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di Straightandfast
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***



Capitolo 1
*** I ***


Hola!!!!!
Allora, premetto che sono a dir poco emozionata all'idea di pubblicare questo capitolo e questa storia, perché ci tengo parecchio e l'ho iniziata a scrivere e a pensare un bel po' di tempo fa. E' nata da una conversazione con Giulia (Ilpiercingdiluke) e mi sono messa a scriverla quel giorno stesso; da lì tutto è venuto da sé, è forse la storia che ho scritto in meno tempo e che mi ha fatto dannare di più, perché dovunque fossi, se mi venivano in mente delle frasi, delle conversazioni, le scrivevo ovunque (il primo pezzo del capitolo l'avevo trascritto su un fazzoletto di un bar).
Nella storia i ragazzi sono in pausa come nella realtà, ma Louis è tornato a Doncaster dalla sua famiglia e dai suoi amici; su alcuni nomi, alcune date, mi sono presa delle libertà, un po' perché è la mia storia, con i miei personaggi,e  un po' perché stare dietro a questi ragazzi diventa sempre più difficile :D
E' una sorta di storia parallela a 424 miles, la storia di Ilpiercingdiluke che ha iniziato a pubblicare qualche giorno fa :)
Spero davvero e sinceramente che vi piaccia, io ci ho messo il cuore.
Un bacione,
Chiara

P.S il banner è di Giulia, sempre lei :3

 

A Giulia, la mia Amelie personale:
sei la mia persona (anche se un po' scorbutica)
A Chiara, perché ti voglio bene, ma bene per davvero.

 

A ben vedere, Doncaster non ha nulla di speciale; è una cittadina inglese come le altre, con quella pioggerellina fitta che cade circa 345 giorni all'anno, un pub almeno ogni tre metri e le case a schiera in mattoni rossicci. E' grande abbastanza da avere quattro Primark sparsi per il suo centro, i suoi abitanti hanno l'accento più marcato di Inghilterra e i ragazzi improvvisano weekend a Londra per tentare di sfuggire alla noia della loro città natale.
Niente di speciale davvero, insomma.

Eppure, Louis Tomlinson, reduce dall'ultimo tour mondiale che lo ha visto girare il mondo per più di sei mesi, non potrebbe apprezzare di più il ritorno nel paese dove è cresciuto; sembra un bambino in gita scolastica quando, dopo aver saluto sua mamma e tutte le sue sorelle, esce di casa con il naso per aria e gli occhi che luccicano. Gli sembra incredibile, per la prima volta dopo chissà quanti mesi, non avere nulla da fare, non avere una scaletta da seguire per i giorni successivi, né gente da incontrare o aerei da prendere; ha il pieno potere delle sue azioni dopo troppo tempo e si sente eccitato come non lo era da tempo.
Il fatto è che essere un membro della band più famosa del mondo è una gran bella cosa, considerati tutti i posti che si ha l'occasione di vedere, le persone e l'affetto che si riceve ogni giorno, i compagni di viaggio che ti aiutano nei momenti difficili e – perché nasconderlo – i soldi che si guadagnano, molti più di quelli che si sarebbe mai immaginato quando ha cominciato.
E' tutto bello, bellissimo.
Eppure ha 24 anni, palate di soldi depositati in banca, migliaia di fans sparsi per il mondo, una casa enorme comprata qualche mese prima e in cui ancora non ha passato più di una notte e un desiderio folle di ritornare padrone della sua vita, almeno per un po'; gli sembra di essere ritornato ragazzino, quando la madre non voleva farlo rimanere fuori casa più tardi di mezzanotte e mezza, e lui non vedeva l'ora di diventare più grande, per poter restare in giro fino a notte fonda. Ora che grande lo è da un pezzo e che le sere in cui va a letto prima delle quattro si possono contare sul palmo di una mano, ha lo stesso bisogno primordiale di riprendere in mano le ore, i minuti e i secondi della sua vita, come se non fosse cambiato nulla, come se al posto di crescere fosse tornato indietro.

 

Cammina per le strade della sua città con ancora il sapore della crostata di sua madre sulle labbra, che anche se lei ha finto di averla cucinata qualche giorno prima, lui lo ha visto il forno ancora caldo e lo sa che l'ha fatta solo per lui, che quella con la marmellata di ciliegie è sempre stata la sua preferita; Fizzy poi gli ha raccontato in un orecchio le paura della madre di non riuscire a finirla in tempo per il suo arrivo “neanche fossi il Re di Inghilterra”, aveva aggiunto con un pizzico di sarcasmo. Fizzy è cresciuta, è decisamente più alta di lui – ma dai? - , dice parolacce e indossa gonne a suo parere fin troppo corte; se ne è andato di casa che lei era ancora una bambina e, ogni volta, rivederla dopo tanti mesi è un vero e proprio shock. Non è un fratello particolarmente geloso – o almeno crede – ma cristo santo, da quando le ragazzine di quindici anni mettono il rossetto e escono alla sera con i propri fidanzati?
Non appena la ha vista, quella mattina arrivato a casa, ha pensato seriamente di chiedere a Lou di prendersi anche lei come assistente al make-up, in modo da poterla controllare come sta cercando di fare con Lottie, anche se con scarsi risultati.


Sa che la notizia del suo ritorno a casa probabilmente è già stampata sulle prime pagine dei principali giornali di gossip del mondo, quelli su cui Harry Styles finisce praticamente ogni giorno e che sua madre si ostina a querelare se dicono qualcosa di poco carino sui suoi confronti, ma non ha alcuna intenzione di lasciarsi condizionare dalla cosa; ha il viso lasciato libero da qualsiasi sciarpa che possa coprirgli il mento e la bocca e i suoi occhi chiari possono vagare con tranquillità sulle strade della sua infanzia e adolescenza senza l'impiccio di un paio di occhiali da sole. Passa davanti al negozio di giocattoli davanti al quale, quando era piccolo, si fermava ogni volta, tirando la manica della giacca della madre nel tentativo, quasi sempre vano, di convincerla a comprargli quel soldatino o quella pistola ad acqua; poco dopo supera il suo liceo, e il ricordo delle cazzate combinate in quei cinque anni di scuola sono ancora così vivide che, se si concentra un minimo, riesce a sentire perfettamente le risate dei suoi compagni, spettatori dei suoi scherzi e delle sue battute. Passa anche di fianco alla panchina sulla quale ha dato il suo primo bacio, quando ancora era un ragazzino alle prime armi che non conosceva ancora il ruolo che la sua lingua dovesse giocare, in quello scambio di saliva e poco altro; gli viene da sorridere a pensare alla povera malcapitata che ha ricevuto il bacio peggiore della storia. Supera la panchina stringendosi nelle spalle e abbozzando un sorriso malizioso, perché uno dei pregi del suo mestiere è proprio quello di avere decine e decine di belle ragazze sempre intorno, perciò è abbastanza sicuro di essere migliorato, almeno da quel punto di vista.

 

Accoglie con un sorriso carico di nostalgia l'insegna del suo bar preferito, e con lo stesso sguardo con cui saluterebbe un amico che non vede da tanto, tantissimo tempo, spinge la porta verde, provocando l'allegro trillio che annuncia l'arrivo di un nuovo avventore e facendo il suo ingresso con altrettanta allegria; il “100” è il suo bar, per eccellenza.
E' quello in cui si rifugiava quando non andava a scuola, si sistemava in un tavolino in un angolo, ordinava un caffè e leggeva un libro, oppure si limitava a guardare i vari clienti, divertendosi ad appioppare ad ognuno soprannomi diversi; alla sera, poi, ritornava insieme agli amici, per una birra e una sigaretta. E' successo tutto lì, tutto in quel bar; la sua prima volta è stata proprio nel bagno del locale e okay, forse in quanto a romanticismo lasciava un po' a desiderare, ma il ricordo è ancora ben fisso nella mente di Louis, perciò non può che provare del sincero affetto nei confronti di quei bagni. Inoltre, cosa forse più importante, era seduto ad uno di quei tavoli, quando ha ricevuto la chiamata di X-factor, quella che gli ha cambiato la vita irrimediabilmente.
C'è così tanto di lui in quel posto che, ogni tanto, pensa che se volesse far conoscere se stesso a qualcuno, se volesse farsi conoscere in ogni dettaglio, dovrebbe solo portarlo lì, e non servirebbe aggiungere altro.
Si siede su uno sgabello di fronte al bancone arrivandoci con un piccolo saltello, i movimenti compiuti automaticamente dal suo corpo come se avesse smesso di andare in quel posto solo da pochi giorni; in realtà sono passati dieci mesi dall'ultima volta in cui è riuscito ad andare a Doncaster, e il “100” lo ha visto solo da fuori, senza avere nemmeno il tempo di entrarci.
Carl, il proprietario, capta il suo sguardo da lontano, mentre prende l'ordine di un cliente, e il viso gli si illumina, non appena riconosce quello sguardo azzurrino e vivo che non vede da troppo tempo; continua a fissarlo con affetto, non smettendo di parlare con il signore seduto ad un tavolo poco più in là. Poi, una volta finito con l'ordine, si dirige a passo veloce verso il bancone, le braccia aperte in modo goffo e il sorriso che si allarga sempre di più sul viso, man mano che si avvicina a lui.
« Louis Tomlinson è tornato alle origini, gente!» Esclama, il viso arrossato per la felicità e le mani che già trafficano con la macchinetta del caffè; è sempre stato così, Louis non ha mai avuto bisogno di ordinare, per ricevere il suo caffè con doppio latte e una spolverata di cioccolato sopra.
«Lo sai che appena posso un caffè da te lo prendo sempre.» Commenta, lasciandosi scrutare da quello sguardo affettuoso che lo ha visto crescere; sa benissimo, perché glielo hanno detto i suoi amici, che Carl si vanta di essere il proprietario del bar preferito da Louis Tomlinson con chiunque non abbia mai sentito quella storia, e non può che provare un'immensa riconoscenza e gratitudine per quell'uomo che gli ha offerto innumerevoli birre, nonché un rifugio sicuro dalle lunghe mattinate di scuola.
«Quando sei tornato?» Le mani appoggiate al bancone, aspetta che il caffè sia pronto, il viso sempre atteggiato in un sorriso vivo e la parlantina veloce, tipica dello Yorkshire del Sud.
«Sono arrivato due ore fa da Londra, ma ieri notte da Los Angeles.» Risponde, trovando naturale riappropriarsi del suo accento marcatissimo, negli ultimi anni levigato dalla frequentazione di persone provenienti da più parti del mondo. «Sarei arrivato prima ma la macchina non partiva ed ho dovuto aspettarne un'altra.» Aggiunge, ricordando le due ore e mezza trascorse a “gelarsi il culo”, come sottolineato da Niall, in attesa della nuova macchina; il jet lag e il freddo dell'Inghilterra non hanno certo aiutato a migliorare il suo umore.
Quasi non ha finito di pronunciare l'ultima parola che le sue orecchie colgono una risatina divertita e soffocata a stento e lui si gira incuriosito verso la direzione dalla quale proviene; seduta su qualche sgabello più in là rispetto al suo, una ragazza dai capelli lunghissimi e castano chiaro, ha lo sguardo concentrato su un libro, mentre sottolinea con la matita qualche frase qua e là. Deve essere lì da parecchio tempo, perché di fronte a lei ci sono tre tazzine di caffè sporche e la carta vuota di quello che probabilmente doveva contenere un muffin, specialità indiscussa del “100”. Le labbra sono arricciate ancora con divertimento, ma sembra piuttosto concentrata nella lettura del suo libro e dei suoi appunti e Louis non ha alcuna prova a dimostrare che sia stata lei, effettivamente, a ridere della sua affermazione, perciò le dà nuovamente le spalle, girandosi verso Carl.
«Da Los Angeles? Sarai stanco!» Commenta l'uomo, posandogli davanti il caffè fumante e iniziando a pulire dei bicchieri; non riesce a smettere di guardare con immenso affetto quel ragazzo che, solo fino a qualche anno prima, passava le mattinate, i pomeriggi e le sere nel suo locale, come se fosse il posto più interessante dell'universo ed ora, improvvisamente, gira il mondo come se niente fosse. E' cresciuto, Louis Tomlinson, anche se gli occhi azzurri hanno mantenuto la stessa vivacità e lo stesso candore infantile, nonostante tutto ciò che devono aver visto, tutto ciò che devono aver imparato.
«Molto.» Commenta lui, lasciandosi andare ad un sospiro e stropicciandosi piano gli occhi.
Sta per aggiungere qualcosa, dettagli sul tempo di Los Angeles o domande sulle novità di Doncaster quando, di nuovo, una risatina sarcastica attira la sua attenzione.
Questa volta, però, non ha alcun dubbio; è la ragazza seduta sullo sgabello e con la testa china sui libri, l'autrice di quella risata. Alza un sopracciglio con curiosità, mentre la squadra brevemente da capo a piedi; adesso le labbra sono chiaramente ancora atteggiate in un sorriso divertito, e i capelli si muovono da una parte all'altra mentre lei scuote la testa.

«Ti faccio ridere, scusa?» Le chiede, il viso corrucciato in una smorfia curiosa e solo vagamente infastidita.

«In effetti sì.» Risponde tranquillamente la ragazza, senza nemmeno preoccuparsi di alzare gli occhi dal foglio per posarli su di lui; continua imperterrita a scrivere qualcosa sul bordo del suo libro, come se ridere di altre persone nei bar fosse una sua attività quotidiana, niente di strano.
Louis la osserva meglio, gli occhi socchiusi e l'espressione concentrata, cercando di capire se si sono mai visti prima; è quasi sicuro di non conoscerla – si ricorderebbe sicuramente di un paio di labbra del genere! - e dall'indifferenza che lei ostenta nei suoi confronti potrebbe metterci una mano sul fuoco, che non è sicuramente una sua fan.
«Posso sapere perché?» Afferra il caffè ancora bollente, mentre si sposta di qualche sgabello, in modo da sedersi proprio accanto a lei; la ragazza continua a tenere gli occhi puntati sul libro, ma un piccolo sorriso che spunta appena all'angolo della bocca la tradisce ed indica che si è perfettamente resa conto del suo spostamento, se non altro per il profumo insistente del ragazzo che arriva fino al suo naso, facendolo arricciare.
«Non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione, sai, hai una voce piuttosto squillante.» Spiega, tirando fuori un evidenziatore giallo dall'astuccio e sottolineando con cura una frase alla fine della pagina. «Ho solo pensato che, sai, deve essere davvero faticosa la tua vita.» Commenta, il sarcasmo che traspare da ogni cellula che la compone; è sarcastico il sorriso che ora si apre completamente sul suo viso, è sarcastica l'occhiata che gli lancia in tralice, sempre attenta a non concedergli troppa attenzione, ed è incredibilmente sarcastica la sua voce, che sottolinea quel “davvero” così platealmente che, se non fosse incredibilmente permaloso, scoppierebbe a ridere anche lui.
«Ci conosciamo, scusa?» Sorseggia piano il suo caffè, osservando la ragazza sottolineare un'ultima parola, per poi chiudere il libro; afferra tutti i suoi averi che sono sparsi sul bancone, come se fosse casa sua, - libro, quaderno, astuccio e il cellulare - e li infila alla rinfusa nella borsa marrone di pelle, dalla quale pochi secondi dopo tira fuori un pacchettino di tabacco, un filtro ed una cartina.
«Io vivo a Doncaster e tu sei Louis Tomlinson, certo che ti conosco.» Lo guarda in faccia per la prima volta, gli occhi che lo osservano divertiti e il tono di voce canzonatorio come a dire “sul serio, sei così idiota da farmi una domanda del genere?” mentre si gira una sigaretta distrattamente. «Ma non ci siamo mai incontrati né parlati, se è questo quello che vuoi sapere. Nessuna figura di merda, tranquillo.»
Ha un modo di parlare e di guardarlo come se lo stesse prendendo perennemente per il culo, con quegli occhi da gatta, a metà tra il verde e il castano, e il sorriso storto che alza solo un angolo della sua bocca che lo indispettisce e lo incuriosisce allo stesso tempo. Deve avere più o meno la sua età, forse qualche anno in meno, e Louis trova davvero difficile l'idea di non averla mai notata, negli anni in cui viveva permanentemente a Doncaster; è davvero molto, molto carina, con i capelli castani che non sembrano seguire una logica, nel caderle sulle spalle, davanti al viso o a sfiorarle le braccia, il corpo avvolto in un maglione largo e lungo che le arriva sopra le ginocchia e le gambe fasciate in un paio di collant leggere. Se Harry o Liam fossero lì con lui, probabilmente avrebbero già tentato di rimorchiarla con i loro metodi migliori, e anche Niall probabilmente si lancerebbe in qualche apprezzamento, Louis già può sentire distintamente il suo accento irlandese descrivere ammirato le labbra della ragazza, carnose e piene.

«Vivi a Doncaster, quindi?» Chiede, continuando ad osservare con interesse la ragazza chiudere con cura la sigaretta e frugare nuovamente nella borsa – ma quanta roba può contenere una borsa del genere? - alla ricerca, suppone, dell'accendino.
«Già, è quello che ho detto.» Di nuovo il tono canzonatorio riempe la sua voce, come se trovasse incredibilmente stupida ed elementare la loro conversazione; Louis non riesce a capire come si sente al riguardo, come lo faccia sentire essere nuovamente preso per il culo così, come se fosse solo un ragazzo di provincia, dopo che per cinque anni è stato adulato ed idolatrato da chiunque incontrasse, qualsiasi cosa dicesse o facesse. E' una strana sensazione, lo fa sentire normale.
«Mi stavo solo chiedendo come fosse possibile che io non ti avessi notata prima. Sei davvero molto bella.» Non ha alcuna intenzione di farsi prendere per il culo con così poco pudore e rispetto per sé stesso, così decide di passare all'attacco, che chissà che dietro ad un carattere così apparentemente scontroso non si nasconda una possibile compagna di letto, almeno per quella sera.
La ragazza, però, per nulla toccata dal suo complimento, si limita ad alzare gli occhi al cielo, senza preoccuparsi minimamente di non farsi vedere, ovviamente, e salta giù dallo sgabello, la borsa su una spalla e la sigaretta già in bocca.
«Cosa fai, scappi?» Louis Tomlinson non è di certo uno che si fa intimorire, questo lo sanno tutti, perciò il sorriso malizioso non abbandona le sue labbra sottili, nonostante l'evidente poco interesse della ragazza nei suoi confronti.
«Io non scappo.» Afferma con decisione lei, e davvero, i suoi occhi sono così fermi e decisi che, forse, Louis si sente lievemente in soggezione. «Domani ho un esame all'università e devo studiare, non ho tempo da perdere con popstar montate che si lamentano di quanto tremendamente faticoso sia il loro lavoro.»
Gli concede un'ultima occhiata poi, sventolando la mano ed esclamando un “ciao Carl!” sorride dolcemente al proprietario del locale e, portandosi dietro la sua borsa enorme e i suoi capelli lunghissimi, esce dal locale così, come se niente fosse.

«Si chiama Amelie.» La voce di Carl lo distoglie dal fissare l'esatto punto in cui la ragazza è scomparsa e lo costringe a sbattere gli occhi un paio di volte, per riprendersi dalla novità di essere trattato normalmente, come una persona qualunque. «E' splendida, vero?»
Louis si stringe nelle spalle.
Spera di non lasciarsi mai sfuggire con i suoi compagni di band il fatto di essere stato così irrimediabilmente e cortesemente rifiutato.

 

Qualche ora dopo, Louis è stravaccato sul divano nero del salotto del suo appartamento, comprato qualche mese prima; ha in un mano una sigaretta e nell'altra una bottiglia di Heineken, il televisore acceso su una vecchia partita dei Doncaster Rovers e i suoi due migliori amici, Calvin e Oli, seduti altrettanto comodamente su dei puff rossi.
Ha comprato quell'attico in un palazzo sulla collina più alta di Doncaster otto mesi prima, ma è la prima volta che lo vede completamente arredato; ha affidato il compito a sua madre e alle sue sorelle, e deve proprio ammettere che, dopo tutto, hanno fatto davvero un bel lavoro. Sua mamma è stata così inaspettatamente gentile da farle trovare il frigo pieno di cibo e bottiglie di birra, dettaglio apprezzato particolarmente anche dai suoi migliori amici, da sempre appassionati fans di Johanna Tomlinson.
Oli e Calvin si sono presentati a casa sua con sei cartoni di pizze in mano, dei sorrisi giganteschi stampati sui visi ormai cresciuti e una marea di cose da raccontare; tutto ciò che è successo a Doncaster durante la sua assenza acquista una patina di divertimento, se raccontata dalla voce dei suoi migliori amici, suoi compagni di avventure in ogni occasione.
Calvin finisce di raccontare i dettagli del suo ultimo appuntamento con “la ragazza più stupida del pianeta”, che, ne è fermamente convinto, non sapeva nemmeno leggere i nomi delle pietanze scritte sul menù ed ha ordinato l'unica piatto che non vi era presente e Louis scoppia in una risata autentica, immaginandosi l'amico alle prese con quella “dannatissima ragazza.”
«E come è stato tornare tra noi comuni mortali?» Oli ha sorriso divertito che gli illumina il viso, mentre afferra una nuova birra appoggiata sul tavolino e ne prende un lungo sorso.
«Bello, direi.» Risponde Louis, troppo abituato alle prese per il culo dei suoi amici per prendersela davvero; mentre ancora ridacchia della domanda posta da Oli, il viso della ragazza del bar gli fa capolino nella mente, ricordandogli che, quel giorno, non sono stati solo i suoi migliori amici a prendersi gioco di lui. «Oggi una ragazza mi ha rifiutato, dopo avermi palesemente preso per il culo.» Confessa, gli occhi già pronti a fulminare le possibili reazioni dei suoi amici.
Calvin, infatti, si lascia andare ad una risata incredibilmente divertita e, portandosi una mano al cuore e fingendo un'espressione di dolore, «Auch! Deve aver fatto male. Ma ti ha almeno riconosciuto?>> dice, provando come al solito un irresistibile piacere a prendersi gioco del suo migliore amico; in fondo, è fermamente convinto che se nessuno non lo prende sul serio almeno una volta al giorno, rischia davvero di iniziare a credersi onnipotente, con tutti i soldi che ha in banca e le fans sparse per il mondo, pronte a dare la vita per un suo solo sguardo.
«Sì. Infatti mi ha definito “una popstar montata”, o qualcosa del genere.» Calvin ed Oli si lanciano in grida da stadio a sostegno della ragazza che, senza nemmeno saperlo, ha regalato loro momenti di pura gioia e godimento; non è sempre così facile avere Louis Tomlinson dei One Direction come migliore amico, con tutti i problemi di autostima che derivano dal girare per strada con lui e gli insulti che sembrano essere destinati indistintamente a chiunque passi del tempo insieme a lui. La gente, come hanno imparato negli ultimi cinque anni, può essere incredibilmente crudele così, senza alcun motivo apparente.
E' per questo che, quando qualcuno di sconosciuto – perfino una ragazza, poi!- riporta con i piedi per terra il loro amico, non possono fare a meno di provare un immenso divertimento, nell'immaginarsi la faccia di Louis rifiutato per la prima volta dopo chissà quanto tempo da una ragazza.

 

Louis guarda i suoi amici sghignazzare senza ritegno, Oli si tiene la pancia con una mano e Calvin batte i palmi delle mani sulla gamba, mentre continuano a balbettare un “popstar montata” tra una risata e l'altra; sapeva che, confessando loro ciò che è successo solo qualche ora prima, avrebbe ottenuto una reazione del genere e, in condizioni normali, probabilmente avrebbe evitato di ammetterlo, si sarebbe impermalosito e li avrebbe cacciati in malo modo fuori di casa.
Eppure, adesso che è successo, non riesce proprio a trovare un motivo, uno solo, per irritarsi con loro; dopo tantissimo tempo è a Doncaster, nella sua nuova casa finalmente arredata – ha addirittura un letto, cazzo! -, i suoi migliori amici stanno bevendo una birra insieme a lui, la televisione passa una vecchia partita dei Doncaster Rovers e quella notte dormirà tra delle lenzuola che non avranno l'odore tipico degli hotel, ma sapranno dell'ammorbidente profumato che sua mamma usa da quando era bambino.
Perciò mentre Calvin e Oli continuano a pigliarlo per il culo senza pudore, e lui si lascia andare ad un sorriso, ha solo un pensiero, in testa.
E' bello essere a casa.

 
 

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Capitolo 2
*** II ***


Ciao dolcezze!!!!!
Allora, innanzitutto, voglio davvero davvero ringraziarvi per le recensioni che mi avete lasciato. Sarò ripetitiva, sììì lo so, ma ci tengo parecchio a questa storia, perciò avere dei riscontri e potermeli andare a rileggere ogni volta che avevo dei dubbi mi è servito parecchio, perciò grazie grazie grazie.
Per chi mi conosce sa che Chiara=feste, perciò non potevo non inserirne una nella mia storia, ed eccola quiii! Spero davvero che vi piaccia il mio Louis - io me lo immagino così, soprattutto per il discorso Zayn - e che la mia Amelie possa essere apprezzata, io la adoro davvero :3
Penso di aver detto più o meno tutto, vi lascio alla storia!
Un bacione,
Chiara 

(Leggetela, se vi va, con Powerful dei Major Lazer ed Ellie Goulding, io l'ho scritta con quella canzone di sottofondo!)


 


 

A Chiara, perché sì.

 

Ora che ci pensa, una festa in casa sua, lui, non l'ha mai data.
Quando viveva ancora con sua madre, era sempre stata piuttosto categorica sulla possibilità di dare delle feste nella loro ordinatissima villetta a due piani; semplicemente, era fuori discussione. Johanna non aveva grande considerazione di suo figlio adolescente, in quanto a rispetto delle regole e dei limiti imposti dalla società, per lo meno; a ripensarci adesso, Louis non può che dare ragione a sua madre, timorosa di ritrovarsi la casa allagata dalla vodka o pacchettini di erba incastrati tra le pieghe del divano. Non è mai stato un ragazzo particolarmente responsabile.
Certo, lui e i ragazzi hanno partecipato a moltissimi festini lanciati in loro onore, così tanti e così pieni di alcool che della maggior parte Louis non ricorda nemmeno di avervi partecipato; ma non ne ha mai dato uno suo, uno organizzato completamente da lui.
A ben vedere, in realtà, neanche quello che sta affollando le stanze della sua casa nuova è stato organizzato direttamente da lui; si è limitato a lasciar intendere a Calvin e ad Oli che gli sarebbe piaciuto inaugurare casa sua con una festa, e loro si sono subito mobilitati per dar vita al “miglior party di sempre, cazzo!”. Louis è piuttosto sicuro di non aver mai visto tanto alcool come quello che, fino a qualche ora prima, era raccolto ordinatamente nella sua cucina e nel suo salotto, gentilmente offerto dai suoi migliori amici, insieme alle montagne di cibo che sembrano straripare da ogni luogo. Non hanno voluto un solo soldo che lui ha loro offerto per risarcirgli dell'immensa spesa che deve essergli costata comprare tutta quella roba, rifiutando con decisione i suoi soldi affermando che “avere Louis Tomlinson come migliore amico è già un risarcimento dignitoso per la vita.”; lui lo sa, l'ha sempre saputo che il bene che lega loro tre va oltre ogni cosa, oltre la sua carriera di musicista, quella di cassiere di Oli e quella di avvocato in erba di Calvin, ma avrebbe voluto riprendere la reazione dei suoi amici per mostrarla a tutti quelli che pensano che stiano insieme a lui solo per i soldi e per la popolarità.
La gente continua ad entrare dalla porta di casa in un flusso continuo e tutti lo cercano con lo sguardo e gli si avvicinano con dei sorrisi plastici stampati sul viso lasciandogli una pacca sulla spalla – se maschi – o un bacio decisamente troppo affettuoso se si tratta di ragazze. Louis beve in allegria e si gode la folla di gente che riempe il salotto, osservando con divertimento quanto l'intensità dei baci che le ragazze gli lasciano è inversamente proporzionale alla quantità di vestiti che hanno addosso: meno sono vestite, più intensi e più vicini alla sua bocca saranno i loro baci “amichevoli”. Ci è così tanto abituato che quasi ha difficoltà a ricordarsi come era prima, quando per conquistare una ragazza non bastava guardarla e indicarle la porta di un qualsiasi bagno/stanzino o ancor meglio camera da letto, ma si doveva impegnare davvero, perché la sua statura e il suo fisico decisamente non statuario contavano ben più della sua voce e dei suoi occhi azzurri.

 

«Lou, ci sono delle ragazzine nella tua cucina che sembrano piuttosto intenzionate a scolarsi tutte le bottiglie di vodka ed infilarsi nel tuo letto, dopo.» Calvin si avvicina a lui come una furia, in mano una bottiglia di birra e la solita espressione esasperata che ha indosso quando qualcuno fa qualcosa da lui non approvata; si dà il caso che Calvin sia una delle persone più critiche che Louis conosca perciò quell'espressione – con le sopracciglia rivolte verso l'alto e le guance leggermente gonfie - compare decisamente spesso sul suo viso. «Gli ho detto gentilmente di andarsene, sono quasi sicuro che non abbiano nemmeno diciotto anni, ma non mi cagano di striscio. Potresti andare a parlarci tu?»
Louis annuisce velocemente, preoccupato dai titoli che potrebbero uscire sui giornali se uscisse fuori la storia che delle minorenni hanno partecipato alla sua festa tutt'altro che esemplare; Calvin gli risponde con un sorriso enorme, regalandogli l'ultimo sorso della birra che ha in mano e urlandogli, alla sua faccia incuriosita (Calvin non cede mai la sua birra) «ne avrai bisogno, quelle sono pazze!» a mo' di spiegazione.
Lui scuote la testa con un sorriso rassegnato, perché, anche se ne farebbe volentieri a meno, il suo lavoro comporta anche essere perennemente assediato da centinaia di ragazzine urlanti, la maggior parte delle quali del tutto disinteressate a dettagli come la privacy, il rispetto delle volontà altrui e la dignità. Si fa strada tra i corpi sudati e già chiaramente sotto effetto di alcolici dei partecipanti alla festa e raggiunge, faticosamente, la cucina; nota subito, sul tavolo, una serie di bottiglie di vodka aperte e già tristemente finite, ma, almeno a prima vista, non c'è nessuna traccia delle ragazzine di cui parlava Calvin.
L'unica persona presente nella stanza arredata perfettamente da sua madre e dalle sue sorelle, è una ragazza con addosso un vestito nero, la schiena scoperta e una miriade di nei che le decorano la pelle chiara, contrastando vivacemente su di essa; è accucciata davanti al frigo, l'anta aperta e la testa quasi completamente dentro ad esso, alla ricerca di chissà cosa. Louis osserva con attenzione i capelli castano chiari che, lunghissimi, scendono come una cascata da ogni parte, le punte quasi bionde che le sfiorano la schiena e le onde naturali che sono quasi ipnotiche; è ancora intento a cercare di ricordarsi dove abbia già visto quei capelli e quelle gambe quando la ragazza, con uno sbuffo ed un'imprecazione, si solleva piano dalla sua posizione e si volta verso di lui.
Louis la riconosce subito perché quelle labbra sono inconfondibili, e, con quel rossetto scuro che le risalta, sono se possibile, ancora più belle; nel rivederla, con quel vestito semplice ma decisamente d'effetto come gli suggerisce il suo pomo d'adamo che guizza in alto nel constatare quanto sia attillato, con il rossetto e tutto il resto, Louis ne è sicuro. I suoi compagni di band farebbero carte false per uscire con lei.

«Non pensavo che venissi alle feste delle popstar montate.» Commenta con un sorriso sarcastico, appoggiandosi con un fianco al tavolo di marmo bianco e osservandola giocherellare con una ciocca di capelli – ma quanto sono lunghi???- .
«La mia migliore amica mi ha tipo costretto.» Sbuffa lei, sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio, gli occhi da gatta allungati ancora più del solito grazie a chissà quale trucco a lui sconosciuto; sente già nella sua testa la voce di sua sorella Lottie commentare ogni minimo dettaglio dell'outfit e del trucco della ragazza, come fa con ogni essere umano che incontra. «Infatti ero venuta a cercare una bottiglia di birra per migliorare la serata ma, a quanto pare, sono già tutte finite. - Mette su un broncio che Louis non riesce a fare a meno di trovarlo incredibilmente divertente, nonostante lei abbia appena detto chiaro e tondo che, della sua festa, non potrebbe importargliene di meno. - Devono essere state loro.» Dichiara, indicando con un dito cinque ragazzine, palesemente sotto i diciotto anni, con dei vestitini striminziti, la scritta “Louis ti amo” sulle braccia e un paio di bottiglie rovesciate ai loro piedi. Stanno litigando maldestramente con Oli, intontite dall'alcool ingerito e a cui, con tutta probabilità, non sono affatto abituate, e Louis le guarda con preoccupazione; ad un'occhiata esasperata del suo amico, corre in suo aiuto, borbottando un «aspettami qua» all'indirizzo della ragazza che, con un sorriso sghembo ed enormemente divertito, lo osserva da lontano.
Louis ci mette ben poco a convincere le ragazze a lasciare la festa, complici i suoi occhi azzurri accesi che fan perdere la testa e la sua voce gentile che propone di fare delle foto, in cambio del loro allontanamento da casa sua. Chiude la porta di casa con un sospiro di sollievo, che l'ultima cosa di cui ha bisogno in quei mesi di pausa è essere accusato di pedofilia o chissà che altro dai genitori decisamente poco attenti di un gruppo di quindicenni poco vestite; prima di ritornare da quella strana ragazza, riesce a recuperare da un tavolino leggermente nascosto un paio di birre ed un pacchetto di patatine ancora piene.
Quando però raggiunge finalmente la cucina, Amelie – o come diavolo si chiama – non è più appoggiata al muro, e non c'è alcuna traccia dei suoi occhi ipnotici; si lascia andare ad un altro sospiro, questa volta sconfitto, perché ancora non ci ha nemmeno provato e quella ragazza gli ha dato di nuovo un due di picche. Decisamente sta perdendo colpi.
Quando sta già per ritornare nella bolgia che affolla il salotto, però, vede una scia di fumo che illumina il buio del balconcino e, con un mezzo sorriso, riconosce una ciocca di capelli della ragazza; il resto, di lei, è coperto dal muro, come se volesse metterlo alla prova, vedere se sia in grado di cercarla, di trovarla.
«Sono riuscito a trovare due birre ancora piene. - Le comunica, sistemandosi accanto a lei sul terrazzo e porgendogli una Heineken ancora ghiacciata; lei accoglie il suo arrivo senza battere ciglio, come se si aspettasse che l'avrebbe cercata, che l'avrebbe trovata. - Potresti rivalutare la mia festa, ora?»
La ragazza beve un lungo, lunghissimo sorso di birra e poi schiocca le labbra con soddisfazione prima di rispondergli «La tua festa ha raggiunto il suo picco più basso quando quelle ragazzette hanno avuto un orgasmo solo parlando con te.- Dichiara il sopracciglio alzato con evidente disprezzo e le unghie che tamburellano sulla bottiglia di vetro. - Perciò sì, immagino che da ora in poi possa solo migliorare.»
Louis la squadra divertito, perché davvero?, esistono ragazze così incredibilmente acide, a parte sua sorella Lottie, al mondo?
«Sei sempre così acida o è una cosa che tiri fuori solo con me?» Le chiede alla fine, guardandola tenere con una mano la birra ormai vuota solo a metà e con l'altra la sigaretta, alternando sorsate da una e boccate dall'altra con una coordinazione che presuppone decine e decine di altre serate trascorse in quel modo.
«Bè, non ho mai parlato con altri membri di band di dubbio gusto, fino ad ora quindi sì.. direi che sei l'unico ad avere questo onore.» Il sorriso a tutta bocca che gli rivolge è, come al solito,incredibilmente sarcastico, e continua ad allargarsi, nel vedere l'espressione indispettita che, alla fine di tutto, compare sul viso di Louis; il ragazzo sta per controbattere qualcosa in difesa della sua band – di dubbio gusto?? ma che razza di musica ascolta lei? - ma i suoi due migliori amici fanno la loro comparsa con una bottiglia di rhum e una di vodka liscia.

 

«Oli, finalmente! Sai dove cazzo è finita la tua ragazza? Mi aveva promesso che ci saremmo ubriacate insieme e invece è sparita chissà dove. Credevo che almeno fosse con te in qualche camera, almeno avrebbe avuto una bella scusa per avermi piantata.» Louis si accorge subito che il modo in cui Amelie parla con le altre persone, chiunque, è molto diverso da quello in cui parla con lui; non è dolce, per carità, ma manca quella punta critica e lievemente acida che ha quando si rivolge a lui.
«Vi conoscete?» Vorrebbe trattenersi e mantenersi indifferente, quella patina di superiorità che alcune superstar riescono ad ostentare quando si trovano in mezzo alla gente “comune” e che lui e i suoi compagni non sono mai riusciti a raggiungere, ma la sua curiosità è infantile quasi quanto la sua passione per le crostate fatte in casa, e non riesce proprio a resistergli.
«Amelie è la migliore amica di Lea – spiega velocemente Oli, per poi rivolgersi nuovamente verso la ragazza. - che, per inciso, si è fermata in salotto a litigare con una ragazza che aveva il suo stesso vestito o qualcosa del genere.» La bocca di Oli si apre in un sorriso divertito subito condiviso da Amelie perché, sul serio, Lea è probabilmente la creatura meno sensata del pianeta, con le sue strane fissazioni; se rimangono in silenzio e si concentrano, possono sentire le sue urla indemoniate che “porca puttana, non si può nemmeno comprare un vestito che ci sono ochette dai capelli ossigenati che ti copiano!” la rendono riconoscibile al di sopra del rumore della festa.
«Potrei offrirti della vodka o del rhum, giovane ubriacona.» Calvin si avvicina alla ragazza con dei passi leggermente traballanti, le due bottiglie nella stessa mano che tintinnano l'una contro l'altra ad ogni suo movimento. «Ma a patto che tu mi prometta di non uscire mai più con Thomas Connel. Al contrario, potresti uscire con me.»
Amelie sbuffa, arricciando le labbra e dando uno spintone a Calvin, facendo intuire a Louis che, quella scenetta, deve essersi ripetuta una gran quantità di altre volte; quante cose si deve essere perso, girando per il mondo per i cinque anni precedenti..
«Oh, smettila Calvin, non capisco davvero perché odiate così tanto Thomas.» Borbotta Amelie, riuscendo a rubare la bottiglia di vodka a Calvin e prendendone un lungo sorso; Louis è quasi sicuro di non essere l'unico dei tre maschi presenti a star osservando la gocciolina che, caduta dalla sua bocca, è atterrata sul petto, infilandosi sotto il vestito. «Con me è sempre stato carino.» Conclude poi, restituendo la bottiglia a Calvin e gettando un'occhiataccia a Louis, ancora con lo sguardo incastrato da qualche parte molto vicino al suo seno.
«Piccola, piccola Amelie, non costringermi a spiegarti il motivo per cui uno come Thomas Connel sia gentile con una come te.» Il ghigno di Oli rimane imperturbabile, pure quando la ragazza si ribella alle sue insinuazioni dandogli un piccolo pugnetto sul braccio e ricoprendolo con parole tutt'altro che gentili e carine.

 

 

«Louis Tomlinson, sei davvero tu?» Lea Stolen è la persona che Louis conosce da più tempo in assoluto; sua madre e quella di Lea erano compagne di stanza prima del parto e la ragazza è nata solo qualche ora prima di lui, come lei ci tiene a sottolineare ogni volta che viene fuori l'argomento.

E' stato lui a presentarla a Oli, sei anni prima, e sempre lui è il principale confidente di entrambi, ogni volta che litigano – molto spesso, a dir la verità – e hanno bisogno di sfogarsi con qualcuno; sono amici da così tanto tempo che ormai Louis, nonostante l'aspetto di Lea sia tutto tranne che anonimo, non riesce a considerarla come una ragazza vera e propria, ma piuttosto come se fosse sua sorella. Eppure, quella sera, dopo mesi e mesi di lontananza, perfino Louis rimane colpito di fronte alla bellezza fulminante della sua amica; i capelli rossicci sono raccolti in uno chignon disordinato e addosso ha un vestito verde che risalta la sua carnagione chiara e la miriade di lentiggini sparse per tutto il suo corpo; Lea, la sua Lea, è cresciuta, è una donna ormai, e lui si sente come chi guarda una partita di calcio e si perde il goal decisivo.
«Posso darti un bacio o c'è qualche bodyguard nascosto tra i cespugli pronto ad azzannarmi se lo faccio?» Lea gli si avvicina con un sorriso scherzoso e gli occhi pieni di affetto, e lui non riesce davvero a capire come abbia fatto a non collegare la sua ironia con quella pungente di Amelie; effettivamente, non riuscirebbe ad immaginare un'amica migliore per Lea di quanto potrebbe essere quella ragazza tutta labbra e frecciatine.
«Vaffanculo, stronzetta!» Louis apre le braccia per accoglierla contro il suo petto e coccolarsela un po', che quello scricciolo di ragazza fa la donna senza cuore di fronte a tutti ma davanti a lui non può proprio nascondersi; l'ha vista in così tante situazioni diverse – perfino quando le sono venute per la prima volta le mestruazioni! - che insieme a lui la corazza che si porta addosso sempre deve proprio toglierla. La abbraccia forte, perché un'amica come Lea è così preziosa che ogni tanto, quando è lontano, ha paura di perderla.
«Mi sei mancato così tanto, Lou-Lou.» Biascica lei, il visino spiaccicato contro il suo petto e la guancia che ha assunto una forma strana; lo guarda dal basso, con i suoi occhioni verdi che sono gli stessi, identici, di quando da piccola la doveva consolare per un ginocchio sbucciato. «Ero preoccupata per te, sai quando Zayn se ne è andato..» Mormora, in un soffio appena percettibile.
Succede tutto in un attimo.

Il sorriso sereno che fino a quel momento distendeva le labbra di Louis cade in pochi secondi, e i suoi occhi azzurri cominciano a fissare il pavimento con nervosismo; persino la stretta attorno al corpo di Lea si fa leggermente meno forte, meno affettuosa, perché davvero, non era preparato, e okay che è insieme ai suoi amici, ma l'argomento “Zayn” non è esattamente il suo preferito. Improvvisamente, si sente all'interno di una di quelle interviste in cui li mettono all'angolo, tutti e quattro, costringendoli a rispondere a domande a cui non vogliono nemmeno pensare, costringendoli a tirare fuori un nome che non fanno nemmeno tra di loro, quando sono soli. Sente gli occhi da gatta di Amelie su di sé, ma non ha alcuna voglia di alzare i suoi per incrociare il suo sguardo attento.
Lea si mordicchia il labbro con preoccupazione, si sente così una stupida che non ha il coraggio di alzare gli occhi, in testa un milione di imprecazioni e insulti rivolti a sé stessa e alla sua boccaccia sempre troppo grande; il fatto è che lei davvero era molto preoccupata per il suo migliore amico, quando aveva visto la notizia dell'abbandono di Zayn, sapeva benissimo quanto quei due fossero legati, anche se non è mai stata certa di quanto quel legame fosse effettivamente positivo per Louis. Ora vorrebbe solo prendersi a sprangate in testa, perché su tutti loro è caduto un silenzio glaciale, Calvin e Oli hanno il viso preoccupato e sembrano terrorizzati da quale reazione potrebbe avere il loro amico e le risate che provengono dall'interno dell'appartamento, dove la festa sta andando avanti come se lei non avesse detto niente, sembrano solo fastidiose e fuori luogo.
«Bè, io ho una specie di cotta per Harry, o come diavolo si chiama.» Amelie rompe il silenzio con una naturalezza ed una spontaneità tali che la sua uscita non sembra qualcosa di forzato, qualcosa detto per distogliere l'attenzione di tutti dal viso teso di Louis; il ragazzo alza la testa di scatto, sorpreso di essere stato aiutato proprio da lei, quella che lo conosce di meno tra tutti i presenti e che, le uniche volte che gli ha parlato fino a quel momento, lo ha preso per il culo senza timore. Amelie non ha cambiato lo sguardo, da qualche minuto prima, ha sempre gli stessi occhi attenti e seri fissi sul suo viso, come se non avesse fatto nulla di speciale, come se non lo avesse appena aiutato ad uscire da una situazione per lui quasi drammatica.
«Tutte hanno una cotta per Harry.» Replica lui, un piccolo sorriso che fa già capolino dalle sue labbra sottili perché, lo sanno tutti, non è uno in grado di rimanere serio per troppo tempo; i suoi amici, intorno a lui, sembrano tirare un sospiro di sollievo e Lea lancia un'occhiata carica di gratitudine in direzione di Amelie, profondamente riconoscente per essere riuscita a risollevare una situazione apparentemente troppo critica per poter essere migliorata.
Amelie, però, non sembra prestare troppa attenzione, perché i suoi occhi sono ancora fissi sul viso di Louis, un sorriso che adesso illumina anche il suo, di viso, perché per un attimo, solo un attimo, anche lei si era preoccupata; non è una certo una cosa da tutti i giorni vedere Louis Tomlinson con un'espressione da funerale sul viso. Lo guarda con aria di sfida, sollevando il mento e aspirando un tiro dalla nuova sigaretta che ha appena acceso e «Mi stai dando della conformista?» gli chiede, un cipiglio carico di disapprovazione che le fa arricciare il naso e aggrottare le sopracciglia.
Louis sorride perché quella ragazza sembra tanto un cartone animato vivente, con tutte quelle espressioni che prendono spazio sul suo viso con prepotenza, velocemente e inaspettatamente.
«Sto solo dicendo che sei una delle tante che viene catturata dal fascino di Harry senza accorgersi di quanto di bello ci sia in chi sta intorno a lui.» Replica Louis, leccandosi le labbra con la lingua, prima di accendersi una delle sigarette che ha rubato qualche ora prima da Calvin, ancora vittima del suo strano vizio di lasciare le sue cose incustodite in giro per casa.
«Tipo te?» Amelie solleva il sopracciglio sinistro, osservandolo con uno sguardo divertito e sarcastico che fa scoppiare a ridere tutti, compreso il permalosissimo Louis, incapace di prendersela con qualcuno in grado di sfornare una tale quantità di espressioni buffe nel giro di pochi secondi. «Mi spiace ma mi piacciono i tipi più, alti, sai.»
«Ahia, questa è crudele, Lie.» Lea lancia una finta occhiata di rimprovero alla sua migliore amica, mentre con la mano libera dalla sigaretta accarezza con fare consolatorio il petto di Louis, sapendo quanto il suo amico sia permaloso, specie se toccato sul tasto “altezza” da lui sempre ritenuta il suo più grande difetto.
«Oh, Lea, penso di avergli detto cose ben peggiori. » Commenta Amelie mentre armeggia con i capelli per legarli in una coda, sempre senza distogliere i suoi occhi dal viso di Louis e rivolgendo un piccolo sorriso destinato solo a lui.
«Confermo.» Risponde al sorriso distendendo le labbra sottili ancora leggermente bagnate di vodka, mentre prende l'ultimo tiro dalla sigaretta e, dopo averla spenta contro la ringhiera, la getta da qualche parte indistinta dietro le sue spalle; ricorda perfettamente tutti gli aggettivi e le caratteristiche che Amelie gli ha assegnato nel corso delle poche altre volte in cui si sono parlati e, il riferimento poco carino alla sua altezza non del tutto esemplare, non è di certo il peggiore di tutti.

 

«Lou, ci sono due ragazze nude nel tuo letto, ho provato a cacciarle via ma sostengono di stare aspettando te.» Lottie – quando diavolo è arrivata? - ha sul viso un'espressione di puro disgusto, mentre ricorda la sorpresa di entrare in camera del fratello e trovarvi due sconosciute completamente nude e decisamente dispiaciute di vedere lei.
Louis si lascia andare ad un sospiro stanco, stanchissimo, mentre si stacca dalla ringhiera a cui era appoggiato e risponde con un dito medio al commento di Calvin che «sono questi i momenti in cui vorrei tanto essere te, Lou»; Lottie gli rivolge un sorriso di incoraggiamento, che da quando è in tour con loro ha perso il conto delle ragazze che hanno cercato di infilarsi nelle mutande di suo fratello. Sa che lui, in quanto maschio, spesso ne viene tentato e alcune volte cede, ma sa perfettamente come la maggior parte delle volte si senta solo usato e solo.

Louis rientra in casa, preparandosi già le risposte alle migliaia di provocazioni che, lo sa già, quelle ragazze avanzeranno non appena lui entrerà in quella dannatissima camera; ritornare a Doncaster, per lui, significa anche allontanarsi da tutto il marcio che gira attorno all'essere una popstar, ragazze sconosciute comprese. Per la prima volta dopo tanti anni, sente di aver bisogno di qualcosa in più.
Saluta gli amici con un semplice gesto del capo, dedicando un sorriso più affettuoso all'indirizzo di Lea; Amelie, a fianco a lei, si è accesa una nuova sigaretta e sta già iniziando a parlottare con Oli di chissà che. Nel frattempo, continua a fissarlo con un'intensità tale che Louis si chiede cosa voglia vedere, cosa voglia scovare in lui, con una tale forza e un tale bisogno.
Si sente i suoi occhi addosso per tutto il resto della serata.

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Capitolo 3
*** III ***


Ciao bimbe!!!!!
Lo so, sono in ritardo, scusate scusate scusate ma sono andate ad Amsterdam (grande amore) la scorsa settimana e non ho avuto molto tempo per pubblicare e stare dietro a questa storia.
In ogni caso, here I am!!!!!

E' ancora un capitolo di passaggio, forse, ma si scopre un po' di più su Amelie e si capisce qualcosa in più sul suo carattere, e io mi sono divertita parecchio a scriverlo :)
Spero davvero che vi piaccia, fatemi sapere!
Intanto vi ringrazio tantissimo per le recensioni, siete meravigliose, grazie davvero.
Chiara

 

Alle mie due ragazze, 
Giulia e Chiara,
che amano Amelie e Louis (quasi) quanto amano me :D



Seduto ai tavolini esterni del “100” Louis si gode i raggi di sole caldi sulla pelle, evento più unico che raro a Doncaster come nel resto della Gran Bretagna.
Davanti ha una birra ghiacciata e un hamburger con patatine caldo appena portato da Carl, con tanto di salsa Tomlinson sistemata in una coppetta vicino al piatto; è un misto di ketchup, maionese e peperoncino che, molti anni prima, il proprietario del locale aveva inventato solo per lui, eterno indeciso tra le diverse salse da aggiungere al suo panino. Il tavolino è stato appena riverniciato di un verde brillante che si abbina alla felpa indossata dal ragazzo, e l'odore di vernice penetra nelle narici di Louis, ricordandogli quando, da piccolo, si divertiva a giocare con i colori insieme alle sue sorelle.
Beve un sorso della sua birra mentre si gode la quiete di un Martedì a Doncaster; è appena tornato a casa dopo una settimana passata a Londra, tra interviste in diverse radio e vari eventi organizzati per loro a cui lui doveva assolutamente partecipare. E' stato bello ritrovare i suoi compagni di avventura, non più tramite lo schermo del cellulare ma faccia a faccia; ha avuto così il piacere di vedere il nuovo tatuaggio sulla mano di Liam, e nel frattempo constatare che i giorni passati a Wolverhampton insieme alla sua famiglia ed ai suoi amici non hanno fatto altro che velocizzare ancora di più la sua parlantina inspiegabile, tanto che più di una volta ha dovuto chiedergli di ripetere alcune parole o addirittura intere frasi, sfuggite alle sue orecchie.
Harry, leggermente senza voce e legato alla sue pastigliette al miele per la gola come se fossero il suo bene più prezioso al mondo, si ostina a non tagliare i capelli, infischiandosene dei diminutivi a lui affibbiati dai compagni di band e limitandosi ad un dito medio alzato in risposta a qualche “Tarzan” di troppo; con la voce più bassa e lenta del solito ha minacciato di ritornare con la band di cui faceva parte prima di partecipare ad X-factor che «almeno loro non rompono il cazzo sui miei capelli!».
Niall si è presentato con un paio di occhiali tondi che lo rendono decisamente affascinante, come Louis ha avuto modo di constatare in seguito a svariate occhiate da parte delle diverse donne e ragazze che hanno incontrato nel corso di quei giorni trascorsi insieme; con il suo solito sorriso aperto ha raccontato delle varie peripezie di Theo, suo nipote, ormai in grado di camminare perfettamente, e ha manifestato il suo disappunto nel venire informato che la prima parola del bambino è stato un banalissimo “mamma” e non il suo nome.
Louis non è sicuro che, se non ci fosse stato X-factor, se non ci fossero stati i One Direction, loro quattro sarebbero stati amici come lo sono ora, inevitabilmente.
Non sa gli sarebbero stati simpatici, anzi è quasi sicuro che, nella vita normale, uno come Liam gli avrebbe fatto saltare i nervi, e probabilmente anche Harry non sarebbe rientrato nella cerchia di amici più stretti; solo Niall, con il suo sorriso contagioso e il suo accento irlandese, sarebbe sicuramente uscito vincitore dalla sua analisi selettiva di chi sarebbe potuto essergli simpatico e chi no.
Di fatto, però, X factor c'è stato, così come gli One Direction e tutto ciò che è derivato da quel fenomeno mondiale della cui portata, la maggior parte delle volte, nemmeno loro si rendono pienamente conto. I One Direction esistono da ben cinque anni ormai, e Louis non potrebbe davvero riuscire ad immaginare la sua vita senza le diecimila parole al secondo di Liam, i “mmh” carichi di significato di Harry e il buon umore quasi perenne di Niall. Sono così uniti, così ben amalgamati che sono quasi riusciti a superare la mancanza di quelle sigarette accese una dopo l'altra, dei silenzi molto più frequenti delle parole e di quegli occhi scuri molto spesso, troppo spesso, assenti. Certo quando sono sul palco è inevitabile per loro immaginare la voce di Zayn lanciarsi in quegli acuti che mai nessuno di loro riuscirà a fare, e alla sera, quando si fuma l'ultima sigaretta della giornata, Louis pensa a tutte le quelle volte in cui c'era qualcuno insieme a lui, qualcuno con cui condividere le sigarette, i malumori e i dubbi.
La maggior parte delle volte, però, riescono a non pensarci, cercano di non pensarci, soprattutto lui, che pensa di non essersi mai sentito più tradito in vita sua; Zayn era il suo amico, il suo compagno, l'unico con cui riusciva a parlare di tutto il marcio che ha dentro senza sentirsi una merda, e non può ancora credere che l'abbia abbandonato così, senza una parola di spiegazione, fatta eccezione per il comunicato diramato a tutto lo staff e ai componenti della band.

 

E' ancora immerso nei suoi pensieri quando, lo svolazzare di una chioma castana con le punte bionde lo distrae da ciò a cui stava pensando; non vede Amelie dalla festa a casa sua di circa tre settimane prima, quando lei lo aveva aiutato in un momento di difficoltà così, come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. Louis Tomlinson non è uno che si dimentica facilmente di certe cose, questo è certo.
«Amelie!» La chiama, alzando leggermente un braccio per farsi notare; lei, sul marciapiede dall'altra parte della strada, si blocca di colpo e muove il viso e gli occhi da tutte le parti, la fronte aggrottata e l'espressione concentrata nel cercare di individuare da dove provenga il richiamo. Alla fine i suoi occhi si posano su di lui e lo saluta con un gesto della mano, mentre aspetta pazientemente che una macchina passi, prima di attraversare la strada e dirigersi verso di lui.
Ha un paio di skinny jeans neri, strappati sul ginocchio e un po' più su, dalla coscia, dai quali spunta la pelle chiara e liscia della ragazza; il maglioncino bianco che ha indosso risalta contro la giacca di pelle, anch'essa nera, e la sciarpa dello stesso colore. Il viso è completamente struccato, per lo meno per quello che può saperne Louis, ma bello come tutte le altre volte che l'ha vista, e i suoi lineamenti sono ancora contratti in un'espressione di pura sorpresa, segno che non si aspettava proprio di incontrarlo, quel giorno. I capelli sono sciolti e, come al solito, lunghissimi si muovono ad ogni suo passo, contrastando con il loro colore chiaro contro la giacca nera aperta.
«Lea mi ha detto che saresti stato a Londra, in questi giorni!» Esclama quando finalmente lo raggiunge, passandosi una mano tra i capelli e iniziando – come sua consuetudine – a giocherellare con le punte; solo in quel momento, da così vicino, Louis nota delle piccole lentiggini che costellano il naso della ragazza, rendendola decisamente più buffa e meno autoritaria.
«Sono tornato ieri sera.» Spiega velocemente, guardandola accendersi una sigaretta – fuma decisamente più di qualsiasi persona abbia mai conosciuto! - e borbottare qualcosa di incomprensibile verso il suo cellulare, prima di infilarlo in tasca con decisione e riportare tutta la sua attenzione su di lui. «Ti va di pranzare con me?»

Amelie sembra sorpresa dall'invito, tanto che spalanca un po' di più gli occhioni e si dondola sui talloni, evidentemente presa nel fare i conti con una decisione che non si aspettava di dover affrontare; per la prima volta, Louis può vederla come una ragazza normale, una qualunque, priva – anche se solo per qualche secondo – di frecciatine acide o prese per il culo. La osserva con un mezzo sorriso divertito, perché è riuscito a metterla in difficoltà proprio quando pensava che non sarebbe mai stato possibile, non con una come lei.
«Va bene.» Concede alla fine, il labbro inferiore che continua ad essere torturato dai denti e la borsa di pelle marrone che viene lasciata cadere ai suoi piedi, da qualche parte vicino alla sedia. «Ma solo perché sto morendo di fame e il tuo panino sembra la cosa più buona del mondo.»
Adesso lo sguardo che Louis le rivolge è carico di soddisfazione, mentre la guarda sedersi al tavolino insieme a lui ed aspirare dalla sigaretta; lui non le stacca gli occhi di dosso, perché ha sempre trovato un che di sensuale nel modo in cui fumano alcune ragazze, e Amelie rientra in quella categoria perfettamente. Non sa se sia per quelle dannatissime labbra, per il modo in cui avvolgono il filtro della sigaretta come se ne dipendesse dalla loro vita, non sa se sia per gli occhi che si socchiudono ogni volta che aspira o il modo lento in cui lascia andare fuori il fumo, gli occhi ancora non completamente aperti e l'espressione persa; sa solo che potrebbe passare tutta la giornata a guardare Amelie fumare, seduto a quel tavolino un po' scomodo e con il sole addosso che gli fa bruciare un po' gli occhi, ma in fondo chissenefrega che quello è uno spettacolo per cui potrebbe valerne la pena.
La guarda sorridere a Carl, appena arrivato e già incuriosito da quella strana coppia e ordinare con un gesto grande della mano destra “quello che sta mangiando lui” e questa volta, mentre apre bocca per parlare, il sorriso divertito non può proprio evitare di spuntare sul suo viso pungente.
«Sai di aver appena ordinato un panino con “salsa Tomlinson”?» Le chiede, una risata che segue la sua domanda e che riceve, in cambio, un'occhiataccia da parte della ragazza, che alza gli occhi al cielo e sbuffa, fintamente – almeno crede, che con una così non si può mai sapere – irritata.
«Come ho fatto a non pensare che uno come te avrebbe avuto una salsa con il proprio nome?» Si chiede, retoricamente, spegnendo il mozzicone della sigaretta nel posacenere e sistemandosi i capelli dietro alle orecchie. Ha il viso stanco, nonostante cerchi di coprirlo con un sorriso e una battuta, un po' di occhiaie che le circondano gli occhi verdi e anche i suoi movimenti sembrano rallentati, meno energici.
Louis è curioso, vorrebbe chiederle cosa ci sia dietro a quella stanchezza e all'ombra di tristezza che la avvolgeva solo pochi minuti prima, quando camminava da sola e ancora non si era accorta di lui; da quel poco che sa di Amelie, però, teme che porle domande così personali porterebbe solo ad un'occhiata stranita e di rimprovero, una battuta per depistare le sue domande e una scrollata di capelli, così decide di evitare.
«Cosa studi?» Le chiede, individuando un paio di libri che spuntano dalla borsa e ricordando il loro primo incontro, quando la ragazza lo aveva rimproverato menzionando un esame all'università; lei, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, rimane sorpresa, probabilmente avendolo giudicato troppo pieno di sé per potersi ricordare di un particolare del genere, che non riguarda affatto con la sua vita da superstar. Louis, nuovamente, si gode la sua confusione, mentre Carl arriva con l'hamburger ordinato dalla ragazza, facendola illuminare di un sorriso estasiato.
«Economia. Sai marketing, statistica, quella roba lì..» Borbotta, dopo aver assaporato il primo morso del suo panino ed essersi lasciata andare ad un sospiro di puro piacere.
«Oh!» Esclama, leggermente sorpreso. Da una come lei, chissà perché, si sarebbe aspettato qualcosa di più filosofico, letterario; con il suo modo di vestirsi, il suo modo di parlare e il suo atteggiamento radical-chic, tutto avrebbe detto, tranne che studiasse economia. «Ed è bello? Voglio dire.. ti piace?»
«Sì, mi piace.» Replica Amelie decisa, vagamente divertita dalla domanda del ragazzo. «Non capisco perché ogni volta tutti mi facciano questa domanda, è così strano che studi economia? - Prende un altro morso, mentre agita una mano con una patatina e si sistema meglio sulla sedia – Mi piace, mi piace davvero, e soprattutto per i motivi per i quali la gente pensa che la dovrei odiare. Vivo nel disordine, perciò amo le regole, la disciplina della statistica e della matematica. Con il casino che ho in testa 24/24 è un bel rifugio, studiare qualcosa che non cambia mai, che non ha niente a che fare con il caso, i sentimenti o il pensare troppo mi impedisce di impazzire dietro ai miei pensieri o alle mie speranze. Mi fa stare con i piedi per terra. Mi conforta. In giornate di merda come questa, so che se fra poco andrò in università e, almeno lì, tutto sarà facile, già deciso, non ci sarà niente di cui io mi debba preoccupare. E' rassicurante.»
Louis la guarda da dietro il boccale di birra, sorpreso dal fiume di parole con cui lo ha travolto la ragazza; lo affascina il suo modo di parlare così razionale e allo stesso tempo caotico, lo affascinano i “mille pensieri” che sembrano tormentarla così tanto e, inevitabilmente, lo affascina lei.
«Giornate di merda come questa? Che è successo?» Chiede, poi, rendendosi conto che non può continuare a fissarla senza dire nulla; e poi li ha notati i suoi occhi tormentati, la stanchezza e la luce che solitamente la avvolge che è un po' più spenta, un po' più fioca, e lui, come al solito, è dannatamente curioso.
«Io e Thomas O' Connel ci siamo lasciati.» Ha gli occhi bassi sul cibo, mentre risponde con la voce sicura e senza paura, di chi proprio non ha voglia di mostrarsi debole di fronte agli altri. «O meglio, io ho lasciato lui. Calvin e Oli sarebbero fieri di me.» Fa un sorriso triste, tirato, che non ha niente a che vedere con quelli a cui lo ha abituato e che, in ogni caso, non raggiunge gli occhi, spenti e fissi con il tovagliolo con cui sta giocherellando da quando hanno iniziato il discorso.
«Thomas O' Connel è un coglione vero. Quindi anche io sono piuttosto fiero di te, se può valere qualcosa.»
Louis se lo ricorda ancora dai tempi del liceo, quando a scuola O' Connel passava le giornate tra le cosce di una cheerleader e la bocca di un'altra e i suoi voti rasentavano il limite di dignità umana; per intenderci, nemmeno lui era mai stato una cima a scuola, non di certo uno dei migliori, ma almeno i suoi voti bassi non venivano accompagnati da un'ignoranza inequivocabile e da una strana mania di infilare la parola “tette” in almeno ogni frase da lui pronunciata. Non ce la vede proprio, una come Amelie, ad uscire con uno come lui e non può nascondere che, il fatto che lo abbia lasciato, l'abbia fatta salire vertiginosamente di punti, per quanto lo riguarda.
Non fa in tempo a godersi il sorriso – vero! - che spunta sul visetto struccato di Amelie, che la suoneria del suo Iphone interrompe qualsiasi cosa la ragazza stesse per dire, ed il cellulare inizia a vibrare rumorosamente sul tavolino, lampeggiando con il nome di “Rick” con un'insistenza che Louis ha sempre trovato fastidiosa.

 

«Louis.» Rick Craston è colui che si occupa di organizzare tutte le loro ospitate, gli eventi a cui devono partecipare e le interviste che devono rilasciare ogni giorno; ha una serie di magliette nere tutte uguali e lo strano vizio di non chiedere mai “per favore”. Inutile dire che, ricevere una sua chiamata, non è mai una gran bella notizia per Louis.
«Ciao Rick.» Chiede scusa con lo sguardo ad Amelie e lei risponde con un gesto veloce della mano, mentre riprende a mangiare il suo panino, enorme rispetto alla sua faccia, e a godersi i raggi di sole sulla sua pelle bianca.
«Ti chiamo per ricordarti l'impegno di sabato.» Louis strizza gli occhi e aggrotta la fronte, nel tentativo di ricordare di che diavolo sta parlando Rick; nel frattempo, nella sua testa, si materializza l'immensa agenda nera che l'uomo si porta sempre dietro, nella quale sono segnati gli appuntamenti di tutti e quattro i ragazzi. «Hai la serata di beneficenza, sai quella all'Hilton, Lou.» Spiega Rick, dopo qualche secondo di silenzio di troppo.
«La serata di beneficenza! Certo, me la ricordavo.» Esclama Louis, prendendo un sorso della sua birra per tentare di rendere un po' meno amara quella notizia; se c'è una cosa che odia più delle interviste fatte male, sono le serate di beneficenza finte, dove agli invitati importa solo di mostrare questo o quel nuovo diadema di brillanti. Le persone che partecipano a queste feste sono sempre – più o meno - le stesse e lui e i ragazzi solitamente fanno comunella tra loro, divertendosi a prendere per il culo i sessantenni alle prese con le loro mogli di 40 anni più giovani e limitandosi a bere tanto champagne e mangiare tanti salatini.
Questa volta però – questo, Louis se lo ricorda fin troppo bene – all'evento è stato invitato solo lui, per via del suo impegno nel Cinderella Ball di qualche mese prima e perfino sua madre, anch'essa invitata, lo ha abbandonato per rimanere a casa insieme ai gemellini.
«Sì, certo, ne sono sicuro..» Commenta con sarcasmo l'uomo all'altro capo del telefono, abituato alle dimenticanze perenni dei membri dei One Direction; a volte, stare dietro a loro e ai loro mille impegni, è molto simile a gestire una classe di bambini indisciplinati. «Cerca di comportarti bene, Louis. Non abbiamo bisogno di altre tue foto da ubriaco con in macchina cinque ragazze mezze nude, per favore.»
Louis chiude gli occhi di nuovo perché, davvero, non riesce a sopportare di passare una lunghissima serata insieme ad un branco di vecchi opportunisti senza nemmeno potersi rifugiare nell'alcool; annuisce piano, anche se Rick non lo può vedere e borbotta un «ciao Rick.» chiudendo la telefonata e posando bruscamente il cellulare sul tavolino.
Amelie lo squadra con un sopracciglio inarcato ed un enorme punto interrogativo stampato sul viso, mentre tiene tra l'indice e il medio una nuova sigaretta, accesa mentre lui era ancora sul tavolo.
Sarà l'espressione sfrontata con cui tende a fissarlo in continuazione, sarà il dannatissimo modo in cui aspira dalla sigaretta, saranno le sue labbra o il fatto che, una come lei, sa sicuramente come divertirsi.
Sarà qualsiasi cosa, qualsiasi davvero, ma a Louis non interessa.

Ha appena trovato un rifugio molto più confortevole dell'alcool, e non ha alcuna intenzione di lasciarselo sfuggire.

 

 

«Fammi capire bene.- Amelie ha la schiena appoggiata sulla sedia di legno mentre scuote la testa incredula e fa ondeggiare i capelli in un gesto sorpreso. - Io dovrei venire ad una festa di beneficenza insieme a te?» Ha il viso atteggiato in una smorfia strana, come se fosse irrimediabilmente indecisa tra lo scoppiare a ridere e il riempirlo di insulti; a ben pensarci, effettivamente, deve proprio essere così, tanto che un risolino esce subito dopo dalle labbra della ragazza.

«E dai, non dirmi che non ti piace come idea. Vestito da sera, gente importante, probabilmente qualche ragazzo ricco da accallappiare..» Louis inizia ad elencare tutte le caratteristiche di quel party che, solitamente, le ragazzine adorano; ma non riesce nemmeno a finire il suo elenco perché, la ragazza di fronte a lui, gli tira un piccolo schiaffo sul braccio e urla un “ehi!” decisamente infastidito.

Amelie quasi salta sulla sedia come morsa da una medusa, mentre il suo viso, adesso, urla indignazione da tutti i pori e sembra ben decisa a ridurlo in un mucchietto di polvere, con il suo sguardo saettante e tutto il resto.
«Non trattarmi mai come una ragazzetta stupida qualunque, Tomlinson.» Mormora a denti stretti, l'insinuazione nascosta dietro le parole con cui le ha parlato – come se fosse una qualunque, una fan o una di quelle ragazze pronta a morire per qualsiasi sua parola, per qualsiasi suo gesto – che la porta a stringere le labbra in una sottile linea, mentre le braccia si incrociano sotto il seno in un gesto carico di rimprovero.

 

Louis la osserva per qualche secondo, in silenzio, il fumo della sigaretta che si è acceso pochi minuti prima che serpeggia tra di loro e, ogni tanto, gli impedisce di osservare nitidamente il viso della ragazza, frapponendosi tra lui e lei come se niente fosse, come se lui non stesse cercando di capire qualcosa in più su di lei, qualcosa in più sul suo fastidio decisamente troppo marcato, per poter essere limitato solo a quelle parole, solo a quella situazione.

Non riesce a capire da cosa sia data quella cosa che lo spinge ad avvicinarsi sempre di più a lei, a sforzarsi di comprendere quell'enorme garbuglio di sguardi, frasi e acidità; non sa se dipenda dall'aurea di fascino che sembra avvolgere i movimenti di Amelie, perfino quelli più stupidi – come quello che sta facendo ora per spazzare via delle briciole dai suoi pantaloni – o dal fatto che, ne è parecchio sicuro, una così lui, non l'ha mai incontrata e davvero, non riesce proprio a capirla.
Qualsiasi sia il motivo – da quanto ha perso così tanto il potere sulle sue azioni? -, socchiude gli occhi, prende un generoso tiro dalla sigaretta e «Hai ragione, scusa. Ma sono sicuro che ti piacerebbe comunque. Ci sarà alcool a fiumi e gratis, un sacco di ricche signore da prendere per il culo e prometto che ti terrò lontana da qualsiasi stronzo imbecille simile a quell'O' Connel che abbia intenzione di provarci con te.» Si corregge, sicuro che, questo genere di elenco, si addica molto di più alla ragazza che ha di fronte rispetto a quello precedente.
Lei, infatti, seppur mantenendo il naso arricciato da una parte e le guance gonfie per il fastidio, non riesce a impedire al suo sguardo di illuminarsi di una luce divertita, probabilmente al pensiero di tutte quelle vecchie signore strizzate in abiti decisamente poco consoni alla loro età; la sua bocca, dapprima stretta in una linea sottilissima, si scioglie un po' e lui è quasi sicuro di scorgere un abbozzo, seppur minimo, di sorriso, negli angoli tirati in su e le labbra più morbide.
«Ci divertiremo, te lo assicuro.» Le promette, sorridendo anche lui e mantenendo il suo sguardo azzurro vivo su di lei; potrà essere anche una ragazza particolare e non del tutto suscettibile al suo fascino, ma sa benissimo che, almeno in minima parte, i suoi occhi e il suo sguardo deciso le piacciono, come si è lasciata sfuggire Lea in una conversazione di qualche settimana prima.

 

Amelie, infatti, abbassa leggermente lo sguardo e tentenna un pochino, il labbro inferiore subito catturato tra gli incisivi e torturato da essi; avrebbe bisogno di un po' della sua economia, di un po' della sua statistica, pensa Louis, per prendere questa decisione. Del tipo “quante probabilità ci siano che Louis Tomlinson mi stia invitando solo per portarmi a letto?” oppure “quante ragazze ha invitato prima di me ad una serata del genere?”; Louis sorride tra sé e sé, pensando che forse, un pochino, sta iniziando a capire come ragiona quella strana ragazza.
Poi lei solleva lo sguardo e ritorna fiera, orgogliosa come sempre, il mento un pochino alzato e le mani che già corrono ad afferrare la borsa che ha buttato per terra all'inizio del pranzo.
«Ci sto. Ma solo per l'alcool a fiumi.»
E così come è arrivata, con un secondo cedimento nel giro di un'ora, si allontana dal tavolino a passo svelto, i capelli che si muovono ad ogni suo passo e la testa ben alzata di chi non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.

Ovviamente, gli ha lasciato il conto da pagare.

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Capitolo 4
*** IV ***


Ciao bellezze!!
Lo so, sono scandalosa per il mio ritardo, non so nemmeno come giustificarmi: semplicemente ho avuto centomilioni di cose da fare e mi sono dimenticata di Amelie e Louis.. Stamattina, poi, mi sono trovata questa storia nel pc e mi sono detta "perché no?".
Questo è il mio capitolo preferito in assoluto, mi piace davvero tutto, per la prima volta in vita mia: spero che anche a voi piacerà il vestito di Amelie, i discorsi di Louis e Amelie sulla panchina, il loro bacio e tutto il resto.
Soprattutto, spero che continuerete a seguirmi in questa storia, anche se sono passati mesi e mesi dall'ultima volta che ho pubblicato, giuro che non succederà più.
Un bacione immenso,
Chiara

 


Already home.
 

«Rick mi ha detto che hai una delle tue serate preferite, stasera!» La voce di Niall risuona forte e giocosa dal suo Iphone, e se solo non sentisse la mancanza di quell'irlandese , probabilmente sarebbe decisamente infastidito dal tono alto che ostenta e dall'accento fortissimo che gli impedisce di comprendere immediatamente la metà delle parole. Deve essere in un pub, o qualcosa del genere, perché, sebbene la sua voce risulti chiara e cristallina, si intuisce un rumore di fondo di chiacchiere, posate e ragazzi ubriachi.
«Già. Che culo, eh?» Borbotta, mentre si sistema il nodo della cravatta che, dopo solo venti minuti, inizia già a stringergli il collo e ad irritarlo; vorrebbe così tanto indossare una delle sue magliette comode e un paio di Vans che, al momento di uscire di casa, per poco non ritornava indietro a cambiarsi. Poi si è immaginato i rimproveri dei manager e i titoli sui giornali che lo avrebbero descritto per l'ennesima volta come un ribelle senza futuro, e ha immediatamente cambiato idea; fa così schifo, a volte, essere così famoso da dover rendere conto delle proprie azioni ad almeno cento persone al giorno. Ci si sente rinchiusi, in gabbia.
E' seduto comodamente nel sedile posteriore della limousine – gentilmente offerta dagli organizzatori della serata - con cui andrà al ballo ed è diretto a casa di Amelie, nella speranza che, almeno questa volta, la ragazza non abbia alcuna intenzione di prendersi gioco di lui; mentre indossava la camicia e la giacca elegante, si è immaginato l'umiliazione di presentarsi di fronte a casa sua e di aspettarla tutta la sera, invano. Per quel poco che la conosce, ha capito che non c'è niente che le dia soddisfazione come dimostrare di avere il controllo, di saper vincere contro tutti e tutto; in parte, il fascino che esercita su di lui, è dato anche da questa caratteristica, dal fatto che non si accontenti mai, ma voglia osare sempre di più, ma, almeno per questa sera, Louis spera fermamente che la ragazza sia in grado di contenersi.
«Ma mi ha anche detto che hai trovato una sostituta a noi.» Insinua poi il biondo e Louis lo conosce così bene che indovina perfettamente l'espressione maliziosa che con ogni probabilità è comparsa sul volto di Niall e intuisce anche che, la notizia che sarebbe andato al ballo accompagnato, è in realtà il vero motivo dietro alla sua chiamata. Niall Horan è probabilmente il ragazzo più appassionato al gossip che conosca, soprattutto se tale gossip è riguardante i suoi compagni di band; solitamente, gli altri tre, tendono a lasciarlo sulle spine il più possibile, perché vederlo agitarsi tutto in cerca di una risposta ai suoi quesiti è uno degli spettacoli più divertenti del mondo.
Questa volta, però, non ha la fortuna di avere il viso infantile di Niall di fronte agli occhi e di poter osservare con suo grande divertimento le sue guance diventare tutte rosse per lo sforzo e la fronte aggrottarsi nell'impresa, così rinuncia a farlo crogiolare nella sua curiosità, limitandosi a borbottare un «mmh...» di assenso mentre osserva la macchina immettersi nella via secondaria in cui abita Amelie. E' una strada praticamente identica a quella in cui viveva con sua madre, con le casette a schiera una dietro l'altra, i giardini ben curati e i prati all'inglese che farebbero l'invidia di tutto il mondo; ancora una volta, l'ennesima da quando l'ha vista per la prima volta al “100”, si chiede come diavolo sia possibile che lui e Amelie non si siano mai conosciuti, mai incrociati prima di qualche mese prima, abitando nella stessa cittadina e frequentando più o meno gli stessi ambienti.
«E' figa? La conosco?» Niall sembra entrato in modalità fan girl – termine che ha imparato solo qualche settimana prima da sua sorella Fizzie e il cui vero e proprio significato gli sfugge ancora in parte – mentre gli pone quelle domande come se fossero in un'intervista. Louis lo ascolta divertito, mentre finalmente la macchina si ferma di fronte ad una villetta identica alle altre, fatta eccezione per la porta giallo acceso; con un sospiro e un po' di nervosismo, constata che di Amelie e dei suoi capelli, non c'è assolutamente traccia. Osserva l'edificio da cui dovrebbe uscire con uno sguardo speranzoso che non gli si addice, lui di solito tutto d'un pezzo, e inizia a tamburellare con le dita contro la sua gamba, in un movimento nervoso.
«Le moriresti dietro, fidati. E no, non la conosci, è una di Doncaster.» Risponde, sinceramente, provocando un fischio di apprezzamento da parte di Niall.
Il biondo, poi, dice qualcos'altro, probabilmente chiede altre delucidazioni sull'aspetto della ragazza e sul modo in cui si sono conosciuti, ma Louis non lo sente per nulla, incredibilmente affascinato dallo spettacolo che si sta svolgendo al di fuori del vetro scuro del finestrino della macchina.
Amelie è uscita di casa, gli occhi puntati sulla limousine ed un'espressione di stupore che, nonostante le solite labbra imbronciate, non riesce proprio a mascherare. Indossa un vestito verde smeraldo lungo, che le lascia le braccia scoperte e le scende giù giù fino ai piedi; Louis schioccherebbe la lingua contro il palato in segno di disapprovazione perché quelle gambe coperte sono una vera e propria eresia, se non fosse che, quel dannatissimo vestito, lo sta ipnotizzando come mai nella vita. I suoi occhi scivolano sullo scollo profondo, adornato con delle piccole paillettes luccicanti, dai quali spuntano i lati dei seni della ragazza e Louis deve fare davvero uno sforzo enorme per sollevare lo sguardo ed evitare di rimanere con gli occhi lì tutta la sera. Mentre apre la portiera e scende dalla macchina, si gode il viso tondo della ragazza, truccato – per quello che ne può capire lui – in modo molto leggero, e nota quanto il verde del vestito sembra illuminare ancora di più il suo sguardo da gatta. I capelli sono sciolti come al solito, forse leggermente più ordinati, ma cadono ovunque, sulla schiena, sulle braccia e sul petto dove, come nota mentre la sua bocca si inaridisce, una ciocca è incastrata proprio nell'incavo tra i due seni, come a prendersi gioco di lui.
Per finire la labbra – quelle labbra che gli fanno venire voglia di bestemmiare – sono colorate di un rosso acceso e, quando si aprono in un sorriso un po' incerto per salutarlo, lo costringono a schiarirsi la voce e a prendere un bel respiro, prima di rispondere al suo saluto come si deve.

 

«Amelie.» Mormora, ancora incantato da quello spettacolo; è ovvio, lo sapeva già che era bella, nessun dubbio su quello. Ma vederla lì, vestita e truccata di tutto punto, con lo sguardo incerto di chi, a questo genere di cose, non è del tutto abituata, lo incanta come un bambino di fronte alla vetrina dei dolci.
«Ciao Louis.» Sembra acquistare un po' di coraggio, prenderlo dal suo sguardo ammirato e farlo proprio, perché gli rivolge appena un sorriso divertito e poi lo supera, con un fruscio del vestito, per salire in macchina.
Louis la segue, dandosi mentalmente delle botte di idiota, e constatando che la magia del vestito non finisce tutta sul davanti; lascia anche la schiena scoperta, mostrandogli di nuovo quella galassia di nei che cospargono la pelle bianca della ragazza, cosa che già aveva potuto ammirare la sera della festa a casa sua.
«Sei davvero molto bella.» Le dice, sedendosi al suo fianco sui sedili posteriori della limousine ed osservandola guardarsi attorno con gli occhioni verdi pieni di meraviglia; lei si volta di scatto verso di lui, improvvisamente poco interessata a ciò che la circonda e, per un attimo, Louis teme che lei stia per rovinare l'atmosfera con una delle sue frasi acide con cui, solitamente, accoglie ogni suo tentativo di farle un complimento.
Invece lei lo guarda con gli occhi che non vacillano, si sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio e «Grazie.» Risponde, senza paura; lo sa, di essere bella, non si stupisce del suo complimento, non arrossisce né abbassa lo sguardo, ma gli sorride con tutta la bocca, e lui capisce che lo sta ringraziando, che le ha fatto piacere.
«Mi ha aiutato Lea a scegliere il vestito. Era convinta che ti sarebbe piaciuto.» Aggiunge poi, accarezzando piano le pieghe del vestito lungo che indossa, sentendosi ogni secondo che passa un po' più a suo agio; nella sua vita trascorsa prima a York e poi a Doncaster, non ha avuto molte occasioni per indossare abiti del genere e, sebbene non sia una che si fa mettere in difficoltà molto spesso, quando lo ha indossato per la prima volta si è sentita incredibilmente pretenziosa, come quelle ragazzine provincialotte nei film americani che vanno per la prima volta in città e si mettono in ridicolo davanti a tutti.
«Lea mi conosce fin troppo bene. Non potevate scegliere vestito migliore.» Commenta lui, continuando ad osservarla con uno sguardo ammirato; sarebbe preso dalla voglia di tirare fuori il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni blu dal taglio elegante e scattarle una foto da inviare ai suoi compagni di band perché, ne è sicuro, Amelie è sicuramente la ragazza più bella e affascinante con cui sia mai uscito. Perfino adesso, che è semplicemente zitta e guarda fuori dal finestrino, emana da tutto il suo corpo un'aurea di fascino che potrebbe fare concorrenza a quella di Harry; sembra una che della vita fa un po' quello che vuole, improvvisa ogni secondo ma ne esce sempre vincitrice.
E' in grado di provocare chiunque nel raggio di 100 metri senza nemmeno volerlo, senza nemmeno programmarlo, come se nemmeno si rendesse conto del potere enorme che esercita sugli altri, come una calamita che non sa di esserlo. Non si sforza di essere bella, non si sforza di essere guardata, ma prende la sua bellezza e gli sguardi degli altri come un dato di fatto, come qualcosa che semplicemente c'è da sempre, qualcosa di poco importante, qualcosa con cui giocare.
Nei suoi occhi di gatta, nascosta dietro quel verde, c'è una promessa che sembra chiamarlo, qualcosa che gli fa pensare che, una come lei, non l'ha mai incontrata, non l'ha mai conosciuta, non l'ha mai baciata.
«Anche tu stai molto bene.» Non lo guarda, mentre pronuncia queste parole, continua a fissare con interesse la strada che si snoda davanti ai suoi occhi e fuori dal finestrino, ma ha un sorriso divertito che le inarca le labbra e gli occhi che, per una frazione di secondi, gli rivolgono un breve sguardo di apprezzamento.
«Grazie.»
Louis sorride.
Non è mai stato così contento di andare ad una serata di beneficenza.

 

 

Quando finalmente la cena termina, Louis è meno sfinito delle altre volte; avere una vicina di posto come Amelie è qualcosa di assolutamente esilarante. Ha passato tutta la cena a bere champagne, a complimentarsi con i camerieri per la bontà del cibo – ricevendo occhiate stranite da tutto il resto della tavolato – e a lanciare frecciatine degne di un Oscar come miglior attrice in una commedia a chiunque le passasse davanti. Louis è quasi sicura di averla vista insultare sottovoce un signore seduto di fronte a lei nel tavolo tondo, colpevole di averle fissato “le mie cazzo di tette” per tutta la cena, e ha dovuto davvero trattenersi per non scoppiare a ridere quando “non è che se sporgono un pochino dal vestito hai il diritto di guardarle, brutto maiale, neanche fossero sto gran spettacolo, ho una seconda a malapena” ha detto.
Adesso si sono alzati da tavola per l'asta di beneficenza che si tiene regolarmente dopo la cena e Louis, dopo aver donato dei soldi alla solita associazione – l'unica di cui lui ed i ragazzi si fidino davvero – e aver intrattenuto una breve conversazione con alcuni degli invitati segue Amelie fuori dal palazzo in cui si tiene la festa; lei sospira, ammirata, nel guardare con aria sognante il giardino che le si presenta di fronte agli occhi. E' enorme e, ovviamente, ben curato, con una serie di panchine in legno scuro che adornano le stradine che lo percorrono e le piante tagliate a forma di animali fantastici; scende le scale saltellando come una bambina, incurante delle scarpe con i tacchi che - per una che li ha sempre odiati come lei – la rallentano un pochino e ignorando anche la risatina di Louis , dietro di lei ma decisamente meno entusiasta. Ha già visto posti del genere, quel lusso sfrenato ostentato ad ogni costo, e sebbene a volte ne rimanga folgorato anche lui, sa riconoscere quanto di questo sfarzo sia falso, inutile e fine a sé stesso.

«E' bellissimo!» Esclama Amelie, sedendosi su una delle panchine intagliate ad arte, lo schienale che riproduce un cuore e la musica che arriva dalla villa, rendendo l'atmosfera ancora più magica.
«E' finto.» Louis si siede accanto a lei, con un sospiro, mentre osserva un uomo sui sessant'anni appartarsi con una ragazzina decisamente più giovane di lui; è quasi sicuro di averla vista ad una decina di feste come quella, ogni volta in compagnia di un uomo diverso, ogni volta con il portafogli sempre più pieno.
«Che intendi?» Amelie lo squadra con lo sguardo concentrato, mentre tira fuori l'accendino dalla borsetta e si accende una sigaretta; ha i capelli che le cadono sulle guance e le incorniciano il viso, le labbra che sono ancora bagnate di vino e gli occhi che scintillano. Louis deve davvero concentrarsi per ricordarsi cosa stava pensando.
«Esattamente questo. E' tutto finto.» Spiega, allargando le braccia per indicare tutto ciò che li circonda. «La villa, le persone, il cibo, il giardino, perfino i soldi che vengono dati in beneficenza. E' tutto finto, tutto inutile. La gente viene a queste feste solo per sentirsi parte di un elite, solo per dimostrare che fanno parte di quel giro di persone che ha così tanti soldi che può permettersi di darli in beneficenza così, senza nemmeno interessarsi dove vadano a finire realmente. Sono tutti così impegnati a dimostrarsi belli, di successo e sicuri di sé che non si rendono nemmeno conto di quanto siano ridicoli, di quanto siano grotteschi.» Amelie ha gli occhi completamente fissi su di lui, ormai, la sigaretta incastrata tra le dita che viene lasciata a consumarsi da sola, tanto la ragazza è concentrata su di lui, dimentica di tutto ciò che la circonda. «Lo vedi quel signore lì? - Louis indica con lo sguardo e un cenno della testa il signore che aveva già notato pochi minuti prima ed aspetta che Amelie annuisca, per ricominciare a parlare. - Si chiama Jack Benton, ha 63 anni e un'azienda che produce ed esporta thé a livello mondiale. E' uno degli uomini più ricchi di Inghilterra ed anche uno dei più potenti: ti verrebbe da pensare che uno così, che si può permettere una villa con sei campi da tennis e tre piscine olimpioniche non ha bisogno di dimostrare altro nella vita, è già arrivato. Eppure è lì, appartato dietro a quell'albero, mentre tenta di farsi quella ragazzina all'aria aperta, una sveltina contro un albero e con i vestiti addosso, e dimostrare agli altri, e soprattutto a sé stesso, che il tempo per lui non è passato, è ancora quello di prima. Lei non è migliore, è una di quelle ragazze il cui unico obiettivo nella vita è trovare un uomo, di qualsiasi età, ricco abbastanza da mantenerle a vita. Non è importante il suo nome né il suo volto, ce ne sono a migliaia di ragazze così, lo so io e lo sa anche Jack Benton. Basta che tu compaia una volta su un giornale, qualsiasi sia il motivo, e ne arrivano centinaia al giorno, di ragazze così.» Louis abbassa lo sguardo sulle scarpe, colpito da sé stesso perché è probabilmente la prima volta che parla così apertamente e senza filtri del mondo in cui si deve destreggiare, o almeno, che ne parla con qualcuno che non siano i ragazzi o i suoi famigliari. Nemmeno ad Oli, Calvin o Lea ha mai spiegato esplicitamente cosa lo disgusti tanto di quell'ambiente da cui, appena può, scappa, perché non è sicuro che lo prenderebbe sul serio, che capirebbero fino in fondo il suo problema.
Amelie, invece, lo guarda con degli occhi così consapevoli, così intelligenti – sempre, anche quando lo sta prendendo per il culo – che gli ha fatto pensare che, se c'è qualcuno al di fuori della sua famiglia e al di fuori dei ragazzi che può capire davvero il marcio di cui parla, è proprio lei.

 


«Vengono anche da te?» La voce della ragazza lo risveglia dai suoi pensieri e lo costringe ad alzare nuovamente gli occhi sul suo viso; lei lo sta guardando con un'espressione che non le ha mai visto e che non riesce a decifrare. Sembra colpita, interessata e in qualche modo assurdo, soddisfatta. «Le ragazze di cui parlavi, intendo, vengono anche da te?» Aggiunge, quando incrocia lo sguardo interrogativo del ragazzo.
«In continuazione.» La risposta secca di Louis esce dalla sua bocca come uno sputo, come quando ti svegli la mattina dopo una serata fuori e ti è rimasto il sapore di alcool e fumo in bocca, e allora vuoi mandare tutto via, non vuoi più saperne niente.
Pensa a tutte le fans che si accalcano sotto il loro albergo, nella speranza di essere invitate da almeno uno di loro a salire per trascorrere una notte con un membro dei One direction. Con un brivido di disgusto ricorda tutte quelle ragazzine dell'età delle sue sorelle pronte ad offrire il loro corpo di vergini in pasto a loro quattro – cinque – che sono dei leoni, lo sono sempre stati, senza riguardo nei confronti dei loro sogni adolescenziali.
«All'inizio a me e ai ragazzi sembrava un sogno vero e proprio, oppure un film, uno di quelli in cui lo sfigato di turno diventa improvvisamente il più figo della scuola e tutte lo vogliono. Ovunque ci girassimo, ovunque sul serio, trovavamo ragazze di ogni età che non desideravano altro nella vita se non passare una notte con noi. Poi, con il tempo, come tutto, ci siamo iniziati a stancare, a nasconderci dietro occhiali scuri, cappelli pesanti e altre cose per riuscire a camminare in mezzo alla gente senza venire fermati, non che serva a molto, tra l'altro..» Sospira pesantemente, mentre si passa una mano tra i capelli e accetta la sigaretta che Amelie gli sta porgendo, macchiata sul filtro dal suo rossetto rosso.
«E' disgustoso, sul serio. Ci sono ragazzine di quindici anni che, chissà come, riescono ad entrare nelle nostre camere d'albergo e noi le troviamo completamente nude nei nostri letti, pronte a farci qualunque cosa pur di poter dire di essere state con uno di noi. Ed è incredibilmente difficile mandare via una ragazza nuda che si offre di farti un pompino seduta stante, specie se non te l'aspetti, specie se sei stanco e vorresti solo spegnere la testa per il resto della vita. Se me lo avessero detto cinque anni fa mi sarei mandato a fanculo da solo, mi sarei detto “di che cazzo ti lamenti, Lou? Sei ricco, hai ragazze che aspettano solo di farsi sbattere da te e fai quello che ti piace. Non rompere il cazzo e goditi sto pompino, coglione!”» Sorridono entrambi mentre imita il sé stesso di qualche anno prima, e l'atmosfera di tensione si stempera, almeno in parte.
«Ma la verità è che non c'è niente di bello nello scopare con una che, lo vedi!, mentre sei dentro di lei sta già pensando a come lo dirà alle sue amiche, a quello che scriverà su Twitter e a quanto diventerà popolare a scuola quando la notizia inizierà a girare. Non c'è niente di piacevole nel passare la vita a nascondersi, perché magari se prenoti quel determinato albergo ma poi vai in un altro, non ti troveranno e ti lasceranno in pace. E non c'è di certo niente di rilassante nel dormire tutti e quattro nella stessa stanza e non riuscire a chiudere occhio perché Harry parla nel sonno e Niall russa come un cinghiale, ma così almeno siamo sicuri che nessuno cederà a tentazioni non desiderate.» Scuote la testa, perché a volte, quando ne parla, la sua vita gli sembra così assurda che non riesce proprio a crederci di essere lui, di star vivendo davvero così.
«Non sto dicendo che non sia bella la fama, i soldi, le macchine e gli alberghi. Solo che non è sempre tutto meraviglioso come sembra. Ed è stancante. Tutto qua.» Appoggia la schiena contro la panchina, e sente tutta la stanchezza di quei cinque anni cadergli addosso in un solo momento.

«E per questo che fate la pausa? Per le ragazze e il sesso?» Amelie lo guarda con degli occhi furbi che lui non capisce, la sigaretta che ormai giace per terra e il vestito che si muove un po' a causa del vento; sua madre lo rimprovererebbe, probabilmente, se sapesse che non ha nemmeno offerto la sua giacca ad una ragazza bella come quella che ha seduta vicino, ma per qualche motivo Louis sa che ad Amelie non importa poi tanto di queste galanterie da romanzi rosa.
«Anche.» Conferma, annuendo piano e pensando a quanto ne abbia bisogno, di questa dannatissima pausa, di quanto tutti loro ne hanno bisogno; sono stati in giro per così tanto tempo che, poter ritornare finalmente alle loro case era sembrato loro una sorta di miraggio, un'utopia che, in quanto tale, non pensavano si sarebbe mai realizzata.
«Perciò se io ti baciassi, adesso, manderei a cagare tutti i tuoi buoni propositi per questi mesi di pausa?» Amelie ha ancora gli occhi furbi, mentre si fa un po' più vicino a lui e gli sorride appena, come non ha mai fatto, con i denti appena appena scoperti e le labbra che non gli sono mai sembrate così invitanti.
Louis sorride a sua volta, perché ogni secondo, ogni minuto, lei gli conferma quello che ha pensato di lei sin dalla prima volta che l'ha vista; è imprevedibile, non agisce secondo schemi premeditati, né sembra interessarsi di possibili conseguenze che potrebbero derivare dalle sue azioni, nemmeno dalle più avventate, come potrebbe essere quella di baciare una popstar di fama mondiale nel giardino di un ricevimento importante.
«Prova.» La sfida e la provoca, perché è quello che lei sta facendo da quando l'ha vista comparire in quell'abito su cui, finalmente, sta posando le mani, e perché quel sorrisetto bastardo gli fa venire voglia solo di tenerle testa, di zittirla.

 

Lei si sporge verso di lui senza paura, gli occhi bene aperti per osservare ogni espressione che prende spazio sul viso del ragazzo, e sorride appena quando lui le posa le mani sui fianchi, portandosela un po' più vicina; appoggia le sue labbra rosse sulle sue come se non avesse fatto altro in tutta la vita, divertendosi a stuzzicare con i denti il suo labbro inferiore senza vergogna, e accogliendo con un piccolo sorrisetto soddisfatto la sua lingua. Louis ha le mani tra i suoi capelli, adesso, mentre lei le ha intrecciate dietro al suo collo e gli accarezza la pelle con dolcezza, e leggerezza.
Lo bacia forte, senza alcuna inibizione, come se il discorso che lui ha appena concluso l'avesse convinta di chissà cosa, le avesse confermato chissà quale idea che aveva di lui; Louis, dal canto suo, sa di essere stato capito, di essere stato compreso. Sa che quello è il modo di Amelie per fargli capire che lui come Louis Tomlinson, al di là dei One Direction, al di là della fama e dei soldi, vale davvero qualcosa; è il suo modo per dirgli “va tutto bene” per farlo sentire un po' meno solo.
Si staccano che Louis ha le labbra impiastricciate di rossetto e Amelie i capelli leggermente scompigliati, ma entrambi hanno dei sorrisi vittoriosi stampati sui volti un po' sconvolti, mentre si alzano in piedi e lui borbotta qualcosa sulla necessità di ritornare dentro. Lei lo segue senza dire una parola, il corpo sempre vicino al suo e la mano che appena gli sfiora la schiena.
Prima di rientrare, lei lo ferma avvolgendo con la sua mano il polso tatuato di lui e lo guarda con un sorriso pieno di divertimento e di scherno; è bellissima.
«Mi sa che Jack Comesichiama, laggiù, deve arrendersi alla sua vecchiaia. - Commenta, sorprendendolo per l'ennesima volta ed indicando l'uomo uscire da dietro l'albero. -Sono passati meno di tre minuti da quando hanno incominciato ad ansimare come due gatti in calore, e hanno già finito.» Dice.

Sono dalla tua parte, gli fa capire.

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