Canto di Natale di una segretaria (s)fortunata

di Josephine_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 23 dicembre ***
Capitolo 2: *** 24 dicembre (mattina) ***
Capitolo 3: *** 24 dicembre (sera) ***
Capitolo 4: *** 25 dicembre ***



Capitolo 1
*** 23 dicembre ***


23 dicembre, Atto I : di come l'eroina viene messa alle strette dal Natale











Rin adorava l’atmosfera natalizia. Le strade affollate, le vetrine scintillanti, le canzoni che riecheggiavano nelle piazze addobbate a festa, gli abeti decorati e quell’odore di cannella e zabaione che colorava l’aria fredda dell’inverno erano per lei fonte di gioia e meraviglia ogni anno. Sì, il Natale le era sempre piaciuto –fin da bambina- e le piaceva anche adesso che i suoi genitori l’avevano smollata lì a New York per passare dei festeggiamenti “alternativi” –come li aveva definiti sua madre- alle Bahamas. Certo, inizialmente era rimasta male all’idea di trascorrere da sola la sera della vigilia e il pranzo di natale, ma dopotutto un po’ di riposo poteva solo farle bene visto che nelle ultime due settimane non aveva mai avuto un giorno libero dal lavoro; sì, a ben pensarci pregustava l’idea di passare le feste spaparanzata sul divano con la sola compagnia dei suoi due spasimanti Netflix e Chardonnay.  
Chi non amava le feste natalizie era invece il suo capo, il dirigente di un’immensa compagnia di investimenti per cui lavorava come segretaria personale da ormai due anni, a un ritmo frenetico che le sue amiche consideravano disumano –dopotutto chi poteva far lavorare una povera ragazza di appena venticinque anni per quasi tredici ore al giorno, tutti i giorni? Rin si alzava alle sei e per prima cosa controllava le mail che lui le aveva mandato durante la notte, in cui di solito l’avvertiva di spostarle qualche appuntamento o di inviare macchine dai clienti, e lei con solerzia si metteva all’opera e tra una tazza di caffè e una brioches contattava tutti i destinatari informandoli dei cambiamenti. Poi prendeva la metro, ma capitava anche che lui mandasse l’autista a prenderla quando doveva ritirargli dei capi in lavanderia o prendergli il caffè –lo prendeva solo in un posto in tutta la città, e tutte le volte Rin si barcamenava per riuscire ad arrivare in tempo in ufficio. Il resto della giornata filava via tra telefonate, e-mail, consultazioni e appuntamenti vari, che il suo capo non mancava mai di annullare o rimandare all’ultimo momento, mandandola letteralmente nei pazzi. Per di più la tacita regola dell’azienda imponeva alle segretarie come lei un abbigliamento consono alla loro posizione, per cui un tailleur grigio topo e un paio di scarpe col tacco di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
 
Quella mattina era il 23 dicembre e come tutte le mattine Rin stava litigando con la serratura di casa nel vano tentativo di chiuderla, quando il suo vicino di casa fece la sua comparsa sul pianerottolo. Kohaku era di qualche anno più grande di lei, viveva nell’appartamento di fronte al proprio e lavorava come giornalista freelance, il che lo aveva portato più volte ad aver bisogno di una mano per pagare l’affitto. Ovviamente le aveva sempre reso i soldi, accompagnandoli ogni volta con una galante proposta di cenare insieme che lei aveva sempre rifiutato; non che fosse un brutto ragazzo, tutt’altro, era alto e ben piazzato, con un sorriso luminoso e due magnetici occhi verdi, ma il fatto che ogni sera si portasse a casa una ragazza diversa era piuttosto sminuente… e poi, a dirla tutta, a lei piaceva un’altra persona.
- Hey, buongiorno Rin. Ultimo giorno di lavoro, sei contenta? – la salutò passandole un braccio dietro la schiena e aiutandola con l’altra mano a sfilare la chiave.
- Contenta di passare tre giorni di vacanza? Sì, beh, non mi lamento. –
- Solo tre giorni? Ma andiamo, è Natale! Quella carogna potrebbe lasciarti un po’ più di respiro. –
- Guarda che mi paga, non faccio mica volontariato. – sbuffò l’altra, rimettendo le chiavi nella borsa e avviandosi per le scale insieme a lui.
- A proposito di questo, ecco i cento dollari che ti dovevo. – Kohaku si sfilò dalla tasca un rotolo di banconote e lei lo infilò in borsa senza neanche guardarlo.
- Grazie… vai da tua sorella per le vacanze? – gli chiese distrattamente.
Lui annuì – Ha organizzato un cenone insieme alla nostra famiglia e a quella di Miroku, prego di ammalarmi e di poterle dare buca, ma credo che neanche a quel punto mi risparmierebbe. –
- Beh, i miei quest’anno se ne sono andati alle Bahamas e quindi per me il problema non sussiste. Dovrò solo decidere quale cibo preconfezionato riscaldarmi… -
- Ma dai, ti hanno lasciata da sola? –
- Sapevano che con tutta probabilità avrei lavorato e io per prima ho proposto che facessero un viaggio. – scrollò le spalle.
- Io sarò di ritorno il 25 sera, se ti va di passare sappi che con i tuoi cento dollari ho comprato dell’erba meravigliosa. –
- Mmm… proposta allettante, devo ammetterlo, ma tutto a patto che mi sia ripresa dalla mia sessione intensiva di Netflix. Ora devo proprio andare, sono già… - diede uno sguardo all’orologio e impallidì – In tremendo ritardo!! –
Si fiondò fuori dal portone lanciandogli un “tantiauguridibuonnatale!” che si perse nel fragore della strada affollata e partì a corsa verso la metropolitana giusto in tempo per vedere le porte chiudersi di fronte ai propri occhi; fantastico, adesso sì che sarebbe arrivata in ritardo. Salì sul vagone successivo controllando spasmodicamente il telefono in attesa di un qualsiasi messaggio di richiamo che fortunatamente non arrivò; al suo posto le giunse invece una breve mail:
Buongiorno. Sposta l’appuntamento delle 9 alle 9 e mezza, ricorda che alle 7.40 devi firmare la ricevuta del corriere. S.
Rin controllò l’ora: le 7 e 24, e non ci avrebbe messo che altri dieci minuti per arrivare alla sua fermata. Okay, poteva farcela; questo e altro per il suo capo, che per giunta le augurava anche un ironico buongiorno! Fece una chiamata veloce al cliente di cui doveva rimandare il colloquio e non appena le porte della metro si aprirono sgusciò fuori iniziando a correre per le scale, i tacchi che risuonavano sordi sul pavimento chiaro e l’immensa folla che a tratti la guidava e a tratti la sommergeva –ma quella, lei lo sapeva, era ordinaria amministrazione.
Camminò a passo spedito lungo tutta la strada e si bloccò quando vide il camion delle consegne fermo davanti al portone; individuò il fattorino che guardava spazientito l’orologio e lo vide scuotere la testa per poi risalire sul proprio mezzo.
- No… no, no, no, no! – gridò in preda al panico, e senza curarsi delle apparenze affrettò il passo e attraversò la strada correndo, rischiando di essere investita da un’auto mentre si sbracciava per farsi notare dall’ignaro corriere.
Un passo troppo lungo rischiò di farle perdere l’equilibrio, e quando appoggiò il peso sull’altro piede Rin sentì distintamente il tacco della decolleté cedere e spezzarsi sotto il suo peso. Doppiamente fantastico! Ma non era il momento di mollare, lo sapeva: si tolse entrambe le scarpe e riprese a correre verso l’uomo seduto nel camion, che appena si rese conto della –comica- scena aprì lo sportello e le rivolse uno sguardo preoccupato.
- Tutto bene signorina? –
- Oh… - ansimò, piegata in due dalla fatica – Io… lavoro qui… devo… firmare… per il pacco che è arrivato. –
- Ah, mi dispiace di averla fatta correre tanto. Ho una consegna sulla decima, sa… - si scusò l’altro, passandosi una mano tra i capelli bianchi.
- Nessun problema… si figuri. –
 - Ma le sue scarpe… -
- Non si preoccupi, per quelle rimedierò. – anche se non ne era del tutto sicura.
 
Firmò la ricevuta del fattorino e fece scaricare i pacchi dal portiere, poi si affrettò verso l’entrata perché erano le otto e lei a quell’ora avrebbe già dovuto essere seduta alla propria scrivania. Ebbe appena il tempo di togliersi il cappotto e accendere il computer che lui fece in suo ingresso dal proprio ascensore privato.
Qualsiasi brusio nel corridoio si spense, e il dirigente percorse con passo silenzioso i pochi metri che lo separavano dall’ufficio; Rin aveva la scrivania proprio fuori dalla sua porta, e sapeva che prima di entrare l’avrebbe guardata e le avrebbe rivolto il solito cenno di saluto –uno sguardo accompagnato dal lento inclinarsi della testa- e pregustava con ansia quel rito mattutino. Lo vide ignorare bellamente gli sguardi sognanti delle altre impiegate, scuotere il pesante orologio al polso per controllare l’ora e sistemarsi una ciocca di capelli lunghi e argentei dietro l’orecchio. Okay, c’era una cosa che molti avrebbero definito strana, forse un po’ inquietante: il suo capo era un demone. No, non nel senso che era una carogna insopportabile –per certi versi era anche quello-, ma nella più classica accezione di “spirito ultraterreno con poteri soprannaturali”; un’altra razza, ecco, una razza più potente di quella umana. La situazione all’inizio era stata strana, Rin doveva ammetterlo: le creature come lui erano appena state riconosciute dalla comunità mondiale, ed erano ancora in corso processi di integrazione e assimilazione all’interno della società quando lei aveva letto sul giornale un annuncio per un posto da segretaria nell’immensa azienda di investimenti di questo nuovo demone, che già in fotografia pareva algido e impassibile, sempre serioso e poco incline alla conversazione. Si era presentata al colloquio nonostante avesse visto le precedenti candidate scappare in lacrime, e questo perché la paga era piuttosto alta e adesso che era andata a vivere da sola necessitava disperatamente di un lavoro; lui era stato diretto, spietato, impassibile: le chiedeva immediata disponibilità, sette giorni su sette, le imponeva contatti con altri demoni e più di una volta aveva aperto le finestre per “scacciare l’odore umano” che emanava. L’aveva interrogata sui suoi studi, sulle ambizioni, un paio di volte su argomenti di attualità; lei non si era lasciata intimidire –aveva dalla sua la forza della disperazione e la speranza che la sua ultima spiaggia si rivelasse un porto sicuro- e lui l’aveva congedata con un cenno freddo della testa, salvo poi farla ricontattare qualche giorno dopo per farle sapere che aveva ottenuto il posto. Inutile dire che da quel momento per Rin era iniziato un vero e proprio calvario –ma non si lamentava, proprio non ci riusciva; perché se c’era un’altra cosa, una che teneva solo per sé, era che alla fine dei giochi si era ritrovata ad essere follemente, inconcepibilmente, stupidamente e profondamente attratta da lui.
- Rin, nel mio ufficio. – la voce bassa del suo capo la distrasse da quei pensieri, facendola rizzare prontamente sul posto.
- Ah! Sì, subito signor Sesshomaru. –
 
Lo seguì zoppicando nel grande ufficio arredato in stile minimale, che ospitava un divanetto nero in pelle e un tavolino su cui erano posate numerose riviste di finanza e economia. Sesshomaru si sistemò alla propria scrivania, un tavolo grigio antracite lungo almeno tre metri che si affacciava sull’immensa vetrata che occupava tutta la parete, e la squadrò da capo a piedi per poi inarcare pericolosamente un sopracciglio –pessimo, pessimo segno. Solo in quel momento Rin si rese conto delle sue reali condizioni: con un tacco rotto, una calza smagliata e il completo già sudato e sgualcito, più che alla segretaria personale del direttore somigliava a una pazza psicopatica che aveva saltato l’appuntamento con lo psichiatra.
- Ecco… - sentì il bisogno di giustificarsi – M-mi si è rotta una scarpa… ero in ritardo e dovevo ricevere il suo pacco… e ho perso la metro… -
- Per carità, Rin, non siamo a scuola e io non sono il tuo preside. –
Subito lei si riscosse – Ehm… giusto. Va bene se per la mattina rimango dietro la scrivania e durante la pausa vado a comprarne un paio nuove? –
Sesshomaru neanche le rispose, preferendo di gran lunga concentrarsi sui plichi di fogli zeppi di cifre che aveva davanti.
- Ho bisogno che tu esca subito, in realtà. Domani devo essere a casa di mio fratello e non ho ancora comprato dei regali per lui e la moglie. –
Questo ovviamente lei già lo sapeva, visto che era stato compito suo fissare l’intera trasferta natalizia.
- Mi sono permessa di stilare una lista, ieri sera, dei regali per Inuyasha, Kagome e il piccolo Inushiro. – la estrasse velocemente dalla tasca interna della giacca e gliel’appoggiò sul tavolo – Vado a prenderle la colazione e poi mi dice quali ha scelto? –
- Ottimo. – convenne lui, piacevolmente sorpreso dalla lungimiranza della ragazza – Aspetta. –
- Dite pure. –
Sesshomaru si alzò dalla sedia e si diresse verso il mobiletto in legno nell’angolo, quello che conteneva gli alcolici; Rin per un secondo pensò che volesse offrirle del bourbon, e già si stava dannando se pensava a come avrebbe potuto declinare gentilmente l’invito, ma lui aprì lo sportello in basso e ne estrasse un paio di scarpe nere lucide dai tacchi vertiginosi.
- Puoi indossare queste per oggi. –
Gliele porse tenendole per due dita e lei rimase un attimo imbambolata a guardarlo –dio, com’era bello con quei capelli lunghi e bianchi, quel profilo greco dagli zigomi alti e leggermente incavati, dove le strisce magenta simbolo della sua natura demoniaca spiccavano sulla pelle candida e liscia, già, doveva proprio essere liscia al tatto…
- Rin, ci sei? –
- Sì! – si riscosse improvvisamente e tornò a guardare le scarpe – Non saranno un po’ troppo alte? M-ma grazie lo stesso, grazie. –
Si sedette sul divanetto in pelle e le indossò sotto lo sguardo annoiato di lui, e quando si tirò su in piedi si rese conto di aver guadagnato almeno quindici centimetri di altezza –davvero troppi, per una che soffriva di vertigini come lei. Inoltre aveva un sospetto ben preciso sulla padrona di quei trampoli: Kagura, la fidanzata del suo boss, una demone bellissima ma sempre tremendamente altera e scontrosa. Quando doveva fissare un appuntamento con lei Rin faceva in modo che durasse il meno possibile, e un po’ si sentiva una carogna quando agiva così, un po’ pensava che fosse la sua meritata vendetta per tutte le occhiatacce malevole che la demone le lanciava.
- Ho già scelto i regali… per Inuyasha l’orologio, per Kagome il servizio da tè, per Inushiro la mazza e il guanto da baseball. –
- Non il sacco da boxe? –
- Penso che lo romperebbe nel giro di pochi giorni. –
- Giusto. – Rin si appuntò mentalmente che i bambini mezzodemoni alla sola età di cinque anni erano in grado di distruggere una sacca da boxe. – Allora vado, è tutto signor Sesshomaru? –
- Passa all’ufficio stampa, devono darti delle dritte per il 27. Ah, ho prenotato un tavolo per due al Trudy’s, per stasera alle sette. Puoi portarmi lì i regali. –
- Certo. Vuole… che prenda qualcosa anche per Kagura? –
Il demone inarcò le sopracciglia e lei si sentì istantaneamente avvampare.
- No, ci ho già pensato da solo. –
- Ah! Giusto, avrei dovuto immaginarlo, dopotutto il regalo per una fidanzata è qualcosa di molto personale, era ovvio che ci avrebbe pensato da solo. – okay, adesso aveva iniziato a straparlare e lui la fissava come se avesse avuto a che fare con un alieno, quindi era giunto il momento di alzare i tacchi –letteralmente- e filare dritta dritta fuori da quella porta.
Peccato che il suo già precario equilibrio non potesse consentirle niente di tutto ciò; appena mosse un passo in avanti si sbilanciò di lato e sentì la propria caviglia piegarsi pericolosamente sotto il suo peso. Fu questione di un attimo, neanche se ne accorse: Sesshomaru la riprese per un braccio e la rimise in piedi, e gli occhi di Rin saettarono immediatamente alla mano che lui teneva serrata in una stretta morbida e sicura al tempo stesso.
- Grazie. – sussurrò – Io… lo avevo detto che erano troppo alti. –
L’altro sospirò rumorosamente, e quello non era mai un buon segno – Stai attenta, non voglio pagarti un mese di malattia nel caso in cui ti rompessi una gamba. –
- Certo, farò del mio meglio! – era ciò che faceva sempre – Alle sette davanti al Trudy’s: una mazza da baseball, un orologio e un set da tè, con i responsi dell’ufficio stampa. A più tardi, signor Sesshomaru! –
Questa volta riuscì a imboccare la porta senza ulteriori intoppi, ma solo quando si fu chiusa i battenti dietro la schiena rilasciò il fiato e smise il sorriso finto a favore di un broncio atterrito e sconsolato che fece ridere Kikyo, l’addetta alle riunioni.
- Brutta giornata? –
- Non più del solito… -
- Dai, pensa che da stasera siamo ufficialmente in vacanza! –
Ma Rin sospettava che per riprendersi da un boss del genere le sarebbero serviti minimo due mesi di ritiro spirituale.
 
 
 
Aveva girato le vetrine di Manhattan dalla prima all’ultima, riuscendo a scovare un perfetto servizio da tè in finissima porcellana decorata, un orologio sportivo metallizzato di nuova generazione e, alla fine, nel più grande negozio di giocattoli della città, una mazza da baseball completa di palla e guantone –un set che in molti avrebbero definito semi professionale. Per averla aveva dovuto litigare con un padre furioso che pretendeva di essere il legittimo proprietario della mazza solo perché l’aveva vista un secondo prima che lei la prendesse. Inizialmente Rin aveva optato per un approccio tranquillo e diplomatico -dopotutto a chi andava di litigare il giorno prima della vigilia?- ma si era dovuta ricredere quando l’uomo aveva tentato di strapparle di mano il regalo chiamandola “maledetta tardona”, e a quel punto non aveva trovato di meglio da fare che piantargli il tacco quindici sul piede e scappare verso le casse, dove era riuscita a disperdersi nella folla rumorosa.
Due ore più tardi, con i regali impacchettati al sicuro nella borsa, si era diretta all’ufficio stampa per definire i dettagli attorno alle conferenze del 27, 29 e 30 dicembre. Aveva mostrato ai vari impiegati gli appunti di Sesshomaru, dato le direttive principali, annotato minuziosamente ogni particolare sul proprio taccuino e risposto alle domande degli organizzatori. Si trattava di tre conferenze organizzate dalle maggiori testate giornalistiche della città: nella prima si sarebbe parlato dell’impatto economico del natale di quell’anno, nella seconda sarebbero state illustrate le manovre principali pensate per la nuova stagione, e la terza sarebbe stata una veloce comparsata per illustrare i nuovi fondi di beneficenza stanziati dall’azienda. Discutere il tutto le aveva impiegato all’incirca quattro ore, e quando aveva finito mancavano appena quaranta minuti alle sette –quaranta minuti per prendere la metro e arrivare al Trudy’s, dall’altra parte della città, il giorno prima della vigilia di Natale. 
Sopravvivere all’ingorgo di persone che rifluivano per strada era stato piuttosto impegnativo considerata la pesantezza della sua borsa e l’impiccio dei quei trampoli dall’altezza spropositata, ma alla fine era arrivata a destinazione in condizioni più o meno accettabili, alle 18:59 spaccate.
Rin si sistemò meglio la giacca del tailleur e si diede un’occhiata veloce attraverso il finestrino di una macchina; aveva i capelli crespi, una sua specialità invernale, ma il trucco tutto sommato aveva retto. Si avvicinò al locale e lo individuò subito, seduto a un tavolo quadrato proprio davanti alla vetrina. Indossava un completo color antracite dalla fattura ricercata, e come al solito teneva i capelli sciolti sulle spalle incurante degli sguardi curiosi delle persone attorno; e, ovviamente, non era solo. Kagura era seduta proprio di fronte a lui, con un vestito blu scuro lungo fino alle caviglie, tacchi argentati e i capelli castani raccolti in uno chignon elegante.
Dovette ammetterlo: quei due insieme sembravano proprio il re e la regina dei demoni, due creature divine e inafferrabili la cui sola presenza incuteva rispetto e devozione in chi stava loro attorno. Erano una bella coppia, c’era poco da fare; entrambi bellissimi, algidi e sprezzanti verso il genere umano, entrambi immortali e ricchi come… come petrolieri texani! Con una donna del genere a fianco Sesshomaru faceva bella figura alle cene più importanti, ai vernissage artistici e alle manifestazioni cittadine, e più di una volta i due erano finiti sulle copertine di giornali scandalistici; si frequentavano da quasi un anno ormai, e questo per molti versi aveva fatto in modo che Rin accantonasse la sua stupida, insensata cotta –dopotutto come avrebbe potuto lui notarla da dietro l’aura di perfezione che emanava Kagura? Così bella, così potente, così adatta ad uno come Sesshomaru… lei in confronto era la piccola pastorella che si innamorava del re –e tutti sapevano come finiva quella favola: la regina, arrabbiata nera, faceva giustiziare la pastorella.
Senza neanche accorgersene si era accesa una sigaretta, la prima dopo molte ore; ne inalò il fumo chiaro ed espirò tutto insieme, buttando fuori insieme a quello anche una buona parte dello stress quotidiano. Si avvicinò cauta alla vetrina del locale, alle spalle di Kagura, e lui la notò immediatamente; lo vide alzarsi e salutare velocemente la donna per poi uscire in strada, dove Rin lo aspettava fasciata nel suo cappottino blu.
- Hai una sigaretta? –
Rin estrasse prontamente il pacchetto e gliene offrì una, che lui posizionò in bilico tra le labbra per accendersela –oddio, non poteva fare caso anche a quegli insulsi particolari, eppure per lei era impossibile non guardarlo.
- E’ nervoso? –
- No. – il demone inarcò un sopracciglio – Perché dovrei? –
- Di solito fuma sempre quando è nervoso… prima di una conferenza o un appuntamento importante. –
Lui le rivolse uno sguardo di sufficienza – Fumo quando mi va. –
- Certo, certo. – Rin distolse lo sguardo, mortificata, e lui un po’ si pentì per essere stato così duro.
- Hai trovato i regali? –
- Tutti quanti! – gli porse le buste che aveva messo nella borsa e da cui emergeva la forma allungata della mazza da baseball incartata.
- Perfetto. – Sesshomaru aspirò a fondo e rilasciò una nube di fumo grigiastro che si disperse attorno a loro in mille spirali.
- Ho finito per oggi? –
- Sì, sei libera. – un’altra boccata, guardando un punto indefinito oltre la strada – Hai programmi per stasera? –
- No… nessun programma. Penso che mi metterò in pigiama e mi scolerò una bottiglia di vino. – si pentì di tanta sincerità subito dopo aver parlato, ma con sua sorpresa constatò che l’uomo davanti a lei non sembrava disgustato… quanto divertito dalla situazione. 
- Meglio per te, no? –
- Farei volentieri a cambio con la sua spigola affumicata, sa? –
Sesshomaru gettò uno sguardo alle proprie spalle e vide che le loro portate erano già sul tavolo; intercettò l’occhiata di disappunto di Kagura e la ignorò, per poi voltarsi e spegnere il mozzicone nel portacenere lì accanto.
- Adesso vado, buonanotte Rin. –
- Buonanotte, signor Sesshomaru. E buon Natale. –
Lui rimase un attimo interdetto prima di ricambiare – Anche a te. –
Rin lo vide sparire all’interno del locale per poi ricomparire davanti alla vetrina, serio e dritto nel suo completo super costoso, e a quel punto si convinse a lasciare il marciapiede e a dirigersi verso la fermata della metro più vicina: aveva finito di lavorare a un’ora decente e per di più aveva anche ricevuto gli auguri del suo capo, cosa piuttosto peculiare considerando che l’anno prima si era completamente scordato del Natale –dimenticandosi pure di mandarla in ferie.
 
 

Il rientro a casa fu per lei una pacifica passeggiata per le strade illuminate di Manhattan. Ad ogni angolo spuntavano alberi, luminare, uomini vestiti in rosso che auguravano buone feste, gente vestita elegante e carrozze trainate da cavalli: se New York durante l’anno era paragonabile all’inferno, in quel periodo Rin l’avrebbe definita un piacevole calvario.
Entrò nel proprio appartamento beandosi istantaneamente dell’aria tiepida al suo interno, e per prima cosa si tolse guanti e cappotto senza neanche degnarsi di appenderli all’attaccapanni; togliersi quegli odiosi trampoli fu una soddisfazione immensa, equiparabile soltanto al piacere di tuffarsi nella comoda tuta di pile e prendere dal frigo la bottiglia di vino che le era avanzata dalla sera prima.
Indossò persino le sue pantofole pelose, quelle che le aveva regalato sua madre lo scorso anno –ah, lei sì che la conosceva bene-, poi si spaparanzò sul divano con il calice ricolmo in una mano e il telecomando nell’altra, e con il primo sorso diede finalmente inizio alla tanto agognata sessione intensiva di zapping.
 
Aveva appena finito di guardare l’ultimo episodio di New Girl quando un bussare leggero alla porta le fece tendere le orecchie e abbassare il volume della tv. Probabilmente era Kohaku che da ubriaco non riusciva a trovare le chiavi di casa o che magari si era ricordato di portarle quell’erba fotonica di cui le aveva parlato… sperava vivamente che si trattasse della seconda opzione, e a quel punto sì che le sue meritate vacanze sarebbero iniziate.
- Se non trovi le chiavi è perché le metti sempre nella tasca interna! – gli gridò da dietro la porta, ma quando l’aprì per poco non le venne un coccolone.
Al posto del suo ubriaco vicino di casa se ne stava il suo sanissimo capo, ancora fasciato nell’abito elegante che gli aveva visto a cena, l’espressione seria ma leggermente a disagio e un braccio mollemente appoggiato allo stipite. Quando la vide la squadrò un paio di volte prima di esibirsi in un ghigno divertito.
- Ciao Rin, ti disturbo? –
Okay, a ben pensarci era tutta colpa sua e della sua stupida abitudine a non controllare mai dallo spioncino. Niente panico, niente panico: indossava un’orribile tuta grigia di pile, ciabatte pelose, non si era struccata e aveva i capelli legati in… due codine. Oddio, quella era la fine del mondo –altro che natale e alberi e lucine colorate, quello era un immenso disastro
- S-salve. – si sforzò di guardarlo in faccia, ma più lo faceva più lui allargava il ghigno più lei arrossiva come un’idiota, tanto che adesso era sicura di avere lo stesso colorito dello zerbino bordeaux ai suoi piedi.
- Disturbo, forse? – ripeté lui, ben cosciente di non disturbare affatto.
- No, no. Entri pure. – Rin si fece da parte, e menomale che almeno il salotto era in ordine.
Sesshomaru esaminò con cura l’ambiente soffermandosi soprattutto sul divano sgualcito e sulla bottiglia di vino ormai vuota.
- Vedo che il tuo proposito di scolarti una bottiglia è andato a buon fine. –
Lei avvampò ancora di più – La avevo già aperta ieri… quindi… era a metà. –
E il brutto era che aveva detto la verità, nient’altro che la pura verità, eppure lui si ostinava a guardarla con quella luce di scherno e quella faccia da schiaffi che se ci pensava… le veniva un’immensa voglia di picchiarlo e poi baciarlo, perché una soddisfazione doveva pur togliersela. Purtroppo dovette ricacciare questi e simili pensieri in un angolino del cervello: se il suo capo era lì voleva dire che la sua pausa di appena due ore era finita, e che era giunto il momento di indossare il suo migliore sorriso da segretaria e accogliere il lavoro a braccia aperte –certo, come no.
- Ha bisogno di qualcosa? Mi ha per caso mandato una mail? Perché non l’ho vista, il telefono non ha nemmeno vibrato… -
- No, non ti ho scritto. Avevo bisogno di chiederti una cosa di persona. Hai una sigaretta? –
- Certo… - Rin ne prese due, e già la sensazione del tabacco sulle labbra riuscì a restituirle un po’ di calma – Si sieda pure, e mi scusi per il disordine. Ovvio che con il lavoro che faccio non ho molto tempo per mettere a posto! –
La sua tagliente ironia non andò per niente a segno; Sesshomaru si sistemò sulla poltrona davanti a lei e appoggiò i gomiti sulle ginocchia mentre aspirava il fumo in boccate profonde. 
- Domattina devo andare a casa di mio fratello, a Pittsburgh, ricordi? –
- Certo, ho avvertito personalmente Inuyasha del suo arrivo e di quello di Kagura. –
- Kagura non viene più. – disse lui aspirando un’altra boccata – Tranquilla, ho già chiamato Inuyasha per avvertirlo. Ma quella stupida della moglie ha dovuto mettersi in mezzo, e ha detto che siccome aveva già preparato un sacco di cose non posso più presentarmi da solo. –
Rin sussultò, e non era normale che in quel momento invece di fare il suo lavoro si stesse chiedendo se l’assenza di Kagura dal Natale non volesse dire che, finalmente, quei due si erano lasciati –davvero, il pensiero la opprimeva: poche ore prima si era ritrovata a invidiarli, fuori da quel ristorante, così belli e perfetti, e adesso veniva fuori che il loro viaggio di coppia era saltato. Ma, soprattutto, chi avrebbe dovuto trovare per rimpiazzare la bellissima demone? Probabilmente Sesshomaru le avrebbe chiesto di contattare qualche fotomodella russa o una delle sue vecchie fiamme, magari le avrebbe pure fatto organizzare dei colloqui selettivi durante la notte! Oddio, tremava all’idea.
- ... con me, domattina alle sette. – finì di dire lui, e in quel momento Rin si rese conto di essersi persa l’intero discorso del demone.
- Ehm… mi scusi, potrebbe ripetere? –
L’altro sbatté le palpebre – Non mi stavi ascoltando? Ho detto che mi accompagnerai tu a Pittsburgh. –
- Eh?! –
- Partiamo alle sette perché odio il traffico. –
- Eh?! – al momento proprio non le veniva di meglio da dire – V-venire con lei… da suo fratello… per le vacanze natalizie? No, questo non si può fare. Non le è passato per la testa che anche io potrei avere i miei programmi? –
- Li hai? – lui inarcò un sopracciglio, e quando la vide ammutolire continuò – Come pensavo… -
- Scusi?! –
- Niente. Vedi, se mi presento da solo mio fratello darà di matto e sua moglie vorrà presentarmi una delle sue stupide amiche, e proprio non ne ho voglia. Rin, non te lo chiederei se non avessi davvero bisogno di te; saremo solo in cinque, e solo per settantadue ore. Te le pagherò tutte, ovviamente, dalla prima all’ultima. A nero. –
Okay, lei non lo ammise neanche a sé stessa ma aveva già ceduto nel momento in cui le sue orecchie avevano sentito la locuzione bisogno di te detta da quelle labbra morbide e precise, accompagnate da uno sguardo serio che l’aveva trapassata da cima a fondo –ed erano ambrati gli occhi di Sesshomaru, due dolci pozze dorate in cui lei ogni volta faticava a rimanere a galla.
Fece comunque finta di pensarci un po’ su, giusto per darsi un po’ di credibilità, ma in realtà l’idea di rimanere per settantadue ore sola –o quasi- con lui era forse la cosa migliore che le fosse capitata nell’ultimo anno.
- Io… va bene. La accompagnerò. – poi un dubbio si insinuò in lei – Come devo presentarmi? –
- In che senso? Come la mia segretaria, ovvio. –
Già… ovvio – Certo… mi chiedo solo cosa penseranno della situazione Inuyasha e Kagome. –
- Che non sono un tipo amichevole, che non conosco molte persone e che sono una carogna di datore di lavoro, il che poi è la verità. – si alzò in piedi e si diresse verso la porta – Passo a prenderti domattina alle sette, puntuale. –
- Okay. Alle sette. – ripetè Rin, che ancora aveva difficoltà a pensare alla situazione in termini pratici.
- Buonanotte Rin. –
- Buonanotte anche a lei… -
 
Solo quando ebbe chiuso la porta l’immensità dell’evento le piombò addosso; i suoi programmi a base di Netflix e vino erano improvvisamente saltati, avrebbe guadagnato seicento dollari per essere ospitata in una baita alla periferia di Pittsburgh e avrebbe passato la sera di Natale con quello che nella sua piccola mente malata chiamava lasuacottasegreta. Certo, c’era solo da sperare che lui non la usasse da fattorino o da cameriera, ma se ci pensava bene non le sarebbe dispiaciuto neanche fargli le lavatrici –e questo bastava a farle capire fino a che punto fosse arrivata la sua patologia. Inutile aggiungere che quella notte Rin non dormì affatto, persa in fantasticherie che prontamente si alternavano a paranoie totalmente fondate e attimi di assoluto terrore.



 













 
Tahdahhhh eccomi tornata... BUON NATALE A TUTTIIIIIIII :))) spero che siate tutti con le persone che amate, ma soprattutto che abbiate trovato un sacco di bei regali sotto l'albero, non come me che ho ricevuto un pigiama!!! davvero, non sto scherzando!!
Lo so, cosa la inizio a fare un'altra storia se ne ho una in sospeso? Mmmmmm avete ragione, solo che avevo proprio voglia di qualcosa di natalizio e me ne sono uscita con questa cosetta che però sarà lunga massimo 3 o 4 capitoli e che cercherò di concludere prima della fine delle vacanze. Ecco, prendetelo come il mio regalo di Natale personale :*** recensioni come sempre molto ben accette, le leggerò dal letto in cui ho intenzione di sprofondare per le prossime otto ore....... ancora tanti auguri a tutti di buon Natale, un abbraccio virtualllll :)

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Capitolo 2
*** 24 dicembre (mattina) ***



24 dicembre, Atto II, "Di come l'eroina piomba nella famiglia dell'eroe la mattina della vigilia: cronaca di un successo."











Sesshomaru era arrivato in anticipo di qualche minuto a bordo di una lussuosissima mercedes nera, una di quelle macchine che secondo Rin sapevano guidarsi da sole e volendo ti preparavano pure il caffè. Lei era scesa portandosi dietro solo un trolley dalle dimensioni modeste, e il suo capo inarcò le sopracciglia appena la vide –strano, era il gesto che gli vedeva fare più spesso ultimamente.
- Tutto qui il tuo bagaglio? Ero convinto che alle donne piacesse viaggiare pesanti. –
- Non a me… - Rin aprì la bauliera ma quando si voltò si accorse che Sesshomaru aveva già sistemato la valigia da un pezzo – Wow… ecco… questi scatti che fa, la prego di non farli. –
- Non sono scatti, è solo che sono naturalmente più veloce di te. –
- Ma non può cogliere così… di sorpresa la gente. Comunque la ringrazio. –
- Hai già fatto colazione? –
Con tre caffè e due merendine sullo stomaco non poteva dirsi più apposto di così – Certo! Possiamo partire subito… verso Pittsburgh! Immagino che sarà nevicato tantissimo in quella zona! -
Sesshomaru annuì – Ho messo gli pneumatici da neve. Ah, e ho una regola ben precisa: niente musica. –
Per poco non le cadde la mascella a terra al pensiero che avrebbe passato le successive tre ore immersa nel silenzio più imbarazzato della propria vita – Niente musica? Neanche del blues, o del jazz? Andiamo, cos’ha contro la musica? –
Ma l’altro si era già accomodato al posto di guida e lei lo imitò, senza riuscire a contenere lo stupore davanti agli interni in pelle chiara, il cambio automatico, il monitor immenso che occupava tutto il cruscotto e… oh mio dio, quella macchina aveva i sedili riscaldati! L’uomo accanto a sé infilò le chiavi e l’auto partì senza produrre il minimo rumore, leggera e rapida sull’asfalto brinoso.
Beh, per quanto la riguardava Rin avrebbe anche potuto sopportare tre ore di silenzio e concedersi un brevissimo pisolino, ma appena furono fuori città Sesshomaru premette il piede sull’acceleratore e la macchina scattò in avanti facendole quasi prendere un coccolone.
- E’ proprio necessario andare così veloce? –
- Non sto andando veloce. –
- Sta andando a più di 160 chilometri orari! – si ribellò lei, che proprio non aveva voglia di passare da fifona.
- Per me è un’andatura anche troppo contenuta. Rilassati, riesco a vedere fino a duecento metri di distanza, quindi non corri nessun pericolo. – borbottò annoiato.
- Okay… -
Rin si appiattì contro lo schienale caldo e non parlò più; ogni tanto, quando pensava che lui non potesse vederla, lo guardava di sottecchi e spiava i dettagli del suo volto affilato, il collo lungo che terminava in una camicia azzurra aperta per i primi due bottoni. Le dava una certa tranquillità guardarlo, e se ci pensava bene si sentiva al sicuro accanto a lui, anche se sfioravano la media di duecento chilometri all’ora -si sarebbe sentita al sicuro sempre, accanto a lui.
- I tuoi genitori dove sono? –
- Alle Bahamas, in un villaggio vacanze. Un’idea mia, ad essere sincera. –
- E come mai, se posso saperlo? –
- Uhm… ecco… pensavo che avrei dovuto lavorare più del previsto e che non avrei comunque avuto tempo per tornare a casa. Beh, alla fine ho avuto ragione, no? Sono proprio un’ottima segretaria. –
Lui inarcò leggermente un angolo della bocca – Se lo dici tu… -
- E… se posso saperlo, come mai alla fine Kagura non è venuta? – trattenne il fiato nell’attesa di una risposta che non tardò ad arrivare.
- Ci siamo lasciati. – masticò lui distrattamente.
- Oh. – oh, oh, oh – M-mi dispiace. – e un po’ le dispiaceva davvero, perché almeno con Kagura aveva avuto la vaga certezza che lui non frequentasse altre donne, mentre adesso chissà in quante gli sarebbero saltate addosso.
- Davvero? – chiese lui, scettico.
Lei arrossì, colta in flagrante – Certo! Eravate una bella coppia, dico… esteticamente. –
- Quindi è un caso che la maggior parte delle volte i miei appuntamenti con lei durassero meno degli altri o fossero fissati ad orari improponibili? –
Rin quasi non si soffocò con la sua stessa saliva – Davvero? Non ci ho mai fatto caso… -
- Peccato, avrei apprezzato la tua sagacia nel capire che volevo avere a che fare con lei il meno possibile. – Sesshomaru si voltò a guardarla e le stava praticamente per scoppiare a ridere in faccia.
- La… la strada! Guardi la strada! – solo quando non ebbe più addosso quelle gemme dorate riuscì a riacquistare un po’ di autocontrollo – Se dice così avrebbe potuto lasciarla prima, invece ci è stato insieme un anno! –
- Questione di affari. – spiegò lui.
- La sua relazione era solo un… piano economico? –
- Una sorta, sì. E adesso perché mi guardi così? –
- Non lo so, è che mi risulta difficile pensare a una cosa del genere. Lei non è mai stato innamorato? –
- Tu sei mai stata milionaria? –
- N-no… -
- Questo perché non sei fatta per esserlo. –
- E lei non è fatto per l’amore? –
- Dio, Rin, sembri uscita da una di quelle riviste femminili che si leggono dal parrucchiere. –
- Okay, okay… mi scusi. Volevo solo far conversazione. –
Ma Sesshomaru non le rispose più, preferendo chiudersi in un silenzio concentrato e vagamente irritato che Rin detestò con tutto il cuore; le era quasi sembrato di trovarsi sullo stesso piano di lui, per una volta, al di là di quelle mura di cristallo che il demone aveva eretto intorno alla sua immagine di freddezza e perfezione –aveva intravisto l’uomo dietro la maschera, avevano parlato senza appunti o fogli o appuntamenti di mezzo ma lei aveva finito con il perdere tutto solo perché ne voleva di più.
Si accoccolò contrò lo schienale e guardò fuori dal finestrino il paesaggio brullo e invernale che si susseguiva davanti ai suoi occhi; fu questione di minuti prima che un leggero tepore le intorpidisse le gambe e gli occhi chiudessero la propria finestra sul mondo, facendola cadere in un sonno giusto e ristoratore.
 
 
 
 
Riaprì gli occhi nell’esatto momento in cui la mercedes nera imboccò un sentiero sterrato che esulava dalla strada di provincia, e le ci volle qualche secondo per realizzare di essersi addormentata –con la fortuna che si ritrovava come minimo si era pure messa a russare o aveva un rivolo di bava al lato della bocca.
- Ti sei svegliata. –
Sesshomaru guardava la strada impassibile come sempre.
- Quanto ho dormito? – con un gesto della mano appurò che per lo meno non c’erano tracce di bava.
- Due ore. –
- Cosa?! Ma praticamente per tutto il viaggio! Spero almeno di non aver russato. – borbottò stiracchiandosi sul sedile, e solo allora notò il paesaggio bianco fuori dal finestrino – Wow, ma è nevicato tantissimo! E’ tutto bianco… ma non dovevamo andare a Pittsburgh? –
- Mio fratello non sta proprio in città, preferisce la campagna. –
- E a lei piace la campagna? –
In quel preciso istante la macchina incespicò su una buca piuttosto profonda – Direi di no. –
- Peccato. Anche i miei genitori adorano andare in montagna… quando ero piccola tutti gli inverni andavamo nella casa di mio padre… era una baita in mezzo a un paese minuscolo, c’era un laghetto ghiacciato che era fantastico, ci avrò pattinato per dieci anni di fila! -
- Credo che anche qui abbiano un laghetto. – fece lui distrattamente – Siamo arrivati. –
Davanti a loro si ergeva una moderna baita in pietra col tetto rivestito di tanti pannelli di legno scuro, con le finestre decorate da lucine natalizie e una grande ghirlanda verde posizionata sulla porta… aperta.
- Che strano che sia tutto aperto… -
Sesshomaru scese di macchina e prima che Rin potesse accorgersene le aveva aperto galantemente la portiera.
- Non poi così tanto, considerato che Inuyasha manca totalmente del concetto di privacy. –
Lui scaricò i bagagli, trascinando il trolley con una mano e un pesante borsone nero nell’altra –che strano, Rin aveva sempre pensato che fosse un tipo da cabina armadio ma sicuramente non da borsone da viaggio- e molto educatamente bussò comunque alla porta prima di entrare.
- E’ permesso? – chiese lei seguendolo nell’ingresso piccolo ma accogliente.
La loro attenzione fu catturata da due voci, una maschile e una femminile, provenienti da quello che lei suppose fosse il salotto. Parlavano a voce bassa, ma non abbastanza perché lei non potesse sentirli –e se ci riusciva Rin, figuriamoci il demone accanto a sé dai sensi pericolosamente amplificati.
- La segretaria, te ne rendi conto! Non ci credo che lo farà davvero… -
- Ti dico di sì, Kagome! Ha rotto con quella stronza della fidanzata e tu hai espressamente detto che non saresti riuscita a sopportarlo se fosse venuto da solo, chi avrebbe dovuto portare? Ti sembra forse un tipo pieno di amici? –
- Ma portarsi la segretaria alla cena di Natale non è una cosa normale! A questo punto avrei potuto fare qualche chiamata e presentargli io qualcuno! -
- Sì, e a quel punto ti avrebbe tagliato la testa di netto. Adesso non ricominciare, ti prego, vedrai che andrà tutto bene. –
- Se lo dici tu… -  
Le voci si zittirono e Rin si voltò con uno sguardo triste e confuso che però non trovò risposta negli occhi di Sesshomaru; lui le rivolse la solita espressione tranquilla e indifferente, per poi mettere un indice davanti alle labbra a intimarle di non fare rumore –e solo questo bastò a calmarla del tutto. Entrambi contarono mentalmente fino a dieci, poi fu il demone a palesare la sua presenza.
- Sono arrivato, ma lasciare tutto aperto così è un invito a rapire tuo figlio e guardarti mentre ti disperi in sua assenza. –
La porta del salotto venne spalancata all’improvviso e ne emerse un ragazzo molto giovane –avrà avuto all’incirca l’età di Rin- che indossava jeans chiari e una camicia da boscaiolo. Ciò che la colpì immediatamente fu il fatto che quei due si somigliavano troppo e per niente al tempo stesso: entrambi avevano capelli lunghi di un bianco tendente all’argento, ma mentre quelli di Sesshomaru erano lisci quelli di Inuyasha erano mossi e crespi, legati in una coda bassa che male li conteneva; anche gli occhi erano simili, ambedue ambrati, ma quelli di Sesshomaru avevano un taglio più allungato e una tonalità più chiara, mentre quelli di Inuyasha erano grandi e caldi, di comune accordo col sorriso ampio e sgangherato che stava rivolgendo al fratello.
- Puntuale come sempre. – allungò una mano e il demone la strinse con poco calore e, in compenso, molta più forza del necessario.
- Odio il traffico. –
- Oh, lo ricordo bene, dopo quell’episodio a Taiwan. –
- …Ben arrivato, Sesshomaru. – a lato del ragazzo spuntò la moglie, che si presentò subito alla sconosciuta ospite – Io sono Kagome, lui è Inuyasha. –
- Io… sono Rin. – si sentiva vagamente in imbarazzo dopo aver origliato il discorso di prima – Vi ringrazio tantissimo per l’ospitalità che mi offrite… e la compagnia… davvero, mi dispiace scomodare. –
La ragazza davanti a lei dovette intenerirsi particolarmente davanti a quel tono sconsolato, perché le rivolse subito un sorriso conciliante – Non ti preoccupare, ci fa piacere averti qui, e spero che ti troverai bene anche se come potrai vedere… siamo una famiglia piuttosto particolare. –
Oh, Rin non stentava a crederlo: tanto per cominciare, Inuyasha aveva un paio di orecchie da cane! Kagome però non sembrava particolarmente strana; dimostrava la sua stessa età e la stessa di Inuyasha, ed esibiva un volto dolce e due occhi da cerbiatta incorniciati da una frangetta nera –le ricordò un po’ Kikyo, la sua collega in ufficio, e si ripromise di far notare la somiglianza a Sesshomaru il prima possibile.
- Tutte le famiglie sono un po’ particolari… - buttò lì tanto per dire qualcosa.
- Ci fate vedere le nostre stanze? – tagliò corto il demone.
 
Avevano la camera uno di fronte all’altra, al terzo piano di quella casetta che sembrava essere stata costruita apposta per trascorrervi le vacanze di Natale; i corridoi erano stretti, avvolti da pannelli di legno e col pavimento interamente ricoperto di calda moquette, e le loro stanze davano su un piccolo pianerottolo a cui si accedeva tramite una scala a chiocciola e che oltre alle camere ospitava anche un bagno fornito di doccia e vasca idromassaggio. Inuyasha le spiegò che l’intero piano era stato ricavato dall’ex mansarda e che quella era la prima volta che degli ospiti vi soggiornavano, e quello un po’ la eccitò e un po’ la fece sentire del tutto fuori luogo. Si salutarono dandosi appuntamento di lì a pochi minuti per il pranzo, un brunch leggero che Kagome aveva allestito apposta per loro.
- Lo sai che ci tiene molto… - disse Inuyasha al fratello quando la moglie si fu allontanata per le scale.
- Quindi? –
- Quindi niente… - borbottò – E’ che so che hai un udito piuttosto fine. –
Sesshomaru non rispose e Rin non capì lo sguardo che i due si scambiarono.
 
 
 
 
 
Il brunch familiare non fu terribile come aveva temuto; Kagome aveva preparato un sacco di cose da mangiare, sia dolci che salate, e il tutto era accompagnato da vini pregiati e succhi di frutta dal nome ricercato.
- Le piacciono i cibi biologici, dovreste vederla: impazzisce per qualsiasi cosa se preceduta dal bio. –
- Questo non è assolutamente vero! – aveva replicato lei piccata, scatenando l’ilarità di Rin.
- Una volta ho provato a diventare vegetariana, ma il mio buon proposito non è durato più di tre giorni. Lavorando tutto il giorno mi è impossibile passare tutti i giorni dalla bottega e non tutti i supermercati sono ben forniti. –
- Qua abbiamo addirittura un orticello. – le spiegò Inuyasha – Da maggio a settembre mangiamo praticamente solo verdura, ed è un vero strazio. –
- Però è salutare, anche pensando a vostro figlio, è giusto che abbia una dieta variegata. –
- Giusto – assentì Kagome, i cui occhi ormai scintillavano d’approvazione nei confronti della nuova arrivata – Inushiro adesso è dai nonni, ma non vede l’ora di vedervi! Purtroppo tutti i suoi amici non riescono a venire fin quaggiù con la neve così alta, quindi gli farà piacere avere qualcuno con cui giocare. –
- Oh, devo confessare che sono una frana con i bambini… -
- Se riesci ad avere a che fare con mio fratello, vedrai che mio figlio sarà una passeggiata. – Inuyasha le sorrise mentre qualcuno alla sua destra inarcò pericolosamente un sopracciglio – A proposito, posso chiederti come ha fatto a convincerti a passare il Natale con noi?! –
Eh, quella sì che era una storia interessante, ma da raccontare in sede diversa – Ehm… i miei genitori sono alle Bahamas quest’anno e io non è che avessi preso impegni particolari... E’ stato quasi dovuto, insomma, si parla del mio titolare e… Kagome, vuoi una mano a lavare i piatti? –
E con quel semplice diversivo era riuscita a scappare in cucina prima di poter sentire il commento seccato di Sesshomaru che intimava al fratello di farsi i cazzi suoi ed evitare di mettere a disagio gli ospiti.
- Grazie Rin – la ragazza le rivolse un sorriso imbarazzato – Ma posso fare da sola, tu sarai stanca per il viaggio e-
L’altra la interruppe – Davvero, insisto, mi fa piacere dare una mano. – mise i piatti nel lavello e cominciò a insaponarli e a strofinarli a dovere. Quando vide che erano rimaste sole si azzardò a proseguire – Lo so che è una cosa un po’ strana che io sia qui, ma dopotutto sono contenta di non passare il Natale da sola. Voi mi sembrate brave persone… ed è bello potervi conoscere. –
- Grazie. – Kagome la guardava con un sorriso a trentadue denti – Anche per me è un piacere conoscerti. Devo ammettere che all’inizio ero un po’ scettica all’idea di ospitare mio genero e la sua segretaria personale, cioè: non ti ha nemmeno introdotto come un’amica! Ha detto proprio segretaria! -   
Lei si sforzò di ridacchiare – Lo so, anche io pensavo che avrebbe per lo meno messo su una sorta di teatrino! Ma questa è solo la prova che a lui non importa minimamente di quello che pensa la gente… -
- Beh, ti dirò: non mi dispiacerebbe che tu fossi la sua ragazza! Se penso ai brividi che mi venivano con Kagura… -
Rin arrossì e istintivamente si nascose dietro un vassoio piuttosto grande che aveva proprio urgenza di essere lucidato a fondo – Già, lei era insopportabile. Tutte le volte che la vedevo la mattina in ufficio mi guardava così male che poi passavo mezz’ora a vomitare la colazione... –
- Oddio, poverina! E Sesshomaru lo sapeva? Come hai fatto a resistere un anno? –
- Semplice – ghignò – Ho cominciato a spostare tutti i suoi appuntamenti il pomeriggio o prima di cena, alla faccia sua e delle sue gambe lunghe! –
Kagome scoppiò a ridere – Bella mossa, adesso capisco come fai a sopravvivere con Sesshomaru. E con quel vassoio hai fatto uno splendido lavoro! –
- Uhm… grazie. –
- Ti va un po’ di musica mentre lavoriamo? – accese lo stereo sopra la mensola e istantaneamente partirono le note di una famosa canzone natalizia, una di quelle che Rin avrebbe cantato a squarciagola se fosse stata con le sue amiche – I don't want a lot for Christmas… there is just one thing I need, and I don't care about the presents underneath the Christmas tree! –
Rin scoppiò a ridere e subito si unì a quel canto sgangherato - I don't need to hang my stocking there upon the fireplace, Santa Claus won't make me happy with a toy on Christmas Day! –
- Hey, è forse iniziato un concerto? – Inuyasha fece il suo ingresso e entrambe risero.
- Dai Rin, non fermarti! Sei così brava, hai proprio una bella voce. –
Ma adesso che Sesshomaru la squadrava divertito dalla soglia le era passata tutta la voglia di cantare e le era venuto, in compenso, un gran caldo – Non sono poi così brava… lo facevo al college, io e le mie amiche avevamo una tradizione: tutte le volte che passavamo un esame ci facevamo una serata karaoke! Il capo del locale voleva addirittura assumerci per fare uno spettacolo a settimana, dovevate vedere le facce che avevamo quando ce lo ha chiesto! –
Kagome e Inuyasha risero, Sesshomaru assunse un’espressione strana che lei non riuscì a decifrare - Ti tieni ancora in contatto con loro? – intervenne la ragazza.
- Uhm, sì, ma non è più come prima. Io sono a New York, una è a San Francisco, e pensate che è la più vicina. Però tutte stiamo facendo qualcosa che ci piace e viviamo i nostri sogni, quindi sono contenta lo stesso. –
- E tu definiresti “il tuo sogno” lavorare per Sesshomaru? –
- Inuyasha! – lo richiamò subito la moglie.
Rin avvampò – M-ma io intendevo… vivere a New York… e poi io sono ancora giovane, e questa è una posizione rispettabile… -
Ci pensò Sesshomaru a toglierla dall’imbarazzo di quella situazione – Rin ha venticinque anni ed è una delle nostre più giovani dipendenti, per non dire una delle più brillanti e di successo. Lavorare per me è il suo trampolino di lancio ma anche una buona base di carriera. Guadagna fino a tremila dollari al mese, con gli straordinari. –
- Ecco… sto pagando il mutuo… - non le andava proprio che si parlasse del proprio stipendio, la trovava una cosa vergognosa se poi ripensava al fatto che sarebbe stata pagata anche per quei tre giorni di vacanza.
- Wow, beh, non volevo mica offenderti. – le disse Inuyasha accarezzandosi il mento sbarbato – Al massimo volevo offendere lui. –
- Già, ma come al solito non capisci niente e ti riveli per l’ignorante che sei. – frecciò il fratello.
L’altro stava per ribattere ma il suono del campanello mise fine a quel primo round prima che iniziasse.
- Eccoci, ci mancavano solo i tuoi genitori! –
- Vado io. – Kagome alzò gli occhi al cielo e nello stesso momento Rin chiese a Sesshomaru:
- Ma c’è qualcuno che Inuyasha sopporta? –
- Forse suo figlio. –
- Hey, guardate che io vado d’accordo con chiunque. E’ che gli umani non scherzano mica quando dicono che i genitori della sposa sono sempre un incubo: sua madre ogni anno mi regala dei maglioni puzzolenti che prudono da morire, e suo padre non fa che guardarmi le orecchie come se volesse lanciarmi una pallina per vedere se vado a riprendergliela. –
Rin scoppiò a ridere – E tu lo faresti? Voglio dire, sei per metà cane… -
- Sono per metà demone. – la rimbrottò lui – E poi ovvio che davanti a lui non cederei alla tentazione! –
Kagome rientrò in cucina con un’espressione mortificata sul volto solitamente disteso.
- Tesoro… - pigolò – I miei sono rimasti impantanati nella neve, potresti andare a sbloccargli l’auto? -
- Tsk, sempre detto che tuo padre non sa guidare. –
- Andiamo, non farla lunga! –
- Va bene, va bene, vado. – con un ultimo sbuffo si calò un cappellino di lana sulla fronte e indossò un giubbotto imbottito rosso acceso, poi imboccò il corridoio che ancora borbottava tra sé e sé.
- Meglio che controlli che nessuno si faccia male… - Kagome si affrettò a seguirlo – Ah, ed è appena arrivato il nostro ultimo ospite! Vieni qui, Inushiro. –
E dalla porta che collegava la cucina alla sala da pranzo spuntò un bambino di cinque anni dal nasino arrossato e una zazzera bianca tutta merito della propria eredità paterna.
- Ve lo affido per cinque minuti, va bene? – continuò Kagome, ovviamente senza lasciar loro il tempo di rispondere – Grazie mille, torno subito. Inushiro, lei è Rin e lui è tuo zio Sesshomaru, ti ricordi di lui? Mi raccomando, fai il bravo mentre non ci sono! – e si fiondò fuori come se il marito là fuori fosse in procinto di iniziare una guerra atomica –molto probabile.
 
 
 
Ecco, Rin già aveva messo le mani avanti quando aveva detto di non saperci fare con i bambini, ma Sesshomaru fu ancora più esplicito di lei nell’ignorare completamente il nipote e piazzarsi sulla poltrona del salotto con un quotidiano tra le mani –perfetto, il suo capitano aveva lasciato la nave prima che affondasse!
Il piccolo parve leggermente risentito da quel comportamento, perché squadrò entrambi con due occhi pieni di delusione prima di piazzarsi ai piedi del divano e cominciare a giocare con le sue automobiline, e a quel punto Rin si sentì in dovere di dire qualcosa.
- Ecco… devi scusarci, io non ci so fare molto con i bambini. Mi chiamo Rin, comunque. –
Lui per tutta risposta la guardò con curiosità per poi soffermarsi ancora sul demone che leggeva impassibile il giornale.
- Allora cosa stai facendo? – tentò ancora lei – Giochi con le macchinine? –
- Me le ha regalate papà. Lui è Saetta McQueen, l’auto più veloce di tutte! Ma non sarà mai veloce come la Batmobile, papà mi ha detto anche questo anche se non so cosa vuol dire… -
- Fantastico! E ne hai altre? Me le fai vedere mentre aspettiamo la mamma? –
- Va bene! Allora qua c’è il Dottor Hudson e questo invece è Cricchetto. – glieli mostrò tutto orgoglioso – Tu hai dei giocattoli? –
- No, qua no purtroppo, non avevo abbastanza spazio in valigia! Ma a casa ho ancora qualche Barbie… -
- Che schifo le barbie! – fece lui – Sono da femmina. –
- Ma questo perché io sono una femmina! Anche se mi sarebbe sempre piaciuto avere delle pistole. –
- Ho anche quelle, sai? Posso farti una domanda? – fece timidamente.
- Certo. - 
- Hai detto che non ci sai fare con i bambini, invece sei simpatica. Non ti piacciono i bambini? –
- Oh, no, mi piacciono un sacco! Però non so mai cosa pensano o cosa vogliono, e poi piangono sempre. Tu non ti metterai a piangere, vero? –
- E perché dovrei, adesso? – sbatté gli occhi a testimoniare l’assurdità dell’idea.
- Non lo so, sei tu il bambino, non io. –
Inushiro le piaceva proprio; a soli cinque anni si dimostrava un bambino sveglio come il padre e accorto come la madre, simpatico e per niente viziato. Era riuscito a metterla a suo agio e avevano addirittura intrapreso una conversazione senza che lui scappasse dalla mamma o si mettesse a piangere, e questo per lei era una sorta di traguardo personale se guardava alle sue pietose esperienze di baby-sitting con i cuginetti.
- A lui non piacciono i bambini. –
Rin ci mise un po’ per capire che il piccolo si riferiva a Sesshomaru, ma effettivamente il comportamento del demone era indifendibile.
- Uhm… a lui non piacciono le persone. – fu sicura che lui da dietro il giornale avesse comunque sollevato le sopracciglia.
- Come papà? –
- Esatto! – allora quello era un sentimento condiviso, dopotutto.
- Ma per me potrebbe anche fare uno sforzo… -
Solo a quel punto Sesshomaru si degnò di palesare la propria presenza abbassando il quotidiano sulle ginocchia – L’ultima volta che ho fatto uno sforzo ti sei buttato dal tetto e hai detto a tuo padre che io ti avevo dato il permesso… -
- Ma è stato divertente! – si difese il piccolo.
- Non avrei dovuto neanche comprarti un regalo… - borbottò l’altro, e gli occhi di Inushiro si illuminarono subito.
- Mi hai fatto un regalo, zio? Cosa cosa cosa?? Posso aprirlo? –
- Assolutamente no. E non te lo darò finché non avrò la certezza che non combinerai disastri, tipo scambiare il sale con lo zucchero o mettermi il miele nella vasca. –
- Ah… ma quindi sei un teppistello, eh? E pensare che mi avevi quasi fregato… - gli fece Rin.
- Non sono un depistello! Sono un bravo bambino, e non piango quasi mai. –
- Urla, il che è anche peggio. –
Rin scoppiò a ridere, riscaldata da quella scena familiare di cui mai avrebbe immaginato poter vedere protagonista Sesshomaru. Non lo aveva mai pensato inserito in un contesto simile, al tepore di un camino acceso, con un bambino davanti e una famiglia attorno, eppure adesso che lo vedeva lì, un po’ seccato e un po’ rassegnato alla situazione, le sembrava che andasse a completare un quadretto perfetto.
- Rin? E adesso perché ti sei incantata? –
Diventò subito di un rosso giubbottodiInuyasha - Io? Eh? No, niente, stavo pensando. Ma quanto ci mettono i tuoi genitori? –
- Devi sapere che Rin ha sempre la testa tra le nuvole, Inushiro. – sussurrò il demone guardandola dritta negli occhi, e lei per poco non ebbe un collasso – Te lo dico nel caso tu stessi cercando qualche nuova vittima. – okay, già adesso la situazione le quadrava di più.
- Hey! Ma questo non è corretto. Giuro che non ti parlerò più se mi farai uno scherzo! –
- Lo ha detto anche lo zio l’ultima volta… - fece il piccolo con uno sguardo arrogante che le ricordò in modo preoccupante quello del demone davanti a sé.
Sentirono il portone aprirsi e chiudersi pesantemente prima che la voce di Kagome li chiamasse dal corridoio.
- Salotto. – disse Sesshomaru a voce più alta.
- Eccovi qui… Ciao peste! Ti sei divertito dai nonni? – Inuyasha superò la moglie e raggiunse il figlio sul tappeto davanti al camino.
- Grazie ragazzi, scusate se ci abbiamo messo tanto… ma dopo l’ultima volta papà non si fidava a far toccare la macchina a Inuyasha. –
- Nessun problema, Kagome. Inushiro tra l’altro è un bambino davvero adorabile. – il diretto interessato rivolse ai presenti un sorriso angelico un po’ sdentato a cui la madre rispose con una linguaccia.
- Oh, sì, almeno finché non mi scambia lo zucchero con il sale, vero Inushiro? –
- Non so di cosa stai parlando… -
- Piuttosto voi andate pure a cambiarvi, io comincio a preparare la cena. –
- Vuoi una mano? – si offrì Rin.
- No, ti prego, hai già lavato i piatti! Ricordati che sei pur sempre in vacanza! A tra poco ragazzi. –
 
 
 
Si erano congedati entrambi ed erano saliti insieme alle proprie stanze, in un silenzio di tomba che Sesshomaru si degnò di rompere solo quando furono arrivati al pianerottolo.
- Te la sei cavata bene, con Inushiro. –
- E’ un bambino molto intelligente, mi piace. – gli sorrise spontanea – Tutta la sua famiglia mi piace molto. –
- Te la sei cavata bene anche con loro, anzi ho il sospetto che la prossima volta inviteranno solo te. –
Lei scoppiò a ridere – Beh, sono contenta di passare il Natale in compagnia, quindi la ringrazio. Anzi… stavo pensando… - le si seccava la gola sempre nel momento clou del discorso – Insomma, io qui non sto lavorando, l’ha detto anche Kagome che “sono in vacanza”, quindi, forse, non è giusto che lei mi paghi. –
Sesshomaru la studiò qualche istante con la solita indifferenza prima di rispondere – Invece è giusto perché ti ho chiesto di venire qua come favore di lavoro, se poi la cosa ti piace buon per te, no? –
- Ma… ecco… mi fa sentire come se fossi una prostituta. – sputò fuori.
Il demone si fece sinceramente stupito – Perché? –
- Oh… ehm… uffa, niente, lasciamo perdere. Ci riproverò domani. – si accarezzò distrattamente un braccio, a disagio, e adesso che ci faceva caso gran parte delle loro conversazioni in ufficio finiva così, con lei che sconsolata sbuffava un “ci riproverò domani” e lui che subito rispondeva…
- Ci penserò e ti farò sapere. –
- La ringrazio. –
- E devi fare un’altra cosa. Finchè siamo qui, dammi del tu. Non si è mai sentito di una cena di Natale dove le persone si davano del lei. –
Rin sentì distintamente la mascella caderle a terra dallo stupore e tante piccole campanelle suonare a festa nel suo cervello – Va bene, mi pare giusto. Ci vediamo a cena, allora. –
- A dopo. –
Oh mio dio, oh mio dio, oh mio dio –non riusciva neanche a pensare da quanto era elettrizzata, e fu con la soddisfazione di una regina che si fiondò sul letto soffocando nel cuscino quell’unico gridolino di gioia che si concesse. Tra solo poche ore si sarebbero rivisti e neanche sapeva cosa indossare, e voleva fare colpo, di quello era sicura, ma voleva anche divertirsi, conoscere meglio Inuyasha e Kagome e passare una bella serata accanto all’uomo che più le piaceva e che le aveva appena dato il permesso di dargli del tu –ecco, in poche parole, voleva che quella vacanza non finisse mai.  



















































Eccomi qua con il secondo capitolo! Come potete notare sono tutti molto brevi e forse per questo allungherò la storia di uno o due capitoli (arriveremo fino al 26 dicembre quindi fate due conti). Mi scuso se ci saranno degli errori (molto probabile), ho riletto un paio di volte ma a quest'ora ci vedo doppio, quindi è vostro compito farmi notare le imprecisioni che io correrò subito a correggere! 
Ringrazio un sacco chi ha recensito il primo capitolo, non credevo che questa sciocchezza sarebbe piaciuta a qualcuno e ricevere i vostri commenti è stato veramente un piacere (il perfetto regalo di natale da efp insomma) Ancora buone feste da moi e un bacio grande grande e anche buonanotte già che è tardi!!! :* :* :* 

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Capitolo 3
*** 24 dicembre (sera) ***





24 dicembre, Atto III: "Della serata perfetta che l'eroina trascorse in compagnia dell'eroe (e della sua famiglia)"














Sesshomaru era uscito dopo appena pochi minuti, per andare dove era un mistero, ma Rin aveva colto al volo l’occasione per farsi una sana doccia ristoratrice in quel bagno che sembrava essere uscito da una suite nuziale. Purtroppo però, sempre per quel fatto che lui era naturalmente più veloce, era ritornato a casa prima del previsto, beccandola nell’esatto momento in cui aprì la porta del bagno mostrandosi nello splendore del proprio accappatoio blu con le paperelle.
- Ha fatto in fretta. – borbottò lei appena se lo trovò davanti – L’avevo sentita uscire. –
- Sono stato giù in città, avevo una commissione. Ti avevo detto di darmi del tu. –
- G-giusto, hai ragione, sono proprio una frana. – arrossì e si sistemò una ciocca bagnata dietro l’orecchio – Allora… io qui avrei finito, se devi usare il bagno. –
- Va bene. –
- Ehm… sì. – attraversò il pianerottolo con lo sguardo fisso sulla moquette, e si sentì immensamente stupida perché se fosse stata più sicura di sé non avrebbe esitato a indugiare nella camminata per mostrargli le gambele gambe, invece era timida fino al midollo e più che sexy e bellissima si sentiva più una delle paperelle che aveva dipinte addosso.
Si chiuse la porta alle spalle senza voltarsi a guardarlo, il cuore che le batteva a mille e le gote arrossate dall’imbarazzo.
Sul letto adocchiò la propria valigia ancora chiusa e vi si fiondò sopra alla ricerca di qualcosa di vagamente decente da indossare per la cena, individuando subito ciò che faceva al caso suo: dell’intimo in raso color crema, una maglia dello stesso colore lunga fino alle ginocchia con lo scollo a barchetta e le maniche a pipistrello, e un paio di jeans scuri piuttosto aderenti –ma non abbastanza da non farla sembrare un pupazzo di neve, tutta bardata e senza un centimetro di pelle scoperta, una volta che si fu vista allo specchio.
Beh, a lei non erano mai piaciuti i vestiti troppo succinti, ma così non si convinceva proprio; si sentiva come se fosse uscita da un collegio femminile o da una fabbrica di zucchero filato, e se ripensava al vestito blu che aveva visto indossare a Kagura l’ultima volta le prendeva lo sconforto. Okay, niente panico, non si era portata dietro molti vestiti ma avrebbe senza dubbio rimediato; scavò a fondo nella valigia e ne estrasse un paio di spesse parigine nere finemente decorate, che sarebbero andate a meraviglia con gli stivaletti neri leggermente alti. Si cambiò velocemente e rimirò compiaciuta il risultato: le calze le arrivavano fino a metà coscia, lasciandole scoperta una piccola porzione di pelle prima che il maglione le scendesse morbido sui fianchi, fasciandola molto di più che con i jeans. Quando era al college e usciva con le amiche si vestiva spesso in quel modo, a volte indossando anche tacchi vertiginosi, e non ricordava esattamente il momento in cui aveva smesso quello stile a nome di uno più pratico e serioso, ma le era mancata l’immagine di sé che adesso vedeva davanti allo specchio.
Si asciugò i capelli e poi li acconciò in una crocchia morbida e voluminosa da cui sfuggivano alcune ciocche, un trucco che aveva imparato recentemente da un tutorial su youtube. Per il trucco decise di osare: blush, rossetto chiaro, matita, rimmel e eyeliner, il tutto condito da una spolverata di brillantini con cui probabilmente esagerò –sì beh, adesso assomigliava al puntale di un albero di natale. Sistemò in fretta e furia il disastro e corresse un’ultima volta la linea curva dell’eyeliner sopra la palpebra, poi fu pronta per andare.
Per finire estrasse dalla valigia un anonimo pacco rettangolare di un nero lucido; era il regalo di Natale che in un raptus di follia aveva comprato il giorno prima nello stesso negozio in cui aveva trovato l’orologio per Inuyasha, e che stupidamente aveva pensato di regalare a Sesshomaru. Fuori dal ristorante si era vergognata a morte per quella debolezza –le era sembrato troppo squallido dichiarare la propria cotta prima di scappare nelle vacanze natalizie, e col senno di poi aveva fatto bene a trattenersi; per di più adesso poteva consegnargli il pacco senza sembrare un’adolescente infatuata nascondendosi dietro la scusa del ringraziamento per l’ospitalità –che bello quando le stelle giravano in suo favore, e dire che quella settimana non aveva neanche letto l’oroscopo!
Rin aprì la porta senza fare rumore e altrettanto silenziosamente scese da sola in sala da pranzo, dove trovò Kagome che aveva appena finito di apparecchiare. Sistemò il regalo sotto l’albero mentre la ragazza era ancora girata di spalle, e nello stesso momento Sesshomaru fece il suo ingresso nella stanza; indossava un paio di pantaloni neri e una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti –ma come faceva ad essere sempre così dannatamente bello? Rin aveva letto su wikipedia che i demoni avevano un potere di attrazione naturale nei confronti degli umani, ma così era davvero troppo.  
- Ti ho sentita scendere. –
Ah, e lei che pensava di essersi mossa come un gatto!!
- Meglio, - sospirò Kagome – Almeno posso andarmi a cambiare senza lasciarti sola. In cucina ci sono due aperitivi, servitevi pure. –
 


Mhm, buono. Sapeva di fragola e passion fruit, dolce ma lievemente aromatizzato. Sesshomaru invece mise su una faccia schifata al solo sentirne l’odore, facendola ridere.
- Andiamo, Kagome si è impegnata tanto per farli! – protestò lei.
- Ti hanno mai detto, al college o da qualche altra parte, che spesso impegnarsi tanto non basta? – le rivolse lo sguardo di chi la sapeva lunga e aprì uno scaffale in alto da cui estrasse del bourbon e un bicchiere quadrato dal collo intarsiato. Si servì due dita, senza ghiaccio, e cominciò a sorseggiare piano.
- Beh, a me fa piacere darle un po’ di soddisfazione. E poi il sapore non è male, dico davvero. –
- Sono allergico alle fragole, ma Kagome se ne dimentica sempre… anzi ho il sospetto che lo faccia proprio apposta, visto che le mette ovunque. –
- Un demone può avere allergie? – fece lei curiosa – Come un qualsiasi essere umano? –
- Non è allergico – intervenne a quel punto Inuyasha facendo il suo ingresso in un paio di jeans scuri e un maglione rosso – E’ solo che non gli piacciono. –
Bene, questo lo avrebbe annotato nella sua agenda mentale: a Sesshomaru non piacevano le fragole.
- E tua moglie lo sa benissimo. –
- Ma dai, lo sai che Kagome ha sempre la testa altrove. –
- Stai finalmente ammettendo di aver sposato una svampita? –
Inuyasha sospirò – E ci risiamo… -
Rin corse in suo aiuto – A me Kagome piace. E’ una ragazza simpatica e molto buona, e il fatto che stia tra le nuvole non la rende certo meno intelligente. –
Al ragazzo si illuminarono gli occhi – Hai proprio ragione Rin! E’ per tutte queste qualità che ho deciso di sposarla… beh, quelle e Inushiro… -
- Siete una bella coppia, e siete così giovani! A che età avete avuto Inushiro? –
- A ventun’anni, la notizia mi piombò tra capo e collo al secondo anno di college… però Kagome fu molto matura: mise da parte gli studi per due anni e li ha riiniziati solo recentemente, mentre io li ho finiti prima e adesso lavoro a Pittsburgh in uno studio di ingegneri. –
- Wow, e avete fatto tutto da soli! – si stupì lei.
- Perché non parli anche del generoso aiuto di tuo fratello? – frecciò a quel punto Sesshomaru.
- Tsk, sei il solito guastafeste… Per una volta avresti potuto lasciare che mi vantassi un po’, no? –
Kagome li richiamò dalla sala da pranzo, e quando la raggiunsero la trovarono fasciata in un succinto abitino verde petrolio lungo fino al ginocchio, i capelli raccolti in una treccia laterale e il sorriso impreziosito da un rossetto scuro –semplicemente divina, lo pensarono tutti, il marito per primo. Accanto a lei comparve un Inushiro dal labbrino imbronciato, le braccine strette in un maglione blu scuro e i capelli bianchi raccolti in un codino basso.
- Posso chiederti come mai non ci sono i tuoi genitori, Kagome? –
- Mio padre è il presidente di una società che stasera organizzava una serata con tutti i dipendenti… ci avevano invitati ad andare ma noi abbiamo preferito una cosa più intima, e poi dovevamo a tutti i costi essere qui per vedere Babbo Natale, vero Inushiro? –
- Esatto! Resterò sveglio tutta la notte pur di vederlo. –
Si sedettero attorno al grande tavolo quadrato, ognuno al proprio segnaposto. Rin si ritrovò davanti a Sesshomaru, con accanto Kagome e il bambino al lato del capotavola, orgoglioso ma ancora un po’ imbronciato.
Rin si chinò alla sua altezza - Come mai quella faccia? - 
- Uhm… questo maglione mi prude, e io non volevo metterlo. –
- Hai pianto? – fece scandalizzata.
- Certo che no! Solo che mi dà fastidio, voglio togliermelo. –
- Sai, anche il mio vestito prude un sacco, ma tutte le riviste dicono che per essere belli bisogna soffrire… quindi il mio consiglio è di non pensarci, perché sempre le riviste, quelle scientifiche però, dicono che il corpo si abitua velocemente a qualsiasi tessuto. – sciorinò con l’espressione più convinta che aveva, e il bimbo dovette ritenersi piuttosto soddisfatto perché assunse un cipiglio pensieroso e subito dopo sorrise.
- Rin… - la chiamò Sesshomaru – Kagome ti farà una statua se non ci dai un taglio. –
Arrossì – Ma dai, che dici. Scusate, è che… uhm, ci ho preso gusto. –
Kagome scoppiò a ridere – Non ti scusare, sei perfetta. Sono veramente poche le persone che Inushiro trova interessanti. – cominciò a servire l’antipasto mentre il marito versò il vino.
- Sai… - Inuyasha la guardò con un sorrisetto furbo – A volte mi viene il dubbio: che ci fa una come te con Sesshomaru? Sicura di non essere un robot, o un esemplare di una strana razza aliena?? –
Rin si sentì arrossire e nascose la faccia dietro al bicchiere, tracannando il primo di una lunga serie di sorsi.
- Assolutamente no! Andiamo, non sono poi così strana… anzi, mi ritengo piuttosto normale. –
- Beh certo, ma adesso devi proprio dirci come fai a lavorare per lui! E’ proprio vero che è una carogna? –
- Inuyasha! – frecciò la moglie.
- Cos’è una carogna? – chiese il piccolo innocentemente.
- Un animale morto. – spiegò blandamente Sesshomaru.
- Allora Rin? – la punzecchiò ancora il fratello, facendola sprofondare di nuovo nell’imbarazzo, e quello era il secondo o il terzo bicchiere di vino? Una cosa era certa: per sostenere la situazione avrebbe senza dubbio dovuto bere di più.
- Uhm… ecco, non so… -
- Non siamo in ufficio, per cui parla pure liberamente. – la schernì il suo capo, il gomito sul tavolo e la testa appoggiata al palmo della mano in un’espressione fin troppo divertita.
- Allora… sarò sincera. E’ un lavoro pesante, che mi occupa praticamente tutti i giorni di tutta la settimana, ma quando torno a casa la sera per quanto possa sentirmi stanca provo anche molta soddisfazione. Conosco molte persone, apprendo sempre qualcosa di nuovo, e l’ambiente in cui lavoro mi piace perché premia molto l’impegno. All’inizio non è stato facile, devo ammetterlo, ma è bastato… abituarsi. –
- E Sesshomaru com’è? – insistette Inuyasha – Sul posto di lavoro, intendo. -
- Dai, cambiamo argomento, non vedete che è a disagio? – fece Kagome, preoccupata.
- No, va tutto bene! – tanto ormai il danno era fatto – Uhm… lui… è un buon capo. E’ sempre molto serio e composto, ma non alza mai la voce, neanche quando faccio uno dei miei disastri… ed è una persona puntuale, quindi non ti dà mai l’impressione che il suo tempo valga più del tuo, anche se sicuramente lo pensa. I clienti lo temono e lo ammirano al tempo stesso, e forse è proprio questa la chiave del suo successo, questo suo atteggiamento arrogante che… ops, no, cioè, non volevo dire arrogante, non volevo offenderla, cioè… - balbettò, ormai rossa come un peperone, senza azzardarsi a guardarlo in faccia.
- Offenderlo? Per come la vede lui lo stai solo elogiando. – ghignò Inuyasha – Hai sentito come ti ha inquadrato bene la tua segretaria? -  
- Non male. – commentò il diretto interessato da dietro il proprio bicchiere di vino – Ma non è l’unica brava ad osservare. –
- Attenta… - le sussurrò Kagome all’orecchio – Quella faccia non fa presagire niente di buono. – Oh, questo lo sapeva bene.
Sesshomaru si schiarì la gola e poi si rivolse direttamente a lei, inchiodandola alla sedia con gli occhi ambrati.
- Non sei una persona puntuale, e per questo l’orologio sulla tua scrivania è sempre quindici minuti avanti. Non ti piace lasciare l’ufficio se hai persone attorno, nei giorni piovosi dimentichi sempre l’ombrello e quando esci ne rubi uno dalla hall, per poi riportarlo il giorno dopo perché sei una persona stucchevolmente corretta e troppo onesta. Non sai usare la nuova fotocopiatrice e quindi hai rubato il manuale, probabilmente per studiartelo a casa, ma deduco che tu l’abbia perso perché non l’ho visto ricomparire al suo posto. –
Rin boccheggiò, assolutamente presa alla sprovvista – Non l’ho perso! E’ che è pesante e non ho mai posto nella borsa. –
- Devi sapere che i demoni sono degli ottimi osservatori. – le rivelò Kagome.
- I demone hanno un sacco di superpoteri! – intervenne Inushiro, gli occhi ammirati rivolti al padre e allo zio – Fate di nuovo il gioco dello scoiattolo? Per favore!! –
- Il gioco dello scoiattolo? – gli fece eco Rin, contenta del cambio di argomento.
- E’ un gioco che piace tanto a Inushiro… quanti scoiattoli ci sono attorno alla casa? Inuyasha e Sesshomaru dicono un numero e guarda caso non è mai lo stesso! –
- Sedici. – disse prontamente Inuyasha, le orecchie ritte sulla testa.
- Sono almeno ventiquattro… - lo corresse subito il fratello.
- Visto? –
Inushiro rideva e batteva le manine paffute come un re divertito dai giocolieri di corte.
- Ma così non è giusto! Noi non sappiamo quale sia il numero preciso quindi non possiamo decretare il vincitore, e se ognuno di voi avesse sparato un numero a caso? –
- Cosa sentono le mie orecchie? – Inuyasha si sporse teatralmente sul tavolo – Sì, direi che è proprio scetticismo il tuo. – rivolse un’occhiata al fratello – Che fai, ci pensi tu o lo faccio io? –
- Nessun problema. – Sesshomaru era equilibrato come sempre; e adesso che avrebbe fatto? – Metti una mano sul cuore. – le ingiunse.
Rin obbedì e mise il palmo aperto sullo sterno. Il silenzio scese sulla tavola, inquietandola leggermente, e a quel punto il demone cominciò a contare.
- Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. –
Non afferrò subito cosa stesse facendo, ma dopo qualche secondo si accorse che la voce del demone ricalcava precisamente i battiti del proprio cuore, che sentiva battere leggero sotto la stoffa della maglietta; quell’improvvisa consapevolezza la spinse ad alzare gli occhi e a cercare quelli di lui, fermi sul suo volto, chiari e imperscrutabili.
- Quattordici, quindici, sedici, diciassette – aveva aumentato il ritmo della conta perché i battiti erano accelerati all'istante, minacciando di farle esplodere il cuore nel petto – diciotto diciannove venti – continuò imperterrito, per nulla turbato nel vederla paonazza e accaldata.
- Rin, mi aiuti a portare il secondo in tavola? –
- C-certo Kagome, subito. – si alzò forse un po’ troppo in fretta, accusando tutti i precedenti quattro bicchieri di vino, ma con l’aria più disinvolta che trovò fece finta di niente e seguì l’altra in cucina.
- Tutto apposto? – si sentì chiedere quando furono sole.
- Sì, certo. – negare, negare qualsiasi cosa fino alla morte – Tra le altre, il vostro vino è buonissimo. E’ bio anche quello? –
- Ci puoi giurare! Tieni, questo è il tacchino. –
Rientrarono in salotto che lei già era più calma –per lo meno non sentiva più il rimbombare del cuore nelle orecchie- trovando gli uomini della famiglia tutti intenti a parlare di aeroplani.
- Papà ha detto che mi ci farà fare un giro! –
- E dove lo compreresti un aereo? –
- Beh, ci sono pur sempre quelli di linea! –
- Ma io ne voglio uno tutto mio papà! –
Rin si sedette e, neanche serve dirlo, si versò un bicchiere di vino – Ti piacciono gli aeroplani, Inushiro? –
- Un sacco! Quelli e le macchine. –
- Ovviamente è tutto merito del padre… - frecciò Kagome.
- Il mio papà era un aviatore, sai Rin? –
- Un pilota di aerei? E per quale compagnia? –
- No, no, non hai capito! – Inushiro scosse la testolina argentata – Era un aviatore, durante la guerra. E aveva il suo aereo personale. –
Rin sbatté un paio di volte le palpebre nel tentativo di razionalizzare le parole del bambino; certo, in qualsiasi altra circostanza avrebbe pensato a una simpatica storia di fantasia raccontata da un padre al figlio, ma l’uomo –il ragazzo- davanti a sé apparteneva a un’altra razza, una razza in grado di vivere centinaia di anni, e il fatto che avesse partecipato alla seconda guerra mondiale non era poi così assurdo se letto in quella chiave.
- Uhm… tu hai partecipato al conflitto mondiale? –
- Ci puoi giurare! E’ stato in quel periodo che sono arrivato in America, e me sono letteralmente innamorato. Poi mi sono arruolato nell’aviazione e una volta finita la guerra ho studiato ingegneria. Ci ho messo dieci anni per laurearmi, ci credi?! Ma in mia difesa devo dire che non avevo mai studiato niente di così assurdo in tutta la mia vita. –
Rin boccheggiò – Wow, assurdo. Io… scusate se ve lo chiedo, ma quanti anni avete? –
Fu Sesshomaru a rispondere per primo – Duecentosessantadue. –
- Duecentoquindici. –
Ecco, diciamo che se anche aveva sempre saputo che il suo capo era piuttosto vecchio, sicuramente non si era aspettata dei numeri simili –ma perché la pagina di wikipedia sull’argomento era così poco aggiornata?? Fece due rapidi conti e calcolò che i fratelli erano nati alla fine del settecento, in un luogo e in un’epoca opposti a quelli che stavano vivendo adesso. Si ritrovò a immaginare Sesshomaru vestito come un signore dell’epoca, nobile e immortale, e il pensiero le smosse qualcosa di molto caldo giù nello stomaco. Accidenti, non si era resa conto di essere finita dentro Twilight, ma adesso che ci pensava bene forse era la sua punizione per averlo eletto il libro migliore del mondo all’alba dei suoi diciassette –diciassette!- anni.
- Okay, ti vedo piuttosto sotto shock. – ridacchiò Inuyasha.
- Uhm… ma… ma come fate a vivere così a lungo… voglio dire, tu ora hai una famiglia… - balbettò.
- Lo so cosa stai pensando, ma adesso le cose per noi sono diverse rispetto a prima. Guardati intorno: il mondo in cui viviamo è un mondo che privilegia la vostra specie al posto della nostra, e creature come noi sono sempre più rare… e deboli. Per questo la nostra aspettativa di vita si è accorciata molto, arrivando anche ad essere inferiore alla vostra, e spesso ci ammaliamo, insomma… ci siamo umanizzati. Ma dovevi vederci il secolo scorso… quelli sì che erano tempi d’oro, e tutte quelle guerre, una forza! –
- E se giocassimo a Chi non ha…? – propose Kagome – Vedrai, ti piacerà un sacco. E’ un gioco che facciamo ogni tanto… devi indovinare a chi mi riferisco, se a Sesshomaru o a Inuyasha. Chi non ha le orecchie morbide? –
- Hey! Non potevi usare un altro esempio? Lasciate fare a me: chi non ha una moto? –
- Mmm… a te piacciono le auto e gli aerei, quindi avrai anche una moto, no? – azzardò Rin.
- Sbagliato. Io non ho una moto, lui sì. –
- Davvero? Non lo sapevo… non mi sembri un tipo da moto. –
- Perché no? – inarcò un sopracciglio.
Beh, di solito lo vedeva uscire da macchine lussuosissime e super comode, ma l’immagine di lui fasciato in un paio di jeans chiari e un giubbottino di pelle non era poi così malvagia, anzi era fin troppo allettante!
- Oh… ehm, sei sempre in macchina, ma penso sia questione di comodità. –
- La moto la uso solo nei weekend, un giorno posso fartela vedere. –
- S-sì, grazie! Il mio ex aveva una moto, ma non la sapeva guidare per niente bene. – il suo ex?? Oddio, e adesso perché si era messa a parlare di Bobby della quinta liceo?!
- Ah, con Sesshomaru vai tranquilla – la rassicurò Inuyasha – Lo sai che non ha neanche la patente? Eppure nessuno è riuscito ancora a togliergli la macchina da sotto il posteriore. –
- Non hai la patente?! –
- E’ una formalità, e del tutto inutile per un demone. –
- Okay, adesso sta a me! – fece Inushiro – Chi non ha mai guidato un aeroplano? –
- Sesshomaru! – questa volta era andata a colpo sicuro.
- Perché dovrei guidare una cosa del genere quando posso volare? – sbuffò lui.
Rin annotò mentalmente anche questo, avvalorando la tesi secondo la quale il suo capo era praticamente Superman –ma questo non faceva di lei Lois Lane, giusto?
- Chi non è mai finito in prigione? – esclamò Rin, assorbita dal gioco.
- Nessuno dei due. Guarda che siamo furbi! –
- Chi non ha rubato un container di super alcolici durante il proibizionismo? – Kagome alzò gli occhi al cielo.
Rin sgranò gli occhi e nello stesso momento Inuyasha scoppiò a ridere – Quella fu divertente, lo facemmo insieme. Era un periodo difficile, non si trovava della birra neanche al confine col Messico. Te lo dico perché arrivai fino a lì prima di decidere che avrei preso quel maledetto container. – 
- Wow, è tutto così fico! – esclamò Rin – Ancora stento a crederci. –
Sesshomaru, davanti a lei, ghignò – Non ti sembra di aver esagerato con il vino visto che hai usato la parola “fico”? –
- Ma che ci posso fare se è l’aggettivo giusto! – arricciò le labbra contrariata, gli occhi resi lucidi dall’alcol, e a quella vista il demone non poté fare a meno di inarcare la bocca in un sorriso pigro.
- Guardate, Inushiro si è addormentato, e non abbiamo ancora mangiato il dolce! Deve proprio essersi stancato dai nonni… -
- E pensare che voleva rimanere sveglio ad aspettare Babbo Natale! –
- Lo portiamo a letto? Voi intanto potete andare a mettere su il caffè, è tutto in cucina. –
 
 

Sul ripiano della cucina era posizionata una moka in bella vista, ma del caffè nessuna traccia.
- Hai una sigaretta? –
- Certo. Sono nella tasca del cappotto… - la stessa tasca in cui riposava il suo telefono, con un bel messaggio in bella vista sullo schermo: allora come va la tua cena con il megafusto?? – Anzi! Vado a prenderle io! –
Dopotutto era meglio non rischiare. Quando fu di ritorno in cucina lo trovò che le dava le spalle, con i gomiti appoggiati al davanzale della finestra aperta e i capelli che gli ricadevano lunghi sulle spalle.
- Ecco. – gli porse la sigaretta e lui l’accese istantaneamente con uno schiocco delle dita affusolate.
- M-ma come hai fatto?! Sai anche controllare il fuoco? –
Lui la guardò divertito e le fece penzolare l’accendino davanti agli occhi – - - Sono stato così veloce che non te ne sei accorta. –
- Ah… uhm, quindi non hai il potere del fuoco? –
Lui corrugò le sopracciglia e aspirò dalla sigaretta - …Credo che tu veda troppi film. –
Rin si indispettì – Non è colpa mia! E’ che sui demoni ci sono così tante storie e documenti che non si sa mai cosa è vero e cosa no. –
- Puoi chiedere, se vuoi. – rilasciò il fumo e lei pensò che sembrava proprio un sogno, con il volto di lui che emergeva dalla nebbia sottile e tutto quel vino a darle il coraggio di parlare.
- Allora, vediamo. Voglio giocarmela bene. Che abilità speciali hai? – si accese anche lei una sigaretta e si azzardò pure a guardarlo con sfida.
- Tutto qui? Okay... - le mostrò le mani bianche, lisce, affusolate, e subito queste iniziarono a ingrandirsi sotto i suoi occhi, con le dita che si allungavano per terminare in artigli duri e violacei - Sono velenosi. – proseguì Sesshomaru – Hai paura? –
- No. – mentì lei – E’ che non sono cose che si vedono tutti i giorni… - guardò di nuovo in basso, ma le sue mani erano tornate quelle di sempre.
- Posso volare, ma questo lo sai già. Forza sovrumana, super velocità, intelletto superiore. – prese a elencare con fare annoiato – Sono immune alle malattie e posso curare il mio corpo. –
- Ma questo è… incredibile! Insieme al fattore longevità, sai quante ricerche in campo medico si potrebbero fare? E curare un sacco di malattie! -  
- Credi che non lo stiano già facendo? – la guardò come se la ritenesse una perfetta idiota e Rin arrossì dall’imbarazzo – Solo che sono ricerche difficili, e i donatori sono pochi. –
- Tu sei un donatore? –
- No. –
- E perché no? – ormai ci aveva preso gusto, e sapeva che dentro la cornice di quella finestra avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa. 
- Non mi interessa aiutare la tua razza, né di sprecare le mie ore in un ospedale. –
- Per me dovresti farlo, invece. Potresti contribuire a salvare la vita di un sacco di persone che in ospedale ci passano metà della loro vita. E’ un pensiero nobile, se ci pensi. E tu… tu sei fortunato, puoi fare davvero la differenza, in un modo che noialtri non potremo mai. Sei… speciale. –
Sesshomaru la guardò dall’alto con un sorriso sghembo – Guarda che non sono mica l’unico… -
Avvampò - Ma… ma… ma io conosco solo te, per questo lo dico a te! E poi è un consiglio, come quelli che ti do di solito, anche se non richiesti… – improvvisò, e fortunatamente lui ebbe pietà di lei perché la bloccò subito. 
- Va bene, va bene, ci penserò. C’è altro che vuoi sapere? -
Ed effettivamente c’era un’idea, un pensiero, una domanda che le riecheggiava nella testa da più di un’ora, e che le uscì dalle labbra prima che potesse impedirselo, perché dopotutto era curiosa da matti, voleva sapere e vedere che effetto le avrebbe fatto conoscere tutta la verità su di lui.
- Hai mai ucciso un uomo? – e lo disse con lo stesso tono con cui avrebbe detto a sua madre “hai annaffiato le piante?”.
Sesshomaru se fu impressionato non lo diede a vedere; tacque solo qualche secondo di più, come se stesse davvero soppesando le proprie parole..
- Sì. Più di uno. – aggiunse – Sono nato in un’epoca dove si uccideva ogni giorno, per qualsiasi motivo. Mi piaceva uccidere. Credo mi piaccia anche adesso, ma è un po’ che non provo. –
- Ah… -
Beh, adesso Rin era sicura di avere qualche serio deficit mentale: non solo il suo datore di lavoro aveva ammesso di essere un omicida, ma ne avevano parlato come si sarebbe parlato del tempo e, dulcis in fundo, davanti a quelle rivelazioni il suo stupido cuore non faceva una piega. Non aveva paura, non si sentiva turbata –non più del dovuto, insomma. Si sentiva solo immensamente dispiaciuta perché lui avesse vissuto una vita del genere, piena di sangue e di crudeltà, e tutto d’un tratto le faceva un po’ pena vederlo vestito tutto elegante in quegli abiti moderni, lui che era nato per indossare un altro tipo di divisa, e se lo immaginava poteva quasi vederlo e le piaceva tanto quanto quello di adesso.
- Non dici niente? Ti ho spaventata? – le fece con la solita arroganza.
- Non molto. Forse… sono ancora sotto shock, chissà. Ma stavo pensando che una vita così lunga deve essere bellissima ma anche piena di scelte difficili… e uno non può sempre fare la scelta giusta, in duecentosessant’anni di vita, no? Ecco… non che voglia giustificare un omicidio, però… uhm… forse, me lo aspettavo. –
- E non fa differenza? –
C’era un’allusione? Non c’era? – No, non fa differenza. –
Fu sicura di vederlo sorridere, ma durò solo un secondo – Stanno scendendo, e non abbiamo fatto il caffè. –
- Giusto. –
Sesshomaru richiuse la finestra, lei cominciò ad aprire e chiudere gli sportelli del mobile alla ricerca del caffè.
- Dovrebbe essere nel mobile in basso. –
Rin obbedì, ma quando aprì l’anta marrone si trovò faccia a faccia con l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di trovare in quella casa.
- Porca puttana! – si lasciò sfuggire in un sussurro, dimenticandosi che qualcuno in quella stanza possedeva il dono del super udito.
- Che c’è? –
- N-niente! – per poco non si mozzò un dito quando richiuse di botto lo sportello.
- Niente? A me non sembra. –
Con uno scatto rapido le fu accanto e riaprì il famigerato, individuando subito la fonte del turbamento di Rin.
- Ma tu guarda… - ghignò, ed estrasse vittorioso una busta piena di quella che sembrava –e odorava di- buonissima erba.
Rin non fece in tempo a palesare il suo stupore per la reazione del demone che Kagome e Inuyasha fecero il loro ingresso in cucina, trovandoli letteralmente con le mani nella busta, ma Sesshomaru non si scompose.
- Anche questa è bio, Kagome? – fece inarcando un sopracciglio.
- N-non è mia, è di Inuyasha! Cioè, insiste lui per fumarla, fosse per me… -
- Fosse per te la scorsa volta rimaneva in camera di Inushiro, e poi vuoi smetterla di metterla nei ripiani bassi? E se la trova e pensa di mangiarsela? –
- Ha la chiusura ermetica, non sa aprirla, contento? – fece la moglie, piccata.
Rin tossì per attirare l’attenzione – Ehm… che dite, vi va di fumare? –
Inuyasha si illuminò – Ecco una saggia decisione. Vado a prendere lo scotch. –
- Per me del bourbon. – Sesshomaru ancora soppesava il sacchettino tra le mani, rivolgendo ogni tanto un’occhiata divertita alla ragazza davanti a sé che lo guardava come se avesse appena visto un alieno.
 
 

Si sedettero in salotto, le ragazze sul divano e gli uomini su due poltrone rosse di velluto, ognuno con in mano il proprio bicchiere; Rin si azzardò a chiedere una birra e Kagome gliene portò una artigianale, dal sapore amaro e luppolato.
- Allora… - Inuyasha aveva appena finito di montare il bong - Adesso proverete l’erba più buona della zona. –
Diede fuoco all’estremità e aspirò dal tubo di vetro, rilasciando poi una nuvola di fumo denso e bianco dall’odore pungente.
Il secondo fu Sesshomaru, che senza indugio premette le labbra sullo strumento e tirò su una quantità spropositata di fumo. Quando espirò, la nebbia attorno a loro si fece ancora più densa, offuscandole il cervello e calandola in un’atmosfera onirica da cui mai avrebbe voluto risvegliarsi, e che pure sarebbe scomparsa in poche ore. Perché Rin lo sapeva, che quella realtà era fittizia e che prima o poi quella vera sarebbe piombata a dividerli. Lo sapeva, eppure non poteva impedirsi di coltivare un minimo di speranza in fondo al cuore, e anche un po’ di egoistica gioia per quel desiderio di Natale che le era stato concesso. Per di più si sentiva una completa idiota, e un po’ provava rabbia verso sé stessa, se pensava che lui aveva ammesso di essere un assassino e la cosa non l’aveva minimamente scossa; non lo odiava, non lo temeva, non lo schifava, e anzi continuava a osservarlo, a pensarlo, a volerlo in un modo malsano che le ricordava troppo i libri che leggeva da ragazzina. 
Si riscosse quando Sesshomaru le passò il bong, inchiodandola con due occhi sapienti e un sorriso sghembo a increspargli il volto, e lei non ci pensò due volte a posare le labbra laddove lui aveva messo le sue. Diede fuoco all’erba e inalò a pieni polmoni l’aria densa che si formò all’interno della canna, avvertendo il fumo acre invaderle i polmoni e alleggerirle la testa come accadeva sempre. Si sforzò di sentire il suo sapore, non ci riuscì.
L’ultima a fumare fu Kagome, che si nascose dietro i capelli neri mentre tirava.
- Sapete… - iniziò Inuyasha -  Stavo pensando, perché dovete andarvene proprio domani sera? Non è prudente guidare di notte, e poi potreste restare qualche giorno in più. – si passò una mano tra i capelli disordinati, palesemente in imbarazzo.
La moglie gli passò il bong, ma Sesshomaru fu più veloce di lui nell’intercettarlo; quando riemerse da dietro la nube di fumo bianca, aveva gli occhi leggermente lucidi e l’espressione rilassata.
- Non ci credo che sei arrivato al punto di desiderare la mia presenza. –
- Non è che la desidero… è che siamo in vacanza, e qua abbiamo le stanze libere, sai che a Inushiro farebbe piacere. –
Rin sorrise – Anche a me farebbe piacere, ma proprio non si può fare. –
- E perché? – fece Kagome con la delusione dipinta in faccia.
L’altra aspirò una lunga boccata e chiuse gli occhi prima di sbuffare – Il 27, il 29 e il 30 dicembre abbiamo delle conferenze. Cioè, le ha lui, io mi occupo della logistica. –
L’altro annuì, poi si passò una mano sul mento – Vorrei annullare quella del 30, ci pensi tu Rin? Mandagli una mail. –
Per un momento le sembrò di aver sentito male – Come annullare? Non posso contattarli domani, è il giorno di Natale! E stiamo parlando di un orfanotrofio… una serata di beneficenza! Devi andarci. –
Sesshomaru la guardò come se nessuno avesse mai osato contraddirlo – E’ la meno importante e la più evitabile. – inspirò ancora, i capelli argentei che gli ricadevano sul viso, e ancora Rin non poté fare a meno di trovarlo maledettamente affascinante –almeno quanto era stronzo.  
- Non la trovo una buona idea, anzi se vorrai farlo credo che dovrai farlo da solo! – sbottò, afferrando il bong e inspirando a fondo.
- Da quando sei diventata così audace? –
Le andò di traverso il fumo, facendola tossire – Ti… ti ho solo detto come la penso. –
- Secondo me Rin ha ragione. – azzardò Kagome.
- Già, pensa se tra i ragazzi di quell’orfanotrofio ci fosse Inushiro… non vorresti che avesse una speranza? E tu sei importante in questi ambienti… -
- Ma perché vi ascolto? Okay, ci penserò, contenti? E se dovrò, manderò da solo quella mail. –
Inuyasha rise e afferrò il bong – Perfetto! Famiglia 1, Sesshomaru 0! – e batté il cinque prima alla moglie e poi anche a Rin.
- Hey – le fece lui quando si voltò – Ricordati che lavori per me. – e la inchiodò con un'occhiata seria e arrogante. 
Lei gli restituì lo sguardo e poi rise forse un po’ troppo liberamente, ma ormai era ubriaca e anche un po’ fatta e non le importava di niente - Stai cercando di farmi paura? –
- Chissà, forse. – era così bello quando le sorrideva così e la guardava come se vedesse solo lei –avrebbe voluto sentirsi in quel modo tutta la vita.
- Se non potete restare… - fece Kagome a quel punto – Fate almeno in modo di svegliarvi presto domani! Così apriamo i regali e magari usciamo un po’. –
- Volevo far vedere a Rin il laghetto prima, ma fuori non si vedeva niente. –
- Oh, con questo buio proprio no. Ma domattina lo adorerai, e adesso è tutto ghiacciato. Sai pattinare? –
- Da bambina lo facevo sempre! Purtroppo non sapevo che ce ne fosse uno e non ho portato i pattini, avrei potuto noleggiarli… -
- Ma ti presto i miei, ovvio. Anche se con Inushiro nei paraggi sarà difficile che tu possa rilassarti un po’! –
- Mi farà compagnia! Voialtri pattinate? – entrambi i fratelli inarcarono le sopracciglia e lei scrollò le spalle – Non sapete cosa vi perdete. –
Inuyasha soffocò uno sbadiglio – Guarda che noi possiamo camminare benissimo sul ghiaccio, senza quei cosi infernali ai piedi… miss scettica. –
- Non ci credo che mi hai dato un soprannome dopo appena un giorno che mi conosci, e per giunta così brutto! – assunse un’aria fintamente scandalizzata e lui scoppiò a ridere.
- La gente adora i miei soprannomi, non sai di cosa parli. E adesso vi do la buonanotte, devo ancora sistemare i regali di Inushiro sotto l’albero, Babbo Natale è un po’ smemorato quest’anno… -
- Inuyasha! – trillò la moglie – Davvero te ne eri scordato? Sei sempre il solito!! – ma né a Rin né a Sesshomaru sfuggì la pacca sul sedere che gli tirò quando furono spariti in corridoio.
Rin si alzò e li seguì, imitata da Sesshomaru, e insieme aiutarono la coppia a sistemare i pacchetti colorati sotto l’albero, lei stando bene attenta a non far vedere la confezione nera che aveva sistemato in un angolino nascosto. Si diedero la buonanotte davanti al primo pianerottolo, poi loro due continuarono a salire fino alle camere.
 

Arrivata davanti alla porta della propria stanza Rin aveva il cuore che le batteva all’impazzata nel petto e la testa completamente offuscata –non era neanche sicura di reggersi decentemente in piedi, e menomale che alla fine aveva deciso di portarsi dietro gli stivaletti e non gli odiosi tacchi di Kagura.
Il tempo stava per scadere, si stavano già dando le spalle e non appena avessero richiuso le porte la magia di quella sera si sarebbe spezzata del tutto, per questo Rin prese l’ultima dose di coraggio che le restava e la concentrò tutta in gola.
- Sono stata bene stasera, Inuyasha e Kagome mi piacciono molto… ed è stato un bel Natale. Devo… devo ringraziarti. –
- Piacciono più a te che a me, sai? –
- Devo ammettere che ancora non ho capito il rapporto che hai con tuo fratello, ma sento che è qualcosa di buono, e sì, anche sincero. –
- Senti? Adesso non esagerare con le frasi da frikkettona. –
Lei arrossì e gonfiò le guance per l’irritazione – Ma… ma uffa! Voleva solo essere un pensiero gentile, non devi sempre essere così cinico. –
- A proposito del fatto che sono un datore di lavoro cinico e bastardo… - fece lui, rivolgendole uno di quei sorrisi che avrebbero sciolto anche un iceberg – Kagome mi ha obbligato a comprarti un regalo… voleva che te lo dessi domani, ma io odio queste cose, quindi sai, ho voluto dirtelo. –
- Oh, ma… non c’era bisogno. Kagome esagera sempre. E… ehm, anche io ti ho preso qualcosa… non è nulla di che, giusto un pensiero per ringraziarti di… dell’ospitalità. –
Sesshomaru si fece seriamente stupito – E quando hai avuto il tempo di comprarlo? –
- Ehm… - non gli sfuggeva proprio nulla, eh? E perché lei continuava a balbettare come una stupida? – Non chiedermelo, per favore. Diciamo che è stata una cosa in extremis. – okay, non aveva migliorato per niente la propria posizione – Comunque buonanotte, e grazie ancora… Io… Ci vediamo domani. –
- Buonanotte, Rin. E buon Natale. –
Rimase un attimo interdetta: nessuno aveva fatto gli auguri di Natale, nessuno si era neanche accorto che fosse già Natale, e lui, che quella festa la odiava e la disprezzava in mille modi possibili, se ne era ricordato e aveva fatto gli auguri a lei, per prima a lei, forse solo a lei –un po’ ci sperava, che fosse così.
- Buon Natale anche a te… – 
Si guardarono qualche istante di troppo, o per lo meno per lei fu troppo, perché quando finalmente entrò in camera ed ebbe il coraggio di chiudersi la porta alle spalle il cuore le batteva furioso nel petto e un sorriso da ebete le riempiva le guance. Andò a letto e le ci volle almeno un’ora per addormentarsi, persa com’era nelle proprie fantasie attorno a due occhi dorati –e tutto ciò che vi stava intorno- che riposavano appena qualche metro in più in là. E più ci pensava e più si rendeva conto di quanto fosse stupida e incondizionata la sua cotta, e più lo capiva e più si odiava e più realizzava che non avrebbe potuto essere diversamente, che forse per cambiare le cose avrebbe dovuto licenziarsi e trovarsi un altro lavoro, magari con un capo grasso e pelato e magari pure gay, e solo dopo essersi rigirata più volte tra le coperte arrivò alla conclusione migliore: si sarebbe goduta quel sogno finché fosse durato, e alla fine si sarebbe svegliata con le buone o con le cattive, ed era giusto così, dopotutto –perché era Natale solo una volta l’anno, e non tutti i giorni.




















 
Ed eccomi col terzo capitolo!!! giusto in tempo per augurarvi un buon capodanno e un felicissimo anno nuovo, pieno di tutte le cose belle che desiderate! Degli auguri speciali vanno a chi segue le mie storie e magari anche una volta sola ha lasciato una recensione, siete praticamente il fulcro della mia ispirazione, quindi grazie infinite per tutte le idee e gli spunti che mi date!! :* Il prossimo capitolo sarà l'ultimo o forse no (sono ancora un po' indecisa al riguardo, ehm) e ci sarà un clichè classico classico che nelle storie natalizie è proprio un must: una bella pattinata sul ghiaccio. Oooooossììì vorrei tanto riempire questa storia di tenerezza, se solo i miei personaggi non fossero tutt'altro che teneri!!!! Un bacione a tutte voi e ancora tanti auguri di buon anno :)))))

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Capitolo 4
*** 25 dicembre ***


25 dicembre, Atto IV: "Di come l'eroina viene riportata brutalmente coi piedi per terra"







- Rin!! Rin!! – si sentì scuotere per le spalle e finalmente aprì gli occhi, incontrando il musetto allegro di Inushiro – E’ arrivato Babbo Natale, devi venire a vedere i regali! –
Dalle scale le giunse la voce di Kagome – Ti avevo detto di non svegliarla! Ma perché non mi ascolti mai? –
- Buongiorno Inushiro… - biascicò Rin stropicciandosi gli occhi – Che cosa hai ricevuto di bello? –
- Non lo so ancora… La mamma ha detto che dobbiamo aprirli tutti insieme, perciò sono venuto a svegliarvi! – annunciò tutto soddisfatto.
- Allora andiamo a vedere, che dici? –
- Grazie Rin! Giuro che non volevo darti fastidio, ma la mamma rompeva. –
La donna si affacciò in quel momento alla porta – Mi auguro tu non sia così spericolato da tentare la stessa cosa anche con tuo zio… -
Una voce strascicata li raggiunse da fuori – Non ce n’è bisogno. –
Sesshomaru se ne stava in piedi sul pianerottolo, già lavato e vestito di tutto punto con un paio di jeans chiari e un maglione grigio dallo scollo a v; Rin si ritrovò a pensare che in tenuta sportiva lo preferiva ancora di più che in versione elegante, e un nodo le strinse lo stomaco quando lui le posò addosso gli occhi ambrati indugiando sulla felpa sformata, i pantaloni larghi e… le pantofole pelose.
- Uhm… forse è meglio che prima mi cambi, vi raggiungo giù okay? – azzardò.
- Non dire sciocchezze, vai benissimo così! –
- La mamma ha ragione, e poi ti stanno bene le codine. –
Già, pure le codine; sospirò – E va bene. Andiamo a vedere cosa ci ha portato Babbo Natale! –

 
 
 
Fu adorabile la faccia che fece Inushiro davanti ai regali; scartò il modellino di un aeroplano da guerra, a detta di Inuyasha molto simile a quello che aveva guidato lui, poi un libro di storie sui demoni, infine il set da baseball che gli aveva regalato lo zio. Gli si illuminarono gli occhi, e un sorriso felice gli riempì le guance paffute.
- Grazie! Grazie mille, zio! –  
Sesshomaru lo guardò con sufficienza – Sono ancora in tempo a riprendermelo, se ne combini una delle tue. –
- Giuro che farò il bravissimo! – era proprio contento del regalo, tanto che si sporse in avanti e gli abbracciò una gamba, lasciandolo un po’ interdetto per l’inaspettata dimostrazione.
- E voi cosa vi siete regalati? – fece Rin alla coppia.
Inuyasha si espresse in uno dei suoi migliori sorrisi soddisfatti – Io le ho regalato un viaggio alle Bahamas… sai l’idea me l’hai data tu con la storia dei tuoi genitori, ho fatto qualche telefonata prima di cena e indovinate? –
- Partiamo tra due settimane!! – concluse Kagome entusiasta.
- Un momento… e io?! – fece Inushiro.
- Tu starai dai nonni… e poi comunque ci sono anche Rin e Sesshomaru! –
Lei sobbalzò, il demone accanto invece non fece una piega – Scordatelo. Io devo lavorare, e anche Rin. –
- Uhm… sono convinto che riuscirò a farti cambiare idea. –
- Beh, i miei genitori sono sempre molto disponibili, sono sicura che lo faranno volentieri. Come mai sono avanzati due pacchetti? - Kagome indicò i piedi dell’albero, dove restavano ancora due scatole rettangolari, una grande e una più piccola, e poi guardò con soddisfazione prima Rin e poi Sesshomaru.
- Oh, ehm… io ti ho preso un pensierino. – se l’erano già fatto quel discorso, ma ironicamente questo non lo rendeva più facile.
- Anche io. – lui inarcò leggermente le labbra mentre le porgeva la confezione blu – Prima tu. –
- O-okay… Grazie… -
- Non dovresti aprirlo, prima di ringraziarmi? –
- Ah, sì! E’ vero… –
Okay, se avesse continuato così sarebbe svenuta prima di ancora di vedere il misterioso regalo. Si sedette sul divano e scartò con delicatezza la carta blu scuro della confezione. Ne estrasse una scatola nera con sopra impresso il nome di una marca che non conosceva, ma che indovinò essere piuttosto costosa; aprì anche quella, e scostando la carta velina tastò una stoffa lucida e setosa, che sollevò davanti agli occhi. Era una veste da camera realizzata su modello dei kimoni giapponesi, dalle maniche ampie e il tessuto lucido di un arancione caldo che ricordava molto la luce dei tramonti.
- E’… bellissimo. Grazie, davvero, è un regalo bellissimo. Il mio non è assolutamente all’altezza… - arrossì mentre ancora stringeva tra le mani la stoffa liscia della vestaglia.
Sesshomaru inarcò un sopracciglio – Questo è da vedere. Di solito sei efficiente per quanto riguarda queste cose. –
- Ma perché parli sempre come se fossi a una riunione di lavoro? – sbuffò Inuyasha – Dai, aprilo, sono curioso anche io. Quando hai avuto il tempo di comprare un regalo? –
- Storia lunga. – biascicò lei, distogliendo lo sguardo e puntandolo sulle mani affusolate del demone intente ad aprire la confezione.
Lui tacque qualche secondo prima di estrarne un paio di guanti neri di pelle, lisci e spessi, molto eleganti.
- In realtà poi ho pensato che tu non senti il freddo quindi si è rivelato un regalo inutile, però… ecco… lì per lì mi sembravano adatti. –
Sesshomaru per certi versi la stupì, per altri confermò l’idea che si era costruita su di lui: le rivolse quello che poteva essere considerato un mezzo sorriso di sufficienza e continuò a guardarla con la supponenza che lo caratterizzava, ma per una volta le sue parole furono di una gentilezza genuina, e del tutto inattesa.
- Grazie, sono molto belli. Direi che è confermato che te la cavi con i regali. –
Rin sentì la felicità colorarle le guance e si aprì in un sorriso spontaneo – Sono contenta che ti piacciano. Per quanto mi riguarda credo che passerò tutta la giornata con questa vestaglia! –
Lui fece schioccare la lingua sul palato – Kagome non te lo permetterà, ricordi che ti aveva parlato del laghetto? –
- Sì, il laghetto! – esclamò Inushiro – Andiamo a pattinare!! –
 
 
 
 

Era una splendida giornata di sole, senza una nuvola a coprire il cielo azzurro; l’aria fredda le pizzicò la pelle non appena mise il naso fuori di casa, costringendola a stringersi maggiormente nel cappottino blu e a calarsi il cappellino grigio sulle orecchie.
Inuyasha era andato nel boschetto a tagliare un po’ di legna, aiutato da Sesshomaru, mentre Kagome era rimasta in cucina a preparare le prime cose per il pranzo, per cui alla fine erano rimasti solo lei e Inushiro, che la guardava sorridente tutto imbacuccato in un giubbotto rosso da neve.
- Eccoci arrivati! –
Agitò le braccia davanti allo spettacolo che la natura offriva loro: sul retro della casa, ad appena pochi metri di camminata tra gli alberi, spuntava uno stagno grande quanto un campo da pallavolo, completamente ghiacciato e circondato da una staccionata di legno chiaro. Un piccolo angolo di paradiso, fu la prima cosa che venne in mente a Rin.
- Allora ci mettiamo i pattini? Ti avverto, non sono molto brava, quindi ti chiedo di non farmi cadere. –
Il piccolo mise su un broncio offeso – Ma per chi mi hai preso? Io sono un campione, e i campioni sono corretti con gli avversari. –
Lei ridacchiò, poi indossarono i pattini; fortunatamente quelli che Kagome le aveva prestato le calzavano a pennello, per cui non ebbe neanche bisogno di togliersi i calzini –cosa che le avrebbe fatto patire le pene dell’inferno. Scese sul ghiaccio lentamente, entusiasta nel constatare quanto muoversi le risultasse spontaneo e istintivo; scivolò in avanti con la gamba sinistra, poi con la destra, e ancora la sinistra, cominciando ad acquistare velocità e sicurezza. Inushiro la seguiva da dietro, improvvisando piccole giravolte e tenendo l’equilibrio con le braccia aperte.
- Te la cavi bene. – commentò Rin.
- Anche tu, sai? Dovresti essere meno rigida. Se prendo le mie freccette ti colpisco subito… -
- Non ci pensare neanche… ti ho chiesto una tregua se ben ricordi. –
- Uffa… - borbottò il bambino.
- Ah, che bella giornata! Sono proprio felice! –
Ed effettivamente non avrebbe potuto chiedere di meglio, con i pattini ai piedi, l’aria del mattino a raffreddarle il viso, e il sole a illuminare la perfetta distesa di ghiaccio sotto di lei. 
- Sei proprio tonta. – ridacchiò Inushiro, superandola e facendole una linguaccia.
- Per favore, puoi smettere di somigliare a tuo zio? Non ti fa bene, sei ancora piccolo. –
- Ma lo zio è un grande! Non lo pensi anche tu? –
Lei per un momento perse l’equilibrio, fortuna che il bambino era voltato dall’altra parte – S-sì, ma anche tuo padre non se la cava male. –
- Papà si lascia convincere sempre dalla mamma!! – protestò lui – Invece lo zio fa sempre quello che vuole. –
- Non credo sia così facile, sai? E poi il tuo papà è innamorato della tua mamma e per questo cerca sempre di accontentarla. –
- Parli proprio come una bambina! –
- Ah, grazie molte. –
Si erano spinti fino al centro del laghetto, dove avevano preso a tracciare con i piedi un percorso a forma di otto, scambiandosi ogni volta di direzione. Rimasero qualche minuto a fare quel gioco prima che Inushiro accusasse i primi segnali della noia.
- Ho voglia di giocare a baseball. –
- Chiedi a Inuyasha, io me ne tiro fuori… -
- Chiederò allo zio, dopotutto il regalo è suo! –
- Ah… sì, potrei venire a vedervi. – il bambino le rivolse un’occhiata divertita e lei si affrettò subito ad aggiungere – Non adesso, rimango ancora un po’ a pattinare… vi raggiungo dopo, con calma. –
Rin rimase sola sulla piccola pista da pattinaggio e solo a quel punto osò rilassarsi veramente, cominciando a percorrerne il perimetro sfilando lenta e aggraziata sul ghiaccio. Era una bella sensazione quella del vento tra i capelli, una sensazione che la riportava all’età dell’infanzia e della prima adolescenza, quando il Natale era sinonimo di relax, famiglia, tanto buon cibo e pupazzi di neve. Sapeva di nostalgia e di casa, e se si concentrava poteva quasi sentire sua madre chiamarla dal portico con una brocca colma di zabaione in mano, che portava con sé quell’odore acre e penetrante che tanto adorava. Rin pattinò sul ghiaccio ancora e ancora, a tratti anche azzardando qualche giravolta su se stessa, e a un certo punto le parve pure di risentire le note di All I want for Christmas is you e allora iniziò a muoversi a tempo, tenendosi in equilibrio con le braccia mentre sfilava all’indietro lungo tutta la pista. Si fermò esattamente al centro del laghetto, sollevando spruzzi di ghiaccio con la frenata, e il sole era così caldo e l’aria così piacevole che avrebbe pure potuto tardare di un po’ il suo rientro, giusto di qualche minuto. Tracciò un sentiero a otto e lo percorse un paio di volte prima di cominciare un veloce slalom lungo tutto il perimetro, poi tornò al centro e volteggiò su se stessa sorridendo al paesaggio che le scorreva davanti agli occhi. Purtroppo però quella giostra durò poco, perché una lama si incagliò nel ghiaccio facendole perdere l’equilibrio e cadere malamente a terra, di ginocchia.
Un lamento le lasciò le labbra, ma non fu niente in confronto al panico che si impossessò di lei non appena vide la superficie liscia del ghiaccio cominciare a riempirsi di tante minuscole crepe.
- Tutto apposto? – alzò gli occhi di scatto, e lui era lì davanti a lei, senza neanche il giubbotto, che la guardava con qualcosa di molto simile all’apprensione – Dovresti toglierti di lì. –
- Sì… io… lo so. – aveva il fiatone, e più cercava di rimettersi in piedi più lo specchio d’acqua fremeva e scricchiolava.
Riuscì a tornare dritta, ma ad ogni movimento dei suoi muscoli il ghiaccio sotto di lei vibrava e minacciava di spezzarsi, lasciandola cadere nell’acqua gelata. Il terrore si impossessò di lei, l’aria le venne meno, le gambe le tremavano e Rin non era per niente sicura che non l’avrebbero tradita.
- Io… io non ci riesco. – balbettò – H-ho paura. –
Sesshomaru inarcò un sopracciglio – Ma sai pattinare, dov’è il problema? –
- Aspetta… da quanto sei lì? –
– Da poco. - Lui le regalò uno dei suoi migliori sorrisi di scherno prima di scavalcare agilmente la staccionata e atterrare sul ghiaccio senza fare una piega.
- Che… che fai? –
- Ti vengo a prendere. Se non ti vuoi muovere è l’unica soluzione, o preferisci restare lì tutto il giorno? –
- No, io… è che adesso fa caldo e il ghiaccio è più fine, e con te sopra… -
Rin non riusciva a staccare gli occhi dalla ragnatela di crepe che si stava formando sotto di lei e che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all’altro sotto il suo peso malfermo, ma Sesshomaru ignorò del tutto il suo delirio e cominciò ad andarle in contro lentamente, poggiando gli stivaletti marroni sul ghiaccio senza produrre il minimo rumore.
- Non guardare in basso, guarda me. – le ordinò, e Rin avrebbe voluto rispondergli che probabilmente era più sicuro per lei concentrarsi sull’acqua gelida piuttosto che sui suoi occhi gialli, ma si ritrovò comunque ad alzare la testa e a guardarlo, calamitata da quella camminata lenta e felina.
Erano ormai a pochi metri di distanza e già si chiedeva come avesse potuto sentirsi così in pericolo con lui accanto, così vicino, pronto a salvarla, ma la sua piccola gioia si ritrasformò in paura quando il ghiaccio si incrinò ulteriormente attorno a loro, premuto dal peso di Sesshomaru.
- Ecco… no… fermati, se ti avvicini ancora il ghiaccio si spezzerà. – sussurrò, gli occhi di nuovo fissi sulla superficie trasparente.
- Se guardi di nuovo giù ti licenzio. – le disse semplicemente lui, continuando a camminare – Allunga le braccia verso di me, piano. –
Lei fece come gli veniva ordinato – S-scusami… è che da piccola mi è capitata una cosa simile, e se ripenso a quanto era fredda l’acqua, era una cosa insopportabile… come tanti spilli bollenti sulla pelle. –
Sesshomaru fece un altro passo in avanti e stavolta il ghiaccio non si smosse, così decise di continuare su quella linea e avanzò anche con l’altro piede, poi di nuovo il destro, e adesso era ad appena un metro da lei, che lo guardava imbambolata con ancora le braccia protese come una bambina spaventata.
Lui alzò le proprie e le prese le mani con le sue, intrecciando piano le dita e poi tirandola a sé; Rin scivolò dolcemente sul ghiaccio accorciando la loro distanza e ritrovandosi improvvisamente premuta contro la stoffa calda del maglione, le mani ancora unite a quelle di lui.
Pensò di trovarsi proprio in un sogno, o in un film, o in un libro, con tutta quella neve e lui che la stringeva -perché sicuramente quella non poteva essere la realtà, era troppo bella per esserlo-, ma prima che potesse crogiolarsi ancora nella sua atmosfera da fiaba il ghiaccio sotto i loro piedi cedette all’improvviso.
Rin chiuse gli occhi e rilasciò un grido di paura, ma subito si accorse che invece di cadere era come se restasse sospesa in aria; si costrinse a riaprire gli occhi e quando guardò in basso vide che era ad appena qualche centimetro da terra, con il ghiaccio sotto di lei che aveva aperto un misero buco nell’acqua. Si voltò verso Sesshomaru, che la teneva ben salda per la vita, e lui le rivolse un sorriso sghembo.
- Presa. – commentò solamente, e lei avrebbe voluto che il cuore non le battesse così forte nel petto perché lui poteva sentirlo benissimo, ma dopotutto cosa le importava, avrebbe potuto dare la colpa alla paura.
Le venne da sorridere, poi da ridere – Grazie mille. Avrei dovuto capire subito che sei perfettamente in grado di salvare una donzella in difficoltà… un po’ come Superman! –
Lui scosse la testa – Ti ho già detto che guardi troppi film? –
Rin era già pronta a ribattere ed erano ancora felicemente sospesi in aria, con lei premuta contro il suo fianco e lui che la guardava dall’alto con quell’espressione che era semplicemente adorabile, ma dal bordo del recinto giunse la voce offesa di Inushiro.
- Cioè a me hai detto di no, ma con Rin invece ci giochi! Uffa! – mise su un bel broncio che Rin sospettò fosse tutta eredità paterna – Mamma ha detto che è pronto in tavola. –
Okay, ad essere sincera si era aspettata che Sesshomaru lasciasse la presa e la facesse cadere giù per dissimulare qualsiasi vicinanza, e invece lui aveva continuato a sostenerla anche se adesso erano in piedi al limitare del laghetto.
- Arriviamo. – commentò blandamente, per poi squadrarla da capo a piedi – Dovresti dare un’occhiata a quel ginocchio. –
- S-sì. –
Rientrarono in silenzio, accompagnati dall’unico suono dei loro passi sulla neve ammorbidita dal sole, ed effettivamente il ginocchio destro le faceva un male cane, per cui fu spontaneo a un certo punto aggrapparsi al braccio di lui e continuare a camminargli accanto senza che nessuno dei due dicesse una parola.
 
 
 
 

Il pranzo che Kagome aveva preparato era ancora più suntuoso della cena del giorno prima, e i commensali si scagliarono col cibo come se fosse la prima volta dopo anni che mangiavano qualcosa di commestibile. Rin spiegò la propria voracità col fatto che vivendo da sola il più delle volte si cucinava dei cibi precotti, e la faccia che Kagome fece a quella rivelazione fu tutta un programma. Le raccomandò di andare più spesso a cena dai suoi o magari al ristorante, e a quel punto lei scoppiò a ridere.
- E con chi ci dovrei andare al ristorante? –
- Ma con un uomo, ovviamente! Immagino che ne avrai molti che ti vengono dietro, sei così carina! – esclamò Kagome unendo le mani davanti a sé, del tutto ignara del disagio che le aveva provocato.
- Uhm, credo che la realtà delle cose ti smentisca. – confessò.
- Non hai un ragazzo? – si informò Inuyasha – Magari anche fuori New York… -
- Nessun ragazzo. – Rin avrebbe preferito riempirsi la bocca di riso al curry pur di non parlare – Era uno dei requisiti dell’annuncio per il mio lavoro… -
- Cosa? Sesshomaru sei un pervertito! – lo rimproverò il fratello, e lei subito si inalberò.
- Ma no! Cos’hai capito!? L’annuncio richiedeva massima disponibilità tutti i giorni, il che includeva anche essere libero da affetti particolari, non avere problemi di famiglia né sentimentali… e all’epoca mi ero lasciata da qualche mese e non mi pareva il vero di buttarmi nel lavoro. -
- E in ufficio? C’è nessuno che ti piace? –
Okay, adesso sì che la situazione era diventata imbarazzante, e sicuramente la sua faccia color pomodoro non l’avrebbe aiutata a uscirne.
- A lavoro… - masticò – Nel mio ufficio uno è gay e l’altro è già fidanzato… e negli altri uffici sono tutti dei pomposi che preferiscono… uhm… esperienze a breve termine. –
- Ah… - sospirò Kagome – Che peccato! Eppure non avresti difficoltà a trovare qualcuno, dico davvero. –
Inuyasha annuì - Sesshomaru, dovresti proprio darle delle ferie che si possano considerare tali! Se continui così l’unico uomo che vedrà da qui ai prossimi dieci anni sarai tu! –
Rin avrebbe voluto sprofondare nella sedia e non riemergevi mai più.
- Vedrò cosa posso fare. – commentò Sesshomaru, e non sembrava seccato, o divertito, o in qualche modo coinvolto nella conversazione: non sembrava niente, imperscrutabile come suo solito.
- Ma no, non importa. A me va bene così; dai, vi do forse l’impressione di una ragazza che ha bisogno di un uomo accanto? –
- Beh no! Sarà piuttosto lui ad aver bisogno di te, questo è ovvio! – Kagome le fece l’occhiolino e quell’unico complimento fu in grado di ridarle un po’ di tranquillità.
Servirono il dessert tra i complimenti sprecati di Inuyasha e i borbottii di Inushiro, ancora palesemente offeso nei confronti del suo zio preferito che lo aveva smollato per giocare con una femmina; per quanto però il bambino provasse a catturare la sua attenzione, l’altro sembrava completamente assente dalla conversazione, tanto che a un certo punto Rin si ritrovò a chiedergli, con una voce pigolante che non gli apparteneva, se andava tutto bene.
- Sto pensando a prima, al laghetto. – disse con voce bassa e strascicata.
Lei avvampò – P-prima? –
- Sì, stavo pensando a una cosa che hai detto. –
- Che… che ho detto? –
Il demone si voltò verso tutti i presenti – Stavo andando a prendere una cesta per la legna in eccesso e l’ho vista pattinare… sei piuttosto brava. Però era caldo e il ghiaccio ha cominciato a cedere, e tu ti sei bloccata e non sapevi come uscirne. Sei rimasta pietrificata e hai detto che da piccola ti era capitato di cadere nell’acqua gelata… - fece una pausa studiata, infinita, durante la quale tutti trattennero il fiato – Stavo pensando che, in quanto essere umana, non ha senso che tu oggi sia uscita a pattinare se ti era capitata una cosa del genere. Va contro il tuo istinto, sbaglio? –
Rin scoppiò a ridere davanti all’espressione pensierosa del demone.
- Beh, c’è da dire che i miei genitori sono delle persone particolari, il loro motto è “tu sei il tuo limite”. Il giorno dopo essere caduta nel laghetto mi hanno riportata lì e hanno voluto che riprovassi a pattinare… Devo ammettere di averli odiati particolarmente quella volta, e stavo addirittura per mettermi a piangere, ma alla fine sono tornata sul ghiaccio e non ho più avuto paura… solo che prima, ecco, mi dispiace di essermi bloccata, è che non me l’aspettavo… perché mi guardi così? –
- Quella è la faccia che fa quando prova sincera ammirazione. – le rivelò Inuyasha.
- Non ammirazione – lo corresse Sesshomaru con uno sbuffo – Approvazione. Anche se i tuoi genitori avrebbero pure potuto insegnarti a gestire meglio la paura. Come va il ginocchio? –
Rin arrossì, e dio com’era bello quando la guardava in quel modo – Meglio… grazie. –
Inushiro, che proprio non ne poteva più di essere lasciato ai margini della conversazione, sbatté le manine sul tavolo e si espresse in una smorfia cocciuta – Accendiamo il fuoco per le castagne? –
Il padre si passò una mano tra i capelli bianchi, arruffandoli ancora di più – Beh… la legna nel camino è quasi finita, dobbiamo prenderne altra. Sesshomaru vieni con me? –
L’altro sbuffò – Se non posso farne a meno. –

 
 

Rimasero lei, Kagome e Inushiro a sparecchiare la tavola, poi mamma e figlio si sedettero sul divano davanti al fuoco e presero a sfogliare il libro di fiabe che lui aveva ricevuto per Natale. Rin ne approfittò per andare in bagno a mettersi un po’ di ghiaccio spray sul ginocchio, visto che nonostante il suo buon viso a cattivo gioco le faceva ancora parecchio male –e accidenti com’era gonfio, sembrava una palla da biliardo, e la stoffa ruvida dei jeans non era per niente comoda. Si prese qualche attimo per studiarlo, ma alla fine convenne sul fatto che non era nulla di grave, e che sarebbe stata in forma entro qualche giorno; menomale, perché in quelle condizioni non sarebbe stato proprio uno spasso seguire Sesshomaru a giro per la città. Nel pensare a lui un groppo le serrò la gola, rilasciando tante piccole farfalle che presero a svolazzarle nello stomaco –dio, quanto si sentiva patetica! Eppure quando era in sua presenza non poteva fare a meno di sentirsi felice, protetta, rassicurata; non poteva fare a meno di guardarlo, parlargli e volere le sue attenzioni tutte per sé, e l’episodio di quella mattina era stato così bello, così intenso, che non riusciva a credere che entro poche ore sarebbe tornato tutto come prima –la schifosa normalità, con lui che a malapena le rivolgeva la parola e lei che passava le serate a bere vino e a guardare la televisione.
Rin uscì dal bagno un po’ felice e un po’ triste, ma comunque più felice che triste se pensava a come la guardavano quegli occhi, a quel sorriso pigro e alle sue braccia strette attorno alla vita in una presa sicura ma premurosa –sì, doveva proprio goderseli tutti quei momenti.
Sfilò silenziosa accanto alla porta socchiusa della cucina, ma si bloccò dopo appena un metro quando sentì due voci al suo interno.
- Non capisco perché ne vuoi parlare. – disse una bassa e strascicata, quella di Sesshomaru.
- Non importa il perché, ho solo fatto una considerazione; lei è carina, intelligente, simpatica… una ragazza come si deve, una brava ragazza. –
Rin aveva il brutto presentimento di conoscerla piuttosto bene, questa brava ragazza di cui stavano parlando, e il cuore le si fermò in petto quando sentì la risposta dell’altro.
- Lo so, è per questo che lavora per me. E’ sveglia e non si perde mai d’animo, ma non è mica perfetta. –
- Non esiste la persona perfetta, mi sorprende che tu sia così stupido da fare un discorso del genere! –
- A chi hai dato dello stupido? – ringhiò l’altro.
- A te! Insomma, hai l’occasione di provarci con una tipa apposto e di staccarti definitivamente da quella frigida di Kagura… e poi si vede che nutri una particolare… uhm… simpatia per lei. E’ l’unica che guardi senza quella luce assassina negli occhi, e anche lei si imbambola sempre quando ci sei tu intorno, si vede proprio che le piaci, come fai a non capirlo? –
- Guarda che non sono cieco. – frecciò Sesshomaru, e Rin dall’altra parte della porta dovette reggersi al muro perché le gambe le cedettero – Mi guarda come se fossi un dio, una creatura ultraterrena, perché è questo che sono. Tutti gli umani hanno quella luce negli occhi quando ci vedono, ognuno di loro sarebbe disposto a buttarsi da un ponte se glielo chiedessimo con un certo tono di voce, e tu vuoi che me ne approfitti con la mia segretaria? Vedo che vuoi molto bene a Rin. –
- Vaffanculo, non intendevo mica questo! Sei tu che non le vuoi bene, perché l’hai trascinata qui per Natale e ti comporti pure come se non te ne importasse niente di lei… -
- Ma perché non ti fai un po’ i cazzi tuoi? Solo perché tu hai scelto una vita da codardo insieme alla tua compagna non vuol dire che debba farlo anche io… io sto benissimo così, da solo. –
- La mia compagna ha un nome: Kagome. E abbiamo anche un figlio, e non potremmo essere più felici. Non voglio intromettermi nella tua vita, vorrei… solo che a volte non fossi così stronzo con chi ti vuole bene. –
- Io sono il suo datore di lavoro e lei è stata pagata per venire qui, e adesso perché ti sei fatto queste strane idee? Per di più non la trovo così splendida come dite voi, mi sembra una persona noiosa. –
- Noiosa? – esclamò Inuyasha a voce più alta del dovuto – Tu non sai di cosa stai parlando! –
Rin approfittò del volume della conversazione per allontanarsi silenziosamente, strisciando la spalla contro il muro perché sapeva che non sarebbe riuscita a stare in piedi. Rientrò in salotto come un automa, e con un tono neutro che non riconobbe come il proprio disse che avrebbe fumato una sigaretta mentre aspettavano che gli altri due finissero con la legna.
Uscì fuori e non sentì minimamente le prime tre boccate che fece; solo alla quarta riuscì a rilassare le spalle, e un paio di lacrime calde le solcarono la pelle fredda delle guance. Beh, cosa aveva da sentirsi triste? Dopotutto lo aveva sempre saputo che non c’era niente in cui sperare, che si trattava solo di un sogno nella sua testa e che non c’era modo che lui potesse ricambiare i suoi sentimenti, ma sentirselo dire –o meglio, origliarlo da dietro una porta- era tutt’altra storia: lui era a conoscenza della sua cotta, se non ne era sicuro per lo meno lo aveva intuito, eppure aveva continuato a stare al gioco, a ridere del suo imbarazzo, e le aveva addirittura fatto un regalo! Adesso si sentiva anche un po’ presa in giro, e altre lacrime di frustrazione scesero a far compagnia alle precedenti.
Si stropicciò gli occhi con la manica del maglione solo quando sentì la porta scorrevole aprirsi dietro di sé.
- Kagome mi ha detto che eri a fumare, hai una sigaretta? –
Non si voltò, non ne ebbe il coraggio, ma le parole le uscirono prima che potesse impedirselo.
- No, non ce l’ho. Le ho lasciate dentro. –
Lui dovette indovinare qualcosa dal tono della sua voce, perché sembrò accigliarsi – Tutto okay? –
- Sì, tutto apposto. Volevo solo prendere una boccata d’aria da sola. –
- Ah… come vuoi. – sembrava indifferente alla cosa e per questo lo odiò, e lo odiò ancora di più quando le appoggiò la giacca sulle spalle – Così non prendi freddo. –
Quando finalmente trovò la rabbia e il coraggio di voltarsi e guardarlo, Sesshomaru era già rientrato in casa.
 
 











25 dicembre, Atto V: "Di miracoli di natale e di piccole gioie inattese"







 
Il resto del pomeriggio le era passato davanti senza che Rin lo vedesse davvero. Si era sforzata di sorridere difronte all’espressione contenta di Inushiro che sgranocchiava le castagne, aveva partecipato alla conversazione accesa tra Kagome e Inuyasha sugli animali abbandonati durante le feste natalizie, poi aveva aiutato a pulire e a rigovernare la cucina e si era offerta anche di passare l’aspirapolvere in salotto, il tutto per avere sempre qualcosa da fare ed evitare così di guardare in faccia Sesshomaru, che da parte sua aveva capito subito che c’era qualche tassello fuori posto; continuava a osservarla di sottecchi, a distanza di sicurezza dopo l’episodio in veranda, e per quanto Rin fremesse al pensiero di voltarsi e sputargli in faccia qualche cattiveria, si era invece costretta a fare finta di niente e ad evitarlo –per quanto fosse possibile in casa di suo fratello.
Non erano neanche andati a prepararsi nello stesso momento: solo quando aveva sentito scorrere l’acqua della doccia lei si era decisa a salire in camera, dove aveva impilato gli indumenti in valigia con una lentezza che aveva del maniacale le erano passati davanti agli occhi il maglione color crema della sera prima, le parigine nere, infine la confezione elegante della vestaglia che lui le aveva regalato –quella l’aveva cacciata ben bene in fondo, perché era lì che doveva stare.
Per paura di incontrarlo sul pianerottolo aveva persino rinunciato all’idea di farsi una doccia, preferendo restare tra le pareti sicure della propria stanza, e per ingannare il tempo –e l’ansia- si era ritrovata a fumare la poca erba che aveva, cosicché adesso si sentiva pure un po’ fatta e terribilmente in colpa per quella ripicca da adolescente –ed era una cappa di fumo quella che si era creata o aveva solo gli occhi stanchi?


Bussarono alla porta e Rin trasalì; per un momento pensò di non rispondere, poi il buonsenso ebbe la meglio.
- Si? –
Era lui – Hai già finito di preparare la valigia? –
- Sì… - okay, forse non aveva proprio finito – Finisco… di raccogliere le ultime cose e ti raggiungo giù, okay? –
Una pausa, poi un sospiro – Va bene. Ti aspetto. –
Rin si rese conto che aveva trattenuto il fiato tutto il tempo in cui avevano parlato, e adesso le spese le stava pagando quel muscolo atrofizzato che aveva come cuore. Con uno sbuffo si alzò in piedi e ripose in valigia la trousse, la spazzola, i prodotti per il bagno e, ultime ma non per importanza, le ciabatte pelose; riifece il letto anche se sapeva benissimo che Kagome avrebbe cambiato le lenzuola quella sera stessa, aprì la finestra per far entrare l’aria e infine –proprio perché non le era rimasto altro da fare per perdere tempo- uscì col trolley e la borsa.
Okay, portare i bagagli giù per le scale non era affatto facile e probabilmente se fosse scesa con Sesshomaru avrebbe pensato a tutto lui, ma adesso non aveva tempo per pentimenti simili, visto che la valigia si era bloccata tra la porta del bagno di servizio e l’angolo delle scale –ma perché doveva sempre sudare per portare a termine i gesti più semplici??
- Serve una mano? –
Rin sobbalzò perché non lo aveva sentito arrivare, ma la risposta secca che le era nata in gola rimase bloccata lì quando si voltò e lo vide alto e rigido come sempre, che la guardava con l’ombra di un sorriso sul volto pallido.
- Uhm… - aveva pensato che sarebbe morta se lo avesse guardato ancora negli occhi, e invece era ancora viva, le gambe le reggevano, il cuore le batteva a un ritmo sostenuto ma non preoccupante… e come al solito lei se ne stava imbambolata senza dire niente – La… valigia si è bloccata, m-mi dai una mano? –
Sesshomaru la scavalcò e con un unico movimento fluido sollevo la valigia come se fosse stata vuota.
- Va tutto bene? – indagò ancora, e Rin si sentì in dovere di rispondergli perché non capitava spesso che il suo capo facesse così tante domande.
- Sì, certo, tutto bene. Andiamo? –
Ma lui sembrò non bersela, perché fece un passo in avanti e azzerò completamente la loro distanza, guardandola dall’alto con due occhi seri e profondi che la trapassarono come proiettili; Rin sentì le guance tingersi di rosso e il cuore cominciare a farle le capriole nel petto, e pensò che era fatta, che lui sapeva tutto e che adesso l’avrebbe sbugiardata proprio lì, senza pietà. Sesshomaru inarcò lentamente un sopracciglio mentre continuava a fissarla, e lei si preparò al peggio.
- Hai fumato? – le sussurrò a un palmo di naso.
- Eh? No… cioè… solo un po’, ma la reggo bene. Non sono fatta. –
- Come vuoi. –
Il demone si allontanò bruscamente che ancora la guardava divertito, e Rin si sentì improvvisamente disorientata da quel cambio repentino, da quella lontananza che adesso lo faceva sembrare di nuovo così irraggiungibile.
- Sto bene, davvero. Tu eri a fare la doccia e non sapevo cosa fare… -
- Guarda che non sono tuo padre – le rispose lui inarcando le sopracciglia e cominciando a scendere – Pensavo solo che almeno al ritorno avresti evitato di dormire. –
- Oh! Ma no, starò sveglia, giuro. – e non era una promessa così tanto rassicurante se pensava al niente che si sarebbero detti in tre ore di viaggio.
 
 


Kagome e Iuyasha la salutarono con un abbraccio che non aveva niente di entusiasta.
- Tornerai a farci visita, vero? A noi farebbe tanto piacere! – esclamò Kagome quando i due uomini andarono a caricare le valigie.
- Piacerebbe un sacco anche a me, siete una famiglia stupenda e Inushiro… è semplicemente adorabile. –
Il bambino in questione le rivolse un sorriso soddisfatto – Vedi mamma? Lo dicono tutti che sono un bravo bambino! –
- Sì, un piccolo diavolo travestito da angioletto… - lei gli spettinò i capelli e lui si fece serio.
- Senti, Rin, non sei mica arrabbiata per prima? Non ce l’avevo con te, ma con lo zio… -
Lei si intenerì subito – Ma no che non sono arrabbiata! E tranquillo, ti capisco benissimo, fa arrabbiare sempre tanto anche me. – già, le riusciva facile confessarsi davanti a un bambino di cinque anni.
Kagome le si avvicinò in modo che solo lei potesse sentirla – Lo sai che non lo fa apposta, vero? Devi solo tenere duro. –
- Che vi state dicendo?? Mamma! Posso sentire anche io? Perché no?! –
- Cose tra ragazze, sono sicura che non ti interesserebbero. – ridacchiò Kagome, mentre Rin ancora sbatteva le palpebre e cercava di interpretare le parole dell’amica.
Alla fine, quello che le uscì fu un pigolio anche troppo acuto – Grazie… di tutto. Sono molto felice di avervi conosciuti, e spero davvero che ci sarà occasione di rivedersi. –
- Lo speriamo anche noi. – le rivolse un sorriso radioso e poi si rivolse al piccolo accanto a lei – Sai che Inushiro ha un regalo? Solo che è molto timido per queste cose… un po’ come il padre. –
- Un regalo? Per me? Wow, grazie mille, sarà bellissimo! –
- Ma se ancora non sai cos’è! – okay, quel bambino somigliava troppo allo zio, forse avrebbe dovuto indagare.
- Beh, potresti darmelo, per iniziare. –
Inushiro estrasse dalla tasca un foglio di carta ripiegato su sé stesso talmente tante volte che Rin faticò un po’ per aprirlo. Quando alla fine l’immagine si distese davanti ai suoi occhi le venne da sorridere spontaneamente, come di rado le era successo quel giorno: il disegno raffigurava lei sul laghetto ghiacciato, con sopra Inushiro alla guida di un aeroplano rosso.
- Ah, tu sì che sai come farti adorare! E’ bellissimo, proprio come avevo detto. – gli schioccò un bacio sulla guancia, e lui si ritrasse bruscamente con un’espressione imbarazzata.
- Sì, però adesso vacci piano… -
- Avete finito con i saluti? – le sorprese da dietro Inuyasha – Mio fratello è in macchina che ti aspetta. -
- Bene, direi che è ora di andare. Vi ringrazio ancora per quello che avete fatto per me, siete degli ospiti impeccabili. –
- Questo dovremmo dirlo noi di te! Fate buon viaggio… e in bocca al lupo per tutto, mi raccomando. – le fece l’occhiolino, e beh, non avrebbe potuto essere più esplicito di così.
Si sentiva una cretina, ma davvero tutti in quella casa si erano accorti della cotta che cercava di nascondere da due anni?? E poi con che faccia speranzosa facevano tutti il tifo per lei, come se non sapessero in che razza di impresa disumana era andata a cacciarsi!! La cosa la fece sentire un po’ allo scoperto ma le sollevò anche il morale, perché dopotutto era sempre bello un po’ di appoggio in situazioni come quella.
- Grazie ragazzi, alla prossima. –
Lanciò un bacio al volo prima di precipitarsi –o meglio incespicare, viste le condizioni della sua gamba destra- verso la macchina, dove Sesshomaru era intento a controllare il telefono. Fece ciao con la mano dal finestrino finchè la famiglia non sparì dietro la curva del vialetto innevato, e solo a quel punto si azzardò a voltarsi verso il conducente.
- Stavi mandando delle mail? –
- Controllavo gli appuntamenti… sono sempre più convinto di annullare la conferenza sulla beneficenza del 30 gennaio. –
Lei si accigliò subito – La trovo una pessima idea, sai? E se lo farai… uhm… non ti parlerò più. –
- Tanto lo stai già facendo, no? –
Ecco, beccata – Non è vero, adesso stiamo parlando… e ho iniziato io la conversazione. –
- Giusto. – convenne lui – Allora ti va di dirmi cosa è successo oggi pomeriggio? –
- Niente… io avevo bisogno di stare un po’ per fatti miei, perché sai… di solito il Natale lo passo con i miei e invece ora loro sono lontani, ecco, e anche se ci siamo sentiti stamattina ho accusato un po’ di nostalgia. – improvvisò.
- Capisco. –
- Davvero? – mormorò.
Lui la guardò dallo specchietto retrovisore, e per una volta i suoi occhi sembrarono due soli brucianti pronti a riscaldarla.
 - Ci provo. –
 E nessuno dei due disse niente per un bel po’.
 


Rin si voltò verso il finestrino con il proposito di guardare il paesaggio per tutto il viaggio; l’idea di essere di nuovo a contatto con quel volto da adone le metteva l’ansia se solo pensava a tutte le inutili capriole che avrebbe fatto il suo povero cuore, che per quel giorno ne aveva già abbastanza di essere preso e sbattuto come una pallina da tennis. Ironicamente, tanti auguri di Buon Natale, Rin! Ecco il regalo che hai trovato sotto l’albero: la nuda e cruda verità. Beh, era l’ora che diventasse adulta e smettesse con le sue stupide cotte per persone –o demoni- assolutamente fuori dalla sua portata. Per di più lui l’aveva definita noiosa, noiosa! Lei poteva dirsi tutto tranne che noiosa, e se nell’ultimo periodo era diventata un po’ più seria era solo perché era stato lui a imporglielo, con quegli orari da manicomio e la storia del tailleur e dei tacchi! Le venne voglia di girarsi e sputargli addosso tutta una sfilza di insulti meritati, ma lanciò un’occhiata all’orologio e si costrinse a rimanere con la testa premuta contro il finestrino: alla loro velocità -210 chilometri orari- mancava solo un’ora al rientro, e non valeva la pena rovinarsi la vita per prendersi chissà quale stupida soddisfazione; no, doveva aspettare e soffrire ancora un po’, e una volta a casa avrebbe curato il suo orgoglio ferito con una bella bottiglia di vino e una chiamata skype alle sue amiche. Dio, quanto aspettava quel momento.
- Non è che se continui così riesci a convincermi a fare comunque quella conferenza… -
Rin inarcò entrambe le sopracciglia ma non si voltò – Non c’entra la conferenza, non è che penso sempre al lavoro. – e non era assolutamente una frecciatina.
Lui rimase interdetto – Lo so. E’ che non capisco il tuo comportamento, di solito sei molto più… incline alla conversazione. –
- Di solito tu parli solo se interpellato. – borbottò lei.
- Appunto, stai invertendo i ruoli. –
- Sono solo un po’ stanca… -
- A me sembri di pessimo umore, ancora peggio di quando siamo partiti. E’ successo qualcosa, hai bisogno di qualche giorno libero dal lavoro? –
Lavoro, lavoro, lavoro; adesso che ci faceva caso tutto ciò di cui parlavano era strettamente legato al lavoro, quindi come poteva sorprendersi se lui la definiva noiosa?
- No, niente giorno libero. Ho già avuto la mia vacanza, seppur non convenzionale. – il pensiero di Inushiro, Kagome e Inuyasha la rassicurò un po’, facendola sorridere, e poi le venne in mente un’altra cosa – Sai che tuo nipote mi ha fatto un disegno? E’ molto bravo per avere cinque anni, anzi, direi che ne dimostra almeno il doppio! –
Sesshomaru annuì senza spostare gli occhi dalla strada – I bambini mezzodemone crescono più in fretta degli esseri umani, e fortunatamente Inushiro non ha ereditato tutta l’idiozia del padre. –
Rin non riuscì a trattenere un altro sorriso – Ti vuole molto bene, a me ha detto che vuole diventare proprio come te. Io ho provato a sconsigliarglielo… -
- Perché? – la interruppe lui, lo sguardo corrucciato – Non sono forse un buon esempio? –
- Ehm… io… uhm… ecco, diciamo che non sei il modello che consiglierei a un bambino di cinque anni. M-ma tanto quello che dico io non ha importanza, voglio dire, anche Inushiro mi ha detto che non capisco niente e che vuole restare della sua idea… è piuttosto cocciuto. -
- Lo so, questo l’ha preso tutto dalla mia famiglia. –
Sesshomaru prese una curva a tutta velocità e Rin venne sbalzata in avanti, ma la mano di lui arrivò a bloccarla laddove la cintura fu troppo lenta.
- Tutto bene? –
- S-sì… se solo evitassi di guidare come un pazzo! Dio, e se penso al fatto che non hai neanche la patente! –
- Rilassati, ti sei accorta ora che stiamo andando veloci? –
- No ovviamente, ma prima di adesso non mi avevi messa in pericolo! –
Sesshomaru rallentò di poco e si voltò a guardarla con l’espressione più seria che lei gli avesse mai visto, la maschella stretta e le labbra tese in una linea sottile.
- Con me non saresti mai in pericolo. – le disse semplicemente, per poi guardare di nuovo la strada.
- La… la… - accidenti, proprio adesso doveva iniziare a balbettare, e probabilmente stava anche iperventilando – La tua guida dice il contrario. –
Lui inarcò un sopracciglio e premette più a fondo sul pedale dell’acceleratore, ottenendo come risultato che Rin si spalmasse ancora di più sul sedile chiudendo gli occhi e rilasciando un gridolino strozzato.
- Rallenta!! Non è per niente divertente! – sbottò con le palpebre ancora serrate.
- Fidati che lo è. – la schernì, rallentando subito dopo – Peccato che sia durato poco, siamo già in città. –
Lei riaprì gli occhi di scatto solo per vedere la superstrada di New York vorticarle attorno con le sue mille corsie, e un moto di angoscia l’attanagliò allo stomaco. Ecco che finalmente si svegliava dal sogno –proprio come ci si svegliava dai sogni, ovvero aprendo gli occhi- e ripiombava nella noiosa realtà che era la sua vita di tutti i giorni. I palazzi e le strade della città le passarono davanti come odiosi promemoria, e anche le luci e gli alberi addobbati avevano perso la loro attrattiva: erano scialbi, sciupati, e richiamavano a un’allegria fasulla che di certo lei non condivideva; distolse lo sguardo, infastidita, e lo diresse ai comandi della radio –la cosa che in quel momento la disturbava meno.
- Siamo arrivati. –
Non le chiese il perché del suo improvviso silenzio, e quando parlò lo fece con un tono caldo che le fece venire voglia di piangere. Rin guardò fuori dal finestrino e la sua casa era lì, l’appartamento al terzo piano di un palazzone in mattoni rossi con le grondaie rugginose.
- Bene… – avrebbe voluto trovare qualcos’altro da dire, ma Sesshomaru aprì lo sportello praticamente ignorandola e quando lei lo raggiunse aveva già finito di scaricare i bagagli e la aspettava davanti al portone – Grazie, ma da qui posso fare da sola. - 
Il demone inarcò un sopracciglio - Con quel ginocchio? –
- Non fa più così male. – bugia, immensa bugia, lo sentiva pulsare sotto la stoffa dei jeans stretti.
- Come vuoi. Fammi sapere se ti serve qualche giorno, nel caso avrò bisogno di sostituirti. –
- No, sto bene, davvero. –
Ecco, non le piaceva per niente doverlo guardare dal basso, con le spalle che sembravano ancora più larghe e i capelli che creavano un contrasto fin troppo bello con la stoffa blu del maglione; dulcis in fundo, aveva anche finito gli argomenti di conversazione, e non le veniva in mente altro per prolungare ancora quell’ultimo momento di vicinanza.
- Bene. – commentò lui piatto, prendendo in mano il portafogli – Avevamo concordato cinquecento, vero? –
Rin sussultò e sbatté le palpebre un paio di volte prima di realizzare.
- Cosa? No! Non li voglio i soldi. E’ stata una vacanza… non si è trattato di lavoro. – almeno non per lei, pensò con amarezza.
Lui sembrò sorpreso – Eravamo d’accordo, questi soldi ti spettano. –
Certo era un’idea estrema quella di voler buttare nel cesso tutto il compenso, ma se lo avesse accettato avrebbe significato davvero che tutto il tempo trascorso insieme a lui era stato solo misero, obbligato e freddo lavoro –e c’era una piccola parte di lei che voleva continuare a sognare e a dargli del tu tutta la vita.
- Io… no, non li voglio. Mi sono divertita, e nessuno viene pagato per divertirsi… tranne gli assaggiatori di gelato o quelli che testano le montagne russe… ehm, insomma, sono stata bene, i soldi non li voglio. Quindi la ringrazio molto, anche per stamattina… e per il regalo… è stato un pensiero gentile da parte sua. –
- Ricominci con la forma referenziale? –
Rin gli sorrise, ma aveva un che di triste – Siamo tornati e non c’è più suo fratello… quindi lei è solo il mio capo, e è giusto così. –
Lui era il suo capo, era giusto così.
- Non siamo ancora in ufficio, e anche in ufficio puoi non farlo. –
- Davvero? – lo guardò di sottecchi, timorosa, e lo vide annuire – E… m-ma gli altri colleghi, cosa penseranno? –
- Cosa dovrebbero pensare? – alzò le sopracciglia e un sorriso divertito gli comparì sul volto, e Rin lo odiò perché quella era la prova crudele e definitiva che lui si stava prendendo gioco di lei.
Strinse i denti – Non lo so, non è una cosa che si aspetteranno, ecco tutto, per come lei è fatto. Adesso vado, buonanotte… e di nuovo grazie. –
Sì, grazie per il salvataggio di quella mattina, per la vestaglia di seta arancione, per averle presentato la sua famiglia e averle mostrato un tassello segreto della propria vita -ma anche di averla disprezzata, sminuita davanti al fratello, per essersi preso gioco di lei e per guardarla dall’alto sempre con quel ghigno stampato in faccia… sì, davvero grazie mille Sesshomaru.
- Buonanotte Rin. –
Si era già voltato quando lei lo richiamò – Aspetta. – non sapeva neanche come continuare, così tergiversò – Dopodomani in ufficio alle otto, ma prima devo passare in lavanderia e a ordinare un mazzo di fiori per quel cliente in ospedale. –
- Esatto. –
- Bene… - silenzio.
- C’è altro? – incalzò lui.
Certo che c’era, c’era una marea d’altro che Rin avrebbe voluto buttargli addosso come il più pesante dei fardelli, ma che purtroppo doveva tenere per sé se voleva salvare almeno un po’ di orgoglio e il posto di lavoro.
- No, niente. Solo… - una cosa, una doveva proprio dirgliela – Io… non penso di essere una persona noiosa. Mi dispiace che tu pensi che io sia noiosa. Cose come “una gran lavoratrice”, “una ragazza equilibrata”… odio quando mi viene detto. Perché sono frustrata all’idea che la gente veda quella me, quella che sono tredici ore al giorno tutti i giorni. Io sono una persona oltre che una lavoratrice, e non mi ritengo affatto noiosa. –
Lo guardò con vergogna, ma sicuramente fiera e convinta come poche volte aveva osato essere, e lui inizialmente parve non capire le sue parole, poi le soppesò e il suo volto assunse un’espressione prima sorpresa, poi irritata –il che per un momento la spaventò.
Lo vide passarsi una mano sulla fronte con lo sguardo più scocciato che le avesse mai visto – Hai sentito la conversazione con Inuyasha. –
- No! Non… non ho sentito niente, ero in bagno e… passavo di lì, ho sentito solo quello. Però, uhm, mi è rimasto impresso e volevo dirtelo… -
Che disastro.
- Hai sentito solo quello? – inarcò un sopracciglio e lei si sentì arrossire sotto il peso di una bugia che non avrebbe mai saputo dire – So che hai l’abitudine di origliare. –
Beccata. – Beh… sì lo so che mi hai sorpresa un sacco di volte, ma se questa volta non te ne sei accorto… vuol dire… che non stavo origliando. Non ho sentito altro… anche se immagino che stavate parlando male di me, e adesso che ci penso non capisco proprio come ho fatto a resistere alla tentazione… -
- Davvero, me lo chiedo anche io. – la guardava con gli occhi che erano due fessure, deliberatamente provocatorio, e un sorriso pigro che avrebbe fatto gola a chiunque. 
- Già. Ma non mi interessa cosa stavate dicendo… era solo l’aggettivo noiosa che mi ha infastidita. –
- Quindi era per questo che eri di cattivo umore, oggi? –
Al diavolo, si era andata a ficcare proprio in una situazione di merda – Un po’. – ammise – Ma non solo per quello. Comunque è tutto apposto, va bene così. –
- Non fa differenza? –
Riconobbe subito le parole che si erano detti la sera prima, probabilmente a quella stessa ora, e il cuore prese a batterle furioso nel petto mentre una strana rabbia le imporporò le guance: le stava imponendo una confessione, una sconfitta definitiva, perché qualsiasi sua risposta l’avrebbe sbugiardata.
- Certo che fa differenza. – mormorò – Ma non è importante. Buonanotte Sesshomaru, ci vediamo giovedì. –
Si voltò di scatto, e aveva già un piede oltre al portone quando lui la richiamò con voce bassa.
- Rin… - si era avvicinato di molto, con un’espressione seria che per un momento la spaventò – Non avresti dovuto sentire quella conversazione… Inuyasha ha la brutta abitudine di intromettersi negli affari degli altri, e io perdo subito la pazienza, ma non avrei dovuto dire quelle cose di te. Non penso che tu sia noiosa, ed è stato scorretto. –
Le sembrò sinceramente dispiaciuto, per questo si ammorbidì un po’ – Grazie, lo apprezzo molto. Ma dopotutto sei il mio capo, puoi avere di me l’idea che vuoi. –
Sesshomaru la ignorò totalmente – Detto questo, per rimediare al torto vorrei portarti a cena fuori, domani, se non hai altri impegni. –
Rin non era sicura di aver capito bene; le aveva… le aveva appena… no, no, non era così. O forse sì?
Si indicò con l’indice, gli occhi ancora sgranati dallo stupore - Io? A cena fuori… con te. –
- Esatto. – aveva uno sguardo strano, caldo ma inquisitorio, e le labbra leggermente tirate all’insù in un ghigno divertito che poteva benissimo passare per un sorriso.
- Ehm… va bene. Ma, voglio dire, se lo fai per una semplice questione di educazione devo dirti che per me è troppo… cioè se ci tieni va bene una bottiglia di vino, tu hai dei gusti fantastici e-
- Respira, Rin. Passo a prenderti alle sette. –
- Okay… -
Ancora non riusciva a crederci, ancora non le sembrava vero: come era riuscita a passare da triste segretaria sfigata a ragazza che ha un appuntamento con l’amore della sua vita? E il tutto era successo in meno di cinque minuti: un attimo prima si stava crogiolando nella disperazione della sua cotta non corrisposta e quello dopo si ritrovava ad almeno dieci metri da terra, con la testa tra le nuvole e la voglia di urlare da quanto era contenta.
Sesshomaru azzerò lentamente la loro distanza e l’ultima cosa che vide Rin prima di chiudere gli occhi furono due iridi ambrate e una cascata di capelli argentei. Il bacio arrivò dolce e inaspettato, a stampo, e la prima cosa che pensò lei fu che le sue labbra erano più morbide di come sembravano; ed erano calde, come la mano che le aveva messo su un fianco per attirarla maggiormente a sé.
Rin ne approfittò subito, e non solo perché aspettava quel momento da due anni; lo afferrò per la stoffa del maglione e si tirò su in punta di piedi, e a quel punto lui si fece più intransigente e le mordicchiò il labbro inferiore costringendola a dischiudere la bocca. Le stuzzicò il palato con la lingua umida e lei ricambiò accarezzandolo piano con la propria; si baciarono ancora, più a fondo, e Sesshomaru ormai l’aveva intrappolata tra il suo corpo e il portone, e niente era bello quanto baciarlo, stringerlo e averlo lì tutto per sé.


Aveva ancora gli occhi chiusi quando lui si staccò con gentilezza, e solo a quel punto si concesse di riaprirli per controllare se effettivamente si erano appena baciati o se a causa del suo alcolismo aveva appena molestato un estraneo –magari un barbone.
Sesshomaru la guardava a un palmo di distanza con un sorriso piuttosto irriverente a dare un po’ di colore al volto marmoreo. Le iridi gialle indagavano dappertutto sul volto di Rin, sulle guance arrossate, sugli occhi lucidi, sulle labbra gonfie per i morsi ricevuti. Forse si preoccupò pure di averle fatto male, perché le passò un dito leggero sul labbro ingiuriato e poi si chinò di nuovo a baciarla, stavolta un bacio semplice e gentile –un bacio di coppia, insomma, uno di quei baci rubati e totalmente adorabili che si scambiavano i fidanzati quando dovevano salutarsi.
- Domani alle sette. Buonanotte, Rin. –
Le accarezzò la testa come avrebbe fatto con una bambina, poi si voltò e rientrò in macchina che ancora la fissava con quella faccia da schiaffi che si ritrovava, completa di sorriso soddisfatto e sguardo vittorioso –era odioso, e lei era proprio una stupida. Lo vide partire ingranando subito la terza marcia e rimase ancora qualche secondo imbambolata, ferma in mezzo alla strada, prima di rendersi conto che faceva un freddo cane e che, dulcis in fundo, doveva portare le valige da sola fino al terzo piano –quello però non era un vero problema se pensava che con tutta quell’adrenalina in corpo avrebbe potuto correre tranquillamente alla maratona di New York. Rin sorrise spontaneamente alla notte, alle luci dei lampioni e dei palazzi affacciati sulla strada; riconobbe Kohaku che le stava venendo in contro dal marciapiede opposto agitando una mano guantata, e capì che quella realtà era meglio di qualsiasi altro sogno.
- Hey, tanti auguri di Buon Natale! – le schioccò due baci sulle guance ma niente da fare, attorno a sé sentiva ancora il profumo leggero di Sesshomaru - Alla fine ho visto che sei partita. –
- Oh, è stata un’improvvisata… sono andata a Pittsburgh a trovare… amici. –
- E’ andato tutto bene? –
- Alla grande. – sorrise. Sì, era andata proprio alla grande – Tu? La tua cena in famiglia? –
E mentre Kohaku saliva le scale del palazzo con un sacco della spesa in una mano e il suo trolley nell’altra prodigandosi nel racconto dettagliato della sua disfatta natalizia, Rin rimuginò ancora un po’ sugli eventi degli ultimi tre giorni. Tre giorni –non tre mesi, tre anni, tre settimane, ma giorni. Aveva lavorato lì per due anni –due anni!- senza essere minimamente notata, e adesso in tre giorni cambiava tutto; le aveva chiesto un appuntamento -un vero appuntamento, senza soldi, lavoro, famiglia, solo loro due- e se da un lato era la cosa migliore che le potesse capitare, dall’altro era un completo disastro se pensava ai pochi vestiti eleganti che aveva nell’armadio… ma a quello ci avrebbe pensato domani, e grazie al cielo che esisteva lo shopping online.
Un piccolo miracolo di Natale, ecco cos’era stato. Magari sarebbe finito nel giro di poche ore, magari sarebbe durato per sempre, ma non le importava proprio di niente finché aveva quel sapore dolce ancora tra le labbra.
- Lo so che non mi stai ascoltando… -
- Eh? – Rin tornò con i piedi per terra quando si scontrò con l’espressione divertita di Kohaku – Ma fatti un favore, per la prossima volta in cui andrai a trovare… amici: non dire mai più “alla grande”, non sei mica al college. –
Alzò gli occhi al cielo – Grazie maestro, prenderò nota. –
Ma che ci poteva fare se tutto era andato inaspettatamente, meravigliosamente e indiscutibilmente alla grande? Ed era un po’ che non le capitava che le cose andassero così bene. 
- Strano, non avevano messo neve a New York… - commentò Kohaku, accarezzandosi il mento, e solo in quel momento Rin si accorse che fuori dalla grande finestra del pianerottolo il paesaggio grigio di New York aveva cominciato a colorarsi di tanti piccoli fiocchi bianchi.
Sorrise – Sarà un miracolo di Natale. –
- Quest’erba è il vero miracolo, vuoi assaggiare? –
- Rovini sempre l’atmosfera! Ma va bene, giusto il tempo di posare le mie cose. –
Quando rientrò in casa dell’amico, pochi minuti dopo, indossava il pigiama e una stupenda vestaglia di seta color del tramonto.
- E’ un regalo. – rispose allo sguardo sorpreso dell’amico.
- Carino! -
E non lo disse mica che il vero regalo era stato un altro, un bacio al sapore fresco di menta che solo a ricordarlo le venivano le vertigini.
- Buon Natale a te. – Kohaku inaugurò lo spinello e glielo passò subito.
- Già, buon Natale a me. –
Ancora nevicava quando Rin tornò nel proprio appartamento, e il silenzio ovattato della città addormentata la cullò dolcemente finché non si assopì, con la vestaglia ripiegata sul cuscino accanto a sé e il pollice a sfiorare la piccola crosta sul labbro laddove lui l’aveva morsa. A mezzanotte le arrivò un’e-mail, ma lei già dormiva.
 
Cancella la conferenza stampa del 30 dicembre. Spostala al 31 sera all’orfanotrofio sulla sesta. Sarai la mia accompagnatrice. S.  

















 
Mmmmmmm non so se mi odierete per come ho concluso la storia, fatto sta che è nata come un intermezzo e anche il finale è, di conseguenza, molto aperto. Per lo meno è un lietofine, dai!!! Io che di solito sono così inclemente ho voluto far durare le torture di Rin non più di qualche giorno, non è una cosa apprezzabile?? No eh?
Neanche il fatto che per la festa della Befana vi ho regalato ben due atti al posto di uno??
No, niente da fare.
Come al solito ringrazio tantissimo chi ha recensito, scusatemi se non vi ho risposto personalmente ma ho letto e riletto ogni parola delle vostre recensioni e mi hanno fatto tutte un sacco piacere :) Spero che al di là di tutto la storia vi sia piaciuta come è piaciuto a me scriverla: è nata come una cosa di poche pretese e si conclude così, con un sogno che si avvera e tanti altri che ne nascono -come dovrebbe essere il natale, insomma, anche se per me equivale più che altro a chili di mascarpone e prosecco schifosissimo.
Spero che abbiate passato delle buone feste, vi faccio gli auguri per il rientro (help) e ancora grazie, grazie e grazie :) Questa storia è dedicata a tutti quelli che mi hanno recensito -siete fantastici, sì, e adesso devo proprio riprendere in mano la mia altra storia se non voglio essere soggetta a lapidazione.............
bacioni i i i i

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