DL - 2 - L’isola bianca [da revisionare]

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il terzo superstite ***
Capitolo 2: *** 2. Realtà o finzione? ***
Capitolo 3: *** 3. Il luogo dove convergono le anime ***
Capitolo 4: *** 4. Il Signore del castello bianco ***
Capitolo 5: *** 5. L’Isola Che Non C’è ***
Capitolo 6: *** 6. Memorie insanguinate ***
Capitolo 7: *** 7. L'essenza delle fate ***
Capitolo 8: *** 8. L’invincibile evocatore di demoni ***
Capitolo 9: *** 9. Ritorno all’inferno ***
Capitolo 10: *** 10. Neve scintillante ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Il terzo superstite ***


1. Il terzo superstite


Data: 4117 d.s., settima deca
Luogo: pianeta Damar, sistema Icene

Prometheus e Marianne voltarono l’angolo e si allontanarono quanto bastava perché Trickster e Claire non potessero udirli.

«Cosa volevi dirmi?» domandò il carcarodon non appena si furono fermati.

«Quando sono arrivata ho percepito qualcosa di strano nella tua aura,» iniziò la giovane acinonyana, la voce incrinata da un velo di preoccupazione, «e ho visto uno scorcio del tuo futuro… Lo vuoi sapere?»

Il guardiano rimase in silenzio per alcuni lunghi secondi. L’espressione della poliziotta bastava per fargli capire che non era un futuro molto roseo, però restare nel dubbio gli sembrava molto peggio che avere una riposta spietata. «Sì, dimmelo. E cerca di essere più chiara possibile.»

Marianne prese un leggero respiro. «D’accordo. Ho visto la tua morte, Prometheus. Dopo che avrai radunato i quattro guardiani senza memoria, tu morirai. Non so dirti come, né per mano di chi, ma questo è ciò che ho visto. Non so dirti quanto sia sicura questa previsione, lo sai che il futuro non è mai certo, però…»

«Ho capito.» annuì il carcarodon «Grazie per avermelo detto, ne terrò conto per le mie future decisioni.»

La poliziotta lo guardò con rammarico. «Mi dispiace…»

«No, non devi. Secondo la tua visione riuscirò a radunare i quattro senza memoria e questo è già un bene, se poi dovrò morire… farò in modo che non sia una morte inutile.»

Marianne annuì.

«E adesso torniamo da Trickster e Claire, ci staranno aspettando…


«Pro…? Ohi, Pro! Mi stai ascoltando? Guarda che siamo arrivati. Certo che ultimamente hai proprio la testa fra le nuvole…»

Il carcarodon si passò una mano sul volto. «Scusami, non ho dormito un gran che questa notte.»

Il semidio scrollò le spalle. «Ti capisco, anch’io ho avuto qualche problema ad addormentarmi. Certo che è proprio una seccatura questo fuso orario! Ma quel Tremotino non poteva spedirci tutti nello stesso posto!»

«Mmh… E comunque quante volte te lo devo dire che non devi chiamarmi Pro?»

Il ragazzo sorrise allegramente. «Scusa, mi è scappato.»

L’astronave fresca di officina proseguì nella sua placida discesa e si adagiò silenziosamente nel parcheggio mezzo vuoto di un grande supermercato. Era la mattina di una comunissima giornata di pioggia, quindi non si vedeva molta gente in giro e le macchine parcheggiate si potevano contare sulle dita delle mani.

Il portellone si aprì con un sibilo e grazie ad un incantesimo di elusione i due guardiani poterono uscire dal velivolo dotato di dispositivi di occultamento senza destare lo stupore dei passanti. I pochi myketis presenti non sembravano essersi nemmeno accorti della loro presenza e continuavano a camminare per i fatti loro con l’ombrello in mano.

«Bit, automobile.» ordinò Prometheus.

Il cane biomeccanico abbaiò e in un attimo assunse la forma richiesta. Da quando era stato riparato la sua velocità di trasformazione sembrava aumentata e salendo a bordo della piccola utilitaria i due guardiani ebbero modo di ammirare delle piccole variazioni nello stile degli interni.

Il carcarodon non ebbe bisogno di mettere in moto o di premere pedali, l’automa partì da solo e imboccò l’uscita del parcheggio per addentrarsi nel vicino centro abitato. Stando alle informazioni in loro possesso il loro obiettivo era stato inviato in un paese di piccole dimensioni situato nella periferia di una grande città industriale e in quel momento doveva trovarsi a scuola.

«Aaah, non vedo l’ora di conoscere un altro dei nostri!» esclamò Trickster tutto contento «Pro… Prometheus, com’è questo guardiano? Hai detto che è un ragazzo, giusto?»

«Esatto, si chiama Kenvster ed è una chimera mutaforma. Come ti ho già detto, andiamo a recuperare lui perché ha l’abilità di curare se stesso e gli altri, però è anche molto forte e sono sicuro che ci saprà dare una grossa mano nelle prossime battaglie.»

«Una chimera è un ibrido fatto con la magia, giusto?»

«Non proprio. Un ibrido fatto con la magia si chiama homunculus, la chimera viene creata combinando le parti di altre creature attraverso la magia.»

«E cosa cambia scusa?»

«Per fare una chimera bisogna avere un corpo vivo da cui partire, l’homunculus invece lo si crea da zero.»

«Aah… E questo Kenvster che combinazione è? No, aspetta, me lo devo ricordare. Mmh… Ok, niente, dimmelo tu.»

Prometheus si lasciò scappare un sorriso. «È un umano-alligatore.»

Il ragazzo annuì. «Ok, buono a sapersi. Sono curioso di vedere com’è fatto un umano-alligatore…» Si voltò dall’altra parte e guardò fuori dal finestrino rigato di pioggia. I vasti campi coltivati erano irrorati dall’acquazzone e a giudicare dai nuvoloni in cielo l’acqua avrebbe continuato a cadere ancora per un bel po’. «Che noia ‘sto tempo! Posso far venire un bel temporale di quelli che dico io?»

«Sarebbe meglio di no.»

«E far venire il bello invece? Quando c’è il sole le persone sono più di buon umore e sarà più facile convincere il tizio-alligatore a seguirci.»

«Fossi in te ne farei a meno, è da quando siamo atterrati che ho una brutta sensazione…»

«Magari è colpa della pioggia.»

«Non era una battuta.» ribatté il carcarodon in tono serio «C’è davvero qualcosa che non va qui intorno…»

Il semidio allargò le braccia e si stravaccò sul sedile. «Se lo dici tu…»

Circa dieci minuti dopo, finalmente avvistarono la scuola in cui si trovava Kenvster. Si trattava di un edificio relativamente grande e probabilmente era anche l’istituto più importante, se non l’unico, dell’intero centro abitato.

I due guardiani scesero e Bit tornò subito in forma di canide. Nessuno dei due disponeva di ombrelli, questo però non era un problema per gente dotata di poteri magici. Il solito incantesimo di elusione di Prometheus poi avrebbe evitato scomodi interrogativi da parte della gente che li avrebbe incontrati.

I due guardiani e la biomacchina entrarono nell’edificio scolastico e il bidello all’ingresso non parve nemmeno accorgersi della loro presenza nonostante la scia di orme bagnate che si lasciavano alle spalle.

Prometheus utilizzò il suo ciondolo per individuare a colpo sicuro la posizione dell’altro guardiano senza memoria e in questo modo raggiunsero la palestra. Dall’interno proveniva un acceso vociare che si intensificò ulteriormente non appena Trickster aprì l’ampia porta in legno e plastica semitrasparente.

«Cavolo, questa si che è una palestra!» esclamò il semidio «Certo che questo Kenvster è proprio fortunato: dove c’ero io dovevamo andare a fare educazione fisica chissà dove perché la palestra era troppo piccola e c’erano troppe classi… Allora, qual è? Non mi sembra di riconoscere nessuno…»

Prometheus osservò i vari ragazzi impegnati in un gioco che sembrava pallamano e controllò col ciondolo se la sua impressione era giusta. Lo era.

Un grido di gioia collettiva animò i giocatori della squadra che aveva appena fatto goal.

«È quello che ha segnato.» annunciò il carcarodon.

Il semidio annuì e si concentrò sull’ultimo marcatore della partita. Gli occhi erano scuri e senza sclere come per tutti i myketis, lo stesso valeva per il naso appiattito e per la carnagione che sfumava al verde, tuttavia era facile riconoscerlo perché era il più alto della classe e probabilmente anche il più muscoloso. Certo, forse gli si sarebbe potuto recriminare qualche chilo di troppo sulla pancia, però a giudicare dalla forza con cui aveva lanciato la palla, era meglio non farlo arrabbiare.

«Sembra un tipo interessante.» commentò allegramente il figlio di Loki.

Prometheus stava per rispondere quando la spiacevole sensazione avvertita al loro arrivo si ripeté, solo in maniera decisamente intensificata.

Questa volta doveva averla percepita anche Trickster, perché l’entusiasmo sul suo volto si attenuò e i suoi occhi cercarono in maniera eloquente quelli del compagno più esperto.

Non ci fu bisogno di parole. Entrambi avevano capito che stava per succedere qualcosa di brutto e che era il caso di sbrigarsi.

«Fagli mettere il ciondolo.» ordinò il carcarodon porgendo il pendente argenteo «Con questo al collo dovrebbe essere al sicuro.»

Trickster annuì. «Ci penso io.»

Senza badare alla partita in corso andò da Kenvster e gli si parò davanti. La sua intromissione causò un’inevitabile interruzione del gioco e questo attirò l’attenzione degli studenti, che nonostante l’incantesimo di elusione non poterono non accorgersi di lui.

«Ehi, cosa vuoi?»

«Guarda che stiamo giocando!»

«Vattene da un’altra parte!»

«Kenvster, sbrigati, metti questo!» ordinò il semidio porgendo il ciondolo a forma di triangolo.

«Ma chi ti conosce? Non ci penso nemmeno! E poi chi sarebbe Kenv…» Il ragazzo, che superava Trickster di tutta la testa, si interruppe di colpo, come colto da un ricordo improvviso.

«Non c’è tempo di spiegare! Devi metterlo subito!»

Il giovane tornò presente a se stesso e spinse indietro il figlio di Loki. «Ho detto di no!»

«Non capisci, sta per succedere qualcosa di brutto!» insistette Trickster.

Un’improvvisa scossa di terremoto fece tremare l’intero edificio e tra gli studenti serpeggiò un muto timore, seguito da un roboante vociare che grondava paura.

Il semidio prese Kenvster per il bavero. «Presto!»

«Non mi toccare!» imprecò il ragazzo strattonandolo senza troppi complimenti «Non ho idea di chi sei! Si può sapere cosa vuoi da me?!»

Trickster non ebbe il tempo di insistere ancora perché una luce abbagliate inondò le finestre e poi si riversò in tutta la palestra. Un’onda magica comparve all’improvviso da oltre la parete e nel giro di pochi istanti attraversò ogni cosa, macinando terreno ad una velocità spaventosa e facendo sparire una dopo l’altra le persone che incontrava.

Nel giro di un secondo tutti i presenti erano scomparsi.

Bit si guardò intorno, ma l’unica cosa che ancora si muoveva era il pallone, che dopo alcuni mesti rimbalzi rotolò in un angolo.

Il silenzio era inquietante.


***


Il cielo era nero, punteggiato di stelle e solo leggermente attenuato da sfumature di colore che si perdevano nell’immensità. In lontananza riuscivano a distinguere delle nuvole, ma la cosa più sorprendente era che, nonostante l’assenza di una vera fonte di luce, la zona in cui si trovavano era illuminata a giorno.

Trickster si tirò su massaggiandosi la testa. Il terreno sotto di lui era piuttosto strano: sembrava normalissima terra, però era bianca. Intorno a lui c’erano innumerevoli piante, una foresta probabilmente, e anche loro erano prive di qualsiasi colore. Solo le foglie assumevano una leggera tinta grigiastra e i tronchi più grossi erano attraversati da sottili venature nere.

Dopo qualche momento riuscì ad individuare Prometheus. Si trovava a meno di dieci metri da lui, a fianco di un sottile ruscello, e anche lui sembrava piuttosto confuso.

«Ehi Trickster, tutto a posto?»

«Sì. Sai dove siamo?»

Il carcarodon scosse il capo. «Non ne ho proprio idea.»

Il semidio lo raggiunse. «Certo che è proprio strano ‘sto posto…»

Aveva appena terminato la frase quando avvertì una flebile luce tra gli alberi. Aguzzò la vista e dopo alcuni istanti riconobbe quello che aveva tutta l’aria di essere un fuoco fatuo. Ma non era solo. Ce n’erano a decina che fluttuavano tra gli alberi e rischiaravano l’ambiente con il loro muto bagliore.

«Sono gli studenti che erano nella palestra.» sentenziò Prometheus.

Trickster si voltò verso di lui. «Come fai ad esserne certo?»

«Se vogliamo essere precisi, sono le loro anime. Fidati, non ho alcun dubbio.»

Il semidio stava per parlare quando un’esclamazione lo anticipò: «Ehi! Voi due!»

I guardiani si voltarono e Kenvster li raggiunse con passo deciso. Il ciondolo al collo lo aveva protetto dalla trasformazione in fuoco fatuo e, come con Trickster, aveva anche annullato quella parte di sortilegio che alterava il suo aspetto. Adesso era ancora alto e muscoloso, e non aveva perso i chili di troppo sulla pancia, però la carnagione era diventata ramata e i tratti del viso non erano più quelli tipici dei myketis: gli occhi avevano delle linee nette e precise, con le iridi di un marrone che tendeva leggermente al giallo, le sopracciglia erano piuttosto marcate e il naso aveva delle narici forse un po’ grandi. La mascella era piuttosto importante, comunque proporzionata al resto del viso, mentre le orecchie erano abbastanza piccole. I capelli erano rimasti lunghi fin quasi alla base del collo, ma avevano assunto una sfumatura più tendente al castano, e attraverso la maglietta si potevano intravedere delle piccole punte lungo la colonna vertebrale.

Il giovane si avvicinò con fare poco amichevole a Trickster e senza sforzo lo sollevò da terra tenendolo per la felpa. Nonostante la situazione il semidio riuscì a notare che i denti del vero Kenvster erano aguzzi e pronunciati e le pupille erano verticali, proprio come quelle dei rettili.

Un momento, Prometheus gli aveva detto che Kenvster era una chimera, ma di che cosa…? Ah, sì, umano-alligatore! Certo, quelli non potevano che essere i denti e gli occhi di un alligatore…

Quando il ragazzo parlò, la sua voce sembrava proprio il ringhio di un antico predatore: «Adesso mi dici cosa sta succedendo, e sarà meglio per te che la spiegazione sia chiara ed esauriente.»

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Capitolo 2
*** 2. Realtà o finzione? ***


2. Realtà o finzione?


I fuochi fatui tremolavano silenziosi fra gli alberi, immobili, come se anche loro fossero curiosi di vedere cosa sarebbe successo ai tre guardiani.

«Kenvster, mettilo giù.» ordinò Prometheus.

La chimera digrignò i denti aguzzi e gettò indietro il figlio di Loki. «Io non mi chiamo Kenvster, come ve lo devo dire?! E poi che cosa cazzo sta succedendo?!» Si prese la testa tra le mani. «È un sogno. Per forza. Deve essere un sogno…»

«Ti sbagli, questo non è affatto un sogno. Tutto ciò che vedi è reale, anche questa dimensione. Hai perso la memoria a causa di un sortilegio…»

«Zitto!» gridò la chimera «Questo è un sogno! Questo è un sogno! Adesso mi sveglierò e sarà tutto come prima…»

Ma non si svegliò. Quella realtà così inverosimile rimase del tutto identica a se stessa e i due individui che erano lì con lui non sembravano avere nessuna intenzione di scomparire.

Cadde in ginocchio. No, era impossibile. Impossibile! Tutto quello che gli stava capitando non era reale! Non poteva esserlo! Eppure non sembrava affatto finzione…

«Ohi Prometheus, è una mia impressione o manca Bit?» notò Trickster.

Il carcarodon annuì. «Ci avevo fatto caso anch’io. Probabilmente l’incantesimo che ci ha portati qui non ha effetto sugli oggetti inanimati, del resto questo spiegherebbe anche la mancanza dell’edificio scolastico.»

«Mi sa che hai ragione… Adesso però cosa facciamo? Non possiamo restare qui a guardarci in faccia…»

«Lo so perfettamente, prima però dobbiamo capire dove siamo.»

«Magari siamo in una dimensione parallela o qualcosa di simile.» suggerì il semidio «Di certo questi fuochi fatui e questi alberi bianchi non fanno parte del giardino di un riccone eccentrico.»

«Quando parli di ricconi eccentrici non dare mai nulla per scontato, quelli sono capaci di tutto.» ribatté Prometheus «In ogni caso sono d’accordo con la tua idea della dimensione parallela, peccato che non sappiamo quasi nulla di questa dimensione. Se è stata fatta da qualcuno, con ogni probabilità avrà uno scopo ben preciso, ma quale potrebbe essere…?»

«Ehi, voi due! Smettetela di fare come se non ci fossi!» imprecò Kenvster «Siete stati voi a trascinarmi in questa situazione, quindi…» Non riuscì a trovare le parole e la sua frase terminò con un ruggito di rabbia.

«Beh, se non fosse per il ciondolo che ti ho messo al collo, adesso saresti a bruciare insieme ai tuoi finti compagni di classe.» gli fece notare Trickster.

La chimera gli rivolse uno sguardo truce. «Dobbiamo salvarli!» esclamò in direzione di Prometheus «Quelli sono miei amici!»

«Non metto in dubbio che sia il caso di riportarli come prima.» convenne il carcarodon «Ma prima prova a pensarci: da quanto li conosci?»

«Da… da sempre!»

«Sicuro? Prova a pensarci meglio…»

La chimera fece un verso di stizza, ma seguì la sua richiesta. Quando li aveva incontrati per la prima volta? Era sicuro che la risposta sarebbe arrivata subito, invece più si sforzava di ricordare, e più capiva di avere un vuoto totale, come se prima dell’ultimo mese non fosse esistito nulla. Ma non era proprio così. C’era qualcosa… ma non era quello che si aspettava di trovare. Scosse il capo, come a scacciare via quelle memorie assurde.

«Ehi, i fuochi si muovono!» esclamò Trickster.

Gli altri due guardiani sollevarono lo sguardo e anche loro poterono constatare che ogni globo ardente aveva cominciato a spostarsi, tutti nella medesima direzione e in maniera molto lenta.

«Li seguiamo?» chiese il semidio.

Prometheus annuì. «Speriamo che ci portino da qualche parte.»

«E andiamo! Una bella scampagnata in una dimensione sconosciuta!»

Sfortunatamente il vivace entusiasmo di Trickster non riuscì a contagiare Kenvster. «Perché dobbiamo andare da quella parte? Chi ci dice che non finiremo dritti in una trappola?!»

«Se vuoi, tu puoi benissimo restare qui.» gli fece notare il figlio di Loki in tono indifferente «Da solo, in un luogo sconosciuto, con ogni probabilità presto al buio e senza sapere se ciò che hai sotto i piedi ci sarà ancora tra cinque minuti.»

La chimera prese in considerazione l’idea di strozzarlo, ma dopo un aspro conflitto interiore la parte più razionale della sua mente lo convinse a posticipare i progetti a quando fosse uscito da quel luogo assurdo.

Si accodò al semidio e Prometheus lo affiancò. Anche il carcarodon, pur essendo più alto di Trickster, veniva superato di diversi centimetri dalla stazza della chimera.

«Non prendertela troppo, a volte è un po’ uno scassaballe, ma infondo ci tiene agli amici. Sono sicuro che presto tornerete ad andare d’accordo.»

Kenvster si limitò ad un mugugno seccato.

«Capisco che tutto questo non sia l’ideale per te, avrei preferito spiegarti gradualmente come stanno le cose, però ormai siamo qui e la cosa migliore che possiamo fare è cercare di andare subito d’accordo. Ti prego di avere fiducia in me… e anche un po’ in Trickster, giusto quanto basta per non mettergli le mani al collo. Ok?»

La chimera rispose di nuovo con un mugugno.

«Ohi, gente! E se provassi a chiamare Claire? Magari lei potrebbe tirarci fuori di qui.»

Prometheus scrollò le spalle. «Dubito fortemente che verrà, però se proprio non riesci a resistere, sei libero di provarci.»

«Chi è Claire?» domandò Kenvster.

«Un angelo uditore e una bella ragazza.»

La chimera fece un verso di stizza. «Trickster è sempre il solito, dice a me che penso solo a mangiare e poi lui è il primo che pensa solo alle ragazze!»

Prometheus sorrise. Dunque anche Kenvster stava cominciando a ricordare…


***


Erano ormai quasi venti minuti che avanzavano e Prometheus aveva approfittato di quel tempo per spiegare brevemente a Kenvster come stavano le cose.

«Ma allora questo Midnight sa o no di noi?» domandò la chimera.

«Purtroppo non ne ho idea. In teoria non dovrebbe essere a conoscenza del sortilegio che vi ha colpito, tuttavia è molto probabile che presto o tardi lo venga a sapere, e a quel punto farà qualsiasi cosa per finire ciò che ha iniziato.»

Il ragazzo si limitò ad un mugugno di riflessione.

I due non ebbero modo di continuare il loro discorso perché Trickster richiamò la loro attenzione: «Secondo me quelli non sono qui per fare amicizia.»

I due guardiani seguirono la linea dello sguardo del semidio e anche loro poterono vedere le creature a cui stava facendo riferimento. Si trattava di esseri quasi completamente bianchi, con una struttura fisica vagamente antropomorfa e gli arti più simili a rami contorti che a braccia e gambe. Le loro teste allungate e senza espressione erano dominate da una bocca grande e irregolare e il loro modo di muoversi li faceva assomigliare a dei primati che saltavano agilmente da un punto all’altro lanciando sibili e rantoli.

«Cerchiamo di evitare scontri inutili.» ordinò Prometheus.

«Questo dovresti dirlo a loro…» ribatté Trickster.

Il semidio aveva appena finito di parlare che un manipolo di quelle strane creature sbarrò loro la strada.

«Non vi preoccupate, li sistemo io.»

Il figlio di Loki caricò una grande quantità di energia magica nella mano destra e poi la scatenò con forza sui nemici, travolgendoli con una raffica che sapeva di mitragliatrice.

Le strane creature stramazzarono a terra e i loro corpi incolori si illuminarono, tramutandosi in fuochi fatui. Subito i globi bianchi scattarono nella medesima direzione degli altri, solo molto più rapidamente e producendo delle tenui scie luminose.

La questione sembrava risolta, invece altri di quegli esseri si fecero avanti, comparendo all’improvviso dalla vegetazione circostante per impedire loro di avanzare.

«Ne volete anche voi? Benissimo, eccovi serviti!»

Il semidio scatenò una doppia raffica di proiettili magici dalle mani, ma questa volta i nemici non si fecero sorprendere e la maggior parte riuscì a mettersi al riparo dietro ai tronchi più robusti. Ma Trickster non si perse d’animo. Con un balzo felino andò a stanare i più vicini e subito sparò una scarica elettrica abbastanza potente da eliminarli tutti e tre.

Stava per generare un’altra scarica elettrica, ma i nemici privi di volto lo presero alle spalle e in quattro gli bloccarono braccia e gambe. Il semidio imprecò. Quei dannatissimi mostri gli stavano risucchiando le energie!

Con un grido scatenò una folgore che gli attraversò l’intero corpo, i quattro aggressori vennero investiti in pieno e anche loro si tramutarono in fuochi fatui che sfrecciarono via descrivendo linee scintillanti.

Il divario di forza tra quegli esseri e il figlio di Loki era abissale, tuttavia il numero giocava a favore dei nemici, che venivano rimpiazzati a ritmo vertiginoso. Per ogni creatura che veniva eliminata, ce n’erano subito almeno altre due pronte a prenderne il posto, creando un circolo apparentemente infinito.

«Devi aiutarlo.» affermò Prometheus «Trickster è forte, ma da solo non potrà mai farcela contro tutti quei nemici.»

Kenvster sbarrò gli occhi. «Cosa? Io? No, non posso farlo! Mi spiace, ma non ricordo niente di incantesimi e robe del genere, sarei del tutto inutile…»

«Non è vero. Tu non ricordi nessun incantesimo semplicemente perché non sei un mago. Tu sei una chimera, le tue armi principali sono la tua forza fisica e la tua capacità di rigenerazione.»

Il ragazzo scosse il capo. «No, è impossibile. Sono più forte degli altri ragazzi, va bene, ma tutte le volte che mi ferivo ho sempre dovuto aspettare come tutti gli altri per guarire…»

Prometheus non disse nulla. Mosse la mano e una lama di vento descrisse un segno rosso sul braccio della chimera.

«Oh, ma che cazzo fai?!»

Kenvster stava per passare alle mani, ma il carcarodon lo anticipò: «Guarda, sei già guarito.»

Il ragazzo si osservò il braccio e con sua grande sorpresa constatò che non c’era più traccia del taglio, solo una goccia di sangue era rimasta a testimoniare che la ferita era stata reale.

«E ora vai, Trickster ha bisogno di una mano.»

Kenvster stava per andare, ma si fermò. «E tu non ci aiuti?»

«Purtroppo la mia arma è rimasta fuori da questa dimensione, senza vi sono solo d’intralcio.» mentì.

La chimera fece un mugugno di assenso e poi corse in aiuto del semidio. Ormai il figlio di Loki era stato letteralmente sommerso da quegli esseri privi di connotati e Kenvster dovette faticare per riuscire a scacciare tutti i nemici.

«Serve una mano?»

Trickster, steso a terra, gli rivolse un mezzo sorriso. «Se proprio insisti…»

La chimera lo aiutò a rialzarsi e solo allora si accorse della trasformazione avvenuta: la pelle ramata dei suoi avambracci adesso sfumava al verde e somigliava più ad un insieme di scaglie spigolose e coriacee, le dita invece si erano allungate in artigli forti e aguzzi.

«Avanti uomo-coccodrillo, facciamogli vedere di cosa siamo capaci!» esclamò Trickster.

La risposta di Kenvster arrivò automatica: «Sono un uomo-alligatore, quante volte te lo devo dire?!»

Ma ormai il semidio non lo stava più ascoltando e con una raffica di frecce di ghiaccio trafisse una mezza dozzina di nemici.

La chimera emise un verso che ricordava un ruggito e anche lui partì all’attacco. Afferrò il primo nemico e lo stese con un poderoso sinistro, quindi spinse indietro una coppia di creature grazie ad una spallata e mandò al tappeto un altro aggressore colpendolo proprio sotto la mandibola.

Prometheus osservò da posizione privilegiata il combattimento dei due giovani guardiani e rimase piacevolmente colpito dalle loro prestazioni. Entrambi erano lontani dalla forma migliore, tuttavia avevano ingranato bene la marcia e se andavano avanti così, non ci avrebbero messo molto per tornare ai loro soliti livelli.

Trickster scansò un nemico che si era buttato su di lui e con una folgore lo tolse di mezzo, quindi creò un’onda d’acqua per ripararsi dalla carica di un terzetto di creature. Gli aggressori vennero poi prontamente investiti da un vortice pieno di aguzzi cristalli di ghiaccio e in pochi istanti si tramutarono in innocui fuochi fatui.

A poca distanza, Kenvster sollevò senza alcuna difficoltà uno di quegli esseri e senza volerlo lo strinse con tanta forza da farlo diventare un globo luminoso. Ormai la sua parte di alligatore stava emergendo in maniera sempre più prepotente e la forza dei suoi muscoli si era quanto meno triplicata. Le scaglie verdi e coriacee ora lo ricoprivano quasi completamente, le file di punte sulla schiena erano diventate cinque e il muso allungato presentava la tipica fossetta per contenere il grosso quarto dente della mandibola, che anche a bocca chiusa risultava chiaramente visibile.

La chimera eliminò con una doppia artigliata una coppia di nemici e poi ne scaraventò a terra un altro che aveva cercato di prenderlo alle spalle. Il combattimento stava risvegliando in lui delle sensazioni familiari e più di una volta gli era capitato di trovarsi davanti agli occhi immagini lontane ma conosciute, come i ricordi di un sogno fatto molto tempo prima: un laboratorio, delle persone dai tratti indefiniti, figure sfocate che sapeva essere amici…

Colpì con un tremendo mancino il nemico che aveva davanti e l’energia fu tale da spedirlo contro un albero posto ad almeno sette metri di distanza. Il bizzarro essere si illuminò e come tutti i suoi simili si tramutò in un fuoco fatuo che sfrecciò chissà dove descrivendo un’impalpabile scia di luce.

«Direi che era l’ultimo.» constatò Trickster dando un’occhiata in giro.

Kenvster si guardò intorno ed effettivamente non trovò nessuna di quelle strane creature bianche. Solo in quel momento si accorse di avere il fiato corto, ma non si sentiva stanco. Al contrario, si sentiva più carico che mai!

«Ehi Ken, adesso puoi tornare normale, sai?» gli fece notare il semidio.

La chimera lo guardò stranito, poi però capì a che punto era arrivata la sua trasformazione e ne fu quasi spaventato. Non solo il suo corpo era completamente rivestito da scaglie, ma gli era anche spuntata una coda e il muso tozzo e allungato non aveva nulla da invidiare a quello di un alligatore vero e proprio.

Subito si voltò verso Prometheus, che li stava raggiungendo in quel momento. «Come faccio a tornare normale?!»

Il carcarodon acquisì un’espressione stupita. «A me lo chiedi? Dovresti saperlo tu.»

«Non me lo ricordo! Ho perso la memoria!»

«Non ti preoccupare, tanto eri brutto anche prima.» lo consolò Trickster.

Kenvster gli rivolse un gesto di stizza. «Sta’ zitto Hildr!»

«Non chiamarmi Hildr!»

«Sei tu che hai cominciato!»

I due stavano per venire alle mani e Prometheus dovette intervenire per dividerli. «Non mi sembra il momento adatto per litigare. Adesso vediamo di uscire da questa dimensione e poi vi potrete pestare quanto vorrete. Chiaro?»

I due guardiani borbottarono dei versi di assenso.

«Bene, e adesso rimettiamoci in marcia, prima che arrivi qualche altra sorpresa.»

I tre ripresero il loro cammino sulla strada dei fuochi fatui e Kenvster continuò a guardare quelle mani artigliate e ricoperte di sceglie che mai avrebbe detto essere sue.

Davvero la vita che aveva trascorso fino a mezz’ora prima non era altro che un’illusione? Gli sembrava impossibile, però più ci pensava e più i suoi dubbi aumentavano.

E poi quella dimensione come poteva essere reale? Andava contro tutti i principi alla base di un mondo razionale, e con la sua esistenza cancellava in maniera indelebile quella linea un tempo così chiara e definita che separava il concreto dall’immaginario.

Ma ora che quella linea non esisteva più come avrebbe fatto a distinguere la realtà dalla finzione…?

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Capitolo 3
*** 3. Il luogo dove convergono le anime ***


3. Il luogo dove convergono le anime


Un gorgogliante brontolio echeggiò nel silenzio.

«Ho fame…» borbottò Kenvster senza nascondere il proprio disappunto.

Il suo corpo ormai era tornato alle consuete fattezze da umano e le uniche tracce della sua parte da alligatore erano le pupille verticali e i denti aguzzi.

«Mi spiace, ma temo che dovrai resistere ancora un po’.» gli fece notare Prometheus.

«Secondo voi manca ancora molto?» domandò Trickster.

«Non ne ho la più pallida idea.» ammise il carcarodon.

Il semidio sospirò. «Avrei dovuto chiedere a quei simpaticoni bianchi…»

«Come ho fatto a non pensarci prima?!» esclamò Prometheus «Trickster, vola sopra gli alberi e vedi se riesci a capire dove siamo.»

Il figlio di Loki annuì con un sorrisetto compiaciuto stampato sul viso. «Non è una cattiva idea… Ok, ora mi concentro e…» I suoi piedi si staccarono da terra e dopo qualche attimo di impacciato equilibrio riuscì a trovare il giusto assetto. Con discreta velocità salì verso l’alto, superando le rade chiome frondose e ottenendo così un perfetto campo visivo di tutta la zona circostante. Dalla sua posizione previlegiata si guardò intorno, cercando di registrare più dettagli possibile, quindi tornò a terra per riferire ai suoi compagni.

«Sono abbastanza sicuro che siamo su un’isola.» iniziò «Il mare mi sembra abbastanza calmo, però non ho visto altre terre all’orizzonte. L’unico edificio che ho visto è una specie di castello bianco, si trova in quella direzione. Credo sia lì che si stanno dirigendo tutte le anime.»

«Allora andiamoci anche noi.» affermò Prometheus «Magari troviamo qualche indizio per come tornare a casa.»

Senza perdere altro tempo si rimisero in marcia, attraversando guardinghi quella pallida foresta che non sembrava avere nulla di naturale. Di tanto in tanto avvistarono alcuni fuochi fatui, ma per fortuna non c’era traccia degli esseri contorti e privi di volto che li avevano attaccati in precedenza.

Procedettero con andatura spedita per circa mezz’ora, era difficile avere una buona cognizione del tempo in quel luogo, e poi finalmente lo videro. Il gran numero di alberi impediva di guardare oltre una certa distanza, così se lo trovarono davanti quasi all’improvviso: il castello bianco avvistato da Trickster. Era piuttosto alto, con guglie appuntite che sembravano voler bucare la volta stellata, inoltre aveva forme del tutto irregolari, come se fosse stato costruito unendo a caso i pezzi di diversi palazzi. Le pareti non erano ben allineate, anzi c’erano strane sporgenze che sembravano prive di qualsiasi utilità, le finestre e i balconi erano disposti senza nessuna logica apparente, e perfino le decorazioni erano differenti nei vari punti dell’edificio, tanto che sarebbe stato impossibile riconoscerle tutte. Come aveva detto il semidio, era lì che convergevano tutti i fuochi fatui, in silenzio, addentrandosi nelle varie aperture per poi sparire nei meandri di quella contorta costruzione.

«Vediamo di dare un’occhiata all’interno.» affermò Prometheus.

I tre raggiunsero l’imponente ingresso tutto sbilenco e misero piede sul ponte levatoio. Delle massicce catene grigio scuro sembravano pronte a sollevarlo in qualsiasi momento, tuttavia non c’era nessuno in grado di metterle in movimento, né un fossato a proteggere il perimetro del castello.

L’enorme salone che si trovarono davanti aveva un soffitto molto alto, era alquanto spoglio e soprattutto era completamente deserto.

«Mi aspettavo un altro comitato di benvenuto…» ammise Trickster, quasi deluso.

Il carcarodon però non sembrava in vena di umorismo. Si guardò intorno, serio e concentrato. «Venite.»

Il semidio e la chimera si scambiarono uno sguardo e poi si accodarono. Prometheus avanzava con discreta sicurezza, guardandosi intorno come se sapesse esattamente dove andare, ma non come arrivarci.

«Hai capito come tornare indietro?» gli chiese Kenvster.

Nessuna risposta.

«Prometheus…?»

«C’è qualcosa qui…» esalò finalmente il carcarodon, come perso dietro ai ricordi.

Gli altri due guardiani si scambiarono nuovamente delle occhiate interrogative.

«Non puoi essere più preciso?» gli domandò il semidio.

Il loro compagno si fermò di fronte ad una rampa di scale. «Lo vedrete coi vostri occhi.» E cominciò a salire i gradini.

Trickster e Kenvster, sempre più confusi, non poterono fare altro che seguirlo lungo quella scalinata che probabilmente conduceva al piano superiore dell’asimmetrico edificio.

Il passaggio era largo all’incirca un metro e mezzo, non aveva corrimano e la luce sembrava propagarsi debolmente da tutte le pareti, in ogni caso di fronte a loro si profilava un ambiente molto più luminoso. Finalmente superarono anche l’ultimo gradino e si trovarono su una specie di lunghissimo balcone interno che percorreva tutto il perimetro di un’enorme salone circolare, alto all’apparenza quanto il castello stesso.

Ciò che videro li lasciò senza parole: all’interno dell’edificio era custodito un albero grande e imponente, anzi sembrava che il palazzo stesso fosse stato costruito intorno a quest’ultimo. Lo spazioso ambiente che lo ospitava aveva delle ampie finestre da cui giungevano i fuochi fatui, ma non era questa la causa dello stupore dei guardiani. Innanzitutto quella pianta aveva dei colori assolutamente naturali, con il tronco marrone e le foglie di numerose sfumature di verde, inoltre intorno ad esso era stato costruito un complicatissimo marchingegno bianco: era alto quasi tre metri e copriva l’intera base dalla pianta, nascondendone in parte le radici, aveva dei tubi pulsanti di luce che si collegavano direttamente con il tronco e possedeva addirittura delle strane porte chiuse, ma da lì era impossibile capire dove conducessero.

Kenvster si avvicinò a Prometheus. «Che cos’è?»

Il carcarodon non rispose.

«Io direi che è un albero.» affermò Trickster.

«Grazie, questo l’avevo capito anche io.» sbottò la chimera «Il punto è che non avrebbe senso costruire quel… coso intorno ad un albero normale.»

«Questo non è un albero normale.» dichiarò Prometheus, lo sguardo ancora perso ad osservare la chioma rigogliosa.

I fuochi fatui erano diretti proprio verso le foglie verdi della pianta, che si illuminavano ogni volta che ne assorbivano uno. Forse quel grande albero si nutriva proprio di anime.

«E allora che albero è?» gli chiese Kenvster, sempre più frustrato da quella situazione.

Il carcarodon stava per rispondere, ma un rumore di passi lo fece interrompere. «Arriva qualcuno.»

I tre si guardarono intorno, e ben preso il balcone su cui si trovarono fu invaso da un gran numero di mostri bianchi e contorti. Arrivavano da ogni parte, la loro unica via di fuga era tornare indietro.

«Ecco il nostro comitato d’accoglienza, anche se un po’ in ritardo…» commentò Trickster, un sorrisetto dipinto sul viso.

«No, ce ne andiamo.» ribatté Prometheus «Sono troppi, non conosciamo questo castello e c’è qualcosa di molto strano qui.»

«Di qua non c’è nessuno.» affermò Kenvster lanciando uno sguardo alla base della rampa di scale.

«Vogliono che ce ne andiamo.» intuì il semidio.

«E per stavolta li accontenteremo.» affermò il carcarodon «Svelti!»

I tre scesero a tutta velocità i gradini, quindi si guardarono rapidamente intorno. Questa volta i nemici erano solo da una parte, e guarda caso la strada che conduceva all’uscita era l’unica libera. Di certo la loro presenza non era gradita.

Varcarono il portone di corsa, superarono il ponte levatoio e diedero uno sguardo alle loro spalle. Il numero di nemici al loro inseguimento sembrava essere aumentato ulteriormente, tanto che ormai c’erano almeno duecento mostri a braccarli.

«Cavolo, cominciano a diventare un po’ tantini…» commentò Trickster, leggermente preoccupato.

«Prometheus, dove andiamo?» gli chiese Kenvster.

Il carcarodon affrettò la corsa. «Il più lontano possibile.»

La foresta che circondava il castello era molto fitta, tuttavia il numero di inseguitori era tale che sembrava impossibile seminarli. E per giunta si trovavano su un’isola: non sarebbero mai riusciti a scappare.

«Scappare non serve, dobbiamo affrontarli!» esclamò il semidio.

Si fermò di colpo e si girò, concentrando sui palmi due globi di energia. Uno di quei mostri contorti saltò una radice e gli si parò davanti minaccioso, ma il figlio di Loki lo centrò in pieno con la sfera della mano destra. Un altro essere bianco comparve alla sua destra e Trickster sfruttò il secondo globo di energia, quindi creò un turbine di vento gelido per respingere il terzo nemico. Gli esseri privi di connotati si trasformarono tutti in fuochi fatui, ma a prendere il loro posto c’era già una dozzina di loro simili.

«Non serve niente, finiremmo solo col farci circondare!» lo richiamò Prometheus «Dobbiamo andarcene!»

Kenvster intanto bloccò un nemico che si era gettato su di lui da un ramo e lo scaraventò a terra. Un pugno ben assestato fu sufficiente a sistemarlo, ma altri due sfruttarono la medesima tattica e gli afferrarono le braccia. La chimera si dimenò con forza, ciononostante non riuscì a liberarsi di loro fino a quando non li schiacciò con forza contro i tronchi bianchi di due alberi.

Una nuvola nera si materializzò dal nulla a meno di un metro da lui e nel giro di pochi secondi si allargò, coprendo completamente la zona.

«Questo dovrebbe tenerli occupati per un po’.» affermò Trickster, che subito dopo prese per un braccio Kenvster e lo condusse al sicuro.

«Dobbiamo trovare un posto dove nasconderci.» stabilì Prometheus.

Aveva appena finito la frase quando si udì un rumore di foglie smosse, poi un leggero scricchiolio di legno, e subito dopo una figura incappucciata atterrò di fronte a loro.

Il semidio e la chimera erano già pronti allo scontro, ma il misterioso individuo, che tra l’altro non superava il metro e cinquanta, fece loro segno di seguirlo.

I due sembravano diffidenti, Prometheus invece decise di fidarsi e si accodò a lui. Gli altri due guardiani fecero altrettanto.

Il gruppetto corse rapido attraverso la fitta vegetazione di quella zona, evidentemente la loro guida conosceva bene la foresta, e poi si fermarono davanti ad un cespuglio di piante simili a felci.

«Entrate.» ordinò l’incappucciato.

I guardiani rimasero immobili, senza capire cosa intendesse.

«Svelti!»

Uno dopo l’altro, i tre attraversarono il groviglio di foglie lanceolate, scoprendo così di trovarsi in una specie di piccolo rifugio sotterraneo nascosto sotto le radici di un albero.

La loro guida controllò che nessuno li avesse visti, quindi anche lui fece altrettanto.

Pur trovandosi sottoterra, l’illuminazione era garantita da una specie di fungo che cresceva dalle radici della pianta sovrastante, e in questo modo poterono osservare con maggiore calma il loro salvatore. Non era molto alto, il suo mantello col cappuccio richiamava il verde della natura e nel fodero dietro la schiena teneva una scimitarra.

«Grazie per averci aiutato, ma tu chi sei?» gli chiese Prometheus.

Il misterioso individuo rimase immobile per alcuni lunghi istanti, continuando ad osservare l’accesso perfettamente mimetizzato da cui erano entrati, quindi si voltò e abbassò il cappuccio. Era un ragazzo, i suoi capelli castani erano tagliati molto corti e aveva delle orecchie piuttosto piccole. La pelle era verdognola, aveva gli zigomi abbastanza pronunciati e le sopracciglia corte, gli occhi invece erano verde scuro, spenti e demoralizzati. Il naso simile ad un grugno e i denti aguzzi suggerivano fosse un giovane orco.

«Io…» Fece una pausa, come se non avesse il coraggio di continuare a parlare. «Io sono Peter Pan.»

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Capitolo 4
*** 4. Il Signore del castello bianco ***


4. Il Signore del castello bianco


Il soffitto a cupola diffondeva la sua tenue luce in tutto l’ambiente circolare, le pareti erano ricoperte di schermi magici che mostravano le immagini da ogni angolo del castello, e al centro si trovava un alto scranno girevole. L’ampio schienale nascondeva completamente la seduta, ma i lembi di una veste candida rivelavano la presenza di qualcuno.

L’anziano uomo seduto sul trono si massaggiò la barba bionda con fare pensieroso. A giudicare dall’altezza doveva trattarsi di un barbariano, ma era piuttosto magro per la sua specie e le dita erano secche e ossute. La fronte alta era attraversata da alcune rughe, i capelli dorati scivolavano ai lati del capo rilucendo magnificante, e dalle labbra sottili non giungeva nemmeno un sospiro. Gli occhi grigi erano fissi su uno degli schermi e l’espressione del viso era imperscrutabile.

Per fortuna era riuscito a scacciare quei tre, ma sapeva che non era ancora finita. Sarebbero tornati, ne era più che certo, e a quel punto avrebbe fatto di tutto per impedire loro di mandare a monte il suo grandioso progetto.

C’era poi un altro pensiero che lo tormentava: come avevano fatto quei tre a scoprirlo?

Aveva ripercorso tutte le fasi del suo piano, analizzandole fin nei più minimi dettagli, ciononostante non era riuscito a darsi nessuna risposta. Sapeva che il Dipartimento per la Sicurezza Interplanetaria era sulle sue tracce, ma non credeva che sarebbero riusciti ad intercettarlo…

Ripensandoci però era davvero sicuro che quelli fossero dei poliziotti del DSI? Non portavano la divisa, erano solo in tre e non si erano nemmeno qualificati… Ma se non era il DSI, chi altro poteva intralciare i suoi piani? Di certo non la Polizia Galattica: eccezion fatta per le Unità Investigative, non avevano investigatori abbastanza intelligenti da impensierirlo; e allora chi restava? Non c’erano altre forze di polizia interplanetaria sulle sue tracce e non aveva detto a nessuno del suo progetto, nemmeno alla Sacra Accademia della Luce. A loro aveva annunciato solo che presto avrebbe fatto qualcosa di straordinario, e che a quel punto lo avrebbero accolto come uno dei loro adepti più illustri.

Non poteva permettere che quei tre rovinassero tutti i suoi sforzi! Mesi e mesi di pianificazione! Il fallimento non poteva essere un’opzione!

Si passò una mano sugli occhi come per scacciare quei cattivi pensieri e poi tornò ad osservare gli schermi. Ognuno di essi poteva riprodurre la visuale di uno qualsiasi dei suoi homunculus, e lui ne aveva sparsi a decine per la foresta, ma ancora non erano riusciti a trovare gli intrusi.

Strinse i pugni. Se quell’irritante moccioso di Peter Pan si era messo in mezzo, allora poteva dire addio all’idea di rintracciarli. Quella piccola peste conosceva quel posto meglio delle sue tasche, e se dopo intere settimane ancora non era riuscito a trovarlo, tanto valeva rinunciare.

Diede ordine agli homunculus di ritirarsi per sorvegliare il castello. Del resto era quello l’unico luogo che gli importava proteggere. Fintanto che l’albero e il marchingegno erano al sicuro, non aveva nulla da temere.

Si dondolò un paio di volte sul suo scranno, che era come sospeso su una sfera bianco latte. Grazie ai macchinari che aveva progettato, era in grado di ricreare i suoi soldati tutte le volte che voleva attingendo all’energia delle anime raccolte, tuttavia questo aveva due effetti collaterali: da una parte avrebbe consumato quel preziosissimo potere che costituiva la sua chiave d’accesso alla Sacra Accademia della Luce, dall’altra non era sicuro che mandare un esercito di homunculus fosse la strategia migliore. Quei tre erano molti forti, lo poteva capire chiaramente dalle loro aure, quindi doveva schierare anche lui un guerriero di un certo valore. Ma chi?

Avvicinò le mani davanti a sé in modo da far toccare solo le punte delle dita. Non poteva chiamare dei mercenari perché non voleva svelare a nessuno la posizione di quel posto, senza contare che lì la connessione faceva schifo, quindi doveva contare solo sulle sue forze e sulle sue conoscenze.

Mise le mani davanti a sé e subito comparve una tastiera olografica. Mosse agilmente le dita sul touchpad e in pochi tocchi aprì la sua ricchissima biblioteca virtuale. Ci aveva messo decenni per trovare e scaricare tutti quei volumi, alcuni li aveva convertiti in digitale lui stesso, ma ne era valsa assolutamente la pena.

Digitò alcune parole nella casella di ricerca e nel giro di un istante apparve una lista di tutti i rituali, tutte le formule e tutti gli incantesimi che potevano fare al caso suo. A quel punto gli ci volle meno di un minuto per individuare la voce adatta tra le migliaia, forse milioni, che aveva nel suo archivio.

Sorrise.

Aveva eseguito quel rituale solo un paio di volte in tutta la vita, eppure continuava ad essere uno dei suoi preferiti. Racchiudeva un potere straordinario, eppure era anche incredibilmente semplice, se paragonato con molti altri analoghi.

Si alzò e con passo solenne uscì dalla stanza, i piedi nudi che non producevano alcun suono sul pavimento immacolato. Scese una scala a chiocciola e si trovò in un ampio locale con tre grandi finestre affacciate sull’esterno. Lì aveva spazio in abbondanza.

Richiamò con un gesto la finestra olografica dove era spiegato il rituale e controllò per scrupolo il cerchio alchemico necessario. Era sicuro di ricordarselo, ma per esperienza sapeva che non ne valeva pena di correre rischi inutili.

Con un semplice incantesimo cominciò a tracciare il cerchio di base, quindi aggiunse altri quattro cerchi molto più piccoli facendo in modo che fossero tangenti alla circonferenza principale e ad uguale distanza uno dall’altro. Fatto ciò descrisse un secondo cerchio concentrico al principale con un raggio leggermente inferiore, quanto bastava perché la linea non incrociasse quella dei quattro cerchi più piccoli, e all’interno di quest’ultimo tracciò una stella a sei punte perfettamente regolare con due delle estremità che puntavano ad altrettanti cerchi minori. Era importante che una delle punte fosse rivolta verso il cerchio più vicino all’esecutore del rituale. Tracciò un ultimo cerchio, questa volta all’interno della stella, e poi completò il sigillo aggiungendo una complessa serie di rune e simboli che servivano ad incanalare correttamente la magia. Prima di concludere il procedimento, aggiunse una piccola modifica, un astuto accorgimento che aveva imparato durante la sua seconda esecuzione.

Una volta completato il sigillo alchemico, non restava che evocare l’incantesimo. Una parte sicuramente non meno importante.

Prese un bel respiro, scacciando i pensieri superflui per potersi concentrare al meglio sul rituale. In quella fase era fondamentale essere totalmente concentrati sulla magia da eseguire, infatti la sua mente avrebbe influenzato in misura non indifferente l’esito finale.

Protese in avanti le mani e cominciò a far fluire l’energia magica verso il sigillo alchemico. Doveva fare attenzione a plasmare adeguatamente le vari correnti di magia, anche un minimo sbalzo poteva compromettere l’intero rituale. Per aiutarsi recitò anche una formula che aveva imparato da ragazzo.

Dopo pochi istanti le linee e le rune che aveva tracciato presero a brillare di una tenue luce argentata. La prima fase era stata completata con successo, ora veniva quella più importante. Quella che avrebbe determinato l’esito del rituale.

Chiuse gli occhi e focalizzò la sua attenzione sul risultato che desiderava, cosa che gli riuscì piuttosto facile grazie ai decenni di esperienza. Gli serviva un guerriero molto forte, il più forte possibile, e che fosse in grado di combattere contro più nemici contemporaneamente. Anzi, data l’importanza del suo progetto non si sarebbe contenuto: voleva un combattente forte come un esercito intero!

L’idea nella sua mente era abbastanza chiara e precisa da influenzare il sigillo alchemico di fronte a lui, la cui luce si sollevò verso l’alto, sempre più sfavillante. L’atmosfera tutto intorno parve oscurarsi mentre una notevole quantità di energia si attivava: le linee di luce che si alzavano dal terreno presero a vibrare, si deformarono, e qualcosa si accese al centro del sigillo. Prima solo una sagoma, poi una persona.

Uno sbuffo di energia e il rituale fu completo.

Il Signore del castello osservò con occhi attenti l’uomo che era comparso all’interno del sigillo. I capelli corvini dritti in testa come aculei suggerivano fosse un hystricide, gli occhi invece erano neri e profondi, impossibili da decifrare. Aveva una tripla cicatrice sulla guancia destra, forse causata da un animale feroce, e altre vecchie ferite si potevano individuare sulle braccia forti e muscolose. Indossava una giacca senza maniche, ai polsi aveva due grossi bracciali metallici e il suo viso aveva dei tratti netti, decisi e autorevoli.

Invocazione Eroica, così si chiamava quel rituale. Era stato sviluppato secoli addietro per richiamare le anime di valorosi guerrieri defunti, ed era stato migliorato nel corso del tempo fino a renderlo quasi perfetto. Non si trattava di un rituale di necromanzia perché la persona evocata era solo “l’ombra” di se stessa, ciononostante conservava intatti tutti i suoi poteri e le sue abilità. L’effetto non poteva durare per più di qualche settimana e richiedeva un continuo apporto di energia, il barbariano però aveva appositamente modificato il sigillo di base per fare in modo che il suo guerriero attingesse dall’energia prodotta dal suo macchinario invece che da lui stesso. E questo era un vantaggio non indifferente.

«Qual è il tuo nome?»

Un piccolo difetto del rituale di Invocazione Eroica era che non si poteva evocare qualcuno di preciso senza disporre di qualcosa a lui appartenuto in vita, in compenso era possibile influenzare l’effetto concentrandosi su alcuni dettagli. Lui ad esempio si era focalizzato sull’evocare un guerriero che fosse forte come un esercito intero. Fremeva all’idea di vederlo in azione.

L’hystricide, che si stava guardando intorno un po’ confuso, lo guardò dritto negli occhi. «Drakuzan Shitsunen, leader del mio clan[1]. Dove mi trovo?»

«Sei nel mio castello. Il mio nome è Beling dei Rhirnem[2], sono stato io ad evocarti.»

Drakuzan si osservò le mani. «Io ero morto… ma tu mi hai evocato… per servirti…»

Un altro pregio del rituale di Invocazione Eroica era che la persona era perfettamente consapevole della sua posizione, e non poteva in alcun modo disubbidire al proprio evocatore.

«È così.» confermò Beling «So che sei molto forte, ma in cosa consiste il tuo potere?»

«Sono un evocatore di demoni.» affermò l’hystricide.

Si voltò alla sua sinistra e rimase fermò alcuni lunghi istanti, ma non accadde nulla. Qualcosa turbò la sua espressione. Paura?

Drakuzan aprì una mano e i suoi occhi si tinsero di viola, ma ancora non accadde niente. Provò con entrambe, ma il risultato non fu diverso.

Beling lo osservò, un timore via via crescente che prendeva posto dentro di lui. Che avesse commesso qualche errore durante il rituale?

L’hystricide aprì ancora le mani e questa volta apparvero due portali. Dal primo uscì uno sciame di strani insetti, dall’altro invece balzò fuori un lupo nero con tre paia di occhi e altrettante code.

Veder comparire quei demoni fece tirare un sospiro di sollievo a Beling, ma così non fu per Drakuzan.

L’hystricide provò a riprovò ad aprire degli altri portali, ma tutti i suoi sforzi non produssero alcun risultato.

«Perché? Perché non rispondi?! Dove sei?!»

Il barbariano lo osservò senza capire. Cosa stava cercando di fare? Poi notò che i suoi occhi dalle iridi viola si erano fatti lucidi. Stava forse piangendo?

«Rispondimi!!!» gridò Drakuzan, apparentemente al nulla, «Ti prego! Ti prego… non abbandonarmi…»

Crollò in ginocchio, i palmi a terra per non cadere ancora più in basso. Ormai non riusciva più a soffocare le lacrime. «Perché…? Perché…? Perché?!»

La rabbia scatenata nel suo grido fece tremare il castello e Beling si sentì spinto all’indietro da una forza terribile. Un numero spropositato di portali conquistò la stanza e nel giro di un istante una quantità di incredibile di demoni era apparsa dal nulla, talmente tanti da sfondare le pareti per riversarsi all’esterno.

Il barbariano si affrettò ad allontanarsi, scioccato da quell’impressionante dimostrazione di potenza. Non c’erano dubbi che quel tipo fosse forte come un esercito intero, però doveva sbrigarsi a fermarlo, prima che distruggesse il castello che invece doveva proteggere.

«Fermati!» gli gridò «Ti ordino di fermarti! Fermati subito!»

Drakuzan, le cui iridi si erano deformate per seguire il marchio che vi era comparso, non reagì subito. Il suo corpo era scosso da fremiti di rabbia, poi però sollevò di colpo una mano e sferrò un pugno contro il pavimento. La superficie si crepò con un schianto sordo e i demoni svanirono tutti uno dopo l’altro, lasciando così soli il barbariano e l’hystricide.

Beling gli si avvicinò con fare cauto. Che avesse esagerato? Che avesse evocato un guerriero troppo potente?

Drakuzan rimase a terra, la mano destra che sfiorava la tripla cicatrice. I suoi occhi tornarono ad essere due dischi neri e indecifrabili.

Si alzò.

«Dimmi cosa devo fare.» furono le sue uniche parole «Così me ne posso tornare all’inferno…»


[1] Drakuzan compare in L’Erede degli Oblio.

[2] Beling è presente anche in Protezione e Giustizia.

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Capitolo 5
*** 5. L’Isola Che Non C’è ***


5. L’Isola Che Non C’è


«Io sono Peter Pan.» affermò il giovane orco in tono mesto «Per la precisione, io sono il terzo. Il primo Peter Pan è stato quello che ha fondato questo posto, che lo ha reso ciò che era; il secondo lo ha salvato dal pirata con l’uncino e ha permesso ai Bambini Perduti di andarsene per vivere delle vite normali; e poi ci sono io…» Si prese il capo tra le mani. «… quello che ha rovinato tutto…»

«Cos’è successo?» gli chiese Prometheus in tono gentile.

«Una settimana fa è arrivato quel mago… Non so come sia venuto a sapere di questo posto, però sapeva esattamente cosa cercare. Ci hanno attaccati all’improvviso, e io non sono stato in grado di proteggerli… E poi ha fatto tutto questo… Ha imprigionato le fate e i Bambini Perduti, ha trasformato gli alberi, ha creato il castello… E io non ho idea di come fermarlo…»

«Ti aiuteremo noi.» affermò Trickster «E, quando lo avremo sconfitto, potremo tornare a casa, dico bene?»

La domanda era implicitamente rivolta al carcarodon, che però non ci fece troppo caso e continuò a parlare con Peter: «Non ci hai detto dove siamo. Anche se credo di averlo capito…»

«Beh, questa è l’Isola Che Non C’è…» affermò il giovane orco «O per lo meno ciò che ne resta…»

«Sai perché è venuto qui quel mago?» gli domandò Kenvster.

«Per l’Albero della Vita. Con il suo potere sta raccogliendo un gran numero di anime, e poi sta usando un qualcosa che trasforma le anime in energia per creare homunculus. Vi prego, dovete fermarlo, se va avanti così…»

«Ecco perché mi sembrava di conoscerlo…» esalò Prometheus.

Trickster lo guardò stranito. «Di che parli?»

«Dell’Albero della Vita. Adesso so perché mi ricordava lui. Perché sono… non so se si può dire per le piante, comunque dovrebbero essere quasi gemelli.»

«L’Albero della Conoscenza.» intuì Peter.

Il carcarodon fece di sì con la testa. «È stato il fondatore dell’organizzazione di cui facciamo parte.»

«A proposito di alberi, io lo conosco un albero famoso!» fece Trickster «Sì, il vecchio Ygg… Aspettate, è l’Albero di…»

«Quello è l’Albero del Cosmo.» affermò Prometheus «Ma non c’entra niente con il nostro discorso.»

«So che l’Albero della Conoscenza aveva lasciato questo posto tempo fa, prima dell’arrivo del primo Peter Pan. A quel tempo non si chiamava nemmeno Isola Che Non C’è…»

«Già, allora si chiamava ancora Eden.» confermò il carcarodon «Ricordo che una volta l’Albero della Conoscenza mi ha detto che se n’era dovuto andare dal posto dove era nato per non corrompere gli innocenti che dovevano venire…»

«I Bambini Perduti.» disse Peter «L’Albero della Vita ha sofferto per la mancanza di suo fratello, ma mi ha spiegato che la loro separazione era necessaria… Come sta adesso l’Albero della Conoscenza?»

Prometheus si incupì, e la sua tristezza contagiò anche gli altri due guardiani. «È morto. Noi tre e altri due nostri compagni siamo tutto ciò che resta dell’organizzazione che aveva fondato.»

«Ah… Scusate, non credevo…»

«Non ti preoccupare, ora dobbiamo pensare a come sconfiggere quel mago!» esclamò Trickster.

«Lo hai già affrontato?» gli chiese Prometheus.

Il giovane orco annuì. «Quando è venuto ho combattuto contro di lui, purtroppo però non sono riuscito a batterlo. Fisicamente non è molto forte, però è un mago estremamente potente e conosce moltissimi incantesimi. Ho anche provato ad entrare nel castello per salvare i Bambini Perduti, però sono stato attaccato da quei mostri bianchi e alla fine sono dovuto scappare.»

«Sai se ha qualche punto debole?» volle sapere Kenvster.

Peter ci pensò su per qualche lungo secondo. «Mmh… Non saprei… Però sono sicuro che, se riuscissimo a distruggere il marchingegno che ha costruito intorno al tronco dell’Albero, allora lo metteremo in difficoltà.»

«In effetti i mostri bianchi ci hanno attaccato subito dopo che abbiamo visto l’Albero…» rifletté Prometheus «Ora che siamo in quattro dovremmo…» Si zittì di colpo, lo sguardo perso nel vuoto.

Gli altri lo guardarono con fare interrogativo.

«Che succede?» gli chiese Trickster.

«Il mago ha usato un incantesimo molto potente…» esalò Peter «C’è qualcun altro adesso con lui…»

Kenvster osservò l’orco, il carcarodon e poi di nuovo l’orco. «Chi?»

«Qualcuno molto pericoloso…» affermò Prometheus «Un redivivo… No, è ancora uno spirito…» Poi di colpo capì. «Un rituale di Invocazione Eroica!»

 «Ossia?» fece il semidio.

«È una specie di resurrezione, però dura solo per un determinato lasso di tempo.» Strinse i pugni. «Questa proprio non ci voleva…»

Pochi secondi dopo qualcosa parve attirare l’attenzione di Peter. Il giovane orco si alzò in piedi e poi si avvicinò al passaggio nascosto che dava accesso al piccolo rifugio.

Tempo qualche istante e un esserino luminoso attraversò il groviglio di foglie, fermandosi a svolazzare di fronte al ragazzo. Aveva delle ali diafane e luccicanti e non superava i dieci centimetri di altezza: si trattava senza dubbio di una fata. Un vestitino che sembrava fatto di foglie copriva il suo corpicino esile, i capelli castani erano raccolti sulla nuca e gli occhi erano grandi e verdissimi, luminosi come stelle. Aveva anche delle graziose lentiggini.

«Hai scoperto qualcosa?»

La fatina squittì qualcosa di incomprensibile e poi indicò preoccupata in direzione del castello.

«Io non ho capito niente.» dichiarò Trickster rivolto a Kenvster.

«Non credo abbia dei grandi polmoni…» fu la risposta della chimera.

La diretta interessata lo sentì e gli rifilò un’occhiataccia.

«Ha detto che aveva quasi trovato le altre fate, poi però è comparsa un’anima spaventosa ed è scappata.»

«Ce ne sono altre come lei?» domandò Prometheus.

«Sì, ma sono state tutte catturate. Nessie è l’unica che è riuscita ad evitare i mostri bianchi. Nessie, loro sono…»

Solo allora si rese conto di non conoscere i loro nomi.

«Io sono Prometheus, loro invece sono Trickster e Kenvster.» affermò il carcarodon.

«Hanno detto che ci aiuteranno a sconfiggere il mago.»

La fatina indicò i tre con espressione a dir poco stupita.

«Sì, loro. Sono sicuro che con il loro aiuto riusciremo a liberare gli altri.»

Il giovane orco aveva appena finito di parlare che un rumore profondo scosse la foresta, un roboante fragore come di pareti che si sgretolavano, accompagnato da una leggera scossa di terremoto.

I cinque si scambiarono occhiate interrogative, troppo preoccupati per azzardarsi a dire qualcosa. Poi di colpo tutto tornò alla calma, come se nulla fosse successo.

Dopo alcuni interminabili secondi Nessie squittì qualcosa, la vocina tremante di paura.

«Non lo so cos’era, però adesso sembra tornato tutto come prima…» esalò Peter.

«Sono sicuro che è stata la persona evocata dal mago.» dichiarò Prometheus.

«Deve essere un tipo bello tosto…» commentò Trickster, per niente intimorito.

«Ci servirà un piano?» domandò Kenvster.

Non ci fu il tempo di rispondere: un nuovo assordante ruggito squassò l’Isola Che Non C’è, talmente forte da fra tremare gli alberi fino alle radici.

Prometheus sollevò lo sguardo, più o meno in direzione del castello bianco. «Non credo avremo tempo di elaborare un piano…»


***


Drakuzan salì in groppa al possente demone dalla forma di drago e poi gli ordinò di lanciarsi in picchiata verso quella foresta incolore.

Il mago, Beling, gli aveva ordinato di trovare gli intrusi e di catturarli vivi o morti, e contava di farlo nel minor tempo possibile. Ogni istante di quella falsa vita era solo un altro istante di agonia, e tutto ciò che voleva era liberarsi il prima possibile da quel tremendo fardello.

Una volta raggiunte le chiome degli alberi, aprì degli altri portali: il lupo con tre code e tre paia di occhi, lo sciame di insetti, una specie di pipistrello dalle grandi orecchie, una grossa lucertola dalla coda biforcuta… Questi erano solo alcuni dei demoni con cui aveva stretto un legame nel corso della sua vita, e tutti quanti stavano rispondendo alla sua chiamata. Solo uno non voleva saperne di lasciarsi evocare. L’unico che gli importasse davvero di rivedere.

I suoi famigli intanto si stavano già sparpagliando per la foresta, fiutando le tracce degli intrusi e avvicinandosi rapidamente al luogo dove si erano nascosti.

Drakuzan scese dal dorso del suo draghide e poi evocò un demone simile ad una imponente tartaruga. Salì sul suo carapace e da lì scrutò l’andamento della ricerca.

I suoi famigli erano entusiasti di poterlo servire di nuovo e questo gli scaldava il cuore, tuttavia non riusciva a ricambiare la loro gioia come avrebbe voluto.

In quel momento alcuni dei suoi insetti demoniaci lo raggiunsero per riferirgli la posizione degli intrusi.

«Siete stati fantastici, ora sbrighiamoci a distruggerli.»

Subito la tartaruga si mosse, tra l’altro con andatura abbastanza spedita, abbattendo senza esitazione tutte le piante che si frapponevano sulla sua strada.

Ovviamente i suoi demoni avevano recepito il suo stato d’animo, e proprio per questo stavano facendo di tutto per esaudire il suo desiderio. Loro erano in grado di sentire la sua sofferenza, e in parte la condividevano. Anche loro sarebbero stati felici di rivederla.

Drakuzan scacciò il dolore che gli inumidiva gli occhi e si concentrò sul suo incarico, le iridi che ardevano di rabbia oltre che di luce viola.

Ogni istante di quella falsa vita era per lui un istante di agonia, ma anche un insulto alla memoria dei suoi fratelli.

Che senso aveva essere tornato in vita se non poteva riabbracciare le persone a lui care?

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Capitolo 6
*** 6. Memorie insanguinate ***


6. Memorie insanguinate


«Dobbiamo uscire subito!» ordinò Prometheus.

«Ma così ci troveranno!» esclamò Peter.

«Lo hanno già fatto.» ribatté il carcarodon «E se non ci sbrighiamo ad uscire, saremo anche in trappola.»

Lui e gli altri due guardiani uscirono, lasciando soli l’orco e la fata.

Nessie squittì tutta la sua stizza.

«No, hanno ragione.» ammise Peter in tono mesto «Non posso più scappare.»

La creaturina alata lo vide lasciare il nascondiglio e alla fine non poté che seguirlo: non voleva restare lì da sola. Superò la copertura di foglie e di colpo si trovò catapultata su un campo di battaglia. Vedeva esseri demoniaci da ogni parte e già i tre guardiani si stavano misurando con loro. Anche Peter stava facendo la sua parte, la scimitarra in pugno.

All’improvviso un insetto dagli occhi viola apparve di fronte a lei. Nessie scattò all’indietro spaventata, ma il demone la inseguì. Nel giro di pochi secondi la fata si trovò braccata da un intero sciame.

Aveva paura. Tantissima paura. E tutto ciò che poteva fare era sperare che le sue ali fossero più veloci di quelle dei suoi inseguitori…


***


Il demone si avventò su Trickster, ma una barriera magica lo bloccò. Il semidio gli scagliò contro una potente saetta, a quel punto però un altro nemico piombò su di lui. Sembrava una scimmia dalle quattro braccia che spalancò le fauci e soffiò un getto di liquido azzurrino. Il guardiano schizzò verso l’alto per evitarlo, appena in tempo per vedere le punte delle sue scarpe che venivano coperte da una leggera patina di ghiaccio.

«Il ghiaccio non funziona con me!»

La scimmia demoniaca spalancò di nuovo la bocca, Trickster però fu più veloce: con una mano scatenò una folata di vento gelido e in un attimo la trasformò in una statua di ghiaccio. Si mise le cuffie sulle orecchie e fece partire la musica. «Questi sì, che sono dei nemici…»

A poca distanza da lui, Kenvster bloccò la carica del possente lupo a tre code e lo scaraventò all’indietro. La belva lanciò un latrato di rabbia e in un attimo era già in piedi: tornò alla carica, le zanne in mostra, ma di nuovo la chimera la bloccò.

Approfittando del momento, un altro demone passò all’offensiva e Kenvster venne travolto da una dolorosa scarica elettrica. Con un ringhio da alligatore individuò il colpevole: un essere dalle grandi orecchie simile ad un pipistrello. Avrebbe voluto prenderlo e strappargli le ali, ma sapeva bene di non essere in grado di raggiungerlo a quell’altezza.

Con un movimento improvviso si voltò di lato e bloccò il nuovo assalto del lupo a tre code, a quel punto lo sollevò e con impeto lo scagliò contro il pipistrello. Il demone, colto di sorpresa, venne travolto dal suo stesso compagno ed entrambi si scontrarono contro un albero prima di cadere a terra.

Il guardiano era certo di averli sistemati, ma si sbagliava: quelli non erano i fragili nemici che avevano affrontato in precedenza, e già si stavano rimettendo in piedi.

Sarebbe stato molto difficile riuscire a prevalere su di loro…


***


Peter volò rapido alle spalle di un ramo per ripararsi dall’aggressione di un grosso serpente, quindi aggirò il tronco e sfrecciò fulmineo alle spalle del demone. L’essere simile ad un cobra si voltò e gli sputò contro un getto di veleno, l’orco però fu più rapido: schivò, lo aggirò e lo colpì alla nuca con la scimitarra. La lama non riuscì a ferire seriamente la creatura e l’unico effetto fu di farla arrabbiare ancora di più.

Il giovane orco dovette volare rapido verso l’alto per scansare i denti del serpente, ma in questo modo venne raggiunto da un trio di uccelli demoniaci. Somigliavano vagamente a dei grossi rapaci, tuttavia i loro artigli erano ricurvi e seghettati e le quattro ali sembravano intrise di petrolio.

Grazie alla sua arma e alle sue abilità nel volo riuscì a scansare tutti i loro attacchi, purtroppo però non ebbe nessuna occasione di passare alla controffensiva.

Doveva pensare a qualcosa, e doveva farlo in fretta! Lui era Peter Pan, doveva proteggere l’Isola Che Non C’è e tutti i suoi abitanti!

Schivò con una piroetta la picchiata di uno di quei volatili e fu allora che lo vide: la persona invocata dal mago. Non c’erano dubbi, era proprio lui. Era stato quell’uomo a richiamare tutti quei demoni, quindi sconfiggendolo sarebbero sicuramente scomparsi. Doveva riuscirci!

Si lanciò rapidissimo verso di lui, preparò la scimitarra, ma sbatté contro una barriera. Il giovane orco intuì che la responsabile di quello scudo fosse la possente tartaruga demoniaca su cui si trovava il nemico, però non aveva idea di come superarla. Non da solo almeno.

Schivò gli artigli di uno dei rapaci e poi colpì il secondo con la sua arma. La creatura lanciò un acuto grido di dolore, abbastanza forte da indurre il terzo demone a rinunciare alla picchiata.

Peter approfittò della sua esitazione e in un baleno scomparve tra le foglie di un albero. La sua però non era una fuga: grazie alle sue percezioni magiche individuò Prometheus e si precipitò da lui.

«Mi serve il tuo aiuto! L’evocatore è protetto da una barriera magica, la puoi distruggere?»

Il carcarodon scagliò una palla di fuoco per allontanare il suo avversario. «Fammi strada.»

In breve i due raggiunsero Drakuzan, a quel punto toccò al guardiano dare prova dei suoi poteri. Richiamò l’energia magica dal ciondolo a forma di triangolo e poi scagliò l’incantesimo: di colpo lo scudo creato dalla tartaruga demoniaca tremolò e si dissolse, rendendo così vulnerabile l’evocatore.

«Svelto!»

Peter non se lo fece ripetere e si lanciò all’attacco più veloce del vento. Sollevò la sua scimitarra, pronto a colpire, ma per un attimo i suoi occhi verde scuro incrociarono quelli accesi di viola dell’uomo: senza volerlo i poteri del giovane presero il sopravvento, e nella sua mente apparvero i ricordi del nemico…


Drakuzan, seduto sulla sedia della sua stanza, osservò senza entusiasmo il libro che aveva davanti. Lui era il figlio di Rahal Shitsunen, l’attuale leader del clan, quindi sarebbe toccato a lui prendere il comando una volta che suo padre lo avesse ritenuto pronto. Ma questo voleva dire passare quasi tutto il suo tempo a studiare e allenarsi… E lui si sentiva terribilmente solo.

Aveva degli amici, d’accordo, però ormai era entrato nell’età in cui si desidera qualcosa di più di qualche amico… Un desiderio che non poteva condividere con nessuno, perché nel suo villaggio non c’era nessuna ragazza che davvero gli interessasse.

Fece comparire un portale sul palmo della sua mano. Beh, se non altro aveva i suoi demoni. Richiamò l’evocazione, ma già da subito capì che non era abbastanza concentrato per riuscire a far apparire il famiglio che voleva. Una sagoma si delineò dinnanzi a lui e, non appena prese forma, lo lasciò a bocca aperta. Sembrava una persona, però aveva la pelle lilla e i capelli rosso porpora. Quasi subito notò le due code eleganti e sinuose, poi fece caso anche alle mani con quattro dita artigliate.

Lei si voltò verso di lui, rivelando così degli occhi viola che risaltavano sulle sclere nere. Era strana… però non riusciva a non pensare che fosse molto bella.

«Chi sei?»

Il giovane era troppo stupito per riuscire a rispondere prontamente. Era la prima volta che un demone parlava con lui attraverso la voce.

«Io… mi chiamo Drakuzan… Tu come ti chiami?»

Era una domanda stupida. I famigli non hanno nome, spetta all’evocatore dargliene uno, se ne ha voglia.

«Kaguya.» affermò invece la ragazza. Anche lei sembrava alquanto stupita da quella situazione.

I due rimasero a fissarsi per qualche secondo, almeno fino a quando l’imbarazzo non li portò a distogliere lo sguardo.

Man mano che i ricordi scorrevano nella sua mente, Peter riuscì a vedere tutto l’amore che quell’uomo provava per la demone, un amore ricambiato che regalò ad entrambi anche la gioia di un figlio. Ma la loro felicità non era destinata a durare…


La battaglia stava ormai volgendo al termine. Drakuzan aveva visto con i suoi stessi occhi gli altri membri del suo clan che soccombevano uno dopo l’altro, piegati dalle ferite e schiacciati dal numero assurdo di nemici. Non aveva potuto fare nulla per salvarli.

Un verso acuto alle sue spalle. Si voltò di scatto, ma le ferite gli impedirono di reagire come avrebbe voluto; un possente grifone gli colpì il petto con gli artigli, squarciando la pelle e frantumando le costole con terrificante facilità.

L’uomo non ebbe nemmeno la forza di gridare: crollò a terra sputando un getto di sangue. La belva alata incombeva su di lui.

Un grido raggiunse le sue orecchie, poi apparve una figura che con forza colpì il grifone, costringendolo ad indietreggiare. Subito riconobbe le due code.

Kaguya si chinò su di lui, gli occhi bagnati di lacrime. Gli accarezzò la guancia destra, là dove c’era la tripla cicatrice. «Amore mio… Cosa ti hanno fatto…?»

Lui le prese la mano, il corpo tremante. «Vai via… Uccideranno… anche te…»

Lei scosse capo. «Non voglio vivere senza di te.»

Drakuzan sentì dei passi in avvicinamento: li stavano circondando. Non aveva più tempo. «Ti amo.» E rilasciò l’evocazione.

Kaguya sbarrò gli occhi, ma ormai non poteva fare più niente. Svanì nel nulla, lasciando il suo amato morente in balia del nemico.

Un uomo biondo entrò nel campo visivo dell’evocatore. «È finita, Drakuzan.»

L’altro sputò un fiotto di sangue, tutto intorno a lui si faceva confuso. Era davvero finita, ma almeno la sua amata era al sicuro…


Peter si accorse di essere immobile di fronte al nemico, la scimitarra ancora sollevata, ma non ebbe la forza di affondare il colpo.

Anche Drakuzan dava l’idea di essere molto scosso e il suo sguardo sembrava perso a fissare qualcosa che solo lui poteva vedere. Uno dopo l’altro i suoi famigli scomparvero, anche la tartaruga su cui si trovava, quindi apparve il suo drago e lui gli saltò in groppa. Quel ragazzo aveva visto i suoi ricordi, ne era certo, ma quello che più gli aveva fatto male era stato riviverli lui stesso.

Ora capiva perché Kaguya non gli rispondeva. Credeva di proteggerla, invece con il suo gesto l’aveva condannata ad una vita di dolore e solitudine.

Scoprì di avere le guance rigate di lacrime. Era stato un egoista…


***


Nessie tirò un enorme sospiro di sollievo e andò ad adagiarsi sulla spalla si Peter, stremata. Era stata un’impresa fuggire agli insetti demoniaci, e le sue piccole ali imploravano un po’ di riposo.

«Perché se n’è andato?» chiese Trickster.

«Ho visto i suoi ricordi, quindi è probabile che lui li abbia rivissuti.» gli spiegò Peter «E non erano bei ricordi.»

«In ogni caso dobbiamo trovare un modo per liberarci di lui, non so se la prossima volta riusciremo a tenere testa ai suoi demoni.» affermò Kenvster, il corpo che stava tornando quello di un umano.

«Per farlo dovremmo sconfiggere il mago che l’ha evocato.» dichiarò Prometheus «Il problema è che non sappiamo dove si nasconda.»

Nessie squittì qualcosa con la sua vocina incomprensibile.

«Ha detto che dentro quell’uomo c’è l’energia dell’Albero della Vita. Magari gli viene fornita attraverso il marchingegno costruito dal mago.»

«Sì, è possibile…» rifletté il carcarodon «In tal caso dobbiamo distruggerlo il prima possibile.»

«Io sono pronto.» affermò Kenvster.

«Sarà divertente.» sorrise Trickster.

Il giovane orco si voltò verso il palazzo bianco. Aveva già provato ad attaccarlo e aveva fallito, adesso però si sentiva pronto per riprovarci. E così come il secondo Peter Pan aveva sconfitto il pirata con l’uncino, allo stesso modo lui avrebbe sconfitto il Signore del castello!

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Capitolo 7
*** 7. L'essenza delle fate ***


7. L’essenza delle fate


Prometheus, Trickster, Kenvster, Peter Pan e Nessie si fermarono nei pressi del castello bianco e scrutarono quell’edificio asimmetrico restando al riparo tra la vegetazione.

Il carcarodon lanciò uno sguardo ai suoi compagni. «Siete pronti?»

«Più che pronti!» confermò il semidio.

La fata lanciò un’acuta esclamazione.

«Nessie, attieniti al piano.» la richiamò l’orco.

«Vediamo di muoverci.» fece Kenvster «Prima usciamo da qui e prima posso riempirmi lo stomaco.»


***


Le dita di Beling picchiettavano sul bracciolo dello scranno con fare seccato, questo però era l’unico sintomo del suo nervosismo. La sconfitta subita da Drakuzan non era stata per niente gradita, in ogni caso non era riuscita a scalfire il suo notevole autocontrollo.

«Posso capire quello che hai provato, sono ben consapevole dei poteri di Peter Pan, tuttavia ti devo chiedere di non abbandonarti nuovamente alle emozioni. Fai ciò che ti ho ordinato e hai la mia parola che sarai di nuovo libero.»

Drakuzan non rispose. Non poteva disobbedire alla persona che lo aveva invocato e tutto sommato non aveva nemmeno motivo di farlo; era invece il modo con cui era fuggito a metterlo a disagio. Era scappato come un bambino impaurito, era stato un debole! I suoi fratelli non avrebbero voluto vederlo così!

Uno schermo olografico apparve dinnanzi al barbariano. «A quanto pare i nostri amici sono venuti a farci visita. Sono sicuro che questa volta saprai risolvere il problema una volta per tutte.»

L’hystricide annuì e si lasciò guidare da un homunculus verso l’entrata del castello.

Beling lo seguì con lo sguardo finché poté, quindi unì le punte delle dita dinnanzi a sé in modo che fossero perfettamente accoppiate e osservò da uno degli schermi magici ciò che vedevano i suoi esseri bianchi. Il suo piano era troppo importante, non poteva permettere a quei seccatori di mettergli i bastoni fra le ruote.

L’idea di ucciderli non lo allettava per niente, però non aveva scelta. Aveva già fatto molti sacrifici per arrivare a quel punto, quello sarebbe stato un ulteriore dazio doloroso, ma necessario per coronare il suo grandioso progetto.


***


Peter e i guardiani avevano già sconfitto almeno una quarantina di homunculus quando Drakuzan li raggiunse. L’unica utilità di quegli esseri contorti era stata di immolarsi per tenere occupati i nemici, adesso però il loro posto sarebbe stato preso dai ben più temibili demoni dell’hystricide.

In pochi secondi la situazione cambiò radicalmente: ora erano gli intrusi ad essere in difficoltà e il loro attacco sembrava destinato a morire senza nemmeno poter superare l’ingresso del castello.

Un minaccioso rettile a due teste si avventò su Trickster, costringendo il semidio ad erigere uno scudo magico. Il demone graffiò la barriera e la colpì con un doppio getto di fiamme, tanto che il ragazzo dovette arretrare di qualche passo.

«Ragazzi, ci vorrà ancora molto…?»

Peter Pan intervenne in suo aiuto e colpì il mostro bicefalo con la sua scimitarra. «Devi avere fiducia in Nessie. È molto più coraggiosa di quanto sembri.»

Prometheus scatenò un fendente d’aria per respingere il lupo a tre code che stava combattendo con Kenvster. Non voleva ammetterlo, però Trickster aveva ragione: non avrebbero resistito per molto. Il semidio non era ancora in grado di sfruttare appieno i suoi poteri e non aveva idea di quanto potesse fare effettivamente il giovane Peter. Non avrebbe voluto chiamare uno di loro, però in quella situazione non aveva molta scelta…

«Fallo, sono pronta.»

«Ne sei sicura?»

«Non posso starmene a guardare senza fare niente.»

Un bagliore metallico avvolse il guardiano e subito dopo si trasformò nella sofisticata armatura con l’ala stilizzata dipinta sul casco.

Un profondo respiro soffiò nella mente di Prometheus.

«Qualcosa non va?»

«Mi sento come se mi stessero risucchiando…» ammise Frida. Un altro profondo respiro. «Dobbiamo fare in fretta.»

«Temo che non dipenda solo da noi…»


***


Nessie si librò rapida tra le mura del castello, dopo pochi metri però dovette fermarsi per lanciare dei versetti colmi di stizza.

«Te l’ho detto, non capisco una mazza di quello che dici!» sussurrò una voce invisibile. La voce di Kenvster.

La fata non nascose il proprio disappunto e riprese a muoversi.

La chimera, resa invisibile da un incantesimo di Trickster, la seguì cercando di fare meno rumore possibile. Il semidio aveva creato una sua copia per non allertare il nemico, tuttavia il falso lui non sarebbe durato a lungo in una vera battaglia ed era solo questione di tempo prima che venissero scoperti. Dovevano sbrigarsi a raggiungere l’Albero della Vita e il marchingegno costruito intorno alle sue radici.

Superarono un breve corridoio tutto storto, attraversarono un paio di stanze vuote e scesero una rampa di scale, poi eccolo finalmente. Visto dal basso appariva ancora più grande. Le fronde rigogliose sembravano davvero in grado di diffondere la vita a tutto ciò che le circondava, ma non era stato questo a risvegliare nel guardiano una strana sensazione. Gli sembrava davvero di aver già visto quella pianta anche se in realtà non era mai stato sull’Isola Che Non C’è.

Già, Prometheus e Peter l’avevano detto: l’Albero della Vita era fratello dell’Albero della Conoscenza, il fondatore di Delta. Lui era davvero un guardiano, ormai non aveva più alcun dubbio, questo però voleva dire che tutti i suoi compagni erano morti. Non ricordava nulla di loro, e forse era proprio questo che, paradossalmente, lo stava salvando dalla disperazione.

Un altro versetto stizzito.

«Sì, adesso li sistemo.» sbottò la chimera.

L’Albero della Vita era sorvegliato da una quindicina di homunculus, ma nessuno sembrava essersi accorto della loro presenza. La chimera si mosse cercando di fare meno rumore possibile, dirigendosi verso il primo. Appena fu abbastanza vicino lo colpì con un sinistro che lo spedì a terra. In pochi istanti il corpo bianco e contorto si illuminò, sfrecciando via verso le foglie della grande pianta.

Gli altri esseri senza volto, messi in allerta, scandagliarono i dintorni e in qualche modo riuscirono ad individuarlo. In un attimo corsero verso di lui, il guardiano però non si fece intimorire: li colpì uno dopo l’altro con forza e precisione, sbaragliandoli senza tregua fino a quando non rimasero solo lui e Nessie. Anche l’arrivo di una dozzina di soldati di supporto non servì a cambiare le sorti dello scontro.

«È stato facile.»

Raggiunse il marchingegno costruito dal Signore del castello e insieme alla fata si mise a studiarlo. L’aveva trovato, adesso però non sapeva cosa fare.

«Le tue amiche sono qui dentro?»

Nessie lanciò degli squittii e fece di sì con la testa.

«D’accordo, allora vediamo di tirarle fuori… Tu controlla che non arrivi nessuno.»

La fata lo fulminò con un’occhiataccia e borbottò qualcosa fra sé, in ogni caso fece come richiesto.

Kenvster si concesse un mezzo verso di stizza prima di voltarsi verso il marchingegno. Quella tipetta aveva un ego grosso come tutto il castello!

Purtroppo non ci capiva nulla di quel complicato dispositivo, quindi non gli restava che una cosa da fare: caricò il pugno e colpì con forza la superficie bianca. Il rivestimento esterno si ruppe come legno, il che gli permise di infilare le mani e ingrandire il buco. Peter aveva detto che lì dentro erano imprigionate le altre fate e il Signore del castello le stava sfruttando per trasformare l’energia delle anime in energia magica. Come avvenisse il processo restava un mistero, in ogni caso, una volta liberate le compagne di Nessie, anche l’evocatore di demoni si sarebbe trovato senza energia e a quel punto probabilmente sarebbe scomparso da solo.

Quasi subito trovò la prima fata. Era rinchiusa all’interno di una sfera di vetro e sembrava stremata. La chimera prese la bolla trasparente e la tirò fuori, quindi le diede dei colpi brevi ma decisi, fino a quando non riuscì a romperla. La fata, un esserino minuto dai capelli biondi e gli occhi dorati velati di stanchezza, gli sorrise con gratitudine.

Subito un flusso di energia cominciò a scorrere dai palmi del guardiano nel corpicino che aveva in mano e nel giro di pochi secondi la pelle della fata riacquisì colore, le ali tornarono a battere e riuscì a sollevarsi in aria. Incredula, squittì tutta la sua felicità.

«Mi spiace, non capisco niente. Vai dalla tua amica e controllate la situazione. Io devo liberare le altre.»

La fata annuì con decisione e poi sfrecciò via. Di certo era più collaborativa di Nessie.

La chimera tornò a concentrarsi sul marchingegno e con maggior vigore riprese a smantellarlo. Doveva sbrigarsi a liberare le altre prigioniere, ormai il Signore del castello si era sicuramente accorto della sua presenza.


***


Era un disastro, un vero disastro! Qualcuno stava distruggendo il marchingegno che aveva costruito, il capolavoro che gli era costato mesi di ricerche ed esperimenti!

L’idea gli era venuta quasi per caso leggendo su una rivista specializzata un articolo dove si analizzava il modo per cui alcuni tipi di fata generano energia magica sfruttando il fatto che altri credano nella loro esistenza. Da lì aveva ipotizzato l’eventualità di sfruttare la consapevolezza di sé intrinseca nell’anima delle persone per convertirla in mana proprio attraverso le fate e, dopo molti fallimenti, era riuscito nel suo intento. Grazie a questa sua scoperta sarebbe stato possibile per chiunque acquisire la capacità di generare energia magica semplicemente impiantando nel suo corpo delle protesi che simulassero l’abilità delle fate, e lui sarebbe stato riconosciuto come uno dei più grandi alchimisti del suo tempo!

Era proprio per questo ragione che si era messo alla ricerca dell’Isola Che Non C’è, un luogo leggendario dove avrebbe potuto trovare un buon numero di fate adatte ai suoi scopi. Ma ora i suoi grandiosi progetti stavano per andare in fumo.

Se c’era una cosa che davvero non sopportava, era quando una massa di ignoranti si metteva in mezzo per ostacolare il suo genio!

Doveva pensare ad una soluzione, e anche in fretta. Purtroppo aveva smantellato quasi tutti gli homunculus per assicurare all’evocatore di demoni più energia possibile, però se il marchingegno veniva distrutto e le fate liberate, anche il suo guerriero sarebbe scomparso.

Soffocò un’imprecazione. Ormai gli restava solo una cosa da fare…

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Capitolo 8
*** 8. L’invincibile evocatore di demoni ***


8. L’invincibile evocatore di demoni


Kenvster infilò la mano in ciò che restava del marchingegno e tirò fuori un’altra sfera di cristallo. La distrusse come aveva fatto per tutte le precedenti, quindi raccolse sui suoi palmi il corpicino della fata e le donò una parte della sua energia per aiutarla a riprendersi. Gli effetti furono visibili già dopo pochi secondi e la creaturina gli regalò un grande sorriso colmo di riconoscenza.

La chimera la lasciò andare dalle altre e osservò rapidamente la situazione. Il complicato dispositivo costruito dal Signore del castello era stato quasi completamente distrutto e le radici dell’Albero della Vita erano state in buona parte liberate.

«Ne manca qualcuna?»

Nessie lo raggiunse e disse qualcosa con la sua vocetta acuta.

«Fai sì o no con la testa.»

La fatina scosse il capo in maniera talmente enfatizzata da risultare irritante.

«Bene, allora andiamo dagli altri. E smettila di prendermi in giro!»

Lei gli voltò le spalle con aria altezzosa e si allontanò.

Le altre fate andarono dalla chimera in un pigolio di scuse e spiegazioni, tanto che lui dovette rassicurarle che non se l’era presa. Certo che Peter doveva avere una pazienza infinita per riuscire a collaborare con una tipetta del genere!

Senza perdere altro tempo chiese a quelle creaturine alate di condurlo all’esterno dell’edificio e loro sciamarono subito verso la rampa di scale da cui erano arrivati lui e Nessie.

Ora che il marchingegno era distrutto, l’evocatore di demoni si sarebbe presto trovato senza energia ed entro breve sarebbe dovuto scomparire. Alla fine l’idea del Signore del castello di usare quel dispositivo come fonte di mana gli si era ritorta contro.

Kenvster non incontrò resistenze all’interno del castello, ormai tutti gli homunculus erano già stati sconfitti, tuttavia c’era qualcosa che lo preoccupava: perché sentiva tutto quel rumore? A rigor di logica, lo scontro all’esterno delle mura doveva essere ormai alle battute finali, invece il frastuono che giungeva alle sue orecchie era quello di una battaglia al culmine della sua ferocia. Che qualcosa fosse andato storto?

Finalmente raggiunse il grande ingresso del castello e subito si precipitò fuori insieme alle fate. Rimase senza parole. L’evocatore di demoni non sembrava affatto a corto di energie, al contrario. Era solo questione di tempo prima che riuscisse ad avere la meglio su Peter e gli altri guardiani. Doveva sbrigarsi ad aiutarli!

Il suo istinto gli gridò di gettarsi nella mischia, ma sapeva che sarebbe stata una mossa inutile. Il loro nemico era un evocatore: se riusciva a sconfiggerlo, anche tutti i suoi famigli sarebbero scomparsi.

Lo cercò con lo sguardo, ma in tutta quella confusione non era facile individuarlo. Qualcosa gli colpì il braccio destro.

«Beh? Adesso mi prendi anche a calci?»

Nessie gonfiò le guance, visibilmente seccata, quindi gli indicò col braccio alla sua destra. Eccolo! Drakuzan Shitsunen!

«Ah… Mmh… grazie.» farfugliò la chimera «Adesso però dovete andare via, nascondetevi. Non fatevi catturare di nuovo.»

La fata annuì decisa e fece segno alle sue compagne di seguirla tra la vegetazione.

Kenvster le seguì con lo sguardo per qualche altro istante e poi si concentrò sul suo nemico. Doveva riuscire a sconfiggerlo a qualsiasi costo!

Sentì la parte da alligatore che emergeva dal profondo del suo corpo e i suoi muscoli pulsarono di energia. Era una sensazione ancora nuova per lui, eppure riusciva già a sentirla come assolutamente familiare. Partì alla carica, attento a limitare il più possibile il rumore. Non appena fu abbastanza vicino spiccò un grande balzo, ma tutto ciò che ottenne fu di scontrarsi con un’invisibile barriera magica.

Drakuzan, che si era accorto di lui già da un pezzo, gli rivolse un’occhiata. Le sue iridi si erano illuminate di viola e avevano anche cambiato forma, adattandosi al disegno a doppia mezzaluna che aveva sostituito la pupilla. Ma non fu solo questo a sorprendere Kenvster: lo sguardo del loro nemico era terribilmente vuoto, demoralizzato, come se stesse combattendo quella battaglia senza la benché minima motivazione.

La chimera si rimise in piedi, decisa a tornare all’attacco, ma sulla sua strada apparve una coppia di robusti uccelli dai grandi becchi. Il guardiano arretrò di un passo, incerto su cosa aspettarsi, ben presto però furono i due demoni a svelare i loro poteri: come un solo essere spalancarono le bocche e investirono Kenvster con delle grida, grida talmente forti da far tremare il terreno sotto i suoi piedi. Il giovane si portò le mani alle orecchie e strinse i denti: la sua testa sembrava sul punto di esplodere!

Prometheus, accortosi della difficoltà del suo compagno, intervenne subito in suo aiuto: mirò con l’avambraccio destro sui nemici e in un istante due potenti proiettili magici centrarono i due uccelli, interrompendo la loro offensiva.

Kenvster, finalmente libero da quel tormento, non poté non tirare un sospiro di sollievo. Sollevò il capo, ma il suo primo istinto alla vista di quell’armatura fu di ritrarsi. Solo dopo qualche secondo riconobbe il disegno a forma di ala stilizzata, anche se in realtà non riusciva a ricordarlo con precisione.

«Ce l’hai fatta?»

Era senza dubbio la voce di Prometheus.

«Sì, ho distrutto il marchingegno e ho liberato le fate. Ma direi che non ha avuto gli effetti sperati…»

Il carcarodon creò uno scudo energetico per difendersi dal lupo con tre code e tre paia di occhi, quindi gli sparò una raffica di proiettili d’energia per tramortirlo. «No, ha funzionato. Quel tipo adesso ha molta meno magia, solo che non dovrebbe averne per niente.»

«Probabilmente il mago ha capito le nostre intenzioni e ha fatto qualcosa.» gli suggerì telepaticamente Frida. La sua voce era flebile: non sarebbe riuscita a resistere ancora per molto.

Prometheus non nascose il proprio disappunto. «È proprio quello che temo…»


***


Beling tirò un sospiro di sollievo. Per fortuna era riuscito a correggere in tempo il sigillo di Invocazione Eroica e aveva trasferito su di sé la fonte di energia magica prima che il suo guerriero si trovasse senza mana.

Ovviamente questo avrebbe limitato i poteri di Drakuzan, tuttavia, secondo i suoi calcoli, sarebbe stato sufficiente per tenere testa agli intrusi ancora per un po’, magari anche per riuscire a sconfiggerli.

Fece comparire uno schermo olografico e lo collegò alla vista di uno dei pochi homunculus rimasti. Ormai gli restavano solo le spie, ma per il momento si sarebbe accontentato: una volta calmate le acque, avrebbe avuto tutto il tempo per crearne di nuovi.

Si accarezzò la barba bionda mentre studiava l’evolversi della battaglia. I suoi saggi occhi grigi non riuscirono a celare una scintilla di compiaciuto stupore: Drakuzan Shitsunen era proprio potente. Pur avendo perso gran parte del suo rifornimento di mana, sembrava ancora in grado di ottenere la vittoria contro i suoi quattro nemici. Ed era anche abbastanza sicuro che quello non fosse il suo massimo livello.

Le labbra del barbariano si incurvarono in un raro sorriso: quell’hystricide era davvero forte come un esercito intero…


***


Peter, che aveva visto i ricordi del nemico, sapeva che in quattro avevano pochissime probabilità di riuscire a sconfiggerlo. Per eliminare lui e i suoi fratelli, gli abitanti del suo pianeta avevano mobilitato un esercito di migliaia di uomini, e alla fine avevano comunque subito innumerevoli perdite.

Il demone che aveva davanti fece scattare le mascelle, il giovane orco però fu abbastanza rapido da schivarlo e lo colpì con un fendente della sua scimitarra. Sapeva di non essere abbastanza forte per sconfiggere Drakuzan, ma sapeva anche di non essere solo. La sorte, il destino, o magari semplicemente il caso aveva fatto in modo che quei tre guardiani si trovassero a combattere al suo fianco, quindi doveva fidarsi di loro. Era tutto quello che un debole come lui potesse fare.

Con un balzo evitò il raggio congelante di un’altra creatura, quindi sfrecciò in avanti e la tramortì prima che potesse attaccare di nuovo.

Lui non era forte e coraggioso come i suoi predecessori, però anche lui era Peter Pan, quindi non poteva arrendersi. Doveva continuare a lottare per l’Isola Che Non C’è, per l’Albero della Vita, per tutti i Bambini Perduti. Doveva continuare a lottare anche se aveva paura, anche se non si sentiva all’altezza, anche se il suo nemico sembrava invincibile…

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Capitolo 9
*** 9. Ritorno all’inferno ***


9. Ritorno all’inferno


Prometheus sfruttò la versatilità di Frida in versione armatura per scatenare una raffica di proiettili magici contro il demone che aveva di fronte, quindi scattò di lato e sferrò un repentino pugno ad un altro nemico e all’ultimo evocò una barriera che lo schermò da una temibile scarica elettrica.

Le cose non stavano andando per niente bene. Drakuzan era forte, troppo forte, doveva pensare a qualcos’altro.

Guardò verso Trickster. Tutto sommato il semidio stava combattendo piuttosto bene, in poco tempo aveva già acquisito una notevole padronanza dei suoi incantesimi abituali, tuttavia non era abbastanza. Grazie ai suoi trucchi, i demoni sembravano incapaci di causargli danni, tuttavia non stava sfruttando le occasioni che aveva per lanciare una decisa controffensiva. Stava prendendo in giro i suoi avversari e sembrava più concentrato sulla musica che usciva dalle sue cuffie piuttosto che sull’obiettivo di quella battaglia. Il carcarodon non si stupì di questo: c’erano voluti anni per far capire a Trickster la differenza tra giocare e combattere, sarebbe stato utopico sperare di vedere fin da subito il suo vero potenziale al servizio della causa.

Colpì il pipistrello spara elettricità con un proiettile magico, quindi bloccò le fauci del primo demone. Frida stava cercando di non darlo troppo a vedere, però riusciva a percepire chiaramente la sua stanchezza. Con uno scatto si liberò dalla pressione dell’avversario, unì le mani e lo colpì al capo con forza incredibile, schiacciandolo a terra.

Lanciò un’occhiata a Kenvster. Anche lui stava lottando con coraggio e il suo corpo da alligatore umanoide era fatto apposta per sbaragliare qualsiasi nemico, tuttavia non lo stava sfruttando a dovere. Non aveva la cattiveria del predatore, quell’istinto che lo portava a fare a pezzi qualsiasi cosa gli si parasse davanti. E pensare che i primi tempi il suo peggior difetto era proprio quello di lasciarsi trasportare troppo dalla rabbia! Al contrario di Trickster, lui non aveva dimenticato come contenere il proprio punto debole, il problema era che adesso questo suo autocontrollo gli si stava ritorcendo contro.

Una nuova scarica elettrica colpì in pieno il carcarodon. Strinse i denti per non urlare di dolore, ma la sua vera preoccupazione non era per se stesso.

«Frida, tutto ok?»

L’arma spirituale ci mise un po’ per riuscire a trovare la forza di rispondere: «Io… Sì… ce la posso fare…»

«No, che non ce la fai! Tu sei uno spirito, quindi sono sicuro che l’Albero della Vita ti sta attirando, esattamente come fa con tutte le altre anime.»

Era vero. Oltre a combattere contro i demoni, l’ex generale doveva anche vedersela con quella forza invisibile che cercava di trascinarla via.

«“Un bravo soldato sa quando è il momento di ritirarsi.” Ricordi? Sei stata tu a dirmelo.»

Frida si concesse un sospiro di rassegnazione. «Hai ragione. Non posso esserti più d’aiuto per questa battaglia, mi dispiace.»

«No, hai fatto tutto il possibile. Ti ringrazio.»

L’armatura si tramutò in una massa di luce metallica e poi svanì nel nulla.

Non passarono neanche due secondi che già un demone simile ad una lince provò ad approfittare della cosa: si avventò sul carcarodon con gli artigli spiegati, ma il guardiano lo colpì in pieno con una palla di fuoco che lo rispedì indietro.

Senza perdere tempo raggiunse Trickster.

«Vieni, ho un piano!»

Il semidio congelò il nemico che aveva davanti. «Ossia?»

«Seguimi!»

I due corsero sul campo di battaglia cercando di difendersi alla meno peggio dagli attacchi dei demoni fino a quando non raggiunsero l’orco.

«Peter, non riusciremo a battere quell’evocatore. Voi due dovete andare dal mago che l’ha invocato e sconfiggerlo.»

«Ma così tu e il tuo amico sarete soli!» esclamò il giovane.

«Ce la caveremo.» gli assicurò Prometheus con voce ferma.

Peter Pan rispedì indietro il demone simile ad un enorme cobra. «D’accordo, faremo come dici. Però questi demoni di certo non ci lasceranno andare via facilmente.»

«A questo può pensare Trickster, dico bene?»

Il semidio sorrise. «Dici benissimo!»

Allargò le braccia e intorno a loro apparvero dal nulla decine di copie sue e dell’orco, talmente tante da occupare l’intera zona nei pressi dell’ingresso del castello.

Una volta realizzato il diversivo, il figlio di Loki afferrò Peter per un braccio. «Sbrigati, c’è un sedere che dobbiamo prendere a calci!»

Prometheus nel frattempo lanciò un incantesimo e respinse l’ennesimo demone, ormai erano talmente tanti che non riusciva più a riconoscerli, quindi si affrettò a raggiungere Kenvster.

«Che sta facendo Trickster?»

«Vanno a sconfiggere il mago.»

«E noi due?»

«Dobbiamo tenere occupati i demoni.»

La chimera emise un ringhio da alligatore e fece saettare il suo pugno. «Spero almeno che tu abbia un buon piano per farci durare abbastanza.»

Il carcarodon non si scompose. «Ce l’ho infatti, ma temo che non ti piacerà…»


***


Beling osservò da uno schermo la scena, sempre più contrariato. Peter Pan e il ragazzo con le cuffie si erano intrufolati nel castello e gli altri due stavano tramando qualcosa. Ma cosa?

Avvicinò la visuale. Il carcarodon stava eseguendo un incantesimo, solo che ancora non era riuscito a capire di cosa si trattasse. Poi finalmente lo riconobbe: una possessione! Ma su chi? Di certo non su Drakuzan, lui era già sotto il suo controllo, ma anche usarlo su un demone sarebbe stato fatica sprecata. Non restava che il suo stesso compagno, solo che non capiva che utilità potesse avere fare una cosa simile.

Completato l’incantesimo di possessione, riuscì ad avvertire un aumento di potere nel corpo della chimera, tuttavia non era abbastanza per sconfiggere il suo guerriero.

Aveva appena formulato il pensiero che già se ne pentì. Quella non era una semplice possessione! L’energia all’interno della chimera stava continuando ad aumentare, uno sciamano normale non sarebbe mai riuscito ad eseguire un simile incantesimo! Quel tipo aveva dei poteri impressionanti, pari o forse anche superiori a quelli di Drakuzan.

Di colpo ebbe un’illuminazione: quel tipo non era un carcarodon! Ma certo, come aveva fatto a non rendersene conto?! Era chiaro, bastava studiare con un minimo di attenzione la sua aura! E difficilmente l’evocatore di demoni sarebbe riuscito a vincere ora che non aveva più i poteri del suo marchingegno.

Ma adesso aveva ben altri problemi: Peter Pan e il suo amico erano sulle sue tracce, aveva finito gli homunculus da combattimento e lui non era certo un guerriero. Doveva sbrigarsi a trovare un posto sicuro!


***


L’orco e il semidio stavano camminando quasi a caso per il castello quando finalmente Nessie li raggiunse. Avevano bisogno di una guida, qualcuno in grado di percepire la presenza del Signore del castello, e Peter aveva pensato subito alla fata. Era bastato chiamarla con la telepatia e lei era subito corsa in loro aiuto.

«Nessie, riesci a trovare il Signore del castello?»

La creaturina squittì di sì e poi si avviò rapida sbattendo le sue piccole ali.

Grazie alle sue indicazioni, Peter e Trickster poterono percorrere di corsa lunghi corridoi completamente storti, ampie sale asimmetriche e rampe di scale tutte arricchiate, trovandosi così di fronte ad un portone sbarrato.

La fatina disse qualcosa con la sua vocina acuta.

«È qui dentro.» affermò l’orco sfoderando la sua scimitarra.

«Lei viene con noi?» domandò il semidio.

Nessie annuì convinta: non sapeva bene come, ma anche lei voleva aiutare!

«Allora andiamo!»

Il figlio di Loki prese per un braccio Peter e fece in modo che la fata gli afferrasse un dito, quindi avanzò verso i battenti sbarrati. Tutti e tre divennero come fantasmi e in un attimo erano faccia a faccia con l’incredulo Signore del castello.

Il viso del barbariano tradì un accenno di rabbia. Questo non era assolutamente previsto!


***


Kenvster era terrificante. La sua parte da alligatore era emersa con prepotenza, deformando il suo corpo in quello di un mostruoso superpredatore alto quasi tre metri, la sua pelle sembrava fumare per le esalazioni magiche prodotte dalla possessione e i suoi occhi terribilmente vuoti non promettevano nulla di buono.

Drakuzan all’inizio pensava di poterlo sconfiggere, invece i demoni che aveva già richiamato erano stati tutti annientati nel giro di pochi secondi e non aveva abbastanza energia da evocarne altri.

Il guardiano lo afferrò per il petto con una mano artigliata e lo scaraventò a terra diversi metri più in là. L’impatto fu talmente violento da rompergli la maggior parte delle ossa, tuttavia non gridò: non aveva il fiato per farlo.

L’hystricide riuscì a malapena a voltare il capo verso i due membri di Delta. Prometheus aveva appena rilasciato l’incantesimo e il suo compagno stava lentamente tornando alla normalità: i suoi occhi persero quell’aria assente tipica dei posseduti e il suo corpo cominciò a rimpicciolirsi, allo stesso tempo i segni distintivi della sua parte da alligatore si attenuarono fino a svanire quasi del tutto.

Se avesse affrontato quei due in vita, allora l’esito dello scontro sarebbe stato sicuramente diverso. Magari non avrebbe vinto, di certo però avrebbe potuto dare del filo da torcere ai suoi avversari. In ogni caso non gli importava. Non gli importava di niente.

Le sue mani e i suoi piedi cominciarono lentamente a dissolversi. Stava morendo, ammesso che quel vocabolo fosse corretto per definire ciò che gli stava accendo.

Si abbandonò a quel suolo straniero che mai avrebbe immaginato di calpestare. Si sentiva triste, ma non perché stava abbandonando il regno dei vivi. Al contrario: il fatto di tornare all’inferno era per lui una vera liberazione, tuttavia non riusciva a darsi pace al pensiero di quello che era capitato alla sua amata. Continuare a vivere da sola, sopportando il peso della morte di tutte le persone a lei care. E questo per colpa sua.

«Lo so che non puoi sentirmi, però voglio dirti che mi dispiace. Mi dispiace, Kaguya. Tutto ciò che ho fatto, l’ho fatto perché ti amo…»

E poi l’interno suo corpo si dissolse, svanendo nel nulla così com’era arrivato sull’Isola Che Non C’è.

Kenvster osservò quella scena e non riuscì a soffocare un alito di malinconia. Non sapeva nulla del suo avversario, eppure si sentiva accomunato a lui da un destino simile: quell’evocatore di demoni era stato richiamato dall’aldilà ed era stato catapultato in uno scontro di cui non sapeva nulla, consapevole solo del fatto che tutti i suoi compagni erano morti. Era più o meno la stessa cosa che era capitata a lui.

«Kenvster, andiamo.» gli disse Prometheus «Dobbiamo ancora sistemare il mago.»

La chimera, inizialmente arrabbiata con il suo compagno, ora non aveva più alcun desiderio di rinfacciargli ciò che aveva fatto. Si sentiva giù di morale, come se la sorte capitata a Drakuzan fosse solo un’anticipazione di quello che attendeva lui e gli altri guardiani superstiti.

Un brontolio allo stomaco gli strappò un sorriso: il suo corpo era molto più semplice della sua mente.

Si voltò verso il castello bianco, deciso più che mai a porre fine a quell’assurda situazione. «Con immenso piacere.»

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Capitolo 10
*** 10. Neve scintillante ***


10. Neve scintillante


Trickster, Peter e Nessie erano di fronte a Beling. Finalmente era arrivato il momento della resa dei conti.

Il barbariano generò una nuvola di fumo, un astuto diversivo per cercare di darsi alla fuga, ma un simile trucco era del tutto inutile contro un semidio del caos: il guardiano la disperse con una potente folata di vento, quindi fece saettare un fulmine davanti al Signore del castello per impedirgli di andarsene.

Beling stava per scagliare un nuovo incantesimo, ma l’orco fu più rapido: lo raggiunse, sguainò la scimitarra e lo colpì al capo col piatto della lama. Il Signore del castello cadde a terra, un taglio superficiale che sanguinava dalla fronte alta. Eppure non voleva arrendersi. Caricò un globo di energia sul palmo e lo scagliò, Peter però lo deviò facilmente con la sua arma.

«Non ho intenzione di ucciderti.» dichiarò il giovane orco «Il tuo guerriero è stato sconfitto, gli homunculus non ci sono più e il marchingegno che hai costruito è stato distrutto. Per te è finita, hai perso.»

«Perché non gli diamo una bella ripassata?» propose Trickster con un sorrisetto malevolo «Si possono fare un mucchio di cose senza bisogno di uccidere…»

«No, non intendo fargli del male. Ti lascerò andare, ma devi darmi la tua parola che non tornerai più qui e che non farai più del male a nessuno.»

Lo stupore sui volti di Nessie e Trickster era palpabile. Uno squittio di proteste accompagnò le osservazioni contraiate del semidio.

«No, ho preso la mia decisione.» affermò Peter «L’Isola Che Non C’è ha già visto fin troppa violenza ultimamente. Vattene, e non tornare mai più.»

Beling, ancora incredulo per quello che stava succedendo, lanciò una rapida occhiata al figlio di Loki e alla fata. Erano visibilmente contrariati, ma di sicuro la seconda non si sarebbe opposta. Sul primo aveva qualche dubbio, quindi era meglio tagliare la corda in fretta.

«Hai la mia parola.» gli assicurò in tono fermo. Detto ciò il suo corpo venne avvolto da una flebile luce bianca e svanì nel nulla.

«Io continuo a pensare che un calcio nel sedere se lo sarebbe meritato.» ribadì Trickster, quasi tra sé.

Nessie non nascose il proprio assenso.

In quel momento li raggiunsero anche Prometheus e Kenvster.

«Cos’è successo?» volle sapere il carcarodon.

«L’ho lasciato andare. Mi ha assicurato che non tornerà, e non voglio altri scontri qui sull’Isola Che Non C’è.»

Kenvster fece un verso di stizza, Prometheus invece rimase in silenzio. Ormai aveva capito che la violenza porta solo ad altra violenza. L’aveva capito fin troppo bene.

«Non vorrei creare allarmismi, però credo sia il caso di uscire subito da qui…» fece notare Trickster.

Gli altri quattro osservarono il pavimento e le pareti e anche loro poterono vedere che lentamente si stavano dissolvendo in un brillio di luci. Senza perdere tempo si affrettarono a lasciare l’edificio, riuscendo a varcare il portone principale in tempo per vedere il contorto castello che si tramutava in una massa di punti luminosi, come uno sciame di infinite lucciole che cominciarono a salire verso il cielo stellato.

Finalmente l’Albero della Vita era libero, e grazie ad esso tutta l’Isola tornò rapidamente alla normalità: le altre piante vennero spogliate di quella patina bianca che le ricopriva e lo stesso accadde al terreno, quindi venne il turno delle anime. Uscivano dalla chioma del grande Albero come trasportate dal vento, quindi la maggior parte di loro saliva verso il cielo insieme ai punti luminosi, solo una manciata di globi fiammeggianti scese verso di loro, raccogliendosi intorno a Peter. Uno dopo l’altro assunsero le fattezze di bambini di ogni specie che subito abbracciavano il giovane orco, stringendosi a lui come ad un fratello maggiore sempre pronti a proteggerli.

Anche le fate si unirono ai Bambini Perduti nella loro gioiosa festa intorno a Peter Pan, volando tutto intorno al piccolo gruppo con le loro alucce scintillanti, entusiaste di essere finalmente libere dalla minaccia del Signore del castello.

I guardiani osservarono divertiti la scena e ben presto qualcosa riscaldò le loro menti: era un senso di sincera gratitudine, una manifestazione emotiva che in passato avevano già provato molte volte grazie all’Albero della Conoscenza. Ricordarlo costò a tutti e tre un attimo di dispiacere.

«Vi devo ringraziare.» affermò Peter «Lo faccio a nome mio, dei Bambini Perduti, delle fate e dell’Albero della Vita. Proprio l’Albero mi ha chiesto di farvi avere questo.»

Prometheus fece un passo avanti e lasciò che l’orco deponesse nelle sue mani un frutto dorato dalla superficie liscia e dalle forme regolari.

«È uno dei suoi frutti. Può guarire qualsiasi male e ha anche il potere di riportare in vita una persona. Purtroppo è l’unico che abbiamo, ma vi prego di accettarlo.»

Il carcarodon chinò il capo. «Vi ringrazio moltissimo.»

Trickster e Kenvster ringraziarono a loro volta per quel gesto inaspettato, ma non per questo meno gradito.

Poco dopo i corpi dei tre guardiani cominciarono a brillare come era accaduto al castello.

«Credo che sia giunto il momento di salutarci.» intuì Prometheus.

«È stato divertente combattere insieme a voi.» sorrise Trickster.

«Immagino che questo sia un addio.» fece Kenvster.

Peter si strinse nelle spalle. «Chi lo sa? Il destino è imprevedibile. Siete arrivati qui una volta, potrebbe accadere di nuovo.»

I guardiani, ormai quasi dissolti, rivolsero i loro ultimi saluti agli abitanti dell’Isola Che Non C’è. L’ultima cosa che videro furono i sorrisi delle persone che avevano appena salvato, prima che la luce li inondasse.

Kenvster riaprì lentamente gli occhi, con cautela. Si guardò intorno e subito riconobbe la palestra. Qua e là c’erano ancora i corpi dei suoi compagni di classe svenuti, come se non fosse passato nemmeno un istante dalla loro partenza. Perfino la palla con cui stavano giocando era ancora lì, abbandonata in un angolo.

«Ragazzi, secondo voi il Signore del castello vale come nemico sconfitto?» si chiese Trickster.

Un abbaio attirò la loro attenzione e Bit corse incontro a Prometheus per fargli le feste. Il carcarodon lo accarezzò e gli fece capire che era tutto a posto, quindi si alzò. «Coraggio, dobbiamo andare.»

Il semidio annuì e si preparò ad andare, la chimera invece era più titubante. Ormai aveva capito che quella che stava per lasciare non era la sua vera vita, eppure il tempo che aveva trascorso con quei ragazzi ora stesi a terra era stato reale.

«Cosa succederà a tutti loro?»

«Nessuno si accorgerà della tua mancanza, se è questo che ti preoccupa.» gli spiegò Prometheus.

Il giovane guardiano rimase in silenzio. «E si ricorderanno di aver perso l’anima?»

Il carcarodon si strinse nelle spalle. «Ne dubito.»

Kenvster stava per dire qualcosa, ma si interruppe. Una sorta di neve luccicante stava cadendo dal soffitto, regalando all’ambiente un’atmosfera insolita ma rassicurante.

«È ora di andare.» ribadì Prometheus.

Questa volta anche la chimera lo seguì e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata a quelli che credeva essere suoi compagni, si lasciò tutto alle spalle.

«Ehi Pro, che fine avrà fatto il Signore del castello?»

«Non ne ho idea.» Tirò un pugno sulla testa del semidio. «E non chiamarmi Pro.»

Uscirono dalla scuola e la scintillante nevicata li accolse. Con ogni probabilità ognuno di quei fiocchi rappresentava una piccola parte dell’energia rubata, che in questo modo stava tornando ai legittimi proprietari. Ben presto il silenzio che regnava incontrastato sarebbe stato sconfitto e la vita sarebbe ripresa. Nessuno si sarebbe ricordato di nulla.

Kenvster aprì la mano e un punto di luce si posò sul suo palmo, dissolvendosi subito in un bagliore ovattato. Lui di certo non avrebbe dimenticato quello che era successo. La sua vita era appena ricominciata.

La sua vera vita.


***


Il barbariano raggiunse con passo mesto il punto dove aveva nascosto la sua astronave.

Aveva perso tutto… Non gli restava più niente… Però era ancora vivo, ed era libero. Non si sarebbe mai aspettato che Peter Pan decidesse di lasciarlo andare. In ogni caso non aveva intenzione di venire meno alla parola data: lui era un uomo d’onore e non avrebbe mai più messo piede sull’Isola Che Non C’è. C’erano molti altri posti dove avrebbe potuto trovare delle fate adatte alla sua ricerca.

Un leggerissimo ronzio attirò la sua attenzione. Era appena udibile grazie al silenzio perfetto, ma soprattutto aveva qualcosa di familiare. Si guardò intorno e dopo qualche secondo vide un insetto volteggiare nell’aria per poi fermarsi di fronte a lui. Un insetto robotico.

Dal piccolo automa venne proiettato un ologramma. Rappresentava un uomo dal volto in ombra con un gatto bianco dai tre occhi sdraiato sulle sue gambe.

«Signor dei Rhirnem, finalmente ho il piacere di parlare con lei.»

Il barbariano si limitò ad un sorriso di formalità. «Ultimamente sono stato molto occupato. Immagino abbia qualcosa da comunicarmi.»

«Immagina bene. Lo studio che stava portando avanti sull’Isola Che Non C’è ha riscosso il mio interesse, inoltre ho in mente di avviare alcuni progetti e mi renderebbe molto felice se lei accettasse di prendervi parte.»

L’ormai ex Signore del castello si concesse un attimo per riflettere. Il suo piano aveva subito un intoppo, tuttavia avrebbe potuto sfruttare le informazioni che aveva raccolto per recuperarlo e migliorarlo. Senza contare che una collaborazione con quell’uomo gli avrebbe assicurato i mezzi per portare avanti più agevolmente la sua ricerca. «La ringrazio per avermi contattato, Coordinatore[3], può contare su di me.»

Il misterioso individuo non nascose la propria soddisfazione. «Eccellente. Si presenti quanto prima a questo indirizzo.»


[3] Il Coordinatore compare anche in Protezione e Giustizia.

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Epilogo


«Allora ragazzi, sono ricomparsi?»

«Proprio adesso.» confermò un albero umanoide «E, come avevamo previsto, adesso con loro c’è un altro guardiano.»

La donna che aveva posto la domanda si avvicinò al monitor del suo collega per vedere meglio. Sui capelli bluastri e ancora bagnati aveva un asciugamano, tuttavia la frangia sull’occhio destro non aveva perso il suo colore più acceso. Indossava una canotta che metteva in risalto il seno prosperoso e molto probabilmente era appena uscita dalla doccia. «Siete riusciti a trovare gli altri? Se non sbaglio, avete detto che ne mancano ancora due.»

«Infatti, purtroppo però non li abbiamo ancora individuati.»

«Tenetemi aggiornata se ci sono novità.» chiese lei mentre si massaggiava i capelli.

«Certo, Reïa.»

«A proposito, dov’è Danray[4]

«Si sta esercitando con quella sua nuova maschera.»

La donna annuì. «Capito. Se mi cercate, sono ad asciugarmi i capelli.»

Lasciò la sala piena di monitor e tornò alla sua camera. Wulphus Midnight le aveva affidato l’incarico di trovare e uccidere gli ultimi guardiani rimasti, ed è quello che avrebbe fatto. Lei era una soldatessa, un capitano della FANTOM per l’esattezza, quindi era abituata a svolgere missioni di questo tipo. E poi comprendeva bene le ragioni che avevano spinto il suo capoclan a darle un simile ordine: dovevano vendicare la morte di Silver, e dovevano farlo a qualsiasi costo. Il Grande Boss dei lupi mannari non poteva permettere che la morte di suo figlio restasse impunita, perché in tal caso la sua autorità sarebbe stata minata in maniera indelebile, e a quel punto tutti i suoi subordinati sarebbero stati in pericolo.



[4] Reïa e Danray sono presenti anche in Armi contro il passato.

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