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di Alsha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nathaniel John Mandrake ***
Capitolo 2: *** Bartimeus Sakhr ***
Capitolo 3: *** Tolomeo Sotere ***
Capitolo 4: *** Kitty Jones ***



Capitolo 1
*** Nathaniel John Mandrake ***



EDIT 06/03/23: la storia è stata tradotta e pubblicata sul mio profilo Ao3 per la #bartpromptweek23, giorno 1 "haunted". La trovate qui!
Ne ho anche approfittato per dare una sistemata alla formattazione e ad alcune frasi, ma nulla di sconvolgente

Nonostante il glossario finale (basato su quello ufficiale del primo libro), qualche indicazione sull’ambientazione.
La serie di Lockwood and Co (leggetela, ve lo intimo, ché sta per uscire il secondo libro) si ambienta nella Londra moderna, afflitta come il resto del mondo da circa cinquant’anni dal Problema, ovvero la manifestazione sempre di fantasmi (o Visitatori). A contrastarli ci sono le cosiddette “Agenzie Metapsichiche” dove i giovani dotati di Talento (la capacità di percepire le Manifestazioni di fantasmi) lavorano per individuare le Sorgenti (ciò a cui lo spirito è legato) e distruggerle.
Eccetto rari casi, solo i giovani (io ho alzato l’età di fino ai 22-23 anni per avere più ampio range delle età) possiedono questi Talenti che svaniscono gradualmente.
Questo, in generale, è tutto ciò che vi serve sapere.
Per altre domande, curiosità, eccetera eccetera ho un blog su tumblr e non ho paura di usarlo.


 
 
SALDO E SICURO
 
-di Nathaniel John Mandrake, che era solo un bambino voleva illustrare i libri di fiabe-
 
 
Raccolse i riccioli scuri in una coda scompigliata, tirò su le maniche della camicia, e imbracciò la ramazza.
 
Aveva spostato scatoloni e mobili in giardino e li aveva coperti con i teli da imbianchino che aveva comprato con poche sterline al negozio all’angolo, facendo tutto da solo anche se lui non era tra i più atletici ed era già metà dicembre.
 
Ma era casa sua, e non ci tornava da dodici anni almeno, era un suo dovere farlo.
 
 
Prima dei sei anni, Nathaniel non ricordava che poche cose.
 
Il profumo degli abbracci di sua mamma, il dolore di quando era caduto con la bici e si era fatto male, il mondo visto dall’alto delle spalle di suo padre.
 
E il fantasma.
 
Oh, quello era il più nitido di tutti.
 
Enorme, verde lucido, protendeva braccia lunghe e scheletriche, prive di carne fino al gomito, il volto dilatato in una smorfia di dolore estremo.
 
E i suoi genitori, illuminati dalla luce sovrannaturale della presenza, stretti vicini, paralizzati dal terrore.
 
Era scappato in lacrime nella sua stanza, si era chiuso nell’armadio con le maniglie di ferro stringendo un cuscino ed era rimasto lì a tremare fino a mattina. Lo avevano trovato dei clienti dei suoi genitori, venuti per una consulenza in quella villetta sbilenca a Portland Row, come avevano trovato i cadaveri gonfi e tumefatti dei suoi genitori nello studiolo accanto all’entrata.
 
Da quel momento in avanti non ricordava poi molto, brandelli confusi di interrogatori, di tazze di the caldo e di parole gentili sussurrate con poca convinzione.
 
Ah, e gli zii.
 
Martha e Arthur Underwood erano apparsi nella sua vita per la prima volta grazie a quella disgrazia.
 
 
– Solleva di più il braccio! Dannazione, impugnalo bene, saldamente! Cos’hai attaccato alle ossa, budino?
 
Il bastone di legno consunto picchiò violentemente sul parquet, e per lo spavento Nathaniel quasi perse la presa sullo stocco che finalmente, dopo aver compiuto otto anni, aveva la possibilità di usare.
 
Arthur Underwood era stato uno dei primi Agenti ai tempi in cui il Problema non era ancora una realtà di vita, ci si era guadagnato il successo, spargendo limatura di ferro e lanciando retini d’argento su presunte Sorgenti.
 
Il suo breve periodo di gloria si era però spento miseramente quando aveva compiuto ventitre anni, e i suoi talenti erano svaniti quasi di colpo.
 
Ma ora aveva una seconda opportunità per riscattarsi da una vita passata a far l’impiegato, e questa opportunità era Nathaniel John Mandrake con il suo formidabile Udito.
 
– Caro, non ti pare di esagerare? – Martha Undewood fece il suo glorioso ingresso portando con sé il profumo di biscotti che ormai impregnava i capelli corti e gli abiti color pastello. Era i prototipo di mamma e nonna ideale, ma non aveva  mai avuto figli suoi da deliziare di quella naturale dolcezza, che però era stata la manna del nipote e dell’unico pronipote, Nathaniel.
 
– Non sia mai! – ribatté feroce Arthur - Domani abbiamo il nostro primo cliente, il ragazzo non è ancora pronto!
 
– Cosa?! Cliente?! – Nathaniel a quel punto sapeva cosa fare: si allontanò rapidamente dai due contendenti, portandosi accanto alla porta. Nonostante la signora Underwood fosse sempre pacata e gentile, l’aveva più volte vista prendere fuoco quando si trattava di scelte educative nei suoi confronti.
 
– Certo! Il ragazzo deve mettere alla prova i suoi Talenti! E sta calma, è solo un Bussa-sassi, nulla di che.
 
– Ciò non toglie che…
 
– IL CAMPANELLO! – strillò il bambino come mai altrimenti si sarebbe permesso – Apro io! – aggiunse a voce più bassa, le buone maniere che era stato forzato ad imparare che prendevano prepotentemente il controllo.
 
Percorse il corridoio a passo leggero e veloce, fiondandosi alla porta. Sapeva già chi aveva suonato.
 
 
Rosanna Lutyens era l’incarnazione di un angelo, ne era certo.
 
Ormai da quattro anni, dopo due anni passati a studiare con il terribile signor Purcell, quella gentile e giovane donna si occupava della sua istruzione. Niente scuola pubblica, era stato deciso, sarebbe stata solo una perdita di tempo.
 
Nathaniel apprezzava l’idea dell’istitutrice privata come pochissime altre cose proposte da zio Arthur, principalmente perché lui era sveglio, dannatamente sveglio, e lo sapeva.
 
Imparava in fretta concetti che a scuola avrebbe studiato anni dopo, poteva usare il tempo come meglio credeva, e poi c’era la signorina Lutyens: gentile, calma e che non aveva la minima intenzione di porgli un freno.
 
Seduto nel suo giardinetto, sotto alla fontana di pietra coperta di muschio, si esercitava nelle lingue, nella storia e nella geografia. Per non dimenticare il disegno!
 
Perché se c’era una cosa che Nathaniel aveva scoperto di amare era disegnare e ritrarre, e con i consigli della signorina Lutyens stava diventando sempre più bravo.
 
– Quando sarò grande, voglio disegnare le copertine dei romanzi! – le aveva detto un giorno.
 
– Ci sarà tempo. Quando avrai ventidue o ventitre anni potrai sicuramente frequentare un corso di grafica e chissà… Libri, pubblicità… In quel campo se si ha talento lavoro lo si trova.
 
– Venti… tre? – aveva ribattuto perplesso – Perché così tardi? Non posso farlo subito, appena sarò grande?
 
Ricordava ancora che gli aveva carezzato i capelli, e lo aveva baciato sulla fronte.
 
– Ma adesso sei un Agente. Il tuo Talento è grande, Nathaniel, potrai aiutare molte persone liberandole dai Visitatori. Finché ti è concesso, devi farlo.
 
Un anno dopo aveva dichiarato che il corso di studi era terminato. Nathaniel aveva fatto degli esami presso un istituto, e a dodici anni e mezzo era diplomato, pronto a dedicarsi esclusivamente alla caccia ai fantasmi.
 
Mentre la sua maestra lo salutava da lontano, cercava di ripetersi che era molto più fortunato di altri, che almeno lui aveva studiato, che molti ragazzini più piccoli di lui si trovavano sbattuti per strada ad avere a che fare con manifestazioni metapsichiche.
 
Non si convinse mai.
 
 
Ci aveva messo una settimana a svuotare casa, a levare ragnatele, a ripulire, come gli aveva insegnato zia Martha, le pareti pregne di umidità con acqua e ammoniaca per disinfettare, e in altrettanto tempo aveva rimesso a posto i mobili, esattamente com’erano prima.
 
Una sola stanza non aveva avuto bisogno di essere toccata.
 
Lo studiolo dove i suoi genitori erano morti era stato svuotato tempo addietro dagli operatori del DIRICOMM e pavimentato con lastre di ferro ricoperte con un parquet nuovo. Quello vecchio era stato bruciato nei forni a magnesio, con buona parte delle cose contenute nella stanza per timore che divenissero Sorgenti e che i fantasmi dei coniugi Mandrake si manifestassero.
 
Ora Nathaniel era seduto sul pavimento della cucina, per non spostare nulla, sorbendosi il dolore atroce dei muscoli, l’ordine immacolato della stanza e quella sensazione di vuoto nella testa e nel petto.
 
Era giunto il momento di ricominciare a vivere.
 
 
La fatica e il freddo avevano ammazzato il suo positivismo.
 
La sensazione di avere migliaia di possibilità era stata solo una dolce parentesi, ora che doveva affrontare la solitudine e tutte le piccole fatiche quotidiane avevano preso l’adolescente astioso che era sempre stato e l’avevano donato nuovamente al mondo.
 
Così, sotto il nevischio che insistentemente gli gelava la faccia, con un plico di documenti sottobraccio, si allontanava dalla sede del DIRICOMM a lunghe falcate nervose, avvolto in un pastrano che schioccava nell’aria gelida.
 
Il viso nascosto nel bavero tradiva la sua il suo rinnovato stato di odio -del tutto motivato- verso il mondo.
 
Non poteva permettersi il corso di grafica, questo significava addio posto di lavoro tanto sognato come grafico pubblicitario e soprattutto al sogno di illustratore.
 
Significava che non poteva fare altro che tornare a cacciare fantasmi.
 
 
Il tavolo era ricoperto di carte e moduli, la luce dal lampadario li faceva sembrare fluorescenti.
 
Si stropicciò gli occhi, prese un sorso di the arricciando disgustato il naso per la qualità mediocre della miscela, recuperò la penna.
 
Tutta la modulazione per aprire la sua Agenzia era lì davanti a lui, e non riusciva a decidersi.
 
Underwood glielo aveva detto, che non sarebbe riuscito a sopravvivere al mondo, e lì davanti aveva il simbolo del suo fallimento.
 
Era solo, innanzi tutto, e un’Agenzia non si apre da soli, ma senza un’Agenzia già aperta non poteva avere modo di attirare qualche possibile collaboratore.
 
E poi era ormai troppo grande per essere assunto in una delle maggiori Agenzie che preferivano addestrare da soli i loro Agenti -ma grazie tante per l’aiuto zio Arthur, eh-, ma era troppo giovane per poter essere considerato affidabile, quantomeno senza un sorvegliante adulto a farlo sembrare un minimo affidabile.
 
Per un attimo, un solo attimo, pensò di tornare a casa.
 
Zia Martha non gli avrebbe negato l’ospitalità, e anche Underwood, dopo averlo debitamente rimproverato e umiliato, avrebbe potuto riprenderlo con sé, o almeno questo sperava.
 
Ma ricacciò in fretta e furia il pensiero, e, traendo forza da quell’improvvisa vergogna che provava per sé stesso, scrisse nell’unico campo vuoto.
 
Mandrake & co.
 
Semplice, di classe, gli dava potere e, soprattutto, non dipendeva in alcun modo dai futuri colleghi, che, ne era certo, sarebbero arrivati, e sarebbero arrivati i migliori.
 
Perché -al diavolo Underwood, al diavolo tutti- se non poteva disegnare avrebbe fatto ciò che gli veniva meglio.
 
Avrebbe cacciato fantasmi, e avrebbe avuto i migliori con sé, sarebbe stato il migliore.
 
Il giorno dopo consegnò al DIRICOMM i dovuti moduli, affisse due volantini sulla bacheca all’ingresso del grande complesso amministrativo.
 
Uno, più grande, ricercava clienti, e l’altro, più piccolo, collaboratori.
 
Il primo volantino fece colpo.
 
 
Respirò, piano e profondamente.
 
L’aria del cimitero era umida e fredda, ma rilassante, in un certo senso. Anche se l’odore di terra bagnata lo infastidiva profondamente, la mancanza di smog nell’aria in qualche modo lo faceva sentire bene.
 
In mezzo alle lapidi incrostate di muschio, l’unico fantasma sembrava lui.
 
Lievemente illuminato dal sole che calava oltre i palazzi, con i lunghi capelli ricci che scendevano sulle spalle, e la giacca lunga, ed elegante che oscillava nel vento, Nathaniel fissava inquieto le statue rovinate di alcune tombe, sperando di apparire forte e fiero o quantomeno etereo e sovrannaturale quanto gli spettri che stava aspettando.
 
Perché in realtà era spaventato, tanto che si sarebbe messo a tremare se solo il suo cliente non si stesse  ancora allontanando.
 
Perché era solo sul campo, per la prima volta.
 
In realtà non doveva fare nulla di che, gli avevano detto, solo rimanere tutta la notte ad osservare quali tombe emanavano residui metapsichici e, se era possibile, identificare le Sorgenti perché il giorno dopo potessero essere distrutte.
 
Un lavoro di routine, nulla più nulla meno, che un ragazzino come lui poteva svolgere anche da solo –così, almeno, dovevano aver pensato gli abitanti del quartiere quando lo avevano chiamato- e soprattutto a basso costo.
 
Ormai era quasi buio.
 
Prese  le catene, spesse cinque centimetri, l’ideale per fare un cerchio bello largo dove stare tutta la notte, e le dispose tutt’attorno con metodica precisione.
 
Spostò il borsone all’interno del cerchio, e da esso trasse un termos metallizzato. Svitato il tappo, l’aroma tiepido del the si diffuse nell’aria, inebriandolo e rilassandolo.
 
Saldo e sicuro.
 
La voce del maestro Underwood gli riecheggiò nella testa, e lui tentò di scacciarlo bevendo un sorso della bevanda calda.
 
Saldo. I fantasmi si approfittano delle tue debolezze psicologiche, tu devi essere la tua miglior difesa.
 
Suo zio tornò a salmodiare nella sua testa, mentre riponeva, un po’ più tranquillo, il termos nella borsa.
 
Sicuro. Non trascurare mai la tua attrezzatura, ti salverà la vita.
 
Appoggiò la schiena alla borsa, accanto a lui un piccolo blocco con una lucina e una penna per annotare gli avvistamenti metapsichici e lo stocco sfoderato poggiato sulle ginocchia.
 
Respirò profondamente, con il fiato che si condensava in piccole nubi nell’aria gelida, e annotò l’improvviso calo di temperatura sul foglio.
 
Questo è tutto ciò che ti serve sapere.
 
 
I fantasmi erano più d’uno, alla fine, una decina circa.
 
La maggior parte noiosi Tipi Uno, Vergini di Gelo che comparivano sfocate agli angoli del suo campo visivo, irritantissime Foschie Farfuglianti che con quelle stridule risatine lo prendevano proprio dove il suo talento lo rendeva più sensibile, e qualche Ombra, anche, che trascinavano con loro echi di urla e pianti di lutto.
 
La maggior parte, non tutti, altrimenti non vi sarebbe stato motivo per Nathaniel di starsene in piedi ad agitare il suo stocco come un retino per farfalle.
 
Davanti a lui, appena più lontano delle catene di ferro, un Ossa Nude protendeva le braccia scarne verso di lui, ignorando il ferro argentato del cerchio a terra e dello stocco.
 
Dai lembi di carne che coprivano a malapena lo scheletro del fantasma, colavano gocce rossastre di sangue, ectoplasma, che sfrigolavano al tocco del metallo.
 
Improvvisamente essersi appoggiato al capanno del custode per avere la schiena coperta non gli sembrava più una buona idea. Niente vie di fuga, se non di lato, ma rischiava di farsi toccare.
 
La lama dello stocco, bagnato nell’argento, trafisse le braccia del Visitatore, costringendolo ad indietreggiare, facendo diminuire la morsa fantasmatica sulla mente stanca di Nathaniel. Tolta la sensazione di depressione e di morte interna, il giovane Agente venne colpito improvvisamente da un pensiero: stava per morire.
 
E stava per farlo come i suoi genitori anni prima.
 
Si chiese chi avrebbe trovato il suo cadavere.
 
– LEVATI!
 
Si riscosse dal suo rassegnato torpore, sgranando gli occhi, e si tuffò di lato senza nemmeno sapere perché. Un piede gli si impigliò nelle catene e lui le trascinò con sé, poi un lampo al magnesio illuminò la notte e il sorriso digrignato di un ragazzo, fermo in mezzo al cimitero.

 
 
 


GLOSSARIO
Agenzia di Investigazione Metapsichica 
È un’impresa specializzata nel contenimento e distruzione dei fantasmi. La maggior parte delle agenzie è gestita da supervisori adulti, ma tutte fanno ampio affidamento su bambini dotati di un forte Talento metapsichico.
Argento e ferro
Sono una difesa importante e potente contro i fantasmi, costituiscono la maggior parte delle attrezzature degli Agenti (catene e stocchi).
Bussa-sassi *
 È un fantasma di Tipo Uno di interesse pateticamente scarso, che non fa un bel niente a parte picchiare colpi.
DIRICOMM 
Dipartimento di Ricerca e Contenimento Manifestazioni Metapsichiche. È un’organizzazione governativa dedita a combattere il Problema. Indaga la natura dei fantasmi, cerca di distruggere i più pericolosi e monitora le attività delle molte agenzie in competizione.
Ectoplasma 
Sostanza mutevole di cui sono costituiti i fantasmi; allo stato concentrato, è molto nocivo per gli esseri viventi.
Fantasma 
Lo spirito di una persona morta. I fantasmi sono esistiti nel corso di tutta la storia, ma – per ragioni ignote – stanno diventando un fenomeno sempre più comune (noto come il Problema). Vengono categorizzati in tre gruppi principali a seconda della pericolosità (Tipo Uno, Tipo Due, Tipo Tre). Si aggirano sempre nei pressi di una Sorgente, spesso il luogo della loro morte. Raggiungono il massimo della loro potenza con le tenebre, soprattutto fra la mezzanotte e le due del mattino. La maggior parte sono ignari dei vivi o non provano alcun interesse per loro, alcuni invece gli sono ostili in maniera attiva.
Lampo al magnesio (o Fuoco Greco)
È un’arma importante per ogni agente che affronti fantasmi aggressivi, costituita da un barattolo metallico con un tappo di vetro frangibile che contiene magnesio, ferro, sale, polvere da sparo e un dispositivo di accensione.
Morsa fantasmatica
È un pericoloso potere di cui dispongono i fantasmi di Tipo Due, probabilmente estensione dello spleen (sensazione di malinconia). Le vittime, a cui viene risucchiata ogni forza di volontà, vengono sopraffatte da una sensazione di disperazione terribile e non riescono più a muoversi liberamente. Nella maggior parte dei casi si finisce per restare come paralizzati, in impotente attesa che il fantasma scivoli implacabile sempre più vicino…
Ombra * 
È il fantasma standard di Tipo Uno, e forse il Visitatore più comune. Difettano interamente dell’intelligenza malevola di altri fantasmi e sembrano ignare della presenza dei vivi. Di solito sono legate a schemi fissi di comportamento. Proiettano sensazioni di lutto e perdita, ma raramente mostrano emozioni forti.
Ossa-nude ** 
È un raro e sgradevole tipo di fantasma che si manifesta come cadavere sanguinolento e privo di pelle, con occhi ballonzolanti nelle orbite e denti digrignati.
Udito 
È una delle tre categorie principali di Talento metapsichico. I sensitivi dotati di questa capacità sono in grado di sentire voci di morti, echi di eventi passati e altri suoni innaturali associati alle infestazioni.
Vergine di Gelo * 
Figura femminile grigia e fosca, che viene avvistata in modo poco chiaro a distanza. Irradiano potenti sensazioni di malinconia e spleen, ma raramente si avvicinano ai vivi.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Bartimeus Sakhr ***


Ultima pubblicazione pre-pausa estiva, per lasciarvi contenti. E per fare un regalo a Fauna, che se lo merita u.u
Buone vacanze a tutti!
 
EDIT 06-03-23: ho dato un'aggiustata alla formattazione e ad un paio di frasi
EDIT 08-03-23: ho postato la traduzione in inglese per la Bart prompts week 2023 - giorno tre "fright"

 
 
BOOM!
-breve introduzione alla gloriosa vita di me medesimo, Bartimeus Sakhr-
 
 
Stava calando la sera.
 
Le stelle sorgevano delicate a oriente, mentre il sole ancora tingeva il cielo con morbide pennellate rosso sangue, una lieve brezza muoveva i rami spogli degli alberi…
 
E io non avevo un dannato posto dove andare a dormire.
 
Certo, sarei potuto andare a rompere per l’ennesima volta le scatole al prof, ma non volevo passare una serata (Un’altra serata, in realtà.) a sentirmi dire che dovevo rassegnarmi e trovarmi un altro lavoro.
 
Il mio lavoro era perfetto!
 
Tra gli Agenti migliori, con la miglior Vista di tutta Londra, del tutto sprecato per quella tana di idioti della Gladstone (Che, a riprova della loro stupidità, non mi hanno tenuto con loro. Perché mi sono licenziato io, ci tengo a sottolinearlo.), senza contare la mia bellezza e il mio indiscutibile senso pratico.
 
Ma come avevo avuto modo d’imparare, bellezza e senso pratico non servono a niente con degli idioti che ti comandano, e che ritengono i tuoi Talenti inaffidabili visto che sei ormai alla soglia dei ventiquattro anni (Ventisei, adesso, mi hanno- mi SONO licenziato due anni fa.) e la maggior parte degli Agenti perde i suoi talenti verso quell’età.
 
La maggior parte, appunto! Ma figurati se quelli hanno voluto sentire ragioni.
 
Colpa di tutte le nuove normative introdotte da quell’imbecille di Deveraux, il nuovo proprietario, che da quando è subentrato al socio ha smantellato praticamente tutto il sistema ideato cinquant’anni fa da Gladstone (Pace all’anima sua, sperando che almeno lui rimanga nella sua tomba.).
 
Tornando a noi, stavo bazzicando per le strade ormai buie di Londra, bardato di tutto punto con stocco e lampi al magnesio di mia invenzione alla cintura, giubbotto di pelle pressoché disintegrato dalle mie numerose avventure e una fame che mi sarei mangiato mio fratello se solo ne avessi avuto uno (Ma non lo avevo, il che lo rendeva estremamente fortunato.). Mi aspettavo un Visitatore ad ogni angolo, pronto ad aggredirmi, per questo scivolavo sotto i lampioni antifantasma ogni qualvolta che potevo.
 
Forse era il caso di andare ad un rifugio per senzatetto, o cercare di raggiungere la casa del professore prima che arrivasse la mezzanotte e i fantasmi si riversassero in quantità per le strade, fattosta che continuai a ciondolare come l’emerito deficiente che divento se sono a corto di cibo, accodandomi con discrezione ai gruppi di bambini delle ronde notturne.
 
Provavo una certa empatia per quei bambini, dato che anche io, appena arrivato a Londra, avevo fatto parte di quei gruppi di disperati che pur di portare il cibo a casa rischiavano la vita tutte le notti per privati troppo tirchi da volere Agenti addestrati come si deve.
 
Io ero stato relativamente fortunato, quando mi avevano preso alla Gladstone nonostante l’età (Come già detto, tutto merito del senso pratico e dei miei meravigliosi occhi neri.) ma per la maggior parte le ronde notturne continuavano a trascinarsi nelle tenebre come loro solito.
 
A ben pensarci, c’era anche la baracca di Queezle sul Tamigi, dove l’acqua corrente avrebbe annullato l’effetto delle Sorgenti che giacevano sul fondo del fiume, ma era pieno inverno e l’umidità avrebbe potuto uccidermi, lì sotto.
 
Quindi, non restava che ciondolare nelle zone già disinfestate, trovare una bella panchina di ferro e sonnecchiarci fino a mattina sperando di sopravvivere. Lo avevo già fatto, era meglio di niente e tra panchina e stocco i Visitatori tendevano a starsene lontani.
 
E poi cercavo sempre luoghi in cui le emanazioni metapsichiche (chiarori di morte e Sorgenti) non c’erano. La mia Vista era tanto buona che riuscivo a passare nottate indenni senza problemi (Quasi sempre. È da ricordare una nottata di qualche anno fa, in cui mi svegliai con una Vergine di Gelo ai piedi della panchina e le emanazioni mi bruciarono la suola delle scarpe da ginnastica. Dovetti comprarne un altro paio, che mi costò un piccolo patrimonio, motivo per cui ho eletto le Vergini di Gelo mie peggiori nemiche dopo Faquarl.), ma anche il motivo per cui dovevo tenermi lontano dai cimiteri se non avevo con me i miei occhiali da sole.
 
Come in quel momento, ad esempio, in quel vecchio cimitero di quartiere, con le lapidi talmente addossate le une alle altre che sembravano brufoli sulla faccia di un adolescente e un adolescente talmente addossato al capanno del custode da sembrare muschio su una lapide.
 
Quasi lo avevo scambiato per un morto, tra tutti gli spettri che si erano aggrappati alle loro ossa nelle loro bare e quella luminosità ultraterrena che faceva brillare il camposanto come illuminato a festa, poi avevo riconosciuto lo stocco e le catene per terra.
 
Oh, e anche il fantasma che tentava di dargli un caldo abbraccio.
 
Feci una cosa stupidissima.
 
Raggiunsi la cancellata e mi tuffai oltre la grata aperta (È buona norma lasciare sempre una via di fuga all’Agente. E per quanto quel marmocchio sembrasse più uno spolverino che un Agente, aveva  rispettato questa norma base, per sua fortuna.).
 
Corsi veloce come facevo da piccolo per le strade di Baghdad dopo aver rubato qualcosa al mercato, ma qui non c’era l’odore di spezie e terra scaldata dal sole, il calore estivo sulla pelle e le vecchiette che lanciavano improperi quando, scalzo e impolverato, gli tagliavi la strada.
 
Ero a Londra, con il suo carico di spettri tristi e malinconici, l’aria umida e la brezza invernale sulla pelle.
 
E un Ossa Nude davanti a me.
 
– LEVATI!
 
Il ragazzino si riscosse, si guardò attorno senza nemmeno vedermi e poi, improvvisamente, si gettò di lato.
 
Il fuoco greco esplose sotto il  fantasma, una Deflagrazione delle mie migliori, con una combinazione di magnesio e argento che attendevo di brevettare.
 
Il contraccolpo mi spinse indietro, e scaraventò il ragazzino lontano di due metri in un groviglio di catene e stoffa. Mentre il fumo dell’ordigno si dissolveva e il magnesio continuava a brillare sul fondo del cratere nel terreno, mi si aprì sul volto un sorriso estremamente affascinante.
 
Peccato non ci fossero giornalisti sul posto, avrei fatto la mia bella figura, al contrario del marmocchio, che cercava di districarsi dalle catene e dalla sua giacca senza riuscire a guadagnare un centimetro, fissando alternatamente le manifestazioni che si dissolvevano o si allontanavano e me, che ghignavo di rimando.
 
– Che c’è, vuoi una mano?
 
 
– Sa di risciacquatura dei piatti. – sentenziai, stendendo le gambe sul divano e fissando critico la tazza di the.
 
Dalla poltrona di fronte Nathaniel mi guardava male, malissimo anzi. Il suo debito nei miei confronti gli impedì di lagnarsi.
 
Mi aveva ospitato per il resto della notte, offerto la colazione e anche concesso di farmi una doccia a casa sua, che non era poco, ma adesso non vedeva l’ora di buttarmi fuori. E io non vedevo l’ora di rimanere.
 
– Senti, ragazzo. – iniziai, diplomaticamente come mio solito – Tu gestisci un’Agezia e sei solo come un cane, io ho bisogno di lavoro e sono un ottimo Agente, quindi da oggi lavoriamo assieme. – mi alzai per andare a mettere la tazzina nel lavabo – Devo recuperare un paio di cose da un amico, ma da oggi pomeriggio mi trasferisco qui, mi farebbe piacere trovare la stanza sgombra dai tuoi peluche.
 
Io non ho dei peluche! – strillò stizzito, con il tono di voce solitamente riservato ai fischietti per cani – E che cosa ti fa credere che io abbia intenzione di assumerti?!
 
– Il fatto che ti ho salvato la vita. – sciacquai le mani nel lavabo – E che cerchi soci.
 
– Sì, ma non è detto che cerco te. – brontolò – Quali sono le tue referenze?
 
Spalancai la bocca.
 
Io dare delle referenze a te? Tu hai bisogno di me come l’acqua! Io ho lavorato per la Gladstone e per le industrie di Salomon King! Lo stesso King potrebbe riferirti grandi cose sul mio conto! Ho posto fine all’infestazione di un intero cimitero a Praga solo con uno stocco e un lampo al magnesio difettoso! E tu credi di non volermi come socio?
 
 
Non mi volle.
 
Almeno, all’inizio.
 
Mi ci vollero due settimane di stalking per convincerlo che senza di me era perso. Lo presi per esasperazione, immagino, ma quello che conta sono i fini, non i mezzi.
 
Stabilii la mia base operativa nel seminterrato, in un angolo che venne subito rifornito di barattoli di magnesio, limatura di ferro, polvere d’argento e altre cose tendenzialmente letali per i fantasmi e (in caso di esplosione) per qualsiasi altro essere vivente nei pressi.
 
Avevo causato due esplosioni accidentali nei primi tre giorni. Colpa della lavatrice che aveva iniziato a centrifugare qualche metro più in là, dato che il seminterrato (vedi anche zona allenamenti, vedi anche laboratorio e vedi anche lavanderia) era un’accozzaglia di quasi tutto quello che non stesse ai piani superiori (adibiti rispettivamente a cucina e biblioteca/salotto, camere da letto e sottotetto, per amor di precisione).
 
A quasi un mese di distanza dal nostro primo incontro, ci eravamo parlati sì e no una decina di volte, perlopiù quando cercava di cacciarmi dal giardino davanti a casa o dovevamo andare in qualche missione.
 
Il nostro regime di reciproca sopportazione, nonostante tutto, lavorava bene, le missioni finivano tendenzialmente con il compenso versato sul nostro conto corrente e con un vassoio di biscotti comprato all’angolo da quella piattola di Simpkin.
 
Per il resto, le nostre interazioni si riducevano a “passami il sale” “prenditelo”. Così, mentre Nathaniel si imboscava nei suoi libri polverosi, io me ne andavo nel mio rifugio preferito.
 
 
Suonai alla targhetta del Professor Button come avevo già fatto molte volte, e come molte altre volte mi aprì un quindicenne egiziano pelle e ossa, con i capelli ricci e corti un po’ arruffati e un maglione troppo grande per lui.
 
Rimanemmo lì a fissarci un po’.
 
– Allora, Tolomeo, mi fai entrare o no?

 
 

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Capitolo 3
*** Tolomeo Sotere ***



EDIT 06-03-23: ho aggiustato qualche frase e la formattazione
EDIT 09-03-23: ho pubblicato la traduzione in inglese per la bartpromptsweek23 - giorno 4 "Academia"

 

APOCRYPHA
 
-frammenti dalla vita di Tolomeo Sotere-
 
 
Richiuse dietro di sé la porta della sua camera, tuffandosi sul letto di pancia. Dal piano di sotto arrivavano urla e strepiti, come sempre.
 
Con un angolo del cervello si chiese se era sua zia a strappare i capelli alla sua matrigna accusandola di essere venuta a rovinare la famiglia o se erano i suoi cugini a litigare per il loro nuovo gioco della settimana. Magari era stato il suo omonimo cugino a rientrare ubriaco a casa o a fare un altro incidente in auto.
 
Importava poco, considerato che i suoi trovavano sempre un motivo per scannarsi. A suo padre non importava, costantemente al lavoro per suo zio, e a lui ancora meno.
 
Sfilò dalla tasca una cartolina spiegazzata di un panorama desertico del Texas, indirizzata alla biblioteca cittadina dove la bibliotecaria gliel'aveva tenuta da parte. Era di suo cugino Claude, che appena aveva potuto era sfuggito dalla potestà familiare ed era scappato negli Stati Uniti a studiare astronomia, la sua grande passione.
 
Non avesse avuto quindici anni sarebbe scappato, ma non poteva.
 
Per andare dove poi? L’ideale sarebbe stato Londra. I migliori centri di studi dei fenomeni metapsichici erano lì, altro che le università di economia dove volevano mandarlo i suoi genitori.
 
Non “la sua famiglia”, zii e cugini preferivano che se ne andasse ovunque volesse, Londra compresa, pur che l’azienda di famiglia venisse ereditata da uno dei loro pargoli.
 
Allora, finalmente libero dalla morsa familiare?
No? Tolomeo, mi deludi!
 
La calligrafia regolare di suo cugino lo redarguì allegramente dalla cartolina, strappandogli un sorriso malinconico a sentire le urla dal piano di sotto. Doveva essere a quello che Claude stava pensando mentre scriveva, visto che continuava:
 
Sei un ragazzo intelligente, ce la devi fare.
Ho sentito degli amici a Londra, sarebbero disposti ad ospitarti, e a darti una mano con il viaggio.
Questo qua sotto è il mio nuovo numero, chiamami appena puoi.
Tuo cugino-
 
Sotto c’era effettivamente un numero di telefono, con accanto una faccina felice.
 
Claude era l’unico normale, là dentro, finché non se n’era andato.
 
Da sotto giunse un rumore di vetri rotti. Tolomeo volse la faccia al muro, dove un poster raffigurante una foto d’epoca di William Gladstone davanti ad una villa infestata gli prometteva grandi cose, e si rese conto che Claude aveva ragione, ed era giunto il momento di dimostrarglielo.
 
Lui era intelligente.
 
Prese il telefono e chiamò dall’altra parte del mondo.

 
 

 
– Ah, quindi è così che sei arrivato qui.
 
Il ragazzo, alto e secco, con la pelle che anche alle luci bianche dei lampioni antifantasmi risultava scura, con le ombre sul viso che non nascondevano gli affilati tratti mediorientali, lo stocco alla cintura e i vestiti sdruciti e chiazzati di ectoplasma, lo aveva pescato che strillava in panico contro all’ultima corriera del giorno (che aveva irrimediabilmente perso).
 
Si era fatto crepuscolo in un attimo, e il sole era tramontato poco dopo, mentre Tolomeo studiava in preda al nervosismo una cartina di Londra per riuscire a raggiungere la casa dell’amico di suo cugino.
 
La stazione era ancora sicura, con le luci antifantasma e tutto quel ferro, ma poteva rimanere lì e se no, dove altro poteva andare? Senzatetto nella stazione e fantasmi fuori.
 
E poi era arrivato lui, che lo aveva bloccato prima che gli venisse una vera crisi di nervi. Non era fatto per quello. Tutta la tensione di una fuga da casa, tutti quei treni dalla campagna gallese a Londra, qualche sporadico passaggio da qualche vecchio amico di Claude, troppa avventura per lui che era un tipo, anzi, un topo da biblioteca e niente più.
 
Aveva vuotato il sacco dalla cartolina in avanti strappandogli più di una risata.
 
– Non te ne intendi proprio di fughe, amico. Hai commesso almeno sei o sette errori madornali. – mugugnò, masticando una gomma – Se fossero stati un minimo svegli ti avrebbero già riportato a casa.
 
– Peccato che loro non vogliono ritrovarmi. – non sembrava un vero peccato dal tono della sua voce – Piuttosto, sai come posso arrivare qui? – appoggiò un dito ossuto su un punto della cartina – Senza subire un tocco fantasmatico, intendo.
 
 
 
Il professor Button aveva l’abitudine di perdere la cognizione del tempo, mentre leggeva o frugava nella sua immensa biblioteca, per questo non ebbe alcun problema a stampellare verso la porta. Aveva perso una gamba nel corso di una missione e aveva dovuto abbandonare la carriera di Agente, ma con i suoi studi sulla metafisica era rimasto comunque un’autorità nel campo, anche se da molti era considerato un ciarlatano della peggior specie.
 
Forse poteva dare ragione ad alcuni di loro quando dicevano che ormai era un vecchio ammorbato dalla solitudine, ma non quando gli davano dello sprovveduto.
 
Il rumore sembrava abbastanza reale, ma meglio non affidarsi alle impressioni non verificabili, per questo si avvicinò allo spioncino della porta. Non c’era il vuoto che avrebbe comportato la presenza invisibile di un fantasma, ma una faccia tesa e stanca, dalla pelle ambrata e dai riccioli scuri.
 
– Chi è?
 
– Sono Tolomeo Sotere, signore. Il cugino di Claude Tolomeo Sotere. – giunse pronta la risposta.
 
Era la visita che aspettava da tempo.
 
Aprì la porta, facendo strada al ragazzino e al freddo della sera. Dietro di lui si imbucò un altro ragazzo più grande e smagrito dalla stanchezza, con uno stocco che lo qualificava come Agente.
 
– Vi dispiace se abuso della vostra ospitalità? – chiese che ormai era entrato in casa, strofinandosi le braccia per scacciare il freddo.
 
– Questo è Bartimeus. Sakhr, Bartimeus Sakhr. Un amico.
 
Tutto si aspettava meno che di essere chiamato amico da quello sgorbietto, così in fretta, dopo neanche qualche ora di camminata assieme per le vie gelide di Londra.
 
Ma se non diventi amico di uno che ti scarrozza in salvo da nugoli di Visitatori, di chi puoi diventare amico a questo mondo?
 

 

 
– Se il tuo collega è tanto interessato alla storia, – si rifiutò di definirlo “secchione” come faceva Bartimeus – perché non è venuto qui a darci una mano? Mi avrebbe fatto piacere conoscerlo. – domandò perplesso Tolomeo, inerpicato su una scaletta nell’archivio municipale.
 
– Guarisce le ferite dell’orgoglio! – ribatté sprezzante l’Agente, scandagliando gli scaffali alla ricerca dei titoli che Tolomeo gli aveva segnato – È stato picchiato da una ragazza in un vicolo, si è fatto fregare tutta l’attrezzatura. Deboluccio com’è avresti potuto picchiarlo pure tu con uno di quei tuoi libroni.
 
– Gli ha preso l’attrezzatura? Davvero? Deve trattarsi di quella Resistenza di cui tutti parlano. – sentenziò tranquillo il ragazzo, recuperando le mappe cittadine che gli servivano.
 
-Mah, fanatici anticapitalisti. Un giorno si faranno ammazzare tutti con quei loro esperimenti sugli spiriti. – sbottò scocciato Bartimeus, lasciando cadere sul tavolo i fascicoli polverosi. Lui e Nathaniel avevano bisogno di più informazioni prima di andare in missione, e lui era corso a chiedere aiuto al miglior topo di biblioteca che conoscesse.
 
– Io invece sostengo che abbiano preso un’iniziativa ammirabile, con i loro esperimenti. È ora che si capiscano i fantasmi, caro Rekhyt, non trovi.
 
– No. Sì. Eh?
 
Tolomeo continuò tranquillo a frugare tra le carte, usando i faldoni per tenere aperte le larghe mappe del catasto.
 
– Intendo dire che il Problema è un fenomeno notevole, non possiamo limitarci a eliminare i Visitatori quando si manifestano, dobbia…
 
– Quello l’ho capito, Tol. – tagliò corto l’amico – Com’è che mi hai chiamato?
 
– Rekhyt. È un soprannome. Egizio antico, significa pavoncella. L'ho trovato leggendo qualche giorno fa. – lo anticipò sullo scatto.
 
– Ma perché? – Bartimeus afferrò la sedia, sedendovisi a cavalcioni. Tolomeo lo ignorò, quegli occhi d’aquila fissi sugli incartamenti a cercare un dettaglio che potesse essere d’aiuto.
 
– Bartimeus, un soprannome è un modo per rafforzare un legame, per rendere…
 
Fu troncato da un rimbombo quando l’amico abbatté la testa sul tavolo in preda alla frustrazione. Ne rimase tanto sorpreso che smise addirittura di studiare i documenti e confrontare gli appunti forniti dall’abitante della casa infestata, per volgersi verso l’Agente.
 
– Lo so a cosa serve un soprannome. Perché la pavoncella, perché un soprannome adesso, questo mi devi spiegare! – sbottò irritato, senza suscitare reazioni che non fossero un sorrisetto evanescente sulle labbra sottili di Tolomeo.
 
– La pavoncella è il simbolo del popolo schiavo. – spiegò – Mi ha fatto pensare di quello che mi hai raccontato, Baghdad, Praga, e anche qui a Londra con la Gladstone. Ne parli come se fossi stato in catene, sai? E poi, hanno una crestina di piume tale e quale ai tuoi capelli quando non stanno a posto. – riprese a frugare tra le sue carte – Già. Qui c’è un proprietario di casa scomparso misteriosamente. Dovremmo cercare se è citato in qualche articolo di giornale, ma sono ragionevolmente sicuro che sia lui il vostro fantasma.
 
 
 
– Volevo ringraziarti. – Nathaniel era un giovane alto e magro, che si atteggiava da lord in quei suoi abiti eleganti e con la sua postura “finto rilassato” sulla poltrona del salotto -  Il tuo aiuto è stato fondamentale in quest’ultimo caso, come negli altri in cui hai fornito informazioni a Bartimeus. – lo informò compassato, mentre dalla cucina appariva Bartimeus in tuta e grembiule macchiato di un simpatico miscuglio di marmellata e limatura di ferro.
 
– Grazie Rekhyt.
 
– Di nulla, Tol. – scosse la testa appoggiando il piatto di panini sul tavolino, mentre l’amico ci passava una mano per togliere la limatura di ferro caduta sopra il pane.
 
– E grazie anche a te, Nathaniel. Mi piace dare una mano, e fare quello che mi viene bene.
 
– Oh, lo so. Per questo volevo farti un’offerta.
 
– Offerta? Che offerta? Hey cosetto, siamo soci, me ne dovevi parlare prima!
 
Mandrake si voltò piano con ostentata minacciosità, tanto piano che Tolomeo fece in tempo a prendere e ripulire un altro panino prima che l’Agente iniziasse a parlare.
 
– Sono sicuro che approverai. – si girò, questa volta a velocità normale, verso Tolomeo e sorrise, un sorrisetto lieve e pianificato – Quando ho fondato questa Agenzia, volevo che diventasse la migliore. E per questo ho bisogno dei collaboratori migliori.
 
– Stai dicendo che io sono tra i migliori? – ammiccò Bartimeus, con uno sbafo di marmellata rossa su uno zigomo, facendo ridacchiare Tolomeo.
 
– Zitto. Dicevo. Ho bisogno dei collaboratori migliori. E tu, Tolomeo Sotere, sei tra i migliori.
 
Probabilmente Bartimeus si strozzò con il suo panino, ma Tolomeo non se ne accorse perché troppo impegnato a giocarsi la salute con un colpo apoplettico. Un Agente, lui?!
 
– Ma, - obiettò timidamente – io non ho nessun Talento. Davvero, la mia percezione dei Visitatori è pari a quella di un adulto medio. Non vi sarei di alcun aiuto sul campo.
 
– Per trovare aiuto sul campo si fa sempre in tempo. – inclinò la testa di lato, e i capelli lunghi e scuri scivolarono in una buffa onda sul suo viso pallido – Prenditi pure il tempo che vuoi per accettare.
 
– Accetto.
 
Le sue parole anticiparono il suo cervello di diversi secondi. Quando si accorse di quello che era successo, stavano già brindando con una bibita frizzante analcolica.
 
Oh, poco male, lui adorava le bollicine.

 
 

 
Portland Row ferveva, ed era strano perché ad agitarsi erano solo Bartimeus e Nathaniel mentre lui rimaneva fermo sull’ultimo gradino della scala, e non capiva davvero come riuscissero a far sembrare quella casa un formicaio. Aveva quasi paura di intromettersi, mentre guardava i due più grandi risistemare attrezzature tribali e libri sparpagliati in giro (Nathaniel) o raccattare esplosivi sperimentali e… boxer? (Bartimeus).
 
Quando mai aveva suggerito di cercare un nuovo Agente! Certo, con il suo aiuto le missioni riuscite erano aumentate e si erano fatti una discreta clientela, per cui un po’ di aiuto serviva, però…
 
Gli ci volle più di mezz’ora a convincere i due a placarsi, se non altro perché stavano per arrivare i contendenti per il posto e rischiavano di farli scappare tutti se avessero aperto scarmigliati com’erano. Nathaniel era ricomparso con tanto di camicia dai larghi polsini e gilet nuovo solo quando aveva suonato il campanello.
 
Si divisero i compiti come prestabilito: Tolomeo aveva il compito della prima accoglienza degli sventurati, mentre i colloqui e test vari spettavano agli altri due, così il più piccolo si trovò ad affrontare umanità di ogni tipo. Alla pausa pranzo aveva deciso di odiare l’umanità con tutto il suo cuore.
 
Alle quattro lui, il mingherlino e pacifico Tolomeo Sotere, progettava una strage di massa al DIRICOMM.
 
Fu anche per questo che all’alba delle sei meno dieci, quando davano i colloqui ormai per finiti, fu Bartimeus ad aprire, e lui accorse solo in un secondo momento per trovarsi davanti una ragazza.
 
Caschetto di capelli scuri sotto il cappuccio di un parka verde tutto liso, pantaloni grigio topo pieni di tasche tenuti su da una catena in vita, a cui stava appeso con un moschettone uno stocco usurato, altre catene più sottili avvolte ai polsi a mo’ di gioiello o, forse, di protezione e anfibi pesanti chiazzati di ectoplasma e borsone in spalla.
 
Li guardò, e Tolomeo decise istintivamente che la ragazza gli piaceva. Aveva un’aria forte, energica, determinata, e da come si presentava sembrava anche preparata. Il tipo di persona che deve rendere conto solo a sé stessa.
 
– È qui il colloquio? – gli chiese.
 
– Sì, entra pure.
 
 

 
 
NOTE:
-Il brano fa riferimento all’unico testo che nella serie rimane di Tolomeo: gli Apocrypha. Essendone rimasti pochi frammenti, ho strutturato per frammenti anche la one shot, e di conseguenza ho scelto il titolo.
-Ora, ho sempre trovato un’analogia micidiale tra Tolomeo e l’astronomo greco Claudio Tolomeo, vissuto ad Alessandria e famoso per le sue teorie sui cieli. Quindi, il cugino di Tolomeo si chiama Claude e studia astronomia. Accettatelo.
-Mi scuso per la lunga assenza, ma questa one shot non mi convinceva moltissimo. Poi ieri sera ho incominciato The creeping shadow, il quarto di L&C, mi ha preso il fervore, ho aggiustato la storia per quanto potevo e adesso ve la sto pubblicando.
-Sono anche su tumblr!

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Capitolo 4
*** Kitty Jones ***


EDIT 06-03-23: ho aggiustato la formattazione

INCUBO
 
-Kitty non sogna più-
 
 
La tomba di Honorius, umida coperta di muffa, è davanti a lei. Improvvisamente fa buio, non è più sola.
 
Pennyfeather, Annie, Fred… Stocchi alzati.
 
Uno scheletro evanescente, con le braccia tese, e lo spleen. Le lacrime le colano sul viso e il respiro si fa pesante con le sue membra.
 
Corre indietro, per i corridoi bui del cimitero, con le catene e lo stocco che sbattono.
 
Inciampa nel corpo riverso a terra, e li vede tutti, i suoi compagni della Resistenza. Gonfi, tumefatti, manichini violacei riversi a terra.
 
Ossa protese verso di lei, toccano la sua pelle ma non la uccidono. Sfrigolano come se stessero toccando l’argento più puro.
 
La mandibola di Honorius si scardina e si ingigantisce fino a occupare tutta la sua visuale. Il teschio la inghiotte.
 
 
Lasciò scivolare lo stocco nell’asola formata dal moschettone che le teneva la leggera catena d’acciaio in vita, e l’elsa ci si bloccò con un solido “clunk”. Con il piede, aggiustò una mattonella perché tornasse nel suo incavo a formare la linea protettiva attorno alla casa, e suonò il campanello.
 
– Ce n’è un’altra! – la porta si aprì, e ne sbucò un ragazzo sui ventiquattro, venticinque anni, occhi seri da vecchio e sorriso luminoso da bambino. Decise subito che la irritava, così, a pelle. Di solito quando sceglieva così sceglieva bene.
 
Sopraggiunse un altro ragazzo, mingherlino, basso, non poteva avere più di quindici anni, ma sembrava serio ed affidabile.
 
– È qui il colloquio? – gli chiese, ignorando il primo.
 
– Sì, entra pure.
 
E lei entrò, mentre i due le richiudevano la porta alle spalle. Fece qualche passo, poi si fermò incuriosita da un testo che le sembrava di aver già visto nella biblioteca del professore, e i due si fermarono dietro di lei a rispettosa distanza. Una voce (il ragazzo più grande) bisbigliò qualcosa. Riprese, e dopo un paio di passi si fermò, e così i due ospiti.
 
– Ebbene? – chiese Kitty – Il colloquio?
 
– Oh, beh, certo, seguimi. – il più piccolo fece strada nel corridoio, mentre il più grande la seguiva dietro; ne avvertiva gli occhi puntati sulla schiena – Io, comunque, mi chiamo Tolomeo. Piacere di conoscerti. Lui è Bartimeus. – il ragazzo alto grugnì – E tu sei…
 
– Kathleen Jones, piacere.
 
Non fu un piacere.
 
 
Le divise sono troppo grandi. Gli stocchi troppo pesanti.
 
Jakob cammina in silenzio, mezzo passo più avanti. Può vederne i riccioli scuri, e la schiena nel buio assoluto.
 
Il corridoio sembra incavarsi su sé stesso, e il fantasma è lì quando un momento prima non c’era, protende le mani e urla ma non si sente nulla.
 
Jakob cade a terra con la faccia gonfia. Il fantasma fa per avvicinarsi ma non la tocca, e il corpo di Jakob è pesante, impigliato nelle catene del cerchio protettivo, e la faccia slavata del supervisore Tallow la sovrasta, poi un’ustione violacea la copre e c’è Jakob che la guarda dall’alto in basso, con l’occhio cieco semi aperto e striature color cenere sul volto.
 
“È colpa tua”
 
 
– Kitty, c’è qualcuno per te! – la voce del professor Button risuonò dalle scale.
 
Nel salotto, tra polverose pile di libri, Tolomeo sorseggiava una tisana e Bartimeus sgranocchiava biscotti.
 
– Hai lasciato l’indirizzo con il curriculum. – disse il maggiore, agitando vagamente una mano. Il più piccolo sorrise.
 
– Abitavo qui, prima di unirmi alla Mandrake & Co. – spiegò, e poi aggiunse, innocentemente – Bart voleva parlarti.
 
E, nonostante le sue proteste, Bartimeus la trascinò su per le scale, di nuovo in camera sua. Era pulita, ordinata, e totalmente vuota.
 
– Quando Tol viveva qui era piena di poster. È un nerd, sai. Magari non l’hai notato perché ti ha distratto parlando di cose da nerd. – disse, accomodandosi sul letto come fosse a casa sua.
 
– Cosa vuoi. – non tentò nemmeno di farla sembrare una domanda. I suoi capelli sembravano un nido, indossava ancora un pigiama e molto probabilmente aveva il segno delle pieghe del cuscino sulla faccia. Voleva solo tornare a dormire e dimenticare il disastroso colloquio alla Mandrake and Co.
 
– Darti ragione.
 
Oh.
 
Questa non se l’aspettava.
 
– Mandrake è un piccolo bastardo presuntuoso. Non avrebbe dovuto trattarti così. – sorrise soddisfatto, come se fosse veramente fiero di sé. Kitty ebbe il forte impulso di picchiare anche lui.
 
– Ora te ne vai? – sospirò. Bartimeus raccolse la maglietta spiegazzata da terra e la ributtò sulla sedia da cui era caduta, poi si chinò a controllare sotto al letto.
 
– Dove sono le valige?
 
– Valige per cosa?
 
– Tu vieni con me, ovviamente.
 
 
Ogni tanto sogna i suoi genitori. Sono seduti sul divano in salotto, lei sulla poltrona.
 
La loro pelle si sgretola, i vestiti si sfilacciano. Due scheletri siedono nella luce di mezzogiorno, gli spettri parlano.
 
Ci hai deluso.
 
Poi le vengono addosso e la sua pelle d’argento non li allontana come con tutti gli altri fantasmi.
 
Muore soffocata nel suo salotto, l’eco delle voci dei suoi genitori nelle orecchie.
 
 
– Ridammi le mie cose! – ma Bartimeus aveva delle gambe lunghe e il passo svelto, e Tolomeo era piccolo e agile, mentre Kitty indossava a malapena una salopette di jeans sopra il pigiama e un paio di scarponi slacciati, non aveva fatto colazione e men che meno si era pettinata.
 
Il maggiore dei tre, che portava con sé due borsoni di cui uno in gentile prestito del signor Button, si infilò in un autobus, seguito a ruota dal più piccolo. Kitty sbuffò, saltando al volo tra le porte in chiusura.
 
– Perché? – sibilò, furibonda – Perché?
 
– Perché sei la migliore che abbiamo visto ieri e tu hai bisogno di questo lavoro tanto quanto noi abbiamo bisogno di te. – rispose Tolomeo, zittendo con un solo gesto l’altro – Per favore! – supplicò, e questo lo poteva capire, almeno un poco. Aveva  davvero bisogno di tornare in azione.
 
– E poi abbiamo bisogno di qualcuno in grado di picchiare per due volte Mandrake nella squadra.
 
Okay, qui si era persa un pezzo.
 
– Due volte? – sbottò, e Bartimeus le sventolò sotto gli occhi il suo stocco di seconda mano ridendo con tanta foga da attirare l’attenzione di una signora con delle buste della spesa.
 
Ecco perché Mandrake aveva reagito tanto male durante il colloquio. Era lui il ragazzino nel vicolo, quello stocco era suo.
 
 
Si ritrova nel bar, disoccupata e senza soldi, senza una casa, piccola e scarmigliata.
 
Il signor Pennyfeather si siede davanti a lei, al tavolino. Una cameriera serve loro due tazze ma quando beve la sua è piena di limatura d’argento.
 
È questo il trucco? – le domanda – È così che sei sopravvissuta?
 
La polvere metallica le si appiccica sulla lingua e in gola.
 
Noi siamo morti, è così che sei sopravvissuta?
 
 
Scese le scale in silenzio, alla ricerca della cucina. Aveva bisogno di qualcosa da mangiare, e di riflettere un po’. Bartimeus e Tolomeo erano fuori per un caso, ma lei non si aspettava di trovare Nathaniel intento a prepararsi un the, in vestaglia e pantofole.
 
Sullo zigomo il livido era diventato verdognolo, e aveva dei cerchi scuri attorno agli occhi, regalo della missione che la sera prima aveva compiuto da solo per non dover lavorare con lei.
 
Era la prima volta che si trovavano da soli da quando faceva parte della Mandrake and Co, e com’era prevedibile la cosa si risolse in uno stallo imbarazzato, mentre Kitty frugava tra i barattoli di limatura e le confezioni semivuote di biscotti alla ricerca di qualcosa da mangiare e Nathaniel cercava di finire il suo the senza sfiorarla, ma continuando a lanciarle occhiate fugaci.
 
Per un momento parve indeciso se dirle qualcosa, ma richiuse la bocca e cercò di aggirarla per uscire, accompagnato dal fruscio della sua vestaglia. Kitty prese una scatola di cereali, ma aprendola trovò al loro posto una busta di plastica piena di polvere di magnesio. Bartimeus. Ma che fine aveva fatto tutto il cibo in quella casa?
 
– Senti, la missione di stasera la facciamo assieme? – Nathaniel interruppe i suoi pensieri, fermo di spalle sulla soglia della cucina – Credo che sarebbe adatta ai nostri Talenti, potremmo farcela benissimo tra di noi, - sembrava quasi un’offerta di pace - sempre che tu non decida di aggredire anche i nostri clienti. – ah, ecco. Però almeno si era sforzato…?
 
– Lascerò le chiacchiere a te e ignorerò chiunque inizi a sembrare irritante. – concesse, e poi sospirò – Non mi scuserò per il colloquio, sei stato eccessivo e crudele. Ma mi dispiace per il vicolo, anche se lo stocco serviva più a me. Ora sai dirmi dove posso trovare del cibo in questa cucina?
 
– In cucina non ne troverai molto, ma nel seminterrato, tra le cose di Bartimeus…
 
Suonava un po’ come una tregua.
 
 
A un certo punto, sogna Portland Row.
 
Tolomeo è seduto sul divano, con le braccia incrociate sul petto e gli occhi chiusi. La pelle rinsecchita sembra quella di una mummia, ed è ricoperto di polvere rossa del deserto. Com’è morto? Cos’è successo?
 
La mano bruciata regge lo stocco di Nathaniel, brandelli del suo pastrano sono fusi addosso a quello che rimane delle gambe. Potrebbe essere chiunque, ma con la certezza tipica dei sogni sa che è lui.
 
Quando si volta verso la porta, la sagoma traslucida di Bartimeus vi fluttua davanti.
 
Hai visto cosa ci hai fatto? – non muove nemmeno le labbra, la voce riecheggia attorno a lei – Hai visto?
 
 
Jakob spostò appena la tazza di the dal tavolo e riprese il suo lavoro. Kitty sedeva sul suo letto, guardandolo con la coda dell’occhio mentre si affaccendava a ricucire il volume su cui stava lavorando.
 
– Non vedo quale sia il problema. – spiegò, senza nemmeno voltarsi verso l’amica – Ti stai facendo una tua vita, è giusto.
 
Dalla sua posizione, la ragazza riusciva a vedere le striature grigie del tocco fantasmatico su collo e orecchie, visto che per lavorare Jakob teneva i capelli legati.
 
– Tu però non esci nemmeno di casa. – ribatté – Ed è colpa mai se sei in queste condiz…
 
– Smettila. – quando si voltò, l’occhio cieco la fissava inespressivo da una ragnatela di pelle ingrigita, ma l’altro celava un’ombra di irritazione – Se stai cercando qualcuno che ti dica che non va bene, che dovresti continuare a martoriarti non lo troverai qui. E adesso silenzio, devo finire questo restauro.
 
Kitty avrebbe voluto rispondergli che non era così semplice, che gli incubi e i sensi di colpa erano ormai la sua vita e che l’idea di una notte (di una mattina, la notte era per il lavoro ormai, quasi non se ne rendeva conto) vuota le risultava persino più spaventosa dei suoi sogni, perché ormai li conosceva tutti.
 
Dopotutto era il suo lavoro, combattere spettri.
 
 
Entra nella cucina ancora in pigiama, i capelli arruffati.
 
Bart sta scarabocchiando delle dosi su un foglio di carta, mentre con aria assente porta alla bocca un becker di una qualche polvere rossastra prima di accorgersi che non è il suo bicchiere di succo di frutta.
 
Tolomeo ha una pila di faldoni piuttosto alta accanto a sé, all’altezza giusta per appoggiare la testa e recuperare un po’ di sonno. Gli occhiali da lettura gli sono scivolati via dal naso e il ritaglio di giornale ciondola inerte nella sua mano accanto al latte e cereali.
 
Nathaniel sta leggendo un giornale di pettegolezzi, mentre scarabocchia sulla tovaglia di carta bianca quello che potrebbe essere il ritratto di una diva della rivista.
 
È tutto a posto.
 
 
Kitty scese le scale un po’ stordita quella mattina, tanto che persino Nathaniel appena la vide entrare in cucina a caccia della colazione (pranzo, anzi, stando alle lancette dell’orologio appoggiato sopra il mobile in corridoio) si voltò per controllare di aver visto bene.
 
– Tutto bene? – domandò direttamente Tolomeo, con un vassoio di cibo e già avviato verso il seminterrato, fermandosi a fissarla – Incubo?
 
E la ragazza dovette fermarsi un attimo e fare un respiro profondo prima di rispondere.
 
– No.
 
Era la prima volta dall’incidente di Jakob.
 
Forse le cose potevano migliorare davvero.
 
 

NOTE
Questo capitolo è stato un parto, non so se il tempo che ci ho messo ad aggiornare mi ha dato via. Ho dovuto riscriverla qualche decina di volte, e spero che quest’ultima versione sia venuta sufficientemente bene da non volermi linciare.
Se volete, per la disperazione qualche tempo fa avevo pubblicato una one shot Tolkien!verse che trovate QUI
Come al solito sono disponibile a sproloqui sul mio tumblr, che trovate QUI, per il resto ci sentiamo (spero presto).
Ciao!

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