di stare ad aspettare i comodi di Lucius Malfoy - e uno di loro aveva avuto un’illuminazione, un pomeriggio noioso e soleggiato, al terminare dell’inverno. Essere cattivi, subdolamente cattivi, voleva dire anche essere in grado di manipolare qualcuno, rompere la sua armonia, distorcerla, farla diventare una confusione e un trionfo di caos. E loro sapevano chi manipolare, loro sapevano che cosa avrebbero dovuto fare per far tornare quel meraviglioso ritmo predominante. Dovevano convincere qualcun altro che quella musica era la migliore in assoluto e che valeva la pena farsi coinvolgere in quella melodia sinistra. Loro sapevano a chi rivolgersi.
Sapevano chi coinvolgere, perché quel ragazzo che volevano coinvolgere una volta per tutte aveva tutte le qualità per suonare un’intera sinfonia di cattiveria. Almeno, così pensavano. Era troppo avanti rispetto a tutti. Lo avevano lusingato, avevano cercato di stargli addosso come compagni di casata, come pseudo-amici. Ma non c’era più la voglia di recitare, non erano bravi, non erano portati per le recite. Avevano bisogno di qualcuno che recitasse per loro. 
Era il momento di prendere Severus Piton definitivamente, o lasciarlo andare; e in quel caso, il lavoro sarebbe stato proprio da rifare, con un’altra persona. 
Eppure, loro due sapevano dove e come convincerlo delle loro ragioni, della bontà della loro missione - erano convinti che un Serpeverde andasse toccato sull’orgoglio. 
Loro sapevano che l’orgoglio di Severus non stava nella purezza del sangue, non in maniera diretta, ma glielo potevano far pesare. Il suo orgoglio era “quella là”, Lily Evans. Per Severus, il fatto che fosse una Nata Babbana non faceva differenza - anche perché suo padre era un Babbano, non aveva senso che lui facesse differenze di nascita. Non ne aveva mai avuto, era un’incoerenza troppo evidente per lui. Per loro, Mulciber e Avery, il problema era che “quella là” fosse una SangueSporco. Ed era un potenziale nuovo bersaglio servito sul piatto d’argento, un obiettivo che si poteva colpire con estrema facilità, una volta ferito Severus nell’orgoglio.
In quel pomeriggio noioso, due avevano deciso che non ci sarebbe più stato tempo da perdere. Avrebbero dovuto affrontarlo in fretta; Avery aveva suggerito di farlo nella sera dell’Equinozio di Primavera, che sarebbe stato tre giorni dopo. 
“Da quando dai corda alla Divinazione?” osservò sarcastico Mulciber, mentre tornavano in Sala Comune.
“Divinazione rimane una materia inutile” spiegò l’altro “Ma oggi pomeriggio, ho avuto vari riferimenti all’Equinozio di Primavera…”.
L’Equinozio di Primavera implicava il perfetto equilibrio tra giorno e notte, e da lì in poi, la luce sarebbe diventata predominante rispetto al buio. Simboleggiava il rinnovamento e il risveglio; in Divinazione, era sempre il momento in cui si poteva dare vita a sogni, desideri e progetti nati nel freddo e nell’oscurità dell’inverno. La loro idea di attirare nella loro trappola Severus, in effetti, era lentamente germogliata nell’ultima brina invernale ed era ora che si svegliasse del tutto. 
Loro volevano contribuire a cambiare gli equilibri. Speravano che non vi sarebbe più stato il trionfo della luce, ma dell’oscurità. Non più il trionfo della tolleranza, della comprensione, dei sentimenti buoni e corretti verso tutti. Non il trionfo di una pluralità, non più il dominio dell’Altro, ma un dominio nuovo e incontrastato dell’Ego. Un solo, unico Ego indiscutibile che non era altro che Lord Voldemort. Quell’Ego voleva essere un nuovo Sole, dove tutti gli altri pianeti - servitori, fedeli, sostenitori - avrebbero ruotato attorno a lui, attratti dalla sua forza e dalla sua magia potentissima. Il Signore Oscuro voleva essere il nuovo astro che avrebbe fatto fiorire rose dal sangue purissimo nel giardino del mondo magico. 
“Poi” continuò Avery “Ho visto che Severus ha avuto qualche problema con i tarocchi… L’insegnante era estremamente preoccupato”. 
“Che intendi?” chiese Mulciber “Io odio queste fandonie, non ci capisco un granché…”. Però il ragazzo era stupito dalle capacità divinatorie dell’altro. O perlomeno, dalle sue capacità di comprensione di quella materia inutile. 
“Ha trovato il Diavolo dove non avrebbe dovuto trovarlo. L’insegnante gli ha detto di stare attento, perché qualcuno di indesiderato si sarebbe presentato presto”. Tacque un secondo: “Peccato che non ha idea che si sarebbero presentati ben due diavoli, di fronte a lui”. E loro non sapevano che se ne sarebbe presentato almeno un altro, in quei giorni, davanti a Sev.
Quei due diavoli erano pronti a percuotere di nuovo le corde della malvagità con rinnovato vigore: per Severus, quella musica sarebbe stata insopportabile. Infernale. 

La sera del 21 Marzo 1976 era arrivata. 
Mulciber e Avery erano tranquilli, in Sala Comune, facevano finta di essere concentrati sui compiti. Sapevano che Severus sarebbe rientrato brevemente prima di andare a cena, per lasciare in stanza pergamene e libri. 

I due lo videro arrivare, quando i loro sguardi si incrociarono, gli fecero un cenno con il capo e Avery lo chiamò.
“Severus, avremmo bisogno di te. Hai qualche minuto?”.
Il ragazzo immaginò che si trattasse di qualche compito che loro non riuscivano a fare. Borbottò qualcosa, sbuffò senza farsi vedere, e rispose secco: “Lascio i libri in stanza e arrivo”.
L’inquietudine si fece strada. Quella stessa inquietudine che si era fatta avanti quando aveva trovato il Diavolo ed era stato interpretato al rovescio, nella chiave di lettura più nefasta che ci potesse essere nei tarocchi. In quel momento, mentre entrava in stanza, si era visto il Diavolo camminare davanti a sé, per qualche attimo, prima di scomparire nel nulla. Appoggiò i libri e le pergamene sul letto, senza neanche riporli, com’era solito fare, nel baule ai piedi del letto e si sedette - o meglio - si lasciò andare per qualche attimo, buttando la testa sul cuscino. Guardò il soffitto assorto e respirò profondamente.
Chi era il Diavolo delle profezie insulse fatte a Divinazione? Chi era colui che lo avrebbe fatto cadere nella trappola che lui non era stato in grado di evitare? Sarebbe stato travestito, avrebbe agito sotto mentite spoglie, o lo avrebbe affrontato a viso aperto?
Era preoccupato, ma cercò di farsi forza: tanto valeva affrontarlo, in qualsiasi momento si sarebbe presentato, a prescindere dall’aspetto e dalla forma. 
Si rialzò, si sistemò i vestiti, i capelli spettinati - stavano diventando un po’ tanto lunghi a suo avviso, forse urgeva una spuntata, non esagerata, ma a Lily piacevano tantissimo, lo facevano più maturo dei suoi sedici anni - e si avviò verso la Sala Comune, preparando la sua espressione più impassibile in volto.
Si sedette, fingendosi innervosito dalla loro stupidità e incompetenza nel fare i compiti, coprendo il nervoso di quello che gli avrebbero potuto dire.
“Che c’è!?” disse secco e con il volto privo di ogni emozione. Mulciber e Avery sembravano più gongolanti del solito, non poteva trattarsi di compiti che non riuscivano a svolgere. 
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto” iniziò Avery tranquillo.
“Ma non con i compiti” aggiunse sogghignando Mulciber.
Lo sguardo di Sev si fece attento. Non se ne accorse, ma si mise in guardia. 
“Lo sai che il nostro interesse per Hogwarts è… Diciamo relativo” continuò Avery.
“L’avevo notato” ribatté Severus, schernendoli. Gli sfuggì una risatina sarcastica e un po’ nervosa. I due sembrarono non farci troppo caso.
“Fuori di qua c’è molto di più per un Serpeverde” riprese sempre Avery “Lo sai che Hogwarts è troppo limitante per noi - e non abbiamo spazio per… Esprimerci”. 
Sev aveva inarcato un sopracciglio in segno di perplessità, ma non aveva osato ribattere, a quel giro. Forse iniziava a capire dove volevano andare a parare e l’inquietudine stava crescendo, fino a diventare panico. Doveva rimanere calmo, per quanto gli fosse possibile.
“Sai benissimo anche tu che quello che ti insegnano è limitante: lo sappiamo, sei troppo bravo e molto presto questa conoscenza non ti basterà più” aggiunse Avery.
“Quello che vogliamo offrirti, è di farti vedere che cosa stiamo imparando - il mondo che stiamo frequentando e… Conoscendo. Quel mondo ha veramente tanto da darti, fidati” aggiunse Mulciber, con un tono anche troppo amichevole.
Severus guardava altrove, ben lungi dall’incrociare lo sguardo degli altri due. Prima o poi, lo doveva sapere, avrebbe dovuto schierarsi, prendere una posizione nei confronti di quella sorta di amicizia, che non era amicizia, ma gli serviva per capire che cosa stessero tramando; serviva a Silente per capire se due giovani fossero già persi nel percorso della Magia Oscura; era servito per capire se Lord Voldemort fosse veramente così minaccioso. Che cosa doveva fare, ora? Non lo sapeva. Non sapeva cosa rispondere. In quel momento, si stava unicamente ricordando come respirare, per non annebbiare il cervello. 
“Tra un mese, per Pasqua, torneremo a casa. Vorremmo che tu venissi con noi, abbiamo una persona interessante da farti conoscere”. 
“Lucius Malfoy” pensò subito Sev.
“Sarà un’occasione per… Conoscerci meglio” osservò Avery “Naturalmente sarai ospite della mia famiglia. Hai la stoffa e la testa giusta per piacere ai miei genitori”.
Il ragazzo lo guardò negli occhi. I suoi occhi neri era come se fossero diventati all’improvviso opachi, come se non volessero più far entrare la luce e non volessero più far uscire le emozioni. 
“Perché me?” chiese Severus. Quello che era uscito dalle sue labbra era appena percettibile, ma non aveva il tono della rassegnazione, semmai quello della rabbia sorda. Sembrava più un ringhio.
Per un attimo, si sentì sopraffatto dal vittimismo, pienamente comprensibile per un sedicenne. Perché Silente aveva voluto che fosse lui a tenere d’occhio quei due? Perché quei due volevano tirarlo dentro le loro faccende? 
Poi si rese conto la ragione suprema per cui aveva acconsentito a farsi coinvolgere. Non era per quelli che aveva davanti in quel momento. Non era per il Preside Silente. 
Era per Lily, era sempre stato tutto per lei, e sperava che ogni rischio preso da lui, servisse a salvare lei dal pericolo incombente. 
“Perché meriti di più della mediocrità di Hogwarts” si giustificò Mulciber.
Severus si alzò in piedi, di scatto. “Bella la risposta di facciata. Ho chiesto PERCHÈ PROPRIO ME!?”. Era pronto per andarsene, e possibilmente, andarsene a cena, come aveva sempre fatto. 
Anche Mulciber si alzò in piedi. Si avvicinò a Sev, e per quanto quest’ultimo fosse ben più alto di lui, Mulciber era più muscoloso, aveva un aspetto più taurino. L’aria da amico rilassato era sparita e nei suoi occhi c’era il bagliore del Diavolo, quello dell’ingannatore supremo. 
“Perché te? Perché se non ci segui, la prossima SangueSporco attaccata è la tua amichetta con cui te la fai. E non ti conviene fare domande, perché noi sappiamo che accadrà presto, se non ci dai retta” lo minacciò gelido, senza troppi giri di parole. 
Severus rimase impalato lì dov’era. Si sentì gelare il sangue. Tutto tranne Lily, non dovevano torcerle un solo capello. Lui era certo che fossero loro, sicuramente guidati da qualcuno di esterno. Da un lato voleva rifiutare; dall’altro, c’era un milione di motivi per cui anche solo fingere di dare retta avrebbe potuto giovargli. Avrebbe conosciuto i nemici direttamente a casa loro, avrebbe avuto la possibilità di ottenere informazioni altrimenti non ottenibili. Avrebbe tenuto in salvo Lily, andando nella tana del lupo.
Ma chi glielo faceva fare, a sedici anni? Ne valeva la pena? E se, una volta accettato, avrebbero attaccato comunque Lily? Avrebbe comunque avuto la possibilità di farli a pezzi personalmente, e senza bacchetta, in quel caso, perché avrebbe avuto la certezza che sarebbero stati loro gli autori del gesto abominevole. 
Non gli andava, però, di accettare in posizione di svantaggio. Doveva fare in modo che quelli sottomessi a quel patto fossero loro. Non gli andava di rifiutare nettamente quella proposta, non senza prima aver valutato una contro-proposta vantaggiosa e non senza aver valutato i pro e i contro. Voleva guadagnarci il più possibile, in quella situazione: più avrebbe guadagnato, più Lily sarebbe stata in salvo. Almeno, così sperava in cuor suo. Se lo ripeteva ossessivamente, di salvare Lily.
“Tu invece sarai il primo che pietrificherò, doveste fare del male a quella ragazza”. Non erano degni di sentire il suo nome. Voltò loro le spalle: “Ho del tempo per pensarci?” chiese tagliente.
“Temo non molto” rispose Avery, con quel sorriso soddisfatto di chi sa di essere riuscito nel suo intento. “Tre giorni ti possono bastare?” aggiunse, cercando di essere accondiscendente e non bruciarsi definitivamente la possibilità di avere Severus dalla loro parte.
“Sì. Basteranno” tagliò corto. “Me li devo far bastare” pensò tra sé e sé. 
Severus se ne andò senza salutarli. Appena uscito dalla Sala Comune, si voltò a destra e a sinistra per accertarsi che non ci fosse nessuno di conosciuto nei paraggi e iniziò a correre. “Al diavolo la cena”, si disse, con lo stomaco completamente chiuso. Aveva urgentemente bisogno di Silente. Aveva bisogno del suo sostegno, della sua guida. Di un suo consiglio, prima che scadessero quei tre giorni.

Lily era seduta a tavola con le altre e stava raccontando divertita, per l’ennesima volta, di quella volta che aveva scatenato una rissa lo scorso San Valentino; quella volta che si era fatta viva l’unica gattamorta che ci avesse mai provato con Severus al di là di lei. Solo che lei non era una gattamorta, lei sapeva quello che voleva, e si era mossa di conseguenza, a suo tempo. Di tanto in tanto, la incrociava ancora per i corridoi, ma quest’ultima guardava altrove o abbassava la testa, vergognosa.
Era persa nel racconto e nelle risate generali, al punto che non si era accorta dell’assenza di Severus. Avevano passato il pomeriggio a esercitarsi con il Levicorpus. Alla fine Sev le aveva confessato tutto, e lei non l’aveva presa così male. Era rimasta un po’ stupita per poche ore successive alla confessione, ma poi la curiosità di vederlo applicato aveva preso il sopravvento. Così, nei giorni successivi aveva insistito per farselo insegnare da Sev. Aveva accettato di farsi malamente sollevare e rovesciare in aria da Lily, non senza essere caduto a terra, nei primi goffi tentativi. Lily aveva accettato di fargli da cavia, a sua volta, a patto che il ragazzo non la tenesse fluttuante troppo a lungo. Non che provasse vergogna nel far vedere le gambe…
Si erano lasciati prima di cena, come sempre, e ognuno sarebbe andato a mangiare con la propria Casa. Durante il pasto, erano soliti incontrarsi con lo sguardo, quindi Lily, come al solito, iniziò a cercarlo. Sapeva più o meno dove era abituato a sedersi, al tavolo dei Serpeverde, quindi andò a colpo sicuro. Non lo trovò. Il posto era proprio vuoto. Rimase stupita e perplessa. Poco distante dal posto di Severus, Mulciber vide Lily e incrociò per qualche attimo il suo sguardo, per poi dare una gomitata ad Avery, che la guardò sghignazzando. Poi, tornarono a concentrarsi sui loro piatti. Lily li guardò con disprezzo e cercò Regulus Black con lo sguardo. Era solito sedersi a destra di Sev. Regulus si accorse di Lily, che con il movimento delle labbra, ma senza parlare, gli chiese “Severus?”.
Regulus guardò il posto vuoto accanto a sé, ma scosse la testa, alzando le mani: non sapeva dove fosse.
Lily cercò di imitare qualcuno malato, e fece una smorfia con il viso. “Malato?” provò a chiedere ancora. Il Serpeverde scosse di nuovo la testa, mostrandosi dispiaciuto. 
La ragazza continuò a mangiare il suo piatto di cosce di pollo e patate arrosto, ma improvvisamente si zittì. Saltò il dolce, con una certa preoccupazione via via crescente. Che una delle botte prese durante la pratica del Levicorpus si fosse rivelata più seria del dovuto? In cuor suo sperava che fosse andato da Madama Chips a farsi dare un’occhiata, per precauzione. Dopo cena avrebbe provato a passare in Infermeria.
Intanto, Severus era corso verso lo studio di Silente, cercando di non dare troppo nell’occhio. Ma nella sua corsa, arrivato quasi a destinazione, aveva incontrato la Professoressa McGranitt.
“Signor Piton!” esclamò ferma “Dovrebbe essere a cena con i suoi compagni di Casa”.
Sev si sentì nei guai. Voleva evitare reprimende e punizioni. Cercò di essere onesto, almeno con lei, in quella serata travagliata: “Professoressa, avrei urgenza di parlare con il Preside Silente”. 
“Se ha un problema urgente, può anche rivolgersi al Professor Lumacorno, signor Piton” osservò pratica l’insegnante di Trasfigurazione.
“Guardi, ho proprio necessità di incontrare il Preside, davvero…” continuò Sev, sempre più agitato. Doveva vederlo, iniziava a sentire la necessità di avere un consiglio saggio, il più presto possibile.
“Mi dispiace dirle che per qualche giorno il Preside non ci sarà, per impegni della massima importanza” spiegò dispiaciuta la McGranitt. “Se le può essere di conforto nell’immediato, ne parli con il Professor Lumacorno, mi ascolti. Lo troverà di sicuro a cena”. Sev la guardò sconvolto da quella notizia, sentendosi perso.
“Se lo dovesse vedere nei prossimi giorni… Gli può dire che ho bisogno di parlargli?” chiese. La McGranitt annuì. Lui non disse altro, si limitò a ringraziare la professoressa per la gentilezza e si allontanò abbattuto.
E adesso che faccio?
” si chiese. Quella notte sarebbe stata una delle più difficili in assoluto - e Sev scommesse che l’avrebbe passata insonne, ad attorcigliarsi nelle coperte pensando a cosa fare, quale scelta compiere, senza l’aiuto di Silente. Che cosa avrebbe detto a Lily, l’indomani?
 

* * *

Ed eccomi qua <3 Vi avviso molto semplicemente che le cose si faranno decisamente tese. Ci stiamo avvicinando a un momento che non vedevo l’ora di scrivere, perché sarà difficile e pieno di sentimenti da gestire - e il capitolo 44, “Mercy Street”, il prossimo, sarà emotivamente molto intenso. Anche per me che lo scriverò. Anche il 45, “Slavocracy”, sarà molto intenso, ma… Insomma, come vedete, le fila della storia ce le ho in pieno controllo e sono soddisfatta di aggiornare più o meno con regolarità. 

Ah, la meraviglia di poter parlare dei tarocchi in un contesto dove sono perfettamente normali (di tanto in tanto, me li faccio fare, ma non ne parlo mai perché sembro una pazza fricchettona, in realtà sono molto interessanti da conoscere, per le metafore e la splendida iconografia che hanno). Fortunatamente, non ho mai trovato il Diavolo nella lettura a rovescio, mentre nella lettura a diritto è piuttosto innocuo. Comunque, vanno sempre interpretati e ben inquadrati nella lettura generale. Tutto questo esoterismo mi appassiona e sono contenta di poterne mettere un po’ di più… Per rendere questo mondo magico ancora più magico. Sennò che mondo magico è!?

A presto… Preparate i fazzoletti per il capitolo 44…

Lily White Matricide <3

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Capitolo 44
*** Mercy Street ***


44.

Mercy Street
 

“Looking down on empty streets, all she can see

are the dreams all made solid

are the dreams all made real

All of the buildings, all of those cars

were once just a dream

in somebody's head

She pictures the broken glass, she pictures the steam

she pictures a soul

with no leak at the seam"

Mercy Street - Peter Gabriel
 

Che hai? Va tutto bene?”.
Lily voleva disperatamente chiederlo a Sev. Erano già passati due giorni da quella sera, e la sua compagnia si faceva sempre più silenziosa e quantomai bizzarra. Era normale che ci fossero dei giorni in cui lavorassero fianco a fianco, senza dire una parola; così com’era normale che in quella quiete ci fosse un piacevole senso di pace. Ma era da quella sera in cui non lo aveva visto a cena, che lo aveva trovato irrequieto, agitato, e soprattutto costantemente sulla difensiva. C’era una tensione anomala in quell’assenza di parole.
Lei conosceva Severus, forse era l’altra persona dopo sua madre Eileen a conoscerlo così bene, e sapeva che il suo ragazzo, se messo con le spalle al muro, ergeva un muro tra sé e gli altri, diventando impenetrabile. Si chiudeva in sé stesso e non si riuscivano più a capire i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Di rado era capitato che si difendesse da Lily - e quei momenti di incomprensione sfociavano in bisticci e piccoli litigi, che si risolvevano entro breve - ma la ragazza si trovava nella situazione piuttosto nuova di non riuscire neanche a superare quel muro, perché avvertiva troppa tensione dentro di lui. Per quanto avesse trovato sollievo nel ripetersi mentalmente “Gli passerà. Quando vuole, ne parlerà”, era sempre più convinta che quella non fosse la soluzione giusta. Almeno in quel caso. E per quanto cercasse di apparire calma e rilassata, dentro di sé, Lily stava facendo una fatica immane a mantenere il sangue freddo. Aveva bisogno di sapere.
Al di là di quel muro invisibile, c’era Severus, frustrato per il non aver potuto parlare con Silente, e angosciato dalle ore che passavano inesorabili, ritrovandosi così con un solo giorno a disposizione, prima della sera del 24 Marzo, la sera in cui avrebbe dovuto dare una risposta a Mulciber e al suo compare. E il Preside non si faceva ancora vedere. Durante le ore di lezione con la McGranitt, Sev aveva sperato fino all’ultimo che l’insegnante lo fermasse al termine dell’ora, per dirgli che Silente lo stava aspettando nel suo studio. Invece nulla, gli sguardi preoccupati e interrogativi del ragazzo rimanevano sospesi nel vuoto, in attesa di una risposta che non arrivava. Neanche la notte portava consiglio, perché lui non sapeva proprio che fare; non sapeva come muoversi, dilaniato dal dubbio che se avesse detto di no, avrebbe perso l’opportunità di sapere cosa ci fosse dietro il comportamento dei suoi due compagni di casa. Se avesse detto di sì… Avrebbe fatto un salto nel buio decisamente impegnativo, di cui non ne avrebbe conosciuto le conseguenze, di cui avrebbe ignorato l’impatto non solo sulla sua esistenza, ma su quella di Lily e di molte altre persone. Nella sua fragilità di sedicenne, con quella voglia di crescere, di farsi valere, di dare fondo alla sua curiosità, non poteva saperlo. Nella sua voglia di essere partecipe e non solo una marionetta in quello scontro, i cui tratti erano ancora confusi, ai suoi occhi, avrebbe fatto qualunque cosa, anche non troppo scientemente, per dare il suo contributo. Forse avrebbe dovuto provarci, ma da solo si sentiva veramente perso e confuso. Non sapeva più dove sbattere la testa, e in quelle notti, si era trovato a pregare che Silente si facesse vivo il prima possibile. Pregare gli sembrava un’azione così stupida e vana, buona solo per gli ingenui - e tuttavia si era trovato a supplicare qualche entità nel buio della notte, tra le lenzuola del suo letto, perché intervenisse e mettesse fine a quell’attesa.
In quel paio di giorni di lezioni, Severus era distratto e prendeva a malapena appunti. O se li prendeva, non si rendeva nemmeno conto di cosa stesse scrivendo. Lily se n’era accorta, erano anomalie troppo grandi nel suo comportamento per non accorgersene. Ma Sev, almeno in quello, era stato categorico con se stesso: non avrebbe detto nulla alla ragazza, per non spaventarla e per non metterla ulteriormente in pericolo. 
Lui conosceva Lily, forse era la persona dopo i suoi genitori a conoscerla così bene, e sapeva che, se avesse mai saputo del ricatto di Mulciber e Avery, si sarebbe precipitata dai due per scatenare tutta la sua furia, magica e fisica. Lei era così: era generosa e non si risparmiava quando si trattava di riequilibrare delle ingiustizie. Ma lei non sapeva tutto e, credendo di essere coinvolta in una scaramuccia tra adolescenti che si fomentavano nell’abbracciare idee più grandi e ancora più stupide di loro, si sarebbe esposta fin troppo. E Sev sapeva che Lily era troppo intelligente e sensibile per non arrivare a capire che ci fosse molto di più, dietro un’apparente bagattella. Non la potevi fermare. 
“Severus, che cosa pensi di fare per Pasqua?” gli chiese Lily quel pomeriggio. La verità era che non sapeva più cosa dire per tirarlo fuori da quel mutismo ostinato, che al massimo era stato interrotto da qualche convenevole o qualche monosillabo non troppo convinto. 
Il ragazzo la guardò, colto di sorpresa. Già, che cosa avrebbe fatto per Pasqua? Doveva sperare che sua madre andasse via con qualche suo parente, come sembrava essere intenzionata a fare. Ecco, stava vivendo di speranza, si stava ancora una volta appendendo a quei sentimenti che dentro di sé, per orgoglio, aveva sempre rigettato e combattuto con decisione. Pregava di notte e sperava di giorno, per ora senza molto successo. 
Nei suoi piani, Sev pensava di scrivere una pergamena a sua madre, per chiederle se rimanere a Hogwarts, durante le vacanze di Pasqua, con la scusa di studiare per i G.U.F.O., intanto che lei sarebbe stata in vacanza con qualche parente. Adducendo la solita scusa, vecchia come il mondo, che lui si sarebbe annoiato a morte in una comitiva di parenti adulti, Sev avrebbe ottenuto il permesso di stare al castello, potendo così partire con i due compagni di casata. 
Da un lato, però, pensava che quella sarebbe stata una bugia vera e propria verso sua madre. Forse la prima grande bugia nei suoi confronti. Non poteva essere più semplice chiederle di poter andare da questi suoi due “amici” per qualche giorno? Il fatto è che Eileen magari avrebbe potuto incontrare Lily e si sarebbe fatta scappare quel famoso qualcosa che non avrebbe dovuto dire, durante una semplice e generica chiacchierata - perché si sa come sono fatte le madri, a volte parlano più del necessario, pur non facendolo apposta o con cattiveria. Il suo senso logico gli suggeriva che se avesse dovuto mentire, avrebbe dovuto farlo bene, altrimenti avrebbe dovuto raccontare la verità a entrambe. Tuttavia, questo senso logico non aveva fatto i conti con le incoerenze dell’avere sedici anni e di non saperle dominare. 
Severus sospirò, poi si decise a rispondere, dopo quella che gli parve un’eternità.
“Non ne ho idea. Mia madre vuole andare via, io…” iniziò a rispondere - mentre con il mestolo mescolava la pozione nel paiolo “…Sarò sincero - aveva detto bene, sincero? - non ho voglia di stare in mezzo agli adulti”. Detto da lui, che di anni ne dimostrava solitamente ben più di sedici.
Lily rimase un po’ sorpresa e dispiaciuta dalla sua risposta: sarebbe tornata a casa per quelle brevissime vacanze, perché la sorella aveva invitato lei e i genitori a pranzo dalla famiglia del noiosissimo e spocchioso Vernon Dursley, proprio la domenica di Pasqua. Era anche vero che, forse, sarebbe stata proprio Lily a costituire un’eccezione, dato che pochi studenti lasciavano Hogwarts per Pasqua, che peraltro non era una festività molto sentita.
Per la prima volta, Lily si chiese come sarebbe stata una vacanza senza Severus, un viaggio sull’Hogwarts Express senza di lui, un pomeriggio a Cokeworth con il tè, i biscotti a cioccolato e il girovagare senza meta in sua assenza, e le prese una strana tristezza. Neanche suonare il pianoforte sarebbe stata la stessa cosa, senza Sev.  
“Oh…” riuscì a dire lei, interrompendo quello che stava facendo “Rimarrai qui, quindi?”.
Al ragazzo si strinse il cuore - e provò qualcosa di molto somigliante al senso di colpa - ma sarebbe dovuto rimanere lì. Doveva dirglielo in qualche modo.
“Sì, è molto probabile. Mia madre non ha ancora risposto, ma non si fiderebbe a lasciarmi a casa da solo, mentre lei è via…” provò a spiegarle con calma.
“Ma avresti me vicino, e i soprattutto miei genitori, in caso di bisogno” ribatté lei, in un misto di tristezza e dolcezza. Allungò la mano verso quella di Sev, e la strinse forte. Lo guardò con gli occhi verdi carichi di speranza. 
“Lily, non lo so” tagliò corto lui, un po’ amareggiato “è un po’… diverso, il discorso”. 
“Che vuoi dire?” chiese lei dubbiosa “non capisco”. 
Si chiese tra sé e sé che diamine stesse prendendo al suo ragazzo: prima i giorni passati nel mutismo più totale, poi queste risposte strane ed evasive. Non ci stava davvero capendo più niente e si stava innervosendo. Odiava quando qualcosa le sfuggiva e non riusciva a capire che cosa le stesse sfuggendo di mano. Si stava insinuando qualche insicurezza e dubbio di troppo, dentro di lei. Ma lei si rifiutava di dubitare di Sev, nella maniera più categorica possibile, non fino a quando avrebbe avuto la prova che avrebbe smontato tutti i suoi castelli di pensieri riguardanti il ragazzo. Lo guardò sempre più confusa.
“Semplicemente, ho bisogno di stare qua a studiare” provò a spiegare Sev “ho bisogno di stare tranquillo… Tutto qua”. 
Era visibilmente agitato, quindi Lily si ammorbidì, pensando di essere stata un po’ dura ed egoista nei confronti di Sev. Una settimana lontani non sarebbe stata una tragedia, almeno così si era ritrovata a pensare.
“Sei sicuro che tu non abbia altro da dirmi? Puoi dirmelo, se vuoi” gli chiese con tenerezza. La ragazza lasciò riposare la pozione nel suo paiolo, e si voltò verso Sev, prendendo il suo viso tra le mani, accarezzandogli le guance con le dita. 
Il ragazzo non riusciva a sfuggire agli occhi verdi che lo avevano tormentato per giorni e per settimane, prima di mettersi insieme a lei. Lo avevano tormentato per anni, erano sempre stati una presenza costante, prima ancora che lui esponesse alla luce del sole i suoi sentimenti per lei. Erano il suo punto di riferimento, nel quale trovava tutto l’amore, il conforto, la comprensione, il sentirsi accettati per quello che si era, e lì si ritrovava, quando si sentiva perso. Tutto ritornava a quei due occhi verdi e lì si specchiavano - gli istinti, le rabbie, le delusioni, tutto lo spettro delle emozioni era lì, dentro di lei. Ma in quella situazione particolare, non lo avrebbero aiutato. E non lo avrebbero aiutato neanche le labbra che si era appena chinato a baciare; la stava baciando con sincerità e con trasporto, ma non riusciva comunque a stare sereno. 
La stava stringendo a sé molto più forte del solito, senza che Lily se ne lamentasse, quando un bussare discreto sullo stipite della porta dell’aula li interruppe.
“Chiedo scusa, signor Piton” esordì la professoressa McGranitt con una punta di imbarazzo. I due ragazzi, sorpresi, si staccarono dall’abbraccio, spingendosi via come se fossero diventati all’improvviso due sconosciuti. I loro volti erano diventati di un rosso vivace. 
“M-mi dica, professoressa” rispose Severus con un filo di voce.
La McGranitt dal lieve imbarazzo iniziale era passata all’ironia, con un’espressione in viso che pareva dire “non siete i primi, e non sarete gli ultimi studenti che trovo a scambiarsi effusioni”. Fece qualche passo in avanti verso di loro.
“Il Preside Silente la sta aspettando”. Sentendo quelle parole, Severus s’illuminò. Si voltò a guardare Lily, non sapendo bene cosa dire, e la ragazza, che aveva subito capito che la preoccupazione di Sev era stata quella di non riuscire a parlare con il Preside, lo tranquillizzò.
“Ci penso io alla tua pozione. Vai, ci vediamo dopo!” lo invitò a seguire la McGranitt con uno spintone affettuoso, non senza prima avergli dato il maglione e il mantello nero, che Sev era solito levarsi quando era al lavoro sulle pozioni, per una questione di comodità.
Dopo l’euforia iniziale, man mano che si avvicinava allo studio di Silente, Severus iniziò a provare una fortissima ansia. 

Marcus si sentiva fiero del suo compito di capo dei laboratori dell’Ospedale di Mile Droichead. Controllava che le preparazioni di tutti i medicamenti venissero fatte alla perfezione e si preoccupava che tutti gli ingredienti, da quelli più comuni a quelli più rari, fossero sempre in giacenza nei magazzini. Era un compito delicato che il Maestro Lynch aveva voluto affidargli, e lui lo aveva accettato con grande gioia e onore, determinato a rendere quella struttura un motivo di vanto e una perla del Regno Unito, per quello che riguardava la parte magica del paese. 
Per quanto il Ministero cercasse di evitare, o perlomeno di limitare al minimo, i rapporti con la Confraternita degli Evocatori, una delle strutture supervisionate dal Ministero della Salute aveva bisogno della Confraternita: l’Ospedale San Mungo per le Ferite e le Malattie Magiche. Soprattutto per i casi più difficili, che richiedevano anche medicamenti più complicati, non disponibili al momento del bisogno, e con ingredienti non di facile reperibilità, l’Ospedale si appoggiava alla Confraternita per un rifornimento settimanale di quei farmaci e quel tipo di collaborazione aveva il vantaggio di poter godere di un rifornimento straordinario, qualora fosse arrivato al nosocomio un paziente che necessitava di cure particolari e immediate.
Marcus si occupava personalmente di questo rifornimento, recandosi a Londra una volta a settimana, e si occupava anche dei casi straordinari. Il Maestro Lynch non si era per nulla opposto a quella collaborazione ed era sempre al corrente della situazione, ed certo che al Ministero avrebbero implicitamente capito l’importanza della Confraternita, anche in un gesto così piccolo e semplice, che a loro non costava molta fatica in più. E comunque, il Ministero aveva approvato, tramite il Comitato per la Regolamentazione della Metropolvere, l’attivazione di un canale privilegiato tra il San Mungo e Mile Droichead, utilizzabile solo dal personale autorizzato dell’ospedale e dei laboratori della Confraternita. Era capitato solo una volta, e di quella se ne ricordava bene il Maestro Lynch, perché aveva visto coinvolta sua moglie Catherine stessa, che era una delle Guaritrici di turno quel giorno. Si era presentata l’urgenza di trasportare un malato particolarmente ostico da curare dal San Mungo all’Ospedale della Confraternita. Il Maestro Lynch, che allora non era ancora Maestro, si ricordava dei tempi risicati, perché bisognava agire in fretta sul paziente, i funzionari del Ministero della Salute irreperibili - che strano! - e l’autorizzazione al trasferimento del paziente era firmata solo dai Medimaghi, ma non da un funzionario ministeriale. Si ricordava tutto come se fosse ieri: la fatica, la rabbia e la frustrazione verso la burocrazia, così come il senso di gratificazione dopo essere stati in grado di curare il paziente in maniera efficace. Ed era per questo che si sentiva orgoglioso di Marcus, che aveva preso molto a cuore il compito di mantenere vivo il legame tra il San Mungo e la Confraternita.
Quel giorno di primavera, il ragazzo aveva preso la Metropolvere come al solito, portando con sé un borsone di cuoio, dove al suo interno c’erano dei piccoli pacchetti, ed era arrivato in brevissimi istanti a Londra, dentro l’ospedale, nell’ufficio del responsabile dei Guaritori, che lo stava aspettando come di consueto. Non era un uomo, era un gigante, dai capelli biondi, alternati a qualche ciocca argentata, e due occhi verdi talmente luminosi da sembrare finti. Aveva una carnagione piuttosto scura, rispetto a quello che ci si poteva aspettare, dati i capelli biondi e gli occhi verdi. E non aveva neanche una voce profonda e da cavernicolo, ma era molto squillante e comunque potente. 
“Signor Sutton, buongiorno!” lo salutò Marcus sorridente.
“Quante volte te lo devo dire che mi devi chiamare Brian, signor Yates!?” lo accolse con una pacca sulla spalla l’altro. Marcus temeva il giorno in cui quel gesto affettuoso e amichevole lo avrebbe demolito, costringendolo a una permanenza forzata al San Mungo. 
“D’accordo, ma non chiamarmi così, chiamami Marcus!” protestò con un sorriso. Si scrollò di dosso i resti della polvere magica e si levò il mantello pregiato che indossava, per appenderlo all’appendiabiti poco distante. Il mantello era quello tipico degli Evocatori, uno splendido indumento argento dai riflessi iridescenti, che solo i membri della Confraternita potevano indossare, per distinguersi dagli altri maghi. Per chiudere il mantello, veniva utilizzata una spilla di madreperla a forma di petalo - e non rappresentava un fiore qualsiasi, era quello che l’Albero della Vita produceva in primavera, anticamente chiamato lo Yggdrasilsblóm. Il profumo di quei petali era dolcissimo, ma non invadente, e i petali venivano raccolti non appena cadevano dall’Albero e quelli migliori venivano utilizzati per fare una serie di profumi artigianali - per la persona, o per la propria casa - in quantità molto ridotte, e le bottiglie erano marcate con la semplice scritta þráslíf ma era stato chiamato più comunemente Essenza di Vita, per poterlo commercializzare al di fuori della Confraternita. Tra le famiglie nobili della comunità magica, era un prodotto molto ambito, perché erano praticamente le uniche a poterselo permettere, dato il numero ristretto di boccette prodotte ogni anno; era un profumo molto desiderato specialmente dalle streghe nobili, che erano disposte a lanciare anche Schiantesimi sulle acquirenti rivali, pur di accaparrarsi anche solo una bottiglietta.
Il giovane appoggiò il borsone a terra, lo spolverò e lo aprì un attimo, per sincerarsi che il contenuto non fosse stato contaminato dalla polvere e che non si fosse danneggiato durante il trasporto. 
“Gradisci qualcosa da bere? Un tè? Qualcosa da mangiare? La Caposala del secondo piano ha portato dei dolci meravigliosi, oggi” disse Brian a Marcus. 
“No, ti ringrazio” rispose il ragazzo cortese. Aveva sempre quell’aspetto molto magro e malaticcio e mangiare un dolce non gli avrebbe fatto di certo male. 
“Una volta di queste, però, ti fermi e ti facciamo degli esami del sangue” osservò l’altro “sei sempre molto magro e non hai un aspetto sano. Sei sicuro di stare bene?”.
Marcus scoppiò a ridere “Tutte le volte mi minacci con questi esami del sangue! Sto benissimo!”. Detto questo, si avviò fuori dall’ufficio, pronto a essere scortato verso il magazzino e i laboratori dell’Ospedale, per fare le sue consegne.
Non aveva molto tempo, come sempre, e non aveva tempo tantomeno per degli esami del sangue, perché aveva un’altra commissione da fare, sempre a Londra. Doveva recarsi in Mercy Street, che non era molto lontano dall’ospedale, ma non conveniva nominare quella strada, perché si rischiava di essere guardati male. Non con quello sguardo interrogativo da “che razza di posto frequenti?”, ma con un’occhiata più simile a un “ma con tutti i posti, proprio Mercy Street?”. Era una via da nominare il meno possibile, alla gente normale e perbene. Era peggio di Notturn Alley, di cui si poteva parlare tranquillamente, per quanto malfamata fosse. Mercy Street era la strada che non doveva esistere, un luogo disperato pieno di pazzi, di suicidi, di alcolizzati e di maghi sbalestrati troppo disgraziati per girare persino a Notturn Alley. Era un luogo dove si respirava carbone allo stato puro, dove le ceneri si depositavano sulle finestre, sui tetti, dove la neve tossica cadeva triste e perenne, nel tentativo di coprire le colpe degli abitanti. In Mercy Street si spacciavano pozioni illegali, ingredienti di cui non si conosceva la provenienza; lì si duellava liberamente, a cielo aperto, davanti ai proprietari delle osterie sudicie fatiscenti che imprecavano per l’ennesimo scontro, che iniziava sempre e solo per motivi futili. Volavano incantesimi inventati sul momento - e quindi molto pericolosi non solo per i duellanti, ma anche per i passanti, poiché non se ne conoscevano le conseguenze. Bisognava essere molto accorti e pronti nello schivarli. I matti potevano lanciare un qualsiasi incantesimo addosso al primo che passava, in base alla simpatia o all’antipatia che provava lo schizzato di turno. Era una strada dove, per camminare con un minimo di agilità, bisognava anche evitare gatti macilenti, topi, e quest’ultimi, che fossero vivi o morti, erano il pasto preferito di gufi malconci, che perdevano ciuffi di piume perché l’occasione di fare un pasto decente era veramente rara. 
Oramai Marcus ci aveva fatto l’abitudine, riusciva ad aggirarsi per quella strada quasi con indifferenza. Anche i soliti vagabondi e i soliti iracondi sembravano essersi abituati a quella presenza, occasionale e anomala, ammantata nel proprio mantello elegante e scintillante. Solo all’inizio, qualcuno aveva cercato di rubarglielo, ma il giovane Evocatore era stato pronto a lanciare al ladro balordo un incantesimo paralizzante. 
Ed eccolo lì, Marcus, che camminava con leggerezza ed eleganza in mezzo a quel sudiciume, umano, animale e inanimato, con la meta - la solita - ben in testa. Five Points, un locale squallido, le cui cinque attività principali erano lo spaccio di pozioni illegali, il traffico di creature magiche bandite dal Ministero, rigorosamente importate senza alcuna quarantena preventiva; lì, vi scorreva alcol a fiumi e di pessima qualità, e si svolgevano scommesse clandestine per duelli all’ultimo sangue e, infine, al Five Points veniva recapitata la corrispondenza illegale, tra qualche prigioniero di Azkaban e qualche parente o delinquente in libertà. Oppure, veniva recapitata quella corrispondenza che non voleva essere soggetta a controlli del Ministero - perché poteva capitare che venisse controllata, quando c’erano delle attività losche su cui indagare. 
Insomma, Marcus aveva un piccolo segreto, al di là dei suoi modi cortesi e sempre affabili: aveva la sua casella di posta in Mercy Street, al Five Points, perché non voleva che certa corrispondenza si mescolasse alla sua casella di posta ufficiale, situata nella segreteria dell’Ospedale di Mile Droichead. Un piccolo segreto che non avrebbe rovinato sua condotta esemplare, la sua competenza e il suo zelo nel lavoro, ne era convinto.
Entrò nel locale, aprendo una porta fin troppo scricchiolante, e schivò un ubriaco che dormiva a terra, e che stringeva in una mano la sua bacchetta magica rotta, dal cui punto di rottura uscivano scintille giallastre, che gli bruciacchiavano le vesti logore e i capelli unti. Marcus si diresse al bancone.
“Buongiorno Scintillino!” lo salutò bruscamente la strega dietro al bancone. Fumava una sigaretta Babbana, ne fumava una dietro l’altra - a Five Points succedeva anche questo, che circolassero liberamente i vizi Babbani. “Vai su, che c’è posta per te” aggiunse allungandogli la chiave per aprire la casella, senza dargli il tempo di rispondere al suo saluto.
Marcus prese la chiave lorda di grasso, e come sempre, dalla tasca della veste estrasse un fazzoletto pulito per lucidarla.
Scintillino, sei il solito schizzinoso” lo dileggiò la strega, scoppiando in una grassa risata, impastata di nicotina. Marcus le scoccò un’occhiataccia irritata.
“Non chiamarmi più in quel modo patetico” le rispose tagliente “e vedi di tenermi la chiave pulita, la prossima volta”. Il nomignolo derivava dal suo mantello, che spiccava tra la miseria delle vesti dei maghi e delle streghe che frequentavano Mercy Street.
Si allontanò, per dirigersi verso le scale che portavano alle caselle di posta. Si fermò per dissetarsi - non avrebbe mai accettato un bicchiere d’acqua in nessun locale di quella strada, neanche fosse  rimasto l’unico posto dove ristorarsi al mondo. Aprì il borsone di cuoio e ne estrasse una fiaschetta in metallo lucente, levò il tappo e bevve qualche sorso della bevanda contenuta al suo interno. Poi, salì le scale e, con una certa eccitazione, aprì la sua casella di posta. Sperava di trovare quello che stava aspettando da settimane.
Con un sorrisetto soddisfatto, estrasse dalla casella il pacchettino, verificò il mittente - era sempre lui, con la sua scrittura elegantissima e ordinata - e scartò il contenuto di fretta e furia, strappando la carta da pacco e tagliando lo spago. Si trovò davanti a una cartellina rossa, con una scritta in un alfabeto che aveva imparato a conoscere.
CCCP. URSS. Il Ministero della Magia sovietico lo autorizzava a recarsi in Unione Sovietica.
Aprì la cartellina e trovò una breve lettera, scritta sia in russo, sia in un inglese molto formale e ampolloso. La lesse con entusiasmo, e frugò ancora brevemente nella cartellina, trovando la pergamena d’invito ufficiale, che avrebbe dovuto tenere con sé per tutta la durata del soggiorno e che avrebbe dovuto esibire quando richiesto. Nel pacchettino, c’era un’altra lettera, non ufficiale, ma scritta da uno degli assistenti del mittente, che era stato designato come coordinatore di quel viaggio in Unione Sovietica. Gli confermava il tragitto e le tappe previste e l’incontro con un personaggio illustre del mondo magico sovietico, creduto morto da decenni.
Finalmente ci incontreremo, G.E.” mormorò Marcus, tra sé e sé. Ripiegò la lettera con cura, e la ripose nel borsone, senza dimenticarsi di ringraziare coloro che l’avevano aiutato a rendere quel viaggio possibile: “Grazie, Gosha e Tomas”.

Il suo cuore si era appena infranto in mille pezzi, li sentiva cadere a terra, ai suoi piedi.
Non sapeva quale martellata lo avesse colpito più duramente, e ignorava quale alternativa, gli sembrasse la più assurda e impraticabile. Ma quello che gli faceva ancora più male, era quel tatto glaciale del Preside.
Severus non sapeva - o forse aveva finto di non sapere, o ancora non poteva sapere, perché si era fidato troppo - fino a che punto il Albus Silente si sarebbe spinto nell’usare le persone che aveva attorno.
Fino a quel momento, non aveva considerato che il Preside avrebbe potuto renderlo un feticista delle vite altrui, proprio com’era sempre stato lui. Una persona ossessionata dalle vite altrui, nel bene e nel male, fino a perdere di vista la propria, arrivando a sacrificarla nel nome assoluto degli altri, e chissà quale altro assurdo principio si nascondeva dietro quel generico altri. Il ragazzo vide l’uomo sotto una luce diversa, a partire dai secondi successivi in cui il vecchio mago concluse quel discorso, semplice, accompagnato da un tono di voce grave e serio. Un discorso che Severus avrebbe cancellato e dimenticato volentieri, ma che continuava a rimbombare nella sua testa.
Scelte… Allontanarsi… Lily.
Una parte di sé si voleva ribellare, voleva esplodere di rabbia e lasciare quello studio e poter dimenticare quegli ultimi mesi - voleva dimenticare Mulciber, Avery, la questione di sangue nei maghi, quel vortice di Magia Oscura che si stava facendo sempre più evidente all’orizzonte. Quella parte di sé avrebbe preferito di gran lunga azzuffarsi con i Malandrini ogni santo pomeriggio, avrebbe voluto godersi Lily per quello che era. E non ultimo, quella furiosa parte di sé voleva piangere. Quand’era stata l’ultima volta in cui si era fatto un pianto vero e proprio? Forse da piccolo, dopo essersi fatto male. O forse dopo qualche generica delusione per cui un bambino è in grado di farne una questione di vita o di morte.
Amore… Vita e Morte… Magia Oscura… Guerra.
Tuttavia, c’era anche quell’altra parte di sé che provava dell’empatia per Silente, soprattutto quando aveva potuto vederne dei ricordi presso il Pensatoio. Severus aveva davanti a sé un uomo che aveva vissuto una parte della propria esistenza nell’egoismo e nella sete di potere, nel nome di qualcuno che amava molto; ora era lì, ridotto a un mero spettatore della sua esistenza, ma che, nel nome di quelle ceneri di egoismo che ancora bruciavano dentro al cuore, non poteva tollerare che qualcuno simile a lui potesse vivere la sua vita da protagonista. O diventavi come lui in tutto e per tutto, o niente.
Eppure, Severus non si era mai sentito minimamente paragonabile ad Albus Silente - neanche per sogno, in nessun aspetto. Credeva che non avrebbe mai avuto il suo talento, la sua conoscenza del mondo magico, tantomeno il fascino e il carisma, e soprattutto le capacità di intrattenere relazioni con i potenti - e con i burocrati che contavano. Che cosa c’era di tanto speciale in Sev, tanto da essere visto come un mago potente da tenere sotto controllo e da sfruttarne le capacità senza troppi scrupoli?
Se c’era una cosa che gli aveva fatto ancora più rabbia e amarezza, era il fatto che Silente lo aveva ascoltato, ma non gli aveva dato una risposta così significativa. Il suo discorso suonava più sibillino e meno cristallino di quanto volesse essere. Silente gli aveva indicato le strade possibili, ma non si era sbilanciato in particolare modo per una di quelle.  
Puoi essere uno qualunque… O puoi fare la differenza… Sei tu che devi scegliere.
Su un aspetto, però, i suoi occhi azzurri si erano illuminati di curiosità, ed era stato quando il ragazzo aveva parlato a cuore aperto circa l’invito che gli aveva fatto il compagno Serpeverde. Silente ne era certo, il giovane Severus avrebbe avuto un assaggio della vita che conducevano i maghi Purosangue simpatizzanti verso la pratica della Magia Oscura, e favorevoli alla purezza del mondo magico. E di sicuro, avrebbe conosciuto, pur senza saperlo, anche alcuni degli artefici degli ultimi attacchi ai maghi Nati Babbani, attacchi che andavano moltiplicandosi con il passare delle settimane. Albus sentiva che era a un passo dal capire non solo la struttura di quella congregazione di Maghi Oscuri, ma che presto, li avrebbe rivisti tutti in faccia, alla luce del sole, e li avrebbe affrontati. Avrebbe affrontato Lord Voldemort, il Signore Oscuro, che per lui era sempre rimasto semplicemente Tom. Lo chiamava Tom nei suoi pensieri, come per ridicolizzarlo, senza però sottovalutarne la potenza e il talento. Rimaneva comunque cosciente che non avrebbe mai potuto compiere quell’impresa titanica da solo, e per l’appunto aveva fondato l’Ordine della Fenice in gran segreto. Ma non gli bastavano i maghi ordinari e la collaborazione del Ministero, per cui si era mosso per convincere la Confraternita degli Evocatori a unire le forze. E ancora, tutto quello non gli bastava più, aveva bisogno di più punti di vista possibili, prima di arrivare a un primo scontro decisivo.
Qualche volta si era chiesto se fosse giusto coinvolgere un adolescente in quella situazione. Ma non era di certo l’unico ragazzo coinvolto - chissà quali altri giovani Purosangue, usciti da qualche tempo da Hogwarts, stava arruolando Lord Voldemort; o molto più banalmente, chissà a quanti di loro stava lavando il cervello con le sue assurdità. Severus si sottovalutava e quello Albus voleva farglielo capire: aveva il talento per diventare un grandissimo mago, un profondo conoscitore delle Arti Oscure senza però piegarsi alle logiche del Signore Oscuro; era di tempra forte e resistente, più di quanto il giovane potesse sapere, e possedeva un ottimo controllo delle proprie emozioni, tanto da essere in grado di nasconderle e non lasciarsi tradire da esse. Il ragazzo negava, ma quelle capacità le aveva già dimostrate in qualche modo, e Silente di certo non se le era fatte sfuggire. Severus era pure intelligente, scrupoloso e preciso. Tuttavia, la potenzialità di diventare un grandissimo mago di prim’ordine aveva necessariamente un prezzo da pagare e glielo aveva fatto capire con la preoccupazione di un padre - quello che Severus non aveva mai avuto veramente - e la fermezza di un leader. 
Avrebbe dovuto allontanarsi da Lily Evans
La “giovane Evans”, come la chiamava Silente. 
Sembrava cinico, o forse lo era davvero, e il mago cercava solamente di addolcire quel verdetto amaro e mortale come un veleno per il cuore del ragazzo, ma per Lily, il Preside di Hogwarts aveva altri piani, che non poteva ancora rivelare a Severus. Lily sarebbe una persona più delicata da gestire, in quanto futura Evocatrice, e Silente reputava che non potesse essere così esposta alla mercé dei due Serpeverde che gironzolavano attorno a Sev. Andava protetta, anche a costo di allontanare - e la parte più tenera sperava sempre di non arrivare a separare - i due ragazzi, perlomeno ufficialmente e davanti a tutti. Così, Severus avrebbe potuto addentrarsi senza ancora troppi rischi nella vita di Mulciber e Avery, andando a creare un legame solido, basato su una forte fiducia, in modo tale da avere accesso alla rete di amicizie delle due nobili famiglie. Era molto facile a dirsi, ma rimaneva un’operazione difficile a farsi, che avrebbe richiesto ancora del tempo. Ed era per questo che il giovane Serpeverde avrebbe dovuto allontanarsi da Lily, per concentrare le sue forze e il suo tempo libero sui suoi due compagni di casata. 
Lui se ne stava lì, seduto su quella sedia, con davanti a sé il Preside, con il cuore massacrato e il morale a terra, e una strada da scegliere. O meglio, una strada che voleva dare l’illusione di aver scelto, imboccato e spinto da altri, quando invece sarebbe stato lui a prendere ogni singola decisione. Per il bene suo e di Lily, che non voleva tradire con un mare di bugie. 
Severus non si era totalmente accorto che quelle bugie aveva già iniziato a dirgliele, sebbene  ancora piccole e innocue. Era nella fase di negazione dell’evidenza. Ma come avrebbe mai potuto spiegarle con tranquillità e serenità, come se avessero parlato solo di Quidditch, che quella sera avrebbe accettato l’invito di Avery? Non ci sarebbe mai riuscito. Eppure, lui pensava, e avrebbe sempre pensato, a fin di bene, perché tutto quello che avrebbe fatto, di lì in avanti, lo avrebbe fatto ancora di più per lei, per la sua salvezza. Ciascuno degli attori in scena avrebbe pensato di avere avuto in pugno Sev - da Silente stesso, a Mulciber ed Avery, e indirettamente anche da Lucius Malfoy - ma nessuno lo avrebbe mai avuto in pieno controllo.
Voluto e cercato da tutti, ma comandato da nessuno. Severus avrebbe venduto cara, carissima la sua pelle, a tutti loro. E avrebbe fatto di testa sua.
Allontanarsi da Lily? Non lo avrebbe mai fatto, anche se conveniva che fosse giusto proteggerla in qualche modo. Ma lo avrebbe fatto a modo suo, senza intrusioni da parte di nessun altro. Quella era la sua storia, la sua vita, il suo amore. Tutto sarebbe andato secondo la sua visione, altrimenti, tanto sarebbe valso affogare in una vita mediocre e qualunque.
A Severus non rimaneva altro che alzarsi, ringraziare educatamente il Preside per il tempo concessogli, raccogliere i cocci del suo cuore, per rimetterli insieme, controllare le sue emozioni e dirigersi da Mulciber e Avery, per accettare l’invito con la frase più neutra e distaccata del suo repertorio. E avrebbe dovuto cercare di nascondere il fiume di parole che avrebbe voluto dire a Lily, che di sicuro avrebbe incrociato prima di cena. E che avrebbe incontrato il mattino dopo, prima e durante le lezioni, nel pomeriggio, e di nuovo, prima di cena - com’era sempre stato e come sarebbe sempre stato. Ma non era il momento di cedere, di svelarsi, di confidarsi all’unica persona che era stata in grado di scioglierlo e sbloccarlo per davvero nella sua vita. Un giorno lontano, avrebbero riso di tutta questa situazione, ne era certo. Avrebbero riso di quella necessità di nascondersi da parte degli adulti e avrebbero riso, perché sani e salvi a godersi il loro amore alla luce del sole, in mezzo al vento e bagnati dalla pioggia, quella pioggia che conoscevano da tempo. Sentiva ancora la voglia di lasciarsi andare alle lacrime, e in maniera minore, sentiva ancora il desiderio di scappare, mentre attraversava il lungo corridoio che lo avrebbe riportato nella Sala Comune dei Serpeverde. Non avrebbe più potuto fare niente di tutto questo, oramai si era deciso, sebbene i suoi maledettissimi sedici anni lo avrebbero ancora perfettamente scusato, in caso di pianto improvviso e di pugni dati al vento. 

* * *

Sono in vergognoso ritardo.

Ma. C’è sempre un ma. In questo ritardo ho accumulato tre capitoli da scrivere <3

Mi sembra un buon modo per farmi perdonare. La parte più lunga è sempre la meditazione, la rilettura e l’editing, ma non ho fretta di pubblicare, perché voglio fare del mio meglio per Irish Rain. Mi sembra il minimo!

La vita reale è sempre molto piena, ma non mi lamento, la vita reale mi consente anche di rifugiarmi in questo piccolo universo che ho creato e nel quale sguazzo ancora con tanto amore! Spero vi piaccia questo capitolo, buona lettura!

E… Buon Natale, ci vediamo presto! <3

Lily White Matricide <3

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Capitolo 45
*** Slavocracy ***


45.
Slavocracy

 

 

There was a time when you were not a slave, remember that. You walked alone, full of laughter, you bathed bare-bellied. You say you have lost all recollection of it, remember . . . You say there are no words to describe this time, you say it does not exist. But remember. Make an effort to remember. Or, failing that, invent” 
Monique Wittig

 
La cerva era libera di correre.
La sua figura si specchiava nel Lago Nero, agitando appena la superficie delle acque scure, le cui increspature brillavano della luce dorata di quel pomeriggio terso di primavera. All’orizzonte, c’era solo qualche nuvola scura e carica di acqua, che, il ragazzo oramai lo sapeva, sarebbe caduta nel tardo pomeriggio, per poi volare via e dare modo alle stelle di brillare indisturbate in cielo.
Severus guardava la sua cerva volteggiare tranquilla, mentre era seduto sull’erba, poco distante dalla riva - la cerva rappresentava il suo ricordo più felice. Vederla libera nell’aria, significava aggrapparsi a quel bel ricordo, ma anche consolarsi del fatto che fosse ancora vivo, e non semplicemente archiviato in qualche meandro della propria mente, inanimato e grigiastro.
Il suo ricordo più felice era quello della sera precedente, quando aveva avuto qualche ora per stare con Lily, per salutarla prima che partisse per casa, dove avrebbe trascorso le vacanze di Pasqua. Avevano trascorso la sera a bighellonare per il castello, come facevano parecchi studenti, una volta sospese le lezioni per le vacanze. Il ragazzo le voleva risparmiare i bui corridoi che portavano alla Sala Comune di Serpeverde, posta esattamente sotto il Lago Nero. Le avrebbe sempre risparmiato la visione delle sirene e della piovra gigante, che comunque si faceva vedere molto di rado, non trovava che fossero visioni molto allegre.
Aveva accuratamente evitato quei corridoi per non incontrare, in compagnia della ragazza, Mulciber e Avery, a cui si sarebbe unito per le vacanze di Pasqua. Stava diventando bravo nel tenere separati i vari mondi in cui aveva messo piede. In quanti mondi e faccende si sarebbe dovuto immischiare, prima di diventare un esperto senza un mondo suo?
Lily e Severus si erano rincorsi per le scale mobili come due sciocchi, facendo in modo che l’inseguitore rimanesse bloccato sulla scala, nel momento in cui quest’ultima si spostava. Stranamente, non avevano attirato le ire di nessun Prefetto, e miracolosamente avevano evitato Gazza e la onnipresente Mrs. Purr.. Sarebbe stato grottesco far perdere punti alle rispettive casate per dei giochi da sciocchi, e sarebbe stato ancora più grottesco se fossero stati proprio Severus e Lily - tra i migliori studenti di Serpeverde e Grifondoro - a farli perdere. Per non sfidare eccessivamente la fortuna, si erano seduti su una delle gradinate che portava alla Sala Grande, e si erano messi a chiacchierare tranquilli e sottovoce. Qualche altro studente ciondolava in giro, senza una meta e uno scopo particolare. I Malandrini dovevano essere partiti tutti, a eccezione di Remus Lupin, perché degli altri non se ne vedeva traccia. Il ragazzo era in giro ad assolvere i suoi compiti di Prefetto, senza troppa cattiveria, essendo prima di tutto un Malandrino, e poi un Prefetto di Grifondoro.
Severus era piuttosto sorpreso dalla sua tranquillità, dopo l’incontro con Silente. Parlava con Lily come se niente fosse mai accaduto, come se non avesse da spiare il comportamento di due Serpeverde, le loro famiglie, e fingersi un convinto sostenitore delle loro idee. Facile come lanciare un banale Incantesimo di Appello. Il giovane si aspettava più agitazione, più ansia, meno controllo nel riuscire a gestire le proprie emozioni con Lily, e invece gli sembrava di essersi liberato di un peso. Quando era con la ragazza, riusciva a pensare a lei e a concentrarsi solamente su di lei - pensava solo al suo benessere. Senza il peso di doverle raccontare qualcosa circa le cattive compagnie che lo circondavano. Lei era di un mondo, loro di un altro.
Da lì in avanti, avrebbe detto tutto quello che riguardava le mosse di Mulciber e Avery solo al Preside, perché il mago, da grande orchestratore quale era, aveva il suo grande spartito davanti, con tutte i ruoli degli strumenti che andavano scrivendosi, con il passare dei giorni. E Severus sapeva che qualche rigo era riservato a lui. C’era uno strano senso di cauta fiducia verso Silente; in fondo, ne sapeva ben più di lui, tanto valeva appoggiarsi al vecchio mago. Dare informazioni preziosissime a quell’uomo significava comunque ricevere protezione e qualche vantaggio rispetto agli altri. Poteva suonare opportunista, ma Severus iniziava a vederne qualche beneficio, che gli sarebbe servito per proteggere Lily il più possibile. Dopo lo shock e il forte squilibrio emotivo iniziale, si era calmato, e la ragione aveva iniziato a snocciolare lucidamente tutti i pro e i contro di quella situazione. Aveva un arma in più per proteggere lei. E tanto gli bastava.
Tuttavia, il ragazzo si stava rendendo amaramente conto che, in quei mesi, i momenti di serenità e spensierati si erano fatti più rari, a prescindere dai due suoi loschi compagni di casata, da Silente e dai suoi piani.
Si era accorto che i momenti felici non piovevano più con quell’adorabile casualità e abbondanza di prima. Doveva andarseli a cercare, doveva crearli lui stesso, perché altrimenti si trovava circondato da indifferenza ed energie tendenti al negativo. Quella sera passata con Lily era stata una fonte di dolcezza e amore senza pari, dove la malinconia e la tristezza non avevano avuto il benché minimo spazio. Sev aveva voluto esplorare le sue emozioni quasi fino in fondo. Era bastata un’occhiata per convincere Lily a seguirlo. Non che avesse un’idea precisa di cosa avrebbe fatto, aveva solo un’idea di dove portarla, perché gli sarebbe piaciuto portarla su quella Torre… E poi sarebbe stato quello che sarebbe stato.
Quella cerva che correva libera forse era frutto di un momento dove Severus si era spinto più in là del solito, nel dimostrare i propri sentimenti. Con il senno di poi, si diceva di aver esagerato, che poteva aver spaventato Lily, ma erano le solite paranoie. Il suo istinto che lo spingeva a essere iperprotettivo, e a volte troppo idealista verso la sua amatissima ragazza, lo aveva tormentato con quel famoso senno di poi. Eppure, non riusciva a pentirsi di quel raro momento di sentimento lasciato andare alla deriva, con tutto il rispetto per i Prefetti, e per i professori che avrebbero potuto trovarli e che avrebbero potuto far passare loro un bel guaio. Aveva notato che un certo freno sentimentale troppo protettivo e insicuro, si era lentamente fatto da parte. Il ragazzo non sapeva se tutto quello fosse anche collegato al fatto che si fosse sfogato con Silente e che ora avrebbe comunque potuto contare sul Preside, scaricando su di lui un certo tipo di problemi di cui si era fatta carico, fino a quel momento, Lily. Non lo sapeva, ma qualcosa si era sbloccato dentro di lui, e voleva vivere la pienezza del proprio sentimento con la sua ragazza, perché mai come in quel momento, in cui apparentemente era schiavo e dipendente da più persone, si era sentito libero di amare fino in fondo.
L’erba fresca su cui si era appoggiato gli ricordava la stessa freschezza della sera precedente, gli aveva fatto sentire nuovamente quel brivido lungo la schiena, che aveva provato nel momento in cui aveva toccato il pavimento della Torre di Astronomia a piedi nudi. Le acque scure del lago gli avevano riportato alla mente il cielo buio, ma terso, sopra loro due. Gli occhi di Lily luccicavano nell’oscurità, gioiosi e trionfanti come le stelle nella volta celeste, le uniche testimoni di quei baci, di quelle carezze che stavano goffamente imparando ad andare oltre lo strato dei loro vestiti, che quella sera non erano quelli della consueta divisa di scuola - erano dei jeans, delle magliette o delle camicie, delle felpe, e delle scarpe da tennis, e il tutto stonava con la sacra magia di Hogwarts, ma nel tempo libero erano concessi e a loro non dispiaceva indossare vestiti più comodi. I raggi rossi e arancio del sole ricordavano i capelli della ragazza, dove il volto e le dita del ragazzo si erano impigliati più volte, sentendosi felicemente intrappolato in quel momento, che avrebbe voluto vivere ancora e ancora, pronunciando quell’Expecto Patronum fino a quando non avrebbe perso totalmente la voce.
La leggera nebbia nelle Midlands faceva fantasticare Lily, conducendola lentamente verso la sonnolenza. Quel clima intorno a sé le dava la stessa sensazione di confusa estasi che aveva provato la sera prima. Una nebbiolina che cullava quei minuti infiniti e intensi, dal momento in cui avevano raggiunto furtivamente la Torre di Astronomia, aggirando il divieto d’accesso e camminandoci scalzi e in punta di piedi, per non fare troppo rumore, passando per le conversazioni sottovoce sulle costellazioni in cielo, e l’ostinazione di Lily nel voler trovare la costellazione del Dragone.
Il dolce ondeggiare dell’Hogwarts Express le ricordava come Sev la teneva tra le braccia, intanto che lei si dimenava, entusiasta come una bambina, ogni volta che riconosceva una stella spiegata a lezione. Il freddo del vagone, che non era troppo riscaldato, le ricordava il contatto della sua schiena contro la pietra della Torre. Quella parte del corpo era in parte nuda, perché la felpa e la maglia più pesante erano a terra e le era rimasto addosso solo un top leggero, dalle spalline sottili. Si ricordava la reazione spontanea che era immediata seguita, quel tendersi e inarcarsi verso Severus, che aveva la camicia quasi sbottonata del tutto.
Però niente era lontanamente paragonabile a quei baci a volte più frenetici, a volte più lenti e voluttuosi, a quelle labbra che si scambiavano brividi e carezze tra di loro; a quelle mani sempre più curiose e anche maliziose, che all’inizio sembravano dubbiose, per poi abbandonare qualsiasi insicurezza. Lily ogni tanto lanciava qualche occhiata confusa verso il cielo: era rimasta senza parole, ed era sorpresa da quel nuovo spettro di emozioni e sensazioni che stava provando. Non che fossero spuntate dal nulla e all’improvviso, erano state frutto di una lenta evoluzione del loro rapporto, ma quella sera certi sentimenti e desideri si erano manifestati in tutta la loro energia. Era stato improvvisa l’idea di andare verso un luogo più indisturbato come la Torre di Astronomia, a cui gli studenti potevano accedere solo in orario di lezione. Quella era stata sì una bravata improvvisata, ed era bastata un’occhiata per convincersi a farlo. Erano degli studenti modello da un punto di vista del rendimento scolastico, ma non erano di certo dei secchioni inanimati e senza desideri.
Lei guardava il cielo e quel barlume di lucidità, che tornava a dominare prepotentemente ogni volta che i suoi occhi incrociavano la luna piena, le ricordava di non fare troppo rumore, di stare il più in silenzio possibile, di non lasciarsi andare eccessivamente. Ma quella luna piena di ragione e buon senso le stava sempre più sfuggendo di vista, ma mano che scivolava giù, lungo il muro, non riuscendo bene a capire se fosse lei a seguire Sev, o se fosse lui ad assecondare le gambe tremanti di lei. Si ritrovarono entrambi sdraiati su quel pavimento duro, continuando il loro scambio di carezze e di baci.
L’unico pallore che il ragazzo prendeva in considerazione quella sera era quello della pelle di Lily, gli unici bagliori che lo interessassero erano quelli dell’anello che le aveva regalato l’anno prima, e del ciondolo degli Evocatori appoggiato sulla leggera scollatura del top. E con fare giocoso lo spostava con la punta di un dito, muovendolo da un seno all’altro della ragazza. Lily si lamentava sempre di quel seno piccolo, ma molto aggraziato, perché le sue amiche erano più fortunate e la loro femminilità era più evidente, senza dover ricorrere ad altri accorgimenti. Lei si sentiva in difetto e si lamentava pure del fatto che non esistessero incantesimi al riguardo. Ma a Severus non importava nulla di quelle questioni estetiche tra amiche. A lui piaceva esattamente così com’era ed era curioso di vederla reagire al tocco delle sue labbra, che tracciavano piccole costellazioni di baci, seguendo le lentiggini sparse sulla pelle della ragazza, che lo portavano a baciarla sul collo, sulle parti nude del petto, sulla clavicola e dietro le orecchie.
Il leggero sobbalzo del vagone ricordò a Lily quando lei interruppe Sev e lo spinse con la schiena appoggiata al pavimento, ribaltando i ruoli, per qualche attimo. Si era seduta sui suoi fianchi, tutta arruffata ed estatica, per poi chinarsi e iniziare con misurata lentezza la sua sensuale esplorazione. Tutto quello che rimaneva a Severus da fare era abbandonarsi a lei, sdraiato a terra, con gli occhi socchiusi e con le dita che si attorcigliavano alle lunghe ciocche di capelli di Lily, che continuavano a solleticarlo. La ragazza stava scoprendo che le piaceva molto il petto di Severus. Era ampio, asciutto e magro, e al tatto sentiva i muscoli in tensione del ragazzo. Le sue gambe si sfregavano dolcemente contro i fianchi di Sev e si rese conto che, di tanto in tanto, si sentiva spinta a far ondeggiare i suoi fianchi in maniera un po’ più evidente, al ritmo di una sensualità più profonda e a loro ancora oscura. E in quei nuovi movimenti, ancora incerti e impacciati, Lily si rese conto che anche il ragazzo la stava assecondando, in segno di gradimento. E quel gradimento si stava traducendo in un languido calore dalla vita in giù, pur essendo entrambi ancora parzialmente vestiti.
Il fischio dell’Hogwarts Express dissolse quel ricordo intenso, riportando Lily alla realtà di quel noioso viaggio, proprio come quell’ululato spaventoso li aveva interrotti la sera precedente, e li aveva fatti rialzare in piedi e rivestire di corsa, afferrando all’inizio i vestiti sbagliati. Passata l’agitazione iniziale, erano stati presi dalla curiosità, e i due ragazzi si affacciarono a vedere che cosa stesse succedendo.
La luna piena illuminava i prati circostanti il castello di Hogwarts, il Lago Nero era una distesa di pece e di argento, ma non sembrava esserci niente di particolare in corso. Fino a quando Lily non individuò qualcuno muoversi verso il Platano Picchiatore. Era una macchia scura che si muoveva, fino a quel momento senza identità.
“Ma chi è il folle che si dirige verso il Platano?” mormorò perplessa Lily.
Severus aveva capito, associando la luna piena, l’ululato e l’albero magico, e il tutto gli riportò alla mente ricordi poco piacevoli. Allora rispose, quasi irritato: “È Lupin”.
Se la prese con lui, come se il Grifondoro li avesse volutamente interrotti. Ma il ragazzo stava passando la dolorosa fase di luna piena: essendo stato morso da Fenrir Greyback da piccolo, in quei giorni si trasformava in lupo, senza aver modo di fermare o di controllare quella dolorosa trasformazione. Altri presidi non avrebbero mai ammesso uno studente con un problema che metteva in pericolo la sicurezza di tutti, ma Silente aveva elaborato un modo per isolare Lupin nei giorni di luna piena. Il Platano Picchiatore serviva per nascondere il tunnel che avrebbe condotto il ragazzo alla Stamberga Strillante, dove avrebbe potuto passare in solitudine quei giorni di sofferenza.
Lily non riusciva a odiare Remus, era più forte di lei, mentre gli altri tre Malandrini li detestava cordialmente. Con lei, Lupin era sempre stato gentile ed educato, si era sempre dissociato dalle frecciatine verso la ragazza - ma non verso Severus, che per lui rimaneva sempre Mocciosus, e quell’aria pallida e sempre malaticcia l’aveva da sempre intenerita. Era ovvio che però non potesse affrontare quel discorso di compassione con Sev, che vedeva i quattro Malandrini come fumo negli occhi, e non poteva di certo dargli torto. Non negava, però, che quelle volte in cui ci aveva avuto a che fare in Sala Comune, per una chiacchierata solo tra loro due, non si era trovata male, anzi, era piuttosto a suo agio e la conversazione era sempre pacifica e piacevole. Remus aveva rispetto per Lily e, pur sapendo di contraddirsi, non voleva mancare di rispetto alla ragazza e ai suoi sentimenti verso Severus. Mentre non poteva fare a meno di prendersi gioco del ragazzo.
La giovane strega teneva all’oscuro Severus di quello strano legame, per evitare di inasprire il conflitto già problematico con i compagni di casata, e voleva evitare di litigare con il suo ragazzo per un’innocente chiacchierata con Lupin. Magari non l’avrebbe chiamata propriamente amicizia, ma perlomeno Remus non le dava fastidio e con lui andava un po’ oltre il semplice salutarsi, e risultava pure una persona piuttosto gradevole.
“Che razza di metodo sarà mai, quello di farlo andare sotto il Platano Picchiatore” osservò Lily amareggiata “oltre a essere in quella condizione, rischia pure di essere picchiato dalla pianta, se non riesce a fermarla in tempo e nel modo giusto”.
Severus non rispose, perché tutto quello che gli veniva in mente erano frasi ad alto contenuto di sarcasmo, acidità e amarezza verso Lupin, passando per una massiccia dose di cattiveria, e non avrebbe provato il benché minimo dispiacere se il ragazzo fosse stato pestato dal Platano. Era ancora troppo vivido il ricordo dello scherzetto di Sirius Black e James Potter, che si era finto l’eroe di turno, che aveva finto di salvarlo da Lupin, per farsi bello agli occhi dei professori e di Silente, mentre Sev era convinto che Potter sapesse delle intenzioni dell’amico Black e avesse bisogno di un’ulteriore iniezione di egocentrismo. Si limitò a sistemarsi la camicia e la felpa, e indietreggiò, mascherando l’irritazione con una parvenza di disinteresse.
Lily lo seguì, scesero dalla Torre di Astronomia con cautela, per non farsi scoprire - e per fortuna non erano stati scoperti mentre erano sdraiati a terra, e non li avevano trovati nel momento in cui la ragazza si trovava a cavalcioni su Sev. Eppure, il suo pensiero continuava a essere in parte rivolto al compagno Grifondoro, che era vero, li aveva inconsapevolmente interrotti, e la ragazza pensava con rimpianto a quello che sarebbe potuto succedere se fossero andati avanti indisturbati.
Ci vorrebbe una pozione Antilupo” pensò tra sé e sé. Guardò Severus, che si era rabbuiato e sembrava arrabbiato, e aggiunse: “Beh, di certo non sarà lui a trovare un rimedio meno doloroso per Remus Lupin, anzi”.
La ragazza continuava il suo viaggio in treno, e lasciato da parte quel ricordo e i suoi brividi di piacere, aveva estratto dalla borsa un libro di Pozioni piuttosto avanzato, perché il dubbio che non esistesse un preparato per controllare i lupi mannari le era rimasto. Per ammazzare il tempo, aveva deciso di documentarsi al riguardo. Mentre era assorta nella lettura, nello scompartimento entrò Marlene, che rientrava per le vacanze pure lei. Sembrava corrucciata.
“Lene” l’accolse Lily “che hai?”.
La ragazza si guardò intorno, come se dovesse confessare un crimine terribile, e chiuse la porta dello scompartimento senza risponderle. Per fortuna, Lily era da sola, dato che non molti studenti sceglievano di rientrare per le vacanze di Pasqua. La ragazza chiuse il libro e raddrizzò la seduta, facendo capire che Marlene aveva tutta la sua attenzione.
“Ho bisogno del tuo aiuto… Tu che sei brava in Pozioni…” iniziò imbarazzata, la sua voce era appena un sussurro. L’amica di Lily non era molto brava in quella disciplina, e non era affatto raro che chiedesse aiuto a lei, ma senza farne un dramma eccessivo.
“Vuoi una mano per i compiti?” chiese gentile Lily.
“Sì, cioè, no!” esclamò Marlene “la questione è un po’ più complicata. Ho bisogno di una pozione”.
Lily la guardava un po’ preoccupata.
“Pozione di che tipo?” chiese cauta.
“Te l’ho detto che è un po’ complicato da dire…” rispose l’altra.
“Marlene” sibilò Lily “se ti spiegassi, capirei meglio! Calmati e parlamene”.
Con quella frase, ottenne l’effetto opposto. L’amica si chiuse in un momentaneo mutismo, con gli occhi lucidi rivolti verso terra.
“Ti prego non giudicarmi” disse Marlene, dopo qualche minuto di silenzio.
“Non sono qua per giudicarti, ma per aiutarti, scema” la rimbeccò Lily “però mi devi spiegare, altrimenti come faccio?”.
L’amica di Lily respirò profondamente, poi iniziò a spiegare, piuttosto incerta e confusa.
“Ho bisogno di una pozione egizia, cioè, di quella pozione egizia, solo che non sono brava e ne ho bisogno con urgenza, insomma, sì, quella pozione, hai capito? Tu ne sai, sei esperta… La pozione egizia!”.
“Lene” la interruppe con dolcezza Lily, prendendole una mano e stringendogliela con affetto “quale pozione egizia? Gli Egizi erano piuttosto bravi a fare pozioni, ne abbiamo studiate alcune… Ti ricordi il nome?”.
“Sì, cioè, no, sì, ma mi vergogno a dire quale sia” rispose sempre più rossa in viso Marlene.
Lily non si ricordava alcuna pozione particolarmente imbarazzante tra quelle egizie.
“Dai, dimmela!” la esortò “altrimenti non ti posso essere d’aiuto”.
“Beh, sai… Quando… Quando… La donna ha b-bisogno…” iniziò l’altra, ma si interruppe di nuovo.
“Ah, dici quando hai dolori di pancia?” osservò l’altra, pensando di aver capito. Ma non aveva bisogno di una complicata pozione egizia, bastava un antidolorifico piuttosto semplice da fare.
“No…” rispose Marlene, sempre più viola.
Lily rimase muta, perché a quel punto, se non erano i dolori del ciclo mestruale, non le veniva in mente molto altro. Però, forse… Marlene si stava comportando in maniera bizzarra perché…
“Per tutti le streghe dell’Est, non riesco a dirlo… Io e Sirius… S-Sirius e io… Le cose tra uomo e donna…” balbettò sempre più confusa. L’amica sobbalzò dal sedile, capendo dove volesse andare a parare.
“Marlene, tu e Sirius avete fatto sesso?” le chiese sbalordita, e dentro di lei si stavano affollando un’altra decina di domande che le avrebbe voluto porre. Aveva pronunciato la parola proibita velocemente, quasi fosse sconveniente dirla, e Marlene a sentirla, in tutta la sua chiarezza e inequivocabilità. E dati gli anni, ufficialmente era ancora un po’ strano sentire dei sedicenni parlare liberamente della propria sessualità, per quanto nei costumi e nella società fosse cambiato qualcosa. L’altra era sul punto di piangere.
“Sì, no! Cioè, quasi…” rispose, con la voce appena percettibile.
“Cosa vuol dire quel quasi!?” le sibilò l’altra, preoccupata dall’eventualità che l’amica avesse combinato un pasticcio più grande di lei, lasciandosi andare tra le braccia di quel disgraziato.
“Non avevamo quelle cose per evitare le cose spiacevoli” spiegò.
“Le cose… Cosa!?” chiese Lily.
Marlene mimò il gesto di una barriera, senza guardarla, incrociando le braccia sul petto.
“Oh… I preservativi?” continuò Lily, imbarazzata. Marlene la guardò perplessa. In effetti, essendo l’amica una Purosangue con una famiglia fiera di esserlo, e fiera di essere chiusa nella propria purezza, magari sapeva che cosa fossero, ma non come si chiamassero. “Err… Li usano i Babbani, e anche i maghi… Credo”. La sorella Petunia, con molta vergogna, li aveva nominati a un’amica, in una conversazione privata nella propria camera durante le vacanze di Natale, conversazione che la sorella minore aveva origliato, perché era troppo scottante e troppo strana per uscire dalla bocca di ‘Tunia. Lei, fare cose sconce con quel Vernon? Prima del tanto agognato matrimonio? Non se li immaginava minimamente e un’eventuale visione le aveva suscitato ribrezzo e nausea.
“Beh sì, tipo quelle cose lì. Io però volevo una pozione, non quelle cose Babbane che non conosco” rispose Marlene. “Mi aiuteresti?”.
Lily, tra sé e sé, pensò che in effetti avrebbe dovuto pensarci prima, dato quello che sarebbe potuto succedere sulla Torre di Astronomia - e prima o poi, pur non capendo ancora se fosse pronta o non lo fosse, sarebbe accaduta quella cosa. Non che a Hogwarts fossero diversi dai Babbani, anche loro avevano dei normali desideri fisici e sapeva, da alcune ragazze più grandi, che qualcuno riusciva a trovare qualche anfratto privato dove fare cose. E non aveva mai affrontato il discorso precauzioni con Sev, lasciandosi sempre andare al sentimento senza troppa cautela. Non capitava neanche da troppo tempo, ma era bene parlarne prima di fare qualcosa di avventato. Lily si era scoperta paranoica su quell’argomento. Ovviamente, qualche tempo prima, presa da pura curiosità, dopo una sera passata a sentire da una del sesto anno i dettagli del suo incontro galante, si era messa a leggere qualche accorgimento da prendere - soprattutto spinta dalla curiosità di sapere se ci fossero precauzioni alternative nel mondo magico rispetto a quello Babbano. Sapeva dell’esistenza di una pozione egizia, a base di miele d’acacia e altri ingredienti, e di una pozione chiamata Succo di Cirene, il cui ingrediente principale, il silfio, veniva considerato estinto da secoli; in realtà, i maghi avevano reso le piante visibile solo ai maghi stessi, e non ai Babbani che volevano far sparire la pianta per motivi religiosi.
In buona sostanza, Lily poteva aiutarla. Forse del gruppo, era l’unica vagamente più esperta in certe cose, per esserle d’aiuto, prima che l’altra si cacciasse in qualche guaio.
“Suppongo che, presto o tardi, ne avrò bisogno pure io…” aggiunse Lily. Marlene spalancò gli occhi, sbalordita. “Non guardarmi così, sono cose che succedono! Non sono mica asessuata!” esclamò sempre l’altra “Comunque, posso aiutarti, proviamo a vedere in questo libro”. Detto questo, afferrò il libro di Pozioni avanzate che aveva chiesto in prestito in biblioteca e che aveva leggiucchiato fino a qualche tempo prima, e lo aprì, per consultarne l’indice.
“L-Lily…” fece Marlene, dopo qualche minuto di silenzio.
“Sì, Lene?”.
"
Vuoi dire che hai fatto quella cosa lì, con…?”.
“Oh, Merlino, no… Spiacente di non darti qualche dettaglio interessante e piccante. Piuttosto, dammi una mano a cercare questa maledetta pozione, che prima la troviamo, meglio è per i nostri apparati riproduttori” la rimbeccò Lily. Marlene arrossì e nascose il suo imbarazzo dietro i suoi capelli biondissimi.
Severus era pronto a partire.
Aveva passato la sera a provarsi i vestiti che René Zabini gli aveva gentilmente prestato. Forse non troppo gentilmente, dato il suo reputarsi superiore al resto dei Serpeverde, ma con Severus non si trovava male e gli doveva qualche favore, visto che lo aveva aiutato più volte a scuola. Per il creolo, Severus non era così zotico come gli alcuni altri, e aveva una mente superiore rispetto alla media - lo reputava molto intelligente e colto: un talento nato in Pozioni e lo reputava uno dei pochi in grado di parlare, con molta cognizione, delle Arti Oscure. Non capiva come potesse mescolarsi a due rozzi come Mulciber e Avery, ma non era certamente così ficcanaso da impicciarsi negli affari del compagno di casata. Trovava estremamente carina e attraente la ragazza Grifondoro a cui si accompagnava, Lily Evans, un altro discreto talento in quelle annate a Hogwarts, era doveroso ammetterlo, per quanto fosse una Grifondoro e i suoi natali non fossero evidentemente nobili e Purosangue. Bisognava però darle atto di avere carattere e di spiccare in mezzo al mare di smorfiose amorfe e senza personalità.
René aveva prestato a Severus i vestiti più belli che aveva, perché semplicemente, lui non ne aveva, e Zabini era quello che in altezza e fisico gli assomigliava di più, per quanto l’amico bisognoso fosse più magro e meno muscoloso. Come poteva trascorrere qualche giorno presso la famiglia Avery, a stretto contatto con la nobiltà Purosangue, vestito sempre nella solita maniera, e con un abbigliamento non consono? Per René era inaccettabile e imperdonabile, tuttavia capiva la situazione economica di Severus. Non tutti erano nati ricchi e in grado di permettersi un vasto guardaroba firmato ed elegante da sfoggiare ogni giorno. E aveva il suo personalissimo modo di esprimere il suo dispiacere verso quella persona.
Non solo, René gli aveva dato qualche prezioso consiglio di buone maniere da applicare con quelle famiglie, che ovviamente conosceva molto bene e che frequentava tutte al di fuori di Hogwarts. Gli aveva detto cosa dire e cosa non dire, era passato a suggerirgli i convenevoli più adeguati, gli aveva spiegato l’etichetta a tavola, quali posate utilizzare per prime, quali bicchieri servissero per il vino e quali per l’acqua; infine, gli aveva dato qualche consiglio di portamento.
Severus era passato dal sentirsi un ragazzo agghindato come un pagliaccio, dalle movenze aggraziate come quelle di un troll, al sentirsi abbastanza a suo agio e dal portamento timidamente fiero ed elegante. Non poteva padroneggiarlo in poche ore, ma la strada era più che buona. Aveva finito di provare i vestiti, e di dimostrare che avesse recepito le lezioni di René, a un orario improponibile, ed era crollato a dormire, scivolando in un sonno senza sogni e senza interruzioni.
Aveva a malapena mangiato qualcosa per colazione, ed era tornato in camera, a prendere il suo borsone con i vestiti - che René aveva voluto assolutamente piegare e riporre personalmente: l’arte dei vestiti ben piegati non s’insegnava e non s’apprendeva in una sera, e non c’era magia che tenesse: serviva una buona manualità, che si acquisiva solo in anni di pratica.
Severus si era seduto su una poltrona in Sala Comune, in attesa di Mulciber e Avery. Man mano che il tempo passava, l’agitazione e il nervosismo crescevano, e il ragazzo si ripeteva mentalmente i consigli dati dal buon Zabini, oltre al fatto che spesso si chiedeva come stesse Lily, da sola a Cokeworth, in balia di sua sorella e di quel tricheco di Dursley. Sperava stesse bene e sperava anche che quei giorni volassero, perché senza di lei, Hogwarts era decisamente grigia.
La famiglia Avery sarebbe arrivata a prendere il figlio e l’amico di persona, in modo tale da salutare i professori, soprattutto il Professor Lumacorno, il Direttore di Serpeverde. Avery non abitava molto distante da Hogwarts, per quello avevano ricevuto il permesso di lasciare il castello con i genitori, senza dover prendere necessariamente l’Hogwarts Express.
“E così, te ne vai a spassartela da Avery” osservò, a sorpresa, Regulus Black, apparso alle sue spalle. Severus sobbalzò e si voltò di scatto.
“Modera il linguaggio, che spassarsela non è esattamente la parola giusta” osservò l’altro amaramente.
“Dai, ci sono modi peggiori di passare le vacanze di Pasqua” ribatté Black “tipo stare qua a studiare in questo buco, come me”.
Severus si alzò dalla poltrona, e iniziò a camminare nervosamente per la Sala Comune. Cercò uno specchio per controllare di essere presentabile, un gesto che non era propriamente suo, ma che avrebbe dovuto fare più volte nei giorni successivi, dato l’invito ricevuto.
“Non te ne torni a casa?” chiese Severus distrattamente. Suo fratello, Sirius, era andato via in quei giorni, ma viveva con un loro zio, da quando se n’era andato da casa Black. Così gli aveva detto Lily, che aveva ascoltato i racconti di Marlene McKinnon al riguardo.
L’interpellato scosse la testa, “I miei genitori sono via, mio fratello - evitava di chiamarlo per nome, da quando se n’era andato di casa - è da qualche nostro zio che l’ha preso in simpatia, e io me ne sto qua, ad annoiarmi a morte”.
Sev non aveva molto da aggiungere, e non aveva neanche molto da dire a Regulus, era onesto: non aveva tutta quella gran voglia di chiacchierare, era abbastanza teso per i fatti suoi.
“Fai attenzione a quei due, comunque” disse a un tratto Regulus, del tutto a sorpresa.
“Che intendi?” chiese l’altro, sinceramente perplesso. Avrebbe voluto aggiungere “Che novità, stare attento a quei due”.
Regulus si sedette sulla poltrona precedentemente occupata dall’altro e sospirò. “Sto dicendo di fare attenzione, quei due mi sembrano troppo stupidi. Fanno i grandi eroi, custodi di chissà quale segreto, ma non hanno molta idea di quello che stanno facendo”.
Severus lo guardò negli occhi a lungo. Lui non faceva trasparire alcuna emozione - e si rese conto che, probabilmente, l’Occlumanzia gli sarebbe servita moltissimo in quei giorni, per sfuggire alle persone che lo avrebbero circondato, mentre gli occhi grigi di Regulus erano scintillanti ed eloquenti, proprio come quelli di un amico preoccupato.
“Dici?” fu tutto quello che aveva da dire Severus.
“Dico, dico. Quei due sono scemi e pure pericolosi” continuò Black, con un sorrisetto sarcastico di chi la sapeva lunga.
Se Severus avesse potuto parlare, quel sorrisetto, di chi si sente onnipotente per quattro indiscrezioni nelle sue mani, sarebbe diventata un’espressione di puro sgomento. Certo che Mulciber e Avery erano scemi e pericolosi, ma per il ragazzo era necessario che fossero tali, altrimenti, il suo ruolo sarebbe stato perfettamente inutile. E si sarebbe piuttosto alterato, se tutti i suoi sforzi di fingersi amico loro si fossero rivelati inutili e vani. Non se lo sarebbe mai perdonato.


* * * 

Beh, Buon Natale!

La mia voglia di editare questo capitolo è stata decisamente fortissima, in queste Feste, ed eccomi qua, a brevissima distanza dalla pubblicazione del capitolo 44. Chissà, magari completerò presto la triade con il capitolo 46 che è ancora da sistemare.
Lo confesso - ho amato moltissimo questo capitolo. Mi è piaciuto molto voler dare una dimensione più umana e meno ideale, come può succedere nel fandom, (insomma, sono adolescenti, comunque, e ci sono dei discorsi socio-culturali anche a monte da tenere in considerazione :P) a tutti questi personaggi. Insomma, prima di affrontare il capitolo 45 ho voluto documentarmi su come fosse la Gran Bretagna per quanto riguarda i costumi a metà degli anni ’70, perché volevo fare un quadro piuttosto plausibile. 

A presto con il capitolo 46 - “King Of Errors”! Uh, voglio aggiornare anche la playlist su youtube! Con calma lo farò! (Pigrizia portami via, o semplicemente ho poco tempo per farlo :P).
 

Un abbraccio,
Lily White Matricide

 

 




 
 
 

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