Monster

di Acquamarine_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Human ***
Capitolo 2: *** Murderer ***
Capitolo 3: *** Protector ***
Capitolo 4: *** Sacrifice ***
Capitolo 5: *** Fear ***
Capitolo 6: *** Saver ***
Capitolo 7: *** Monster ***



Capitolo 1
*** Human ***


Titolo: Monster
Fandom: The 100
Avvertimento: Spoiler (seguo la programmazione americana)
Rating: Giallo
Personaggi: Lincoln, Finn, Bellamy, Marcus Kane, Charlotte, Dante Wallace, Murphy
Trama: [Spoilers seconda stagione] Assassini. Mostri. Pericolosi. Si definiscono in tal modo i personaggi trattati in questa analisi delle loro psicologie, delle loro azioni e reazioni. Siamo i peggiori e più crudeli giudici di noi stessi: applichiamo a noi stessi una razione di biasimo che non applichiamo agli altri.
Dalla prima one shot: “
Sono molte cose – un assassino, un mostro, un pericolo –, ma non sono umano. Non più.


Monster
«Abbiamo tutti un mostro dentro di noi, Clarke, e siamo responsabili di quello che fa quando lo lasciamo uscire.
»


#1. Lincoln [2x06] 

«And if I seem dangerous,
Would you be scared?»


Sento il dolore, acuto, insopportabile, come una lama affilata che mi trapassa la testa, lacerandomi il cervello. Lo sento insinuarsi lentamente nei miei più reconditi pensieri e contemporaneamente nel fondo delle mie viscere. Un calore parte dallo stomaco su, fino alla gola. No, non un calore: un fuoco. Ardo, brucio e assieme a me sento bruciare gli ultimi residui della mia umanità. Vedo il sangue scorrere dentro e fuori di me e coprirmi gli occhi, riempirmi la bocca. D'un tratto, il silenzio.
Non c'è più nulla attorno a me, sono solo, sospeso nel nulla.
Sono? Non sento nulla, non sento più il mio corpo, né l'aria circostante, né il lettino su cui ero legato; riesco a sentire solo il filo indistinto dei miei pensieri che mi scivola lentamente delle dita.


Quando mi risveglio, è ormai troppo tardi. È sempre troppo tardi. Il sangue mi scorre tra le dita, tra i denti, è sui miei vestiti, incrostato sulla mia pelle. Lo sento dentro, nella mia pelle, il loro sangue. Vomito, vomito cercando di mandar fuori le loro carni, le loro ossa; vomito cercando di strappare quel sangue dalle mie viscere, dove non deve essere; vomito cercando di espellere l'anima, ma non sono più sicuro di averne una. Sono cosciente. Ma sono? Sono un involucro incapace di reagire, un corpo morto che continua a muoversi, uno stupido burattino che combatte contro se stesso. Urlo, sperando che qualcuno possa sentirmi. Vomito, per eliminare da me ogni traccia di questo orrore. Piango, perché non posso morire.
Ma la mia bocca non urla, il mio stomaco non si contrae, i miei occhi non lacrimano.
Sono? Sì, sono. Un mostro. Un pericolo. Sono.


Tutto ciò che ero, non lo sono più. Dopo quello che ho fatto – che mi hanno spinto a fare – non posso più esserlo. L'umanità si è sbriciolata in me, ad ogni iniezione, ad ogni assassinio, ad ogni macabro pasto. Sono molte cose – un assassino, un mostro, un pericolo –, ma non sono umano. Non più.


Piombo nella realtà con una brutalità che non si era mai presentata prima. Sono in piedi, nel buio, ma vedo una luce in lontananza. Se avessi possibilità di manovrare i miei movimenti controllerei.
Poi, all'improvviso, la sento. E quella voce, per me, è come un colpo allo stomaco. Quanto ho aspettato per rivederla, quanto mi sono aggrappato al ricordo di lei quando ancora ero io? Vorrei slanciarmi verso di lei, andarle incontro, abbracciarla, portarla via. Poi, ricordo. Poi, l'orrore.
Mi rendo conto del sangue che mi macchia i vestiti e il volto, sento ancora chiaramente il sapore di carne umana sulla lingua. Vorrei fuggire, urlarle di andare via, di lasciarmi perdere, di lasciarmi morire. Ma il mio corpo ha deciso diversamente. Si muove verso di lei. Sono un assassino, un mostro, un pericolo. Quando mi vedrà sarà spaventata? Realizzo: mi ha già visto, o non avrebbe mai chiamato il mio nome. Cerco di opporre ogni resistenza possibile, combatto contro il mio stesso corpo. Non posso, non devo e non voglio avvicinarmi ad Octavia. Non posso. Vorrei urlare, strapparmi il cuore dal petto e mettere fine a quest'orrenda esistenza. Mi concentro, come non ho mai fatto con nulla in vita mia, cercando di farmi spazio nel mio stesso corpo, di riappropriarmi dell'unica cosa che non dovresti mai preoccuparti di poter perdere. Quasi ci riesco, per un attimo risento la gamba sinistra, ma è un guizzo, un momento che passa veloce com'era arrivato.

"Mi dispiace" sussurra, e all'improvviso sento un dolore atroce. Corrente elettrica in tutto il corpo. Non posso muoverlo, gestirlo, ma posso sentire dolore. Paradossale.
Crollo al pavimento. Poi, il buio.


Angolo Autrice:

Questo fandom mi ha letteralmente conquistata e nei documenti ho cominciato a scrivere tantissime fic a riguardo che spero di poter pubblicare presto :) Ieri ho finalmente terminato questa raccolta, che avevo cominciato dopo la visione della 2x06 e che è ispirata alla canzone Monster degli Imagine Dragons (per ascoltarla cliccate qui). La frase di Lincoln nella 2x09 riportata sotto al titolo della raccolta in realtà l'ho sentita dopo averla cominciata, però mi sembra calzare proprio a pennello, quindi mi piaceva l'idea di metterla come apertura. Questa prima shot si ambienta nella 2x06 (quando ci si riferisce ad un episodio in particolare lo riporterò tra parentesi all'inizio, come in questo caso), ovvero quando Lincoln è trasformato in un Mietitore. Ho cercato di dare una mia interpretazione: ci sono alcuni momenti di lucidità in cui lui si accorge di ciò che succede, ma non può fare nulla per fermarsi. Il suo corpo e il suo cervello vanno contro il suo stesso volere. C'è sempre Lincoln da qualche parte, anche dietro il Mostro, ma non è abbastanza forte per riprendere il controllo di se stesso.
Un'ultima nota: la raccolta conta quattro one-shot e tre flashfic. Il prossimo personaggio sarà Finn e aggiornerò ogni sabato :) Baci, spero che questa prima one-shot vi sia piaciuta!
A presto!
 

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Capitolo 2
*** Murderer ***


#2. Finn [2x06]

«A monster, a monster,
I'm turning to a monster»


Continuo a fissare la luce traballante del bunker, piegando un po' la testa e sospiro. Non riesco a sentire nulla, nessuna emozione, nessun pensiero. Assolutamente nulla. Mi sento svuotato di tutto ciò che ero, rimpiazzato da qualcuno che non conosco, qualcuno che non sono io, che non risponde ai miei impulsi, che non mi parla. Percepisco l'orrore di quelle azioni, il disprezzo per averle compiute, la paura per ciò che rappresentano. Ma non sono io, non posso essere io ad aver impugnato un fucile, non posso essere stato io a far saltare il cervello a un uomo disarmato, a sparare su un villaggio di vecchi e bambini. Non è possibile, non è vero.


Ricordo la furia di quei momenti, che mi ribolliva nel sangue assieme ai globuli rossi; ricordo l'odio, il disprezzo, il terrore puro di averla persa per sempre, la disperazione di non poterla vedere e di non poterle dare giustizia. Ricordo il buio che è sceso sulla mia mente, la facilità con cui il mio braccio scattava ancor prima che potessi pensare di farlo. Ricordo il vuoto nel mio sguardo.
Non sentivo nulla, più nulla, solo il senso del dovere, il bisogno. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei, qualsiasi cosa per ritrovarla.


Avrei fatto qualsiasi cosa per ritrovarla, ma il mio fare qualsiasi cosa me l'ha portata via per sempre. Lo leggo nei suoi occhi, non disgustati: spaventati.
"Non so più chi tu sia".
Ma io so: ho fatto ciò che andava fatto. Era l'unica cosa da fare.


No, non era l'unica cosa da fare. L'orrore di ciò che ho fatto mi piomba addosso tutto d'un tratto, e il vuoto che sentivo dentro di me si riempie di disprezzo e autocommiserazione con una violenza tale che temo di poter esplodere in mille pezzi proprio qui, davanti a lei. Mi manca il respiro. Soffoco dentro me stesso. Vorrei urlare, ma non riesco ad articolare parola. Crollo a terra, le gambe improvvisamente molli. Un tremito mi scuote, attraversando tutto il mio corpo. Posso biasimarla? Non so più chi io sia, come potrebbe lei riconoscermi? Non mi perdono, perché dovrebbe farlo lei? Chi sono, cosa sono?


Lo sento dentro di me: quel liquido nero che esplode e corrode ogni cosa, che mi riempie le viscere e si impossessa di me. Lo sento in ogni fibra, in ogni cellula, in ogni vena.
"Neanch'io”.
Ma io lo so. Un assassino, un mostro, un pericolo.


Angolo Autrice:

Secondo capitolo, secondo personaggio. Diciamo che non tutti amano Finn (io ho avuto un rapporto un po' altalenante con lui, inizialmente non mi dispiaceva, poi semplicemente mi era indifferente, ma non credo di averlo mai odiato) e che molti lo accusano, come credo tutti sappiamo, di essere un mostro/un incoerente/un falso e quant'altro. Con questa Flashfic io non voglio né accusarlo né giustificarlo, ma semplicemente indagare sulla sua interiorità; perché, checché se ne dica, è un personaggio comunque molto umano, che ha compiuto l'errore più grande della sua vita e che, per questo, si odia. La scena finale qui descritta (e ripresa dall'episodio 2x06) ne è la prova. Ho voluto immaginare un iniziale momento di negazione, un secondo in cui si accorge di ciò che ha fatto ma cerca di trovare una giustificazione e, alla fine, il momento in cui realizza che ciò che ha fatto non era inevitabile e si odia per tutto. Spero vi sia piaciuta! Ho una sola nota da fare: tutte le scene sono riprese dall'episodio, ad eccezione quella iniziale in cui fissa la luce ecc., l'ho immaginata inserita nell'intervallo di tempo da quando arrivano al bunker a quando viene mostrato l'imbarazzo fra lui e Clarke. La prossima flashfic sarà su Bellamy :) A sabato prossimo, baci, e godetevi le calze e i dolci ♥

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Capitolo 3
*** Protector ***


#3. Bellamy [1x08] 


"My mother, if she knew what I've done, who I am. She raised me to be better. To be good. And all I do is hurt people. I'm a monster."

Bellamy Blake (The 100 – 1x08)


C'è stato un momento in cui mi sono accorto che la mia vita non aveva alcun senso, che ero nient'altro che un uccello con le ali spezzate in caduta libera, ed è stato quando ho capito di non sapere più chi fossi. Avevo perso la mia identità, i miei valori; mi ero ritrovato catapultato in un corpo che sembrava il mio, con un'anima che certo non mi apparteneva. Ero prigioniero delle circostanze, eppure una martellante voce nella mia testa mi ripeteva che tutto ciò che era andato storto dipendeva da me. C'è sempre una via d'uscita, c'è sempre un'alternativa: se c'è una strada sbagliata, ci deve sempre essere un'alternativa giusta. La vita non è fatta di bianco o di nero, mi diceva.
L'essere costretto a fare qualcosa, non rende meno gravoso il peso della responsabilità: se questo qualcosa è sbagliato, continua ad esserlo, che sia giustificato o meno. La vita non è semplice come si spera, non lo è mai.
Se fai qualcosa di sbagliato, che sia giustificato o meno, sei irrimediabilmente un peccatore. Se continui a farlo sei un pericolo. Se diventa la tua prassi, sei un mostro.
Io ero andato contro tutto ciò che mi era stato insegnato per salvare quell'unica cosa che mi faceva sentire in qualche modo vivo: mia sorella. L'amore per lei era la parte migliore di me, quell'unica nota armoniosa in una cacofonia di dolore. Lei era stata il mio segreto e, in un qualche modo, il fatto che nessuno sapesse di lei l'aveva protetta dall'essere contaminata dallo sporco del mondo. Lei era pura, come nessun'altro sulla Terra poteva sperare di essere: era pronta a difendere le proprie idee, era coraggiosa ed equilibrata, incline ad amare e vedere il buono in chiunque, e questo proprio perché non era venuta a contatto con nessun essere umano a parte me e mia madre. Aveva vissuto nella bolla di sapone che le avevamo costruito attorno, protetta nella sua campana di vetro come la rosa del Piccolo Principe. E poi, d'un tratto, quella bolla era scoppiata, scagliandola in un mondo per il quale non era pronta, lasciata da sola ad affrontare orrori che non avrebbe mai potuto immaginare. In che mondo io sarei potuto restarne fuori? In che mondo avrei potuto lasciarla sola con se stessa? Avevo sentito la rabbia e la follia scoppiarmi dentro, assieme a quel senso di protezione che le dovevo anche solo per essere venuta al mondo. Lei era una cosa pura, la mia cosa pura, l'unica cosa bella della mia vita. Come avrei potuto non agire?
Tutto ciò che era venuto dopo era stato per spirito di sopravvivenza. Uccidere non era mai stato nei miei piani. Ogni essere umano sa di non poter privare nessun altro della vita; c'è chi fa finta che non sia così, ma nessuno si prende una vita senza pagare caro il prezzo. Uccidere non è semplice come si pensa. Uccidere non è solo premere un grilletto e restare a guardare; vuol dire mutilare se stessi, recidere un pezzo di anima che non tornerà mai più indietro. Ogni uomo o donna a cui togli la vita ti strappa via un pezzo della tua umanità e ti porti appresso i suoi occhi, incisi nella carne, fino alla fine dei tuoi giorni. Di notte, quando il resto del mondo dorme, i tuoi occhi restano sbarrati, fissi nel vuoto, mentre le orecchie ti fischiano per quegli insistenti sussurri, che si insinuano nelle tue orecchie e penetrano nelle profondità del tuo cervello. Le senti vibrare, quelle voci, come i puntuali rintocchi di un orologio, come il battito del tuo cuore. E assieme al sangue e alle lancette che si spostano, senti fluire nelle tue vene l'acido della malvagità, del peccato, del rimorso. La sicurezza di aver agito per una buona causa non può purificarti né rincuorarti. La morte ti scarnifica, piano piano, fa invecchiare la tua anima di colpo, ti riempie le vene e le vie respiratorie di sofferenza e dolore, ti incide nella carne e nelle ossa quelle parole che ti martellano nella testa. Assassino. Mostro. Pericolo.
Non provavo alcuna soddisfazione del vedere la luce spegnersi nei loro occhi, la vita fuggire col loro ultimo respiro. Non era ciò che volevo, ma era ciò che continuavo a fare, una volta dopo l'altra. C'è sempre un'alternativa. Allora perché non riuscivo a vederla? Perché tutto ciò che potevo fare era infierire sul poco di umanità che mi restava per poi crogiolarmi nell'autocommiserazione? Se ero davvero un mostro, perché tutto mi provocava una tale sofferenza? Se non lo ero, perché non cercavo un'altra soluzione?
Se nessuno poteva salvarmi, neanch'io, aveva senso cercare di sopravvivere?
Se non sapevo più chi ero, se avevo perso me stesso, allora ero ancora vivo? Ero ancora qualcuno?
Tutto ciò che sapevo me lo dicevano quelle voci, litanie lontane e leggere, martellanti e confuse. Tutto ciò che sapevo era che ero un assassino – che fossi giustificato o meno –, un pericolo – per me stesso o per gli altri? –, un mostro – ma lo ero irrimediabilmente?


Angolo Autrice:
Eccoci, con questo terzo capitolo e uno dei personaggi che mi piacciono maggiormente. Bellamy all'inizio non mi faceva impazzire, ma quando ha dimostrato un'umanità e una debolezza maggiori rispetto a quelle che sembrava avere all'inizio ho irrimediabilmente cambiato idea su di lui. È un personaggio complesso e dalle molte sfaccettature, io ho cercato di indagare sul suo lato debole e "colpevole", sperando di aver fatto un buon lavoro. Il tratto che maggiormente lo contraddistingue è sicuramente l'amore per Ottavia, e non potevo evitare di nominarlo. Un'unica nota da fare: so che probabilmente Bellamy non avrebbe modo di conoscere il Piccolo Principe, ma mi piaceva l'idea che certe storie restano con l'umanità sempre, anche dopo cent'anni di vita nello spazio, anche dopo disastri ed esodi vari. Ci sentiamo presto, con il prossimo capitolo su Marcus Kane. Baci!

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Capitolo 4
*** Sacrifice ***


#4. Marcus Kane [1x13]


«This burden came to me,
And it's made it's home inside
»


Ho un peso che grava sul mio cuore, che colpisce ritmicamente il mio stomaco e riempie i miei polmoni. È il peso di trecentoventinove anime innocenti, trecentoventinove vittime impresse a fuoco nel mio cervello, trecentoventinove amici uccisi da me. Ogni loro respiro mancato me ne dona uno, ma ogni respiro da me compiuto non ha più la dolce consistenza di una volta: percepisco l'amaro sapore del rimorso, il gelo dei sensi di colpa. Quando me ne sto nella mia casa, disteso e al buio, cercando di conciliare quel sonno non intenzionato a raggiungermi, mi sembra di sentire l'eco di un sussurro:
Mostro.

Avere il potere non è facile come molti credono. Avere il potere vuol dire fare scelte che vanno contro i tuoi principi, i tuoi desideri e le tue concezioni; vuol dire rinunciare a quello che sei e diventare ciò che gli altri hanno bisogno che tu sia. E, a volte, la gente ha bisogno che tu diventi un mostro, un assassino. E tu, irrimediabilmente, lo diventi.
Ma niente viene per niente. Nessuna azione è priva di reazione. E tu sai che prima o poi dovrai pagare, in un modo o nell'altro. Sai che qualcuno passerà a riscuotere. E nel silenzio della tua stanza, ascoltando l'eco delle tue stesse accuse, aspetti.
E all'improvviso capisci: sacrificio. Il sacrificio è l'unica strada, l'unica soluzione, l'unico conio che possa ripagare, in parte, ciò che hai fatto. Non puoi riportare in vita coloro che hai ucciso, è troppo tardi ormai; ma puoi salvare delle vite, puoi salvare coloro che restano. Una vita per migliaia di vite.
Non è un prezzo poi troppo alto.


Senza nemmeno rendermene conto ero scattato in piedi. La sua mano a trattenere la mia mi aveva inchiodato per un secondo al pavimento: mi ero voltato senza dire una parola, per rivedere quegli occhi che sembravano tremare. Negli occhi di Abigail Griffin avevo sempre visto, nei miei confronti, disprezzo. La nostra era una sorta di educata ostilità, quella particolare relazione che ai ragazzi è pressapoco sconosciuta – chiusi come sono nel loro mondo di sincerità e drammi – ed è, invece, assai familiare agli adulti: se odi qualcuno, non glielo dici apertamente. Ne sono tutti consapevoli, la tensione è percepibile, ma nessuno lo dice mai davvero ad alta voce. Si impara a convivere anche con coloro che non si sopporta, si impara a fare buon viso a cattivo gioco. È l'arte dell'essere adulto. A suo modo, è l'arte del mentire, del fingere, del rinunciare a se stessi. È per questo che gli adulti dicono sempre ai ragazzi di vivere con felicità l'età che stanno vivendo: l'unico vincolo dei ragazzi sono i loro genitori. Il vincolo dei genitori sono la società, il mondo lavorativo, la famiglia, essi stessi.
In quel momento, però, negli occhi di Abby non c'era disprezzo. Piuttosto, paura. Ero probabilmente l'unica persona, o quasi, che aveva avuto con lei una sorta di rapporto – per quanto conflittuale – ad essere ancora accanto a lei.
Gli altri erano lontani, dispersi, o morti. Ero tutto ciò che la teneva collegata alla sua vecchia vita.
Ho sempre sentito nei suoi confronti qualcosa di diverso dal disprezzo: la divergenza delle nostre idee non mi ha mai portato ad odiarla, come era successo invece a lei. Mi aveva, se devo essere sincero, sempre incuriosito. È una donna rara, Abby, forte e meravigliosa come poche cose nella vita: travolge tutti coloro che incontra e li stupisce. Lascia sempre qualcosa di sé, che sia bene o male. Il più delle volte è bene.
Per la prima volta da tempo, guardando quegli occhi scuri, mi sentivo quasi bene. Quasi di nuovo umano. Per la prima volta, non mi sentivo un completo mostro.
Ma in fondo al cuore sapevo di esserlo, quindi mi voltai, lasciando andare quella mano e lei. Nel momento in cui la mia mano tornò libera, mi sembrò che il gelo scendesse. Ma sapevo che quello era il mio dovere, e portare a termine il mio dovere era ciò che avevo sempre fatto e continuato a fare, sempre.
Forse ero un assassino, un mostro, ma ciò non voleva dire che non potessi essere anche utile, anche un salvatore. Non significava che non potessi fare, per una volta nella vita, qualcosa di buono.


Angolo Autrice:
Mi scuso immensamente per il ritardo ma sabato non ci sono stata e domenica ho studiato tutto il giorno perché avevo un compito e due interrogazioni ç-ç  Marcus è un personaggio che inizialmente detestavo, ma poi ho totalmente cambiato prospettiva ed è, ora, uno dei miei preferiti (un po' come è successo con Bellamy ahah). Lo shippo immensamente con Abby e ho voluto lanciare un piccolo spunto riguardo a questo, però chiaramente è ad interpretazione libera perché non volevo focalizzare l'attenzione sul pairing ma sul senso di colpa che lui prova. Questa one-shot è leggermente meno oscura delle precedenti perché c'è una parvenza di redenzione; ho volutamente omesso il resto dell'episodio perché non volevo riassumere la puntata ma ciò che lui prova. La scena iniziale non compare nel telefilm ma mi sembrava giusto inserirla :3 Baci, alla prossima settimana (Sperando di non ritardare più ahhaha)

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Capitolo 5
*** Fear ***


#5. Charlotte [1x03-04]

«I'm taking a stand to escape what's inside me. »

Il mostro prima era nei miei sogni, nella mia testa, ora è davanti a me. Devo uccidere i miei demoni, è così che mi hanno detto, se voglio tornare ad essere felice. Gli incubi vanno via se impari ad ucciderli, se li affronti, se gli fai capire che sei più forte, che a comandare sei tu. Non lascerò il mostro vincere un'altra volta, non lo lascerò prendersi la poca sicurezza che mi resta. Sono stanca di urlare, sono stanca di svegliarmi nel cuore della notte. Il mostro è qui, fermo, seduto a due passi e mi squadra con quegli occhi scuri, quelle due pozze di buio senza fine. E, un attimo dopo, il mostro non c'è più, è sparito. Riverso davanti a me, nel suo stesso sangue.
Il mostro ora è morto, i demoni dovranno andare via dalla mia testa. Il mostro non c'è più, ho vinto io.

Il mostro prima era nei miei sogni, nella mia testa. Ora è dentro di me. Ora il mostro sono io. Lo sento. Non urlo nel sonno, non ho più gli incubi. Sono io il mio stesso incubo. La morte mi ha liberato da un mostro. Ora che il mostro sono io, morire servirà a qualcosa? 
Tutto l'odio dentro di me, tutto questo disprezzo attorno a me. Sono stanca di scappare. Sono stanca di affrontarmi. Combattere contro se stessi è come sentire delle mani invisibili che ti soffocano nel sonno: senti il respiro che ti viene meno, così come le forze, mentre quelle mani insistono sulla tua pelle debole e ti lasciano profondi solchi violacei. Combattere contro se stessi è come morire ogni giorno, come sentire centinaia di coltelli che ti trapassano il ventre. Vorresti vomitare tutto ciò che in te è malvagio, vorresti strappartelo dalla carne e dall'anima, e nell'incapacità affoghi, consapevole di non poterlo fare. Lo sento, il male, radicato dentro di me, lo sento combattere con l'ultimo briciolo di bontà che mi rimane. Sento che diventa forte, sempre più forte, mentre io mi affievolisco, mentre di me resta solo una manciata di polvere e un cuore spezzato.
È in me, in ogni parte di me, e si diffonde attorno a me e li contamina tutti, nell'odio, nella disperazione, nelle accuse che si lanciano a vicenda. Nelle accuse che, poi, mi lanciano. Il pensiero di morire è davvero così atroce? Posso davvero oppormi alla morte, se so che è l'unico modo per liberarmi, per liberarli? L'unico modo per uccidere il mostro è morire. Morirò.

Volare mi fa sentire come se stessi nascendo di nuovo, ma so di non essere ancora morta. So che il mostro dentro di me sta ruggendo. È furioso, arrabbiato per ciò che sto facendo, ma non potevo lasciarlo urlare nella mia testa, non potevo lasciarlo controllare le mie mani. Ora volo e mi sento bene, così bene, così viva. Si sono sentiti così anche mamma e papà, a volare nello spazio? So che alla fine di questo burrone li vedrò, so che saranno lì ad accogliermi adesso che il mostro non è più in me, adesso che non sono più un mostro. Il tempo si dilata e si restringe di colpo, per l'ultima volta. Esplodo. Vedo finalmente la luce.
Niente più incubi, niente più paura, niente più mostri.
Solo la bellezza della luce. Solo mamma e papà.


Angolo Autrice:
Buon giorno a tutti! Sono ancora in ritardo perché ieri è stato il compleanno di mia madre e non sono stata granché al pc :) Questo capitolo non mi soddisfa molto, principalmente perché Charlotte è un personaggio un po' ambiguo. È spaventata ed è giovane, inesperta, senza più una guida, addolorata... un mix mortale. Un essere umano non può reggere tutte queste cose insieme, è una cosa malsana. Credo che il suo dolore e la sua paura, impossessandosi di lei, l'abbiano fatta impazzire. Quella che abbiamo conosciuto è solamente l'ombra di Charlotte, non altro. Ho cercato, in minima parte, di indagare sulle sue sensazioni dopo la morte di Wells, perché è lì che comincia ad autocommiserarsi e spero di essere riuscita, almeno un po', nell'intento, anche se il capitolo, come ho detto, non mi soddisfa granché. Il prossimo sarà su Dante Wallace :) A presto!

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Capitolo 6
*** Saver ***


#6.Dante Wallace 

«Can I clear my conscience (...)? »


Usarli è sempre stata la strada più semplice, la strada che più facilmente ti avrebbe portato a ciò che desideravi. Sono passati così tanti anni da quel giorno, il giorno più luminoso della tua vita, un giorno così lontano eppure così dannatamente vivo nella tua memoria, vivo nei tuoi quadri e nelle tue mani che sembrano realizzarli da sole, senza che tu debba più guidarle. Il profumo. Cosa daresti per poter risentire quel profumo, meraviglioso e puro? Il profumo dell'aria vera, aria pulita, l'aria fatta per essere compatibile con i tuoi polmoni e non più suo inutile surrogato. L'aria fatta di centinaia di fragranze, quell'esplosione di profumi e colori. Faresti di tutto, qualsiasi cosa per risentirlo, qualsiasi cosa per riempirti di nuovo gli occhi e l'anima di quel verde, per rivedere i fiori e gli alberi, il cielo azzurro, le pietre e le nuvole. Avere una meraviglia così vicina e non poterne godere: c'è qualcosa di più crudele?
Il loro sangue può aiutarvi, perché loro sono stati beneficiati. A loro è stato concesso di godere appieno delle bellezze della Terra. A loro è stato permesso camminare sui prati e riempirsi i polmoni di quella purissima aria. Se la natura lo ha concesso a loro, la scienza lo concederà a voi. Sai che vi spetta, vi spetta di diritto. Quei barbari vi servono e devono tornarvi utili in qualche modo. Il sangue che gli scorre nelle vene potrebbe essere l'unica strada che vi porterà alla libertà.
Guardi l'orripilante spettacolo di centinaia di corpi appesi a testa in giù. Bestie da macello destinate ad essere prosciugate sin nelle più piccole fibre e poi gettate vie quando non serviranno più. Sono animali e come tali li trattate: della vostra civiltà non posseggono nulla. È ingiusto che sia stato concesso loro ciò che a voi è vietato, se voi avete gli strumenti per trarne beneficio mentre loro non immaginano nemmeno la loro fortuna. Ma è davvero così? È davvero questo il punto? Il prezzo da pagare per accedere al mondo è quello di migliaia di vite umane, per quanto barbare e inferiori? La violenza genera altra violenza. Il sangue richiede altro sangue.
Tutto ciò che state facendo, lo sai, tornerà indietro. Il male non resta impunito, neanche se è per il bene superiore, nemmeno se è per il vantaggio comune. Sei un salvatore, donerai alla tua gente la possibilità di una nuova vita sulla vostra Terra – a cui siete stati strappati senza apparente ragione –, sarai colui che passerà alla storia come il primo uomo della montagna a rimettere piede sulla Terra? Darai alla tua gente ciò che desidera maggiormente? Sarai un eroe, uno scienziato, il miglior presidente che il Mount Weather abbia mai avuto?
Sarai tutte queste cose, ma sai che resterai sempre un assassino, un mostro, un pericolo. Il sangue che ti scorrerà dentro ti corroderà le vene, il cuore nel petto ti scoppierà, patirai le pene dell'Inferno, perché dell'Inferno ti sei servito per raggiungere i tuoi scopi. Le loro urla, le loro preghiere, non saranno state vane. Torneranno ogni giorno e ogni notte a forarti i timpani. I graffi lasciati sulle pareti delle loro prigioni si paleseranno sulle tue carni, senza che tu possa fare nulla per prevenirle.
Sarai dannato, come dannati sono stati coloro che hai usato, perché sei un assassino, un mostro, un pericolo.


Angolo Autrice:

Salve! Stavolta sono in orario ahahah Questo capitolo è uscito un po' di getto, è un po' meno ad effetto rispetto agli altri, credo, ma sentivo di doverlo scrivere. Dante ha dimostrato una grande umanità quando si opposto all'uso dei 47 per scopi scientifici, è stato un bel gesto, certo. Ma se si compara a ciò che è stato fatto ai Grounders, che abbia un fine "giusto" o "umano" o quel che volete, resta incoerente. Usare i terrestri in quel modo barbaro, come bestie da macello, è quanto di più disumano ci possa essere e io credo che lui ne sia ben consapevole. Ha dimostrato di poter essere umano, ma come nel capitolo dedicato a Marcus talvolta, per il bene comune, si fanno scelte sbagliate, che non sono per questo giustificabili, certo. Spero che vi sia piaciuto nonostante tutto, purtroppo il prossimo capitolo sarà l'ultimo (ed è uno di quelli che mi è piaciuto di più scrivere, paradossalmente) e verterà su Murphy. Baci :)

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Capitolo 7
*** Monster ***


#7. Murphy 


Si dice che quando qualcosa ti viene ripetuto per così tanto tempo, prima o poi cominci a crederci. Diventa parte di ciò che sei, la tua verità. Diventa tutto ciò che sai di te stesso.
Quando passi la vita a sentirti dire che sei un mostro, che tutto il male del mondo dipende da te, che ogni cosa che va per il verso sbagliato è colpa tua, cos'altro puoi fare se non pensare che sia l'unica e sola realtà dei fatti? Nella vita reale non esistono supereroi, non esistono superpoteri, non esistono salvatori che curano i mali dell'anima. Se sei cattivo, non puoi redimerti. Se sei marcio dentro non puoi aggiustare i tuoi pezzi rotti.
Potrai provare quanto vuoi a fingere di essere buono, di essere cambiato, di voler fare, per una volta, la cosa giusta: una volta che il Marchio di Caino è impresso sulla tua fronte, continuerai ad essere un mostro, un pericolo. Lo sarai sempre, anche quando qualcosa dentro di te cambierà, anche quando ti accorgerai che forse una minima, infinitesimale possibilità per te c'è, che non sei perduto, che la tua anima non è totalmente contaminata, che forse, forse, non sei un mostro, ma solo un ragazzo che ha fatto le scelte sbagliate.
La sofferenza fortifica, a quanto dicono. E dopo che hai sofferto, il dolore si radica dentro di te, come un parassita che divora tutto ciò che sei. È per questo che ti cambia, profondamente. Dopo aver sofferto, puoi scegliere di migliorare o di continuare ad essere un mostro.
Ma quando è il mondo a decidere per te, sostenendo che non vali abbastanza da avere una seconda possibilità, che il marchio è troppo profondo e troppo profondamente radicato nell'immaginario comune, quando ti urla che sei un mostro, un pericolo, un traditore, cosa puoi fare? Quando resti in vita nonostante tutti ti vogliano morto, quando ti vergogni di ogni respiro che sfugge dalle tue labbra, quando tutti i tuoi tentativi sono vanificati, ritenuti inutili e finti, cosa ti rimane? Solamente quell'unica, profonda certezza, che non sei mai riuscito a sradicare dalle profondità del tuo essere: sei un mostro, un pericolo, un traditore. E lo sarai sempre, il marchio sarà per sempre inciso su di te, sulla tua anima, e corromperà tutto ciò che di buono rimane. Perché questa è la tua natura. Questo è ciò che sei. Se loro dicono così, è ciò che sei.


Angolo Autrice:
Ed eccoci giunti alla fine di questo percorso. Scrivere questa raccolta mi è piaciuto veramente moltissimo, era da tanto che non scrivevo e mi ha fatto veramente piacere. Quest'ultimo capitolo è più breve dei precedenti e sinceramente rileggendolo non mi soddisfa appieno. Murphy è un personaggio molto complesso e mi piacerebbe scrivere, in un prossimo futuro, ancora su di lui. Sta dimostrando di non essere il mostro che tutti credevano all'inizio: ha sbagliato, certo, e anche tanto, ma forse meriterebbe una seconda possibilità. Volevo ringraziare tutti coloro che hanno seguito questa storia e in particolare Fannie Fiffi ed Elodie90 che l'hanno recensita e Lyra Dauntless che l'ha inserita fra le seguite. Grazie a tutti, spero che questa raccolta vi sia piaciuta almeno un po'... spero in una prossima volta! Baci ♥

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