Menti disturbate

di TIZKI
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** FAMIGLIA NUMEROSA ***
Capitolo 2: *** CHEWING-GUM ***
Capitolo 3: *** BOWLING ***
Capitolo 4: *** EGIDIO ***
Capitolo 5: *** BASTARDO ***
Capitolo 6: *** POLLINE ***



Capitolo 1
*** FAMIGLIA NUMEROSA ***


In famiglia siamo in otto. Strano di questi tempi, ma a mio marito sono sempre piaciute le famiglie numerose; sarà perché lui è figlio unico, non so.
Io mi ci sono abituata, non è che la cosa all’inizio mi andasse a genio, avrei preferito avere uno o due figli al massimo e non quattro e mi sarebbe piaciuto vivere in una casa tutta mia anziché stare in quella della famiglia di lui.
Niente da dire sui miei suoceri, persone a modo e molto riservate. La casa è grande e ci si sta, ma vuoi mettere l’indipendenza?
Va be, comunque ci ho fatto l’abitudine. I nonni mi danno una mano, anzi direi che sono veramente carini. Loro si preoccupano per me e non vogliono che mi affatichi nella gestione della casa; si occupano di tutto loro. Non faccio nemmeno la spesa se non per qualche stupidaggine che si deve prendere con urgenza. La nonna è un tornado nel tenere pulito dappertutto e il nonno si occupa del giardino e di tutte le commissioni; è addirittura lui che porta e va a prendere i figli a scuola. Notare che ho una bimba all’asilo, un bimbo alle elementari, una che fa la terza media e il più grande che ha quasi finito il liceo. Due maschi e due femmine, la gioia della casa. Quando ci sono loro regna l’allegria. C’è confusione, è vero, ma quattro figli non possono stare sempre in religioso silenzio, sarebbe innaturale.
Mio marito vorrebbe che continuassimo, lui ha in mente la famiglia Breadford, ti ricordi quei telefilm degli anni settanta?
Gradirebbe una famiglia come quella: otto figli.
Io gli ho detto che per me può farseli con qualcun'altra.
Io mi fermo qui. Come si dice: getto la spugna.
Non potrei sopportare ancora più gente in casa.
La confusione non mi preoccupa e nemmeno le finanze sono un problema; grazie al cielo i miei suoceri stanno bene, anzi molto bene e mio marito porta avanti i supermercati di famiglia con ottimi profitti.
No, non sono quelli i problemi che mi angustiano; i veri problemi sono altri.
Io ormai ho le mie abitudini, i miei spazi e i miei tempi.
Sono per così dire abitudinaria. La mia vita deve seguire certe regole, me lo hanno insegnato sin da piccola. In una famiglia numerosa poi le regole dovrebbero essere messe al primo posto.
Sono anni che cerco di impostare una sorta di regolamento famigliare, un vademecum che metta ordine al caos della famiglia.
Non ci sono ancora riuscita. Credimi, di tentativi ne ho fatti parecchi.
Ad esempio: passare a chiudere tutte le finestre e le porte prima di coricarsi; cosa sempre disattesa.
Portare fuori la spazzatura e non farlo fare sempre al nonno; anche questa disattesa.
Un’ora massimo di videogiochi al giorno, si nascondono anche negli sgabuzzini per non farsi beccare, mio marito compreso.
Lavarsi le mani prima di mettersi a tavola, ecco lavarsi, questo è il problema più grande.
Al mattino tutti si fanno la doccia. Ma dico io, con ventiquattro ore disponibili al giorno, proprio tutti insieme bisogna farsi la doccia?
Non ho mai preteso niente dalla mia famiglia, li ho sempre assecondati, ma questa cosa non mi va giù, proprio no.
Ho i miei ritmi, le mie precedenze e le mie abitudini, l’ho già detto. Sono cose che porto con me sin da piccola.
Se si fa la doccia tutti insieme poi qualcuno la fa fredda quella stramaledetta doccia.
Io la doccia la devo fare al mattino e non in altri momenti, io sono stata abituata così, sin da piccola la doccia l’ho sempre fatta appena sveglia e questa situazione deve cambiare.
Sono anni che faccio la doccia ghiacciata perché nessuno mi ascolta, nessuno si preoccupa di me.
Non additatemi e non giudicatemi quindi se li ho ammazzati tutti: la doccia è un mio sacrosanto diritto.

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Capitolo 2
*** CHEWING-GUM ***


Ruminava, non masticava, lui ruminava. Con quel chewing-gum sempre in bocca; lo portava da una parte all'altra di quel forno con i denti. Io non l’ho mai visto senza una cicca in bocca. Già al mattino lo vedevi alla fermata dell’autobus che stava ruminando. Ma sua madre non gli preparava colazione? Come puoi mettere in bocca quella schifezza appena fatto colazione? Certi genitori andrebbero internati. Penso che il negoziante all'angolo dove quel cretino si comprava la droga, si fosse rifatto l’appartamento con i soldi che quello gli lasciava ogni santo giorno. Ne aveva di tutti i colori e dal tanfo che emanava di certo le misture non producevano effetti di straordinaria bellezza e bontà. Teneva la bocca semiaperta e quella poltiglia gli girava per la cavità seguendo i movimenti della mandibola. Spesso quello schifoso prendeva la cicca tra le dita e la allungava fuori dalle labbra serrandola tra i denti; faceva strisce lunghe un metro o forse più e poi se la ricacciava in gola; non si accorgeva nemmeno dello scempio che stava perpetrando. In classe a volte, quando il prof non ne poteva più, lui era costretto ad appiccicare quel bolo sotto il banco per poi riprenderselo al cambio d’ora. Aveva le dita collose, io non lo toccavo, me ne stavo a metri di distanza da lui, ma questo lo so perché mia madre udì una conversazione tra due mie compagne di classe che aveva come argomento proprio l’appiccicaticcio effetto che le sue mani trasmettevano a chi le toccava. Non era certo di compagnia, parlava poco, nemmeno durante le interrogazioni: se ne stava in disparte e ruminava. Aveva i denti, per quel poco che sono riuscito a vedere, rovinati, come consumati, erosi dal continuo lavoro. Durante le verifiche il silenzio religioso era infranto continuamente da una sorta di cic cic, tic tic, cioc cioc e da qualche scoppiettio dovuto alla gomma che diventava un palloncino per poi ricadere sul viso dello stolto. Non sentiva ragione, io non gli ho mai rivolto la parola, ma gli altri glene dicevano di tutti i colori, anche i professori penso abbiano parlato con i suoi genitori del problema, ma invano. Lui da mattina a sera masticava. Alitava menta mista a cannella, liquirizia, frutti di bosco e muschio; un impasto da poter usare come collante per le piastrelle. Aveva le labbra sempre rosse e umide, la saliva gli contornava la bocca lasciando una spessa striscia biancastra agli angoli di quel rumine sempre in azione. Non è possibile lasciare che un ragazzo si rovini a quel modo, non ho potuto farne a meno: ho preso il tagliacarte e gliel'ho ficcato in gola.

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Capitolo 3
*** BOWLING ***


Cazzo, potevo fare strike, invece mi sono fermato a venticinque. Pensate che sia stato bello? Non mi sono divertito sapete? Ho forse l’aria di chi si diverte? Ascoltatemi per favore perché non ho tempo da perdere e nemmeno voglia di parlare al vento. Fino a due anni fa eravamo rimasti in due della vecchia compagnia; ora ci sono solo io. Ci piaceva il bowling, andavamo tutti i giovedì in quello sui viali, quello che poi hanno chiuso un po’ di anni fa e ci hanno costruito quei palazzi. Ma sì quel centro residenziale con la piscina poco più avanti di qui. Voi siete giovani e il bowling non ve lo ricordate, ma là c’era proprio un bowling, non scherzo. Ci spaccavamo i polsi con quelle biglie, ma non ce ne fregava niente. Ci piaceva quel gioco ed era l’unica cosa che contava. Eravamo in sette, sempre uniti; solo uomini naturalmente: le donne ti rovinano. Quando hanno chiuso il bowling ci siamo spostati in un altro locale dove avevano quattro piste in croce e dovevi fare la fila per giocare, quindi ce ne siamo andati anche da là e per mesi abbiamo girovagato per la città alla ricerca di un posto come quello sui viali, ma niente da fare: quello sui viali era unico. Ci trovavamo bene là, forse anche perché eravamo giovani o forse perché il barista ogni tanto ci allungava delle birre sotto banco senza farsi vedere dal padrone; anche lui a volte giocava con noi; perdeva sempre però; non era un granché come giocatore. Il più bravo di tutti era Gianni detto Spritz perché ne riusciva a farsene quattro di fila per poi fare strike. Era un asso Gianni. Lui è stato l’ultimo ad andarsene. Ci eravamo fatti anche la divisa e le borse per le biglie tutte uguali. Ci facevamo chiamare gli scarburati. Maglietta rossa con le scritte blu e pantaloni lunghi attillati. Che fighi eravamo. Avevamo comprato le biglie dal grossista che riforniva il bowling. Biglie gialle fosforescenti, erano fantastiche; quando le facevi scivolare sulla pista parevano dei lampi di luce che si dirigevano a tutta velocità verso i birilli e quando li colpivano sentivi un boato che ti prendeva dentro. Cazzo quante ne abbiamo combinate insieme. Che ricordi magnifici. Pian piano se ne sono andati via tutti. Si sono sposati quegli imbecilli: l’ho sempre detto io che le donne ti fregano e loro non mi hanno dato retta; ad uno ad uno sono spariti. Pensate, dicevamo che non ci saremmo mai separati. Sempre uniti era il nostro motto. Palle, solo palle mal raccontate per giunta. Non ci avrei mai creduto di rimanere solo, solo come un cane. Anche Gianni mi ha lasciato per quella troia di Irene, la più cessa del quartiere. Gianni si è fatto fottere dalla più cessa, non c’è più religione. Lui il più grande giocatore di bowling che si riduce a scodinzolare dietro una gonnella, per dipiù cozza. Sono andati a vivere tutti nello stesso quartiere: indovinate? Il quartiere sorto sulle macerie del bowling, proprio in quei palazzi che hanno decretato la nostra fine cazzo. In sette eravamo; loro si sono sposati. Sei uomini con sei donne e hanno fatto quattordici figli cazzo. Sei più sei fa dodici, più quattordici fa ventisei. Solo venticinque ne ho ammazzati; potevo fare strike. Dove cazzo si è nascosto quel marmocchio di merda.

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Capitolo 4
*** EGIDIO ***


Ma guarda, lo vedi quello? Ha il cappotto come quello di Egidio. Sì, … proprio uguale a Egidio. Egidio, un mio amico. Abitava a Milano. Che cosa strana, sembra proprio quello. Stesso taglio, stesso colore. Le spalle sono diverse però; le sue erano più massicce. Portava una cinquantaquattro. Quella sarà una quarantotto. Se è qui, ama il teatro come lui. E anche la buona cucina vedo… Ha una patacca di sugo sulle maniche. Egidio era una persona speciale, sempre pronto ad intervenire se c’era bisogno, un grande, veramente un grande. Mi ricordo l’ultima volta che l’ho visto, eravamo alla stazione centrale, dovevamo prendere un treno per Roma, era mattina presto, non ricordo se era un giorno feriale o festivo, sicuramente faceva caldo, quindi era estate. Portava una valigia enorme legata con una specie di cintura di plastica, si sarebbe aperta senza quella striscia di plastica. Faceva una fatica titanica a sollevare quella valigia… Sai, più lo guardo e più sembra il suo… se lo vedesse Amelia rimarrebbe di sasso… scusa, ti stavo parlando di Egidio e della valigia. Insomma faceva una fatica titanica, trascinava quel parallelepipedo lungo il binario sette, no era l’otto. Io lo seguivo con la mia piccola sacca con dentro le solite due cose che mi servono. In fondo dovevamo stare via solo due o tre giorni. Lui invece si portava l’inverosimile appresso. Non si sa mai, diceva. Era una persona di poche parole Egidio; apriva bocca tre quatto volte in una giornata, quando lo faceva però era per una giusta ragione. Parlava poco, ma… non potevi non ascoltarlo quando lo faceva. Ti dicevo quindi che quel giorno alla stazione con quell’enorme valigia faceva veramente fatica, si avvicinò allora ad uno steward per chiedere informazioni su come ottenere uno di quei piccoli carrelli per portare le valigie. Lo fece in maniera garbata, come d’altronde era suo stile. Niente, quello steward non lo degnava neanche di uno sguardo, come se Egidio fosse trasparente. Vidi che si stava inquietando; non feci nulla. Più lui parlava, più lo steward non lo sentiva. Era una persona garbata Egidio, era raffinato, usava sempre un linguaggio appropriato, quella volta però andò su tutte le furie ed inveì pesantemente contro quello steward usando parole irripetibili. Ci misi un secondo, estrassi dalla sacca un piccolo cacciavite, porto sempre un cacciavite con me non si sa mai; glielo piantai in gola; morì in pochi secondi. Odio chi dice parolacce…

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Capitolo 5
*** BASTARDO ***


Sei sempre lì davanti come uno stuzzicadenti piantato nella pupilla. Un tremendo mal di testa mi stritola le meningi. Tu non ti sposti. Famelico assassino, violentatore di prostitute, azzannatore di carni putrefatte. Tutto gira, il vomito mi assale e non riesco a scrivere. Come un macigno quell'essere immondo sta di fronte a me. Pesa sulla mia coscienza, un peso enorme, un immenso volto tumefatto. Vattene via. Lo stomaco si stringe e la gola brucia corrosa dall'acido. Sputo ma non esce nulla e la cavità si inaridisce. Lui sta sempre là; mi guarda con quegli occhi acquosi e disassati. Il blu intenso del suo sguardo conficca sempre più a fondo lo stuzzicadenti dentro di me. Non fa male ma il fastidio mi esaspera. Mi madre era orgogliosa di me e amava i miei occhi. “Tu hai occhi del mare” mi diceva; di mare profondo e pulito. Sì, proprio come i tuoi, bastardo che mi fissi. Lei non ne aveva colpa, lei mi amava e quando mi teneva la mano sentivo le onde bagnarmi il petto. La testa, la testa: bastardo, ho la testa che mi scoppia e tu sei sempre lì a fissare lo stuzzicadenti che morde il cristallino e solletica la retina. Sei una merda e puzzi come la merda; non ti è bastata la lezione di ieri vedo. Parla, parla quanto vuoi, imitami se ti fa piacere, ma resterai sempre quel testa di cazzo che ho incrociato e non mi ha più mollato. La testa esplode e non ho più le forze di digitare su questa piccola tastiera; le braccia sono pesanti e i pensieri escono a fatica. Devo assolutamente riposarmi ma quel ghigno mi terrorizza. Che fai? Hai paura? Senti dolore anche tu? Un obbrobrio simile non dovrebbe avere il diritto di stare al mondo. Lo vuoi capire che ti odio? Ti allontani se mi allontano e ti avvicini se voglio annusarti; smettila di scimmiottare i miei movimenti. Non mi fai paura, le scimmie sono stupide e tu sei la più stupida. Sei calvo, hai la pancia e quel pisello floscio che hai in mezzo alle gambe a malapena si distingue nella foresta di peli che ti ricopre. Vestiti, vecchio clochard; copri la tua nudità e lasciami in pace, non vedi che sto scrivendo? Non mi fai paura untuoso lombrico. Ti odio con tutte le forze che ancora mi reggono. Spegnete quel ticchettio che urla e corrode il mio essere. Devo concentrami, devo scrivere, ho bisogno di scrivere. Il vomito sale e le dita tremano; non centrano i tasti e devo continuare a cancellare ciò che scrivo. Sono stanco e tu mi fai sempre più schifo. Non ho saliva, non posso sputarti e tu ridi bastardo. Hai sgozzato mia madre che ora sta facendo marcire il legno del tavolo in cucina e tieni ancora stretta quella lama insanguinata. Ti ho osservato sai? Ti ho visto mentre piantavi quell'affilato pugnale nella sua pancia e lo tiravi su fino al cuore. Gli occhi, gli occhi di lei tanto simili ai miei si spegnavano e io guardavo. Caldo sui piedi nudi, umido sulle braccia e dolce sulle labbra. Getta a terra qual cuore, bastardo. Ridammi il cuore di mia madre brutto figlio di puttana. Ti sfondo, bastardo. No, noo, …il vetro si è rotto e le mie mani sanguinano. Tu, diviso in più pezzi continui a guardarmi, bastardo.

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Capitolo 6
*** POLLINE ***


Sentite le campane? Bastardi!!! Mi hanno messa qua perché sono bastardi. Odio le campane, odio i preti, odio le suore e tutto il loro seguito. Allora cosa hanno pensato di fare? Eh? Mi hanno buttato in questa topaia dove le campane suonano ogni mezzora. Mi hanno schiaffato in mezzo ai matti perché dicono che io sia pazza. Bastardi!!! Bisogna ammazzarli tutti: preti, suore e quelli che stanno con loro. Sono in mezzo ai matti, quelli veri; quelli che ti guardano storto, sorridono, sbavano e si cagano addosso. Qui, in questa fogna, almeno il polline non entra. Noi appestati ci mettono in stanze isolate e così il polline fatica ad arrivare. Sono allergica a quello schifo di polline; mi si gonfiano gli occhi che sembro un pallone e la pelle si riempie di puntini rossi. Mi gratto, starnutisco e mi viene la febbre se solo quella merda mi si insinua nelle narici. È l’unico sollievo che ho in questo letamaio. Faccio del bene a tutta l’umanità e loro mi hanno buttato qui. I preti bisogna sterminarli: morti loro tutte le sofferenze finiranno. Pochi, troppo pochi ne ho ammazzati. Loro e il loro Creatore. Ecco, un'altra cogliona che si prende a schiaffi con quella troia della sorvegliante. Puttana, come se le danno. Sei proprio una cogliona, quella prima ti riempie di botte, poi ti spedisce in cella con due chili di psicofarmacI nelle vene: cogliona. Pollini di merda. Piante del cazzo, fiori che invadono il mondo di polline. Alcuni giorni mi si gonfia la gola che devono portarmi in infermeria: pollini di merda e preti del cazzo. Non respiravo e dovevo attaccarmi a quelle macchinette per respirare e quei preti invece potevano girare tranquilli, fare quello che volevano; loro e le loro compari suore; di quelle ne ho ammazzate solo tre. Loro pregano, continuano a pregare; passano tutto il giorno a pregare e io intanto muoio soffocata dal polline. Dovete morire tutti, bisogna sterminarvi tutti. Cosa cazzo continuate a pregare? Non vedete che peggiorate la situazione? Voi lo adorate pure quello là: voi e il vostro seguito. Mi si strappa l’anima a furia di tossire e quelli pregano. Lo esaltano, si prostrano, gli sono devoti. Siete dei pazzi, siete insensibili e menefreghisti; voi adorate chi ha creato questo schifo di polline e intanto io muoio.

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