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di CluClu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2. Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3. Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4. Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5. Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6. Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7. Capitolo ***
Capitolo 8: *** 8. Capitolo ***
Capitolo 9: *** 9. Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10. Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11. Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12. Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13. Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14. Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1. Capitolo ***


[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

1

Un forte vento gelido attraversa il piccolo cimitero. Tutto è quiete, il sole brilla basso. L'erba splende tra i lievi raggi del sole. In lontananza, un piccolo merlo poggiato su una lapide grigia e lucida. I grattacieli di Manhattan sono silenziosi e imponenti in un sottofondo grigio e tetro. Le nuvole si addensano sopra il corpo disteso di Amy. Si percepisce un respiro pesante e spaventato. Ha gli occhi chiusi. Le sue palpebre tremano leggermente. I capelli rossi sono distesi sopra il verde dell'erba. Si alzano alcune ciocche rosse dal vento pungente. Amy tiene ancora le palpebre abbassate, non osa aprire gli occhi. Si tocca il volto: è bagnato da lacrime che continuano a scendere giù, inesorabilmente. Solo pochi istanti prima si trovava insieme al Dottore. Sa che non c'è più, che non è più con lei. Lo sa, anche se non ha aperto ancora gli occhi. Se lo sente dentro, è sola chissà dove.
«No!» sentì aleggiare questa voce: la voce del Dottore, come un ricordo o una reminiscenza del suo subconscio.
La sua mano si sposta dalle guance al sue labbra. Sono aperte come in attesa di un urlo muto e devastante. Chiude immediatamente la bocca e prende un gran respiro.
Alza le palpebre. Gli occhi sono colmi di lacrime che le pungono il viso dal freddo. Il cielo è così opaco, come ovattato e rinchiuso in una bolla di vetro.
Il cielo osserva e nuota nei suoi occhi chiari. Occhi pieni di dolore e di addii, pieni di storie come quella di una bambina che ha aspettato il Dottore per tanto tempo. Sente ancora risuonare le loro parole d'addio, le stesse che ora ha piantate in gola a morire.
Decide d'impulso di alzarsi.
"Mi devo muovere, fare qualcosa!" pensa Amy.
Amy, viaggiando con il Dottore ha imparato a non stupirsi, a non sorprendersi delle stranezze del Signore del Tempo, ad apprezzare il suo coraggio. Eppure, quella è la cosa più assurda di tutte: il Tardis non c'è più, il Dottore non c'è più. L'ha percepito subito, ma vedere realmente il vuoto che ha lasciato è un'altra cosa. Non esiste più quella gradazione speciale di blu del Tardis, non c'è più.
Non potrà più fare nessun viaggio nello spazio e nel tempo.
Amy è in piedi, tremante, che si strofina le braccia con le mani e si appoggia alla lapide per non cadere da un improvviso capogiro.
Semplicemente lei non è più nella realtà del Dottore, quella dove ha vissuto fino ad alcuni attimi prima.
"Si sentirà in colpa" pensa Amy, "Il Dottore si sentirà in colpa".
Ed è Amy che più di tutto si sente in colpa per aver lei abbandonato il Dottore o come lo chiamava da bambina "l'uomo stropicciato".
«Lui non può stare da solo.» si ritrova a dire ad alta voce al nulla, alle statuarie lapidi davanti a lei. I capelli sferzano ribelli il suo volto, graffiandolo.
Amy ricorda tutto: di lei che da piccola aspettava tutta la notte il Dottore, delle storie grandiose che ha vissuto grazie a lui tra le stelle e lo spazio, sconosciuto a chiunque tranne per chi viaggia insieme a lui. Ricorda ogni cosa, come una piccola cabina blu, più grande all'interno, volava senza fermarsi mai. E continuerà a volare anche senza di lei. E lei persa in chissà quale tempo è bloccata, ma perché?
"Come sono arrivata qui? Cosa è successo?" sono i pensieri che percuotono Amy.
"Prima ero con lui e adesso dov'è? Perché ricordo di avergli detto addio e nient'altro?".
Lui, l'uomo solitario che aveva vissuto mille vite e solcato milioni di stelle, sconvolto tante vite e salvate contemporaneamente. Dopo aver vissuto con il Dottore non le sarebbe mai più bastata la solita vita quotidiana.
"Non devo dimenticare nulla! Devo ricordarmi ogni cosa di lui! Non posso dimenticarmi di lui!" urla dentro di sé la ragazza dai capelli rossi in quel piccolo cimitero solitario.
Si guarda intorno, cercando di riconoscere qualcosa. Manca qualche altra cosa insieme al Dottore e a River, sua figlia, e al Tardis.
«Cosa manca? Cosa? Amy ricorda!» cerca di spronare sé stessa a rimembrare e a scacciare quella sensazione di vuoto.
Improvvisamente, come veloci flashback, lei sa. Sa ogni cosa.
“Sono qui a causa degli Angeli Piangenti. Sono stati loro.
Gli Angeli Piangenti sono una razza aliena antica che può muoversi silenziosamente e molto rapidamente soltanto quando non sono visti. Quando li si osserva gli Angeli si bloccano, diventano delle statue di pietra e possono muoversi solamente quando l'osservatore distoglie lo sguardo o batte le palpebre. Si nutrono di energia temporale, per questo motivo se toccano l'osservatore lo spediscono indietro nel tempo”.
E ad Amy è successo proprio questo.
«Rory!» urla d'improvviso Amy, «Rory! Rory, dove sei?»
"Come ho potuto dimenticarmi di lui? Di mio marito?" sgrida interiormente sé stessa. Stringe i pugni e grida il nome dell'uomo che ama con tutta la voce che possiede.
«Rory! Rory! Sono io, Amy! Rory!».
Il vento sempre più freddo, il sole sempre più basso iniziano a farle battere i denti e a non farle più riuscire a emettere una sola lettera. La paura e la preoccupazione si insinuano in lei. Si gira intorno continuamente, crede di sentire la sua voce, di vedere la sua ombra, ma è solo il silenzio ad accoglierla. Rinuncia quando dopo ore nessuno si fa vivo. È da sola.
«E adesso cosa faccio?» parla con sé stessa. Soltanto guardandosi intorno, ancora una volta, si accorge della città in lontananza.
Si incammina verso il cancello principale che ha intravisto durante la ricerca di suo marito.
"E se non lo avessero portato in questo mio stesso anno?" continua a domandarsi la ragazza dai capelli rossi, "In che anno sono io?".
Una volta uscita fuori da quel cimitero grigio, ad accoglierla ci sono persone e automobili completamente più vecchi di lei. Ai suoi occhi da viaggiatrice del tempo, tutto questo non le sarebbe mai bastato, se ne sarebbe sempre meravigliata.
Gran cappotti lunghi e piccoli cappelli ricoprono ogni singola persona, persino le bambine sono infagottate e al caldo. Le auto moderne, di quel periodo, girano indisturbate tra le strade. Un tram le passa a fianco suonandogli un fortissimo clacson. La sorpresa è tale da non avere più brividi di freddo. Osserva se stessa riflessa su una vetrina: indossa un giubbotto marrone, una maglietta bianca a righe nere, dei jeans e delle scarpe scamosciate.
È troppo moderna, è troppo leggera per quel freddo. E di colpo, una punta di ghiaccio scivola lungo la sua guancia. Alza lo sguardo in alto e nota che piccoli fiocchi di neve iniziano a scendere dal cielo.
«Dannazione!» impreca sottovoce. Non ha l'abbigliamento adatto per la neve.
Si guarda attraverso le vetrine: è così fuori luogo, così sola in quel posto. Qualcuno la osserva, qualcun'altro si tiene stretta la borsa al proprio fianco e qualcuno, ancora più perfido, chiude a chiave la porta del proprio negozio.
Amy continua a camminare, non può permettersi pensieri tristi.
Le pareti dei palazzi e dei negozi sono tappezzati da locandine pubblicitarie. Piccole carrozzine scure sono spinte dalle madri magre e alte. Camminando, si accorge di una folla piuttosto numerosa davanti a una scalinata. Sono lì per una mostra pittorica. Si avvicina, cerca di capire chi sia il pittore in questione e meravigliata legge che si tratta del suo caro amico Vincent Van Gogh. Lo aveva incontrato tempo fa grazie al Dottore, lo aveva conosciuto e amato, era un uomo incredibile e incompreso. Sorride, ricordando quei giorni.
Legge sulla locandina della mostra le scritte "Dall’1 Gennaio al 1 Aprile".
Si guarda intorno per capire in che epoca possa essere o se qualcosa potesse farle capire l'anno.
Finalmente, dopo aver superato diversi isolati, nota un uomo in giacca e cravatta gettare un giornale in un cassonetto. Aspetta che si allontani e allunga la mano. Il giornale raccolto è ancora nuovo, ha pure l'odore di inchiostro fresco tra le pagine.
La prima pagina riporta la data "2 Gennaio 1940".
«1940...» mormora Amy.
"Cosa devo fare? Cosa faccio?" si domanda. Accartoccia il giornale e lo rigetta nella spazzatura, spazientita.
Si controlla le tasche del giubbotto, si svuota le tasche dei jeans. Non ha con sé soldi, tranne un orologio, una collanina, l'anello di fidanzamento, l'anello di matrimonio e una foto sua insieme a Rory.
Il flusso di persone tra i marciapiedi comincia a diminuire e le luci della città risplendono forti.
"Si sta facendo buio" sono i suoi pensieri preoccupati.
Inizia ad avvicinarsi a qualcuno per chiedergli dove potrebbe andare a dormire, ma sempre un secondo prima rinuncia. Si rincuora solamente quando nota una gioielleria. Si stringe la collanina con una mano, pensierosa.
Entra nella gioielleria, prendendo un grosso respiro.
«Posso farcela, posso farcela!» cerca di autoconvincersi.
Tutto, lì dentro, è così sfavillante: i gioielli dentro le loro teche di vetro brillano e ammaliano i clienti.
Clienti, tutt'altro che di tasche povere come lei. Gran soprabiti di tessuto pregiato avvolgono le loro spalle, scarpe lucide e cappelli pregiati li scaldano dall'inverno.
I loro sguardi altezzosi fingono di non vederla nel suo abbigliamento umile. Un bambino tira per un braccio la propria madre sussurrandole all'orecchio e indicando Amy con il suo ditino paffuto.
Amy sorride e volge il suo sguardo al commesso. Si avvicina al bancone di mogano lucido. Due signore con pellicce vistose bisbigliano e ridono senza smettere di guardarla.
Un signore dai capelli bianchi e piuttosto robusto le sorride da dietro il bancone. Lei gli rivolge la più completa attenzione.
«Salve.» saluta Amy.
«Buona sera, signorina. Cosa posso fare per lei?»
Amy nota come la stia trattando come una comunissima cliente. Gli sorride grata della gentilezza.
«Ho letto fuori che comprate gioielleria usata...» comincia Amy.
«Che cosa vorrebbe vendere?»
«Io avrei questa collana. Vorrei vendere la catenina d'oro.
Quanto potrebbe essere il valore stimato?»
«Posso vedere, signorina?»
«C-Certo!».
L'uomo afferra delicatamente la catenina e la osserva bene con i suoi occhiali dalla montatura dorata. Soppesa la collana, la lascia cadere su una bilancina e batte i tasti di una calcolatrice.
«Non posso darle più di 200 dollari. Le vanno bene?»
«Sì, molto gentile!».
Lui le sorride, afferra la catenina e la mette sotto il bancone. Apre la cassa e le porge i soldi accordati.
Prima di andarsene, però, Amy tenta di parlargli ancora.
«Posso esserle ancora utile?» domanda il commesso che comprende la sua indecisione.
«Io vorrei chiederle se può consigliarmi un hotel dove dormire...»
Il commesso, questa volta, la osserva dall'alto e in basso.
Ha assunto l'aria snob come quella di tutti quei clienti in quel negozio.
«A pochi isolati da qui troverà un hotel dagli umili prezzi.» pronuncia quasi sgarbato, «Giri a destra e prosegua dritto per un paio di isolati, troverà sicuramente il Manhattan Brothers Hotel.»
«Grazie mille, arrivederci.» mormora Amy, congedandosi il più presto possibile. Stringe i denti ed esce dal negozio. Gli volge un'ultima occhiata e si augura di non doverci rientrare mai più.

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Capitolo 2
*** 2. Capitolo ***


[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

2

Amy s'incammina verso l'indicazione data dal gioielliere e scorge dei pannelli pubblicitari di una un'opera teatrale.
Una folla ben vestita e agghindata le passa a fianco, mentre una leggera musica Jazz le invade le orecchie.
Signori con grossi sigari le lanciano un'occhiata veloce, lei continua a camminare, ma più velocemente perché è preoccupata dal sorgere della notte. Arrivata a una stradina più trasandata rispetto a quel quartiere, nota l'insegna del Manhattan Brothers Hotel.
Dentro l'Hotel tutto è in legno, ogni singolo oggetto, parete, decorazione è in legno. L'interno è molto più curato ed elegante rispetto l'esterno. Si guarda un po' intorno meravigliata dall'intaglio pregiato dei quadri e dalle piccole sculture sugli scaffali. Il soffitto incastonato di legno è pieno di luci, dando la sensazione di piccole lucciole. Un ragazzo sulla trentina la squadra da dietro un bancone.
Amy si avvicina al receptionist che non le toglie gli occhi di dosso. Lui indossa una giacca blu scuro con bottoni dorati e una camicia bianca con piccole righe. Alza gli occhiali marroni con le dita, ma i suoi occhi castani non lasciano mai quelli di Amy. Porta i capelli scompigliati e la camicia è piena di pieghe.
«Buonasera! Vorrei prendere una stanza.» saluta finalmente Amy, rompendo il silenzio tra di loro.
Guardandolo meglio, si può notare una lieve peluria sul volto del ragazzo.
«Certo, è qui da sola?»
«Sì, vorrei una singola.»
Lui sorride. Educatamente, Amy ricambia il suo sorriso. Il ragazzo controlla dei fascicoli e un libro.
«Perfetto! Abbiamo libera la stanza 12A. Avrei bisogno di un suo documento.»
«Sì, ecco... Avrei un problema: non ho più nessun documento...mi hanno derubata, è stata una giornata davvero pesante, lei capisce, no? Dovrei scaricare lo stress accumulato... Non potrebbe venirmi incontro?» supplica Amy battendo più volte le palpebre e passandosi la mano tra i capelli rossi.
Lui rimane imbambolato, ma il senso del dovere lo riporta alla realtà.
«I-io non potrei...» comincia a dire il receptionist, ma è distratto da Amy che si è appoggiata al bancone e si morde le labbra. Lui rimane senza parole, si toglie gli occhiali e se li pulisce sulla camicia per smettere, almeno per qualche secondo, di guardarla.
«Non potrei, signorina...» ricomincia il ragazzo con voce più roca, «Le regole dell'Hotel sono molto ferree e i dirigenti sono poco indulgenti... Se mai dovessero scoprirlo, io sarei...»
«Non lo scopriranno! Le darò anche una mancia!» sussurra con impeto Amy avvicinando la sua mano a quella di lui.
Sbatte le palpebre un altro paio di volte e il giovane receptionist si convince. Le allunga le chiavi e si sistema gli occhiali sul setto nasale, timidamente.
«Buona permanenza!» le augura lui prima di vederla scomparire lungo le scale.
Amy arriva alla porta della sua stanza in pochi minuti.
Gira la chiave e ad aspettarla sono delle pareti color panna con ricamati dei fiori vicino al soffitto, il letto in mogano è avvolto da lenzuola a righe bianche, blu e verdi, una gran finestra è ornata da diversi vasi di fiori colorati e da una tenda bianca e rosa. Vicino al letto c'è una piccola scrivania con uno specchio e una lampada bianca. Amy osserva quegli oggetti, li sfiora con la punta delle dita. Scruta se stessa allo specchio, ma solo per qualche secondo. Si sdraia, infine, sul letto e tiene gli occhi fissi sul soffitto.
«Rory...» mormorano le sue labbra.
"Rory, dove sei finito?" invocano i suoi pensieri. Lei strizza gli occhi come se lui potesse comparire da un momento all'altro al suo fianco.
«Rory, ovunque tu sia, ovunque ti trovi, io riuscirò a vederti ancora!» prega sottovoce.
"Dove può essere? Cosa farebbe Rory in questa occasione? Cercherebbe un lavoro, un modo per impegnare il suo tempo.
Forse lavora in qualche ospedale, forse in qualche negozio.
Dove potrei trovarlo?" si domanda Amy incessantemente, finché non si addormenta sfinita.
Amy è seduta al ristorante dell'hotel per fare colazione.
Mangia uno yogurt e alcuni biscotti, una colazione leggera e veloce. Subito dopo va alla reception per chiedere delle informazioni.
«Salve. Ha dormito bene?» chiede il ragazzo di ieri dietro al bancone con forti occhiaie. Sarà stato tutta la notte a lavorare.
«Sì, grazie. Vorrei chiederle una cosa...» inizia a dire Amy.
«Certo!»
Amy esce dalla tasca una foto del matrimonio di lei e Rory.
Gliela mostra sul bancone. Lui sbarra gli occhi per qualche secondo.
«Ha mai visto quest'uomo?» chiede speranzosa Amy.
«È suo marito?»
«Sì, non so dove si trovi...»
«Non l'ho mai visto.» dice secco il ragazzo dagli occhiali spessi.
«È sicuro?»
«Sì, non posso essere più sicuro di così.» dice, e ricomincia a lavorare a dei fogli senza più degnarla di uno sguardo. Lei annuisce e ripiega la foto.
«Arrivederci.» saluta lui, congedandola immediatamente.
Amy esce dall'hotel senza nemmeno salutare.
"Da dove comincio?" pensa Amy e si dirige verso il traffico caotico della città di Manhattan.
"Dovrei comprarmi dei vestiti più adatti".
Quando, al calar del sole, si ritrova nei pressi dell'Hotel vede delle forti luci blu e rosse della polizia. Si blocca istintivamente.
«La polizia?» si domanda sottovoce.
Attraverso il vetro dell'ingresso nota che il receptionist sta conversando con alcuni agenti di polizia che scrivono su un taccuino quello che lui gli sta riferendo. Poi, il receptionist indica il portone d'ingresso. Per un secondo i loro occhi si incontrano e lei presa dal panico inizia a correre. Corre più veloce che può, non sente l'allarme della polizia seguirla, ma sa che stanno cercando lei.
"Sono qui per me! Mi ha tradito, quel cretino!" pensa Amy, senza più avere le forze di correre e formulare pensieri coerenti.
Non sa dove sta andando, gira e rigira su stradine, evitando le persone. Il cappotto nuovo e i vestiti pesanti che si è comprata quel giorno, iniziano a farla sudare.
Distrutta dalla corsa, si ferma per prendere fiato. I polmoni chiedono pietà. Si appoggia al muro e chiude gli occhi esasperata. Non si accorge nemmeno che vicino a lei c'è una persona accovacciata per terra.
«Stai bene?» domanda la voce di una bambina.
Amy salta dallo spavento e cade per terra.
«Scusa! Non volevo spaventarti!» ridacchia la bambina. Amy la osserva meglio dentro quell'oscurità. Un corpicino fragile e con le spalle ricurve è ricoperto da un cappotto logoro che non permette a Amy di vedere il volto della bambina.
«Sto bene. Tu stai bene?» chiede la ragazza dai capelli rossi. Come risposta la bambina tossisce e abbassa il cappuccio che le avvolge i capelli.
Sotto la fievole luce dei lampioni, che si sono accesi, può vedere un volto dolce costellato da lentiggini e occhi chiari. I capelli castani sono aggrovigliati e sporchi.
«Scusa.» mormora la bambina nascondendosi di nuovo il volto.
«Per cosa ti scusi?» domanda Amy che si avvicina a lei e scivola in basso lungo la parete.
«Non sono presentabile...» sussurra mortificata la bambina. Amy ride.
«Sei bellissima anche così.»
La bambina si mostra di nuovo alla luce. Il suo volto, come i suoi vestiti, sono ricoperti da uno strato di sporcizia.
E le sorride.
«Mi chiamo Charlotte.» annuncia la bambina.
«Io sono Amelia, è un gran piacere conoscerti!»
«Ti sei persa?» domanda Charlotte che, intanto, continua a tossire e a grattarsi la guancia.
«Sì...» sospira Amy.
«Non hai un posto dove dormire?»
«No. E tu?»
Charlotte le sorride mostrandole tutti i denti, o quasi perché alcuni non ci sono e altri sono molto scuri.
«Vieni con me!» urla di entusiasmo Charlotte e afferra la mano di Amy. La trascina per diverse strade fino ad arrivare in uno spiazzale pieno di gente. Alcuni fusti di metallo sono accesi e riscaldano qualche persona lì vicino.
È il quartiere dei poveri.
Ed Amy è diventata una di loro.
Una signora prende per le orecchie Charlotte.
«Dove sei stata?» urla alla bambina.
«Ero con Amelia! Tu non sei mia madre!» grida fino a liberarsi dalla presa e nascondendosi dietro altri bambini.
«E tu chi sei?» chiede brusca quella signora dai capelli ricci e scuri.
«Sono Amelia...»
«Perché sei qui?»
«Io non posso tornare in città...» sussurra rammaricata più verso se stessa che verso la signora burbera.
La donna la osserva dall'alto e in basso, il suo sguardo si addolcisce e la porta in un posto più appartato, con meno occhi e meno orecchie.
«Che cosa ti è successo, bambina mia?»
«Credo di essere ricercata dalla polizia, non posso farmi vedere per un po'...» confessa Amy.
«D'accordo, puoi stare qui con noi se vuoi.»
«Davvero?»
«Sì, puoi dormire qui. Non è molto, ma noi dobbiamo sapere accontentarci, no?» sorride la donna dai capelli ricci e le accarezza il volto amorevolmente. Amy sorride rivolta al cielo.
"Rory dove sei?" si domanda ancora e ancora Amy.
Amy divide i soldi con Charlotte, comprano delle pagnotte e delle coperte.
«Non hai più soldi?» domanda Charlotte.
«Li ho finiti...»
«Avevi detto di aver pagato l'hotel in anticipo, vero?» le chiede la signora dai capelli ricci.
«Purtroppo sì.»
«Vieni con me!» urla Charlotte sorridente.
Amy e Charlotte tentano di rubare del cibo, ma Amy non ci riesce. Ci riprovano qualche giorno dopo e questa volta riescono a recuperare del cibo per i bambini del quartiere povero.
«Tu non mangi?» le chiede Charlotte una sera.
«Voi ne avete più bisogno» dice guardando Charlotte riempirsi la bocca di cibo, soddisfatta.
I giorni passano. I giorni diventano settimane. Amy è più magra, più debole, comincia a sentirsi stanca e senza forze.
È nei pressi della città, mentre cammina in cerca di un posto dove poter rubare qualche cosa da mangiare, quando comincia a tossire forte. Tossisce, senza riuscire a smettere. Un uomo la sta fissando. Ha uno sguardo pazzo e pervertito. Amy inizia a camminare frettolosamente per allontanarsi da lui, dalla civiltà.
"Non posso farmi arrestare, non posso smettere di cercare Rory!" pensa debolmente e incoerentemente.
«Dove corri, bellezza?» si sente dire alle sue spalle.
L'uomo è più vicino del dovuto. Amy inizia a correre, ma una forte scarica di tosse le invade i polmoni e le ostruisce le vie respiratorie. Si accovaccia per terra.
"È finita" pensa sconfitta Amy.
«Brava ragazza, adesso sei mia!» le sussurra all'orecchio l'uomo dall'alito pesante e disgustoso. Amy strizza gli occhi e prega in qualcosa.
«Rory» parlano le sue labbra.
«Cosa hai detto?» chiede l'uomo che le scosta i capelli dal volto e l'annusa.
«Ha detto di lasciarla in pace!» dice una voce risoluta e un po' più giovane, diversa da quella dell'uomo viscido alle sue spalle.
«E tu chi cazzo sei?» urla sorpreso il suo aggressore, alzandosi e lasciando la presa su Amy.
«Io? Io sono l'eroe!».
Forti rumori di pugni e imprecazioni arrivano alle orecchie della ragazza.
Amy tossisce ancora, si accovaccia sul marciapiede e poi vi è soltanto il buio.

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Capitolo 3
*** 3. Capitolo ***


[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

3

Amy apre gli occhi. È sdraiata su un letto dalle lenzuola bianche. La stanza è pure bianca. Poi il buio l'avvolge di nuovo.

Degli occhi accolgono i suoi, occhi di un azzurro profondo.
"Lui non è il mio Rory" pensa prima di addormentarsi di nuovo.

Apre gli occhi e un'infermiera sta inserendo nella sua flebo un medicinale.
«Cosa mi state facendo? Cosa ci faccio qui?» biascica Amy.
«Shh, andrà tutto bene. Ora riposa.» le sorride l'infermiera dai capelli neri.

Si risveglia con la stessa infermiera che tiene dei fascicoli in mano.
«Ciao! Ben svegliata!»
«Dove mi trovo?» domanda Amy.
«Sei in ospedale. Ho visto che manca il tuo nome nella cartella.»
«Mi sento ancora intontita...» dice Amy osservandosi le braccia piene di aghi. Il suo corpo e avvolto da coperte.
«Sì, tra poco ti addormenterai di nuovo. Ma ora dimmi il tuo nome.»
«Mi chiamo...Amy...mi chiamo Amy Pond.» sussurra prima di essere abbracciata di nuovo dal buio.

"Devo trovare Rory!" sono questi i pensieri che ha Amy quando riemerge dal sonno. Sbarra gli occhi di colpo. La stanza è diversa. È sdraiata su un letto matrimoniale dalle lenzuola di raso color tortora. Sia alla sua destra che alla sua sinistra ci sono due comodini di legno con grosse lampade bianche. Alla sua destra ci sono due lunghe e strette finestre con tende dello stesso colore delle lenzuola, mostrano un cielo sereno e azzurro. Vicino c'è una piccola scrivania in mogano e in tessuto rosso con un grande vaso pieno di rose bianche. Un imponente armadio in mogano ricopre l'intera parete di fronte al letto ed è lucidissimo. Il pavimento tutto in parquet scuro ha un gran tappeto pure di color tortora. Il soffitto è costellato da piccole luci e da un gran lampadario che ricorda molto un fiore di loto bianco. Sorride.
Non se ne è accorta prima, ma vicino alla porta c'è una persona. Un forte odore di fumo riempie la stanza.
«Bella, vero? E non hai ancora visto il resto della villa.»
pronuncia quella figura slanciata appoggiata allo stipite della porta.
È un giovane uomo, alto, moro e incredibilmente bello. Ha i capelli lisciati all'indietro, indossa una giacca e camicia scure. Le sorride con la sigaretta tra i denti.
Amy nota che l'ha già fumata quasi del tutto.
«Mi osservi già da molto?» domanda senza timore Amy, accennando al vizio del ragazzo che ha tra le dita. Lui alza un sopracciglio.
«Me lo chiedi per questa?» dice indicando la sigaretta. Il giovane ridacchia e prende un'altra boccata di fumo, fissandola.
Una donna entra di corsa nella stanza.
«Tua madre non vuole che si fumi in casa.»
È visibile l'irritazione del giovane.
«Si dà il caso che lei non sia a casa, adesso.»
La donna va via e Thomas si rivolge di nuovo ad Amy, scrutandola e sorridendole.
«Amy, non mi riconosci?»
«Dovrei?»
«Certo che dovresti. Ti ho salvato la vita!» dichiara sorpreso e risentito Thomas.
«Non ti offendere, ma non so nemmeno dove mi trovo!»
ribatte lei.
«Ti trovi nella villa dei Wilkinson, nonché proprietà della mia famiglia. Io mi chiamo Thomas, e ti ho salvato la vita!»
«Sì, me l'hai già detto.» sospira Amy, poi continua dicendo «Che giorno è oggi? Comunque vorrei mi chiamassi Amelia Williams.»
«Amelia Williams? Ma ai medici hai detto di chiamarti Amy Pond.»
«Diciamo che mi chiamavano così in un'altra vita, ora voglio essere chiamata Amelia Williams.»
Thomas annuisce e continua a fumare; vi è un palese attimo di esitazione da parte di entrambi.
«Cosa mi è successo? Perché sono qui? Come ci sono arrivata?»
Si sente il rumore delle ruote su dei ciottoli. Uno sbattere forte di un portone, presumibilmente quello principale della villa. Una voce lontana di donna ordina qualcosa a qualcuno.
«Spero che la cena sia pronta!» manifesta il vocione basso di un uomo.
«Oh, ecco i miei genitori. Hai fame?» le chiede Thomas.

Sono seduti a un lungo tavolo di legno imbandito da gran piatti fumanti. Mille odori invadono la stanza spaziosa.
Tutti mangiano silenziosamente. Thomas le lancia qualche occhiata divertita.
«Volevo ringraziarvi dell'ospitalità.» dice Amy ai signori Wilkinson che non hanno mai alzato la testa dal piatto, tranne che per impartire qualche ordine alle cameriere.
La signora Wilkinson la guarda.
«Da quando facciamo mangiare al tavolo i nuovi domestici, caro?»
«Non lo so, cara» le risponde il signor Wilkinson che non alza nemmeno il volto per parlare.
«No, io non sono la nuova domestica...Io sono...»
«Sei la nuova addetta alle mie peonie?»
«No, io...»
«Ah, certo! Tu devi essere la nuova degustatrice di vini! Caro, come ho fatto a non capirlo subito?»
Amy la guarda stranita.
«In effetti, si vede proprio che è una degustatrice di vini!» annuisce Thomas che se la ride sotto i baffi. Non l'avrebbe aiutata in alcun modo in quell'imbarazzante momento.
«No, signora. Io non lavoro per voi.»
«Caro, quando abbiamo assunto una nuova degustatrice di vini? Non rimembro nessuna assunzione. Non te ne sarai occupato tu?» continua la signora Wilkinson.
"Aiutami" mima con le labbra Amy verso Thomas. Lui sfodera uno due sorrisi più accecanti della storia dei sorrisi.
Indica se stesso e alza un sopracciglio.
Amy sbuffa e alza gli occhi al cielo.
«Signora Wilkinson, le ripeto io...» ritenta Amy.
«Madre, la signorina Amelia non è una vostra dipendente.»
«Oh, davvero?» lo guarda meravigliata la signora Wilkinson.
«È la ragazza che ho salvato!»
Si vanterà per sempre di questa cosa, Thomas non si stancherà mai di dirlo.
«Ah, ma perché non l'hai detto subito...come hai detto di chiamarti?»
«Mi chiamo A...» prova a presentarsi Amy, ma viene interrotta da Thomas.
«Il suo nome è Amelia, madre.»
«Giusto, Amelia. Dicevo: Amelia potevi dirlo subito di essere una nostra ospite! Potrai stare nella nostra villa tutto il tempo che ti sarà necessario!».
«G-grazie.» dice, infine, Amy, rinunciando ad aggiungere altro.
«È ottimo questo pesce, mia cara.» si esprime il signor Wilkinson dopo molti minuti di silenzio.
«Oh, Gertruda ha recuperato personalmente questo pesce al mercato. Le ho detto o prendi la prima scelta o...»
Amy ascolta educatamente la conversazione, rimanendo in silenzio. Eppure, Thomas le colpisce il piede con il suo.
"Cosa vuoi?" mima Amy.
«Amelia, non ti sarai mica offesa, vero?» domanda ad alta voce Thomas. Lei di rimando gli lancia un calcio sotto il tavolo.
"Shh, ti sentiranno!" mima ancora Amy, indicando con gli occhi verso la direzione dei signori Wilkinson dall'altra parte del tavolo.
«Neanche ci sentono.» continua tranquillo lui, imboccandosi con dell'altro pesce. Amy osserva i padroni di casa e vede che Thomas ha ragione. Sono talmente immersi nel loro discorso da non accorgersi di nulla intorno a loro.
«Sono abituato.» risponde Thomas a una domanda che deve aver visto nell'espressione di Amy.
Amy ritorna a mangiare, fingendo di essere a casa sua.
«Non è andata poi così male, no?» tenta ancora di attirare le attenzioni della giovane donna dai capelli ramati.
«Sì, dopotutto sì.»
Lui le sorride e a lei le sembra così naturale ricambiare il sorriso.
«Bene.» dice lui tra sé e sé. E poi ricominciano ognuno a gustarsi il proprio piatto, immersi tra i loro pensieri.

Amy cerca di prendere dalla sua stanza tutto ciò che le appartiene, ovvero due cosette contate.
Attraversa i corridoi, arriva all'atrio ampio e luminoso della villa. Poi dei passi dietro di lei la fanno voltare.
«Dove pensi di andare?» domanda Thomas, fumando una sigaretta.
«La domestica non aveva detto che non dovevi fumare in casa?»
«Parli di Gertruda? Io posso fare quello che voglio in casa mia, Amelia.»
«Okay, come dici tu. Io vado. Addio!» saluta Amy e tenta di aprire il maestoso portone bianco.
«Per pura e semplice curiosità: dove andrai a dormire questa notte?»
«Io-io ci penserò...»
Thomas si avvicina. Si è cambiato: indossa una lunga vestaglia blu scuro aperta sul petto, lasciando intravedere una pelle splendente.
Il fumo le invade le narici e la fa tossire. Lui sorride.
«E quando hai intenzione di pensarci? Sotto il freddo invernale?»
«Io...»
«Amelia, puoi restare qui.»
«Non vorrei approfittarne...»
«Te l'ha detto anche mia madre: sei la benvenuta. Abbiamo così tante stanze libere che qui ci si sente sempre soli.»
Amy e Thomas si guardano negli occhi. Lui, con lo sguardo, quasi la supplica di rimanere. Di rimanere per lui.
«Resta, Amelia.» dice ancora lui.
«Okay, ma non sarò il tuo divertimento!» mormora a denti stretti la ragazza che ritorna sui suoi passi. Si scosta da Thomas e ritorna in camera.
Thomas sorride e si accende un'altra sigaretta.

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Capitolo 4
*** 4. Capitolo ***


3 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

4

Amy apre gli occhi. Il sole filtra dalla finestra. Esce dalla stanza per fare colazione in cucina, ma vede Thomas nel corridoio.
Amy lo ferma subito.
«Thomas stavo cercando proprio te!»
«Non avevo dubbi!» dice lui sorridendo a trentadue denti.
«Certo... Ti volevo chiedere: quando ero ricoverata in ospedale, qualcuno è venuto a farmi visita?»
«Fammi pensare...»
Amy resta in silenzio speranzosa.
«Qualcuno, in effetti, è passato e ti ha lasciato dei fiori...»
«E l'hai visto in faccia?»
«Alto, capelli scuri, occhi di un azzurro incredibilmente profondo. Penso sia una persona molto intelligente. Era molto bello, sexy e di un sorprendente umorismo. Aveva un fisico perfetto, sì, assolutamente perfetto. Non per vantarmi, ma mi accorgo subito di queste cose in una persona.»
«Bello...sexy...THOMAS!»
«Che c'è?» ride lui.
«Non prendermi in giro! So che stai parlando di te stesso!»
Lui continua a ridere.
«Avresti dovuto vedere la tua faccia!» e poggia le mani sulla pancia.
«Sii serio! Non vorrei che ti soffocassi con tutte queste risate.»
«Amy, sei troppo divertente!» continua a ridere, «Comunque no, non era passato nessuno, escluso me e qualche medico.»
«Ah...»
«Aspettavi qualcuno?»
«No, nessuno...»
Thomas scruta il suo sguardo. Le lancia uno occhiolino.
«Amelia, ora dovrai scusarmi, ma ho del lavoro da sbrigare.
Ci vediamo più tardi!» annuncia lui sistemandosi la giacca.
«Sì, va bene, certo.»
Segue Thomas con lo sguardo, fin quando non scompare alla sua vista.

Amy ritrova l'ospedale dove l'ha portata Thomas.

«Avete visto quest'uomo?» chiede a un'infermiera al banco informazioni, mostrandole la foto del suo matrimonio.
«Io no. Tu, Agatha?» dice un'infermiera e fa vedere la foto a una collega.
«Mai visto.» risponde secca e va via con dei fascicoli in mano.
«Siete sicure che non lavora qui?» continua a chiede Amy.
«Dolcezza, lo sapremmo, non credi?» la guarda la donna paffuta al bancone.
«Sto semplicemente facendo una domanda...»
«Dolcezza, hai qualche problema?»
«Che problemi ho io? Che problemi ha lei! Le volevo chiedere solo una cosa!»
«Perfetto, hai avuto la tua risposta, ora puoi andartene.»
«Sì, grazie, buon lavoro.» mormora stizzita Amy, strappandole di mano la sua foto.
«Sì, sì.»
La congeda con un gesto della mano l'infermiera. A passi veloci Amy esce dall'ospedale. Si copre la faccia con le mani e lancia un urlo silenzioso.
«Sono tutti antipatici in questa città?» bisbiglia Amy esausta, allontanandosi il più possibile da quell'ospedale.
Girovaga per la città. Una leggera pioggia inizia a riempire le strade. Si protegge i capelli e i vestiti con il cappotto, ma il freddo soccombe presto in quella tarda mattina. Stufa, Amy decide di ritornare alla villa dei Wilkinson.
La villa, sfarzosa anche nel più piccolo fiore davanti al portone, si innalza per due piani e si estende per metri e metri. Il giardino è composto da un prato verde e da siepi perfettamente sistemate e da una fontana al centro del sentiero di ciottoli. Nonostante il freddo e la neve, riescono a tenere tutto pulito e sempre incredibilmente verde.
Amy supera le quattro colone nell'uscio davanti il portone ed entra.
Si dirige in cucina per prendere qualcosa da mangiare, ma si ferma perché sente la signora Wilkinson urlare a qualcuno. La risata di Thomas, fa capire a Amy contro chi sta sbraitando.
«Kathrin, calmati. Ti sentiranno tutti.» sentenzia il signor Wilkinson che è passato davanti Amy per entrare in cucina.
«Herman, caro, non gli permetto di continuare così!» e ricomincia a urlare contro Thomas. Una cameriera si avvicina ad Amy con un recipiente stracolmo di mele verdi, ma percepisce la tensione nella stanza e ritorna indietro.
Amy le corre incontro e afferra una mela, fuggendo da quelle urla.

Cammina tra i corridoi, quando vede Kathrin Wilkinson urlare ancora al figlio davanti alla stanza di Thomas che è affianco alla sua. Amy si volta e va da un'altra parte.

Amy, una sera, decide di fare una passeggiata nel giardino della villa, ma fuori c'è Thomas che soffia fumo in faccia alla madre, mentre lei gli grida contro.
"Un giorno le scoppierà una vena del collo a quella povera donna!" pensa Amy, allontanandosi il più velocemente possibile.

La ragazza dai capelli rossi, imbocca un corridoio che porta a un lato della casa che non aveva mai visitato. Si affaccia a una delle stanze e scorge degli studi e una biblioteca immensa. Si intrufola proprio dentro quest'ultima. Il suo entusiasmo, però, si spegne in pochi secondi: Kathrin sta urlando al figlio.
«Sei pigro! Vuoi diventare un fallito ed essere lo zimbello della redazione?» urla ancora e ancora. Thomas sbuffa e le volta le spalle.
Amy ritorna sui suoi passi prima di incontrare un nervoso Thomas.

Una mattina Amy entra nel suo bagno personale e si accorge che mancano gli asciugami. Va per uscire e chiamare Gertruda, ma la padrona e il figlio si stanno urlando addosso.
«Vuol dire che mi asciugherò con i miei capelli!» sussurra tra sé e sé Amy e alza gli occhi al cielo. Richiude la porta e aziona la doccia.

Amy entra nella biblioteca e vi trova Thomas chino su una scrivania, davanti a dei fogli. Lo vede sbuffare e accendersi una sigaretta.
«Avete smesso di litigare tu e tua madre?» domanda Amy senza preannunciarsi. Thomas si soffoca con una boccata di fumo. Amy ride, si avvicina alla scrivania e con gli occhi cerca di capire cosa sta tentando di scrivere Thomas.
«Mi segui adesso?»
«Siete voi che urlate ovunque. Non potevo andare da nessuna parte che vi sentivo gridare!»
«Sarà...» dice, inspirando altro fumo. La osserva dall'alto e in basso: Amy indossa un vestito lungo fino al ginocchio di color marrone scuro, quasi nero, che le lascia scoperte una buona parte - almeno a quei tempi - delle sue gambe lunghe. Si accorge che Thomas la osserva compiaciuto.
«Cosa stai facendo?» chiede lei per sviare la sua attenzione.
Lui tossisce e cerca di ricomporsi, facendo cadere, accidentalmente, la sigaretta sui fogli.
«Dannazione!» impreca il giovane.
«Ti aiuto!» dice Amy. Raccoglie più fogli possibili e con la coda dell'occhio legge le poche righe scritte sopra.
«Stai scrivendo un articolo?»
«Sì, sì.» dice lui sovrappensiero, gettando la sigaretta in un cestino sotto la scrivania, «Mia madre vuole che contribuisca al giornale come facevo quando ero ragazzino.»
«Sei diventato svogliato con l'età?»
«Divertente!» mormora sarcastico Thomas.
«Ti aiuto io, se vuoi. Non ho molto da fare in questa grande casa.»
«Potresti aiutare Gertruda, le stai molto simpatica!»
«Divertente, davvero! L'altro giorno ha tentato di mettermi sotto con la sua macchina!» dice Amy e rotea gli occhi verso l'alto. Si poggia la mano su un fianco e lancia uno sguardo di rimprovero verso Thomas.
«Quanto amo quella donna...» sospira lui. Amy gli schiaffeggia la spalla e va per andarsene.
«Perché mi aiuteresti?» domanda ad Amy un attimo prima che lei apra la porta.
«Scrivevo recensioni di viaggi in un giornale, molto tempo fa.»
«Una come te?»
«Che vorresti dire, scusa?» chiede risentita Amy.
«Oh, nulla, assolutamente nulla. Amelia, ti ringrazio, ma devo rifiutare.»
Amy sorride ed esce, lasciando un Thomas disperato con le mani in faccia e gli occhi chiusi.

È notte, Amy gira e rigira per la sua stanza. Ha potuto leggere le poche righe che aveva scritto Thomas.
"Non scriverà nulla in quello stato, devo aiutarlo!" pensa d'impeto la ragazza. Scosta gli oggetti dalla sua piccola scrivania e inizia a scrivere su dei fogli bianchi. Esce dalla sua camera e a piccoli passi si avvicina alla stanza di Thomas. Guarda a destra e a sinistra e poi lascia scivolare i fogli sotto la porta.

Amy è in giardino, seduta sugli scalini. Guarda il cielo stellato pensierosa. Non percepisce nemmeno la presenza di Thomas che sta uscendo dalla sala pranzo e la sta raggiungendo, silenziosamente. La osserva, ne rimane incuriosito.

Si appoggia al corrimano degli scalini. Accende, come d'abitudine, una sigaretta. Neanche il rumore dell'accendino riporta Amy alla realtà.
«A cosa stai pensando?» le domanda Thomas a un tratto.
«Oh, ciao. Non ti ho sentito, scusa.» dice lei, ricomponendosi.
Thomas resta in silenzio qualche secondo, poi le lancia sulle gambe il giornale che aveva in mano. Amy lo guarda interrogativa.
«Aprilo.» mormora lui tra una boccata di fumo e l'altra.
Sul volto di Thomas appare un mezzo sorriso.
Amy riporta la sua attenzione al giornale, che poi apre.
Nota che è stato pubblicato l'articolo che ha scritto lei a nome di Thomas, ovviamente. Lei sorride, orgogliosa di se stessa.
«Se ti proponessi un accordo?» domanda improvvisamente il giovane.
«Dipende. Accordo di che tipo?»
Lui la guarda malizioso. Amy sbuffa e riguarda il giornale.
«Se tu mi scrivessi gli articoli, cosa vorresti in cambio da me?» continua lui e ritorna il suo sorriso malizioso.
Amy ci pensa un attimo.
«Mi servirebbero dei documenti.» decide di dire Amy, alla fine.
Thomas si ammutolisce, non fa nessuna domanda.
Invece, butta la cicca della sigaretta.
«Bene, mi serviranno solo un paio di giorni.» annuncia lui e lascia Amy ai suoi pensieri.

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Capitolo 5
*** 5. Capitolo ***


3 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

5

Ogni notte prima di andare a dormire, Amy mette gli articoli scritti sotto la porta della stanza di Thomas. Si guarda intorno per vedere se qualcuno è in giro, e poi si avvicina silenziosamente alla stanza del giovane. E come è arrivata, ritorna nella sua camera.
Una volta, però, mentre sta tornando in camera sua, dopo aver lasciato i fogli da Thomas, sente un rumore in corridoio. Corre subito nella sua stanza, sperando di non essere stata intravista da nessuno. Amy incrocia le dita e riapre leggermente la porta, quel tanto che basta per affacciarsi.
Kathrin Wilkinson è china sul pavimento, proprio davanti alla camera del figlio. Si solleva e tiene in mano i fogli che pochi attimi prima Amy aveva lasciato. La donna non stacca gli occhi dalle pagine. Sta leggendo le parole di Amy. Improvvisamente, guarda verso la sua direzione con le sopracciglia contratte.
Amy chiude velocemente la porta e si infila subito sotto le coperte di raso. Chiude gli occhi e cerca di dormire.
La mattina, mentre Amy passa davanti lo studio di Kathrin si accorge della voce della donna che sgrida il figlio.
«Thomas, ascoltami! Non continuare a fumare quelle stupide sigarette! Hai permesso che pubblicassimo gli articoli di Amelia a tuo nome! Non ti vergogni nemmeno un po'? Come puoi essere così pigro?» urla Kathrin.
Amy sentendo il suo nome, commette l'errore di fare rumore.
Le urla si interrompono subito.
«Amelia, entra pure.» si sente chiamare la ragazza.
Amy entra con il capo chino, si fa piccola in un angolo.
«Adesso, Thomas vai. Non voglio più parlare con te...Lasciaci sole.» dice Kathrin sfinita, sedendosi sulla sedia davanti alla sua scrivania. Thomas ha un leggero sorriso sulle labbra. Sfiora la spalla di Amy e prima di congedarsi le fa l'occhiolino.
Il silenzio invade la stanza. Amy tenta di parlare per rompere il ghiaccio, ma Kathrin la interrompe subito.
«A me non piace la gente che mi prende in giro, né tanto meno tollero che mio figlio e i suoi amici cerchino di ingannarmi. Non posso far finta di nulla, agirò di conseguenza, senza neanche parlarne con mio marito!»
«Chiamerà la polizia? Vuole che vada via dalla sua casa?» domanda Amy sinceramente preoccupata, sedendosi su una sedia.
«No, cara, voglio assumerti.»
«Cosa...» alza subito il volto. Quella donna è strana.
«Ora vai. Ho delle cose da fare.»
Kathrin si china su dei fogli e inizia a scrivere. Amy, sentendosi di troppo, esce e si chiude la porta alle sue spalle. Il sorriso balena sulle sue labbra e nei suoi occhi verdi.

Amy si guarda allo specchio. Si liscia i vestiti con le mani. Indossa una gonna lunga grigia fino al ginocchio e una camicia rosso scuro con sopra una giacca della stessa tonalità della gonna.
Entra nella sala da pranzo dove i Wilkinson stanno facendo colazione, manca solo Herman. Due paia di occhi si sollevano dal tavolo per guardarla.
Kathrin si alza dalla sedia.
«Sei pronta?»
«Sì, signora.» dice educatamente lei, si riosserva, contenta, i vestiti nuovi.
«D'accordo, prendo il mio soprabito.» dichiara Kathrin ed esce dalla stanza.
Thomas la sta fissando fin da quando è entrata, ma aspetta che la madre vada fuori prima di parlare.
«Adesso siete amiche?» domanda.
Amy lo ignora totalmente. Prende un biscotto e lo morde.
La ragazza dai capelli rossi non smette di sorridere.
«Amelia! L'autista ci aspetta!» dice Kathrin, affacciandosi nella stanza. Amy guarda Thomas e gli sorride, poi segue la donna che è diventata il suo capo.

Amy lascia entrare in macchina prima Kathrin e, infine, si accomoda anche lei.
L'auto parte e Amy si prende di coraggio.
«Grazie per il vestito.» dice.
«Non potevo permettere che ti presentassi al lavoro in maniera non consona e inappropriata. Ne sarebbe stata della mia reputazione. Sarà compito di Gertruda procurarti gli abiti per il tuo lavoro.» parla Kathrin senza distogliere lo sguardo dal paesaggio del finestrino.
«La ringrazio, signora Wilkinson. È troppo gentile con me, non vorrei approfittarne. Non appena avrò la mia prima paga, cercherò un appartamento tutto mio e...»
«Non voglio sentire altro. Pascal si sbrighi, siamo in ritardo!»
Amy alza gli occhi al cielo e sorridendo guarda le strade scorrere dal vetro.

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Capitolo 6
*** 6. Capitolo ***


[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

6

E' dura essere se stessi, mantenere la lucidità e la calma quando quello che sta per realizzarsi è uno dei tuoi sogni più grandi. Lavorare in uno dei giornali più importanti dei quell'epoca...chi l'avrebbe mai detto?
Il rumore dei passi di Amy viene perfettamente coperto da quello di altri. Per fortuna, pensa lei, tutti sembrano concentrati sul proprio lavoro, talmente tanto da non aver occhi che per le loro scartoffie.
Così avanza velocemente, cercando di non pensare alle proprie gambe tremanti, al battito del cuore - anch'esso fortunatamente mescolato alla già presente quantità di suoni - ma anzi, focalizzando l'attenzione su ciò che immagina accadrà.
Segue la signora Kathrin, che nel frattempo le spiega il lavoro da cui dovrà partire; molti dipendenti al suo passaggio la salutano, quasi rapiti dalla sua figura, e lei ricambia con un semplicissimo ma aggraziato cenno del capo, accompagnato da un lieve sorriso. Anche Amy ammira la sua eleganza (e contemporaneamente prova un certo senso di sollievo, nel notare gli occhi di tutti puntati addosso alla signora Wilkinson), fatta sia di movimenti che di vestiti: il tailleur blu cobalto che indossa sembra esser stato realizzato apposta per lei, così come i vari accessori non potevano che appartenerle, la borsetta che porta sull'avambraccio sinistro e il cappello richiamano lo stesso identico colore del tailleur.
In mezzo a quella folla di scrivanie Amy ne avvista una libera, quindi capisce che è lì che Kathrin la sta accompagnando. La donna alza un avambraccio per comunicarle di fermarsi.
«Questa sarà la tua postazione.» le dice, alzando poi il viso in cerca di qualcuno. Amy annuisce, ma nota subito che lo sguardo della Wilkinson non è diretto verso il suo, ma verso quello di una ragazza qualche metro più in là, e basta quello per capirsi. In pochi istanti la stessa ragazza le raggiunge, mostrando un sorriso smagliante.
«Buon giorno, Alicia. Ti affido il compito di occuparti della signorina Williams.»
Alicia osserva Amy, e annuisce agli ordini della signora Wilkinson, che senza perdere altro tempo, si allontana.
«Piacere, mi chiamo Alicia Wood, lavoro qui da ben cinque anni, faccio la giornalista grazie a mio padre che ha fatto il reporter per tutta la vita, girando il mondo. Mi occupo della sezione "libri e saggi"; all'inizio non volevo questo lavoro, perché volevo occuparmi del reportage come mio padre. Ti ho già detto come si chiama? Philippe Charles Wood, hai mai sentito parlare di lui?»
«Ehm...»
«Immagino di sì, è andato in Russia, Inghilterra, in Francia...ma tornando a me: quando sono arrivata qui il posto di reporter era già stato assegnato a Peter Saxon, uno sbruffone snob. Ero così disperata che andai alla ricerca di un caffè super-extra forte! Mi scontrai con Tobey, e...a te piace il caffè?»
«A dire il vero n-...»
«Io ne bevo sempre tre tazze al giorno. Quando incontrai Tobey non potei fare a meno di notare i suoi occhi azzurri, le sue labbra, il suo sorriso, le sue...»
Non è possibile. Appena arrivata in redazione, e già vuole scappare via?
Perfino le orecchie di Amy protestano e chiedono pietà allo stesso tempo.
Si guarda intorno, studiando le caratteristiche di quel posto. La confusione continua riempire quell'enorme ufficio, condiviso da gente che corre da un posto all'altro, che discute, che va e viene. Davanti ai suoi occhi, però, risalta un qualcosa di familiare: un vaso contenente dei girasoli e, osservando meglio, un biglietto di benvenuto legato per mezzo di un nastro al vaso stesso. L'espressione della giovane muta alla velocità della luce, rabbuiandosi.
«...e quindi io e Tobey stiamo insieme da quel giorno. Non è romantico? Io amo i libri romantici, a casa ho una libreria piena di libri - strano, vero? - dovresti venire qualche volta. Comunque...spero di non essere stata invadente.»
Alicia nota Amy fissare i girasoli con aria malinconica e, dopo aver ripreso sufficientemente fiato, le chiede «Tu stai con qualcuno?
Non...non ti piacciono i fiori?».
Come se fosse stata presa alla sprovvista, Amy viene violentemente riportata alla realtà. Le sembra strano che a farlo sia stata proprio Alicia.
«...mi piacciono, solo che mi ricordano un vecchio amico.»
«Ah, capisco. Se vuoi li faccio portare via.»
«No, va bene così. Oggi cosa devo fare?»
«Per oggi sei libera, non ho nulla da farti scrivere. Approfittane per vedere la redazione, e...se hai bisogno di compagnia, mi trovi nello studio di fronte!»
«D'accordo, me ne ricorderò.»
Alicia la saluta con un cenno della mano, accompagnato dal solito sorriso abbagliante; le volta le spalle e fa per andarsene, ma improvvisamente si ferma, rivolgendosi nuovamente ad Amy «è stato davvero un piacere conoscerti. Benvenuta tra noi!».
Sulle labbra di Amy si forma un sorriso, più forzato che spontaneo.
Allora si siede sulla poltrona, appoggia i gomiti sulla scrivania e fissa il vaso coi girasoli.
"Su, Amy, è un giorno speciale. Non rovinartelo così."

Maggio 1940.
Da almeno un paio d'ore fissa il soffitto, giocherellando con la fede. Quella notte incubi e pensieri di vario genere - specialmente negativi - le hanno invaso la testa come uno sciame d'api riempie il proprio nido. Pensieri pungenti, pensieri che non le hanno permesso di dormire come una qualsiasi persona normale.
Improvvisamente quella finta quiete viene interrotta da Gertruda, che entra nella sua stanza senza nemmeno preoccuparsi di bussare.
«Il signor Wilkinson ti attende nel suo ufficio» le dice, intercettando lo sguardo sprezzante di Amy. Gertruda va via così com'è venuta.
Si dà una sistemata veloce, quindi esce dalla stanza avviandosi in direzione dello studio del signor Wilkinson. In corridoio incontra Thomas, che le sorride sornione.
«Che c'è?» gli chiede Amy, non potendo restargli indifferente.
«Buona fortuna.»
«Buona fortuna per cosa?»
Thomas non le risponde. Mantiene la stessa espressione, andando via.
Amy sospira, scuotendo la testa. Riprende a camminare.

Raggiunta la porta, bussa un paio di volte. «Avanti!» urla l'uomo.
Così apre la porta: il signor Wilkinson è seduto sulla sua poltrona, vestito da lavoro.
«Accomodati.» le dice, quasi sussurrando. Lei lo prende alla lettera, sedendosi su una delle due poltrone davanti alla scrivania.
«Voleva chiedermi qualcosa?»
Wilkinson esita per qualche attimo, incrociando le dita delle sue stesse mani e poggiando i gomiti sulla superficie legnosa della scrivania.
«Sarò breve: mia moglie ti ha messo alla prova e con grande sorpresa ti sei dimostrata all'altezza del lavoro che ti è stato assegnato. Tutti si sono affezionati a te, soprattutto mio figlio Thomas. Ho visto come vi guardate, e non permetterò che si venga a creare un particolare legame tra voi, se capisci cosa intendo. Ma non è per questo che ti ho fatto chiamare...»
Amy non capisce se prendere quel discorso come una questione seria, o una presa in giro. Opta per la prima, sospirando sommessamente.
«...ebbene, stavolta sarò io a metterti alla prova: lavorerai insieme ad Alicia nella sezione "Libri e saggi". Ritieniti fortunata, non capita a tutti di ricevere una promozione in così poco tempo.»
Una...promozione? Allora era questo quello di cui voleva parlarle.
Spalanca gli occhi, sorpresa dalle parole dell'uomo.
«Io...non ho parole. La ringrazio per la sua fiducia, non la deluderò.»
«Bene, è tutto. Ci vediamo a cena.»
I due si alzano, Wilkinson la accompagna alla porta poggiandole una mano sulla spalla.
«Gertruda ha preparato un'ottima anatra all'arancia.»
Amy gli sorride, uscendo dallo studio.

Tornando verso la sua stanza, Amy ripercorre mentalmente tutto ciò che è appena accaduto nello studio del signor Wilkinson: ancora non riesce a credere che lei, appena arrivata, abbia già ottenuto una promozione per il lavoro che più ama fare.
Da quando le sue orecchie hanno udito la parola "promozione", sulle sue labbra si è dipinto un sorriso, forse esageratamente brillante. Entra nella propria camera, chiudendo la porta. Si appoggia su quest'ultima con le spalle, una mano sul ventre; respira profondamente, emettendo l'attimo dopo un piccolo grido di gioia.
«Okay, Amy. Okay. Mantieni la calma. Cosa vuoi che sia una promozione...»
Sussurra, tra se e sé. Sulla scrivania di fronte a lei, distante qualche metro, intravede qualcosa. Si avvicina ad essa, scorgendo uno scatolino stretto e lungo, con allegato un biglietto - che apre per primo, troppo curiosa di sapere chi è l'autore di quel regalo.
"Ad una persona che ha visto lungo. Firmato: il tuo carissimo, affezionatissimo, bellissimo Thomas W."
Amy scoppia in una risata liberatoria, scuotendo la testa.
«Quel Wilkinson è proprio un pazzo.»
Posa il biglietto sulla scrivania, afferrando invece lo scatolino. Lo apre, tirando prima un cordoncino e poi l'altro, strappando la carta; apre lo scatolino e al suo interno vede un paio di occhiali da vista. Sul viso della ragazza è ancora stampato un sorriso.
Prende gli occhiali e li inforca; si avvicina allo specchio, guardandosi.
«Va bene, Thomas. Approvati.»
 

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Capitolo 7
*** 7. Capitolo ***


[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

7

Amy è seduta sui gradini, vicino la porta d'ingresso.
Ha mangiato talmente tanto da avere la nausea.
Nel silenzio generale del quartiere distingue la voce della signora Kathrin - che attraversa le finestre aperte della sala da pranzo - rivolta a Gertruda. Il resto della servitù sta occupandosi di sparecchiare la tavola.
«Complimenti per la squisita anatra...»
Amy avverte una presenza alle sue spalle, più per la puzza di fumo che per il rumore emesso dai passi: è Thomas. Scocciata, fa roteare gli occhi.
Il ragazzo si piega sulle gambe, abbassandosi fino ad incontrare lo sguardo di Amy.
Le porge un mazzo di fiori - solo con una mano, l'altra sta tenendo la sigaretta.
La giovane lo guarda negli occhi, aggrottando la fronte.
«Dei fiori? Per me?»
«Certo. Prendili.»
Senza capire la ragione di quel gesto, accetta quel pensiero afferrando il mazzo di fiori.
Osserva quest'ultimo, indugiando. «Ehm...grazie?»
«Non ringraziarmi, o mi farai arrossire!» esclama Thomas, in modo quasi teatrale.
«Invece ti ringrazio perché non l'ho fatto abbastanza...soprattutto per i documenti, anche se ci hai messo più tempo del previsto a procurarmeli...»
«Io mantengo sempre le mie promesse.» le risponde, diventando improvvisamente serio. Sulle sue labbra rimane ancora l'ombra di un sorriso.
«Sono davvero belli.» ammette, osservando con più attenzione i fiori.
Dopo qualche secondo sposta lo sguardo su Thomas, facendo una smorfia.
«Ma tra una boccata di fumo e un'altra respiri?»
Il giovane ride sotto i baffi, spegnendo la sigaretta sulla superficie di uno scalino.
«Vieni con me» si alza, porgendo la mano sinistra ad Amy.
Quest'ultima lo guarda, incerta.
«Dovrei fidarmi?»
«Dopo tutto questo tempo ancora non ti fidi?»
«Ovviamente no.» gli risponde, ridendo. Afferra la sua mano, seguendolo.
I due raggiungono il retro della villa, silenziosamente, salendo poi una scala a chiocciola che li porta fin sul tetto.

Amy guarda il panorama: luci sparse per tutto il quartiere finiscono per confondersi con tante altre. Insegne al neon, lampioni, automobili, grattacieli, comignoli fumanti fanno da protagonisti ad una vista mozzafiato. Thomas raggiunge per primo il tetto: aiuta Amy a salire e una volta entrambi sopra, il ragazzo afferra la sua mano, muovendo qualche passo. Poi si siede, ammirando lo splendido scenario.
«Vengo sempre qui, quando sono nervoso. Tutto questo mi rilassa.»
«Quindi sei nervoso?»
«...ho notato che qualcosa ti turba.» si schiarisce la voce Thomas, fissando qualsiasi soggetto non sia Amy.
«A te invece cosa turba?» inclina la testa verso il lato destro, studiando i movimenti del giovane.
«Non tentare di sviare il discorso.»
Solleva il viso, incrociando gli occhi di Amy, già fissi su di lui.
Passano alcuni secondi ad osservarsi, prima che uno dei due scoppi a ridere, interrompendo la dolcezza di quel momento, di quegli sguardi. Thomas scuote la testa, arrendendosi.
«Mio padre vuole che mi sposi entro un anno, senza una ragazza da sposare...» sospira, continuando «...ho ventisei anni, voglio ancora divertirmi. Che rottura!»
«Già. Il matrimonio non dovrebbe essere una forzatura.»
«Tutti dovrebbero avere il diritto di innamorarsi e sposare chi vogliono.» dice Thomas.
«Già.» ripete lei, stavolta con un tono di voce quasi sussurrato.
«Ti vedo triste.»
La rossa si ravvia i capelli con un gesto della mano, trovandosi ancora di fronte una situazione che le chiede esplicitamente cosa non va, cosa tenta di nascondere.
«Se hai qualche domanda, falla e basta, Thomas.»
«Cosa ci faceva una ragazza come te tra i poveri?» si lancia lui, senza troppi convenevoli. Amy tentenna. Lascia vagare il suo sguardo nell'oscurità, come se la risposta potesse essere lì nascosta, pronta a venir fuori.
«...Amy?»
«Mh?»
«Se non vuoi rispondere lo capisco. Anche se pensavo fossimo...»
«Amici?»
«...certo. Amici.» annuisce, per nulla convinto di quanto ha appena affermato.
Amy intuisce che qualcosa non va. C'è una certa tensione nell'aria, accentuata da strani silenzi.
«Thomas, io...»
«Tom.» la interrompe lui.
«Sì, va bene. Tom...»
«Non mi risponderai, vero?»
La ragazza apre bocca per rispondergli, ma non esce alcuna parola da essa: nota lo sguardo di Thomas, e in esso percepisce una sottile tristezza mista a preoccupazione.
Amy si morde inconsapevolmente l'interno della guancia, irritata da quei silenzi, silenzi che paradossalmente parlano tanto, forse anche più di quanto si vorrebbe. Così, dopo aver passato in rassegna tutte le possibili risposte che potrebbe dargli, ne sceglie una.
«Non ho mai detto che non lo farò.»
«Beh, non l'avrai detto, ma i tuoi silenzi parlano per te, Am-...»
La voce di Gertruda, minacciosa e sgarbata, interrompe Thomas - il quale si zittisce subito.
«Signorino Thomas?! E' desiderato da sua madre!»
Sbuffando, i ragazzi scendono dal tetto, e quando Gertruda attesta che Thomas non era solo, ma che era in compagnia di Amy, contrae i muscoli del volto in una espressione quasi disgustata, esclamando «Ah, ci sei anche tu!».

Neanche fosse un cane da guardia, Gertruda segue i due fin quando non entrano in casa. Li lascia andare, chiudendo a chiave la porta d'ingresso.
Thomas accompagna Amy fin sulla soglia della sua stanza.
«Beh, allora buona notte.»
«Buona notte a te, Tom.»
E proprio quando Amy sta per chiudere la porta, Thomas blocca quest'ultima, spingendola con un piede.
«Non posso non notare che stasera hai rivelato una parte di te, Amelia.»
Curiosa, Amy si affaccia fuori dalla porta, inclinando la testa.
«Lo hai fatto anche tu.»
«Già. E non abbiamo litigato.»
Quell'ultima frase spinge inspiegabilmente Amy a sorridere.
«Vai, Tom. Tua mamma ti aspetta.»
«Ah, sì...mia madre. Di nuovo buona notte, Amelia.»
Così, Amy richiude la porta, stendendosi sul letto e pensando all'ultima osservazione che Thomas ha espresso prima di salutarla.
Si rende conto di quanto abbia ragione: da quando si sono conosciuti, quella è la prima volta in cui entrambi sono riusciti a costruire un microscopico spazio d'intimità senza dover necessariamente odiarsi.

Un rumore particolarmente acuto fa svegliare di soprassalto Amy, stesa comodamente sul suo letto. Si drizza, cercando subito con una mano l'interruttore di una delle due lampade; la accende, notando immediatamente un paio d'occhi azzurri fissarla: è un gatto. Le scappa un lieve verso di sorpresa, soffocato dalle sue stesse mani che coprono la bocca. Come quel gatto sia arrivato lì, lo capisce non appena solleva lo sguardo: la finestra è aperta. Tiene gli occhi semichiusi, Amy.
«E tu che ci fai qui?» sussurra, ravviandosi i lunghi capelli rossi.
Qualche attimo è un altro rumore attira l'attenzione della giovane: quello emesso dalla maniglia della porta. Dopo pochi istanti sbuca da dietro essa Thomas, lievemente pallido in viso. Sospira, sollevato, intrufolandosi con meno delicatezza nella stanza di Amy.
«Ah, sei qui!»
«E dove dovrei essere? Questa è la mia stanza.»
«Ma...stavo parlando alla gatta.»
«Ah. E' tua?» Gli chiede, carezzando delicatamente la bestiolina.
«La riporto nella mia stanza.» risponde di getto lui, afferrando il micio.
Si avvicina alla porta, la apre.
«Buona not-...»
In un batter d'occhio il felino balza fuori dalla stanza, scappando via.
«Dannazione...Minù!»
Thomas esce dalla stanza, e contemporaneamente un gran frastuono spinge anche Amy ad alzarsi dal letto.
«Minù! Dove ti sei cacciata! Ah, se ti trovo!» esclama, seppur mantenendo un tono di voce basso per non svegliare gli altri.
Dopo aver indossato una vestaglia, Amy raggiunge Thomas.
«Credo tu abbia bisogno di aiuto.»
«Ma no, dici!? Quello l'aveva regalato mio padre a mamma per l'anniversario...era antichissimo!»
Solo in quel momento si accorge di ciò che sta ai piedi di Thomas: un vaso cinese, o meglio...quello che ne resta. Spalanca gli occhi, non tanto per ciò che ha visto, ma per quello che ha sentito: il fragore proveniente dalla cucina non è per niente un buon segno. I due ragazzi si dirigono in cucina correndo.

Il pavimento è coperto di piccoli e grandi frammenti di vetro; Thomas spalanca occhi e bocca, impallidendo più di prima. In quella cucina non c'è mai stata tanta confusione.
«Oh, no...quei bicchieri facevano parte della collezione di mia madre!»
Si avventurano all'interno della stanza, allora, facendo ben attenzione a non ferirsi - anche se, data la quantità di cocci sparsi ovunque, è quasi inevitabile. Il miagolio di Minù permette ad Amy e Thomas di trovarla: china verso terra, sta leccando il latte di una delle bottiglie che, facendo cadere per terra, ha rotto.
Sfortunatamente Gertruda, come i coniugi Wilkinson, si sono svegliati giungendo subito in cucina.
«Cosa sta succedendo, qui?» chiede allarmato Herman.
«I miei cristalli!» esclama Kathrin, portando il dorso di una mano sulla fronte, vicina allo svenimento. Herman posiziona un braccio dietro la schiena della moglie, nell'eventualità dovesse davvero perdere i sensi. Gertruda intanto urla qualcosa in russo - cosa che da palesemente fastidio a Kathrin.
«Ti ho sempre vietato di parlare russo in questa casa!»
«Sì, signora Wil-...»
«Ti avevo espressamente chiesto di riporre quei bicchieri nella vetrina! Perché non l'hai fatto?!»
«Sì, signora Wilk-...»
«I miei bicchieri...i miei cristalli! Ora ti toccherà...»
Thomas si libera di quella situazione con spaventosa destrezza, portando via con sé anche Minù, che con le zampe gli macchia di latte i pantaloni del pigiama.
Ci prova anche Amy, indietreggiando lentamente di qualche passo, facendo finta di nulla...
«Signorina Williams, cortesemente potrebbe spiegarmi cosa è successo?»
Amy respira profondamente.

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Capitolo 8
*** 8. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

8

Rabbia. Ecco cosa prova.
Bussa alla porta con forza e ripetute volte, fin quando Thomas non si decide ad aprirla. Amy entra nella sua stanza senza nemmeno chiedergli il permesso, infuriata.
«TU! Te la sei svignata, lasciando a me la responsabilità si dare spiegazioni delle tue bravate, ma che figura mi fai fare?! Per non parlare degli oggetti che il gatto ha rotto, i tuoi hanno dato la colpa a me oltre che a Gertruda, non hanno voluto sentire ragioni. Sei un codardo!»
Thomas sta per dire qualcosa, ma Amy lo interrompe subito.
«No! Non ci sono giustificazioni! I tuoi mi hanno accolto in casa come una figlia, sono loro debitrice, ora chissà cosa penseranno di me per colpa tua e del tuo dannato gatto!»
«...una gatta!» risponde lui.
«Non è questo il punto! Te la sei svignata ed io mi fidavo di te! I tuoi genitori mi toglieranno il lavoro, mi cacceranno di casa...ne sono certa.»
Thomas ride sotto i baffi. Amy lo nota, mantenendo però la stessa espressione seria e infuriata.
«Cosa ci trovi da ridere? Non ti senti in colpa neanche minimamente?»
Thomas scuote la testa, ridacchiando sommessamente.
«Non ti ho mai visto così arrabbiata...sei carina, sai?»  Amy sbuffa, alzando gli occhi al cielo: «Non essere ridicolo.»
Tra i due cade il silenzio. Thomas decide di romperlo.
«Adesso mi è concessa la parola?»
«No! Non ho ancora finito!»
«Okay, però...calmati!» il ragazzo la afferra debolmente per le spalle.
«No che non mi calmo!»
Si libera dalla sua presa, indietreggiando di qualche passo.
«Invece calmati, i miei genitori potrebbero sentirci.»
«Non mi interessa! Io non-...»
«Ho dovuto portarla qui. Aveva una zampa ferita, e dei ragazzini le stavano lanciando dei sassi...capisci? Non potevo lasciarla sola.» la interrompe lui, autorizzandosi a dare spiegazioni - visto che Amy sembra non averne la minima intenzione.
Inizia a camminare per la stanza, gesticolando.
«So che mia madre è allergica, so che Gertruda non sopporta i gatti e che mio padre mi ha sempre vietato di portare animali in casa, ma non potevo permettere che quegli idioti le facessero del male.»
Minù sembra capire di cosa sta parlando, tanto da cominciare a farle le fusa.
Solo in quel momento, sulle labbra della rossa compare un sorriso.
«Cosa c'è?» le domanda Thomas.
«Ti sei affezionato davvero, a lei?»
Thomas esita, avvampando di calore: le sue gote sono tinte di un rosso particolarmente acceso. Amy, ovviamente, se ne accorge.
«Sei arrossito?»
«Non ti immaginare le cose, Amelia...»
Rory. Inevitabilmente le parole e il rossore di Thomas lo riportano a galla. Ancora una volta.
Inconsapevolmente, sussurra il suo nome. Il nome di Rory.
«Come dici?» Si avvicina a lei, il ragazzo.
«...nulla. Buona notte.»

Ancora non è abituata a tutta quella quiete. Dopo la promozione, Amy è stata trasferita nello stesso studio in cui lavora Alicia. E' seduta sulla sua poltrona, concentrata nella lettura di un mucchio di documenti. Alicia arriva in ufficio col suo solito modo di fare silenziosissimo: sbattendo violentemente la porta. Amy sobbalza, poggiando una mano sul petto e indirizzando uno sguardo truce alla sua collega.
«La prossima volta più forte. Quelli del grattacielo accanto non sono ancora riusciti a sentirti.»
Alicia la guarda subito con gli occhi spalancati e la bocca semichiusa.
«Scusa! Mi è sfuggita di mano...»
«Non preoccuparti. Ormai ci sono più o meno abituata...» le dice, sussurrando le ultime parole. Torna a leggere, mentre Alicia si avvicina alla sua scrivania. Nota alcuni fogli scarabocchiati. Li prende, leggendone il contenuto.
«Che bello! Cos'è?»
Amy alza lo sguardo, riconoscendo quei fogli.
«Oh...una bozza per il mio primo libro.»
«Davvero? Oh, ma è grandioso!» esclama, sorridendole.
«Già. Comunque...devo andare a consegnare alla signora Wilkinson queste relazioni. Torno tra una decina di minuti, okay? Non inciampare nelle labbra di Tobey.» 
Quindi esce dal suo studio, dirigendosi verso quello della signora Wilkinson: trova altre persone già in coda, in attesa di vederla.
Durante l'attesa, però, Amy si trova davanti un qualcosa che, per quello che le richiama alla memoria, avrebbe preferito non vedere: su una mensola di una libreria, vi è la miniatura di un centurione romano. "Chissà dove ti trovi. Chissà cosa stai facendo, con chi sei. Hai aspettato duemila anni per me, io ne aspetterò anche tremila per ritrovarti."
«Cory!» urla un signore alle sue spalle.
Amy si volta immediatamente, confusa.
«Rory?»
In pochi secondi si rende conto di aver scambiato "Cory" per "Rory".
L'angoscia la pervade all'istante, tanto che decide di tornare nel proprio ufficio.
Scelta che si pente di aver fatto, quando sente singhiozzare al di là della porta.
Le gote di Alicia sono arrossate e rigate dalle lacrime, gli occhi lucidi. La sua scrivania è colma di fazzoletti arrotolati, strappati.
Amy le si avvicina, posando una mano sulla sua spalla.
«Ehi, Alicia. Tutto bene?»
«A-Amelia...sì...»
«Sul serio? Non sembra...»
«I-il t-tuo...»
«Il mio...cosa?»
«L-libro. E' così bello!»
«...Alicia. Hai letto tutti i miei appunti?»
«Non ho r-resistito...scusa!»
«Grazie, Alicia.»
«...g-grazie? Di cosa?»
«Nulla. Torniamo a lavorare.»
Amy scuote la testa, sorridendo. Per tutto questo tempo, ha sottovalutato la capacità di Alicia di tirarle su il morale.

Se non fosse per le zampe di Minù, Amy avrebbe continuato a dormire per almeno un paio d'ore: mai come quella notte, aveva dormito talmente profondamente. Dopo aver dato qualche carezza al micio, si alza faticosamente dal letto.
Nello stesso tempo, Gertruda apre la porta della sua stanza.
«Ma prego, Gertruda, entri pure.» dice ovviamente sarcastica, fulminandola con lo sguardo e scuotendo la testa. Gertruda avanza verso la ragazza, del tutto indifferente alle parole che le ha appena rivolto.
«Il signor Wilkinson le deve il suo pagamento mensile. La aspetta nel suo studio.» Sempre indifferente, va via chiudendo la porta alle proprie spalle. Amy rimane immobile fin quando la porta non si chiude.
Dopo essersi resa presentabile, va dal signor Wilkinson per ritirare il pagamento.
Con le tasche finalmente piene di soldi, decide di andare a trovare Charlotte e tutti gli altri poveri che la hanno aiutata e protetta nel periodo in cui lei vagava per la città - per essere lei, stavolta, a dare un aiuto.
Così ritorna da loro, trovandoli attorno al fuoco. Si stanno scaldando, tutti vicini. Vede tra questi anche Charlotte, si avvicina alle sue spalle e le poggia sopra le mani. La bambina si volta e dopo aver riconosciuto Amy la stringe forte tra le sue esili braccia, mentre tutti gli altri osservano la scena in silenzio. La signora si avvicina a loro.
«Amy! Sei tu!» esclama la dolce Charlotte, premendo forte la testa contro il corpo di Amy.
«Sì, sono proprio io.»
«Mi sei mancata tantissimo!»
«Anche tu, piccola. Come state?»
«Bene. Qui non cambia mai niente...ma tu! Tu sei cambiata!» dice la donna, osservandola da capo a piedi.
«Ho avuto fortuna. In poco tempo ho trovato lavoro e adesso finalmente posso sostenermi senza dover chiedere aiuto a nessuno. A proposito di questo, ho qualcosa per voi.»
Infila le mani nelle tasche del cappotto, estraendone alcune banconote. Le porge alla donna.
«Queste sono per voi. Non sono granché, ma almeno vi serviranno per qualche giorno. Prossimamente spero di poter tornare per darvi qualcosa di più.»
La donna la guarda, la fronte aggrottata.
«Non possiamo accettare. Sono soldi tuoi!» scuote la testa, tutti gli altri continuano ad osservarli in religioso silenzio senza batter ciglio.
«Appunto perché sono soldi miei, ne faccio quello che voglio. Ho deciso di darli a voi, perché mi avete aiutato a superare una situazione difficile come quella della sopravvivenza; ora lasciate che sia io ad aiutarvi.»
Dopo vari scambi di sguardi tra tutti i presenti, la donna finalmente si decide ad accettare.

La pioggia cade fitta sulla testa della povera Amy, che per puro caso ha dimenticato di prendere l'ombrello. Arriva alla sede del The New Yorker, completamente fradicia; si toglie il cappotto, asciuga i piedi sul grande tappeto situato all'ingresso e si incammina verso l'ascensore, cercando di non lasciare traccia - impresa ardua.
«Amelia! Ma come ti sei-...» esclama Alicia, vedendola arrivare nel loro studio.
«Ho dimenticato l'ombrello a casa. E' così evidente?» Le chiede, in modo ironico, tentando di asciugarsi i capelli con un tovagliolo di carta.
Alicia scuote la testa, rispondendo silenziosamente.
«Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che ti porti qualcosa di caldo? Un caffè, del latte...»
«Non preoccuparti, Alicia. E' solo acqua, sto bene! Almeno...per il momento.»
Le due scoppiano a ridere contemporaneamente; Alicia, seppur poco convinta, torna alla macchina da scrivere. Mentre si asciuga, Amy nota il quotidiano di quel giorno.
Si avvicina alla scrivania della collega, intravedendo un trafiletto pieno di annunci: chi cerca casa, chi lavoro, chi un'automobile. In lei si accende qualcosa.
«Alicia, non è Tobey ad occuparsi di questi annunci?»
«Oh, sì! Non è bravissimo?» alza il viso, fomentata dal discorso che ha preso.
«Ehm...sì. Potrei parlare con lui?»
«Certamente! Se vuoi possiamo andarci adesso. Però dopo ti aspetta un bel po' di lavoro da fare.»
«Davvero? Sarebbe fantastico! Ti assicuro che sarò a tua disposizione.»
Afferma, con un largo sorriso.
Dopo aver attraversato la folla della redazione, alcuni corridoi, e diverse scale le due ragazze raggiungono il reparto in cui lavora Tobey.
«Buon giorno, bellezza!» dichiara il giovane, vedendo arrivare la propria fidanzata, la quale lo saluta con un bacio brevissimo sulla punta del naso.
«Ricordi Amelia Williams, la ragazza con cui condivido l'ufficio? E' lei!»
«Ma certo. Ciao, Amelia!» dice, porgendole la mano. Amy avanza verso il ragazzo, stringendogliela.
«Alicia mi ha parlato tanto di te...finalmente ti conosco!»
Amy gli sorride, lievemente imbarazzata.
«Posso dire lo stesso anch'io: Alicia non fa altro che parlarmi di te!»
Il viso di Alicia, ora, è color rosso pomodoro. Per ovviare il discorso, è infatti lei a parlare.
«Amore, Amelia voleva parlarti di una cosa.»
«Sì? Sono a tua disposizione.»
«Beh...per farla breve, sto cercando una persona. E siccome tra le mille cose che Alicia mi ha detto di te c'era anche che scrivi annunci, ho pensato di-...»
«Chiedermi di scrivere un annuncio su questa persona.» la interrompe, avendo già intuito il tutto, «Va bene. Quando cominciamo?».
Amy solleva le sopracciglia, stupita. Perché non approfittarne?
«Per me anche subito.»
«Perfetto. Hai parlato con uno dei direttori? Ti hanno dato il loro consenso?»
«No, non sapevo fosse necessario la loro approvazione. Va bene, allora parlerò prima con i Wilkinson e poi ti farò sapere cosa mi hanno risposto. Ti ringrazio, Tobey.»
«Ma figurati! Ti aspetto.»
Alicia ed Amy tornano a lavoro. Per quel giorno hanno già girovagato abbastanza.

Domenica pomeriggio. Sdraiata sul letto a pancia in giù, Amy ha appena finito di scrivere un altro capitolo del suo libro. Dopo averlo riletto brevemente, decide di alzarsi e recarsi in cucina, quindi indossa le pantofole ed esce dalla stanza.
Apre il frigorifero, afferra una bottiglia di vetro trasparente e versa in un bicchiere - anch'esso di vetro - dell'acqua. La beve a piccoli sorsi.
«Ne daresti uno anche a me?» le chiede Thomas, alle sue spalle. Amy sussulta, versandosi metà del contenuto del bicchiere addosso.
«Ricordami per quale motivo io e te siamo ancora amici.» Quasi ringhia, prendendo subito una pezza per asciugare il ripiano della cucina e la maglietta che indossa.
«Perché sono bellissimo, e soprattutto perché ti ho salvato la vita!» afferma, col sorriso sulle labbra. Amy si volta, fulminandolo con lo sguardo.
«Sei di un egocentrico pazzesco.»
Solleva le spalle, lui, come se non gli avesse detto nulla di nuovo. Prende un panino dal cestino posto sul centro del tavolo, tagliandolo nel mezzo ed infilandoci un mucchio di roba che Amy non riesce a distinguere, escluso del formaggio. Nonostante tutto, gli riempie un bicchiere d'acqua e glielo porge. Lui lo prende, senza dire nulla.
«Prego, Thomas. E' sempre un piacere servirti.»
«Lo so.» le risponde, dopo aver svuotato il bicchiere.
Come fosse un gesto automatico, Amy da uno schiaffetto dietro il collo del ragazzo.
«Ahia!»
«Ringrazia che non te l'abbia dato mentre bevevi, scemo.»
Thomas si massaggia il collo, guardando la rossa.
«Piuttosto, devo chiederti una cosa.»
«Sono tutto orecchi.» le dice, richiudendo il panino e andando a prendere un tovagliolo.
«Che tu sappia, i tuoi genitori sono molto elastici nell'approvazione delle richieste che vengono loro fatte?»
«Hai bisogno di un aumento?»
«...no.» sospira, la giovane donna, facendo roteare gli occhi, «Vorrei scrivere un annuncio con l'aiuto di Tobey, ma mi ha detto che prima devo parlare con i tuoi genitori per ottenere il permesso di pubblicazione. Quindi...pensavo che parlandoci, magari, tu avresti più possibilità di convincerli, essendo loro figlio.»
«Uhm. Dh cfe annunfio fi fraffa?»
«Tom. Mastica e inghiottisci.»
«Mmh!» si lamenta, sospirando. Dopo alcuni secondi, finalmente manda giù quel boccone.
«Di che annuncio si tratta?»
«Un annuncio. Che t'importa di cosa si tratta?» gli risponde, in modo quasi scontroso.
«M'importa per capire cosa ti direbbero i miei.» le dice, come se fosse la cosa più ovvia della terra. Dopo qualche attimo di esitazione, Amy si convince a parlare.
«E' per una persona.»
«Per una persona? Chi?»
«Anche quest'informazione è strettamente necessaria?»
«Ovviamente.»
«Non ti credo. Comunque...mio marito.»
In quel momento, anche se non visibilmente, tra loro si gela tutto.
I loro sguardi, i loro corpi immobili. Non parlano.
«Tuo marito.» ripete lui, spiazzato da quella rivelazione.
Amy annuisce, provando inspiegabilmente un senso di colpa fortissimo.
«Bene. Con permesso.»
Il ragazzo si volta, lasciando Amy sola in cucina - che lo segue con lo sguardo fin quando la sua immagine si consuma dietro la porta, chiusa con una certa forza.

 

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Capitolo 9
*** 9. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

9

Nonostante la sostanziosa mole di lavoro da portare a compimento, Amy non fa altro che pensare alla questione dell'annuncio e alla reazione di Thomas alla rivelazione - forse un po' brusca - che gli ha fatto riguardo Rory. Per niente concentrata, quindi, decide di prendere una pausa e sfruttarla per cercare di risolvere il problema alla radice. Bussa alla porta dell'ufficio di Thomas. Non risponde, né apre.
Bussa di nuovo.
«Tom? Ci sei?»
Una manciata di secondi, e Thomas finalmente le apre la porta. Non appena entra, una nuvola nebbiosa cela tutto ciò che si trova in quella stanza, offuscandole la vista.
Quasi non riesce a respirare, tanto è forte il tanfo di fumo.
Tossisce.
Prima di sedersi, dire o fare qualsiasi cosa, Amy apre le finestre - del tutto chiuse.
«Si respira più fumo che aria, qui dentro.» afferma, continuando a tossicchiare.
«Allora esci, no? Almeno respiri ossigeno.» le risponde, scontroso.
«Si può sapere cosa ti prende? Mi eviti da quando ti ho chiesto dell'annun-...»
«Il nostro giornale non divulga questo tipo di annunci. Gli ho già parlato, non ti daranno il permesso di pubblicarlo.»
Amy si zittisce all'istante, delusa e al tempo stesso disgustata da quel cattivo odore che continua a respirare. Senza perdere altro tempo, si alza, saluta il ragazzo e abbandona il posto.

Quel giorno ha lavorato fino a tardi: poco prima di andarsene, Amy è stata fermata da Alicia, la quale le ha chiesto di aiutarla a sistemare una pila di vecchi giornali per ordine cronologico. Sono le undici quando torna a villa Wilkinson, letteralmente distrutta.
Attraversando il corridoio, incontra lo sguardo sdegnoso di Gertruda - anche lei evidentemente stanca - e a seguire anche quello della signora Wilkinson, che dopo la faccenda dei bicchieri sembra non fidarsi più di nessuno.
«Buona sera, signora Wilkinson! So che è tardi, ma potrei scambiare due parole con lei?»
«Ma certo, Amelia. Aspettami nel mio ufficio, ti raggiungo tra due minuti.»
E così fa. La attende, seduta su una comodissima poltrona di pelle.
Kathrin entra nello studio, sedendosi invece sulla sua poltrona.
«Dimmi, cara.» le dice, accennando un sorriso
«Ecco...volevo chiederle il motivo per cui non vuole pubblicare il mio annuncio. Sì, è vero che non ne avete mai pubblicati di questo tipo, ma-...»
«Annuncio? Ti dispiace spiegarmi di cosa stai parlando?»
Amy si blocca, rimanendo interdetta.
«...Thomas non le ha detto nulla? Gli avevo chiesto di parlare con lei e il signor Wilkinson per la pubblicazione di un annuncio.»
La donna aggrotta la fronte, come a cercare di ricordare; scuote la testa.
«Mio figlio non mi ha neanche accennato l'argomento.»
«Ah...»
Stringe i denti. "Thomas, sei un vero stronzo".
«Che tipo di annuncio vorresti pubblicare?» le chiede, richiamando Amy alla sua attenzione.
«Sto cercando una persona.»
E questo basta, per convincere Kathrin.
«Non c'è alcun problema. Non sta scritto da nessuna parte che possiamo solo pubblicare un certo tipo di annunci. E' pur sempre qualcosa di cui hai bisogno.»
«Mi ha letto nel pensiero. Grazie mille.»
«Non ringraziarmi. Piuttosto, sei sicura che Tom ti abbia detto di aver parlato con me e mio marito di questo annuncio?»
«Magari ci siamo fraintesi. Le auguro una buona notte, signora Wilkinson.»
Fa spallucce, alzandosi dalla poltrona.
«A domani, Amelia.»

Amy sente di esser interiormente divisa in due: da un lato è strafelice per la risposta positiva della signora Wilkinson, dall'altro però è carica di rabbia per il comportamento scorretto di Thomas.
«Bugiardo.» sussurra tra se e sé, affacciata alla finestra. La luce lunare illumina appena il volto della ragazza.
Il silenzio viene bruscamente interrotto dall'intrusione di Thomas nella sua stanza.
Amy si volta, fissando il ragazzo, che si ferma a pochi centimetri di distanza dal suo volto. I suoi occhi sembrano infuocati.
«Sei una stronza. Come ti sei permessa?! Parlare con mia madre liberamente delle tue cose personali?  Non provi vergogna, per questo? Per giunta hai scavalcato il mio ruolo di vice direttore!»
«Con quale coraggio vieni qui a rimproverarmi, Thomas? Ho semplicemente fatto quello che TU avresti dovuto fare!»
«Cosa intendi?»
«Tua madre non sapeva nulla dell'annuncio. Non fare il finto tonto, Thomas, questi giochetti non funzionano con me.»
Thomas, perfettamente consapevole di essere in torto, si volta ed esce dalla stanza.
Ma Amy lo segue, afferrandogli un avambraccio.
«Continuo a non capire perché ti comporti così...sembri un bambino!»
Thomas si ferma, ruotando leggermente il capo verso destra.
«Vuoi sapere il perché?»
«Dimmelo! Sono qui!»
Quelle sono le ultime parole che Amy pronuncia, prima che il giovane Wilkinson le incornici il volto con le mani, lo avvicini al suo e posi le labbra sulle sue. Un bacio impercettibile ma dolce contemporaneamente, Amy è confusa e non ha neanche il tempo di capire ciò che sta accadendo.
Chiude gli occhi a quel contatto, riaprendoli l'attimo dopo: Thomas è già andato via.

Amy si gira e rigira nel letto, infilando una volta la testa sotto il cuscino, l'altra posizionandosi di fianco, l'altra ancora supina...insomma, di dormire non ne vuole proprio sapere. Le sensazioni strane che ha provato sono del tutto nuove, e per elaborarle impiega anche la mattina successiva: non sa neanche lei come riesce a comporre frasi sensate alla macchina da scrivere.
«Amelia Williams! Vuoi una buona novella?» esclama Alicia, entrando nel loro ufficio.
«Ovviamente. Ne ho bisogno!»
«Bene, bene. Perché...è stato pubblicato il tuo annuncio sul giornale di oggi.»
Al sentire quelle parole, Amy balza dalla sedia all'istante, rubando il giornale dalle mani di Alicia. Lo sfoglia.
«Fantastico! Assolutamente fantastico! Certo, non avrà la stessa efficacia dei manifesti sparsi per la città, ma almeno è qualcosa.
Grazie, Alicia! Gr-...»
«Ma cos'è questo baccano?» Interviene Thomas, palesemente infastidito.
«Thomas, guarda! Finalmente l'annuncio di Amelia è stato pubblicato!»
Gli dice Alicia, avvicinando il giornale ai suoi occhi. Tuttavia lui ignora quanto ha detto, più irritato di prima.
«Sono un tuo superiore, non ti è permesso di chiamarmi per nome. Comunque, Wood, puoi raggiungermi nel mio ufficio? Possibilmente subito, grazie.» detto questo, abbandona lo studio.
Le due ragazze si guardano, non sapendo se ridere o preoccuparsi.
Alicia solleva le spalle, quindi va via anche lei lasciando Amy da sola, la quale riprende il giornale tra le mani, leggendo più attentamente l'annuncio di cui è autrice.

Giugno 1940.
«Vorrei capire perché, quando ho bisogno di lavorare, non c'è mai nulla da fare...quando invece vorrei un po' d'aria sono con l'acqua alla gola.» sbotta Amy, dopo essersi assicurata che a sentirla c'è solo Alicia.
E la sua scrivania è effettivamente quasi del tutto vuota, quando normalmente è stracolma di fogli, carpette e block notes pieni di testi da leggere ed esaminare. Ma il problema non è la quantità di lavoro. A distanza di qualche settimana dalla pubblicazione dell'annuncio, la giovane donna non ha avuto ancora alcuna notizia.
Nel modo di sistemare tutte quelle scartoffie, Amy urta involontariamente la lampada sulla scrivania, facendola cadere per terra.
«Dannazione!»
Si china subito, raccogliendo i pezzi più grandi e avvolgendoli in un tovagliolo di carta.
«Amelia, prenditi una pausa. Ti vedo stanca.» le suggerisce Alicia, aiutandola a raccogliere i pezzi.
«Ma se abbiamo appena cominciato!» esclama, ma l'attimo dopo già si pente dei toni scontrosi che ha usato con la collega.
«Scusa, non volevo essere sgarbata.» continua Amy.
«Non preoccuparti. Ora però vai.»
«D'accordo, mi hai convinto. A più tardi.» dice, sospirando.
Controvoglia, quindi, vestita di cappotto e borsa, va a prendere una boccata d'aria.
La famiglia Wilkinson è riunita a tavola per consumare la cena. Ovviamente, anche Amy è con loro (seduta però rigorosamente, il più lontano possibile, dal lato opposto a quello di Thomas). Quella sera Gertruda serve - in un vassoio d'argento - del pollo con patate cotte al forno.  L'odore è davvero invitante.
«Buon appetito.» proclama il signor Herman, evidentemente affamato.
Tutti cominciano a mangiare, mantenendo per buona parte della cena un silenzio quasi imbarazzante. Arrivati alla frutta, Kathrin chiede ad Amy «Cara, hai più trovato la persona che cercavi nell'annuncio?»
«Purtroppo no. Comincio a pensare che sia stata una perdita di tempo.»
«Su, Amelia, non buttarti giù. Sicuramente...Thomas, dove stai andando?»
«In bagno. Non mi sento bene, con permesso.»
Fugge, Thomas, lasciando sia madre che padre con un'espressione interrogativa.

Amy è seduta sui gradini davanti la porta d'ingresso. La freschezza dell'aria la avvolge. Il silenzio regna in tutto il quartiere, esclusi alcuni cani che, di tanto in tanto abbaiano.
La morbidezza di Minù entra a contatto con Amy, richiamando la sua attenzione: si strofina contro di lei, infatti, facendo le fusa.
Vederla comportarsi in quel modo fa sorridere la ragazza, che subito accarezza il morbido pelo del micio.
Thomas interrompe la dolcezza di quel momento, afferrando Minù e portandola via.
«Si può sapere quando finirà questa storia?» sbuffa, rivolgendosi al ragazzo. Tuttavia lui si volta, la guarda, ma senza rispondere torna in casa.

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Capitolo 10
*** 10. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

10

Ottobre 1940.
«Devo prendere un caffè doppio, o rischio seriamente di addormentarmi sulla scrivania. Torno subito!»

«No, Alicia! Faccio io, non preoccuparti» le dice di getto Amy, e senza neanche aspettare una sua risposta corre fuori dalla stanza.

Si dirige alla caffetteria della zona ristoro, ma la trova chiusa. Quindi scende al bar più vicino alla sede del giornale, il "Johnatan's Manhattan Bar". Il nervosismo la sta letteralmente divorando; l'impegnarsi in qualcosa è l'unica soluzione per non pensare a Rory e a quel maledetto annuncio. In quel luogo c'è davvero tanta confusione: le code chilometriche alla cassa e il chiacchiericcio generale la infastidiscono. Ma ormai non può più tirarsi indietro, perciò non le resta che attendere il proprio turno.
Fissa il proprio sguardo fuori da una grande finestra di vetro lucidissimo, perdendovisi. Improvvisamente urla, sirene e una gran folla di persone destano l'attenzione di Amy, che senza pensarci due volte comincia a correre, immischiandosi tra la calca di gente spaventata.

Fatica a capire cosa sia successo; un paio di automobili della polizia tengono a bada la marea di gente che cerca di capire cos'è accaduto. Amy continua ad avanzare, notando anche la presenza di un'ambulanza. Sente alcune donne gridare, la polizia cerca di allontanare tutti ma nessuno sembra intenzionato a collaborare. Tra la gente comincia a correre la voce del probabile suicidio di una giovane ragazza.
«Vi preghiamo di allontanarvi e di mantenere la calma.» dice ad alta voce uno dei poliziotti alla folla, la quale pare non demordere.
«Per favore, gente! Fate largo!» urla un altro accanto a lui, stavolta con tono più minaccioso rispetto al primo. Qualcuno si tira indietro, dando così la possibilità ad Amy di avvicinarsi. Nella sua testa rimbombano le voci delle donne, mentre altre sirene si avvicinano a loro. Cerca di spingersi in avanti più che può, superando un uomo alto quasi il doppio di lei e robusto. Tra un calcio e una gomitata, Amy finalmente riesce a raggiungere le transenne che, teoricamente, dovrebbero tenere a bada tutta la folla.
Ispeziona con lo sguardo la scena del suicidio, e la prima cosa che le risalta agli occhi è un lenzuolo bianco steso sul cadavere della ragazza. Un paio di infermieri arrivano con una barella, altri due afferrano il corpo esanime, adagiandolo su quest'ultima.
Osservando attentamente, però, Amy nota qualcosa di familiare - o meglio, qualcuno: uno degli infermieri è...Rory!
«Rory! Rory Williams, sono io!» urla, sperando che la sua voce riesca a giungere alle sue orecchie.
«Rory, aspetta!» lo segue, superando le transenne. La polizia ovviamente se ne accorge, parandosi davanti a lei.
«Signorina, non può stare qui!»
A quel punto alza un braccio, agitandolo.
«Rory, dannazione!»
Tutti gli infermieri, compreso Rory, salgono sull'autoambulanza.
Allora Amy prova un'ultima volta a urlare il suo nome. Rory alza lo sguardo, intercettando quello della ragazza - ma l'istante dopo un suo collega chiude il portellone dell'auto, interrompendo quel contatto visivo.
«Sì, ho capito! Ho-capito!» alza entrambe le braccia, Amy, cercando di evitare che si vengano a creare dei problemi con la polizia. Si allontana subito, infatti, attraversando per l'ennesima volta la folla e, quando se ne libera, comincia a correre nella stessa direzione dell'ambulanza - che fortunatamente si è allontanata non di troppo; Amy riesce a leggere il nome dell'ospedale da cui proviene quel mezzo: "New York Infirmary for Indigent Woman and Children".
Ma non basta quello a fermare la ragazza. Si rende conto che di lì a poco le sue gambe avrebbero ceduto, perciò raggiunge una fila di taxi parcheggiati, entrando all'interno di uno di questi.

Entra, in tutta fretta, in auto, aspettando qualche secondo per riprendere fiato.
«Segua...quell'ambulanza, per favore!» indica con una mano la direzione verso cui si sta spostando, l'autista cerca subito di accendere il motore ma, per qualche strana ragione, questo non si aziona. Ci prova e riprova più volte, ma niente da fare.
«Oh, grandioso!» sbotta Amy, perdendo per un attimo il controllo.
Esce dall'auto senza nemmeno preoccuparsi di chiudere lo sportello; percorre un paio di metri e trova un altro taxi libero, quindi ci entra.
«La sua auto è perfettamente funzionante?»
L'autista si volta in direzione di Amelia, guardandola con le sopracciglia inarcate.
«Certamente.»
«Allora prosegua dritto e svolti quando glielo dico io. Ma faccia in fretta!»

«Si fermi! Si fermi subito, siamo arrivati!» urla alle orecchie del povero tassista, aggrappata al sedile. Paga la corsa, uscendo in fretta dall'automobile. Entra in ospedale.
Cerca una qualsiasi persona a cui chiedere informazioni: vede un'infermiera, le si avvicina continuando a correre.
«Salve! Sto cercando un vostro dipendente!»
«Mi dispiace, non abbiamo il permesso di dare delle informazioni private che riguardano il nostro personale.»
«Ma questo ragazzo è mio marito! E' magrolino, alto, capelli castano dorati e occhi azzurri!»
«Ah, stai parlando di Rory Williams!»
«Che sbadata, non l'avevo detto? Comunque sì, è lui!» 
«Per il momento è impegnato, ma appena si libererà gli riferirò che lo sta aspettando. Chi gli dico lo sta cercando?»
«Sua moglie.»
«D'accordo. Ora la pregherei di aspettare in quella saletta.»
Trascorrono diverse ore, Amy cerca di mantenere la calma il più possibile.
Torna dalla stessa infermiera con la quale precedentemente ha parlato. «Le posso chiedere la cortesia di una telefonata?» Tentennante, l'infermiera annuisce.
Compone, frettolosamente, il numero della redazione.
«Alicia, sei tu? Ho avuto un contrattempo, non potrò più tornare per oggi.»
«Scusi? Con chi parlo?»
«Alicia...sono io, Amelia. Ti ricordi di me?»
«AMELIA! SEI TU!»
«Sì, esattamente. Ho trovato...»
«...cosa? Cosa hai trovato, Amelia? AMELIA?»
Ad Amy sfugge la cornetta dalle mani: vede Rory camminare verso lei.
"Ti ho trovato. Non posso crederci. Pensarti a pochi metri da me, qui...accidenti! Mi esploderà il cuore. Me lo sento."
L'infermiera si frappone a metà strada tra lei e Rory, mormorandogli qualcosa.
Lui alza lentamente la testa, agganciando lo sguardo a quello di Amy.
«Rory...» sussurra la rossa, il petto in fiamme.
L'uomo si avvicina a lei, e ad ogni passo sembra studiarla sempre più attentamente.
Lei gli posa subito le mani sul volto, carezzandolo.
«Rory, sono io...sono Amy...»
Ma Rory sembra incerto, distante. Cosa sta succedendo?
«Amy...?»
«Sì! Sono io!» annuisce sommessamente, poggiando la fronte contro la sua.
«No. Non è possibile, non puoi essere lei.»
Rory alza la testa, interrompendo quel contatto fisico minimo.
«Non è possibile?» ripete lei, incredula.
«No...non di nuovo, non puoi vedere Amy in chiunque.» sussurra lui, più a se stesso che ad Amy. Scosta le sue mani ancora posate sul volto, muovendo qualche passo nervoso.
«Mi sono immaginata il nostro incontro un milione di volte, non puoi non riconoscermi, Rory!» lo segue, afferrandolo per un braccio.
«Perché non porti più la nostra fede?» gli chiede, dopo aver alzato il suo polso.
Lei toglie la sua, di fede, sfilandola dalla catenina che porta al collo e gliela posa sulla mano.
«Io la porto sempre con me. Non puoi negare la realtà, non riconosci neanche questa?»
E solo a quel punto, Rory sembra convincersi che quella no, non è più una delle sue solite visioni.
«Amy! Sei davvero tu? Dopo tutto questo tempo...non pensavo ti avrei più rivisto.»
«Ti avrei cercato per l'eternità.» gli sussurra, ridendo; i due si sono riavvicinati, avvolti l'uno nelle braccia dell'altro.
«Quanto mi è mancata la tua risata. Il dottore è con te?»
«No, lui non può tornare da noi. Mi sono fatta prendere dagli Angeli Piangenti, ho sperato con tutta me stessa che mi mandassero nella tua stessa epoca. E a quanto pare, così è stato. Siamo solo io, te, e la tua faccia da stupido.»
I due ridono piano.
Silenzio. Ma in questo silenzio i loro sguardi parlano, illuminati, i loro cuori ritrovano la propria sintonia. E dopo questi, anche i loro corpi ritrovano quella parte mancante; si stringono forte, si accarezzano, si baciano. Amy ha come la sensazione di chi ha un magone sullo stomaco e poi se ne libera; lacrime, tante lacrime scendono una dopo l'altra rigando le gote lisce della fanciulla. Sorride.
«Dove sei stata in questi due anni?»
«Due anni? Rory, ti ho detto che gli Angeli mi hanno preso subito dopo aver preso te...non sono passati due anni...» i due vengono interrotti da qualcuno.
«Chiedo scusa per l'interruzione. Williams, serve il tuo aiuto nella stanza numero quattro.»
«Ma non sono di servizio. Nessuno può sostituirmi?»
«No. E' urgente!»
Rassegnato, si rivolge ad Amy.
«Vediamoci al Riverbank State Park.»
«Vediamoci alla villa dei Wilkinson sulla Lexington Ave, non conosco ancora molto bene la città.»
«D'accordo, ci vediamo lì.»
Gli occhi di Amy rimangono incollati alla figura di Rory fin quando quest'ultimo non va via. Se si può dubitare dei sensi, quali tatto o vista, al contrario ci si può fidare di ciò che percepisce il cuore: unica fonte del reale.

Diluvia. Da un paio di minuti Rory aspetta che Amy si presenti al loro appuntamento.
Fortuna che si è munito di un bell'ombrello.
Finalmente Amy arriva, correndo ma arriva.
«Scusa il ritardo!» 
«Non preoccuparti. Abiti qui?»
«Fin'ora sì.»
I due esitano per qualche attimo, osservandosi reciprocamente.
«Sei bellissima.»
«Grazie, mio bel centurione!» 
Arriva un taxi, che si ferma esattamente davanti a loro. Rory apre uno sportello, facendo entrare prima Amy. Poi entra anche lui e insieme vengono accompagnati nel ristorante che Rory ha scelto ad insaputa della moglie.

I due, seduti al tavolo, si scambiano dolci occhiate, si tengono per mano, aspettando che il pasto venga loro servito. Amy mette al corrente Rory di tutto quello che ha passato, evitando però discorsi che potrebbero farlo preoccupare - come le prime esperienze con i poveri e del bacio che Thomas le ha dato.
«...e quindi i Wilkinson sono stati così gentili da ospitarmi per un periodo. Tu invece dove abiti?» gli chiede Amy, giocherellando distrattamente con la mano del ragazzo.
«Ho trovato un annuncio su un giornale che affittava un appartamento vicino l'ospedale, dove poi ho trovato il lavoro da infermiere.»
«Certe cose non sono cambiate.» Amy tira un sospiro di sollievo. Un cameriere interrompe la coppia, servendo i piatti sulla tavola.
«I vostri piatti, signori.»
I due osservano i piatti e sorridono.
«Questo è il primo piatto che ho mangiato la prima volta che sono venuto qui, mi ricordano casa nostra.»

Finalmente ha smesso di piovere, Amy e Rory quindi decidono di fare una passeggiata prima di tornare a casa. I due si tengono per mano. La luna piena illumina il loro volti, c’è quiete, sembra come se al mondo ci fossero solo loro due.
Il silenzio viene interrotto dalle parole di Rory
«Amy?»
Amy guarda Rory, lui continua «…dovresti trasferirti da me»
Amy gli sorride.
«Sì beh, dovrei. Dammi solo il tempo di prendere le mie cose e salutare i Wilkinson, non posso andarmene senza salutarli, dopo tutto quello che hanno fatto per me.»
«Sì, hai ragione.» dice Rory quasi sottovoce.
«Che ne dici di domani? Dopo il lavoro?»
«Pensavo ti servisse più tempo.»
«Non essere sciocco, Rory Williams.» gli sorride.
Senza neanche accorgersene Amy e Rory raggiungono a piedi la villa dei Wilkinson, le ore trascorse insieme sono passate senza che essi se ne rendessero conto.
«Passami a prendere prima di cena.»
«D’accordo.»
Amy lascia la mano di Rory e lo bacia.
«Mi sei mancata.» le sussurra all’orecchio.
«Anche tu.»
«A domani!»
Amy gli sorride e si allontana percorrendo il vialetto della villa.
I due si scambiano un ultimo sguardo da lontano, poi Amy apre la porta di casa Wilkinson, volge un altro sguardo in direzione di Rory e con il sorriso sulle labbra entra in casa.

Una voce maschile interrompe i suoi pensieri felici: è Thomas.
«Come mai sei in giro a quest’ora?»
Amy alza gli occhi al cielo.
«Ah! Adesso mi degni della tua parola?»
«In redazione ho sentito che ti sei dovuta assentare.»
«Tipico, stai cambiando discorso» mormora stizzita Amy.
«I dipendenti avvisano almeno un giorno prima quando non possono presentarsi al lavoro, dovresti saperlo oramai.» dice Thomas in tono pungente.
«Senti, non ho voglia di discutere con te.» Amy si allontana dirigendosi nella sua stanza.
«Adesso chi è che cambia discorso?!» urla Thomas.
Amy è in corridoio, sta per raggiungere la sua stanza quando Gertruda in vestaglia la rimprovera.
«Fate silenzio! C’è gente che dorme qui!»
Amy la ignora, si chiude in stanza, si distende sul letto con ancora indosso gli abiti con cui è uscita, non ha tempo per pensare a Gertruda, né tanto meno ai capricci di Thomas.
È troppo felice di aver ritrovato il suo Rory, al solo pensiero le torna il sorriso sulle labbra, che sfiora con le dita, in ricordo del bacio che si sono scambiati pochi attimi prima.
“Finalmente potrò stare con lui.” pensa Amy.
Si alza dal letto, impaziente, cerca una valigia dove poter mettere le sue poche cose. Poi si ferma guardando l’orologio.
“E’ tardi” pensa tra sé e sé, “domani dovrò spiegare ad Alicia perché mi sono assentata oggi.”
Decide quindi di andare a dormire, domani penserà a tutto, ad Alicia, a Rory, a salutare i Wilkinson e forse a parlare con Thomas. 

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Capitolo 11
*** 11. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

11

Il giorno dopo Amy, in redazione viene quasi assalita da Alicia.
«Amelia! Stai bene? Non ti eri mai assentata dal lavoro. È forse successo qualcosa?»
«Sì, beh, qualcosa è successo…»
«Dimmi! A me puoi raccontare tutto, lo sai, no?»
«Ho ritrovato Rory.»
Alicia fissa Amy per qualche secondo, la sua loquacità sembra svanire, poi improvvisamente diventa euforica.
«Davvero!? E com’è? Come sta? Dov’è stato per tutto questo tempo? Perché non rispondeva ai tuoi annunci? Si è fidanzato con un’altra, vero? Lo sapevo, questi uomini sono tutti uguali, fatta eccezione per il mio Tobey, ovviamente. Nessuno è come lui…» dice Alicia con gli occhi sognanti.
Amy si perde tra i suoi pensieri, ancora non può credere di aver trovato Rory, aveva quasi perso le speranze. Lui non rispondeva ai suoi annunci, non sapeva che Amy lo stava cercando, non sapeva che lei fosse lì nella sua stessa epoca. Eppure il destino ha fatto sì che si incontrassero, ancora una volta.
Amy ne ha passate tante da quando è stata portata lì dagli Angeli Piangenti e adesso che finalmente ha ritrovato il suo Rory sa che tutto sarebbe andato per il verso giusto, anche se la loro famiglia non sarebbe stata mai più completa come un tempo.
Malinconia e tristezza, improvvisamente, le invadono i pensieri.
”Chissà cosa staranno facendo, quali mondi avranno visto River e il Dottore. Lui avrà trovato una nuova compagna con cui viaggiare” pensa Amy.
I pensieri di Amy vengono interrotti dalla voce di Alicia.
«Amelia?»
Amy la guarda spaesata senza darle risposta. Alicia la chiama di nuovo.
«Amelia? Ehi! Hai sentito quello che ho detto?»
Amy tentenna un po’ prima di risponderle.
«Hai sentito? Io e Tobey ci sposiamo!!!».
Amy sorpresa, si accorge di aver ignorato quasi metà del discorso di Alicia.
«Sì! È fantastico!» esclama la ragazza dai capelli rossi.
«Ecco, stavo dicendo…avrei voluto invitare anche Rory, ma quindi, ehm…state insieme? Non può aver trovato un’altra ragazza. Se così fosse…»
Amy interrompe Alicia.
«No, no! Stiamo insieme, tranquilla. Va tutto bene tra di noi, finalmente siamo di nuovo insieme.»
«Ah!! Che sollievo, sono contenta per voi, allora ci sarete al matrimonio? Non puoi dirmi di no.»
«Certo che ci saremo.» dice Amy in tono convincente.
«Benissimo, vado a dare la bella notizia a Tobey!»
Alicia contenta si allontana dirigendosi verso lo studio del suo futuro marito.
Amy si siede alla sua scrivania e inizia a lavorare.

È pomeriggio e si avvicina l’ora in cui arriverà Rory, Amy è nella sua stanza, sta finendo di preparare i suoi abiti e i suoi pochi oggetti. È eccitata e allo stesso tempo nervosa.
Nonostante lo abbia incontrato più volte, Thomas la evita comportandosi in modo indifferente come se lei non esistesse.
Amy guarda il piccolo orologio che ha al polso. È quasi ora di andare. Prende quindi la sua borsa, il soprabito e la valigia, da un’ultima occhiata alla stanza vuota ed esce.
Percorre il corridoio della villa, scende le scale arrivando all’atrio. I Wilkinson sono lì davanti la porta in attesa di salutarla: Amy posa le sue cose per terra, volge lo sguardo verso Kathrin, poi verso Herman.
«Signori Wilknson, vi sono debitrice…davvero, non so come ringraziarvi per tutto quello che avete fatto per me.»
Kathrin la interrompe accennando un sorriso.
«Suvvia, Amelia, ci vedremo in redazione. Sono molto lieta che tu abbia trovato tuo marito.»
«Che succede qui?» Thomas compare dietro una colonna nell’atrio; incrocia lo sguardo di Amy, poi guarda la madre.
«Ah, quindi te ne vai!» esclama arrabbiato.
«Thomas, io…» Amy non riesce a concludere la frase che Thomas va via.
«Questo ragazzo, io non…» la frase di Kathrin viene interrotta dal rumore forte di una porta chiusa con violenza.
«Non ti preoccupare, parlerò io con Thomas.» dice Kathrin, rivolgendosi ad Amy.
Amy risponde «Grazie signora Kathrin, ma almeno questo glielo devo.»
Amy quindi va nella direzione in cui ha sentito il frastuono, cerca Thomas tra le stanze della casa, lo trova in biblioteca.
Amy si avvicina alla porta, la apre leggermente.
«Thomas? Posso entrare?» dice sussurrando.
Amy entra, vede Thomas seduto su una poltrona.
Thomas alza lo sguardo su di lei.
Tutto tace, un vento fresco autunnale entra da una finestra aperta facendo svolazzare la tenda.
Thomas si alza, si dirige verso Amy.
«Non stavi andando via?»
Amy cerca di dire qualcosa
«Tom…»
Thomas la interrompe.
«Deduco che hai trovato tuo marito, eri con lui ieri sera, no? Ecco perché sei tornata tardi. Ma non sono fatti miei, dico bene? E quando ti ho salvata dalla strada, chi si è preso cura di te? E mentre eri in ospedale? Dov’era il tuo caro e ben ritrovato maritino? Dimmi Amy, dov’era?»
Thomas si ferma, sembra come se avesse già detto abbastanza.
Guarda Amy, lei è indecisa. Apre e richiude le labbra più volte, non sa se parlare potrà peggiorare le situazione o migliorarla.
Gli occhi di Thomas guardano altrove per un attimo, poi lui fissa di nuovo Amy e continua a parlare alzando però stavolta il tono della voce.
«Perché non mi rispondi?»
Thomas si avvicina ad Amy afferrandole le braccia e continua «Vuoi forse farmi credere che quel bacio non ha significato niente per te?»
Amy a questo punto non può sentire un’altra parola, sfila le braccia dalla presa di Thomas. È arrabbiata, non può tenersi tutto dentro.
«Adesso basta! Non hai il diritto di parlarmi così. Sì, è vero, mi hai salvato, ma questo non cambia quello che provo per mio marito e tu devi capirlo.»
Il silenzio cala nuovamente nella stanza.
Amy guarda Thomas, lui si è seduto nuovamente sulla poltrona, ha lo sguardo basso.
Prende una sigaretta dalla tasca e la accende.
«Thomas, per favore…»
Lui con tono basso «Quando esci chiudi la porta.»
Amy lo ignora.
«Devi capirlo.»
Thomas, continua a tenere gli occhi bassi, dopo una boccata di fumo dice «Vai via, Amelia.»
Rassegnata all’idea di non poter fare più niente per far cambiare idea a Thomas, Amy va via dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. Resta per qualche secondo con le mani sulla maniglia della porta, poi nota l’orario sul suo orologio.
“Rory starà per arrivare” pensa Amy, “Non posso fare niente per convincerlo, col tempo capirà. Spero solo che un giorno potremo tornare ad essere amici.”
Amy torna nell’atrio della villa, tutto tace.
“I Wilkinson saranno usciti per quella cena di lavoro. Aspetterò Rory in fondo al vialetto.” pensa tra sé e sé.
Indossa il soprabito, poi prende le valigie, guarda per l’ultima volta casa Wilkinson, esce di casa, chiudendosi la porta alle spalle. Quindi si avvia verso il cancello in fondo al vialetto.
Poggiatasi al lampione in cui il giorno prima Rory la aspettava, Amy ora attende suo marito, deve pensare a lui. Devono pensare a loro.
Amy guarda di nuovo il suo orologio “Rory sarà qui a momenti.”
Poggia le valigie per terra, avvolge le braccia intorno a se, per farsi calore. Inizia a far freddo e non vuole tornare dentro casa, non vuole vedere Thomas dopo il loro litigio, vuole solo vedere Rory e andare a casa con lui.
Amy continua a guardare l’orologio, si è fatto tardi e Rory non è ancora arrivato. “Gli sarà successo qualcosa.” pensa Amy.
Mille pensieri invadono la mente di Amy, cerca di spiegarsi per quale motivo suo marito non è ancora arrivato “Avrà avuto qualche emergenza in ospedale…dev’essere per forza così.” cerca di rassicurarsi.
“Potrei andare io da Rory o potrei raggiungerlo in ospedale” pensa ancora.
«I taxi a quest’ora non fanno più servizio.» dice sottovoce.
Ormai non può far altro che tornare a casa Wilkinson ancora per una notte.
«E se dovesse aprirmi Thomas?» riflette ad alta voce, «devo provare, non ho altra scelta.»
Con poca convinzione si decide quindi a prendere le valigie e a tornare dentro casa, lentamente ripercorre il vialetto.
“Perché Rory non ha trovato il modo di avvisarmi?”.
Il campanello dei Wilkinson è a pochi centimetri dal suo dito, deve per forza suonare.
Il suono del campanello rimbomba nelle sue orecchie, Amy chiude gli occhi, continua a sperare di non vedere Thomas.
Sente il rumore dei passi di qualcuno che si avvicina alla porta che si apre pochi secondi dopo: è Gertruda ed Amy non è mai stata così contenta di vederla.
«Ancora tu?» dice Gertruda col suo solito tono accusatorio.
«Sì, Rory ha avuto un contrattempo.» mente la ragazza, «Speravo di poter passare ancora una notte qui.»
Gertruda la guarda dalla testa ai piedi, fa una smorfia.
«Immagino che fuori fa freddo, i Wilkinson non vorranno mica che tu ti ammali per colpa mia. Sai dov’è la tua stanza.»
Poi fa spazio per fa rientrare Amy in casa.
«Grazie Gertruda, domani mattina andrò via.»
Gertruda chiude la porta, poi scompare tra i corridoi.
Amy ancora d’avanti l’atrio della villa con le valigie in mano, fa un respiro profondo e si dirige verso la sua stanza.
Entrando posa le sue cose alla punta del letto. Si siede sul letto.
“Spero che non sia capitato nulla a Rory”.
Stanca e infreddolita si mette sotto le coperte, poi si addormenta.

Il sole è già alto nel cielo quando Amy si sveglia. L’unico pensiero di Amy è quello di ritrovare suo marito.
QQualcuno bussa alla porta; entra Gertruda con un vassoio.
«Che evento eccezionale! Dovrei scrivere un articolo su quello che ho appena provato quando ho scoperto che a bussare sei stata tu, Gertruda.»
La domestica la guarda imbronciata.
«Questa è la colazione, ho avvisato i signori Wilkinson che sei rimasta per la notte.» poggia il vassoio sul comodino, poi senza aspettare che Amy le risponda esce dalla stanza chiudendo la porta.
«Grazie?!» dice Amy tra sé e sé.
Guarda il vassoio, non le è mai stata portata la colazione in stanza da che quando è a casa Wilkinson, soprattutto da Gertruda. Nel vassoio c’è un bicchiere con del latte, un piccolo girasole e un piattino con dei biscotti al limone, accanto un bigliettino piegato con scritto “Amelia”.
Prende il girasole, socchiude le palpebre e annusa il profumo del fiore, poi prende un biscotto e lo morde.
Infine, si siede sul letto e prende il bigliettino di cui riconosce la grafia della signora Kathrin.
“Le porte di casa nostra saranno sempre aperte per te.”
Amy sorride, poggia di nuovo il bigliettino sul vassoio e finisce la sua colazione.
Guarda l’orario nel suo orologio da polso.
“Devo andare al lavoro, non posso assentarmi di nuovo” pensa.
Esce dalla sua stanza dirigendosi verso il bagno.
Nel tragitto incontra Thomas. Lei sospira.
Lui, inizialmente sorpreso, esita.
«Ah, sei ancora qui? E il tuo maritino?»
Amy alza gli occhi al cielo, continuando a camminare. Si comporta come se non l’avesse sentito. Thomas la osserva andare via senza dire altro.
Tornata in stanza dopo una doccia rilassante, Amy finisce di prepararsi. Prende il soprabito e la sua borsa, poi prende anche il piccolo girasole ed esce.

Arrivata in redazione, Amy è immersa nelle scartoffie, Alicia è indaffarata con alcuni preparativi per il matrimonio e ad Amy tocca svolgere più lavoro del previsto.
Deve finire presto e non può permettersi distrazioni, ma non è facile.
Guarda il girasole che ha portato con sé. Ripensa ai viaggi col dottore. Com’era spensierata in quel periodo, la vita con il dottore era tutt’altro che ordinaria, era movimentata, eccitante, stravagante.
”Chissà cosa starà facendo il mio uomo stropicciato” pensa Amy.
Improvvisamente Amy viene richiamata alla realtà: è Alicia.
«Amelia, ci sei?» la guarda, «Amelia?» ripete, ma Amy ho lo sguardo assente.
«Ti avevo chiesto di occuparti di quei documenti per me, ma li vedo ancora sulla scrivania.» continua Alicia.
Fa un cenno con la mano d’avanti il volto di Amy. «Amelia, ti senti bene?»
Amy sbatte le palpebre, poi resasi conto di non avere la concentrazione per lavorare dice: «Alicia, io…» tentenna, poi aggiunge «Io avrei bisogno di andare via un po’ prima.»
Alicia la osserva, si aspetta che Amy continui la frase, vorrebbe sapere il perché di quella richiesta.
«Vedi, Rory non sta bene, io…» inventa Amy.
Alicia la interrompe.
«Perché non me lo hai detto subito? Certo che puoi andare via prima! Non ti preoccupare!»
«Grazie, non so come farei senza di te.»
Prende la sua borsa e il soprabito, sta per uscire dalla stanza, ma poi Alicia la ferma, aggiungendo: «Noi siamo amiche, e le amiche si aiutano a vicenda, no?»
A Amy parte spontaneo il sorriso.
«Certo!»
Amy si volta ed esce dall’ufficio.

Uscita dall’edificio, Amy cerca con lo sguardo un taxi che possa accompagnarla in ospedale.
“Rory sarà sicuramente lì” pensa Amy.
Alza il braccio per far fermare una delle auto gialle. Il cielo sta per oscurarsi di nuvole nere cariche di pioggia.
«Ottimo, ci mancava solo la pioggia!» afferma Amy sarcasticamente. Si mette la borsa sopra la testa per proteggersi dalla pioggerellina che intanto è iniziata a cadere dal cielo.
Finalmente un tassista si ferma, Amy si avvicina, apre la portiera posteriore e sale.
«Dove posso portarla, signorina?» chiede gentilmente il tassista.
«Salve» dice Amy «Io dovrei andare al New York Infirmary for Indigent Woman and Children.»
«Ah sì il New York Infirmary, dovrebbero accorciarlo questo nome!» aggiunge scherzosamente il tassista.
«Sì, dovrebbero» mormora distrattamente, guardando la pioggia che bagna il finestrino.
Il tassista nota dallo specchietto retrovisore il silenzio e la tristezza di Amy. Rimane in silenzio.
La corsa per arrivare in ospedale dura più del previsto, piove e in un attimo Manhattan si riempie di automobili.
A metà tragitto, Amy decide che impiegherà meno tempo andando a piedi.
«Ascolti, io avrei un po’ di fretta, preferirei scendere qui se non le dispiace.» dice timidamente al tassista.
«Ne è sicura? Con questa pioggia si prenderà un raffreddore.» l’avverte il tassista.
«Lei è molto gentile, ma devo proprio andare. Le pagherò la corsa per intero.»
«Non si preoccupi, la corsa la offro io.» dice con tono gentile l’uomo.
«No, la prego, insisto.» porge i soldi al tassista e lo saluta.
Amy scende dal taxi, decisa a raggiungere l’ospedale, decisa a trovare Rory.
Si fa spazio tra le automobili, la pioggerellina che prima le bagnava le guance, adesso è diventata più insistente, la borsa che tiene sopra la testa la ripara solo in parte dalle gocce che cadono dal cielo grigio.
Sbuffa, continuando a correre tra le strade di Manhattan.
Stanca dalla corsa e senza fiato, Amy arriva al New York Infirmary, ha gli abiti quasi tutti inzuppati e i capelli rossi umidi e appiccicati sul volto.
«Sei la moglie di Rory, giusto?» la voce dell’infermiera cattura la sua attenzione.
Amy la guarda spaesata.
«Sei venuta qui qualche giorno fa cercandolo» continua la donna.
Amy poi si ricorda «Sì, scusami, puoi chiamarmi Amelia.»
«Io sono Tanya. Aspetta, ti porto un asciugamano.» si offre sorridendole.
«Grazie, non c’è biso…» Amy non ha il tempo di rispondere che Tanya svolta per un corridoio.
Amy cerca Rory con lo sguardo. Nella stanza c’è un via vai di medici e infermieri, ma di Rory neanche l’ombra. “Dov’è?” pensa.
Tanya torna con delle tovaglie bianche.
«Ecco» ne porge una ad Amy.
«Grazie» dice lei.
Guarda fuori, ha smesso di piovere.
«Tanya, potresti chiamarmi Rory?»
«Oh, non è qui. È passato sta mattina dicendo che non sarebbe potuto restare per il turno.» dice l’infermiera.
«E ti ha anche detto dove sarebbe andato?» domanda ancora Amy con sguardo sconfitto.
«No, mi dispiace. Potresti provare ad andare al suo appartamento. È a due isolati da qui.»
«Grazie ancora, Tanya.»
Lascia l’asciugamano umido sul bancone ed esce dall’ospedale.
Amy cammina e finalmente dopo un paio di minuti arriva sotto il palazzo descritto la sera prima da Rory: un piccolo edificio dai mattoni rossi sulla Quarta Strada.
Il portone del palazzo si apre, esce una signora anziana con il suo yorkshire.
Amy si avvicina al citofono e cerca il cognome Williams, che non legge in nessuna targhetta. Soltanto una è in bianco.
“Sarà questo?” si domanda Amy.
«Signorina, cerca qualcuno?» le chiede la signora.
«Il signor Rory Williams abita qui?»
«Ah sì, certo. L’ho visto uscire questa mattina. Solitamente, quando rientra porta dei croccantini a Lucy, non sarà ancora tornato a casa.» dice guardando il cane.
«Sì, sarà così…»
«Andiamo, Lucy!»
La signora si allontana tenendo stretto il cane.
Amy tristemente si siede nei gradini dell’ingresso del palazzo.
“Rory dove sei?” pensa Amy.
Si ferma a guardare il cielo, il vento le scombina i capelli. I nuvoloni neri sono ormai andati via e alcuni raggi del sole illuminano gli edifici circostanti.
”E se gli angeli lo avessero preso di nuovo? No, non è possibile.”
I suoi occhi si illuminano improvvisamente.
«Gli angeli, certo!» esclama.
Amy inizia a correre con tutto il fiato che possiede. “Dev’essere lì, non può essere andato altrove” pensa.

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Capitolo 12
*** 12. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

12

I raggi tiepidi del sole illuminano Manhattan.
Amy, finalmente, è arrivata nel posto dove spera di trovare Rory. E’ il luogo in cui ha visto per l’ultima volta suo marito prima che fosse preso dagli Angeli Piangenti, lo stesso in cui hanno portato lei.
Il cimitero di Manhattan è silenzioso e tranquillo, a interrompere la pace e la quiete sono i passi di Amy.
Due corvi le volano affianco.
“Rory dove sei?” urla dentro di se.
Camminando tra le lapidi si guarda attorno in cerca del marito, si volta a destra, poi a sinistra.
«Rory.» sussurra.
Si ferma esausta in uno spazio dove non ci sono lapidi, cerca con lo guardo suo marito.
Quando ormai sta per perdere la speranza nota un albero grande in fondo al cimitero: vede una figura seduta sotto di esso.
«Rory!» urla.
Si avvicina alla figura solitaria. Continua a pronunciare il nome di suo marito, sperando che sia lui.
Il ragazzo si alza. Quando a separarli sono pochi metri, Amy finalmente vede il volto di Rory. Lui la osserva con rassegnazione. Amy si avvicina, lui invece indietreggia, ma lei riesce ad avvolgerlo tra le braccia prima che Rory possa dire o fare qualsiasi cosa.
Rory bruscamente si scosta, sciogliendo l'abbraccio.
«Così non funziona.» esclama furioso.
Amy lo guarda stranita.
«Non funziona cosa? Di cosa stai parlando?»
«Vi ho sentiti. Perché non me l'hai detto?»
«Continuo a non capire…»
«Amelia, cosa c'è da capire? Ho sentito tutto ieri sera: tu e quel Wilkinson. Lui sapeva che stavo ascoltando! Ha parlato di un bacio tra voi due, e tu sei arrossita!»
«E’ questo il tuo problema? E' questo il motivo che ti ha fatto sparire nel nulla?» alzando la voce.
Si ferma un secondo per prendere un respiro profondo.
«Allora avrai sentito anche quando ho detto che per me quel bacio non aveva e non ha alcuna importanza!»
«Dovevo immaginarlo che ci potesse essere qualcosa tra voi due.»
Amy afferra Rory per le braccia, bloccandolo.
«Ma se non lo conosci nemmeno!»
«E sentiamo: cosa gli avresti detto mentre ti afferrava tra le braccia?» delira isterico.
Rory guarda Amy dritto negli occhi.
Lei non risponde, ha gli occhi lucidi.
Respira profondamente, ricambia il suo sguardo.
«Rory! Ti sei chiesto il perché sia venuta in quest’epoca?» domanda pacatamente.
L’espressione di Rory adesso è cambiata.
«Perché prendi questo discorso?»
«Sei uno sciocco Rory Williams, non sai quanto ho desiderato vederti e trovarti da quando sono qui. Finalmente ci siamo ritrovati, ma oggi ho avuto il terrore di restare da sola. Ho avuto il terrore di averti perso di nuovo!»
Amy prende fiato, le tremano le mani dal nervosismo.
«Rory, io amo te e sarà così per sempre. Noi due siamo destinati a stare insieme. E’ questo che ho detto a Thomas e che gli piaccia o no, dovrà farsene una ragione.»
«E’ questo che gli hai detto?» domanda Rory con un tono più calmo.
«Sì sciocchino, gli ho detto esattamente così. Perché hai dubitato di me?» continua Amy, «Insieme o per niente, ricordi?»
«Amy, io…» tenta di dire Rory.
Amy incornicia il volto del marito tra le sue mani.
Lo zittisce con un bacio.
Nessuna parola servirebbe a descrivere cosa stiano provando entrambi in quel momento. Amy sorride senza smettere di baciarlo. Si stringono stretti.

Amy e Rory restano a guardare in silenzio il tramonto seduti sotto l’albero gigante. Rory interrompe la quiete «Perché non mi hai detto che sei stata tra i poveri e che ti hanno ricoverata in ospedale?» interrompe la quiete il ragazzo magrolino.
«Pensavo che avrei potuto cavarmela da sola come ho sempre fatto, è stato difficile per me accettare l’aiuto dei Wilkinson» dice Amy continuando a guardare l’orizzonte.
«Oh, Amy…»
Rory l’avvolge tra le sue braccia, accarezzandole i capelli.
Arrivata la sera i due si incamminano verso l’uscita del cimitero, tenendosi per mano.
«Ti accompagno a casa.» afferma Rory, stringendola più forte.
«No. Andiamo a prendere le mie cose, così conoscerai i Wilkinson.»
«E Thomas?» aggiunge Rory con qualche attimo di esitazione. Amy lo fissa. Si sorridono.
«Siamo solo amici, lo sai. Andiamo, dai.»
Amy chiama un taxi. I due salgono sull’automobile.
Il tragitto per arrivare a casa Wilkinson non è molto lungo, il traffico del pomeriggio è quasi svanito, si vedono solo poche automobili per la strada e alcuni passanti per le vie di Manhattan.

Finalmente arrivano alla villa dei Wilkinson. Amy bussa alla porta, ad aprire è Kathrin.
«Amelia, va tutto bene?» domanda sorpresa.
Fa accomandare i due ragazzi in casa.
«Buona sera, signora Kathrin» saluta la donna e indica Rory, «Ci tenevo a presentarle mio marito: Rory Williams.»
Rory timidamente porge la mano in segno di saluto.
«Buona sera, signora Wilkinson. È un piacere fare la sua conoscenza.»
«Oh, anche per me, Rory. Venite, accomodatevi! Gertruda stava per apparecchiare la tavola. Cenate con noi?»
Senza aspettare una risposta, li trascina in sala da pranzo.
Rory conosce anche il signor Wilkinson e Gertruda.
Di Thomas, invece, neanche l’ombra. Amy non sa se chiedere di lui, dato il litigio della sera prima.
«Non preoccuparti per Thomas, Amelia. Lui capirà, un giorno o l’altro» afferma Kathrin tra una portata e l’altra, notando l’incertezza di Amy.
«Vorrei solo che tornassimo ad essere amici.»
«Thomas è un tipo testardo, un po’ come suo padre, gli passerà. Andrà tutto bene, Amelia.»
Finita la cena Amy e Rory salutano i Wilkinson.
«Vi ringrazio ancora. Per tutto quello che avete fatto per lei» dice Rory. Amy non riesce a credere che possa ancora guardare suo marito con i propri occhi.
«Rory, prendo le mie cose e ti raggiungo.»

Amy si chiude la porta della sua stanza alle spalle con le valigie in mano. Percorre il corridoio, passa dalla stanza di Thomas, la porta è chiusa. Vorrebbe chiarire con lui, ma sa che non è quello il momento giusto, Rory la attende.
Scende le scale e trova Rory che scambia delle parole con il Signor Wilkinson.
«Mi dispiace interrompervi.»
«Tranquilla, Amelia. Stavo andando giusto nel mio ufficio, il lavoro mi chiama. Ci vediamo in redazione, signorina Williams.» dichiara Herman.
Saluta Rory con una stretta di mano.
«Buona notte, Signor Wilkinson» saluta cordialmente Amy.
«Hai preso tutto?» le domanda suo marito.
«Sì, sono pronta» risponde lei.

Dicembre 1940.
Amy e Rory abitano insieme da quasi due mesi, il Natale si avvicina.
Fuori nevica e tutte le strade di Manhattan sono piene di addobbi natalizi.
È il primo Natale che Rory ed Amy trascorrono insieme da quando si sono ritrovati e niente è più tradizionale dell’albero decorato di lucine e palline colorate.
Amy è in piedi in salotto che guarda l’albero, Rory è seduto al tavolo mentre prepara delle altre decorazioni con dei cartoncini blu.
C’è silenzio in casa. Da fuori si sentono alcune voci di bambini che giocano per le strade tirandosi palle di neve. Rory si schiarisce la gola.
«Potremo aggiungere due posti a tavola per la vigilia, che ne dici?» mormora lui, interrompendo la quiete della stanza.
Amy continuando a guardare l’albero.
«Loro non verranno, Rory.» dice rammaricata.
Rory si alza da tavola, si avvicina ad Amy e la abbraccia dietro.
«Lo sai, siamo solo io e te. Il Dottore e River non possono venire in quest’epoca.»
«Lo so, Amy. So quanto ti mancano. Mancano anche a me.» la rincuora lui.
Rory ritorna al tavolo, prende qualcosa e la porge tra le mani di Amy.
«Tieni. Ho fatto questo per te.» aggiunge Rory.
Amy tiene sospeso a mezz’aria l’oggetto datogli da suo marito: una piccola cabina blu Tardis di carta con sopra un laccetto bianco.
«E’ bellissima!» dice Amy, le scende una lacrima bagnandole il volto.
Amy intreccia il laccetto bianco su uno degli aghi di pino. Poi si volta e abbraccia Rory.
«Amy, ti andrebbe di andare a pattinare?»
Amy scioglie l’abbraccio, lo guarda e ride in modo buffo. «Tu non sai pattinare!»
«Mi insegnerai tu.»
«D’accordo, signor Williams» dice Amy in tono scherzoso.
La giovane coppia si reca a Central Park, dove è stata realizzata una pista di ghiaccio.
Grandi e piccini pattinano spensieratamente sotto i fiocchi di neve che scendono dall’alto.
Rory non è molto bravo nel pattinaggio, trascorre il più del tempo a scivolare per terra, che in piedi accanto ad Amy. Lei non smette di ridere per le cadute del marito.
Per fortuna, Rory impara in fretta. Si godono quei momenti insieme, guardandosi negli occhi e condividendo le risate.

Febbraio 1941.
Le vacanze di natale sono finite da un pezzo, Amy ha ripreso il lavoro al giornale dei Wilkinson.
Amy è da sola nel suo ufficio, sommersa dal lavoro. Alicia si sposerà in estate e tocca ad Amy occuparsi di alcune faccende del matrimonio. Osserva la lista che le ha stipulato la sua collega. Sospira.
«Dove posso trovare delle Peonie lilla?» si domanda ad alta voce.
Per fortuna, Rory la va a trovare durante la pausa pranzo, portandole qualcosa da mangiare.
Mentre, i due sono seduti alla scrivania pranzando insieme, Thomas passa da lì, incrocia lo sguardo di Amy attraverso la porta a vetri. Lui prosegue dritto senza fermarsi, Amy lo segue con lo sguardo finché non si dilegua nel corridoio.
Rory, pensieroso, osserva Amy.
«Ancora non vi parlate, vero?» le domanda.
«No…»
«Potrei provare a parlargli io.»
«Grazie, ma non servirebbe a niente. Conosco bene Thomas: è troppo testardo.»
«Potremo andare dai Wilkinson una sera di queste, se vuoi.» tenta di risollevarla.
«Sì, beh, a loro farebbe piacere, ma non credo sarebbe lo stesso per Thomas.»
Dopo il pranzo, Rory si alza e lascia un bacio sulla fronte di Amy.
«Ora ti lascio lavorare, io torno in ospedale. Se hai bisogno di me sai dove trovarmi, no?»
«A sta sera.» la saluta Rory. Il sorriso resta sulle sue labbra. Amy riprende il suo lavoro di scrittura a macchina. Rory volge l’ultimo sguardo ad Amy, poi esce dalla stanza.

Giugno 1941.
L’estate è arrivata e Alicia finalmente si sposa. Ha chiesto ad Amy di farle da damigella, Amy non poteva rifiutare.
Amy, pronta per la cerimonia, raggiunge Rory in cucina.
Indossa un abito rosa pesco di seta, un tulle a barca le copre le spalle lasciando nude le braccia, il corpetto del vestito la stringe in vita e ha un’ampia gonna a pieghe svasata che le nasconde le gambe fino alle ginocchia.
Si sfiora con le dita la collana di perle regalatagli da Rory per il giorno di Natale. Rory vedendola rimane a bocca aperta.
«Sei stupenda!» esclama lui.
«Grazie, Signor Williams. Anche lei non sta per niente male.» gli dice ammiccando.
Rory le porge il braccio, Amy intreccia il suo a quello di Rory ed escono di casa.
Alicia ha voluto festeggiare proprio in grande, dopo la funzione religiosa, infatti, gli invitati si recano in un giardino dove è stato allestito un banchetto.
«Ci saranno più di cento persone…» esordisce Rory sorpreso.
«Alicia è fatta così.» sentenzia Amy sorridendo e salutando con la mano i signori Wilkinson che si stanno avvicinando a loro.
«Stai benissimo con quest’abito, Amelia!» esclama Kathrin, sinceramente entusiasta.
«Grazie, signora Kathrin. Anche lei è molto bella!»
In lontananza, Amy intravede Thomas. Amy e Rory si scambiano uno sguardo e si capiscono al volo.
«Vai, tranquilla.» le sussurra sotto all’orecchio e la bacia sulla guancia. Amy guarda i signori Wilkinson.
«Se volete scusarmi…»
Amy raggiunge Thomas. Lui la vede e si ferma.
«Amy…» la guarda, aggiunge «Sei bellissima.»
«Grazie.» risponde timidamente.
Amy e Thomas non hanno ancora risolto da quando Amy si è trasferita a casa di Rory.
«Io vorrei tornare ad essere amici.» dice la ragazza.
Thomas si accende una sigaretta, poi inizia a camminare. Amy lo segue.
I due si siedono in una panchina, lontano dal resto della festa.
«Tom, parlami.» aggiunge Amy.
«Hai ragione. Sai, mi manca la tua amicizia, manchi anche a Minù.»
Amy lo osserva fumare, aspetta che Thomas dica qualcos’altro.
«Dovreste venire a cena qualche volta…tu e Rory. Ai miei genitori farebbe piacere.»
«E a te? tra di noi è tutto risolto?»
«Anche a me.» dice e studia l’espressione della ragazza.
«QQQuindi tra noi è tutto risolto?»
Thomas finisce la sigaretta prima di parlare.
«Sì, Amelia.»
I due si guardano. Poi vengono interrotti da una ragazza con i capelli biondi raccolti in uno chignon che indossa un abito nero a pois neri con un gran capello scuro.
«Eccoti, ti ho trovato finalmente! Ti sto cercando da mezz’ora, Thomas.»
Lui si alza dalla panchina scocciato.
«Amelia, ti presento Dianna.»
Amy le porge la mano.
«Piacere, io sono…»
«Amelia, no?» la interrompe lei con voce altezzosa, guardandola dall’alto in basso.
«S-si.» dice Amy.
Dianna volge lo sguardo a Thomas.
«Tuo padre sta per fare il discorso agli sposi. Non vorremo mica perdercelo, vero, Thomas?»
«Certo che no.» risponde Thomas con espressione infastidita.
I due poi si allontanano insieme, Dianna prende per mano Thomas. Lui si volta per un secondo verso Amy.
«Che scocciatura!» dice con il labiale.
Amy ride e anche lei ritorna alla festa.
Raggiunge Rory al tavolo in cui siedono le altre damigelle con i loro accompagnatori.
Tutti ascoltano il discorso del Signor Wilkinson, poi si procede con le varie portate.
Non molto lontano dal tavolo in cui è seduta Amy, siedono i Wilkinson con Thomas e Dianna.
Amy nota che Thomas è distratto, Dianna cerca di richiamare la sua attenzione più volte, ma lui il momento dopo la ignora nuovamente. Qualcosa attira l’attenzione del giovane, o forse qualcuno. Amy cerca di seguire il suo sguardo. Amy ha capito e si trattiene dal ridere. Rory lo nota.
«Che c’è? Perché ridi?» le domanda.
«Guarda Thomas.»
Rory non capisce, ma fa ugualmente ciò che gli dice Amy. «Guarda verso l’entrata.» aggiunge lei.
«Ah! Ora capisco, ma lui non è venuto qui con la ragazza bionda?»
«È un’antipatica, che si sente la padrona dell’universo» sbuffa Amy.
Riosserva gli occhi interessati dell’amico.
«Dovrebbe andare a parlarle.» sussurra al marito, guardando la ragazza bruna in fondo al giardino.
«Non penso che i suoi genitori approverebbero.» mormora lui.
«Deve crescere prima o poi» si impone Amy, riferendosi a Thomas.
«Scusate, signori.» li interrompe un cameriere che gli serve un’altra portata.
Finito di mangiare, gli invitati si spostano sotto un gazebo dove verrà tagliata la torta nuziale.
«Torno subito.» dice Amy a Rory. Si alza da tavola e raggiunge quello dei Wilkinson che stanno per spostarsi insieme a tutti gli altri invitati.
«Posso parlarti un attimo?» domanda a Thoma.
Kathrin prende sotto braccio il marito.
«Andiamo Dianna, ci raggiungeranno dopo.» dice la signora Wilkinson.
Non appena si allontanano, Amy si siede accanto a Thomas.
«Thomas, ho visto come la guardi, perché non le vai a parlare?» chiede Amy e fa un cenno con il capo verso la ragazza bruna.
«Sapevo che lo avresti notato, Amelia.» dice Thomas in tono scherzoso.
«So come sei fatto, Tom. E so che non sei felice con lei.» parla di Dianna. E una smorfia le viene spontanea.
«Eppure, sai anche che mio padre non me lo permetterebbe: è solo una cameriera.» ribatte Thomas.
«A te importa?» continua Amy.
«Ovvio che no, cioè…»
«E allora vai. Tuo padre capirà. Si arrabbierà, ma prima o poi devi prendere il controllo della tua vita, Thomas.»
Lui accende una sigaretta.
«E’ facile dirlo per te.»
«Cosa vorresti dire?» chiede Amy, alzando un sopracciglio.
«Tu non devi rendere conto a nessuno.»
«E neanche tu! Sei abbastanza grande per decidere da solo con chi stare.»
Thomas prende un’altra boccata di fumo, pensieroso.
«Tutti dovrebbero avere il diritto di innamorarsi e sposare chi vogliono. Lo hai detto tu, ricordi?» continua Amy. Thomas se la ride sotto i baffi.
«Certo che me lo ricordo.» poi aggiunge, «Penso che siamo rimasti abbastanza seri per oggi. Sono più bello quando sorrido, ma tu lo sai già, no?»
Amy lo spinge incitandolo ad alzarsi.
«Dai, vai a parlarle!» esclama Amy, «Tranquillo, non starò dietro una porta ad origliare.»
«Te lo ha detto Rory, vero?»
«Non importa, adesso. Vai a parlare con quella ragazza.»
«Va bene, va bene. Ci vado.» dice alzando le mani in segno di resa.
Spegne la sigaretta nel posacenere al centro del tavolo e posa, di nuovo, lo sguardo su Amy.
«Augurami buona fortuna.»
«Non ne hai bisogno, lo sai.» dice lei, sorridendogli.
«Hai ragione, non ne ho bisogno.» conclude Thomas pavoneggiandosi. Amy lo osserva, mentre si allontana da lei.

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Capitolo 13
*** 13. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

13


Agosto 1941.
«E dai, Amy! Sbrigati o faremo tardi!» grida Rory.
«Arrivo, arrivo!» urla Amy dall’altra parte della casa.
«Non c’è bisogno di agghindarsi così. È solo un incontro con l’agente immobiliare.» dice e continua sottovoce, «L’ultimo spero.»
«Esatto dev’essere l’ultimo.» si impone Amy, che intanto ha raggiunto il marito d’avanti l’entrata di casa.
«Questo appartamento sta diventando troppo piccolo.» continua lei.
Arrivati in un quartiere poco fuori Manhattan, Rory ed Amy percorrono una strada piena di villette.
Vicino un grande albero li aspetta un signore alto e magro che indossa un completo grigio, degli occhiali e tiene nella mano destra una valigetta ventiquattr’ore di pelle.
I tre entrano in casa, restano lì per delle ore.
Escono dalla casa. Amy e Rory hanno un largo sorriso stampato sul volto.
«Arrivederci. E ancora congratulazioni per l’acquisto!» si congratula l’agente.
«Arrivederci.» saluta Amy.
Aspetta che l’uomo abbia percorso il vialetto e sia scomparso dalla vista per abbracciare euforicamente Rory.
Nei mesi successivi, Amy e Rory si dividono tra il lavoro, gli amici e l’arredare casa nuova.
Hanno portato con loro alcuni degli oggetti dell’appartamento di Rory come: stoviglie, arredi per la cucina, un tavolino in vetro per il salotto e qualche sedia.
La casa è molto accogliente, si estende in larghezza.
Salendo i tre gradini dell’ingresso, si entra da una porta in legno chiaro. Si arriva a un salotto dalle pareti rosse diviso in due parti dal piccolo atrio, da cui scendono delle scale che portano al piano superiore.
La prima parte, alla sinistra della casa, ha delle finestre grandi da cui è possibile vedere la strada, poi ci sono un divano rosa con dei cuscini verdi, una poltrona bianca e al centro un tavolino in legno. Leggermente più a destra, in un angolino c’è un tavolo da pranzo con quattro sedie.
Da qui si nota che una penisola bianca separa il salotto dalla cucina.
Questa ha le pareti gialle e gli arredamenti bianchi e grigi. A destra un muro, in cui ci sono tutti gli utensili, separa la cucina dal resto della casa.
Esattamente di fronte la penisola c’è una finestra sotto la quale un lavandino e gli elettrodomestici utili per la cucina.
Dalla finestra è possibile vedere il retro della casa, qui si estende un piccolo cortile raggiungibile da una piccola porta vicino il frigorifero. Rory ha deciso di trasformarlo in un giardino e Amy ha voluto aggiungere dei divanetti neri con cuscini bianchi.
La parte a destra dell’entrata, è la zona preferita di Amy: anche qui ci sono delle poltrone di color rosa salmone, ma la particolarità è la grande libreria nel muro di fronte, ancora un po’ vuota.
Una porta rossa separa questa stanza dallo studio di Amy. È un po’ piccolino, ma abbastanza capiente da contenere uno scrittoio con una sedia e diverse mensole con riviste, libri e una foto del loro matrimonio.
Al piano superiore poi vi sono un’ampia stanza da letto, un bagno in tinta azzurra e un’altra stanza che ancora i Williams non hanno arredato.

Novembre 1941.
Amy e Rory si sono trasferiti nella casa nuova da circa tre mesi.
È di nuovo inverno e alla radio passano le notizie della guerra del pacifico: l'America, che inizialmente si era dichiarata neutrale, adesso deve entrare in guerra per fronteggiare l'attacco giapponese nella base di Pearl Harbour.
Fuori il cielo è grigio e una pioggerellina sta iniziando a bagnare i vetri della cucina.
Quel pomeriggio, Amy è a casa insieme ad Alicia, stanno prendendo il thè, dopo che Amy ha fatto mostrato la casa nuova all’amica.
Rory, invece, è al lavoro. I suoi turni sono aumentati da quando ha deciso di continuare gli studi per poter diventare medico. A volte, è costretto a dormire in ospedale per poter seguire meglio alcune visite e i post operatorio dei pazienti.
Alicia sorseggia il suo thè caldo.
«Spero solo che questa guerra non arrivi anche qui da noi…» dice l’amica.
Amy, che proviene da un’altra epoca, sa già come si concluderà il conflitto, ma non può certo dire nulla alla sua amica. Così, annuisce e prende un sorso di the dalla tazzina in ceramica.
Alicia nota una cabina blu fatta di carta sul davanzale della finestra: è quella che ha costruito Rory il natale precedente.
«Com’è carina!» esclama.
«Sì, l’ha realizzata Rory.»
«Perché è blu?» domanda Alicia guardando l’oggetto, «Le cabine londinesi sono rosse, no?»
Amy non sa cosa rispondere, vorrebbe raccontare ad Alicia del Dottore, ma non può.
«Da piccola sognavo sempre un uomo con dei vestiti stropicciati che viaggiava in una cabina blu.» rivela una mezza verità, Amy.
Alicia la guarda stupita.
«Suvvia! Alicia non fare quella faccia! Anche tu avrai i tuoi sogni strani, no?» domanda Amy, cercando di sviare il discorso.
«Beh, in realtà i miei sogni non hanno nulla di strano: una casa, una famiglia, salute e felicità.»
«Io non parlo dei sogni che si fanno ad occhi aperti. Ma di quelli che facevi dormendo quando eri bambina.» aggiunge Amy.
Alicia fa una smorfia, per poi scoppiare a ridere.
«Non sei più ingannabile. Questo non va bene, Amelia.»
Amy solleva le spalle, sorridendo inconsapevolmente.
«Ho imparato a conoscerti.»
Prende un biscotto alle ciliegie dal tavolino e lo morde.
Le due ragazze finiscono il loro thè.
«Mi ha fatto piacere passare un pomeriggio insieme, lontane dalle scartoffie, ma devo proprio andare. Tobey sarà a casa a momenti!» dice Alicia davvero rammaricata.
«Quando vuoi possiamo rifarlo, se vuoi.» dice Amy accompagnandola alla porta.
«La prossima volta tu e Rory potreste venire a cena da noi. Che ne dici?»
«Certamente!» risponde Amy.
Le due amiche si salutano, poi Amy inizia a preparare la cena per il ritorno di Rory dal lavoro.

Maggio 1942.
Un altro anno si è concluso e nei mesi a seguire Rory passa più tempo in ospedale che a casa con Amy.
Amy è preoccupata per lui, ma sa che è desiderio di Rory diventare medico, quindi decide di non assillarlo con le sue preoccupazioni.
Una domenica pomeriggio Amy è a casa, non lavora. Quindi, ha portato con se del lavoro in più da sbrigare, non le piace restare con le mani in mano.
Si prepara una tazza di caffè, poi si reca nel suo studio, indossa gli occhiali regalatigli dal suo amico Thomas, e inizia a sfogliare delle carte.
D’un tratto sente un rumore nella serratura della porta, Amy guarda l’orologio che segna le 16:20.
“Non può essere Rory” pensa Amy.
«Amy, sono a casa!» urla Rory dall’ingresso.
Lei, immediatamente, si dirige da lui.
«Rory! È successo qualcosa? Come mai non sei in ospedale?» gli chiede sorpresa.
«Oggi mi hanno dato il permesso di andare via prima…»
Guarda Amy che indossa ancora gli occhiali da lettura.
«Stavi lavorando, vero?» aggiunge.
Amy si toglie gli occhiali e gli sorride.
«Non più, sono contenta che tu sia a casa.»
I due si recano in salotto, Rory si siede sul divano, Amy resta in piedi.
«Vuoi che ti prepari qualcosa?»
«No, Amy. Siediti qui accanto a me.»
Lei si siede accanto a suo marito. Lui le poggia il braccio attorno al collo, lei si rannicchia sul suo corpo. Mette la sua mano destra sul petto di Rory, sente il suo respiro, percepisce che qualcosa lo turba.
Si scosta da lui e lo guarda negli occhi.
«Rory, cos’è successo?»
Lui mette la mano in tasca ed estrae una lettera con sopra il timbro dell’ospedale, la porge ad Amy.
«Che cos’è?» mormora Amy in tono preoccupato.
Rory si alza dal divano e inizia a passeggiare su tutto il salone nervosamente.
«Vogliono che vada in Africa insieme ad alcuni colleghi medici e infermieri per aiutare i paesi disastrati dalla guerra.»
Amy resta a guardare la lettera, non l’ha ancora aperta, né l’aprirà. Non vuole leggere il contenuto, Rory ha già detto tutto ciò che serviva.
“Rory…In Africa? E per quanto tempo?” si domanda Amy.
Mille pensieri invadono la sua mente e tutti contemporaneamente.
“E se non dovesse più tornare?”.
Rory si risiede sul divano accanto a lei, Amy lo fissa, come se stesse guardando il vuoto.
«Amy?» la chiama, «Amy?»
«Io verrò con te.» annuncia impulsivamente lei.
«Amy, non puoi lasciare la redazione. I-io me la caverò, andrà tutto bene.» dice e aggiunge con il sorriso «Ti ho aspettata per duemila anni, ricordi? Supereremo anche questa.»
Gli occhi di Amy improvvisamente si riempiono di lacrime.
Amy abbraccia Rory, lo tiene stretto a sé. Le lacrime bagnano la camicia di lui all’altezza della spalla.
Le accarezza i capelli per consolarla, per confortarla, ma anche lui ha gli occhi lucidi.
«Andrà tutto bene.» mormora sottovoce, ma non si capisce se lo dice per consolare lei o se stesso.
  

Agosto 1942.
Rory è partito da due mesi e l’unico modo per restare in contatto con la sua Amy sono le lettere. Purtroppo il periodo non è dei migliori e per far recapitare le lettere passerà del tempo.
Amy, che è rimasta a Manhattan, si sommerge di lavoro, cerca ogni scusa per distrarsi e per non pensare ai pericoli che corre il marito.
Un pomeriggio sente degli schiamazzi in giardino, sono alcuni bambini che giocano serenamente.
“E se provassi a scrivere un nuovo libro?” pensa Amy. Si passa tra le mani il primo libro che ha pubblicato. Legge il suo nome stampato sopra e sorride. Prende i suoi occhiali da vista e inizia a battere le lettere sulla macchina da scrivere.
Era come se tutto fosse già nella sua testa da tempo, non impiega molto tempo a buttar giù le prime pagine.
Poi resasi conto dell’ora di cena, lascia il suo scrittoio, si toglie gli occhiali ed esce dalla stanza.
È sua abitudine aggiungere un posto a tavola anche per suo marito, sa che non tornerà in quei momenti serali, ma questo suo gesto la fa sentire più vicina a lui.
Giorno per giorno si domanda come potrebbe stare suo marito. Ogni giorno osserva la foto del loro matrimonio. Guarda la macchina da scrivere e le viene un’idea: scrivergli una lettera.
Senza pensare alle mille cose che potrebbe chiedergli, prende carta e penna dal suo studio, va in giardino e si siede in uno dei divani.
Lascia scorrere la mano sul foglio. L’inchiostro velocemente riempie la pagina bianca.
«Caro Rory, come stai? So che il periodo non è dei migliori, ma mi manchi. La casa è vuota senza di te. Sai, mi sto prendendo cura delle tue piante, alcuni fiori stanno germogliando. Io vorrei…»
Amy si blocca, prende un profondo respiro e ritorna a scrivere.
«Io vorrei solo averti qui, vorrei stringerti, vorrei parlarti, vorrei…»
Una lacrima scivola e bagna il foglio che tiene in mano, l’inchiostro inizia a colare e il foglio si rovina.
Amy, con violenza lo accartoccia e lo lancia lontano.
Seduta nel divano, Amy stringe le ginocchia a sé, si fa piccola. Ha la testa piegata in avanti e i suoi capelli lunghi e rossi le nascondono il volto in lacrime.
Amy non ha il tempo di asciugarsi il volto che qualcuno suona alla porta di casa.
“Chi sarà mai?” pensa.
Nel raggiungere la porta di casa, Amy attraversa la cucina, prende un tovagliolo e si asciuga gli occhi.
Suonano di nuovo il campanello, lei corre all’ingresso e guarda attraverso lo spioncino.
Non riconosce subito la persona che sta dietro la porta in legno, vede solo una chioma di capelli ricci e biondi.
Il cuore le inizia a battere fortissimo, sa che non può essere lei.
«Non può essere…» dice sottovoce.
Prende un respiro profondo e spalanca la porta.
River, sua figlia, sta adesso di fronte a lei che la osserva.
«Ciao madre» dice la donna bionda. E le sorride.
 

Amy guarda sua figlia, non crede ai suoi occhi.
«Ri...River, come può essere? Cos…» balbetta.
«Madre, calmati. Carina questa casetta.» dice con tono ironico.
Amy, ancora incredula, fa accomodare la figlia in salotto.
«Sì, è proprio bella questa casa.» dice River guardandosi intorno.
«Ah! Ho trovato questa per te, nella cassetta delle lettere.» dice ed estrae dalla tasca dei pantaloni una busta bianco sporco che riporta un timbro e un francobollo datato. La porge alla madre.
Amy fissa la busta, ma la voce di River la richiama alla realtà.
«Sei da sola?» domanda River. Nota che ha uno sguardo triste.
Troppe emozioni per Amy in un solo pomeriggio, la mancanza di Rory, l’arrivo di sua figlia, una lettera che potrebbe riportare qualunque cosa.
«La apriamo insieme.» afferma decisa River. Con gentilezza mette le mani sopra quelle della madre, che stringe la lettera.
Amy prende un respiro profondo.
«Rory è stato mandato in africa, non so quanto tempo resterà lì.» confessa alla figlia.
River stringe ancora le mani di Amy, la guarda, resta in silenzio.
«Siamo nel ’42. La guerra non finirà che tra tre anni.» aggiunge sconfitta Amy.
«Lui sa cavarsela.» dice River che cerca di rincuorarla, «E anche tu, sapevo che vi sareste ritrovati e così sarà anche dopo che la guerra sarà finita.»
Amy ricambia il suo sorriso, sposta il suo sguardo sulla busta e si convince ad aprirla.
Inizia a leggere:
«Cara Amy, sono qui da poche ore e non so quando potrai leggere questa lettera. Sai dal nostro camion, durante il tragitto per arrivare al campo, ho visto le piramidi in lontananza. Sembra affascinante l’Egitto visto da lì, penso che dovremmo venirci insieme, quando tutto questo sarà finito.
Ci hanno riferito che i bombardamenti non sono all’ordine del giorno, ma ho sentito dire dal comandante dei militari che se ne aspettano degli altri.
Adesso devo andare, hanno bisogno di me. Quest’esperienza sarà utile per il mio futuro da medico, quindi non preoccuparti, me la caverò.
E tu come stai? Ti raccomando, prenditi cura delle mie piante.
Con amore.
Il tuo Rory.»
«Sta bene.» pronunciano le labbra di Amy.
«Sì, hai visto?»
River le sorridendo e le stringe le spalle.
Amy, tranquillizzatasi, si ricorda le parole del Dottore poco prima che gli angeli la prendessero: “Stai creando un punto fisso del tempo. Non riuscirò mai più a rivederti”.
«Come hai fatto ad arrivare qui, River? Lui aveva detto…»
«Ho usato questo.»
River mostra il braccio ad Amy: indossa un bracciale di pelle marrone scuro, con un cofanetto piccolo. Lo apre.
«È un manipolatore del vortice del tempo. Permette dei viaggi temporali, ma può trasportare un solo corpo per volta.» spiega sua figlia, «Mi ci è voluto del tempo per trovarti, ma alla fine sono riuscita ad impostare le coordinate corrette.»
Amy la guarda, sta per aprire la bocca per dire qualcosa.
«So cosa stai pensando, lui non può venire.» la precede River. Si alza dal divano e inizia a camminare e gesticolare.
«Il manipolatore permette di venire qui solo per una volta...un’unica volta.»
«Dimmi che non lo hai lasciato da solo.»
Amy la ferma prendendola dal polso.
«Madre, sono trascorsi solo alcuni giorni da quando tu e Rory siete andati via.» dice sorpresa River.
Amy ha imparato a non stupirsi, i viaggi temporali sono sempre stati un argomento misterioso, inoltre sa che Rory è arrivato in quell’epoca due anni prima di lei, anche se gli Angeli l’hanno presa pochi attimi dopo di lui.
«Sì, il tempo scorre in maniera diversa qui.» mormora la rossa.
Amy racconta alla figlia di come hanno passato quegli anni e di come si è ricongiunta al marito.
«Madre, ti ricordi il libro che leggevate tu e il dottore quel giorno nel parco?» domanda River alla fine del racconto.
«Certo che me ne ricordo. Non lo dimenticherò mai.»
«Bene, perché devi pubblicarlo.»
Estrae dalla sua borsa dei fogli e li porge alla madre.
«Ma non prima dell’anno 1973. Dovrai conservarlo e solo allora potrai leggerne il contenuto.»
Amy prende i fogli senza domandare il motivo della richiesta della figlia.
Poi le due donne continuano a parlare.

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Capitolo 14
*** 14. Capitolo ***


7 cap rewind

[Scritto da Claudia Piazza, Valentina Onufrio e Sofia Zaccaria.]

14

Febbraio 1943.
Nei mesi a seguire Amy sentirà ancor di più la lontananza di Rory, ma a colmare il vuoto sono le lettere che si mandano, seppur i tempi di consegna siano lunghi.
Inoltre, la visita di River e il libro che dovrà pubblicare la fanno sentire ancora più vicina alla figlia e al suo amico signore del tempo.
Uno di questi giorni, insieme alle lettere scritte dal marito, Amy riceve l’invito a un matrimonio.
«Chi si sposa?» dice ad alta voce dentro la casa vuota.
Apre la busta e legge:
Thomas Kristopher Wilkinson II e Lily Haward sono lieti di annunciare le loro nozze.»
Con il sorriso tra le labbra ricorda la cameriera bruna del matrimonio di Alicia, all’interesse che aveva Thomas per quella ragazza.
«Ce l’hai fatta, finalmente!» esclama.
Ora che sa che anche il suo amico è felice, non le resta che rispondere alle lettere del marito.
Si siede sul suo scrittoio, guarda per un momento tutte le lettere che Rory le ha mandato da quando è partito e, infine, inizia a scrivere.
«Caro Rory, spero ti siano arrivate le mie lettere in cui ti parlavo di River. L’inverno, ormai, sta per finire e il mio secondo libro è quasi completo. Credo che lo intitolerò Summer Falls, del resto era proprio estate quando lo iniziai a scrivere, poco tempo dopo la tua partenza. Sai, continuo a vederti nei miei sogni, vestito con l’armatura da centurione romano.»
Ride pensando a quei momenti.
«Non riesco a togliermi dalla mente la tua espressione, avevi proprio una faccia da stupido!» continua a ridere, poi torna seria.
«Rory, spero che tu stia bene, mi manchi tanto, ma so che tornerai, ho fiducia in te, in noi. Non ricordo se te l’ho mai detto: Sei l'uomo più bello che abbia mai incontrato, Rory Williams. Ricordatelo sempre.
Ti amo.
Tua Amy.»

Giugno 1943.
L’estate è arrivata e Rory è via esattamente da un anno.
Amy è al lavoro, ha pubblicato il suo “Summer Falls” un libro multi capitoli per bambini, che con sua sorpresa ha ottenuto un grande successo. Ne tiene una copia sulla scrivania a casa e all’ufficio. Ne è fonte d’ispirazione e di incoraggiamento.
In redazione, tutti conoscono Amy e le chiedono notizie di Rory.
Malgrado questo le faccia sentire ancor di più la sua lontananza, percepisce l’interesse dei colleghi che le stanno vicino in questo momento difficile della sua vita.
Notando la distrazione di Amy di quel giorno, Thomas che porta la fede al dito da un paio di mesi, dà il permesso alla sua amica di andare via prima dal lavoro.
Amy annuisce, non può che accettare. Firma gli ultimi documenti, poi prende la sua borsa e va via dalla redazione.
Inizia a camminare per le strade di Manhattan, prende un caffè in un bar, guarda delle vetrine di alcuni negozi.
Seduta a un tavolino, nota una mamma con un bimbo in una carrozzella.
“E se adottassimo un bambino?” pensa Amy.
Chiama quindi un taxi per tornare a casa decisa a scrivere una lettera al marito in cui proporrà a Rory dell’adozione.
«Sono a casa.» dice una volta arrivata a casa, pur sapendo che non ci sarà nessuno a risponderle.
Dal salotto, però, proviene una voce maschile che Amy conosce molto bene.
«Amy!» si sente chiamare.
Amy lascia cadere le chiavi e la borsa per terra, corre nella direzione da cui proviene la voce.
Vede Rory, il suo Rory. Disteso sul divano con una gamba fasciata. Le muore il sorriso sulle labbra.
«Rory! Cosa ti è successo? Quando sei tornato? Chi ti ha portato qui?» sbraita isterica. Si siede accanto a lui, nota che Rory si è fatto crescere la barba.
«Amy, calmati. Va tutto bene, è solo una frattura.» le dice, mentre le accarezza il volto. Le mette i capelli rossi dietro un orecchio, i suoi occhi azzurri non si staccano da quelli verdi di lei.
«Non potevano tenermi lì, sarei stato solo d’intralcio per i miei colleghi medici.»
«I tuoi…» viene interrotta.
«Mi hanno promosso, sai? Insieme a noi infermieri c’era il dottor Adams con cui seguivo le visite al New York Infirmary, ero l’unico che poteva sostituirlo.»
«Dici seriamente? Sono fiera di te, Rory Williams!» urla Amy che si getta tra le braccia di Rory.
«Ha detto che quando tornerà dall’Africa verbalizzerà tutto, il resto è una formalità.» tossendo.
«Ti preparerò qualcosa di speciale per cena, vedrai.»
Rory sorride ad Amy, poi inizia a raccontargli la sua avventura in Africa. Lei lo aggiorna su tutte le novità.

Luglio 1945.
Sono passati due anni da quando Rory è tornato dall’Africa, ormai la sua gamba è guarita del tutto.
Lui è ufficialmente diventato medico e dopo il successo del libro di Amy, i Wilkinson hanno voluto promuoverla nuovamente.
Il compito di vicedirettrice è molto più impegnativo del lavoro che svolgeva precedentemente, ma Amy adora questo lavoro. Inoltre, nel tempo libero, oltre a prendersi cura del marito, Amy si dedica alla sua attività di scrittura.
Alcuni fogli stanno accanto la macchina da scrivere di Amy, nel primo foglio è possibile leggere “Il ladro di notte” di Amelia Williams.
È stato scritto per metà, in quanto Amy è stata costretta a metterlo da parte.
Ha deciso, insieme a Rory, di adottare un bambino. La procedura è lunga e richiede tempo perché chi vuole adottare un bambino deve dimostrare di essere all’altezza di questo compito importante.
“È necessario avere un posto sicuro ed accogliente in cui crescere il proprio figlio, la coppia deve essere unita e manifestare il loro legame amoroso che sarà punto fondamentale per l’assegnazione del bimbo” si ripete Amy. Queste parole le ha sentite talmente tante volte da non potersele mai più dimenticare.
Amy e Rory non sono da meno a tutte queste regole, ma prima di passare all’atto vero e proprio, i Williams devono incontrare più volte nell’arco dei mesi a seguire, l’agente che si occuperà di osservare la coppia.

Febbraio 1946.
Amy e Rory aspettano con impazienza che l’agente delle adozioni arrivi per un altro dei loro incontri.
Oramai sono mesi che i due hanno iniziato a sognare di avere un bimbo tutto loro.
Bussano alla porta.
«Spero ci porti buone notizie.» dice Amy al marito.
«Andrà bene, l’ultima volta ci aveva detto che non sarebbero mancati molti incontri.» la rincuora Rory.
Amy in camera da letto si osserva allo specchio che c’è di fronte al letto: indossa un vestitino semplice stretto in vita da un cinturino, con le maniche lunghe e la gonna a pieghe.
Scende le scale seguita da Rory, anche lui è vestito bene: indossa un completo in grigio con sotto una camicia abbottonata stretta fino al collo e delle bretelle. Inoltre, da quando è diventato medico ha iniziato a portare degli occhiali da vista dalla montatura sottile e nera.
Amy apre la porta.
«Buona sera, Amy.» dice la donna alla porta.
«Prego, si accomodi, Giuliet.» dice gentilmente Amy.
«Salve, Rory.»
I tre si siedono in salotto dove Amy ha preparato un vassoio con il thè e dei biscotti.
Giuliet è una donna dal volto simpatico, è piccolina di statura, ha i capelli castano scuro legati a formare uno chignon, anche gli occhi sono scuri ed è vestita in modo elegante e professionale.
Amy e Rory parlano con Giuliet da ore, ma dopo tanta attesa i Williams firmano tutti i documenti per adottare un bimbo di 1 anno.
Nelle settimane successive Rory ed Amy si recano nell’ufficio di Giuliet, per concludere la parte burocratica dell’adozione, poi insieme si recano nella casa famiglia dove il bimbo attende i suoi nuovi genitori.
«Non resta che decidere il nome del bambino.» dice Giuliet.
Amy tiene in braccio la piccola creatura dai capelli rossicci e dagli occhioni azzurri, lei e Rory lo guardano.
«Anthony Brian Williams.» annunciano insieme.

Dicembre 1949.
Si avvicina la vigilia di capodanno e Anthony nel mese di Gennaio compirà 5 anni.
Ogni sera prima di andare a dormire Amy racconta al figlio una delle avventure fantastiche che ha vissuto insieme al Dottore e al marito, attraverso il tempo e lo spazio.
È desiderio del piccolo Williams viaggiare e vedere il mondo e quale scusa migliore, se non quella di andare a visitare alcuni dei posti incantevoli che il continente americano offre?
Amy e Rory, quindi, decidono si festeggiare il compleanno del figlio con un viaggio in Florida e a Washington.
Anthony è affascinato dai posti che visita insieme ai suoi genitori. Ripete sempre che da grande vorrà viaggiare proprio come “l’amico stropicciato” della sua mamma.
Finite le vacanze Rory torna alla sua vita in ospedale, Anthony riprende l’asilo. Amy, che aveva lasciato il suo libro "il ladro di notte" a metà perché era troppo occupata dal crescere il figlio, si divide tra la stesura del libro e il lavoro di vicedirettrice nel giornale dei Wilkinson.
Anche Alicia ha avuto un bambino.
Thomas, che si è sposato nel periodo in cui Rory era in Africa, adesso abita con Lily in una modesta villetta lontano dal caos di Manhattan.
 

Marzo 1973.
È il 1973, Amy ha 58 anni e non ha di certo dimenticato la richiesta di River. Ha conservato i fogli che compongono il libro della figlia in uno dei cassetti del suo scrittoio.
Il libro, il cui titolo è “Melody Malone: un’investigatrice privata nella New York antica” contiene una pagina iniziale in cui è scritta la divisione dei dodici capitoli tutti con un nome ben preciso e stabilito.
Un ultimo capitolo riporta la voce “Postfazione”.
Amy incuriosita sfoglia le pagine, arrivata al capitolo della postfazione, nota che quella è l’ultima pagina. È vuota, riporta solo il titolo in alto, mentre in basso si accorge che River ha scritto il suo nome.
Amy pensa inizialmente che ci sia un errore di battitura, alza lo sguardo dalla lettura.
«No, River non avrebbe mai sbagliato a scrivere.» dice tra sè e sé.
«Credo che abbia lasciato questo spazio per me.» dice ancora ad alta voce.
Amy mette un foglio bianco nella sua macchina da scrivere e inizia a pigiare i tasti.

Aprile 1989.
Gli anni passano in fretta, Amy ha pubblicato altri due libri; sulla libreria di casa Williams si vedono i testi scritti che portano il nome di Amelia Williams.
Anthony si è sposato e si è trasferito a Londra con la sua famiglia; sul muro del salotto di Amy e Rory vediamo, infatti, la foto del matrimonio del giovane Williams e accanto diverse foto in cui Anthony è poggiato a un aereo. Nello studio di Amy ci sono alcune cartoline del figlio che mostrano i luoghi diversi che ha visitato.
Anthony ha, infatti, realizzato il sogno di poter girare il mondo diventando pilota di aerei, ma non ha mai conosciuto il famoso Dottore di cui la madre gli narrava quando era piccolo.
Amy è in pensione e si prende cura di Rory che da tempo è malato e non esercita più la professione di medico.

A causa di frequenti dolori addominali, Rory si è sottoposto a delle visite mediche.
Inizialmente tutto sembra riportare a dei normali attacchi di gastrite.
Ma la perdita continua di peso lo fanno dubitare delle sue condizioni di salute.
Durante una delle visite viene finalmente trovata la causa di questo suo mal essere.
Il medico dichiara che le sue condizioni sono tutt’altro che buone. A Rory viene diagnosticato un tumore al fegato, il quale, purtroppo, ha un alto tasso di mortalità data la difficoltà di essere identificato. Per questo motivo, i medici lo hanno definito “tumore silenzioso”.
Amy guarda le cartelle mediche del marito, osserva i medicinali vicino al letto e suo marito dormire.
A lei non le resta che occuparsi di lui, al quale non rimangono che alcuni anni di vita.
Amy si china e gli accarezza i capelli con un sorriso triste sul volto.

Ottobre 1997.
È il giorno del funerale di Rory. Amy ha 82 anni la stessa età del marito defunto.
È un giorno fresco d’autunno e la funzione religiosa si svolge all’aperto nel cimitero in cui Amy è arrivata molti anni prima.
La funzione è seguita da diverse persone. Amy è circondata da persone che le vogliono bene.
Anthony è lì con la moglie, ci sono anche coloro che un tempo erano i suoi colleghi di lavoro: Thomas, Alicia e Tobey, anziani anche loro.
E poi un gruppo di giovani medici che si presentano ad Amy come gli ex specializzandi di Rory.
Finita la funzione, Amy resta da sola contemplando la tomba del marito, nella cui lapide è stato scritto “Nel ricordo devoto, Rory Arthur Williams, età 82”.
Amy guarda il cielo, sospira. Ricorda il momento in cui per la prima volta aprii gli occhi in quel cimitero, distesa, con gli occhi bagnati di lacrime.
È rimasto con lui fino alla fine.
Poi un pensiero la riporta al suo amico stropicciato e alla post fazione che lei gli ha dedicato:
«Ciao, vecchio amico.
Ed eccoci qui, tu e io, all'ultima pagina. Quando leggerai queste parole, io e Rory ce ne saremo andati da un pezzo, quindi sappi che siamo vissuti bene e siamo stati molto felici.
E soprattutto, sappi che ti ameremo sempre.
A volte mi preoccupo per te, però credo che quando ce ne saremo andati, non tornerai più qui, e potresti essere solo, cosa che non dovrebbe mai succedere.
Non stare da solo, Dottore.
E fa' un'altra cosa per me: c'è una bambina che aspetta in un giardino. Aspetterà un bel po', quindi avrà bisogno di un bel po' di speranza.
Va' da lei. Raccontale una storia, raccontale che se sarà paziente, arriveranno giorni che non dimenticherà mai. Raccontale che andrà per mare e combatterà pirati, che si innamorerà di un uomo, che aspetterà 2000 anni per tenerla al sicuro. Raccontale che darà speranza al più grande pittore mai vissuto e che salverà una balena nello spazio.
Raccontale che questa è la storia di Amelia Pond.
E che così finisce.»
Amy alza il volto al cielo e sorride tristemente. 

-fine-

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