La Guerra Della Trinità

di Jakrat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** In Missione ***
Capitolo 3: *** Benvenuti ***
Capitolo 4: *** Riunione ***
Capitolo 5: *** Passato ***
Capitolo 6: *** Imboscata ***
Capitolo 7: *** La Verità ***
Capitolo 8: *** Collisione ***
Capitolo 9: *** Bilico ***
Capitolo 10: *** Vendetta ***
Capitolo 11: *** Potere ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo

Principi


Vista dall'alto, la grande città sembra un caleidoscopico paradiso di asfalto, case e giardini. E, camminandoci dentro, è davvero così.

Le larghe strade di asfalto di allungano in tutte le direzioni, in una fitta rete dove le automobili sfrecciano in tutte le direzioni, brillanti come diamanti grazie alle carrozzerie lucide.

Il sole e i lampioni ai lati delle case garantiscono tanta luce che pare non debba mai calare la notte. Grazie a questo, i grandi palazzi del centro, trionfi di cemento armato e vetro che nella loro altezza sembrano voler sfidare il cielo, splendono come cavalieri in armatura: epici eroi che, con la forza del lavoro, della politica e della burocrazia, garantiscono l'ordine nella vita dei cittadini.

Ma sotto i grandi palazzi, dietro le strade illuminate e le famiglie felici, un altro tipo di ambiente si sviluppava: in una eterna penombra dovuta alle decine di piani dei palazzi intorno a loro, la parte più disagiata della popolazione dava libero sfogo ai loro istinti.

Nonostante le strade sporche dalle cartacce e sacchetti buttati a terra alla rinfusa, vagabondi e senzatetto restavano seduti su pannelli di cartone, imbacuccati in coperte di flanella mentre battevano i denti e guardavano con occhi supplichi i passanti; nelle piccole case tra un palazzo e l'altro, una lanterna rossa appesa alla parete lasciava ben intendere che genere di attività si stesse svolgendo al suo interno; oscenità scritte sulle pareti e un notevole viavai e passamani di buste, siringhe e denaro lasciavano ben intendere quale clima si respirasse dietro alla facciata di ordine che il centro città dava.

In mezzo a questo degrado, una figura massiccia e imponente avanzava, con le mani intrecciate dietro la schiena, respirando a pieni polmoni quell’ambiente che, per lui, sapeva di casa.

Lui, un armadio di due metri per più di un quintale di peso che rispondeva al nome di Alastor Sullivan, era il classico soggetto che la gente evita come la peste. Grosso come un bue e poco più sveglio, si guadagnava da vivere usando la sua forza erculea per sistemare alcuni affari «ostici» per conto di una delle famiglia malavitose del posto.

La famiglia Sullivan esercitava un rigido controllo su una parte della città e si era perso il conto di ossa che avevano fatto spezzare e denti fatti ingoiaRe per estorcere denaro o minacciare. E una buona parte di queste spedizioni punitive erano affidate ad un solo uomo: Alastor. Il nipote del padrino.

Era ironico vederli assieme, poiché il capofamiglia, Lucius Sullivan, in piedi non arrivava nemmeno al petto del suo scagnozzo, eppure il rispetto tra i due era tangibile nell’aria, ogni volta che i due si incontravano.

Rispetto, non affetto. Non bisogna mai mischiare gli affetti con gli affari e Alastor, almeno in apparenza, sembrava avesse accettato questo fatto.

Il suo ambiente era quello, una strada, tanta criminalità intorno e un’alta probabilità di farsi passare quel prurito fastidioso alle mani che sentiva spesso.

Sì, perché se c’era qualcosa che Alastor soffriva era quel dannato prurito che affliggeva quelle mani grandi come badili, più simili a zampe come pelle, piuttosto che veri e propri arti umani. Se c’era qualche spedizione da compiere per conto dello zio, poteva farselo bastare per una giornata, ma quando gli affari sono stabili… insomma, c’è bisogno di qualcos’altro.

Aveva provato a farsi passare questo sfogo andando in palestra, ma il solo fatto di dover seguire delle regole per mettere fuori gioco qualcuno gli levava tutto il divertimento. Al quarto incontro perso perché, a quanto sembrava, non potevi prendere un uomo per la cintura e lanciarlo come un pacco postale fuori dal ring, Alastor aveva capito che quello non era il suo posto.

Certo, era un atteggiamento rischioso e tutti i tagli e cicatrici che si potevano vedere sul suo volto e sul petto lasciavano intendere come la sua cortesia nel limitarsi a lasciare occhi neri e fratture multiple dietro di se veniva spesso ricambiata con una quantità di piombo pari al suo peso.

Non che gli dispiacesse, ovvio. Era giusto lasciare qualcosa con cui compensare il divario di forze tra loro due.

Nonostante tutto, c’erano una regola o due che affollavano la testa, principi che seguiva diligentemente: era più bestia che uomo, questo lo ammetteva anche lui, ma anche le bestie hanno i loro principi!

Forse.

Nel dubbio, lui gli aveva.

Quella sera in particolare, mentre avanzava tra i rifiuti di un vicolo perpendicolare alla via principale, avrebbe dovuto rispettare uno di quei due principi.

Prima di svoltare, udì un rumore inconfondibile: passi rapidi, gente che si butta a lato per non farsi travolgere e un pesante ansimare sommerso dalle risate di alcuni aguzzini. Qualcuno che scappava, Dio sapeva da cosa e perché. Dal suono che facevano i suoi passi, il fuggiasco doveva avere indosso delle scarpe con i tacchi alti: forse era una prostituta che scappava da clienti troppo violenti.

Almeno, in quel neurone che rimbalzava nel cranio di Alastor, se qualcuno indossava i tacchi doveva essere una donna. Niente mezze misure.

Sfortunatamente per gli aguzzini, uno di questi principi che regolavano la vita di Alastor era che le donne non si potevano toccare neppure con un fiore: per quanto poteva saperne, potevano essere la madre di qualcuno… ed era meglio non dire cosa lui aveva fatto al cane che aveva avuto l’ardire di alzare una mano su sua madre.

Si può solo dire che alzò una mano, perché l’altra stanno ancora cercando di levargliela dalla bocca.

Alastor rimase in attesa, nascosto dietro l’angolo in attesa che la donna in pericolo gli passasse davanti, così da poterlo lasciare divertire con gli assalitori.

Passò avanti a lui una ragazzina dai lunghi capelli scuri e vestita di stracci. Nonostante le scarpe, le sue gambe innaturalmente lunghe le davano una grande velocità.

Ma questo non gli importava molto, così come le ragioni dietro la sua fuga: forse doveva dei soldi a quei tizi, forse si era spinta troppo in là con gli insulti…

Non appena la donna superò Alastor, lui sbucò dal vicolo con il braccio teso, prendendo in pieno collo il primo degli inseguitori. Questo, una volta colpito, fece una capriola a mezz’aria prima di atterrare sgraziatamente di schiena sull’asfalto del vicolo, emettendo in tutto questo tempo solo un gridolino soffocato.

Il secondo, senza ancora accorgersi di cosa stesse succedendo, ricevette un diretto sul volto che percepì come se avesse corso contro un muro e finì con il fare compagnia all'altro già per terra.

Il terzo, infine, fece appena in tempo ad accorgersi che due suoi compagni si erano scontrati contro un muro che aveva girato l’angolo, prima di trovarsi afferrato per la faccia e sbattuto contro la parete. Se la faccia non va alla parete, la parete va alla faccia.

Terminata l’opera, Alastor rimase in piedi, osservando i tre tizi che tentennavano ad alzarsi mentre si massaggiavano il grosso livido sul muso. Si trattava di teppisti estremamente stereotipati: fisico esile e slanciato, occhialoni da sole, naso aquilino, piercing sulle labbra e le narici, una fantasiosa cresta sul capo altrimenti rasato e un linguaggio da strada così abusato da aver perso ogni credibilità e tono di minaccia.

Quando questi riuscirono finalmente a rialzarsi, trovarono Alastor a guardargli in cagnesco massaggiandosi le nocche.

Ricordandosi improvvisamente di non avere a disposizione un fucile anticarro, o almeno una falange romana per difendersi dall'energumeno, il trio si diede alla fuga correndo di gran carriera nella direzione opposta a dov'erano venuti.

Rimasto solo, Alastor udì qualcuno cadere. Voltandosi, riconobbe la donna che stava scappando: uno dei tacchi le si era rotto ed era rovinosamente inciampata su di una pila di sacchi dell’immondizia.

Senza aggiungere una parola, lui la raggiunse con passo pesante.

La ragazza lo guardò, indecisa se essere spaventata o no: ai suoi occhi apparve un omone semplicemente enorme, il volto squadrato pieno di tagli e cicatrici, i capelli scuri che cadevano lisci lungo il volto e il fisico possente, sembrava un blocco di granito animato da qualche incantesimo.

Lentamente, le labbra di Alastor si piegarono in un timido sorriso. Si stava sforzando di apparire affabile, questo era evidente, eppure sul suo volto quel gesto appariva più come uno spasmo che un gesto di galanteria.

Finalmente poteva guardarla meglio: quello che gli era parso un vestito di stracci era una giacca di jeans dalle maniche strappate come andava di moda, una canottiera e un paio di lunghi jeans bordeaux tenuti legati in vita da una coppia di cinture. I capelli, lunghissimi e scuri con fantasiose mesches azzurre, erano raccolti in due interminabili code poste ai lati della testa che scendevano dietro le sue spalle. Era una ragazza dal fisico estremamente slanciato ma atletico, eppure di fianco ad Alastor appariva come un fringuello.

I suoi occhi erano viola ed enormi, Alastor ci si poté specchiare non appena i loro sguardi si incrociarono.

Senza aggiungere una parola, lui allungò una mano per aiutarla ad alzarsi. Aiuto che questa ragazza accettò, non senza qualche titubanza.

Alla fine, quando ritornò in piedi, Alastor parlò con voce grave e tonante «Di solito, in queste occasioni, si ringrazia.»

La donna, ritrovato apparentemente il proprio spirito ribelle, sbuffò guardandolo dritto negli occhi. Quel commento così diretto l’aveva piuttosto infastidita «Cosa ti aspetti, che mi prostri ai tuoi piedi?»

«Mi accontenterò di un grazierispose Alastor, indifferente all'insulto e facendo spallucce.

La ragazza, ritrovato l'equilibrio poco dopo, lasciò la presa sulla mano di Alastor e agitò le mani sui pantaloni per levare lo sporco depositato dopo la caduta, aggiungendo «Devi scusarmi. Sono un po’ scossa… il fatto è che sono in una brutta situazione. Molto brutta…»

Alastor affondò le mani nelle tasche della giacca con il cappuccio, osservando «Non ho molto da fare, questa sera.»

La ragazza rise, ritornando in piedi «Oh, credimi, è una di quelle situazioni che non si risolvono in una serata…»

«Perché allora non cominci con il dirmi il tuo problema?»

Infastidita dall'avere a che fare con uno sconosciuto così insistente, la ragazza incrociò le braccia al petto e si piegò verso la sua faccia, domandando «Posso chiederti per quale motivo vuoi tanto aiutarmi?»

«Perché l’ho appena fatto. Ma, se sei così nei guai come dici, presto ritorneranno. E non mi piace lasciare qualcosa a metà: se si inizia qualcosa è giusto finirlo.»

La ragazza rimase per qualche istante perplessa. La semplicità con cui l'omone avanti a se parlava era tale che istintivamente avrebbe voluto chiedergli da quale fattoria venisse, ma alla fine annuì, sospirando mentre andava a massaggiarsi la testa «E va bene… odio dirlo, ma un aiuto è proprio quello di cui ho bisogno, in questo momento.»

«Ora ragioniamo.» commentò Alastor, annuendo soddisfatto, prima di presentarsi «E comunque, il mio nome è Alastor Sullivan. E tu sei…»

«Aria.» Rispose la ragazza «Mi chiamo Aria Blaze.»


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Capitolo 2
*** In Missione ***


Capitolo 1

In Missione


Il lato buio della città era decisamente una bettola infame, e il luogo dove Alastor portò Aria per ristorare non era decisamente migliore degli altri: in mezzo ad una via, gradevole alla vista e all’olfatto come una montagna di rifiuti organici, il piccolo bar aveva tutto l’aspetto di un luogo dove non ci si sarebbe portato un proprio parente, se gli si voleva bene. E, forse, anche se lo si odiava.

Ma con Alastor al proprio fianco era come se Aria fosse entrata in quel luogo armata fino ai denti, al pari un Rambo di un metro e settanta con il fisico di un'atleta e i capelli lunghi. A prova di questo, quando mise malvolentieri piede nel locale precedendo il suo accompagnatore, uno dei clienti seduti vicino all'ingresso fece un commento molto poco lusinghiero non appena la vide: nel giro di pochi secondi Alastor entrò e, senza dire una sola parola, lo afferrò per i vestiti e lo defenestrò senza troppi complimenti. Il tutto nell'omertà generale, come se quel genere di situazioni fosse la norma e regola.

L'interno del locale, il Black Canary, era un antro buio che rispecchiava l'esterno: la puzza di fumo e una leggera nebbia che nascondeva il tetto, debolmente filtrata dalle scarse e lampeggianti luci al neon, davano a quel luogo e a tutti i suoi clienti un'aria ancora più losca e malfidata di quanto non sarebbero potuti apparire normalmente.

I tavoli, sparsi in ordine apparentemente casuale per la stanza, erano occupati da individui intenti a parlare di affari spiacevoli e a lanciare commenti ben poco lusinghieri su chi viveva nella parte “pulita” della città. Che fossero davvero impegnati a spettegolare in quel modo o stessero solo cercando di distrarsi per non badare alla loro presenza, questo Aria non poteva saperlo.

Qualunque fosse la verità, sia lei che Alastor ricambiarono questo silenzio ignorando a loro volta la clientela del locale e si mossero in silenzio verso uno dei pochi posti rimasti liberi nonostante la discreta folla ancora in piedi.

Si trattava di un tavolo piuttosto in disparte, circondato da una coppia di divani che un tempo dovevano essere di un bel rosso fiammante ma che il tempo, l'umidità e una certa incuria dovevano aver fatto diventare più simile al bordeaux.

Si sedettero e, come un fulmine, arrivarono sul loro tavolo una coppia di tazze di caffè fumante. Il servizio fu tanto veloce che Aria fece appena in tempo a vedere una figura nera e bionda che, non appena lasciò le tazze sul loro tavolo, si allontanò rapidamente.

Così, restando seduti uno di fronte all'altra con le tazze fumanti che nessuno aveva il coraggio di bere subito, Aria e Alastor si guardarono negli occhi per un tempo che parve infinito, prima che lui rompesse il silenzio invitandola a parlare.

«Non sei sicuro di quello che vuoi. E poi, non mi crederesti.» rispose in maniera secca Aria, portando gli occhi sulla calda brodaglia nella tazza, come se ci si potesse vedere qualcosa nel riflesso.

Alastor, serafico, prese in mano la sua tazza e la usò per indicare alcuni soggetti nel locale.

«Lo vedi quel tipo, laggiù? Quello che si muove come se tutti avessero gli occhi puntati su di lui?»

Incuriosita, Aria seguì l’indicazione e trovò il soggetto indicato. Si trattava di un uomo con una felpa bordeaux con il cappuccio visibilmente troppo lunga per lui, un paio di jeans stracciati, l’espressione arcigna e la bocca perennemente digrignata che si agitava da un capo all’altro, come se sentisse delle voci.

«Lo chiamano Bulldog. Quel rozzo bastardo è convinto che Hitler fosse di sinistra.» subito dopo aver presentato un simile individuo con una naturalezza tale da farlo sembrare una persona ordinaria, Alastor spostò la tazza verso un secondo soggetto, il quale al contrario di Bulldog restava seduto ad un tavolo in stato catatonico a guardare il vuoto con la bocca aperta. Un filo di bava gocciolava dalle labbra sulla sua canottiera, ma apparentemente non ci dava peso.

«Lui, invece, è Bobo. Qualsiasi droga abbia preso, gli ha fuso quel poco che aveva sempre avuto di cervello, rendendo qualunque aiuto psichiatrico inutile. Adesso capisce solo il linguaggio della violenza.» non ancora soddisfatto dello “splendore” sociale che lo circondava, puntò la tazza contro un tale che stava allegramente masticando dei datteri, compresi i noccioli, seduto davanti al balcone del bar. Vestiva in maniera stranamente elegante e curata, ma il suo volto aveva una scintilla di sadismo capace di far venire i brividi.

«Lui è El Bastardo. Meglio che non ti dica altro su cosa fa e perché lo chiamano così, avresti gli incubi. Mentre la nostra cara Susy, qui…»

Ritornò, come sentendosi chiamata, la cameriera e Aria ne approfittò per studiarla meglio: era una donnina piccola e dall’aria innocente, i boccoli biondi riempivano la sua testa, gli occhi azzurri, gli zigomi sporgenti, il naso piccolissimo e l’abito pieno di pizzini e merletti la facevano sembrare una bambolina, insolitamente pulita per quella bettola dove lavorava. Giunta nelle vicinanze, versò del liquore nel caffè di Alastor.

«La nostra cara Susy, qui presente, ha nascoste addosso più pistole di quante ne possa contare.»

Aria, sentendo quelle parole, rispose involontariamente sbuffando: per lei quella era una grossolana menzogna, troppo esagerata perché potesse darci credito, così come i disagiati presentati poco fa.

E invece, troppo velocemente perché potesse accorgersene, si trovò un piccolo revolver puntato in mezzo agli occhi. Mentre la prendeva di mira, Susy non la smetteva di tenere le labbra piegate in quel sorriso da bambolina.

«Ma da dove…»

«Ne ho sei, nascoste nell'abito. È un po’ difficile camminare, ma una signorina deve sapersi difendere, dico bene?» risposto questo, Susy ritirò la pistola e si allontanò lasciando la bottiglia sul tavolo.

Insensibile allo spettacolo appena offerto, ultima prova che lui era talmente abituato a quel clima da esserne ormai parte integrante, Alastor sorseggiò il caffè corretto prima di insistere «Allora, qual è la tua storia?»

Aria rifletté per un istante. La sua storia era difficile da credere, ma lo erano anche quei soggetti che le erano appena stati presentati.

Lasciando stare il caffè, Aria afferrò la bottiglia di liquore lasciata sul tavolo e bevve una lunga sorsata. Presa la dose di coraggio liquido necessaria a parlare, iniziò «E va bene, grand'uomo, vuoi la mia storia? Eccoti servito. Io, in realtà, non sono nemmeno del tuo mondo. Vengo da un mondo parallelo a questo!»

«Interessante. Continua.» commentò semplicemente Alastor, bevendo un altro sorso senza staccare gli occhi da lei. Stranamente, non mostrava alcun segno di scetticismo: o era un eccellente attore oppure era davvero interessato.

Aria Blaze svuotò il sacco.

Raccontò di lei e delle sue amiche, Adagio Dazzle e Sonata Dusk: tutte e tre erano creature magiche che, una volta portate a forza in quel mondo, non solo avevano perso la loro forma originale ma anche la maggior parte dei loro poteri.

Pochi mesi prima avevano attuato un piano per recuperarli, ma quando erano arrivate ad un passo dal realizzarlo furono private anche di quella poca magia che possedevano. Prese dal panico, il trio era scappato e aveva tentato di studiare un nuovo modo ancora per recuperare le loro arcane capacità, ma poche settimane dopo il loro fallimento furono aggredite da una banda di tizi simili a quelli da cui lei stava scappando nel vicolo.

Sonata fu la prima ad essere catturata e, dopo pochi giorni in cui cercarono di nascondersi, anche Adagio cadde nelle mani del loro aguzzini. Aria, quando aveva incontrato Alastor, stava giusto scappando dall’ennesimo dei loro tentativi di catturarla.

Non aveva idea di chi loro potessero essere, né per chi lavorassero, sapeva solo che cercavano rigorosamente le Sirene per ordine di qualcuno a cui si riferivano come La Regina e che apparentemente non c'era un solo angolo in tutta la città dove loro non potessero arrivare.

Alastor ascoltò fino alla fine senza parlare o mostrare segnali di scetticismo.

«Sai per lo meno da dove vengono, i tuoi aguzzini?» domandò allora agitando la tazza, ormai vuota, come se dal fondo rimasto dovesse uscire qualcosa.

«È proprio questa la parte più strana: vengono da Equestria!» esclamò Aria, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Equ-che

«Equestria. Uno dei regni di quel mondo da dove vengo anche io. Quando Sonata venne catturata, io e Adagio tentammo ovviamente di salvarla, ma abbiamo fatto solo in tempo a vederla portare attraverso un portale, prima che ci scoprissero e ci costringessero alla fuga.»

«Un portale, eh?» ripeté Alastor, con tono riflessivo. Curiosamente, non c’era sarcasmo nelle sue parole, quasi fosse propenso a credere a quella strana ragazza «E, per curiosità, come fai a sapere che quel portale dovrebbe portare ad Equestria?»

Aria si lanciò in una spiegazione piuttosto complicata, e che Alastor comprese solo in parte, sulla magia e sui viaggi attraverso altre dimensioni. A quanto sembrava, il loro mondo era completamente sprovvisto di magia, ma alcuni artefatti provenienti proprio da Equestria avevano portato nella zona intorno al portale, per la precisione il liceo della città, una scheggia del loro potere magico, impregnando il luogo e rendendolo, di fatto, l’unico sito magico sulla faccia della Terra. Pertanto, se Sonata era stata fatta sparire attraverso un portale aperto in quel luogo, doveva per forza portarla ad Equestria!

Ascoltato, Alastor sospirò rumorosamente, prima di alzarsi infilando le mani nelle tasche della giacca. Una volta in piedi, tirò fuori un mazzo di chiavi che poggiò sul tavolo spiegando «C’è una camera, sopra questo locale. È mia, vai e restaci fino al mio ritorno. Dì a Susy che è per farmi un favore. Non aprire prima che io torni.»

Confusa, Aria inarcò un sopracciglio «Prego?»

«Qualsiasi cosa sia contro di te, deve essere piuttosto grossa. Devo pur prepararmi!»

«Quindi mi vuoi aiutare? E perché?»

Alastor rise, senza mai rispondere.

«Mi credi? Così, su due piedi?» insistette Aria

Alastor fece spallucce, indicando la bottiglia quasi vuota che ancora stava sul tavolo «Ne hai bevuto più di metà e non sei nemmeno arrossita. Questo vuol dire che o hai una straordinaria resistenza all'alcol, oppure che non ne risenti affatto. E, sapendo cosa Susy spaccia per “liquore” sono molto scettico sulla tua resistenza.»

Aria si alzò in piedi, imitando Alastor e guardando a sua volta la bottiglia. Era vero, il contenuto di quella bottiglia dava l'impressione di bere della benzina, ma nonostante le sue apparenze restava una sirena e per quanto forte potesse essere una bevanda, il suo organismo non poteva in alcun modo risentire dell'alcol al suo interno: avrebbe potuto berne anche una cisterna senza avere nemmeno un mal di testa. Solo un brutto sapore in bocca.

«E ti basta questo per credermi?» domandò ancora, troppo incredula sulla condiscendenza di Alastor per credere che fosse bastata semplicemente la sua immunità per convincerlo.

Lui, evidentemente non volendo più aspettare,cominciò ad allontanarsi mentre rispondeva con assoluta sufficienza «Se quello che mi hai detto risulterà essere falso, vorrà solo dire che sei una brava narratrice.»

Aria, sempre più confusa dall’atteggiamento superficiale di quell’uomo, avrebbe voluto fare altre domande, ma lui invece uscì. Venne così affiancata dalla cameriera, la quale le chiese con voce squillante e cristallina «Ti ha lasciato detto qualcosa?»

Dopo un sospiro, Aria si massaggiò le tempie sforzandosi di capire cosa potesse passare nella mente di quell'energumeno, mentre rispondeva alla cameriera «Devo aspettarlo in camera… mi ha detto che è per fargli un favore.»

«Ah, okay.» annuì Susy, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, prima di prendere le chiavi lasciate sul tavolo ed invitarla ad andare con lei.

Aria seguì Susy, seppur goffamente per via del tacco allo stivale ancora mancante, e ne approfittò per fare due domande su Alastor «Mi vuole aiutare, anche se ci siamo visti per la prima volta poco fa!»

La cameriera rise sommessamente, portandosi una mano avanti alla piccola bocca come se avesse appena udito un succulento pettegolezzo «Oh, davvero?»

«Sembri conoscerlo da tanto. Perché fa così?»

«Sono sua cugina.» rispose Susy, facendo spallucce

Aria inarcò un sopracciglio «Non si direbbe!»

Susy ridacchiò ancora «Oh, non credo che Alastor capisca bene cosa voglia dire essere cugini. È grande e grosso, ma credimi se ti dico che dentro resta sempre un ragazzo. Qual è il tuo problema?»

Aria alzò gli occhi al cielo. Una parte di lei cominciava a credere di essersi salvata da degli ignoti rapitori per venire trascinata in un covo di pazzi. Tuttavia, accettando la situazione, spiegò anche a Susy, seppur senza entrare troppo nel dettaglio in questo caso, quale fosse il suo problema.

La cameriera ridacchiò ancora in quel suo modo simile a monete che cadono in un piatto «Non mi sorprende che voglia aiutarti.»

Aria sobbalzò a quella rilevazione così spontanea, come se avesse preso uno spavento «Lo conosco da mezz'ora!» esclamò, allargando le braccia.

Susy rise per l'ennesima volta, fermandosi finalmente davanti ad una porta dove infilò una chiave «Te l'ho già detto. Per quanto grande e grosso sia, per quanto in basso possa dirti di essersi spinto, Alastor resta sempre un ragazzo. E, come tale, è pieno di quei principi, emozioni e convinzioni che accompagnano la crescita, prima che arrivi l'insensibilità di un adulto vero.»

«Che fa nella vita?» domandò Aria, mentre il secco clangore della chiave che girava nella serratura le accarezzava le orecchie.

«Oh, un po' di tutto. Rigorosamente fuori dalla legalità, questo è vero, ma questo per stare vicino alla sua famiglia. È clinicamente incapace di mentire, te lo posso giurare: lo sforzo di immaginare una scusa credibile è troppo per lui.»

La porta si aprì, ma Aria puntò gli occhi su Susy, squadrandola. Era di una testa più alta della cameriera e il fisico molto più sviluppato, di fatto, la metteva in ombra. Eppure, forse per le pistole che teneva nascoste con se, lei non sembrava provare paura nei riguardi della sirena.

«Stai cercando di presentarmelo?» domandò Aria, seccata «Vuole aiutarmi a ritrovare le mie amiche, non dobbiamo uscire insieme!»

La cameriera ricambiò lo sguardo con un largo sorriso «Oh, se volessi combinare qualcosa tra voi due, te ne saresti accorta già da un pezzo. Alastor dice che sono “invadente” e forse ha ragione.» confessò Susy, prima di farsi da parte per lasciare ad Aria lo spazio per entrare dalla porta dell'appartamento sopra il bar.

Invece di entrare subito, la sirena guardò la sua accompagnatrice ancora per qualche secondo, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani strette a pugno, indecisa se la stava prendendo per il naso o era davvero così rimbambita.

«Ha ucciso un uomo. Con le mani. Le sue mani grandi come badili.» confessò improvvisamente Susy, in un soffio come se quel fatto le avesse riportato alla luce dolorosi ricordi «Ma solo una volta!» si affrettò ad aggiungere, spostando lo sguardo.

«Perché?» domandò Aria, entrando finalmente nella stanza e senza più guardare la piccola cameriera, chiedendosi da dove uscisse quella rivelazione.

«Per lo stesso motivo per cui vuole aiutarti.» rispose lei, in maniera enigmatica, prima di allontanarsi lungo i corridoi con la stessa velocità con cui serviva ai tavoli.

Sola e senza molto da fare, Aria chiuse la porta e si guardò intorno nella piccola stanza dove Alastor l'aveva lasciata.

Si trattava di un locale molto spartano, un letto, un comodino, un tavolo con dei pezzi di carta su cui erano scarabocchiati nomi e indirizzi, un armadio con pochi cambi sbrindellati, un piccolo bagno e un cassetto di medicinali.

Lasciando gli stivali di cui uno con il tacco rotto vicino al letto, Aria cercò di scoprire qualcosa di più sul suo nuovo aiutante vagando a piedi nudi, modo decisamente più comodo invece che cercare di restare in equilibrio come aveva fatto fino ad allora. Le parole di Susy sul perché Alastor voleva tanto aiutarla continuavano a rimbalzarle in testa: se il motivo era così chiaro, non sarebbe dovuto essere difficile scoprirlo!

Quando dopo qualche minuto guardò una delle cornici sul comodino vicino al letto, finalmente capì.

Nella cornice c'era una foto in cui era ritratto un Alastor più giovane e con alcune cicatrici in meno sul volto, con un braccio attorno alle spalle... di Aria. O almeno, di una ragazza maledettamente simile a lei, se non fosse stato per il fisico più asciutto e i capelli lasciati sciolti dietro la testa.

Aria imprecò, sedendosi sul letto e chiudendo gli occhi mentre finalmente capiva. Si era trovata tra le mani un energumeno che ancora piangeva il passato.

Istintivamente ricordò quando, alcuni anni prima, lei e le sue compagne avevano incontrato una persona molto simile a Sonata, tranne per il fatto che era da sola e vestita in maniera sorprendentemente elegante. Le tre sirene compresero allora che in quel mondo parallelo esistevano persone molto simili a quelle che c'erano già su Equestria, ma benché i caratteri fossero molto simili, a volte le storie divergevano.

Scoprirono che la controparte di Sonata gestiva un paio di ristoranti e che quella di Adagio era una cantante affermata, ma non ebbero mai alcuna traccia della controparte di Aria.

O almeno, non la ebbero fino a quel giorno. Chissà chi era: forse una parente? Una lontana fidanzata?

Decidendo di ammazzare il tempo cercando di trovare una soluzione a quel mistero, Aria sfilò la foto dalla cornice, cercando di studiare meglio i suoi dettagli.

In rilievo era stampata una data: se era la stessa della foto, doveva risalire a più di due anni prima. E sul retro, in una calligrafia elegante, c'era una firma con il suo nome e una data, di alcuni mesi postuma a quella incisa in rilievo. La foto mostrava lei e Alastor in un parco, alle loro spalle una ruota panoramica, sorridenti mentre guardavano l'obiettivo.

Un improvviso boato la fece sobbalzare: qualcuno stava bussando alla porta.

Guardando la porta come si guardano gli autori di uno scherzo poco gradito, domandò «Chi è?»

«Sono io.» rispose, seraficamente, la voce di Alastor.

Aria andò ad aprirgli, trovandolo con una sacca a tracolla da cui sporgevano un paio di mazze da baseball.

«Ma che cosa...»

Alastor entrò senza tanti complimenti, lasciando Aria chiudere la porta e spiegando «Armi, un kit per accamparsi fuori, qualche provvista... te l'ho detto che mi sarei preparato!»

Aria rimase spiazzata, ma la sorpresa fu ancora più grande quando Alastor tirò fuori dalla sacca una borsa che le passò «Tieni. Sono per te.»

«Cos'è?» domandò lei, prendendo la borsa e guardando dentro. C'erano un paio di stivali, in tutto e per tutto simili ai suoi.

Esterrefatta per il regalo, tornò a guardare Alastor domandando «Ma come... perché?»

Per tutta risposta, Alastor rise divertito «Sarà dura, vuoi affrontare quello che ci aspetta ad Equestria a piedi nudi?»

Ci fu un momento di pausa, nel quale Aria indossò gli stivali nuovi e Alastor terminò di sistemare altra roba nella sacca. Quando finirono, la ragazza si parò davanti ad Alastor, tenendo in alto la fotografia «La mia gemella, qui, chi è?»

Alastor si ammutolì per un istante, come chi viene scoperto con le mani nel sacco. Poi sospirò profondamente, oscurandosi in volto, prima di rispondere in un soffio «Hai detto bene. La tua gemella. Si chiamava anche come te, Aria Blaze. Si chiamano tutti in modo strano, in questa città.»

«E dove si trova adesso?» incalzò Aria, insensibile al cambiamento di umore del ragazzo.

A quella domanda, Alastor strappò dalle mani di Aria la fotografia e la ripose nel comodino, spiegando in maniera lapidaria «È morta. L'hanno impallinata un paio di mesi dopo questa foto. Aveva visto cose che non doveva vedere.»

Alastor si stava ora rivolgendo ad Aria con un tono mai usato prima: le parole gli uscivano a fatica, come se ognuna di loro fosse un pezzo di vetro che, uscendo, gli feriva la gola. Quando lui diede le spalle a lei, calò il silenzio.

Aria agitò lentamente le mani, sforzandosi di cercare qualche parola di circostanza da pronunciare in quelle occasioni, ma presto dovette affrontare il fatto che, semplicemente, non le aveva.

«Ti sarai chiesta perché voglio aiutarti. Perché non mi faccio problemi, anche con la strana storia che mi hai raccontato.» continuò allora lui, voltandosi a guardarla «Vedi, non ho mai fatto qualcosa di cui essere orgoglioso, in vita mia. Ma immagina di potere, forse per la prima volta in tanti anni, avere finalmente la possibilità di rimediare ad uno sbaglio. E non parlo di vendetta, parlo di rimediare davvero a quella volta che hai toppato alla grande. Sapere di aver salvato anche solo una vita. Sarebbe già... qualcosa, no?»

Aria non rispose, ma si ricordò di tutti quelli che Alastor le aveva presentato e collegò rapidamente tutto quello che aveva capito su di lui. Non ci voleva un genio, giudicando le sue parole, a immaginare che la dipartita della gemella di Aria fosse collegata con quell'unico omicidio commesso.

Con le mani. Solo il cielo poteva sapere cosa gli avesse fatto, con la forza che aveva.

Chissà, magari alla fine il suo aiuto sarebbe potuto venirle utile.


Aria e Alastor si stavano incamminando verso il portale che collegava i due mondi in religioso silenzio. Per sicurezza, Alastor teneva stretta in una mano una delle mazze nella sacca: se gli sgherri di questa Regina tenevano il controllo del portale, non era ingenuo prepararsi a suonarle fin dai primi momenti.

Tuttavia l'ora era tarda, dall'Isitituto Superiore di Canterlot non veniva alcuna luce e tutt'intorno alla grande statua del cavallo rampante non si poteva vedere anima viva. Anche così, Alastor preferì rimanere vigile mentre Aria cercava quale delle quattro facciate della base fosse l'ingresso.

Cominciò con il tastare la prima facciata, la toccò prima con titubanza sfiorandola con la punta delle dita, ma vedendo come stesse succedendo niente aumentò la pressione. Ancora niente.

Passò alla facciata a fianco. Ancora vano. E così la terza.

Frustrata, sapendo che le sue compagne erano state portate attraverso quel portale, la pressione che Aria applicava ai pannelli della statua era sempre maggiore: non solo non voleva assolutamente perdere le speranze di riunirsi con Adagio e Sonata, ma il fatto che Alastor fosse proprio dietro di lei rischiava di farle fare davvero una brutta figura, situazione che il suo orgoglio le imponeva di evitare.

Al limite della disperazione dopo il terzo buco nell'acqua, Aria letteralmente caricò il quarto pannello: se avesse fallito anche lì, per lo meno la botta che avrebbe preso le avrebbe fatto dimenticare la situazione.

E invece, come se si fosse tuffata in uno specchio d'acqua, Aria venne completamente inglobata dalla parete e sparì al suo interno in un fascio di luce.

Scoprendo la sparizione della sua compagna, Alastor imprecò prima di chiamarla «Aria!» e gettarsi con lei attraverso la statua.


Così, Alastor Sullivan e Aria Blaze attraversarono il portale tra i due mondi.

Per loro fu come fare delle montagne russe dentro un tunnel tempestato di luci e colori alle pareti. L’aria abbandonò i loro polmoni già nei primi istanti, rendendo impossibile anche solo urlare.

Alla fine del tunnel, entrambi finirono con il tuffarsi in una immensa luce bianca che li accecò per qualche istante.


Mentre il mondo intorno a loro riprendeva lentamente i colori, Alastor si alzò da terra barcollando e guardandosi intorno. Si sentiva provato, le gambe gli tremavano e anche solo il parlare gli veniva difficile.

Fortunatamente era solo, tranne per Aria che mostrava di sentirsi esattamente come lui dopo il viaggio, altrimenti avrebbe avuto delle grandi difficoltà.

Si trovavano in un'ampia sala circolare, dove le pareti erano piene di scaffali colmi di libri, tutti dalle copertine cartonate e vivacemente colorate. Le pareti che non erano nascoste dalle librerie erano di un materiale simile al cristallo, con ampie finestre finemente decorate e gingilli e vasi e stendardi appesi un po' ovunque nelle pareti.

Con lo sguardo incrociò quello che doveva essere un pupazzo simile ad una lucertola viola con le scaglie verdi che guardava entrambi con le zampe artigliate poggiate sulla bocca.

«Tsk... peluche di rettili?» mormorò Alastor, seppur emettendo in questo modo solo un gorgoglio confuso.

Aria si girò verso il mostriciattolo notato dal protettore e subito lo riconobbe «Quello è un drago!»

«Ma se mi arriva al ginocchio, contando la cresta!»

Incurante del loro battibecco, il draghetto sembrò uscire improvvisamente dallo stato catatonico in cui si trovava e corse a perdifiato fuori dalla stanza, gridando un nome che Alastor non capì, al contrario di Aria.

Imprecando, la ragazza ordinò di allontanarsi il prima possibile da dove si trovavano.

«Perché?» domandò Alastor, quasi involontariamente, mentre la seguiva fuori dalla stanza

«Se il drago è chi penso che sia ed è andato a chiamare la stessa Twiliek che conosco io, allora dobbiamo andarcene. E in fretta!»

«Twiliek?» ripeté lui.

Si trovarono entrambi in un largo corridoio e proseguirono con passo spedito in una direzione scelta casualmente dalla ragazza, la quale rispose «Twiglit, Lituith o comunque si chiami. Fatto sta che meno io e lei ci incontriamo, meglio è!»

A quelle parole svoltarono, trovando a tagliare loro la strada un cavallo, con il draghetto che puntava un artiglio contro di loro.

Era un cavallo fatto e finito, con una lunghissima criniera bionda raccolta, ironicamente, in una coda di cavallo. Sorte simile per la sua coda. Innaturalmente grandi occhi verdi lo guardavano con stupore e un cappello da cowboy sul capo la risaltava, oltre al manto arancione e uno strano tris di mele rosse tatuato sul fianco.

«Ma dove diavolo siamo finiti?» biascicò Alastor, incredulo a quello che vedeva.

«Ti trovi a Ponyville, zuccherino!» rispose il cavallo con il cappello.

Aria aprì la bocca per imprecare, quando qualcosa li colpì alle spalle. Nessuno, né Aria né Alastor lo aveva sentito arrivare o avrebbe saputo dire di cosa si trattava, ma per loro fu come se qualcuno li fosse saltato sulla schiena all'improvviso.

Provati dal viaggio, l'orario e dal colpo subito a tradimento, i due ragazzi caddero, privi di sensi, sul pavimento.

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Capitolo 3
*** Benvenuti ***


Capitolo 2

Benvenuti


In mezzo all'oscurità in cui era piombato, Alastor riacquistò i sensi all'improvviso, come se si fosse appena svegliato da un incubo.

Sussultando, aprì gli occhi e cominciò a guardarsi intorno, ansimante.

Si trovava lungo disteso su di un letto decisamente troppo piccolo per lui: le braccia erano a penzoloni fuori dal materasso e le gambe uscivano dai bordi in legno per poggiare i piedi a terra. Era sdraiato prono in una stanza vuota, se non fosse stato per il letto su cui era sdraiato al centro della sala e le poche finestre sparse ai lati.

Diversamente a dove era arrivato non appena superato il portale, questa volta le pareti erano di legno, non di luccicante cristallo, così come tutto il resto dell'arredamento.

Rotolò, cadendo sgraziatamente dal letto, nel tentativo di alzarsi. Quando picchiò a terra, una fantasiosa imprecazione uscì prepotentemente dalle sue labbra, prima che stringesse i denti e cercasse di arrampicarsi al letto per ritornare in piedi.

Entrò nella sua stanza un nuovo cavallo, questa volta giallo dalla criniera rosa elegantemente pettinata da un lato, che lo guardò con un paio di occhi verdi brillanti.

«Oh, perdonami... ti ho sentito urlare, ma non avevo capito se stessi chiedendo aiuto o mi stessi chiamando e perciò...» balbettò lei, poco dopo aver messo le zampe nella stanza.

Alastor aveva fatto appena in tempo a mettersi in ginocchio avanti al letto aggrappandosi disperatamente alle sbarre e al materasso, quando il pony paglierino aveva fatto il suo ingresso. Anche se si stava lentamente riprendendo, ancora sentiva un brutto sapore in bocca, come se stesse ancora digerendo il pranzo di una settimana prima, e poteva giurare di sentire qualche passero cantare intorno alla sua testa.

«E tu chi...» riuscì a mormorare, con un filo di voce

«Oh, perdonami!» esclamò di nuovo, quasi quelle due parole fossero per lei un intercalare «Io mi chiamo Fluttershy, ti trovi a casa mia adesso. Non stavi molto bene e così...»

Mentre il pegaso si rivolgeva a lui, parlando con un filo di voce quasi temesse che lui avrebbe potuto mangiarla in qualsiasi momento, Alastor chiese uno sforzo aggiuntivo alle ginocchia per alzarsi sulle gambe. Una volta in piedi, pur senza mollare la presa sul letto, domandò «Dov'è Aria?»

«Aria?» ripeté Fluttershy, non sapendo evidentemente a chi appartenesse quel nome.

Seccato, Alastor le riservò il suo sguardo più minaccioso possibile, mentre stringeva i denti cercando invano di mantenere l'equilibrio senza appoggiarsi a qualcosa. «La ragazza che è arrivata qui con me. Dove si trova?»

Il pony parve destarsi e, sussultando, si voltò come se potesse trovare cosa poteva dire scritto sulle pareti e rispose «Oh, non so dire cosa sia successo alle tue cose o ai tuoi compagni. Di quello se ne occupava Twilight.»

Per Alastor, udire quel nome fu come uno shock.

Twilight.

Ecco qual era il nome che il drago aveva chiamato. Perciò poteva essere la creatura che Aria non voleva assolutamente incontrare. E adesso, Aria era scomparsa.

Era solo la terza volta che udiva quel nome, eppure già gli donava brutte sensazioni.

L'umano gettò sul pegaso uno sguardo che avrebbe potuto fermare il ticchettio di un orologio e domandò, scandendo accuratamente ogni parola in maniera estremamente minacciosa «Dove si trova questa Twilight?»

«Oh, no! Non puoi andarla a trovare adesso!» esclamò Fluttershy, apparentemente incurante delle minacce, ritornando a guardare l'umano e cominciando a volare verso di lui. Alastor aveva finalmente lasciato la presa sul letto, ma gli sembrava di camminare sospeso a diversi metri dal suolo.

Alla fine, aiutato dal pony con lui, venne messo a sedere sul materasso e il mondo smise improvvisamente di girargli intorno alla testa. Neppure la spazzatura travestita da liquore che comprava Susy lo aveva mai messo così fuori gioco.

«Sei ancora troppo debole, devi riprenderti bene prima di spostarti!» esclamò il pony, mentre lo sistemava. Aveva abbandonato il tono basso e timoroso di poco prima, quasi la preoccupazione per le sue condizioni fisiche superasse la naturale paura che lei provava nei suoi confronti.

Tuttavia, Alastor non cambiò espressione o atteggiamento nei confronti dell'inusuale crocerossina. Gli era stato detto che in quel mondo così strano avrebbe incontrato delle minacce e quel pony si stava comportando in maniera anche troppo gentile, nei confronti di un perfetto estraneo, perché potesse darle fiducia.

Non appena finì, il pegaso tornò ad allontanarsi da lui, rivolgendosi all'umano con un sorriso materno sulle labbra.

«Adesso risposati, quando avrai bisogno di me chiamami e sarò da te in men che non si dica!»

Detto questo, senza aggiungere altro, il pegaso lasciò la stanza chiudendo la porta dietro di se. Alastor ebbe l'impressione che avesse anche chiuso la porta a chiave, ma era ancora troppo intontito per esserne certo.


Passò il tempo e presto ne perse la cognizione. In tutto quel periodo nessuno si fece vedere né sentire e oltre l'eco lontano di qualche animale non si udiva altro suono.

Se non altro nel frattempo la testa aveva finalmente smesso di ronzare e l'umano aveva lentamente ritrovato il suo senso dell'equilibrio.

In piedi, percorse più volte la stanza a grandi cerchi fino a quando, spazientito, non cominciò a bussare alla porta. Non provò nemmeno a vedere se era davvero chiusa come pensava o no.

Arrivò in gran carriera la padrona di casa, la quale una volta che vide Alastor in piedi esclamò «Oh, vedo che stai meglio!»

«Quando arriva questa Twilight? Sono passate ore!» rispose in maniera seccata lui, ignorando lo stato d'animo del pegaso e appoggiando i pugni sui fianchi senza spostarsi dalla porta.

«In questo momento Twilight è molto occupata. Ma posso assicurarti io, sei in grande forma!» esclamò lei, felice nonostante l'atteggiamento scontroso di Alastor

«E la mia borsa? Dove accidenti è finita?»

«La sto cercando come te. Forse Twilight ha anche quella, o forse è andata persa... confesso che non so come funziona il viaggio attraverso i mondi.»

Quest'ultimo dettaglio attirò l'attenzione di Alastor «Come sai del viaggio nei mondi?»

«Be', Twilight ha viaggiato nel tuo mondo... un paio di volte, almeno. E poi credo ci sia ancora un altro pony che vive tra voi, ma non ricordo come si chiama.»

Alastor non fu entusiasta di questo nuovo particolare che gli avevano appena confidato. Anzi, il fatto che quei pony fossero già pratici del viaggio attraverso le dimensioni lo preoccupava: quali prove aveva, lui, per pensare che gli sgherri da cui Aria tentava di scappare non fossero proprio quelle creaturine colorate?

E dov'era Aria? Perché non erano stati lasciati insieme?

La sensazione di averla persa, dopo aver promesso di aiutarla, gli pesava nel petto come un macigno.

Fece per uscire, dicendo «Non posso restare qui.»

Fluttershy spiccò il volo e gli si parò davanti «Non credo di potertelo lasciar fare.»

Alastor non reagì. Semplicemente si fermò e la guardò inarcando un sopracciglio «Fluttershy... sai che non è una buona idea.»

Fluttershy, per tutta risposta, spostò lo sguardo dietro di sé per chiamare un certo Angel. Subito dopo entrò nella stanza con l'umano un coniglio bianco, così piccolo che tutto insieme poteva essere grande quanto un piede, il quale una volta arrivato allungò un biglietto verso di lui.

Alastor lo afferrò, leggendo il suo contenuto mentre Fluttershy spiegava cosa volesse dire. Aiuto che non si sentì di rifiutare, poiché poche volte nella vita aveva visto una scrittura peggiore di quella davanti ai suoi occhi. Sembrava scritta tenendo la penna tra i denti!

«Twilight sta dando una grande festa al suo castello, oggi. Per questo, come ti dicevo, è molto impegnata e non ti abbiamo lasciato laggiù. Mi ha chiesto, però, di accompagnarti da lei non appena ti saresti rimesso.»

Alastor abbassò il biglietto rispondendo semplicemente «Andiamo ora.»


L'umano e il pegaso cominciarono a vagare lungo le vie di Ponyville, diretti al castello di Twilight. Mentre Fluttershy avanzava con un intramontabile sorriso sul volto, Alastor non smetteva di guardarsi intorno, cercando nel frattempo di ignorare le occhiate incuriosite dei pony che incrociavano. Evidentemente quelle creature erano tanto colorate quanto curiose.

Ma ancor più che le azioni dei passanti, era l'intera vita intorno a lui ad impressionarlo, talmente aliena rispetto a quello a cui era abituato che era impossibile che non la notasse.

Ponyville sembrava ordinata e colorata così come i suoi abitanti: le case in legno e i tetti di paglia si alzavano dal terreno collinare riempiendo il paesaggio, lasciando tuttavia un aspetto che aveva ben poco di artificiale, anzi si mimetizzava perfettamente tra gli alberi e la vegetazione.

La popolazione, oltre a quelle impegnata a studiare Alastor, camminava, o qualunque fosse la parola esatta per un cavallo, con lo sguardo avanti a se e le labbra piegate in un intramontabile sorriso, come se questo loro comportamento fosse stato imposto in qualche modo. Tuttavia, se così era, non davano a vedere lo sforzo.

La strana coppia arrivò a destinazione dopo pochi minuti. Si trovavano davanti ad un enorme castello simile al tronco di un albero con l'eccezione delle torrette sulla cima e di una grande stella a sei punte scolpita nel tronco. Dai cornicioni dei terrazzi numerose stelle filanti danzavano sospinte dal vento, come se avessero voluto fare compagnia a quei pony sotto e sopra di loro che ballavano seguendo un ritmo proveniente da qualche punto imprecisato dell'edificio.

La musica e il vociare degli invitati alla festa creava una cacofonia di rumori che rendeva difficile, se non impossibile, concentrarsi a fondo. Infatti, passò poco tempo prima che Alastor perdesse Fluttershy tra la folla e si trovasse coinvolto in discussioni con altri pony che lo guardavano e gli parlavano come se fosse stata lui la bestia proveniente da lontano.

La parte brutta di quella situazione era che era proprio così!

Senza però dimenticarsi il motivo per cui si trovava lì, ovvero scoprire la posizione di Aria, Alastor cominciò a chiedere informazioni sulla padrona di casa ogni volta che ne aveva occasione, ottenendo in risposta solo tanti aneddoti.

«Ah, Princess Twilight Sparkle! Pony così ne nascono una volta ogni mille anni!»

«Ho sentito dire che può rivoltare un'intera città come un tappeto, con la sua magia!»

«Cosa ti aspettavi, da una che è stata in grado di affrontare draghi e manticore a muso duro!»

«Per non parlare di tutti gli appoggi che gode, non solo a Ponyville ma per tutto il mondo!»

«Non mi aspetterei diversamente, da qualcuno che ha affrontato e sconfitto colossi come Nightmare Moon, Tirek o Queen Chrysalis!»

Ben presto, Alastor capì che l'aura di meraviglia che si era creata intorno alla figura di Twilight Sparkle era tale che su di lei bisbigliavano meravigliati anche soggetti che avevano ben poco di cui parlare, al mondo. Alla fine, preferì cercarla da solo.

Tra una giravolta per evitare camerieri con calici, uno slalom tra i gruppi fermi a parlare e un aneddoto su cosa Princess Twilight Sparkle avesse fatto o meno nella sua vita, Alastor riuscì finalmente ad arrivare in uno dei terrazzi del castello che davano sulla piazza davanti all'ingresso.

I tavoli disposti in ordine quasi maniacale sembravano nascondersi nella mischia di pony, grandi come puntini a quell'altezza; bevande e lustrini colorati sfilavano sotto di lui, mentre la musica non cessava di farsi sentire, sempre e rigorosamente con lo stesso tono, come se fosse stata appesa da qualche parte vicino alle orecchie.

«Allora? Festa divertente, non è vero?» domandò, ad un certo punto, una voce dietro di lui.

Alastor si voltò verso la fonte, ammettendo seccamente «Sì, è impressionante. Dai cibo gratis e di sicuro verranno a decine. Ma non sono qui per festeggiare.»

Sulla terrazza c'era un grande viavai di pony e la musica continuava a farsi sentire, costringendo l'umano e il pony ad alzare la voce per parlare tra di loro. Alastor mostrò il biglietto tirandolo fuori dal gilet e cominciò ad allontanarsi dal pony, spiegando «Ho avuto un invito, mi chiedo quanti qua sotto ce l'abbiano. Non ho mai visto questa Twilight Sparkle, ma tutti ne parlano come se fosse la cugina del diavolo! Riuscirò a trovarla, presto o tardi!»

Fu quando si trovò a pochi passi dalla porta che la musica cessò improvvisamente, assieme al vociare degli invitati: tutto scorreva esattamente come prima, ma nemmeno un sussurro arrivava alle loro orecchie.

La meraviglia dell'improvviso silenzio sorprese Alastor, il quale si fermò e si voltò verso il pony lilla con cui stava parlando.

«Forse non sono stata una buona padrona di casa. Perché vedi, Alastor Sullivan...» disse la giumenta, voltandosi sorridente verso l'umano «Sono io Twilight Sparkle.»


Alastor e la principessa si ritirarono da parte nel castello per parlare lontani da occhi e orecchie indiscrete. Durante il tragitto, l'umano scoprì che l'improvviso silenzio, così come la musica che si poteva udire dovunque, era merito della padrona di casa e delle sue incredibili doti magiche. Apparentemente la magia era una forza molto comune in quel mondo e chiunque possedesse un corno sulla fronte, gli unicorni, era in grado di usarla.

Quando la coppia trovò una stanza isolata dove parlare tranquillamente, Alastor cominciò senza fare troppi giri di parole «Ho bisogno di alcune risposte e le voglio ora

«E allora fai le domande.» ribatté Twilight guardando l'umano negli occhi senza battere ciglio.

«Dov'è Aria Blaze?»

Per una frazione di secondo, l'espressione sul volto di Twilight si incupì. Fu una sensazione molto passeggera, ma grazie alla preoccupazione che Alastor provava per la sua compagna scomparsa, divenne evidente come un fulmine a ciel sereno

«Aria Blaze?» ripeté la principessa, senza aggiungere altro.

«Sì. Aria Blaze. È alta, capelli scuri lunghi, raccolti in due code. Occhi viola... bella. Indiscutibilmente bella e...»

«So perfettamente chi sono Aria Blaze, Sonata Dusk e Adagio Dazzle.» ribatté Twilight, interrompendo Alastor con un tono molto più duro di quanto lei volesse pronunciare. Pareva quasi che provasse un certo astio per quel trio che non riusciva nascondere «Quello che mi preoccupa è come tu le stia cercando.»

«E tu come...»

«Se credi di sapere chi sono loro tre... sei solo un illuso.» concluse la principessa, prima di alzarsi in volo e guardare Alastor direttamente negli occhi «Le tre sirene, o le Dazzling, come a loro piace farsi chiamare, sono infinitamente più pericolose di quanto possano sembrare. Io ho visto di cosa sono capaci. E non posso non preoccuparmi per te, vedendo come chiami una di loro per nome

«È per questo che, come siamo arrivati, ci avete colpito alle spalle?»

Twilight inarcò un sopracciglio «Colpiti?»

«Sì, colpiti!» esclamò Alastor, alzando le braccia al cielo «Eravamo arrivati in questo castello, riconosco le pareti, da nemmeno cinque minuti, abbiamo incontrato due dei tuoi e qualcosa ci ha colpito entrambi alle spalle. Non siete voi il motivo per cui siamo qui, perché ci dovreste attaccare?»

«Quando vi ho visto, avevate intorno a voi Spike, Applejack e Rainbow Dash. Io vi ho visto già svenuti... ma se non fosse stata una di loro a rendervi inoffensivi, lo avrei fatto io.»

Quella risposta così sincera sconvolse Alastor «Cosa? Perché?»

«Te l'ho detto. Perché so cosa sono capaci di fare le Dazzling. Io le ho viste all'opera, per giunta in un mondo quasi completamente privo di magia... e ora mi dici che sono tutte e tre qui, ad Equestria. Hai una singola idea di quanto possa essere pericoloso, tutto questo?»

Alastor ascoltò le parole di Twilight, non senza un certo fastidio. Alla fine, cercando di non gridarle contro, spiegò «Ascoltami, io non ho mai visto le altre sirene e non so di che cosa tu stia parlando. Ma ho promesso di proteggere Aria fino a che non avrà trovato le altre e...»

«Aspetta!» lo fermò la principessa «Vuoi dirmi che tu non sai dove siano le altre sirene?»

«È quello che voglio scoprire.» rispose Alastor, squadrando Twilight «Perciò te lo chiedo solo un'ultima volta: dove- sta- Aria- Blaze

La principessa, per tutta risposta, indicò fuori con lo zoccolo «Sai cosa stiamo festeggiando, oggi?»

«Cosa?»

«Oggi è esattamente un anno da quando sono diventata principessa. È un anno che proteggo questa gente da tutti i pericoli del mondo. E, avrai capito, sono tanti. Non smetterò perché ci sei tu

Alastor puntò un dito contro l'alicorno, spazientito di non trovare risposte «Se scopro che le hai fatto qualcosa...»

«Sei arrivato qui, di punto in bianco, e credi di avere già le idee chiare su cosa ti circonda?» lo interruppe Twilight, facendo abbassare la mano ad Alastor con un incantesimo.

I due si scambiarono uno sguardo gelido per alcuni istanti. Ad Alastor non piaceva affatto quell'unicorno alato e lei non si fidava di Alastor; non si sforzava nemmeno di nasconderlo.

«Adesso ti trovi a Ponyville. Questa è casa mia. Perciò, hai solo due scelte: o obbedisci alle regole e ti fidi di me, oppure fai di testa tua. Ma se torcerai anche un solo crine alle mie amiche... te lo giuro su Princess Celestia, verrò per fartela pagare.»

«Mi stai minacciando?» chiese Alastor, sorridendo divertito. Un divertimento che sapeva anche di scherno «Mettiti in fila!»

Passò qualche altro secondo e Alastor chiuse la loro conversazione abbandonando la sala e sbattendo la porta dietro di se.

Sola, Twilight agitò lentamente il capo, poi pensò a voce alta che per lo meno aveva un piano di riserva e infine si teletrasportò in un'altra ala del castello.


La città di Ponyville, anche lontano dal castello di Twilight, era sicuramente colorata. Anche troppo, per i gusti del ragazzo. Mentre avanzava tra le vie pulite e lucenti del posto Alastor ebbe l'impressione che tutti lo stessero ancora osservando, ma non poteva certo biasimarli per questo: anche lui, se avesse visto girare per i suoi vicoli un cavallino colorato come loro avrebbe per lo meno rovesciato nella fogna più vicina qualsiasi cosa stesse bevendo.

Tuttavia, presto lo stupore che poteva giustificare la curiosità degli altri pony finì con il mutare in un vero e proprio clima di sospetto: ad ogni gruppo dove lui passava, le vive chiacchierate tra di loro si interrompevano come macchine a cui viene staccata la spina, per riprendere in un brusio sommesso ogni volta che lui li superava.

Di cosa parlavano? Parlavano del suo aspetto o di lui?

Ma ancora più di questo, ad Alastor premeva di sapere le sorti di Aria. Dov'era finita? Perché nessuno voleva, o poteva, rispondergli?

I suoi pensieri vennero interrotti da un pony dal manto celeste e la criniera bianca in disordine avvolto in un camice che, senza troppi complimenti, gli saltò al petto.

Alastor era grande e grosso, ma quei pony così tondi pesavano almeno quanto lui; questo fattore, misto alla sorpresa, lo fece finire gambe all'aria con il pony tra le braccia.

Ricambiando lo sguardo del suo aggressore, Alastor notò come il suo volto fosse contratto dalla follia: i denti stretti, il sorriso tirato al punto da mostrare le gengive, gli occhi sgranati quasi fuori dalle orbite e una tempesta di tic che rendevano impossibile per l'equino restare immobile lasciavano ben poco da sperare sulla sua salute mentale.

Fortunatamente per l'umano, con tutti quei degenerati che aveva incontrato nei bar malfamati della città, sapeva come comportarsi con individui del genere.

Con un colpo di reni riuscì a girarsi scacciando il pony e immobilizzandolo a terra con le mani non appena ne ebbe l'occasione.

«Non muovere un muscolo!» lo minacciò, mentre faceva per cercare a chi lasciare la custodia di quel soggetto a rischio. Ma prima che potesse chiamare anche un solo individuo, la voce del pony lo fece distrarre.

«Ti stanno osservando!» esclamò, tremando

«Cosa?» domandò lui, lasciando la presa per lo stupore di quelle parole. Piccola libertà che il pony usò subito per liberarsi e gettare nuovamente a terra Alastor. Nonostante il loro aspetto innocuo, possedevano tutta la forza di un cavallo adulto.

«Ti stanno osservando!» ripeté «Ti controllano. Ti ascoltano. Studiano i tuoi movimenti. Sono concentrati su di te! E tu non puoi fare niente per impedirlo! Niente! Niente

Il pony cominciò a ridere, una risata isterica che gli faceva tremare il corpo, prima di galoppare in maniera scomposta e disordinata in una direzione a caso, sbraitando che non l'avrebbero mai presa.

Di chi stava parlando? Chi poteva osservare lui da lontano?

Alastor rimase a guardare quel pony pazzo con la bocca socchiusa e i denti stretti, non sapendo proprio come reagire a qualcosa di simile.

«Ti stanno osservando! Ti stanno osservando!» ripeté ancora il pazzo tra le risate, prima di sparire tra i vicoli di Ponyville.

Rimettendosi lentamente in piedi, Alastor si guardò intorno. Tutti i presenti lo guardavano come se non sapessero cosa fare, alcuni vestiti da infermieri avevano cominciato a galoppare dietro il fuggiasco.

Lui, invece, affondò le mani nelle tasche e cominciò ad allontanarsi con passo sempre più spedito lontano dalla folla.


Uscì dal paese e si ritrovò nelle vicinanze della stessa foresta fitta e buia che aveva visto vicino a dove si era svegliato, a casa di Fluttershy.

Si tuffò all'interno della vegetazione, cercando un posto dove avrebbe potuto riflettere. La situazione in cui si trovava era molto più difficile di quanto fosse abituato ad affrontare e doveva spremersi per bene le meningi. Inoltre, se davvero qualcuno lo stava spiando a Ponyville, era meglio sparire per un po'.

Non aveva prove per rendere ufficiali i suoi sospetti, ma l'impressione che Twilight e tutti gli altri pony gli nascondessero qualcosa era troppo forte per essere ignorata e le parole di quel pony fuori di melone gli avevano fatto gelare il sangue nelle vene.

Era palesemente pazzo, ma chi poteva garantirgli, in una situazione come quella, che non fosse casuale? Che le sue parole corrispondessero al vero?

E se anche i suoi fossero stati solo vaneggiamenti, allora che fine aveva fatto Aria? Twilight aveva praticamente confermato che la teneva con se! Ma perché nasconderla? Perché non tenere lui e lei assieme? Che motivo poteva avere di tenere la presenza della sirena un mistero? E a che cosa si riferiva, quando diceva di sapere di cosa Aria sia capace, quando è assieme alle sue amiche?

In preda a queste domande, troppe perché potesse trovare una risposta, Alastor vagò fino a perdersi completamente nella vegetazione.

Convinto che in quel luogo, tra l'erba alta, i cespugli selvatici, i rovi e la vite che avvolgeva i grandi alberi che oscuravano la luce della luna, fosse al sicuro, Alastor si fermò per riprendere fiato.

Riflettendo, giunse alla conclusione che giravano ancora troppi misteri intorno a Ponyville perché potesse davvero fidarsi, perciò scelse che poteva approfittare della situazione per spostarsi in un'altra città, lontano da Twilight e quei pazzi intorno a lei, riorganizzarsi e finalmente trovare dove tenevano Aria.

Avanzò ancora per qualche metro, con passo più calmo rispetto a prima. Non aveva idea di dove si trovasse un'altra città, tanto meno come arrivarci, doveva perciò mantenere le energie per affrontare una lunghissima camminata.

Fu un rumore improvviso, un ramo spezzato, a distrarlo.

Non si accorse di cosa accadde dopo, se non quando fu troppo tardi.

Un fulmine verde apparve dal nulla, investendolo in pieno petto.

Il colpo fu tale che venne sbalzato indietro di un paio di metri, finendo dentro un cespuglio che lo sporcò dalla testa alla punta dei piedi con foglie secche, fango e muffa.

Non fece in tempo nemmeno ad alzarsi che un altro fulmine fece per piombare su di lui. Questa volta, però, fu lesto a rispondere e tirò un gancio che si scontrò con la meteora che altrimenti lo avrebbe investito, buttandola a lato.

Questa si rivelò essere una strana creatura nera deforme, ma dall'altezza e dai lineamenti ad Alastor parve essere uno di quei pony che aveva trovato a Ponyville.

Fece appena in tempo ad alzarsi in ginocchio e a riconoscere la creatura che lo guardava in cagnesco massaggiandosi la mascella con lo zoccolo, prima che qualcosa lo colpisse in mezzo alle scapole, gettandolo di nuovo in mezzo alla vegetazione con un altro volo.

Quello doveva essere un colpo non programmato, perché in quest'occasione Alastor rotolò fino ad arrivare dentro ad un fiume, abbastanza profondo da affondarci se restava almeno inginocchiato.

I colpi subiti gli dovevano aver procurato dei bei lividi, ma quel che era peggio era che lui non sapeva quanti di quei mostri lo stavano seguendo.

Conscio di questo, approfittò della profondità dell'acqua per spiare quanti abomini sarebbero usciti dalla vegetazione. Sbucarono solo due: uno si diresse proprio verso la sua direzione, come a verificare che non avesse attraversato il fiume, mentre il suo compagno seguì la riva.

Due nemici poteva ancora affrontargli. Gli avevano anche mollato delle signore sberle... il minimo che poteva fare era restituire il favore!

Aspettò che il primo dei suoi inseguitori arrivasse sopra di lui per saltare fuori dall'acqua come un mostro marino, lo afferrò per la testa e lo trascinò sott'acqua con lui, prendendolo di sorpresa.

La creatura lo fissò senza capire, come se ancora non avesse realizzato cosa stesse succedendo. Senza perdere tempo, tuttavia, Alastor approfittò dello slancio della sua cattura per fargli picchiare violentemente la testa sul terreno sassoso del fiume per fargli perdere i sensi.

Quello che udì fu un sonoro “tock!” e intorno al capo della creatura apparve una costellazione di stelle e bolle.

«Ma dove sono finito, in un cartone animato?1» si chiese, osservando questo particolare, mentre trascinava la sua vittima a riva. Avrebbe voluto sapere perché lo avevano attaccato, ma prima doveva pensare all'altro mostro che lo seguiva.

E fu proprio qui la falla nelle sue azioni: era piuttosto ingenuo credere di poter sbucare dall'acqua, far perdere i sensi a uno dei suoi aggressori e portarlo a riva... senza che il suo compagno se ne accorgesse!

Alastor fece appena in tempo a lasciare il suo aggressore sdraiato nel fango della riva, che una nuova meteora verde arrivò diretta ancora una volta a lui.

Tuttavia, se Alastor peccava in acume, disponeva di una resistenza sufficiente per fargli attutire l'attacco al petto afferrando la testa del suo avversario una volta colpito, rimanendo agganciato.

Purtroppo però non era abbastanza saldo sul posto da fermare il suo avversario ed entrambi si trovarono a volare, abbracciati uno all'altro, sopra il fiume.

In volo, i due avversari si scambiarono alcuni colpi poco convinti, qualche zoccolata e pugno: troppa era la concentrazione della creatura della foresta nel mantenere la velocità per colpire con forza e Alastor doveva mantenere a tutti i costi la presa sulle orecchie della creatura, se non voleva essere sbalzato chissà dove a quella velocità.

Alla fine, tuttavia, l'insieme di fattori dovuto alla velocità, la situazione precaria e il disordinato duello in volo portarono i due sfidanti a sfondare nella vegetazione al capo opposto della foresta, cadere rovinosamente a terra e rimbalzare in due direzioni opposte per diversi metri.

Alastor terminò la sua corsa picchiando contro un albero. Imprecò rumorosamente all'impatto per via del dolore, forse qualche costola doveva esserglisi incrinata.

Tuttavia dovette portarsi rapidamente una mano sulla bocca, avvertendo un rumore di passi avvicinarsi a lui. Sforzandosi di ignorare la lunga fila di botte ricevute in pochi minuti, si alzò e corse tra la vegetazione in direzione opposta, cercando di mascherare il suo passaggio correndo tra i cespugli, gli alberi e facendo attenzione a passare il più possibile sulle rocce per non lasciare tracce.


Non seppe mai per quanto tempo corse, ma alla fine uscì dalla vegetazione per trovarsi davanti a una piccola città di periferia che riconobbe a prima vista.

Ponyville.

Di nuovo.

Avanti a lui, Twilight, Fluttershy e altre quattro pony lo guardavano con un misto di preoccupazione, dovuto allo stato in cui si trovava, e divertimento.

«Non sei andato molto lontano!» ironizzò Twilight, vedendolo piegato, bagnato, sporco, con il fiatone e una mano sul petto, dove sentiva il maggiore dolore.

Imprecando, Alastor ignorò l'insulto domandando «Come si fa ad uscire da qui?»

La risposta di Twilight arrivò dopo un momento di silenzio.

«Non puoi.»


1Per senso del pudore, sono state omesse imprecazioni e ben poco gloriosi aggettivi espressi da Alastor

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Capitolo 4
*** Riunione ***


Capitolo 3

Riunione


Alastor venne medicato da un misto di medicina tradizione che sapeva riconoscere e magia, quest'ultima dovuta alle abilità della stessa Twilight.

Un brutto pensiero lo assalì in quei momenti: sapeva come comportarsi con dei farabutti armati di pistole e coltelli, ma cosa fare con qualcuno che può sollevarti come una piuma con un pensiero?

Se non altro dovevano volerlo vivo, per farlo rimettere in sesto così in fretta.

Gli chiesero anche cosa avesse incontrato nella foresta, ma a parte il fatto che somigliassero a dei pony-insetto lui non seppe, né volle, dire altro. Con così pochi elementi a disposizione, nessuno seppe spiegargli cosa potessero essere e così l'intera aggressione venne liquidata come quella di una delle tante bestie feroci che vivevano in quel luogo, la Everfree Forest.

«Volete dire che esistono più bestie feroci intorno a voi?» domandò Alastor, quasi involontariamente, non appena venne a saperlo

«Oh, sì. Lupi del legno, Cockatrici, Manticore... a iosa!» gli spiegò con molta cura Fluttershy

«E voi riuscite a tirare a campare in mezzo a tutto questo?»

«Tsk!» sbuffò un secondo pegaso, azzurro dalla criniera arcobaleno «Per noi è solo ordinaria amministrazione. Sarai tu, semmai, quello deboluccio! Guarda come ti hanno ridotto!»

Alastor incassò l'offesa con un sorriso nervoso. La tentazione di ricambiare la cortesia del pegaso facendogli mangiare la sua stessa coda era tanta, ma fino a quando la sua situazione non sarebbe stata più chiara era meglio andare con i piedi di piombo.

«Perché te ne vuoi andare, in ogni caso?» domandò un pony rosa -sì, rosa- saltellando davanti a lui «Non ti piace qui?»

Mentalmente, Alastor credette che quel pony fosse un parente vicino di quello che lo aveva avvisato di essere spiato, ma preferì non pronunciare questo pensiero a voce alta.

«Come ho già detto, sto cercando Aria Blaze. Sono venuto con lei e, ovunque sia, la troverò.»

A queste parole una nuova veloce, impercettibile, ombra passò sul volto di Twilight, ma la principessa fu abbastanza lesta da cambiare espressione prima di quel minuto che Alastor avrebbe richiesto per accorgersene.

«E da cosa dovresti proteggerla, se posso domandare?» chiese un unicorno bianco dalla criniera blu, presentatasi come Rarity

«Come sai che la devo proteggere?» ribatté Alastor, sorpreso del suo acume

«Hai detto che siete venuti assieme e adesso che non è con te la stai cercando ad ogni costo. Non ci vuole certo Twilight per capire che sei legato a lei!» rispose, ammiccando, il pony con il cappello da cowboy, Applejack

«E visto che non porti anelli o altri segni di fidanzamento o addirittura matrimonio, devi averla in cura.» concluse Rarity, osservando le dita tozze dell'umano. Doveva essere una giumenta molto attenta ai dettagli.

Il pegaso azzurro, Rainbow Dash rise sotto ai baffi «Eh, chissà, magari non sono ancora fidanzati!»

A quello sfottò seguì un proiettile bianco, sotto forma di cuscino, che sfrecciò a tutta velocità verso di lei, prendendola in pieno. Oltre ad arretrare di un paio di centimetri, tuttavia, Rainbow Dash avvertì nessun danno.

Tutte fissarono Alastor che lentamente si alzava, sibilando «Non dire mai più una cosa simile!»

Una volta in piedi in mezzo a quei pony colorati, fece per uscire dicendo «E ora, devo tornare a cercarla.»

Tuttavia venne fermato da Twilight, la quale lo avvolse in una bolla viola e lo ributtò a letto «Sei ferito e delirante. Tu resta qui: Rarity penserà a portarti un cambio. Ad Aria Blaze penseremo noi.»

Era vero, per le condizioni dei suoi vestiti era bastato un incantesimo da parte dell'unicorno, ma i lividi sembravano più difficili da far passare. Tuttavia, Alastor era decisamente troppo testardo per dare retta a qualcuno.

«Non se ne parla!» si difese, facendo per rialzarsi ancora «Io voglio trovarla.»

Con un tono sibilante, carico di minaccia, Twilight fissò Alastor negli occhi dicendo «Sono io che non voglio.»


«Da quando sei così dura?» domandò Rainbow Dash a Twilight, non appena uscirono dalla stanza dove si trovava Alastor

«La situazione è molto più complicata di quanto si possa pensare. Non possiamo fidarci di lui fino a quando non ho delle certezze.» si giustificò la principessa, guardando tutte insieme le sue migliori amiche e compagne di tante avventure.

Nessuna commentò le sue parole, benché dai loro sguardi fosse ovvio cosa stessero pensando.

Così, l'alicorno rincarò la dose «Ascoltatemi: voi non c'eravate, non sapete cosa siano in grado di fare le Dazzling. Semplicemente, non voglio che si ripeta qui a Ponyville quello che ho visto succedere nel liceo di Canterlot!»

Twilight non aveva mai spiegato chiaramente cosa avesse visto quando affrontò le Dazzling l'ultima volta, ma la sua preoccupazione era evidente. Anche Rainbow Dash, generalmente diffidente dalle preoccupazioni che invece la sua amica dimostrava ogni volta, in quelle occasioni non osava spronarla ad approfondire.

«E come se non bastasse, quello che ha affrontato Alastor Sullivan nella Everfree Forest può essere soltanto una cosa!» aggiunse la principessa, agitando gli zoccoli al cielo

«E cosa, di grazia?» chiese Applejack, confusa

Twilight gelò «Oh, andiamo, volete scherzare? Quante creature esistono delle dimensioni di noi pony, ma con il carapace al posto del manto?»

Tra le cinque amiche avvenne uno scambio di sguardi confusi che non piacque alla principessa «Argh! Non abbiamo tempo! Passiamo alla fase due

Se non altro, quell'ordine arrivò più chiaramente alle orecchie dei pony con lei e presto cominciarono tutte a muoversi verso una certa ala del castello.

Prima che Twilight muovesse un passo, tuttavia, venne raggiunta da un agitato Spike che sventolava sopra la testa una fotografia chiamandola a gran voce «Twilight, lo abbiamo trovato! Twilight, lo abbiamo trovato!»

Capendo di cosa il suo assistente stesse parlando, la principessa lo guardò con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra «Presto, aggiornami!»

Spike allungò la foto verso l'alicorno. Nel ritratto era rappresentato un mostro marino, simile a quello ben noto a Ponyville, Stephen Magnet. Benché condividessero la razza, tuttavia, erano presenti numerose differenze: nel mostro in foto mancavano i baffi e inoltre i capelli cadevano a cascata dietro la testa, come quelli di Alastor, ed erano anche di colore nero invece che biondi. Inoltre, si trattava di un mostro marino dalla muscolatura molto più sviluppata rispetto a Stephen e sul corpo erano presenti segni di numerose abrasioni che lo avevano privato di qualche scaglia.

«Alastor Sullivan. Si aggira in terre inesplorate, piene di pericoli e sembra che passi la maggior parte del tempo litigando, e spesso picchiandosi, con altre creature mostruose. Solo grazie a questo suo vizio sono riusciti a censirlo: pare che sia anche molto scontroso.»

Twilight ascoltò quella spiegazione interessata «Una sirena e un mostro marino... sarà perfetto!» esclamò infine, sfregandosi gli zoccoli mentre già preparava mentalmente quello che le varie fasi per il suo piano.


Alastor sbuffò seccato, comprendendo che era tornato punto e a capo: solo, chiuso in una stanza, con il dubbio di che fine potesse aver fatto Aria.

Tuttavia il vantaggio, se si vuole essere abbastanza generosi da chiamarlo così, di essere “più bestia che uomo” è che difficilmente si realizzano i momenti in cui sarebbe meglio starsene buoni e così Alastor, volendo a tutti i costi scoprire la sorte di Aria, si rialzò dal letto decidendo che sarebbe scappato. Di nuovo.

Non potevano riprenderlo tutte le volte, no?

Si rivestì e, avvicinando l'orecchio alla porta, cercò di sentire qualsiasi rumore che potesse indicargli la presenza di qualcuno.

Si trovava nuovamente nel castello di Twilight, il che gli dava il non indifferente svantaggio di non avere idea di come muoversi per uscire, ma questo non lo avrebbe fermato di certo.

In ogni caso, origliando, sentì che proprio davanti alla porta due pony stavano confabulando tra di loro. Scartando così la possibilità di fuggire attraverso la porta principale, Alastor si spostò dalla finestra.

Era, ad occhio e croce, al secondo piano del castello. Una caduta del genere non poteva certamente ucciderlo, ma non era nemmeno il caso di rompersi una gamba per poi scappare!

Usare la coperta del letto su cui era medicato per scendere alcuni metri era un'idea da scartare, anche legandola non avrebbe superato neppure un piano. E poi gli mancavano appigli a cui legarla.

Appigli...

Alastor si affacciò ancora. Sotto di lui c'era un'altra fila di finestre, prima di una caduta libera di alcuni metri verso la vegetazione.

Forse, se avesse diminuito l'altezza della caduta aggrappandosi ai bordi delle finestre, prima di lasciarsi andare, sarebbe potuto correre con al massimo una storta!

O almeno, questo è quello che gli suggeriva quel neurone nel cervello. Difficile fare calcoli fisici, quando non si conoscono!

Decidendo che valeva comunque la pena provare, aprì la finestra e, facendo attenzione, si calò per lasciarsi cadere verso la finestra sotto di lui.

Il contraccolpo, quando afferrò con le mani il cornicione della finestra ad arco, non fu indifferente e solo grazie alla sua forza erculea non scivolò e cadde.

Stringendo i denti per sopportare il dolore alle spalle si fece forza e, aiutandosi poggiando saldamente i piedi alla parete, si alzò a guardare attraverso la finestra per assicurarsi che nessuno lo avesse visto.

Quel che vide, invece, fu ben diverso da quello che si aspettava, ma non meno terribile.

Avvolta in una bolla lilla, vide Aria priva di sensi venire spostata fuori dalla stanza.

Lei stava rannicchiata in posizione fetale dentro la bolla, con gli occhi chiusi: impossibile dire se era stata stordita oppure era rimasta in quello stato da quando erano arrivati a Ponyville.

Tuttavia, Alastor avvertì il cuore saltargli un battito quando la vide. Fu solo per pochi secondi, prima che superasse la porta e questa venisse chiusa alle sue spalle, ma fu più che sufficiente per lui perché lo rinvigorisse come una scossa elettrica.

Allora era lì che tenevano Aria. E perché Alastor non era mai stato lasciato al castello troppo a lungo! Improvvisamente, i brividi mutarono in un furore che dalla bocca dello stomaco si espanse nel resto del corpo: la sola idea di venire buggerato in quel modo da dei pony colorati non gli piaceva affatto.

«Ci vediamo dopo, Twilight Sparkle...» ringhiò, come se stesse pronunciando la più potente delle minacce.

Sforzandosi ancora, Alastor si arrampicò sulla sporgenza della finestra e ruppe il vetro tuffandosi attraverso. Non mancarono certo i graffi e le schegge di vetro conficcate sulla pelle scoperta, ma in quel momento non lo avrebbe potuto fermare nemmeno una cannonata.

Ritornato dentro al castello, incurante dei tagli sulla faccia e sulle braccia, uscì dalla stanza per affacciarsi nel corridoio. Di Aria, tuttavia, non c'era già più alcuna traccia, quasi fosse sparita nel nulla come per magia.

Già, magia... in quel mondo avevano già reso palese che la usavano spesso, non era da escludere che dopo la bolla magica avessero usato qualcosa di simile anche per farla sparire chissà dove.

Nonostante questo, Alastor cominciò a correre lungo i corridoi del castello tenendo le orecchie aperte e lo sguardo attento, alla ricerca di un'ombra o il più impercettibile dei rumori che potessero indicargli che aveva trovato dove tenevano quella benedetta ragazza.

Corse a perdifiato per un periodo di tempo che non seppe contare e il fiatone cominciava a rendergli difficile ascoltare tutto quello che succedeva intorno a lui. Inoltre, era abbastanza certo di aver già controllato almeno due volte lo stesso corridoio.

Interruppe la sua ricerca Applejack, il pony con il cappello, il quale si avvicinò alle sue spalle senza fare rumore in un momento in cui si fermò a riprendere fiato. Semplicemente, domandò «E tu cosa ci fai fuori dalla stanza?»

Alastor si voltò a guardarla. Nel volto di lei non c'era preoccupazione o aggressività, ma pura e semplice curiosità

«Dov'è?» riuscì a chiedere con fatica

«Chi?» ribatté la giumenta, grattandosi una tempia con lo zoccolo

«Aria. Aria Blaze. L'ho vista mentre la portavano via. In questo castello!» rispose Alastor, duro nel tono, mentre ricominciava a guardarsi intorno

Applejack si prese una piccola pausa, prima di rispondere con tono calmo e gentile «Ascoltami, zuccherino... io non so dove possiamo trovare questa Aria. E sei agitato, lo capisco: la lotta nella Evefree Forest, il trovarsi in un mondo completamente diverso dal tuo... e a giudicare dai tagli che hai sulla faccia devi aver cercato di scappare gettandoti dalla finestra. Non potresti essertela semplicemente immaginata?»

«L'ho vista con i miei occhi!» gridò Alastor, digrignando i denti e tornando a guardare Applejack con aria di sfida. Non era pazzo e non aveva le allucinazioni: avrebbe messo volentieri non la mano, ma tutto il corpo sul fuoco pur di garantire quello che aveva visto.

«Ti manca molto, vero?» chiese Applejack, a sorpresa.

Quella domanda spiazzò Alastor, il quale rimase intontito a guardarla, fermo, in piedi e con le mani a penzoloni lungo i fianchi.

«Sì. Deve essere così, se sei così preoccupato per lei...» analizzò a voce alta la giumenta, guardando l'umano dall'alto in basso

Alastor rimase imbambolato ancora qualche istante, prima di riaversi e uscire, senza nemmeno salutare. Applejack lo seguì con lo sguardo, ma non commentò né cercò di fermarlo.

Semplicemente lo seguì con i suoi enormi occhi verdi mentre scendeva le scale fino a sparire dal suo piano visivo. Per tutto quel tempo mantenne un'espressione indecifrabile, ma non appena rimase sola un ghigno predatorio si dipinse sul suo muso.


Alastor tornò all'aperto, fuori Ponyville, con sorprendente facilità. Nessuno, oltre Applejack, capitò sul suo cammino e quando uscì dal castello ebbe come l'impressione che anche le vie del centro fossero stranamente deserte.

Ignorando questa percezione, cominciò a vagare intontito lungo la strada sterrata.

Intontito” era la parola ideale per descrivere il suo stato d'animo: lo scarico di andrenalina dovuto alla facilità della fuga lo aveva lasciato solo con il suo fiatone e la mancanza di energie mista ai tagli e le ferite guadagnate in una sola giornata lo faceva zoppicare. Poco ci mancava che gli si annebbiasse la vista.

Quei pochi pony che incontrava lo guardavano preoccupati, non doveva affatto avere un bell'aspetto e lui stesso non sapeva come immaginare diversamente: in un paio di giorni che si trovava lì aveva litigato con una principessa, era stato picchiato come un chiodo da alcune creature della Everfree Forest e ormai persino la sua percezione del reale era messa in forte discussione.

Fu fermato lungo la strada da un pony avvolto in un mantello con il cappuccio, il quale si rivolse a lui con uno strano accento «Per la tua bella troppo non ti crucciare | Perché qui è il sorriso l'unica emozione che puoi mostrare.»

Alastor fissò la creatura, la quale si levò il cappuccio rivelando una cresta a strisce così come il suo manto. Al collo e intorno ad una zampa una lunga fila di anelli la decorava, dandole assieme ad un orecchino un'aria molto esotica.

«Cosa?» domandò lui, fissandola nei suoi occhi azzurri

«Non affannarti a cercare la tua ragazza | Scoprirai che siamo molto pacifica come razza.»

La zebra parlava davvero solo in rima?

Colto da questo pensiero, Alastor piegò involontariamente le labbra in un sorriso molto tirato, che la zebra mal interpretò «È il riflesso a qualche tua ferita | O questa Aria Blaze è da te così ambita?»

Il sorriso si spezzò subito. Quei pony lo conoscevano da poco tempo, eppure sembrava che potessero già leggerlo come un libro aperto, dalla sua incapacità a sorridere come si deve ad Aria.

Imprecando, Alastor poggiò i pugni sui fianchi e squadrò la zebra «E tu come fai a sapere di Aria? Io non ti conosco neppure!»

«Il mio nome è Zecora. | Vuoi seguirmi Alastor, ora?» rispose la zebra, indifferente alle minacce dell'umano prima di indossare ancora il cappuccio e cominciare a spostarsi tra la folla.

«Come accidenti sai il mio nome?» domandò ancora lui, seguendo Zecora, pur senza mai ottenere una risposta.

Tuttavia lo colpì molto di cosa avevano parlato: quella era una terra pacifica, dove si potevano mostrare solo sorrisi.

Voleva dire che erano tutti costretti, in qualche modo, a comportarsi in quel determinato modo?

Forse Twilight, o chi per lei, forzava tutti a seguire un rigido schema di comportamento? E lui era tenuto sotto osservazione proprio perché diventasse come tutti gli altri? Questo avrebbe sicuramente spiegato perché non poteva andarsene da Ponyville!

I suoi pensieri vennero interrotti solo quando la voce di Zecora tornò a farsi sentire «Siamo arrivati.»

Era la prima volta che evitava di fare una rima, ma quel che colpì di più Alastor fu il fatto che si trovassero entrambi davanti ad una casa!

«Arrivati... dove?» domandò ancora, osservando la zebra mentre apriva la porta con lo zoccolo, prima di farsi da parte per lasciarlo entrare.

«A Ponyville non sarete di certo abbandonati | Perciò entra e non sarete più separati.»

«Hai fatto la rima con quello che stavi dicendo un attimo fa?» chiese Alastor, quasi involontariamente, entrando nella casa pur senza togliere lo sguardo dalla zebra «E perché adesso parli al plurale?»

«Quando hai promesso di proteggermi... intendevi sistemarmi in un'altra dimensione? Perché io l'anello al dito non te lo metto, questo è certo

Quella voce, bassa e scura con la tendenza ad allungare le parole, interruppe le domande di Alastor facendolo trasalire.

Con gli occhi fuori dalle orbite si voltò rapidamente verso la fonte, riconoscendo Aria Blaze, in piedi in mezzo al corridoio con le mani appoggiate sui fianchi, mentre lo guardava con accondiscendenza.

«Aria...» la chiamò, quasi involontariamente

«Bravo, ricordi il mio nome!» lo canzonò lei, prima di indicare dietro di se con il pollice «Hai fatto la spesa, per caso? Come facevi a sapere cosa...»

Aria non proseguì, perché Alastor la abbracciò, gelando entrambi.

Dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio, la ragazza domandò «E questo è per...»

Stringendo i denti, lui confessò mentre sudava freddo «Non... non lo so.»

Avrebbe giurato di sentire Zecora ridere sotto ai baffi.

Aria gli diede una leggera pacca sulla spalla, colpendo involontariamente proprio uno dei lividi che si era fatto nella Everfree Forest, dicendogli con tono di sufficienza «Be', bimbo, adesso facciamo che mi lasci, okay?»

I due ragazzi si separarono e Alastor tornò a guardare la porta.

Nessuna traccia di Zecora. In compenso, alcuni dei passanti guardarono dentro casa divertiti.

Velocemente, Alastor andò a chiudere la porta.

«Ti comporti in maniera piuttosto strana, lasciatelo dire.» confessò Aria, guardando Alastor agitarsi ma senza intervenire per calmarlo o fermarlo «E sei ridotto ad uno straccio! Cosa è successo mentre eri fuori?»

Alastor non rispose subito, si limitò a chiudere porte e finestre muovendosi freneticamente da un capo all'altro della casa. Solo quando si assicurò di essere lontani da occhi ed orecchie indiscrete si concentrò sulla sirena.

Si avvicinò a lei e le mise entrambe le mani sulle spalle, guardandola negli occhi e spiegandole «Ascoltami bene, ho bisogno di sapere tutto, ogni cosa che ricordi da quando abbiamo attraversato il portale!»

Aria prese i polsi di Alastor, come per liberarsi dalla sua presa, ma non fece alcuna pressione. Piuttosto, ricambiò lo sguardo dell'umano e rispose «Perché non me lo dici tu

«Che vuoi dire?»

Assicurandosi di usare meno parole possibile, Aria spiegò alla sua guardia che lei era di fatto rimasta incosciente esattamente dal momento in cui erano stati colpiti. Non sapeva dire nemmeno per quanto tempo doveva essere rimasta priva di sensi; il suo primo ricordo è quando si era svegliata, pochi minuti fa, in quella casa con Pinkie Pie al suo fianco.

Il pony in questione, in mezzo ad un fiume di frasi prive di significato, le aveva spiegato che quella dove si trovavano era la casa di Alastor e, pertanto, anche la sua; inoltre le aveva anticipato che lui stesso sarebbe tornato a breve.

Alastor liberò Aria dalla sua presa per andare a grattarsi la testa «Quindi ricordi assolutamente nulla, dal momento in cui siamo arrivati qui?»

Aria aprì le mani «Non so nemmeno dove sia qui. Deve essere stato costruito di recente. Perché non mi spieghi tu qualcosa?»

Dopo una breve pausa che aumentò la gravità della situazione, Alastor propose «Forse è meglio farlo da seduti...»


Così, una volta accomodati nel salotto, Alastor raccontò la sua giornata. Al contrario della sirena, tuttavia, cercò di essere il più dettagliato possibile e questo costò ad entrambi una lunga ora di parole.

Solo quando Alastor terminò il suo racconto Aria ricominciò a parlare.

«Ponyville, eh? No, non ricordo città con questo nome prima dell'esilio.» fu il suo primo commento, pronunciato mentre si rialzava dal divano per cominciare a camminare intorno alla stanza.

Alastor non rispose, e nemmeno imitò la sirena. Rimase seduto, con le braccia appoggiate sulle ginocchia e gli occhi scuri fissi su di lei mentre camminava in lunghi cerchi massaggiandosi nervosamente il mento. Solo dopo qualche secondo lei si fermò avanti a lui, incrociò le braccia al petto e domandò «E quindi, quando non mi hai trovata, hai fatto tutta quella confusione? Hai anche minacciato una principessa?»

L'umano rimase sorpreso per qualche secondo, poi rispose mettendo ancora in bella mostra la sua ingenuità «Perché, è qualcosa che non si fa?»

Una piccola risata scappò alla sirena, veloce e irrefrenabile come uno starnuto, prima di ricominciare a camminare in cerchio rispondendo «No. È preferibile evitare.»

Alastor si grattò la testa con una mano, avvertendo una sempre maggiore confusione nel suo piccolo cervello. Era finito in un altro mondo con un sistema politico a lui completamente sconosciuto e dove una forza che lui aveva solo letto in qualche fiaba o visto in qualche film era invece diffusa ancora più dell'energia elettrica.

Tuttavia, Alastor notò l'espressione assorta, concentrata su altro, che Aria aveva assunto. Non sapendo di cosa poteva trattarsi cercò di alleggerire la situazione ironizzando «Certo che... per aiutarci almeno a mimetizzarsi tra questi pony lo specchio avrebbe potuto renderci almeno qualche altra creatura! Così è un po' come se fossimo degli animali in gabbia!»

L'espressione sul volto di Aria mutò in un lampo. Come un vetro che si rompe, la concentrazione che dimostrava fino a pochi istanti prima crollò, gelandola sul posto mentre dei brividi la scuotevano.

«Lo specchio... è progettato e incantato perché creature da Equestria partano per altri mondi. Non il contrario. Non c'è mutamento negli esseri umani... e tu, Alastor, ne sei la prova.» spiegò Aria, con voce tremante, dando le spalle al compagno.

Alastor, ingenuamente, ascoltò quelle parole e sollevò una mano verso la ragazza pensando a voce alta «Questo significa che tu...»

«Non lo dire!» esclamò Aria, voltandosi verso di lui puntandogli contro un dito. Era diventata paonazza, con gli occhi fuori dalle orbite e la mascella serrata; Alastor avrebbe preferito che al posto di quel dito ci fosse una pistola, si sarebbe sentito meno minacciato.

«Io non sono un essere umano, hai capito? Non lo sono!» cominciò a gridare lei, incapace di trattenersi di fronte al pensiero che fino ad allora aveva cercato invece di ignorare.

Tornare ad Equestria non solo poteva voler dire riunirsi con le sue compagne di una vita, ma avere la concreta possibilità di recuperare i loro poteri. Dopo il loro esilio ne avevano perso la maggior parte, rimanendo solo con una frazione ridicola di quello che possedevano, ma il fatto di trovarsi ancora nel corpo di una ragazza di nemmeno trent'anni una volta attraversato il portale poteva voler dire solo una cosa.

E cioè che i suoi poteri naturali erano andati perduti, probabilmente per sempre.

Si portò i capelli sulla testa, cominciando a vagare senza meta per la sala ripetendo che lei era una sirena, non un'umana. Nessuna di loro, riferendosi alle altre Dazzling, lo era.

Alastor, spaventato da quel crollo, si alzò la fermò stringendola al suo largo petto in un altro abbraccio. Non si sarebbe potuta liberare nemmeno se lo avesse voluto.

Comunque, Aria non ci provò nemmeno. Si limitò a restare lì, in quella posizione, cercando di smettere di nascondere il rumore dei suoi singhiozzi pestando i piedi per terra e i pugni sul corpo del ragazzo.

«Dio, quanto mi mancano!» sospirò lei, quando riuscì a calmarsi leggermente.

«Lo capisco.» commentò, semplicemente, lui.


Restarono in quella posizione per alcuni minuti. Alastor attese, pazientemente, senza forzare quel silenzio con inutili parole. E in quel silenzio un pensiero balenò nella mente di Aria.

Comprese che lui non si sarebbe mai fermato, non l'avrebbe mai abbandonata o permesso a qualcuno di farle del male; le sarebbe sempre stato vicino senza trovare scuse per allontanarsi. Gli sarebbe sempre rimasto accanto e avrebbe anche potuto morire, pur di proteggerla. Di tutti gli aiutanti che poteva trovare per quella situazione così folle, Alastor Sullivan era decisamente quanto di meglio poteva volere.

In quella folle situazione in cui si era cacciata, quell'umano rappresentava il compagno migliore che potesse mai desiderare.

E questo suo impegno, questa sua fedeltà, erano soltanto perché lui voleva assolutamente rimediare a quel fallimento che ancora lo tormentava a distanza di tanti anni?

Prima che ci potesse riflettere troppo a lungo, lei si separò appoggiando le mani sulle spalle larghe dell'umano e spingendolo lontano. Comprendendo il messaggio, Alastor lasciò la presa e le permise di allontanarsi di un paio di passi.

«Alastor...» lo chiamò lei, con un filo di voce come se fosse imbarazzata «Sto per dirti una cosa che non sono abituata a dire.»

Il ragazzo aprì le mani «Be'... provaci.»

«Io e le altre... noi Dazzling... siamo legate da un rapporto molto speciale per via della nostra magia. Siamo oltre qualunque rapporto tu possa conoscere ed è per questo che non sono molto abituata ad altre persone che mi vogliono aiutare, perciò... grazie.»

Alastor sorrise a quelle parole e propose «Be', se vuoi sdebitarti, perché non canti qualcosa per me?»

«Prego?»

Si scoprì che Alastor era un appassionato di musica, non ricordava i nomi dei cantanti o dei gruppi, e a volte nemmeno i titoli, ma ascoltava diversi generi. Sfortunatamente, tra i suoi amici al Black Canary, nessuno sembrava poterlo aiutare: Susy, a suo dire, era intonata come un gallo, Bulldog diceva che la musica è roba da comunisti mentre El Bastardo faceva solo lo swing.

Non nascondendo il suo divertimento per quella scoperta, Aria decise di accontentarlo.

Improvvisando, Aria cantò “Summertime Sadness” mentre Alastor l'accompagnava fischiettando e battendo le mani sulle ginocchia per dare almeno l'impressione della musica.


I'm feelin' eletric tonight

Cruising down the coast gain' 'bout 99

Got my bad baby by my heavenly side

I know if I go, I'll die happy tonight


Oh, my God, I feel it in the air

Telephone wires abobe are sizzling like a snare

Honey I'm on fire, I feel it everywhere

Nothing scares me anymore


Kiss me hard before you go

Summertime Sadness

I just want you to know

Thay baby, you're the best.


Simile gioco aiutò molto la coppia, poiché i toni calmi della canzone e il ritmo avvolgente riuscirono a calmare gli animi, permettendo ad entrambi di andare a riposare una volta che entrambi finirono.


Fuori dalla casa della coppia, appoggiate ad uno dei tetti, un trio di pony composto da Twilight, Applejack e Rarity osservava la scena attraverso una finestra.

La principessa sembrava abbastanza delusa da quello che vedeva: per quanto l'affetto tra i due umani fosse palpabile, sembrava che nessuno stesse per andare oltre.

«Tsk! Grandi e grossi ed emotivi come quattordicenni!» commentò aspramente, agitando il capo scontenta

Rarity si rivolse all'amica in maniera scettica «Sono sorpresa che siano subito così vicini. Hai dato loro una spinta?»

«Se avessi voluto aiutarli con la magia, a quest'ora starebbero discutendo le date del matrimonio!» si difese Twilight, alzando il capo e scherzando «Ricordati chi è mia cognata!»

Applejack, divertita dalla battuta, rise in maniera sommessa prima di domandare anche lei «Comunque non ho ancora ben chiaro dove tu voglia arrivare, con la sirena e l'umano.»

Twilight attese qualche secondo, prima di rispondere con un sorriso sornione rivolto alle due amiche.

Le sue parole furono «Diciamo solo che... se Cadance mi potesse vedermi adesso, sarebbe così orgogliosa!»

Dopo una breve pausa, aggiunse «Ma l'Impero di Cristallo è troppo lontano da qui!»

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Capitolo 5
*** Passato ***


Capitolo 4

Passato


Un nuovo giorno sorse su Ponyville e la vita nelle strade, puntuale come un orologio, tornò a scorrere con un largo sorriso scolpito nelle facce dei suoi abitanti. Senza disordini, senza rumori, caratterizzati unicamente da una tempesta di colori, tutti i pony della città si gettarono nelle strade obbedienti alle loro mansioni.

Sebbene fossero molto diligenti e la loro fedeltà al lavoro fosse indiscutibile, tutti quelli che passavano non potevano fare a meno di gettare un'occhiata incuriosita alla casa dove viveva la coppia di umani provenienti da un altro mondo. O almeno, questo era quello che più si diceva sui nuovi, strani, inquilini.

Princess Twilight Sparkle aveva dato precise istruzioni e, guardando attentamente nei cieli, si potevano vedere alcune guardie reali, prive di armatura ma sempre riconoscibili dal cipiglio severo e distaccato, nascosti tra le nuvole che non perdevano d'occhio ogni entrata, finestra o possibile via di fuga.

Se invece del cielo si studiavano le finestre, non era rado vedere Aria Blaze o Alastor Sullivan -nomi e aspetto erano stati dettagliatamente descritti ad ogni singolo abitante di Ponyville- tirare le tende per curiosare all'esterno prima di ritirarle frettolosamente e sparire nuovamente.


Dentro la casa, Aria Blaze imprecò mentre tirava con rabbia malamente repressa le tende avanti a se, mascherando la strada sterrata davanti alla loro casa prima di spostarsi in un'altra sala.

«Stramaledetti pony!» esclamò, cambiando sala ed entrando nella stanza dove c'era una cucina. Al suo interno, Alastor rovistava la dispensa.

«Muffin, biscotti e... cos'è questo, lecca lecca di sale? Fieno fritto

«Pare che dovrai abituarti presto ad una dieta molto vegetariana.» ironizzò la sirena, prendendo con decisione un frullato passando di fianco a lui prima di sedersi altrove. Sebbene odiasse il fatto di essere bloccata in quattro mura, non poteva negare che l'ingenuità di Alastor le offrisse un divertente svago.

Il ragazzo, ignorando lo sfottò, chiuse le ante della dispensa e sospirò profondamente riflettendo a voce alta mentre si avvicinava alla sirena «Non mi è mai mancato così tanto il Black Canary!»

Aria bevve un lungo sorso, prima di chiedere «Vuoi dirmi che hai intenzione di accettare questa prigione dorata della principessina?»

Alastor sobbalzò, guadando Aria dritta negli occhi viola «Diavolo, certo che no!»

La sirena si allungò verso il ragazzo, appoggiando la confezione del frullato sul tavolo, prima di aggiungere «Sai, mentre pensavo a cosa potremmo fare... mi sono accorta di sapere proprio poco su di te.»

Il ragazzo incrociò le braccia, inarcò un sopracciglio e si appoggiò con la schiena ad un mobile, commentando quelle parole «Be', se per questo anche io so molto poco su di te.»

«Ed è proprio questo il punto!» esclamò Aria, scattando in piedi e puntando una mano verso Alastor «Tu non mi conosci. Sai quasi niente di me, eppure hai deciso di aiutarmi quasi senza battere ciglio. Non solo, hai rischiato anche la tua pelle e hai minacciato di mettere le mani addosso a chiunque ti capitasse a tiro, quando mi credevi scomparsa!»

Alastor sembrò anticipare dove voleva andare a parare e spostò lo sguardo, difendendosi debolmente «Te l'ho detto, aiutarti è la mia occasione per fare qualcosa di...»

«Che rapporti avevi con la mia controparte del tuo mondo?» domandò, quasi a tradimento, la sirena, prendendo il viso di Alastor con una mano per portarlo a guardarla di nuovo negli occhi.

Alastor si liberò dalla presa, diede le spalle ad Aria e allungò le mani verso i fianchi «Non mi va di parlarne. Io non ti ho chiesto come sei nata.»

Seguì un silenzio piuttosto teso, che Aria interruppe dopo un paio di minuti «Ho più di duemila anni.»

Alastor sembrò sorprendersi di questa rivelazione e tornò a guardare Aria sorpreso «Li porti piuttosto bene!»

Lei si sedette, invitando il ragazzo a fare altrettanto. Una volta che furono uno di fronte all'altra, Aria raccontò tutta la sua storia.

Non sapeva spiegarsi il perché, forse voleva semplicemente conoscere meglio chi voleva proteggerla e pensava di usare quella confidenza a suo vantaggio, oppure aveva semplicemente bisogno di sfogarsi. O, ancora più semplicemente, si fidava di Alastor.

Qualunque fosse la verità, raccontò tutto senza alcun timore.


In un tempo lontano, prima che i regni venissero segnati sulle mappe e le varie culture del mondo si conoscessero, il mondo era preda di quelle energie primordiali che in futuro sarebbero state raccolte semplicemente con il nome di “Caos”.

Esseri onnipotenti trascorrevano le loro giornate combattendo il tedio della routine quotidiana seminando il panico e la confusione sulle altre specie inferiori alla loro. Uomini, donne e bambini, di qualunque etnia e classe sociale, la loro vita quotidiana era resa estrema e difficile dai capricci di queste divinità che si raccoglievano sotto il nome di Draconequus.

In uno degli ultimi giorni di quel triste e oscuro periodo, passato alla storia come l'Era del Caos, un gruppo composto da soli due Draconequus avevano pensato che sarebbe stato divertente organizzare un ballo in una delle città costruite poco lontane dal loro rifugio; un monte che si alzava fino al cielo, nascondendo la vetta tra le nuvole.

Nessuno di loro sapeva quali fossero le ragioni che avessero portato i pony che si erano spostati in quelle terre a costruire una casa proprio lì vicino e nemmeno li importava. Ogni posto in tutto il pianeta, vicino o lontano che fosse, aveva esattamente le stesse possibilità di trovarsi come bersaglio per gli esseri divini che flagellavano quelle terre.

Così, assumendo le dimensioni di una montagna, i due Draconequus si scatenarono sugli abitanti della città, cantando, ridendo e danzando sulle rovine e la devastazione che seminavano con i loro goffi passi, mentre le grida terrorizzate degli abitanti sotto di loro venivano a volte schiacciate dalle enormi zampe degli dei oppure finivano con il fare da sottofondo alla loro danza, mentre tutto intorno a loro crollava.

Alla fine della giornata, più della metà della popolazione originale della città era perduta e la maggior parte dei superstiti non avrebbe superato la notte a causa delle ferite e delle esalazioni. Chi invece era stato più sfortunato ed era sopravvissuto si trovava costretto a ricominciare da capo, senza una casa, cibo o mezzo per sopravvivere in quelle terre così difficili.

Ma tra i superstiti più sani c'erano tre giumente, tre pony di diverse etnie provenienti da una terra lontana, che erano miracolosamente uscite quasi indenni dalla distruzione della loro casa. Esse odiavano con tutta l'anima quegli dei che godevano nella loro sofferenza.

«Creature maledette!» berciò una di loro, Adagio Dazzle, osservando con una rabbia che non poteva più a contenere lo scenario dell'ultima devastazione seminata dai Draconequus.

Dietro di lei, Sonata usava i denti per levare alcune schegge che si erano infilate nelle ali di Aria. Sul loro volto c'era una grande preoccupazione, eppure non parlavano.

«Non dire blasfemie!» osservò un altro pony, avvicinandosi al trio «È solo grazie alle nostre preghiere che siamo vivi! Dobbiamo rendere gr...»

Incapace di resistere, Aria tirò una grossa pietra alla testa del pony. Questi, colpito, barcollò mentre una non troppo piccola ferita si apriva sulla sua fronte.

Prima che potesse dire qualunque cosa, Adagio giustificò le azioni della compagna, allontanandosi assieme a loro dallo stallone «Se i draconequss avessero udito le tue preghiere ti avrebbero già schiacciato, solo per divertimento.»

«Tsk. E non li biasimerei!» aggiunse Aria, dietro Adagio.

Sonata rimase in silenzio, attendendo il momento in cui sarebbero state fuori dalla portata delle orecchie dello stallone che avevano appena attaccato e offeso. Comprendeva i sentimenti delle sue due compagne, alla fine vivevano insieme da molti anni.

Erano cresciute insieme e sempre insieme avevano affrontato le difficoltà di un mondo privo di una guida solida, dove città e popoli venivano bruciati da creature onnipotenti per capriccio, ma una parte di lei si rifiutava di accogliere quelle brutte sensazioni come invece Aria e Adagio avevano fatto da tempo.

Anche con le difficoltà, loro erano rimaste unite, assieme erano quello che più si avvicinava al concetto di famiglia, perciò non era convinta che quei tempi fossero oscuri come invece loro credevano.

«Non pensate di esagerare, almeno un poco?» domandò lei, non appena furono abbastanza lontane da occhi e orecchie indiscrete «Se continuate a sbraitare così contro i Draconequus, attirerete su di noi qualche catastrofe!»

Seguì il silenzio. Se Sonata rifiutava la cupezza di quegli anni, Aria e Adagio l'avevano invece accettata con modi differenti: Aria si era incupita, diventando un pegaso taciturno ma al tempo stesso acido, che sfogava il suo malumore offendendo e attaccando indistintamente chi le stava intorno, un po' come uno Yak. Adagio, invece, aveva trovato sfogo alle sue malinconie nella conoscenza, sviluppando una mente sopraffina. E quelle parole di Sonata, prese in malo modo da Aria, accesero in lei qualcosa.

Mentre Aria non si faceva problemi a far notare a Sonata quanto la ritenesse stupida, Adagio rimase ad osservare la montagna sopra il quale i Draconequus avevano stabilito la loro dimora.

Il sole calava e si stava avvicinando l'imbrunire, poteva vedere le sagome serpentine di quei mostri avvicinarsi alla cima del monte come sciami di calabroni che tornano al nido.

«Forse non è un'idea tanto malvagia.» fu il suo commento, pronunciato con tono basso e assente, come se stesse parlando senza alcun controllo, che riuscì comunque a zittire Aria e Sonata.


E così, quella sera, le impavide e perfide compagne si arrampicarono sulla montagna che nessun'altra creatura mortale prima di loro aveva osato attraversare e una volta arrivate in cima poterono ammirare i creatori e i distruttori di tutto quello che conoscevano.

I Draconequus, folli miscugli di animali all'apparenza ma dotati di poteri divini, capaci di alterare la realtà che li circondava secondo i loro capricci. Nessuno sapeva quale fosse la reale origine dei loro poteri, di quale peccato dovessero essersi macchiati per ricevere un dono simile. E, in quel momento, nemmeno importava.

Quando gli dei dormono, la natura a volte da vita ad una... “anomalia”. Il serpente, la bestia, l'ingannatore...

Sussurrando nelle enormi orecchie degli dei che avevano giocato con il loro mondo fino a quel giorno, le tre giumente instillarono nelle loro menti, rese deboli e vulnerabili dal sonno, il dubbio e la paura dei loro stessi compagni.

Nessuno sa quali parole le tre sirene avessero usato quella notte per raggiungere il loro scopo: forse le loro capacità di seminare odio e zizzania risalivano da ancora prima della loro magia, o forse i rapporti tra i Draconequus non sono mai stati rosei come si poteva immaginare, fatto sta che presto cominciò una guerra tra loro.

E quando gli dei combattono tra loro, l'unico risultato che si può ottenere è la distruzione.

I Draconequus che un tempo dominavano incontrastati cominciarono a scontrarsi tra loro ai quattro angoli del mondo, dando vita a duelli sempre più cruenti, che squarciavano il tessuto stesso della realtà e lasciavano dietro di se solo distruzione.

E i mortali piansero, vedendo il loro mondo esplodere in quella guerra e i loro cari perire per colpa degli attacchi privi di controllo dei duellanti.

E mentre questi esseri, capaci di invertire la gravità, modificare l'intera realtà e cancellare città con un solo pensiero, giacevano a terra, indeboliti e a malapena in grado di parlare, una nuova oscurità si avvicinò.

Con un sorriso sornione, le tre compagne che avevano dato origine a tutto questo osservavano i corpi ancora fumanti dei vinti, i quali in cambio di aiuto offrivano loro tutto quello che avrebbero potuto desiderare.

«Chiedo perdono, ma credo che lo prenderemo da sole.» fu sempre la loro lapidaria risposta, prima di affondare il loro colpo fatale sulla nuova vittima, eliminando definitivamente la creatura più vicina ad un dio che si potesse immaginare.

Ma nessuno uccide un dio e la passa liscia. Cosa succede, però, se uccidi due dei? O dieci? O tutti?

Le tre compagne affondarono in profondità le loro zanne nelle carcasse dei loro antichi padroni, prosciugandoli di tutti i loro poteri.

Addio, tre piccoli pony, e benvenute... Sirene.

Grazie ai poteri rubati ai Draconequus le tre Dazzling, appena evolute in qualcosa di unico e al tempo stesso terribile, acquisirono nuovi e sorprendenti poteri.

Innanzitutto divennero eterne, incapaci di invecchiare e in grado di passare le ere senza mai risentire gli anni. Poi, grazie all'influenza dei Draconequus, acquisirono poteri virtualmente infiniti. Per sfruttarli, tuttavia, avevano bisogno di alimentarsi con le energie derivate dalle emozioni delle creature inferiori: i precedenti proprietari di quei poteri erano manifestazioni incarnate delle energie del caos, loro erano solo dei gusci in cui queste erano convogliate, prive del contatto naturale alla loro sorgente.

Consce di questo decisero di usare le loro doti per seminare zizzania e di nutrirsi con le energie negative che si sarebbero create.

Come la loro voce aveva portato alla guerra i Draconequus e dato loro quei poteri, così la loro voce avrebbe generato nuovi scontri e garantito loro l'eternità.

Paradossalmente, la scomparsa dei Draconequus e l'arrivo delle sirene fu una ottima occasione per i popoli della terra: tre creature dotate di quei poteri, invece delle decine che prima infestavano il globo, lasciavano zone d'ombra dove sviluppare le civiltà molto più ampie e durature. Così, la nascita di queste creature subdole coincise anche con una nuova era per i mortali.

Un solo Draconequus era riuscito a salvarsi, Discord, ma questo sembrava non provare rancore verso le sirene: vedendosi come unico vincitore della guerra tra i suoi simili, passò molti anni divertendosi combinando ogni sorta di scherzo infantile che potesse passargli per la mente. E, dall'altra parte, le sirene si sentivano già abbastanza soddisfatte con i loro attuali poteri, per desiderarne altri.

Così, con l'ultimo dei Draconequus da una parte e tre sirene in grado di seminare il caos con la musica dall'altra, la vita sulla terra continuò, nuovi regni nacquero e nuove società presero il posto che spettava loro di diritto nei libri di storia.

Per gli esseri più potenti del mondo non poteva esserci condizione migliore: sconvolgere intere civiltà con infinite marachelle quando queste credono di aver trovato l'ordine, o mettere gli uni contro gli altri quando l'unità è il valore più lodato di una nazione, erano scenari ideali per mettere alla prova i loro poteri.

Poi venne una nuova era ancora, che segnò un nuovo cambio verso un mondo definitivamente migliore: l'Era degli Alicorni.

Nessuno sapeva da dove fossero uscite, ma come le tre tribù di pony si riunirono in un'unica nazione, la neonata Equestria, e scelsero loro due come guida subito si scatenò una rapidissima serie di eventi destinata a cambiare una volta per tutte l'ordine del mondo.

Discord venne sconfitto dalle principesse Celestia e Luna, le regnanti di Equestria che nel frattempo avevano guadagnato una fama senza pari risolvendo rapidamente molte altre minacce di stampo minore, e Starswirl il Barbuto, fidato compagno delle governanti di Equestria, bandì le sirene in un altro mondo, una volta compreso che non avrebbe mai potuto superare il loro potere.

Nel nuovo mondo dove si trovavano non esisteva la magia; i loro medaglioni erano tutto quello che le legava al mondo mistico a cui appartenevano, perciò anche i loro poteri erano sensibilmente diminuiti: il massimo che potevano fare era accumulare potere e sperare che, un giorno, questo sarebbe stato sufficiente per farle tornare a casa.

Ovviamente questo potere non sarebbe mai arrivato, se non fosse stato per una opportunità che si presentò loro all'interno della Scuola Superiore di Canterlot: un artefatto di Equestria era stato portato in quel luogo, lasciandogli un'impronta magica che loro potevano sfruttare per riottenere i loro pieni poteri.

Ma Twilight Sparkle e le sue alleate in quella scuola riuscirono a stravolgere i loro piani, sconfiggendole e privandole definitivamente della loro unica fonte di potere; i medaglioni.

Abbandonate e senza più poteri, le sirene tentarono in ogni modo a loro disposizione per riavere anche quel poco potere che possedevano inizialmente: tentarono di ricostruire i medaglioni, di cantare... arrivarono persino a ingoiare le schegge, ma ogni tentativo si rivelò vano.

Così, le energie del caos, padroneggiate da queste quattro creature semidivine, sembravano essere definitivamente scomparse, consegnando tacitamente l'eco delle loro imprese ai libri di storia.


Alastor terminò di ascoltare la storia come rapito. Trovava sorprendenti le origini di quella graziosa ragazza che voleva aiutare.

«Avete davvero ingoiato le schegge dei vostri medaglioni?» chiese subito «Non era pericoloso?»

«Te l'ho detto, Alastor: ho più di duemila anni.»

«E questo che c'entra?»

Sebbene seccata che il ragazzo non lo capisse da solo, Aria spiegò meglio «La magia del caos, il fatto stesso di essere una sirena, mi ha sospeso l'invecchiamento. Per quanto poca magia possedessimo, bastava a farci restare per sempre giovani. Ora, senza magia, noi Dazzling siamo solo esseri umani. Di più di duemila anni.»

Alastor, finalmente, capì l'antifona «Vuoi dire che...»

«Anche se in maniera irregolare, e in qualche modo la magia di Equestria ha fermato il processo, oggi ho trenta due anni. Quando Trillyt ci sconfisse, poco più di un mese fa, ne avevo quindici

Alastor immaginò quanto dovesse essere stato terribile scoprire qualcosa di simile e tra i due calò il silenzio per alcuni istanti: lui non sapeva cosa dirle e lei aveva bisogno di qualche secondo per dimenticare lo shock di quei momenti.

Quando ci riuscì, Aria passò il testimone al suo coinquilino «Ora tocca a te. Chi sei, veramente?»

Alastor sospirò, passandosi le mani sui capelli per qualche secondo. Alla fine scelse di svuotare il sacco, visto che Aria aveva fatto lo stesso con lui.

«Devi sapere che sono nato in un posto molto lontano, rispetto a dove ci siamo conosciuti. È per questo che ho un nome molto diverso dagli altri abitanti.»

«E come ci sei arrivato?»

«Non come accadde di preciso, ero troppo giovane. Non ricordo nemmeno chi fossero i miei genitori, a dirla tutta.»

Aria inarcò un sopracciglio «So che sei molto affezionato a tua madre... com'è possibile?»

«Lei è uno dei motivi per cui non mi piace parlare di questa storia. Ma se lo vuoi tu, farò uno sforzo.»


Così come Aria aveva fatto prima di lui, anche Alastor svuotò il sacco e le raccontò tutta la sua storia.

Veniva da un'altra nazione, non volle specificarne il nome e fin dalla nascita la sua vita era caratterizzata dalla solitudine. Non era molto intelligente e aveva palesi difficoltà a capire cosa dicevano le persone intorno a lui e inoltre la sua statura molto elevata e il fisico massiccio lo rendevano un soggetto abbastanza temuto tra i coetanei.

Tutto quello che Alastor ricorda della sua infanzia è che stava in un orfanotrofio e c'è stato fino all'adolescenza, quando si fece conoscere da Lucius Sullivan.

Lui stava nel cortile della struttura, quando qualcuno cercò di fare il bullo con un altra ragazzo più piccolo. Alastor, senza fare troppi complimenti, lo aveva sollevato di peso e lanciato lontano come un sacco di patate.

Casualmente, in quel momento, passava proprio il potente capofamiglia. Vide nel ragazzo del potenziale e, spacciandosi per un improbabile zio, lo prese con se. Grazie ai suoi agganci l'affido durò non più di dieci minuti.

Così, Alastor venne adottato, ma Lucius Sullivan aveva un impero da gestire, non poteva di certo perdere troppo tempo dietro “la creatura”, come lo chiamava lui!

Così, anche se sulla carta ne aveva una, in realtà Alastor non aveva una vera famiglia su cui fare affidamento. E poi il suo carattere, scostante e generalmente di poche parole, non gli lasciavano molto tempo per le amicizie.

La prima persona a cui legò fu una delle donne dell'organizzazione dello zio, alla quale venne affidato poco dopo essere stato adottato: Aria Blaze.

Alastor non ricordava con esattezza quale fosse il ruolo della donna, ma sapeva con estrema precisione che tutto quello che sapeva lo doveva a lei: come muoversi nei loro ambienti, riconoscere le occhiate, tutti i trucchi delle risse da bar... persino il Black Canary, quello squallido locale, venne frequentato da Alastor solo grazie ad Aria.

Sebbene non sapesse il suo ruolo principale, il ragazzo ricordava come la sua mentore fosse la vecchia proprietaria del locale. Ma sembrava che con il cambio di gestione, alcuni anni dopo, non ci furono grandi cambiamenti.

Insomma, Alastor e Aria legarono molto. Lei era stata incaricata di introdurre Alastor nell'ambiente “di famiglia” e lei aveva obbedito diligentemente.

Quello che forse non si era accorta era che, per il giovane Alastor, lei era diventata quello che lui aveva di più simile ad una figura genitoriale. Lo zio semplicemente si limitava a dargli vitto e alloggio, cosa di cui lui era molto grato, ma era la sua mentore quella che gli era sempre accanto, che lo aiutava a crescere e che lo educava.

A volte i suoi modi erano molto militareschi, ma a lui non importava. Per quanto potesse saperne, stava solo cercando di educarlo. Lo cresceva per essere un soldato, il classico scagnozzo da portare in mezzo a qualche inferno per mollare sberle a destra e a manca fino a quando non veniva ristabilito l'ordine.

E se lei, forse l'unica persona che gli mostrava un minimo di affetto, voleva che crescesse così il minimo che poteva fare era obbedirle.

Al Black Canary venne presentato a quelli che poteva chiamare amici: Bulldog, Bobo, El Bastardo e Susy, la figlia di suo zio che vedeva anche a casa. Tutti obbedivano ciecamente agli ordini della padrona del locale, al punto di fare squadra tutti e sei insieme.

Poi venne un giorno in cui quel legame venne messo alla prova.

Una delle prime lezioni che i ragazzi avevano imparato era che non erano mai gli unici. Di tutte le attività possibili, quella illegale era quella che non conosceva crisi e molti volevano una fetta della torta; perciò era meglio restare sempre in campana.

Tra questi rivali c'era una banda in particolare che voleva espandere la sua influenza e per farlo si stava muovendo silenziosamente, facendosi notare da nessuno.

Nessuno, eccetto Aria.

Casualmente lei era capitata in mezzo ai loro affari e questi, credendo fosse giunto il momento per uscire dalla segretezza, l'avevano rapita pensando che sarebbe stato un modo perfetto per iniziare la loro carriera criminale ufficiale.

Fu così che i cinque ragazzi si unirono per la prima volta, per salvarla dai rapitori. Loro e altri uomini dello zio: di fatto, quel recupero era il primo vero incarico che Alastor ricevette.

Trovare i rapitori fu meno complicato di quanto si potesse pensare e, una volta entrati, scoppiò un vero e proprio massacro. Non che al ragazzo importasse.

I proiettili vagavano gettando fischi per tutta la stanza, ma lui andò avanti deciso e liberò Aria dalle sue manette. L'aveva tirato su lei, il minimo che potesse fare era rischiare la pellaccia per salvarla.

E ci riuscì. Lei era legata ad un palo con delle manette da quattro soldi che il ragazzo spezzò come se fossero state fatte di alluminio.

Una volta in piedi, Aria si voltò verso il ragazzone che aveva cresciuto per più di dieci anni, gli appoggiò una mano sulla spalla e lo ringraziò sorridente.

Poi, a tradimento, un proiettile le entrò nel cranio passando dalla nuca e Aria Blaze si accasciò a terra come un sacco vuoto. Mentre raccontava questi eventi e di come riconobbe la pistola ancora fumante che aveva sparato quel colpo, Alastor non smise di massaggiarsi nervosamente le dita delle mani.

Nessuno disse una parola, ma tutti capirono cosa era successo. Di questo Alastor ne era sicuro, perché alla fine della sparatoria la banda rivale era stata sgominata e l'unico ancora in piedi era il verme1 che aveva sparato.


Il racconto terminò qui. Alla fine Alastor sentiva la bocca secca come se non bevesse da settimane, ma lo stomaco si era ristretto fino ad assumere dimensioni simili ad una pallina da golf, rendendo impossibile bere qualcosa.

Aria avvertiva una strana sensazione a sentir parlare della propria morte, tuttavia si impose di rompere il silenzio. Domandò «Cosa gli hai fatto, di preciso?»

«Non voglio che tu lo sappia.» rispose, lapidariamente, Alastor

«Perché?»

«Perché neppure io lo voglio ricordare.»

Aria si prese qualche secondo, prima di domandare «Perciò mi vuoi aiutare per riconoscenza verso la mia controparte del tuo mondo?»

Alastor la guardò con un sorriso triste, come se il fatto che lei non capisse lo trovasse divertente «Tu non stai rischiando quanto me, per trovare le tue amiche?»

La sirena tacque. Forse le riusciva difficile comprendere quel legame che Alastor mostrava anche nei suoi confronti e anche il paragone che aveva appena usato non lo capiva a fondo: lei e le altre sirene erano legate da un potere superiore, una forza mistica aldilà di quanto un mortale possa comprendere... mentre come ci si dovesse sentire ad affezionarsi con un'altra persona senza il legame magico che già conosceva sembrava aldilà della sua comprensione.

Dopo una breve pausa, lei sorrise «Quando mi riunirò alle altre... riprenderemo questa conversazione.»

Alastor prese quelle parole come una promessa e ricambiò il sorriso. Era ancora lontano dall'essere un'espressione rilassata, ma si vedeva lo sforzo di apparire naturale e la sirena apprezzò comunque lo sforzo.

Più complici che mai, insieme cominciarono ad elaborare un piano per liberarsi da quella situazione.

Le altre Dazzling erano ancora scomparse, nessuno dei due sapeva cosa voleva fare Twilight Sparkle di loro e la famigerata Regina era ancora a piede libero. Se volevano ottenere delle risposte, potevano contare solo su di loro. Come sempre.

E a loro andava benissimo così.


Che lei fosse brava lo aveva sempre saputo. Anche senza preoccuparsi di cadere nella vanità, Twilight sapeva di essere una mente molto brillante e con una dote innata verso il campo magico, uno dei campi più difficili in cui avventurarsi e con probabilmente la maggiore quantità di informazioni da immagazzinare. Eppure a lei non pesavano le ore di studio, poteva anche consultare più libri alla volta in poche ore senza sentire nemmeno gli occhi farsi pesanti.

Ma, in quella situazione, tutta la certezza accumulata nel tempo era crollata come un castello di carte.

Nel buio dietro il sipario, mentre la musica dei vari gruppi in competizione nella gara musicale del liceo di Canterlot riempiva la sala, Twilight appuntava freneticamente sul suo quaderno qualcosa, qualsiasi cosa che potesse aiutarla.

Dal momento esatto in cui aveva compreso che le Sirene stavano seminando il caos nella scuola aveva spolverato tutte le sue conoscenze per venire a capo di un piano per sconfiggere questa nuova minaccia.

E riuscì ad elaborarlo. Assieme a sei riserve in caso qualcosa andasse storto.

Sei strategie differenti, più un attacco diretto con il riflesso del potere degli Elementi dell'Armonia che impregnava i doppioni delle sue amiche in quel luogo.

Tutti falliti miseramente.

Da quando era iniziata la competizione, poi, aveva ideato innumerevoli decine di altri controincantesimi, combinazioni e alchimie di ogni sorta per contrastare l'effetto del canto delle Dazzling, ma ogni suo tentativo si era rivelato soltanto un buco nell'acqua dopo l'altro.

Lei era Twilight Sparkle, Principessa dell'Amicizia, nota in tutta Equestria e oltre per le sue capacità magiche, i suoi poteri e le sue risorse virtualmente infinite. Eppure, di fronte a quel maledetto trio, sembrava che stesse lanciando pietre contro il mare in tempesta.

Nessuno, nemmeno Nightmare Moon, l'aveva mai lasciata con le spalle al muro come in quella situazione.


Oh-whoa-oh, oh-whoa-oh

You didn't know that you fell

Oh-whoa-oh, oh-whoa-oh

Now that you're under our spell


Le note maledette delle sirene le trapanarono le orecchie come dardi scoccati con precisione. Nessuna delle sirene poteva sentirla, eppure per la principessa fu come sentirsi rinfacciare quanto improvvisamente tutte le sue conoscenze, tutti i suoi poteri e tutte le sue doti avevano, giunti a quel punto, meno valore dell'inchiostro che stava sprecando alla ricerca di una soluzione.

E così, mentre lei sudava freddo cercando di mantenere la concentrazione vicina e lontane le grida degli studenti, improvvisamente furiosi gli uni con gli altri grazie al canto delle Dazzling, un pensiero le balenò in testa, rapido ed evidente come un lampo.

Un pensiero che la gettò nello sconforto.

Loro hanno perso quasi tutti i loro poteri.


«Twilight!» la voce di Spike tuonò nella sala, destando la principessa dal suo stato di trance.

Trasalì e, voltandosi verso il draghetto suo fido assistente, la principessa cercò di sorridere «Oh, Spike... da quanto tempo sei qui?»

Solo mentre pronunciava queste parole si accorse di stare sudando.

Spike allargò le braccia «Sono qui da dieci minuti, ma non è questo il punto. Che ti è successo? Eri seduta là che guardavi la parete con uno sguardo che sembrava ti avesse insultata e ti tremava una gamba; ma quando hai cominciato ad ansimare ho cominciato a preoccuparmi. Tutto bene?»

Twilight aprì la bocca, cercando un modo per tranquillizzare il giovane drago. Ma alla fine, con un lungo sospiro, scelse invece di essere sincera.

«No, Spike. Non va bene proprio niente.» rispose, alzandosi e affacciandosi ad una delle finestre che dava su Ponyville.

Era ormai calata la notte e le luci fioche dei lampioni mostravano il paesaggio, puntellandolo come il dorso di una cocinella, mentre sempre più case spegnevano le luci.

«Le Dazzling sono ad Equestria e il Cielo sa cosa potrebbe accadere, se rimettessero le mani sul potere che avevano prima che Starswirl le bandisse.»

«Qualunque siano le conseguenze, ce la faremo!» rispose Spike alla preoccupazione della padroncina, battendosi un artiglio chiuso a pugno sul petto «Ne abbiamo passate tante, supereremo anche questa.»

Purtroppo, il pessimismo di Twilight era troppo alto per il drago «Non lo so, Spike... stiamo parlando di tre creature che nemmeno Starswirl il Barbuto, uno dei più grandi e potenti unicorni della nostra storia, è riuscito a sconfiggere del tutto. Le stesse sirene che hanno rubato i poteri agli altri Draconequus! E ora, loro sono tornate... tutte e tre! Chissà cosa penserebbe Starswirl di me, se sapesse la situazione in cui ci troviamo!»

A quelle parole, Spike non rispose subito. Lentamente, si avvicinò a Twilight e le appoggiò deciso una zampa sulla gamba.

Quando i loro occhi si incrociarono, ripeté con una decisione che sorprese la principessa «Te l'ho detto, Twilight. Qualunque cosa succeda... noi ce la faremo. Sopravvivremo anche a questa.»

1Non usa esattamente questa parola, ma preferiamo evitare di riportare il reale nome usato da Alastor (n.d.s.)

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Capitolo 6
*** Imboscata ***


Capitolo 5

Imboscata


Un nuovo giorno sorse su Ponyville e la vita nelle strade, puntuale come un orologio, tornò a scorrere con un largo sorriso scolpito nelle facce dei suoi abitanti. Senza disordini, senza rumori, caratterizzati unicamente da una tempesta di colori, tutti i pony della città si misero al lavoro dietro le mansioni che i loro Cutie Mark segnalavano come le loro uniche aspirazioni possibili.

Nessuna scelta, nessuna possibilità di fare qualcosa di diverso. I loro destini venivano decisi da quei simboli e qualunque disordine veniva presto riformato.

Con passo pesante e deciso, Alastor pensava a questa visione di Ponyville mentre avanzava subito dietro Aria Blaze, come se si fosse sostituito alla sua ombra. Entrambi gli umani studiavano il paesaggio intorno a loro, rassegnati al fatto di essere bene in vista ma restando attenti a non mostrare le loro reali intenzioni.


I due ragazzi avevano cominciato presto la loro mattinata: poco era il loro sonno e tanta la tensione accumulata, al punto che ai primi raggi del sole durante l'alba erano scesi dal letto e, dopo una veloce colazione, erano subito usciti insieme per mettere in atto il loro piano.

«La chiave è sicuramente da qualche parte nel castello di Twilight!» aveva deciso Aria; si era presa subito l'incarico di pianificare e dirigere le loro azioni, scelta che Alastor non provò nemmeno a contestare: anche se aveva bisogno di qualche tentativo per imparare a pronunciare alcuni nomi, era sicuramente più intelligente di quanto lui non fosse. E, in una situazione come quella, serviva un cervello funzionante.

Il massimo che lui poteva offrirle in quel tangente era la sua esperienza nelle azioni non strettamente legalizzate.

«Il problema è che noi non abbiamo idea di quanto sia grande né quante guardie possono esserci dentro. Per non parlare di come, trattandosi di noi due, non possiamo affatto sperare nell'effetto sorpresa!»

La loro situazione era decisamente sfavorevole: essendo gli unici esseri umani a Ponyville, per giunta molto più alti di tutti loro, qualsiasi movimento sospetto sarebbe stato evidente come un lampo a ciel sereno.

Aria sospirò, mettendosi le mani nei capelli senza smettere di girare intorno. Dopo alcuni secondi si fermò, battendo le mani e puntandole contro Alastor.

«Sono degli ingenui!»

Il ragazzo non capì e lei spiegò «I pony, questo era da ancora prima che venissi bandita con le altre, sono una specie dal grande potenziale, indubbiamente, ma sono sopratutto tremendamente ingenui: si fidano a prescindere del prossimo e, sopratutto, solo tu sei peggiore di loro nel dire bugie!»

Alastor si risentì «Io so mentire benissimo

Aria lo liquidò rapidamente dandogli le spalle «Cominci sempre a guardarti intorno e ti ci vogliono cinque minuti per dire una sola parola, quando menti. Sei il peggior bugiardo che io conosca!»

Il ragazzo aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima doveva pensare ad una scusa convincente, così rimase cinque minuti con la bocca aperta e un dito puntato contro Aria.

Non si rese nemmeno conto che stava dando ragione ad Aria.

Approfittando del silenzio, lei spiegò il suo piano «Adagio e Sonata sono entrate nello stesso portale dove siamo entrate noi, perciò devono essere sicuramente passate per il castello. Ma se provassimo a vedere dove possono essere, verremo scoperti nel giro di un minuto: tutto quello che ci resta da fare è indagare fuori dal castello.»

Alastor si distrasse sentendo quell'ordine e domandò, alzandosi in piedi «E a chi possiamo dirlo? Ho come l'impressione che una parte della città mi guardi strano mentre l'altra vorrebbe mettermi in vetrina per mostrarmi agli amici!»

Aria si voltò verso di lui con un sorriso vincente stampato in faccia «No, non tutta Ponyville. Forse nemmeno loro sanno cosa stia pianificando Twichit, ma ci sono cinque pony che sicuramente lo sapranno.»

La sirena fece una breve pausa, prima di appoggiare le mani sulle spalle di Alastor e guardarlo negli occhi «Ma rischieremmo grosso, avvicinandoci a loro. Un solo errore e loro parleranno a Twilight. Avrò bisogno del tuo aiuto, Alastor.»

Lui ricambiò il sorriso poggiando le mani sui fianchi della ragazza, rispondendole «Non ti lascerò mai, Aria.»

I due ragazzi restarono a guardarsi in quel modo ancora per qualche secondo, il tempo che entrambi si rendessero conto di cosa e in che tono si fossero appena detti.

Alastor reagì aprendo la bocca, cercando qualche scusa da dire per rendere la situazione meno equivoca. Ma la sua incapacità nell'inventare storie si fece sentire nuovamente e la pelle gli divenne di un rosso acceso.

Aria, invece, divenne paonazza, ritirò le labbra e dopo pochi secondi si staccò dal ragazzo, dirigendosi in un'altra stanza dicendo soltanto «Preparati. Tra poco andiamo. E, come ti ho già detto, non sarò io quella che ti metterà l'anello al dito!»


E così i due umani uscirono per le strade di Ponyville, ignorando gli sguardi sorpresi degli abitanti e cercando di mimetizzarsi, almeno nel comportamento, nella popolazione locale. Per farlo, distribuivano sorrisi ai quattro venti e non si risparmiavano nel parlare con chi, azzardando un contatto, si fermava a parlare con loro. Nonostante fossero complici, nessuno di loro aveva voluto approfondire quella breve parentesi che li aveva paralizzati.

Il primo luogo dove andarono fu il Carousel Boutique. Studiando una guida del posto, Aria aveva imparato come muoversi tra quei pony e, ricordandosi del suo doppione nell'altro mondo, la sirena aveva scelto che sarebbe stata Rarity la loro prima tappa: fingendosi riconoscenti per i cambi di abiti confezionati dall'unicorno, avrebbero approfittato del suo orgoglio per ottenere delle informazioni.

E per un po' il piano parve funzionare, o almeno fino alla parte delle lusinghe.

Ridendo in maniera quasi maniacale, l'unicorno si era lanciato in un aneddoto degno di un poema epico su quanto fosse stato per lei difficile fare delle copie di abiti come quelli che indossavano i due umani: i tessuti, la forma inusuale, i vari pezzi, ma sopratutto le dimensioni! Oh, com'era stato difficile creare dei vestiti senza un modello!

«Per non parlare del fatto che puoi averci visto solo al castello, vero?» domandò Aria, dandole corda

«Oh, sì! È stata dura, ma ci sono riuscita lo stesso. Per fortuna Applejack mi ha dato una mano, l'avete impressionata al punto che ricordava benissimo le vostre proporzioni!»


Il trio parlò, o meglio Aria e Rarity parlarono, ancora per un bel pezzo e quando uscirono dal locale Alastor avvertiva un forte mal di testa, scatenato dall'incessante chiacchiericcio delle due donne. Aria, di contro, non pareva risentirne e piuttosto rifletteva massaggiandosi il mento con l'indice ripetendo «Questo è molto strano.»

«Che cosa è molto strano?» domandò Alastor, levandosi il cerchietto sui capelli per massaggiarsi con la mano libera una tempia

«Applejack che aiuta a creare vestiti? A meno che la sua storia non sia completamente diversa dal suo doppione nel tuo mondo, stiamo parlando di un pony senza gusto alcuno nel vestirsi. Figurarsi nel memorizzare proporzioni e cuciture! E poi, quante volte ci ha visto? Dieci in tutto? Come può già conoscere bene il corpo umano, così diverso dal suo?»

«Che dici, vuoi andare a chiederglielo?»

«Non ancora. Prima abbiamo un altro soggetto con cui parlare.»


Davanti all'entrata del castello, Spike osservava i due umani rivolgersi a lui con espressione interrogativa: abituato a portare tutti gli ospiti da Twilight, tutto si aspettava meno che volessero parlare con lui!

Aria restava accucciata verso il draghetto, mentre Alastor poco dietro di lei lo squadrava tenendo le braccia incrociate al petto.

«Come pensate che lo possa sapere?» esclamò Spike, alla domanda che gli venne rivolta

«Sei o non sei l'assistente della padrona di casa?» rispose Aria, inarcando un sopracciglio «Ne parlavo con Alastor in questi giorni e ci chiedevamo, se il portale per il suo mondo è aperto, come potreste gestire eventuali intrusioni? Sarà capitata una palla rimbalzata attraverso il portale, o qualcuno che cade...»

Spike aprì le braccia «Tutto quello che so è che il portale, dal mondo umano, si apre una volta ogni trenta lune. Twilight ha progettato un modo per attraversarlo ogni volta che vuole. Ma è curioso che me lo chiediate.»

«Cosa ci sarebbe di curioso?» domandò Aria

«Applejack ha sollevato la stessa domanda qualche tempo fa. Da allora passa sempre un po' di tempo, specialmente alla sera, davanti allo specchio a occuparsi di eventuali intrusioni. I primi tempi montava la guardia in coppia con qualcun altro, ma non ha mai chiesto cambi.»


«Tutto questo non ha senso!» esclamò Aria, mentre con Alastor riprendeva a spostarsi «Non solo ci conosce perfettamente ma, magicamente, si preoccupa di quello che passa attraverso il portale e si offre di farci da guardia. Dopo un'intera giornata passata a lavorare, chi può avere voglia di controllare anche una possibilità remota come che qualcosa picchi attraverso il portale e finisca casualmente qui ad Equestria?»

«Sei sicura che dicesse la verità?» domandò Alastor, credendo che il drago avesse mentito

«L'hai visto anche tu negli occhi. Era troppo ansioso di sbarazzarsi di noi per inventare una storia.»

«Da quando sai leggere le persone nello sguardo?»

«Non padroneggi poteri di controllo della mente senza imparare a leggere i movimenti delle persone!» ribatté lei, quasi offesa

Alastor alzò le mani in segno di resa, interrompendola «Okay, Sherlock!» solo allora si accorse di dove la ragazza lo stava portando. Era felice di seguire semplicemente le istruzioni di Aria, alla fine si trattava di agire in maniera simile, se non addirittura uguale, a quella nel suo mondo originale, tuttavia l'assoluta ignoranza riguardo le intenzioni di lei lo lasciava piuttosto spaesato.

In quel preciso istante si trovavano vicino ad una recinzione che fungeva da ingresso ad un vasto meleto, il quale come una vasta muraglia marrone, rossa e verde che si estendeva fin dove l'occhio poteva guardare, circondava una fattoria dalle mura rosse e il tetto scuro.

«Dove siamo arrivati?»

«Questo luogo lo chiamano Giardino Meleblabla, o qualcosa del genere.»

«E cosa dobbiamo fare, qui?» domandò ancora Alastor, seguendo Aria la quale invece cominciò a camminare in punta di piedi nella vegetazione, come cercando di non farsi scoprire. Era così focalizzato sul loro obiettivo che nemmeno si domandò se quel posto si chiamava davvero Meleblabla.

«È qui che vive il nostro prossimo bersaglio. L'unico modo per venire a capo delle stranezze che ci hanno appena detto è chiedere direttamente a Jackline

«Applejack. Credo che si chiami Applejack.»

«E tu come fai a esserne certo?» ribatté Aria, offesa di essere corretta da Alastor

Non avendo il coraggio di ammettere a voce alta che Aria aveva pronunciato correttamente quel nome fino a poco prima, Alastor confessò un particolare che aveva notato «Applejack è anche il nome di un cocktail. Un cocktail dannatamente buono, che Susy non sa fare. Non c'è modo che possa dimenticarlo!»

Aria agitò la testa, accompagnando il gesto con una leggera risata. Euforia che tuttavia terminò non appena vide, poco lontano da loro, sul retro della fattoria, il draghetto Spike e la giumenta appena menzionata parlare con volto contratto, come se stessero comunicando qualcosa di estremamente importante.

Volendo scoprire il più possibile, e chiedendosi come il drago potesse averli preceduti senza che se ne accorgessero, entrambi i ragazzi si acquattarono nella vegetazione. Aria era abbastanza slanciata da potersi nascondere in maniera efficace dietro ad un albero, mentre Alastor dovesse sdraiarsi in mezzo a dei cespugli.

Il pony e il drago stavano discutendo in maniera piuttosto animata, come se non avessero la preoccupazione di essere sentiti.

«La sirena è qui, a Ponyville. E sta passeggiando liberamente con l'umano appresso, perché è così difficile catturarli?» domandò Spike, allargando gli artigli.

«Twilight ha messo intorno a loro una sorveglianza degna di una principessa. Non possiamo semplicemente prelevarli e portarli fuori da Ponyville senza attirare l'attenzione!» esclamò Applejack, indicando intorno a se con la zampa

«Be', questo non ci ha fermato finora, o sbaglio?»

«Sappiamo entrambi che Sua Maestà in persona si è infiltrata in regni in cui tutti erano concentrati su di lei, figurarsi se non riesce a inserire dozzine di noi in una cittadina come questa, dove tutti sono distratti!»

Spike sbuffò, portandosi una mano sulla fronte. Alla fine domandò «Quali sono gli ordini, allora?»

«Dobbiamo rinunciare alla copertura. I risultati al momento sono soddisfacenti, ma per completare l'esperimento abbiamo bisogno di tutte e tre le sirene. La Regina sta arrivando, dobbiamo tenerci pronti per quando darà il segnale!»

I due ragazzi avevano sentito decisamente abbastanza.

«Il segnale per cosa?» domandò Aria, uscendo allo scoperto

I due la fissarono per qualche istante senza dire niente. Non si erano preoccupati di assicurarsi che intorno a loro ci fosse qualcuno o qualcosa, ma il fatto di essere stati scoperti non li dava molta preoccupazione.

«E dov'è il tuo ragazzone?» chiese Applejack, guardandosi intorno.

Aria, con fare volutamente strafottente, puntò verso il duo una mano piegata per fare il gesto della pistola, avvertendoli mentre fingeva di prendere la mira con un occhio «Ditemi che cos'è questo segnale e... beh, farò in modo che lui non vi faccia ingoiare i denti e non vi butti in un tombino. Che ne dite?»

Per tutta risposta, il duo le rise in faccia. Allora Aria, offesa, piegò le labbra in un sorriso feroce «Io vi avevo avvertito.»

Accompagnato dal suono dello sparo emesso da Aria «Bang!» Alastor uscì allo scoperto.

Velocemente e inarrestabile come una locomotiva, corse verso il duo, travolgendo Spike e afferrando Applejack per la criniera, trascinandola contro le pareti della fattoria.

Spike era abbastanza piccolo da poter essere sbalzato via semplicemente dall'impatto con l'umano, trascinare Applejack fu già più difficile. Difficile, ma non impossibile.

Quando la giumenta picchiò in pieno contro l'albero, una fiammata verde la avvolse, rivelando l'essere simile ad uno scarafaggio grande quanto un pony che Alastor aveva già affrontato nella foresta.

«Mapporcapu...» fece appena in tempo a dire, prima che il secondo avversario lo colpisse alle spalle rompendogli una trave di legno sulla schiena.

Alastor indietreggiò qualche passo, portandosi una mano alla nuca. Quando si voltò, minacciando di una terribile sorte quel “codardo e checca” che lo aveva preso alle spalle, si gelò vedendo Aria guardarlo con uno sguardo feroce.

«Ora che non ci capisco un c...»

«Sono Mutanti! Possono prendere qualsiasi forma!» gridò la vera Aria, mentre si metteva in guardia da un bellicoso Alastor che si stava avvicinando lentamente, ma inesorabilmente, a lei. Probabilmente era lo stesso che Alastor aveva picchiato contro il muro... erano veloci, i bastardelli! E si riprendevano in fretta!

«Non rendiamo le cose facili, insomma!» si lamentò lui, schivando per un soffio un gancio della finta Aria abbassandosi velocemente. Così facendo, tuttavia, ricevette una ginocchiata all'occhio da parte dello stesso nemico.

Il colpo risuonò nella testa di Alastor come se avessero colpito una campana posta dentro il suo cervello, ma in compenso vide che anche la copia di Aria si stava massaggiando il ginocchio. Lui aveva proprio la testa dura.

Felice di sapere che i suoi avversari, per quanto duri, potevano almeno provare dolore, Alastor piegò le labbra in un inquietante sorriso, acuito dal fatto che questa volta non sembrava soltanto una smorfia, e chiamando il suo nemico come il figlio di una donna dai facili costumi annunciò che era il momento di vedere “cosa sapeva fare”.


All'interno del suo castello, Twilight ripose il libro per comunicare con Sunset Shimmer sullo scaffale, rimuginando nel mentre.

Aveva appena mandato un messaggio alla sua amica ormai residente nel mondo parallelo chiedendole se aveva avuto modo di notare movimenti strani intorno al portale e lei le aveva risposto che aveva sentito delle voci di strani individui “punk” che avevano preso l'abitudine di radunarsi intorno alla statua della scuola, ma non aveva mai avuto modo di vederne uno dal vero.

Poteva sembrare un fatto innocente, un luogo come la statua del Liceo di Canterlot poteva fungere perfettamente da rifugio, eppure qualcosa nella principessa era scattato.

Forse era dovuto allo stress per gli eventi degli ultimi giorni, o il conflitto con quella parte di lei che le suggeriva insistentemente di alleggerire la presa che aveva su Alastor Sullivan e Aria Blaze, fatto stava che avvertiva un fastidiosissimo formicolio sulla fronte che le suggeriva che qualcosa le stava sfuggendo tra gli zoccoli.

Ma cosa?

Spike interruppe i suoi pensieri arrivando dietro di lei e annunciando «I due umani sono appena usciti dalla loro abitazione. Sembra che stiano facendo due passi per Ponyville, forse vogliono conoscere bene l'ambiente.»

Twilight annuì senza commentare, cercando di rimanere concentrata.

Il draghetto si avvicinò preoccupato «Tutto bene, Twilight?»

«Spike...» lo chiamò la principessa «Ricordi quando abbiamo aiutato Rarity durante la settimana della moda a Fillydelphia?»

«Oh, sì.» annuì il draghetto, carico di ricordi «Per aiutarla, dopo che aveva dovuto inventarsi da zero tutta la nuova collezione, avevate fatto le ore piccole! Come posso dimenticarlo? Ti confesso che a volte rido ancora, ripensando a quella scena: la ricordo così bene come se se l'avessi davanti agli occhi in questo momento!»

Twilight Sparkle si gelò. Alzò lo sguardo avanti a se, tenendo gli occhi fissi sulla parete mentre un intero schema si dipanava di fronte a lei, come tessere di un domino che cadono una dopo l'altra. Inspirò profondamente un paio di volte, prima di ripetere con un filo di voce «Spike...»

«Sì, Twilight?»

«Quella era Manehattan.»


Aria si trovava in difficoltà: il Mutante che aveva preso le sembianze di Alastor la sovrastava di una spanna e, senza la magia, provare a colpirlo valeva a dire prendere a pugni uno scoglio. O almeno, questa era la sensazione che le aveva dato dopo il primo pugno che era riuscita a dargli.

Lui questo lo sapeva e le riservava il più odioso dei ghigni, mentre allungava in maniera lasciva le mani verso di lei.

Poteva anche avere il fisico più sviluppato tra le Dazzling, ma quel Mutante era diventato semplicemente troppo potente, una volta assunte le sembianze di Alastor.

Simile consapevolezza le mandò una vampata alle orecchie che le fece arrossire e la bloccò per un istante. Un lasso di tempo più che sufficiente perché il suo avversario la prendesse per le braccia, sollevandola in alto come un sacco di patate.

«Sembra che alla fine l'invasione non sarà necessaria!» osservò lui, sprezzante.

Aria si agitò nel tentativo di liberarsi. Nella sua forma originale avrebbe potuto staccargli la testa con un morso, mentre con i suoi poteri avrebbe potuto muoverlo come una marionetta, ma nello stato in cui si trovava non aveva né la forza né la magia necessaria per liberarsi.

Tuttavia doveva agitarsi per bene, poiché per fermarla il Mutante si era sistemato a gambe larghe avanti a lei, per poter avere una maggiore base di appoggio.

Fu lì che scelse come muoversi.

Scattando, troppo veloce per essere vista, Aria alzò una gamba e con la tibia colpì violentemente l'inguine del Mutante. Questi poteva anche essere grande, grosso e potenziato, ma certe cose fanno sempre e comunque male.

Infatti lui mollò la presa, piegandosi a metà e portando le mani sulla parte lesa. Posizione che diede un leggero vantaggio ad Aria, la quale lo colpì alle ginocchia con un altro calcio, facendolo cadere a terra. Da lì saltò, atterrandogli con tutto il peso direttamente sul collo.

L'impatto fu sufficiente per rendere privo di sensi l'avversario: cadde e, dopo venire avvolto da una fiammata verde, assunse nuovamente le dimensioni originali. Almeno per il momento.


Alastor era certo di avere un certo vantaggio: Aria era indubbiamente più intelligente di lui, ma restava il fatto che lui avesse qualche chilo di muscoli in più. Tuttavia presto dovette ricredersi, quando ricordò che dalla loro i Mutanti avevano la magia.

Non capiva esattamente come funzionavano i loro poteri, ma il suo avversario era dotato di una velocità incredibile: semplicemente lui non riusciva a starci dietro e ogni volta che provava a colpirla, questa schivava spostandosi di lato talmente veloce da lasciare dietro di se solo l'immagine. Immagine che puntualmente si dissolveva quando Alastor la colpiva.

I tentativi di colpirla furono numerosi, ma purtroppo senza risultati. Se non altro, lei non ricambiava i colpi, probabilmente voleva prenderlo per sfinimento.

Fu allora che Alastor azzardò e, cercando di colpirla con un diretto, allungò a tradimento un braccio a lato. Questi, infatti, prese in pieno il Mutante il quale, troppo concentrato sui colpi dell'umano, si era spostato senza notare il gomito posto all'altezza del suo collo.

Colpito, fece una capriola in aria che lo fece atterrare sgraziatamente con la schiena. Prima ancora che potesse accorgersi di cosa stava succedendo, tuttavia, Alastor lo sovrastò e, pestandogli la testa con il piede, lo mise fuori gioco.

I due umani si avvicinarono, guardandosi intorno chiedendosi se ce ne fossero altri.

«I mutanti si muovono in sciame.» ricordò Aria «Non può essere che ce ne fossero solo du...»

Le parole della ragazza vennero interrotte dall'arrivo di alcuni membri della stessa famiglia di Applejack, tra cui Granny Smith, Apple Bloom e le sue amiche, che li fissarono con tono di sfida.

«Che c'è?» chiese, seccato, Alastor.

«Sono Mutanti anche loro.» spiegò Aria, benché stesse guardando intorno a se. I suoi occhi erano circondati da un leggero alone rosso che Alastor non vide «Siamo circondati. Ne arrivano altri, dalla foresta.»

Alastor si concentrò sulla situazione intorno a lui. I pony che li stavano circondando avevano preso le loro sembianze e l'eco di passi in avvicinamento dalla foresta si faceva sempre più forte. Data l'intensità dovevano trattarsi di svariate migliaia di Mutanti in marcia.

Un leggero sorriso si formò sulle sue labbra.

Aria fece un secondo di riflessione, prima di agitare il capo sconsolata «Immagino che sia inutile farti notare quanto sarebbe più saggio scappare...»

«Prima ti metto in salvo. Poi, non me lo perderei per niente al mondo!»

«Sarà il tuo funerale.» osservò la ragazza, sentite le parole di Alastor. Nella sua voce non c'era alcuna traccia di minaccia o avvertimento, ma pura e semplice constatazione.

Alastor sorrise ancora, sprezzante, mentre i Mutanti intorno a lui cominciavano ad avvicinarsi lentamente, come predatori che stanno per ghermire le loro prede, e l'eco dalla Everfree Forest si faceva sempre più intenso «Meglio così, che in altro modo!»

Fu allora che, annunciandosi con un semplice «Non voglio che muoia qualcuno | Cerca di non essere importuno!» una saetta cadde tra i ragazzi e gli assalitori.

Atterrando con addosso una borsa di vimini, Zecora attaccò i Mutanti estraendo due boccette e lanciandole verso di loro con una velocità tale che nessuno riuscì ad accorgersi di qualcosa fino a quando queste non si ruppero a terra.

Una nube azzurra avvolse i Mutante con le sembianze di Alastor e Aria, lasciandoli tossire. Mentre il fumo si diradava, tutti si accorsero di aver subito particolari handicap che li lasciavano esterrefatti: ad uno di loro era cresciuta a dismisura una folta peluria riccioluta, un altro il corno aveva assunto una consistenza simile a gomma, un altro ancora aveva la lingua sporgente gonfia e a pois...

Ma non ci fu il tempo per parlare oltre, poiché la zebra ordinò, con il tono di chi non accetta un rifiuto «Seguitemi!»

Poteva essere anche un bel modo di morire, difendendo la propria amata da chi voleva invece rapirla, ma se c'era il modo di proteggerla e vedere assieme l'alba del domani, era sicuramente meglio. Arrossendo non appena si accorse di aver pensato ad Aria come “la propria amata”, Alastor seguì la ragazza e la zebra.


Il trio tornò presto a Ponyville, correndo tra le vie dove numerosi pony cominciarono a prendere il volo, avvolgendosi in fiamme verdi fino a riprendere le sembianze di Mutanti. Il cielo si stava lentamente, ma inesorabilmente, riempiendo di punti neri che osservavano con ghigni predatori i tre fuggiaschi mentre si stavano dirigendo verso il castello di Twilight.

Una volta entrati, videro un paio di pegasi chiuderli velocemente la porta alle spalle.

Fermati per riprendere fiato, vennero raggiunti dalla padrona di casa.

Alastor si fermò a guardarla, senza parlare subito.

La principessa si atteggiava in maniera estremamente diversa dal solito, anziché agire composta camminava in maniera lenta e con il capo chino, come se stesse cercando di uscire da una situazione che non solo la feriva nell'animo, ma che non mostrava alcuna soluzione semplice.

L'alicorno si fermò avanti ai due umani, continuando a non pronunciare una sola sillaba per ancora un minuto. Alla fine, quando rialzò lo sguardo, Alastor raccolse quanto fiato aveva per chiedere «Cosa accidenti sta succedendo?»

In maniera lapidaria, Twilight Sparkle rispose «Abbiamo un enorme problema.»

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Capitolo 7
*** La Verità ***


CAPITOLO 6

La Verità


Poco dopo la loro improvvisata riunione nel castello, Twilight Sparkle, Aria Blaze e Alastor Sullivan si spostarono in una delle sale del castello, lontani da occhi e orecchie indiscrete. Zecora aiutò nel loro isolamento chiudendo la porta dietro di loro, prima di muoversi ad aiutare gli altri cittadini rifugiati dall'assalto Mutante.

Il trio si trovava nella stessa stanza dove stava lo specchio per il viaggio attraverso i vari mondi paralleli e una serie di Mutanti, tutti tenuti a terra legati, imbavagliati e privi di sensi. Poco lontano dallo specchio, inoltre, Alastor notò la sua borsa con le mazze da baseball con cui era partito per quell'insolita avventura; era stato così impegnato da scordarsene.

Anticipando le domande dei due umani, Twilight cominciò a spiegare indicando i Mutanti intorno a loro, uno dopo l'altro «Questo era Spike. Al suo fianco ci sono Aloe, Lotus, Derpy, Octavia... accidenti, c'è persino il sindaco! E, da quello che ho capito, anche le mie amiche sono state rapite.»

Aria incrociò le braccia, commentando acidamente «Be', almeno adesso sai cosa si prova!»

Twilight non prese bene quelle parole; fulminando la sirena con gli occhi le gridò «Io e le mie amiche siamo le legittime portatrici di un potere che potrebbe risolvere questa situazione in un battito di ciglia!»

A sua volta, alla sirena non piacque il tono accusatorio della principessa. Puntandole contro un dito, rispose «Anche noi Dazzling potremmo spazzare via i Mutanti con una sola strofa, neppure ben intonata, ma indovina un po' grazie a chi siamo diventate tre esseri umani senza poteri?»

Alastor, mentre le due donne bisticciavano, studiava con il massimo della sua attenzione i prigionieri, cercando chi tra loro fosse quel figlio di un cane che lo aveva picchiato come un chiodo nella Everfree Forest. Ricerca che si rivelò fin da subito vana, visto che i Mutanti erano tutti perfettamente uguali!

«La Regina che ha rapito le tue amiche è la stessa che ha rapito anche le mie!» esclamò Twilight, alzandosi in volo per guardare Aria dall'alto «Litigando tra noi stiamo solo perdendo tempo!»

Se non altro, quelle parole aiutarono a rompere quella flebile concentrazione di cui era capace Alastor «Eh? La Regina, allora, è quella che sta venendo qui?»

La sua ingenuità zittì entrambe le donne. Accettando il fatto che quell'umano non dovesse ancora aver capito cosa stava succedendo, Twilight iniziò a spiegare «Forse è meglio che cominci dal principio. Ma non abbiamo molto tempo, perciò sarò breve...»


* * *

Già da prima dell'arrivo di Aria e di Alastor, Twilight stava affrontando un periodo poco tranquillo: stava studiando l'ormai perduta magia del Caos.

La magia di Equestria si divide fondamentalmente in cinque discipline: la Biomanzia, la capacità di mutare il proprio aspetto, la Telecinesi, la capacità di muovere gli oggetti, la Telepatia, il controllo e la lettura della mente altrui, la Divinazione, la capacità di prevedere il futuro, e infine la magia chiamata semplicemente Oscura, marchio di fabbrica dei nemici di Equestria.

Essendo la magia un campo molto ostico da apprendere è comune che la maggior parte degli unicorni si specializzi in una serie di incantesimi appartenenti ad una sola di queste discipline, a seconda di cosa rappresenta il loro Cutie Mark: ad esempio Rarity possiede ottime capacità telecinetiche ma è assolutamente incapace di prevedere il futuro.

Ovviamente, tuttavia, esistono eccezioni che permettono di ampliare i proprio orizzonti e apprendere più di una disciplina: la stessa Twilight si era dimostrata più volte in grado di spostare oggetti, leggere nel pensiero e conosceva molti incantesimi Oscuri. Le principesse Celestia e Luna, addirittura, padroneggiavano completamente quattro discipline su cinque.

L'unione di tutte queste discipline da vita alla cosiddetta Magia del Caos: un potere antico quanto l'universo e andato perduto durante l'Era degli Alicorni.

Prima che qualsiasi cosa nascesse, esisteva solo il nulla. Dentro a questo vuoto innaturale si aggiravano, prive di controllo, le energie che avrebbero dato vita a tutta la magia che avrebbe caratterizzato il mondo di Equestria così come lo si conosce. Questo paradosso, un vuoto innaturale pregno di energie magiche, è la manifestazione stessa del caos: un potere selvaggio allo stato grezzo, nato dal nulla e impossibile da controllare, capace di piegare il tessuto della realtà stessa.

Queste forze, inevitabilmente, finirono con lo scontrarsi e la reazione che ne seguì scatenò l'evento noto come Creazione.

Da qui nacque il mondo così come pony, grifoni, asini e qualsiasi altra specie lo conosce.

Il fatto che loro fossero soli nell'universo è stato confermato più volte nel corso degli anni, per questo veniva dato così tanto valore all'amicizia.

In ogni caso, le energie del caos continuarono a modellare la loro creatura, riempiendola di specie diverse, osservando la loro crescita e la loro evoluzione fino ad evolversi loro stesse e prendere una forma fisica: i Draconequus.

I Draconequus, caotici miscugli di tutte le creature che popolavano quel mondo, vagarono per il creato per un periodo incalcolabile, seminando il panico e distruzione gratuita a seconda dei loro capricci. Questo periodo infatti rende tuttoggi quasi impossibile avere delle certezze su cosa sia successo nei primissimi anni in cui era nato il pianeta e la stessa storia legata alla nascita del mondo conosciuto era per ora soltanto un'ipotesi, una teoria vecchia di secoli che si basava su congetture, prive tuttavia di fatti concreti a supportarla.

Proprio per questo motivo Twilight aveva iniziato a studiare la magia del Caos: per confermare o screditare la teoria del Caos come chiave per la creazione di tutto, doveva sapere di più su quella magia perduta.

Ma a complicare subito le sue ricerche fu il fatto che Discord era l'unico Draconequus rimasto in vita dopo la nascita delle Dazzling e sapeva a malapena scrivere il proprio nome in una calligrafia comprensibile, figurarsi ricordare eventi di migliaia di anni fa!

Inoltre il lungo periodo trascorso dalla sua nascita, assieme al duplice incontro con gli Elementi dell'Armonia, avevano enormemente indebolito la sua connessione con quelle energie, riducendolo ad un lontano eco di quelli che erano i suoi poteri nei primi anni di vita.

Perciò, se Twilight aveva bisogno di prove, doveva assolutamente approfondire quello che si poteva sapere sulle sirene.

Tuttavia dovette presto accorgersi di un altro problema che quello studio le provocava: i ricordi che salivano a galla del suo incontro con quelle creature.

Certo, dopo tanti tentativi erano finalmente riusciti a sconfiggerle, ma la battaglia finale fra le Dazzling e le Rainboom fu tutto meno che facile e un tarlo non smetteva di roderle in testa, chiedendole insistentemente se sarebbero state comunque in grado di trionfare quel giorno, se non fosse stato per l'aiuto di Sunset Shimmer, elemento che entrambe le fazioni avevano ignorato fino a quel momento.

Studiare con questa domanda tatuata nel cervello fu più difficile di quanto lei fosse abituata.

Poi, da un giorno all'altro, la situazione era precipitata: Aria Blaze, una delle sirene, era stata trovata nel suo stesso castello, accompagnata da un umano che la principessa non riconobbe.

Rivedere dopo tanto tempo uno dei membri che l'avevano piegata la fece subito rabbrividire, al punto di tentarla di usare il suo potere di alicorno contro di lei finché era inerme: cosa sarebbe potuto succedere se le sirene avessero fatto ad Equestria quello che avevano fatto al liceo di Canterlot?

Ma presto qualcos'altro attirò maggiormente la sua attenzione: Aria era da sola e ancora nelle sue sembianze umane!

Affascinata da questa curiosa anomalia, Twilight scordò per qualche minuto le sue paure e organizzò rapidamente i nuovi passi da compiere: Alastor venne affidato a Fluttershy, ritenuta la scelta migliore per ammansire una creatura strana come l'umano, mentre Aria venne rinchiusa in una bolla di stasi e lasciata agli studi della principessa.

Presto Twilight fece rapporto alle altre principesse e e ottenne la conferma di quanto sospettava: lo specchio era stato incantato da Starswirl per le creature di quel mondo, gli umani non risentivano gli effetti del cambio dei mondi e perciò non potevano mutare aspetto, adattandosi alle differenti dimensioni. Test successivi concretizzarono il fatto: Aria Blaze era un umano a tutti gli effetti, il che rendeva il suo potere magico paragonabile a quello di una mimosa.


* * *


«Non ho ben chiaro come sia possibile, ma quando abbiamo combattuto le Dazzling i nostri poteri combinati devono averle mutate definitivamente in esseri umani a tutti gli effetti.»

«Perché attaccarle, poi?» intervenne Alastor «Volevo recuperare i loro poteri, non vedo cosa...»

«Sì, volevano recuperare i loro poteri e conquistare il mondo!» esclamò adirata Twilight, infastidita dalle accuse che venivano lanciate verso di lei

Alastor si voltò verso Aria «Sul serio volevate conquistare il mondo?»

Riconoscendo a se stessa di aver tralasciato di confessare all'umano un dettaglio che probabilmente gli avrebbe permesso di vivere la permanenza a Ponyville in maniera completamente diversa, Aria aprì le mani «Be', sì...»

Alastor reagì sospirando, alzando gli occhi al cielo e commentando «Che piano originale... cantavate con la tuba e i baffi finti?»

Richiamando bruscamente l'attenzione a se, Twilight Sparkle proseguì «Ma con Aria Blaze, assieme alle altre sirene, mutate in comuni esseri umani ho pensato che avremmo potuto attuare su di loro la nostra legge.»

«Legge?» ripeté Alastor, non poco preoccupato al sentir pronunciare quella parola.

«Noi pony siamo una specie molto pacifica. Noi non puniamo i criminali semplicemente ammassandoli in una cella, o addirittura eliminandoli fisicamente come voi umani. A onor del vero, i vostri “omicidi” qui sono una realtà quasi sconosciuta, non si hanno notizie sull'ultimo caso di violenza così alta dalla fondazione di Equestria!»

Alastor rimase impressionato da quel fatto. Aria, di contro, rimase concentrata sul filo del discorso e domandò «E perciò, cosa prevederebbe questa vostra “legge” nei nostri riguardi?»

«Redenzione.» fu la lapidaria risposta della principessa «E, per rendere questo possibile, voi due dovevate restare insieme.»

«Ferma dove sei!» interruppe a quel punto l'umano interpellato

«Farò finta di non aver sentito... parli come se fossimo sposati!» appoggiò Aria

Twilight reagì con un sorriso sornione «E voi come descrivereste questa vostra complicità?»

I due ragazzi si ammutolirono, prima di scambiarsi un'occhiata imbarazzata.

«Conosco la storia di voi sirene, Aria Blaze.» proseguì Twilight, interrompendo quel silenzio imbarazzato e puntando la ragazza con lo zoccolo «Per tutta la tua vita, non sei mai stata così vicina per così tanto tempo a qualcuno che non fosse Adagio o Sonata. E non ricordo qualcuno che tu abbia mai sbagliato a pronunciare il suo nome!»

Aria distolse lo sguardo, mentre Twilight passava ad Alastor «E tu... tu! Hai dato di matto, quando non riuscivi a trovarla! Ti sei addirittura avventurato in un mondo parallelo, credendole fin dal primo momento e anche adesso che la situazione è disperata la tua prima preoccupazione è la sua salute. Perché continui a negarlo?»

«Be'...» iniziò Alastor, senza tuttavia trovare un modo per finire la frase. Era solo l'orgoglio a spingerlo a parlare, in maniera del tutto involontaria.

Probabilmente la situazione sarebbe proseguita a lungo, se una nuova voce non fosse sbucata dal nulla rovinando il momento. Una voce profonda e rauca.

«Poco sveglio il nostro amico, eh?»

Twilight, riconoscendo all'istante quella voce così caratteristica, chiamò a gran voce «Discord?»

Come evocato, la creatura in questione apparve dietro a Twilight sbucando dalle sue spalle come se fosse stato nascosto lì per tutto il tempo, cosa impossibile data la sua altezza di almeno tre volte superiore all'alicorno lilla.

Fece così la sua comparsa una creatura dal corpo serpentino ma coperto di pelo, una coda squamata, due corna differenti sul capo così come le ali sulla schiena, una zampa leonina e una da rapace, una zampa rettile e una caprina.

«Discord!» lo chiamò ancora Twilight, sorridendo

«È la prima volta da quando ci conosciamo che sei così felice di vedermi. Sono quasi commosso!» esclamò il Draconequus, estraendo un fazzoletto dalla barba caprina sotto il mento

«I rinforzi! Dove sono?» chiese Twilight, ignorando le parole del compagno

Discord divenne improvvisamente serio, facendo sparire il fazzoletto e vestendosi in un flash con una divisa militare ottocentesca, con tanto di piuma sul cappello «Princess Celestia e Princess Luna stanno arrivando. Ma non potevo portare loro con me, non è così semplice attraversare lo spaziotempo, sopratutto se si è in così tanti! Hanno bisogno di tempo: tre ore, al massimo quattro, e saranno qui con le truppe.»

Twilight sbiancò «E come credono che possiamo resistere così tanto? I Mutanti hanno conquistato Canterlot in molto meno tempo!»

«Ehi!» reagì offeso il draconequus, indicandosi «Io sono qui per farvi guadagnare quel tempo!»

Twilight ricambiò con un'espressione poco convinta «Ricordi la tua fama di creare più problemi di quanti tu cerchi di risolvere? E bada al cerchi, non risolvi

«Dimmi solo tre occasioni!» si difese il Draconequus, puntando le zampe sui fianchi. Tutte e quattro.

Senza rifletterci sopra un solo istante, Twilight elencò rapidamente «Hai infestato Ponyville con dei rovi magici che tu hai piantato mille anni fa e che ti sei “dimenticato” di levare1. Hai fatto rischiare il manto a me e Cadance perché “volevi vedere quanto ti sono amica”2. E non dimentichiamoci di cosa hai fatto durante l'uscita con le Cutie Mark Crusaders e Fluttershy3

Discord sbuffò, puntando un dito contro Aria «Tsk! Che sfiduciata! Come se potessi davvero perdermi l'occasione di salvare qualcuno che ha avuto la bella pensata di lasciare solo me, in circolazione!»

Detto questo, la creature sparì in un flash, apparendo dietro la sirena e strizzandole una guancia «Non avrei mai immaginato che le sirene potessero innamorarsi!»

Quasi senza accorgersene, venne afferrato per il collo da Alastor e buttato per terra. Quando riuscì ad accorgersi di cos'era successo, eppure, si divertì ancor più di prima e iniziò a ridere nonostante la posizione.

Aria, indifferente alla leggerezza del Draconequus, lo sovrastò fulminandolo con lo sguardo «Non farmi pentire di aver lasciato solo te, secoli fa. Posso sempre rimediare a quello che non hanno fatto Adagio e Sonata!»

Discord scomparve in un flash per apparire ancora una volta dietro di lei, questa volta facendo attenzione a non toccarla. Lì, aggiunse «Oh, come se con li altri Draconequus ci fossimo mai apprezzati l'un l'altro! Non ho rancore verso di voi perché avete anticipato una guerra che ci sarebbe comunque stata tra di noi, un giorno. Ma non capisco nemmeno perché ti offendi tanto: la tua è stata la minaccia meno spontanea che abbia mai sentito. E io sono pappa e ciccia con Princess Luna!»

Si cercò di riportare l'ordine, ma una forte luce proveniente dallo specchio distolse l'attenzione di tutti i presenti.

«I Mutanti sono anche nel mio mondo...» ricordò, quasi involontariamente, Alastor mentre si parava davanti ad Aria come per farle da scudo umano, sfilando una delle mazze da baseball nella sua borsa e stringendola con entrambe le mani.

«Di tutti i momenti...» ringhiò Twilight, piegandosi verso lo specchio e caricando il corno di magia. Presto, tutti quelli che si trovavano nella stanza assunsero posizioni di guarda verso l'artefatto.

Uno stridio, prima lontano e via via sempre più forte, si udì provenire dal vortice multicolore che piegava il vetro dello specchio. In breve, con un urlo, un uomo massiccio almeno quanto Alastor, con la barba tagliata in maniera irregolare, uscì allo scoperto. Quando mise i piedi per terra, imprecando, si lamentò di quanto odiasse spostarsi.

Subito dopo di lui, altri esseri umani uscirono allo scoperto.

Nessuno, meno Alastor ed Aria, li riconobbero: erano i soggetti del Black Canary.

El Bastardo era stato il primo ad uscire allo scoperto. Portava il suo completo casual con la camicia gialla sbottonata, un paio di jeans e attaccata alla cintura si poteva vedere la fondina di una pistola, nonché una lunga fila di coltelli appesi nella parte interna della giaccia viola a strisce che teneva aperta sopra la camicia.

Bulldog era esattamente uguale: maglione bordeaux di un paio di misure più grande di lui, occhi fuori dalle orbite come se non dormisse da molto tempo, jeans strappati e anfibi. Teneva stretti nelle mani una coppia di tirapugni luccicanti.

Bobo inciampò non appena uscì dallo specchio, cadde a terra facendo un gran baccano, ma presto si rialzò. Indossava una divisa da giocatore di football, con tanto di casco, e Alastor non poté fare a meno di chiedersi da dove fossero usciti quei vestiti. Tra le mani, reggeva una luccicante mazza edile.

L'ultima ad arrivare fu proprio Susy. Lei, contrariamente a come appariva di solito, era vestita con abiti mimetici, due pistole erano appese nelle loro fondine nella cintura e un fucile era in un'altra fondina posta dietro la sua schiena. Due fila di munizioni si incrociavano sul suo corpo, formando una X in pieno ventre e in testa portava una lunga bandana rossa.

«E che posto sarebbe, questo?» domandò subito Bulldog, guardandosi intorno. Casualmente, tutti erano con le spalle rivolte agli altri presenti.

«Cos'è questo, cristallo?»

«Ragazzi!» chiamò Alastor, avvicinandosi a loro con le braccia aperte. Non sapeva assolutamente cosa provare, se gioia nel rivederli, stupore perché erano arrivati fin lì o vergogna per com'erano conciati.

Alla fine, scelse l'ultima opzione «Ma come vi siete vestiti? Dove credete che siamo, in un videogioco

Quando invece i suoi parirazza lo videro, rimasero non poco esterrefatti e fecero per festeggiare. Purtroppo, la vista di chi stava dietro di lui e le pose difensive che Twilight e Discord non avevano ancora smesso di mantenere li fecero comprendere subito di essere capitati in un brutto momento.

«Sono due giorni che non ti fai sentire.» sintetizzò Susy «Che cosa è successo?»

Alastor alzò le spalle «Oh, un po' di cose... lo zio sa che siete qui?»

El Bastardo non riuscì a soffocare una risata. Risposta più che esauriente.

«Non avevamo idea di dove fossi, abbiamo indagato e abbiamo scoperto che l'ultima persona che ti ha visto è stata una ragazzina dai capelli rossi e gialli del liceo di Canterlot. Pareva che ti fossi tuffato nella loro statua... per quanto stupido, abbiamo voluto controllare. E, visto che non sapevamo come fosse la situazione, siamo venuti preparati.» spiegò brevemente Susy, sebbene non riuscisse a staccare gli occhi da Discord: non riusciva a capire cosa fosse, esattamente.

«Grazie del pensiero.» ringraziò subito Alastor, prima di domandare, con una leggerezza che sembrò paradossale «C'è qualche piantagrane, però, che dovrei sistemare. Non è che, tanto che siete qui, avete voglia di spaccare la faccia a qualcuno?»

Bulldog si avvicinò ad Alastor, fino a poggiargli una mano sulla spalla «Al, noi siamo sempre pronti per questo genere di cose!»

Senza dire niente, Bobo si avvicinò a sua volta, porgendo ad Alastor l'arma che portava con se. Fu Susy a spiegare «Abbiamo pensato che, conoscendoti, se eri ancora qui allora dovevi per forza essere rimasto incastrato in qualche casino. Perciò avresti anche avuto bisogno di un upgrade. Nei videogiochi non succede spesso così?»

Alastor sorrise e impugnò la mazza, ringraziando ancora. Poco dopo si rivolse ad Aria porgendole l'altra arma «Non sono sicuro di poterti stare sempre vicino e...»

Aria strappò la mazza da baseball dalle mani di Alastor sbottando «Ehi, io sono una Sirena! Non sono una principessa da salvare dal mostro, mettitelo bene in testa!»

Twilight osservò la scena senza commentare fino alla fine, nemmeno allo sfottò di Aria. Certo, ricevere dei rinforzi era in quel momento come manna dal cielo e vedere quei sei umani decidere di stare dalla loro parte era sicuramente utile, eppure c'era un fatto che non poté non ammettere a voce alta.

Mentre si massaggiava le tempie con gli zoccoli, borbottò «I rinforzi delle Sorelle Principesse arriveranno tra tre ore. Ora, la sorte della mia gente è nelle mani di uno spirito del Caos, una sirena senza poteri e... cinque fuorilegge?»

Per quanto potesse apparire offensivo, per i cinque del Black Canary quelle parole suonavano divertenti. Fu Aria a commentare per tutti loro, esclamando «Già. Non potresti sperare in un aiuto migliore, vero?»

Ci fu una risata generale, ma Twilight volle mettere alla prova la loro fedeltà: non era utile ricevere degli aiuti che avrebbero potuto scappare alla prima occasione. Casualmente, era in circolo il periodo di apertura dello specchio, non poteva correre rischi.

«Quello che stiamo per sfidare è un esercito che ci supera di diverse centinaia ad uno, se va bene. Siete sicuri di poter resistere, fino all'arrivo dei rinforzi di Canterlot?»

Alastor sbuffò, poggiando pesantemente il manico del grande martello sulla spalla.

«Così tanti?» intervenne Bulldog, grattandosi il capo attraverso il cappuccio

«Alla faccia del qualche piantagrane!» osservò, stranamente divertita, Susy.

«È come festeggiare San Patrizio a Giugno!» esclamò, allora, El Bastardo. Nessuno degli umani, nemmeno Bobo, dimostrava il minimo segno di volersi tirare indietro. Apparentemente, per loro affrontare un esercito così numeroso era cosa da poco.

«Se c'è qualcuno che deve farsi largo con la forza... credici, nessuno è meglio di noi!» concluse dunque Alastor, rivolgendosi a Twilight con un malcelato disprezzo. Non l'aveva assolutamente in simpatia, eppure apparve evidente che non sarebbe mai scappato alla guerra.

Dopo questo breve scambio di battute, i sei umani uscirono dalla stanza ignorando gli sguardi sorpresi degli altri nel castello e cercando di studiare quanto meglio potevano l'ambiente, per prepararsi a cosa sarebbe potuto sbucare e da dove.


Mentre si posizionavano lungo il corridoio, per coprire qualsiasi punto in cui i Mutanti avrebbero potuto fare breccia, Susy si rivolse ad Aria «Lo sai, in realtà odio quando è così determinato. Mi fa sempre pensare al peggio!»

Aria, udendola, si voltò verso di lei. In realtà, Susy nemmeno la guardava, stava a caricare il fucile. La sirena non se la sentiva di chiederle come pensasse di muoversi, così armata, né volle soffermarsi su come quella ragazza bionda apparisse calma e posata come al Black Canary e che stesse parlando di simili argomenti simili mentre si avvicinava l'esercito Mutante.

«Parli sempre per... quella ragione?» domandò allora, riferendosi alla morte del suo doppio

Susy finì di caricare e sospirò, mentre il metallico clack della canna del fucile segnava che era pronto a far fuoco in qualsiasi momento «Lo sai, ho cucito la sua carne, sistemato le sue ossa e rimosso più pallottole dal suo corpo di quanto mi piaccia ricordare. Sono una barista una confidente, e a volte sono stata anche un medico. Ma c'è qualcosa che non posso sistemare.»

Incuriosita, Aria chiese ancora «E cosa?»

«Un cuore infranto.» rispose lapidariamente Susy «Spero che tu capisca quanto sia straordinario quanto luisi stia dannando per aiutare te e le tue amiche. Compreso il fatto che anche adesso, con tutte le probabilità che ci sono di finire male, non voglia saperne di scappare.»

Aria, udite quelle parole, piegò la testa perché le frange dei capelli coprissero l'arrossarsi delle sue orecchie. Era già abbastanza difficile quando Twilight insinuava che ci fosse qualcosa tra lei e Alastor, ci mancava solo la cugina pettegola!

«Ti sorprendi che ti voglia ancora aiutare. Ma anche tu lo stai aiutando e, Aria... ti prego... non smettere.»

Prima che potesse sentirsi ribattere in qualsiasi modo, Susy ammiccò verso la sirena e sparì, mimetizzandosi tra i gruppi di superstiti che si stava organizzando.

Tutti, in quei momenti, stavano facendo la loro parte: Discord, vestitosi per l'occasione come un generale da Prima Guerra Mondiale, usava la sua magia per creare transenne e rinforzare le pareti del castello, mentre Twilight alzò una barriera incantata lungo l'intero castello, emulando suo fratello durante la crisi di Canterlot.

Fin da subito sapeva che quello non sarebbe stato sufficiente a fermare l'esercito Mutante e la loro sovrana, ma sperava che avrebbe potuto almeno farli guadagnare qualche minuto prezioso.

Il rullio dei tamburi segnò l'avvicinarsi del nemico. Chi si trovava all'interno del castello percepì il rombo come un suono di sventura e malaugurio, mentre gli invasori traevano forza da quel suono, avvertendo già la vittoria.

Twilight, immaginandosi il nemico avvicinarsi, ringhiò a denti stretti «Che il Tartaro ti prenda, Queen Chrysalis!»


Dalla foresta intorno a Ponyville legioni di creature nere simili ad incroci tra pony e insetti uscirono dall'ombra, marciando all'unisono come una macchina ben oliata mentre formazioni a punta di lancia oscuravano il cielo.

Le forze dei Mutanti erano apparentemente infinite, impossibile contare il loro numero preciso, e tutte marciavano senza mostrare emozione alcuna, se non una rigida disciplina, verso il castello di Twilight.

Per i pony all'interno della struttura il rumore delle forze nemiche in avvicinamento fu come udire il rumore di tanti tamburi che si facevano sempre più vicini, fino a fermarsi del tutto a pochi metri dal confine segnato dalla barriera magica di Twilight Sparkle.

Insensibili al potere usato dall'alicorno, i Mutanti restarono a terra e in volo a guardare la barriera, mentre un'ala delle truppe si divideva a metà per lasciare passare l'unico mezzo su ruote che si poteva trovare in tutto quel mare nero. L'ombra alzata dallo sciame in volo rendeva chi sedeva lì in cima ancora più minaccioso.

Sul carro che avanzava senza alcun traino, mentre il cigolio delle gradi ruote avvertiva il suo arrivo, un enorme bozzolo posto sulla cima conteneva Adagio e Sonata. Avanti a loro, una figura slanciata e nera si alzava su tutto e tutti con un ghigno predatorio che segnava il muso.

«Princess Twilight Sparkle.» parlò lei, con tono calmo, quasi seducente, con un leggero eco nella voce «Il motivo se a quest'ora non ho ancora preso il controllo di Equestria. Il motivo se ho perso un altro regno. Il motivo se sono finita in esilio.»

La sovrana di quel popolo fece una breve pausa mentre elencava i torti che la principessa dell'amicizia le aveva fatto, fulminando con i suoi enormi occhi verdi l'intero castello. Una strana collana, simile a quella di Princess Celestia, ma con un grande rubino posto sul petto che brillava di una luce innaturale.

Queen Chrysalis accarezzò la gemma commentando «Avrebbe dovuto saperlo fin dall'inizio che, se ti prendi gioco di me, le conseguenze non saranno leggere.»

Il corno della sovrana venne avvolto da una luce verde coperta da fulmini rossi, canalizzandosi presto sulla punta prima di colpire, con un grosso raggio dello stesso colore, la barriera.

Questa, con un rumore simile a mille vetri infranti, cadde a pezzi, dissolvendo le schegge nell'etere prima che toccassero terra. Dall'interno del castello, poco mancò perché Twilight avesse un mancamento. Comprendendo subito di quale magia avesse a disposizione ora la regina dei Mutanti, l'alicorno lilla imprecò a denti stretti.

Fuori dal castello, invece, Queen Chrysalis puntò la zampa contro il castello, ordinando «Che non rimangano nemmeno le fondamenta!»

E in un boato, seguito dal rombo degli zoccoli che calpestavano il terreno mentre il fischio delle picchiate dei soldati in volo riempì l'aria, le legioni dei Mutanti si abbatterono sul castello.

L'invasione era cominciata.

1Vedi episodi 4x01 - “L'Albero Dell'Armonia” e 4x02 - “Viaggio nel Tempo”

2Vedi 4x11 - “Discord Guastafeste”

3Vedi fumetti IDW

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Capitolo 8
*** Collisione ***


CAPITOLO 7

Collisione


Era cominciato con un boato, seguito dal crollo delle mura di cristallo.

Poi vennero le urla di giubilo e di carica degli invasori e infine le grida di terrore dei pony investiti dalla marea nera.

Costretti a rinunciare alla formazione difensiva, Discord e Twilight si erano gettati nella mischia per dare manforte ai civili che cercavano di resistere all'invasione. Il coraggio non li mancava, ma da solo non era sufficiente per fermare un esercito addestrato, numeroso e fanaticamente fedele come quello dei Mutanti.

Nonostante fossero ben consapevoli di questo divario, le due creature magiche diedero sfogo ad ogni loro potere per aiutare la loro fazione a prevalere sul nemico: Twilight sfrecciava in volo da un capo all'altro del castello come impazzita, facendo cadere sui nemici una pioggia di magia viola e Discord, dopo aver creato qualche decina di copie di se vestite da soldati dell'Unione a cavallo e aver assaltato l'orda al grido di «Cavalleggeri, carica!» teneva a bada il nemico menando fendenti con le sue sciabole di cartone, armi innaturalmente dure e letali negli artigli del Draconequus e dei suoi cloni.

Eppure, nonostante i loro sforzi, tutto questo non era ancora sufficiente per definire “sicuro” il castello: anche colpiti, gli sgorbi ibridi si rialzavano, colpiti ma abbastanza determinati da ignorare il dolore.

Allora venne il turno degli umani.

Nessuno se ne accorse inizialmente, troppo concentrati su quanto stava accadendo intorno a loro, ma presto i difensori poterono notare come i Mutanti si fossero improvvisamente concentrati in un'area del castello.

Ad uno sguardo poco attento, il loro intervento poteva sembrare ininfluente: sei umani contro un'intera legione di Mutanti?

Eppure, per ogni umano c'erano decine e decine di Mutanti a terra, feriti e incapaci di continuare a combattere, terrorizzati dalla loro ferocia.

Perché quelli non erano pony, ma esseri umani! Una specie che, al contrario della loro, viveva a braccetto con guerre, litigi, baruffe e scazzottate, creature dotate di un naturale istinto selvaggio che a volte riuscivano a domare e altre no, con gravi conseguenze ogni volta che perdevano il controllo. E quei sei soggetti in particolare erano individui che quell'istinto non lo dominavano, anzi, faceva parte integrante della loro vita!

Un gruppo di pazzi, disagiati, malavitosi. Fuorilegge e fieri di esserlo, un male contro un male ancora peggiore.

La loro carica fu come altrettante manticore che difendono la tana, fianco a fianco anche quando tutte le possibilità sono contro; non per la gloria, non per il denaro, ma per il rispetto e l'incrollabile fedeltà che provavano uno dell'altro.

Bobo, in mezzo alla carica, sembrava essere diventato più bestia che uomo: senza mai smettere di correre, travolgeva i mutanti da un capo all'altro del corridoio con la sua mole. Quei pochi che non venivano calpestati o sbattuti da quei cento- e- rotti chili di acciaio dovevano fare attenzione alle sue mani: molti vennero afferrati per colli e corna e usati come armi improprie, agitati da una parte all'altra contro i loro fratelli, lasciando dietro di loro una di ossa rotte e sangue vermiglio che gocciolava dai carapaci spezzati come grissini, fino a che loro stessi non assumevano la consistenza di un budino e venivano gettati lontano per fare spazio ad un altro.

El Bastardo manteneva fede al suo nom de guerre e usava ogni oggetti che gli capitava a portata di mano come se fosse stato tutto posizionato secondo le sue necessità; un attaccapanni, un'asta di legno o addirittura la gruccia di un armadio... nelle sue mani, tutto appariva improvvisamente più spaventoso e letale di quanto avrebbe potuto essere in un incubo. Questa sua imprevedibilità, unita all'intramontabile ghigno feroce e le incessanti risate sadiche ogni volta che rompeva qualcosa, un oggetto o un osso, gli diedero un'aria semplicemente terrificante e molti Mutanti vennero a meno alla loro fedeltà alla causa e preferirono fuggire, piuttosto che aveva a che fare con quel mostro psicopatico.

Susy tempestava i suoi nemici con una pioggia orizzontale di proiettili, correndo e saltando i suoi nemici dimostrando un'ottima mira. La struttura dei Mutanti rendeva i proiettili poco letali, la loro natura magica permetteva loro di sopravvivere anche quando un proiettile attraversava le loro teste, ma nessuno di loro si sentiva di rialzarsi dopo essere stato ferito dalla ragazza. La frenesia dello scontro impediva alla cameriera del Black Canary di ricorrere al suo fucile, quello che secondo lei era il migliore amico di una donna, ma anche con “solo” la sua coppia di pistole seppe seminare il panico nella legione nemica.

Bulldog sbucava dal nulla, approfittando della sua bassa statura per mimetizzarsi nel caos dell'orda nera e lanciare assalti feroci e mirati contro gruppi di nemici, spesso già indeboliti dagli altri membri di quell'improvvisata resistenza, dando loro il colpo di grazia saltandogli al collo.

Aria e Alastor resistevano insieme: l'uno vicino all'altra, quasi schiena contro schiena, la strana coppia resisteva con una sincronia che sembrava si fossero allenati per anni, muovendosi come un unico corpo con una mente in comune. Senza bisogno di parlare, Aria compensava la lentezza dei colpi di Alastor stordendo i nemici con rapidi fendenti della mazza da baseball, prima che lui spazzasse via chiunque stava intorno a loro con un solo movimento della mazza edile.

In quel caos, in quella confusione, in quell'assedio dove l'andrenalina scorreva come un torrente in mezzo ai guerrieri, un alone rosso cominciò a coprire le iridi della sirena mentre combatteva come un'amazzone in mezzo alla mischia, sotto l'egida di Alastor.

Ad un certo punto, muovendosi automaticamente come se qualcuno la stesse manovrando, Aria Blaze alzò una mano e un'ondata invisibile travolse i Mutanti avanti a loro, gettandoli a terra. La frenesia dello scontro era tale che nessuno se ne accorse, meno la stessa Aria che non ebbe il tempo per chiedersi cosa stesse succedendo.

Poco dopo, presi dal panico per i nuovi improvvisati avversari, la marea nera batté in ritirata, rientrando in quel varco che si erano aperti nelle mura del castello.

I pony esultarono del trionfo, ma Twilight sapeva anche troppo bene che era davvero troppo presto per festeggiare: avevano respinto a malapena una legione di Mutanti, Queen Chrysalis ne aveva a disposizione decine. E poi, con i suoi nuovi poteri, chissà cosa non avrebbe potuto fare, da sola!

Un'ora era passata da quando la guerra era cominciata. Ne mancava un'altra, come minimo, perché le principesse arrivassero con i rinforzi.

Fu mentre guardava le forze che aveva portato Alastor che ebbe un lampo di genio. Voltandosi verso Discord, lo chiamò «Discord! Teletrasporta tutti in centro a Ponyville!»

Il Draconequus, non capendo, guardò la principessa con gli occhi fuori dalle orbite «Sei impazzita? Ci circonderanno, qui per lo meno non possono mandare più di una legione alla volta!»

«Lì i pony potranno correre all'impazzata, allungando di molto i loro tempi per catturarci tutti.» osservò invece Aria, capendo le intenzioni della principessa

«E poi, avremo anche noi un margine di manovra maggiore.» appoggiò Susy, mentre ricaricava

Discord alzò una zampa. Alla fine, si sarebbe trattato di dare modo ai cittadini di Ponyville di organizzarsi all'interno delle loro stesse abitazioni, luoghi che conoscevano molto bene.

«Non manca molto alla nuova ondata. Se vuoi avvisarli, ti conviene farlo ora.» disse però, prima di schioccare gli artigli.

Twilight si alzò in volo e si rivolse ai cittadini che, doloranti e feriti, la guardavano con lo sguardo perso, come se non sapessero cos'altro attendersi.

«Amici miei! Vedo nei vostri occhi la paura che io stessa faccio fatica a contenere.» cominciò a spiegare lei. «Siamo testimoni del grottesco spettacolo sputato fuori dall'angolo piu oscuro di Equestria, l'intero Regno di Mutanti sta per piombare su di noi. Siamo pochi e inesperti contro tanti e addestrati. Eppure, in quest'ora così buia, vi chiedo... vi prego... di resistere! Resistete! Lance saranno scosse e pony saranno feriti nella furia della battaglia che ci aspetta, ma non abbiate paura, non temete l'oscurità! Per tutto ciò che amate di questa città, vi invito a resistere! Non ci sarà il giorno in cui dovremo abbandonare tutto e tutti per salvarci. Non verrà il giorno in cui i nostri legami saranno spezzati in nome della sopravvivenza. Il nostro legame e la nostra amicizia sono più forti di qualsiasi minaccia, perciò, oggi, resistiamo. Oggi riscattiamo Ponyville dalla tirannia e dalla paura, per portarla verso un futuro più radioso di quanto possiamo immaginare; perché questo giorno non appartiene ad uno solo, ma a tutti noi. Insieme, libereremo Ponyville e, domani, condivideremo la nostra pace!»

Nella sala scoppiò un tripudio: Ponyville apparteneva ai pony, perciò avrebbero scacciato i Mutanti a qualunque costo.

Venne rapidamente spiegato il piano: nessuno, nemmeno i Mutanti che si erano infiltrati per le loro strade, conoscevano la città meglio di loro. Avrebbero usato quel vantaggio per lanciare una serie di attacchi di guerriglia urbana, allo scopo di mettere in difficoltà le forze nemiche e ridurre il loro soverchiante vantaggio numerico. Nel frattempo i rinforzi umani avrebbero attirato le attenzioni delle forze nemiche continuando quella guerriglia che loro sembravano conoscere tanto bene.

E, se lo sembravano, era solo perché erano davvero abituati.


Queen Chrysalis, comodamente sdraiata sul suo divano in velluto color amaranto sulla cima del carro, si sentiva abbattuta, ma c'era da aspettarselo. Succedeva ogni volta che uno dei suoi labirintici piani giungeva a compimento: la soave malinconia che si prova al termine di un'opera sudata e amata l'abbracciava come un amante focoso e non la lasciava fino al suo finale.

In tutta Equestria, e forse anche nel resto del mondo, non esisteva creatura vivente dotata dell'acume e della finezza necessaria ad apprezzare gli intricati dettagli dei piani che aveva intessuto. A volte aveva provato a spiegarli, ai suoi subalterni o a qualche prigioniero, ma il gioco perdeva così tante sottigliezze da risultare tedioso.

Aveva pianificato la sua vendetta nei confronti di Twilight Sparkle dalla sua disfatta durante la Cometa del Segretariato1 e aveva messo in pratica le sue trame non appena venne liberata2.

Nessuna creatura mortale poteva comprendere i suoi piani, meno che Twilight Sparkle. Princess Celestia possedeva la forza e la determinazione necessaria per affrontare ogni suo possibile inganno o stratagemma, mentre Luna e Cadance erano esattamente allo stesso livello di qualunque altro pony: soltanto Princess Twilight aveva dimostrato, in due occasioni su tre, di poter leggere attraverso le sue trame e far fronte non solo per affrontarla ma addirittura per sconfiggerla. Tutte e due le occasioni. Solo per questo, meritava la più infida delle vendette.

Il suo piano cominciò con un giro di turisti, pony che nessuno conosceva e dall'aspetto stravagante, che potessero dare nell'occhio: in questo modo potevano conoscere il più possibile sugli abitanti di Ponyville grazie alla loro naturale curiosità verso i propri simili provenienti da terre lontane e, una volta appreso abbastanza sulle loro vite, una ad una li sostituivano.

Nessun Pony, dopo gli ultimi eventi a cui avevano assistito, sembrava avere più paura della Everfree Forest e questa loro spavalderia aiutò i Mutanti a rapirne un numero considerevole e a sostituirli senza che se ne accorgessero. Una volta integrati nella popolazione, usavano tutto quello che avevano imparato sulla loro vittima per mimetizzarsi: non era concesso il minimo errore.

In questo modo, l'infiltrazione di Queen Chrysalis cresceva, invisibile, dall'interno. Poco a poco, giorno dopo giorno, c'era sempre meno Ponyville e più soldati di Queen Chrysalis.

Non era facile mantenere lo status, di natura i Mutanti sono un popolo molto poco restio alle confidenze, ma la loro Regina aveva ordinato che così fosse fatto e così venne fatto.

Grazie a questa infiltrazione a Ponyville, Queen Chrysalis riuscì a raggiungere anche le portatrici del misterioso potere nato dall'Albero dell'Armonia: avvicinandole, prendendole separatamente, riuscì a isolare la principessa e ad avvicinarsi allo specchio che le avrebbe dato il libero accesso al mondo parallelo dove si trovavano le sirene, il suo obiettivo.

Conosceva la loro storia, così come era a conoscenza del potere grezzo della magia del Caos: catturandole avrebbe potuto conquistare il potere che le serviva e pareggiare i conti con Twilight una volta per tutte.

Una volta al suo interno, agì in maniera simile a Ponyville: confondendosi tra la popolazione, nonostante con il cambio di realtà i suoi soldati perdessero la facoltà di cambiare aspetto, raccolsero informazioni fino a scoprire di un trio di cantanti che, durante un concerto, avevano seminato parecchia confusione. Riconoscendo il marchio delle sirene, Queen Chrysalis ordinò una caccia serrata, catturandone due su tre.

L'unica mancante, tuttavia, era protetta da un bipede che i suoi sudditi lo descrivevano come “Un'Ursa con t-shirt, gilet, jeans e anfibi” che si era sbarazzato di tre Mutanti con altrettanti colpi. Inoltre, entrambi erano arrivati proprio a Ponyville.

Nonostante il fastidio di dover adattare il piano alle circostanze, la Regina dei Mutanti ordinò l'invasione pur mantenendo il potere di due delle tre sirene: una volta catturata anche la terza, sarebbe entrata nel vivo della battaglia, scatenando i suoi nuovi poteri.

Mentre si crogiolava pensando a quanto era stato fatto per arrivare a quel punto, la perfida sovrana si sorprese vedendo le proprie truppe che sciamavano in massa fuori dal castello di Twilight. Era consapevole che i pony non sarebbero caduti facilmente, ma non avrebbe mai pensato che da soli avrebbero potuto respingere un'intera legione.

Solo quando i soldati, feriti e doloranti, tornarono avanti a lei, la situazione le fu più chiara: Discord era giunto come rinforzi, in attesa dell'arrivo di Princess Celestia, Princess Luna e della Guardia Reale, inoltre alcune creature bipedi simili ad Alastor e Aria erano apparse dal nulla, combattendo come furie.

La Regina dei Mutanti comprese subito di cosa si trattava «Tsk, feccia bipede...»

L'esistenza di quel mondo parallelo non le aveva impedito di odiarlo ferocemente, una volta scoperta la sua storia. Non solo era un mondo assolutamente privo di magia, motivo per il quale lei lo avrebbe già raso al suolo per la sua inutilità, ma l'accesa ossessione degli umani per le loro libertà individuali, al punto di difendere anche le idee più assurde e impedendo in questo modo l'ovvio processo di unione come specie le suonava come un vero e proprio insulto al suo lavoro di unificazione dei Mutanti sotto un'unica bandiera.

Per questo, anche se aveva avuto modo di scoprire il nome scientifico degli umani, ancora preferiva rivolgersi a loro con il nome di bipedi.

Illuminò nuovamente il suo corno con quell'alone verde circondato da fulmini rossastri e una lama di luce inondò i soldati avanti a lei, guarendoli immediatamente da ogni ferita. Subito dopo, un flash passò attraverso le finestre del castello di Twilight.

Mentre i suoi soldati ammiravano stupiti l'ultimo prodigio della loro sovrana, Queen Chrysalis accentuò un sorriso sardonico, immaginando il significato di quell'improvvisa luce.

Stendendo una zampa, ordinò a tutte le sue forze in campo «Il nostro nemico si è spostato a Ponyville. Circondateli e catturateli. Portatemi la sirena e Discord.»

«Maestà...» obiettò una delle guardia più corazzate e vicine alla sovrana «Cosa le fa pensare che non siano scappati tutti da un'altra parte? Quella luce resta sempre un sistema di teletrasporto...»

«Discord non ha il potere per trasportare così tanti pony e bipedi molto lontano. Non quando deve farlo tenendoli tutti assieme.» spiegò allora la sovrana, mentre con la corona dello zoccolo accarezzava il rubino sul suo giogo dorato «Mentre parliamo, si stanno disperdendo come formiche per ogni vicolo, casa... non ci sarà un solo pertugio dove potrete controllare senza il rischio di cadere in una trappola.»

La guardia esitò. Si prospettava una battaglia molto difficile «Mia Signora... non è possibile un altro modo per catturarli tutti?»

«Non prima che le Principesse arrivino.» rispose lei lapidariamente, troncando ogni speranza del suo suddito «Ma non preoccuparti. La vostra Regina è qui per proteggervi.»

A quelle parole, animati da un fervore anche maggiore di quello dei pony, centinaia di migliaia di Mutanti presero il volo, riversandosi su Ponyville alla ricerca dei suoi abitanti.

Mentre lo stridio dell'intero esercito Mutante riempiva l'aria e l'ombra che prima oscurava Queen Chrysalis si spostava su Ponyville un colpo, quello di chi picchia contro una parete, arrivò alle lunghe orecchie appuntite della sovrana.

Sospirando, si voltò verso il bozzolo dietro di lei e vide, esattamente come si aspettava, Adagio Dazzle prendere a pugni la parete trasparente della sua prigione, tentando invano di romperla.

«Come ho già avuto modo di dire, queste prigioni le creo magicamente, il che significa che esistono solo due modi per uscire di lì: o lo decido io, oppure vi procurate un potere che surclassi il mio. In poche parole, otterreste maggiori risultati fischiando!»

Adagio reagì picchiando ancora sulla parete, ricambiando con uno sguardo di puro odio quello di sufficienza che la Regina dei Mutanti le riservava. Quando appoggiò la fronte alla parete, senza staccare gli occhi viola da quelli della sua aguzzina, ringhiò «Quando usciremo da qui... perché usciremo da qui... ti pentirai di ogni singolo istante in cui ci hai tenuto prigioniere!»

Queen Chrysalis reagì alla minaccia ridendo molto sarcasticamente «Ma guardatevi! Siete soltanto delle ombre, relitti di un'epoca lontana che arrancano nei secoli, nella vana speranza di poter scimmiottare quel loro passato momento di gloria. La vostra epoca è finita con l'Era degli Alicorni, che a sua volta è terminata con il risveglio degli Elementi dell'Armonia. E presto, anche questa breve Era dell'Armonia finirà... accontentatevi di essere vissute abbastanza a lungo per assistere a tutto questo!»

Detto ciò, la sovrana lasciò le due sirene, godendo sadicamente del brutto epiteto con cui Adagio la chiamò mentre si allontanava.

Quest'ultima, notando come il suo insulto non otteneva alcun effetto, scivolò lungo la parete fino a cadere in ginocchio. Una volta a terra, posò lo sguardo in basso e chiuse gli occhi.

Di fianco a lei Sonata, preoccupata per la reazione del suo “capo”, si avvicinò a lei appoggiandole una mano sulla spalla «Lo sai, pensavo: il mondo umano ed Equestria sono molto diversi, forse qui quella parola è un complimento!»

Adagio ignorò volontariamente l'ingenuità di Sonata e si mise a sedere, passandosi il dorso della mano sugli occhi inumiditi.

«Lo sai qual è la cosa che più mi da fastidio di tutto questo, Sonata?» domandò, sussurrando come se non volesse essere sentita.

Sonata si inginocchiò per avvicinare l'orecchio ad Adagio e negò con il capo.

«Che non posso fare a meno di pensare che, se siamo qui, è anche colpa mia.»

Sentite quelle parole, Sonata aprì le mani «Il tuo piano prevedeva essere catturate dalla Regina dei Mutanti e venire usate per creare una connessione con la magia del Caos che noi non abbiamo più? Non me lo ricordavo...»

Questa volta fu Adagio a negare con il capo «No, certo che no... non so come lei faccia ad usare quella scheggia del nostro potere, a dire il vero... ma se non vi avessi coinvolte quando ho cercato di riprendere i nostri poteri in quella scuola, se vi avessi risparmiato il mio piano... a quest'ora non saremmo qui! Avremmo i nostri poteri, per quanto scarsi fossero, e avremmo continuato a vivere come sempre...»

Sonata rispose rivolgendo ad Adagio un sorriso che da solo avrebbe potuto sciogliere il burro «Oh, non essere così dura con te stessa. Certo, la situazione in cui siamo è pessima, ma sei l'unica che ti incolpa di qualcosa.»

Adagio guardò la compagna senza parlare. Questa volta era Sonata quella che doveva spiegare.

«Non abbiamo più poteri e adesso non possiamo scappare. E Aria sta rischiando grosso anche lei... ma questo non vuol dire che la colpa è del tuo piano, le cose brutte capitano! Che si sia sirene, umani, o addirittura alicorni! Sono sicura che nemmeno Aria ti serba del rancore per com'è andato a finire il tuo piano... anzi, se potessimo tornare indietro nel tempo, ti seguiremmo comunque!»

«Davvero?» fu l'unica domanda che Adagio riuscì a fare

«Ehi, forse non capisco i dettagli dei tuoi piani... va bene, diciamo che volte non li capisco proprio... ma sei tu la mente del nostro gruppo! Diciamoci la verità, anche se Aria non lo ammetterebbe mai a voce alta, né io né lei seguiremmo mai un piano che non sia il tuo Adagio!»

Commossa da quelle fedeltà, Adagio abbracciò Sonata, ringraziandola. Sonata, capendo come si sentiva l'amica, ricambiò il gesto commentando «Non serve ringraziare: a che cosa serve, se no, essere amiche come noi?»

A volte un abbraccio è quello che ci vuole per scacciare una brutta sensazione.


La battaglia lungo le strade di Ponyville proseguì in maniera caotica: se i Mutanti avevano il vantaggio numerico, la popolazione si dimostrò ben poco propensa ad arrendersi facilmente e, con una serie di attacchi mordi- e- fuggi seminava la confusione nell'esercito Mutante, apparendo da dentro un pozzo, o da un angolo buio, travolgendo la squadra avanti a loro con oggetti come casse piene di materiali pesanti, bombole del gas o tubi di piombo, prima di sparire nuovamente prima che altri nemici arrivassero per contrastare l'effetto sorpresa.

Non sempre questi attacchi andavano a buon fine: nonostante avessero scambiato il poco spazio a disposizione nel castello di Twilight in favore di una zona ben più ampia in cui dividere e contrastare le forze nemiche, per i loro attacchi lampo serviva comunque una precisione cronometrica e un solo secondo di ritardo voleva dire ad altre decine di Mutanti che piombavano su di loro come pioggia, pronti a catturarli, rinchiuderli in bozzoli verdi per poi abbandonarli sul posto e muoversi alla ricerca di altre prede.

Discord e Twilight facevano come meglio potevano per aiutare i cittadini: la principessa gridava ordini all'impazzata, mentre scagliava potenti magie contro i bozzoli per aprirli e volava all'impazzata per stare dietro alle squadre nemiche. Il Draconequus, invece, affrontava svariate centinaia di Mutanti per volta: la sua magia era indiscutibilmente più potente di tutti loro messi assieme, ma i rinforzi al castello, la battaglia di prima, il teletrasporto di tutta la cittadinanza e l'orda inesauribile cominciavano a consumargli le energie e spesso qualche incantesimo Mutante arrivava a bruciargli il manto. La Regina aveva richiesto espressamente la sua cattura e i sudditi erano ansiosi di accontentarla.

Il sudore cominciava ad imperlare lo spirito del Caos e il fiatone lo teneva piegato in due, quando un attacco combinato lo fece distrarre perché potesse essere colpito alle spalle, cadendo a terra. Fece appena in tempo a voltarsi, che uno stormo di Mutanti lo fissava con sguardo da predatore, pronti a catturare la preda.

In volo, fecero per cadere in picchiata contro di lui, quando uno sparo echeggiò nell'aria e la prima squadra cadde lontano. I Mutanti a terra, poi, vennero travolti da una macchia bordeaux che sbraitava oscenità, un colosso con la bava alla bocca e un pazzo che, armato di un lungo tubo di piombo, seminava il panico ridendo divertito.

Susy, Bulldog, Bobo ed El Bastardo combattevano come furie in mezzo alla piazza, dando man forte alla creatura magica.

«Come capiamo se sono buoni o cattivi?» domandò Susy, mentre con il fucile scacciava altri nemici che tentavano di catturarla, riferendosi alla loro possibilità di cambiare aspetto

«Se stanno cercando di catturarti, sono i cattivi!» rispose El Bastardo, mentre picchiava con la punta del tubo il ventre di un Mutante, facendogli rigettare la colazione.


Poco lontano, Alastor mise fuori gioco con una testata un Mutante, mentre Aria esclamava «Siamo destinati a soccombere, se le forze delle principesse non arrivano presto! E se anche fosse, Queen Chrystalis possiede la magia di noi sirene! Il Cielo sa cosa può fare, adesso!»

Alastor alzò lo sguardo. Da dove si trovavano, poteva vedere dove si trovasse Queen Chrysalis, riconoscendola grazie al carro su cui restava seduta con dietro i bozzoli delle altre Dazzling. Dopo un secondo di riflessione, si voltò verso Aria senza dire una parola.

«Che c'è?» chiese la sirena

«Qualunque cosa succeda... tu resta qui.»

Detto questo, l'umano strinse ancora più forte la mazza edile e cominciò a correre, lasciando Aria sola.

La ragazza aprì la bocca per chiamarlo, ma uno strano formicolio alla mano la fermò. Spostando lo sguardo, vide come delle sottili crepe si stessero aprendo sulla sua pelle, riflettendo ognuna una tenue luce rossastra. Contemporaneamente, un alone dello stesso colore coprì i suoi occhi.

Un sorriso feroce piegò le labbra della sirena, mentre constatava cosa le stava succedendo.

«Si torna in scena...»


Alastor impiegò poco tempo per arrivare davanti a Queen Chrysalis: priva di qualunque difesa, non fu nemmeno difficile avvicinarsi e la stessa Regina stava avvicinando il carro al paese, come per assistere meglio alla battaglia.

Quando i loro occhi si incrociarono, lei fermò la sua avanzata e chiese semplicemente «Vuoi dirmi qualcosa?»

Alastor strinse la presa sulla mazza, puntandola contro la Regina ed esclamò minaccioso «Lascia andare le altre sirene, o io...»

«Tu?» ripeté Queen Chrysalis, ridendo divertita «Tu e quale esercito?»

I due sfidanti erano soli, tranne che per le sirene che guardavano la scena da dietro il bozzolo. La regina dei Mutanti scese dal carro con un piccolo salto e si parò avanti all'umano. Le loro altezze erano quasi uguali, ma se Alastor era sicuramente più muscoloso, Queen Chrysalis aveva l'enorme vantaggio del suo potere.

Senza dire una parola, Alastor attaccò, sollevando la mazza sopra la sua testa prima di farla picchiare contro la regina, mirando alla testa. Ma lei, con un leggero sorriso, alzò semplicemente una barriera che frantumò la mazza come se fosse stata un grissino.

Osservando il moncherino della sua arma rimasto tra le mani, Alastor imprecò a denti stretti prima di gettarlo altrove. Sarebbe stato ancora più difficile di quanto avesse immaginato.

Vedendo però come il suo avversario non esitava e non mostrava alcun segno di rinuncia, Queen Chrysalis osservò «Io sono Queen Chrysalis. Sono la Regina dei Mutanti, solo questo dovrebbe darti un'idea di quanto io sia pericolosa. E con la magia delle sirene sotto il mio controllo, adesso sono anche tra le creature più potenti che tu possa incontrare qui ad Equestria. Mentre tu... tu sei solo un uomo a cui prudono le mani. Sei sicuro di quello che vuoi?»

Alastor si limitò a gettare il gilet da parte, restando così con la sua t shirt bianca, e portò i pugni all'altezza del volto «Fai poco il gradasso! Posso ancora farti ingoiare i denti e quella stupida collana. E lo farò, se non lascerai le amiche di Aria!»

Queen Chrysalis sorrise alla spavalderia dell'umano. I suoi occhi vennero illuminati di un minaccioso alone rossastro, mentre osservava con scherno «Oh, devi amarla proprio.»


Lungo le strade e i palazzi di Ponyville si consumava una scena di una violenza così totale che sembrava di essere tornati negli anni precedenti il massacro del Draconequus. Poche decine di Pony fronteggiavano le migliaia di schiere Mutanti, zigzagando tra i gruppi di nemici seminando il panico e la confusione.

Improvvisamente, una serie di lampi attirò l'attenzione di chi combatteva più in periferia, lontano dal centro. Lungo tutto il perimetro di Ponyville, sulla cima delle colline, migliaia di figure a quattro zampe, alate e a piedi, uscirono allo scoperto.

I rinforzi di Canterlot erano finalmente arrivati.

Sussurrando un ordine, le Guardie Reali caricarono il nemico. Pegasi ed unicorni scattarono e piroettarono sul campo di battaglia, gridando la loro determinazione e mantenendo le lance puntate in avanti. Le loro urla e il clangore delle armature attutì il sibilo dello sciame Mutante e i loro insulti, quando le due fazioni si scontrarono.

I pegasi colpirono la linea Mutante come fulmini bianchi e dorati, travolgendoli con la loro velocità e facendo perdere facilmente loro l'equilibrio prima di mandarli a terra, alla mercé degli unicorni.

I comandanti combattevano con tutte le loro forze, fedeli ad Equestria così come i Mutanti erano fedeli alla loro Regina. La loro lotta era uno spettacolo glorioso, benché i nemici li superassero di dieci ad uno. Qua e là, infatti, alcune guardie non ce la fecero e caddero sotto gli incantesimi e gli assalti dello sciame Mutante.

Preziose unità vennero perse e per un attimo sembrava che la Guardia Reale non sarebbe stata sufficiente.

Fu allora che scattò la trappola.

I pegastrelli, la guardia personale di Princess Luna, balzò fuori dalle ombre dei palazzi di Ponyville e da dietro le schiere nemiche, saettando tra i Mutanti e travolgendoli con una ferocia quasi innaturale. Rumori di ossa rotte e di urla presto riempirono l'aria e i plotoni che avevano accolto la prima ondata dei rinforzi di Canterlot vennero spazzati via.

Le Guardie Reali e le Guardie Notturne si radunarono, unendosi a Princess Twilight, Discord e gli ultimi difensori rimasti ancora per combattere, mentre altre migliaia di Mutanti uscivano ancora allo scoperto, pronti a continuare la battaglia.

Un sorriso freddo piegò le labbra dei comandanti, mentre una nuova luce, come se il sole stesso fosse sceso per assistere più da vicino a quella guerra apocalittica, avvolgeva il campo.

Da sopra i soldati riuniti scesero due figure uniche: due pony molto più slanciati del normale, una più grande dell'altra, dotate di lunghi corni, criniera e coda ondeggianti e un paio di grandi ali.

Princess Celestia e Princess Luna.

Le principesse stesse erano scese sul campo per difendere Ponyville.

Ora, pensò Twilight Sparkle, i Mutanti avrebbero assaggiato la vera potenza di Equestria.

1Vedi fumetto IDW “Il Ritorno di Queen Chrysalis” #1 - 4

2Vedi “Fiendship Is Magic” #5

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Capitolo 9
*** Bilico ***


CAPITOLO 8

Bilico


La guerra flagellò la città di Ponyville non appena giunse al culmine. Privi di ogni ordine o schema tattico da rispettare, la guerriglia da strada dei cittadini si era trasformata in una schermaglia tra due fazioni nemiche da tempi immemorabili, Pony e Mutanti. A farne le spese furono gli edifici, ridotti in macerie per la ferocia degli incantesimi e i colpi che i due eserciti si scambiavano senza tregua, le strade sconnesse dai continui duelli e gli stessi cittadini di Ponyville, che vedevano in quel disastro la rovina della città in cui vivevano.

Un trascinante senso di rabbia e frustrazione, impossibile da ignorare, cominciò a battere nei loro cuori e, gridando tutta la loro rabbia, i comuni Pony galopparono verso i Mutanti per far loro pagare tutto il dolore che stavano causando con la loro devastazione.

Ma anche gli stessi invasori non erano in grado di trattenere la loro furia e il loro desiderio di veder realizzato il prima possibile il piano della Regina.

In mezzo a tutto questo caos, gli umani giunti da un altro mondo si misero al riparo dietro un muro che una volta doveva appartenere ad un edificio. Susy ricaricò l'arma, mentre El Bastardo si massaggiava una spalla. Bobo restava immobile, ma la divisa da football era ridotta ad uno straccio pieno di buchi dai bordi bruciati, il casco era andato perso molto prima e la sua pelle puzzava di brace. Nonostante le ustioni, tuttavia, lui non dava a vedere segni di dolore.

«Dove accidenti è finito Bulldog?» chiese El Bastardo, mentre si guardava intorno. Una fitta nebbia color smeraldo si era improvvisamente alzata, rendendo difficile trovare qualsiasi cosa.

Susy caricò l'ultima cartuccia che le restava, dicendo «L'ultima volta che l'ho visto, mi stava coprendo contro una squadra di quei cosi neri.»

Come sentendosi chiamato, anche l'ultimo rinforzo umano arrivò «Stavate parlando di me?»

L'accoglienza fu inizialmente felice, costellata da sorrisi, ma presto quei sorrisi mutarono in smorfie cariche di rimorso e rabbia. Contemporaneamente, un motivetto raggiunse le orecchie degli umani.

Aria si avvicinò al gruppo dei suoi alleati fischiettando e camminando seraficamente in mezzo alla devastazione. Sembrava quasi che intorno a lei ci fosse una specie di barriera che la tenesse lontano dalla ferocia del cataclisma che si consumava tutto intorno. Le cicatrici sul suo corpo si erano fatte sempre più numerose e luminose.

Proseguendo la sua camminata la sirena raggiunse il gruppo e, senza fermarsi né smettere di fischiettare, accarezzò dolcemente il petto di Bobo passandogli a fianco. Nessuno, in quel momento, si mosse o reagì.

Fu quando Aria superò tutti e quattro che la situazione degenerò rapidamente.

Abbandonando ogni ragione o istinto di sopravvivenza, gli umani lasciarono la copertura e le proprie armi caricando, gridando e sbavando, per arrivare al primo gruppo Mutante che avevano a tiro.

Già di norma combattevano come bestie feroci, ma ora sembravano animati da una furia sconosciuta anche al genere umano: improvvisamente essi erano regrediti da umani più o meno senzienti ad esseri animati unicamente dal desiderio di sangue e violenza senza freni.

Mentre ossa e carapaci Mutanti venivano spezzati, ricambiati da bruciature, morsi e incantesimi, Aria continuava ad avanzare pensando unicamente al suo motivetto.

Una leggera foschia verde cominciò ad alzarsi dove lei camminava e, se lei era immune a quello che le succedeva intorno, chi capitava nel suo raggio d'azione avvertiva di contro la propria rabbia decuplicare.


Sulla piazza dove Alastor e Queen Chrysalis si stavano affrontando, la loro sfida proseguiva a senso unico.

Incapace di respingere le magie, già superiori rispetto alla media di Ponyville, Alastor tentava di resistere come meglio poteva, ma per quanto si sforzasse era evidente la sua inadeguatezza davanti alla Regina dei Mutanti.

Un suo nuovo pugno, che avrebbe potuto mettere zampe all'aria un bufalo in carica, venne intercettato da una bolla magica evocata dalla stessa Queen Chrysalis.

«Se per lo meno avessi qualcosa... che so, un artefatto alimentato dalla tua rabbia, forse avresti qualche speranza. Ma così? Cosa vorresti fare?» lo schernì la Regina, prima di far scoppiare la sua protezione, spedendo Alastor a diversi metri di distanza.

«So che nel tuo mondo siete abituati a sentire sciocchezze paradossali del tipo L'Impossibile non esiste o Se un uomo vuole, può ottenere tutto quello che desidera, ma cerca di crescere e affrontare la realtà dei fatti.» proseguì la Regina, vedendo l'umano che, nonostante le ferite, cercava ancora di rialzarsi.

Una volta in piedi, Alastor ritornò vicino a Queen Chrysalis, mormorando minacciosamente «La realtà dei fatti è che, quando avrò finito con te, dovranno raccoglierti con il cucchiaio!»

La regina dei Mutanti reagì alla sfrontatezza dell'umano inarcando un angolo della bocca in un ghigno divertito, agitando la testa come davanti ad un bambino capriccioso.

«Era da molto tempo che non vedevo qualcosa del genere.» confessò «Da quando ho preso le sembianze di Princess Mi Amore Cadenza.»

Alastor reagì con un altro diretto, che la Regina intercettò nuovamente alzando una barriera tra lei e la mano chiusa a pugno. Tuttavia, questa volta, l'umano insistette e, ringhiando come un animale rabbioso, sfondò la barriera mandandola in pezzi e colpendo violentemente il suo nemico proprio sul muso.

Queen Chrysalis indietreggiò di un paio di passi, portandosi una zampa sulla parte lesa. Non sorrideva più.

Quando rialzò lo sguardo, tutto il suo divertimento era sparito per lasciare spazio ad una furia che avrebbe fatto indietreggiare da solo un intero branco di lupi del legno.

«Osi mettere le tue sudicie mani su di me? Osi tanto?» gridò la sovrana, caricando il corno con la sua magia, pronta ad attaccare e non più a divertirsi con il suo avversario.

Per tutta risposta, Alastor portò i pugni all'altezza del volto, rispondendo con scherno «Te l'ho detto. Un cucchiaio


Ponyville era diventata un campo di battaglia, le Guardie Reali fronteggiavano la minaccia Mutante mentre cercavano di radunare i cittadini e i feriti in una zona sicura.

Grazie al potere combinato delle tre Principesse Alicorno riunite era stato possibile mettere al sicuro l'area intorno all'ospedale di Ponyville.

Lì dentro, i medici prestavano il primo soccorso ai feriti e tentavano, molte volte invano, di placare coloro affetti da un'improvvisa smania di combattere: certe guardie attesero giusto il tempo di essere fasciate, prima di tornare nel mezzo dello scontro nonostante la resistenza dei medici e delle infermiere.

La presenza combinata delle reggenti di Equestria metteva in grave disordine il cielo stesso: benché avrebbe dovuto essere tarda sera, sia il sole che la luna brillavano in cielo, segnando con una netta linea una zona illuminata dal giorno e l'altra ombrata dalla notte. La situazione, tuttavia, era tale che non c'era il tempo o il modo di rimediare senza aver prima sistemato la minaccia Mutante; fortunatamente a nessuno dei presenti importava davvero.

«Qual è la situazione?» domandò Princess Celestia, non appena venne affiancata dalla sorella Luna

«Continuiamo a respingerli, ma i Mutanti sembrano essersi centuplicati dall'assalto di Canterlot e non rinunciano al combattimento.»

«Come possono essere aumentati in questo modo?» si chiese a voce alta la principessa, agitando lentamente il capo

«Il Lago- Specchio!» esclamò una voce alle loro spalle

Le principesse si voltarono, riconoscendo Twilight andare verso di loro. La principessa aveva numerosi cerotti e segni di morsi sulle zampe, nonché un occhio nero, ma sembrava talmente agitata da ignorare persino il dolore «Le forze di Queen Chrysalis provenivano dalla Everfree Forest. Forse hanno trovato il lago e hanno usato la sua magia per moltiplicarsi a dismisura!»

«Se così fosse, Zecora non avrebbe dovuto accorgersi dei loro movimenti?» domandò Luna

«Possono aver preso le sembianze di altre creature per mimetizzarsi e ingannare la sua vista.» rispose Princess Celestia, portandosi una zampa sul mento per riflettere «Il problema, adesso, sta nel fermarli. Conosco un incantesimo che può aiutarci, ma se lo lanciassimo bandiremmo in questo modo anche i Mutanti originali!»

«Non sarebbe una perdita così grande!» osservò Discord, sbucando dal nulla alle spalle di Princess Luna. Per le sue parole, ricevette uno sguardo fulminante da tutti

«I Mutanti saranno anche una minaccia, ma nessuno di noi li sacrificherà per salvarci!» esclamò Twilight

«L'unico modo è raggiungere il Lago. Distruggendo la sua magia, le copie generate spariranno con lui.» propose allora Princess Celestia «E qualcosa mi dice che anche le tue amiche devono essere rinchiuse in quella grotta, Twilight!»

Sentendosi ferita sul personale, al pensiero delle sue amiche rapite e sostituite da copie Mutanti, Twilight scattò in volo «Lasciate fare a me. Andrò nella Everfree Forest, libererò le mie amiche e sigillerò quel lago una volta per tutte!»

L'entusiasmo della giovane alicorno venne tuttavia fermato dal pensiero più pratico di Luna «Se questo lago è il segreto di Queen Chrysalis, non si può escludere che ci siano altre decine, se non centinaia, di guardie a proteggerlo!»

«Andrò io con lei.» rispose Princess Celestia, affiancando la sua studentessa.

Immediatamente si levò un vocio contrario alla scelta: si trattava di un coinvolgimento troppo elevato per una figura importante come Celestia, se mai le fosse capitato qualcosa sarebbe potuta essere la rovina del regno!

Tuttavia la principessa del sole fu irremovibile «Non lascerò che Twilight se ne occupi da sola. Insieme siamo più che sufficienti per respingere qualunque difesa Queen Chrysalis abbia alzato sul suo nascondiglio. Non preoccupatevi per noi, torneremo... e sono certa che lasciamo il comando della difesa in zampe più che capaci!» esclamò lei, ammiccando alla sorella e a Discord, prima di sparire al fianco della sua ex-allieva volando attraverso una delle finestre.

«Molto bene...» iniziò Discord, sarcastico «E ora che facciamo?»

«Quello che avete fatto finora. Resistiamo.»


La resistenza di Alastor cominciava ad innervosire pesantemente la Regina dei Mutanti: per quanto lei continuasse a colpirlo, lui sembrava una macchina programmata per continuare a combattere fino al raggiungimento dell'obiettivo, senza mai arrendersi. E inoltre, da quando era riuscito a superare la sua barriera, l'umano si era rianimato di una nuova fiducia, come se avesse improvvisamente scoperto che la magia di Equestria non era infallibile come pensava agli inizi.

E così, i due sfidanti continuarono a combattere: anche se Queen Chrysalis rimaneva in netto vantaggio sullo sfidante, non per questo la situazione era per lei meno irritante.

Ma la Regina e l'umano si gelarono nelle loro posizioni, quando si resero improvvisamente conto di uno strano ed innaturale fenomeno che si stava consumando non solo intorno a loro ma in tutta Ponyville.

Una strana magia si stava diffondendo sul campo di battaglia, ingrandendosi con il passare del tempo come un cancro. Alastor poteva sentire un sottofondo di sussurri e urla distanti, mentre percepiva una strana nebbia verde, colma di piccole scintille bianche, fluttuare intorno a lui: il suo tocco etereo era gelido e sgradevole, ma i tentacoli di nebbia si protraevano verso tutti coloro che stavano combattendo, agognandone le energie e il calore.

Queen Chrysalis invece, grazie alla sua sensibilità aumentata dalla magia, poteva sentire le energie raccolte venire trascinate via, non troppo lontano da loro, e si concentrò sul punto di origine di quella nebbia. Di fianco a lei, a pochi metri di distanza, c'era Aria Blaze.

Alastor seguì lo sguardo di Queen Chrysalis poco dopo.

La sirena era in piedi, sulla cima del sentiero di terra battuta che portava a loro; attorno ai suoi piedi la nebbia sembrava farsi più intensa, nascondendoli alla vista mentre si muovevano seguendo il ritmo di passi lenti e sospesi, come se fosse stata in trance. Scariche di energia color amaranto attraversavano le sue dita, mentre le crepe dello stesso colore che segnavano il suo corpo atletico si erano intensificate di luce.

Contemporaneamente, le energie negative dei combattenti di quel giorno si radunarono e turbinarono intorno alla ragazza. Il cielo sembrò gonfiarsi per l'accumulo di potere.

E Aria Blaze, guardando i due sfidanti con occhi rossi così intensi da nascondere le pupille, cominciò a cantare e una sinistra musica riempì l'aria della sera.

La sorpresa di tutto questo fu tale che Alastor fece appena in tempo a imprecare «Cosa diavolo... cosa significa?»

«Che le cose stanno per prendere una piega ben diversa.» rispose Queen Chrysalis, infastidita

Ignorando la discussione tra i due sfidanti, Aria aprì le braccia e si alzò in volo, intonando Gods And Monsters. Mentre cantava, le scariche di potere magico divennero una turbinante tempesta d'energia magica, avvolgendo anche il bozzolo in cui erano tenute le altre Dazzling.


In the land of Gods and Monsters

I was an angel

Living in the garden od evil

Screwed up, scared, doing anything that I need

Shining like a fiery beacon


You got that medicine I need

Dope, shoot it up, straight to the heart please,

I don't really wanna lnow what's good for me

God's dead, I say “Baby, that's all right with me!”


Esclamata l'ultima strofa, i bozzoli esplosero dall'interno sparando cumuli di muco ogni dove, lasciando uscire le altre due sirene. Queste si alzarono in volo come la loro compagna, tutte loro avevano le simili cicatrici rosse che si stavano aprendo sulla loro pelle.

Nessuna smise di cantare la stessa canzone per un solo istante, in una sincronia innaturale.


No one's gonna take my soul away

I'm living like Jim Morrison

Headed towards a fucked up holiday

Motel, sprees, sprees and I'm singing

Fuck yeah! Give it to me, this is heaven, what I truly want

It's innocence lost.

Innocence lost!


Una volta riunite, le Dazzling si presero per mano e rapidamente vennero avvolte da una luce rossa dal quale ne uscirono cambiate: all'apparenza erano rimaste le stesse, ma i loro capelli si erano allungati assumendo una forma simile a code che scendevano dalla nuca fino a superare le caviglie, dalle scapole lunghe ali di resina trasparente venivano agitate dolcemente mentre restavano in volo, le unghie assunsero una lunghezza simile ad artigli e infine intorno agli occhi danzava un'aura color amaranto, simile ad una lingua di fuoco.

Era la prima volta che Alastor vedeva le tre sirene riunite: Sonata era alta quanto Aria, ma al contrario di lei aveva un enorme paio di occhi viola e i capelli azzurri raccolti in una coda; Adagio invece era la più alta del gruppo, i boccoli biondi, il fisico prorompente e la pelle liscia la facevano sembrare la venere di qualche statua greca.

Fu proprio quest'ultima, sorridendo al termine della canzone, che ruppe il silenzio creato dalla loro liberazione, intonando un “la” che letteralmente squarciò il cielo, aprendo una fenditura verso un luogo buio e spoglio, pieno di spuntoni rocciosi e taglienti.

«Avete provato a fermarci, ma siamo tornate. Nessuna creatura vivente può resisterci, adesso: il vostro futuro appartiene a noi!» dichiarò Adagio, mentre si alzava in volo prima di tuffarsi nello squarcio aperto dalle sue compagne.

Sonata la seguì subito dopo; Aria rivolse un'ultima occhiata con il suo ormai ex-aiutante.

I due non si scambiarono una sola parola per alcuni secondi, ma dalle loro espressioni sembravano in grado di leggersi come un libro aperto fino nell'anima. Ma alla fine, senza parlare, anche Aria sparì dietro lo squarcio con le altre due sirene.

Vedere la ragazza sparire, per la seconda volta, parve sbloccare Alastor: «Cos'è successo?» riuscì a chiedere, dopo qualche tentativo.

Queen Chrysalis rispose mentre lo superava, come se la loro sfida non avesse più alcun valore, nemmeno per il suo ego «A occhio e croce, Aria Blaze ha liberato le altre sirene, loro hanno recuperato i loro poteri grazie alla nostra guerra e adesso stanno radunando un esercito tutto loro. Fossi in te scapperei: non riusciresti mai a resistere a quello che tireranno fuori, quando sarà il momento.»

Alastor squadrò la Regina, mentre spariva dentro a fiamme verdi sempre più intense, salutandolo con queste parole «Il cuore deve aver cominciato a saltarti qualche battito. La salivazione sparirà presto e ti sembrerà di avere dei sassi sul petto. Non voglio esserci quando inizierai a piangere. Ma se mai vorrai liberarti di tutto questo... be', sai dove trovarmi.»

Rimasto solo, Alastor avvertì gli occhi inumidirsi. Si passò il polso sulla faccia e cominciò a correre verso Ponyville, alla ricerca di un posto dove poter avvertire chi di dovere, cacciando in profondità quel rospo che gli si era incastrato in gola.


Il Tartaro poteva essere visto come la più grande cantina dell'universo, dove non solo Equestria ma l'intero pianeta gettava “i rifiuti” e faceva finta di dimenticarseli. O almeno, era questo quello che ad Aria piaceva pensare, quando le si chiedeva un parere sulla prigione mistica più grande e sicura che si conoscesse.

Se invece si fosse cercata una spiegazione più tecnica, il Tartaro era una vera e propria dimensione vuota, un universo composto da un'unica landa, che sarebbe stata desolata se non fosse stato per i monti che puntellavano il paesaggio senza fine e le sue particolari prigioni, dove non esisteva il tempo. Condannato ad una notte eterna, i suoi prigionieri non avrebbero mai più rivisto la luce del sole o della notte; tuttavia la natura magica di quel posto rendeva possibile vedere perfettamente avanti a se, come se si possedesse una torcia.

Sempre parlando molto tecnicamente, il Cerbero, la titanica creatura a guardia di questa prigione, si trovava esattamente all'ingresso di questa dimensione alternativa; posta nella più bassa profondità di una caverna a cui soltanto i sovrani dei vari regni del mondo e i loro membri più fidati potevano accedere. Perché la natura estrema di quella prigione aveva dato modo ai vari sovrani nelle numerose generazioni che si erano succedute di rispettare un altrettanto rigido accordo: soltanto i casi più estremi, le creature più pericolose e aldilà di qualunque redenzione o perdono potevano subire un castigo come quello di venire rinchiusi in una delle celle del Tartaro.

Perché venire rinchiusi voleva dire perdere ogni possibilità che il mondo reale avrebbe potuto offrire loro e diventare, di fatto, dei fantasmi; per sempre rinchiusi nelle loro celle, incapaci di invecchiare o di finire, in qualunque modo, la loro condanna.

Consapevole di tutte queste informazioni, Aria seguiva in volo Adagio aspettando che, prima o poi, avrebbe avuto qualche spiegazione: con i loro poteri era tornato anche il legame empatico che le teneva unite e quando Adagio aveva aperto una fenditura tra il mondo reale e la dimensione del Tartaro usando i suoi nuovi poteri aveva capito che lei agiva così perché aveva già un piano. Sapere quale fosse, tuttavia, era ben diverso.

Così, le Dazzling sfrecciarono in volo per molte miglia, senza interrompere il silenzio che si era creato tra di loro. Fu solo dopo qualche minuto che Aria si stancò delle insistenti occhiate che Sonata le rivolgeva e sbottò «Si può sapere che hai da guardare?»

A sorpresa, Sonata saltò in braccio alla compagna esclamando con gli occhi lucidi «Ma allora mi vuoi bene!»

Colta del tutto alla sprovvista, Aria non riuscì a schivare per tempo la mossa a sorpresa della compagna e si trovò presto legata nel suo smielato abbraccio. A nulla valse il lamentarsi, anche in maniera colorita, o agitarsi: nonostante le differenze di fisico tra loro due, Sonata poteva vantare una forza considerevole.

«Semplicemente, percepisce che tu sei felice di essere qui quanto lo siamo noi.» spiegò brevemente Adagio, la quale si era fermata a mezz'aria con le braccia incrociate a guardarle con un sorriso divertito.

La sua espressione era sincera: in quel breve istante si era formata in maniera del tutto naturale una di quelle situazioni che a loro capitavano tutti i giorni, negli innumerevoli secoli passati assieme: Sonata che con la sua allegria esuberante subiva gli insulti e le minacce di Aria, mentre lei spiegava cosa stava succedendo, facendo la parte della ragione tra le tre.

Aria riuscì a liberare un braccio dalla morsa di Sonata e, mentre usava la mano per spingere la testa della compagna lontano da lei, ringhiò «Che ne dici, allora, di spiegarci che ci facciamo qui?»

Adagio indicò intorno a se con il braccio «Il Tartaro è la prigione più grande che questo mondo conosca. Persino io non so quanti prigionieri siano stati collezionati qua dentro, nel corso degli anni. È semplicemente il luogo perfetto per organizzare il nostro grande ritorno.»

Sonata, sentita la parola “ritorno”, liberò finalmente Aria dalla sua morsa e si agitò tutta contenta «Uh-uh! Ho già in mente tutto il repertorio! Avremo bisogno di...»

«Non quel tipo di ritorno, Sonata!» la interruppero entrambe

Dopo pochi secondi in cui si schiarì la voce, Adagio spiegò portandosi una mano al ventre «La guerra che Queen Chrysalis ha mosso verso Ponyville ha riempito le schegge dei medaglioni che abbiamo ingerito con tanta energia negativa da riottenere i nostri poteri. Anzi, essendo umane, forse anche più di quanti non ne avessimo prima: un umano può ribaltare un intero palazzo con un semplice incantesimo di levitazione... immaginatevi cosa possiamo fare noi, attingendo direttamente alla fonte del potere del Caos!»

Sonata ed Aria si scambiarono un'occhiata non troppo entusiasta. Da un lato erano felici di essere tornate quelle di un tempo, ma dall'altro nemmeno loro sapevano bene cosa quei nuovi poteri avrebbero potuto fare.

Fortunatamente per loro, Adagio sembrava avere invece le idee molto chiare.

«Questo è il segnale. È giunta l'ora di fare il ritorno ad Equestria che aspettiamo da secoli!»

«Che cos'hai in mente?» domandò Aria, incrociando le braccia «Ho penato non poco per venire qui con voi... spero che ne valga la pena!»

Adagio allungò un braccio intorno a se «Osservate!» subito, milioni di finestre, simili alle celle di un alveare, si aprirono intorno al trio: in ognuna di loro si poteva vedere il riflesso di una creatura, nessuna uguale all'altra «I prigionieri del Tartaro. Migliaia, forse milioni, di spiriti malvagi che presto libereremo per farli combattere. Pony, Mutanti e Tartaro, uno contro l'altro, finché tutti pagheranno.»

«Pagheranno... cosa?» domandò Sonata

«Per anni, siamo state bersaglio di chi voleva impedirci di avere quello che ci siamo guadagnate con tanta fatica durante l'Era Oscura. Adesso, ci riscatteremo dai soprusi e dalle difficoltà che ci sono state lanciate!»

Capendo l'antifona, Sonata si allungò nervosamente il colletto della maglia. Adagio, invece, spalancò le braccia esclamando «Osservate, adesso, mentre parlo a tutti i prigionieri come una cosa sola!»

Aria e Sonata osservavano con un misto di meraviglia e terrore: erano affascinate da quello che il loro capo era in grado di fare, ma allo stesso tempo temevano che il troppo potere che scorreva nelle loro vene avesse dato la testa ad Adagio.

Lei, incurante dei pensieri delle compagne, parlò contemporaneamente a tutti i prigionieri del Tartaro, mentre il suono di incalcolabili sbarre che si spezzano echeggiò per tutta l'area «Prigionieri del Tartaro! Da quando siete stati rinchiusi qui, il mondo vi ha dimenticato; vi hanno chiuso in una gabbia come le bestie feroci che siete e hanno buttato la chiave. Ma ora, vi offriamo una opportunità. È il momento, è arrivata l'ora della vostra rivincita!»

Tutti i volti specchiati nelle fenditure aperte intorno alle sirene si voltarono verso di loro, sorpresi di quell'improvvisa voce e di quei tre volti che erano apparsi avanti a loro. Che potere dovevano disporre, per piegare i legami magici del Tartaro e manovrarlo come preferivano?

«Il mio nome è Adagio Dazzle. Assieme alle mie compagne, Aria Blaze e Sonata Dusk, formiamo le Dazzling. Ora, le sbarre delle vostre celle sono cadute e verrete presto portati nel mondo reale; la vostra ora è giunta, i vostri nemici sono spacciati.» continuò a parlare lei, guardandosi intorno come se si volesse specchiare negli occhi di tutto quell'esercito improvvisato.

«Ma badate bene!» puntualizzò subito dopo, con un tono che avrebbe fatto tremare di paura anche la terra «Noi abbiamo il potere di liberarvi, così come quello di condannarvi a pene ancora peggiori del Tartaro. Le regole per seguirci sono semplici: liberati, combatterete contro tutto quello che vi si porrà davanti. Rifiutatevi e sarete distrutti. Disobbedite e vi sbricioleremo personalmente. Provate ad aggirare i conflitti in qualsiasi modo e rimpiangerete il momento in cui si sono aperte le vostre celle. Non c'è spazio per alleanze, è lotta senza quartiere. Confido che sappiate scegliere in maniera saggia.»

Terminato, le fenditure si chiusero e il suono dei prigionieri del Tartaro liberati che ridevano sadicamente e gridavano al vento la loro alleanza alle Dazzling tuonò.

Sonata, udite quelle grida mostruose, avvertì un sudore freddo rigarle la fronte e allungò una mano verso Adagio «Dagi... non credi che stiamo esagerando un po'?»

Aria tenne le braccia incrociate e si guardò intorno riflettendo a voce alta «Pony, Mutanti e Tartaro... di Ponyville non resteranno nemmeno le fondamenta... e forse nemmeno chi adesso si trova lì...»

«Questa non è la follia dei Draconequus!» esclamò Adagio, difendendosi dalle accuse delle sue compagne «Ho già pensato a tutto, non preoccupatevi: Ponyville brucerà, ma tutti sopravvivranno a questo giorno. Non è una pazzia, è destino! È vendetta! È il palcoscenico del nostro ritorno, un ritorno che nessuno oserà mai dimenticare!»

Aria e Sonata fissarono l'amica. Nei suoi occhi non c'era la minima traccia di follia o di ripensamento: era lucida, esattamente come lo era sempre stata. Allora, quanto rancore doveva aver provato, in questi secoli, per escogitare una vendetta di questo spazio?

Con un ghigno feroce, Adagio spalancò ancora le braccia. Contemporaneamente, il suono di incalcolabili fenditure e il riflesso delle loro luci che davano su Ponyville ancora in guerra illuminò il paesaggio

«Che Equestria sia testimone. Le Dazzling sono tornate!»


Alastor, dopo aver attraversato la città in corsa, riuscì a trovare rifugio nell'ospedale, dove venne medicato: nonostante quello che aveva appena passato, aveva anche diverse ferite, contusioni e ustioni sparse per il corpo. I medici impiegarono diversi minuti per curarlo come meglio potevano e nel minor tempo possibile, saltando direttamente l'anestesia. Nonostante questo, l'umano non disse una sola parola, nemmeno quando misero i punti ai tagli più grandi.

Presto, scoprì che anche i suoi amici erano nello stesso posto, in qualche altra sala: avevano cominciato a scannarsi a vicenda, riducendosi a degli stracci. Anche se non poteva dimostrarlo, immaginava che si trattasse di Aria.

Aria.

Pensò a quel nome e, appoggiando la schiena alla parete in un corridoio, si lasciò cadere a sedere, portando le ginocchia al petto per non lasciare le gambe sotto gli zoccoli dei pony che correvano avanti e indietro.

Svuotando i polmoni in un lungo sospiro, si portò una mano sulla faccia, ignorando i muscoli che gli gridavano contro per il dolore.

«E così, la mela non brilla più, eh?»

Una voce sconosciuta arrivò mentre teneva gli occhi chiusi. Cercandone la fonte, Alastor trovò al suo fianco un pony dotato di ali e corno dal manto scuro e la criniera ondeggiante: Princess Luna.

«Cosa?» domandò semplicemente, non conoscendo l'autorità dell'alicorno

«È un modo di dire molto comune, qui ad Equestria.» spiegò lei, sedendosi comodamente di fianco a lui «Insomma, la ragazza graziosa che volevi proteggere, alla fine, non era affatto in pericolo.»

Alastor corrugò la fronte a quelle parole «Ascoltami, se pensi che...»

«Lasciami finire.» lo interruppe lei, insensibile a qualunque posa minacciosa l'umano potesse assumere. E lui, curiosamente, si sentiva incline a darle retta.

«I rapporti, devi sapere, non funzionano come nei libri o nei vostri film e telefilm! Insomma, “si amano, si odiano, poi si baciano e tutti felici e contenti per sempre”? Ma figurati! Nove coppie su dieci non stanno bene insieme già dal principio e la metà di chi si sposa si lascia comunque. Ma non mi fraintendere: l'amore, quello vero e giusto, quello che hanno coppie come Cadance e Shining Armor, o Grumpy e Matilda, esiste eccome!»

«Stai usando come esempi persone che non conosco.» fece notare, freddamente, Alastor.

Luna tuttavia rimase indifferente alle parole dell'umano e proseguì nel suo discorso «Le coppie veramente giuste sguazzano tra gli stessi guai di tutti gli altri, l'unica differenza è che non si lasciano sommergere: uno di loro, ogni volta che serve, si farà forza, si alzerà dal fango e lotterà per quel rapporto. Se questa coppia è davvero giusta, e se i fidanzati sono fortunati... uno dei due farà qualcosa.»

Dopo alcuni secondi di silenzio, Alastor chiese in un soffio «Come si fa a capire quando è giusto?»

«Questo lo puoi decidere solo tu.» fu l'enigmatica risposta della principessa, prima di alzarsi e lasciare Alastor da solo.


Circondata dai suoi seguaci più fedeli, Queen Chrysalis sbraitava ordini a destra e a manca, quando il rumore secco di due teste che si scontrano distrasse lei e chi le era incontro. Voltandosi verso la fonte, riconobbero Alastor. La Regina sorrise.

L'umano ricambiò lo sguardo con un'espressione di volontà adamantina.

«Hai accettato la mia offerta, alla fine?» domandò la sovrana

«No.»

«E allora, perché sei qui?»

«Vado a riprendermi Aria.»

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Capitolo 10
*** Vendetta ***


CAPITOLO 9

Vendetta


Queen Chrysalis rimase in silenzio per un minuto intero, osservando l'umano avanti a lei. Ma una volta compreso quanto lui fosse convinto, sollevò gli angoli delle labbra e rise divertita senza troppi complimenti «Insomma, sei venuto ad annunciarmi il tuo suicidio?»

Quando l'umano non rispose alla sua provocazione, la sovrana ritornò lentamente alle sue faccende staccando lo sguardo da lui e spiegando «Le Dazzling hanno recuperato i loro poteri. E quel che è peggio, la vostra natura umana dona a loro una capacità combattiva molto più elevata di quanto potessero avere nella loro forma naturale. Con me sei stato fastidioso, non posso negarlo... ma nemmeno io, adesso, potrei affrontare tutte e tre le sirene assieme; figuriamoci tu, un bipede senza un briciolo di magia!»

«È da quando sono qui che mi dite tutti che sono un idiota inutile...» rispose Alastor, senza staccare lo sguardo da Queen Chrysalis «Ma non sono stupido come pensate. Per esempio, se davvero sei quella testa d'uovo che tutti dicono che sei, scommetto che hai già in mente un modo per risolvere questa situazione!»

La sovrana si fermò, osservando l'umano con la coda dell'occhio «Sì, in effetti un modo l'ho pensato. Ma potrebbe ucciderti.»

Alastor si spostò avanti a lei, avvicinando lo sguardo a quello della regina fino a che non ci fu meno di un palmo di distanza tra loro «Credimi, ho già fatto decine di cose che avrebbero dovuto uccidermi e al massimo ci ho guadagnato delle stecche e fasciature. Mettimi alla prova!»

La regina del Mutanti sorrise «Molto bene.»

Senza perdere il suo sorriso sornione, la Regina dei Mutanti si levò magicamente la collana e la mutò fino a farle assumere una forma simile ad un anello, sempre con il rubino a brillare sulla cima.

Alastor la osservò, sempre più stupito di vedere fin dove quelle creature, apparentemente innocue, erano in grado di spingersi grazie alla loro magia.

«Indossalo.» ordinò quindi Chrysalis, facendo levitare l'anello davanti all'umano «Non ho più il controllo sulle Dazzling, quindi non avrai un potere esattamente pari a quello che avevo durante il nostro scorso incontro. Ma è rimasta molta magia dentro la gemma: confido che il vostro istinto naturale, mischiato con l'empatia di voi bipedi, sia sufficiente a compensare questa mancanza e renderti in grado di far fronte alla minaccia delle Sirene.»

Alastor afferrò al volo il gioiello, coprendolo interamente con una mano. L'alone magico della sovrana sparì e l'umano chiese «Prima hai parlato di rischi. Di quali si trattano?»

Queen Chrysalis fece spallucce, come se non le importasse. Ed era proprio così.

«Come ti ho detto, la magia di quel gioiello si legherà molto alla tua empatia: tuttavia non posso garantirti su quale sentimento farà leva. Potrebbe alimentarsi con la tua rabbia e sostituire il tuo sangue con qualche materia corrosiva, oppure può appellarsi alla tua forza di volontà e permetterti di creare costrutti verdi...»

Preferendo ignorare il continuo scherno della sovrana, Alastor prese l'anello tra due dita e, senza troppe cerimonie, lo infilò nell'anulare sinistro.

Nonostante i rischi, quello restava l'unico modo che aveva per riprendere con se Aria.

Iniziò con un calore avvolgente, come se ogni fibra del suo corpo fosse andata in fiamme, poi una luce rossa lo ricoprì come un nuovo vestito. Una forza talmente intensa da sembrare dolore spingeva nel petto come se volesse uscire.

Mentre la magia scorreva prepotentemente nel corpo massiccio di Alastor, Queen Chrysalis osservava divertita la scena.

C'era sempre qualcosa da imparare.


La battaglia a Ponyville aveva raggiunto un'improvviso e incredibilmente teso stallo: la notizia del risveglio delle Dazzling si era sparso per tutti e due gli schieramenti e questo aveva portato ad una brusca svolta degli eventi.

C'era un bisogno urgente di tutte le truppe, recuperandone il più possibile tra i feriti, e di riorganizzare le difese per prepararsi a qualunque cosa le sirene avrebbero lanciato contro Ponyville.

Non che improvvisamente fosse scesa la quiete nel campo di battaglia, ancora si combatteva per le strade o per i cieli, ma si trattava di mere ed isolate scaramucce, a confronto del caos che era scoppiato agli inizi del conflitto.

Non appena Princess Luna venne a sapere del ritorno delle Sirene, la prima cosa che pensò fu come Twilight l'avrebbe presa, sapendo che lo scenario che più temeva si era appena avverato. Inoltre, quel minaccioso trio aveva più di un motivo ben per desiderare una atroce vendetta nei confronti della principessa dell'amicizia... chissà cosa avrebbero fatto!

Prima di cominciare ad organizzare le difese, sicura che anche Queen Chrysalis avrebbe fatto lo stesso, avvisò telepaticamente sua sorella: avevano bisogno del Rainbow Power come mai!


All'interno della Everfree Forest, Princess Celestia avvertì l'avviso di sua sorella e non riuscì a trattenere un'espressione corrucciata. Le Sirene erano un problema che risaliva ai primissimi anni in cui lei e Luna erano diventate le reggenti di Equestria; Starswirl il Barbuto se ne occupò al posto loro, ma era ben consapevole della loro storia e di quali fossero i loro poteri.

Sotto di lei, Twilight Sparkle finì di scansionare una grotta nella foresta ed esclamò, cercando di contenere l'emozione per non farsi scoprire «Gli abbiamo trovati!»

Princess Celestia annuì con il capo e chiese «Quanti sono?»

«Cento... poco più... non ho una cifra precisa. Mi sorprende che non abbiano usato la magia del lago- specchio per crearne una maggiore difesa!»

L'alicorno bianco, udita la risposta, cominciò a planare verso la grotta senza commentare. Solo quando Twilight le chiese cosa stava facendo, lei rispose lapidariamente «Dobbiamo fare in fretta: io li terrò distratti, tu libera i tuoi amici.»

«Princess Celestia, è sicura di potercela fare da sola? Sono sempre cento ne...»

«Le Dazzling si sono risvegliate. Dobbiamo muoverci.»

Quelle parole gelarono Twilight sul posto per qualche secondo. Per lei fu come se il cuore le avesse smesso improvvisamente di battere.

Solo quando dalla grotta scura uscì una luce intensa e abbagliante, come se un piccolo sole si fosse acceso dentro quelle profondità, lei parve destarsi improvvisamente e volò con tutta la sua velocità verso l'ingresso, maledicendo mentalmente l'irrefrenabile ambizione di Queen Chrysalis e la sua incapacità di impedire ad una simile catastrofe di avversarsi.


Improvvisamente venne una musica. Un coro composto da tre voci giovani e belle si allungò come un tentacolo per ogni vicolo, in ogni rifugio e in ogni angolo di Ponyville, raggiungendo anche le orecchie dei più distratti.

Per chiunque si trovasse lì in quel momento, non poteva esserci suono più terribile.

Un suono dolce, rincuorante come una carezza che preannuncia una sciagura.

Dopo che la musica ebbe raggiunto ogni orecchio, si aprì uno squarcio nel cielo e le Dazzling fecero la loro entrata in scena: Aria e Sonata stavano indietro, facendo il coro e tenendo le mani aperte mentre Adagio restava in testa al gruppo con un'espressione soddisfatta.

Tutti gli occhi si puntarono su di loro, chiedendosi cosa le tre sirene avessero in mente.

Adagio Dazzle rispose ai loro silenziosi dubbi alzando una mano e, muovendosi in maniera quasi teatrale, schioccò le dita augurando «Vi auguro una pessima giornata.»

In quel momento, il clangore di mille serrature che scattano tutte insieme riempì la regione; per ogni scatto un prigioniero del Tartaro strappava ogni traccia del confine tra la dimensione reale e la sua prigione, evadendo dal suo castigo.

Come un fiume di follia che aveva preso forma, l'esercito travolse Ponyville con grida e ululati assordanti. I Pony e Mutanti che già combattevano gli uni contro gli altri vennero travolti dalla marea ululante del Tartaro e da ogni angolo della città teatro degli scontri emerse chiunque poteva anche solo reggersi sulle zampe per contrastare le nuove forze in campo.

La guerra aveva appena raggiunto il suo apice.

Sopra a questo spettacolo osceno, Aria Blaze commentò «Agli inizi avevo dei dubbi, ma devo ricredermi: con una guerra di questo livello, i nostri medaglioni saranno carichi per decenni. Nemmeno al concerto per il Liceo di Canterlot avevamo raccolto così tanta energia!»

Adagio ringraziò del complimento e subito dopo ne approfittò per ironizzare «Sono passati secoli dal tuo ultimo complimento. La tua esperienza con questo Alastor deve averti davvero cambiata!»

Aria si ammutolì alla frecciata della compagna, ma prima che potesse ribattere in qualsiasi modo Adagio proseguì «Mentre tutti combattono, fate quello che volete. Personalmente, ho una promessa fatta ad una certa regina da mantenere!»

Mentre parlava, un ghigno feroce le piegò le labbra carnose e subito dopo il suo ultimo ordine sparì in un flash.

Rimaste sole, né Aria né Sonata parlarono per qualche secondo. Solo quando la prima paragonò il proprio leader ad uno sterco, Sonata parve destarsi.

«Dice solo quello che tutte pensiamo!»

Aria fulminò la compagna con lo sguardo «Bada a come parli, Sonata!»

Lei, indifferente alle minacce dell'amica, si affrettò a spiegare «Il fatto è che tu non sei capace di impegnarti perché dentro di te hai il paralizzante terrore di accogliere qualcuno nella tua vita, di essere davvero vulnerabile con qualcuno. Perché, per quanto ti ostini a fare la spaccona, lo sappiamo tutte che in realtà hai capito troppo presto che nessuno, né noi sirene, né i pony e nemmeno gli umani, possono risolvere tutti i problemi e perciò non hai mai imparato ad abbandonarti a qualcuno.»

Mentre parlava, Sonata si era posta davanti ad Aria, fissandola dritta negli occhi. Con un solo pugno, Aria avrebbe potuto romperle la mascella, ma era un rischio che Sonata si sentiva di affrontare.

Fortunatamente per lei, la sua compagna sembrava troppo impegnata ad avere un'espressione imbronciata piuttosto che reagire male, così continuò.

«Ma per quanto tutto questo possa farti paura, la cosa più spaventosa è che dentro di te tu sai che se scappi adesso, scappi dall'unica persona che tu abbia desiderato. Quello che ti ha seguito senza avere un legame magico o qualche debito nei tuoi confronti!»

Aria spostò sgraziatamente la compagna con un braccio e volò altrove commentando «Non hai qualcun altro a cui dar fastidio, Freud

Sonata osservò anche l'altra compagna planare verso la città. Rimasta sola, si passò una mano sulla faccia sbuffando «Mammamiamamma, quant'è difficile, a volte!»


Discord, ripresosi dai ripetuti assalti dei Mutanti grazie al rifugio costruito intorno all'ospedale di Ponyville, era ritornato a combattere non appena avvertì la magia del Caos tornare a scorrergli nelle vene.

Contrariamente a come si poteva pensare, nemmeno la sua magia era infinita: certo, poteva modificare praticamente ogni cosa con un solo pensiero ma questo non voleva dire che anche la sua resistenza fosse virtualmente infinita! Le difese create dal nulla, armare ogni difensore di Ponyville e il respingere intere legioni di Mutanti per volta lo avevano costretto a un punto in cui non riusciva nemmeno a restare in volo.

E adesso che le forse dannate del Tartaro erano state riportate allo scoperto la situazione era, se possibile, anche peggiorata: se prima c'erano solo innumerevoli Mutanti da respingere, allo scontro si erano uniti anche esseri antichi di secoli, banditi in una prigione senza tempo per via delle loro azioni che tornavano allo scoperto, e le sirene che una volta avevano distrutto gli onnipotenti Draconequus vagavano tra le rovine, traendo forza da tutto questo.

I prigionieri del Tartaro, benché in inferiorità numerica rispetto alle altre forze in campo, erano sicuramente i nemici più potenti: certi abomini partoriti dall'oscurità in cui erano stati dimenticati erano creature oscene, difficili anche solo da comprendere e descrivere, capaci di spezzare l'acciaio con i denti.

Ignoravano le intere epoche passate dal momento della loro sconfitta e avanzavano lungo le strade dissestate e le macerie fumanti della città, riempiendo l'aria con le loro grida e il tonfo provocato dai loro passi.

L'aria intorno si era fatta una cacofonia di rumori: urla, scoppi di magia, sibili di incantesimi scagliati da entrambe le parti, i fischi delle picchiate dei soldati in volo... eppure, nessuno osava arrendersi, trascinati chi dal dovere e chi dalla mera volontà di sopravvivere a quel giorno maledetto.

«Discord...» una voce rauca e sibilante, simile al sussurro di una creatura morente, riuscì ad arrivare alle orecchie del Draconequus.

Lui, cercando la fonte del richiamo, riconobbe una creatura che, per conto suo, avrebbe preferito non incontrare mai più: un centauro dalla pelle rossa e il manto scuro. Un paio di piccole corna si alzavano dalle tempie, mentre le folte sopracciglia e il fisico decrepito lo facevano sembrare un ramoscello secco pronto a rompersi da un momento all'altro.

«Tirek!» lo chiamò Discord, socchiudendo gli occhi non appena lo riconobbe «Cosa ci fai, qui?» domandò poi, combattendo la tentazione di rinchiuderlo nel Tartaro personalmente. Ancora non aveva dimenticato cosa il malvagio centauro aveva scatenato, nemmeno troppo tempo fa.

«Il Tartaro si è aperto, tutti gli spiriti malvagi sono liberi. Ti ho cercato, Discord, perché credo che dovremmo collaborare ancora una volta!»

Discord scoppiò in una risata «Non so se offendermi perché mi ritieni così stupido o passare quel che rimane di questo secolo a ridere!» confessò

«La mia non era una battuta.» replicò il centauro in maniera composta, mentre sfoggiava un sorriso maligno «Ma noi, insieme, abbiamo piegato Equestria! E voi avete un disperato bisogno di aiuto. Perché, considerando questo, collaborare deve essere una brutta idea?»

Discord aprì la bocca per rispondere, quando una creatura simile ad una scimmia ma dalla pelle rossa senza peli, un paio di lunghe corna sul capo e i denti aguzzi, saltò allungando gli artigli verso gli occhi del Draconequus.

Un raggio verde, proveniente dalle spalle del signore del Caos, travolse il mostro sbattendolo violentemente contro una delle poche pareti rimaste ancora in piedi. Il muro, a seguito del violento impatto, crollò sopra l'abominio e mentre lingue di polvere si alzavano verso il cielo egli parve sparire.

Discord fu sorpreso di trovare Queen Chrysalis, seguita da una quarantina di guardie del corpo, planare verso di lui appoggiando il ragionamento del centauro «Quello che dice è vero. Se tu gli concedessi un briciolo del tuo potere, Tirek potrà occuparsi degli altri prigionieri assieme a noi. Sicuramente ha in mente qualcosa, ma non è il momento per esitare.»

«E da quando io prendo ordini da te?» chiese Discord, incrociando le zampe. L'offesa subita era tale da dimenticarsi del rischio appena corso e che intorno a loro la battaglia continuava ad infuriare.

Fece tuttavia l'errore di continuare «Per quanto mi importi, voi siete solo dei nemici. Anzi, se voglio dimostrarmi davvero cambiato, dovrei gettarvi in una cella e buttare la chiave!»

Queen Chrysalis gettò sul Draconequus uno sguardo che riuscì a gelargli il sangue, mentre gli gridava contro con una furia che non sembrava sua «Hai una singola idea di chi io sia e di cosa sarei capace di fare, se tu osi contraddirmi ancora una volta?»

Il Draconequus si congelò. Era una creatura praticamente onnipotente e, per molti versi, anche piuttosto squilibrata. Ma nessuno, nemmeno lui, era abbastanza pazzo da attirare su di se l'ira della Regina dei Mutanti.

Deglutendo, annuì con il capo prima di puntare un artiglio verso Tirek.

«Va bene.» furono le uniche parole che pronunciò, prima che una caleidoscopica bolla di magia si staccasse dalla punta dell'artiglio, colpendo il Centauro al petto.

Subito, questi avvertì una enorme quantità di energia travolgerlo come una slavina. Immediatamente le sue dimensioni aumentarono, perdendo l'aspetto decrepito dovuto alla sua ultima sconfitta per opera di Twilight Sparkle e guadagnandone uno più rinvigorito. Era ancora molto lontano dal potere che aveva ottenuto durante la sua ultima evasione dal Tartaro, ma ora poteva difendersi egregiamente.

Discord e Queen Chrysalis ripresero lo scontro contro i prigionieri della prigione magica, mentre Tirek tentò invece un nuovo esperimento.

Lentamente, si avvicinò alle macerie dove era caduto il mostro colpito dalla Regina dei Mutanti. In tutto quel tempo, il massimo che era riuscito a fare era liberarsi dalla vita in su dalle macerie.

Quando gli occhi dei due prigionieri si incrociarono, un sorriso feroce si dipinse sul volto del centauro, prima che afferrasse l'altro mostro per il collo, immobilizzandolo a terra. Una volta in posizione, aprì la bocca raggiungendo una dimensione innaturale e, in un vorticare di energie simile a fiamme, assorbì l'energia del mostro.

Mentre un nuovo potere gli scorreva nelle vene, le scintille negli occhi altrimenti vuoti di Tirek sembravano brillare ancora di più, inebriato dalla sua stessa forza che non smetteva di crescere.

Terminato, Tirek lasciò il mostro a terra, ormai incapace anche solo di tenere gli occhi aperti, e osservò il campo di battaglia intorno a se, vedendolo come una grossa tavola dove banchettare che aspettava solo lui.


Aria Blaze, in volo, osservava gli scontri senza commentare se non con gli occhi. Dovunque posasse lo sguardo, poteva vedere scaramucce tra Pony, Mutanti e l'improvvisato esercito che avevano generato dal Tartaro.

Uno spettacolo semplicemente sublime, per recuperare ancora più potere. Eppure, mentre le energie negative derivate dalla guerra prolungata venivano condivise da lei e le altre sirene, sparse per la città alla ricerca dei loro obiettivi, Aria guardava per le strade cercando invano un soggetto in particolare. Una morsa le strinse lo stomaco, con il proseguire della ricerca: alla fine era solo un umano, carne ed ossa, coinvolto in uno scontro tra creature incantate di proporzioni cataclismatiche, anche con la naturale ferocia di quella specie era difficile che fosse riuscito a restare sulle sue gambe così a lungo.

Dovette ricredersi, e interrompere il flusso dei suoi pensieri, quando da lontano giunse una voce che pronunciava il suo nome a pieni polmoni, seguita da un fischio.

Aria fece appena in tempo a voltarsi per trovare Alastor avanti a se, atterrato sgraziatamente su uno dei pochi tetti ancora integri.

Tutto intorno all'umano una lucente aura rossa lo copriva seguendone il fisico e le linee del corpo, come un abito su misura. Ad ogni movimento di braccia e gambe, un sottile vapore dello stesso colore si alzava.

«Alastor?» lo chiamò lei, inizialmente incredula di vederlo lì.

«Da quando ci siamo visti per la prima volta avrei fatto qualsiasi cosa, per te. Ti ho seguita in un mondo che non conoscevo, ho rischiato la pelle e anche di più, tutto per te, ma tu mi hai voluto solo usare per il piano tuo e delle tue amiche!» le gridò contro lui, sfogando tutta la frustrazione per il tradimento subito e concludendo puntando un dito contro di lei.

Aria rimase in silenzio per qualche secondo, ancora troppo sorpresa dell'arrivo di Alastor per reagire alle sue parole. Non appena riuscì a sbloccarsi, tuttavia, corrugò la fronte in un'espressione indispettita.

«Bé, se vuoi così tanto sentirtelo dire, mi dispiace.» disse, in maniera impassibile. La sua reazione aveva gelato Alastor sul posto, ma fu uno stallo che non durò a lungo «Mi dispiace che tu sia un cretino

L'umano, sentendo la ragazza rispondergli con voce, se possibile, ancora più alta si portò istintivamente in posizione di difesa, alzando la mano con l'anello verso il volto. Solo allora Aria si accorse dell'artefatto.

«Hai fatto un patto con il diavolo, solo per dirmi questo?» chiese lei, incrociando le braccia al petto e avvicinandosi a lui restando in volo «Alastor, te l'ho già detto. Più di una volta! Io non sono un'umana, sono una sirena! Canto, semino discordia e guadagno potere con le energie che raccolgo in questo modo. Non ho più la mia vecchia forma, ma non importa. Ho già cambiato aspetto, più di una volta, questa è solo una volta in più. E, con i miei nuovi poteri, posso tornare indietro quando voglio.»

Alastor la fissò: Aria era decisa, le sue parole non tradivano alcun dubbio. Il suo ragionamento, poi, non poteva essere contraddetto. Special modo la seconda parte, che la sirena pronunciò poco dopo.

«Io non ti ho tradito. Sapevi benissimo che volevo recuperare i miei poteri. Sapevi che volevo riunirmi con le mie amiche. Sapevi chi fossi e di cosa ero capace. E non ti ho mai detto che non avevo rancore verso chi aveva ridotto all'impotenza noi sirene. Se tu non l'hai capito subito, non è colpa mia. Come non lo è tutto questo.»

Alastor abbassò il braccio, sospirando profondamente. Era da quando aveva messo piede a Ponyville che aveva preso tutto per il verso sbagliato: la segretezza creata da Twilight Sparkle per non far cadere nel panico Ponyville, i piani nascosti di Queen Chrysalis e adesso anche le reali intenzioni di Aria.

«È questa la mia natura, Alastor.» concluse Aria, con tono grave, quasi si sentisse improvvisamente in colpa «Non possiamo farci niente. Né tu, né io.»


Adagio Dazzle trovò il suo obiettivo, Queen Chrysalis, mentre respingeva uno dei prigionieri del Tartaro, un essere goffo e dai movimenti innaturali, simile ad un telo su cui erano incise più facce e con innumerevoli fiammelle che fuoriuscivano da ogni parte del suo corpo a intervalli irregolari.

La sirena porse i suoi omaggi alla sovrana sollevando con le mani un grosso macigno derivato da una delle macerie intorno a loro e lo scagliò con forza contro il suo bersaglio.

La Regina dei Mutanti, colta di sorpresa, non fece neppure in tempo ad alzare una barriera che si trovò improvvisamente travolta da quell'attacco e scagliata contro una delle poche pareti rimaste in piedi. La violenza del colpo fu tale che numerose crepe si aprirono sul muro intorno alla zona d'impatto.

Sputando polvere e calcinacci che le erano finiti in bocca, imponendosi di ignorare il dolore alle ossa, Queen Chrysalis alzò lo sguardo, riconoscendo il leader delle sirene guardarla con compiaciuta ferocia, mentre da una delle mani chiuse a pugno si alzavano scariche di energia magica amaranto.

Alcuni Mutanti, vedendo la loro Regina in pericolo, lasciarono ogni postazione e formazione per accorrere in massa in suo aiuto. Tutto quello che ottennero fu scagliarsi contro una bolla magica rossa che circondava le due sfidanti.

«Ci hai rapite e hai osato rubare la magia che spetta a noi di diritto!» esclamò Adagio, accusando la sua rapitrice con l'indice «Un'azione così avventata non può passare impunita, la pagherai cara!»

Nonostante la minaccia e i dolori che l'assalivano, la Regina dei Mutanti non perse la sua compostezza e, sorridendo in maniera beffarda, rispose alle accuse «No, non sei decisamente un relitto. Sei solo una bambina che strilla...»

«Non osare prenderti gioco di me!» berciò Adagio, scagliando una tempesta di fulmini dalla mano aperta, che piombò su Queen Chrysalis aprendo delle voragini ogni volta che picchiava a terra e sollevando pesanti nuvole di detriti e polvere.

Quando la nuvola sollevata arrivò alle scarpe della sirena, questa smise il suo attacco e aguzzò la vita, cercando il suo bersaglio tra le macerie.

«Vuoi dimostrare che sei più potente di me?» riprese la Regina, apparendo alle sue spalle. Era ricoperta di polvere, alcuni detriti le erano rimasti nella criniera e alcune ferite sul carapace nero lasciavano gocciolare un liquido dalla consistenza simile al sangue ma di colore verde acceso; ma nonostante tutto era ancora viva.

«Be', non serve. Sei ovviamente più potente di me...» proseguì la Regina, beandosi dell'espressione offesa che si dipingeva sullo sguardo di Adagio, mentre constatava come lei non la temesse affatto «Il potere grezzo del caos scorre in voi Sirene molto più di qualsiasi altra creatura io conosca. Che il Cielo mi aiuti, al vostro pieno potenziale siete più pericolose persino di un alicorno!»

Nonostante la mole dei complimenti, era ovvio che c'era qualcosa di nascosto nella sua parole. Adagio lo comprese subito e, digrignando i denti, domandò «Ma...?»

«Non avrò i vostri poteri, Adagio Dazzle... ma sono intelligente. Sono la mente brillante più brillante di quest'epoca e lo sarei stata anche nella vostra. Più forte di me o no, ho sempre un piano di scorta

Nello stesso momento, un corpo attraversò quello che rimaneva dell'edificio dietro la barriera delle due sfidanti: un altro mostro del Tartaro, questa volta grande quanto un palazzo, dalla pelle squamata verde, un paio di grandi ali di membrana che partivano dalle scapole e la testa simile a un polpo, con i tentacoli che scendevano lungo il petto come una barba, era appena stato sconfitto e gettato senza troppi complimenti contro quello che sarebbe stato il suo prossimo bersaglio.

Attraverso la nebbia che si era alzata, Adagio e Queen Chrysalis intravidero un colosso terrificante che veniva attraverso di loro: era Tirek.

Approfittando della battaglia, aveva passato tutto il tempo ad assorbire le forze magiche di qualunque creatura, alleata o nemica, che gli fosse capitata a tiro: aveva cominciato con quelle più deboli, ferite e incapaci di resistergli, ma come le energie accumulate aumentavano così lui si era spinto verso i bersagli più grandi, arrivando fino ai mostri del Tartaro più grandi e potenti.

Ora aveva recuperato il suo antico aspetto: il fisico una volta rachitico e prossimo a cedere era diventato un ammasso di muscoli in tensione, il volto scavato era diventato squadrato, animato dai lampi di folle ambizione che saettavano dai suoi occhi profondi, le corna dalle tempie si erano alzate di un paio di metri e le sue dimensioni erano pari a quelle di una chimera.

Il Centauro guardò la Sirena e il Mutante dentro la barriera e sorrise, mentre evocava una sfera di fuoco dal palmo della mano. Non appena questa raggiunse le dimensioni di un melone, la scagliò contro l'incantesimo, frantumandolo in un boato che balzò indietro i suoi bersagli.

«Non ho ancora finito... di accumulare potere.» rese noto lui, umettandosi le labbra in vista del prezioso banchetto.


Nessuno dei due ricordava com'era successo. Forse uno dei due aveva perso la pazienza, o aveva pronunciato una parola di troppo, fatto sta che lo stallo creatosi tra Alastor Sullivan e Aria Blaze era sfociato in una sfida lungo le strade di Ponyville, a base di raggi incantati di pura magia che, a contatto tra loro, scoppiavano in una pioggia di scintille di tutti i colori, come dei fuochi d'artificio.

Così come le origini di quel confronto, nessuno dei due contendenti aveva misurato da quanto tempo erano in quella situazione.

Lo stallo tuttavia finì quando, all'ennesimo raggio scagliato da Aria, Alastor si limitò a colpirlo con un pugno, scatenando una forte esplosione che alzò una grossa nube di polvere nera che oscurò la vista per qualche minuto.

A quello spettacolo, Aria iniziò a ridere, sinceramente divertita, portandosi una mano davanti alla bocca.

«È... divertente.» riuscì a dire, tra le risate

«Cosa c'è di così divertente?» chiese invece Alastor, avvicinandosi alla ragazza. Lui non poteva volare, ma riusciva a saltare da un palazzo all'altro. Una volta fuori dalla nube creata, Aria vide che lui non aveva nemmeno un graffio, nonostante la sua brutale difesa.

«Quando ci siamo conosciuti, hai detto che mi avresti seguita anche in capo al mondo, pur di rimediare a quel cocente fallimento che non riesci a perdonarti. E adesso, hai persino rinunciato alla tua umanità, pur di seguirmi?»

Alastor rimase interdetto a quelle parole. Alla fine, era solo l'anello a dargli i poteri, o così gli era parso di capire. Lui era ancora umano!

Giusto?

Quando lo fece presente alla ragazza, lei gli rispose «Gli artefatti nati qui ad Equestria non si limitano a dare poteri. Qualche modifica, per quanto impercettibile, avviene; fosse anche solo per adattare l'ospite al potere che sta abbracciando!»

Seguì un momento di silenzio tra i due. Alastor non sapeva come ribattere e Aria ne approfittò per allungare verso di lui una mano.

«Vieni con noi!»

Quella proposta venne così spontanea e così improvvisa che l'unica risposta che Alastor seppe dare fu un balbuziente «Scusa?»

«Alastor, ho quasi cento volte i tuoi anni... ma con questo tuo nuovo potere, potremmo restare insieme per il resto dei giorni! Mi hai aiutata molto, sono convinta che Adagio e Sonata non avranno da lamentarsi. Contando tutto questo... perché non ti unisci a noi?»

Alastor comprese che, comunque fosse iniziato il loro duello di poco prima, era solo perché Aria voleva mettere alla prova cosa poteva fare con il suo anello. Ma non gli importò sapere che era stato di nuovo usato, e che nulla poteva confermargli che quello non fosse solo un altro piano.

Tutto quello che gli importò davvero fu la domanda che fece «Perché mi offri questo?»

La risposta di Aria arrivò con un tono simile ad un sospiro «Lo sai...»

Lentamente, assaporando ogni momento come se non si sarebbe mai più ripetuto, Alastor allungò la mano, stringendola su quella di Aria come in una delicata carezza.

«Avevo capito che non volevi mettermi l'anello al dito!» ironizzò lui, senza staccare gli occhi dalla sirena

«E infatti è così. Io ho fatto la proposta, l'anello è compito tuo!»

Fu un grido a rompere quell'idillo. Aria si voltò con un'espressione che Alastor non le aveva mai visto.

«Adagio!» gridò, prima di scattare ad una velocità impressionante verso un angolo del paese. L'umano fu fortunato che stava stringendo poco, o gli avrebbero strappato il braccio!

Preoccupato, comunque, partì all'inseguimento per vedere cosa stesse succedendo.


Troppo velocemente perché potesse reagire, Adagio era stata afferrata per i lunghi capelli riccioli e sbattuta con violenza a terra.

Nonostante la sua stazza, Tirek era più agile che mai: grazie alla mortale combinazione di poteri rubati a pony, mutanti e abomini del Tartaro aveva appena guadagnato un potere che andava ben oltre le sue più rosee aspettative. Poteva nutrire un maggiore rancore verso i pony, ma non poteva negare che anche le altre creature inferiori si erano dimostrate utili al suo scopo.

Mentre la sirena si rialzava dalla fossa scavata al suo impatto, il centauro si beò della vista di quello sguardo grazioso contratto dalla rabbia e dal risentimento verso di lui. L'odio nei suoi confronti era tutto quello che gli serviva per proseguire nei suoi scopi.

Al centauro non era mai importato realmente dello status quo. Anzi, provava una sincera quanto profonda aberrazione per la condizione in cui gli alicorni avevano gettato il mondo intero: quello stato di pace perenne, privo di pericoli o serie sfide che potessero mettere alla prova non solo lui ma tutti gli esseri viventi, applicare quella sana e sempre funzionante selezione naturale della specie. Non più “i buoni vincono, i cattivi perdono”, ma un più sano “chi è forte vive, chi è debole rimane indietro”.

Perché poche erano le sue certezze, ma tra queste quella in cui credeva maggiormente era che il bene non poteva vincere sempre. E il giorno in cui il male, il male vero, avrebbe finalmente avuto la sua vittoria, chi si sarebbe potuto opporre?

La risposta a questa domanda era semplice: nessuno. Alla prima sconfitta, il mondo intero sarebbe stato arso dalle fiamme e quello che stava succedendo a Ponyville era la piena e insindacabile conferma a queste sue idee.

Per risolvere questa situazione aveva deciso, anni addietro, di fare l'unica azione sensata: incarnare quella minaccia, quel pericolo sempre presente che avrebbe spinto tutti a migliorarsi sempre di più, a non abbassare mai la guardia. E per dimostrarlo poteva affrontare un unico avversario: gli alicorni.

Loro erano la causa scatenante di quello stato che rendeva il mondo arrogante e pigro e solo sottomettendole avrebbe potuto fare in modo che nessuno si sentisse mai più al sicuro.

Era per pura ironia che era finito ad affrontare le Sirene, in quel giorno meraviglioso. Lui, in realtà, amava quelle tre creature: per molti versi, loro erano già quello che lui avrebbe voluto diventare.

Ma, si sa, la guerra è la guerra. E se erano destinati a scontrarsi, tanto valeva stringere i pugni e prepararsi al duello.

Il largo sorriso che piegò le labbra di Tirek si spezzò non appena due note, precise e acute, lo travolsero gettandolo lontano come una foglia spinta dal vento. Le piastrelle delle strade e le fontane che travolse nel suo tragitto andarono in frantumi come vetro.

Quando riuscì a fermarsi, affondando le lunghe dita a terra fino alla seconda falange, scavando un solco lungo metri, riconobbe i suoi assalitori: Aria Blaze e Sonata Dusk, le altre due sirene si erano unite per proteggere Adagio.

Il centauro si alzò divertito: tre sirene contro di lui poteva anche essere una sfida interessante. Si passò un dito sulle orecchie, avvertendo una sottile striscia di sangue scendergli dai timpani dopo l'attacco subito. Ma non gli importava.

Le Dazzling, invece, guardarono il centauro con sensazioni differenti.

«Cos'è quello?» domandò preoccupata Sonata

«Dannazione.» lo presentò Adagio «Si chiama Tirek. Credo che si stia lasciando trascinare dalla sua avidità e sete di potere. Può rubare i poteri magici altrui.»

«Che gran seccatura.» commentò, sibilante, Aria

Adagio si alzò in volo, mentre una sottile aura amaranto cominciò ad avvolgerla «Queen Chrysalis è scappata non appena è arrivato lui. State indietro...»

Tirek, anche se gli fischiavano le orecchie, udì perfettamente quell'ordine e ghignò malignamente. Lentamente, si avvicinò alle tre sirene sibilando «La vostra ingenuità è quasi adorabile!»

Rispondendo all'insulto, Adagio puntò il palmo della mano verso il Centauro, che si trovò subito avvolto in una strana aura amaranto, prima di venire scaraventato in alto, seguendo i gesti della mano della sirena.

Incapace di reagire, Tirek venne sollevato ad una velocità che rapidamente gli svuotò tutto il fiato che teneva nei polmoni. Solo quando superò il muro del suono, mentre tentava invano di gridare il dolore che avvertiva alle orecchie, si accorse che la sirena lo aspettava già, sospesa nel vuoto dello spazio con naturalezza, le braccia incrociate e un fuoco che le ardeva intorno alle iridi viola.

Quando i due sfidanti arrivarono a pochi metri di distanza, una coppia di raggi scattò dagli occhi di Adagio, abbattendosi sul centauro come saette scagliate da un dio furente, facendolo precipitare verso il punto da cui era partito con una velocità addirittura superiore a prima.

Mentre l'attrito con l'aria gli bruciava la pelle e anticipava l'impatto con il suolo che lo avrebbe sepolto per oltre cento metri, Tirek sorrise follemente: era consapevole che la sirena stava soltanto giocando con lui, quello era una misera frazione di cosa, adesso, era capace di fare.

Così tanto potere, tutte quelle possibilità... dovevano essere sue!

La sua avidità e la sete di potere erano tali che quando precipitò nelle strade di Ponyville quasi non si accorse dello sfrigolio della sua pelle e del boato che fecero le sue ossa, una volta che sprofondò a terra.

Fu solo quando cercò di rialzarsi, accorgendosi che le zampe non lo reggevano più e di quanto facesse fatica a respirare, che dovette tornare alla realtà. Ma non per questo smise di ridere.


Esterrefatte, le Dazzling videro il folle centauro uscire dalla fossa che aveva scavato durante la sua caduta e, lentamente, guarire da tutte le sue ferite: strani vapori si alzarono sul suo corpo scolpito nella roccia e mentre i fumi accarezzavano ogni sua piaga, le bruciature, i tagli e le fratture sparivano.

Prima ancora che qualcuna di loro potesse capire cosa stava succedendo, Tirek attaccò di nuovo con una sfera di fuoco che sputò dalla bocca. Questa esplose davanti alle sirene, scagliandole lungo i palazzi ancora in piedi nella piazza.

Tirek scoppiò in una risata beffarda «Io sono Lord Tirek! Non sarà facile fermarmi, nemmeno per voi!»

Fu allora che una voce si fece sentire al suo fianco «Ehi, stronzo

Tirek fece appena in tempo a voltarsi, vedendo una enorme ombra coprirlo, prima che un umano dalle spalle larghe gli scagliasse contro il treno a vapore della città, gridando «Giù le mani dalla mia donna

Travolto dall'oggetto metallico, il centauro venne scagliato lontano, attraversando intere vie e palazzi, spinto dalla forza del treno scagliato contro di lui da Alastor.

Aria, massaggiandosi la testa, vide il suo compagno attaccare il centauro, per poi saltare lontano una volta fatto sparire. Era davvero così idiota da volerlo affrontare da solo? Chi accidenti gli aveva detto, poi, che aveva bisogno di aiuto?

Si alzò e fece per chiamarlo «Al...» ma presto, assieme alle altre sirene, si accorse di avere intorno molti più Pony, Mutanti e bestie del Tartaro di quante ne avessero mai viste. Tutti erano stati attirati dallo scontro e, vedendo Adagio in azione, avevano deciso di fermare il pericoloso trio prima che si potessero rivoltare contro qualcuno di loro.

Imprecando, Aria si affiancò alle altre sirene: non poteva dire che non sarebbero riusciti a fermarle, ma sicuramente non le avrebbero permesso di affiancare l'umano.

«Voi non avete idea... di quanto sia incazzata, ora

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Capitolo 11
*** Potere ***


CAPITOLO 10

POTERE


Il treno trascinò Tirek per mezza città, prima di terminare la sua spinta impiantandosi contro la parete che segnava il dislivello tra il torrente che scorreva davanti al palazzo municipale di Ponyville e la strada, segnando il suo passaggio con un largo e profondo solco.

Il centauro aprì le lamiere della locomotiva come se fossero fatte di carta. Libero, si tuffò nell'acqua che gli arrivava alla radice delle zampe e, con la magia, fluttuò fino a tornare con i piedi sulla piazza principale, cercando con lo sguardo l'umano che lo aveva attaccato in maniera così insolita.

Rimase sorpreso di riconoscere un umano, mentre questo atterrava proprio davanti a lui.

I due non si scambiarono una parola. Semplicemente, il centauro si massaggiò le nocche delle mani mentre l'umano avanzava con passi pesanti camminando sopra le lamiere spezzate di quel che restava del treno.

Quando furono abbastanza vicino, Tirek ruppe il silenzio «Prima di cominciare, devo chiederti una cosa. Pensi davvero che tutto questo valga la pena, dannarsi tanto per una sirena?»

Dopo un breve istante di riflessione, Alastor confessò «Dannarsi... ammazzare... morire... bruciare all'inferno... cazzo, certo che ne vale la pena!»


Lo stridio innaturale delle forze del Tartaro colpì le difese di Ponyville come un impatto psichico ed echeggiò lungo gli edifici in rovina e i viali sconnessi di quel che restava dell'allegra città.

Princess Luna balzò sul corpo fumante e privo di sensi di un abominio e ordinò alle guardie unicorno di fare fuoco. Come una pioggia orizzontale, raggi di puro potere magico di ogni colore fecero a brandelli ogni offensiva, riempiendo l'aria delle grida e dei lamenti degli orrori provenienti dal Tartaro, eppure i maledetti continuavano ad avanzare nonostante le ferite: troppa era l'invidia e il risentimento verso “i liberi” perché potessero fermarli così facilmente. Pareva si cercasse di abbattere le montagne.

La principessa della notte avvertì le grida di quelle guardie che venivano travolte come fredde lame nel manto. A pochi metri da lei, una squadra di pegastrelli svanì sotto la marea zampettante dei mostri.

Altri soldati accorsero per aiutare i loro compagni, ma la situazione sembrava destinata a mutare mai.

Per la prima volta nell'arco di secoli, Princess Luna provò la vera disperazione: senza sua sorella o le sue studenti, non sapeva come avrebbero fatto a sopravvivere quel giorno. Poteva gestire la minaccia Mutante con le forze che aveva a disposizione, ma non anche un'evasione dal Tartaro, tutto concentrato in una volta!

No, pensò, scacciando quel pensiero dalla sua mente; se era destinata al fallimento, l'avrebbe affrontato con il corno carico di magia e l'oscura chiamata alla guerra che le tuonava nel petto. Con un penetrante urlo di guerra abbassò la testa e caricò l'orda.

Princess Luna non mosse che un paio di passi, quando un vento gelido la bloccò. Alzò lo sguardo e ammirò l'ombra dello sciame Mutante abbattersi sui nemici comuni, travolgendoli come un'onda.

Anche i mostri del Tartaro sembravano sorpresi e un'ondata di smarrimento si fece strada strisciando su di loro.

L'alicorno si sorprese dell'aiuto inaspettato di Queen Chrysalis, ma non era tempo per questionare sulle intenzioni della regina dei Mutanti: radunando i suoi seguaci si gettò nella mischia e la sua magia abbatté più e più volte i nemici, dando il suo contributo a quella che sarebbe passata nei libri di storia come “La Guerra Della Trinità”: Pony, Mutanti e Sirene in guerra per il controllo di Ponyville.


Twilight Sparkle si muoveva freneticamente da un bozzolo all'altro: insieme alla sua mentore Princess Celestia erano riuscite a stanare quella decina di Mutanti posti a guardia del Lago Specchio in meno di un minuto. Forse la magia degli alicorni non è superiore a quella degli altri pony, ma sicuramente quella della sovrana di Equestria e della sua studente supera di gran lunga la media!

Mentre la principessa dell'amicizia si dannava per cercare le sue amiche e usasse tutto il potere a sua disposizione per accelerare il processo, colei che muoveva il sole restava in disparte, legando i Mutanti nella melma dei loro stessi bozzoli per impedire che scappassero o tentassero di contrattaccare quando, eventualmente, avrebbero ripreso i sensi. Nel contempo, era evidentemente assorta in altri pensieri.

Comunque, non ci volle molto perché Twilight trovasse e liberasse finalmente le sue amiche. Ritrovarsi fu per le sei giumente una gioia impossibile da descrivere, ma purtroppo non poterono festeggiare: come la stessa Princess Celestia ricordò, c'era ancora una guerra in corso a Ponyville e con il ritorno delle Dazzling c'era tutto il bisogno possibile del misterioso potere nato dall'Albero dell'Armonia e non solo.

Twilight provò un sadico piacere nel sigillare assieme a Princess Celestia e agli altri unicorni rapiti da Queen Chrysalis, per quanti pochi fossero, la magia del Lago-Specchio. Fu un processo che richiese minuti preziosi, ma ogni singola nuvola che incontrarono da quando usciti dalla grotta che saettava verso il suo luogo di origine era una nuova ondata di orgoglio nel cuore della principessa lilla.

Accelerò il passo, ansiosa di liberare Ponyville assieme alle sue amiche e sistemare una volta per tutte Queen Chrysalis, la colpevole di tutta quella crisi.


Un'onda d'urto nata dalla zona del colpo rimbombò nell'aria, seguito subito da un altro e un altro ancora.

Nella piazza occupata da Alastor e Tirek, privi delle distrazioni del conflitto grazie alla sua concentrazione intorno alla zona dell'ospedale e dalle Dazzling, i due avversari duellavano scambiandosi colpi di inusuale ferocia per gli standard dei pony.

Quando Alastor, afferrando i polsi del centauro, riuscì ad assestargli un calcio dritto nel petto e a scagliarlo contro uno dei palazzi, facendoglielo attraversare da parte a parte, lo scontro parve prendere una leggera pausa.

Tirek ritornò lentamente dall'umano passandosi il dorso della mano sul labbro: un gancio ben assestato gli aveva rotto il labbro e il sapore dolciastro del sangue gli impregnava le papille gustative, per non parlare dei lividi e delle escoriazioni guadagnate con le sirene prima. Per lo meno, i suoi nuovi poteri rigeneranti lo stavano curando da ogni male.

Tuttavia, se il centauro cominciava ad accusare gli effetti di quel duello estremo, l'umano non era certo messo meglio.

Per quanto continuasse a mostrarsi spavaldo e sicuro di qualunque magia avesse ottenuto, non era difficile vedere attraverso i suoi vestiti bruciati e strappati i segni di ferite e tagli più o meno grandi che ancora sanguinavano. Eppure, lui restava in piedi, saldo sul terreno e con i pugni all'altezza del viso, a fissarlo mentre le spalle si alzavano e abbassavano seguendo il ritmo del suo ansimare.

Fu allora che Tirek notò l'anello che pulsava di una luce amaranto sull'anulare sinistro dell'umano «Tsk... non ti chiedi nemmeno perché tu sia diventato così potente, con quella misera frazione di potere? Sono pronto a scommettere che è stata proprio Queen Chrysalis a dartelo... e tu non ti sei fermato un solo secondo a domandare a te stesso perché!»

Alastor non rispose. Impossibile distinguere se non gli importava oppure non sapeva rispondere.

«La tua specie... voi bipedi. È lì il segreto.» continuò Tirek, avvicinandosi con passi lenti e studiati a lui tenendo le braccia larghe e un imperturbabile sorriso sulla faccia «Se Twilight Sparkle, o Queen Chrysalis, avessero avuto la stessa possibilità... non sarebbero riuscite a fare quello che stai facendo te: nessuna di loro possiede la forza o il coraggio di fare quello che è necessario, per fermare quelli come me. Ma tu, un umano, il tuo genere uccide i suoi simili per vincere in guerra e li umilia in tempi di pace per sentirsi migliore. Qualità ammirevoli, se vuoi il mio parere.»

«Che cosa vuoi?» domandò allora Alastor, abbassando lentamente la guardia.

Tirek inarcò un angolo della bocca. In cuor suo, sentiva di avere già l'umano in pugno «Questo non è il tuo mondo. E nessuno di loro ha fatto qualcosa per aiutare te, se non sbaglio. Se vorrai lasciarmi...»

«Hai intenzione di fare del male ad Aria Blaze.» lo interruppe Alastor

Tirek si bloccò, sorpreso da quelle parole «Come, prego?»

«Credi che quello che ho fatto finora l'abbia fatto per Twilight? Per Equestria? Allora sei così scemo che sapresti farti investire persino da un'auto parcheggiata! È vero, per molte cose siamo simili: a me non importa di questi pony, che Equestria bruci o no non me ne può fregare di meno. Ma so che quelli che te non mollano e tu vuoi i poteri di Aria Blaze. Semplicemente, non posso permettertelo.»

Tirek ignorava cosa fosse un'auto parcheggiata, ma sapeva perfettamente cosa vole va dire “la parola con la esse”. Sentitosi deridere in quel modo dal primo umano che incontrava personalmente, una grande furia riempì l'animo del centauro, che ringhiò «Perché?»

«Andiamo. Ormai lo hanno capito anche i sassi!» rispose Alastor, prima di saltare colpendo con il pugno la faccia del suo avversario.

Il colpo sollevò il centauro da terra di un palmo e, prima che potesse reagire, l'umano colpì con un calcio il petto dell'avversario spedendolo lontano contro un altro edificio, su cui impresse la sua sagoma.

Per la prima volta da quando aveva dedicato la sua vita a quello scopo, Tirek ebbe paura.

Paura di poter davvero essere sconfitto, paura di morire.

Ma allo stesso tempo avvertì salire una furia animalesca: aveva trovato un avversario temibile in un umano, un bipede! Non una principessa alicorno, non un Draconequus, nemmeno una sirena... un misero essere proveniente da una dimensione senza magia! L'unico ostacolo tra lui e il potere assoluto era un misero umano!

Come osava?

Mentre si rialzava, ringhiò «Feccia bipede...»

Senza scomporsi, Alastor lo derise alzando i pugni «Malvagio e razzista? Che pessimo esempio per i bambini!»

Ferito nell'orgoglio, Tirek si avventò contro Alastor mentre riempiva di potere magico i pugni, pronto ad abbatterli su di lui non appena sarebbe giunto a portata, gridando a pieni polmoni tutta la sua rabbia.

Dall'altra parte, Alastor caricò a sua volta il nemico, gridando mentre la distanza tra i due diminuiva e rispondendo al pugno del nemico con un altro pugno, che impattò pesantemente sulle nocche del centauro.

L'onda d'urto scatenata dall'incontro ruppe parecchi vetri del palazzo sotto cui si trovavano, il municipio di Ponyville, uno dei pochi luoghi ad essersi salvato dalla guerra fino a quel momento grazie alla sua posizione, lontana dal fulcro degli scontri.

I due avversari, tuttavia, non si curavano di questo fatto curioso: la forza inarrestabile di Tirek e l'inamovibilità di Alastor lasciavano al loro scontro solamente due finali possibili: o la morte del centauro, o quella dell'umano.

Tirek era furioso per questo, avvertiva il suo orgoglio ferirsi al pensiero che una creatura così estranea a lui come un essere umano potesse impensierirlo fino a quel punto.

Di contro, Alastor non poteva non sorridere all'ironia della situazione in cui si trovava: per la seconda volta stava per uccidere qualcuno con la sue stesse mani e anche questa volta, in un modo o nell'altro, Aria Blaze ne era la causa.

Ma, esattamente come aveva detto prima lui stesso, ne valeva la pena.

Sotto la pioggia di pezzi di vetro, i due contendenti si attaccarono ancora con le mani libere.

Questa volta, fu Alastor a colpire il centauro, prendendolo in pieno ventre con una violenza tale da sollevarlo da terra e scagliarlo come sparato da un cannone verso l'alto, portando il possente Tirek a demolire parte della facciata del municipio. Senza dargli tregua, Alastor saltò e, grazie alla sua forza amplificata dalla magia, si avventò sul centauro.

Quello che accadde nei secondi immediatamente successivi fu impossibile da comprendere.

Chiunque avesse potuto assistere alla scena, avrebbe potuto vedere soltanto la massa informe dei due avversari risalire rapidamente il palazzo, muovendosi in volo, spinti unicamente dalla violenza dei pugni che si scambiavano, accompagnati dall'incessante boato che accompagnava i loro attacchi ogni volta che andavano a segno, come una serie incessante di fuochi artificiali, e dalla cascata di detriti che lasciavano cadere al loro passaggio.

I colpi venivano inferti senza sosta, la ferocia dello scontro era quasi animalesca. In breve entrambi i nemici superarono l'intero edificio, rimanendo sospesi nel vuoto, con le mani di uno strette intorno al collo dell'altro.

Dopo pochi secondi, troppo pochi per distinguere chi dei due si trovasse in vantaggio, Tirek si liberò dalla presa di Alastor, lo afferrò e lo lanciò violentemente contro il tetto del municipio.

Nell'istante immediatamente seguente, il corpo del centauro venne avvolto da un'accecante luce rossa e si abbatté come una meteora sul corpo dell'umano.

Quello che accadde dopo non si conosce per intero, ma Tirek travolse l'umano con la furia del mare in tempesta, trascinandolo attraverso il tetto e poi sempre più in giù, sparendo dalla vista.

Mentre proseguivano la discesa, devastando quello che restava del palazzo, nuvole di polvere e fumo saettarono dalle crepe e dalle finestre aperte del palazzo, precedute dagli scoppi delle condutture e dal cedimento degli infissi che accompagnavano il passaggio dei duellanti.

Un piano dopo l'altro, giunsero finalmente al piano terra e, nell'esplosione che ne segnò l'impatto, le fondamenta vennero meno e l'intera struttura crollò su di loro.

La distruzione del municipio alzò una densa nuvola di fumo che avvolse l'intera piazza per diversi minuti.

Non si sentiva più combattere.

Il silenzio tombale, interrotto soltanto dal lontano eco della guerra che ancora continuava a diversi metri di distanza, insensibili a quella sfida tra mostri, accompagnò morbosamente il paesaggio del centro cittadino, mentre la nebbia provocata dai detriti lentamente scioglieva il suo gelido abbraccio.

Nei cumuli disordinati delle macerie che un tempo erano il glorioso municipio di Ponyville, qualcosa cominciò a muoversi.

Un leggero tremito scosse le macerie mentre una voce, di intensità via via sempre crescente, accompagnò la liberazione di Tirek.

Il centauro non era di certo messo bene: lividi, tagli ed escoriazioni decoravano il suo corpo come luci di un abete natalizio, il lungo corno destro era addirittura rotto a metà, dandogli un leggero squilibrio alla testa e numerosi porzioni del manto erano state strappate o bruciate. Nonostante questo, egli godette nel vedere che intorno a lui non c'era traccia di Alastor Sullivan.

Esprimendo la sua gioia con un sorriso trionfante, Tirek si liberò dagli ultimi massi che lo bloccavano. Con l'umano fuori dai giochi, non gli restava altro da fare che prendere la magia delle sirene come aveva pianificato dal momento stesso in cui aveva ricostruito i suoi poteri.

Tuttavia, dovette riconsiderare le sue priorità non appena mosse un paio di passi: improvvisamente, avvertì le ginocchia cedergli e una mano tremare fortemente.

Preoccupato, cadde in ginocchio e guardò l'arto tremante, dal quale un fumo rossastro cosparso di scintille si stava liberando nell'aria.

Capì in un istante: stava perdendo la sua magia!

Rubare la magia ad altre creature magiche è una questione molto delicata, si tratta di mescolare forze caratteristiche di una specifica razza: un esperimento dalle conseguenze imprevedibili, lui stesso aveva impiegato molti anni per padroneggiare questa sua abilità, prima di usarla per accrescere il proprio potere. E, anche una volta riuscita a trattenerla, era naturale che le energie rubate cercassero di ritornare al loro “contenitore” originale.

E quale modo migliore per fuggire, se non attraverso le ferite che gli scontri gli avevano provocato?

In parole povere, la rigenerazione di Tirek non era un nuovo poter, ma il suo corpo che stava regredendo man mano che lo scontro lo metteva sempre più in difficoltà, privandolo di una quantità sempre maggiore del suo potere. E l'ultima fase dello scontro con l'umano lo aveva del tutto consumato; ormai avrebbe ripreso il suo stato anziano e decrepito nel giro di pochi minuti.

Imprecando, il centauro capì che avrebbe dovuto scappare, piuttosto che restare anche solo un paio di secondi in più a Ponyville.

Fece per alzarsi, ma qualcosa lo tirò per la coda.

Si voltò e, terrorizzato, vide Alastor tenerlo in pugno.

L'umano non era messo meglio del centauro, anzi: era coperto di ferite che non smettevano di sanguinare, impedendogli di tenere aperto l'occhio destro, lividi ed escoriazioni celavano il colore naturale della sua pelle e il braccio sinistro era piegato in un angolo innaturale.

Non parlò, semplicemente avanzò zoppicando verso il suo nemico, troppo paralizzato dalla sorpresa per decidere come muoversi.

Quando fu a portata, inaspettatamente, l'umano appoggiò il braccio rotto sulle spalle del centauro, lasciando l'avambraccio a peso morto. Doveva essere messo davvero male, per non sentire il dolore che un gesto simile avrebbe dovuto fargli provare.

In ogni caso, dopo aver “preso” il centauro, gli diede due pacche sul petto, commentando «Questa... l'ho sentita. Bel Colpo.»

Con queste ultime parole, quindi, Alastor cadde per terra, sollevando una leggera nuvola di polvere quando impattò con il suolo.


All'inizio fu come se il suo cuore avesse smesso di battere. Paralizzata, non appena Aria Blaze avvertì la fine del duello tra l'umano e il centauro rimase a guardare avanti a se, mentre la squadra di pony e mutanti che la circondava decise di approfittare di quel momento per assalirla.

Lentamente, l'espressione sul volto della sirena mutò in una maschera di puro dolore mentre cadeva in ginocchio. Una volta raggiunto il suolo, Aria si piegò in avanti e spalancò la bocca, urlando con una frequenza tale che nessuno riuscì ad udire altro che un fastidioso fischio alle orecchie.

L'improvvisa ondata di emozioni fu tale che le braccia le si ricoprirono di una forte luce amaranto, prima di esplodere in un'onda d'urto magica che spazzò via chiunque le fosse intorno nel raggio di diversi metri, alleati o nemici che fossero.


Negli anni futuri, molti avrebbero ricordato quel giorno per la furia di quella guerra, per il coraggio di quei pochi che resistettero a molti o per la devastazione che travolse la città, ma pochi eletti lo avrebbero ricordato invece come il giorno in cui un umano, alfine, cadde.

Per coloro che lo amavano, per chi avrebbe voluto vivere per sempre al suo fianco, o per chi voleva essergli amico, questo fu un giorno ancora più tragico.

E per i difensori di Ponyville, liberati dalle loro prigioni da Twilight Sparkle e Princess Celestia e usciti tutti insieme dalla Everfree Forest al galoppo, giunse lo shock del fallimento, il peso dell'essere arrivati troppo tardi.

Ma così sarebbe finita.

Per salvare la donna amata un uomo aveva dato tutto, e anche di più.

Ma ormai era troppo tardi.

Perché quello fu il giorno in cui Alastor Sullivan morì.


Fiumi di energie scorsero dal luogo della sfida tra il centauro e l'umano, avvolgendo tutti coloro che ancora si trovavano a Ponyville e dando loro un nuovo vigore. Poco prima di questo strano fenomeno, numerosi Mutanti scomparvero dissolvendosi in una fiamma rosa che saettò verso la Everfree Forest.

Queen Chrysalis comprese sia che l'umano era morto e che il suo rifugio nel Lago-Specchio era stato neutralizzato.

«Tsk!» fu l'unico suo commento, più seccato per la neutralizzazione definitiva del Lago piuttosto che per la morte del bipede, prima di fare un fischio che ogni Mutante udì. Immediatamente, tutti si fermarono e balzarono in cielo, sempre più in alto fino a sparire alla vista.

Princess Luna, che in quel momento si trovava nelle vicinanze della Regina dei Mutanti, vide tutto questo insieme alle fiamme verdi che la stavano avvolgendo ed esclamò «Cosa sta succedendo?»

Queen Chrysalis rispose senza nemmeno guardare negli occhi la principessa della luna «Torniamo a casa.»

Princess Luna reagì incredula «Ci lasciate? Ora

«Esattamente.»

«Credevo che tu fossi dalla nostra parte, almeno per questa guerra!»

Queen Chrysalis reagì ridendo di gusto. Alla fine, mentre le fiamme le arrivavano al volto, guardò finalmente negli occhi Princess Luna spiegando «Principessa... io sono la Regina dei Mutanti. Io sono dalla mia parte!»

Detto questo, troppo rapidamente perché Luna potesse impedirlo, lei sparì assieme a tutto il suo esercito.


Al galoppo lontano da Ponyville, Tirek imprecava a denti stretti mentre pensava a quanto fosse stato stupido, come il suo essere avventato gli fosse costato tutto.

Certo, aveva sconfitto il tanto odiato umano... ma era tornato esattamente come non molto tempo fa, quando era ridotto ad un rudere di quello che era un tempo, vagabondando per tutta Equestria rubando magia agli unicorni facendo attenzione a non farsi notare.

Doveva essere paziente, purtroppo non aveva altra scelta. Avrebbe dovuto ricominciare da capo, ma prima o poi sarebbe ritornato ancora una volta, come un incubo senza tregua o fine e allora...

Un'improvvisa nota, un “do”, lo colpì come una cannonata, sparandolo lontano e travolgendo la vegetazione. Passò attraverso due tronchi d'albero, spezzandoli come grissini, prima di picchiare a terra.

La sorpresa, mista alle ferite del duello appena trascorso, lo immobilizzarono a terra.

Sforzandosi di non perdere i sensi, il centauro vide una figura bipede avvicinarsi a lui con passi pesanti e rabbiosi. Era una donna alta e slanciata, abbastanza paffuta con enormi occhi magenta, labbra carnose, zigomi pronunciati, un seno prorompente e lunghi capelli azzurri con meches nere legati con una coda di cavallo: Sonata Dusk.

Contrariamente a come si era soliti aspettarla, tuttavia, la sirena aveva il volto contratto in una furia che terrorizzò anche il centauro. La sirena, con ancora addosso i segni della sua ennesima trasformazione, respirava affannosamente, teneva le mani chiuse a pugno lungo i fianchi facendole ciondolare al ritmo dei suoi passi e si mordeva nervosamente le labbra.

Quando arrivò a pochi centimetri dell'inerme centauro, finalmente parlò «Lo sai? Vivere per più di duemila anni con le stesse persone non è facile. O almeno, non è facile per Aria e Adagio... voglio dire, sono due personalità così simili, tu non hai idea di quante volte hanno litigato!»

La sirena parlava a fatica, come se un tappo le fosse rimasto incastrato in gola e spesso balbettava, eppure era evidente come cercasse di trattenersi «E così, per mantenere il gruppo unito, devo ogni tanto buttarla sul ridere. Devo fare la scema, fare credere a loro di essere migliori di quello che sono, mantenere quell'alchimia che serve a noi per tenerci unite. Perché, forse questo tu non puoi capirlo, ma come Dazzling non siamo solo un gruppo musicale, o un trio di creature magiche. Siamo una famiglia

Tirek guardò la sirena senza rispondere. Passandosi la lingua sulle gengive, piuttosto, scoprì di aver perso qualche dente da qualche parte e tra la tempesta di dolori tutti diversi che avvertiva e il sapore metallico del sangue in bocca parlare per lui fu impossibile ribattere alla sirena.

«No, certo che non capisci. Cosa puoi saperne tu?» continuò Sonata, passandosi una mano sui capelli sistemando una ciocca ribelle dietro le orecchie piccole e tonde «Lascia che ti spieghi. Le Dazzling sono una famiglia, ognuna di noi è legata all'altra e noi siamo così legate che possiamo sentire benissimo cosa prova l'altra. E quello che hai fatto ad Aria, be'... mi mancano le parole, davvero.»

Sonata usò la stessa mano per spalancarla verso Tirek. Un'aura amaranto le avvolse minacciosamente il palmo, risalendo tutto l'avambraccio mentre il colore dei suoi occhi mutava dal viola allo scarlatto.

«Ti dico questo solo per chiederti di avere pazienza se non faccio qualche battuta. Il fatto è che... be', non mi sembra il caso!»


Della morte squallida e umiliante di Lord Tirek nessuno seppe mai i dettagli. Tutto quello che fu conosciuto da lì in avanti fu che, quando le squadre di ricerca delle Dazzling scomparse arrivarono nei pressi della Everfree Forest, non ci furono tracce né della sirena né del centauro. Solo qualche brandello di una sostanza impossibile da riconoscere, sparsa per praticamente tutto il perimetro della foresta.

Data la situazione molto particolare, tutti quei pezzi vennero raccolti e dati alle fiamme con noncuranza, classificandoli come semplici rifiuti, e fortunatamente nessuno pensò a verificare la loro reale natura o meno.

Se la loro origine fosse stata svelata, le conseguenze e il disgusto sarebbero stati sicuramente traumatizzanti per la popolazione.


L'arrivo delle portatrici gettò nei difensori di Ponyville una nuova forza, amplificata dal ritorno delle energie alle vittime di Tirek e dalla ritirata dei Mutanti; situazione che per chi non conosceva i fatti venne interpretata come un segno più o meno divino che quel giorno avrebbero vinto i Pony.

La combinazione di forze delle Guardie Reali, delle guardie di Luna, i cittadini di Ponyville, le sei portatrici e le principesse segnò definitivamente il fato delle forze del Tartaro: solo Princess Luna aveva dimostrato di poterne tenere a bada più di una decina, agendo da sola, e il suo potere magico era nettamente inferiore a quello di sua sorella o di Twilight Sparkle.

Quando Ponyville venne definitivamente liberata e i prigionieri del Tartaro rigettati nelle loro prigioni grazie alla magia combinata delle principesse, iniziò una caccia serrata alle sirene.

Vennero organizzate tre squadre: ogni principessa avrebbe diretto una squadra, aiutata da una parte di militari mentre gli altri restavano ad aiutare i feriti.

Princess Celestia e Luna, rispettivamente alla ricerca di Adagio Dazzle e Sonata Dusk, non riuscirono a trovare nemmeno le impronte del loro passaggio, solo voci indistinte secondo cui erano state viste prima da una parte e poi dall'altra di Ponyville.

Twilight, invece, dovette risalire ad Aria Blaze indagando sui numerosi testimoni che l'avevano vista.

Dopo che aveva scavato un solco che arrivava alle tubature dell'acqua con un grido, era stata vista volare ad una velocità incredibile verso il centro città.

Giunta, Twilight non trovò né la sirena, né il cadavere di Alastor Sullivan, ma una scia di sangue lasciava intendere dove fosse stato portato.

Benché la sola vista di quell'indizio la disgustasse dal profondo e la ferisse allo stesso tempo, facendole intendere a cosa avesse portato quello che poteva essere definito il suo più grande fallimento, Twilight seguì la pista fino ad arrivare al suo stesso castello.

Spaventata, si avventò nei corridoi, scoprendo che la pista terminava proprio davanti allo specchio per il viaggio tra le dimensioni.

Vicino, trovò Discord appoggiato ad una parete che ansimava. Su tutto il suo corpo si potevano trovare costellazioni di bruciature, lividi e tagli. Solo le sue pesanti occhiaie mascheravano l'occhio nero.

Normalmente, Twilight avrebbe cercato di ignorare la presenza di Discord ma la situazione e le sue condizioni la spinsero ad agire diversamente.

Non appena si rivolse al draconequus, lui le spiegò cos'era successo.

«Mi hanno ingannato per bene. Credevo sul serio, sai, che Tirek che Queen Chrysalis volessero aiutarci contro le Dazzling... e invece hanno solo cercato di raggiungere i loro scopi. Così, quando le ho viste, ho voluto provare a fermarle.»

«Di chi stai parlando?»

«Delle sirene.»


Discord aveva trovato Adagio Dazzle e Aria Blaze avanzare verso il portale. Aria portava un grosso fagotto tra le braccia: il corpo di Alastor Sullivan.

Benché la presenza di un cadavere lo disgustasse, lui decise di fermarle.

Con il senno di poi, avrebbe descritto quella decisione come “la più stupida e avventata di tutta la mia vita!”.

Forse era la Guerra ad averlo sfinito, il combattimento prolungato poteva aver prosciugato le energie del Draconequus, fatto sta che lui non fu neppure vagamente una preoccupazione per loro. Adagio non mosse nemmeno un passo, eppure qualunque attacco Discord provasse veniva intercettato e fermato dal leader delle Dazzling.

Dopo alcuni tentativi, inoltre, Discord avvertì un grosso peso e una nuova forza lo sbatté a terra: Sonata Dusk era arrivata. Sul suo corpo, molte macchie di sangue le davano un aspetto semplicemente spettrale.

Discord vide le Dazzling avanzare verso il portale, impotente. Non aveva alcuna speranza di fare alcunché.

Solo le parole che Sonata pronunciò prima di attraversare lo specchio lo consolarono in parte.

«La Guerra è finita, Discord. E abbiamo perso tutti.»


Twilight ascoltò quelle parole e chiese «Cosa ci trovi, esattamente, di divertente?»

Discord rise in maniera triste «Fa ridere perché è vero!»


Quando Twilight riferì il rapporto di Discord alle altre principesse, subito si volle avvisare gli alleati del mondo umano della possibilità che le Dazzling si nascondessero da qualche parte.

Venne presto accordato un piano di ricerca e si organizzò una concreta manovra per inviare rinforzi in massa nel caso le sirene si sarebbero trovate, mentre le indagini venivano lasciate a Sunset Shimmer e alle sue amiche: dato il precario equilibrio tra i mondi, non era possibile inviare molte truppe per indagare e così si preferì piuttosto un controllo incrociato; tutto quello che Sunset Shimmer scopriva veniva mandato a Twilight, mentre lei forniva tutta la conoscenza in merito che poteva fornire.

Ma il tempo passò e mai si riuscì a trovare un solo capello delle sirene. Al secondo anno di ricerche inconcludenti e assoluta mancanza di segnali che facessero comprendere la loro precisa posizione, l'indagine venne sospesa.

La priorità venne comunque data alla ricostruzione di quello che la guerra a Ponyville aveva causato.

I feriti, tra i civili e i militari, erano innumerevoli e per evitare che la struttura del paese, già provata dal conflitto, finisse con il collassare, ci fu un grande trasferimento nella città più vicine. Anche così, tuttavia la Guardia Reale passò un periodo in cui era ridotta all'osso, con più della metà del personale che ancora doveva guarire.

E inoltre, quasi tutte le strutture del paese erano state rese inutilizzabili: case, negozi e palazzi erano stati rivoltati dalla furia dello scontro, numerose infrastrutture scardinate e i servizi pubblici irrimediabilmente danneggiati. Ci sarebbero voluto diversi mesi prima che tutto tornasse alla normalità.

Eppure, nonostante il periodo difficile che si parava davanti a loro, l'esercito di Equestria e i cittadini di Ponyville non poterono fare a meno di festeggiare: Ponyville apparteneva ai pony e lo sarebbe stata per sempre!

La festa durò per tutto il resto della notte: i parenti rapiti da Queen Chrysalis abbracciarono finalmente le loro famiglie, venne dato fuoco agli stendardi dell'esercito mutante e qualunque altro oggetto che potesse riportare alla memoria la tiranna e intorno a quel falò si ballò e cantò a squarciagola.


Fu così che, quella che sarebbe stata ricordata come la Guerra della Trinità, per riassumere il conflitto tra Pony, Mutanti e Sirene, si concluse con danni incalcolabili, migliaia di feriti, una intera città interamente da ricostruire... e due morti.

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


EPILOGO


A passi lunghi e lenti, Aria Blaze e Alastor Sullivan camminavano l'uno di fianco all'altra lungo il marciapiede, avvicinandosi sempre di più al liceo superiore di Canterlot. La sera stava scendendo e ormai passavano più poche macchine, inoltre essendo un giorno festivo non si vedeva una sola luce o rumore uscire dalla scuola, ma anche se fossero stati durante il giorno nessuno li avrebbe potuti distinguere da un allegro duo: ogni traccia della mutazione delle sirene era scomparsa da Aria e, a parte le vecchie ferite, non si vedeva una sola cicatrice sul corpo di Alastor.

«Pensandoci, non ti ho mai visto con abiti diversi da questi.» osservò Aria, riferendosi al gilet, la t-shirt bianca, i jeans e gli anfibi che Alastor indossava

Lui fece spallucce «Sono comodo così... e poi, mi ci vedresti in giacca e cravatta?»

Aria sorrise divertita «Per carità! Nemmeno io.»

Cadde tra i due un breve silenzio, prima che Alastor superasse la sirena, portandosi avanti a lei e guadandola negli occhi «Ascolta, c'è una cosa che devo dirti e non posso trattenermi a lungo...»

Aria si fermò e affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, ricapitolando con un intramontabile sorriso sulla faccia «Dunque, vediamo... siamo andati contro una principessa pony, abbiamo resistito a un esercito che ci superava di mille a uno, abbiamo risvegliato la magia del caos in noi sirene, abbiamo aperto il Tartaro e abbiamo resistito alla sua furia... direi che, a questo punto, possiamo dirci davvero tutto

Alastor annuì in silenzio, prendendo tutto il tempo che gli serviva per trovare le parole giuste da dire. Aria era felice, felice come non succedeva da moltissimi anni e lui non voleva privarla di quella gioia.

Alla fine, riuscì a formulare una frase «Vedi, è proprio questo il punto. Abbiamo finito. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare e, se tu lo vuoi, io posso andarmene. Basta che tu lo voglia e io sparirò per sempre dalla tua vista.»

Aria aggrottò le sopracciglia, senza perdere il suo sorriso. Puntò un minacciosissimo dito contro Alastor e rispose «Non se ne parla! È vero, mi secchi molto più di quanto abbia mai creduto essere possibile, ma... voglio passare ogni irritante minuto con te. Perciò, non azzardarti a lasciarmi, né ora né mai!»

Alastor sorrise, come se quelle parole lo avessero sollevato da ogni peso. Imitò il sorriso della sirena e mettendosi le mani in tasca si limitò ad annuire «Ogni tuo desiderio è un ordine!»

Aria Blaze si rasserenerò a quelle parole e abbassò la mano. Nel mentre, alle sue spalle, arrivarono Adagio Dazzle e Sonata Dusk.

Adagio si massaggiava nervosamente un braccio, come se si vergognasse di qualcosa, ma qualcosa nelle parole di Aria sembrava averla sorpresa «Ogni minuto di cosa?»

Aria si voltò verso Adagio, senza commentare il fatto che lei stesse mantenendo ogni aspetto della mutazione maturata durante la Guerra della Trinità, perciò stava passeggiando in centro città con un paio di grandi ali di membrana dietro la schiena, la coda e un'aura amaranto intorno.

«Be', abbiamo di nuovo i poteri del Caos e l'eterna giovinezza... sarebbe più veloce dire cosa non possiamo fare, giusto?»

Quella domanda, così felice, di Aria arrivò alle orecchie di Adagio come una coltellata di ghiaccio. Sonata distolte lo sguardo e Adagio abbassò gli occhi rispondendo tristemente «Mi dispiace, Aria...»

Aria Blaze sgranò gli occhi. Si voltò e, dove un secondo prima c'era la figura massiccia di Alastor, adesso c'era il vuoto.

Alastor Sullivan era morto ad Equestria e morto era rimasto una volta tornato nella sua dimensione. L'esperimento che Adagio aveva suggerito per salvarlo, quando la trovò in ginocchio davanti alla carcassa dell'umano, era fallito.

Ricordandosi di questo, la sirena chiuse gli occhi e si portò una mano davanti alla bocca, come per fermare i singhiozzi che le salivano dal petto.

Adagio vide questo e, timorosamente, le appoggiò una mano sulla spalla larga, ripetendo «Mi dispiace... se solo potessi...»

«Ma non puoi.» la fermò Aria, liberandosi dal tocco della compagna «Nessuna di noi può.»

Adagio si portò una mano sulla nuca, senza sapere come reagire. Avevano sì sterminato i Draconequus secoli fa, ma si trattava di despoti senza alcun riguardo per la vita altrui. Adesso che avevano tanto cercato la loro vendetta contro Twilight Sparkle o Queen Chrysalis, però, avevano ottenuto solo la morte di un umano che non c'entrava e la definitiva perdita dell'innocenza di Sonata.

«So che non c'entri con la sua morte, Adagio. Non sei tu quella che deve scusarsi.» riuscì a continuare Aria, dopo qualche minuto, passandosi le mani nei capelli «Siamo un gruppo unito, lo saremo fino alla fine... dannazione, siete la cosa più vicina ad una famiglia che io abbia!»

Adagio non commentò. Per quante volte le avessero ripetuto quelle parole, non poteva fare a meno di sentirsi in parte responsabile. Dovette ingoiare un rospo bello grosso per giurare «Troverò un modo. C'è sempre un modo. E quando lo troverò, tutto andrà per il meglio! È una promessa!»

Tra Aria e Adagio calò il silenzio.

Sonata deglutì rumorosamente, prima di domandare «Perciò, adesso, che cosa facciamo?»

Tutte puntarono gli occhi su Adagio. La ricerca di vendetta aveva incrinato pesantemente l'ordine di quel gruppo, probabilmente non sarebbero mai più state le stesse. Ma certe cose, per il loro bene, non dovevano cambiare e nonostante tutto lei rimaneva ancora il capo: aveva delle responsabilità e non avrebbe mai e poi mai deluso di nuovo le sue compagne.

Con un gesto della mano, Adagio evocò intorno a loro il riflesso di tanti piccoli pianeti, spiegando «Equestria, così come il mondo in cui siamo state esiliate, sono adesso territori tabù per noi. Non c'è un solo elemento in entrambi i mondi che non ci conosca e che non sappia quanto siamo pericolose: se vedono anche solo la nostra ombra, chiameranno interi reggimenti per fermarci. Ma esistono ancora un'infinità di mondi diversi, di possibilità diverse. Possiamo viaggiare dove nessun altro si è mai spinto, esplorare posti dove nessun altro potrà mai stare e, chissà... potremo anche creare la vita che cerchiamo!»

La spiegazione convinse le altre due Dazzling.

Fu Sonata a chiedere «Molto bene. Quando partiamo, capo


Lenti ma determinati, i pony ricostruirono Ponyville, mattone su mattone. Il cataclisma che li aveva colpiti aveva lasciato la maggior parte dei suoi abitanti senza casa o un passato. Nel migliore dei casi, erano rimaste le pareti e qualche oggetto, vaghi e timidi ricordi di un passato che andava ricostruito quasi completamente.

Twilight Sparkle e le sue amiche lavorarono con grande impegno, a volte per interi giorni consecutivi prima che il sonno arretrato strappasse il suo pegno senza alcuna pietà, ma di tutti era forse proprio la principessa dell'amicizia quella che aveva bisogno di un aiuto, almeno morale.

La consapevolezza di essere arrivati tardi, il pensiero che se fosse partita subito con le sue amiche e avesse lasciato Princess Celestia da sola a sigillare la magia del Lago Specchio allora avrebbe potuto fermare Tirek e le sirene. Ma sopratutto, la consapevolezza di cosa Queen Chrysalis avesse fatto, solo per vendicarsi di lei, le bruciava più di qualsiasi ferita. E la cicatrice che questa piaga avrebbe lasciato, sicuramente non l'avrebbe mai più abbandonata.

Il sole era alto, illuminando le strade delle decine di cantieri in costruzione e le vite che tentavano di recuperare la normalità nonostante la devastazione a cui erano sopravvissuti.

Spike avvertì Twilight appoggiare pesantemente la testa al muro e, preoccupato, le si avvicinò domandando «Twilight! Stai bene?»

«Non sempre la verità è in fondo al pozzo.» rispose, enigmatica, Twilight.

Spike spalancò gli occhi, non capendo «Cosa?»

«Ho sbagliato tutto, Spike. Ero così concentrata su scoprire più possibile sulle Dazzling che ho tenuto lo sguardo così vicino da avere solo una visione sfocata della situazione intera. Ho visto qualche dettaglio con una chiarezza superiore, ma così facendo ho perso inevitabilmente di vista l'insieme. E in tutto questo... è Ponyville, assieme a quell'umano, che ha pagato le conseguenze.»

Princess Celestia udì casualmente quelle parole dette dalla sua allieva e, senza preavviso, si avvicinò a lei domandando «Quando Queen Chrysalis ha attaccato la tua città, sei per caso scappata?»

Troppo sorpresa per capire cosa le fosse stato chiesto, Twilight rispose quasi involontariamente «No, certo che no!»

«E quando hai scoperto che i Mutanti si erano intrufolati tra i tuoi amici, ti sei arresa?»

«Be', no...»

«Bene. E quando le Dazzling si sono risvegliate, hai nascosto la testa sottoterra?»

«Non sono certo uno struzzo!» replicò Twilight, toccandosi istintivamente il collo: lo aveva davvero così lungo?

Princess Celestia le accarezzò una guancia con le piume delle ali, riservandole un sorriso che da solo avrebbe potuto sciogliere i ghiacciai mentre le spiegava «Sei stata ingannata, questo è vero. Ma quello che davvero importa è che tu non sei scappata: anche quando la situazione si stava facendo disperata hai continuato a resistere e a difendere quelli che credevano in te. È questo quello che davvero importa. Quindi credimi, Twilight, quando ti dico che oggi hai deluso proprio nessuno. Anzi, sono orgogliosa di te e di come tu abbia saputo reagire a questa crisi.»

«Orgogliosa?» berciò Twilight. Stranamente, quella parola sembrava averla più offesa che altro «La Guerra della Trinità è soltanto colpa mia! Questa è Equestria, la patria dell'amicizia e dell'armonia... e sono un alicorno, la razza che più di ogni altra si adopera perché questi principi vengano diffusi. Sono la principessa dell'Amicizia, non della guerra! E per le mie paure, per le mie stupide fissazioni, ora Ponyville è un ammasso di macerie da ricostruire interamente!»

Princess Celestia accolse lo sfogo dell'allieva, che zittì con una frase che pesò sulla novella principessa come un mattone «So come ti senti, Twilight. Mi ricordi molto me stessa, mille anni fa...»

Twilight capì subito che la sua maestra si riferiva alla Notte Eterna, quando era stata costretta a bandire sua sorella, trasformata in Nightmare Moon dalla sua invidia, sulla Luna.

L'alicorno lilla si ammutolì e Princess Celestia ne approfittò per proseguire «Come tu hai detto, noi alicorni siamo coloro che più di ogni altra specie vuole diffondere la serenità e l'armonia così come un contadino fa con i semi delle sue piante. Ma non si tratta di un percorso semplice, non basta volerlo perché si realizzi.»

L'alicorno color avorio indicò fuori dalla finestra con lo zoccolo e proseguì «Esistono molte minacce a quest'ordine che noi vogliamo creare. Essere una principessa vuol dire anche avere nemici molto potenti, esseri malvagi che useranno un impegno a volte anche superiore al nostro per distruggerci e vanificare tutti i nostri sforzi. Per questo, noi non ci nascondiamo di fronte a loro e ricorriamo ad ogni mezzo per difendere il nostro popolo e la nostra pace.»

«E come può fare, quando il sacrificio per questa pace è così grande?»

Princess Celestia capì immediatamente che la sua studente si riferiva all'esilio della sorella per quanto la riguardava e alla morte dell'umano per lei. Dopo una breve pausa, rispose «Devi perdonarti. Devi guardare negli occhi tutti quelli che credono in te e capire che devi andare avanti, se non per te, per loro.»

Twilight ricambiò il sorriso della principessa, toccata dalle sue parole e la abbracciò stringendole le zampe al petto. Dopo qualche secondo, aggiunse «Credo che avrò ancora bisogno dei vostri consigli.»

Princess Celestia sorrise, ricambiando l'abbraccio «Se avessi voluto smettere di aiutarti, Twilight, te lo avrei detto molto tempo fa!»

La giovane principessa rise debolmente alla sottile battuta e Spike, senza dire niente, si unì all'abbraccio compensando la differenza di statura con un salto.


Se il cielo di Equestria era soleggiato per aiutare i lavori di ricostruzione, nel mondo umano invece scendeva una pioggia fitta, privando di luce naturale qualunque abitazione nonostante fosse passato da poco mezzogiorno e costringendo tutti a tenere le luci accese.

All'interno del Black Canary Susy, Bulldog, Bobo ed El Bastardo restavano seduti al tavolo con i divanetti bordeaux dove, pochi giorni prima, si erano seduti Alastor ed Aria.

Il locale, “chiuso per lutto” come diceva l'insegna, sembrava ancora più vuoto di quando invece c'era un sacco di gente che faceva solo gli affari propri. L'unica luce accesa, direttamente sopra il tavolo, gettava timide ombre sui volti depressi dei presenti.

Tutti e quattro erano bagnati fradici, ma a nessuno importava.

Appena tornati dai funerali del loro amico, soltanto loro si erano presentati.

Avevano provato a cercare qualcuno che Alastor potesse conoscere oltre a loro, ma non ci fu alcun numero sulla sua rubrica e tra i clienti soliti del bar, date le numerose zuffe con il diretto interessato, ci fu uno scarso coinvolgimento nella misteriosa dipartita del giovane.

Nemmeno suo zio si era presentato: blaterando scuse come il non voler coinvolgere il nipote in strane voci o attirare solo curiosi, tentò di nascondere il fatto che aveva deciso di non presentarsi già da molto tempo. Al loro appuntamento, liquidò la comitiva di ragazzi cercando di apparire freddo e distaccato, ma voci secondo cui il giorno dopo aveva rifatto interamente lo studio, mobili compresi, in quanto erano andati a sbattere ripetutamente contro il suo set di mazze da golf era giunta anche alle loro orecchie.

Così, al funerale di Alastor Sullivan furono soltanto in cinque: sua cugina Susy, i suoi migliori amici Bulldog, Bobo ed El Bastardo e infine il prete.

Nessuno di loro, in realtà, nutriva qualche fede religiosa. Se l'avessero davvero avuta, non avrebbero potuto fare più della metà di quelle azioni che per loro rappresentavano invece l'abitudine. E nemmeno potevano essere sicuri di quanto fosse convinto di un piano superiore il loro amico, eppure sentirono che c'era bisogno di lasciarlo da qualche parte, mettere sulla terra un monito che dicesse “Alastor Sullivan è stato qui”.

Nessuno di loro quattro aveva parlato durante la cerimonia e nemmeno aveva dato ascolto al prete, mentre recitava il suo sermone. Impiegarono alcuni minuti, quando terminò la cerimonia e si chiusero dentro il Black Canary, per ritrovare improvvisamente la voce ricordando l'amico caduto, cercando di tirarsi su il morale a vicenda.

Alastor non era un uomo baciato dalla fortuna, non era una di quelle persone destinate a compiere grandi imprese: oltre alla sua forza incredibile non aveva altro.

Non era stato dotato di una grande intelletto o di una volontà adamantina e proprio per questo si accontentava di quella vita così squallida. E forse era proprio per questo che l'incontro con Aria Blaze lo aveva cambiato.

Forse, agli inizi, vedeva davvero in lei soltanto un modo per rimediare a quando non poté salvare la sua controparte che aveva conosciuto anni prima, ma con il tempo aveva ritrovato nella sirena qualcosa di più. Magia, mondi lontani e l'opportunità di combinare finalmente qualcosa di buono dovevano aver risvegliato in lui quel calore, quelle emozioni che il mondo che lo circondava stava facendo lentamente rattrappire.

Perdere Aria, ritrovarla e aiutarla doveva essere stato per lui il lavoro più bello di tutta la sua vita e forse proprio per questo era finito con l'innamorarsene. Perché lui, nonostante tutto, credeva nel futuro orgiastico che, anno per anno, indietreggiava davanti a lui; gli era sfuggito fino ad allora, ma non importava: domani avrebbe corso più veloce, avrebbe allungato di più le mani e, una bella mattina, sarebbe diventata una persona migliore.

E adesso, con Alastor morto, i suoi amici potevano soltanto farsi forza assieme.

In fondo gli amici servono a questo, sanno come aiutarti ad andare avanti. A volte cambiando argomento, restando accanto o facendo quello che serve per sollevarti il morale.

Ma, alla fine dei loro ricordi, restava soltanto una cosa da dire.

Bobo abbassò gli occhi sul bicchiere, colmo fino all'orlo, del liquore versato da Susy. Mentre parlavano era la seconda bottiglia che andavano a raschiare il fondo.

Con movimenti irregolari e meccanici, afferrò il boccale e lo strinse come se stesse cercando di romperlo. Poi lo alzò al centro della tavola.

«Ad Alastor.» disse, con voce gracchiante.

Incuranti dello sforzo dell'amico, i rimanenti afferrarono a loro volta i bicchieri e brindarono, salutando così il loro compagno.

Così, piegati ma non spezzati, avrebbero continuato le loro vite, barche controcorrente risospinte nell'oscurità.


Queen Chrysalis sobbalzò sul divano in cui si era sdraiata per concedersi un meritato riposo, mentre le sue truppe si organizzavano per curare i feriti lievi a cui non c'era bisogno di ricorrere alla magia.

Per quanto la Regina dei Mutanti volesse dare a vedere il suo autocontrollo, a volte la visione di una furiosa Adagio che le scagliava contro poteri antichi di millenni le faceva venire i brividi. Quelli furono momenti in cui davvero si era chiesta se sarebbe riuscita a vedere l'alba del domani.

I suoi pensieri vennero interrotti da una voce familiare «Che ti potessi spingere in basso, sono la prova vivente che puoi farlo. Ma devo dire che questa volta hai superato addirittura le mie aspettative!»

Queen Chrysalis si voltò con un ghigno predatorio stampato sul muso, osservando Princess Cadance guardarla con espressione furente mentre dietro di lei alcune decine di Mutanti giacevano a terra: l'intera guardia personale della Regina era stata messa fuori gioco prima ancora che potesse accorgersene.

«Ah, quindi la mia ultima impresa è già arrivata all'Impero di Cristallo? Sono lusingata.» commentò, sarcastica, la sovrana «Se sei arrivata qui per annoiarmi, ti interrompo subito. Dovresti sapere meglio di chiunque altro che non ho, né avrò, rimorsi per quello che ho fatto.»

«Lo so.» annuì, con sorpresa, Cadance «Infatti non sono qui per sprecare fiato con te. Perché forse potrai nascondere le tue intenzioni da Twilight, ma io ti conosco troppo bene. So cos'hai fatto e cosa volevi da questa Guerra della Trinità!»

Queen Chrysalis alzò le spalle «Guardati intorno. Il mio esercito è stremato e io stessa sono stata sbattuta come un uovo dalle sirene. Quali vantaggi credi che abbia, questa volta? So che mi odi, ma...»

«Del potere del caos delle sirene non ti è mai importato.» la interruppe Cadance. Quello tra lei e la Regina dei Mutanti era un rapporto raro e che portava la Principessa dell'amore a dimenticarsi delle buone maniere. Quello tra la Regina e la Principessa era un raro caso di “Odio a Prima Vista”.

In ogni caso, Queen Chrysalis non commentò e Princess Cadance continuò.

«I tuoi poteri sono già ampiamente superiori alla media, senza contare l'amore che potresti rubare dai tuoi sudditi o dalle tue vittime. Il tuo unico proposito era vendicarti di Twilight e di come lei ti avesse sconfitta; ma per farlo non ti servivano nuovi poteri, non volevi affrontarla in un campo dove lei avrebbe potuto anche superarti, per quanto questo non lo ammetterai mai a voce alta. Per vendicarti hai voluto colpirla dritta al cuore, dritta a Ponyville: raderla al suolo, distruggere tutto quello che Twilight ama e ha giurato di difendere.»

Queen Chrysalis sorrise a quelle parole. Non aggiunse una sola parola, ma era chiaro che Princess Cadance avesse capito meglio di chiunque altro.

«Trovare il Lago Specchio per te non doveva essere difficile. Hai a disposizione praticamente la stessa quantità di conoscenza racchiusa nelle biblioteche di Canterlot, ma anche un esercito composto da milioni di soldati non era ancora sufficiente. Per ottenere il tuo scopo avevi bisogno non di scatenare una guerra come tante altre sono state affrontate, ma distruggere ogni cosa che Ponyville rappresentava. Avrai pensato di liberare il Tartaro, ma sapevi che non solo era estremamente complicato, ma non saresti mai riuscita ad avvicinarti senza scatenare le attenzioni delle Principesse. E così hai ricorso ad un potere ancora più antico: le Sirene.»

«Come credi che possa essere venuta a conoscenza della loro esistenza?» interruppe la Regina, scendendo dal divano senza staccare gli occhi dalla rivale.

Cadance prese qualche secondo per rispondere «Non puoi immaginare quanto mi innervosisca il fatto che tu, dopo tutto quello che hai appena fatto, tenti ancora di nasconderti!»

Queen Chrysalis le rivolse un ghigno feroce «Oh, lo posso capire benissimo, invece. È proprio per questo che te lo dico.»

La principessa ignorò lo scherno della sovrana e riprese «Ti sei già intrufolata a Ponyville, durante gli eventi precedenti la Cometa del Segretariato, perciò conoscevi già il posto. Ma questa volta, il tuo piano non prevedeva di farsi scoprire: i tuoi Mutanti dovevano mimetizzarsi tra la popolazione e loro lo hanno fatto diligentemente, rapendo e rimpiazzando i suoi abitanti senza che qualcuno se ne accorgesse. E così, mentre stringevi la tua morsa su Ponyville, arrivando addirittura alle amiche di mia cognata, ti sei avvicinata allo specchio, l'unico mezzo di collegamento tra Equestria e il mondo dove si trovavano le sirene. Almeno dimmi, è stato difficile trovarle?»

La Regina dei Mutanti «Tre creature quasi onnipotenti che hanno cercato di dominare una città nel giro di una notte? No, è stato incredibilmente semplice risalire a loro e dove si trovassero.»

«E così hai iniziato i rapimenti. Non ho ancora capito se il tuo piano comprendeva nel catturare tutte e tre le sirene oppure fin dall'inizio volevi lasciarne soltanto una; ma qualunque sia la verità, non appena hai saputo che la Dazzling mancante era arrivata a Ponyville con una guardia del corpo e Twilight li teneva praticamente in ostaggio, hai fatto scattare la tua vendetta.»

«Parli di cose che ormai sono chiare, Cadence.» commentò Queen Chrysalis, sollevando con la magia un calice e una bottiglia da una dispensa posta nell'altro lato della sala rispetto a loro e versando da bere solo per lei.

«Sono pronta a giurare che tu immaginassi che le tre sirene, nonostante quello che li era successo, avevano ancora un collegamento con le energie del Caos che le hanno generate. Tutto quello di cui avevi bisogno era di scatenare un conflitto di proporzioni tali da risvegliare quelle energie.»

«Le energie del Caos non sono come le altre. Non puoi pretendere che, levato il loro possessore, semplicemente vaghino per l'aria: hanno bisogno di un vettore, di qualcosa che le raccolga e che le usi. E siccome non mi risultava che il mondo degli umani si fosse spaccato in due per quelle energie lasciate libere, era implicito che queste forze dovevano aver semplicemente cambiato oggetto. Non più le sirene, i cui medaglioni erano prima una semplice estensione di loro stesse, ma li stessi ciondoli, ridotti dall'attacco di Twilight Sparkle e delle sue amiche a semplice bigiotteria.» detto questo, Queen Chrysalis bevve un lungo sorso prima di concludere «Certo, non potevo essere certa che avessero fatto qualcosa, ho dovuto scommettere sulla loro disperazione. Che dire, ho puntato bene.»

«Oh, sì...» annuì Cadance «E infatti tutto è andato come avevi previsto. A Ponyville stanno ancora contando i danni della Guerra e le Sirene si sono risvegliate. Ci è addirittura scappato il morto, in mezzo al caos che hai scatenato. Scommetto, però, che non ti aspettavi che la nuova condizione di umane dotate di poteri magici delle Dazzling le avrebbe rese decine di volte più potenti di quanto non fossero mai state. Anzi, io so che non te lo aspettavi; così come il fatto che Adagio Dazzle avrebbe voluto vendicarsi prima di te, piuttosto che Twilight!»

Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare, Queen Chrysalis aggrottò la fronte.

Fu un gesto rapido, fulmineo, indistinguibile da uno spasmo involontario.

Eppure, da quella semplice azione, Cadance comprese subito che aveva appena colpito un nervo scoperto.

«Ho scatenato e affrontato la Guerra della Trinità, è vero. Ma è anche vero che ne sono sopravvissuta, indipendentemente da quello che volevo o no. Come vedi, sono ancora qui.» tentò di difendersi Queen Chrysalis. Cadance ebbe l'impressione che la sua voce avesse acquisito un improvviso tremito, che avesse perso quella spavalderia che invece era solita mostrare, ma credette fosse solo un'impressione e non vi diede peso.

Tuttavia, rincarò la dose «Lo sai di chi sono nipote, giusto?»

Queen Chrysalis inarcò un sopracciglio, non capendo «Tutto il mondo sa che voi alicorni siete tutti parte di un'unica famiglia, ormai!»

«Esatto. E proprio per questo, Luna mi ha raccontato cosa sogni da quando sei scappata nelle ultime fasi della Guerra della Trinità.»

Queen Chrysalis non ribatté, ma strinse i denti mettendo in mostra i canini, incupendosi in volto.

«Non esisterà prigione da cui tu non possa scappare e forse nemmeno una punizione che tu non possa aggirare. Ma io ti conosco, Queen Chrysalis, ti conosco meglio di chiunque altro. Dici sempre che è l'amore che tiene voi Mutanti uniti, ma non specifichi mai se si tratta del mio amore o dell'amore per te. Perché, ancor più del tuo dovere, tu sei orgogliosa. Sei forse la creatura più egocentrica che cammini su questo mondo.» detto questo, tra le due sovrane calò il silenzio, interrotto solo dal rumore dei passi che Cadance compiva per avvicinarsi alla rivale.

Cominciando con un sussurro, la principessa di cristallo sibilò le sue parole di commiato che sapevano tanto di condanna «Voglio che tu ricorda bene quello che sto per dirti. Siamo noi, i Pony, che hanno vinto la Guerra della Trinità. Non tu, né il tuo esercito, siete riusciti a fermare le Sirene, i loro poteri e la furia del Tartaro. E non puoi sapere cosa sarebbe potuto succedere se le Dazzling avessero invece vinto.»

«Il mio regno può resistere a qualunque nemico...» la interruppe la sovrana dei Mutanti, seppur arretrando di un paio di passi come se la principessa pony avesse improvvisamente cominciato a farle paura. Forse aveva capito dove voleva arrivare.

«Chi lo sa, forse è proprio così. Ma tu?»

Queste parole zittirono del tutto Queen Chrysalis, che rimase a guardare la principessa con uno sguardo impotente.

«Hai nemici potenti, Regina dei Mutanti. E lo sai. Perciò, ogni volta che il sole ti accarezzerà il carapace, ogni volta che ti coricherai a dormire durante la notte e ogni volta che sentirai delle lodi al tuo nome, rifletti bene su questo: se sei viva e puoi continuare la tua vita lo devi solo a noi. I Pony. A noi e nessun altro.»

Nella sala piombò nuovamente il silenzio. Cadance si era alzata in volo per avvicinarsi con il muso a quello della Regina e si era fermata a pochissimi centimetri dal muso di Chrysalis, quasi come se stesse per baciarla in mezzo agli occhi verdi.

«Ci devi la vita, Queen Chrysalis. A me, a Twilight... e ad ogni singolo pony che vive in questo momento.»

La Regina dei Mutanti accolse quella verità come un sasso lanciato dritto dentro lo stomaco. Per quanto odiasse ammetterlo, lei non aveva il potere per resistere ad una sola Sirena, figurarsi tutte e tre riunite.

«Come ti fa sentire, questo, Regina dei Mutanti?» domandò infine Princess Cadance, prima di sparire in una luce azzurra.

Queen Chrysalis rimase a fissare avanti a se, ansimando, come se per la prima volta in tantissimi anni non sapesse cosa fare, come reagire ad una situazione. Alla fine, stravolta, scagliò con tutta la sua forza il calice di vetro contro la parete, mandandolo in frantumi.

Mentre la pioggia di vetro cadeva dal muro, riempiendo la sala con il suo tintinnio delicato, la sovrana alzò gli occhi e gridò al cielo la propria furia usando tutto il fiato che aveva nei polmoni, cercando sollievo in quella profonda ferita scavata nel suo orgoglio e che mai si sarebbe rimarginata del tutto.

Lei era debitrice dei Pony. Le avevano salvato la vita.

E non poteva fare niente per cambiarlo.



La notte era ormai giunta e nella radura sopraelevata dove le Dazzling avevano stabilito il loro rifugio dove riposarsi soltanto la luna teneva illuminato l'ambiente.

Mentre Adagio e Sonata riposavano nell'alloggio che avevano costruito in pochi secondi grazie ai loro poteri, Aria restava ferma come una statua di sale sul ciglio di uno strapiombo che dava su di un paesino poco lontano. La sua modesta superficie e l'aspetto rustico delle case le ricordavano molto Ponyville e perciò anche molto pensieri poco felici.

Tra le lunghe dita da pianista, la sirena giocava con un anello su cui era incastonato un piccolo rubino: lo stesso anello che indossava Alastor.

Restò indecisa ancora per qualche secondo e poi, con un gioco di dita, lo infilò all'anulare sinistro.

Immediatamente, Alastor spuntò alle sue spalle uscendo da dietro un albero «Mi hai chiamato?»

Aria non rispose, ma per l'umano quel silenzio era più che sufficiente. Affiancò la ragazza riflettendo a voce alta «Grazie per avermi lasciato al Black Canary. Non avrei mai pensato che... be', nella mia condizione... avrei davvero preferito venire lasciato da qualche parte piuttosto che da un'altra. Comunque mi spiace che le tue amiche, nonostante tutto, si sentano un po' in colpa per quello che è successo, forse potresti...»

«Non è colpa loro.» lo interruppe Aria, tenendo ancora lo sguardo verso quella piccola città e parlando a denti stretti «La colpa è tua. Non di Adagio, ma solo tua...»

Alastor si zittì, abbassando lo sguardo come se si sentisse improvvisamente in colpa.

Finalmente Aria si voltò verso di lui «Io sono una Sirena: dove passo semino il caos e la mia parola crea la discordia... e mi andava bene così! Ero felice anche quando eravamo solo io, Adagio e Sonata, perché sapevo che non avevo altro, che con la mia natura non avrei mai potuto avere altro! Loro sono la mia famiglia, Alastor... ma poi è arrivata Twilight e quello stupido potere, che non ha niente di meglio da fare che renderci tutte e tre umane. Ma non basta! Perché almeno Adagio e Sonata si sono salvate dalla parte peggiore, la parte che tu, grosso idiota, mi hai mostrato!»

Alastor ricambiò lo sguardo di Aria, rispondendo debolmente alla sua ramanzina «Io...»

«Sì, tu. Tu!» esclamò Aria, puntandogli contro un dito. Sebbene fosse di una testa più bassa di lui, e con un fisico nemmeno lontanamente paragonabile, riusciva a tenergli testa come se fosse stata un gigante «Tu mi hai mostrato che potevo essere felice... anche senza tutto questo. Mi hai fatto vedere cosa voleva dire poter conoscere altre persone senza vederle poi odiarsi, cosa si... prova... ad avere accanto qualcuno che tiene a te senza una ragione precisa. Cosa vuol dire...»

Aria non riuscì a finire la frase. Abbassò nervosamente il braccio e si morse il labbro.

Alastor alzò le mani «Ehi, non siamo negli anni settanta dove se non volevi conquistare il mondo non eri nessuno! Tu e le altre state facendo quello che chiunque, con i vostri poteri, farebbe! Potete fare ogni cosa, esplorare nuovi mondi... cosa ti rende così nervosa?»

Offesa, Aria scattò e tirò un pugno dritto in mezzo agli occhi dell'umano, ma questo gli passò attraverso, trascinando con sé la sirena che così oltrepassò il bordo del precipizio. Ma non cadde, rimase sospesa nel vuoto.

Superata l'immagine residua del ragazzo, il rancore della sirena mutò presto in malinconia e con la voce spezzata rispose «Voi del Black Canary, tutti assieme, non fate un cervello... credi che vi avessi tradito perché sono stupida? Io stavo per tornare alla mia natura e vi ho tradito, vi ho lasciato indietro... perché voi non avete fatto lo stesso? Ma tu, sopratutto! Perché hai voluto continuare, cosa ti aspettavi? Chi ti ha detto che avevamo bisogno di aiuto con Tirek? Perché hai insistito?»

Alastor si voltò verso Aria e lei, guardandolo negli occhi, sbraitò «Perché sei dovuto morire?»

Alastor non rispose ad alcuna domanda, ma la sua espressione lasciava intendere quanto si dispiacesse per lei.

Dopo un minuto buono di silenzio cominciò ad avvicinarsi a lei, muovendosi nel vuoto a sua volta. Quando arrivò davanti a lei le mise le mani sulle spalle. Contrariamente a quando Aria aveva provato a colpirlo, questa volta lei avvertì la presa del ragazzo, calda e delicata come una carezza, sulla sua pelle.

«Mi dispiace.» disse, semplicemente «Se c'è qualcosa che posso fare per...»

Aria osservò Alastor negli occhi senza dire una parola, ma quegli occhi viola furono sufficienti per troncare ogni parola a cui il ragazzo poteva pensare.

Nella pace e nel silenzio che riempivano quello spazio incontaminato, gli sguardi dei due ragazzi sembravano voler dire più di mille parole e nella magia del momento l'atmosfera si addolcì ancora ed entrambi cominciarono, quasi involontariamente, a intonare Something Stupid.


I can see in your eyes,

that you despite the same old lines

You heard the night before

And though is just a line to you,

For me it's true

It never semmed so right before


The time is right, your perfume fills my head, the stars get red and, oh, the night's so blue
And then I go and spoil it all by sayin' something stupid like

I love you


I due si specchiarono l'uno negli occhi dell'altra e, lentamente, le loro bocche si avvicinarono mentre, insieme, concludevano la canzone.


The time is right, your perfume fills my head, the stars get red and, oh, the night's so blue
And then I go and spoil it all by sayin' something stupid like “I love you”

I love you
I love you
I love you

Aria Blaze scivolò e si ritrovò di nuovo in piedi sul ciglio dello strapiombo. Intorno a lei c'era di nuovo nessuno.

Sola, avvertì un nodo alla gola troppo stretto perché potesse scioglierlo e cadde a sedere, con i piedi sospesi nel vuoto e gli occhi che cominciavano ad inumidirsi. I singhiozzi vennero poco dopo e si portò le mani sul volto, coprendosi la faccia come se non volesse farsi riconoscere.

Secoli addietro, all'apice dei suoi poteri, Aria si sentiva superiore a chiunque altro, come due creature in una: da una parte l'antico pegaso che si era riscattato e dall'altra il senso di appartenenza ad una razza priva di vincoli mortali, a cui era permesso ogni cosa.

E ora?

Anche ora, Aria si sentiva come in due.

Da una parte la sirena, che attraversa ossequiosamente la sua esistenza immortale e dall'altra l'umana, incapace di dimenticare quello che ha avuto. Perché quel momento, ormai, non sarebbe mai più tornato.

Due miserie, in un corpo solo.



My Litte Pony - La Guerra Della Trinità


FINE

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