Au contraire!

di stagionidiverse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una giornata fantastica (non è vero?) ***
Capitolo 2: *** I - Irene Adler ***
Capitolo 3: *** II - Shinichi è padre ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una giornata fantastica (non è vero?) ***


Prologo
Una giornata fantastica (non è vero?)
 


Ran guardò sorridendo l’amico che le passeggiava accanto. Teneva in mano un panino che ogni tanto prendeva a piccoli morsi. Aveva tutte le labbra sporche di senape.

“È stata una giornata fantastica, non è vero?”
“Sì, sì” rispose evasivo Shinichi. Sulle sue guance però apparve un lieve alone rossastro. Distolse lo sguardo imbarazzato, grattandosi leggermente la nuca.
Ran era felice. Aveva passato tutto il pomeriggio a Tropicolandia con Shinichi e il sentimento che provava per lui, ne era certa, ormai era sempre più profondo e sincero. Solo una cosa la turbava: non sapeva se il suo migliore amico provasse lo stesso. Certe volte l’aveva beccato a guardarla, come se si fosse incantato; richiamata la sua attenzione, lui si era giustificato dicendole che si era imbabolato mentre ripensava ad un vecchio caso. In cuor suo lei sperava che stesse mentendo, ma conoscendo bene Shinichi Kudo, poteva anche darsi che si forse perso davvero nelle sue elucubrazioni da detective narcisista.
Passeggiarono ancora un poco per il luna park. Ran aveva bisogno di un bagno. Lo cercarono per una buona manciata di minuti, ma senza risultati. Quindi decisero di fermarsi nella piazza grande e chiedere informazioni a un chiosco di gelati.
“Le vede quelle indicazioni laggiù? Le segua e sbucherà in un vicoletto. Lì ci sono i servizi delle signore”
Ran annuì, ringraziò e poi si rivolse all’amico. “Aspettami qua, faccio in fretta” Shinichi sbuffò. “Promesso” gli sorrise lei.
Era ormai buio e il cielo non era dei migliori: opaco e senza stelle, un po’ spaventò la ragazza, che affrettò il passo per arrivare in un ambiente illuminato e, sperava, frequentato nello stesso istante da altre persone. Si sentiva inquieta. Per un attimo considerò anche l’ipotesi di mettersi a correre fino alla toilette, ma la abbandonò quasi subito sentendosi ampiamente ridicola. Quell’anno avrebbe compiuto diciotto anni e ancora aveva paura del buio. Bambina.
Sussultò. Qualcuno alle sue spalle le stava parlando. O forse non stava parlando a lei? La voce era bassa, troppo perché lei potesse comprendere anche solo una parola: no, decisamente  la questione non la riguardava. Tirò un sospiro di sollievo.
Click.
E adesso? Non ne poteva più. Si appostò dietro un muretto di mattoni, cercando di reprimere la paura.
Ran, Ran. Sono solo dei passanti.
In un battuto di ciglia, capì che non lo erano. Sbarrò gli occhi terrorizzata. Un uomo tozzo con un grande borsalino nero stava passando una valigetta ad un altro individuo, che indossava un soprabito scuro. Il “click” di poco prima e i brividi lungo la spina dorsale che ne erano seguiti erano riconducibili tutti a quella ventiquattrore. Si tastò agitata il giubbotto.
Shinichi! Shinichi! Maledizione! Cellulare, dove sei?
 
Buio, di nuovo. 
Qualcosa le stava colando dalla bocca. Che sensazione opprimente: non riusciva a deglutire. Ci pensò qualcuno per lei. La sua mascella fu richiusa con violenza. Si trattava forse solo di un brutto sogno?

Impossibile, si disse, è stata una giornata fantastica, non è vero?



 

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Capitolo 2
*** I - Irene Adler ***


Irene Adler

 

Immagini confuse. Ran si stropicciò gli occhi. Con sorpresa realizzò di essere sdraiata sul selciato a pancia in su; aveva un ginocchio ferito che grondava parecchio sangue e si sentiva incredibilmente pesante, come se ogni giuntura si fosse arrugginita e ogni arto si fosse addormentato con lei. Perché era quello che era successo, no? Un colpo di sonno, nulla di più.

Ma quel ginocchio…

Realizzò improvvisamente che non si ricordava affatto come e perché fosse finita distesa per terra a Tropicolandia. Giusto, di quello era sicura: si era recata al luna park con il suo migliore amico Shinichi  Kudo quel pomeriggio. Con uno sforzo sovrumano che le costò una fitta di dolore alle tempie, cercò di ricostruire il corso degli eventi di quella giornata. Aveva avuto bisogno di un bagno, avevano chiesto informazioni e poi aveva promesso a Shinichi che avrebbe fatto presto… Cavolo. Chissà per quanto tempo aveva dormito. Lui probabilmente la stava ancora aspettando nella piazza grande. Poi aveva percorso la stradina e all’imboccatura del vicoletto aveva visto… aveva visto degli uomini vestiti di scuro che si scambiavano qualcosa. Un brivido le attraversò la spina dorsale. Poi era crollata dal sonno. O almeno, così presumeva fossero andate le cose. La testa le doleva. Si passò una mano fra i capelli appiccicosi. Appiccicosi? Scossa da fremiti, si portò la destra davanti agli occhi. Urlò. Ben due cose la spaventarono: come si può immaginare, la mano era completamente coperta di sangue, che aveva iniziato a colarle sul polso. Ma era anche molto piccola e sproporzionata rispetto al suo corpo di diciassettenne.

Mio dio! Cosa è successo?

Sentì dei passi di corsa provenire dal principio della stradina. Impaurita, si nascose in fretta dietro un cespuglio e cercò di controllare il respiro. Nello scatto perse metà dei vestiti. Rimase solo con la felpa blu che aveva indossato quel giorno, che copriva il suo esile corpicino giusto fino al graffio sul ginocchio destro. Anche le scarpe erano enormi, così si ritrovò a correre scalza. Il cespuglio soverchiava la sua intera figura e notò, con panico crescente, che questo non sarebbe stato possibile se lei avesse raggiunto il suo solito metro e settantadue.
“Ran! Ran”

Shinichi? Shinichi!

Il ragazzo raccolse sbarrando gli occhi i pantaloni sporchi di sangue dell’amica e le scarpe distrutte dal fango e dalla sporcizia. Ma cosa cavolo era successo? Si guardò attorno ma non scorse nessuno. Digrignò i denti stracciando quasi gli indumenti che teneva in mano.
Ran, alla vista dell’amico, non poté che corrergli contro urlando ancora più forte, sebbene con un mormorio sommesso - che lei mise a tacere quasi subito - la sua coscienza, nel barlume della poca razionalità rimasta, le intimasse di tenere lontano Shinichi da questa storia, perché sicuramente si sarebbe messo ad indagare e con tutta probabilità si sarebbe ficcato nei pasticci.
“Shinichi! Aiuto!” Le parole le uscirono come fastidiosi versacci squillanti. Quello si voltò di scatto. Una bambina di - a occhio e croce - sette anni correva verso di lui. Aveva il volto tumefatto, la testa insaguinata e una sbucciatura sul ginocchio. Indossava una giacca blu che le sfiorava la metà coscia. Inspiegabilmente, quella bambina era la copia esatta di Ran alle elementari: se la ricordava bene. Indossava la stessa giubba che l’amica portava quel pomeriggio, ed era priva esattamente dei capi che aveva trovato sul selciato. Riuscì a riconoscere nel tono stridulo di lei anche lo stesso timbro di voce.
Si avvicinò pallido alla ragazzina. “Ran?”
“Sì, sono io! Aiutami!” 
Iniziò a piangere ancora più forte, singhiozzando e asciugandosi ogni tanto il viso con le mani sporche di terra. Lui le cinse i polsi e le distese le braccia sui fianchi.
“Stai calma e cerca di spiegarmi”

 

*

“Indagherò, te lo prometto. Ma tu, per ora, cerca di mantenere la tua identità segreta. Non raccontare nulla a nessuno, nemmeno a Kogoro”
Nelle tenebre, Villa Kudo era ancora più affascinante. Soprattutto la biblioteca, alla luce della luna, assumeva connotazioni quasi mistiche, favoleggianti. Sembrava la sala da ballo di un castello. Ran si era cambiata, aveva indossato dei vestiti di Shinichi che questo conservava dalle elementari - mia madre si affeziona a tutto, così aveva tentato di giustificarsi - e si era seduta su una poltroncina di velluto di fronte al caminetto. Shinichi la scrutava da dietro la scrivania di mogano lucido. 
A quelle parole, ecco che la coscienza di Ran fece di nuovo capolino.
“Non voglio che tu indaghi, ti metteresti solo nei guai! E mi spieghi come giustifico la mia assenza a mio padre? Lo sai com’è fatto… senza contare che non posso neanche telefonargli, perché sentirebbe che la mia voce è diversa! E sono già le dieci di sera!” sbottò, alzandosi in piedi e quasi cadendo. Accidenti com’era alta quella poltrona! 
Shinichi soffocò un risolino, poi la sua espressione torno seria. “Non importa se sia coinvolta o meno una persona che…” si morse la lingua, diventando color peperone. “… conosco, è dovere di un detective porre fine ad ogni ingiustizia. Quanto a Kogoro, scrivigli un messaggio dicendo che sei andata a dormire da Sonoko. Per piacere, non dirgli che sei qui” Questa volta fu il turno di Ran, che arrossì. “Domani andremo dal dottor Agasa e vedremo se ha qualche invenzione utile a migliorare la situazione”
Rassicurata, la ragazza bambina annuì. “Shinichi” disse “Questo vuol dire che dovrò tornare alle elementari?”
Lui sospirò e sorrise. “Immagino di sì” Poi però si riscosse. “Adesso pensiamo alla tua finta identità. Dirò che sei la figlia di una coppia amica di New York e che sei venuta a trovarci. Mia mamma e mio papà in questo momento sono in America. Tuo padre, metà giapponese, vuole che sperimenti la vita qua a Tokyo. Così ti hanno mandato da me. Ma adesso, pensiamo alle cose essenziali: dovremmo trovarti un nome”
Si alzò e si mise gironzolare per la stanza tonda, tirando ogni tanto in cerca di ispirazione qualche libro fuori dallo scaffale, mentre Ran sparava nomi a raffica.
“Akemi? Fujiko? Hiromi?”
Lui scosse la testa. “No! No! Ricordati che sei americana” 
Fu più veloce dell’amica. Si battè una mano sulla fronte. “Ma certo! Irene! Ti chiamerai Irene! Come Irene Adler!”
Ran sbuffò, tirandogli un calcetto su uno stinco.  “Possibile che anche in queste situazioni non pensi altro che ai tuoi cavolo di romanzi?”
Dentro di sè, però, gioiva: Irene Adler era la donna che Sherlock Holmes amava.

 

*

Le invenzioni del dottor Agasa si erano rivelate molto utili. Più di tutte, una in particolare: un microfono cambiavoce, che le permetteva di riacquistare il suo vecchio timbro da ragazza matura. La novella Irene lo teneva nascosto dentro un fiocchetto che le adornava i capelli. Il dottore le aveva anche procurato degli occhiali finti dalla montatura molto spessa, in modo che i suoi lineamenti fossero almeno un poco nascosti nel caso avesse dovuto incontrare persone, come i suoi genitori, che avevano presente benissimo Ran all’età di sette anni. Shinichi l’aveva iscritta alla Teitan. Al momento di compilare i moduli, il detective aveva optato per un classico cognome anglosassone: ecco quindi che l’identità di Irene Smith era ufficialmente completa. Quel pomeriggio avrebbe incontrato i bambini di cui Agasa si prendeva cura per fare amicizia prima del grande giorno. Le era sembrato tutto facile quella mattinata, ma quando all’ora di pranzo aveva dovuto avvisare Kogoro si era risvegliata dal bel sogno. Si era inventata di essere stata presa contro ogni sua aspettativa ad uno stage di karatè in Francia: purtroppo aveva letto l’e-mail in cospicuo ritardo e quindi era dovuta improvvisamente partire. 
“Ma se non sei neanche passata a fare le valigie!” si era lamentato, quasi affogando nelle sue lacrime da ubriaco, il padre.
“Lo so, lo so, ma l’aereo era da lì a un’ora! Hanno detto che uno dell’agenzia passerà entro la settimana a prendere le mie cose” Fra qualche giorno dovrò sicuramente ingaggiare Agasa per interpretare il ruolo del fattorino, aveva pensato.
Lasciatasi alle spalle le lagne del padre, mentre Shinichi svolgeva alcuni esercizi di fisica, si riposava sul divano. Nascosta da qualche cuscino, ogni tanto lanciava di soppiatto qualche occhiata all’amico, che aveva il volto serio serio di concentrazione. Il ciuffo gli ricadeva dolcemente sulla fronte. Era sempre stato il sogno di Ran passare così tanto tempo con lui - anche in silenzio - ma il fatto che fosse tornata bambina complicava le cose. Come avrebbe potuto il detective desiderare una scolaretta delle elementari? Come avrebbe potuto baciarla, quando il solo pensiero di un simile gesto nelle condizioni in cui si trovava al momento le dava il voltastomaco? Si trattava pur sempre, almeno all’apparenza, di un’innocente ragazzina di sette anni. Fra loro due si era inserito un limite fisico. Prigioniera di un amore ormai condannato a restare platonico, Ran si girò dall’altra parte e chiuse gli occhi, prossima alle lacrime.

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Capitolo 3
*** II - Shinichi è padre ***


II
Shinichi è padre


 
La piccola Ran, ormai assunta l’identità di Irene, camminò a passo spedito per quei pochi metri che separavano il portone dei Kudo dall’abitazione di Hiroshi Agasa. Imbarazzata ma curiosa di conoscere qualcuno – almeno all’apparenza – dei suoi coetanei, suonò il campanello un paio di volte mentre si dondolava sulle ginocchia. Non le aprì nessuno, ma in compenso venne travolta da una carica di piccoli gnu vocianti. Il professore cercò di scusarsi, ma Irene gli fece segno con la mano che era tutto a posto.
“Piacere, io mi chiamo Ayumi”
“Io sono Genta”
“E io Mitsuiko”
Irene si presentò con gentilezza ad ognuno di loro: strinse la mano grassoccia di Genta, il più alto; ricambiò il sorriso della piccola Ayumi e ne dedicò un altro alle lentiggini di Mitsuiko.
“Domani Irene inizierà a frequentare il vostro anno alla Teitan” annunciò Hiroshi ai piccoli, che si dimostrarono parecchio felici.
 
Che carini…
 
“Lo sai che sei proprio carina?” disse Genta alla sua nuova amichetta. Quest’ultima senza dubbio lo era, anche se indossava dei vecchi jeans di Shinichi e una maglietta andante. Aveva dei bellissimi occhi incorniciati da un paio di occhiali, che tutto sommato le donavano; i capelli le toccavano quasi la vita. Il ciuffo era tenuto indietro da un fiocchetto rosso applicato su una mollettina, che come abbiamo già detto nascondeva forse la migliore delle invenzioni del dottore.
“Smettila di fare il marpione!” lo rimbrottarono Ayumi e Mitsuiko, quest’ultimo con una punta di gelosia. Genta si grattò la testa imbarazzato e Irene rise di gusto. Poi si incamminarono verso l’auto gialla di Agasa.

 
*

 
Stesero la tovaglia a quadretti rossi e bianchi sulle sponde di un piccolo stagno, popolato da qualche rana. Una libellula si posò sulla spalla di Irene, la quale non se ne accorse finché Ayumi non si mise ad urlare dallo spavento (e, probabilmente, anche dal ribrezzo). In tal modo le grida raddoppiarono. Per fortuna intervennero i maschi della compagnia che, preso un tovagliolo, lo sventolarono vicino all’insetto. La libellula lasciò immediatamente la spalla dell’amica. Tirato un sospiro di sollievo, Irene si guardò intorno: quanti ricordi. Da bambini anche lei e Shinichi erano stati soliti andare in giornata per il bosco con il dottore. Le sembrava di rivivere a tutti gli effetti la sua infanzia. Stava facendo di nuovo le stesse cose, ma con persone diverse. Una triste certezza le attraversò la mente. Sarebbe stato meglio per tutti che lei fosse rimasta Irene Smith per il resto della sua vita. Shinichi non si sarebbe cacciato nei pasticci e lei non sarebbe mai stata scoperta da quegli strani uomini. Senza contare che nessuno dei suoi cari sarebbe stato messo in pericolo. Impallidì, ma scacciò subito quei brutti pensieri e addentò un pezzo di torta alla panna. Non c’è vita senza speranza. Un giorno avrebbe riacquistato la sua identità di Ran Mouri. Ne era certa.
“Che ne dite di una gara di velocità su per il sentiero?”
“Sì! Sì! Che bella idea, Mitsuiko!”
“Andiamo!”
Ayumi la prese per mano e iniziarono a correre sul terreno. Il giorno prima aveva piovuto, quindi era parecchio fangoso e le radici degli alberi erano ancora umide.
“State attenti a non scivolare!” si raccomandò Irene, trascinata a tutta velocità fra le fronde dalla bambina col caschetto.
“Sì, sì, non ti preocc-“ Genta barcollò, cercò di aggrapparsi in extremis a Mitsuiko, ma finirono tutti e due distesi con la faccia nel fango.
“Genta! State bene?” Ran, in un impeto materno, corse al loro fianco e sollevò uno alla volta i due ragazzini con l’aiuto di Ayumi.
“Proprio non capisco! Non ci sono né radici né sassi in questo tratto!” si lamentò Mitsuiko, sputando un po’ di terriccio.
“Può darsi che tu abbia solo peso l’equilibrio”
Perplessi, tutti e quattro rivolsero lo sguardo sul sentiero: questa volta urlarono anche i maschi. Una mano spuntava dai cespugli.

 
*


 
“La vittima si chiamava Toichi Murakami, quarant’anni, escursionista” esordì il detective Takagi, sfogliando il taccuino.
Le sirene della polizia avevano turbato il boschetto silenzioso appena qualche minuto prima. L’ispettore Megure si accarezzò la barbetta.
“Causa del decesso?”
“Un colpo di arma da fuoco, signore. Il cadavere è stato scoperto da quei quattro ragazzini laggiù” Puntò l’indice contro il gruppo di amici, ancora molto scossi. Ayumi aveva ricevuto da un agente una grossa coperta gialla e ci si era subito avvolta. Irene ogni tanto le passava una mano sulla fronte, tentando di rassicurarla. Gli altri due bambini cercavano con mille insicurezze di rispondere alle domande della polizia. Il dottor Agasa si avvicinò a Irene.
“Potresti chiamare Shinichi, cosa ne pensi?”
Ran annuì. “Mi sembra un’ottima idea”
Ayumi e gli altri si voltarono di scatto.
“Shinichi?”
“Shinichi Kudo?”
“Il grande detective?”
“Ebbene sì, è arrivato il grande detective!”
Kogoro Mouri si lasciò andare ad una grassa risata, prima di raggiungere con passo spedito l’ispettore Megure. Tutti gli agenti lo guardarono perplessi sfilare tronfio tra le macchine di pattuglia. Mentre Takagi lo osservava visibilmente imbarazzato, l’ispettore gli riservò un’occhiataccia che sembrava senza ombra di dubbio trasmettere forte e chiaro un grosso disappunto.
 
Ci mancava solo questa…
 
Irene sbiancò e si nascose immediatamente dietro le gambe di Hiroshi Agasa. Sfilò dalla tasca dei vecchi jeans il cellulare e compose di tutta fretta il numero dell’amico investigatore. Dall’altra parte del filo, il telefono aveva già iniziato a squillare.
“Ran?”
“Shinichi! Vieni subito qui! Sono nel boschetto appena fuori città. Un uomo è stato assassinato e per di più mio padre si trova sul posto… Shinichi? SHINICHI?”
Silenzio. Aveva riattaccato.
 
Cafone!

 
*
 

“Un altro caso risolto senza alcun errore, congratulazioni detective”
Shinichi congedò con un’occhiata beffarda la giornalista, poi si rivolse a Ran.
“Allora, com’è andata con tuo padre?”
Per precauzione, Irene si guardò intorno prima di rispondere. Nei paraggi vide soltanto Ayumi, Genta e Mitsuiko che la osservavano ammirati. Dopotutto, stava conversando con il brillante investigatore liceale Shinichi Kudo! Sorrise loro di risposta e per un momento le parve di trovarsi all’interno di un fumetto. Cavolo! Gli occhi di quei bambini sembravano due cuoricini: erano totalmente in adorazione del loro idolo.
“Bene. In realtà, sono stata nascosta tutto il tempo e sono certa che non mi abbia vist-“
“Ciao, bella bambina!”
 
Oh, cielo!
 
“Fatti vedere! Come sei carina!”
Kogoro afferrò le spalle di Irene e la fece ruotare verso di lui senza troppe moine.  “Proprio una bella bambina! Non dirmi che è tua figlia, moccioso!”
Shinichi assunse circa ogni gradazione di rosso esistente, si grattò tre volte la nuca e balbettò qualcosa di incomprensibile.
“Ma se ha sette anni… io ne ho solo diciassette!”
Mouri lo guardò sorpreso, poi corrugò le sopracciglia. “E allora?”
“Come e allora? Dovrei averla concepita all’età di dieci anni!”
Kogoro sbarrò gli occhi e ridacchiò a disagio. “In effetti… non ci avevo pensato”
Tirò un buffetto sulla guancia della bambina. “I mocciosetti laggiù mi hanno detto che ti chiami Irene. Ti va di venire a cena da me stasera? Non ti nascondo che mi manca tanto mia figlia… e tu mi ricordi lei da piccola!” esclamò, prima di scoppiare in lacrime. Si asciugò le guance sulla manica del vestito. Irene, terrorizzata, si voltò verso il detective adolescente, il quale si teneva con fare sconsolato il volto fra le mani.
"Mi dispiace Goro, ma domani è il suo primo giorno di scuola e deve rip-"
“Un momento, detective da strapazzo che non sei altro! Non è che assomiglia così tanto alla mia adorata Ran perché in realtà è vostra figlia?”
A quelle parole Shinichi Kudo quasi svenne.





Per la prima volta in assoluto, lascio un mio commento personale a fondo pagina.
Sto aggiornano una volta al giorno perché presto partirò, quindi non avrò molto tempo da dedicare alla mia fanfiction. Nonostante quest'ultima abbia avuto solo due recensioni per capitolo (capisco che sia periodo estivo e che io sia una totale sconosciuta per la community di EFP) sono stata contenta di constatare che è stata comunque inserita da più di uno nelle seguite e nelle preferite. Per questo vi ringrazio tanto! Ovviamente un grazie speciale va alle due ragazze (credo siano entrambe ragazze, sì: correggetemi se sbaglio) che hanno recensito sia il prologo sia il primo capitolo, ma ti prego... TU! Sì, proprio tu che sei arrivato fin qua! Butta giù due righe se finora la mia storia ti è piaciuta. Se non ti è piaciuta, lascia comunque un commento! Aiutami a migliorare :)
Vi saluto,
stagionidiverse

 

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