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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2. Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3. Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4. Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5. Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6. Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7. Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8. Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9. Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10. Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11. Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12. Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13. Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14. Capitolo ***
Capitolo 1 *** 1. Capitolo ***
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
1
Un forte vento gelido attraversa il
piccolo cimitero.
Tutto è quiete, il sole brilla basso. L'erba splende tra i
lievi raggi
del sole. In lontananza, un piccolo merlo poggiato su una lapide grigia
e
lucida. I grattacieli di Manhattan sono silenziosi e imponenti in un
sottofondo
grigio e tetro. Le nuvole si addensano sopra il corpo disteso di Amy.
Si
percepisce un respiro pesante e spaventato. Ha gli occhi chiusi. Le sue
palpebre tremano leggermente. I capelli rossi sono distesi sopra il
verde
dell'erba. Si alzano alcune ciocche rosse dal vento pungente. Amy tiene
ancora
le palpebre abbassate, non osa aprire gli occhi. Si tocca il volto:
è
bagnato da lacrime che continuano a scendere giù,
inesorabilmente. Solo
pochi istanti prima si trovava insieme al Dottore. Sa che non
c'è
più, che non è più con lei. Lo sa,
anche se non ha aperto
ancora gli occhi. Se lo sente dentro, è sola
chissà dove.
«No!»
sentì aleggiare questa voce: la
voce del Dottore, come
un ricordo o una reminiscenza del suo subconscio.
La sua mano si sposta dalle guance al
sue labbra. Sono
aperte come in attesa di
un urlo muto e devastante. Chiude immediatamente la bocca e prende un
gran
respiro.
Alza le palpebre. Gli occhi sono colmi
di lacrime che le
pungono il viso dal
freddo. Il cielo è così opaco, come ovattato e
rinchiuso in una
bolla di vetro.
Il cielo osserva e nuota nei suoi
occhi chiari. Occhi
pieni di dolore e di
addii, pieni di storie come quella di una bambina che ha aspettato il
Dottore
per tanto tempo. Sente ancora risuonare le loro parole d'addio, le
stesse che
ora ha piantate in gola a morire.
Decide d'impulso di alzarsi.
"Mi devo muovere, fare qualcosa!"
pensa Amy.
Amy, viaggiando con il Dottore ha
imparato a non
stupirsi, a non sorprendersi
delle stranezze del Signore del Tempo, ad apprezzare il suo coraggio.
Eppure,
quella è la cosa più assurda di tutte: il Tardis
non c'è
più, il Dottore non c'è più. L'ha
percepito subito, ma
vedere realmente il vuoto che ha lasciato è un'altra cosa.
Non esiste
più quella gradazione speciale di blu del Tardis, non
c'è
più.
Non potrà più
fare nessun viaggio nello
spazio e nel tempo.
Amy è in piedi, tremante,
che si strofina le
braccia con le mani e si
appoggia alla lapide per non cadere da un improvviso capogiro.
Semplicemente lei non è
più nella
realtà del Dottore,
quella dove ha vissuto fino ad alcuni attimi prima.
"Si sentirà in colpa" pensa
Amy, "Il Dottore si
sentirà in colpa".
Ed è Amy che più
di tutto si sente in
colpa per aver lei
abbandonato il Dottore o come lo chiamava da bambina "l'uomo
stropicciato".
«Lui non può
stare da solo.» si
ritrova a dire ad alta voce
al nulla, alle statuarie lapidi davanti a lei. I capelli sferzano
ribelli il
suo volto, graffiandolo.
Amy ricorda tutto: di lei che da
piccola aspettava tutta
la notte il Dottore,
delle storie grandiose che ha vissuto grazie a lui tra le stelle e lo
spazio,
sconosciuto a chiunque tranne per chi viaggia insieme a lui. Ricorda
ogni cosa,
come una piccola cabina blu, più grande all'interno, volava
senza
fermarsi mai. E continuerà a volare anche senza di lei. E
lei persa in
chissà quale tempo è bloccata, ma
perché?
"Come sono arrivata qui? Cosa
è successo?" sono i
pensieri che
percuotono Amy.
"Prima ero con lui e adesso
dov'è? Perché
ricordo di avergli
detto addio e nient'altro?".
Lui, l'uomo solitario che aveva
vissuto mille vite e
solcato milioni di stelle,
sconvolto tante vite e salvate contemporaneamente. Dopo aver vissuto
con il
Dottore non le sarebbe mai più bastata la solita vita
quotidiana.
"Non devo dimenticare nulla! Devo
ricordarmi ogni cosa
di lui! Non posso
dimenticarmi di lui!" urla dentro di sé la ragazza dai
capelli rossi in
quel piccolo cimitero solitario.
Si guarda intorno, cercando di
riconoscere qualcosa.
Manca qualche altra cosa
insieme al Dottore e a River, sua figlia, e al Tardis.
«Cosa manca? Cosa? Amy
ricorda!» cerca di
spronare sé stessa
a rimembrare e a scacciare quella sensazione di vuoto.
Improvvisamente, come veloci
flashback, lei sa. Sa ogni
cosa.
“Sono qui a causa degli
Angeli Piangenti. Sono stati
loro.
Gli Angeli Piangenti sono una razza
aliena antica che
può muoversi
silenziosamente e molto rapidamente soltanto quando non sono visti.
Quando li
si osserva gli Angeli si bloccano, diventano delle statue di pietra e
possono
muoversi solamente quando l'osservatore distoglie lo sguardo o batte le
palpebre. Si nutrono di energia temporale, per questo motivo se toccano
l'osservatore lo spediscono indietro nel tempo”.
E ad Amy è successo proprio
questo.
«Rory!» urla
d'improvviso Amy, «Rory!
Rory, dove sei?»
"Come ho potuto dimenticarmi di lui?
Di mio marito?"
sgrida interiormente
sé stessa. Stringe i pugni e grida il nome dell'uomo che ama
con tutta
la voce che possiede.
«Rory! Rory! Sono io, Amy!
Rory!».
Il vento sempre più freddo,
il sole sempre
più basso iniziano a
farle battere i denti e a non farle più riuscire a emettere
una sola
lettera. La paura e la preoccupazione si insinuano in lei. Si gira
intorno
continuamente, crede di sentire la sua voce, di vedere la sua ombra, ma
è solo il silenzio ad accoglierla. Rinuncia quando dopo ore
nessuno si
fa vivo. È da sola.
«E adesso cosa
faccio?» parla con sé
stessa. Soltanto
guardandosi intorno, ancora una volta, si accorge della
città in
lontananza.
Si incammina verso il cancello
principale che ha
intravisto durante la ricerca
di suo marito.
"E se non lo avessero portato in
questo mio stesso
anno?" continua a domandarsi
la ragazza dai capelli rossi, "In che anno sono io?".
Una volta uscita fuori da quel
cimitero grigio, ad
accoglierla ci sono persone e automobili completamente più
vecchi di
lei. Ai suoi occhi da viaggiatrice del tempo, tutto questo non le
sarebbe mai
bastato, se ne sarebbe sempre meravigliata.
Gran cappotti lunghi e piccoli
cappelli ricoprono ogni
singola persona, persino
le bambine sono infagottate e al caldo. Le auto moderne, di quel
periodo,
girano indisturbate tra le strade. Un tram le passa a fianco
suonandogli un
fortissimo clacson. La sorpresa è tale da non avere
più brividi
di freddo. Osserva se stessa riflessa su una vetrina: indossa un
giubbotto
marrone, una maglietta bianca a righe nere, dei jeans e delle scarpe
scamosciate.
È troppo moderna,
è troppo leggera per
quel freddo. E di colpo,
una punta di ghiaccio scivola lungo la sua guancia. Alza lo sguardo in
alto e
nota che piccoli fiocchi di neve iniziano a scendere dal cielo.
«Dannazione!»
impreca sottovoce. Non ha
l'abbigliamento adatto per
la neve.
Si guarda attraverso le vetrine:
è così
fuori luogo, così
sola in quel posto. Qualcuno la osserva, qualcun'altro si tiene stretta
la
borsa al proprio fianco e qualcuno, ancora più perfido,
chiude a chiave
la porta del proprio negozio.
Amy continua a camminare, non
può permettersi
pensieri tristi.
Le pareti dei palazzi e dei negozi
sono tappezzati da
locandine pubblicitarie.
Piccole carrozzine scure sono spinte dalle madri magre e alte.
Camminando, si
accorge di una folla piuttosto numerosa davanti a una scalinata. Sono
lì
per una mostra pittorica. Si avvicina, cerca di capire chi sia il
pittore in
questione e meravigliata legge che si tratta del suo caro amico Vincent
Van
Gogh. Lo aveva incontrato tempo fa grazie al Dottore, lo aveva
conosciuto e
amato, era un uomo incredibile e incompreso. Sorride, ricordando quei
giorni.
Legge sulla locandina della mostra le
scritte "Dall’1
Gennaio al 1 Aprile".
Si guarda intorno per capire in che
epoca possa essere o
se qualcosa potesse
farle capire l'anno.
Finalmente, dopo aver superato diversi
isolati, nota un
uomo in giacca e
cravatta gettare un giornale in un cassonetto. Aspetta che si allontani
e
allunga la mano. Il giornale raccolto è ancora nuovo, ha
pure l'odore di
inchiostro fresco tra le pagine.
La prima pagina riporta la data "2
Gennaio 1940".
«1940...» mormora
Amy.
"Cosa devo fare? Cosa faccio?" si
domanda. Accartoccia
il giornale e lo rigetta
nella spazzatura, spazientita.
Si controlla le tasche del giubbotto,
si svuota le
tasche dei jeans. Non ha con
sé soldi, tranne un orologio, una collanina, l'anello di
fidanzamento,
l'anello di matrimonio e una foto sua insieme a Rory.
Il flusso di persone tra i marciapiedi
comincia a
diminuire e le luci della
città risplendono forti.
"Si sta facendo buio" sono i suoi
pensieri preoccupati.
Inizia ad avvicinarsi a qualcuno per
chiedergli dove
potrebbe andare a dormire,
ma sempre un secondo prima rinuncia. Si rincuora solamente quando nota
una
gioielleria. Si stringe la collanina con una mano, pensierosa.
Entra nella gioielleria, prendendo un
grosso respiro.
«Posso farcela, posso
farcela!» cerca di
autoconvincersi.
Tutto, lì dentro,
è così
sfavillante: i gioielli dentro le
loro teche di vetro brillano e ammaliano i clienti.
Clienti, tutt'altro che di tasche
povere come lei. Gran
soprabiti di tessuto
pregiato avvolgono le loro spalle, scarpe lucide e cappelli pregiati li
scaldano dall'inverno.
I loro sguardi altezzosi fingono di
non vederla nel suo
abbigliamento umile. Un
bambino tira per un braccio la propria madre sussurrandole all'orecchio
e
indicando Amy con il suo ditino paffuto.
Amy sorride e volge il suo sguardo al
commesso. Si
avvicina al bancone di
mogano lucido. Due signore con pellicce vistose bisbigliano e ridono
senza
smettere di guardarla.
Un signore dai capelli bianchi e
piuttosto robusto le
sorride da dietro il
bancone. Lei gli rivolge la più completa attenzione.
«Salve.» saluta
Amy.
«Buona sera, signorina. Cosa
posso fare per
lei?»
Amy nota come la stia trattando come
una comunissima
cliente. Gli sorride grata
della gentilezza.
«Ho letto fuori che comprate
gioielleria
usata...» comincia Amy.
«Che cosa vorrebbe
vendere?»
«Io avrei questa collana.
Vorrei vendere la
catenina d'oro.
Quanto potrebbe essere il valore
stimato?»
«Posso vedere,
signorina?»
«C-Certo!».
L'uomo afferra delicatamente la
catenina e la osserva
bene con i suoi occhiali
dalla montatura dorata. Soppesa la collana, la lascia cadere su una
bilancina e
batte i tasti di una calcolatrice.
«Non posso darle
più di 200 dollari. Le
vanno bene?»
«Sì, molto
gentile!».
Lui le sorride, afferra la catenina e
la mette sotto il
bancone. Apre la cassa
e le porge i soldi accordati.
Prima di andarsene, però,
Amy tenta di parlargli
ancora.
«Posso esserle ancora
utile?» domanda il
commesso che comprende la
sua indecisione.
«Io vorrei chiederle se
può consigliarmi un
hotel dove
dormire...»
Il commesso, questa volta, la osserva
dall'alto e in
basso.
Ha assunto l'aria snob come quella di
tutti quei clienti
in quel negozio.
«A pochi isolati da qui
troverà un hotel
dagli umili
prezzi.» pronuncia quasi sgarbato, «Giri a destra e
prosegua dritto
per un paio di isolati, troverà sicuramente il Manhattan
Brothers
Hotel.»
«Grazie mille,
arrivederci.» mormora Amy,
congedandosi il
più presto possibile. Stringe i denti ed esce dal negozio.
Gli volge
un'ultima occhiata e si augura di non doverci rientrare mai
più.
|
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Capitolo 2 *** 2. Capitolo ***
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
2
Amy s'incammina verso l'indicazione
data dal gioielliere
e scorge dei pannelli pubblicitari di una un'opera teatrale.
Una folla ben vestita e agghindata le
passa a fianco,
mentre una leggera musica
Jazz le invade le orecchie.
Signori con grossi sigari le lanciano
un'occhiata
veloce, lei continua a
camminare, ma più velocemente perché è
preoccupata dal
sorgere della notte. Arrivata a una stradina più trasandata
rispetto a
quel quartiere, nota l'insegna del Manhattan Brothers Hotel.
Dentro l'Hotel tutto è in
legno, ogni singolo
oggetto, parete, decorazione è in legno. L'interno
è molto
più curato ed elegante rispetto l'esterno. Si guarda un po'
intorno
meravigliata dall'intaglio pregiato dei quadri e dalle piccole sculture
sugli
scaffali. Il soffitto incastonato di legno è pieno di luci,
dando la
sensazione di piccole lucciole. Un ragazzo sulla trentina la squadra da
dietro
un bancone.
Amy si avvicina al receptionist che
non le toglie gli
occhi di dosso. Lui
indossa una giacca blu scuro con bottoni dorati e una camicia bianca
con
piccole righe. Alza gli occhiali marroni con le dita, ma i suoi occhi
castani
non lasciano mai quelli di Amy. Porta i capelli scompigliati e la
camicia
è piena di pieghe.
«Buonasera! Vorrei prendere
una stanza.»
saluta finalmente Amy,
rompendo il silenzio tra di loro.
Guardandolo meglio, si può
notare una lieve
peluria sul volto del
ragazzo.
«Certo, è qui da
sola?»
«Sì, vorrei una
singola.»
Lui sorride. Educatamente, Amy
ricambia il suo sorriso.
Il ragazzo controlla
dei fascicoli e un libro.
«Perfetto! Abbiamo libera la
stanza 12A. Avrei
bisogno di un suo
documento.»
«Sì, ecco...
Avrei un problema: non ho
più nessun
documento...mi hanno derubata, è stata una giornata davvero
pesante, lei
capisce, no? Dovrei scaricare lo stress accumulato... Non potrebbe
venirmi
incontro?» supplica Amy battendo più volte le
palpebre e
passandosi la mano tra i capelli rossi.
Lui rimane imbambolato, ma il senso
del dovere lo
riporta alla realtà.
«I-io non
potrei...» comincia a dire il
receptionist, ma è
distratto da Amy che si è appoggiata al bancone e si morde
le labbra.
Lui rimane senza parole, si toglie gli occhiali e se li pulisce sulla
camicia
per smettere, almeno per qualche secondo, di guardarla.
«Non potrei,
signorina...» ricomincia il
ragazzo con voce
più roca, «Le regole dell'Hotel sono molto ferree
e i dirigenti
sono poco indulgenti... Se mai dovessero scoprirlo, io
sarei...»
«Non lo scopriranno! Le
darò anche una
mancia!» sussurra con
impeto Amy avvicinando la sua mano a quella di lui.
Sbatte le palpebre un altro paio di
volte e il giovane
receptionist si
convince. Le allunga le chiavi e si sistema gli occhiali sul setto
nasale,
timidamente.
«Buona
permanenza!» le augura lui prima di
vederla scomparire lungo
le scale.
Amy arriva alla porta della sua stanza
in pochi minuti.
Gira la chiave e ad aspettarla sono
delle pareti color
panna con ricamati dei
fiori vicino al soffitto, il letto in mogano è avvolto da
lenzuola a
righe bianche, blu e verdi, una gran finestra è ornata da
diversi vasi
di fiori colorati e da una tenda bianca e rosa. Vicino al letto
c'è una
piccola scrivania con uno specchio e una lampada bianca. Amy osserva
quegli
oggetti, li sfiora con la punta delle dita. Scruta se stessa allo
specchio, ma
solo per qualche secondo. Si sdraia, infine, sul letto e tiene gli
occhi fissi
sul soffitto.
«Rory...»
mormorano le sue labbra.
"Rory, dove sei finito?" invocano i
suoi pensieri. Lei
strizza gli occhi come
se lui potesse comparire da un momento all'altro al suo fianco.
«Rory, ovunque tu sia,
ovunque ti trovi, io
riuscirò a vederti
ancora!» prega sottovoce.
"Dove può essere? Cosa
farebbe Rory in questa
occasione? Cercherebbe un
lavoro, un modo per impegnare il suo tempo.
Forse lavora in qualche ospedale,
forse in qualche
negozio.
Dove potrei trovarlo?" si domanda Amy
incessantemente,
finché non si
addormenta sfinita.
Amy è seduta al ristorante
dell'hotel per fare
colazione.
Mangia uno yogurt e alcuni biscotti,
una colazione
leggera e veloce. Subito
dopo va alla reception per chiedere delle informazioni.
«Salve. Ha dormito
bene?» chiede il ragazzo
di ieri dietro al
bancone con forti occhiaie. Sarà stato tutta la notte a
lavorare.
«Sì, grazie.
Vorrei chiederle una
cosa...» inizia a dire
Amy.
«Certo!»
Amy esce dalla tasca una foto del
matrimonio di lei e
Rory.
Gliela mostra sul bancone. Lui sbarra
gli occhi per
qualche secondo.
«Ha mai visto
quest'uomo?» chiede speranzosa
Amy.
«È suo
marito?»
«Sì, non so dove
si trovi...»
«Non l'ho mai
visto.» dice secco il ragazzo
dagli occhiali spessi.
«È
sicuro?»
«Sì, non posso
essere più sicuro di
così.»
dice, e ricomincia a lavorare a dei fogli senza più degnarla
di uno
sguardo. Lei annuisce e ripiega la foto.
«Arrivederci.»
saluta lui, congedandola
immediatamente.
Amy esce dall'hotel senza nemmeno
salutare.
"Da dove comincio?" pensa Amy e si
dirige verso il
traffico caotico della
città di Manhattan.
"Dovrei comprarmi dei vestiti
più adatti".
Quando, al calar del sole, si ritrova
nei pressi
dell'Hotel vede delle forti luci blu e rosse della polizia. Si blocca
istintivamente.
«La polizia?» si
domanda sottovoce.
Attraverso il vetro dell'ingresso nota
che il
receptionist sta conversando con
alcuni agenti di polizia che scrivono su un taccuino quello che lui gli
sta
riferendo. Poi, il receptionist indica il portone d'ingresso. Per un
secondo i
loro occhi si incontrano e lei presa dal panico inizia a correre. Corre
più veloce che può, non sente l'allarme della
polizia seguirla,
ma sa che stanno cercando lei.
"Sono qui per me! Mi ha tradito, quel
cretino!" pensa
Amy, senza più
avere le forze di correre e formulare pensieri coerenti.
Non sa dove sta andando, gira e rigira
su stradine,
evitando le persone. Il
cappotto nuovo e i vestiti pesanti che si è comprata quel
giorno,
iniziano a farla sudare.
Distrutta dalla corsa, si ferma per
prendere fiato. I
polmoni chiedono
pietà. Si appoggia al muro e chiude gli occhi esasperata.
Non si accorge
nemmeno che vicino a lei c'è una persona accovacciata per
terra.
«Stai bene?»
domanda la voce di una bambina.
Amy salta dallo spavento e cade per
terra.
«Scusa! Non volevo
spaventarti!» ridacchia
la bambina. Amy la
osserva meglio dentro quell'oscurità. Un corpicino fragile e
con le
spalle ricurve è ricoperto da un cappotto logoro che non
permette a Amy
di vedere il volto della bambina.
«Sto bene. Tu stai
bene?» chiede la ragazza
dai capelli rossi. Come
risposta la bambina tossisce e abbassa il cappuccio che le avvolge i
capelli.
Sotto la fievole luce dei lampioni,
che si sono accesi,
può vedere un
volto dolce costellato da lentiggini e occhi chiari. I capelli castani
sono
aggrovigliati e sporchi.
«Scusa.» mormora
la bambina nascondendosi di
nuovo il volto.
«Per cosa ti
scusi?» domanda Amy che si
avvicina a lei e scivola in
basso lungo la parete.
«Non sono
presentabile...» sussurra
mortificata la bambina. Amy
ride.
«Sei bellissima anche
così.»
La bambina si mostra di nuovo alla
luce. Il suo volto,
come i suoi vestiti,
sono ricoperti da uno strato di sporcizia.
E le sorride.
«Mi chiamo
Charlotte.» annuncia la bambina.
«Io sono Amelia,
è un gran piacere
conoscerti!»
«Ti sei persa?»
domanda Charlotte che,
intanto, continua a tossire
e a grattarsi la guancia.
«Sì...»
sospira Amy.
«Non hai un posto dove
dormire?»
«No. E tu?»
Charlotte le sorride mostrandole tutti
i denti, o quasi
perché alcuni
non ci sono e altri sono molto scuri.
«Vieni con me!»
urla di entusiasmo Charlotte
e afferra la mano di
Amy. La trascina per diverse strade fino ad arrivare in uno spiazzale
pieno di
gente. Alcuni fusti di metallo sono accesi e riscaldano qualche persona
lì vicino.
È il quartiere dei poveri.
Ed Amy è diventata una di
loro.
Una signora prende per le orecchie
Charlotte.
«Dove sei stata?»
urla alla bambina.
«Ero con Amelia! Tu non sei
mia madre!»
grida fino a liberarsi
dalla presa e nascondendosi dietro altri bambini.
«E tu chi sei?»
chiede brusca quella signora
dai capelli ricci e
scuri.
«Sono Amelia...»
«Perché sei
qui?»
«Io non posso tornare in
città...»
sussurra rammaricata
più verso se stessa che verso la signora burbera.
La donna la osserva dall'alto e in
basso, il suo sguardo
si addolcisce e la
porta in un posto più appartato, con meno occhi e meno
orecchie.
«Che cosa ti è
successo, bambina mia?»
«Credo di essere ricercata
dalla polizia, non
posso farmi vedere per un
po'...» confessa Amy.
«D'accordo, puoi stare qui
con noi se vuoi.»
«Davvero?»
«Sì, puoi dormire
qui. Non è molto,
ma noi dobbiamo sapere
accontentarci, no?» sorride la donna dai capelli ricci e le
accarezza il
volto amorevolmente. Amy sorride rivolta al cielo.
"Rory dove sei?" si domanda ancora e
ancora Amy.
Amy divide i soldi con Charlotte,
comprano delle
pagnotte e delle coperte.
«Non hai più
soldi?» domanda
Charlotte.
«Li ho finiti...»
«Avevi detto di aver pagato
l'hotel in anticipo,
vero?» le chiede
la signora dai capelli ricci.
«Purtroppo
sì.»
«Vieni con me!»
urla Charlotte sorridente.
Amy e Charlotte tentano di rubare del
cibo, ma Amy non
ci riesce. Ci riprovano
qualche giorno dopo e questa volta riescono a recuperare del cibo per i
bambini
del quartiere povero.
«Tu non mangi?» le
chiede Charlotte una sera.
«Voi ne avete più
bisogno» dice
guardando Charlotte
riempirsi la bocca di cibo, soddisfatta.
I giorni passano. I giorni diventano
settimane. Amy
è più magra,
più debole, comincia a sentirsi stanca e senza forze.
È nei pressi della
città, mentre cammina
in cerca di un posto
dove poter rubare qualche cosa da mangiare, quando comincia a tossire
forte.
Tossisce, senza riuscire a smettere. Un uomo la sta fissando. Ha uno
sguardo
pazzo e pervertito. Amy inizia a camminare frettolosamente per
allontanarsi da
lui, dalla civiltà.
"Non posso farmi arrestare, non posso
smettere di
cercare Rory!" pensa
debolmente e incoerentemente.
«Dove corri,
bellezza?» si sente dire alle
sue spalle.
L'uomo è più
vicino del dovuto. Amy inizia
a correre, ma una
forte scarica di tosse le invade i polmoni e le ostruisce le vie
respiratorie.
Si accovaccia per terra.
"È finita" pensa sconfitta
Amy.
«Brava ragazza, adesso sei
mia!» le sussurra
all'orecchio l'uomo
dall'alito pesante e disgustoso. Amy strizza gli occhi e prega in
qualcosa.
«Rory» parlano le
sue labbra.
«Cosa hai detto?»
chiede l'uomo che le
scosta i capelli dal volto e
l'annusa.
«Ha detto di lasciarla in
pace!» dice una
voce risoluta e un po'
più giovane, diversa da quella dell'uomo viscido alle sue
spalle.
«E tu chi cazzo
sei?» urla sorpreso il suo
aggressore, alzandosi e
lasciando la presa su Amy.
«Io? Io sono
l'eroe!».
Forti rumori di pugni e imprecazioni
arrivano alle
orecchie della ragazza.
Amy tossisce ancora, si accovaccia sul
marciapiede e poi
vi è soltanto
il buio.
|
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Capitolo 3 *** 3. Capitolo ***
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
3
Amy apre gli occhi. È
sdraiata su un letto dalle
lenzuola bianche. La stanza è pure bianca. Poi il buio
l'avvolge di
nuovo.
Degli occhi accolgono i suoi, occhi di
un azzurro
profondo.
"Lui non è il mio Rory"
pensa prima di
addormentarsi di nuovo.
Apre gli occhi e un'infermiera sta
inserendo nella sua
flebo un medicinale.
«Cosa mi state facendo? Cosa
ci faccio qui?»
biascica Amy.
«Shh, andrà tutto
bene. Ora riposa.»
le sorride l'infermiera
dai capelli neri.
Si risveglia con la stessa infermiera
che tiene dei
fascicoli in mano.
«Ciao! Ben
svegliata!»
«Dove mi trovo?»
domanda Amy.
«Sei in ospedale. Ho visto
che manca il tuo nome
nella cartella.»
«Mi sento ancora
intontita...» dice Amy
osservandosi le braccia
piene di aghi. Il suo corpo e avvolto da coperte.
«Sì, tra poco ti
addormenterai di nuovo. Ma
ora dimmi il tuo
nome.»
«Mi chiamo...Amy...mi chiamo
Amy Pond.»
sussurra prima di essere
abbracciata di nuovo dal buio.
"Devo trovare Rory!" sono questi i
pensieri che ha Amy
quando riemerge dal sonno. Sbarra gli occhi di colpo. La stanza
è
diversa. È sdraiata su un letto matrimoniale dalle lenzuola
di raso
color tortora. Sia alla sua destra che alla sua sinistra ci sono due
comodini
di legno con grosse lampade bianche. Alla sua destra ci sono due lunghe
e
strette finestre con tende dello stesso colore delle lenzuola, mostrano
un
cielo sereno e azzurro. Vicino c'è una piccola scrivania in
mogano e in
tessuto rosso con un grande vaso pieno di rose bianche. Un imponente
armadio in
mogano ricopre l'intera parete di fronte al letto ed è
lucidissimo. Il
pavimento tutto in parquet scuro ha un gran tappeto pure di color
tortora. Il
soffitto è costellato da piccole luci e da un gran
lampadario che
ricorda molto un fiore di loto bianco. Sorride.
Non se ne è accorta prima,
ma vicino alla porta
c'è una persona.
Un forte odore di fumo riempie la stanza.
«Bella, vero? E non hai
ancora visto il resto
della villa.»
pronuncia quella figura slanciata
appoggiata allo
stipite della porta.
È un giovane uomo, alto,
moro e incredibilmente
bello. Ha i capelli
lisciati all'indietro, indossa una giacca e camicia scure. Le sorride
con la
sigaretta tra i denti.
Amy nota che l'ha già
fumata quasi del tutto.
«Mi osservi già
da molto?» domanda
senza timore Amy,
accennando al vizio del ragazzo che ha tra le dita. Lui alza un
sopracciglio.
«Me lo chiedi per
questa?» dice indicando la
sigaretta. Il giovane
ridacchia e prende un'altra boccata di fumo, fissandola.
Una donna entra di corsa nella stanza.
«Tua madre non vuole che si
fumi in casa.»
È visibile l'irritazione
del giovane.
«Si dà il caso
che lei non sia a casa,
adesso.»
La donna va via e Thomas si rivolge di
nuovo ad Amy,
scrutandola e sorridendole.
«Amy, non mi
riconosci?»
«Dovrei?»
«Certo che dovresti. Ti ho
salvato la vita!»
dichiara sorpreso e
risentito Thomas.
«Non ti offendere, ma non so
nemmeno dove mi
trovo!»
ribatte lei.
«Ti trovi nella villa dei
Wilkinson, nonché
proprietà della
mia famiglia. Io mi chiamo Thomas, e ti ho salvato la vita!»
«Sì, me l'hai
già detto.»
sospira Amy, poi continua
dicendo «Che giorno è oggi? Comunque vorrei mi
chiamassi Amelia
Williams.»
«Amelia Williams? Ma ai
medici hai detto di
chiamarti Amy Pond.»
«Diciamo che mi chiamavano
così in un'altra
vita, ora voglio
essere chiamata Amelia Williams.»
Thomas annuisce e continua a fumare;
vi è un
palese attimo di esitazione
da parte di entrambi.
«Cosa mi è
successo? Perché sono
qui? Come ci sono
arrivata?»
Si sente il rumore delle ruote su dei
ciottoli. Uno
sbattere forte di un
portone, presumibilmente quello principale della villa. Una voce
lontana di
donna ordina qualcosa a qualcuno.
«Spero che la cena sia
pronta!» manifesta il
vocione basso di un
uomo.
«Oh, ecco i miei genitori.
Hai fame?» le
chiede Thomas.
Sono seduti a un lungo tavolo di legno
imbandito da gran
piatti fumanti. Mille odori invadono la stanza spaziosa.
Tutti mangiano silenziosamente. Thomas
le lancia qualche
occhiata divertita.
«Volevo ringraziarvi
dell'ospitalità.» dice Amy ai signori
Wilkinson che non hanno mai alzato la testa dal piatto, tranne che per
impartire qualche ordine alle cameriere.
La signora Wilkinson la guarda.
«Da quando facciamo mangiare
al tavolo i nuovi
domestici, caro?»
«Non lo so, cara»
le risponde il signor
Wilkinson che non alza
nemmeno il volto per parlare.
«No, io non sono la nuova
domestica...Io
sono...»
«Sei la nuova addetta alle
mie peonie?»
«No, io...»
«Ah, certo! Tu devi essere
la nuova degustatrice
di vini! Caro, come ho
fatto a non capirlo subito?»
Amy la guarda stranita.
«In effetti, si vede proprio
che è una
degustatrice di
vini!» annuisce Thomas che se la ride sotto i baffi. Non
l'avrebbe
aiutata in alcun modo in quell'imbarazzante momento.
«No, signora. Io non lavoro
per voi.»
«Caro, quando abbiamo
assunto una nuova
degustatrice di vini? Non
rimembro nessuna assunzione. Non te ne sarai occupato tu?»
continua la
signora Wilkinson.
"Aiutami" mima con le labbra Amy verso
Thomas. Lui
sfodera uno due sorrisi
più accecanti della storia dei sorrisi.
Indica se stesso e alza un
sopracciglio.
Amy sbuffa e alza gli occhi al cielo.
«Signora Wilkinson, le
ripeto io...» ritenta
Amy.
«Madre, la signorina Amelia
non è una
vostra dipendente.»
«Oh, davvero?» lo
guarda meravigliata la
signora Wilkinson.
«È la ragazza che
ho salvato!»
Si vanterà per sempre di
questa cosa, Thomas non
si stancherà mai
di dirlo.
«Ah, ma perché
non l'hai detto
subito...come hai detto di
chiamarti?»
«Mi chiamo A...»
prova a presentarsi Amy, ma
viene interrotta da
Thomas.
«Il suo nome è
Amelia, madre.»
«Giusto, Amelia. Dicevo:
Amelia potevi dirlo
subito di essere una nostra
ospite! Potrai stare nella nostra villa tutto il tempo che ti
sarà
necessario!».
«G-grazie.» dice,
infine, Amy, rinunciando
ad aggiungere altro.
«È ottimo questo
pesce, mia cara.» si
esprime il signor
Wilkinson dopo molti minuti di silenzio.
«Oh, Gertruda ha recuperato
personalmente questo
pesce al mercato. Le ho
detto o prendi la prima scelta o...»
Amy ascolta educatamente la
conversazione, rimanendo in
silenzio. Eppure,
Thomas le colpisce il piede con il suo.
"Cosa vuoi?" mima Amy.
«Amelia, non ti sarai mica
offesa, vero?»
domanda ad alta voce
Thomas. Lei di rimando gli lancia un calcio sotto il tavolo.
"Shh, ti sentiranno!" mima ancora Amy,
indicando con gli
occhi verso la
direzione dei signori Wilkinson dall'altra parte del tavolo.
«Neanche ci
sentono.» continua tranquillo
lui, imboccandosi con
dell'altro pesce. Amy osserva i padroni di casa e vede che Thomas ha
ragione.
Sono talmente immersi nel loro discorso da non accorgersi di nulla
intorno a
loro.
«Sono abituato.»
risponde Thomas a una
domanda che deve aver visto
nell'espressione di Amy.
Amy ritorna a mangiare, fingendo di
essere a casa sua.
«Non è andata poi
così male,
no?» tenta ancora di
attirare le attenzioni della giovane donna dai capelli ramati.
«Sì, dopotutto
sì.»
Lui le sorride e a lei le sembra
così naturale
ricambiare il sorriso.
«Bene.» dice lui
tra sé e sé.
E poi ricominciano
ognuno a gustarsi il proprio piatto, immersi tra i loro pensieri.
Amy cerca di prendere dalla sua stanza
tutto ciò
che le appartiene, ovvero due cosette contate.
Attraversa i corridoi, arriva
all'atrio ampio e luminoso
della villa. Poi dei passi dietro di lei la fanno voltare.
«Dove pensi di
andare?» domanda Thomas,
fumando una sigaretta.
«La domestica non aveva
detto che non dovevi
fumare in casa?»
«Parli di Gertruda? Io posso
fare quello che
voglio in casa mia,
Amelia.»
«Okay, come dici tu. Io
vado. Addio!» saluta
Amy e tenta di aprire
il maestoso portone bianco.
«Per pura e semplice
curiosità: dove andrai
a dormire questa
notte?»
«Io-io ci
penserò...»
Thomas si avvicina. Si è
cambiato: indossa una
lunga vestaglia blu scuro
aperta sul petto, lasciando intravedere una pelle splendente.
Il fumo le invade le narici e la fa
tossire. Lui sorride.
«E quando hai intenzione di
pensarci? Sotto il
freddo invernale?»
«Io...»
«Amelia, puoi restare
qui.»
«Non vorrei
approfittarne...»
«Te l'ha detto anche mia
madre: sei la benvenuta.
Abbiamo così
tante stanze libere che qui ci si sente sempre soli.»
Amy e Thomas si guardano negli occhi.
Lui, con lo
sguardo, quasi la supplica di
rimanere. Di rimanere per lui.
«Resta, Amelia.»
dice ancora lui.
«Okay, ma non
sarò il tuo
divertimento!» mormora a denti
stretti la ragazza che ritorna sui suoi passi. Si scosta da Thomas e
ritorna in
camera.
Thomas sorride e si accende un'altra
sigaretta.
|
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Capitolo 4 *** 4. Capitolo ***
3 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
4
Amy apre gli occhi. Il sole filtra
dalla finestra. Esce
dalla stanza per fare colazione in cucina, ma vede Thomas nel corridoio.
Amy lo ferma subito.
«Thomas stavo cercando
proprio te!»
«Non avevo dubbi!»
dice lui sorridendo a
trentadue denti.
«Certo... Ti volevo
chiedere: quando ero
ricoverata in ospedale, qualcuno
è venuto a farmi visita?»
«Fammi pensare...»
Amy resta in silenzio speranzosa.
«Qualcuno, in effetti,
è passato e ti ha
lasciato dei
fiori...»
«E l'hai visto in
faccia?»
«Alto, capelli scuri, occhi
di un azzurro
incredibilmente profondo. Penso
sia una persona molto intelligente. Era molto bello, sexy e di un
sorprendente
umorismo. Aveva un fisico perfetto, sì, assolutamente
perfetto. Non per
vantarmi, ma mi accorgo subito di queste cose in una persona.»
«Bello...sexy...THOMAS!»
«Che
c'è?» ride lui.
«Non prendermi in giro! So
che stai parlando di te
stesso!»
Lui continua a ridere.
«Avresti dovuto vedere la
tua faccia!» e
poggia le mani sulla
pancia.
«Sii serio! Non vorrei che
ti soffocassi con tutte
queste risate.»
«Amy, sei troppo
divertente!» continua a
ridere, «Comunque
no, non era passato nessuno, escluso me e qualche medico.»
«Ah...»
«Aspettavi
qualcuno?»
«No, nessuno...»
Thomas scruta il suo sguardo. Le
lancia uno occhiolino.
«Amelia, ora dovrai
scusarmi, ma ho del lavoro da
sbrigare.
Ci vediamo più
tardi!» annuncia lui
sistemandosi la giacca.
«Sì, va bene,
certo.»
Segue Thomas con lo sguardo, fin
quando non scompare
alla sua vista.
Amy ritrova l'ospedale dove l'ha portata Thomas.
«Avete visto
quest'uomo?» chiede a
un'infermiera al banco
informazioni, mostrandole la foto del suo matrimonio.
«Io no. Tu,
Agatha?» dice un'infermiera e fa
vedere la foto a una
collega.
«Mai visto.»
risponde secca e va via con dei
fascicoli in mano.
«Siete sicure che non lavora
qui?» continua
a chiede Amy.
«Dolcezza, lo sapremmo, non
credi?» la
guarda la donna paffuta al
bancone.
«Sto semplicemente facendo
una domanda...»
«Dolcezza, hai qualche
problema?»
«Che problemi ho io? Che
problemi ha lei! Le
volevo chiedere solo una
cosa!»
«Perfetto, hai avuto la tua
risposta, ora puoi
andartene.»
«Sì, grazie, buon
lavoro.» mormora
stizzita Amy,
strappandole di mano la sua foto.
«Sì,
sì.»
La congeda con un gesto della mano
l'infermiera. A passi
veloci Amy esce
dall'ospedale. Si copre la faccia con le mani e lancia un urlo
silenzioso.
«Sono tutti antipatici in
questa
città?» bisbiglia Amy
esausta, allontanandosi il più possibile da quell'ospedale.
Girovaga per la città. Una
leggera pioggia inizia
a riempire le strade.
Si protegge i capelli e i vestiti con il cappotto, ma il freddo
soccombe presto
in quella tarda mattina. Stufa, Amy decide di ritornare alla villa dei
Wilkinson.
La villa, sfarzosa anche nel
più piccolo fiore
davanti al portone, si innalza per due piani e si estende per metri e
metri. Il
giardino è composto da un prato verde e da siepi
perfettamente sistemate
e da una fontana al centro del sentiero di ciottoli. Nonostante il
freddo e la
neve, riescono a tenere tutto pulito e sempre incredibilmente verde.
Amy supera le quattro colone
nell'uscio davanti il
portone ed entra.
Si dirige in cucina per prendere
qualcosa da mangiare,
ma si ferma
perché sente la signora Wilkinson urlare a qualcuno. La
risata di
Thomas, fa capire a Amy contro chi sta sbraitando.
«Kathrin, calmati. Ti
sentiranno tutti.»
sentenzia il signor
Wilkinson che è passato davanti Amy per entrare in cucina.
«Herman, caro, non gli
permetto di continuare
così!» e
ricomincia a urlare contro Thomas. Una cameriera si avvicina ad Amy con
un
recipiente stracolmo di mele verdi, ma percepisce la tensione nella
stanza e
ritorna indietro.
Amy le corre incontro e afferra una
mela, fuggendo da
quelle urla.
Cammina tra i corridoi, quando vede
Kathrin Wilkinson
urlare ancora al figlio davanti alla stanza di Thomas che è
affianco alla
sua. Amy si volta e va da un'altra parte.
Amy, una sera, decide di fare una
passeggiata nel
giardino della villa, ma
fuori c'è Thomas che soffia fumo in faccia alla madre,
mentre lei gli
grida contro.
"Un giorno le scoppierà una
vena del collo a
quella povera donna!" pensa
Amy, allontanandosi il più velocemente possibile.
La ragazza dai capelli rossi, imbocca
un corridoio che
porta a un lato della
casa che non aveva mai visitato. Si affaccia a una delle stanze e
scorge degli
studi e una biblioteca immensa. Si intrufola proprio dentro
quest'ultima. Il
suo entusiasmo, però, si spegne in pochi secondi: Kathrin
sta urlando al
figlio.
«Sei pigro! Vuoi diventare
un fallito ed essere lo
zimbello della
redazione?» urla ancora e ancora. Thomas sbuffa e le volta le
spalle.
Amy ritorna sui suoi passi prima di
incontrare un
nervoso Thomas.
Una mattina Amy entra nel suo bagno
personale e si
accorge che mancano gli
asciugami. Va per uscire e chiamare Gertruda, ma la padrona e il figlio
si
stanno urlando addosso.
«Vuol dire che mi
asciugherò con i miei
capelli!» sussurra
tra sé e sé Amy e alza gli occhi al cielo.
Richiude la porta e
aziona la doccia.
Amy entra nella biblioteca e vi trova
Thomas chino su
una scrivania, davanti a dei fogli. Lo vede sbuffare e accendersi una
sigaretta.
«Avete smesso di litigare tu
e tua madre?»
domanda Amy senza
preannunciarsi. Thomas si soffoca con una boccata di fumo. Amy ride, si
avvicina alla scrivania e con gli occhi cerca di capire cosa sta
tentando di
scrivere Thomas.
«Mi segui adesso?»
«Siete voi che urlate
ovunque. Non potevo andare
da nessuna parte che vi
sentivo gridare!»
«Sarà...»
dice, inspirando altro
fumo. La osserva dall'alto
e in basso: Amy indossa un vestito lungo fino al ginocchio di color
marrone
scuro, quasi nero, che le lascia scoperte una buona parte - almeno a
quei tempi
- delle sue gambe lunghe. Si accorge che Thomas la osserva compiaciuto.
«Cosa stai
facendo?» chiede lei per sviare
la sua attenzione.
Lui tossisce e cerca di ricomporsi,
facendo cadere,
accidentalmente, la
sigaretta sui fogli.
«Dannazione!»
impreca il giovane.
«Ti aiuto!» dice
Amy. Raccoglie più
fogli possibili e con la
coda dell'occhio legge le poche righe scritte sopra.
«Stai scrivendo un
articolo?»
«Sì,
sì.» dice lui
sovrappensiero, gettando la
sigaretta in un cestino sotto la scrivania, «Mia madre vuole
che
contribuisca al giornale come facevo quando ero ragazzino.»
«Sei diventato svogliato con
l'età?»
«Divertente!»
mormora sarcastico Thomas.
«Ti aiuto io, se vuoi. Non
ho molto da fare in
questa grande casa.»
«Potresti aiutare Gertruda,
le stai molto
simpatica!»
«Divertente, davvero!
L'altro giorno ha tentato di
mettermi sotto con la
sua macchina!» dice Amy e rotea gli occhi verso l'alto. Si
poggia la mano
su un fianco e lancia uno sguardo di rimprovero verso Thomas.
«Quanto amo quella
donna...» sospira lui.
Amy gli schiaffeggia la
spalla e va per andarsene.
«Perché mi
aiuteresti?» domanda ad
Amy un attimo prima che
lei apra la porta.
«Scrivevo recensioni di
viaggi in un giornale,
molto tempo fa.»
«Una come te?»
«Che vorresti dire,
scusa?» chiede risentita
Amy.
«Oh, nulla, assolutamente
nulla. Amelia, ti
ringrazio, ma devo
rifiutare.»
Amy sorride ed esce, lasciando un
Thomas disperato con
le mani in faccia e gli
occhi chiusi.
È notte, Amy gira e rigira
per la sua stanza. Ha
potuto leggere le poche
righe che aveva scritto Thomas.
"Non scriverà nulla in
quello stato, devo
aiutarlo!" pensa d'impeto la
ragazza. Scosta gli oggetti dalla sua piccola scrivania e inizia a
scrivere su
dei fogli bianchi. Esce dalla sua camera e a piccoli passi si avvicina
alla
stanza di Thomas. Guarda a destra e a sinistra e poi lascia scivolare i
fogli
sotto la porta.
Amy è in giardino, seduta sugli scalini. Guarda
il cielo stellato pensierosa. Non percepisce nemmeno la presenza di
Thomas che
sta uscendo dalla sala pranzo e la sta raggiungendo, silenziosamente.
La
osserva, ne rimane incuriosito.
Si appoggia al corrimano degli
scalini. Accende, come
d'abitudine, una
sigaretta. Neanche il rumore dell'accendino riporta Amy alla
realtà.
«A cosa stai
pensando?» le domanda Thomas a
un tratto.
«Oh, ciao. Non ti ho
sentito, scusa.» dice
lei, ricomponendosi.
Thomas resta in silenzio qualche
secondo, poi le lancia
sulle gambe il giornale
che aveva in mano. Amy lo guarda interrogativa.
«Aprilo.» mormora
lui tra una boccata di
fumo e l'altra.
Sul volto di Thomas appare un mezzo
sorriso.
Amy riporta la sua attenzione al
giornale, che poi apre.
Nota che è stato pubblicato
l'articolo che ha
scritto lei a nome di
Thomas, ovviamente. Lei sorride, orgogliosa di se stessa.
«Se ti proponessi un
accordo?» domanda
improvvisamente il giovane.
«Dipende. Accordo di che
tipo?»
Lui la guarda malizioso. Amy sbuffa e
riguarda il
giornale.
«Se tu mi scrivessi gli
articoli, cosa vorresti in
cambio da me?»
continua lui e ritorna il suo sorriso malizioso.
Amy ci pensa un attimo.
«Mi servirebbero dei
documenti.» decide di
dire Amy, alla fine.
Thomas si ammutolisce, non fa nessuna
domanda.
Invece, butta la cicca della sigaretta.
«Bene, mi serviranno solo un
paio di
giorni.» annuncia lui e lascia
Amy ai suoi pensieri.
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Capitolo 5 *** 5. Capitolo ***
3 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
5
Ogni notte prima di andare a dormire,
Amy mette gli
articoli scritti sotto la porta della stanza di Thomas. Si guarda
intorno per
vedere se qualcuno è in giro, e poi si avvicina
silenziosamente alla
stanza del giovane. E come è arrivata, ritorna nella sua
camera.
Una volta, però, mentre sta
tornando in camera
sua, dopo aver lasciato i
fogli da Thomas, sente un rumore in corridoio. Corre subito nella sua
stanza,
sperando di non essere stata intravista da nessuno. Amy incrocia le
dita e
riapre leggermente la porta, quel tanto che basta per affacciarsi.
Kathrin Wilkinson è china
sul pavimento, proprio
davanti alla camera del
figlio. Si solleva e tiene in mano i fogli che pochi attimi prima Amy
aveva
lasciato. La donna non stacca gli occhi dalle pagine. Sta leggendo le
parole di
Amy. Improvvisamente, guarda verso la sua direzione con le sopracciglia
contratte.
Amy chiude velocemente la porta e si
infila subito sotto
le coperte di raso.
Chiude gli occhi e cerca di dormire.
La mattina, mentre Amy passa davanti
lo studio di
Kathrin si accorge della voce della donna che sgrida il figlio.
«Thomas, ascoltami! Non
continuare a fumare quelle
stupide sigarette! Hai
permesso che pubblicassimo gli articoli di Amelia a tuo nome! Non ti
vergogni
nemmeno un po'? Come puoi essere così pigro?» urla
Kathrin.
Amy sentendo il suo nome, commette
l'errore di fare
rumore.
Le urla si interrompono subito.
«Amelia, entra
pure.» si sente chiamare la
ragazza.
Amy entra con il capo chino, si fa
piccola in un angolo.
«Adesso, Thomas vai. Non
voglio più parlare
con te...Lasciaci
sole.» dice Kathrin sfinita, sedendosi sulla sedia davanti
alla sua
scrivania. Thomas ha un leggero sorriso sulle labbra. Sfiora la spalla
di Amy e
prima di congedarsi le fa l'occhiolino.
Il silenzio invade la stanza. Amy
tenta di parlare per
rompere il ghiaccio, ma
Kathrin la interrompe subito.
«A me non piace la gente che
mi prende in giro,
né tanto meno
tollero che mio figlio e i suoi amici cerchino di ingannarmi. Non posso
far
finta di nulla, agirò di conseguenza, senza neanche parlarne
con mio
marito!»
«Chiamerà la
polizia? Vuole che vada via
dalla sua casa?»
domanda Amy sinceramente preoccupata, sedendosi su una sedia.
«No, cara, voglio
assumerti.»
«Cosa...» alza
subito il volto. Quella donna
è strana.
«Ora vai. Ho delle cose da
fare.»
Kathrin si china su dei fogli e inizia
a scrivere. Amy,
sentendosi di troppo,
esce e si chiude la porta alle sue spalle. Il sorriso balena sulle sue
labbra e
nei suoi occhi verdi.
Amy si guarda allo specchio. Si liscia
i vestiti con le
mani. Indossa una gonna lunga grigia fino al ginocchio e una camicia
rosso
scuro con sopra una giacca della stessa tonalità della gonna.
Entra nella sala da pranzo dove i
Wilkinson stanno
facendo colazione, manca
solo Herman. Due paia di occhi si sollevano dal tavolo per guardarla.
Kathrin si alza dalla sedia.
«Sei pronta?»
«Sì,
signora.» dice educatamente lei,
si riosserva,
contenta, i vestiti nuovi.
«D'accordo, prendo il mio
soprabito.»
dichiara Kathrin ed esce
dalla stanza.
Thomas la sta fissando fin da quando
è entrata,
ma aspetta che la madre
vada fuori prima di parlare.
«Adesso siete
amiche?» domanda.
Amy lo ignora totalmente. Prende un
biscotto e lo morde.
La ragazza dai capelli rossi non
smette di sorridere.
«Amelia! L'autista ci
aspetta!» dice
Kathrin, affacciandosi nella
stanza. Amy guarda Thomas e gli sorride, poi segue la donna che
è
diventata il suo capo.
Amy lascia entrare in macchina prima
Kathrin e, infine,
si accomoda anche lei.
L'auto parte e Amy si prende di
coraggio.
«Grazie per il
vestito.» dice.
«Non potevo permettere che
ti presentassi al
lavoro in maniera non
consona e inappropriata. Ne sarebbe stata della mia reputazione.
Sarà
compito di Gertruda procurarti gli abiti per il tuo lavoro.»
parla
Kathrin senza distogliere lo sguardo dal paesaggio del finestrino.
«La ringrazio, signora
Wilkinson. È troppo
gentile con me, non
vorrei approfittarne. Non appena avrò la mia prima paga,
cercherò
un appartamento tutto mio e...»
«Non voglio sentire altro.
Pascal si sbrighi,
siamo in ritardo!»
Amy alza gli occhi al cielo e
sorridendo guarda le
strade scorrere dal vetro.
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Capitolo 6 *** 6. Capitolo ***
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
6
E' dura
essere se stessi, mantenere la lucidità e la calma quando
quello che sta per
realizzarsi è uno dei tuoi sogni più grandi.
Lavorare in
uno dei giornali più importanti dei quell'epoca...chi
l'avrebbe mai detto?
Il rumore
dei passi di Amy viene perfettamente coperto da quello di altri. Per
fortuna,
pensa lei, tutti sembrano concentrati sul proprio lavoro, talmente
tanto da non
aver occhi che per le loro scartoffie.
Così avanza
velocemente, cercando di non pensare alle proprie gambe tremanti, al
battito
del cuore - anch'esso fortunatamente mescolato alla già
presente quantità di
suoni - ma anzi, focalizzando l'attenzione su ciò che
immagina accadrà.
Segue la
signora Kathrin, che nel frattempo le spiega il lavoro da cui
dovrà partire;
molti dipendenti al suo passaggio la salutano, quasi rapiti dalla sua
figura, e
lei ricambia con un semplicissimo ma aggraziato cenno del capo,
accompagnato da
un lieve sorriso. Anche Amy ammira la sua eleganza (e
contemporaneamente prova
un certo senso di sollievo, nel notare gli occhi di tutti puntati
addosso alla
signora Wilkinson), fatta sia di movimenti che di vestiti: il tailleur
blu
cobalto che indossa sembra esser stato realizzato apposta per lei,
così come i
vari accessori non potevano che appartenerle, la borsetta che porta
sull'avambraccio sinistro e il cappello richiamano lo stesso identico
colore
del tailleur.
In mezzo a
quella folla di scrivanie Amy ne avvista una libera, quindi capisce che
è lì
che Kathrin la sta accompagnando. La donna alza un avambraccio per
comunicarle
di fermarsi.
«Questa sarà
la tua postazione.» le dice, alzando poi il viso in cerca di
qualcuno. Amy
annuisce, ma nota subito che lo sguardo della Wilkinson non
è diretto verso il
suo, ma verso quello di una ragazza qualche metro più in
là, e basta quello per
capirsi. In pochi istanti la stessa ragazza le raggiunge, mostrando un
sorriso
smagliante.
«Buon
giorno, Alicia. Ti affido il compito di occuparti della signorina
Williams.»
Alicia
osserva Amy, e annuisce agli ordini della signora Wilkinson, che senza
perdere
altro tempo, si allontana.
«Piacere, mi
chiamo Alicia Wood, lavoro qui da ben cinque anni, faccio la
giornalista grazie
a mio padre che ha fatto il reporter per tutta la vita, girando il
mondo. Mi
occupo della sezione "libri e saggi"; all'inizio non volevo questo
lavoro, perché volevo occuparmi del reportage come mio
padre. Ti ho già detto
come si chiama? Philippe Charles Wood, hai mai sentito parlare di
lui?»
«Ehm...»
«Immagino di
sì, è andato in Russia, Inghilterra, in
Francia...ma tornando a me: quando sono
arrivata qui il posto di reporter era già stato assegnato a
Peter Saxon, uno
sbruffone snob. Ero così disperata che andai alla ricerca di
un caffè
super-extra forte! Mi scontrai con Tobey, e...a te piace il
caffè?»
«A dire il
vero n-...»
«Io ne bevo
sempre tre tazze al giorno. Quando incontrai Tobey non potei fare a
meno di
notare i suoi occhi azzurri, le sue labbra, il suo sorriso, le
sue...»
Non è
possibile. Appena arrivata in redazione, e già vuole
scappare via?
Perfino le orecchie di Amy protestano e chiedono pietà allo
stesso tempo.
Si guarda intorno, studiando le caratteristiche di quel posto. La
confusione
continua riempire quell'enorme ufficio, condiviso da gente che corre da
un
posto all'altro, che discute, che va e viene. Davanti ai suoi occhi,
però, risalta
un qualcosa di familiare: un vaso contenente dei girasoli e,
osservando
meglio, un biglietto di benvenuto legato per mezzo di un nastro al vaso
stesso.
L'espressione della giovane muta alla velocità della luce,
rabbuiandosi.
«...e quindi io e Tobey stiamo insieme da quel giorno. Non
è romantico? Io amo
i libri romantici, a casa ho una libreria piena di libri - strano,
vero? -
dovresti venire qualche volta. Comunque...spero di non essere stata
invadente.»
Alicia nota Amy fissare i girasoli con aria malinconica e, dopo aver
ripreso
sufficientemente fiato, le chiede «Tu stai con qualcuno?
Non...non ti
piacciono i fiori?».
Come se
fosse stata presa alla sprovvista, Amy viene violentemente riportata
alla
realtà. Le sembra strano che a farlo sia stata proprio
Alicia.
«...mi
piacciono, solo che mi ricordano un vecchio amico.»
«Ah, capisco. Se vuoi li faccio portare via.»
«No, va bene
così. Oggi cosa devo fare?»
«Per oggi
sei libera, non ho nulla da farti scrivere. Approfittane per vedere la
redazione, e...se hai bisogno di compagnia, mi trovi nello studio di
fronte!»
«D'accordo,
me ne ricorderò.»
Alicia la
saluta con un cenno della mano, accompagnato dal solito sorriso
abbagliante; le
volta le spalle e fa per andarsene, ma improvvisamente si ferma,
rivolgendosi
nuovamente ad Amy «è stato davvero un piacere
conoscerti. Benvenuta tra noi!».
Sulle labbra
di Amy si forma un sorriso, più forzato che spontaneo.
Allora si siede sulla poltrona, appoggia i gomiti sulla scrivania e
fissa il
vaso coi girasoli.
"Su,
Amy, è un giorno speciale. Non rovinartelo così."
Maggio 1940.
Da almeno un
paio d'ore fissa il soffitto, giocherellando con la fede. Quella notte
incubi e
pensieri di vario genere - specialmente negativi - le hanno invaso la
testa
come uno sciame d'api riempie il proprio nido. Pensieri pungenti,
pensieri che
non le hanno permesso di dormire come una qualsiasi persona normale.
Improvvisamente
quella finta quiete viene interrotta da Gertruda, che entra nella sua
stanza
senza nemmeno preoccuparsi di bussare.
«Il signor
Wilkinson ti attende nel suo ufficio» le dice, intercettando
lo sguardo
sprezzante di Amy. Gertruda va via così com'è
venuta.
Si dà una sistemata
veloce, quindi esce dalla stanza avviandosi in direzione dello studio
del
signor Wilkinson. In corridoio incontra Thomas, che le sorride sornione.
«Che c'è?»
gli chiede Amy, non potendo restargli indifferente.
«Buona
fortuna.»
«Buona
fortuna per cosa?»
Thomas non
le risponde. Mantiene la stessa espressione, andando via.
Amy sospira,
scuotendo la testa. Riprende a camminare.
Raggiunta
la
porta, bussa un paio di volte. «Avanti!» urla
l'uomo.
Così apre la porta: il signor Wilkinson è seduto
sulla sua poltrona, vestito da
lavoro.
«Accomodati.»
le dice, quasi sussurrando. Lei lo prende alla lettera, sedendosi su
una delle
due poltrone davanti alla scrivania.
«Voleva
chiedermi qualcosa?»
Wilkinson
esita per qualche attimo, incrociando le dita delle sue stesse mani e
poggiando
i gomiti sulla superficie legnosa della scrivania.
«Sarò breve:
mia moglie ti ha messo alla prova e con grande sorpresa ti sei
dimostrata
all'altezza del lavoro che ti è stato assegnato. Tutti si
sono affezionati a
te, soprattutto mio figlio Thomas. Ho visto come vi guardate, e non
permetterò
che si venga a creare un particolare legame tra voi, se capisci cosa
intendo.
Ma non è per questo che ti ho fatto chiamare...»
Amy non
capisce se prendere quel discorso come una questione seria, o una presa
in
giro. Opta per la prima, sospirando sommessamente.
«...ebbene,
stavolta sarò io a metterti alla prova: lavorerai insieme ad
Alicia nella
sezione "Libri e saggi". Ritieniti fortunata, non capita a tutti di
ricevere una promozione in così poco tempo.»
Una...promozione?
Allora era questo quello di cui voleva parlarle.
Spalanca gli occhi, sorpresa dalle parole dell'uomo.
«Io...non ho
parole. La ringrazio per la sua fiducia, non la
deluderò.»
«Bene, è
tutto. Ci vediamo a cena.»
I due si alzano,
Wilkinson la accompagna alla porta poggiandole una mano sulla spalla.
«Gertruda ha
preparato un'ottima anatra all'arancia.»
Amy gli
sorride, uscendo dallo studio.
Tornando
verso la sua stanza, Amy ripercorre mentalmente tutto ciò
che è appena accaduto
nello studio del signor Wilkinson: ancora non riesce a credere che lei,
appena
arrivata, abbia già ottenuto una promozione per il lavoro
che più ama fare.
Da quando le
sue orecchie hanno udito la parola "promozione", sulle sue labbra si
è dipinto un sorriso, forse esageratamente brillante. Entra
nella propria
camera, chiudendo la porta. Si appoggia su quest'ultima con le spalle,
una mano
sul ventre; respira profondamente, emettendo l'attimo dopo un piccolo
grido di
gioia.
«Okay, Amy.
Okay. Mantieni la calma. Cosa vuoi che sia una promozione...»
Sussurra,
tra se e sé. Sulla scrivania di fronte a lei, distante
qualche metro, intravede
qualcosa. Si avvicina ad essa, scorgendo uno scatolino stretto
e lungo,
con allegato un biglietto - che apre per primo, troppo curiosa di
sapere chi è
l'autore di quel regalo.
"Ad una
persona che ha visto lungo. Firmato: il tuo carissimo,
affezionatissimo,
bellissimo Thomas W."
Amy scoppia
in una risata liberatoria, scuotendo la testa.
«Quel
Wilkinson è proprio un pazzo.»
Posa il
biglietto sulla scrivania, afferrando invece lo scatolino. Lo apre,
tirando
prima un cordoncino e poi l'altro, strappando la carta; apre lo
scatolino e al
suo interno vede un paio di occhiali da vista. Sul viso della ragazza
è ancora
stampato un sorriso.
Prende gli
occhiali e li inforca; si avvicina allo specchio, guardandosi.
«Va bene,
Thomas. Approvati.»
|
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Capitolo 7 *** 7. Capitolo ***
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
7
Amy
è seduta
sui gradini, vicino la porta d'ingresso.
Ha mangiato
talmente tanto da avere la nausea.
Nel silenzio
generale del quartiere distingue la voce della signora Kathrin - che
attraversa
le finestre aperte della sala da pranzo - rivolta a Gertruda. Il resto
della
servitù sta occupandosi di sparecchiare la tavola.
«Complimenti
per la squisita anatra...»
Amy avverte
una presenza alle sue spalle, più per la puzza di fumo che
per il rumore emesso
dai passi: è Thomas. Scocciata, fa roteare gli occhi.
Il ragazzo
si piega sulle gambe, abbassandosi fino ad incontrare lo sguardo di
Amy.
Le porge un
mazzo di fiori - solo con una mano, l'altra sta tenendo la sigaretta.
La giovane
lo guarda negli occhi, aggrottando la fronte.
«Dei fiori?
Per me?»
«Certo.
Prendili.»
Senza capire
la ragione di quel gesto, accetta quel pensiero afferrando il mazzo di
fiori.
Osserva
quest'ultimo, indugiando. «Ehm...grazie?»
«Non
ringraziarmi, o mi farai arrossire!» esclama Thomas, in modo
quasi teatrale.
«Invece ti
ringrazio perché non l'ho fatto abbastanza...soprattutto per
i documenti, anche
se ci hai messo più tempo del previsto a
procurarmeli...»
«Io mantengo
sempre le mie promesse.» le risponde, diventando
improvvisamente serio. Sulle
sue labbra rimane ancora l'ombra di un sorriso.
«Sono
davvero belli.» ammette, osservando con più
attenzione i fiori.
Dopo qualche
secondo sposta lo sguardo su Thomas, facendo una smorfia.
«Ma tra una
boccata di fumo e un'altra respiri?»
Il giovane
ride sotto i baffi, spegnendo la sigaretta sulla superficie di uno
scalino.
«Vieni con
me» si alza, porgendo la mano sinistra ad Amy.
Quest'ultima
lo guarda, incerta.
«Dovrei
fidarmi?»
«Dopo tutto
questo tempo ancora non ti fidi?»
«Ovviamente
no.» gli risponde, ridendo. Afferra la sua mano, seguendolo.
I due raggiungono il retro della villa, silenziosamente, salendo poi
una scala
a chiocciola che li porta fin sul tetto.
Amy
guarda
il panorama: luci sparse per tutto il quartiere finiscono per
confondersi con
tante altre. Insegne al neon, lampioni, automobili, grattacieli,
comignoli
fumanti fanno da protagonisti ad una vista mozzafiato. Thomas raggiunge
per
primo il tetto: aiuta Amy a salire e una volta entrambi sopra, il
ragazzo
afferra la sua mano, muovendo qualche passo. Poi si siede, ammirando lo
splendido scenario.
«Vengo
sempre qui, quando sono nervoso. Tutto questo mi rilassa.»
«Quindi sei
nervoso?»
«...ho
notato che qualcosa ti turba.» si schiarisce la voce Thomas,
fissando qualsiasi
soggetto non sia Amy.
«A te invece
cosa turba?» inclina la testa verso il lato destro, studiando
i movimenti del
giovane.
«Non tentare
di sviare il discorso.»
Solleva il
viso, incrociando gli occhi di Amy, già fissi su di lui.
Passano
alcuni secondi ad osservarsi, prima che uno dei due scoppi a ridere,
interrompendo la dolcezza di quel momento, di quegli sguardi. Thomas
scuote la
testa, arrendendosi.
«Mio padre
vuole che mi sposi entro un anno, senza una ragazza da
sposare...» sospira,
continuando «...ho ventisei anni, voglio ancora divertirmi.
Che rottura!»
«Già. Il
matrimonio non dovrebbe essere una forzatura.»
«Tutti
dovrebbero avere il diritto di innamorarsi e sposare chi
vogliono.» dice
Thomas.
«Già.» ripete
lei, stavolta con un tono di voce quasi sussurrato.
«Ti vedo
triste.»
La rossa si
ravvia i capelli con un gesto della mano, trovandosi ancora di fronte
una
situazione che le chiede esplicitamente cosa non va, cosa tenta di
nascondere.
«Se hai
qualche domanda, falla e basta, Thomas.»
«Cosa ci
faceva una ragazza come te tra i poveri?» si lancia lui,
senza troppi
convenevoli. Amy tentenna. Lascia vagare il suo sguardo
nell'oscurità, come se
la risposta potesse essere lì nascosta, pronta a venir fuori.
«...Amy?»
«Mh?»
«Se non vuoi rispondere lo capisco. Anche se pensavo
fossimo...»
«Amici?»
«...certo.
Amici.» annuisce, per nulla convinto di quanto ha appena
affermato.
Amy intuisce
che qualcosa non va. C'è una certa tensione nell'aria,
accentuata da strani
silenzi.
«Thomas,
io...»
«Tom.» la
interrompe lui.
«Sì, va
bene. Tom...»
«Non mi
risponderai, vero?»
La ragazza
apre bocca per rispondergli, ma non esce alcuna parola da essa: nota lo
sguardo
di Thomas, e in esso percepisce una sottile tristezza mista a
preoccupazione.
Amy si morde
inconsapevolmente l'interno della guancia, irritata da quei silenzi,
silenzi
che paradossalmente parlano tanto, forse anche più di quanto
si vorrebbe. Così,
dopo aver passato in rassegna tutte le possibili risposte che potrebbe
dargli,
ne sceglie una.
«Non ho mai
detto che non lo farò.»
«Beh, non
l'avrai detto, ma i tuoi silenzi parlano per te, Am-...»
La voce di
Gertruda, minacciosa e sgarbata, interrompe Thomas - il quale si
zittisce
subito.
«Signorino
Thomas?! E' desiderato da sua madre!»
Sbuffando, i
ragazzi scendono dal tetto, e quando Gertruda attesta che Thomas non
era solo,
ma che era in compagnia di Amy, contrae i muscoli del volto in una
espressione
quasi disgustata, esclamando «Ah, ci sei anche tu!».
Neanche
fosse
un cane da guardia, Gertruda segue i due fin quando non entrano in
casa. Li
lascia andare, chiudendo a chiave la porta d'ingresso.
Thomas accompagna Amy fin sulla soglia della sua stanza.
«Beh, allora
buona notte.»
«Buona notte
a te, Tom.»
E proprio quando
Amy sta per chiudere la porta, Thomas blocca quest'ultima, spingendola
con un
piede.
«Non posso
non notare che stasera hai rivelato una parte di te, Amelia.»
Curiosa, Amy
si affaccia fuori dalla porta, inclinando la testa.
«Lo hai fatto anche tu.»
«Già. E non
abbiamo litigato.»
Quell'ultima
frase spinge inspiegabilmente Amy a sorridere.
«Vai, Tom.
Tua mamma ti aspetta.»
«Ah,
sì...mia madre. Di nuovo buona notte, Amelia.»
Così, Amy
richiude la porta, stendendosi sul letto e pensando all'ultima
osservazione che
Thomas ha espresso prima di salutarla.
Si rende
conto di quanto abbia ragione: da quando si sono conosciuti, quella
è la prima
volta in cui entrambi sono riusciti a costruire un microscopico spazio
d'intimità senza dover necessariamente odiarsi.
Un
rumore
particolarmente acuto fa svegliare di soprassalto Amy, stesa
comodamente sul
suo letto. Si drizza, cercando subito con una mano l'interruttore di
una delle
due lampade; la accende, notando immediatamente un paio d'occhi azzurri
fissarla: è un gatto. Le scappa un lieve verso di sorpresa,
soffocato dalle sue
stesse mani che coprono la bocca. Come quel gatto sia arrivato
lì, lo capisce
non appena solleva lo sguardo: la finestra è aperta. Tiene
gli occhi
semichiusi, Amy.
«E tu che ci
fai qui?» sussurra, ravviandosi i lunghi capelli rossi.
Qualche
attimo è un altro rumore attira l'attenzione della giovane:
quello emesso dalla
maniglia della porta. Dopo pochi istanti sbuca da dietro essa Thomas,
lievemente pallido in viso. Sospira, sollevato, intrufolandosi con meno
delicatezza nella stanza di Amy.
«Ah, sei
qui!»
«E dove
dovrei essere? Questa è la mia stanza.»
«Ma...stavo
parlando alla gatta.»
«Ah. E'
tua?» Gli chiede, carezzando delicatamente la bestiolina.
«La riporto
nella mia stanza.» risponde di getto lui, afferrando il micio.
Si avvicina
alla porta, la apre.
«Buona
not-...»
In un batter
d'occhio il felino balza fuori dalla stanza, scappando via.
«Dannazione...Minù!»
Thomas esce dalla stanza, e contemporaneamente un gran frastuono spinge
anche Amy
ad alzarsi dal letto.
«Minù! Dove
ti sei cacciata! Ah, se ti trovo!» esclama, seppur mantenendo
un tono di voce
basso per non svegliare gli altri.
Dopo aver
indossato una vestaglia, Amy raggiunge Thomas.
«Credo tu
abbia bisogno di aiuto.»
«Ma no,
dici!? Quello l'aveva regalato mio padre a mamma per
l'anniversario...era
antichissimo!»
Solo in quel
momento si accorge di ciò che sta ai piedi di Thomas: un
vaso cinese, o
meglio...quello che ne resta. Spalanca gli occhi, non tanto per
ciò che ha
visto, ma per quello che ha sentito: il fragore proveniente dalla
cucina non è
per niente un buon segno. I due ragazzi si dirigono in cucina correndo.
Il
pavimento
è coperto di piccoli e grandi frammenti di vetro; Thomas
spalanca occhi e
bocca, impallidendo più di prima. In quella cucina non
c'è mai stata tanta
confusione.
«Oh,
no...quei bicchieri facevano parte della collezione di mia
madre!»
Si
avventurano all'interno della stanza, allora, facendo ben attenzione a
non
ferirsi - anche se, data la quantità di cocci sparsi
ovunque, è quasi
inevitabile. Il miagolio di Minù permette ad Amy e Thomas di
trovarla: china
verso terra, sta leccando il latte di una delle bottiglie che, facendo
cadere
per terra, ha rotto.
Sfortunatamente
Gertruda, come i coniugi Wilkinson, si sono svegliati giungendo subito
in
cucina.
«Cosa sta
succedendo, qui?» chiede allarmato Herman.
«I miei
cristalli!» esclama Kathrin, portando il dorso di una mano
sulla fronte, vicina
allo svenimento. Herman posiziona un braccio dietro la schiena della
moglie,
nell'eventualità dovesse davvero perdere i sensi. Gertruda
intanto urla
qualcosa in russo - cosa che da palesemente fastidio a Kathrin.
«Ti ho
sempre vietato di parlare russo in questa casa!»
«Sì, signora
Wil-...»
«Ti avevo
espressamente chiesto di riporre quei bicchieri nella vetrina!
Perché non l'hai
fatto?!»
«Sì, signora
Wilk-...»
«I miei
bicchieri...i miei cristalli! Ora ti toccherà...»
Thomas si
libera di quella situazione con spaventosa destrezza, portando via con
sé anche
Minù, che con le zampe gli macchia di latte i pantaloni del
pigiama.
Ci prova
anche Amy, indietreggiando lentamente di qualche passo, facendo finta
di
nulla...
«Signorina
Williams, cortesemente potrebbe spiegarmi cosa è
successo?»
Amy respira
profondamente.
|
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Capitolo 8 *** 8. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
8
Rabbia.
Ecco
cosa prova.
Bussa alla
porta con forza e ripetute volte, fin quando Thomas non si decide ad
aprirla.
Amy entra nella sua stanza senza nemmeno chiedergli il permesso,
infuriata.
«TU! Te la
sei svignata, lasciando a me la responsabilità si dare
spiegazioni delle tue
bravate, ma che figura mi fai fare?! Per non parlare degli oggetti che
il gatto
ha rotto, i tuoi hanno dato la colpa a me oltre che a Gertruda, non
hanno
voluto sentire ragioni. Sei un codardo!»
Thomas sta
per dire qualcosa, ma Amy lo interrompe subito.
«No! Non ci
sono giustificazioni! I tuoi mi hanno accolto in casa come una figlia,
sono
loro debitrice, ora chissà cosa penseranno di me per colpa
tua e del tuo
dannato gatto!»
«...una
gatta!» risponde lui.
«Non è
questo il punto! Te la sei svignata ed io mi fidavo di te! I tuoi
genitori mi
toglieranno il lavoro, mi cacceranno di casa...ne sono certa.»
Thomas ride
sotto i baffi. Amy lo nota, mantenendo però la stessa
espressione seria e
infuriata.
«Cosa ci
trovi da ridere? Non ti senti in colpa neanche minimamente?»
Thomas scuote la testa, ridacchiando sommessamente.
«Non ti ho
mai visto così arrabbiata...sei carina,
sai?» Amy sbuffa, alzando gli
occhi al cielo: «Non essere ridicolo.»
Tra i due
cade il silenzio. Thomas decide di romperlo.
«Adesso mi è concessa la parola?»
«No! Non ho
ancora finito!»
«Okay,
però...calmati!» il ragazzo la afferra debolmente
per le spalle.
«No che non
mi calmo!»
Si libera
dalla sua presa, indietreggiando di qualche passo.
«Invece
calmati, i miei genitori potrebbero sentirci.»
«Non mi
interessa! Io non-...»
«Ho dovuto
portarla qui. Aveva una zampa ferita, e dei ragazzini le stavano
lanciando dei
sassi...capisci? Non potevo lasciarla sola.» la interrompe
lui, autorizzandosi
a dare spiegazioni - visto che Amy sembra non averne la minima
intenzione.
Inizia a
camminare per la stanza, gesticolando.
«So che mia
madre è allergica, so che Gertruda non sopporta i gatti e
che mio padre mi ha
sempre vietato di portare animali in casa, ma non potevo permettere che
quegli
idioti le facessero del male.»
Minù sembra
capire di cosa sta parlando, tanto da cominciare a farle le fusa.
Solo in quel
momento, sulle labbra della rossa compare un sorriso.
«Cosa c'è?»
le domanda Thomas.
«Ti sei
affezionato davvero, a lei?»
Thomas
esita, avvampando di calore: le sue gote sono tinte di un rosso
particolarmente
acceso. Amy, ovviamente, se ne accorge.
«Sei
arrossito?»
«Non ti
immaginare le cose, Amelia...»
Rory.
Inevitabilmente le parole e il rossore di Thomas lo riportano a galla.
Ancora
una volta.
Inconsapevolmente,
sussurra il suo nome. Il nome di Rory.
«Come dici?»
Si avvicina a lei, il ragazzo.
«...nulla.
Buona notte.»
Ancora
non è
abituata a tutta quella quiete. Dopo la promozione, Amy è
stata trasferita
nello stesso studio in cui lavora Alicia. E' seduta sulla sua poltrona,
concentrata nella lettura di un mucchio di documenti. Alicia arriva in
ufficio
col suo solito modo di fare silenziosissimo: sbattendo violentemente la
porta.
Amy sobbalza, poggiando una mano sul petto e indirizzando uno sguardo
truce
alla sua collega.
«La prossima
volta più forte. Quelli del grattacielo accanto non sono
ancora riusciti a
sentirti.»
Alicia la
guarda subito con gli occhi spalancati e la bocca semichiusa.
«Scusa! Mi è sfuggita di mano...»
«Non
preoccuparti. Ormai ci sono più o meno
abituata...» le dice, sussurrando le
ultime parole. Torna a leggere, mentre Alicia si avvicina alla sua
scrivania.
Nota alcuni fogli scarabocchiati. Li prende, leggendone il contenuto.
«Che bello!
Cos'è?»
Amy alza lo
sguardo, riconoscendo quei fogli.
«Oh...una bozza per il mio primo libro.»
«Davvero?
Oh, ma è grandioso!» esclama, sorridendole.
«Già.
Comunque...devo andare a consegnare alla signora Wilkinson queste
relazioni.
Torno tra una decina di minuti, okay? Non inciampare nelle labbra di
Tobey.»
Quindi esce
dal suo studio, dirigendosi verso quello della signora Wilkinson: trova
altre
persone già in coda, in attesa di vederla.
Durante
l'attesa, però, Amy si trova davanti un qualcosa che, per
quello che le richiama
alla memoria, avrebbe preferito non vedere: su una mensola di una
libreria, vi
è la miniatura di un centurione romano. "Chissà
dove ti trovi. Chissà cosa
stai facendo, con chi sei. Hai aspettato duemila anni per me, io ne
aspetterò
anche tremila per ritrovarti."
«Cory!» urla
un signore alle sue spalle.
Amy si volta
immediatamente, confusa.
«Rory?»
In pochi secondi si rende conto di aver scambiato "Cory" per
"Rory".
L'angoscia
la pervade all'istante, tanto che decide di tornare nel proprio ufficio.
Scelta che
si pente di aver fatto, quando sente singhiozzare al di là
della porta.
Le gote di
Alicia sono arrossate e rigate dalle lacrime, gli occhi lucidi. La sua
scrivania è colma di fazzoletti arrotolati, strappati.
Amy le si
avvicina, posando una mano sulla sua spalla.
«Ehi,
Alicia. Tutto bene?»
«A-Amelia...sì...»
«Sul serio?
Non sembra...»
«I-il
t-tuo...»
«Il
mio...cosa?»
«L-libro. E'
così bello!»
«...Alicia.
Hai letto tutti i miei appunti?»
«Non ho
r-resistito...scusa!»
«Grazie,
Alicia.»
«...g-grazie?
Di cosa?»
«Nulla.
Torniamo a lavorare.»
Amy scuote
la testa, sorridendo. Per tutto questo tempo, ha sottovalutato la
capacità di
Alicia di tirarle su il morale.
Se non
fosse per le zampe di
Minù, Amy avrebbe continuato a dormire per almeno un paio
d'ore: mai come
quella notte, aveva dormito talmente profondamente. Dopo aver dato
qualche
carezza al micio, si alza faticosamente dal letto.
Nello stesso tempo, Gertruda
apre la porta della sua stanza.
«Ma prego, Gertruda, entri
pure.» dice ovviamente sarcastica, fulminandola con lo
sguardo e scuotendo la
testa. Gertruda avanza verso la ragazza, del tutto indifferente alle
parole che
le ha appena rivolto.
«Il
signor Wilkinson le deve
il suo pagamento mensile. La aspetta nel suo studio.» Sempre
indifferente, va
via chiudendo la porta alle proprie spalle. Amy rimane immobile fin
quando la
porta non si chiude.
Dopo essersi resa
presentabile, va dal signor Wilkinson per ritirare il pagamento.
Con le tasche finalmente piene di soldi, decide di andare a trovare
Charlotte e
tutti gli altri poveri che la hanno aiutata e protetta nel periodo in
cui lei
vagava per la città - per essere lei, stavolta, a dare un
aiuto.
Così ritorna da loro,
trovandoli attorno al fuoco. Si stanno scaldando, tutti vicini. Vede
tra questi
anche Charlotte, si avvicina alle sue spalle e le poggia sopra le mani.
La
bambina si volta e dopo aver riconosciuto Amy la stringe forte tra le
sue esili
braccia, mentre tutti gli altri osservano la scena in silenzio. La
signora si
avvicina a loro.
«Amy! Sei tu!» esclama la
dolce Charlotte, premendo forte la testa contro il corpo di Amy.
«Sì, sono proprio io.»
«Mi sei mancata tantissimo!»
«Anche tu, piccola. Come
state?»
«Bene. Qui non cambia mai
niente...ma tu! Tu sei cambiata!» dice la donna, osservandola
da capo a piedi.
«Ho avuto fortuna. In poco
tempo ho trovato lavoro e adesso finalmente posso sostenermi senza
dover
chiedere aiuto a nessuno. A proposito di questo, ho qualcosa per
voi.»
Infila le mani nelle tasche
del cappotto, estraendone alcune banconote. Le porge alla donna.
«Queste sono per voi. Non
sono granché, ma almeno vi serviranno per qualche giorno.
Prossimamente spero
di poter tornare per darvi qualcosa di più.»
La donna la guarda, la
fronte aggrottata.
«Non possiamo accettare. Sono
soldi tuoi!» scuote la testa, tutti gli altri
continuano ad osservarli in
religioso silenzio senza batter ciglio.
«Appunto perché sono soldi
miei, ne faccio quello che voglio. Ho deciso di darli a voi,
perché mi avete
aiutato a superare una situazione difficile come quella della
sopravvivenza;
ora lasciate che sia io ad aiutarvi.»
Dopo vari scambi di sguardi
tra tutti i presenti, la donna finalmente si decide ad accettare.
La
pioggia
cade fitta sulla testa della povera Amy, che per puro caso ha
dimenticato di
prendere l'ombrello. Arriva alla sede del The New Yorker, completamente
fradicia; si toglie il cappotto, asciuga i piedi sul grande tappeto
situato
all'ingresso e si incammina verso l'ascensore, cercando di non lasciare
traccia
- impresa ardua.
«Amelia! Ma
come ti sei-...» esclama Alicia, vedendola arrivare nel loro
studio.
«Ho
dimenticato l'ombrello a casa. E' così evidente?»
Le chiede, in modo ironico,
tentando di asciugarsi i capelli con un tovagliolo di carta.
Alicia
scuote la testa, rispondendo silenziosamente.
«Hai bisogno
di qualcosa? Vuoi che ti porti qualcosa di caldo? Un caffè,
del latte...»
«Non
preoccuparti, Alicia. E' solo acqua, sto bene! Almeno...per il
momento.»
Le due
scoppiano a ridere contemporaneamente; Alicia, seppur poco convinta,
torna alla
macchina da scrivere. Mentre si asciuga, Amy nota il quotidiano di quel
giorno.
Si avvicina
alla scrivania della collega, intravedendo un trafiletto pieno di
annunci: chi
cerca casa, chi lavoro, chi un'automobile. In lei si accende qualcosa.
«Alicia, non
è Tobey ad occuparsi di questi annunci?»
«Oh, sì! Non
è bravissimo?» alza il viso, fomentata dal
discorso che ha preso.
«Ehm...sì.
Potrei parlare con lui?»
«Certamente!
Se vuoi possiamo andarci adesso. Però dopo ti aspetta un bel
po' di lavoro da
fare.»
«Davvero?
Sarebbe fantastico! Ti assicuro che sarò a tua
disposizione.»
Afferma, con un largo sorriso.
Dopo aver
attraversato la folla della redazione, alcuni corridoi, e diverse scale
le due
ragazze raggiungono il reparto in cui lavora Tobey.
«Buon
giorno, bellezza!» dichiara il giovane, vedendo arrivare la
propria fidanzata,
la quale lo saluta con un bacio brevissimo sulla punta del naso.
«Ricordi
Amelia Williams, la ragazza con cui condivido l'ufficio? E'
lei!»
«Ma certo.
Ciao, Amelia!» dice, porgendole la mano. Amy avanza verso il
ragazzo,
stringendogliela.
«Alicia mi
ha parlato tanto di te...finalmente ti conosco!»
Amy gli sorride, lievemente imbarazzata.
«Posso dire
lo stesso anch'io: Alicia non fa altro che parlarmi di te!»
Il viso di
Alicia, ora, è color rosso pomodoro. Per ovviare il
discorso, è infatti lei a
parlare.
«Amore,
Amelia voleva parlarti di una cosa.»
«Sì? Sono a
tua disposizione.»
«Beh...per
farla breve, sto cercando una persona. E siccome tra le mille cose che
Alicia
mi ha detto di te c'era anche che scrivi annunci, ho pensato
di-...»
«Chiedermi
di scrivere un annuncio su questa persona.» la interrompe,
avendo già intuito
il tutto, «Va bene. Quando cominciamo?».
Amy solleva
le sopracciglia, stupita. Perché non approfittarne?
«Per me anche subito.»
«Perfetto.
Hai parlato con uno dei direttori? Ti hanno dato il loro
consenso?»
«No, non
sapevo fosse necessario la loro approvazione. Va bene, allora
parlerò prima con
i Wilkinson e poi ti farò sapere cosa mi hanno risposto. Ti
ringrazio, Tobey.»
«Ma
figurati! Ti aspetto.»
Alicia ed
Amy tornano a lavoro. Per quel giorno hanno già girovagato
abbastanza.
Domenica
pomeriggio. Sdraiata sul letto a pancia in giù, Amy ha
appena finito di
scrivere un altro capitolo del suo libro. Dopo averlo riletto
brevemente,
decide di alzarsi e recarsi in cucina, quindi indossa le pantofole ed
esce
dalla stanza.
Apre il
frigorifero, afferra una bottiglia di vetro trasparente e versa in un
bicchiere
- anch'esso di vetro - dell'acqua. La beve a piccoli sorsi.
«Ne daresti
uno anche a me?» le chiede Thomas, alle sue spalle. Amy
sussulta, versandosi
metà del contenuto del bicchiere addosso.
«Ricordami
per quale motivo io e te siamo ancora amici.» Quasi ringhia,
prendendo subito
una pezza per asciugare il ripiano della cucina e la maglietta che
indossa.
«Perché sono
bellissimo, e soprattutto perché ti ho salvato la
vita!» afferma, col sorriso
sulle labbra. Amy si volta, fulminandolo con lo sguardo.
«Sei di un
egocentrico pazzesco.»
Solleva le
spalle, lui, come se non gli avesse detto nulla di nuovo. Prende un
panino dal
cestino posto sul centro del tavolo, tagliandolo nel mezzo ed
infilandoci un
mucchio di roba che Amy non riesce a distinguere, escluso del
formaggio.
Nonostante tutto, gli riempie un bicchiere d'acqua e glielo porge. Lui
lo
prende, senza dire nulla.
«Prego, Thomas. E' sempre un piacere servirti.»
«Lo so.» le
risponde, dopo aver svuotato il bicchiere.
Come fosse
un gesto automatico, Amy da uno schiaffetto dietro il collo del
ragazzo.
«Ahia!»
«Ringrazia che non te l'abbia dato mentre bevevi,
scemo.»
Thomas si massaggia il collo, guardando la rossa.
«Piuttosto,
devo chiederti una cosa.»
«Sono tutto
orecchi.» le dice, richiudendo il panino e andando a prendere
un tovagliolo.
«Che tu
sappia, i tuoi genitori sono molto elastici nell'approvazione delle
richieste
che vengono loro fatte?»
«Hai bisogno
di un aumento?»
«...no.»
sospira, la giovane donna, facendo roteare gli occhi, «Vorrei
scrivere un
annuncio con l'aiuto di Tobey, ma mi ha detto che prima devo parlare
con i tuoi
genitori per ottenere il permesso di pubblicazione. Quindi...pensavo
che
parlandoci, magari, tu avresti più possibilità di
convincerli, essendo loro
figlio.»
«Uhm. Dh cfe
annunfio fi fraffa?»
«Tom.
Mastica e inghiottisci.»
«Mmh!» si
lamenta, sospirando. Dopo alcuni secondi, finalmente manda
giù quel boccone.
«Di che
annuncio si tratta?»
«Un
annuncio. Che t'importa di cosa si tratta?» gli risponde, in
modo quasi
scontroso.
«M'importa
per capire cosa ti direbbero i miei.» le dice, come se fosse
la cosa più ovvia
della terra. Dopo qualche attimo di esitazione, Amy si convince a
parlare.
«E' per una
persona.»
«Per una
persona? Chi?»
«Anche
quest'informazione è strettamente necessaria?»
«Ovviamente.»
«Non ti
credo. Comunque...mio marito.»
In quel
momento, anche se non visibilmente, tra loro si gela tutto.
I loro
sguardi, i loro corpi immobili. Non parlano.
«Tuo
marito.» ripete lui, spiazzato da quella rivelazione.
Amy
annuisce, provando inspiegabilmente un senso di colpa fortissimo.
«Bene. Con
permesso.»
Il ragazzo
si volta, lasciando Amy sola in cucina - che lo segue con lo sguardo
fin quando
la sua immagine si consuma dietro la porta, chiusa con una certa forza.
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Capitolo 9 *** 9. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
9
Nonostante
la sostanziosa mole di lavoro da portare a compimento, Amy non fa altro
che
pensare alla questione dell'annuncio e alla reazione di Thomas alla
rivelazione
- forse un po' brusca - che gli ha fatto riguardo Rory. Per niente
concentrata,
quindi, decide di prendere una pausa e sfruttarla per cercare di
risolvere il
problema alla radice. Bussa alla porta dell'ufficio di Thomas. Non
risponde, né
apre.
Bussa di
nuovo.
«Tom? Ci
sei?»
Una manciata
di secondi, e Thomas finalmente le apre la porta. Non appena entra, una
nuvola
nebbiosa cela tutto ciò che si trova in quella stanza,
offuscandole la vista.
Quasi non
riesce a respirare, tanto è forte il tanfo di fumo.
Tossisce.
Prima di sedersi, dire o fare qualsiasi cosa, Amy apre le finestre -
del tutto
chiuse.
«Si respira
più fumo che aria, qui dentro.» afferma,
continuando a tossicchiare.
«Allora
esci, no? Almeno respiri ossigeno.» le risponde, scontroso.
«Si può
sapere cosa ti prende? Mi eviti da quando ti ho chiesto
dell'annun-...»
«Il nostro
giornale non divulga questo tipo di annunci. Gli ho già
parlato, non ti daranno
il permesso di pubblicarlo.»
Amy si
zittisce all'istante, delusa e al tempo stesso disgustata da quel
cattivo odore
che continua a respirare. Senza perdere altro tempo, si alza, saluta il
ragazzo
e abbandona il posto.
Quel
giorno
ha lavorato fino a tardi: poco prima di andarsene, Amy è
stata fermata da
Alicia, la quale le ha chiesto di aiutarla a sistemare una pila di
vecchi
giornali per ordine cronologico. Sono le undici quando torna a villa
Wilkinson,
letteralmente distrutta.
Attraversando
il corridoio, incontra lo sguardo sdegnoso di Gertruda - anche lei
evidentemente stanca - e a seguire anche quello della signora
Wilkinson, che
dopo la faccenda dei bicchieri sembra non fidarsi più di
nessuno.
«Buona sera, signora Wilkinson! So che è tardi, ma
potrei scambiare due parole
con lei?»
«Ma certo,
Amelia. Aspettami nel mio ufficio, ti raggiungo tra due
minuti.»
E così fa.
La attende, seduta su una comodissima poltrona di pelle.
Kathrin
entra nello studio, sedendosi invece sulla sua poltrona.
«Dimmi,
cara.» le dice, accennando un sorriso
«Ecco...volevo
chiederle il motivo per cui non vuole pubblicare il mio annuncio.
Sì, è vero
che non ne avete mai pubblicati di questo tipo, ma-...»
«Annuncio?
Ti dispiace spiegarmi di cosa stai parlando?»
Amy si
blocca, rimanendo interdetta.
«...Thomas
non le ha detto nulla? Gli avevo chiesto di parlare con lei e il signor
Wilkinson per la pubblicazione di un annuncio.»
La donna
aggrotta la fronte, come a cercare di ricordare; scuote la testa.
«Mio figlio
non mi ha neanche accennato l'argomento.»
«Ah...»
Stringe i denti. "Thomas, sei un vero stronzo".
«Che tipo di
annuncio vorresti pubblicare?» le chiede, richiamando Amy
alla sua attenzione.
«Sto
cercando una persona.»
E questo
basta, per convincere Kathrin.
«Non c'è
alcun problema. Non sta scritto da nessuna parte che possiamo solo
pubblicare
un certo tipo di annunci. E' pur sempre qualcosa di cui hai
bisogno.»
«Mi ha letto
nel pensiero. Grazie mille.»
«Non
ringraziarmi. Piuttosto, sei sicura che Tom ti abbia detto di aver
parlato con
me e mio marito di questo annuncio?»
«Magari ci siamo fraintesi. Le auguro una buona notte,
signora Wilkinson.»
Fa
spallucce, alzandosi dalla poltrona.
«A domani,
Amelia.»
Amy
sente di
esser interiormente divisa in due: da un lato è strafelice
per la risposta
positiva della signora Wilkinson, dall'altro però
è carica di rabbia per il
comportamento scorretto di Thomas.
«Bugiardo.»
sussurra tra se e sé, affacciata alla finestra. La luce
lunare illumina appena
il volto della ragazza.
Il silenzio
viene bruscamente interrotto dall'intrusione di Thomas nella sua
stanza.
Amy si
volta, fissando il ragazzo, che si ferma a pochi centimetri di distanza
dal suo
volto. I suoi occhi sembrano infuocati.
«Sei una
stronza. Come ti sei permessa?! Parlare con mia madre liberamente delle
tue
cose personali? Non provi vergogna, per questo? Per giunta
hai scavalcato
il mio ruolo di vice direttore!»
«Con quale
coraggio vieni qui a rimproverarmi, Thomas? Ho semplicemente fatto
quello che
TU avresti dovuto fare!»
«Cosa
intendi?»
«Tua madre
non sapeva nulla dell'annuncio. Non fare il finto tonto, Thomas, questi
giochetti non funzionano con me.»
Thomas,
perfettamente consapevole di essere in torto, si volta ed esce dalla
stanza.
Ma Amy lo
segue, afferrandogli un avambraccio.
«Continuo a
non capire perché ti comporti così...sembri un
bambino!»
Thomas si ferma, ruotando leggermente il capo verso destra.
«Vuoi sapere
il perché?»
«Dimmelo!
Sono qui!»
Quelle sono
le ultime parole che Amy pronuncia, prima che il giovane Wilkinson le
incornici
il volto con le mani, lo avvicini al suo e posi le labbra sulle sue. Un
bacio
impercettibile ma dolce contemporaneamente, Amy è confusa e
non ha neanche il
tempo di capire ciò che sta accadendo.
Chiude gli
occhi a quel contatto, riaprendoli l'attimo dopo: Thomas è
già andato via.
Amy si
gira
e rigira nel letto, infilando una volta la testa sotto il cuscino,
l'altra
posizionandosi di fianco, l'altra ancora supina...insomma, di dormire
non ne
vuole proprio sapere. Le sensazioni strane che ha provato sono del
tutto nuove,
e per elaborarle impiega anche la mattina successiva: non sa neanche
lei come
riesce a comporre frasi sensate alla macchina da scrivere.
«Amelia
Williams! Vuoi una buona novella?» esclama Alicia, entrando
nel loro ufficio.
«Ovviamente.
Ne ho bisogno!»
«Bene, bene.
Perché...è stato pubblicato il tuo annuncio sul
giornale di oggi.»
Al sentire
quelle parole, Amy balza dalla sedia all'istante, rubando il giornale
dalle
mani di Alicia. Lo sfoglia.
«Fantastico!
Assolutamente fantastico! Certo, non avrà la stessa
efficacia dei manifesti
sparsi per la città, ma almeno è qualcosa. Grazie,
Alicia! Gr-...»
«Ma cos'è
questo baccano?» Interviene Thomas, palesemente infastidito.
«Thomas,
guarda! Finalmente l'annuncio di Amelia è stato
pubblicato!»
Gli dice Alicia, avvicinando il giornale ai suoi occhi. Tuttavia lui
ignora
quanto ha detto, più irritato di prima.
«Sono un tuo superiore, non ti è permesso di
chiamarmi per nome. Comunque,
Wood, puoi raggiungermi nel mio ufficio? Possibilmente subito,
grazie.» detto
questo, abbandona lo studio.
Le due
ragazze si guardano, non sapendo se ridere o preoccuparsi.
Alicia
solleva le spalle, quindi va via anche lei lasciando Amy da sola, la
quale
riprende il giornale tra le mani, leggendo più attentamente
l'annuncio di cui è
autrice.
Giugno 1940.
«Vorrei
capire perché, quando ho bisogno di lavorare, non
c'è mai nulla da
fare...quando invece vorrei un po' d'aria sono con l'acqua alla
gola.» sbotta
Amy, dopo essersi assicurata che a sentirla c'è solo Alicia.
E la sua
scrivania è effettivamente quasi del tutto vuota, quando
normalmente è
stracolma di fogli, carpette e block notes pieni di testi da leggere ed
esaminare. Ma il problema non è la quantità di
lavoro. A distanza di qualche
settimana dalla pubblicazione dell'annuncio, la giovane donna non ha
avuto
ancora alcuna notizia.
Nel modo di
sistemare tutte quelle scartoffie, Amy urta involontariamente la
lampada sulla
scrivania, facendola cadere per terra.
«Dannazione!»
Si china subito, raccogliendo i pezzi più grandi e
avvolgendoli in un
tovagliolo di carta.
«Amelia,
prenditi una pausa. Ti vedo stanca.» le suggerisce Alicia,
aiutandola a
raccogliere i pezzi.
«Ma se
abbiamo appena cominciato!» esclama, ma l'attimo dopo
già si pente dei toni
scontrosi che ha usato con la collega.
«Scusa, non
volevo essere sgarbata.» continua Amy.
«Non
preoccuparti. Ora però vai.»
«D'accordo, mi
hai convinto. A più tardi.» dice, sospirando.
Controvoglia,
quindi, vestita di cappotto e borsa, va a prendere una boccata d'aria.
La famiglia
Wilkinson è riunita a tavola per consumare la cena.
Ovviamente, anche Amy è con
loro (seduta però rigorosamente, il più lontano
possibile, dal lato opposto a
quello di Thomas). Quella sera Gertruda serve - in un vassoio d'argento
- del
pollo con patate cotte al forno. L'odore è davvero
invitante.
«Buon
appetito.» proclama il signor Herman, evidentemente affamato.
Tutti
cominciano a mangiare, mantenendo per buona parte della cena un
silenzio quasi
imbarazzante. Arrivati alla frutta, Kathrin chiede ad Amy
«Cara, hai più
trovato la persona che cercavi nell'annuncio?»
«Purtroppo no. Comincio a pensare che sia stata una perdita
di tempo.»
«Su, Amelia,
non buttarti giù. Sicuramente...Thomas, dove stai
andando?»
«In bagno.
Non mi sento bene, con permesso.»
Fugge,
Thomas, lasciando sia madre che padre con un'espressione interrogativa.
Amy
è seduta sui gradini davanti la porta d'ingresso. La
freschezza dell'aria
la avvolge. Il silenzio regna in tutto il quartiere, esclusi alcuni
cani che,
di tanto in tanto abbaiano.
La
morbidezza di Minù entra a contatto con Amy, richiamando la
sua attenzione: si
strofina contro di lei, infatti, facendo le fusa.
Vederla
comportarsi in quel modo fa sorridere la ragazza, che subito accarezza
il
morbido pelo del micio.
Thomas
interrompe la dolcezza di quel momento, afferrando Minù e
portandola via.
«Si può
sapere quando finirà questa storia?» sbuffa,
rivolgendosi al ragazzo. Tuttavia
lui si volta, la guarda, ma senza rispondere torna in casa.
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Capitolo 10 *** 10. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
10
Ottobre
1940.
«Devo
prendere un caffè doppio, o rischio seriamente di
addormentarmi sulla scrivania.
Torno subito!»
«No, Alicia!
Faccio io, non preoccuparti» le dice di getto Amy, e senza
neanche aspettare
una sua risposta corre fuori dalla stanza.
Si
dirige
alla caffetteria della zona ristoro, ma la trova chiusa. Quindi scende
al bar
più vicino alla sede del giornale, il "Johnatan's Manhattan
Bar". Il
nervosismo la sta letteralmente divorando; l'impegnarsi in qualcosa
è l'unica
soluzione per non pensare a Rory e a quel maledetto annuncio. In quel
luogo c'è
davvero tanta confusione: le code chilometriche alla cassa e il
chiacchiericcio
generale la infastidiscono. Ma ormai non può più
tirarsi indietro, perciò non
le resta che attendere il proprio turno.
Fissa il proprio sguardo fuori da una grande finestra di vetro
lucidissimo,
perdendovisi. Improvvisamente urla, sirene e una gran folla di persone
destano
l'attenzione di Amy, che senza pensarci due volte comincia a correre,
immischiandosi tra la calca di gente spaventata.
Fatica
a
capire cosa sia successo; un paio di automobili della polizia tengono a
bada la
marea di gente che cerca di capire cos'è accaduto. Amy
continua ad avanzare,
notando anche la presenza di un'ambulanza. Sente alcune donne gridare,
la
polizia cerca di allontanare tutti ma nessuno sembra intenzionato a
collaborare. Tra la gente comincia a correre la voce del probabile
suicidio di
una giovane ragazza.
«Vi
preghiamo di allontanarvi e di mantenere la calma.»
dice ad alta
voce uno dei poliziotti alla folla, la quale pare non demordere.
«Per favore,
gente! Fate largo!» urla un altro accanto a lui, stavolta con
tono più
minaccioso rispetto al primo. Qualcuno si tira indietro, dando
così la
possibilità ad Amy di avvicinarsi. Nella sua testa
rimbombano le voci delle
donne, mentre altre sirene si avvicinano a loro. Cerca di spingersi in
avanti
più che può, superando un uomo alto quasi il
doppio di lei e robusto. Tra un
calcio e una gomitata, Amy finalmente riesce a raggiungere le transenne
che,
teoricamente, dovrebbero tenere a bada tutta la folla.
Ispeziona con lo sguardo la scena del suicidio, e la prima cosa che le
risalta
agli occhi è un lenzuolo bianco steso sul cadavere della
ragazza. Un paio di
infermieri arrivano con una barella, altri due afferrano il corpo
esanime,
adagiandolo su quest'ultima.
Osservando
attentamente, però, Amy nota qualcosa di familiare - o
meglio, qualcuno: uno
degli infermieri è...Rory!
«Rory! Rory Williams, sono io!» urla, sperando che
la sua voce riesca a
giungere alle sue orecchie.
«Rory,
aspetta!» lo segue, superando le transenne. La polizia
ovviamente se ne
accorge, parandosi davanti a lei.
«Signorina,
non può stare qui!»
A quel punto
alza un braccio, agitandolo.
«Rory,
dannazione!»
Tutti gli
infermieri, compreso Rory, salgono sull'autoambulanza.
Allora Amy
prova un'ultima volta a urlare il suo nome. Rory alza lo sguardo,
intercettando
quello della ragazza - ma l'istante dopo un suo collega chiude il
portellone
dell'auto, interrompendo quel contatto visivo.
«Sì, ho
capito! Ho-capito!» alza entrambe le braccia, Amy, cercando
di evitare che si
vengano a creare dei problemi con la polizia. Si allontana subito,
infatti,
attraversando per l'ennesima volta la folla e, quando se ne libera,
comincia a
correre nella stessa direzione dell'ambulanza - che fortunatamente si
è
allontanata non di troppo; Amy riesce a leggere il nome dell'ospedale
da cui
proviene quel mezzo: "New York Infirmary for Indigent Woman and
Children".
Ma non basta
quello a fermare la ragazza. Si rende conto che di lì a poco
le sue gambe
avrebbero ceduto, perciò raggiunge una fila di taxi
parcheggiati, entrando
all'interno di uno di questi.
Entra,
in
tutta fretta, in auto, aspettando qualche secondo per riprendere fiato.
«Segua...quell'ambulanza,
per favore!» indica con una mano la direzione verso cui si
sta spostando,
l'autista cerca subito di accendere il motore ma, per qualche strana
ragione,
questo non si aziona. Ci prova e riprova più volte, ma
niente da fare.
«Oh,
grandioso!» sbotta Amy, perdendo per un attimo il controllo.
Esce
dall'auto senza nemmeno preoccuparsi di chiudere lo sportello; percorre
un paio
di metri e trova un altro taxi libero, quindi ci entra.
«La sua auto
è perfettamente funzionante?»
L'autista si
volta in direzione di Amelia, guardandola con le sopracciglia inarcate.
«Certamente.»
«Allora
prosegua dritto e svolti quando glielo dico io. Ma faccia in
fretta!»
«Si
fermi!
Si fermi subito, siamo arrivati!» urla alle orecchie del
povero tassista,
aggrappata al sedile. Paga la corsa, uscendo in fretta dall'automobile.
Entra
in ospedale.
Cerca una
qualsiasi persona a cui chiedere informazioni: vede un'infermiera, le
si
avvicina continuando a correre.
«Salve! Sto
cercando un vostro dipendente!»
«Mi
dispiace, non abbiamo il permesso di dare delle informazioni private
che
riguardano il nostro personale.»
«Ma questo
ragazzo è mio marito! E' magrolino, alto, capelli castano
dorati e occhi
azzurri!»
«Ah, stai
parlando di Rory Williams!»
«Che
sbadata, non l'avevo detto? Comunque sì, è
lui!»
«Per il
momento è impegnato, ma appena si libererà gli
riferirò che lo sta aspettando.
Chi gli dico lo sta cercando?»
«Sua
moglie.»
«D'accordo.
Ora la pregherei di aspettare in quella saletta.»
Trascorrono
diverse ore, Amy cerca di mantenere la calma il più
possibile.
Torna dalla
stessa infermiera con la quale precedentemente ha parlato.
«Le posso chiedere
la cortesia di una telefonata?» Tentennante, l'infermiera
annuisce.
Compone,
frettolosamente, il numero della redazione.
«Alicia, sei
tu? Ho avuto un contrattempo, non potrò più
tornare per oggi.»
«Scusi? Con
chi parlo?»
«Alicia...sono
io, Amelia. Ti ricordi di me?»
«AMELIA! SEI
TU!»
«Sì,
esattamente. Ho trovato...»
«...cosa?
Cosa hai trovato, Amelia? AMELIA?»
Ad Amy
sfugge la cornetta dalle mani: vede Rory camminare verso lei.
"Ti ho
trovato. Non posso crederci. Pensarti a pochi metri da me,
qui...accidenti! Mi
esploderà il cuore. Me lo sento."
L'infermiera si frappone a metà strada tra lei e Rory,
mormorandogli qualcosa.
Lui alza
lentamente la testa, agganciando lo sguardo a quello di Amy.
«Rory...»
sussurra la rossa, il petto in fiamme.
L'uomo si
avvicina a lei, e ad ogni passo sembra studiarla sempre più
attentamente.
Lei gli posa
subito le mani sul volto, carezzandolo.
«Rory, sono
io...sono Amy...»
Ma Rory
sembra incerto, distante. Cosa sta succedendo?
«Amy...?»
«Sì! Sono
io!» annuisce sommessamente, poggiando la fronte contro la
sua.
«No. Non è
possibile, non puoi essere lei.»
Rory alza la
testa, interrompendo quel contatto fisico minimo.
«Non è
possibile?» ripete lei, incredula.
«No...non di
nuovo, non puoi vedere Amy in chiunque.» sussurra lui,
più a se stesso che ad
Amy. Scosta le sue mani ancora posate sul volto, muovendo qualche passo
nervoso.
«Mi sono
immaginata il nostro incontro un milione di volte, non puoi non
riconoscermi,
Rory!» lo segue, afferrandolo per un braccio.
«Perché non
porti più la nostra fede?» gli chiede, dopo aver
alzato il suo polso.
Lei toglie
la sua, di fede, sfilandola dalla catenina che porta al collo e gliela
posa
sulla mano.
«Io la porto
sempre con me. Non puoi negare la realtà, non riconosci
neanche questa?»
E solo a
quel punto, Rory sembra convincersi che quella no, non è
più una delle sue
solite visioni.
«Amy! Sei
davvero tu? Dopo tutto questo tempo...non pensavo ti avrei
più rivisto.»
«Ti avrei
cercato per l'eternità.» gli sussurra, ridendo; i
due si sono riavvicinati,
avvolti l'uno nelle braccia dell'altro.
«Quanto mi è mancata la tua risata. Il dottore
è con te?»
«No, lui non
può tornare da noi. Mi sono fatta prendere dagli Angeli
Piangenti, ho sperato
con tutta me stessa che mi mandassero nella tua stessa epoca. E a
quanto pare,
così è stato. Siamo solo io, te, e la tua faccia
da stupido.»
I due ridono
piano.
Silenzio. Ma
in questo silenzio i loro sguardi parlano, illuminati, i loro cuori
ritrovano
la propria sintonia. E dopo questi, anche i loro corpi ritrovano quella
parte
mancante; si stringono forte, si accarezzano, si baciano. Amy ha come
la
sensazione di chi ha un magone sullo stomaco e poi se ne libera;
lacrime, tante
lacrime scendono una dopo l'altra rigando le gote lisce della
fanciulla.
Sorride.
«Dove sei
stata in questi due anni?»
«Due anni?
Rory, ti ho detto che gli Angeli mi hanno preso subito dopo aver preso
te...non
sono passati due anni...» i due vengono interrotti da
qualcuno.
«Chiedo
scusa per l'interruzione. Williams, serve il tuo aiuto nella stanza
numero
quattro.»
«Ma non sono
di servizio. Nessuno può sostituirmi?»
«No. E' urgente!»
Rassegnato,
si rivolge ad Amy.
«Vediamoci
al Riverbank State Park.»
«Vediamoci
alla villa dei Wilkinson sulla Lexington Ave, non conosco ancora molto
bene la
città.»
«D'accordo,
ci vediamo lì.»
Gli occhi di
Amy rimangono incollati alla figura di Rory fin quando quest'ultimo non
va via.
Se si può dubitare dei sensi, quali tatto o vista, al
contrario ci si può
fidare di ciò che percepisce il cuore: unica fonte del reale.
Diluvia.
Da
un paio di minuti Rory aspetta che Amy si presenti al loro
appuntamento.
Fortuna che
si è munito di un bell'ombrello.
Finalmente
Amy arriva, correndo ma arriva.
«Scusa il
ritardo!»
«Non
preoccuparti. Abiti qui?»
«Fin'ora
sì.»
I due
esitano per qualche attimo, osservandosi reciprocamente.
«Sei
bellissima.»
«Grazie, mio
bel centurione!»
Arriva un
taxi, che si ferma esattamente davanti a loro. Rory apre uno sportello,
facendo
entrare prima Amy. Poi entra anche lui e insieme vengono accompagnati
nel
ristorante che Rory ha scelto ad insaputa della moglie.
I due,
seduti al tavolo, si scambiano dolci occhiate, si tengono per mano,
aspettando che il pasto venga loro servito. Amy mette al corrente Rory
di tutto
quello che ha passato, evitando però discorsi che potrebbero
farlo preoccupare
- come le prime esperienze con i poveri e del bacio che Thomas le ha
dato.
«...e quindi
i Wilkinson sono stati così gentili da ospitarmi per un
periodo. Tu invece dove
abiti?» gli chiede Amy, giocherellando distrattamente con la
mano del ragazzo.
«Ho trovato
un annuncio su un giornale che affittava un appartamento vicino
l'ospedale,
dove poi ho trovato il lavoro da infermiere.»
«Certe cose
non sono cambiate.» Amy tira un sospiro di sollievo. Un
cameriere interrompe la
coppia, servendo i piatti sulla tavola.
«I vostri
piatti, signori.»
I due osservano
i piatti e sorridono.
«Questo è il
primo piatto che ho mangiato la prima volta che sono venuto qui, mi
ricordano
casa nostra.»
Finalmente
ha smesso di piovere, Amy e Rory quindi decidono di fare una
passeggiata prima
di tornare a casa. I due si tengono per mano. La luna piena illumina il
loro
volti, c’è quiete, sembra come se al mondo ci
fossero solo loro due.
Il
silenzio viene interrotto dalle parole di Rory
«Amy?»
Amy
guarda Rory, lui continua «…dovresti trasferirti
da me»
Amy
gli sorride.
«Sì
beh, dovrei. Dammi solo il tempo di prendere le mie cose e salutare i
Wilkinson, non posso andarmene senza salutarli, dopo tutto quello che
hanno
fatto per me.»
«Sì,
hai ragione.» dice Rory quasi sottovoce.
«Che
ne dici di domani? Dopo il lavoro?»
«Pensavo
ti servisse più tempo.»
«Non
essere sciocco, Rory Williams.» gli sorride.
Senza
neanche accorgersene Amy e Rory raggiungono a piedi la villa dei
Wilkinson, le
ore trascorse insieme sono passate senza che essi se ne rendessero
conto.
«Passami
a prendere prima di cena.»
«D’accordo.»
Amy
lascia la mano di Rory e lo bacia.
«Mi
sei mancata.» le sussurra all’orecchio.
«Anche
tu.»
«A
domani!»
Amy
gli sorride e si allontana percorrendo il vialetto della villa.
I
due si scambiano un ultimo sguardo da lontano, poi Amy apre la porta di
casa
Wilkinson, volge un altro sguardo in direzione di Rory e con il sorriso
sulle
labbra entra in casa.
Una
voce maschile interrompe i suoi pensieri felici: è Thomas.
«Come
mai sei in giro a quest’ora?»
Amy
alza gli occhi al cielo.
«Ah!
Adesso mi degni della tua parola?»
«In
redazione ho sentito che ti sei dovuta assentare.»
«Tipico,
stai cambiando discorso» mormora stizzita Amy.
«I
dipendenti avvisano almeno un giorno prima quando non possono
presentarsi al
lavoro, dovresti saperlo oramai.» dice Thomas in tono
pungente.
«Senti,
non ho voglia di discutere con te.» Amy si allontana
dirigendosi nella sua
stanza.
«Adesso
chi è che cambia discorso?!» urla Thomas.
Amy
è in corridoio, sta per raggiungere la sua stanza quando
Gertruda in vestaglia
la rimprovera.
«Fate
silenzio! C’è gente che dorme qui!»
Amy
la ignora, si chiude in stanza, si distende sul letto con ancora
indosso gli
abiti con cui è uscita, non ha tempo per pensare a Gertruda,
né tanto meno ai
capricci di Thomas.
È
troppo felice di aver ritrovato il suo Rory, al solo pensiero le torna
il
sorriso sulle labbra, che sfiora con le dita, in ricordo del bacio che
si sono
scambiati pochi attimi prima.
“Finalmente
potrò stare con lui.” pensa Amy.
Si
alza dal letto, impaziente, cerca una valigia dove poter mettere le sue
poche
cose. Poi si ferma guardando l’orologio.
“E’
tardi” pensa tra sé e sé,
“domani dovrò spiegare ad Alicia perché
mi sono
assentata oggi.”
Decide
quindi di andare a dormire, domani penserà a tutto, ad
Alicia, a Rory, a
salutare i Wilkinson e forse a parlare con Thomas.
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Capitolo 11 *** 11. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
11
Il
giorno dopo Amy, in redazione viene quasi assalita da Alicia.
«Amelia!
Stai bene? Non ti eri mai assentata dal lavoro. È forse
successo qualcosa?»
«Sì,
beh, qualcosa è successo…»
«Dimmi!
A me puoi raccontare tutto, lo sai, no?»
«Ho
ritrovato Rory.»
Alicia
fissa Amy per qualche secondo, la sua loquacità sembra
svanire, poi
improvvisamente diventa euforica.
«Davvero!?
E com’è? Come sta? Dov’è
stato per tutto questo tempo? Perché non rispondeva ai
tuoi annunci? Si è fidanzato con un’altra, vero?
Lo sapevo, questi uomini sono
tutti uguali, fatta eccezione per il mio Tobey, ovviamente. Nessuno
è come
lui…» dice Alicia con gli occhi sognanti.
Amy
si perde tra i suoi pensieri, ancora non può credere di aver
trovato Rory,
aveva quasi perso le speranze. Lui non rispondeva ai suoi annunci, non
sapeva
che Amy lo stava cercando, non sapeva che lei fosse lì nella
sua stessa epoca.
Eppure il destino ha fatto sì che si incontrassero, ancora
una volta.
Amy
ne ha passate tante da quando è stata portata lì
dagli Angeli Piangenti e
adesso che finalmente ha ritrovato il suo Rory sa che tutto sarebbe
andato per
il verso giusto, anche se la loro famiglia non sarebbe stata mai
più completa
come un tempo.
Malinconia
e tristezza, improvvisamente, le invadono i pensieri.
”Chissà
cosa staranno facendo, quali mondi avranno visto River e il Dottore.
Lui avrà
trovato una nuova compagna con cui viaggiare” pensa Amy.
I
pensieri di Amy vengono interrotti dalla voce di Alicia.
«Amelia?»
Amy
la guarda spaesata senza darle risposta. Alicia la chiama di nuovo.
«Amelia?
Ehi! Hai sentito quello che ho detto?»
Amy
tentenna un po’ prima di risponderle.
«Hai
sentito? Io e Tobey ci sposiamo!!!».
Amy
sorpresa, si accorge di aver ignorato quasi metà del
discorso di Alicia.
«Sì!
È fantastico!» esclama la ragazza dai capelli
rossi.
«Ecco,
stavo dicendo…avrei voluto invitare anche Rory, ma quindi,
ehm…state insieme?
Non può aver trovato un’altra ragazza. Se
così fosse…»
Amy
interrompe Alicia.
«No,
no! Stiamo insieme, tranquilla. Va tutto bene tra di noi, finalmente
siamo di
nuovo insieme.»
«Ah!!
Che sollievo, sono contenta per voi, allora ci sarete al matrimonio?
Non puoi
dirmi di no.»
«Certo
che ci saremo.» dice Amy in tono convincente.
«Benissimo,
vado a dare la bella notizia a Tobey!»
Alicia
contenta si allontana dirigendosi verso lo studio del suo futuro marito.
Amy
si siede alla sua scrivania e inizia a lavorare.
È
pomeriggio e si avvicina l’ora in cui arriverà
Rory, Amy è nella sua stanza,
sta finendo di preparare i suoi abiti e i suoi pochi oggetti.
È eccitata e allo
stesso tempo nervosa.
Nonostante
lo abbia incontrato più volte, Thomas la evita comportandosi
in modo
indifferente come se lei non esistesse.
Amy
guarda il piccolo orologio che ha al polso. È quasi ora di
andare. Prende
quindi la sua borsa, il soprabito e la valigia, da un’ultima
occhiata alla
stanza vuota ed esce.
Percorre
il corridoio della villa, scende le scale arrivando
all’atrio. I Wilkinson sono
lì davanti la porta in attesa di salutarla: Amy posa le sue
cose per terra,
volge lo sguardo verso Kathrin, poi verso Herman.
«Signori
Wilknson, vi sono debitrice…davvero, non so come
ringraziarvi per tutto quello
che avete fatto per me.»
Kathrin
la interrompe accennando un sorriso.
«Suvvia,
Amelia, ci vedremo in redazione. Sono molto lieta che tu abbia trovato
tuo
marito.»
«Che
succede qui?» Thomas compare dietro una colonna
nell’atrio; incrocia lo sguardo
di Amy, poi guarda la madre.
«Ah,
quindi te ne vai!» esclama arrabbiato.
«Thomas,
io…» Amy non riesce a concludere la frase che
Thomas va via.
«Questo
ragazzo, io non…» la frase di Kathrin viene
interrotta dal rumore forte di una
porta chiusa con violenza.
«Non
ti preoccupare, parlerò io con Thomas.» dice
Kathrin, rivolgendosi ad Amy.
Amy
risponde «Grazie signora Kathrin, ma almeno questo glielo
devo.»
Amy
quindi va nella direzione in cui ha sentito il frastuono, cerca Thomas
tra le
stanze della casa, lo trova in biblioteca.
Amy
si avvicina alla porta, la apre leggermente.
«Thomas?
Posso entrare?» dice sussurrando.
Amy
entra, vede Thomas seduto su una poltrona.
Thomas
alza lo sguardo su di lei.
Tutto
tace, un vento fresco autunnale entra da una finestra aperta facendo
svolazzare
la tenda.
Thomas
si alza, si dirige verso Amy.
«Non
stavi andando via?»
Amy
cerca di dire qualcosa
«Tom…»
Thomas
la interrompe.
«Deduco
che hai trovato tuo marito, eri con lui ieri sera, no? Ecco
perché sei tornata
tardi. Ma non sono fatti miei, dico bene? E quando ti ho salvata dalla
strada,
chi si è preso cura di te? E mentre eri in ospedale?
Dov’era il tuo caro e ben
ritrovato maritino? Dimmi Amy, dov’era?»
Thomas
si ferma, sembra come se avesse già detto abbastanza.
Guarda
Amy, lei è indecisa. Apre e richiude le labbra
più volte, non sa se parlare
potrà peggiorare le situazione o migliorarla.
Gli
occhi di Thomas guardano altrove per un attimo, poi lui fissa di nuovo
Amy e
continua a parlare alzando però stavolta il tono della voce.
«Perché
non mi rispondi?»
Thomas
si avvicina ad Amy afferrandole le braccia e continua «Vuoi
forse farmi credere
che quel bacio non ha significato niente per te?»
Amy
a questo punto non può sentire un’altra parola,
sfila le braccia dalla presa di
Thomas. È arrabbiata, non può tenersi tutto
dentro.
«Adesso
basta! Non hai il diritto di parlarmi così. Sì,
è vero, mi hai salvato, ma
questo non cambia quello che provo per mio marito e tu devi
capirlo.»
Il
silenzio cala nuovamente nella stanza.
Amy
guarda Thomas, lui si è seduto nuovamente sulla poltrona, ha
lo sguardo basso.
Prende
una sigaretta dalla tasca e la accende.
«Thomas,
per favore…»
Lui
con tono basso «Quando esci chiudi la porta.»
Amy
lo ignora.
«Devi
capirlo.»
Thomas,
continua a tenere gli occhi bassi, dopo una boccata di fumo dice
«Vai via,
Amelia.»
Rassegnata
all’idea di non poter fare più niente per far
cambiare idea a Thomas, Amy va
via dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Resta per qualche
secondo
con le mani sulla maniglia della porta, poi nota l’orario sul
suo orologio.
“Rory
starà per arrivare” pensa Amy, “Non
posso fare niente per convincerlo, col
tempo capirà. Spero solo che un giorno potremo tornare ad
essere amici.”
Amy
torna nell’atrio della villa, tutto tace.
“I
Wilkinson saranno usciti per quella cena di lavoro.
Aspetterò Rory in fondo al
vialetto.” pensa tra sé e sé.
Indossa
il soprabito, poi prende le valigie, guarda per l’ultima
volta casa Wilkinson,
esce di casa, chiudendosi la porta alle spalle. Quindi si avvia verso
il
cancello in fondo al vialetto.
Poggiatasi
al lampione in cui il giorno prima Rory la aspettava, Amy ora attende
suo
marito, deve pensare a lui. Devono pensare a loro.
Amy
guarda di nuovo il suo orologio “Rory sarà qui a
momenti.”
Poggia
le valigie per terra, avvolge le braccia intorno a se, per farsi
calore. Inizia
a far freddo e non vuole tornare dentro casa, non vuole vedere Thomas
dopo il
loro litigio, vuole solo vedere Rory e andare a casa con lui.
Amy
continua a guardare l’orologio, si è fatto tardi e
Rory non è ancora arrivato.
“Gli sarà successo qualcosa.” pensa Amy.
Mille
pensieri invadono la mente di Amy, cerca di spiegarsi per quale motivo
suo
marito non è ancora arrivato “Avrà
avuto qualche emergenza in
ospedale…dev’essere per forza
così.” cerca di rassicurarsi.
“Potrei
andare io da Rory o potrei raggiungerlo in ospedale” pensa
ancora.
«I
taxi a quest’ora non fanno più
servizio.» dice sottovoce.
Ormai
non può far altro che tornare a casa Wilkinson ancora per
una notte.
«E
se dovesse aprirmi Thomas?» riflette ad alta voce,
«devo provare, non ho altra
scelta.»
Con
poca convinzione si decide quindi a prendere le valigie e a tornare
dentro
casa, lentamente ripercorre il vialetto.
“Perché
Rory non ha trovato il modo di avvisarmi?”.
Il
campanello dei Wilkinson è a pochi centimetri dal suo dito,
deve per forza
suonare.
Il
suono del campanello rimbomba nelle sue orecchie, Amy chiude gli occhi,
continua a sperare di non vedere Thomas.
Sente
il rumore dei passi di qualcuno che si avvicina alla porta che si apre
pochi
secondi dopo: è Gertruda ed Amy non è mai stata
così contenta di vederla.
«Ancora
tu?» dice Gertruda col suo solito tono accusatorio.
«Sì,
Rory ha avuto un contrattempo.» mente la ragazza,
«Speravo di poter passare
ancora una notte qui.»
Gertruda
la guarda dalla testa ai piedi, fa una smorfia.
«Immagino
che fuori fa freddo, i Wilkinson non vorranno mica che tu ti ammali per
colpa
mia. Sai dov’è la tua stanza.»
Poi
fa spazio per fa rientrare Amy in casa.
«Grazie
Gertruda, domani mattina andrò via.»
Gertruda
chiude la porta, poi scompare tra i corridoi.
Amy
ancora d’avanti l’atrio della villa con le valigie
in mano, fa un respiro
profondo e si dirige verso la sua stanza.
Entrando
posa le sue cose alla punta del letto. Si
siede sul letto.
“Spero
che non sia capitato nulla a Rory”.
Stanca
e infreddolita si mette sotto le coperte, poi si addormenta.
Il
sole è già alto nel cielo quando Amy si sveglia.
L’unico pensiero di Amy è
quello di ritrovare suo marito.
QQualcuno bussa
alla porta; entra
Gertruda con un vassoio.
«Che
evento eccezionale! Dovrei scrivere un articolo su quello che ho appena
provato
quando ho scoperto che a bussare sei stata tu, Gertruda.»
La
domestica la guarda imbronciata.
«Questa
è la colazione, ho avvisato i signori Wilkinson che sei
rimasta per la notte.»
poggia il vassoio sul comodino, poi senza aspettare che Amy le risponda
esce
dalla stanza chiudendo la porta.
«Grazie?!»
dice Amy tra sé e sé.
Guarda
il vassoio, non le è mai stata portata la colazione in
stanza da che quando è a
casa Wilkinson, soprattutto da Gertruda. Nel vassoio
c’è un bicchiere con del
latte, un piccolo girasole e un piattino con dei biscotti al limone,
accanto un
bigliettino piegato con scritto “Amelia”.
Prende
il girasole, socchiude le palpebre e annusa il profumo del fiore, poi
prende un
biscotto e lo morde.
Infine,
si siede sul letto e prende il bigliettino di cui riconosce la grafia
della
signora Kathrin.
“Le
porte di casa nostra saranno sempre aperte per te.”
Amy
sorride, poggia di nuovo il bigliettino sul vassoio e finisce la sua
colazione.
Guarda
l’orario nel suo orologio da polso.
“Devo
andare al lavoro, non posso assentarmi di nuovo” pensa.
Esce
dalla sua stanza dirigendosi verso il bagno.
Nel
tragitto incontra Thomas. Lei sospira.
Lui,
inizialmente sorpreso, esita.
«Ah,
sei ancora qui? E il tuo maritino?»
Amy
alza gli occhi al cielo, continuando a camminare. Si comporta come se
non
l’avesse sentito. Thomas
la osserva andare via senza dire altro.
Tornata
in stanza dopo una doccia rilassante, Amy finisce di prepararsi. Prende
il
soprabito e la sua borsa, poi prende anche il piccolo girasole ed esce.
Arrivata
in redazione, Amy è immersa nelle scartoffie, Alicia
è indaffarata con alcuni
preparativi per il matrimonio e ad Amy tocca svolgere più
lavoro del previsto.
Deve
finire presto e non può permettersi distrazioni, ma non
è facile.
Guarda
il girasole che ha portato con sé. Ripensa ai viaggi col
dottore. Com’era
spensierata in quel periodo, la vita con il dottore era
tutt’altro che
ordinaria, era movimentata, eccitante, stravagante.
”Chissà
cosa starà facendo il mio uomo stropicciato” pensa
Amy.
Improvvisamente
Amy viene richiamata alla realtà: è Alicia.
«Amelia,
ci sei?» la guarda, «Amelia?» ripete, ma
Amy ho lo sguardo assente.
«Ti
avevo chiesto di occuparti di quei documenti per me, ma li vedo ancora
sulla
scrivania.» continua Alicia.
Fa
un cenno con la mano d’avanti il volto di Amy.
«Amelia, ti senti bene?»
Amy
sbatte le palpebre, poi resasi conto di non avere la concentrazione per
lavorare dice: «Alicia, io…» tentenna,
poi aggiunge «Io avrei bisogno di andare
via un po’ prima.»
Alicia
la osserva, si aspetta che Amy continui la frase, vorrebbe sapere il
perché di
quella richiesta.
«Vedi,
Rory non sta bene, io…» inventa Amy.
Alicia
la interrompe.
«Perché
non me lo hai detto subito? Certo che puoi andare via prima! Non ti
preoccupare!»
«Grazie,
non so come farei senza di te.»
Prende
la sua borsa e il soprabito, sta per uscire dalla stanza, ma poi Alicia
la
ferma, aggiungendo: «Noi siamo amiche, e le amiche si aiutano
a vicenda, no?»
A
Amy parte spontaneo il sorriso.
«Certo!»
Amy
si volta ed esce dall’ufficio.
Uscita
dall’edificio, Amy cerca con lo sguardo un taxi che possa
accompagnarla in
ospedale.
“Rory
sarà sicuramente lì” pensa Amy.
Alza
il braccio per far fermare una delle auto gialle. Il cielo sta per
oscurarsi di
nuvole nere cariche di pioggia.
«Ottimo,
ci mancava solo la pioggia!» afferma Amy sarcasticamente. Si
mette la borsa
sopra la testa per proteggersi dalla pioggerellina che intanto
è iniziata a
cadere dal cielo.
Finalmente
un tassista si ferma, Amy si avvicina, apre la portiera posteriore e
sale.
«Dove
posso portarla, signorina?» chiede gentilmente il tassista.
«Salve»
dice Amy «Io dovrei andare al New York Infirmary for Indigent
Woman and
Children.»
«Ah
sì il New York Infirmary, dovrebbero accorciarlo questo
nome!» aggiunge
scherzosamente il tassista.
«Sì,
dovrebbero» mormora distrattamente, guardando la pioggia che
bagna il
finestrino.
Il
tassista nota dallo specchietto retrovisore il silenzio e la tristezza
di Amy.
Rimane in silenzio.
La
corsa per arrivare in ospedale dura più del previsto, piove
e in un attimo
Manhattan si riempie di automobili.
A
metà tragitto, Amy decide che impiegherà meno
tempo andando a piedi.
«Ascolti,
io avrei un po’ di fretta, preferirei scendere qui se non le
dispiace.» dice
timidamente al tassista.
«Ne
è sicura? Con questa pioggia si prenderà un
raffreddore.» l’avverte il
tassista.
«Lei
è molto gentile, ma devo proprio andare. Le
pagherò la corsa per intero.»
«Non
si preoccupi, la corsa la offro io.» dice con tono gentile
l’uomo.
«No,
la prego, insisto.» porge i soldi al tassista e lo saluta.
Amy
scende dal taxi, decisa a raggiungere l’ospedale, decisa a
trovare Rory.
Si
fa spazio tra le automobili, la pioggerellina che prima le bagnava le
guance,
adesso è diventata più insistente, la borsa che
tiene sopra la testa la ripara
solo in parte dalle gocce che cadono dal cielo grigio.
Sbuffa,
continuando a correre tra le strade di Manhattan.
Stanca
dalla corsa e senza fiato, Amy arriva al New York Infirmary, ha gli
abiti quasi
tutti inzuppati e i capelli rossi umidi e appiccicati sul volto.
«Sei
la moglie di Rory, giusto?» la voce dell’infermiera
cattura la sua attenzione.
Amy
la guarda spaesata.
«Sei
venuta qui qualche giorno fa cercandolo» continua la donna.
Amy
poi si ricorda «Sì, scusami, puoi chiamarmi
Amelia.»
«Io
sono Tanya. Aspetta, ti porto un asciugamano.» si offre
sorridendole.
«Grazie,
non c’è biso…» Amy non ha il
tempo di rispondere che Tanya svolta per un
corridoio.
Amy
cerca Rory con lo sguardo. Nella stanza c’è un via
vai di medici e infermieri,
ma di Rory neanche l’ombra.
“Dov’è?” pensa.
Tanya
torna con delle tovaglie bianche.
«Ecco»
ne porge una ad Amy.
«Grazie»
dice lei.
Guarda
fuori, ha smesso di piovere.
«Tanya,
potresti chiamarmi Rory?»
«Oh,
non è qui. È passato sta mattina dicendo che non
sarebbe potuto restare per il
turno.» dice l’infermiera.
«E
ti ha anche detto dove sarebbe andato?» domanda ancora Amy
con sguardo
sconfitto.
«No,
mi dispiace. Potresti provare ad andare al suo appartamento.
È a due isolati da
qui.»
«Grazie
ancora, Tanya.»
Lascia
l’asciugamano umido sul bancone ed esce
dall’ospedale.
Amy
cammina e finalmente dopo un paio di minuti arriva sotto il palazzo
descritto
la sera prima da Rory: un piccolo edificio dai mattoni rossi sulla
Quarta
Strada.
Il
portone del palazzo si apre, esce una signora anziana con il suo
yorkshire.
Amy
si avvicina al citofono e cerca il cognome Williams, che non legge in
nessuna
targhetta. Soltanto una è in bianco.
“Sarà
questo?” si domanda Amy.
«Signorina,
cerca qualcuno?» le chiede la signora.
«Il
signor Rory Williams abita qui?»
«Ah
sì, certo. L’ho visto uscire questa mattina.
Solitamente, quando rientra porta
dei croccantini a Lucy, non sarà ancora tornato a
casa.» dice guardando il
cane.
«Sì,
sarà così…»
«Andiamo,
Lucy!»
La
signora si allontana tenendo stretto il cane.
Amy
tristemente si siede nei gradini dell’ingresso del palazzo.
“Rory
dove sei?” pensa Amy.
Si
ferma a guardare il cielo, il vento le scombina i capelli. I nuvoloni
neri sono
ormai andati via e alcuni raggi del sole illuminano gli edifici
circostanti.
”E
se gli angeli lo avessero preso di nuovo? No, non è
possibile.”
I
suoi occhi si illuminano improvvisamente.
«Gli
angeli, certo!» esclama.
Amy
inizia a correre con tutto il fiato che possiede.
“Dev’essere
lì, non può essere andato altrove”
pensa.
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Capitolo 12 *** 12. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
12
I
raggi tiepidi del sole illuminano Manhattan.
Amy,
finalmente, è arrivata nel posto dove spera di trovare Rory.
E’ il luogo in cui
ha visto per l’ultima volta suo marito prima che fosse preso
dagli Angeli
Piangenti, lo stesso in cui hanno portato lei.
Il
cimitero di Manhattan è silenzioso e tranquillo, a
interrompere la pace e la
quiete sono i passi di Amy.
Due
corvi le volano affianco.
“Rory
dove sei?” urla dentro di se.
Camminando
tra le lapidi si guarda attorno in cerca del marito, si volta a destra,
poi a
sinistra.
«Rory.»
sussurra.
Si
ferma esausta in uno spazio dove non ci sono lapidi, cerca con lo
guardo suo
marito.
Quando
ormai sta per perdere la speranza nota un albero grande in fondo al
cimitero:
vede una figura seduta sotto di esso.
«Rory!»
urla.
Si
avvicina alla figura solitaria. Continua a pronunciare il nome di suo
marito,
sperando che sia lui.
Il
ragazzo si alza. Quando a separarli sono pochi metri, Amy finalmente
vede il
volto di Rory. Lui
la osserva con rassegnazione. Amy
si avvicina, lui invece indietreggia, ma lei riesce ad avvolgerlo tra
le
braccia prima che Rory possa dire o fare qualsiasi cosa.
Rory
bruscamente si scosta, sciogliendo l'abbraccio.
«Così
non funziona.» esclama furioso.
Amy
lo guarda stranita.
«Non
funziona cosa? Di cosa stai parlando?»
«Vi
ho sentiti. Perché non me l'hai detto?»
«Continuo
a non capire…»
«Amelia,
cosa c'è da capire? Ho sentito tutto ieri sera: tu e quel
Wilkinson. Lui sapeva
che stavo ascoltando! Ha parlato di un bacio tra voi due, e tu sei
arrossita!»
«E’
questo il tuo problema? E' questo il motivo che ti ha fatto sparire nel
nulla?»
alzando la voce.
Si
ferma un secondo per prendere un respiro profondo.
«Allora
avrai sentito anche quando ho detto che per me quel bacio non aveva e
non ha
alcuna importanza!»
«Dovevo
immaginarlo che ci potesse essere qualcosa tra voi due.»
Amy
afferra Rory per le braccia, bloccandolo.
«Ma
se non lo conosci nemmeno!»
«E
sentiamo: cosa gli avresti detto mentre ti afferrava tra le
braccia?» delira
isterico.
Rory
guarda Amy dritto negli occhi.
Lei
non risponde, ha gli occhi lucidi.
Respira
profondamente, ricambia il suo sguardo.
«Rory!
Ti sei chiesto il perché sia venuta in
quest’epoca?» domanda pacatamente.
L’espressione
di Rory adesso è cambiata.
«Perché
prendi questo discorso?»
«Sei
uno sciocco Rory Williams, non sai quanto ho desiderato vederti e
trovarti da
quando sono qui. Finalmente ci siamo ritrovati, ma oggi ho avuto il
terrore di
restare da sola. Ho avuto il terrore di averti perso di
nuovo!»
Amy
prende fiato, le tremano le mani dal nervosismo.
«Rory,
io amo te e sarà così per sempre. Noi due siamo
destinati a stare insieme. E’
questo che ho detto a Thomas e che gli piaccia o no, dovrà
farsene una
ragione.»
«E’
questo che gli hai detto?» domanda Rory con un tono
più calmo.
«Sì
sciocchino, gli ho detto esattamente così. Perché
hai dubitato di me?» continua
Amy, «Insieme o per niente, ricordi?»
«Amy,
io…» tenta di dire Rory.
Amy
incornicia il volto del marito tra le sue mani.
Lo
zittisce con un bacio.
Nessuna
parola servirebbe a descrivere cosa stiano provando entrambi in quel
momento.
Amy sorride senza smettere di baciarlo. Si stringono stretti.
Amy
e Rory restano a guardare in silenzio il tramonto seduti sotto
l’albero
gigante. Rory interrompe la quiete «Perché non mi
hai detto che sei stata tra i
poveri e che ti hanno ricoverata in ospedale?» interrompe la
quiete il ragazzo
magrolino.
«Pensavo
che avrei potuto cavarmela da sola come ho sempre fatto, è
stato difficile per
me accettare l’aiuto dei Wilkinson» dice Amy
continuando a guardare
l’orizzonte.
«Oh,
Amy…»
Rory
l’avvolge tra le sue braccia, accarezzandole i capelli.
Arrivata
la sera i due si incamminano verso l’uscita del cimitero,
tenendosi per mano.
«Ti
accompagno a casa.» afferma Rory, stringendola più
forte.
«No.
Andiamo a prendere le mie cose, così conoscerai i
Wilkinson.»
«E
Thomas?» aggiunge Rory con qualche attimo di esitazione. Amy
lo fissa. Si
sorridono.
«Siamo
solo amici, lo sai. Andiamo, dai.»
Amy
chiama un taxi. I due salgono sull’automobile.
Il
tragitto per arrivare a casa Wilkinson non è molto lungo, il
traffico del
pomeriggio è quasi svanito, si vedono solo poche automobili
per la strada e
alcuni passanti per le vie di Manhattan.
Finalmente
arrivano alla villa dei Wilkinson. Amy
bussa alla porta, ad aprire è Kathrin.
«Amelia,
va tutto bene?» domanda sorpresa.
Fa
accomandare i due ragazzi in casa.
«Buona
sera, signora Kathrin» saluta la donna e indica Rory,
«Ci tenevo a presentarle
mio marito: Rory Williams.»
Rory
timidamente porge la mano in segno di saluto.
«Buona
sera, signora Wilkinson. È un piacere fare la sua
conoscenza.»
«Oh,
anche per me, Rory. Venite, accomodatevi! Gertruda stava per
apparecchiare la
tavola. Cenate con noi?»
Senza
aspettare una risposta, li trascina in sala da pranzo.
Rory
conosce anche il signor Wilkinson e Gertruda.
Di
Thomas, invece, neanche l’ombra. Amy non sa se chiedere di
lui, dato il litigio
della sera prima.
«Non
preoccuparti per Thomas, Amelia. Lui capirà, un giorno o
l’altro» afferma
Kathrin tra una portata e l’altra, notando
l’incertezza di Amy.
«Vorrei
solo che tornassimo ad essere amici.»
«Thomas
è un tipo testardo, un po’ come suo padre, gli
passerà. Andrà tutto bene,
Amelia.»
Finita
la cena Amy e Rory salutano i Wilkinson.
«Vi
ringrazio ancora. Per tutto quello che avete fatto per lei»
dice Rory. Amy non
riesce a credere che possa ancora guardare suo marito con i propri
occhi.
«Rory,
prendo le mie cose e ti raggiungo.»
Amy
si chiude la porta della sua stanza alle spalle con le valigie in mano.
Percorre il corridoio, passa dalla stanza di Thomas, la porta
è chiusa.
Vorrebbe chiarire con lui, ma sa che non è quello il momento
giusto, Rory la
attende.
Scende
le scale e trova Rory che scambia delle parole con il Signor Wilkinson.
«Mi
dispiace interrompervi.»
«Tranquilla,
Amelia. Stavo andando giusto nel mio ufficio, il lavoro mi chiama. Ci
vediamo
in redazione, signorina Williams.» dichiara Herman.
Saluta
Rory con una stretta di mano.
«Buona
notte, Signor Wilkinson» saluta cordialmente Amy.
«Hai
preso tutto?» le domanda suo marito.
«Sì,
sono pronta» risponde lei.
Dicembre
1940.
Amy
e Rory abitano insieme da quasi due mesi, il Natale si avvicina.
Fuori
nevica e tutte le strade di Manhattan sono piene di addobbi natalizi.
È
il primo Natale che Rory ed Amy trascorrono insieme da quando si sono
ritrovati
e niente è più tradizionale dell’albero
decorato di lucine e palline colorate.
Amy
è in piedi in salotto che guarda l’albero, Rory
è seduto al tavolo mentre
prepara delle altre decorazioni con dei cartoncini blu.
C’è
silenzio in casa. Da fuori si sentono alcune voci di bambini che
giocano per le
strade tirandosi palle di neve. Rory si schiarisce la gola.
«Potremo
aggiungere due posti a tavola per la vigilia, che ne dici?»
mormora lui,
interrompendo la quiete della stanza.
Amy
continuando a guardare l’albero.
«Loro
non verranno, Rory.» dice rammaricata.
Rory
si alza da tavola, si avvicina ad Amy e la abbraccia dietro.
«Lo
sai, siamo solo io e te. Il Dottore e River non possono venire in
quest’epoca.»
«Lo
so, Amy. So quanto ti mancano. Mancano anche a me.» la
rincuora lui.
Rory
ritorna al tavolo, prende qualcosa e la porge tra le mani di Amy.
«Tieni.
Ho fatto questo per te.» aggiunge Rory.
Amy
tiene sospeso a mezz’aria l’oggetto datogli da suo
marito: una piccola cabina
blu Tardis di carta con sopra un laccetto bianco.
«E’
bellissima!» dice Amy, le scende una lacrima bagnandole il
volto.
Amy
intreccia il laccetto bianco su uno degli aghi di pino.
Poi
si volta e abbraccia Rory.
«Amy,
ti andrebbe di andare a pattinare?»
Amy
scioglie l’abbraccio, lo guarda e ride in modo buffo.
«Tu non sai pattinare!»
«Mi
insegnerai tu.»
«D’accordo,
signor Williams» dice Amy in tono scherzoso.
La
giovane coppia si reca a Central Park, dove è stata
realizzata una pista di
ghiaccio.
Grandi
e piccini pattinano spensieratamente sotto i fiocchi di neve che
scendono
dall’alto.
Rory
non è molto bravo nel pattinaggio, trascorre il
più del tempo a scivolare per
terra, che in piedi accanto ad Amy. Lei non smette di ridere per le
cadute del
marito.
Per
fortuna, Rory impara in fretta. Si godono quei momenti insieme,
guardandosi
negli occhi e condividendo le risate.
Febbraio
1941.
Le
vacanze di natale sono finite da un pezzo, Amy ha ripreso il lavoro al
giornale
dei Wilkinson.
Amy
è da sola nel suo ufficio, sommersa dal lavoro. Alicia si
sposerà in estate e
tocca ad Amy occuparsi di alcune faccende del matrimonio. Osserva la
lista che
le ha stipulato la sua collega. Sospira.
«Dove
posso trovare delle Peonie lilla?» si domanda ad alta voce.
Per
fortuna, Rory la va a trovare durante la pausa pranzo, portandole
qualcosa da
mangiare.
Mentre,
i due sono seduti alla scrivania pranzando insieme, Thomas passa da
lì,
incrocia lo sguardo di Amy attraverso la porta a vetri. Lui prosegue
dritto
senza fermarsi, Amy lo segue con lo sguardo finché non si
dilegua nel
corridoio.
Rory,
pensieroso, osserva Amy.
«Ancora
non vi parlate, vero?» le domanda.
«No…»
«Potrei
provare a parlargli io.»
«Grazie,
ma non servirebbe a niente. Conosco bene Thomas: è troppo
testardo.»
«Potremo
andare dai Wilkinson una sera di queste, se vuoi.» tenta di
risollevarla.
«Sì,
beh, a loro farebbe piacere, ma non credo sarebbe lo stesso per
Thomas.»
Dopo
il pranzo, Rory si alza e lascia un bacio sulla fronte di Amy.
«Ora
ti lascio lavorare, io torno in ospedale. Se hai bisogno di me sai dove
trovarmi, no?»
«A
sta sera.» la saluta Rory. Il sorriso resta sulle sue labbra.
Amy
riprende il suo lavoro di scrittura a macchina.
Rory
volge l’ultimo sguardo ad Amy, poi esce dalla stanza.
Giugno
1941.
L’estate
è arrivata e Alicia finalmente si sposa. Ha chiesto ad Amy
di farle da
damigella, Amy non poteva rifiutare.
Amy,
pronta per la cerimonia, raggiunge Rory in cucina.
Indossa
un abito rosa pesco di seta, un tulle a barca le copre le spalle
lasciando nude
le braccia, il corpetto del vestito la stringe in vita e ha
un’ampia gonna a
pieghe svasata che le nasconde le gambe fino alle ginocchia.
Si
sfiora con le dita la collana di perle regalatagli da Rory per il
giorno di
Natale. Rory vedendola rimane a bocca aperta.
«Sei
stupenda!» esclama lui.
«Grazie,
Signor Williams. Anche lei non sta per niente male.» gli dice
ammiccando.
Rory
le porge il braccio, Amy intreccia il suo a quello di Rory ed escono di
casa.
Alicia
ha voluto festeggiare proprio in grande, dopo la funzione religiosa,
infatti,
gli invitati si recano in un giardino dove è stato allestito
un banchetto.
«Ci
saranno più di cento persone…»
esordisce Rory sorpreso.
«Alicia
è fatta così.» sentenzia Amy sorridendo
e salutando con la mano i signori
Wilkinson che si stanno avvicinando a loro.
«Stai
benissimo con quest’abito, Amelia!» esclama
Kathrin, sinceramente entusiasta.
«Grazie,
signora Kathrin. Anche lei è molto bella!»
In
lontananza, Amy intravede Thomas. Amy e Rory si scambiano uno sguardo e
si
capiscono al volo.
«Vai,
tranquilla.» le sussurra sotto all’orecchio e la
bacia sulla guancia. Amy
guarda i signori Wilkinson.
«Se
volete scusarmi…»
Amy
raggiunge Thomas. Lui la vede e si ferma.
«Amy…»
la guarda, aggiunge «Sei bellissima.»
«Grazie.»
risponde timidamente.
Amy
e Thomas non hanno ancora risolto da quando Amy si è
trasferita a casa di Rory.
«Io
vorrei tornare ad essere amici.» dice la ragazza.
Thomas
si accende una sigaretta, poi inizia a camminare. Amy lo segue.
I
due si siedono in una panchina, lontano dal resto della festa.
«Tom,
parlami.» aggiunge Amy.
«Hai
ragione. Sai, mi manca la tua amicizia, manchi anche a
Minù.»
Amy
lo osserva fumare, aspetta che Thomas dica qualcos’altro.
«Dovreste
venire a cena qualche volta…tu e Rory. Ai miei genitori
farebbe piacere.»
«E
a te? tra di noi è tutto risolto?»
«Anche
a me.» dice e studia l’espressione della ragazza.
«QQQuindi
tra noi è tutto risolto?»
Thomas
finisce la sigaretta prima di parlare.
«Sì,
Amelia.»
I
due si guardano. Poi vengono interrotti da una ragazza con i capelli
biondi
raccolti in uno chignon che indossa un abito nero a pois neri con un
gran
capello scuro.
«Eccoti,
ti ho trovato finalmente! Ti sto cercando da mezz’ora,
Thomas.»
Lui
si alza dalla panchina scocciato.
«Amelia,
ti presento Dianna.»
Amy
le porge la mano.
«Piacere,
io sono…»
«Amelia,
no?» la interrompe lei con voce altezzosa, guardandola
dall’alto in basso.
«S-si.»
dice Amy.
Dianna
volge lo sguardo a Thomas.
«Tuo
padre sta per fare il discorso agli sposi. Non vorremo mica perdercelo,
vero,
Thomas?»
«Certo
che no.» risponde Thomas con espressione infastidita.
I
due poi si allontanano insieme, Dianna prende per mano Thomas. Lui si
volta per
un secondo verso Amy.
«Che
scocciatura!» dice con il labiale.
Amy
ride e anche lei ritorna alla festa.
Raggiunge
Rory al tavolo in cui siedono le altre damigelle con i loro
accompagnatori.
Tutti
ascoltano il discorso del Signor Wilkinson, poi si procede con le varie
portate.
Non
molto lontano dal tavolo in cui è seduta Amy, siedono i
Wilkinson con Thomas e
Dianna.
Amy
nota che Thomas è distratto, Dianna cerca di richiamare la
sua attenzione più
volte, ma lui il momento dopo la ignora nuovamente.
Qualcosa
attira l’attenzione del giovane, o forse qualcuno.
Amy
cerca di seguire il suo sguardo. Amy ha capito e si trattiene dal
ridere. Rory
lo nota.
«Che
c’è? Perché ridi?» le domanda.
«Guarda
Thomas.»
Rory
non capisce, ma fa ugualmente ciò che gli dice Amy.
«Guarda verso l’entrata.»
aggiunge lei.
«Ah!
Ora capisco, ma lui non è venuto qui con la ragazza
bionda?»
«È
un’antipatica, che si sente la padrona
dell’universo» sbuffa Amy.
Riosserva
gli occhi interessati dell’amico.
«Dovrebbe
andare a parlarle.» sussurra al marito, guardando la ragazza
bruna in fondo al
giardino.
«Non
penso che i suoi genitori approverebbero.» mormora lui.
«Deve
crescere prima o poi» si impone Amy, riferendosi a Thomas.
«Scusate,
signori.» li interrompe un cameriere che gli serve
un’altra portata.
Finito
di mangiare, gli invitati si spostano sotto un gazebo dove
verrà tagliata la
torta nuziale.
«Torno
subito.» dice Amy a Rory. Si alza da tavola e raggiunge
quello dei Wilkinson
che stanno per spostarsi insieme a tutti gli altri invitati.
«Posso
parlarti un attimo?» domanda a Thoma.
Kathrin
prende sotto braccio il marito.
«Andiamo
Dianna, ci raggiungeranno dopo.» dice la signora Wilkinson.
Non
appena si allontanano, Amy si siede accanto a Thomas.
«Thomas,
ho visto come la guardi, perché non le vai a
parlare?» chiede Amy e fa un cenno
con il capo verso la ragazza bruna.
«Sapevo
che lo avresti notato, Amelia.» dice Thomas in tono scherzoso.
«So
come sei fatto, Tom. E so che non sei felice con lei.» parla
di Dianna. E una
smorfia le viene spontanea.
«Eppure,
sai anche che mio padre non me lo permetterebbe: è solo una
cameriera.» ribatte
Thomas.
«A
te importa?» continua Amy.
«Ovvio
che no, cioè…»
«E
allora vai. Tuo padre capirà. Si arrabbierà, ma
prima o poi devi prendere il
controllo della tua vita, Thomas.»
Lui
accende una sigaretta.
«E’
facile dirlo per te.»
«Cosa
vorresti dire?» chiede Amy, alzando un sopracciglio.
«Tu
non devi rendere conto a nessuno.»
«E
neanche tu! Sei abbastanza grande per decidere da solo con chi
stare.»
Thomas
prende un’altra boccata di fumo, pensieroso.
«Tutti
dovrebbero avere il diritto di innamorarsi e sposare chi vogliono. Lo
hai detto
tu, ricordi?» continua Amy. Thomas se la ride sotto i baffi.
«Certo
che me lo ricordo.» poi aggiunge, «Penso che siamo
rimasti abbastanza seri per
oggi. Sono più bello quando sorrido, ma tu lo sai
già, no?»
Amy
lo spinge incitandolo ad alzarsi.
«Dai,
vai a parlarle!» esclama Amy, «Tranquillo, non
starò dietro una porta ad
origliare.»
«Te
lo ha detto Rory, vero?»
«Non
importa, adesso. Vai a parlare con quella ragazza.»
«Va
bene, va bene. Ci vado.» dice alzando le mani in segno di
resa.
Spegne
la sigaretta nel posacenere al centro del tavolo e posa, di nuovo, lo
sguardo
su Amy.
«Augurami
buona fortuna.»
«Non
ne hai bisogno, lo sai.» dice lei, sorridendogli.
«Hai
ragione, non ne ho bisogno.» conclude Thomas pavoneggiandosi.
Amy lo osserva,
mentre si allontana da lei.
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Capitolo 13 *** 13. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
13
Agosto
1941.
«E
dai, Amy! Sbrigati o faremo tardi!» grida Rory.
«Arrivo,
arrivo!» urla Amy dall’altra parte della casa.
«Non
c’è bisogno di agghindarsi così.
È solo un incontro con l’agente
immobiliare.»
dice e continua sottovoce, «L’ultimo
spero.»
«Esatto
dev’essere l’ultimo.» si impone Amy, che
intanto ha raggiunto il marito
d’avanti l’entrata di casa.
«Questo
appartamento sta diventando troppo piccolo.» continua lei.
Arrivati
in un quartiere poco fuori Manhattan, Rory ed Amy percorrono una strada
piena
di villette.
Vicino
un grande albero li aspetta un signore alto e magro che indossa un
completo
grigio, degli occhiali e tiene nella mano destra una valigetta
ventiquattr’ore
di pelle.
I
tre entrano in casa, restano lì per delle ore.
Escono
dalla casa. Amy e Rory hanno un largo sorriso stampato sul volto.
«Arrivederci.
E ancora congratulazioni per l’acquisto!» si
congratula l’agente.
«Arrivederci.»
saluta Amy.
Aspetta
che l’uomo abbia percorso il vialetto e sia scomparso dalla
vista per
abbracciare euforicamente Rory.
Nei
mesi successivi, Amy e Rory si dividono tra il lavoro, gli amici e
l’arredare
casa nuova.
Hanno
portato con loro alcuni degli oggetti dell’appartamento di
Rory come:
stoviglie, arredi per la cucina, un tavolino in vetro per il salotto e
qualche
sedia.
La
casa è molto accogliente, si estende in larghezza.
Salendo
i tre gradini dell’ingresso, si entra da una porta in legno
chiaro. Si arriva a
un salotto dalle pareti rosse diviso in due parti dal piccolo atrio, da
cui
scendono delle scale che portano al piano superiore.
La
prima parte, alla sinistra della casa, ha delle finestre grandi da cui
è
possibile vedere la strada, poi ci sono un divano rosa con dei cuscini
verdi,
una poltrona bianca e al centro un tavolino in legno. Leggermente
più a destra,
in un angolino c’è un tavolo da pranzo con quattro
sedie.
Da
qui si nota che una penisola bianca separa il salotto dalla cucina.
Questa
ha le pareti gialle e gli arredamenti bianchi e grigi. A destra un
muro, in cui
ci sono tutti gli utensili, separa la cucina dal resto della casa.
Esattamente
di fronte la penisola c’è una finestra sotto la
quale un lavandino e gli elettrodomestici
utili per la cucina.
Dalla
finestra è possibile vedere il retro della casa, qui si
estende un piccolo
cortile raggiungibile da una piccola porta vicino il frigorifero. Rory
ha
deciso di trasformarlo in un giardino e Amy ha voluto aggiungere dei
divanetti
neri con cuscini bianchi.
La
parte a destra dell’entrata, è la zona preferita
di Amy: anche qui ci sono
delle poltrone di color rosa salmone, ma la particolarità
è la grande libreria
nel muro di fronte, ancora un po’ vuota.
Una
porta rossa separa questa stanza dallo studio di Amy. È un
po’ piccolino, ma
abbastanza capiente da contenere uno scrittoio con una sedia e diverse
mensole
con riviste, libri e una foto del loro matrimonio.
Al
piano superiore poi vi sono un’ampia stanza da letto, un
bagno in tinta azzurra
e un’altra stanza che ancora i Williams non hanno arredato.
Novembre
1941.
Amy
e Rory si sono trasferiti nella casa nuova da circa tre mesi.
È
di nuovo inverno e alla radio passano le notizie della guerra del
pacifico:
l'America, che inizialmente si era dichiarata neutrale, adesso deve
entrare in
guerra per fronteggiare l'attacco giapponese nella base di Pearl
Harbour.
Fuori
il cielo è grigio e una pioggerellina sta iniziando a
bagnare i vetri della
cucina.
Quel
pomeriggio, Amy è a casa insieme ad Alicia, stanno prendendo
il thè, dopo che
Amy ha fatto mostrato la casa nuova all’amica.
Rory,
invece, è al lavoro. I suoi turni sono aumentati da quando
ha deciso di
continuare gli studi per poter diventare medico. A volte, è
costretto a dormire
in ospedale per poter seguire meglio alcune visite e i post operatorio
dei
pazienti.
Alicia
sorseggia il suo thè caldo.
«Spero
solo che questa guerra non arrivi anche qui da
noi…» dice l’amica.
Amy,
che proviene da un’altra epoca, sa già come si
concluderà il conflitto, ma non
può certo dire nulla alla sua amica. Così,
annuisce e prende un sorso di the
dalla tazzina in ceramica.
Alicia
nota una cabina blu fatta di carta sul davanzale della finestra:
è quella che
ha costruito Rory il natale precedente.
«Com’è
carina!» esclama.
«Sì,
l’ha realizzata Rory.»
«Perché
è blu?» domanda Alicia guardando
l’oggetto, «Le cabine londinesi sono rosse,
no?»
Amy
non sa cosa rispondere, vorrebbe raccontare ad Alicia del Dottore, ma
non può.
«Da
piccola sognavo sempre un uomo con dei vestiti stropicciati che
viaggiava in
una cabina blu.» rivela una mezza verità, Amy.
Alicia
la guarda stupita.
«Suvvia!
Alicia non fare quella faccia! Anche tu avrai i tuoi sogni strani,
no?» domanda
Amy, cercando di sviare il discorso.
«Beh,
in realtà i miei sogni non hanno nulla di strano: una casa,
una famiglia,
salute e felicità.»
«Io
non parlo dei sogni che si fanno ad occhi aperti. Ma di quelli che
facevi
dormendo quando eri bambina.» aggiunge Amy.
Alicia
fa una smorfia, per poi scoppiare a ridere.
«Non
sei più ingannabile. Questo non va bene, Amelia.»
Amy
solleva le spalle, sorridendo inconsapevolmente.
«Ho
imparato a conoscerti.»
Prende
un biscotto alle ciliegie dal tavolino e lo morde.
Le
due ragazze finiscono il loro thè.
«Mi
ha fatto piacere passare un pomeriggio insieme, lontane dalle
scartoffie, ma
devo proprio andare. Tobey sarà a casa a momenti!»
dice Alicia davvero
rammaricata.
«Quando
vuoi possiamo rifarlo, se vuoi.» dice Amy accompagnandola
alla porta.
«La
prossima volta tu e Rory potreste venire a cena da noi. Che ne
dici?»
«Certamente!»
risponde Amy.
Le
due amiche si salutano, poi Amy inizia a preparare la cena per il
ritorno di
Rory dal lavoro.
Maggio
1942.
Un
altro anno si è concluso e nei mesi a seguire Rory passa
più tempo in ospedale
che a casa con Amy.
Amy
è preoccupata per lui, ma sa che è desiderio di
Rory diventare medico, quindi
decide di non assillarlo con le sue preoccupazioni.
Una
domenica pomeriggio Amy è a casa, non lavora. Quindi, ha
portato con se del lavoro
in più da sbrigare, non le piace restare con le mani in mano.
Si
prepara una tazza di caffè, poi si reca nel suo studio,
indossa gli occhiali
regalatigli dal suo amico Thomas, e inizia a sfogliare delle carte.
D’un
tratto sente un rumore nella serratura della porta, Amy guarda
l’orologio che
segna le 16:20.
“Non
può essere Rory” pensa Amy.
«Amy,
sono a casa!» urla Rory dall’ingresso.
Lei,
immediatamente, si dirige da lui.
«Rory!
È successo qualcosa? Come mai non sei in
ospedale?» gli chiede sorpresa.
«Oggi
mi hanno dato il permesso di andare via prima…»
Guarda
Amy che indossa ancora gli occhiali da lettura.
«Stavi
lavorando, vero?» aggiunge.
Amy
si toglie gli occhiali e gli sorride.
«Non
più, sono contenta che tu sia a casa.»
I
due si recano in salotto, Rory si siede sul divano, Amy resta in piedi.
«Vuoi
che ti prepari qualcosa?»
«No,
Amy. Siediti qui accanto a me.»
Lei
si siede accanto a suo marito. Lui le poggia il braccio attorno al
collo, lei
si rannicchia sul suo corpo. Mette la sua mano destra sul petto di
Rory, sente
il suo respiro, percepisce che qualcosa lo turba.
Si
scosta da lui e lo guarda negli occhi.
«Rory,
cos’è successo?»
Lui
mette la mano in tasca ed estrae una lettera con sopra il timbro
dell’ospedale,
la porge ad Amy.
«Che
cos’è?» mormora Amy in tono preoccupato.
Rory
si alza dal divano e inizia a passeggiare su tutto il salone
nervosamente.
«Vogliono
che vada in Africa insieme ad alcuni colleghi medici e infermieri per
aiutare i
paesi disastrati dalla guerra.»
Amy
resta a guardare la lettera, non l’ha ancora aperta,
né l’aprirà. Non vuole
leggere il contenuto, Rory ha già detto tutto ciò
che serviva.
“Rory…In
Africa? E per quanto tempo?” si domanda Amy.
Mille
pensieri invadono la sua mente e tutti contemporaneamente.
“E
se non dovesse più tornare?”.
Rory
si risiede sul divano accanto a lei, Amy lo fissa, come se stesse
guardando il
vuoto.
«Amy?»
la chiama, «Amy?»
«Io
verrò con te.» annuncia impulsivamente lei.
«Amy,
non puoi lasciare la redazione. I-io me la caverò,
andrà tutto bene.» dice e
aggiunge con il sorriso «Ti ho aspettata per duemila anni,
ricordi? Supereremo
anche questa.»
Gli
occhi di Amy improvvisamente si riempiono di lacrime.
Amy
abbraccia Rory, lo tiene stretto a sé. Le lacrime bagnano la
camicia di lui
all’altezza della spalla.
Le
accarezza i capelli per consolarla, per confortarla, ma anche lui ha
gli occhi
lucidi.
«Andrà
tutto bene.» mormora sottovoce, ma non si capisce se lo dice
per consolare lei
o se stesso.
Agosto
1942.
Rory
è partito da due mesi e l’unico modo per restare
in contatto con la sua Amy
sono le lettere. Purtroppo il periodo non è dei migliori e
per far recapitare
le lettere passerà del tempo.
Amy,
che è rimasta a Manhattan, si sommerge di lavoro, cerca ogni
scusa per
distrarsi e per non pensare ai pericoli che corre il marito.
Un
pomeriggio sente degli schiamazzi in giardino, sono alcuni bambini che
giocano
serenamente.
“E
se provassi a scrivere un nuovo libro?” pensa Amy. Si passa
tra le mani il
primo libro che ha pubblicato. Legge il suo nome stampato sopra e
sorride.
Prende i suoi occhiali da vista e inizia a battere le lettere sulla
macchina da
scrivere.
Era
come se tutto fosse già nella sua testa da tempo, non
impiega molto tempo a
buttar giù le prime pagine.
Poi
resasi conto dell’ora di cena, lascia il suo scrittoio, si
toglie gli occhiali
ed esce dalla stanza.
È
sua abitudine aggiungere un posto a tavola anche per suo marito, sa che
non
tornerà in quei momenti serali, ma questo suo gesto la fa
sentire più vicina a
lui.
Giorno
per giorno si domanda come potrebbe stare suo marito. Ogni giorno
osserva la
foto del loro matrimonio. Guarda la macchina da scrivere e le viene
un’idea:
scrivergli una lettera.
Senza
pensare alle mille cose che potrebbe chiedergli, prende carta e penna
dal suo
studio, va in giardino e si siede in uno dei divani.
Lascia
scorrere la mano sul foglio. L’inchiostro velocemente riempie
la pagina bianca.
«Caro
Rory, come stai? So che il periodo non è dei migliori, ma mi
manchi. La casa è
vuota senza di te. Sai, mi sto prendendo cura delle tue piante, alcuni
fiori
stanno germogliando. Io vorrei…»
Amy
si blocca, prende un profondo respiro e ritorna a scrivere.
«Io
vorrei solo averti qui, vorrei stringerti, vorrei parlarti,
vorrei…»
Una
lacrima scivola e bagna il foglio che tiene in mano,
l’inchiostro inizia a
colare e il foglio si rovina.
Amy,
con violenza lo accartoccia e lo lancia lontano.
Seduta
nel divano, Amy stringe le ginocchia a sé, si fa piccola. Ha
la testa piegata
in avanti e i suoi capelli lunghi e rossi le nascondono il volto in
lacrime.
Amy
non ha il tempo di asciugarsi il volto che qualcuno suona alla porta di
casa.
“Chi
sarà mai?” pensa.
Nel
raggiungere la porta di casa, Amy attraversa la cucina, prende un
tovagliolo e
si asciuga gli occhi.
Suonano
di nuovo il campanello, lei corre all’ingresso e guarda
attraverso lo
spioncino.
Non
riconosce subito la persona che sta dietro la porta in legno, vede solo
una
chioma di capelli ricci e biondi.
Il
cuore le inizia a battere fortissimo, sa che non può essere
lei.
«Non
può essere…» dice sottovoce.
Prende
un respiro profondo e spalanca la porta.
River,
sua figlia, sta adesso di fronte a lei che la osserva.
«Ciao
madre» dice la donna bionda. E le sorride.
Amy
guarda sua figlia, non crede ai suoi occhi.
«Ri...River,
come può essere? Cos…» balbetta.
«Madre,
calmati. Carina questa casetta.» dice con tono ironico.
Amy,
ancora incredula, fa accomodare la figlia in salotto.
«Sì,
è proprio bella questa casa.» dice River
guardandosi intorno.
«Ah!
Ho trovato questa per te, nella cassetta delle lettere.» dice
ed estrae dalla
tasca dei pantaloni una busta bianco sporco che riporta un timbro e un
francobollo datato. La porge alla madre.
Amy
fissa la busta, ma la voce di River la richiama alla realtà.
«Sei
da sola?» domanda River. Nota che ha uno sguardo triste.
Troppe
emozioni per Amy in un solo pomeriggio, la mancanza di Rory,
l’arrivo di sua
figlia, una lettera che potrebbe riportare qualunque cosa.
«La
apriamo insieme.» afferma decisa River. Con gentilezza mette
le mani sopra
quelle della madre, che stringe la lettera.
Amy
prende un respiro profondo.
«Rory
è stato mandato in africa, non so quanto tempo
resterà lì.» confessa alla
figlia.
River
stringe ancora le mani di Amy, la guarda, resta in silenzio.
«Siamo
nel ’42. La guerra non finirà che tra tre
anni.» aggiunge sconfitta Amy.
«Lui
sa cavarsela.» dice River che cerca di rincuorarla,
«E anche tu, sapevo che vi
sareste ritrovati e così sarà anche dopo che la
guerra sarà finita.»
Amy
ricambia il suo sorriso, sposta il suo sguardo sulla busta e si
convince ad
aprirla.
Inizia
a leggere:
«Cara
Amy, sono qui da poche ore e non so quando potrai leggere questa
lettera. Sai
dal nostro camion, durante il tragitto per arrivare al campo, ho visto
le
piramidi in lontananza. Sembra affascinante l’Egitto visto da
lì, penso che
dovremmo venirci insieme, quando tutto questo sarà finito.
Ci
hanno riferito che i bombardamenti non sono all’ordine del
giorno, ma ho
sentito dire dal comandante dei militari che se ne aspettano degli
altri.
Adesso
devo andare, hanno bisogno di me. Quest’esperienza
sarà utile per il mio futuro
da medico, quindi non preoccuparti, me la caverò.
E
tu come stai? Ti raccomando, prenditi cura delle mie piante.
Con
amore.
Il
tuo Rory.»
«Sta
bene.» pronunciano le labbra di Amy.
«Sì,
hai visto?»
River
le sorridendo e le stringe le spalle.
Amy,
tranquillizzatasi, si ricorda le parole del Dottore poco prima che gli
angeli
la prendessero: “Stai creando un
punto fisso del
tempo. Non riuscirò mai più a
rivederti”.
«Come
hai fatto ad arrivare qui, River? Lui aveva detto…»
«Ho
usato questo.»
River
mostra il braccio ad Amy: indossa un bracciale di pelle marrone scuro,
con un
cofanetto piccolo. Lo apre.
«È
un manipolatore del vortice del tempo. Permette dei viaggi temporali,
ma può
trasportare un solo corpo per volta.» spiega sua figlia,
«Mi ci è voluto del
tempo per trovarti, ma alla fine sono riuscita ad impostare le
coordinate
corrette.»
Amy
la guarda, sta per aprire la bocca per dire qualcosa.
«So
cosa stai pensando, lui non può venire.» la
precede River. Si alza dal divano e
inizia a camminare e gesticolare.
«Il
manipolatore permette di venire qui solo per una
volta...un’unica volta.»
«Dimmi
che non lo hai lasciato da solo.»
Amy
la ferma prendendola dal polso.
«Madre,
sono trascorsi solo alcuni giorni da quando tu e Rory siete andati
via.» dice
sorpresa River.
Amy
ha imparato a non stupirsi, i viaggi temporali sono sempre stati un
argomento
misterioso, inoltre sa che Rory è arrivato in
quell’epoca due anni prima di
lei, anche se gli Angeli l’hanno presa pochi attimi dopo di
lui.
«Sì,
il tempo scorre in maniera diversa qui.» mormora la rossa.
Amy
racconta alla figlia di come hanno passato quegli anni e di come si
è
ricongiunta al marito.
«Madre,
ti ricordi il libro che leggevate tu e il dottore quel giorno nel
parco?»
domanda River alla fine del racconto.
«Certo
che me ne ricordo. Non lo dimenticherò mai.»
«Bene,
perché devi pubblicarlo.»
Estrae
dalla sua borsa dei fogli e li porge alla madre.
«Ma
non prima dell’anno 1973. Dovrai conservarlo e solo allora
potrai leggerne il
contenuto.»
Amy
prende i fogli senza domandare il motivo della richiesta della figlia.
Poi
le due donne continuano a parlare.
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Capitolo 14 *** 14. Capitolo ***
7 cap rewind
[Scritto da Claudia Piazza, Valentina
Onufrio e Sofia Zaccaria.]
14
Febbraio
1943.
Nei
mesi a seguire Amy sentirà ancor di più la
lontananza di Rory, ma a colmare il
vuoto sono le lettere che si mandano, seppur i tempi di consegna siano
lunghi.
Inoltre,
la visita di River e il libro che dovrà pubblicare la fanno
sentire ancora più
vicina alla figlia e al suo amico signore del tempo.
Uno
di questi giorni, insieme alle lettere scritte dal marito, Amy riceve
l’invito
a un matrimonio.
«Chi
si sposa?» dice ad alta voce dentro la casa vuota.
Apre
la busta e legge:
Thomas
Kristopher Wilkinson II e Lily Haward sono lieti di annunciare le loro
nozze.»
Con
il sorriso tra le labbra ricorda la cameriera bruna del matrimonio di
Alicia,
all’interesse che aveva Thomas per quella ragazza.
«Ce
l’hai fatta, finalmente!» esclama.
Ora
che sa che anche il suo amico è felice, non le resta che
rispondere alle
lettere del marito.
Si
siede sul suo scrittoio, guarda per un momento tutte le lettere che
Rory le ha
mandato da quando è partito e, infine, inizia a scrivere.
«Caro
Rory, spero ti siano arrivate le mie lettere in cui ti parlavo di
River.
L’inverno, ormai, sta per finire e il mio secondo libro
è quasi completo. Credo
che lo intitolerò Summer Falls, del resto era proprio estate
quando lo iniziai
a scrivere, poco tempo dopo la tua partenza.
Sai,
continuo a vederti nei miei sogni, vestito con l’armatura da
centurione
romano.»
Ride
pensando a quei momenti.
«Non
riesco a togliermi dalla mente la tua espressione, avevi proprio una
faccia da
stupido!» continua a ridere, poi torna seria.
«Rory,
spero che tu stia bene, mi manchi tanto, ma so che tornerai, ho fiducia
in te,
in noi. Non ricordo se te l’ho mai detto: Sei l'uomo
più bello che abbia mai
incontrato, Rory Williams. Ricordatelo sempre.
Ti
amo.
Tua
Amy.»
Giugno
1943.
L’estate
è arrivata e Rory è via esattamente da un anno.
Amy
è al lavoro, ha pubblicato il suo “Summer
Falls” un libro multi capitoli per
bambini, che con sua sorpresa ha ottenuto un grande successo. Ne tiene
una
copia sulla scrivania a casa e all’ufficio. Ne è
fonte d’ispirazione e di
incoraggiamento.
In
redazione, tutti conoscono Amy e le chiedono notizie di Rory.
Malgrado
questo le faccia sentire ancor di più la sua lontananza,
percepisce l’interesse
dei colleghi che le stanno vicino in questo momento difficile della sua
vita.
Notando
la distrazione di Amy di quel giorno, Thomas che porta la fede al dito
da un
paio di mesi, dà il permesso alla sua amica di andare via
prima dal lavoro.
Amy
annuisce, non può che accettare. Firma gli ultimi documenti,
poi prende la sua
borsa e va via dalla redazione.
Inizia
a camminare per le strade di Manhattan, prende un caffè in
un bar, guarda delle
vetrine di alcuni negozi.
Seduta
a un tavolino, nota una mamma con un bimbo in una carrozzella.
“E
se adottassimo un bambino?” pensa Amy.
Chiama
quindi un taxi per tornare a casa decisa a scrivere una lettera al
marito in
cui proporrà a Rory dell’adozione.
«Sono
a casa.» dice una volta arrivata a casa, pur sapendo che non
ci sarà nessuno a
risponderle.
Dal
salotto, però, proviene una voce maschile che Amy conosce
molto bene.
«Amy!»
si sente chiamare.
Amy
lascia cadere le chiavi e la borsa per terra, corre nella direzione da
cui
proviene la voce.
Vede
Rory, il suo Rory. Disteso sul divano con una gamba fasciata. Le muore
il
sorriso sulle labbra.
«Rory!
Cosa ti è successo? Quando sei tornato? Chi ti ha portato
qui?» sbraita isterica.
Si siede accanto a lui, nota che Rory si è fatto crescere la
barba.
«Amy,
calmati. Va tutto bene, è solo una frattura.» le
dice, mentre le accarezza il
volto. Le mette i capelli rossi dietro un orecchio, i suoi occhi
azzurri non si
staccano da quelli verdi di lei.
«Non
potevano tenermi lì, sarei stato solo d’intralcio
per i miei colleghi medici.»
«I
tuoi…» viene interrotta.
«Mi
hanno promosso, sai? Insieme a noi infermieri c’era il dottor
Adams con cui
seguivo le visite al New York Infirmary, ero l’unico che
poteva sostituirlo.»
«Dici
seriamente? Sono fiera di te, Rory Williams!» urla Amy che si
getta tra le
braccia di Rory.
«Ha
detto che quando tornerà dall’Africa
verbalizzerà tutto, il resto è una
formalità.» tossendo.
«Ti
preparerò qualcosa di speciale per cena, vedrai.»
Rory
sorride ad Amy, poi inizia a raccontargli la sua avventura in Africa.
Lei lo
aggiorna su tutte le novità.
Luglio
1945.
Sono
passati due anni da quando Rory è tornato
dall’Africa, ormai la sua gamba è
guarita del tutto.
Lui
è ufficialmente diventato medico e dopo il successo del
libro di Amy, i
Wilkinson hanno voluto promuoverla nuovamente.
Il
compito di vicedirettrice è molto più impegnativo
del lavoro che svolgeva
precedentemente, ma Amy adora questo lavoro. Inoltre, nel tempo libero,
oltre a
prendersi cura del marito, Amy si dedica alla sua attività
di scrittura.
Alcuni fogli stanno accanto la macchina da scrivere
di Amy, nel primo foglio è possibile leggere “Il
ladro di notte” di Amelia
Williams.
È stato scritto per metà, in quanto Amy
è stata
costretta a metterlo da parte.
Ha deciso, insieme a Rory, di adottare un bambino.
La procedura è lunga e richiede tempo perché chi
vuole adottare un bambino deve
dimostrare di essere all’altezza di questo compito importante.
“È necessario avere un posto sicuro ed accogliente
in cui crescere il proprio figlio, la coppia deve essere unita e
manifestare il
loro legame amoroso che sarà punto fondamentale per
l’assegnazione del bimbo”
si ripete Amy. Queste parole le ha sentite talmente tante volte da non
potersele mai più dimenticare.
Amy e Rory non sono da meno a tutte queste regole,
ma prima di passare all’atto vero e proprio, i Williams
devono incontrare più
volte nell’arco dei mesi a seguire, l’agente che si
occuperà di osservare la
coppia.
Febbraio 1946.
Amy e Rory aspettano con impazienza che l’agente
delle adozioni arrivi per un altro dei loro incontri.
Oramai sono mesi che i due hanno iniziato a sognare
di avere un bimbo tutto loro.
Bussano alla porta.
«Spero ci porti buone notizie.» dice Amy al marito.
«Andrà bene, l’ultima volta ci aveva
detto che non
sarebbero mancati molti incontri.» la rincuora Rory.
Amy in camera da letto si osserva allo specchio che
c’è di fronte al letto: indossa un vestitino
semplice stretto in vita da un
cinturino, con le maniche lunghe e la gonna a pieghe.
Scende le scale seguita da Rory, anche lui è vestito
bene: indossa un completo in grigio con sotto una camicia abbottonata
stretta
fino al collo e delle bretelle. Inoltre, da quando è
diventato medico ha
iniziato a portare degli occhiali da vista dalla montatura sottile e
nera.
Amy apre la porta.
«Buona sera, Amy.» dice la donna alla porta.
«Prego, si accomodi, Giuliet.» dice gentilmente Amy.
«Salve, Rory.»
I tre si siedono in salotto dove Amy ha preparato un
vassoio con il thè e dei biscotti.
Giuliet è una donna dal volto simpatico, è
piccolina
di statura, ha i capelli castano scuro legati a formare uno chignon,
anche gli
occhi sono scuri ed è vestita in modo elegante e
professionale.
Amy e Rory parlano con Giuliet da ore, ma dopo tanta
attesa i Williams firmano tutti i documenti per adottare un bimbo di 1
anno.
Nelle settimane successive Rory ed Amy si recano
nell’ufficio di Giuliet, per concludere la parte burocratica
dell’adozione, poi
insieme si recano nella casa famiglia dove il bimbo attende i suoi
nuovi
genitori.
«Non resta che decidere il nome del bambino.» dice
Giuliet.
Amy tiene in braccio la piccola creatura dai capelli
rossicci e dagli occhioni azzurri, lei e Rory lo guardano.
«Anthony Brian Williams.» annunciano insieme.
Dicembre 1949.
Si avvicina la vigilia di capodanno e Anthony nel
mese di Gennaio compirà 5 anni.
Ogni sera prima di andare a dormire Amy racconta al
figlio una delle avventure fantastiche che ha vissuto insieme al
Dottore e al
marito, attraverso il tempo e lo spazio.
È desiderio del piccolo Williams viaggiare e vedere
il mondo e quale scusa migliore, se non quella di andare a visitare
alcuni dei
posti incantevoli che il continente americano offre?
Amy e Rory, quindi, decidono si festeggiare il
compleanno del figlio con un viaggio in Florida e a Washington.
Anthony è affascinato dai posti che visita insieme
ai suoi genitori. Ripete sempre che da grande vorrà
viaggiare proprio come
“l’amico stropicciato” della sua mamma.
Finite le vacanze Rory torna alla sua vita in
ospedale, Anthony riprende l’asilo. Amy, che aveva lasciato
il suo libro
"il ladro di notte" a metà perché era troppo
occupata dal crescere il
figlio, si divide tra la stesura del libro e il lavoro di
vicedirettrice nel
giornale dei Wilkinson.
Anche Alicia ha avuto un bambino.
Thomas, che si è sposato nel periodo in cui Rory era
in Africa, adesso abita con Lily in una modesta villetta lontano dal
caos di
Manhattan.
Marzo 1973.
È il 1973, Amy ha 58 anni e non ha di certo
dimenticato la richiesta di River. Ha conservato i fogli che compongono
il
libro della figlia in uno dei cassetti del suo scrittoio.
Il libro, il cui titolo è “Melody Malone:
un’investigatrice privata nella New York antica”
contiene una pagina iniziale
in cui è scritta la divisione dei dodici capitoli tutti con
un nome ben preciso
e stabilito.
Un ultimo capitolo riporta la voce “Postfazione”.
Amy incuriosita sfoglia le pagine, arrivata al
capitolo della postfazione, nota che quella è
l’ultima pagina. È vuota, riporta
solo il titolo in alto, mentre in basso si accorge che River ha scritto
il suo
nome.
Amy pensa inizialmente che ci sia un errore di
battitura, alza lo sguardo dalla lettura.
«No, River non avrebbe mai sbagliato a scrivere.»
dice tra sè e sé.
«Credo che abbia lasciato questo spazio per me.»
dice ancora ad alta voce.
Amy mette un foglio bianco nella sua macchina da
scrivere e inizia a pigiare i tasti.
Aprile 1989.
Gli anni passano in fretta, Amy ha pubblicato altri
due libri; sulla libreria di casa Williams si vedono i testi scritti
che
portano il nome di Amelia Williams.
Anthony si è sposato e si è trasferito a Londra
con
la sua famiglia; sul muro del salotto di Amy e Rory vediamo, infatti,
la foto
del matrimonio del giovane Williams e accanto diverse foto in cui
Anthony è
poggiato a un aereo. Nello studio di Amy ci sono alcune cartoline del
figlio
che mostrano i luoghi diversi che ha visitato.
Anthony ha, infatti, realizzato il sogno di poter
girare il mondo diventando pilota di aerei, ma non ha mai conosciuto il
famoso
Dottore di cui la madre gli narrava quando era piccolo.
Amy è in pensione e si prende cura di Rory che da
tempo è malato e non esercita più la professione
di medico.
A
causa di frequenti dolori
addominali, Rory si è sottoposto a delle visite mediche.
Inizialmente
tutto sembra riportare
a dei normali attacchi di gastrite.
Ma
la perdita continua di peso lo
fanno dubitare delle sue condizioni di salute.
Durante
una delle visite viene
finalmente trovata la causa di questo suo mal essere.
Il
medico dichiara che le sue
condizioni sono tutt’altro che buone. A Rory viene
diagnosticato un tumore al
fegato, il quale, purtroppo, ha un alto tasso di mortalità
data la difficoltà
di essere identificato. Per questo motivo, i medici lo hanno definito
“tumore
silenzioso”.
Amy
guarda le cartelle mediche del
marito, osserva i medicinali vicino al letto e suo marito dormire.
A
lei non le resta che occuparsi di
lui, al quale non rimangono che alcuni anni di vita.
Amy
si china e gli accarezza i
capelli con un sorriso triste sul volto.
Ottobre
1997.
È
il giorno del funerale di Rory.
Amy ha 82 anni la stessa età del marito defunto.
È
un giorno fresco d’autunno e la
funzione religiosa si svolge all’aperto nel cimitero in cui
Amy è arrivata
molti anni prima.
La
funzione è seguita da diverse
persone. Amy è circondata da persone che le vogliono bene.
Anthony
è lì con la moglie, ci sono
anche coloro che un tempo erano i suoi colleghi di lavoro: Thomas,
Alicia e
Tobey, anziani anche loro.
E
poi un gruppo di giovani medici
che si presentano ad Amy come gli ex specializzandi di Rory.
Finita la funzione, Amy resta da sola contemplando
la tomba del marito, nella cui lapide è stato scritto
“Nel ricordo devoto, Rory
Arthur Williams, età 82”.
Amy guarda il cielo, sospira. Ricorda il momento in
cui per la prima volta aprii gli occhi in quel cimitero, distesa, con
gli occhi
bagnati di lacrime.
È rimasto con lui fino alla fine.
Poi un pensiero la riporta al suo amico stropicciato
e alla post fazione che lei gli ha dedicato:
«Ciao, vecchio amico.
Ed eccoci qui, tu e io, all'ultima pagina. Quando
leggerai queste parole, io e Rory ce ne saremo andati da un pezzo,
quindi sappi
che siamo vissuti bene e siamo stati molto felici.
E soprattutto, sappi che ti ameremo sempre.
A volte mi preoccupo per te, però credo che quando
ce ne saremo andati, non tornerai più qui, e potresti essere
solo, cosa che non
dovrebbe mai succedere.
Non stare da solo, Dottore.
E fa' un'altra cosa per me: c'è una bambina che
aspetta in un giardino. Aspetterà un bel po', quindi
avrà bisogno di un bel po'
di speranza.
Va' da lei. Raccontale una storia, raccontale che se
sarà paziente, arriveranno giorni che non
dimenticherà mai. Raccontale che
andrà per mare e combatterà pirati, che si
innamorerà di un uomo, che aspetterà
2000 anni per tenerla al sicuro. Raccontale che darà
speranza al più grande
pittore mai vissuto e che salverà una balena nello spazio.
Raccontale che questa è la storia di Amelia Pond.
E che così finisce.»
Amy alza il volto al cielo e sorride tristemente.
-fine-
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