Sunbeam- Capitolo 1
Sunbeam
Capitolo 1: New Life
Avevo
sempre vissuto a Forks. Fin dalla mia
nascita quella piccola cittadina era stata la mia casa, anche se una
casa vista
solo di notte e mai in presenza di esseri umani che potessero vedermi.
Come
mai? Be’ la velocità con cui tendevo a cambiare
aspetto ed età non avrebbe
contribuito a non far nascere sospetti negli umani che mi stavano
intorno.
Per questo,
nonostante avessi sempre vissuto a
Forks, quella mattina mi stavo preparando ad affrontare il mio primo
giorno di scuola.
Sarei stata la nuova arrivata, quella che viene da un posto
lontano… Talmente
lontano che nessuno si sarebbe realmente messo ad indagare sulle mie
origini.
Nessuno doveva sapere dove avevo passato i miei lunghi sette anni di
vita, e
avrei dovuto fingere di non conoscere nessun ragazzo della mia scuola,
mentre
invece sapevo a memoria i volti e i nomi della maggior parte di loro.
Nella mia
mente c’era abbastanza spazio per questo e per molto altro.
Ufficialmente sarei
stata la dolce figlia del
defunto fratello di Edward Cullen: il figlio del dottore e il marito di
Isabella Swan, la figlia del capo della polizia.
In realtà
invece ero Renesmee Carlie Cullen,
detta Nessie, unica figlia di Edward e Bella Cullen.
Perché
allora inventare una storia così
assurda, se in realtà ero davvero figlia loro? La risposta
è molto semplice. I
miei genitori, come tutti i Cullen, erano vampiri. Io non ero come loro
perché
in realtà i vampiri non potrebbero avere figli tra loro,
qualcosa che a che
fare con il cambiamento del corpo della donna in gravidanza che in una
vampira
non poteva avvenire, ma è inutile fissarsi su cose
così tecniche.
Allora come posso
essere la figlia di Edward e
Bella se loro sono entrambi vampiri? E’ una storia lunga,
già raccontata che
porterebbe via migliaia di pagine. Semplicemente mia madre rimase
incinta di
mio padre quando era ancora umana e alla fine sono venuta fuori io. Una
mezza
vampira. Né umana né vampira. Un ibrido che ha
caratteristiche e anche gusti
alimentari di entrambe le razze. Già, amo i pancake ma
l’odore del sangue umano
mi fa bruciare comunque la gola e mi fa venir voglia di mordere le
persone.
Però la
mia parte umana mi ha fornito un
grande autocontrollo per questo mio piccolo inconveniente
perciò non ho
problemi a stare con la gente.
Ma nonostante questo
fino ai sette anni non mi
sono mai potuta avventurare fuori di casa o fuori dai confini di La Push,
la riserva indiana dove
viveva il migliore amico, Jacob Black.
Adesso che avevo
raggiunto questa tappa,
neanche fossi diventata maggiorenne, i miei avevano pensato che mi
avrebbe
fatto bene frequentare un paio d’anni di liceo e magari anche
il college. Perché
adesso non sarei più cambiata, sarei sembrata una ragazza di
al massimo
vent’anni per tutto il resto della mia vita. Il sogno segreto
di ogni
donna.
Avevo sempre
studiato a casa, quindi passare al
liceo sarebbe stata una vera novità per me. Anche farmi
delle amiche o provare
ad avere un ragazzo… Era tutto così nuovo e
tremendamente eccitante, in più
c’era anche il vantaggio di essere lasciata un po’
in pace dalla mia
iperprotettiva famiglia di vampiri. Tutti- anche se forse zia Alice era
quella
che mi lasciava un po’ di spazio- erano sempre costantemente
perennemente
preoccupati per la mia salute e il mio benessere, senza rendersi conto
che con
i loro atteggiamenti mi mantenevano viva e forte ma intaccavano la mia
sanità
mentale.
In più in
casa Cullen non c’era un minimo di
privacy. Tra mio padre che mi leggeva nel pensiero
ventiquattr’ore su
ventiquattro e mia madre che mi spiava mentre dormivo aspettando che
cominciassi a confessare chissà che cosa- come se mio padre
non le raccontasse
già tutto quello che pensavo- la mia vita era a dir poco
soffocante.
Solo nei giorni in
cui andavo da nonno Charlie
o a La
Push da
Jacob –lì i miei non potevano neanche mettere
piede- mi sentivo libera di poter
pensare e dire quello che volevo.
Ero in macchina, la
mia macchina, quella che
mio padre mi aveva regalato per i miei sette anni. Non ero mai stata
un’amante
delle auto, mi piaceva andare veloce ma potevo farlo anche correndo con
le mie
gambe perciò le auto veloci non mi erano mai interessate
più tanto. Un’eresia
per il resto della mia famiglia e soprattutto per Jacob,
l’unica che mi dava
ragione e non mi prendeva per una miscredente era mia madre: neanche a
lei
importava quanti cavalli avesse la sua auto, nonostante la sua fosse
una vera
Ferrari.
Mio padre mi
conosceva perciò c’era andato
leggero, per quanto potesse andarci leggero uno come lui. Per questa
ragione
avevo sotto le mie mani una macchina che per molti possedere sarebbe
costato un
occhio della testa ma che per la mia famiglia era una spesuccia da
niente, come
se mi avessero regalato solo il portachiavi e non una Smart Fortwo
Cabrio Pure
di un rosso acceso, fatta arrivare direttamente dall’Europa.
Non che a Forks- la
capitale della pioggia per
antonomasia- convenisse avere una cabrio però la mia non era
così scomoda,
infondo il tettuccio si alzava con un solo pulsante.
Nella mia famiglia
le auto europee andavano
per la maggiore, nonostante io non capissi cosa ci fosse di sbagliato
in quelle
americane. Eppure il mio senso patriottico non venne preso in
considerazione e
adesso me ne andavo in giro su un'auto troppo vistosa, troppo europea,
e troppo
tutto…
Immaginavo
già gli sguardi che avrebbero
lanciato i ragazzi della scuola alla mia auto. Avrebbero cercato di
scassinarla
con gli occhi per poterla guidare almeno una volta, ma dubitavo che ci
avrebbero provato sul serio. Anche se dovevo ammettere che non mi
sarebbe
dispiaciuto se l’avessero rubata. Una scusa come
un’altra per chiedere una
macchina di altro genere.
Inoltre avevo lo
strano presentimento che la
scelta di quella macchina non fosse dovuta solo ad un fattore di
passione per i
motori. Jacob sarebbe riuscito ad entrare nella mia Smart esattamente
come un
bue in una casetta per gli uccelli. Sembrava che mio padre lo avesse
fatto di
proposito in modo che non mi passasse neanche per
l’anticamera del cervello di
invitare Jake a fare un giro con me. Non che mio padre odiasse Jacob,
anzi
erano piuttosto amici però era sempre alquanto restio a
lasciarmi sola con lui.
Il perché ancora non lo capivo visto che Jacob era una
specie di enorme
fratellone per me… Ma il giorno in cui avrei capito mio
padre probabilmente
avrei anche visto uno gnomo in groppa ad un Unicorno.
Arrivata nei pressi
della scuola stavo già
cominciando a sperare di diventare improvvisamente invisibile. Tutti,
ma
proprio tutti, si erano voltati a fissarmi o meglio a fissare la mia
auto. Lo sapevo
che sarebbe stato imbarazzante, quella non era un’auto per
poter andare a
scuola in santa pace.
Parcheggiai il
più lontano possibile dalle
altre macchine e scesi in fretta dalla mia. Non la chiusi a chiave
sempre con
la segreta speranza che qualcuno decidesse di rubarmela.
Avevo fatto appena
pochi passi quando una voce
mi fermò.
-Ehi, tu.-
Mi voltai e vidi uno
strano ragazzo venirmi incontro.
Era alto, almeno credo -quando hai per amici licantropi alti tutti due
metri e
più alla fine la tua concezione di altezza comincia ad
alterarsi- aveva capelli
neri e scompigliati e profondi occhi grigi. Poteva risultare
affascinante per
una che non aveva vissuto per tutta la vita circondata da vampiri
bellissimi ed
eterei.
-Tu
sei
la nuova arrivata, vero?- chiese porgendomi la mano.
–Renesmee Cullen… la
nipote del dottore.-
Già, era
quello che sarei stata per tutti “la
nipote del dottore”, quanto detestavo le etichette.
Lui doveva aver
notato il mio disappunto e si
era affrettato ad aggiungere.
-Mi sa che
l’ultima frase potevo evitarla-
disse sorridendo. Aveva un bel sorriso, molto piacevole.
-In
effetti… Non è simpatico essere chiamata
Renesmee “la nipote del dottore” Cullen- risposi
cercando di non risultare
scortese.
-Perdonami,
allora… Renesmee?- chiese esitante
porgendomi nuovamente la mano.
-Sbagliato di
nuovo… Chiamami semplicemente
Nessie- strinsi la sua mano. –Niente commenti sul mostro di
Lock Ness, anche su
quello sono abbastanza suscettibile.-
-Ricevuto, Nessie-
mi sorrise ancora lui lasciandomi
la mano. –Io sono Richard Christopher Custer, ma gli amici mi
chiamano Richard.-
-Be’
allora Richard Christopher Custer, ti
posso chiamare Richard anch’io oppure devo segnarmi il tuo
nome da qualche
parte per evitare di dimenticarlo?-
Balla. Mi sarei
ricordata il suo intero albero
genealogico se solo avessi voluto.
-Certo, chiamami
pure Richard- rispose lui
contento. –Ehm… Sai, anch’io sono una
specie di nuovo arrivato. Io e mio padre
ci siamo trasferiti qui a maggio scorso, quindi ho frequentato qui solo
due
mesi di scuola.-
Mi sentii
tremendamente sollevata, ero felice
che il primo ragazzo che incontravo non fosse uno di quegli stupidi
provinciali
di Forks, che erano nati a Forks e che per loro fare un viaggio
significava
arrivare fino a Seattle e ritorno. Avevo proprio bisogno di qualcuno
che fosse
totalmente fuori dal mio mondo, in tutti i sensi.
-Che anno
frequenti?- chiesi curiosa.
-Il terzo.-
-Come me- risposi
sorridendo.
La campanella
suonò e tutti i ragazzi che
erano rimasti in cortile cominciarono ad entrare
nell’edificio. Parlare con Richard
era piacevole, non mi ero neanche resa conto che fosse passato tutto
quel
tempo. Era bello chiacchierare con qualcuno che non sapesse chi fossi
in realtà
e che non aveva paura che mi potessi rompere da un momento
all’altro.
-Io vado in classe
altrimenti il professor Banner mi
farà una delle sue ramanzine. Sai raggiungere la segreteria
da sola?-
-Sì, non
credo che dovrei avere problemi-
risposi trattenendomi dal ridere. Mio padre mi aveva portata a scuola
nelle
notti precedenti e mi aveva mostrato tutte le aule e gli edifici,
praticamente
la conoscevo meglio di casa mia.
-Ci vediamo, allora-
dissi io con un gesto
della mano e cominciando a camminare.
-Nessie- mi
chiamò lui.
Mi voltai curiosa e
lui mi stava sorridendo
appoggiato alla mia macchina mentre posava una mano sulla maniglia
dello
sportello e lo apriva.
-Per quanto Forks
possa essere tranquilla come
cittadina, faresti meglio a chiuderla a chiave.-
Accidenti! Addio al
mio brillante piano per
liberarmi di quell’impiccio di auto.
Mia madre mi aveva
parlato della segretaria la
signora Cope, ma sinceramente non me l’ero mai immaginata
così strana. Appena
mi vide per poco non cadde in adorazione, nonostante non fossi una
vampira vera
sembrava un’umana piuttosto soggetta alla razza della mia
famiglia.
-Signorina Cullen-
disse lei con voce
squillante ed eccitata. –Ti stavamo aspettando tutti.-
Annuii stupita
mentre quella donna mi porgeva
il mio orario.
-Fai firmare questo
foglio da tutti i
professori che hai oggi e poi riportamelo alla fine delle lezioni- la
sua voce
era sempre più ammirata, cominciava a darmi seriamente sui
nervi.
-Certo- risposi un
po’ seccata.
-E’
davvero incredibile quanto somigli a tuo
zio Edward, però gli occhi sembrano quelli di…-
-Ho gli occhi di mia
madre- risposi in fretta.
-Sì,
certo… Avrei dovuto capirlo.-
Uscii dalla
segreteria il più velocemente
possibile. Sapevo cosa stava pensando quella donna: che avevo gli
stessi occhi
di Isabella Swan, ma questo non avrebbe potuto essere vero
perché io e Bella
non avremmo dovuto essere parenti. Ecco perché avrei sempre
dovuto rispondere
che avevo gli occhi di mia madre- che poi non era una bugia-, nessuno
l’aveva
mai vista quindi era possibile che gli occhi di mia madre fossero
simili a
quelli di Bella.
Guardai
l’orario. Alla prima ora avevo
biologia.
Sorrisi a quel
pensiero. La materia coatta, la
colpevole di tutto. Era stata durante un’ora di biologia
tenuta in quella
scuola e dallo stesso professore che c’era adesso che aveva
consentito ai miei
genitori di conoscersi meglio e di innamorarsi, anche se io ero del
parere che
i miei si sarebbero innamorati comunque, quei due erano peggio di una
calamita
con una lastra di ferro, non riuscivano a stare lontani un secondo. A
volte il
loro comportamento tendeva ad essere proprio imbarazzante, non che mi
infastidisse, ma ogni tanto potevano darsela una regolata. Ormai
cercavo di
passare quanto più tempo possibile a casa di nonno Carlisle
per lasciare i miei
soli, mi sentivo sfrattata da casa mia.
Cominciavo a pensare
che volessero battere il
record di zio Em e zia Rose, infondo sette anni li avevano raggiunti
senza
problemi, ne mancavano solo altri tre… Però avevo
la sensazione che per loro
sarebbero stati molto più di dieci anni, checché
ne dicesse lo zio Emmet.
Arrivata davanti
all’aula di biologia bussai
timorosa, il cuore mi batteva forte. Avevo paura di come sarebbero
andati quei
due anni al liceo, ma avevo ancora più paura di fare qualche
casino facendo
scoprire a tutti chi ero, e costringendo la mia famiglia a fuggire il
più
lontano possibile.
Okay, stavo
cominciando ad esagerare. Non
potevo permettere al mio solito pessimismo di avere la meglio,
accidenti ai
geni disfattisti di mia madre! Ma da umana non poteva essere un
po’ meno
imbranata e sfortunata?
Qualcuno da dentro
mi invitò ad entrare. Aprii
la porta e fissai subito il mio sguardo sul professore, avevo troppa
paura di
guardare gli altri.
-Ah, tu devi essere
Renesmee Cullen…- disse il
professor Banner con un sorriso.
-Nessie- risposi
annuendo.
-La stessa
puntigliosità di tua zia Bella nel
precisare i nomi a quanto vedo.-
E ti pareva che mia
madre non si dovesse far
riconoscere sempre. Chissà quante storie aveva fatto quando
era appena arrivata
e tutti la chiamavano Isabella invece di Bella.
“Probabilmente
le stesse che sto facendo io”,
pensai divertita.
Porsi il foglio da
firmare al professore e
quando me lo restituì disse:
-Bene, puoi sederti
accanto al signor Custer.-
Spalancai gli occhi
nel sentire quel nome.
Richard.
Mi voltai di scatto
verso i banchi e lo vidi.
Era l’unico seduto da solo e mi sorrideva contento, lo stesso
sorriso
amichevole che aveva sfoderato nel parcheggio. Quel ragazzo cominciava
a starmi
davvero simpatico.
Gli sorrisi di
rimando e con calma andai a
sedermi al suo fianco.
-Che strana
cosa…- disse il professore
guardando nella nostra direzione. –Voi due mi date una
bizzarra sensazione di
déjà vù.-
Ma va? E che cosa
mai gli staremo ricordando?
-I tuoi zii si sono
conosciuti nello stesso
identico modo, signorina Cullen- concluse il professore con sguardo
divertito.
Non
l’avrei mai pensato che in quella faccenda
c’entrassero i miei... Okay, pensiero ironico. Sapevo
perfettamente come si erano
conosciuti i miei genitori e sapevo altrettanto bene che la situazione
che
stavo vivendo ricordava in modo impressionante quel momento.
Ma… Mi voltai a
guardare Richard che mi sorrise di nuovo. No… Ricordavo come
mia madre aveva
descritto i sentimenti che aveva provato per mio padre non appena lo
aveva
visto e Richard non scatenava niente del genere in me, ma solo simpatia
e
amicizia. Infondo il destino non agiva mai due volte nello stesso modo.
Poi una ventata
improvvisa arrivò da una delle
finestre che non era stata chiusa bene e l’odore di Richard
mi investì. Fu una
sensazione strana e completamente nuova quella che provai. Il suo odore
era
umano ma aveva un qualcosa di diverso, di dolce e familiare come se lo
avessi
già sentito e il mio cervello ne avesse registrato il
ricordo. Non era odore di
cibo come quello degli altri umani, ma non era neanche simile a quello
dei
vampiri e dei licantropi. Era diverso, ma piacevole.
-Pretende i libri,
oggi parleremo delle
proteine- il professor Banner aveva cominciato la lezione e iniziai a
far finta
di prendere appunti mentre il pensiero dell’odore di Richard
scivolava via
dalla mia mente, infondo era solo un umano che odorava in modo diverso,
niente
di cui preoccuparsi.
Conoscevo le
proteine così bene che per poco
non mi misi a parlare io al posto del professore.
Mio padre mi aveva
avvertito che le lezioni
sarebbero state noiose per una come me che sapeva già tutto
quello che si
poteva imparare in un normale liceo e forse anche in un college, ma non
pensavo
che la noia sarebbe stata così pesante.
Ad un tratto sentii
il mignolo di Richard
picchiettare sul mio braccio mentre mi infilava un foglio sotto la
mano. Lo
presi e lo lessi, aveva una grafia molto ordinata, quasi quanto la mia.
Ti
va una partita a
tris? ^_-
Aggrottai la fronte.
Mi sarebbe piaciuto
lasciar perdere quella lezione noiosa, ma non potevo permettere che
Richard
fosse così negligente. Scrissi la risposta.
Il
professore sta
spiegando, dovremmo stare attenti
Lui
lesse, scrisse velocemente qualcosa e mi ripasso il foglio.
Queste
cose le so già, e anche tu a giudicare da
quello che hai scritto sui tuoi appunti. Banner sta spiegando ancora la
struttura secondaria.^-^
Sussultai e guardai
il foglio dove fino a poco
prima stavo fingendo di prendere appunti. Senza accorgermene ero
arrivata alla
struttura quaternaria con tanto di struttura dell’emoglobina.
Mi voltai verso
Richard e lui mi sorrise
ancora. Era un sorriso che non avevo mai visto di lui, sembrava furbo e
birichino come quello di bimbo che non vede l’ora di
infrangere le regole. Per
una volta qualcuno mi stava chiedendo di infrangere le regole e io
volevo
seguirlo.
Così i
successivi venti minuti li passammo a
giocare a tris. Avevamo fatto diverse partite e io ero in vantaggio di
due.
A un certo punto il
professor Banner mi fece
anche una domanda, ma il mio cervello era abbastanza grande per seguire
la
lezione e per giocare a tris contemporaneamente, così non mi
fu difficile
rispondere.
L’ora
successiva avevo inglese e quella dopo
matematica. In nessuno di questi due corsi c’era Richard
perciò cominciai a
conoscere anche altra gente. Due ragazzi per la precisione. Ad inglese
mi ero
seduta accanto a Sophia Jefferson, una ragazza molto simpatica ma non
troppo
esuberante. Scoprimmo di avere molte cose in comune come
l’amore per la
letteratura e i libri, ma soprattutto la voglia di viaggiare e visitare
posti
nuovi. Era la classica ragazza per bene che prestava il suo aiuto non
appena ne
aveva l’occasione. Diventammo subito amiche.
Durante
l’ora di matematica, invece, conobbi Lance
Norton. Un ragazzo tranquillo e riservato, forse anche troppo. Con un
viso
dolcissimo che ricordava quello di un bambino. Anche lui era simpatico
infondo
e ci trovammo in sintonia senza bisogno di troppe parole.
A pranzo, mi diressi
verso la mensa insieme a
Richard. Gli raccontai dei ragazzi con cui avevo fatto amicizia e lui
mi disse
che erano anche suoi amici Arrivati nella grande sala vidi Sophia e
Lance
seduti allo stesso tavolo, mi venne spontaneo andare da loro. Poi mi
sorse una
domanda.
-Toglimi una
curiosità- dissi a Richard. –Quei
due stanno insieme?-
-Sophia e Lance?-
Annuii curiosa.
-Ufficialmente no-
rispose lui sorridendo. –Ma
sono amici da quando erano piccoli, abitano affianco e stanno sempre
insieme.
Se non sono innamorati l’uno dell’altra ci manca
davvero poco. Per quanto ho
capito o si metteranno insieme oppure si uccideranno a vicenda.-
Non capii cosa aveva
voluto dire con
quell’ultima frase, ma dovevo ammettere che insieme erano
proprio carini.
Richard ed io ci
sedemmo al loro tavolo e
cominciammo a chiacchierare. Era incredibile come era stato facile
inserirsi, e
trovare degli amici.
-Allora, Nessie-
disse Sophia. –Da dove
vieni?-
-Non lo sapete
già?- chiesi divertita.
–Credevo che Forks fosse famosa per la velocità
con cui viaggiano le notizie.-
Sophia rise.
-In genere
è così, ma su di te le voci sono
discordanti.-
-In che senso?-
Fu Richard a
rispondere.
-Alcune dicono che
vieni da Seattle, altra da
New York, altra ancora dall’Alaska…-
Non avevo mai
sentito niente di così assurdo.
-Non ne avete
azzeccata una- risposi
sorridendo. –Vengo da Denver.-
Città
molto simile per il clima a Forks anche
se non pioveva così tanto, perciò il mio pallore
poteva essere largamente
giustificato.
-Ah, lo stato del
Colorado- disse Richard. –Fa
freddo quanto qui a Denver?-
-Più o
meno. Però credo che qui sia più
umido.-
-Com’era
la tua vecchia scuola? Avevi molti
amici?- mi chiese Sophia curiosa.
-Oh…
be’…- Questa era la domanda che temevo
più di tutte. Non ero mai stata in un’altra scuola
e non avevo mai avuto altri
amici oltre alla mia famiglia e ai licantropi, perciò dovevo
mentire, tanto per
cambiare.
-La scuola era come
questa solo più grande e
non è che avessi degli amici là. Più
che altro conoscenti.-
-Davvero?- chiese
Sophia sorpresa. –Eppure sei
una ragazza così bella, non sai che occhiate ti hanno
lanciato i giocatori
della squadra di nuoto, io pagherei per essere guardata
così.-
-Ah sì?-
era stato Lance a parlare. Era la
prima volta che parlava da quando avevamo cominciato ci eravamo messi a
conversare.
-Lance, li hai
visti? Quelli sono dei ragazzi
stratosferici… L’ho detto e lo ripeto: pagherei
per essere guardata da loro in
quel modo.-
Lance la
fissò in modo strano, e capii subito
che doveva essere geloso alla follia.
-Fa come ti pare-
disse infine riprendendo a
bere la sua bibita.
Sophia socchiuse gli
occhi e lo guardò
irritata, mentre io lanciavo un’occhiata a Richard. Adesso
avevo capito cosa
voleva dire quando aveva detto che mancava poco perché si
mettessero insieme o
si uccidessero a vicenda. Gelosi com’erano.
Salutai i miei nuovi
amici e mi diressi verso
la mia auto con ancora la felicità dentro il cuore. Ero
stata davvero fortunata.
Richard era simpatico, Sophia meravigliosa, e Lance…
discreto. Non avrei potuto
desiderare di meglio.
Stavo per entrare in
macchina quando sentii
qualcuno arrivarmi alle spalle, mi volta di scatto.
Era un ragazzo e
stava a pochi centimetri da
me. Non mi sembrava di averlo mai visto ma aveva l’aria di
uno in cerca di
guai.
-Ciao, dolcezza-
disse con voce adulatoria.
“Partiamo
male, amico” pensai scocciata, non
avrei permesso a nessuno di chiamarmi dolcezza con quel tono. Respirai
e cercai
di mettermi in testa che nel caso avessi dovuto picchiarlo dovevo
trattenere la
mia forza altrimenti lo avrei fatto fuori senza sforzo.
-Ti serve qualcosa?-
chiesi cercando di
fulminarlo con lo sguardo.
-Mi chiedevo se mi
daresti il tuo numero, sai
mi ha colpito molto la tua bellezza- mi sorrise compiaciuto
squadrandomi come
un puma con la sua preda.
Aggrottai la fronte
e mi voltai verso la
macchina per aprire lo sportello.
-Mi dispiace ma non
sono interessata…- “ai
tipi boriosi e tronfi come te” avrei voluto aggiungere, ma mi
trattenni.
-Ehi, bella! Io sono
il capitano della squadra
di nuoto e non accetto che una mocciosetta mi si rivolga in questo
modo. Voglio
uscire con te, e tu accetterai!-
Mi mise una mano
sulla spalla per voltarmi e
io stavo per mettermi a gridargli contro qualche frase poco carina
quando
sentii un’altra voce sostituirsi alla mia.
-A me sembrava che
la signorina fosse stata
abbastanza chiara: non è interessata.-
Jacob!
Mi voltai e i miei
occhi incontrarono quelli
caldi e familiari del mio migliore amico. Come al solito dovetti
piegare le
testa verso l’alto per guardarlo negli occhi, il mio scarso
metro e
settantacinque non poteva nulla contro i suoi due metri e oltre.
-E tu chi sei? Il
suo ragazzo?- chiese il
ragazzo borioso con tono di sfida. Anche lui era grosso e ben piazzato
ma non
era paragonabile a Jacob.
-Io sono quello che
ti farà un mazzo così se
non ti dilegui all’istante- sibilò con tono
irritato, mentre uno strano ringhio
gli risuonava in gola.
Il ragazzo borioso
doveva aver fiutato il
pericolo perché corse via alla velocità della
luce.
-Poverino- dissi
guardandolo andare via. –Lo
avrai spaventato a morte.-
-Se
l’è meritato- ribatté lui ancora
irritato.
-Solo
perché stava apprezzando una splendida e
meravigliosa ragazza?- chiesi con voce innocente e divertita.
-No,
perché stava apprezzando una ragazza
fuori dalla sua portata.-
Alzai un
sopracciglio scettica. Avevo la
sensazione che sia per Jake che per mio padre io non sarei mai stata
alla
portata di nessuno.
-Comunque me la
potevo vedere da sola.-
-Lo so, è
per questo che sono intervenuto. Non
sei molto brava a regolare la forza in combattimento, quel poverino ne
sarebbe
uscito tutto rotto.-
Ci fissammo per un
attimo: io fingendomi
offesa, e lui arrabbiato. Poi scoppiammo a ridere contenti.
-Così tuo
padre ti ha regalato una scatoletta
di sardine…- disse indicando la mia Smart.
Arricciai il naso.
-Non ti piace, eh-
continuò Jacob capendo al
volo.
-La trovo
bellissima, ma non adatta alla
scuola. Mio padre esagera sempre. Avevo addirittura pensato a un piano
per
farmela rubare.-
Jacob si mise a
ridere.
-Te ne comprerebbe
una ancora più
appariscente.-
-Dici?- chiesi
incrociando le braccia e
riflettendoci un attimo su. Sì, mio padre sarebbe stato
capace di farlo.
-Vieni a La Push?-
chiese Jacob mentre mi riprendevo dalle
mie riflessioni. –Oggi il mare è calmo e potremmo
fare il bagno. Ci saranno
anche Quil e Claire.-
I miei occhi si
illuminarono. Adoravo fare il
bagno a La
Push
e adoravo la piccola Claire.
-E me lo chiedi
anche… Certo che ci vengo. I
miei li chiamo da casa tua.-
-Come al solito-
disse Jake divertito.
Risi. Era il mio
piano di sempre. Avvisavo i
miei genitori che avrei passato qualche ora a La Push
quando ero già a La Push così non
avrebbero
potuto dire di no, e di certo non potevano arrivare
all’improvviso e
trascinarmi via.
-Andiamo?- dissi
entrando in macchina.
-Ti seguo attraverso
il bosco- rispose Jake
lanciando un’occhiata risentita alla mia scatoletta di
sardine.
-A chi arriva
prima?- chiesi con sguardo di
sfida.
-Certo, tanto guidi
come una lumaca- mi istigò
lui.
-Vedremo.-
Partimmo
verso una nuova avventura, una delle
nostre avventure che tanto amavo e che tanto mi avevano donato nella
mia breve
vita. Cominciavo una nuova vita ma sapevo che le emozioni con Jake non
sarebbero mai cambiate.
***L'Autrice***
Probabilmente vi starete
chiedendo perchè ho deciso di torturarvi con questa storia
orribile che non piacerebbe neanche a un masochista... Be'
l'ispirazione mi ha colpita all'improvviso e ho deciso di mettere per
iscritto le mie idee, il capitolo che avete appena letto è
il risultato di questo mio colpo di testa.
Innanzi
tutto, vi comunico che questo è solo l'inizio e che
cercherò di postare almeno un capitolo a settimana (impegni
scolastici permettendo). Poi questa sarà una Nessie/Jake
perciò cercherò di inserirci una buona dose di
romanticismo, coinvolgimento e passione, ma non mancheranno i momenti
di suspence e intrigo... Insomma ho intenzione di mantermi il
più vicina possibile alle opere della fantastica Stephenie
per quanto riguarda l'atmosfera che intendo dare a questa storia.
Perchè
Sunbeam? E' possibile che qualcuno di voi stia seguendo Jacob's Sunbeam
l'altra mia storia Nessie/Jake e che abbia pensato che la mia fantasia
per i titoli lasci proprio a desiderare... In realtà ho
deciso di lasciare questa parola, Sunbeam (raggio di sole), proprio
perchè da quando ho letto Breaking Dawn sono fermamente
convinta che Nessie sia stata una boccata d'aria fresca per Jacob, un
raggio di sole nel momento oscuro che stava vivendo a causa di Bella.
Per questo ho deciso di usare Sunbeam come titolo anche di questa
storia.
Comunque
spero che alla fin fine questo capitolo vi sia piaciuto e che sarete
così dolci e gentili da lasciarmi un commentino
per farmi capire se è stata la più grande
cretinata del mondo cominciare questa storia...
Ciao
Kiss!!!
Francesca
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