Lo spirito della Volpe - SPIN OFF 'THE POWER OF THE FOUR'

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


 
Capitolo 1
 
  
Settembre 2024
 
 
 La brezza sommoveva le foglie verdi e gialle del ciliegio, che ostentava la sua chioma ancora rigogliosa nel mezzo del giardino dietro casa.
 
 Poco importava che quell’angolo di verde si trovasse a Silver Spring, Maryland, niente più di una costola di Washington, D.C.
 
 Le piante al suo interno parevano trovarsi in tutt’altro luogo, ove l’uomo era solo forma indistinta e secondaria, non predatore e distruttore.
 
 La lussureggiante vegetazione che cresceva e prosperava in quel modesto appezzamento di terreno, infatti, aveva un segreto millenario e ancestrale.
 
 Un segreto che la famiglia Hamilton – e così i loro predecessori – aveva mantenuto fin dal momento in cui il primo membro della loro stirpe aveva ricevuto il dono.
 
 In quel luogo galleggiavano poteri forti, poteri millenari, poteri avevano il profumo dell’acqua, del fuoco, dell’aria, della terra e dello spirito.
 
 Malcolm Anthony Hamilton, nell’accarezzare la ruvida porosità della corteccia del ciliegio, sorrise sornione nell’avvertire il profumo di questa forza senza tempo.
 
 Il tocco di sua zia Spring, Guardiana della Terra, era facilmente percepibile in quella trama scura e rugosa fatta di corteccia, Elementali e magia.
 
 Quattro gemelli erano giunti dalle verdi terre d’Irlanda assieme ai loro avventurosi genitori, Anthony e Camille Hamilton, e alla loro giovane zia, la veggente Brigidh.
 
 Il fato avverso aveva segnato il futuro di questi giovani virgulti, strappando loro madre e padre alla tenera età di quattordici anni.
 
 Questo, però, non li aveva fermati, né annientati.
 
 Come non li aveva fermati il Consiglio degli Anziani del Clan della Ruota, cui ogni suo membro aveva dovuto sottostare, almeno fino al momento della Purga.
 
 Così, all’interno del potente Clan legato alla dea Arianrhod – la loro benefattrice – si parlava di ciò che era successo dodici anni addietro, nel castello degli Hamilton.
 
 La vecchia cerchia di Guardiani aveva tentato, andando contro ogni regola imposta dalla dea, di spodestare i giovani Dominatori degli Elementi.
 
 Questo non aveva soltanto risvegliato Arianrhod, ma l’aveva portata ad agire – per la prima volta da secoli – obbligandola a recidere il filo della vita della vecchia Guardiana del Fuoco.
 
 Shaina Pearson Hamilton era morta maledicendo i nipoti e la dea, lasciando dietro di sé solo la consapevolezza dei suoi errori e il peso amaro del suo nome.
 
 Ciò che ella aveva tentato di portare avanti si era liquefatto come le torque costrittive che, per secoli, avevano tenuto in scacco i giovani Guardiani.
 
 Malcolm ricordava a malapena la nonna paterna e, anche a causa di quel che aveva sempre saputo sulla sua famiglia, non l’aveva mai amata molto.
 
 Tutt’altro discorso poteva dirsi per il nonno paterno, Angus Hamilton, e i nonni materni, Peter e Sarah.
 
 Nonno Angus aveva aborrito fin dal principio il piano della moglie e, pur non potendovi mettere un freno, non ne aveva neppure appoggiato la creazione. Alla fine di ogni cosa, non aveva potuto che accettare il gesto definitivo della dea.
 
 Peter e Sarah, invece, avevano finalmente seppellito l’ascia di guerra – levata dopo la fuga delle figlie nel Nuovo Mondo – e avevano fatto fronte comune con Angus, in favore dei nipoti.
 
 Era scaturito molto dolore, da quella morte così come da quegli eventi, ma anche un nuovo inizio per il Clan.
 
 La legge sui Prescelti era stata abolita, poiché dichiarata ufficialmente e definitivamente illegale.
 
 I Guardiani avevano ottenuto una libertà che, per secoli, era stata loro negata a causa del potere che, nel Clan, si era voluto detenere alle loro spalle.
 
 Nessuno avrebbe più obbligato i giovani Dominatori a sottostare a leggi imposte, e la dea avrebbe potuto essere amata in piena libertà, e non più scomodata per le loro faccende mortali.
 
 Come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
 
 Lanciata un’occhiata verso il retro della casa, Malcolm sorrise nuovamente. Dabbasso, seminascosta da un traliccio di rose rampicanti, stava una porta che conduceva nel seminterrato della villa bifamigliare dove abitava.
 
 Nascosta ai più, esisteva una piccola fucina ove il padre era solito creare i suoi lavori di artigianato. Ma non v’era solo questo, in quella taverna molto particolare, naturalmente.
 
 Un enorme salone medievale si estendeva dinanzi a un ampio pozzo cerimoniale ove sua zia Spring, ogni anno, officiava Beltane e ringraziava la dea.
 
 Aveva sempre apprezzato quella festività pagana, rispetto alle altre che erano soliti festeggiare, in cui onoravano la Madre Terra e il suo risveglio alla vita.
 
 Da quando la sua famiglia si era allargata, poi, tutto era diventato anche più bello e completo.
 
 Il sorriso gli si illuminò spontaneamente, andando col pensiero ai suoi fratelli e alla cuginetta Sunshine.
 
 Vivendo in una bifamigliare assieme a zia Spring e zio Max, era praticamente cresciuto assieme a Sunshine e, con lei, condivideva un sacco di bei ricordi.
 
 Quando poi, con sua somma letizia, erano nati i gemelli, la sua gioia non aveva potuto che aumentare esponenzialmente.
 
 Kimberly, sua madre adottiva e primo amore del padre, aveva passato la maggior parte della gravidanza a rassicurarlo circa il suo amore per lui.
 
 L’amava anche per questo. Lei si era sempre sentita in dovere di dimostrargli coi fatti, e non solo con i suoi sorrisi, il legame che li univa.
 
 Poco importava che lei fosse solo una persona normale, una donna priva di poteri. Per Malcolm, così come per suo padre Winter, Kimmy era speciale.
 
 Lo era stata all’inizio, accettando senza troppi problemi la strana presenza della vera madre di Mal, la fata della bruma Erin.
 
 Lo era stata poi, prendendo per buone tutte le spiegazioni fornitele da Winter Hamilton, sua antica fiamma e attuale marito.
 
 Era difficile capire cosa volesse dire non sapere, poiché Malcolm aveva saputo della loro magia, dei loro doni, fin da quando era poco più di un bambino.
 
 Kimberly aveva dimostrato sommo coraggio, venendo a scoprire la verità in uno dei momenti più terrificanti della sua vita, così come l’avevano dimostrato gli zii Max e John, e la zia Melody.
 
 No, entrare a far parte di un mondo di magia e di incredibili poteri non doveva essere semplice, eppure tutti loro si erano dimostrati forti e caparbi a sufficienza.
 
 La sua era una famiglia unica, magica in tutti i sensi possibili e immaginabili.
 
“Mal! Che ci fai qui fuori tutto solo?” domandò una voce alle sue spalle, portandolo a voltarsi e a disperdere nel nulla i suoi pensieri errabondi.
 
 Sorridendo a mezzo alla madre, Mal si scostò dal ciliegio e disse: “Pensavo, mamma. Nulla di che.”
 
Kimberly inclinò il capo di riccioli castano rossicci, così simili alle foglie autunnali, e sorrise dolcemente.
Quel sorriso avrebbe potuto stregare chiunque, perché diceva tutto, di lei. Di come fosse dolce e spontanea, fiera e indomita, appassionata e amorevole. Non stentava a capire come il padre, già in tenera età, si fosse innamorato di lei.
 
“Terrorizzato all’idea di completare l’ultimo anno alla Columbia?” ironizzò Kimmy, lanciando un’occhiata alla vasca dei pesciolini, che si trovava nelle vicinanze del patio.
 
 Malcolm seguì il suo sguardo con espressione interessata e, ghignando, replicò: “Non vorrai far intervenire Erin per farmi il terzo grado, vero?”
 
 “Tu che dici, Erin, …nostro figlio ne ha bisogno?” ammiccò la donna, rivolta alla polla d’acqua.
 
 A quell’accenno, la superficie liscia della vasca si mosse come sospinta da lieve brezza e, goccia dopo goccia, prese forma e struttura la piccola immagine di una donna.
 
 Quest’ultima, con naturalezza e grazia innate, andò ad accomodarsi sul bordo in muratura della vasca e li fissò con espressione divertita.
 
“Può essere, Kimmy. A volte sa essere davvero criptico, il nostro ragazzo.”
 
Per loro, era naturale parlare al plurale.
 
 Non solo le due donne andavano d’amore e d’accordo ma, spesso e volentieri, facevano comunella contro Winter, l’uomo a cui entrambe erano legate, pur se in modo diverso.
 
 Per Malcolm, era normale avere a che fare con entrambe loro, e non gli spiaceva affatto sottostare al loro fuoco incrociato, per quanto non volesse darlo a vedere.
 
 Sapeva che suo padre amava vederle assieme, e lui non era da meno, ma non trovava giusto rendere loro la vita così semplice, quando si trattava di lui.
 
 Pur non avendo amato Erin dello stesso amore che, ora, lo legava a Kimmy, Winter era stato un buon marito, per lei, oltre che un amorevole padre per Mal.
 
 La morte prematura di Erin, causata da una leucemia terrificante e senza scampo, aveva creato una frattura enorme nel cuore di Winter.
 
 L’aver tramutato in fata della bruma la moglie, sottraendo il suo spirito dall’abisso della morte, pur se non il suo corpo, lo aveva salvato dall’annientamento, ma non dal dolore.
 
 Solo Kimberly, infatti, era stata in grado di riportarlo alla vita vera e, grazie a ciò, a riabbracciare il vero se stesso.
 
 Erin non aveva potuto che gioirne, lei che, per tutta la vita, aveva sempre e solo voluto il bene più grande per il suo migliore amico, per Winter.
 
“Voi due, messe insieme, fate paura” ironizzò Malcom, intrecciando le braccia sul petto robusto.
 
 In famiglia, Malcolm era solo l’ultimo di una lunga stirpe a poter vantare un fisico possente e asciutto. Tutti i maschi Hamilton erano imponenti e fieri, retaggio degli antichi guerrieri di cui si era composta la loro ancestrale famiglia per millenni.
 
 Le due donne risero sommessamente al commento del figlio e Mal, ancora una volta, ringraziò la dea per il dono di poterle vedere assieme.
 
“Mamma!” gridarono dalla finestra i due gemelli di tredici anni.
 
 Mal levò lo sguardo a osservare Shanna e Coryn, sua sorella e suo fratello e, salutatili, esclamò: “Ve la mando subito, ragazzi!”
 
 “Veniamo giù noi, fratellone!” urlarono in coro i due, sparendo alla sua vista.
 
 Kimmy sorrise indulgente e mormorò: “Il giorno in cui non urleranno più, dovrò cominciare a preoccuparmi.”
 
 “Passerà ancora del tempo” motteggiò Malcolm, scrollando le spalle.
 
“Come passerà ancora del tempo, prima che tu ce la faccia in barba, Mal. Che succede?”
 
Sorridendo esasperato all’indirizzo della piccola figura d’acqua che era la sua madre naturale, Mal borbottò: “Un po’ meno veggenza, Syhyl-vyh’in, sarebbe gradita, sai?”
 
Uno dei pochi a saper pronunciare il nome fatato di Erin, Malcolm la chiamava a quel modo al solo scopo di farla ridere.
 
 Sapeva quanto, pronunciare quel nome, gli facesse arricciare labbra e naso, tramutando il suo viso in una buffa caricatura di se stesso.
 
 Erin, infatti, scoppiò in una risata argentina e Kimmy, sospirando, esalò: “Ammaliatore di donne… cosa mai potremmo fare per spegnere tanto fascino?”
 
 “Lo uso solo a fin di bene, mamma” precisò Malcolm, ghignando.
 
 Kimberly sorrise indulgente e, avvicinatasi al figlio, gli sistemò una ciocca scomposta dei neri e morbidi capelli.
 
 Scrutando in quei profondi occhi verde foglia, che il giovane aveva ereditato da Erin, la donna asserì: “Qualcosa ti turba, è evidente. Non vuoi dirci cos’è? Percepisci delle correnti anomale tra gli Elementali dello Spirito?”
 
Come Guardiano dello Spirito, e quinta punta del Pentacolo di Potere attualmente in carica, Malcolm era dotato di una qualità unica.
 
 Se suo padre e i suoi zii erano padroni degli elementi, lui governava le anime, gli spiriti di ogni creatura vivente.
 
 Non era un dono da prendere alla leggera, o su cui non prestare la massima attenzione, sempre e comunque.
 
 Ciò che poteva percepire attorno a sé, dentro di sé, era qualcosa di terrificante e, se non fosse stato più che preparato ad accettare un simile peso, sarebbe impazzito.
 
 C’erano volte, però, anche il suo addestramento pareva non bastare.
 
 Come quella mattina.
 
 I suoi amici sarebbero arrivati a breve e, assieme, sarebbero risaliti lungo la costa per raggiungere New York City e la Columbia University, dove studiavano alla facoltà di Arte e Scienze.
 
 Eppure, qualcosa lo metteva in ansia, lo rendeva nervoso e rendeva, perciò, quel rientro all’ateneo, un evento per nulla faceto quanto, piuttosto, preoccupante.
 
 Una corrente di fondo miscelava, confondendole, le sue percezioni sul mondo, e questo non era mai avvenuto prima.
 
 Maeb, la sua anziana maestra - perita tre anni addietro - gli aveva sempre detto che questo avrebbe potuto succedere, un giorno ma lui, scioccamente, aveva ritenuto il suo dono di molto superiore a quello degli altri.
 
 Loro, infatti, non erano le uniche creature magiche a vivere sulla Terra, e di certo non sarebbero state le ultime a camminare su quel vasto mondo.
 
 O nell’Ultramondo, il regno degli spiriti erranti, dei sogni più vivaci, così come degli incubi più oscuri.
 
 Migliaia di creature mistiche vivevano indisturbate, e ignote ai più, e più di una poteva navigare e prosperare in entrambi i mondi; solo di alcune, però, Malcolm conosceva l’esistenza.
 
 Altre, invece, erano celate persino a lui. Poteva solo avvertirne la presenza, ma non la natura, né il luogo in cui dimoravano.
 
“Niente che non sappia gestire, davvero” le rassicurò entrambe Malcolm, sorridendo poi gioviale ai gemelli, che piombarono in giardino come due furie scatenate.
 
“Ciao, Erin!” esclamarono i due bambini, notando al loro arrivo la fata ancora seduta sul bordo della vasca.
 
“I miei due tesori… ma quanto siete belli?”
 
Shanna rise di gusto, facendo dondolare le onde biondo-castane per il gran ridere mentre Coryn, più ombroso, si limitò a sorridere timido, di fronte al complimento.
 
 In tutto simile alla nonna materna, Shanna appariva come un tenero angioletto, ai più… tranne quando iniziava a parlare, e dimostrava chi era veramente.
 
 A quel punto, il suo carattere indomito e peperino – ereditato dalla madre – sorgeva come una zampillante fontana a sorprendere tutti.
 
 Coryn, invece, somigliava più al padre, meno caotico della sorella e scuro di capelli come l’uomo a cui il ragazzo sperava ogni giorno di assomigliare sempre di più.
 
 Malcolm sorrise a entrambi i gemelli, impegnati a parlare con Erin, prima di rendersi conto dell’arrivo del padre.
 
 Alto e fiero come un guerriero celtico, Winter Hamilton incuteva reverenziale timore in chi non lo conosceva e, a volte, anche in chi lo conosceva da tempo.
 
 I suoi occhi color del ghiaccio esprimevano un sapere antico quanto mistico e, solo a pochi eletti, lui effondeva anche il suo lato più dolce, più tenero.
 
 Uomo dalla risata sincera quanto rara – al di fuori della famiglia –, era uno stacanovista sul lavoro, e un mito per più della metà dei tecnici che lavoravano con lui.
 
 Solo Kimberly e pochi altri sapevano quanto, quell’apparenza fredda e distaccata, fosse ingannevole e ben lontana dalla realtà.
 
“Immagino ti servano rinforzi, Mal” esordì l’uomo, sorridendo complice al figlio maggiore.
 
 Sia Erin che Kimmy lo fissarono vagamente accigliate, ma lui non vi fece caso alcuno.
 
 Batté una mano sulla spalla del figlio e, indicando verso casa con un cenno del capo, aggiunse: “Bobby e Keath sono arrivati. Ti stanno aspettando in strada. Ho detto loro di entrare, ma hanno preferito rimanere fuori.”
 
 “Hanno fretta di mettersi in marcia, a quanto pare” ironizzò Malcolm, sapendo però bene quale fosse il vero motivo della ritrosia degli amici a seguire suo padre.
 
 Quando Winter era nei paraggi, loro si sentivano a disagio.
 
 Non aveva mai capito bene il vero motivo – non si era arrischiato a origliare –, ma forse dipendeva dal fatto che suo padre appariva davvero maestoso, quando ci si metteva.
 
 Sfiorando il metro e novanta, poteva guardare molte persone dall’alto al basso, ma erano soprattutto la sua imponenza fisica - e mistica - a incutere timore.
 
 Non che lo facesse di proposito ma il suo potere, a volte, poteva essere inconsciamente percepito anche dai normali, pur se non ne comprendevano la natura e la provenienza.
 
“Li raggiungerò subito. Vado a prendere le…”
 
 “Le valige sono già di sotto” lo prevenne Winter, ammiccando.
 
“Grazie, papà” sorrise il giovane, prima di piegarsi per scrutare in viso Shanna.
 
 Sì, sembrava davvero un angelo fatto e finito. Peccato che avesse anche la lingua tagliente come quella di un piccolo diavoletto.
 
 Scrutando in quelle giade screziate d’oro, Mal disse: “Cavalca gli Elementali con riguardo, mi raccomando. Sai che sei ancora troppo piccola, per saperli gestire. Chiedi sempre alla mamma o a Erin, va bene, prima di tentare qualsiasi cosa?”
 
 “Lo so, fratellone. Non farò pazzie, promesso” brontolò lei, pur sorridendo maliziosa.
 
 All’età di soli sette anni, Shanna aveva percepito per la prima volta gli Elementali dello Spirito.
 
 A questo modo, aveva manifestato al mondo chi sarebbe stata la quinta punta del Pentacolo di Potere dei novelli Guardiani.
 
 Maeb se n’era stupita non poco, vista la sua giovane età, e visto soprattutto che il potere dello Spirito si era già manifestato in casa Hamilton con la nascita di Malcolm. Era dunque stato chiaro alla donna che, ben presto, la sua vita avrebbe visto la fine.
 
 Non sarebbe caduto sulle sue spalle, l’addestramento della bambina, ma sul suo allievo, come in una ruota senza fine. Non potevano infatti esistere più di due Guardiani dello medesimo Elemento, nel breve decorrere della stessa epoca.
 
 Al risveglio del più giovane virgulto, quello più vecchio avrebbe dovuto avvizzire e perire, e così era quindi iniziato il lento declino della Anziana Guardiana dello Spirito.
 
 Malcolm, quindi, si era preso personale carico di Iniziare prima del tempo il suo addestramento con la sorellina, e il segreto sulla morte di Maeb le era stato debitamente tenuto segreto per non farla sentire in colpa.
 
 Coryn, sulle prime, ne era stato geloso. Pur sapendo che sarebbe stato il prossimo Guardiano del Fuoco, il suo dono non si era ancora destato in lui.
 
 Nello scoprire quali e quante difficoltà, però, la sorella avesse dovuto superare all’inizio di quel training, il gemello si era però presto ripreso, e si era dannato l’anima per aiutarla.
 
 Quel pensiero lo fece irragionevolmente rabbrividire. Sua sorella era ancora così inesperta e giovane, che…
 
Era ancora troppo presto e lui doveva tornare a scuola, ma sapeva che Shanna era più adulta della sua età, e non avrebbe fatto sciocchezze.
 
 Baciata la sua erede sulla guancia, mormorò: “Sai che ci sono sempre, per voi, vero?”
 
 “Sì, Mal” assentì la bambina, abbracciandolo per un attimo al collo prima di scostarsi da lui.
 
 Quando fu il turno di Coryn, Malcolm si fece più sorridente.
 
 Il fratellino era già naturalmente ombroso di suo; non aveva bisogno che lui fomentasse la sua propensione alla serietà e alla responsabilità.
 
 Avvicinatolo, gli posò una mano sulla spalla e chiosò: “E’ inutile che io ti dica di stare attento alla tua sorellina, vero?”
 
 “Già, del tutto inutile” replicò Coryn, atteggiandosi ad adulto nell’intrecciare le braccia al petto.
 
 Winter e Kimmy si scambiarono un’occhiata divertita ma nessuno dei due parlò, né fecero l’atto di lasciarsi sfuggire la risatina che aleggiava sulle loro labbra.
 
“Mi raccomando, non ridere troppo. Fa venire le rughe anche ai più piccoli” motteggiò allora Malcolm, ammiccando con esuberanza.
 
 Coryn cercò di non sorridere, ce la mise davvero tutta, ma gli sfuggì un risolino.
 
 Il fratello maggiore, soddisfatto, lo abbracciò per un attimo, asserendo: “Ti voglio bene, fratellino.”
 
Il ragazzino rimase in silenzio, ma si strinse forte al fratello, affermando con i fatti – pur se non con le parole – di provare lo stesso sentimento.
 
 A quel punto, la famiglia al completo si avviò perciò verso l’esterno e, mentre Erin spariva in un ricciolo di vapore, Malcolm venne percorso dall’ennesimo brivido di aspettativa.
 
 Che diavolo fosse quella sensazione, doveva ancora comprenderlo, ma tant’era. Avrebbe dovuto conviverci finché non fosse scemata fino a svanire, o ne avesse scoperto la natura.
 
 Una volta raggiunto il marciapiede dinanzi alla villetta, Mal sorrise nel vedere Sunshine e Spring impegnate a chiacchierare con Bobby e Keath.
 
 Bionde e bellissime entrambe, madre e figlia sembravano due bambole di porcellana, dalla pelle d’alabastro e i candidi occhi di cielo.
 
 Neppure il più intuitivo tra gli uomini avrebbe potuto pensare che la tenera Spring, se spinta a farlo, avrebbe potuto scoperchiare Washington con un terremoto. O che l’elegante e raffinata Sunshine, di lì a qualche anno, avrebbe potuto abbattersi sulla città a cavallo di centinaia di tornado.
 
 No, era proprio vero che le apparenze ingannavano, specialmente in casa Hamilton.
 
 Keath, in quel momento, stava facendo ridere beatamente Sunshine e Malcolm, avvicinatosi loro, avvolse protettivo le spalle della cugina, brontolando: “Non starai cercando di irretire mia cugina, spero?”
 
 “Sai già che io e Sun ci sposeremo, quando lei sarà abbastanza grande” replicò Keath, strizzando l’occhio alla ragazzina, che esplose in una frenetica risata.
 
 Burbero, Mal replicò: “Dovrai passare sul mio cadavere. Poco ma sicuro.”
 
 “Non mi vuoi come cugino? Tu mi ferisci, Mal!” esalò Keath falsamente affranto, passandosi una mano tra la folta chioma ondulata e fulva.
 
 Bobby, ghignando all’indirizzo dei due, si sistemò con un dito la montatura degli occhiali sul naso e, pacato, celiò: “Non hai capito, Keath, che Mal vuole me, come parente?”
 
 “E in che modo, di grazia, riusciresti in questa impresa?” domandarono in coro i due giovani, fissandolo sarcastici.
 
“Ma è semplice. Perché Bobby sposerà me” ironizzò a quel punto Shanna, ghignando nell’osservare il trio di ragazzi fissarla a bocca aperta.
 
 Winter, scrutando curioso la figlia, le domandò serafico: “Non sapevo di questa tua passione per Robert. Ma è amore vero, mo chroí?”
 
 “Oh, sì, papà” assentì la bambina, allargando il suo ghigno diabolico quanto affascinante.
 
Sapeva di poter ammaliare chiunque, con quel sorriso e, fin troppo spesso, Shanna ne faceva uso per i suoi scopi.
 
 Aveva imparato presto a usare il suo fascino, e Malcolm aveva idea che, in parte, fosse colpa dell’influenza di Summer.
 
 Un lampo divertito passò negli occhi del padre che, sollevata da terra la figlia – nonostante fosse ormai grandicella per quel servizio – la squadrò ben bene prima di dirle: “Allora, così mi costringi a chiedere a questo ragazzo che intenzioni ha nei tuoi confronti.”
 
Sentendosi preso in causa, Bobby deglutì a fatica ma, in suo soccorso, giunse Kimmy che, sorridendo esasperata a marito e figlia, disse: “Non ascoltarli, Robert. Questi due amano fare i burloni.”
 
 “Non sono mai seri” assentì a sua volta Coryn con fare saputo, dando man forte alla madre.
 
 Bobby non parve molto convinto del fatto che Winter Hamilton potesse avere una vena comica, dentro di sé, ma sorrise grato alla donna ed esalò: “Credo che, per chiedere la mano di Shanna, ci vorrà ancora qualche anno.”
 
 “Lo penso anch’io” dichiarò Kimberly, sorridendo melliflua.
 
 Sorridendo maliziosa al fratello, Spring celiò: “Sempre a fare scherzi, eh, fratellone?”
 
 “Tu sì che mi conosci, Spry…” ghignò Winter al pari di Shanna, che strinse le braccia al collo del padre, così come le gambe attorno alla sua vita stretta.
 
“Sarà meglio che andiamo, prima che qualcuno si metta veramente in imbarazzo” dichiarò a quel punto Malcolm, prendendo in mano le redini della situazione.
 
 Afferrata la maniglia della portiera dell’auto a idrogeno di Bobby, aggiunse: “Ci sentiamo appena arriviamo, okay?”
 
 “Ovvio” assentì quieto Winter, ammiccando al figlio.
 
 Tra loro passò un messaggio, non detto a parole, di reciproco rispetto e amore e, quando Malcolm si sistemò finalmente in auto, seppe di poter partire tranquillo.
 
 Anche se quella sensazione di disagio sarebbe partita con lui.
 
 
 
 
 
 
 
 
 






Note: Ed eccoci sui blocchi di partenza per un'altra avventura! Si ritorna in seno alla famiglia Hamilton che, con gli anni, si è allargata a dismisura. Il piccolo Mal ora è diventato adulto e sta per terminare i suoi studi alla Columbia e, a quanto pare, ha dei problemi di cui non vuole apertamente parlare con la famiglia. Farà bene, farà male? Lo scopriremo ben presto.

Per chi si chiedesse chi è la misteriosa Araba Fenice cui faccio riferimento nel plot della storia, è presto detto.Si tratta di un personaggio che appare nella mia storia standalone Ali Scarlatte 2.0, che potete trovare qui

La storia è ugualmente comprensibile, pur non avendo letto questo racconto ma, se vi andasse, mi farebbe piacere sapere cosa pensate anche di questa mia vecchia storia.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Capitolo 2
 
 
 
 
Al 267 della 124ima West Street, a Manhattan, si trovava un palazzo di cinque piani in mattoni rossi, risalente al primo dopoguerra e restaurato da una trentina d’anni.

Le alte e strette finestre, adornate da stucchi bianchi dalla forma geometrica, erano tipici dell’architettura del tardo XX secolo.

Sulla porta d’entrata svettava una tettoia in vetro e acciaio che lo zio di Malcolm, Maximilian Parker, trovava disgustosa e di pessimo gusto. Se avesse potuto, l’avrebbe buttata giù con sommo piacere. Per lo meno, questo era ciò che aveva detto la prima volta che l’aveva vista, durante una visita al nipote.

Per quanto protettiva ed efficace, durante i feroci temporali newyorkesi, deturpava la facciata storica dello stabile come un pugno in pieno volto.

Sito a un miglio dall’università, il loro appartamento era sufficientemente ampio da permettere loro di non uccidersi a vicenda, in quei lunghi mesi di lontananza da casa, ma non era così grande da doverli costringere a corvè di pulizia troppo pesanti.

L’unica camera singola del trilocale, che si erano giocati alla Morra Cinese, sarebbe spettata a Malcolm, per quell’anno. Bobby e Keath, invece, si sarebbero presi i letti a castello.

Una volta che l’auto di Bobby fu sistemata nel parcheggio sotterraneo dello stabile, i ragazzi estrassero le valige e si diressero verso l’ascensore.

Il pensiero di tutti corse alle condizioni dell’appartamento, e all’unisono rabbrividirono. Non vi fu bisogno di parole, tra loro. Ogni anno era la stessa storia e, ogni anno, le paure erano le medesime.

Nei tre mesi in cui erano mancati – pagando ugualmente l’affitto per non perderlo – l’appartamento aveva sicuramente raggiunto un punteggio piuttosto alto, nella loro scala di ‘pericolo di contaminazione’.

Il primo grado si raggiungeva coi piatti sporchi nel lavabo che, solitamente, venivano lavati giocandosela ai dadi.

Il secondo si otteneva con il bagno sporco da più di due settimane. Il dubbio onore di pulirlo spettava a chi perdeva due partite su tre a poker.

Il terzo livello era il paventato pavimento ingombro di cartoni di pizza, residui più o meno vecchi del take away… e del ristorante indiano. L’odore delle spezie poteva essere mefitico, dopo qualche settimana.

Così come quello che si formava all’interno dei contenitori, se era per questo.

Il quarto e il quinto grado si assomigliavano, perché volevano dire olio di gomito, imprecazioni e tanta fatica.

Il quarto stadio rappresentava solitamente le pulizie generali dell’appartamento che, dopo tre mesi di solitudine, presentava più polvere dell’immaginabile e del comprensibile, oltre a insetti infilati in ogni orifizio, raggiungibile e non.

Il quinto e ultimo livello, il più terrificante, era l’ipotesi peggiore di tutte. Trovare del cibo avariato nel frigorifero – spento per tre mesi – e, perciò, deteriorato a livelli da arma di distruzione di massa.

L’ipotesi di trovarsi di fronte a un grado 5 balenò nelle loro menti già in ansia quando, all’apertura della porta, uno strano odore giunse alle loro narici.

Quando Malcolm aprì sospettoso il frigorifero, staccato durante l’estate per ovvi motivi e, in teoria, svuotato di ogni cosa, arricciò il naso e bofonchiò: “Bobby, vieni a togliere quest’affare da qui.”

“E perché io, scusa?” brontolò il giovane, passandosi una mano nervosa tra le onde castano scure.

Keath sbirciò a sua volta, si tappò naso e bocca con la mano e ringhiò: “Perché l’unico che mangia tacos al pollo, irrorati di mille salse, sei tu!”

“Oh” mugugnò il giovane, avvicinandosi contrito al frigo.

“Complimenti… credo tu sia riuscito a creare una nuova forma di vita” ghignò Malcolm, allontanandosi per aprire le imposte e allontanare così da sé l’odore tremendo che gli ammorbava il naso.

Anche Keath si scostò e, imitando Mal, portò le valige nella sua stanza – divisa con Bobby, per quell’anno – mentre a quest’ultimo non restava altro che pulire il frigorifero.

Il resto della giornata fu quindi dedicato a togliere teli di plastica, pulire, lucidare, disinfettare e dare la caccia ai ragni.

Sapevano bene che non sarebbe durata ma, almeno per i primi giorni, si sarebbero baloccati all’interno di un appartamento decente.

Per quanto fosse stato cresciuto dal maniacalmente preciso padre, Malcolm non aveva ereditato quel lato del suo carattere.

Lui era decisamente più confusionario, molto più vicino ai modi di fare di Kimmy.

Questo lo portò a mandare un SMS a madre e padre, dicendo loro del buon esito del loro viaggio.

In quel mentre, gli giunse la chiamata di suo zio Autumn e Mal, ghignando, accettò subito la telefonata.

Poteva pur fermarsi un attimo, visto che erano già diverse ore che stava lavorando.

“Allora, a che punto siete con le pulizie? Il grado 5 è rientrato?” ironizzò Autumn, con il suo solito tono di voce roco e graffiante.

“Ciao, zio. Abbiamo quasi finito, sì” replicò Malcolm, sedendosi sulla pediera del letto. Non era affatto stupito che lo zio avesse ‘origliato’.

Come Dominatore dell’Aria, queste cose erano una bazzecola, per lui.

“Fossi in te, domani prenderei l’ombrello” lo mise in guardia Autumn, sempre con il suo tono leggero e disincantato.

“Oh… buono a sapersi” assentì lui, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.

Il cielo era limpido, ma non era il caso di mettere in dubbio la validità delle previsioni di un Guardiano dell’Aria.

“Ancora in branco con i tuoi amici sfigati, eh? Ma non ti sei stancato di stare in gruppo con dei normali?”

Mal ghignò. Suo zio era sempre stato un tipo senza peli sulla lingua, e aveva sempre avuto la pessima abitudine di non andarci tanto per il sottile, con le uscite.

Naturalmente, le sue erano per lo più battute ironiche ma, a volte, era in grado di insultare una persona senza che quest’ultima se ne rendesse conto.

O, per contro, rendere il suo insulto così chiaro da fomentare quasi la rissa. Ma gli voleva bene ugualmente, anche se era un bastian contrario per natura.

“Zia Melody come sta? E Selly?”

“Stanno bene tutt’e due” assentì Autumn, mettendo dolcezza in quelle semplici parole.

Autumn poteva apparire burbero e scostante ma, se c’era una cosa di cui poter essere certi, era il suo amore per la moglie e per la figlia adottiva.

Selene era stata adottata all’età di tre anni, dopo un viaggio che Autumn e Mel avevano fatto in giro per l’Irlanda.

Avevano ventilato da tempo l’idea di adottare un figlio, vista l’impossibilità di Melody di averne e, quando avevano saputo di Selene, si erano subito messi all’opera per ottenerne l’affido.

Discendente di una delle tante famiglie del Clan della Ruota, Selene era rimasta orfana dei genitori a causa di una rapina in casa finita male.

La bambina si era salvata per puro caso e, sempre per un colpo di fortuna, non aveva dovuto assistere al massacro dei genitori.

La polizia era stata avvisata dai vicini di casa solo perché la piccola, dopo ore e ore passate sotto il suo letto, in perfetto silenzio, era sgattaiolata fuori in cerca d’aiuto.

Non avendo altri parenti in vita, era stata così assegnata dai servizi sociali a una famiglia affidataria, in attesa dell’adozione.

Nonno Angus ne aveva parlato subito ad Autumn e quest’ultimo, dopo aver intrapreso tutte le pratiche necessarie, era infine riuscito a ottenerne l’affidamento.

Selene si era quindi trasferita a Tulsa assieme ad Autumn e Melody e, da quel giorno, nessuno era più riuscito a dividerli.

Nel diventare grande, Selene – o Selly, come la chiamavano tutti – aveva dimostrato indubbie quanto sorprendenti capacità di Veggente e, avendolo saputo, la prozia Brigidh si era messa all’opera per addestrarla.

Trasferitasi a Tulsa per essere accanto alla piccola, Brigidh si era però resa subito conto di quanto, la giovane allieva, sarebbe divenuta ben più potente della maestra. E in breve tempo.

Dopo solo un anno di addestramento, Brigidh si era dichiarata più che orgogliosa della sua giovane studentessa, e desiderosa che proseguisse i suoi studi in Irlanda.

Lì, viveva una delle Veggenti più potenti del Clan e, sicuramente, sarebbe stata una valida maestra per la ragazza.

Quanto all’orgoglio di Autumn e Mel, beh… Malcolm ricordava ancora bene quanto si fosse sempre vantato lo zio, parlandone a più riprese con Winter.

“Salutamele. Ora devo finire di riordinare le mie valige, o non riuscirò mai a uscire da questa stanza.”

“Starai attento, vero?”

Accigliandosi immediatamente, Mal replicò: “Chi ha parlato? Mamma? O papà?”

“Per la verità, è stata Selly a dirmi di dirtelo” ribatté Autumn, lasciando intendere che, se avesse voluto parlarne con qualcuno, lui ci sarebbe stato.

“Beh, di’ pure a mia cugina che presterò le dovute cautele e, se necessario, interpellerò qualcuno di mia conoscenza.”

“Che hai in mente, ragazzo?” domandò torvo lo zio.

Ghignando, Mal celiò: “E’ bello sapere che non puoi leggermi nella testa, zio. A presto.”

Borbottando un’imprecazione, Autumn gli raccomandò di non fare idiozie, prima di salutarlo.

Nel chiudere la chiamata, Mal si perse un istante a fissare il cellulare, un sorriso ben stampato in viso.

Con Malcolm si erano vissute tutte le prime volte, e poteva capire quanto lo zio fosse in ansia.

Era stato il primo, tra i figli del loro piccolo clan, a uscire di casa per andare a studiare lontano da Washington, D.C. Il primo ad andare all’estero senza di loro, pur se soltanto per una gita scolastica. Il primo a … beh, a fare una conoscenza decisamente intima con l’altro sesso.

Insomma, tutte le novità erano ricadute su di lui e, per quanto sapesse che la sua famiglia era sull’attenti solo perché gli volevano bene, a volte si sentiva un po’ oppresso.

I colpi ritmati del pugno di Keath si abbatterono sulla porta, mentre la sua voce tonante erompeva dicendo: “Ehi! Ci stai facendo notte, lì dentro? Non eviterai di andare a fare spese, Mal! Esci subito.”

Ghignando, Malcolm infilò il cellulare in tasca e, raccolti portafoglio e chiavi dell’auto dal letto, uscì dalla camera e replicò al fulvo amico di origini scozzesi: “Ho solo risposto a una chiamata di mio zio Autumn. Non fare il rompipalle, Keath.”

“Potrebbe anche averti chiamato la presidente Olsen, per quanto mi riguarda, ma tu devi andare a fare spese.”

Ficcandogli in mano la lista della spesa, Keath gesticolò con le mani per indirizzarlo verso la porta e Mal, scoppiando a ridere, si allontanò da lui.

“Sei più bizzoso di una comare inacidita, lo sai?”

“Si chiama fame, è ben diverso, e poi lo sai che i rossi sono bizzosi per natura. Dovresti saperlo che noi abbiamo il sangue più caldo degli altri, visto la zia che ti ritrovi” ammiccò Keath, e Mal pensò a Summer e al suo carattere infuocato. “Ora che il frigo è stato igienizzato dalle schifezze di Bobby, dobbiamo infilarci dentro qualcosa di commestibile e, stando alle tabelle che abbiamo fatto, tocca a te.”

“Avresti dovuto fare ingegneria, non arte e scienze” brontolò Mal, uscendo di casa per poi dirigersi alle scale.

Per quanto lo stabile avesse un ascensore, lui preferiva tenersi in costante allenamento, e le scale erano un ottimo metodo per farlo.

Scendendo gli scalini a due a due, Mal sospinse il suo potere dinanzi a sé per essere sicuro di non incontrare nessuno.

Sarebbe stato assai imbarazzante, oltre che doloroso, andare a sbattere contro qualcuno, e solo perché lui stava facendo le scale di corsa.

Quando infine raggiunse il seminterrato, dove si trovavano i parcheggi privati dello stabile, entrò nella Toyota di Keath e uscì con calma per dirigersi al market.

 
***

Indeciso se prendere una confezione da dodici barattoli di piselli, o limitarsi a quella da sei, Malcolm si scostò appena quando scorse un’ombra avvicinarsi a lui.

“Mi scusi…” mormorò sommessamente, levando appena lo sguardo per curiosare accanto a sé.

“Nessun problema. Riesco a passare” replicò una dolce voce femminile, di contralto.

Non fu tamtp quel timbro vocale delicato ad attirarlo, quanto il profumo di gelsomino che si insinuò nelle sue narici.

I suoi occhi smeraldini colsero subito un viso eburneo, lunghi capelli nerissimi, al pari degli occhi che, intrecciati ai suoi, sorrisero caldi, delicati.

“Ingombro tutta la fila, col carrello” riuscì a dire Malcolm, spostandosi ulteriormente per lasciar spazio alla bellezza orientale che gli era capitata innanzi.

“Hai intenzione di fare molti polpettoni coi piselli” ironizzò allora la ragazza, indicando le scatole che lui teneva per le mani.

Mal abbassò lo sguardo per un momento, prima di ridere sommessamente.

Poggiata la confezione da sei sul ripiano, sistemò quella da dodici nel carrello e replicò: “Per la verità, se mi cimentassi in un’opera del genere, mia madre potrebbe gridare alla fine del mondo. E’ un mio coinquilino, che ne mangia in quantità industriale, per cui…”

Le sopracciglia arcuate della giovane si levarono sorprese e, sorridendo, domandò: “Oh… studente. E di cosa, se posso chiedere?”

“Arte e Scienze alla Columbia. Sono all’ultimo anno e…”

Aggrottando la fronte, Malcolm studiò con maggiore attenzione il viso avvenente della giovane, chiedendosi se sarebbe stato tanto stupido da scadere nella banalità.

Ebbene sì, lo era. Stupido e banale.

“Ho l’impressione di averti già vista…”

Lei si esibì in un risolino fanciullesco e, annuendo, ammise: “Potrei dire lo stesso e, sapendo dove vai a scuola, so già che nessuno dei due sta dicendo sciocchezze senza senso perché non sa come attaccare bottone. Sono al terzo anno di Arte e Scienze, per cui niente di strano se mi hai visto in giro per il Campus.”

Più sollevato, Malcolm le allungò una mano, dicendo: “Beh, tanto meglio. Detesto fare la figura dell’idiota. Sono Malcolm Hamilton, tanto piacere.”

“Eiko Kurumi, piacere mio” replicò lei, volgendosi poi a mezzo non appena sentì la voce dell’amica raggiungerla alle sue spalle.

Piegando il viso di lato per sorridere alla ragazza che stava sopraggiungendo, aggiunse: “E lei è Rin Otonashi. E’ nel corso con me, ed è la mia migliore amica.”

“Ehi, eccoti, finalmente!” esalò quest’ultima, bloccandosi accanto a Eiko prima di levare lo sguardo su Malcolm e sorridere. “Oh, …ora capisco perché ti sei attardata. Ciao.”

“Ciao, Rin. Io sono Malcolm. Siamo tra leoni1, a quanto pare.”

Il sorriso di Rin si allargò, illuminando i suoi profondi occhi color cioccolato.

Avvicinandosi a Mal fin quasi a sfiorarlo, allungò una mano e disse: “Beh, sarà un vero piacere studiare, quest’anno, sapendo che ti vedrò in giro per il Campus. Peccato averti scoperto solo ora.”

Lui si limitò a sorriderle e, stringendo la sua mano, venne squassato da un’improvvisa ondata di energia.

Si impose di non guardarla stranito, ma la sorpresa fu tanta, condita da un’insoddisfazione a stento celata.

Gli fu del tutto impossibile comprendere l’origine esatta di quell’energia, né la sua natura. Di una sola cosa, era sicuro; se n’era già andata.

Rin ritirò la mano, lasciando scivolare le dita su quelle di Mal in una carezza ed Eiko, sorridendo all’amica, disse: “Sarà meglio che andiamo, ora. Inoltre, stiamo disturbando Malcolm durante le sue spese.”

“Nessun disturbo, davvero” replicò Mal, scuotendo il capo.

Rin parve restia ad andarsene, ma lasciò che Eiko la trascinasse via con sé.

Poco prima di svoltare dietro una fila di prodotti in scatola, però, si volse a mezzo per lanciare un’occhiata maliziosa e birichina a Malcolm, che lui non poté evitare di notare.

Un attimo dopo, le due erano scomparse.

“Cristo…” esalò il giovane, passandosi una mano sulla nuca. Fu così che notò i peli rizzati sulle braccia e sul collo.

L’energia che lo aveva percorso lo aveva stordito più di quel che avesse immaginato e, quel che era peggio, non era stato in grado di comprenderne la portata.

La percepiva ancora, sfrigolante sulla sua pelle, pur se meno intensa di prima, ma non riusciva a interpretarne la natura. Malvagia, o benigna?

Forse, era il caso di fare due chiacchiere con chi sapeva lui.

 
***

Sean O’Gready, oltre che antico Prescelto di sua zia Summer, era attualmente il Decano del Sapere del Clan della Ruota e si occupava di tutti gli scritti presenti nell’enorme libreria di Hamilton Manor.

Sposato con una gentilissima quanto dolce maestra d’asilo di Dublino e, tra le altre cose, Gran Sacerdotessa del culto di Arianrhod, Sean era la persona ideale da consultare, in casi come questo.

Non riusciva a raccapezzarsi su quel qualcosa che lo turbava, e gli risultava impossibile chiedere aiuto ai suoi genitori.

Non voleva disturbarli a ogni piè sospinto.

Pur non essendo un Guardiano degli Elementi come il padre o gli zii – o lui stesso – Malcolm sapeva di potersi affidare a lui, quando qualcosa lo confondeva.

A rispondere al video-telefono però fu Bryony, sua moglie, non Sean.

Il viso solcato dagli onnipresenti occhialetti sottili in metallo, gli intelligenti occhi nocciola intenti a studiarlo attraverso lo schermo, la donna esordì dicendo: “Oh, buona giornata, Guardiano. Immagino tu stia cercando Sean.”

“Bryony… buongiorno a te. Se non disturbo, avrei davvero bisogno di parlare con lui” le sorrise Malcolm.

“Per te o gli altri Guardiani, noi siamo sempre a disposizione” mormorò la donna, scostandosi un attimo dal video per chiamare il marito. Un attimo dopo, sorrise a Malcolm e aggiunse: “Ádh mór…”

Buona fortuna.

Sì, a dirla tutta, ne aveva davvero bisogno, specialmente adesso.

Non occorse più di un minuto, a Sean, per raggiungere il video-telefono e, quando vide Mal all’altro capo, sorrise spontaneamente e disse: “Bry mi ha detto che sei in ansia per qualcosa. Posso aiutarti?”

“Per la verità, non so neppure come esporti il problema, visto che non so se c’è, un problema” esordì Malcolm, combattuto su cosa dire, e come.

“Prova a dirmi dove ti sono sorti dei dubbi” gli propose allora l’uomo, passandosi una mano tra i capelli biondi, striati di bianco sulle tempie.

“Dunque, sono già un paio di mesi che avverto delle correnti sotterranee, nel mio elemento. Come se ci fossero delle onde di marea opposte alle mie, che si infrangono contro gli Elementali” cercò di spiegarsi il giovane, grattandosi una guancia con fare pensoso.

Come spiegare, a parole, le sensazioni provate? Era più difficile di quanto non avesse pensato in un primo momento.

Anche Sean parve confuso da quella magra spiegazione, ma attese qualche attimo per parlare, rimuginando attentamente sulle parole enigmatiche del giovane.

“Un’onda opposta… e non l’hai riconosciuta, giusto?”

“Esatto.”

“Allora, possiamo escludere a priori le creature mistiche legate al culto dei Celti. Sono le uniche che puoi riconoscere senza fallo. Fauni, ondine e brùnaidh sono da scartare” mormorò pensoso Sean, elencando le creature attualmente ancora in vita nel pantheon celtico.

“Quindi, stiamo parlando di un’altra creatura… di un pantheon intero, forse? O una creatura slegata dall’ambito divino?”

Sean scrollò le spalle, impotente, replicando: “Se si trattasse di Fenice2, lo sapresti. E’ un tipo di potere unico nel suo genere, e lo hai già toccato altre volte, vero?”

Mal annuì, rammentando il giorno in cui, nelle nebbie degli spiriti terreni, si era affacciata una luce diversa dalle altre, una luce così poderosa da oscurare qualsiasi altra cosa.

Maeb l’aveva definita ‘il primo vagito di Fenice’, e lui le aveva chiesto subito spiegazioni in merito.

Con un sorriso misterioso, la donna gli aveva spiegato che, da tempi immemori, Fenice camminava sulla terra sotto sembianze umane.

Quando, nel corpo umano di Fenice, si risvegliavano i primi poteri divini, la sua ‘luce spirituale’ si illuminava come una stella e, da quel momento, era impossibile non notarla.

“Non si tratta di Benjamin Thomson, ne sono sicuro” scosse il capo, riferendosi all’attuale Fenice rediviva.

“Puoi darmi qualche indizio in più? Ti sembrava un’energia ostile?”

“No… curiosa, piuttosto. Ma non ostile” sottolineò, cercando di scavare nella sua memoria alla ricerca di altri indizi utili.

Tutto inutile.

Non c’era davvero altro, che rammentava, a parte la sensazione di disagio provata in quei momenti.

“Proverò a fare qualche ricerca. Non possono davvero essere molte, le creature mistiche ancora presenti sulla Terra, ti pare? Se verrò a capo di qualcosa, ti farò sapere. Alla peggio, interpellerò io stesso Benjamin, per sapere cosa ne pensa. Per ora, non pensarci, e goditi il tuo ultimo anno all’Università.”

“Tenterò. Tu e Bryony verrete presto a trovarci, vero?”

“Verremo per Natale” assentì Sean, salutandolo prima di chiudere la comunicazione.

Lasciandosi andare sul letto, le mani intrecciate dietro la nuca, Malcolm fissò pensoso il soffitto, la mente lasciata andate a briglia sciolta.

Avvertì senza sforzo le anime dei suoi due amici, impegnati in una battaglia navale tridimensionale nella loro stanza. Le loro anime brillavano come lampadine a led.

Chiusi gli occhi, si concentrò quindi sulla città, vagando senza meta tra quell’immensità di anime candide e non, scivolando tra loro come l’acrobata di un circo.

Nessuna di loro lo attirava particolarmente, motivo per cui fu certo non vi fosse, nelle vicinanze, alcuna creatura ‘conosciuta’.

Sarebbe stato divertente dialogare con una ondina, una fata dell’acqua, che tanto avevano in comune con gli Elementali governati da suo padre.

Erano creature ciarliere e, nei loro corpi umani, di solito svolgevano sempre lavori in cui, parlare e conoscere, era vitale come l’aria che respiravano.

Non si sarebbe mai potuta trovare una ondina sul fondo oscuro di una biblioteca, ma al bancone di un bar, poco ma sicuro.

Così come a un call center, o al banco di una reception. Erano lavori che adoravano.

Estendendo ancora un poco il suo potere, Mal uscì dai confini di New York e, inevitabilmente, andò a sbattere contro la luminosità di Benjamin.

Pur se abitava all’altro capo degli States, era difficile non rimanerne abbagliati, se non si stava particolarmente attenti.

Deviò perciò dallo Stato di Washington per scendere verso il Texas, e il Messico.

Lì, le anime erano più allegre e chiassose.

Indugiò per qualche attimo in un locale dove la gente si stava divertendo – un bar? una discoteca? – prima di rientrare nel suo corpo e sospirare.

No, l’energia psichica che lo aveva disturbato tanto, pareva essersi nascosta, celata alla sua vista. Neanche volesse giocare a nascondino con lui.

“Come se io avessi voglia di starmene qua a giocherellare come se niente fosse” brontolò Malcolm, rigirandosi sul letto.

L’indomani sarebbero iniziate le lezioni all’ateneo e, entro l’anno successivo, avrebbe potuto finalmente conseguire la laurea in Arte.

Sapeva già cosa farne.

Aveva dei buoni contatti con un gallerista di Washington D.C., lo stesso che, per anni, aveva esposto le opere fotografiche di zia Brigidh.

Il suo gusto e la sua attenzione per i particolari lo avevano conquistato e, anche grazie al suo fiuto per un falso d’autore – che aveva salvato il gallerista da un buco milionario – si era aggiudicato un posto quasi sicuro presso di lui.

Non gli dispiaceva aver trovato un potenziale lavoro vicino a casa, checché ne dicessero gli amici di avere i genitori a poca distanza da loro.

Lui amava la sua famiglia e, indipendentemente dalla loro interconnessione spirituale, non avrebbe mai avuto nulla da ridire, nell’averli vicino.

Che Keath e Bobby cercassero lontano dai loro lidi di appartenenza, se volevano. A lui piaceva l’idea di tornare a Washington, così come il pensiero di poter stare accanto ai suoi cari.

Non l’avrebbe mai trovato sciocco, né infantile. Per lui, la famiglia era davvero tutto.

 

 
 
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1: La squadre sportive della Columbia University hanno come simbolo il leone.
2: Mi riferisco a un personaggio di ‘Ali Scarlatte 2.0’, una storia che ho scritto qualche tempo fa e che trovate qui.
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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


 
3.
 
 
 
 
Sorseggiando il proprio caffè da asporto mentre attraversava di corsa uno dei corridoi dell’ateneo, Malcolm mormorò al bluetooth: “Scusami se ti rompo all’università, Ben, ma non sapevo davvero dove andare a sbattere la testa.”
 
“Avresti dovuto chiamarmi prima, invece, se la tua ansia era tale da farti sbattere la testa contro i muri” replicò Benjamin Thomson – o Fenice Araba – con un misto di ironia e preoccupazione.
 
Quel commento allegro, volto a sdrammatizzare la situazione, tranquillizzò un poco il giovane Guardiano. Era impossibile rimanere ansiosi, quando si parlava con Ben, anche se si stavano sentendo solo tramite telefono, ed erano a quasi tremila miglia di distanza.
 
Lui, a New York, mentre Ben, a Seattle, all’University of Washington, dove aveva appena iniziato gli studi di medicina.
 
Tornando comunque serio, Ben aggiunse: “Ho avvertito anch’io un’energia potente galleggiare curiosa attorno a te, ma è erratica e senza corpo. Non riesco a riconoscerla in niente che io conosca, ma mi informerò ai piani alti, giusto per sapere se possono darci una mano.”
 
Il fatto che Benjamin, o Benu, o Fenice Araba, potesse parlare con una qualsiasi divinità solare dei pantheon passati – più o meno antichi che fossero –, lasciava ancora abbastanza interdetto Malcolm.
 
Lui, che era il tramite di Arianrhod in terra, non aveva ancora avuto l’onore – o l’onere? – di parlare con la dea. Per Ben, invece, avere a che fare con gli dèi solari, era come chiacchierare con il vicino di casa.
 
Ma Malcolm non era un dio reincarnato, era soltanto un Guardiano degli Elementali. Tutt’altra cosa, e su tutt’altra scala, pur se anche i suoi poteri erano di una certa portata.
 
Rendere marionette le persone, asservirle ai propri scopi, non era un dono da poco e, di certo, lui non l’avrebbe mai usato. Non in quel modo, per lo meno.
 
“Ti ringrazio… ma non voglio che tu ci stia troppo a pensare. Risolverò la cosa da solo” si raccomandò Malcolm, raggiungendo finalmente la sua aula didattica.
 
“Sei mio amico, Mal, e tra amici ci si aiuta” terminò di dire il giovane, salutandolo allegramente prima di chiudere la telefonata.
 
Già, e quando avevi per amico una divinità, le cose che potevano succedere erano davvero tante e, quasi sicuramente, la maggior parte sarebbero state strane.
 
***
 
Keath, Bobby e Malcolm stavano consumando il loro pasto – panino e bibita – all’ombra di una quercia secolare quando, in lontananza, una voce femminile attirò la loro attenzione, discostandola da ciò che stavano ingurgitando.
 
Sorridendo spontaneamente non appena riconobbe le sue due nuove amiche, Malcolm le salutò mentre avanzando verso di loro e, sotto gli sguardi curiosi degli amici, disse: “Loro sono Eiko e Rin. Anche loro fanno parte del nostro clan di artisti svitati.”
 
“Ben venga… svitati in compagnia, svitati in allegria. Si sta meglio, no?” chiosò Bobby, allungando una mano. “Sono Robert. Tanto piacere, ragazze.”
 
“E io Keath” aggiunse il fulvo amico di Malcolm, strizzando l’occhio a entrambe.
 
Eiko e Rin sorrisero cordiali nello stringere le loro mani e, dopo essersi accomodate sul muricciolo assieme al trio, estrassero dalle loro sacche un paio di sandwich.
 
“Ditemi che trovate anche voi le lezioni di Patterson una noia mortale, o mi sentirò una mosca bianca” iniziò col dire Rin, sorseggiando un succo di frutta tra un morso e l’altro.
 
“John ‘sonnolenza’ Patterson?” ironizzò Bobby, sistemandosi gli occhiali con un dito prima di atteggiarsi a uomo serioso e cupo.
 
Arricciando le labbra, disse poi con tono querulo: “Non dovete pensare che l’arte pittorica di Leonardo sia inferiore al suo genio architettonico, o militare. Il solo pensarlo è da sciocchi!”
 
Rin rise di gusto, e così pure Eiko, che celiò: “Un’interpretazione perfetta! Ora non potrò più entrare in aula senza ricordarmi di questa scena!”
 
“Grazie, grazie… troppo gentili” si inchinò Bobby, sogghignando soddisfatto.
 
Malcolm gli diede una pacca sulla spalla, chiosando: “Avresti dovuto studiare recitazione… sei un comico nato.”
 
“Posso sempre fare l’artista e il comico. Se poi vi unisco il mio genio musicale, finirò a Broadway nel giro di cinque anni al massimo” decretò Bobby, passandosi con noncuranza le unghie sulla giacca, come a lucidarle. “Vi manderò i biglietti gratis per la Prima del mio spettacolo, promesso.”
 
Keath scoppiò in una grassa risata, replicando: “Ci crederò quando vedrò i cartelloni olografici in giro per la città, non un minuto prima!”
 
“Il solito malfidato inglese dei miei stivali…” cominciò col dire Bobby, prima di volgersi verso Malcolm e aggiungere: “… o meglio, Nord-irlandese, visto che Mal è Sud-irlandese… si dice, a proposito?”
 
“Siamo irlandesi, e di certo non inglesi. Punto” si limitò a dire Mal, scrollando le spalle. “Solo che la famiglia di Keath è originaria della contea di Antrim, mentre la mia di quella di Dublino. Gli inglesi sono sull’isola accanto.”
 
“Due irlandesi?” si interessò subito Rin, fissandoli curiosamente. “E tu, Bobby, di dove sei?”
 
“Americano doc da sei generazioni. Oltre, non saprei dirti. Forse, potrei avere sangue Nativo nelle vene, ma dovrei controllare” le spiegò il giovane, ammiccando.
 
“Dovete sapere che Rin, per hobby, studia – e stila su richiesta – le genealogie delle famiglie. Ama molto studiare il passato, e ha fatto interessanti ricerche per diverse famiglie, in questi anni, stilando loro gli alberi genealogici fino a venti generazioni addietro” spiegò loro Eiko, terminando il suo sandwich. “Si è anche iscritta a Ancestry.com e ha ricevuto diversi encomi, per il suo lavoro di ricerca.”
 
Rin le sorrise divertita quanto imbarazzata, replicando: “Ammettilo che ti sei compiaciuta, quando è saltato fuori che hai dei parenti legati all’Imperatore.”
 
“Forse” ghignò l’amica, facendo finta di niente.
 
Malcolm curiosò il volto di Eiko, e asserì: “Solo forse?”
 
Eiko allora rise, arrossì leggermente sotto lo sguardo interessato di Mal, e mormorò: “Molto più che forse. Ero ammirata, lo ammetto.”
 
“Allora, se conoscessi l’albero genealogico di Mal, ti inchineresti per lo shock” replicò Keath, strizzando poi l’occhio all’amico.
 
“Eddai, Keath…” brontolò Mal, maledicendosi per essersi lasciato sfuggire quel particolare, anni addietro.
 
Mai bere birra e sproloquiare al tempo stesso… non sai mai cosa può uscire dalla bocca.
 
Ma l’amico non lo ascoltò e, fattosi serioso come un professore, dichiarò a mezza voce, all’indirizzo delle due ragazze: “Il nostro qui presente Malcolm Anthony Thaddeus James Hamilton…”
 
“Idiota… solo Anthony…” sbuffò Mal, tirandogli un destro sul braccio.
 
“Ahia!” borbottò Keath, prima di continuare. “Comunque, stavo dicendo che il nostro qui presente Mal ha parenti importanti, che risalgono fino alla notte dei tempi ai personaggi più illustri dell’Irlanda di ogni tempo. Per intenderci, parlo dei tempi in cui i soldati combattevano con le bighe e il gonnello addosso. Non è fico?”
 
Rin lo fissò completamente rapita, stupita da una simile notizia e interessata ad andare in fondo alla cosa. Intrecciando le mani in segno di preghiera, quasi agognasse a una risposta affermativa, domandò a Mal: “E hai una documentazione completa?”
 
“Per la verità, sì. La mia famiglia ci ha sempre tenuto, alla propria discendenza” ammise Malcolm, pur senza specificarne i reali motivi.
 
A dirla tutta, non era un segreto di Stato, e molti dati si potevano trovare anche su Ancestry.com. Per curiosità, vi aveva ficcato il naso, una volta.
 
Tutti potevano saperne senza problemi perché, a conti fatti, non erano tanto i nomi della sua famiglia a essere speciali, quanto i doni a essa legati.
 
E quelli, per ovvie ragioni, non comparivano nell’albero genealogico ufficiale.
 
“Pensi che potrei visionarlo? L’albero genealogico, intendo…” gli sorrise Rin, speranzosa.
 
Malcolm ci pensò su per un attimo ma, di fronte agli occhi candidi e supplichevoli della ragazza, non seppe dire di no.
 
Stranamente, aveva sentito per Rin un’istintiva spinta protettiva, che lo portava a essere più disponibile di quanto, normalmente, non sarebbe stato. I suoi dolci occhi scuri, la sua dolce ingenuità e la sua reale passione per l’argomento lo portavano ad accontentarla senza se e senza ma …perché dirle di no, e per un favore così da poco?
 
Annuendo senza alcun problema, perciò, le disse: “Ne parlerò con mio padre. E’ lui che ha il libro in questione e, se non erro, ne abbiamo anche una copia digitale. Gli chiederò di mandarmelo.”
 
“Ti ringrazio. Mi hai appena fatto un regalo bellissimo” gli sorrise lieta Rin, allungandosi spontaneamente per dargli un bacio sulla guancia.
 
Bobby e Keath fischiarono da veri idioti, ricevendo per diretta conseguenza gli insulti dell’amico, ma Rin non vi badò.
 
Continuò a sorridere tutta contenta, mentre Eiko la guardava a metà tra il sorpreso e il preoccupato.
 
Quando, però, Rin le lanciò un’occhiata curiosa, Eiko si affrettò a mascherare i suoi dubbi dietro un sorriso.
 
Malcolm se ne chiese il motivo, ma preferì non curiosare. Erano cose tra amiche, e lui non poteva ficcanasare solo perché, quello sguardo, gli era parso strano.
 
Doveva imparare a farsi gli affaracci suoi.
 
Inoltre, il bacio era stato più che apprezzato perciò, perché preoccuparsi?
 
***
 
“… e così, parlando e riparlando, è uscita fuori questa cosa, e Rin mi ha chiesto se potevo mostrargli il nostro albero genealogico” terminò di spiegare Malcolm, sdraiato sul suo letto, le ombre della notte ad allungarsi nella stanza.
 
Le uniche luci presenti provenivano dall’esterno, dalla città che non aveva nessuna intenzione di andare a dormire, né mai l’avrebbe fatto.
 
Winter rise sommessamente, all’altro capo, e replicò: “L’albero genealogico, eh? Cos’è, una nuova parola in codice per dire altro?”
 
Sbuffando, Mal sentì le guance andare a fuoco – non poteva negare che il bacio di Rin gli aveva fatto formicolare la pelle, ma non l’avrebbe mai ammesso col padre – ma disse serafico: “Hai una mente più sporca di quanto non avessi mai immaginato, papà. E dire che pensavo di conoscerla. Sei peggio di zio Autumn.”
 
Win rise di puro piacere e, mentre Kimmy lo rimproverava bonariamente per il suo ficcanasare, Malcolm sorrise tra sé. Era così bello sentir ridere il padre.
 
Per quanti anni fossero passati, non avrebbe mai dimenticato il momento in cui Winter Hamilton aveva smesso di essere il padre gioviale e allegro che era, tramutandosi in un uomo diverso.
 
Aveva avuto poco più di quattro anni, all’epoca, e molti bambini non rammentano quasi niente di quel periodo.
 
Ma essere un Dominatore dello Spirito rende ininfluente il tempo e lo spazio.
 
Certe cose rimangono dentro fin dal primo vagito, e scompaiono solo con l’ultimo respiro.
 
Perciò, rammentava il giorno in cui era morta sua madre, che era combaciato con il momento in cui suo padre si era chiuso in se stesso, relegando fuori il mondo.
 
Certo, con lui, Spring e Summer era sempre stato gentile, generoso e premuroso, ma Malcolm non aveva potuto non notare quel cambiamento, in lui.
 
Salvare lo spirito di Erin era servito solo in parte, ma non lo aveva protetto dalla china pericolosa in cui era scivolato nel corso degli anni.
 
Il ghiaccio gli aveva coperto il cuore, e solo l’avvento di Kimmy lo aveva disciolto.
 
“Te lo sto mandando ora via e-mail…” intervenne a un certo punto il padre, strappandolo a quei pensieri. “… poi, mi saprai dire cosa ne penserà.”
 
“Penserà che è lungo un kilometro, ecco cosa!” rise Malcolm, salutando i genitori prima di chiudere la comunicazione e ripensare alle ultime ore appena trascorse.
 
Non era così sciocco da non notare l’apparente interesse di Rin nei suoi confronti e, a ben vedere, era una bella ragazza, oltre che assai spiritosa e divertente.
 
Era argento vivo, una bibita frizzante e fresca, ma sapeva rendere tanta estrosa eccitazione anche assai modesta e tenera, con i suoi comportamenti sinceramente dolci.
 
Eiko era più tranquilla, forse più timida, ma era a sua volta una ragazza interessante.
 
Portandosi le mani dietro la nuca, rimuginò sull’idea di lasciarsi andare a un possibile interessamento più profondo nei confronti di Rin e, subito, sorrise mesto.
 
Le poche esperienze che aveva avuto con le ragazze, erano state un autentico disastro.
 
Visto che ormai Maeb era morta e non poteva più confidarsi con lei, non sapeva davvero che pesci prendere.
 
Sarebbe stato inutile parlarne coi genitori o gli zii e, di sicuro, non ne avrebbe parlato con la piccola Shanna. Aveva il terrore che, non solo lo avrebbe ascoltato, ma avrebbe anche saputo consigliarlo.
 
No, meglio non pensarci.
 
Essere un Guardiano degli Elementali dello Spirito, era differente dall’essere il Dominatore di un elemento della Natura.
 
Lo Spirito, per sua stessa natura, era erratico, senza una forma definita, aveva spazio solo nella mente e nell’Ultramondo, ma non sul piano fisico.
 
Insomma, esulava da tutti gli altri Elementali, ed era perciò unico.
 
Solo un altro Guardiano dello Spirito avrebbe potuto comprendere il suo stato d’animo e, al momento, lui era il membro più adulto di quella ristrettissima cerchia.
 
Ergo, non poteva confidare a nessuno quanto, l’aver percepito dentro di sé i pensieri delle ragazze con cui aveva fatto sesso, l’avessero sconcertato… e demoralizzato.
 
Due di loro si erano dimostrate felici, ma niente affatto coinvolte sul piano emotivo più profondo. Una, l’aveva fatto solo per ripicca verso l’ex fidanzato.
 
L’ultima, forse quella che più l’aveva ferito, era stata un’accolita della dea e, perciò, a conoscenza del suo segreto.
 
Le vacanze passate a Dublino erano state splendide, il giusto riposo prima di iniziare l’ultimo anno all’università, ma avevano anche voluto dire altro, per lui.
 
Aveva conosciuto Lynne all’età di tredici anni e, nel corso delle sue estati in Irlanda, avevano vissuto svariate avventure assieme.
 
Subito, come amici impegnati a gironzolare e fare scorribande in giro per le campagne. In seguito, come ragazzo e ragazza interessati l’un l’altra.
 
Aveva scioccamente pensato che, con lei, avrebbe potuto essere se stesso, visto che Lynne era a conoscenza del suo segreto.
 
Per una volta nella vita, avrebbe potuto essere il vero Malcolm, non il ragazzo qualunque che fingeva di essere, quando era con gli altri.
 
Aveva però commesso l’errore enorme di aprire la mente per sfiorare la sua, desideroso di percepire interamente la passione di quel momento.
 
Giunto al culmine del piacere, durante un amplesso tenero e piacevole sotto le stelle, aveva visto.
 
Per rispetto verso di lei, non aveva detto nulla ma, il giorno della sua partenza, le aveva detto addio per sempre, affermando di non essere più disposto a essere il suo giocattolo.
 
Non l’avrebbe mai fatta diventare la compagna di un Guardiano, poiché le uniche cose che li legavano erano il ruolo di lui, e l’ambizione di lei.
 
Lynne aveva cercato di negare e, solo quando aveva compreso cosa fosse successo, gli aveva dato dell’approfittatore e del guardone.
 
Sdegnata, se n’era andata dall’aeroporto senza più voltarsi, e a Malcolm non era rimasto altro che incassare il colpo e prendere il volo che l’avrebbe ricondotto a casa.
 
Ai genitori non aveva detto nulla, ma sospettava che Kimmy avesse subodorato qualcosa e, forse, anche il padre.
 
Ugualmente, entrambi non avevano mai chiesto nulla; un giorno, forse, gliene avrebbe parlato lui stesso ma, di certo, non in quel momento.
 
Essere rifiutato a quel modo, e da una persona con cui era cresciuto, che aveva reputato amica e confidente, era stato uno smacco non da poco. Lo aveva fatto sentire un mostro, un’aberrazione della natura.
 
Certo, non era stato carino da parte sua ascoltare ma, a volte, era praticamente impossibile non farlo.
 
Specialmente durante un amplesso, quando le barriere erano del tutto annullate, e l’animo era esposto come un piccolo cosmo acceso da un’esplosione.
 
Aveva davvero intenzione di rischiare ancora, di testare l’apparente interessamento di Rin verso di lui?
 
E Malcolm era interessato a conoscerla veramente, a mettersi in gioco?
 
Sbuffando, si levò da letto quando il computer portatile emise un flebile bip – l’e-mail del padre era arrivata – e, non avendo altro da fare, scaricò il file su una chiavetta e attese.
 
Attese che il sonno lo raggiungesse, che una voce lo consolasse, che uno spirito giungesse a dargli risposte, ma nulla avvenne.
 
Dell’energia erratica che sembrava essere incuriosita da lui, neppure l’ombra. Che avesse avvertito il suo animo ombroso, e si fosse tenuta alla larga? Chissà.
 
Pur cercandola nell’Ultramondo, non aveva captato nulla di strano, se non i soliti pensieri, le solite chiacchiere vanesie, i soliti desideri inespressi.
 
A ovest, la luce di Ben, ma nient’altro.
 
Niente che lo aiutasse a decidere, a rappacificarsi con il suo animo in pena.
 
Quando infine la chiavetta fu caricata, la estrasse e la mise nella sua sacca.
 
L’indomani, l’avrebbe consegnata a Rin e, una volta che fosse stato con lei, avrebbe forse capito come comportarsi.
 
***
 
Poteva chiedere? Poteva osare di sperare in una risposta o, ancora una volta, Rin avrebbe fatto la sostenuta e le avrebbe detto di impicciarsi degli affari propri?
 
Non le piaceva stare sulle sue, quando era con la sua amica d’infanzia, ma le era parso assai strano – e ben poco da lei – il suo interessamento sfacciato nei confronti di Malcolm.
 
Non che non potesse capirla. Mal era sicuramente un bel ragazzo, dalla parlantina sciolta e gli occhi espressivi.
 
Ma da lì a fargli un terzo grado simile, e dopo solo un incontro?
 
No, le sembrava giusto dirle cosa ne pensava, soprattutto perché interessava anche a lei fare amicizia con Malcolm, e non voleva che i modi di Rin rovinassero tutto.
 
Eiko, perciò, bussò alla porta della camera dell’amica – che aveva la stanza a fianco della sua, allo studentato – e attese.
 
Ad aprire fu la sua compagna di camera, Felicia che, vedendola, le sorrise divertita e disse: “Mi chiedevo quando saresti venuta.”
 
“In che senso?” esalò sorpresa Eiko, fissandola con tanto d’occhi.
 
Ridacchiando, Felicia uscì un momento dalla stanza per non farsi udire e, complice il caos nei corridoi, mormorò cospiratrice: “E’ più di un’ora che si lagna del fatto che tu hai fatto la rompiscatole con Malcolm Hamilton e soci, e che te ne avrebbe dette quattro. Pensavo che, ormai, le sue onde negative fossero arrivate a disturbarti.”
 
Da brava fanatica del mistico e dell’occulto, Felicia aveva dato per scontato che il malumore della compagna di stanza potesse viaggiare attraverso le pareti, fino a raggiungerla.
 
Eiko sorrise indulgente e, con una scrollata di spalle, replicò: “Potrei dire lo stesso di lei, visto che è stata così impertinente da fare il terzo grado a Hamilton, neanche ci conoscessimo da chissà quanto!”
 
Poi, accigliandosi leggermente nel rammentare una parte in particolare della frase di Felicia, aggiunse: “Li conosci anche tu? Malcolm e gli altri, intendo?”
 
“Quel concentrato di testosterone allo stato puro? Chi non li conosce?” esalò eccitata la ragazza, gli occhi brillanti come stelle. “Alle feste fanno furore, pur se è vero che Malcolm non si fila nessuna. Non che io sappia, almeno. Keath e Bob, invece, si danno da fare e, pur se sono assai corretti – nessuna si è mai lamentata, per lo meno – non hanno ancora trovato chi fa battere loro forte il cuore.”
 
“Oh” esalò sorpresa Eiko, sorridendo divertita.
 
“Sarà un peccato non rivederli, l’anno prossimo” sospirò affranta Felicia, prima di poggiare la mano sulla maniglia della porta. “Entri, allora, o aspetti che sbollisca?”
 
“Entro. Fossi in te, mi farei un giro. Non vorrei che la mia aura negativa potesse infastidirti” ironizzò Eiko, sollevando le mani a mo’ di artiglio.
 
Felicia scoppiò a ridere, le diede una pacca sulla spalla e se ne andò trotterellando, affiancandosi a un paio di amiche per chiacchierare.
 
“E così la noiosa sarei io, eh?” bofonchiò Eiko, entrando finalmente nella stanza per poi chiudersi la porta alle spalle con un secco sbam.
 
Seduta a gambe conserte sul letto, Eiko trovò Rin, quest’ultima impegnata a scribacchiare frettolosamente su un bloc-notes giallo.
 
Non appena la intravide, sbatté il blocco sul letto, si levò furiosa e, in un paio di passi, la raggiunse per dirle: “Proprio tu… sai cosa ti devo dire, bella mia? Che hai esagerato, oggi! Mi hai fatta passare per una sciocca, con quelle tue occhiate in tralice, sai?”
 
“Io? Sei tu che sei stata indiscreta! Abbiamo conosciuto solo oggi gli amici di Malcolm, e lui lo abbiamo intravisto in un negozio giusto qualche giorno prima. Ti pare sufficiente, per fare la smorfiosa e appiccicarti a lui come una cozza?!” sbottò Eiko, accigliandosi immediatamente.
 
Non era partita con l’idea di litigare ma, se Rin voleva la guerra…
 
Quest’ultima, facendo tanto d’occhi, esclamò inviperita: “Smorfiosa? Io? Ma per chi mi hai presa?! Sai benissimo che adoro studiare le genealogie, e che le storie sulle famiglie mi appassionano. Tu sei fortunata a poter contare su un albero genealogico così vasto e antico, ma io? Io non ho nessuno! Non sono nessuno!”
 
Eiko sospirò nonostante l’arrabbiatura, sapendo bene cosa intendesse dire l’amica.
 
Sapeva anche il perché Rin si fosse sempre fissata così tanto sulla storia e gli alberi genealogici. Lei non aveva mai posseduto nulla di tutto ciò. Non di veramente suo, per lo meno, e affondare con la mente nelle storie degli altri le faceva dimenticare, per qualche tempo, il fatto di essere un’orfana.
 
Abbandonata dai genitori in un orfanotrofio, era stata cresciuta in istituto fino ai tredici anni, finché non era stata adottata dalla famiglia che abitava accanto alla casa di Eiko.
 
Divenute subito amiche, Eiko non aveva faticato a comprendere il bisogno quasi spasmodico di amore della piccola Rin, così si era aperta a lei con tutto il cuore, stringendola nel suo affetto di bambina.
 
Era parso più che evidente a tutti, nel corso degli anni, quanto la mancanza di radici le avesse pesato. I suoi genitori adottivi erano sempre stati comprensivi e gentili con lei, e Rin altrettanto, ma la giovane non era mai riuscita a sviluppare un vero rapporto, con loro.
 
Solo con Eiko era riuscita a instaurare qualcosa di veramente profondo e, su di lei, Rin aveva riversato ogni stilla di affetto e amore incondizionato.
 
La casa di Eiko era divenuta quella di Rin e, spesso e volentieri, le due avevano dormito assieme nella stessa camera, come sorelle.
 
Si erano diplomate allo stesso istituto e, di comune accordo, avevano deciso di partire per gli Stati Uniti per studiare arte alla Columbia.
 
Il divertimento era sempre stato all’ordine del giorno, per loro due, e niente e nessuno aveva potuto dividerle.
 
Fino a quel momento.
 
Era mai possibile che Rin fosse davvero così interessata a Malcolm? Che il suo non fosse semplice esibizionismo, ma un reale e sincero desiderio di conoscerlo nel profondo?
 
Ed era mai possibile che lei fosse disposta a litigare con la sua migliore amica, e per un ragazzo appena conosciuto?
 
Sospirando, Eiko si calmò immediatamente e, afferrata Rin, la strinse in un abbraccio fraterno, mormorando: “Gomennasai, Rin-chan. Scusami tanto. Non dovevo prendermela a quel modo.”
 
Rin tremò nel suo abbraccio, e un singulto le uscì dalla bocca mentre le sue sottili braccia la stringevano a sua volta.
 
“Scusami tu, Eiko-necchan. Non avrei dovuto saltarti al collo a questo modo. In effetti, sono stata un po’ irruente, oggi. Non so dirti cosa mi sia preso, ma Malcolm sa essere così gentile, e la sua storia mi interessa davvero.”
 
“Non può che essere così, visto che ha un albero genealogico millenario. Avrei dovuto arrivarci da sola, senza pensare subito le peggio cose di te.” rise suo malgrado Eiko, scostandosi per carezzarle il viso acqua e sapone. “So essere così noiosa e bacchettona, quando voglio…”
 
Ciò detto, affondò in quei meravigliosi occhi color cioccolato, così dolci e cari, e ora assai contriti, e aggiunse: “Temo che mi interessi un po’ troppo conoscere Malcolm, così mi ha irritata il fatto che tu lo stessi monopolizzando.”
 
Rin rise divertita, a quel commento spontaneo quanto sincero e, lanciandosi in un altro abbraccio prima di scostarsi dall’amica, ammiccò comicamente e dichiarò: “Non sarebbe la prima volta che ci piace lo stesso ragazzo, e che ci becchiamo per lui come galline.”
 
E che falliamo miseramente nel tentativo di conquistarlo” asserì poi Eiko, facendo scoppiare nuovamente a ridere l’amica.
 
“Oh, sì! Ricordi Takada? Finimmo con il farci odiare!” ghignò divertita Rin, prendendola sottobraccio per trascinarla verso il suo letto e sedervisi sopra assieme all’amica.
 
“Dio, non mi ricordare Takada Mokuda! Arrossisco ancora al pensiero di quanto fummo sciocche, all’epoca” esalò Eiko, coprendosi il viso per la vergogna.
 
Avevano avuto diciassette anni e tanti ormoni in circolo, e si erano entrambe invaghite del capitano della squadra di kendo della scuola.
 
Erano state così maldestre e moleste che, alla fine, il povero ragazzo le aveva minacciate di pesanti punizioni corporali, se non lo avessero lasciato in pace.
 
Rin le sorrise con calore e, tornando seria, strinse tra le proprie le mani dell’amica e ammise: “Malcolm ha qualcosa di speciale e sì, la domanda sulla storia della sua famiglia non l’ho posta a caso. Mi va di incontrarlo di nuovo, oltre che di scoprire quanto sia enorme il suo albero genealogico.”
A quel doppio-senso, Eiko scoppiò a ridere e Rin la colpì a un braccio per ripicca, divenendo rossa come un peperone prima di scoppiare a sua volta in una risata.
“Non intendevo quello, depravata! Comunque, non rovinerò la mia amicizia con te, qualsiasi cosa accada. Se sceglierà una di noi per qualcosa di più della semplice amicizia, accetterò il verdetto. E tu?”
 
“Nessun uomo potrà mai dividerci. E sì, accetterò le scelte di Malcolm, anche se dovesse decidere che nessuna delle due gli interessa” sorrise Eiko, tornando ad abbracciarla. “Tu sei più importante di tutti gli uomini del mondo.”
 
“E così tu” mormorò Rin, poggiando il capo sulla spalla dell’amica, soddisfatta dalle sue parole.





Note: I misteri continuano, e sembra che la presenza erratica che segue Malcolm sia ben contenta di rimanere nell'ombra, intenta a spiarlo. Per fare cosa in seguito, è ancora tutto da scoprire (non per me, è ovvio...^_^)
Nel frattempo, persina una semidivinità come Benjamin si è messa in campo, e questo potrebbe essere l'asso vincente per Mal, al fine di scoprire chi lo spia. Vedremo...
Per ora, abbiamo scoperto qualcosa di più su Eiko e Rin, e sul loro comune passato. 
Spero di avervi incuriosite a sufficienza per continuare a seguirmi. Per ora vi ringrazio per essere passate e, se volete farmi sapere cosa ne pensate, sarò ben lieta di leggere i vostri pensieri. A presto!

 

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


 
4.
 
 
 
 
Profumo di pelliccia, morbidezza di pelo profumato e folto, aroma di calore soprannaturale che lo avvolgeva, lo accarezzava languido, lo…
 
Svegliandosi di soprassalto, accaldato e chiaramente eccitato, Malcolm si passò una mano sul torace febbricitante – dove il cuore batteva all’impazzata – e, fremente, cercò di ricordare cosa lo aveva destato.
 
Nulla di nulla.
 
La sua mente sembrava svuotata, a parte che per un particolare non da poco, e quanto mai imbarazzante.
 
I suoi pensieri si erano fatti pericolosamente libidinosi, e il suo corpo aveva reagito a tutto ciò, lasciandogli in eredità un’erezione piuttosto evidente.
 
L’imbarazzo aumentò di livello di attimo in attimo, portandolo a uscire dal letto in tutta fretta, ben deciso a farsi una doccia gelata.
 
Quando, però, vide che ore erano, si sgomentò.
 
Le tre del mattino.
 
Questo bastò a stordirlo quel tanto da riportarlo alla normalità, facendolo ricadere sul letto, stremato e ammosciato sia nel fisico che nell’animo.
 
Gli era capitato altre volte di fare sogni erotici ma, tendenzialmente, avevano riguardato persone che, poi, rammentava una volta sveglio.
 
In quel caso, però, non solo non ricordava un accidente di quel che aveva sognato, ma la sensazione lasciata sul suo corpo era stata così forte da stremarlo.
 
Neanche avesse fatto veramente sesso bollente con qualcuno. Peccato che nella stanza vi fosse solo lui, e lui soltanto.
 
“Dio, ma che mi sta succedendo?” esalò esausto, infilandosi nuovamente sotto le lenzuola.
 
Non che contasse di riaddormentarsi, a quel punto, ma l’idea di camminare avanti e indietro come un idiota, gli sembrava davvero eccessiva.
 
Pensò comunque Ben a tenerlo occupato.
 
Il suo cellulare vibrò sulla scrivania – non lo spegneva mai, visto che in appartamento non avevano il telefono fisso – e Malcolm, nell’afferrarlo, mormorò: “Ben… che succede?”
 
“Posso girare a te la domanda? La tua luce ha sfolgorato così tanto, nell’Ultramondo, da avermi destato. Devi dirmi chi è la ragazza che ti ha fatto questo effetto, perché voglio assolutamente conoscerla” dichiarò divertita la giovane Araba Fenice.
 
Malcolm si tappò la bocca per non scoppiare in una grassa risata e, quando ebbe finalmente raggiunto un certo contegno, asserì a bassa voce: “Magari lo sapessi… la sposerei subito.”
 
Tornando subito serio, Ben esalò: “Il tuo visitatore erratico?”
 
“Immagino di sì, visto che non ricordo un accidente di quello che stavo sognando, e il mio corpo sembra reduce da un amplesso di ore.”
 
Ben non rise, pur se Malcolm aveva infuso una certa ironia in quell’ultima frase.
 
Entrambi sapevano bene che non c’era nulla da scherzare, in quella situazione così strana e insolita.
 
Se un essere, un’entità o quello che era, poteva impossessarsi della mente di un Guardiano, non solo era potente, ma anche pericoloso.
 
Pur se non avevano ancora compreso i motivi di queste incursioni e sparizioni improvvise, appariva evidente che quella creatura ce l’aveva con lui.
 
“Come sei messo, a energie mentali, ora come ora?” gli domandò a quel punto Ben.
 
“Al momento sono abbastanza stremato, come se fossi stato nel Cerchio di Potere per mezza giornata, o più.”
 
“Non sono avvezzo ai poteri del vostro Cerchio, ma ho un’idea piuttosto chiara di quel che ho visto, e l’energia che hai sprigionato era enorme. Non come la mia, ma ci si avvicinava maledettamente” mormorò pensieroso Ben.
 
Questo non era per niente positivo, pensò tra sé Malcolm, ben sapendo quanto gigantesca e apparentemente infinita fosse l’energia astrale di Benjamin Thomson.
 
Una Fenice Araba era quanto di più vicino a un dio vi fosse sulla Terra e, per quel che ne sapevano loro, era l’entità più potente in vita in quel periodo.
 
Cosa vi poteva essere, in grado di far prendere il controllo a un Guardiano, che non fosse la stessa Fenice?
 
“Siamo sicuri che tu puoi essere uno, e uno solo?” gli domandò Mal, dubbioso.
 
“Più che sì. Mamma è stata chiara. Non due, né tre, ma solo una Fenice per volta” dichiarò lapidario Ben. “Quel che mi fa pensare, è il sogno in sé.”
 
“Che intendi dire?” si informò Malcolm, accigliandosi.
 
“L’estensione del tuo potere si è legata a un atto sessuale, da quel che abbiamo potuto capire e, anche se non eri con nessuno, sul momento, il tuo fisico, i tuoi dotti linfatici, ogni singola particella di te ha reagito come se realmente stessi copulando con qualcuno.”
 
Sentire parlare Benjamin di sesso, a quell’ora di notte, e rapportare l’atto a qualcosa di potenzialmente pericoloso, gli parve più che strano.
 
Gli parve paradossale, ai limiti dell’assurdo, ma non poteva svicolare da quella chiamata, visto quanto c’era in ballo.
 
E neppure lo voleva, pur se si sentiva tremendamente in imbarazzo.
 
“Ergo?” mormorò Mal.
 
“Temo possa trattarsi di una qualsiasi entità legata all’energia sessuale, vale a dire quasi tutte quelle legate al sole, più svariate che non lo sono. Direi, quasi un centinaio” mormorò spiacente Ben, sospirando afflitto.
 
“E… e questo centinaio cammina come me e te?” esalò scioccato Malcolm, ormai senza parole.
 
“Devo scoprirlo, perché onestamente non lo so. Contrariamente a te, io posso vedere tutti e tutto, e a essi posso dare un nome, ma non posso riconoscere ciò che ti dà la caccia, perché non sta seguendo me” mormorò spiacente la giovane Fenice Araba. “Inoltre, pare essere assai furba, questa entità, perché scompare sempre un attimo prima che io dia un’occhiata verso di te.”
 
“Avere dei nomi potrebbe aiutarmi. Da lì, potrei reindirizzare questi dati a Sean, e sperare che possa capirci più di me e te” sospirò Malcolm, sentendosi dichiaratamente impotente.
 
“Vedrò quel che posso fare e, eventualmente, disturberò io Sean con una telefonata. Nel frattempo, vuoi un consiglio?”
 
“Anche più di uno, se ne hai” esalò Mal, sorridendo suo malgrado.
 
“Procurati un rubino a cinque facce. E deve essere puro al cento percento” dichiarò Ben, del tutto serio.
 
“Chiederò a zia Spry. Lei, con le pietre, ci sa fare” assentì Malcolm, ben immaginando i motivi di quella strana richiesta.
 
Il rubino rosso controllava la lussuria ed evitava i picchi energetici di qualsiasi genere, fossero essi psichici o fisici. Per una mente recettiva e mistica come la sua, la pietra sarebbe stata come un doppler, avrebbe fatto rimbalzare le sue energie ogni dove, evitandone la saturazione.
 
“Di’ a tua zia che la adoro. E buonanotte” disse Ben, chiudendo la comunicazione.
 
Malcolm sorrise. Era noto a tutti che Benjamin avesse un debole per Spring. E come dargli torto, visto quanto era adorabile?
 
Inoltre, fatto davvero curioso, la sorella di Ben si chiamava come sua cugina; Sunshine.
 
Quando le rispettive ragazze lo avevano saputo, ne avevano riso come pazze e, tra loro, si erano scambiate un sacco di e-mail per riderne anche in compagnia.
 
A ogni buon conto, avrebbe parlato con sua zia solo in un orario più consono e, di certo, non a quell’ora di notte.
 
Qualcuno, però, gli impedì di smettere di pensare a quell’argomento e, con aria accigliata, Malcolm scrutò il numero di suo zio Autumn con la mezza idea di non rispondere.
 
Non che servisse a molto; lo avrebbe subissato di telefonate fino a che non avesse risposto.
 
Insomma, un autentico strazio formato zio.
 
Quando, perciò, accettò la chiamata, bofonchiò: “Non una parola…”
 
“A cosa servirebbe averti chiamato, allora?” ironizzò Autumn, ridendo poi senza posa.
 
Malcolm accettò la sua ironia senza replicare e, quando lo zio si fu calmato, gli domandò: “Io so perché sono sveglio, ma tu? Che succede?”
 
“Melody sta trafficando accanto al PC da ore, e non ne vuole sapere di venire a letto, prima di aver terminato il suo progetto di un nuovo microchip. Così, sto bighellonando per casa assieme a Fire, Rock e Rain” gli spiegò Autumn, mentre in sottofondo si sentivano uggiolare i tre cuccioli di lupo meticcio della coppia.
 
Fu il turno di Malcolm per ridere e, asciugandosi una lacrima d’ilarità, esalò: “Ma come? Non hai il potere di riportarla nel tuo letto? Il tuo fascino non funziona più?”
 
“Non scherzare, ragazzo. Potrei far innamorare di me frotte di donne, ma ne ho già due in casa, che spadroneggiano, e non voglio altri grattacapi” brontolò l’uomo, tornando poi serio. “Devo preoccuparmi per quello che ho accidentalmente ascoltato?”
 
“Sì, accidentalmente… a chi vuoi raccontarla, zio?” sbuffò Malcolm.
 
“E’ difficile non sentire Ben, e lo sai bene anche tu. La sua voce riverbera come un bang sonico in tutto l’aere, e le mie Elementali sono tutte innamorate di lui” grugnì Autumn, facendo sorridere il nipote.
 
Aveva scorto più di una fata dell’aria danzare in piena estasi, al solo pensiero di poter stare in compagnia di Ben, perciò non faticava a credere allo zio.
 
In effetti, tutte le fate degli elementi erano innamorate di lui. Senza eccezione alcuna. Anche le sue, a ben vedere, gioivano quando lui e Ben parlavano mentalmente, e non tramite telefono.
 
In quel modo, potevano avere direttamente a che fare con Fenice e, per loro, era come festeggiare la mattina di Natale.
 
C’era di che essere un po’ gelosi, in effetti ma, dopotutto, qui si parlava di un semidio vivente. Di una quintessenza. Non di bruscolini.
 
Sospirando, Malcolm si avvicinò alla finestra della sua stanza, scostò un tendaggio azzurro cielo e scrutò la città illuminata a giorno, e in continua attività.
 
Poteva avvertire sulla pelle il suo respiro, la sua vitalità, la sua energia a stento trattenuta dalle catene di potere del pianeta, …ma non sapeva dare un nome al suo curioso avventuriero mentale.
 
“Ci siamo lavorando, zio. Per il momento, non voglio dire nulla a mamma e papà. Sanno che c’è qualcosa ma…”
 
Autumn lo azzittì, asserendo: “Sai che ci avrai sempre al tuo fianco, Mal. Quando lo riterrai opportuno, interverremo, non un attimo prima. Hai il diritto di prendere le tue decisioni in piena libertà, senza che noi mettiamo costantemente il becco in tutto.”
 
“Grazie. Davvero” mormorò Mal, lieto che lo zio si fidasse di lui.
 
“Sei figlio di mio fratello, Mal. Non ho dubbi che saprai risolvere questo casino o, nell’eventualità, domandare aiuto. Già il fatto che Ben ti stia dando una mano, mi rincuora. Cerca solo di non morire per un eccesso di org…”
 
“Zio!” sibilò Malcolm, bloccandolo sul nascere.
 
Un rapido rossore gli imporporò le gote e, nel mandare al diavolo Autumn, chiuse la comunicazione e si mise d’impegno per dormire.
 
Sperando di tutto cuore che potesse accadere prima del sorgere del sole.
 
Ne aveva abbastanza di quella nottataccia d’inferno.
 
***
 
Ghignando da un orecchio all’altro, Bobby passò una tazza formato gigante a Malcolm e, dal suo bordo porcellanato, un denso vapore al sapor di caffè invase il viso del giovane.
 
Giovane che, sbattuto come un tappetino e dalle profonde occhiaie sul viso, sembrava essere stato schiacciato da una muta di bufali.
 
E da un convoglio di camion.
 
Guidati da dei folli scriteriati e pieni di alcol.
 
“Qualcuno ha fatto le ore piccole, mi pare di capire…” ironizzò Keath, servendo a tutti delle uova strapazzate con bacon croccante.
 
“Ho dormito male” brontolò Malcolm, ingollando il caffè bollente.
 
“Sì, certo…” ghignò Bobby, masticando poi le sue uova con movimenti ostentati, quasi comici.
 
Mal lo guardò malissimo, chiedendosi cosa avesse sentito, ma preferì non controllare direttamente.
 
Si era ripromesso non ficcanasare mai nella mente dei suoi amici e, neppure in questo caso, sapere venuto meno al suo giuramento. Anche se sbirciare, in quel momento, gli sembrava quanto meno il minimo, visti i loro sguardi ghignanti e ironici.
 
Se lo sarebbero meritato, dopotutto! Prenderlo per i fondelli mentre lui stentava a reggersi in piedi!
 
Ugualmente, preferì non dare libero sfogo alle Elementali che, leziose e divertite, se ne stavano appollaiate – invisibili – sulle spalle dei suoi amici, pronte a infilarsi nelle loro menti.
 
Le ali, sottili e quasi trasparenti, avevano la stessa consistenza dei loro abiti di seta di ragno, e apparivano bianche come neve, con qualche riflesso azzurro chiaro.
 
I loro capelli biondissimi, invece, erano diversi per ognuna di loro o, per lo meno, Malcolm non ne aveva ancora incontrata una con la stessa pettinatura.
 
Che fossero così vezzose da cambiarle ogni giorno? Possibile.
 
Aveva sempre preferito non chiedere.
 
In quel momento, Kysta’hyll-Kellann, la fata destinata a Bobby, lo pregò in ginocchio di penetrare nella mente del giovane, ma Mal glielo negò.
 
Non voleva ledere la loro privacy, se non per motivi più che gravi. Gli unici pensieri che lui aveva prelevato, erano sempre e solo stati quelli latenti, superficiali.
 
Gli erano sempre serviti per evitare gaffe, nulla di più.
 
Al suo diniego, la fatina si irritò e si accomodò scompostamente sulla spalla del giovane, forse speranzosa che Mal cambiasse idea.
 
Se Bobby avesse potuto avvertirne il peso – non che una fata alta pochi centimetri avrebbe potuto pesare molto, se di carne e ossa – si sarebbe voltato verso di lei con aria sgomenta.
 
In quel momento, Kysta’hyll-Kellann si stava comportando come una bimba dispettosa, esprimendo rimostranze in modi molto coloriti.
 
Malcolm la lasciò fare, perché non gli spiaceva che le sue fate si lasciassero andare, ma non permise comunque che lei potesse ficcare il naso.
 
Si sarebbe tenuto la curiosità e, in sua compagnia, si sarebbe diretto verso l’università per l’ennesima lezione.
 
***
 
Sdraiato all’ombra di una pianta nell’immenso spiazzo erboso dinanzi alla scuola, Malcolm sorrise spontaneamente non appena una figura gli si parò innanzi.
 
Rin lo salutò, pregandolo di rimanere sdraiato e, dopo essersi accomodata accanto a lui, gli domandò: “Dove sono Bobby e Keath? Li hai sotterrati da qualche parte?”
 
Mal rise sommessamente – a un certo punto, quella mattina, ci aveva anche pensato – e, scuotendo il capo, si mise seduto e ammise: “Li ho pregati di starmi alla larga, visto che ho avuto una nottataccia e non volevo che mi subissassero di battutacce.”
 
Rin sorrise maliziosa e replicò: “Immagino il tono delle battute ma… insomma, non sarebbe un po’ difficile scamparla, visto che abitate nello stesso appartamento?”
 
“Ecco almeno una persona che usa il cervello” sospirò Malcolm, facendo spallucce. “Farlo capire a loro, però, sembra un’impresa troppo grande… anche per me.”
 
“Non tutti gli uomini sono dotati di un criceto che cammina” ammiccò Rin, illuminando i caldi occhi di cioccolato.
 
“Un… criceto?” ripeté sorpreso Mal, fissandole quel volto acqua e sapone.
 
Sembravano così dolci e sinceri, i suoi grandi occhi scuri, e il suo viso appariva delicato e fresco… poteva davvero esistere una creatura realmente pura, e che non fosse stata contaminata dal mondo?
 
Rin lo sembrava o, per lo meno, il suo viso trasmetteva questo.
 
Stringendo le ginocchia al petto con le braccia, la ragazza ammise con divertimento: “Io ed Eiko diciamo sempre che, nella testa degli uomini, non ci sono neuroni, ma criceti nelle loro ruote girevoli. Alcuni, ne hanno così pochi che producono miseri pensieri. Altri, sono addormentati nel cranio, e le loro ruote sono tragicamente ferme.”
 
Malcolm rise di gusto, di fronte a quella metafora e, pur non potendo ammettere che in effetti alcuni uomini erano per l’appunto così, assentì più volte, dandole ragione.
 
Rin, allora, accentuò il proprio sorriso e disse con tono vagamente contrito: “Senti, Mal… per ieri…”
 
“Dimmi” mormorò lui, scrutandola curioso.
 
“Se ti sono sembrata impicciona, o ficcanaso, vorrei scusarmi” gli disse lei, poggiando una guancia sul ginocchio per guardarlo con occhi ancora più enormi, smarriti. “Sei un tipo interessante, e mi va di conoscerti, ma non voglio sembrarti una gatta morta o cose simili.”
 
Ancora quella sensazione di purezza, di candore virginale autentico.
 
Malcolm si sentì spinto a elevare intorno a lei una barriera di pura energia, al solo fine di tenerla al sicuro. Rin sapeva risvegliare in lui tutto questo, e quella consapevolezza gli disse anche un’altra cosa.
 
Voleva proteggerla, tenere al sicuro la purezza che scorgeva nei suoi occhi, il candore che esprimeva con la sua schiettezza… ma nient’altro.
 
Provava per lei l’istinto protettivo che sentiva nei confronti di Shanna, perché sentiva dentro di sé che creature come Rin erano rare, pure, dei piccoli gioielli ormai scomparsi.
 
Il suo dono lo spingeva a proteggerla, perché la percepiva come una creatura estremamente pura… quasi come se il suo fosse stato lo spirito di una fata.
 
Scuotendo perciò il capo, colpito da questa strana consapevolezza, Mal le sorrise affabile e replicò: “Non mi sei sembrata né impicciona, né ficcanaso. E non mi dà fastidio parlare della mia famiglia, poiché ne sono molto orgoglioso.”
 
Facendosi melanconica, Rin scrutò le miriadi di studenti che stavano passeggiando attorno a loro o che, come loro, stavano approfittando della frescura di quel posto per un breve break.
 
“Sei fortunato ad avere una storia alle tue spalle. Radici su cui poggiarti.”
 
Malcolm percepì senza bisogno di alcuno sforzo, cosa sarebbe venuto in seguito. Scorse una bimba piccola e infreddolita, un istituto, la sua paura e la sua solitudine.
 
Poi una luce, un volto di bambina – Eiko – e quello di due persone un po’ in là con gli anni, desiderosi di conoscere il dolce peso di essere genitori.
 
Quella bambina sola e abbandonata trovò una famiglia pronta a proteggerla, le braccia infantili di Eiko a stringerla, il suo amore a scaldarla.
 
Con una certa sorpresa, Malcolm scoprì come, l’affetto profondo di Rin verso Eiko, perfettamente ricambiato, si fosse rivelato negli anni così forte da surclassare anche quello verso i genitori adottivi.
 
Non sorelle di carne, ma di spirito.
 
“Avete litigato, per caso?” intuì Malcolm, sorridendole comprensivo.
 
Rin assentì, ammiccando, e ammise: “Non so cosa mi sia preso, perché abbia insistito tanto, né perché me la sia presa con Eiko. Non dovremmo mai litigare per un ragazzo! Siamo come sorelle.”
 
“Posso fare questo effetto” ironizzò Mal, facendola scoppiare a ridere.
 
“Già, puoi farlo, immagino. Il fatto è che, in seguito, mi sono sentita orribile, soprattutto perché non sono riuscita a dirle subito scusa. Lei lo ha fatto. Io no. E non so perché.”
 
La sua contrizione fece impallidire l’Elementale che gli aveva consentito di sbirciare i suoi pensieri superficiali, portandola a carezzare i capelli di Rin.
 
Malcolm sorrise tra sé, per quella gentilezza. Era raro che gli spiriti si lasciassero andare a simili esternazioni nei confronti degli umani con cui venivano in contatto.
 
Solo Melody, a suo tempo, era riuscita in una simile impresa, che lui sapesse.
 
Rin possedeva davvero un animo puro, se riusciva a intenerire persino un Elementale dello Spirito.
 
Animo che, in quel momento, era in pena per l’amica, che lei temeva di aver ferito.
 
“Non mi intendo molto di rapporti tra donne, né mi spingerei tanto in là da affermare di capirvi…” iniziò col dire Mal, ammiccando comicamente. “… ma non credo che, una semplice litigata, possa incrinare un rapporto bello come sembra essere il vostro.”
 
“Le chiederò umilmente scusa, a ogni modo. Non l’ho fatto ieri, ma oggi sicuramente mi saprò redimere” assentì tra sé Rin e Malcolm, nell’annuire, estrasse dalla tasca la sua chiave USB.
 
“Mio padre me l’ha spedito ieri notte. Puoi tenerla quanto vuoi, tanto ne ho altre da usare” le spiegò lui, consegnandole l’oggetto, poco più grande di un’unghia.
 
“Ti ringrazio. Onorerò la tua famiglia pregando per i vivi, e accenderò una candela per ricordare i defunti” mormorò grata lei, inclinando gentilmente il capo. “Credo che sia sempre il modo più giusto per approcciarsi alla storia di qualcuno. Si sta sbirciando nel suo passato così come nel suo potenziale futuro e, il minimo che si possa fare, è ringraziare coloro che non ci sono più.”
 
Quel pensiero colpì molto Malcolm, portandolo a sorridere. Sì, Rin era davvero un’anima pura. Forse un po’ impulsiva, ma di certo non cattiva.
 
“Prima che tu gli dia un’occhiata, voglio farti sapere che è aggiornato fino all’ultima generazione ancora in vita, perciò vedrai che mia madre è morta quando avevo quattro anni…” la mise in guardia Mal, vedendola sgranare gli occhi per lo sgomento. “Ho preferito dirtelo ora, piuttosto che farti arrivare alla scoperta senza averlo saputo prima.”
 
“Mi spiace immensamente” esalò lei, coprendosi la bocca per reprimere un singhiozzo.
 
“Ho di lei bellissimi ricordi, e amo molto la seconda moglie di mio padre. Kimmy è una mamma eccezionale, anche se non sono veramente suo figlio” la tranquillizzò lui, scrollando le spalle.
 
“Dirò una preghiera speciale per lei, allora” mormorò Rin, ritrovando il sorriso. “Comunque, il solo accennare alla tua seconda madre, mi ha fatto capire che bellissimo rapporto avete. Ti si sono illuminati gli occhi, al nominarla.”
 
“Kimmy è speciale, sì. Per mille motivi diversi” assentì Mal, afferrando il cellulare per mostrarle una foto.
 
Rin si accostò appena per meglio guardare e, come Malcolm aveva già sospettato in precedenza, provò solo il forte istinto di proteggerla. Ma come avrebbe fatto per sua sorella, o per le cugine. Nulla più di questo.
 
A volte, era snervante essere un lettore del pensiero mentre altre, invece, ti permetteva di evitare errori di valutazione davvero pericolosi. Come quello, per esempio.
 
Se si fosse spinto a interessarsi a Rin, per poi scoprire di vederla solo come una sorella, l’avrebbe sicuramente fatta soffrire, e di certo questo non lo voleva.
 
A quel modo, però, semplicemente toccando la superficie della sua mente – senza intaccarne i pensieri più profondi e segreti – poteva evitare errori tremendi e altrettanto tremende ritirate.
 
Rin, del tutto ignara dei suoi pensieri, sorrise nel vedere la foto di famiglia e mormorò: “Oh, e così questo è tuo padre? Posso dire che è uno schianto, senza che tu ne sia geloso?”
 
Malcolm scoppiò a ridere, annuendo, e Rin aggiunse: “Anche tua madre è stupenda, e sembra una donna molto sportiva. Dinamica.”
 
“Lo è davvero. Tra lei, zia Summer e zia Melody, potrebbero organizzare una spedizione sulla Luna e riuscire ad arrivarci senza problemi” ironizzò il giovane, ammiccando.
 
“Se lo faranno, mi unirò a loro… sempre che non sia d’intralcio” sorrise la ragazza, sfiorando con un dito l’immagine per ingrandirla. “I tuoi fratellini?”
 
“Shanna e Coryn” assentì Mal. “Lei è bella quanto dispettosa, e lui è serio quanto preciso.”
 
“Dispettosa? Non l’avrei mai detto. Sembra così… angelica” mormorò sorpresa Rin, volgendosi a mezzo quando sentì la voce di Eiko giungere dal sentiero.
 
Rin la salutò al pari di Malcolm e, dopo essere balzata in piedi, la raggiunse in pochi, rapidi balzelli per poi abbracciarla, dirle alcune rapide parole e poi baciarla su una guancia.
 
Eiko le sorrise di rimando, i suoi occhi si velarono per un attimo di lacrime ma, l’istante seguente, svanirono come neve al sole.
 
Malcolm invidiò il loro rapporto. Lui era terrorizzato all’idea di abbandonarsi tanto con un’altra persona, dare tutto di sé, per poi scoprire di non essere ricambiato.
 
Il suo dono si trasformava in un incubo, quando c’era di mezzo il suo cuore.
 
Insieme, le due ragazze si avvicinarono a Malcolm e Rin, nell’attirare a terra Eiko – facendola sedere tra lei e Mal – esclamò: “Guarda che bellissima famiglia, Eiko-necchan. Mal dice che sua sorella è pestifera. A me sembra impossibile.”
 
Ridendo, Eiko lanciò un sorriso a Malcolm a mo’ di saluto e, nell’osservare la foto incriminata, si accigliò e disse: “No. Non è davvero possibile. Sono solo pregiudizi da fratello.”
 
Malcolm le fissò divertito, a quel punto e, nel rimettere via il cellulare, disse loro: “La prima volta che vedete Keath o Bobby, chiedete a loro. Vi diranno quanto può essere tremenda mia sorella.”
 
Le due giovani si guardarono scettiche e Rin, nello stringere il braccio di Eiko con le proprie, scosse il capo e borbottò: “Io ero pestifera, da piccola. Eiko può dirtelo. Ma tua sorella non ha davvero un visino da peste.”
 
Eiko, a quel punto, lanciò un’occhiata divertita all’amica e replicò: “A ben vedere, neppure tu avevi un volto pestifero, eppure ne combinavi una più del diavolo.”
 
Rin, allora, si morse il labbro inferiore, inclinò il capo di mori capelli lisci e ammiccò.
 
“Ops.”
 
Disse soltanto questo, ma i suoi occhi maliziosi lasciarono intendere ben altro, e sia Malcolm che Eiko risero della sua ammissione di colpevolezza, oltre che della possibilità che Shanna potesse essere come era stata lei, un tempo.
 
Quando le risate si spensero, Eiko si guardò finalmente intorno e domandò: “Ma… e i tuoi amici? Li hai sotterrati?”
 
Mal rise nuovamente, notando come le due ragazze si esprimessero allo stesso modo e, spiegandole i motivi della loro mancanza, la vide sorridere maliziosa come, in precedenza, aveva fatto Rin.
 
Quel sorriso malizioso, però, unito al tocco comprensivo della mano di Eiko sulla sua spalla, non produssero affatto un sentimento fraterno e protettivo, dentro di lui, stavolta.
 
Gli Elementali si mossero non richiesti e dalla mente di Eiko giunse un amore dilagante per Rin, oltre che a un tocco di timido interesse per lui.
 
Null’altro. Niente sottintesi, niente strategie, solo calma, solo amore, solo curiosità. E un immenso senso di protezione esteso dalla ragazza verso la sua intima amica.
 
Se Rin sembrava pura come uno specchio d’acqua di montagna, Eiko era il placido bosco che lo proteggeva.
 
Bosco che, grazie alla sensazione di placida calma che sapeva trasmettere anche a lui, lo spingeva a inoltrarsi nei suoi meandri per scoprire cosa vi fosse nascosto all’interno.
 
Ecco, ora so di essere nei guai, pensò tra sé Malcolm, continuando a chiacchierare con le due giovani e cercando al tempo stesso di non smascherarsi.
 
Perché non voleva far capire a Eiko che il tocco superficiale con la sua mente lo aveva incuriosito e sì, lo stava spingendo a inoltrarsi in quel bosco pieno di misteri al solo fine di scoprirli tutti.
 
Cosa ne sarebbe venuto in seguito, non era in grado di saperlo ma, per la prima volta in vita sua, desiderava esporsi, mettersi in gioco… scoprire le carte per vincere.
 
Contro chi, o per cosa, ancora non lo sapeva… ma gli sembrava dannatamente giusto farlo.






Note: A quanto pare, lo spirito che disturba Malcolm è piuttosto irriverente, e lo colpisce in modi davvero inaspettati :))
Naturalmente, a parte il lato comico della situazione, Ben lo mette comunque in guardia, perché un simile sfoggio di potere può anche ridurre a larva Malcolm, che può essere portato a sfruttare fin troppo le sue risorse energetiche, prosciugandosi.
Insomma, va bene ridere, ma non troppo.
Rin, in compenso, si sente male per aver fatto arrabbiare l'amica e si confida con Mal, che capisce di essere interessato a lei solo come amica, ma nulla più. 
Cosa assai diversa per Eiko che, invece lo incuriosisce. Ma sarà così facile, per lui, proseguire nella conoscenza delle due ragazze, o lo spirito errante gli darà del filo da torcere?


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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


 
5.
 
 
 
  
Halloween
 
 
Se solo le persone qualunque avessero saputo…
 
Quel che, in tempi immemori, era stata una delle ricorrenze più importanti della Ruota dell’Anno – Samhain –, ora era un mero prodotto commerciale, una festa davvero pagana.
 
Nulla più che uno spargimento di soldi nell’etere, una scusa come un’altra per dare in pasto la propria anima al dio denaro.
 
Con questo tetro pensiero, Malcolm si levò da letto per affrontare quella strana giornata, quel labile confine tra i morti e i vivi che era Samhain.
 
Quel giorno avrebbe parlato con i suoi ancestrali parenti, avrebbe pensato a ciò che aveva perso e a quanto aveva trattenuto dentro di sé e, forse, si sarebbe anche divertito.
 
A onor del vero, lo spirito erratico che lo aveva infastidito nei mesi precedenti, pareva essersi chetato, forse non più interessato a lui e alla sua aura energetica.
 
O, più semplicemente, stava ideando un modo diverso per irretirlo.
 
Non a caso, sia Ben che Sean non avevano smesso di cercare di scoprire qualcosa su questa strana entità. Neppure loro si fidavano di quello strano e prolungato silenzio.
 
Dulcis in fundo, il rubino a cinque punte che Malcolm portava sempre con sé – vuoi nella tasca dei jeans come nella sacca dei libri – gli diceva che non tutto era compiuto.
 
Non aveva potuto non notare come, in alcuni momenti della giornata, le sue facce si risvegliassero di colpo, risplendendo incandescenti, per poi chetarsi.
 
In quei momenti, non aveva avvertito nulla attorno a sé, forse anche grazie al rubino, ma questo poteva voler dire solo una cosa.
 
I guai non erano finiti; si erano solo temporaneamente fermati. Tutto qui.
 
Mentre preparava la colazione per gli amici, indaffarati nel rassettare l’appartamento – la sera precedente, avevano fatto un mezzo disastro, nel guardare il rugby – Mal si girò sorpreso verso la porta.
 
Fu sul punto di esclamare i nomi di due persone che, di certo, non avrebbe mai pensato di vedere in quel momento ma, all’ultimo, si fermò. Avrebbe dovuto spiegare davvero troppe cose, se avesse parlato prima del suono del campanello.
 
Campanello che trillò allegro, espandendo il suo segnale all’interno dell’appartamento alcuni istanti dopo, sorprendendo Keath e Bobby, ma non Mal.
 
Asciugandosi in fretta le mani, quest’ultimo si avviò verso la porta per aprire e, al colmo dello stupore, si ritrovò innanzi una Catwoman affascinante e dai misteriosi occhi verdi.
 
L’attimo seguente, quegli occhi verdi ammiccarono divertiti e, con un balzello, Sunshine Consuelo Thomson balzò tra le braccia di Malcolm, esclamando: “Lo sapevo che ti avrei sorpreso! Ben ha fatto la lagna per tutto il viaggio, sapendo che volevo arrivare qui già in costume, ma io volevo assolutamente colpire nel segno!”
 
Scoppiando a ridere, Mal strinse a sé per un attimo la ridente sedicenne e sorella minore di Benjamin, prima di darle un affettuoso bacio sulla guancia.
 
“Di sicuro non mi aspettavo un’entrata in scena come questa. E neppure una vostra visita, se è per questo” le sorrise lui, lanciando poi un’occhiata alle sue spalle.
 
Un più compassato Benjamin Thomson fece il suo ingresso in scena e, sorridendo all’amico, gli strinse la mano protesa e disse: “Mi scuso per mia sorella. E’ una mattacchiona fatta e finita. Credo che abbia preso da nostra cugina.”
 
Malcolm ammiccò divertito, rammentando i racconti sulla cugina del padre di Benjamin, a quanto pare famosa sciupa-uomini.
 
Mentre Bobby e Keath si avvicinavano per salutare Sunny – come chiamavano affettuosamente la sorella di Ben – Malcolm disse mentalmente: “Non avresti potuto farmi sorpresa più grande, lo ammetto.”
 
“In parte, l’ho fatto anche per questo. Amo stupire. Inoltre, Sunny voleva assolutamente essere a New York per festeggiare un Halloween speciale, e così mi sono offerto di accompagnarla” gli spiegò Ben, facendo spallucce nel chiudersi la porta alle spalle.
 
“Sono davvero contento che voi siate qui” disse poi ad alta voce Malcolm.
 
“Halloween è un giorno troppo instabile e, con il tuo spirito non ancora sotto controllo, non me la sono sentita di rischiare” dichiarò mentalmente Ben, mentre salutava gli amici di Mal con forti strette di mano.
 
Un sorriso rischiarò il suo viso eburneo e circondato da ordinati capelli ramati, ma il suo pensiero successivo fu tutt’altro che sereno.
 
“Rah mi ha detto di prestare attenzione. E’ più che convinto che lo spirito che ha deciso di seguirti non appartenga a un pantheon specifico, perciò non ha padroni che lo controllino. Nessun essere ancestrale risponderà dei suoi eventuali errori… o attacchi.”
 
Malcolm annuì impercettibilmente a quella notizia e, nell’offrire la colazione anche ai loro ospiti a sorpresa, si domandò chi potesse aver attirato, a questo punto, con i suoi poteri.
 
***
 
Il corpo sottile e stretto in un maglioncino di lana d’angora bianco e un paio di jeans azzurro cielo, Eiko sospirò afflitta quando chiuse la porta alle sue spalle.
 
Malcolm la fissò dubbioso e la ragazza, spiacente, disse: “Niente da fare. Ha un febbrone da cavallo, e non potrà unirsi a noi per i festeggiamenti. Le avevo detto di non studiare tanto, ma quando mai mi dà ascolto?”
 
“Sta così male?” esalò spiacente il giovane, estendendo un poco la sua aura per controllare.
 
Quando sfiorò l’emanazione fisica di Rin, non poté che convenire con le parole di Eiko.
Era davvero messa male.
 
“Ha la febbre a quaranta, e ha una gola che potrebbe essere paragonata alla bocca di un vulcano” sospirò la ragazza, fissando dubbiosa la porta chiusa. “Forse, dovrei rimanere con lei e disertare il party. Dopotutto, potrebbe avere bisogno di aiuto e…”
 
Malcolm non la lasciò finire e, in barba a tutto, bussò un paio di volte prima di entrare, fissare spiacente Rin e mormorare: “Ehi, Rin-chan. Come andiamo?”
 
Rin lo fissò sgomenta, si coprì fin sotto il naso e borbottò contrariata: “Non venire! Non voglio attaccarti questo schifo di infreddatura!”
 
Mal le sorrise spontaneo e, rimanendo a distanza di sicurezza – era un Guardiano, ma si ammalava anche lui – infilò le mani in tasca con fare tranquillo e le domandò: “Sicura di voler rimanere qui tutta da sola?”
 
Lei assentì con forza, sibilando: “Se non porti via Eiko da qui, giuro che ti tiro addosso la prima cosa che mi capita sottomano.”
 
Lanciò poi un’occhiata al portatile aperto sulla scrivania e aggiunse: “Il tuo albero genealogico è incredibile, comunque. Sono arrivata alla Santa Inquisizione, più o meno.”
 
“Lo stai davvero studiando con attenzione” esalò sorpreso Malcolm.
 
“Merita ogni secondo che gli dedico…” sorrise orgogliosa la ragazza, prima di tossire. “… perciò, se non vuoi che anch’io diventi un nome su un pezzo di carta, lasciami riposare e fai divertire Eiko.”
 
Malcolm scoppiò in una risatina, di fronte alla sua strana minaccia e, nel riprendere in mano la maniglia della porta, disse: “Hai il mio numero di cellulare. Se hai bisogno, chiama.”
 
“Starò benissimo. Una dose da cavallo di antipiretici e, nel giro di due giorni, sarò di nuovo in piedi.”
 
Uno starnuto seguì il suo dire e, con un gran sventolare di mano, Rin lo cacciò bonariamente della stanza, portandolo a sorridere divertito.
 
Quando si chiuse la porta alle spalle, Mal sorrise a Eiko nell’offrirle il braccio e, rassegnato, dichiarò: “Ci ha cacciati alla grande. Sarà anche malata, ma ha lo spirito di un guerriero samurai.”
 
“Rin? Ho idea che, tra i suoi antenati, ve ne fosse uno squadrone intero. Ha un carattere davvero deciso” sorrise Eiko, assentendo.
 
Nell’osservare curioso la borsa che la ragazza teneva nella mano libera, le domandò: “E lì, cosa nascondi?”
 
“Il mio costume” ammiccò la giapponese, sorridendo maliziosa.
 
“Nessuna anticipazione?” le chiese, sempre più curioso.
 
“Lo vedrai…” dichiarò Eiko, prima di sospirare di sorpresa quando vide, in lontananza, la figura di Sunny. “Oddio! E quella Catwoman, chi è?”
 
“Una mia amica in visita. Si chiama Sunshine” sorrise Malcolm. “E lo statuario nobile dell’ottocento al suo fianco, è suo fratello Benjamin.”
 
“Wow” esalò, una volta raggiunto il gruppo.
 
Bobby e Keath, già vestiti da diavolo ed esorcista, sorrisero a Eiko, dichiarandosi poi spiacenti per la mancanza di Rin.
 
“Andiamo e torniamo dall’appartamento. Giusto il tempo di vestirci” li avvertì Malcolm.
 
“Avresti potuto venire già con il costume addosso” gli fece notare Keath, ammiccando poi a Eiko, che rise sommessamente. “Vedete di fare in fretta, o penseremo che tu abbia cattive intenzioni.”
 
“Murati la bocca, idiota” brontolò Malcolm, dandogli un pugno sulla spalla mentre raggiungeva l’auto a idrogeno assieme a Eiko.
 
La risata dei loro amici li seguì finché non furono seduti sui sedili e, nel caso di Malcolm, anche oltre. Le risate mentali sapevano essere davvero fastidiose, in certi momenti.
 
Dopo aver messo in moto ed essersi immesso nel traffico, Malcolm sorrise spiacente all’amica e disse: “Forse Keath aveva ragione ma, in tutta onestà, non mi andava di passare in costume dentro al dormitorio femminile.”
 
“Lascia che Keath parli… inoltre, neppure io avevo voglia di vestirmi subito. Volevo che il mio costume fosse una sorpresa. Vanitoso, ma non so che farci. E’ un mio grande difetto” sorrise lei, ammiccando.
 
“Non ti ci vedo, a essere vanitosa” replicò Mal, guidando senza problemi in mezzo al traffico.
 
“Oh, per certe cose lo sono” sorrise lei, smentendolo. “Sono una vanitosa senza speranza, quando devo scegliere lo smalto. Mai una volta che possa uscire di casa senza averlo messo. Ti pare normale?”
 
Malcolm sorrise divertito e, nel pensare a sua zia Summer, replicò: “Dovrò farti conoscere zia Summy. Lei ha fatto del rossetto un’autentica forma d’arte. Credo di non averla mai vista senza, eppure non la definirei vanitosa. E’ bella, sa di esserlo e non si nasconde dietro a false ipocrisie. Inoltre, sa che il rossetto le sta bene, perciò cerca sempre di abbinarlo al meglio. Ma non lo fa con scopi deprecabili. Le piace metterlo, perciò lo fa.”
 
Rammentando più che bene le foto della famiglia di Malcolm, Eiko assentì e disse: “Bella? Di’ pure che è bellissima. Pagherei per una chioma come la sua. Inoltre, sua figlia Cynthia è semplicemente adorabile. Assomiglia molto al papà.”
 
“Cynty? Oh, sì” assentì Malcolm, tenendo per sé il fatto che Cynthia era la prima Guardiana in assoluto ad avere un’affinità sia con il proprio Elemento che con i loa.
 
J.C. e Summer stavano ancora tentando di capire come far collimare gli Elementali della Terra con gli spiriti woodoo ma, da quel poco che avevano compreso, il tutto sembrava avere un senso.
 
Secondo gli houngan più anziani di New Orleans, la Terra e gli spiriti loa erano affini, perciò Cynthia avrebbe potuto gestirli entrambi, a tempo debito.
 
“Hai davvero una famiglia assai variegata… e molto unita” gli fece notare Eiko, mentre parcheggiavano nel sotterraneo del palazzo.
 
“Ne vado molto fiero” assentì Malcolm, fermando l’auto per poi spegnerla.
 
Subito, le luci di cortesia si accesero nell’abitacolo e Mal, preferendo evitare di rimanere per troppo tempo in quel luogo ristretto con Eiko, si affrettò a uscire.
 
Era passato un mese e mezzo dalla prima volta che aveva sfiorato la mente di Eiko, trovandola così affascinante da ritenerla un luogo ideale in cui perdersi.
 
Naturalmente, non aveva tentato più nessun approccio di genere mentale, limitandosi a stare in sua compagnia come avrebbe fatto con qualunque altra persona.
 
Aveva voluto fare le cose nel modo giusto, conoscerla come avrebbe potuto fare qualsiasi altro giovane della sua età, interessato a una ragazza.
 
Rin, inaspettatamente, gli era stata di grande aiuto.
 
Non aveva voluto indagare molto ma, dopo il suo iniziale interessamento, gli era parsa come tirarsi indietro per lasciare più spazio all’amica.
 
Invero, era diventata una sua alleata silenziosa, e lo aveva aiutato a sgrossare parte della sua timidezza viscerale nei confronti delle donne.
 
Aveva fatto in modo che, con scuse sempre create ad arte, loro potessero rimanere soli per parlare, tenendo impegnati poi Bobby e Keath perché non li disturbassero.
 
Tra sé, ne aveva anche riso.
 
Era stato stupefacente vederla all’opera e scoprire i mille modi in cui, una ragazza di poco più di un metro e sessanta, poteva tenere in scacco due ragazzoni più alti di lei di più di una testa.
 
Malcolm non aveva capito molto bene come vi fosse riuscita, ma aveva plaudito segretamente alla sua bravura.
 
O questo, oppure, sia Keath che Bobby si erano presi una cotta per lei, ed erano tutt’altro che infelici di passare del tempo con Rin, lasciandole mettere in atto qualsiasi piano strampalato le venisse in mente.
 
Avrebbe anche potuto ficcanasare, ma sembrava che quei continui ‘rapimenti’ non dispiacessero loro più di tanto.
 
Restava da capire cosa ne pensasse Eiko che, fino a quel momento, gli era parsa lieta di passare del tempo con lui, ma assai restia a sbottonarsi.
 
Possibile che, come lui, non volesse fare un passo di troppo, che cercasse qualcosa di più di una semplice relazione di poco conto?
 
L’istinto di muovere i suoi Elementali tornò prepotente e, quando la fata Lyk’assien gesticolò dalla spalla di Eiko, quasi lui volle cacciarla con un’imprecazione.
 
Purtroppo, i suoi Elementali erano fin troppo solerti nel volerlo accontentare, anche quando non dovevano.
 
Sapeva benissimo che tante delle sue domande avrebbero trovato risposta nella mente della ragazza, ma non voleva in nessun modo prevaricare i suoi spazi.
 
Sarebbe stato ingiusto, addirittura orribile mettere il naso in quella maniera nei suoi pensieri, e non l’avrebbe fatto neppure per mettersi il cuore in pace.
 
Gli altri ragazzi – così come Eiko – non avrebbero mai potuto fare quello che poteva lui, perciò Malcolm si sarebbe accontentato di vivere con quell’ansia a stringergli il collo.
 
Anche se non era affatto facile, doveva ammetterlo. Era in quei momenti, che detestava il suo potere.
 
Saliti che furono in ascensore, i due si infilarono in fretta nell’appartamento e, mentre Malcolm entrava nella sua stanza, Eiko si fermò in salotto, estraendo il suo costume.
 
Raggiunto l’armadio, il giovane Hamilton estrasse il suo completo e, sorridendo, iniziò a indossare quegli abiti dal taglio antico, ancestrale.
 
La tunica era intessuta con seta ottenuta da fili di ragno, e le fate della Terra l’avevano creata appositamente per lui, un filato alla volta, tingendola coi colori naturali in polle d’acqua d’Irlanda.
 
I ricami riprodotti su tutta la tunica non erano altro che antichi riti d’amore, mentre i quattro piccoli uccellini stilizzati ricamati attorno ai polsini, rappresentavano le virtù amatorie di Aengus.
 
Aengus dei Thuata de Danann, colui che aveva dato il via alla loro stirpe semidivina.
 
Accoppiatosi con una mortale nel giorno di Beltane, era stato ammonito da Arianrhod per aver approfittato della giovane mortale, ingravidandola.
 
Il dio, per rendere grazie alla giovane per i figli avuti – e non incorrere nell’ira della Signora della Ruota – aveva quindi concesso alla sua progenie parte dei suoi poteri.
 
Ognuno dei quattro gemelli nati da quell’atto aveva ottenuto in dono il potere su un Elemento e, a ognuno dei pargoli, era stato affiancato uno dei suoi uccellini magici.
 
Molto più che semplici animaletti da compagnia, i piccoli volatili magici avevano insegnato a questi novelli stregoni l’uso corretto degli Elementali.
 
Quando, infine, non era più stato necessario insegnare loro altro, gli uccelli erano tornati dal loro legittimo proprietario, e Aengus era divenuto il primo Fulcro del Cerchio degli Elementi. Il Guardiano dello Spirito.
 
Aveva detenuto quella carica fino alla nascita del primogenito di uno dei Guardiani, cui aveva lasciato il dono dello Spirito e, negli anni, ne aveva seguito la crescita e il potere di Dominatore.
 
La dea, a quel punto, si era sostituita a Aengus, decretando così come saldata l’offesa inferta dal dio dei Danann alla giovane fanciulla mortale.
 
La dea aveva poi seguito le sorti dei Guardiani, divenendo la loro guida suprema e, intorno a essa, il clan era cresciuto e aveva prosperato.
 
Molti millenni erano passati, molte regole erano state scritte e cambiate, a volte con il sangue, fino a giungere a lui e a quella notte di passaggio tra i Due Mondi.
 
Gli era parso carino, perciò, presenziare con le vesti che furono indossate dal primo Guardiano dello Spirito, durante i suoi anni come Dominatore.
 
I normali lo avrebbero visto come un costume originale e vezzoso, ma lui avrebbe saputo cosa nascondeva in realtà. Il suo lascito.
 
Quando anche la fibbia fu chiusa, Malcolm raggiunse lo specchio e lì, con mano ferma, dipinse sul viso i simboli arcaici del dio.
 
Sì, ora sembrava in tutto e per tutto Aengus, Signore dell’Amore e figlio di Danann.
 
Ritenendosi soddisfatto, si scrutò ancora per un attimo per sincerarsi di non aver lasciato sbavature in volto, prima di avvicinarsi alla porta e dire: “Io sono pronto. Tu come sei messa?”
 
“Vieni pure. Ho fatto!” esclamò Eiko, oltre la porta.
 
Malcolm, allora, sbucò dalla sua stanza e, con un sorriso estasiato, ammirò la stupenda armatura samurai che Eiko indossava con assoluta baldanza.
 
Era più che evidente quanto le calzasse a pennello, e quanto quell’oggetto non fosse stato acquistato in un negozio, ma creato per lei.
 
Allacciata all’obi di seta nera che portava in vita, una katana da cosplay era inguainata in un fodero di mirabile fattura, mentre la wakizashi era ben sistemata alle sue spalle.
 
Le manopole che indossava erano a dir poco sopraffine. Lavorate con una cura per i dettagli che, persino un guerriero samurai dell’epoca, avrebbe trovato eccellenti.
 
Avvicinandosi senza parole, Malcolm la squadrò ancora una volta per sincerarsi di non avere le traveggole ed Eiko, apprezzando quell’occhiata, arrossì e disse: “Mio padre… è un artigiano. Crea queste cose per l’industria del cinema, in Giappone. Gliene chiesi una, prima di partire, ed è arrivata pochi giorni fa. Dalla tua faccia, direi che è venuta bene.”
 
“Ha una mano stupenda” esalò Malcolm, sollevando con delicatezza un braccio di Eiko per ammirare con maggiore attenzione l’elaborato disegno del bracciale.
 
Un drago si inerpicava sinuoso verso il gomito, spiraleggiando al pari delle fiamme emanate dalla sua bocca spalancata.
 
La sua tridimensionalità era tale da sembrare vero e, per un attimo, a Malcolm parve di avvertirne il ruggito possente.
 
Lasciando andare il braccio, Malcolm tornò a guardarla in viso e, a quel punto, fu Eiko a sfiorarlo.
 
Allungò una mano per toccare la pelle accanto al disegno celtico applicato da Mal e, pensierosa, mormorò: “Non sono stati tratteggiati a caso, vero?”
 
“No” sussurrò lui, sentendo bruciare nei punti sfiorati dalle sue dita delicate.
 
Ancora una volta, l’Elementale di Eiko si sbracciò, pregandolo, supplicandolo di poter entrare nella mente della sua protetta, ma lui glielo negò.
 
In quel momento, era vitale che lui non sapesse, o non avrebbe saputo trattenersi. Sia in un senso che nell’altro.
 
Eiko si lappò le labbra, ritirò la mano a stento e, arrossendo leggermente, mormorò: “Credo che dovremmo andare, o Keath piomberà qui per vedere perché ci attardiamo.”
 
Malcolm tossicchiò imbarazzato, affrettandosi a riprendere il controllo di sé e, sorridendole impacciato, asserì: “Hai ragione. Andiamo, o ci perderemo il meglio della festa.”
 
“Già” annuì lei, pur se a Malcolm non parve molto convinta.
 
Calmati…, borbottò tra sé, tentando di contenere l’istinto di trascinarla contro la porta per baciarla come se non vi fosse un domani.
 
Non era proprio il caso di comportarsi da trogloditi… o come Aengus. Non gli era bastato il comportamento superficiale e libertino del Tuata, per capire che certe cose non dovevano essere fatte?
 
Già, allora, forse, dovevi pensarci prima di vestirti come lui, brontolò la sua vocetta dentro la sua testa, mandandolo in bestia.
 
Del tutto ignara della battaglia interiore di Malcolm, Eiko raggiunse la porta e fu a quel punto che il giovane, nell’affiancarla, le domandò: “Quelle spade non sono vere, giusto?”
 
“No. Sono quelle per il cosplay” sorrise lei, uscendo. “Quelle vere son in Giappone.”
 
“Meglio” borbottò a bassa voce Malcolm.
 
Se fossero state vere, gli sarebbe venuto l’istinto di usarle su se stesso per darsi una calmata definitiva.
 
***
 
In piedi accanto a Ben mentre, entrambi, osservavano come due falchetti Sunny ed Eiko ballare assieme, Malcolm mormorò contrariato: “A volte è uno strazio essere interessati a una donna, avendo il potere che ho. Non so mai quando – e se – è il momento giusto per fare un passo avanti.”
 
Benjamin assentì e, nell’ammiccare al suo indirizzo, dichiarò: “Eiko mi sembra davvero bellissima, ma c’è qualcosa nel suo sguardo che affascina più del suo viso.”
 
“Il bosco” sussurrò Malcolm, come perso nei suoi pensieri. “E’ tranquilla e protettiva come un bosco, pronta a nasconderti, se necessario, o accoglierti, se lo desideri.”
 
“E’ un’ottima analogia” assentì Ben, stringendo le mani dietro la schiena. “E mi dici che la sua amica, invece, ha un’anima insolitamente pura?”
 
“Non al tuo pari, è ovvio, ma è una delle più brillanti che abbia mai visto” gli assicurò Malcolm. “E’ un peccato che si sia ammalata. Sarebbe stato interessante sentire la tua opinione in merito.”
 
“Avrò altre occasioni per conoscerla, non temere. Curioso che non l’abbia notata ma in fondo, non sapendo chi cercare, non ho neppure avuto lo stimolo a ficcanasare” sorrise il giovane, illuminando i suoi curiosi occhi verdi.
 
Come Malcolm aveva potuto notare fin dalla prima volta in cui si erano incontrati, erano bordati d’oro. Non il classico color nocciola … ma da un puro, intenso color oro cangiante.
 
Era impossibile non rimanere imbrigliati in quello sguardo così strano e, al tempo stesso, così attraente.
 
Con un sorriso di scuse, nel frattempo, Ben rifiutò l’ennesimo approccio di una donna e, mentre Bobby e Keath li raggiungevano con dei drink, Malcolm mormorò: “Monastico a vita, amico mio?”
 
“Il mio pensiero può andare solo al mondo e alle sue creature. Amare una persona sola vorrebbe dire venir meno ai miei precetti” gli ricordò Benjamin, pacato. “Mamma lo ha fatto solo per mio padre, che è speciale in tutti i sensi. Se, e quando, avrò questa grazia, lo capirò. Forse, troverò anch’io un bosco accogliente in cui iniziare un’esplorazione profonda del mio Io, ma non è detto. Né è necessario per il mio essere, in tutta onestà.”
 
Ciò detto, sorrise a Bobby quando gli passò una coca-cola con ghiaccio e, rivolto ai ragazzi, esclamò: “Felice Samhain a voi!”
 
“Buon Halloween!” gridò allora Bobby, levando alto il suo punch prima di scolarselo.
 
In quel mentre, Sunny ed Eiko tornarono loro accanto e, quando la sorella di Ben si affiancò al fratello, magicamente comparve un drink anche per lei.
 
Subito sorpreso, Malcolm sorrise divertito quando scoprì che non c’entrava nulla la magia di Benjamin quanto, piuttosto, l’interesse piuttosto evidente di due baldi giovani.
 
Ridendo spensierata, Sunshine declinò gentilmente – soprattutto per merito dell’occhiata ferale di Ben – mentre Eiko, sorridendo alla nuova amica, diceva: “Ma come? Non vuoi neppure accettare un bicchiere di soda?”
 
“E chi lo sente, poi, il mio geloso fratellone?” sospirò falsamente afflitta la giovane, dalle chiare origini ispaniche.
 
La sua pelle bronzea ben si accordava con i nerissimi capelli, e gli occhi verdi da gatto che sfoggiava dalla nascita non facevano che renderla più affascinante e misteriosa.
 
Naturalmente, Sunny era nata senza poteri – poteva esservi solo una Fenice alla volta, al mondo – ma, per suo fratello, era unica e insostituibile.
 
Così come per i suoi genitori. Era naturale che Benjamin la tenesse d’occhio continuamente, perciò.
 
Offrendo la sua coca-cola a un’accaldata Eiko, Malcolm si scusò con il suo gruppo per recuperare un’altra bibita quando, nella sua tasca, sentì la vibrazione del cellulare.
 
Presolo in mano, sorrise nel vedere un messaggio su Whatsapp e, dopo aver aperto il video, si rintanò in un angolo moderatamente tranquillo per guardarlo.
 
Suo padre teneva alto un calice di peltro e, con aria solenne, intonava il canto dedicato ai defunti, mentre Erin brillava candida alle sue spalle, e Kimmy la teneva per mano.
 
Quando Winter ebbe terminato, fece scivolare il vino su una piccola statuetta a forma di ruota e, subito, questo prese fuoco.
 
Summer intervenne e, sempre in gaelico, proseguì la sua preghiera, stavolta per i vivi e, come dono a Samhain, offrì una pietra lavica.
 
Pietra che si sbriciolò al tocco del potere di Spring, che pregò per i nuovi nati e per coloro che ancora dovevano nascere.
 
Alla Ruota offrì un fiore in boccio, fiore che lasciò al vento i suoi semi, portati ogni dove dal potere di Autumn, che terminò quella piccola omelia.
 
Lui pregò gli dèi per un nuovo anno prolifico e gioioso e, assieme alla loro famiglia allargata, gli augurarono buon anno nuovo.
 
Fu difficile, per Malcolm, trattenere la lacrima ribelle che stava tentando di sfuggire dai suoi occhi ma, in qualche modo, vi riuscì.
 
Richiamati a sé alcuni Elmentali dello Spirito, li inviò con i propri auguri alla sua famiglia dopodiché, rimesso il cellulare nella tasca, tornò alla sua missione.
 
Era strano come, nella sua stramba vita, potessero coesistere il misticismo millenario della sua terra natia e gli avvenimenti di tutti i giorni, eppure avveniva.
 
Quando vide Eiko raggiungerlo con un sorriso, non poté che esserne lieto. In quel momento, se si fosse soffermato troppo su ciò che aveva appena visto – e a cui non aveva potuto partecipare – avrebbe sicuramente rovinato il suo umore allegro e festoso.
 
Inclinando il viso a scrutarlo, la giovane addolcì il suo sguardo immediatamente e, nel tornare dai loro amici fianco a fianco, gli domandò: “Va tutto bene?”
 
“Perché?”
 
“Hai gli occhi lucidi, ma di felicità, mi sembra” gli fece notare lei, ammiccando.
 
Come potesse notarli con le luci stroboscopiche di quel luogo, non fu del tutto chiaro a Malcolm, ma apprezzò il suo interessamento quanto la sua sensibilità.
 
Annuendo leggermente, lui le disse: “Un messaggio dalla mia famiglia.”
 
“Doveva essere davvero bello” dichiarò lei, afferrandolo a una mano con un gesto spontaneo e pieno di comprensione.
 
Non disse altro, ma a Malcolm non servì. Quella stretta di mano, così sincera e calma, gli stava dando tutto il calore necessario per scuotersi di dosso quell’attimo di melanconia.
 
Eiko era davvero il bosco quieto in cui rifugiarsi, e lui era sempre più desideroso di addentrarvisi.
 
Avrebbe rischiato, stavolta. Ne valeva la pena, ne era sicuro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Note: L'interesse di Malcolm pare essere aumentato, col passare del tempo, e anche Eiko sembrerebbe essere sulla stessa lunghezza d'onda. L'intervento a sorpresa di Rin, poi, ha aiutato Mal a non trincerarsi dietro i suoi dubbi sul gentil sesso.
 
L'arrivo a sorpresa di Ben e Sunny, poi, ha reso Halloween davvero speciale, per Malcolm e soci... pur se Rin non ha potuto partecipare perché ammalata.
 
 
(Spero abbiate apprezzato l'accenno al precursore della famiglia Hamilton. Visto che non era mai stato nominato, ho pensato fosse il caso di presentarvi il Tuata che ha dato il via a tutto)

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


6.
 
 
 Halloween
 
 
Quell'ultimo mese era stato un mese davvero strano. Eiko non poteva più avere alcun dubbio in merito.
 
Quando lei e Rin erano rientrate dal Giappone, dopo una lunga visita ai parenti, a Kyoto, non si erano certo aspettate di iniziare quel nuovo anno di studi conoscendo una persona speciale come Malcolm.
 
Ovviamente, anche Bobby e Keath si erano rivelati degli splendidi ragazzi. Assieme a Mal, componevano un trio di giovani affiatati e ben bilanciati tra loro ma, almeno agli occhi di Eiko, Malcolm le era parso subito diverso.
 
Forse più riflessivo, o più schivo rispetto agli altri due, sembrava avere oceani interi di pensieri, dietro quei magnetici occhi verde muschio.
 
Il fatto che sia lei che Rin lo avessero trovato subito interessante, non l’aveva affatto colpita. Tendenzialmente, avevano sempre avuto gli stessi gusti, in fatto di ragazzi.
 
Anche la strana gara che avevano messo in piedi per capire chi, delle due, avrebbe potuto avere più chance con Mal, era stata normale, per loro.
 
Eiko e Rin l’avevano fatta diventare, negli anni, una sorta di gioco.
 
Non che volessero prendere in giro Malcolm; tra di loro ci sarebbe stato un comportamento corretto, e non volto a ferire l’altra, così come il diretto interessato.
 
Il fatto che, stranamente, Rin si fosse ritirata quasi subito dalla gara, aveva comunque sorpreso un po’ l’amica.
 
Le era sembrato che Rin fosse molto interessata a Malcolm ma, una mattina di inizio ottobre, la ragazza si era presentata alla porta di Eiko dichiarando di non voler più inseguire Mal.
 
Eiko se n’era detta sorpresa, ma l’amica si era limitata a dire, con un sorriso dolce, di aver capito di volere il ragazzo solo come amico.
 
Pur non sentendosi troppo sicura riguardo ai sentimenti di Malcolm, Eiko aveva preso per buona la risposta di Rin.
 
Per quanto loro potessero essere oneste l’una con l’altra, e lei credeva davvero alle parole di Rin, doveva tener conto anche del cuore di Malcolm, in quello strano trio venutosi a creare.
 
Da quel che aveva potuto vedere Eiko, infatti, Malcolm aveva preso subito Rin sotto la sua ala protettrice, procurandole una sorta di brivido lungo la schiena.
 
Quel brivido, nel corso delle settimane, era diventato velata gelosia, pur se andava detto che mai, i due, si erano comportati meno che correttamente tra loro.
 
Anzi, a onor del vero, Rin aveva sempre tentato di lasciarli insieme da soli, trovando di volta in volta scuse sempre nuove.
 
Bobby e Keath si erano prestati volentieri – almeno secondo Eiko – alle sue macchinazioni, ma Malcolm non aveva mai tentato un vero approccio con lei.
 
Neppure Eiko, comunque, era stata tentata di fare un passo avanti.
 
Era stata come frenata da qualcosa di più forte di lei, dalla sensazione che qualcosa turbasse Malcolm, e non fosse giunto ancora il momento di metterlo di fronte a ciò che sentiva.
 
Perché Eiko sapeva ormai bene di provare un sentimento forte e profondo, per quel ragazzo apparentemente schivo e modesto, ma dal sorriso sempre pronto.
 
Esso era cresciuto, gonfiandosi come una vela al vento, prendendo colpi improvvisi e rischiando di scuffiare, per poi ritrovarsi improvvisamente nella bonaccia più totale.
 
Mai, nella sua giovane vita, si era sentita sconvolta da marosi interni così forti e questo, più di ogni altra cosa, le aveva fatto comprendere di essere nei guai, con Mal.
 
La sua apparente ritrosia l’aveva fatta avvicinare, spingendola a curiosare con maggiore attenzione sul suo viso colmo di domande e di misteri e, alla fine, ne era rimasta vittima.
 
Non che le dispiacesse ma sapeva perfettamente che, se quel dolce sentimento fosse rimasto a senso unico, questa volta avrebbe riportato ferite serie.
 
Forse, perenni.
 
Perché Malcolm Hamilton non era il classico ragazzo per cui prendere una sbandata, ma era un giovane uomo di cui innamorarsi davvero.
 
Il fatto che avesse una storia familiare così affascinante, non faceva che renderlo ancora più misterioso e coinvolgente.
 
Era evidente quanto volesse bene non solo ai genitori e ai fratelli minori, ma anche al resto del parentado, che pareva davvero essere sterminato.
 
Inoltre, quando parlava dei suoi avi, o delle loro origini irlandesi, i suoi occhi si illuminavano, rendendolo più raggiungibile. Era come se, aprendo agli altri lo scrigno dei suoi ricordi, un’invisibile parete venisse a mancare, e Malcolm si avvicinasse maggiormente alle persone.
 
Eiko non aveva mai compreso da cosa dipendesse questa strana lontananza che percepiva in lui, quando colloquiavano normalmente.
 
Trattandosi di sensazioni, non poteva spiegarle razionalmente, ma esse venivano inspiegabilmente a svanire, quando Malcolm accennava ai suoi familiari.
 
In quel momento, Eiko si sentiva preda della sua voce, del suo gesticolare elegante, del movimento della sua bocca, di ogni cosa in lui.
 
Erano quelli i momenti più pericolosi, i momenti in cui avrebbe voluto essere più coraggiosa e mandare alle ortiche ogni cosa.
 
Come quando lo aveva trovato in quell’angolo appartato del salone, impegnato a scrutare il cellulare con espressione calda e malinconica al tempo stesso.
 
Avrebbe voluto, desiderato con tutta se stessa poter avvicinarsi a lui, abbracciarlo e proteggerlo da quella punta di dolore che aveva visto nel suo sguardo boschivo.
 
Ma aveva desistito per l’ennesima volta.
 
Si era limitata a stargli al fianco, timorosa di fallire, di sentirsi respinta in favore dell’amica, che Malcolm sembrava stimare molto.
 
Sarebbe stata felice per Rin, se lei avesse ricambiato un simile sentimento ma, a questo punto, il loro strano triangolo sembrava pronto a implodere su se stesso.
 
Lasciando dietro di sé ferite sanguinanti e cuori in tumulto.
 
***
 
Il respiro era affannoso, pesante.
 
Le spalle sembravano sul punto di spezzarsi, gravate da un peso immane, troppo per il suo esile corpo di fanciulla.
 
Ansimò, gridò aiuto più e più volte mentre la selva oscura, in cui era penetrata senza accorgersene, la avvolgeva sempre più strettamente, impedendole di vedere la luce.
 
Una luce, una voce, un accorato richiamo e, tra quelle fronde rachitiche e fredde, Rin scorse la radura illuminata di un bosco rilucente.
 
Corse, inciampando nei suoi stessi piedi, mentre un crepitio di zampe la rincorreva, sempre più vicina, sempre più minacciosa.
 
“Rin!”
 
La voce si fece più forte, il bosco protettivo più vicino e, quando la ragazza riuscì ad attraversare la radura, si ritrovò finalmente in un bosco di betulle fresco e tranquillo.
 
Il peso sulle sue spalle era svanito, ma non la paura.
 
Paura che la fece risvegliare di colpo, portandola a urlare il nome di Eiko mentre, a occhi sgranati, fissava la finestra dinanzi a sé, dalle imposte socchiuse, oltre le quali si intravedevano le luci del Campus.
 
“Rin-chan… tesoro, come stai?” esalò una voce accanto al suo letto, attirando la sua attenzione.
 
Pur se ancora con il fiato corto e la paura a riverberare nel suo piccolo corpo, Rin si volse a mezzo e, nel vedere Eiko, sorrise spontaneamente e scoppiò in pianto.
 
Subito, Eiko la strinse in un abbraccio e, carezzandole la schiena umida e i capelli scomposti, mormorò: “Rin-chan, stai calma… era solo un brutto sogno…”
 
“Mi aveva quasi presa, ma poi ho visto un bosco, e mi sono nascosta lì. Eri tu… il bosco eri tu…” sussurrò terrorizzata Rin, stringendosi maggiormente all’amica.
 
Aveva il timore che, se non si fosse stretta così a lei, avrebbe potuto ricadere in quell’incubo senza forma.
 
“Chi ti aveva presa, tesoro?” le domandò Eiko, scostandosi per carezzarle il viso.
 
“Non so davvero… ma la sentivo dietro di me, il crepitio delle sue zampe sull’erba secca, il suo respiro bollente sulla nuca. Era vicina…” gracchiò Rin, rabbrividendo.
 
Eiko le sorrise, sospingendola perché si rimettesse distesa e, dopo averle baciato la fronte, andò alla scrivania dell’amica.
 
Lì, aprì il portatile e, con un mezzo sorriso, trovò il computer acceso e aperto su una pagina in particolare.
 
Lanciando un’occhiata divertita a Rin, Eiko asserì: “Leggere di streghe bruciate sul rogo non concilia il sonno, Rin-chan. Non avresti neppure dovuto accendere il PC, ieri sera.”
 
“Non riuscivo a prendere sonno” mugugnò l’amica, portandosi la coperta fin sotto il naso. “E non è stato leggere del rogo di Cassilde O’Carolan, a farmi venire un incubo, credimi, quanto forse, piuttosto, il resto della sua storia.”
 
Un po’ sorpresa da quella frase, Eiko esalò: “Come può esserci un dopo, se è morta sul rogo? E poi, scusa, come può esserci una storia, su un albero genealogico? Non ci sono solo nomi?”
 
“Non se vai a curiosare nei siti che guardo io…” sottolineò Rin, ammiccando. Il tremore era quasi scomparso, soppiantato dall’emozione di raccontare ciò che aveva scoperto. “Nei siti di paganesimo moderno, ci sono un sacco di storie riguardanti l’Inquisizione, il Malleus Maleficarum e altre oscenità varie perpetrata dalla Chiesa… tra cui i roghi d’Irlanda.”
“Roghi… d’Irlanda?” ripeté sorpresa Eiko.
Rin assentì e proseguì dicendo: “Qui parte la leggenda che interessa la parente di Malcolm. Pare che Cassilde non fosse affatto morta durante il rogo. Sopravvisse nonostante le fiamme e maledisse coloro che l’avevano condannata. Neppure una settimana dopo, il suo villaggio venne raso al suolo da un incendio devastante” mormorò Rin con tono funereo.
 
Eiko impallidì leggermente e l’amica, scoppiando a ridere, estrasse un braccio da sotto le coltri per indicarla ed esclamare: “Dovresti vedere la tua faccia adesso! Sembri fatta di gesso!”
 
“Oooh, Rin!” sbottò Eiko, prima di ridere a sua volta. “Se hai la forza di farmi questi scherzi, vuol dire che stai meglio…”
 
Mettendosi seduta dopo essersi sistemata il cuscino dietro la schiena, Rin si tastò la fronte e, annuendo, dichiarò: “Direi di sì, se non contiamo questo risveglio alla Shining. Comunque, la storia sulla O’Carolan è vera.”
 
“Quale, per inciso?” borbottò Eiko, che non era propriamente un’amante di storie sui fantasmi.
 
“Le cronache parlano di un rogo crollato su se stesso, di urla di genti spaventate e delle preghiere rabbiose degli Inquisitori… ma niente corpo arso vivo della donna. Quando riuscirono a fare un po’ d’ordine nella piazza del paese, il suo corpo era scomparso.”
 
“Poteva essere scappata… chi non l’avrebbe fatto?” tentennò Eiko. “E tu hai scoperto queste cose su internet?”
 
Divertita, Rin disse: “Ci sono scansioni su scansioni di una marea di documenti appartenenti alle biblioteche comunali di un sacco di paesini irlandesi e, quando ho letto di questa donna in particolare, e della brutta fine che aveva fatto, mi sono documentata.”
 
“Chissà se Malcolm sa che una sua parente è stata accusata di stregoneria?” si domandò Eiko, cercando di deviare il discorso.
 
Quando Rin capiva che c’era un sistema per spaventarla, ci si buttava a pesce.
 
Accigliandosi leggermente, quest’ultima le chiese: “A proposito di lui… com’è andata, ieri sera?”
 
“Bene, direi. Ci siamo divertiti. E’ stata una bella festa.”
 
Per niente soddisfatta da quel tono vago, Rin ritentò.
 
“E non è successo assolutamente nulla?”
 
“Cosa vuoi che sia successo? Abbiamo ballato, bevuto un po’, chiacchierato e, alla fine, siamo rientrati a casa o, nel mio caso, allo studentato.”
 
Scuotendo esasperata il capo, Rin brontolò: “Ma devo spingerti letteralmente addosso a lui, perché tu combini qualcosa?”
 
Vagamente risentita, Eiko borbottò in risposta: “Non sono una che si butta addosso alle persone. E poi, magari, a lui non interessa che sia io a farlo. E’ del tutto probabile che io non gli interessi.”
 
Addolcendo il suo sguardo, ma non la sua voce, Rin replicò: “Allora sei cieca e sorda, Eiko-necchan. Malcolm mi tratta come una sorella, se tu non lo avessi ancora capito, e a me sta pure bene. Chi non vorrebbe un fratellone del genere, che ti fa sentire come la persona più amata e protetta al mondo?”
 
“Storie…” brontolò Eiko, reclinando il viso per non dover affrontare lo sguardo inquisitorio dell’amica.
 
Sbuffando, Rin aggiunse: “E’ un bellissimo ragazzo, Eiko, dentro e fuori. Solo un’idiota non lo noterebbe, ma è chiaro come il sole che lui vede in me soltanto una ragazza da proteggere, a cui voler bene, sì, ma come ne vuole alla sua Shanna. Con te è diverso. Diventa guardingo, come se non sapesse bene cosa dire e, soprattutto, quanto dire. E’ sulle spine, e di certo tu non lo aiuti, con la tua ritrosia a fare il primo passo.”
 
Eiko storse il naso, non apprezzando per nulla quel dolce rimbrotto, ma sapendo bene che, in parte, Rin aveva ragione.
 
Non poteva dare tutte le colpe a Malcolm. Neppure lei si era mai spinta ad aprirsi con il ragazzo.
 
Tornando a scrutare il video del computer e il numero apparentemente interminabile di nomi e cognomi di quell’albero genealogico, Eiko mormorò: “Si porta dietro una storia enorme…”
 
“Un passato davvero poderoso…” assentì Rin. “… come il tuo, del resto.”
 
L’amica tornò a scrutarla in viso, dissentendo. “Nel mio passato non ho nessuno di veramente illustre.”
 
“Solo perché credi in quello che vuoi credere, amica mia” le sorrise la giovane, ammiccando con i suoi occhi di cioccolato. “Hai guerrieri appartenuti agli shogunati più potenti, oltre a sacerdoti dalle nomee più che rispettabili e cacciatori di demoni entrati nei libri di storia. Non direi proprio che il tuo passato sia inferiore al suo.”
 
“Ma è passato, per l’appunto, e io voglio guardare al futuro” replicò Eiko. “Cosa che dovresti fare anche tu. Assillarti per ciò che non sai del tuo passato, non deve precluderti un domani pieno di gioie.”
 
Rin le sorrise, accennandole a tornare vicino a lei.
 
Eiko la accontentò, accomodandosi sul bordo del letto e l’amica, nel prendere una sua mano nella propria, replicò: “Questo poteva essere il motivo che mi ha spinta a studiare le famiglie di coloro che conosco, e accettare quei lavoretti che ho fatto per ricreare alberi genealogici, ma non è più ciò che mi spinge ora. E’ una passione autentica, non macchiata dal dolore o dal risentimento.”
 
“Ne sei sicura?” mormorò Eiko, dubbiosa.
 
Assentendo, Rin le sorrise con convinzione.
 
“Papà e mamma mi vogliono bene, zia Motoko e zio Kenzo sono eccezionali…” sussurrò poi, accennando ai genitori di Eiko. “… e tutti i nostri amici sono le persone più belle che si possano avere. Tu sei la sorella che gli dèi hanno condotto fino a me perché io non fossi più sola, e ora mi mandano Malcolm perché sia il mio fratellone. Che altro potrei volere? No, non sono infelice, e non cerco più risposte di quel genere nel passato. Scruto il passato perché è affascinante. Tutto qua.”
 
Abbracciandola con calore, Eiko mormorò: “D’accordo. Non mi preoccuperò più per questo… ma riposa davvero, o avrai una ricaduta.”
 
“Lo farò… se tu combinerai qualcosa con Malcolm. Davvero, Eiko, è inutile tentennare. Il peggio che potrebbe succedere è che lui ti dica di no.”
 
A quell’accenno, l’amica impallidì e Rin, sgranando gli occhi, sfiorò con una mano il viso di Eiko, esalando: “Oh, cara… ne sei innamorata… veramente.”
 
Accennando un sorriso triste, quest’ultima sussurrò: “Come hai detto tu, solo un’idiota non noterebbe le indubbie qualità di Malcolm.”
 
Rin non disse altro, limitandosi a darle un bacio sulla guancia. In quei casi, le parole erano davvero di troppo.
 
***
 
Le mani intrecciate dietro la schiena, mentre Sunny era impegnata a far volare pancake come fossero frisbee, Ben mormorò: “Tentennare e tergiversare non aiutano il tuo spirito a restare forte e vigile, amico mio.”
 
“Neppure buttarsi addosso a una ragazza con l’unico intento di perdersi in lei, aiuta… ricordi che quella creatura si ciba anche della mia lussuria?” gli fece notare Malcolm, ben contento che Bobby e Keath fossero ancora addormentati nei loro letti.
 
La notte precedente si erano talmente rintronati di birre e shottini che, quando era stato il momento di tornare a casa, la presenza di Ben era stata provvidenziale.
 
Avevano dapprima accompagnato Eiko allo studentato, dopodiché, tenendo praticamente sollevati sulle spalle i due amici, si erano avviati per rientrare in appartamento.
 
Sunshine aveva sghignazzato per tutto il tempo, giocherellando coi loro volti utilizzando rossetto e ombretto a gogo.
 
Quando si fossero svegliati, Bobby e Keath avrebbero dovuto usare struccante e tamponi in cotone per ore, per eliminare il discutibile capolavoro d’arte creato da Sunshine.
 
Ben lanciò un’occhiata divertita all’amico, annuendo.
 
“In effetti, la tua libido fuori controllo potrebbe attirarlo ma, anche grazie al rubino, dovresti essere al sicuro, e lasciare in forse una ragazza carina come Eiko mi sembra davvero un peccato.”
 
Sunny, dalla cucina, si volse a mezzo ed esclamò: “Se non ti fai avanti con lei, Mal, giuro che ti salterò addosso con Eiko presente e vedremo che farà. Scommetto che proverà a cavarmi gli occhi!”
 
Ben rise di quell’eventualità, Malcolm un po’ meno.
 
“Tesoro, lascia perdere. Se non ricordi, papà si prese un ceffone dalla mamma, per un evento simile” le rammentò Benjamin, facendola scoppiare a ridere.
 
“Sì, lo ricordo eccome, e la mamma se ne vergogna ancora…” sghignazzò Sunny, prima di tornare seria per aggiungere: “… ma non scherzavo più di quel tanto, prima. Fare i reticenti non serve a molto, Malcolm. Capisco che, con ciò che ti ronza in testa, non sia facile sbilanciarsi, però, quanto ti stai perdendo?”
 
Mal fissò la ragazza con un sorriso sghembo e, assentendo, si passò una mano sul viso con aria sconcertata.
 
“Messo al tappeto da una sedicenne” mormorò poi. “Sono davvero caduto in basso.”
 
Ondeggiando la paletta per i pancake come se fosse stata un direttore d’orchestra, Sunshine motteggiò: “Considera chi ho in casa, Malcolm. Una ex Fenice e una Fenice in carica. Ce n’è di che uscirne pazzi, soprattutto se consideri che ho pochissime persone con cui parlarne. Dovevo per forza maturare in fretta, o ammattivo.”
 
“Come darti torto…” sorrise Mal prima di scoppiare a ridere assieme agli altri quando udirono l’urlo sconvolto di Bobby.
 
Evidentemente, doveva essersi guardato allo specchio.
 
Spadellando l’ennesimo pancake con aria soddisfatta, Sunny aggiunse furba: “Quasi sempre matura, ovviamente. Ogni tanto merito anch’io di essere una comune sedicenne, no?”
 
***
 
“Allora, che mi dici del mio gioiellino?” esordì Spring, quando Malcolm la chiamò nel pomeriggio del primo novembre.
 
Spring aveva davvero trovato strana la richiesta, da parte del nipote, di un rubino a cinque facce ma, non volendo fare la prevaricatrice, lo aveva accontentato senza indagare.
 
Per lo meno, non con lui.
 
Subito dopo quella richiesta, aveva infatti chiamato Autumn – chi, se non il Dominatore dell’Aria, poteva conoscere segreti simili? – per avere qualche dritta.
 
Autumn, con il suo solito savoir faire, le aveva detto di impicciarsi degli affari suoi e, soprattutto, di non dire nulla a Winter. Se Mal avesse avuto bisogno di un loro intervento diretto, lo avrebbe fatto sapere alla famiglia.
 
Scocciata, Spring aveva accettato il rimbrotto e si era affrettata a far avere al suo nipote adorato quanto richiesto.
 
Dopo quasi un mese dall’invio di quel prezioso, però, la curiosità di Spring aveva raggiunto livelli preoccupanti, e la donna era davvero speranzosa che, a quel punto, il nipote le desse almeno qualche dritta.
 
Malcolm rise debolmente all’altro capo del telefono e, con voce serena, le disse: “Funziona molto bene, grazie. Ci sono controindicazioni o che, circa il suo utilizzo?”
 
“A meno di non ingoiarlo, direi proprio di no, caro” replicò Spring, carezzando con un dito una foglia di Helleborus Viridis.
 
La pianta, letteralmente, vibrò per lei in risposta e Spring, nonostante fosse abituata a quella reazione, sorrise soddisfatta. Le piaceva far felici le sue creature.
 
Max, dalla sua scrivania, sorrise divertito e scosse leggermente il capo, ricevendo per diretta conseguenza un calcetto negli stinchi dalla moglie.
 
“Ahia” borbottò lui.
 
“Non prendermi in giro” replicò lei, prima di aggiungere – rivolta al nipote – “A parte questo, direi che puoi usarlo finché tutte e cinque le facce principali rimangono rosse. Quando inizieranno ad annerirsi, starà a significare che si stanno sovraccaricando di energia negativa.”
 
“Per ora, è ancora limpido.” Poi, sbuffando leggermente, soggiunse: “Ben dice che, quando brilla, lo fa in risposta alla curiosità di uno spirito legato alla lussuria.”
 
Accigliandosi per un attimo di fronte a quell’ammissione giunta a sorpresa, Spring mise il vivavoce al telefono dopo aver fatto segno a Max di tacere, dopodiché domandò: “Sei stato fatto oggetto di… attenzioni speciali, di recente?”
 
“Direi proprio di sì ma, per il momento, tra Sean che studia sui libri, e Ben che mi controlla da remoto, per così dire, ce la siamo cavata bene” ammise Malcolm.
 
“Oh… capisco. Beh, se non altro, hai ottimi alleati al fianco. I migliori, direi” ammise controvoglia Spring.
 
Sean era lo studioso più colto e preparato che lei conoscesse, e Ben… beh, che si poteva dire, contro una Fenice Araba?
 
“Non volevo vi preoccupaste, zia. Per questo non ve ne ho parlato. Abbiamo tutto sotto controllo, comunque” ci tenne a precisare Malcolm.
 
“Autumn mi ha già debitamente sgridata, tesoro, non temere. Solo, tendo sempre a pensarti come il mio cucciolino, e dimentico che hai vent’anni passati” sorrise Spring, parlando con tono più leggero che poté.
 
In realtà, aveva una paura folle per il nipote. Quando si aveva a che fare con creature legate alla lussuria, poteva capitare di tutto, e solitamente non erano mai belle cose. Incubi e Succubi non erano divenuti famosi per un puro caso, nel mondo dello spiritismo.
 
Ridendo suo malgrado, Mal ammise: “Lo zio mi ha preso in giro per settimane, per via di questo spirito errante. Comunque, sembra essersi calmato.”
 
“Facci sapere se avrai bisogno di noi… nel frattempo, terrò il becco chiuso con papà. Promesso” lo rassicurò Spring, scrutando il marito con occhi turbati.
 
Max scosse il capo e, nell’allungare una mano verso di lei, le carezzò il viso per rassicurarla.
 
“Grazie, zia. Per il rubino e per l’appoggio” mormorò Malcolm, chiudendo la comunicazione.
 
Non appena il telefono si fece muto, Spring balzò in piedi come una molla, ben decisa a catapultarsi dal fratello ma Max la placcò, facendola sedere sulle sue ginocchia.
 
“Buona… cos’hai promesso a tuo nipote?” le domandò ironicamente lui, dandole un pizzicotto sul naso.
 
Storcendo la bocca, la moglie borbottò: “Potrò pur dire una bugia a fin di bene, no?”
 
“Malcolm non ha più otto anni, Spry, e sa cavarsela benissimo. Cosa pensi di poter fare più di quella testa d’uovo di Sean, o di una divinità? Mal ha fatto benissimo a chiedere a loro” le ricordò Max, carezzandole la schiena per chetarla.
 
“Non è giusto che Winter non sappia niente, però.”
 
“Dubito che esista qualcosa che Winter non sappia…” replicò Max, scettico. “… credo piuttosto che si fidi a sufficienza del figlio da permettergli un po’ di spazio di manovra. Tutto qui.”
 
Sempre più accigliata, Spring borbottò all’indirizzo del marito: “Ti detesto quando fai così.”
 
“Cosa? La persona sensata?” ironizzò lui, sollevandosi in piedi e prendendo lei tra le braccia.
 
“Tra le altre cose…” ammise la moglie, con l’aria offesa pur se ghignante.
 
“Vedremo se, tra cinque minuti, mi detesterai ancora” la minacciò lui, chiudendo a chiave la porta dello studio.
 
Spring sgranò gli occhi, dubbiosa, e gli domandò: “Che hai intenzione di fare?”
 
Lui si limitò a guardarla malizioso e, l’attimo seguente, Spring strillò.
 
E, di certo, non di paura.
 
***
 
Impegnata in una partita a scacchi con il suo loa, Cynthia levò un istante il capo quando sentì sbattere la porta di casa.
 
Louanne, la sua loa, rabbrividì a quel rumore e la ragazza, ghignando, mormorò: “Mamma ha avuto una pessima giornata…”
 
L’attimo seguente, Summer lanciò un’imprecazione assai colorita, subito seguita dalla risata del marito.
 
Già sul punto di andare nella stanza accanto per salutarli, Louanne la trattenne con un sorrisino e Cynthia, schifata, borbottò: “Non dirmi che si stanno baciando…”
 
Lo spirito assentì e la bambina, borbottando tra sé, rimise a posto gli scacchi e brontolò: “Meglio se facciamo un’altra partita. Ne avranno per un po’.”
 
Ciò che Cynthia non poteva sapere era che Louanne le aveva raccontato una bugia a fin di bene, spingendola a non andare nella stanza accanto al solo scopo di proteggerla.
 
Non erano i suoi genitori intenti a sbaciucchiarsi, ciò che la sua loa le aveva impedito di vedere quanto, piuttosto, lo spirito guida del padre.
 
Turbato come poche altre volte era stato, il loa di J.C. stava spiegandogli dettagliatamente tutto ciò che, nell’Ultramondo, aveva avvertito in quelle ore.
 
Una luce si stava spegnendo. Una luce di immenso valore e di immensa forza… e il loa non era stato in grado di capirne i motivi, né chi fosse la vittima.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Note: Ho pensato che fosse carino farvi vedere anche il punto di vista di Eiko, oltre a quello di Malcolm, sull'intera faccenda, anche per farvi notare come la ragazza sia sensibile e intuitiva (niente poteri, però, è così di natura).
 
Rin cerca di esserle d'aiuto in tutti i modi possibili, anche scuotendola in maniera energica, perché sa quanto Eiko sia ritrosa per natura e, con uno come Malcolm, a sua volta timido con le donne, non può essere ritenuto il comportamento adatto da tenersi.
 
Cosa avrà visto, comunque, il loa di John? A chi si riferirà? E perché non è stato in grado di capire chi sta rischiando di svanire innaturalmente dall’Ultramondo?

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


 
7.
 
 
 
 
“Sean…” mormorò Bryony, affacciandosi nello studio del marito.
 
Erano le undici e mezza passate, i gemelli dormivano saporitamente, ma del marito non v’era traccia.
 
Notando la sua mancanza nella stanza la moglie sorrise a mezzo e, dopo essere uscita dallo studio, si diresse veloce verso la porta dell’appartamento per uscire sul pianerottolo.
 
Abitando a Hamilton Manor assieme a Miranda, Colin e al piccolo Anthony, era facile incrociarsi anche alle ore più strane della giornata.
 
Da quando poi Angus Hamilton era morto, meno di sei mesi addietro, ritrovarsi a bere un whisky alla sua memoria era una cosa che capitava spesso.
 
D’accordo con il capofamiglia, Winter, Hangus aveva scritto nel testamento che le due coppie continuassero ad abitare nel castello, perché qualcuno di fiducia potesse occuparsi di quella reliquia di famiglia.
 
Colin si sarebbe occupato dell’aspetto pubblico del maniero, mentre Sean di quello privato e più mistico.
 
Bryony quindi dubitava fortemente che Sean si trovasse assieme a Colin per una visita guidata notturna, o per una bevutina di whisky.
 
Non a caso, quando raggiunse le porte ad arco della biblioteca del maniero, non poté che sorridere nello scorgere una lama di luce sgusciare da sotto i battenti di quercia.
 
Sean era facilmente prevedibile.
 
Quando aprì la porta – perfettamente oliata – lo vide chino su un antico tomo, la luce da tavolo accesa accanto a lui, e pile di libri pronti per essere letti al suo fianco.
 
Mo chrói… hai intenzione di venire a letto, o ti porto qualcosa per la nottata?”
 
Levando il capo dal libro con espressione esausta, Sean si stiracchiò le braccia, facendo scricchiolare la schiena, e le sorrise spiacente.
 
Bryony sorrise spontaneamente. Sean era così; non si arrendeva di fronte a niente, anche a costo di rovinarsi la salute.
 
“Mary e Wyatt sono a letto?” le domandò, accogliendola al suo fianco quando Bryony si avvicinò.
 
“Dormono della grossa, dopo essersi scolati un bicchierone di latte e miele. E tu? Cosa pensi di fare?”
 
Accigliandosi a quella domanda, Sean tornò a scrutare il libro dinanzi a lui e, con un sospiro, ammise: “Temo proprio che le mie conoscenze non bastino ad aiutare Mal, stavolta.”
 
“Che intendi dire?” osservò la moglie, preoccupata.
 
“Non si tratta di un’entità legata al culto celtico, e neppure a uno dei tanti pantheon europei che ho visionato. Pur con le informazioni che ho in mano, e le sensazioni provate da Malcolm stesso o da Ben, non riesco a far collimare nulla. Ci sono somiglianze con diverse creature, quasi tutte legate al mondo del vampirismo… ma non è il nostro caso.”
 
Sospirando, Bryony gli carezzò il viso turbato, i morbidi capelli biondi e, baciatagli la fronte, asserì: “Hai fatto del tuo meglio. Nessuno potrebbe negarlo.”
 
“Ma non ho saputo dare una risposta a Malcolm” replicò Sean, scontento.
 
“Hai eliminato delle possibilità. Non è poco” ribatté la moglie. “Ora, Malcolm e Ben sanno che il nemico non è un incubus o una succubus, né una lamia, né tanto meno uno hiisi ugro-finnico. Non è poco, non ti pare?”
 
Pur comprendendo il tentativo della moglie di aiutarlo, Sean sospirò distrutto e, poggiato il capo tra i suoi seni, sussurrò: “Ma non ho trovato altro.”
 
“Perché sei una creatura mortale e fallibile, esattamente come qualsiasi altro essere umano su questa terra, e Malcolm lo sa. Pensi te ne farebbe una colpa? Ti sarà grato, esattamente come lo saranno gli altri Guardiani. Non si pretende mai l’impossibile dalle persone, Sean, ormai dovresti saperlo” gli rammentò la moglie, baciandogli il capo con calore.
 
Sean sorrise nonostante tutto e, levando appena il capo a guardarla, ammise: “Mi stupisce ancora che nessuno dei tuoi studenti si sia innamorato di te, in questi anni.”
 
Lei rise dolcemente, alzandosi e trascinandolo con sé per abbracciarlo e, contro il suo torace, mormorò maliziosa: “Solo perché sono stata sempre molto brava a tenerti nascosti i miei mille amanti.”
 
Sean allora rise con lei, le avvolse le spalle con un braccio e, dopo aver spento la lampada da tavolo, asserì: “Sarà meglio che faccia prevalere il mio diritto di prelazione su di te.”
 
“Sì, sarà il caso” assentì la donna, dandogli una pacca sul di dietro.
 
***
 
“… e così, abbiamo eliminato con sicurezza quasi matematica tutto il bacino europeo e africano” asserì al telefono Ben, spaparanzato sul suo letto dello studentato. “Visnu mi assicura che non c’entrano neppure le creature del pantheon indiano, che non rassomigliano a quanto da te percepito. Posso escludere anche le creature cinesi a priori. Niente rassomiglia a quanto mi hai detto.”
 
“E’ forse un alieno?” ironizzò Malcolm, allacciandosi le scarpe e tenendo il cellulare tra orecchio e spalla.
 
“Può darsi. Potresti essere il primo caso documentato di possessione aliena. Sai che ficata?” rise Ben per stemperare l’ovvia ansia dell’amico.
 
“Sai essere davvero perfido, quando ti ci metti, Benu” brontolò Mal, passando quasi automaticamente al suo antico nome.
 
“Passa tutto il tempo che passo io a chiacchierare con Rah e Apollo, e dirai scempiaggini per metà del tempo” ghignò Ben. “L’ultima volta che ho giocato a senet con loro due, ho riso per quasi tutta la durata della partita e, ovviamente, ho finito col perdere.”
 
A Malcolm suonò strano sentir parlare delle due divinità, specialmente se correlate con l’antico gioco degli scacchi egizio, ma con Ben bisognava fare poco caso a cose come queste.
 
Per lui era normale parlare di basket con Apollo, piuttosto che rugby con Freyr. Per quanto fossero divinità interamente spirituali, sembravano essere state piuttosto incuriosite dagli sport moderni, e per Ben era diventato normale chiacchierare per ore in tal senso.
 
Il solo pensarci era paradossale, folle, ma per lui era una cosa da tutti i giorni.
 
Tornando serio, Ben domandò: “A parte gli scherzi, amico, hai niente da dirmi?”
 
“Se stai parlando di Eiko, no, niente di niente. Anzi, sono in ritardo per un’uscita di gruppo al cinema.”
 
Di gruppo” ripeté accigliato Benjamin, scuotendo il capo sul suo cuscino in memory foam. “Devo insegnarti tutto io, ragazzo?”
 
“Sei più giovane di me, Ben, almeno per questa vita” gli rammentò Malcolm, con un ghigno in viso. “Inoltre, non volevo affatto che Eiko interpretasse male.”
 
“Che male potrebbe esserci, nell’invitarla fuori da solo?” protestò l’amico, levandosi a sedere. “Per quanto tempo ti nasconderai dietro i tuoi poteri, Malcolm? Non puoi vederli sempre e solo come un ostacolo alla tua vita. Devi fonderti con loro, prenderli pienamente dentro di te e accettarli. Accettarti per ciò che sei.”
 
“Ben, sai meglio di me che persone come noi non potranno mai avere una vita normale, e creature speciali come i miei zii acquisiti, o tuo padre e le vostre famiglie, non sono così facili da trovare” gli rammentò amaramente Malcolm, levandosi in piedi.
 
Afferrata la sciarpa, si avvoltolò il collo per bene – fuori, c’erano tre gradi sottozero, ed era solo metà novembre – e terminò di dire: “Inoltre, sai bene cosa vuol dire sentire.”
 
“Non come te” ammise Ben che, per quanto potente, non avrebbe mai potuto – e saputo – leggere nelle menti delle persone.
 
Avrebbe avvertito i sentimenti, le pulsioni degli umani, ma mai i pensieri.
 
Ciò che era in grado di fare Malcolm esulava dalle sue possibilità, e per una buona ragione. Una Fenice in grado di controllare le menti della gente, vivendo per cinquecento anni, avrebbe potuto cambiare le sorti del mondo per sempre.
 
Questo avrebbe impedito agli uomini di camminare sulle proprie gambe, eliminando di fatto il libero arbitrio, tabù del tutto intoccabile per gli equilibri dell’Universo.
 
Benjamin sapeva più che bene che un simile evento avrebbe potuto avvenire con facilità, se avesse avuto anche le doti di Malcolm.
 
Spinto dal desiderio supremo di salvare l’umanità, una Fenice avrebbe potuto cedere e… cadere nell’errore.
 
Questo l’avrebbe fatta diventare padrona assoluta di intere generazioni di uomini, e nessuno avrebbe potuto fermarla, nella pienezza dei suoi poteri.
 
Forse, solo il Cerchio dei Cinque ne sarebbe stato in grado ma, fortunatamente, questa eventualità non avrebbe mai dovuto avverarsi.
 
Quanto al Guardiano dello Spirito, non avrebbe potuto usare in malo modo il suo potere, essendo governato dalla dea Arianrhod.
 
Un passo falso nella direzione sbagliata, e la sua testa sarebbe saltata. Letteralmente.
 
“Ti ringrazio davvero per la tua preoccupazione e il tuo interessamento, Ben…” mormorò Malcolm uscendo dall’appartamento. “… ma è una cosa che devo risolvere alla mia maniera.”
 
“Certo, amico. Mi spiace soltanto tu debba soffrire tanto” ammise Ben, salutandolo nel chiudere la comunicazione.
 
Rigirandosi nel letto, la giovane Fenice mormorò poi mentalmente: “Perché deve essere tutto così difficile, Rah?”
 
“Diversamente, il mondo sarebbe un luogo assai noioso, non ti pare?” replicò serafica la divinità, mormorando all’interno della sua mente.
 
“Malcolm, però, soffre, ed è una delle persone più buone e generose che io conosca. Non lo merita” protestò il giovane.
 
“Una Fenice penserà sempre al bene delle genti, ma non devi soffermarti solo a una in particolare, lo sai. E’ encomiabile che tu cerchi di aiutarlo, ma rammenta il tuo dovere. L’amore universale, non unico.”
 
“Stai ipotizzando che io ami Malcolm?” ironizzò Ben, sgranando gli occhi.
 
“Non sarebbe un cattivo partito, ma so bene che la tua mente preferisce colline e lunghi capelli fluenti, a petti scolpiti e chiome rasate.”
 
Ben scoppiò a ridere di gusto, di fronte a quella descrizione piuttosto curiosa della donna e dell’uomo e, nel sollevarsi da letto, dichiarò: “Hai delle idee assai contorte, amico mio.”
 
“Avresti preferito che usassi parole più scurrili per definire il corpo della donna e quello dell’uomo? Sai che la dialettica ha il suo perché, e io amo esprimermi in modo cortese” celiò il dio, abbandonandolo con un saluto.
 
Quando Benjamin digitò il numero di casa per parlare con i suoi genitori, stava ancora sorridendo divertito.
 
Voleva chiedere assolutamente alla mamma se Rah era sempre stato così burlone.
 
***
 
D’accordo, forse doveva scambiare due parole con suo padre.
 
Era una cosa normale smettere di respirare quando si vedeva una ragazza che, potenzialmente, poteva diventare l’amore della tua vita?
 
Malcolm si chiese questo, quando vide comparire Eiko dall’angolo della strada, stranamente sola e avvoltolata in un cappotto bianco lungo fino al ginocchio.
 
I capelli neri le scivolavano come un mantello sulle spalle e le gote, arrossate dal freddo, erano deliziose quanto il luccichio nei suoi occhi.
 
Keath e Bobby la salutarono per primi, chiedendole poi di Rin.
 
Una volta raggiuntili, Eiko salutò gli amici e, dopo aver sbirciato un secondo più degli altri il viso di Mal, ammise: “Temo che, per un po’, non uscirà. L’esame di prospettiva non è andato bene, perciò ora si è messa in testa di volerlo passare al meglio, con tanto di lode. Ha rifiutato il voto, così ora sono sola soletta.”
 
“Ci penseremo noi, a te, e dopo porteremo una torta e del buon caffè a Rin. Il cervello va irrorato di endorfine” le propose Bobby, offrendole il braccio per entrare al cinema.
 
Eiko lo accettò dopo un attimo di titubanza, così a Keath non restò altro che fare lo stesso con Mal, che accettò con un ghigno e si accodò.
 
L’amico, però, lo trattenne quel tanto che bastò perché Bobby si allontanasse con Eiko e, a bassa voce, mormorò: “Senti un po’, bello, ma quando hai intenzione di farti avanti?”
 
Io e le mie confessioni davanti a una birra, pensò tra sé Malcolm, lagnandosi per la sua lingua lunga.
 
Perché, quella notte maledetta di una settimana addietro, si era ubriacato?
 
Forse, perché eri stato sul punto di saltare addosso a Eiko, e soffrivi come un cane?, gli rammentò una vocetta maliziosa nella mente.
 
Le sue Elementali non poterono non ridere – sapevano tutto ciò che succedeva nella sua testa – e la fata sulla spalla di Keath rischiò addirittura di ribaltarsi per l’ilarità.
 
“Siete molto serie… davvero…” brontolò tra sé Malcolm, mentre le Elementali non smettevano di ridere del loro Guardiano.
 
“E’ troppo presto. Ci conosciamo da poco, e non voglio certo rovinare tutto per la troppa fretta” borbottò poi Malcolm ad alta voce, ombroso in viso.
 
“Sì, e le caprette fanno miao, e gli unicorni rosa volano in cielo” replicò scettico Keath, scuotendo il capo. “Dannazione, amico! Sei sempre stato molto morigerato con le ragazze, e ben venga! Sei un gran signore, esattamente come tuo padre, ma qui stai esagerando! Sembri terrorizzato da Eiko e, al tempo stesso, sembri sul punto di volerla rapire per non farti rivedere mai più.”
 
Malcolm fissò l’amico con espressione assai confusa e Keath, addolcendo i tratti del viso, sorrise a mezzo, aggiungendo: “Solo perché io e Bobby facciamo i burloni, non vuol dire che non ci accorgiamo di cosa ti passa per la testa. Si vede che, stavolta, la cosa ti ha toccato davvero.”
 
Che il suo volto fosse diventato così espressivo, riguardo a Eiko?
 
Osservando la ragazza in questione, che stava salendo le scale per raggiungere la sala al secondo piano del cinema, Keath mormorò: “E’ riflessiva, esattamente come te, e denota una tendenza a preoccuparsi per gli altri che mi ricorda molto te, amico. Vi somigliate molto e, forse proprio per questo, vi state scornando per nulla, senza dirvi quello che dovreste.”
 
Se solo sapessi!, pensò tra sé Malcolm, desideroso di dire tutta la verità all’amico.
 
Ma come fare?
 
Sapeva benissimo che, a parte i rami della famiglia acquisiti tramite matrimonio, e il Clan irlandese, pochissimi altri conoscevano il loro segreto.
 
Certo, c’era Magdalene, il capo di papà e di zia Summer, alcune sacerdotesse di Pele alle Hawaii, e diversi houngan di New Orleans ma, a parte loro, il segreto era rimasto tale per millenni.
 
Erano troppi i rischi connessi alla verità che li riguardava, eppure gli era sempre sembrato di fare un torto a Bobby e Keath, non dicendo loro il vero.
 
Che fosse giunto il momento di compiere anche quel passo?
 
Prendendo un gran respiro, Malcolm disse infine all’amico: “Ti devo parlare di una cosa importante. A te e Bobby, per la verità. Questo servirà a farvi capire perché, trattandosi di Eiko, ci vado con i piedi di piombo.”
 
Keath capì immediatamente che Malcolm non stava scherzando.
 
Il viso di Mal era molto più che serio. Era terrorizzato. Quasi che, quello che sentiva l’esigenza di ammettere con loro, avrebbe potuto minare per sempre l’amicizia che li legava.
 
Annuendo lentamente, Keath non disse nulla e, quando entrò nella sala assieme all’amico, borbottò due parole all’orecchio di Bobby e si sedette.
 
Eiko scrutò un momento Malcolm, turbata dalla sua serietà ma questa, come era giunta, scomparve. Mal le sorrise, ma Eiko non vi cascò neppure per un istante.
 
Qualcosa lo turbava, e molto, ma preferì non impicciarsi.
 
Limitandosi a rispondere al sorriso, volse il viso in direzione dello schermo e, dopo aver indossato gli occhialini 3D, si preparò alla visione.
 
***
 
Central Park non era esattamente il luogo ideale in cui rifugiarsi la notte ma, grazie ai suoi poteri, Malcolm non ebbe difficoltà a trovare un posto tranquillo.
 
Che drogati e coppiette appartate si tenessero i loro posticini; lui non aveva bisogno di disturbarli.
 
O meglio, lasciò che alcune fate dello Spirito parlassero nell’orecchio di coloro che stavano per farsi del male, così che il dubbio si instillasse in loro.
 
Non avrebbe fatto altro – sarebbe stato scorretto – ma, grazie a quel semplice pensiero, forse qualcuno avrebbe desistito.
 
Quando infine raggiunsero uno dei tanti laghetti del parco, Malcolm si fermò, facendo scricchiolare la brina sotto le sue scarpe.
 
Eiko era tornata in fretta allo studentato subito dopo la fine del film, rispondendo a una richiesta d’aiuto di genere scolastico da parte della sua compagna di stanza.
 
Malcolm aveva ringraziato mentalmente la sua buona stella; sarebbe stato difficile trovare una scusa adatta per sgattaiolare via assieme agli amici, e lasciare lei fuori dall’equazione.
 
Gli era spiaciuto vederla sparire così presto ma, per quella sera, poteva andar bene anche così.
 
Bobby fu il primo a parlare, spezzando la linea di pensiero di Malcolm.
 
Fissò l’amico bruno e torvo in viso, si massaggiò le mani intirizzite dal freddo e infine domandò: “Ebbene? Cos’è questo grande segreto che non ci hai mai detto?”
 
Malcolm scrutò i volti a lui cari dei suoi amici, rammentò gli anni di scuola, la prima volta che li aveva invitati a casa, i loro giochi… la nascita dei gemelli e il modo in cui loro gli erano stati accanto per supportarlo.
 
Erano stati anni bellissimi, vissuti serenamente, nonostante tutte le loro stranezze e differenze, e Bobby e Keath ne avevano sempre fatto parte.
 
Dall’esterno, però.
 
Era tempo di cambiare quello stato di cose, perché Bobby e Keath si erano sempre fidati di lui, e meritavano da parte sua altrettanta fiducia.
 
“Conoscete la storia della mia famiglia. Ne abbiamo parlato tante volte” esordì Malcolm, sorridendo appena e infilando le mani in tasca. Tremavano troppo, e non sapeva che farsene, al momento.
 
Keath assentì, dichiarando con ironia: “Che hai un passato strepitoso e antichissimo, oltre ad avere tre zie da capogiro e una mamma splendida… sì, direi che la conosciamo…”
 
Malcolm sorrise, pensando a Spring, Summer e Melody e alla sua Kimmy.
 
Sì, erano davvero da capogiro, in mille modi diversi, a ben vedere. Ma tutta la faccenda poteva esserlo.
 
Il giovane si guardò intorno dubbioso, scorse infine la buca di sabbia usata dai bambini nel parco giochi e, avvicinandosi a essa, sorrise appena e lasciò che l’istinto facesse il resto.
 
Afferrato un bastoncino, tracciò un pentacolo nella sabbia sotto gli occhi curiosi degli amici e, con un mormorio sommesso, disse: “I nomi dei miei zii e di mio padre hanno una loro logica. Non sono solo decorativi, o bizzarri. Rappresentano i quattro punti ideali della ruota dell’anno.”
 
Keath arricciò appena il naso, replicando: “Vuoi dire che i tuoi nonni li hanno chiamati così per via dei due Equinozi e dei due Solstizi?”
 
“E’ molto più complessa di così” sospirò Malcolm, scuotendo il capo. “Loro sono quei punti ideali. Winter, per l’acqua, Spring, per la terra, Summer, per il fuoco, Autumn, per l’aria.”
 
Bobby si grattò la nuca, sempre più confuso, e borbottò: “Amico, non è quel problema enorme che tu credi. Ci sono genitori che hanno chiamato i propri figli coi nomi della frutta, o di personaggi dei fumetti, perciò…”
 
Malcolm lo interruppe con un’occhiata che racchiudeva tutta la sua ansia, e Bobby si azzittì, impallidendo leggermente.
 
Preso un gran respiro, Malcolm chiuse gli occhi e chiamò suo zio Autumn, domandandogli: “Pensi di poter aiutarmi in qualche modo? Parlandone e basta non servirebbe a molto.”
 
“Sì, lo so. I normali sanno essere assai cocciuti. Ma sei certo che loro due siano in grado di reggere?” replicò Autumn, accigliato.
 
“Sono miei amici. Mi fido di loro.”
 
Ad Autumn bastò questo.
 
Con il suo potere, levò una brezza violenta che sollevò la sabbia della buca in un piccolo vortice, facendo spaventare sia Bobby che Keath, che indietreggiarono di un passo.
 
A quel punto, Malcolm si mise in contatto con le zie e il padre, spiegando succintamente ciò che stava accadendo.
 
Spring fu la prima a muoversi.
 
Alcune radici fuoriuscirono dal terreno, ricreando dal nulla un piccolo arco. Sotto quell’arco improvvisato, un fuoco fatuo iniziò a brillare con azzurrina intensità, mandando letteralmente nel pallone di due giovani.
 
Da ultimo, forse per dare il colpo di grazia agli amici del figlio, Winter elevò una colonna d’acqua dal lago alle loro spalle, che prese poi le forme di Erin a grandezza naturale.
 
In tutto quel caos primordiale, gli occhi di Keath e Bobby seguirono l’evolversi folle di quegli eventi, mentre Malcolm rimaneva immobile in loro contemplazione, simile a una statua dinanzi ai postulanti.
 
L’arrivo di una creatura dalla forma umana, ma interamente di brina, fu però troppo, per loro …per lo meno, per il loro equilibrio.
 
I due giovani si afflosciarono a terra come marionette private di una guida e fissarono senza parole il loro amico e la donna al suo fianco, non sapendo che dire, che fare.
 
Malcolm, allora, salutò Erin chiamandola madre dopodiché, fissando spiacente gli amici, mormorò: “Il battesimo del fuoco, per così dire, è sempre la soluzione migliore, pur se è la più difficile da digerire. Le parole sono sopravvalutate, e possono benissimo venire dopo.”
 
“Ma che cavolo…” iniziò col dire Keath, gli occhi ormai fuori dalle orbite. “… siamo su un programma di scherzi?!”
 
La fata di brina che era Erin rise – pur se Keath e Bobby non ne udirono la voce – e, nel poggiare una mano sulla spalla al figlio, gli disse: “Capiranno, non temere. Non sono svenuti… dai loro il tempo di assimilare la cosa e sii molto, mooolto paziente.”
 
Ciò detto, sorrise ai due giovani e svaporò sotto i loro occhi, portando entrambi a rabbrividire per la paura e lo sconcerto.
 
Bobby, che ancora non aveva parlato, fissò Malcolm – perfettamente calmo pur sé ombroso in viso – e balbettò: “Ehi, amico… m-ma che s-succede?”
 
“Quello che vi ho detto prima. Aria, Terra, Fuoco e Acqua” mormorò Malcolm, inginocchiandosi accanto a loro. “Non è uno scherzo, né un gioco di prestigio, ma non conoscevo altro modo per farvi capire quanto fosse enorme il mio segreto, se non mostrandovelo.”
 
Bobby e Keath tornarono al disegno del pentacolo, stranamente sopravvissuto al gioco di vento di prima.
 
Curiosamente, anzi, sembrava essere in rilievo, come se il vento lo avesse messo in evidenza con il suo gioco sinuoso di correnti apparentemente casuali.
 
“S-sono… cinque…” mormorò Bobby, come in trance.
 
“Il quinto vertice, la punta più elevata della stella, sono io” asserì Malcolm, atono. “Governo le anime di ogni creatura vivente. Posso percepirne i pensieri e, volendo, potrei anche modificarne il corso, pur se mi è vietato.”
 
I due amici lo fissarono confusi, come se Malcolm stesse parlando in una lingua incomprensibile. C’era da aspettarselo, visto gli ultimissimi eventi, ma come facilitare la comprensione di un concetto così ai limiti dell’impossibile?
 
Sospirando, Mal intrecciò le gambe a terra e borbottò: “Pensate a un numero. Non importa quale, o quanto grande.”
 
“Ci prendi per il culo? Mica siamo in una base della Cia per gli esperimenti ESP!” sbottò Keath, accigliandosi.
 
Malcolm, nonostante tutto, sorrise.
 
Se Keath riusciva a fare dell’ironia sui suoi film preferiti, forse c’era speranza.
 
“Prova… settecentoventinove” rispose subito Malcolm, facendolo impallidire per diretta conseguenza.
 
Bobby fissò Keath in cerca di spiegazioni, e questo assentì nervoso, dando ragione a Malcolm.
 
“Quattromilanovecentotrentadue” aggiunse Malcolm, sorridendo a mezzo a Bobby, prima di ridere sommessamente e mormorare: “Davvero stai pensando alle carte degli esperimenti?”
 
“E dai, che cavolo dovrei pensare, scusa?!” sbottò Bobby, lanciando un’imprecazione coi fiocchi subito dopo. “Oookay, amico. Stop un attimo… tu e Keath non vi siete messi d’accordo per farmi ammattire, vero?”
 
“Niente scherzi, davvero” assentì Malcolm. “Ma era stupido e ingiusto nei vostri confronti, mantenere ancora il segreto.”
 
A quel punto fu Keath a imprecare e, in barba al freddo, si sdraiò sull’erba ricoperta di brina e si passò le mani tra i capelli fulvi.
 
L’attimo seguente balzò a sedere, gli occhi vagamente spiritati e scoppiò a ridere.
 
“Sei un druido! Sì, insomma, le storie della nonna non erano poi tanto campate per aria, no?” esclamò lui, vedendolo scuotere il capo.
 
“I druidi studiavano il rapporto tra il terreno e il divino, ma le uniche in grado di avere contatti con la divinità erano le wiccan, le sagge sacerdotesse della Madre” precisò Malcolm, pur apprezzando i suoi tentativi di comprendere.
 
Da bravo figlio di irlandesi doc, aveva sentito per anni e anni storie di folletti e di maghi. Pur se si trattava solo di storie, ne era comunque a conoscenza.
 
“Bloccati un momento. La Madre hai detto?” brontolò Keath, mentre Bobby li fissava in preda al panico.
 
“Ricordi i racconti della buonanotte di tua nonna Gwen?” gli domandò allora Malcolm, sorridendo a mezzo.
 
“La mia dolce, folle nonnina…” ghignò Keath, ridacchiando in maniera alquanto nervosa. “… mi diceva sempre che la Madre aveva tre volti, e che tutti andavano rispettati e onorati.”
 
“Più che giusto. Ma noi siamo seguaci di una delle sue emanazioni. Di Arianrhod. Ricordi chi è?” asserì a quel punto Malcolm.
 
Sapeva che non era del tutto corretto, ma offrì la possibilità ai suoi Elementali di chetare i timori dei due giovani, così che loro potessero cogliere appieno le sue parole.
 
In seguito si sarebbe scusato ma, in quel momento, era vitale che la paura non avesse il sopravvento sul loro intelletto.
 
Keath a quel punto annuì e, guardato Bobby per dargli spiegazioni in merito, gli narrò le vicende di Arianrhod e il suo potere di decretare il fato dei viventi.
 
La spiegazione durò alcuni minuti, minuti in cui anche Bobby si chetò, permettendo così a Malcolm di riprendere a respirare normalmente. Era così strano parlare apertamente di suoi poteri, discuterne coi suoi amici e ammettere senza remore ciò che realmente era!
 
Forse li avrebbe persi, ma era tanto più giusto a questo modo, senza più barriere tra di loro!
 
Quando infine Keath smise di parlare, fissò con estremo stupore Mal e mormorò: “Sei magico, dunque?”
 
“Qualcosa del genere” assentì suo malgrado Malcolm. “Capisci perché non posso semplicemente buttarmi, lasciando che sia solo l’istinto a guidarmi? Se lo facessi, avrei libero accesso alla mente di Eiko, e sarebbe ingiusto!”
 
Bobby si passò le mani sul viso come a schiarirsi le idee e, dubbioso, domandò: “Fammi capire… se ti emozioni troppo, se ti lasci andare ai sentimenti, non domini più… sì, insomma, quello che devi dominare?”
 
Malcolm assentì e, nell’aprire una mano col palmo rivolto verso l’alto, sussurrò: “Loro potrebbero agire indisturbate.”
 
Una piccola fata comparve sul palmo proteso, stiracchiandosi come se si fosse appena svegliata e, con un gran sfarfallio di ali, sorrise ai due giovani, che rabbrividirono debolmente, pur non tentando di nuovo la fuga.
 
La piccola Elementale continuò a fissarli sorridente prima di esibirsi in una riverenza civettuola, cosa che portò i ragazzi a ghignare in modo un po’ idiota.
 
A ben vedere, le fate dello Spirito erano assai affascinanti, pur se in versione pocket. Erano perfette in ogni loro parte, con chiome uniformemente biondo platino e occhi cangianti, che andavano dall’azzurro cielo a blu cobalto e tutte, nessuna esclusa, amavano esibirsi.
 
Permettendo alla fata di volare sulle mani protese di Bobby, Malcolm aggiunse: “Non ho mai voluto usare il mio potere per agevolarmi in nessun campo e, l’unica volta che è accaduto, è stato un disastro.”
 
“Oh… Lynne” mormorarono in coro i due giovani, comprendendo al volo di cosa stesse parlando l’amico.
 
Sentire quel nome fece rabbrividire Malcolm e, al tempo stesso, irritare l’Elementale sulle mani di Bobby, che strinse i pugni e li librò verso l’aria, gesticolando rabbiosamente.
 
I due giovani, allora, scoppiarono a ridere nervosamente di fronte alla sua ira e Keath, nell’invitarla sulle sue mani protese, le domandò: “Sei in ansia per il tuo padrone?”
 
La bionda fatina assentì, lanciandosi poi in uno sperticato soliloquio di cui Keath non comprese nulla, ma che fece sorridere Malcolm per la gratitudine.
 
L’amico fulvo, allora, sorrise a sua volta a Mal, domandandogli: “Non capisco un accidente di quel che dice ma, da come si agita, penso vorrebbe fare le feste a Lynne.”
 
“Glielo impedii, in effetti” assentì Malcolm, richiamando a sé l’Elementale, che svanì, come risucchiato dal corpo del giovane.
 
Bobby sospirò affascinato, si passò le mani tra i capelli bruni fino a ridurli a un ammasso intricato e, infine, borbottò: “Miseria… capisco perché hai aspettato tanto a dircelo.”
 
Keath assentì concorde, prima di impallidire leggermente e domandare: “Non è che hai…”
 
Malcolm scosse subito il capo, replicando: “Siete miei amici. Non ficcanaserò mai, a meno che voi non lo vogliate. E’ vietato dalla Legge prevaricare gli altri. Se lo facessi e, soprattutto, se avessi intenti malvagi, Arianrhod mi staccherebbe la testa. Letteralmente.”
 
I due deglutirono a fatica, ma assentirono, prendendo per buone le sue parole.
 
A quel punto, il giovane Hamilton domandò loro: “Ebbene?”
 
“Ho sonno” disse Bobby, a sorpresa.
 
Mal lo fissò confuso, ma lui si limitò a dire: “Davvero, vorrei andare a dormire.”
 
Keath lo guardò senza parole e, nello scuotere il capo, asserì: “La tua scelta di parole, e di tempistica, è sempre stata pessima, Bobby. Magari Malcolm voleva sapere altro, che dici?”
 
“Questo lo so anch’io!” sbottò Bobby, levandosi in piedi e allungando una mano verso Malcolm. “Quel che volevo dire è: ‘va bene, sei cool… ma io ho sonno lo stesso.’ Perciò, andiamo a nanna, per favore? Ho davvero bisogno di dormirci sopra.”
 
Keath si levò da terra a sua volta, fissò Malcolm – che ancora stringeva la mano di Bobby – e decretò: “Non è colpa sua se non è nato irlandese.”
 
Malcolm allora scoppiò a ridere e, non potendo impedirselo, li strinse a sé in un abbraccio che sapeva di gratitudine, affetto fraterno e piacere insperato.
 
“Non è che hai il teletrasporto, tra i tuoi doni, eh?” domandò dopo un poco Bobby, dandogli una pacca sulla schiena per stemperare il momento.
 
Mal rise ancora, ma negò così Bobby, infilate le mani in tasca, si avviò verso l’uscita del parco, borbottando: “Sempre così. Scopri di avere un amico supereroe, e ha sempre il potere sbagliato.”
 
“Scusa” mormorò Malcolm, pur sorridendo.
 
“Fa niente. Ci accontenteremo di come sei” decretò Keath, avvolgendogli le spalle con un braccio.
 
Non visto, un sorriso balenò nell’ombra, mentre i tre ragazzi si allontanavano per tornare alla loro auto.
 
E così, non uno, ma cinque.
 
Quella sarebbe stata una scorpacciata coi fiocchi.
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

Note: Malcolm ha superato un primo scoglio: ammettere tutto con i suoi amici. Non è stato sicuramente facile, per nessuna delle due parti, ma ha messo in evidenza quanto il trio sia veramente - e sinceramente - legato.

Un'altra evidenza è la difficoltà di comprendere quale spirito stia cercando di irretire Malcolm. Studiando un po' i vari pantheon di diverse culture ho notato quanti demoni - o spiriti - abbiano più o meno le stesse caratteristiche, ma non somiglino comunque a quello che ho scelto per dare la caccia a Malcolm.

Questo è, di sicuro, il più potente e malizioso. Oltre che il più difficile da trovare. Presto scoprirete perché.

Da ultimo, scopriamo che lo spirito era a conoscenza solo dei poteri di Malcolm, ma non di quelli dei suoi parenti. E' presto spiegato perché. Lo Spirito (Elementale di Malcolm) è ovunque, in qualsiasi creatura vivente, e ne da la vita. Gli altri elementi sono complementari, ma non contribuiscono a dare il soffio della vita.

Solo il dono di Malcolm percepisce questo 'soffio', ed è ciò che percepisce anche questo demone errante che desidera i poteri di Mal.

Sapere, però, che esistono altri poteri altrettanto potenti, è una fonte di soddisfazione per questo demone. Saranno quindi in pericolo anche gli altri Hamilton?

Lo scopriremo, non temete...

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


8.
 

 
Infagottata nel suo cappotto, lo sguardo stanco e il volto pallido, Rin starnutì forse per la ventesima volta ed Eiko, a quel punto, sentenziò: “Basta. Devi andare dal medico. Non puoi continuare a curarti da sola. E’ evidente che hai preso l’influenza, e non puoi andare avanti a vitamina C e tylenol.”

Da quando Rin si era messa sotto con gli studi per passare l’esame di prospettiva, non era quasi più uscita dalla sua stanza, se non per andare a lezione. Aveva disertato tutte le uscite con amiche e amici, e si era persino ritrovata a cacciare fuori dalla sua camera Bobby e Keath.

Anche Malcolm aveva fallito, quando si era presentato da lei per condurla al cinema.

Niente da fare.

Rin aveva deciso di passare quel maledetto esame con il massimo dei voti e nessuno, neppure Eiko, era riuscita a farle cambiare idea.

Così facendo, però, si era evidentemente debilitata, e i risultati erano ora ben evidenti davanti all’amica d’infanzia.

Amica d’infanzia che si vide frizzare dallo sguardo determinato di Rin, ben decisa a puntare i piedi fino all’ultimo. Anche di fronte all’evidenza stessa dei fatti.

“Ce la posso fare, Eiko-necchan. Non sono fatta di porcellana, credimi” brontolò Rin, soffiandosi il naso un attimo dopo.

Sarcastica, l’amica replicò: “Oh, sì, come no! Si vede proprio che scoppi di salute!”

“Non fare l’acida con me, Eiko” sbuffò Rin, prendendola sottobraccio per avviarsi all’interno del campus. “Lo so che ti preoccupi per me, ma davvero… non ho niente di grave.”

A quel punto l’amica cedette e, nel poggiare un momento il capo contro quello di Rin, asserì dolcemente: “So di essere burbera, ma solo perché tengo a te.”

“E io lo so benissimo, ma non voglio che perdi di vista le cose più importanti della vita, solo perché a me cola il naso” ironizzò Rin, ammiccando all’indirizzo del corridoio dinanzi a loro.

Eiko ne seguì lo sguardo e, suo malgrado, non poté evitare un principio di rossore quando vide Malcolm giungere di corsa verso di loro.

Quell’andatura elegante, la falcata lunga e potente, quel corpo tonico e spavaldo che sapeva mandarla letteralmente nel pallone. Non c’era niente da fare. Tutte le volte che lo vedeva, il suo cuore faceva le capriole.

Era un bel ragazzo, e non si poteva negare che i suoi occhi verdi fossero il suo punto forte.

O il suo torace ampio e scolpito?, le rammentò una vocetta nella testa, infastidendola per la verità in essa contenuta.

Le era quasi venuto un mancamento quando un giorno, nell’arrivare all’appartamento dei ragazzi, aveva trovato la porta aperta. Aveva bussato nell’entrare e, quando aveva scorto Malcolm uscire dal bagno con i soli jeans addosso, si era bloccata su due piedi, basita.

Lui le aveva sorriso appena, si era scusato e si era dileguato in camera, ma Eiko aveva avuto tutto il tempo di lustrarsi gli occhi.

Aveva visto le fotografie dei genitori di Mal, e sapeva che suo padre era un Marcantonio pieno di fascino… ma anche il figlio non scherzava.

Questo fatto, però, l’aveva fatta sentire malissimo perché, tendenzialmente, lei non crollava come una pera cotta di fronte a un bel visino e un fisico scolpito.

Eppure, quello di Malcolm le aveva fatto un certo effetto, e per questo si era odiata.

Perché era difficile dare un nome a ciò che sentiva dentro, quando era distratta da tanta bellezza!

Approfittò perciò di quel momento – Mal si era bloccato un attimo a scambiare due parole con un professore – per studiarlo con occhi clinici.

Inflessibili.

Super partes.

E fallì miseramente.

Che volesse ammetterlo con se stessa o meno, tutto era affascinante, in Malcolm.

Dal modo in cui muoveva le mani, al suo sorriso sincero e spontaneo, alla sua voce profonda e vagamente roca.

Ma, più di ogni altra cosa, c’era il suo modo di fare.

Ogni persona era importante, per lui, che fosse un conoscente o l’amico più fidato.

Lui trattava alla stessa maniera tutti quanti, come se fossero equamente indispensabili, equamente unici, nel suo personale universo.

Eiko adorava questo tratto del suo carattere …perciò, sommare questo fatto a tutto il resto, le dava parecchi grattacapi e le rendeva sempre più difficile restare con i piedi per terra.

“E’ inutile che tergiversi… io tenterei la sorte e basta” sussurrò Rin al suo fianco, quando vide Malcolm lasciare il fianco del professore per dirigersi verso di loro.

Eiko la fissò malissimo ma non ebbe il tempo di risponderle perché Mal, nel frattempo, le aveva raggiunte con le sue lunghe falcate.

Il giovane abbracciò spontaneamente Rin, in barba alle proteste della ragazza – che non voleva attaccargli i suoi bacilli – e infine si rivolse a Eiko.

Come al solito, il loro abbraccio fu più impacciato, meno spontaneo, ed Eiko diede la colpa soprattutto a se stessa.

Se fosse stata meno rigida, forse Malcolm si sarebbe sentito più a suo agio anche con lei.

Ma come fare senza sciogliersi in quel calore, in quell’aura meravigliosa che lui sapeva sprigionare?

Un vero rompicapo, poco ma sicuro.

“Allora, come sta la nostra malata?” domandò Malcolm, mettendosi al loro fianco.

Rin gli sorrise dispettosa, asserendo: “Non sono affatto malata. Non dare credito alle paure di Eiko. Starò bene nel giro di pochissimi giorni.”

Sorridendo per un attimo a Eiko, Malcolm replicò: “Sono solo le preoccupazioni di una carissima amica. Io le darei un po’ di credito, dopotutto.”

“Ecco, vedi?” borbottò Eiko, ringraziando Mal con un sorriso caloroso.

Sorriso che, come al solito, gli fece distogliere gli occhi nel giro di un nanosecondo.

Rin lo notò senza alcuna difficoltà e, sbuffando labilmente, diede una gomitata nelle costole a Malcolm, fissandolo poi malissimo.

Lui sobbalzò leggermente, di fronte a quel comportamento improvviso, e le sue Elementali lo sgridarono parimenti per la sua viltà.

“Vi siete messe d’accordo?”, brontolò tra sé Malcolm, cercando di non ricambiare lo sguardo accigliato di Rin.

La mortale ha ragione! Stai tentennando! Un Guardiano non tentenna MAI!, sbraitarono quasi in coro alcune delle fate dello Spirito, impegnate a galleggiare attorno a lui come lucciole impazzite.

Sbuffando tra sé di fronte a quella coalizione sproporzionata e ingiusta messa in piedi contro di lui, Malcolm si limitò a dire ad alta voce: “Hai bisogno di parlarmi, Rin?”

“Oh… sì, in effetti sì” assentì subito la ragazza, notando l’istante seguente un pallore sospetto comparire sulle gote di Eiko.

“Ci puoi scusare un attimo, Eiko? Non vorrei rimetterci un’altra costola” disse a quel punto Mal, sorridendole contrito.

“Certo… c-ci vediamo alla caffetteria, allora” mormorò terrorizzata la ragazza, lanciando un’occhiata disperata all’amica che, per contro, si limitò a sorridere ingenua.

Non potendo fare altro, Eiko se ne andò, le spalle ripiegate e l’aria di una a cui sia stata appena inflitta la peggiore delle punizioni.

 
***

Riuscito finalmente a trovare un angolino relativamente tranquillo tra i tanti corridoi dell’università, Malcolm domandò dubbioso: “A cosa era dovuto quel colpo basso? Mi verrà un discreto livido, entro domani.”

Rin lo fissò torva, notando il doppio senso contenuto nelle sue parole – lei era molto più bassa di Malcolm – e, sbuffando, borbottò: “Non è colpa mia se sei alto come una pertica. E poi te lo meriti, il livido.”

“Verissimo per l’altezza… un po’ meno per il livido” assentì lui, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

La ragazza sorrise, divertita dai suoi modi da fratello maggiore. Malcolm si era comportato così, con lei, fin dall’inizio.

Era un atteggiamento che, in un primo momento, l’aveva infastidita – quando cerchi di far colpo, ti dà noia che un ragazzo ti tratti come sua sorella.

Alla fine – neanche troppo tardi, comunque – aveva compreso di vederlo allo stesso modo, e questo le aveva dato un piacere singolare.

Studiarne poi la famiglia, scoprire tutti gli aneddoti su di loro e venire a sapere quanto fosse sviluppata nel tempo, le aveva dato una mano a comprendere meglio Malcolm.

Era stato affascinante aggirarsi tra personaggi curiosi e affascinanti, intervallatisi nei secoli tra i vari rami della sua famiglia, così come era stato sorprendente notare come quasi tutti fossero stati degli studiosi o dei saggi.

La cultura doveva essere stata una base importantissima, all’interno del loro millenario clan, e Malcolm era solo l’ultimo di questa stirpe.

Rin aveva notato praticamente subito come il ragazzo se ne facesse carico, e tenesse a mantenere alto il nome della famiglia.

Non era il classico giovane scapestrato con la fissa per le donne e le auto veloci, ma una persona attenta e capace …ma anche assai impacciata.

Per lo meno, si era dimostrato esserlo con Eiko, con la quale tradiva un’insicurezza quasi fastidiosa ma che, forse, aveva radici assai profonde proprio per il legame che stava creandosi tra di loro.

Era giunto perciò il momento di chiarire un po’ di cose, o entrambi i suoi amici si sarebbero fatti molto male, di questo passo.

Non era una cosa che potesse accettare con così tanta leggerezza perciò, anche se era un po’ barbaro ficcare così il naso, lo avrebbe fatto comunque.

Si sarebbe fatta perdonare in un secondo momento.

“Chiariamo un punto, noi due” dichiarò quindi Rin, stringendo le braccia sotto i seni con fare – lei sperò – minaccioso.

Malcolm assentì, tutto serio in viso, attendendo paziente che lei proseguisse.

“Ti piace Eiko?” gli gettò in faccia la ragazza, vedendolo impallidire di colpo per poi diventare color delle ciliegie mature.

“Ma… m-ma che razza di domande mi fai? Sì, certo che mi piace. Ma anche tu, se è per questo” borbottò il giovane, grattandosi nervosamente la nuca.

Sbuffando sonoramente, ed esibendosi in una smorfia tale da far ridacchiare Mal, Rin esalò esasperata: “Dio santissimo, Mal… non intendo dire come una sorella! Vorresti portartela a letto?”

Irrigidendosi di colpo, Malcolm replicò serissimo: “Non credo proprio che siano argomenti da trattare, se non con la diretta interessata. Inoltre, sarebbe davvero spiacevole pensare a qualsiasi donna in questi termini.”

Ops. Scelta sbagliata di parole.

Rin si mangiò metaforicamente la lingua – e dire che aveva capito che Mal era un gentiluomo d’altri tempi! – e ribatté più gentilmente: “Scusa, mi sono espressa malissimo. Volevo dire… non porteresti fuori Eiko? Non vorresti baciarla? O stare con lei?”

Malcolm la fissò dubbioso per diversi secondi, secondi in cui le sue Elementali lo fecero impazzire per i mille e più consigli propinati contemporaneamente.

Da quando in qua si comportavano come tante comari?!

Alla fine, comunque, Malcolm le domandò con calore: “Rin, …perché mi stai facendo queste domande? Cosa succede?”

Aggrappandosi alle braccia di Malcolm con espressione turbata, lei mormorò: “Succede che vi state girando intorno come in una giostra, ma nessuno fa il primo passo! E siete snervanti!”

Il giovane sobbalzò leggermente, a quelle parole e Rin, ancora una volta, si diede dell’idiota.

Dov’era finita tutta la sua diplomazia?

E quando mai l’hai avuta?¸le rinfacciò una vocina nella testa.

Mandando al diavolo la vocina, giusto per sottolineare quanto fosse diplomatica, Rin aggiunse: “Okay, faccio schifo nel fare la sensale, ma ti dico questo. Chiedi a Eiko… solo a Eiko di uscire. Dovete parlare sinceramente l’un l’altra, perché vi state evitando per non ferire l’altro, per motivi a me del tutto sconosciuti, ma fate l’esatto contrario!”

Fu in quel momento che Rin capì fin dove si fosse spinta… e temette di aver esagerato.

La maschera di calma che ricopriva il volto di Malcolm, letteralmente, si sgretolò di fronte ai suoi occhi, lasciando intravedere la paura autentica che era rimasta nascosta fino a quel momento.

Paura di fallire, di non essere ricambiato, di aver sbagliato clamorosamente a interpretare una persona …mille paure diverse, e tutte concentrate in quelle iridi scintillanti.

“Oh, Mal…” sussurrò Rin, abbracciandolo di slancio.

Lui la tenne avvinta a sé per un tempo indefinibile, quasi che la piccola, delicata Rin, fosse la sua unica ancora di salvezza dal baratro.

E lei lo trattenne, pur se il suo animo andò a fuoco, nel farlo, procurandole inspiegabilmente un dolore tale da toglierle quasi il fiato.

Quando infine si scostarono, Rin percepì un secco tonfo al cuore, come se qualcuno – o qualcosa – avesse desiderato proseguire quell’abbraccio, ma non vi badò.

In quel momento, era più importante capire quali, e quanti, danni avesse fatto.

“Chi ti ha fatto soffrire tanto, Malcolm? Chi ti ha fatto perdere fiducia in te stesso?” sussurrò Rin, stringendogli una mano con affetto.

Lui le sorrise appena rispondendo a quella stretta e, nel calare su di lei per un bacio sulla guancia, disse soltanto: “Non ha importanza, Rin …ma grazie. Hai ragione. Se non parlo, come farò a sapere? Nel bene e nel male, dovrò pur fare qualcosa, no?”

“Avrei dovuto tacere. Non erano affari miei e…” tentennò la giovane, scuotendo il capo con espressione contrita.

Aveva immaginato che il ragazzo avesse preso una cotta, o volesse soltanto iniziare una relazione superficiale con Eiko, invece c’era ben altro.

Come Eiko, anche Malcolm aveva visto qualcosa che l’aveva incatenato all’altra, e aveva creato quel muro insormontabile di paura per diretta conseguenza.

Sperò soltanto di non aver causato un danno irreparabile, avendo parlato con quell’irruenza non richiesta.

“No, hai fatto bene a dirmelo. Anche Bobby e Keath mi hanno detto che stavo tergiversando troppo” la rassicurò Mal, dandole un buffetto sul naso. “Forse, mi serviva una lavata di testa anche da parte tua, per capire.”

“Sono la solita schiacciasassi” sospirò Rin, contrita.

Malcolm, allora, allargò il suo sorriso, la baciò sul naso e aggiunse: “Mia zia Summer è più schiacciasassi di te, ma la amo lo stesso.”

Ciò detto, Mal la salutò con la promessa di comportarsi da uomo, e non più da fifone dopodiché, a grandi passi, si diresse verso la caffetteria dell’ateneo.

Quando Rin lo perse di vista, si accasciò contro il muro, stremata, ed esalò: “Ho davvero bisogno di un medico… non mi reggo in piedi.”

 
***

Era più che evidente che Rin aveva parlato. Non ci voleva un genio per sapere che, messa di fronte a Malcolm, avrebbe spifferato tutto.

Ma in fondo, non era meglio così? Dopotutto, lei voleva che sapesse. Però, sarebbe stato preferibile dirglielo di persona, non passare tramite l’amica del cuore.

Così, dimostrava solo di essere una codarda, senza spina dorsale e…

Sobbalzando quando Malcolm le si approssimò all’improvviso e le sfiorò una spalla con la mano, Eiko si volse a fissarlo col volto paonazzo, incapace di parlare.

Lui, allora, si limitò a prenderla per mano, senza dirle nulla e, scevro di spiegazioni, la condusse fuori dall’università.

Insieme attraversarono la strada, imboccarono le scale che conducevano al Morningside Park e lì, dopo aver scelto una delle passeggiate, si incamminarono.

Ancora, Malcolm non parlò ed Eiko, seguendolo fiduciosa come aveva fatto fino a quel momento, si chiese nervosamente cosa gli stesse passando per la mente.

I suoi occhi sembravano stranamente calmi, eppure il suo comportamento denotava un certo nervosismo.

Che pensare, dunque?

Proseguirono speditamente, sempre senza parlare, fino a raggiungere il Morningside Pond, in quel momento ricoperto di neve.

Lì, il giovane si fermò, scrutò per un momento le sagome spoglie dei salici piangenti, le panchine attorno al lago ghiacciato e, dopo un momento, disse: “Ho avuto un inizio dell’anno piuttosto confuso…”

Un po’ sorpresa da quella frase, Eiko si rilassò impercettibilmente e assentì, attendendo che proseguisse.

“Sei mesi fa è morto mio nonno. Non è stata una brutta morte; semplicemente, non si è svegliato” le spiegò Malcolm, vedendola ammantarsi di dolore genuino.

I suoi occhi si riempirono di lacrime, ma lui scosse il capo, aggiungendo: “Non te l’ho detto perché ti preoccupassi. Davvero, sto bene. Ma serve per farti capire… una cosa.”

Pur non comprendendo esattamente cosa, Eiko assentì ancora e Mal, nel calare lo sguardo, afferrò delicatamente le sue mani inguantate e piccole, tra le sue.

Lynne era completamente diversa.

Giunonica, un’autentica guerriera celtica, dalla folta chioma biondo rossiccia e gli occhi azzurri.

L’aveva vista crescere, diventare donna, e lui aveva pensato di amarla.

Si era fidato del suo istinto di ragazzo innamorato, preferendo non far intervenire i suoi Elementali, e si era ritrovato con il cuore dilaniato dal dolore.

Incontrare Eiko e Rin, conoscerle e diventarne amico, era stato come una catarsi.

Grazie a Rin, aveva potuto scoprire un nuovo genere di legame affettivo, qualcosa di molto simile all’amore fraterno, ma con un’anima così pura da ricordargli i suoi spiriti.

Con Eiko, invece, aveva riscoperto se stesso e, forse, compreso per la prima volta cosa volesse dire amare davvero.

Non solo aveva capito di non aver mai realmente amato Lynne – quanto meno, non di un amore maturo e consapevole – ma aveva ammesso anche con se stesso di aver mal interpretato i segnali.

Con Lynne, era stato procedere come da un punto a un altro, lei consapevole di lui, lui di lei, perché entrambi nati sotto la guida di Arianrhod. Non c’era stato il vero balzo nel vuoto.

Forse, l’errore di entrambi era stato di aver dato troppo peso alle cose sbagliate.

Con Eiko, tenendo ben a freno i suoi istinti, aveva scorto una ragazza sensibile, dal cuore generoso, disponibile col prossimo e infinitamente bella.

Se Rin si era dimostrata un’anima pura quanto rara, da proteggere a qualsiasi costo, Eiko si era rivelata invero una guerriera, un porto sicuro in cui riposare, il bosco tranquillo ove nascondersi.

Era mille e più cose, e tutte destinate a coloro che le stavano vicino.

Non aveva paura di sbagliare, immaginandola nel brandire una spada per difendere coloro che amava.

Come gli aveva confidato Rin una volta, nel passato di Eiko i guerrieri e i sacerdoti la facevano da padroni.

Una stirpe di nobili intenti, di potenti anime trapassate. Lei ne era la summa, senza alcun dubbio.

Perciò, chi aveva creduto di essere, per pensare di non innamorarsi di lei?

Solo, come spingersi oltre quel vuoto che tanto lo terrorizzava? Come ammettere con la fonte dei suoi patimenti, che il suo cuore le apparteneva?

Ma, come tutti gli avevano ripetuto fino alla nausea, doveva tentare.

Zia Spring, zia Summer e zio Autumn avevano tentato. Si erano fidati di coloro che i loro cuori avevano scelto.

Tra Kimmy e papà era stato diverso. Loro si erano amati fin da principio, fin da quando erano piccoli. Era stato più semplice, tutto sommato, poteri magici a parte.

Lasciando perciò perdere le sue ultime paure, Malcolm levò il capo e cominciò col dire: “Senti, Eiko, vorrei…”

Non terminò mai la frase.

La ragazza si levò in punta di piedi e, in barba a tutti suoi timori, lo baciò.

Fu un bacio casto, solo labbra contro labbra, ma bastò tanto per infiammare lo spirito di Malcolm.

Non riuscendo a padroneggiare i propri sentimenti, la avvolse tra le braccia e fece diventare quel bacio qualcosa di più.

Le mordicchiò le labbra, spingendola a lasciarsi andare, e il suo corpo divenne creta malleabile contro il proprio.

Eiko ansimò, avvolse le braccia attorno al collo di Malcolm e il giovane, non potendo impedirselo, ascoltò.

Quello che percepì superficialmente lo mandò quasi a fuoco.

C’era una passione rovente, la sorpresa di essere ricambiata, una sorta di timidezza a proseguire, un fondo di passione sessuale… mille pensieri, affastellati l’uno sull’altro.

Si disconnesse alla svelta, prima di penetrare troppo dentro di lei e, scostandosi da quella bocca che lui voleva divorare, Mal gracchiò: “Oookay… volevo dire più o meno questo.”

Lei scoppiò a ridere, arrossì come un peperone maturo e si scostò quel tanto per riappoggiare i piedi a terra… letteralmente.

Poggiando una mano sulla bocca tumida, Eiko mormorò: “Dio, scusa… è stato così… barbaro, saltarti addosso a quel modo.”

“Oh, no, credimi… ho gradito. Io sarei stato inutilmente prolisso e, forse, avrei fatto un gran casino” replicò lui, sorridendo nervosamente nel grattarsi la nuca.

Quando avrebbe smesso di farlo, quando si agitava? Forse mai.

Eiko ancora rise, di fronte alla sua candida ammissione e, nel mordersi il labbro inferiore, gli domandò: “Cos’avresti detto? La versione stringata, intendo.”

“Avrei decantato la tua bellezza, esteriore e interiore, poi ti avrei chiesto di uscire, o qualcosa del genere. Come vedi, tu sei stata più brava di me” le spiegò Malcolm, sfiorandole i capelli con un dito, all’altezza dell’orecchio.

Eiko glielo aveva visto fare tante volte, con Rin …ma non a quel modo, non con quello sguardo caldo, che avrebbe potuto sciogliere la neve di tutto il parco.

Si sentì ribollire il sangue, nel ritrovarsi vittima di quegli occhi smeraldini, preda e predatrice al tempo stesso.

A quel punto, sapeva bene che, se avesse spinto un po’ sull’acceleratore, Malcolm le avrebbe concesso qualsiasi cosa.

Ma perché volerlo?

Gli carezzò il viso, che risultò caldo nonostante fossero sottozero, e mormorò: “Cosa successe dopo la morte di tuo nonno?”

Lui le sorrise appena, apprezzando il suo interessamento e, nell’avvolgerla in un abbraccio, poggiò il mento sul suo capo e sussurrò turbato: “Stavo con una ragazza… la conoscevo fin da quando eravamo piccoli. Finii con l’andarci a letto. Non ricordo neanche se ci ubriacammo, prima, ma tant’è…”

“Non andò come speravi?” gli domandò lei, sentendo il cuore di Malcolm sotto il suo orecchio.

Batteva nervosamente, come se si vergognasse di quel ricordo.

Istintivamente, lo strinse più forte, e il battito si chetò, tornando normale.

Eiko sorrise soddisfatta. Era bello sapere di poterlo calmare con il semplice tocco.

“Diciamo che scoprii qualcosa che mi ferì, e questo mi portò a lasciarla. Volevamo cose diverse, da quel rapporto…” ammise lui, sospirando leggermente.

“Per questo, ci sei andato con i piedi di piombo? Ferite troppo fresche?”

“Anche ma, soprattutto, paura di sbagliare. E ferirti” ammise Malcolm, scostandola per guardarla negli occhi. “Stavolta, non ne sopporterei il peso.”

Eiko sgranò lentamente gli occhi, quando comprese le implicazioni di quelle semplici parole.

Malcolm stava ammettendo con straziante sincerità che quel bacio era più di semplice desiderio, era più di mera attrazione fisica.

Aveva paura, esattamente come lei, era terrorizzato dalle implicazioni di una loro relazione. Esattamente come lei, aveva compreso che, stavolta, ogni cosa sarebbe stata diversa, più profonda, e perciò più pericolosa.

Lappandosi lentamente le labbra, Eiko lo ringraziò con un bacio dolcissimo per quella tenera verità e, nello scostarsi, mormorò: “Neppure io ne sopporterei il peso. Per ora, però, proviamo a portarlo insieme.”

Lui tremò per un istante, la giovane poté avvertirlo senza alcun problema e, ancora una volta, si domandò quanto a fondo fosse andata la lama che la giovane del suo cuore aveva brandito contro di lui.

Nuovamente, quindi, lo strinse a sé, tentò di chetarne le paure e, dopo aver abbandonato il suo abbraccio, lo prese per mano e sorrise.

Non aveva la più pallida idea di quello che sarebbe successo in seguito, ma lo avrebbero affrontato assieme.

Fu in quel momento che il cellulare di Eiko squillò e, sorpresa, la ragazza lo estrasse dalla tasca del cappotto.

Malcolm si preoccupò immediatamente e, quando lesse il messaggio che era giunto alla giovane, impallidì suo pari.

Rin era stata ricoverata.



 

 

 

Note: finalmente - sarebbe il caso di dire - Malcolm ed Eiko si sono spiegati, e Rin ne è stata la fautrice principale, dopo le imbeccate di Bobby e Keath in tal proposito.

Si è giunti infine al dunque, ed Eiko pare decisa a chetare una volta per tutte i dubbi e le paure di Malcolm, pur se a sua volta è spaventata dalla portata dei propri sentimenti.

Il ricovero improvviso di Rin, però, getta un'ombra scura sul loro amore appena nato.

Che cos'avrà la ragazza? Sarà una semplice influenza, o ci sarà qualcosa di più?

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


 
9.
 
 
 
Prima ancora di giungere in ospedale – dopo una corsa a perdifiato per raggiungere la metro – Malcolm aveva inviato in avanscoperta le sue Elementali per avere un quadro generale della situazione.
 
Da quel poco che avevano potuto capire, Rin aveva avuto un crollo dovuto, con tutta probabilità, alla brutta infreddatura che l’aveva colpita alcune settimane addietro.
 
Gli impegni scolastici e le scarse cure avevano congiurato contro di lei che, in quel momento, si trovava stesa in un letto d’ospedale, una flebo attaccata al braccio e l’aria smunta ed emaciata.
 
Con grande sollievo di Malcolm, però, Rin era cosciente e vigile, pur se stanca il che, per il momento, era sufficiente.
 
Quando infine Mal ed Eiko raggiunsero l’ospedale e la stanza dell’amica, quest’ultima si lanciò di corsa verso il letto dove, pallida e stordita dai farmaci, Rin la guardò con aria dubbiosa.
 
Eiko le prese una mano, se la portò al petto e, parlando frettolosamente in giapponese, la sgridò per la sua follia e le chiese infine come si sentisse.
 
Rin le prestò ben poca attenzione, presa com’era dalla presenza di Malcolm assieme all’amica.
 
Sorridendo al giovane, mormorò roca: “Posso festeggiare?”
 
“Direi di sì… ma solo quando starai meglio” asserì lui, avvicinandosi a sua volta al letto per stringerle la mano libera.
 
Pur se i suoi Spiriti l’avevano rassicurato circa le sue condizioni – Rin si sarebbe ristabilita, nonostante l’attuale stato di debilitazione – vederla di persona lo rincuorò.
 
I suoi occhi scuri erano febbricitanti, ma risplendevano come sempre.
 
Chinandosi per darle un bacio sulla fronte bollente, Malcolm le disse accorato: “La prossima volta, vedi di curarti un po’ di più e studiare un po’ meno.”
 
Rin gli fece la lingua e, nell’osservare il volto rasserenato dell’amica, domandò: “Va tutto bene, Eiko-necchan?”
 
“Tutto benissimo” assentì la ragazza, lanciando poi un’occhiata timida a Malcolm, che ammiccò complice.
 
“Grazie a Dio… non se ne poteva più di vedervi ciondolare sui piedi perché non avevate il coraggio di parlarvi” sentenziò a quel punto Rin, facendoli ridere per il sollievo.
 
Se Rin aveva la forza e il desiderio di fare dell’ironia, c’era la speranza che quella debilitazione momentanea durasse meno del previsto.
 
La giovane sorrise nel vederli così lieti, contenta suo malgrado di aver stemperato le loro ansie, ma non poté unirsi a loro e alla loro allegria. Stava ancora troppo male perché potesse parteciparvi attivamente, pur se non voleva darlo a vedere.
 
Si limitò a godersi lo spettacolo, ascoltando il loro resoconto su come fossero andate le cose, e su come Eiko avesse baciato Malcolm per azzittirlo.
 
Quando anche Bobby e Keath giunsero in ospedale – avvertiti da Mal – i due giovani sorrisero un po’ stupidamente, non appena videro Eiko seduta sulle gambe dell’amico.
 
Lei li salutò con timidezza, arrossendo un poco, mentre Malcolm ammiccava ai due amici con aria vagamente sciocca ma soddisfatta.
 
Naturalmente, Bobby si lanciò in battute allegre sui due e tentò di coinvolgere anche Rin in quell’ilarità generale, ma Keath fu distratto da tutt’altra idea.
 
Volendo testare una sua teoria, formulò nella sua mente un pensiero e Mal, l’attimo seguente, sollevò entrambe le sopracciglia con divertimento.
 
Che stai facendo, Keath?” gli giunse in risposta alcuni attimi dopo, facendo rabbrividire per un secondo il giovane.
 
Cacchio! Allora ti è arrivato!” pensò Keath, cercando di mascherare la sua sorpresa con un abbraccio caloroso a Rin.
 
Certo. Trattandosi di un pensiero diretto a me, mi arriva come se me lo stessi urlando. Perciò, non pensare troppo. Se vuoi, posso sentirti senza che tu ti concentri troppo” lo mise al corrente Malcolm, dando poi il cinque a Bobby, che si stava complimentando con lui ed Eiko.
 
Keath lo osservò stralunato, sorpreso che l’amico potesse parlare contemporaneamente con lui – mentalmente – e con Bobby, a voce alta.
 
Alcuni istanti più tardi, Malcolm gli strizzò fuggevolmente l’occhio e disse: “Ci si fa l’abitudine. Io e mio padre parliamo per ore intere, con la mente, senza che nessuno se ne accorga.
 
Ed è a doppio senso?
 
No. Tutto parte solo se lo voglio io. A me arriva la richiesta, per così dire ma, solo se apro il collegamento, la conversazione può avere inizio. Per esempio, i miei zii e mio padre non possono parlare mentalmente tra loro… a meno che non intervenga io, ovviamente.
 
Cacchio!” esalò di nuovo Keath, dandogli a sua volta il cinque prima di dire a mezza voce: “Posso solo dire… evvai! Se non vi foste decisi, vi avrei rinchiusi in appartamento per un mese intero, pur di farvi rinsavire.”
 
Eiko sorrise a Malcolm e chiosò: “Ti rendi conto? Anche un tentato rapimento.”
 
“Ci vogliono male…” ghignò lui, dandole un colpetto fronte contro fronte, facendola ridere.
 
“Vi vogliamo anche troppo bene” sottolineò Bobby, rivolgendosi poi a Rin. “E tu, splendore? Che ti è saltato in mente di ammalarti fino a questo punto?”
 
Rin sorrise fiacca e, con una scrollata di spalle, borbottò: “Non è che volessi esattamente questo. Si vede che ho esagerato, stavolta. A dirla tutta, è difficile che mi ammali.”
 
Eiko assentì, dando una pacca sulla mano all’amica.
 
“Quando ho ricevuto il messaggio da parte di Cassie, che ti ha trovata svenuta in corridoio, mi è venuto un colpo. Da quando in qua ti ammali così?”
 
“Tutta colpa di Stanford e del suo votaccio in prospettiva” sentenziò lapidaria Rin, sbuffando.
 
Tutti sorrisero di fronte a quel commento ma, quando l’infermiera entrò per il cambio della flebo, l’atmosfera si raffreddò un poco e, con il suo invito a uscire, divenne davvero glaciale.
 
Nessuno, però, se la sentì di mettersi a discutere con l’infermiera, che sembrava più dispotica di un generale, perciò contrattarono solo per poter tenere compagnia a Rin a turno.
 
Malcolm allora si offrì di rimanere per fare il primo turno di ‘guardia’ ed Eiko assentì, promettendogli che gli avrebbe dato il cambio a mezzanotte.
 
Bobby e Keath si organizzarono per coprire il giorno seguente, e nulla di quello che disse Rin servì a farli desistere dal rimanere con lei.
 
Quando il gruppo si fu infine allontanato per rientrare all’appartamento e allo studentato, Rin fissò malissimo Malcolm e borbottò: “Ma ti pare logico che, subito dopo esserti dichiarato con Eiko, tu passi del tempo con me?”
 
“Eiko capisce benissimo e tu, al momento, hai bisogno di attenzioni speciali” replicò con candore lui, imperturbabile allo sguardo assassino dell’amica.
 
“Sei troppo gentile, Mal, e dovresti pensare un po’ di più a te stesso e meno agli altri… ma, da quel che ho letto, ce l’avete nel sangue” sospirò Rin, sorridendogli nello stringere la mano protesa del giovane.
 
“Hai finito l’albero genealogico?” si informò a quel punto lui, sorridendole di rimando.
 
“Già. Puoi sinceramente essere fiero di una simile famiglia. Sembrate davvero destinati a grandi cose… come se non poteste fare altrimenti” gli fece notare Rin, stringendo quelle dita tra le sue, più piccole e fredde. “Ma mi domando una cosa; quanto dipende da voi, e quanto dal peso del passato che vi segue come un’ombra?”
 
Malcolm non si stupì di quella domanda.
 
Rin non era una sciocca, tutt’altro, e doveva esserle parso strano che nessuno – o quasi – della sua famiglia avesse vissuto in modo meno che onorevole. O che non avesse mai tentato di rimanere lontano dal mondo accademico, culturale o religioso.
 
Chiunque, nel proprio passato, poteva contare almeno un paio di parenti scomodi o qualche delinquente.
 
Nel caso del clan di Malcolm, però, erano stati eliminati prima che potessero danneggiare tutti.
 
Ovviamente, non avrebbe mai potuto dire a Rin dell’intervento divino di Arianhrod, né dei motivi che avevano spinto i suoi predecessori a eliminare sul nascere – e dall’albero genealogico – quelle minacce.
 
Era sempre stato vitale che, nella loro famiglia, il sangue scorresse privo di contaminazioni negative. Ugualmente, rispose alla sua domanda, mormorando: “Diciamo che ci siamo sempre sentiti in dovere di mantenere lo status quo.
 
“E non è mai stato difficile?”
 
“A volte” ammise Malcolm, ripensando a ciò che era successo a sua nonna paterna.
 
La morte di Shaina era stata una macchia enorme nel loro recente passato, e nessuno di loro avrebbe dimenticato la Purga tanto facilmente.
 
Ciò che lei aveva tentato di fare a suo padre e agli zii, così come ai loro compagni di vita, era stato fonte di enorme furia da parte della dea, oltre che di vergogna per tutto il Clan.
 
No, nessuno avrebbe dimenticato. Quell’evento sarebbe rimasto un memento per molti secoli a venire.
 
“Riposa. Baderò io al tuo sonno” le consigliò alla fine Malcolm, lasciando a un secondo momento ulteriori spiegazioni.
 
Rin avrebbe voluto chiedere altro ma lasciò perdere e, alcuni istanti dopo, si assopì, scrutata dolcemente da Malcolm.
 
***
 
Un fuoco, le urla della gente, le invocazioni dei prelati di Dio.
 
Rin aprì gli occhi su una scena di cui aveva letto, che l’aveva colpita a fondo e che le aveva lasciato dubbi immani e curiosità sincere.
 
Incurante della folla che minacciava di calpestarla, Rin avanzò verso la pira sfrigolante di fiamme e, con occhi spalancati, scrutò la donna splendida che, immersa nel fuoco immenso, urlava all’indirizzo dei suoi carcerieri.
 
Quella donna dai meravigliosi capelli dorati li tacciò di follia e, levato il viso verso il cielo adombrato dal fumo, lanciò un grido in una lingua che lei non comprese.
 
L’attimo seguente, le sue braccia furono libere dalle corde e le fiamme seguirono il suo incedere attraverso le genti terrorizzate.
 
Non contenta, scrutò la pira e, con un movimento del braccio, lanciò contro di essa una lingua di fuoco che la abbatté come se fosse stata un castello di carte.
 
Ormai era il caos, tutt’attorno, e le persone si accalcavano le une sulle altre nel tentativo di fuggire a quell’incendio indomabile.
 
Del tutto impreparata, Rin si accucciò per evitare di venire ferita ma, di colpo, tutto si fece silenzioso e freddo, non più afoso e ammorbato di fumo e urla spaventate.
 
Risollevando il capo, la giovane si guardò intorno con la confusione dipinta in volto e, nello sgranare gli occhi, riconobbe le pareti spoglie e fredde dell’orfanotrofio dove era cresciuta.
 
Levatasi in piedi, si guardò intorno, camminando a piedi nudi sull’assito di legno consunto, che scricchiolava a ogni suo passo. Fu con il massimo dello stupore che vide se stessa seduta vicino alla balconata a est, ove soleva sistemarsi nei giorni di pioggia per scrutare l’orizzonte.
 
Un gocciolio costante tempestava il tetto ricoperto di tegole rosso mattone, mentre la voce lontana della direttrice rimbalzava tra le parete in carta di riso e legno.
 
Rin si avvicinò silenziosa alla se stessa bambina, e il suo cuore ebbe un tremito.
 
Rammentava più che bene come si fosse sentita, in quegli anni, così sola e sperduta, come un’ombra nel mondo, che sembrava del tutto ignaro della sua presenza.
 
Infine, quasi come una sorpresa di Natale, erano giunti i suoi genitori adottivi… e la luce di Eiko l’aveva riportata alla vita.
 
Aveva vissuto un’adolescenza splendida, grazie a tutti loro, e divenire una donna adulta era stato per lei un traguardo che, nella sua infanzia, non aveva mai neppure sperato di poter raggiungere.
 
Il ricordo svanì come era giunto e tutto si fece buio, spaventando Rin che, muovendosi in quell’oscurità priva di forma, sperò che qualcos’altro si palesasse, che un nuovo ricordo – o visione – la strappasse a quell’oscurità gelida.
 
Tutto ciò che avvertì. Fu morbida pelliccia attorno al corpo, a farla scuotere, e la voce sussurrata di una donna a paralizzarla. L’umidore di una lingua sul braccio a raggelarla e il sibilo di zanne sfregate tra loro a metterla in allarme.
 
Subito, Rin tentò di scacciare qualsiasi cosa la stesse infastidendo e, agitandosi in quell’oscurità senza forma, si massaggiò le braccia nel tentativo di allontanare quelle sensazioni sgradevoli.
 
L’attimo seguente, un immenso bagliore la investì come un’onda di piena, e una risata argentina le percorse il corpo, simile a una scossa a basso voltaggio.
 
Ormai terrorizzata, Rin si parò un braccio dinanzi al viso per proteggere gli occhi e, attorno a lei, come in un caleidoscopio, miriadi di immagini rimbalzarono le une sulle altre, stordendola.
 
Anche il suo corpo prese a vorticare, mentre la morbida pelliccia di pochi istanti prima tornava ad avvolgerla, avviluppandola tutta.
 
Questa volta, Rin scorse ciò che la stava attaccando, violando e, subitaneo, un grido agghiacciante le scaturì dalla bocca.
 
O, per lo meno, lei tentò di urlare.
 
In realtà, nulla scaturì se non un sussurro dolce come miele e velenoso come arsenico.
 
Frenetica, Rin cercò di scacciare ciò che la stava stringendo con sempre maggiore forza, con sempre maggiore decisione.
 
Mentre le sue mani affondavano nervose nella pelliccia bianco latte, Rin fissava sgomenta quelle che sembravano essere code di volpe.
 
Nove. Nove code di volpe danzavano attorno a lei, come tanti cobra incantati dal suono di un piffero.
 
“Non può essere…” riuscì a sussurrare, prima che una zampa artigliata le coprisse la bocca.
 
“Può eccome, mia cara… grazie a te, otterrò ciò che voglio…” le sussurrò la voce mielata di prima.
 
Rin cercò di divincolarsi, la luce scemò attorno a lei con flash sempre più radi finché, in un ultimo lampo, si spense del tutto.
 
Il suo corpo si afflosciò, la pelliccia bianca e morbida la ricoprì completamente e, in un ultimo, disperato rantolo, Rin sussurrò: “Eiko… aiutami…”
 
***
 
Malcolm si riscosse di colpo dal sonno leggero in cui era caduto e, nello scrutare il volto turbato di Rin, si chiese se stesse avendo un incubo.
 
Osservando distrattamente l’orologio da polso – segnava le 23.49 – il giovane si chiese incerto se non fosse il caso di svegliare l’amica. A volte, un brutto risveglio era preferibile al rimanere imprigionati in un incubo.
 
Nel vederla agitarsi tra le coltri, però, lasciò perdere i suoi pensieri errabondi e non perse ulteriore tempo. Allungata una mano verso Rin, le sfiorò la spalla, richiamandola poi dolcemente perché si destasse.
 
Subito, gli occhi scuri della giovane si spalancarono, misero a fuoco la stanza intorno a lei e, quando inquadrarono Malcolm, si fecero di fiamma.
 
“Rin… tutto bene?” le domandò lui, avvertendo un leggero malessere alle viscere.
 
Che stava succedendo?
 
Non ebbe tempo di chiedersi altro.
 
L’istante successivo, Rin balzò dal letto con velocità disumana e gettò a terra Malcolm, impreparato a un simile attacco, né tanto meno alla sua forza, che era in netto contrasto con il suo corpo minuto e fragile.
 
“Rin, calmati!” esalò il giovane, cercando di trattenerla per le spalle.
 
Lei, però, non gli diede retta e, sgusciando dalla sua stretta, afferrò i lembi della felpa che Malcolm indossava e, con gesto secco delle mani, spezzò la zip e la aprì a forza.
 
Sconcertato, Mal fissò la ragazza mentre, con una risatina animalesca, si denudava del misero camice ospedaliero, rimanendo in indumenti intimi dinanzi a lui.
 
Malcolm non riuscì a dire nulla, troppo turbato da quella visione inaspettata, per riuscire anche solo a parlare. Ma che le prendeva?
 
Sarai mio…” sussurrò poi Rin, artigliando la maglietta del giovane per lacerarla.
 
“Rin! Maledizione, fermati!” esclamò a quel punto Malcolm, cercando di fermarla.
 
Non ne fu in grado.
 
Il suo corpo era completamente immobilizzato da nove code bianche come la luna, che scaturivano dal corpo piccolo e perfetto di Rin.
 
Il suo cellulare scelse quel momento assurdo, per suonare, ma lui non poté fare nulla per raggiungerlo. Era bloccato dal corpo di Rin sopra di sé, misteriosamente quanto spaventosamente forte, oltre che minaccioso come poche altre cose Malcolm avesse mai visto in vita sua.
 
La mente dell’amica, inoltre, era impenetrabile, completamente al di fuori della portata delle sue Elementali, che stavano lottando invano per entrare in lei e fermarla.
 
Una folata di vento penetrò all’interno della stanza dopo aver spalancato le finestre, ma la ragazza scacciò i poteri di Autumn con una semplice occhiata sdegnata.
 
Mal! Che diavolo succede?!
 
La voce di Ben rimbombò nella sua testa come un colpo di maglio e Malcolm, indeciso se essere terrorizzato o furioso, esclamò: “Non vedi?!
 
Assolutamente no! So solo che sei nei guai, ma non capisco perché!
 
Questo sconcertò ancor di più il giovane, se possibile, e ciò permise alla paura di prendere il sopravvento sul suo corpo. Se neppure una Fenice era in grado di comprendere ciò che stava accadendo, cosa poteva fare, lui?
 
Questo fece sorridere maggiormente Rin che, nel leccargli il viso con bramosia, sussurrò gelida al suo orecchio: “Fenice non può vedermi… nessuno può… e, visto che non posso avere lei, avrò te e tutta la tua famiglia…
 
Ciò detto rise, scese con la bocca lungo il corpo di Malcolm, asservito ai suoi fini spregevoli e, in quel mentre, si udì uno schiocco secco e violento.
 
Rin si limitò a ridere. Malcolm impiegò qualche attimo più di quella creature che, solo per il caso più infausto, aveva le sembianze dell’amica, prima di comprendere il perché di quel suono.
 
Il rubino che aveva sempre portato con sé per proteggersi era letteralmente esploso, dilaniato dalla forza incontrollabile di quel demone senza nome.
 
Le unghie di Rin, lunghe e affilate quanto quelle di un felino, si divertirono a sbottonare i pantaloni di Malcolm che, ormai agghiacciato, si sentì prossimo a un attacco di panico.
 
Fu l’arrivo a sorpresa di Eiko a sbloccare in qualche modo la situazione, anche se nel modo peggiore possibile.
 
Rin tornò se stessa in un breve battito di ciglia e, fissando sorpresa e contrita l’amica, non tentò nemmeno di nascondere l’evidenza dei fatti.
 
Malcolm, al contrario, cercò di liberarsi dalla sua stretta, ma tutto fu inutile.
 
Per quanto le code fossero svanite, Rin rimaneva ancora troppo forte fisicamente, per lui, anche se tentava di apparire fragile e indifesa di fronte allo sguardo scioccato di Eiko.
 
Eiko che, sgomentata da quella vista e impreparata a un simile spettacolo, fissò al colmo dell’ira e del disgusto Malcolm.
Non fosse stato per la forza demoniaca che controllava Rin, sarebbe bastato quello sguardo pieno di biasimo, a togliere potere a Mal. Il solo pensiero di averla ferita a quel modo, pur se non per sua colpa, lo fece stare malissimo.
 
Indietreggiando disgustata per uscire dalla stanza d’ospedale in cui, piena di speranza, era entrata solo un attimo prima, Eiko sussurrò sdegnata: “Non pensavo potessero esistere persone così meschine, ma mi sbagliavo…”
 
Tornando a guardare Malcolm con l’orrore negli occhi, aggiunse: “Mi sono davvero sbagliata nel giudicarti.”
 
“Eiko, aspetta!” esalò lui, osservandola sgomento mentre la giovane correva via.
 
Infuriato per tutta quella situazione assurda, Malcolm si volse a scrutare il viso di Rin, ancora abbarbicata sopra di lui. I suoi occhi di fiamma erano spariti, però, sostituiti dal suo solito sguardo di cioccolata.
 
“Ma che diavolo…” sbottò il giovane, rimasto ormai senza parole.
 
“Scappa…” riuscì a gorgogliare Rin, balzando letteralmente via dal corpo disteso di Malcolm. “… scappa…”
 
“Rin…” esalò Malcolm, completamente frastornato. Ma chi aveva realmente dinanzi a sé? Cosa stava succedendo?
 
Ormai in lacrime, Rin si strinse le braccia attorno al corpo tremante mentre la sua immagine, letteralmente, svaniva e riappariva dinanzi a Malcolm, simile a un filmino consunto e rovinato dagli anni.
 
“Non la tratterrò… a lungo…” aggiunse Rin, aggrappandosi al piede del letto per sostenersi.
 
“Chi devi trattenere, Rin?” le domandò ancora Malcolm.
 
Lei, allora, lo fissò a occhi sgranati, la sclera completamente arrossata dal sangue dei capillari ormai in frantumi, e un rantolo furioso le uscì dalla gola.
 
“VATTENE!”
 
L’attimo seguente, la voce di Benjamin penetrò nella mente di Malcolm, ottenebrata dalla confusione, ed esclamò: “Vai via immediatamente da lì, finché la tua amica trattiene quella belva famelica! Io cercherò di aiutarla, ma non so per quanto potrò resistere. E’ ben oltre le mie attuali possibilità!
 
“Non posso lasciarla qui!” protestò Malcolm, pur sapendo di rischiare moltissimo, forse la sua stessa vita, negandosi la fuga.
 
Rin stava rantolando a terra, gli occhi che piangevano lacrime e sangue, mentre le sue mani artigliavano il pavimento di linoleum nella vana speranza di trovare una via di fuga. Da cosa, Malcolm davvero non lo sapeva.
 
Ben non ci andò per il sottile, stavolta.
 
Non puoi fare più niente, per lei! Scappa, e corri dietro a Eiko! Lei sarà la prossima vittima, se non ti muovi!
 
“Mi dispiace…” mormorò Malcolm, rivolgendosi a Rin che, però, scosse il capo.
 
“Dispiace… a me…” sussurrò, intimandogli poi di fuggire.
 
Non potendo fare altro, Malcolm fuggì dalla stanza, inviò le sue Elementali a cercare Eiko e, nel frattempo, inviò un messaggio a Keath e Bobby tramite telefono.
 
Scivolando fuori dall’ospedale, obbligò mentalmente a medici e infermiere a tenersi lontani dalla stanza di Rin e, mentre correva a perdifiato verso il Central Park, pianse.
 
***
 
Come aveva potuto ingannarsi a quel modo? E perché Rin e Malcolm avevano congiurato contro di lei fino a tradire la sua fiducia a quel modo? Perché uccidere i suoi sentimenti in maniera così becera?
 
E dire che si era fidata di loro! Di lui!
 
Aveva pensato di aver trovato finalmente la persona giusta a cui donare il suo cuore, e invece era incappata nell’essere più spregevole di tutti.
 
Tergendosi nervosamente il viso con mani tremanti, Eiko si sedette su una delle tante altalene del parco e, dondolandosi stanca, ripensò all’amica.
 
Erano state inseparabili per anni, molto più che amiche, molto più che sorelle, quasi due parti di una stessa anima, separata alla nascita.
 
Si erano sempre spalleggiate a vicenda, nessuno si era mai interposto tra di loro… fino a quel momento, per lo meno.
 
Proprio quando lei aveva pensato di poter vivere un’intensa, appagante storia d’amore, tutto era finito con un secco ceffone in viso.
 
Il ritorno alla realtà era stato terrificante, e quelle maledette immagini continuavano a rimbalzarle nella mente come tante biglie di un flipper impazzito.
 
Se fosse stata investita da un camion, forse avrebbe sofferto meno.
 
“Eiko…” sussurrò una voce alle sue spalle.
 
Sobbalzando, la giovane balzò in piedi con un diavolo per capello, e poco le importò di vedere i segni delle lacrime sul viso di Malcolm.
 
Era troppo furiosa per provare pietà, figurarsi nei suoi confronti.
 
Avanzando verso di lui con la mano levata, gli ringhiò contro: “Non puoi nemmeno lasciarmi in pace, dopo quello che ho visto?! Cosa vuoi da…”
 
Malcolm intercettò il suo braccio, la azzittì con un bacio e, trattenendola perché non si divincolasse dalla sua stretta, lasciò che il suo animo si aprisse a lei.
 
Non entrò dentro la sua anima, ma la condusse dentro di sé, lasciando che Eiko vedesse tutto, dalle sue paure inconfessabili, al suo potere, alla sua genia.
 
Devi abbracciare il tuo potere…
 
Ben gli aveva detto questo, tempo addietro, e non poté che essere d’accordo con lui, a quel punto.
 
Se non accettava se stesso per quello che era, come avrebbe potuto Eiko?
 
Perciò, prima di sapere tutto di lei, Eiko avrebbe dovuto sapere tutto di lui e, solo in seguito, lei avrebbe deciso cosa farne di ciò che era nato tra di loro.
 
Mentre approfondiva il bacio, afferrandole la nuca per aderire meglio al suo corpo ormai calmo, Malcolm riversò tutto se stesso in quel tocco di labbra e lingua.
 
Eiko sgranò gli occhi, fissò sgomenta le luci che danzavano attorno a loro e, scostandosi dalla bocca di Malcolm, ansò: “Cosa succede?!”
 
Le luci presero le sembianze di mille e mille fate e Mal, carezzandole il viso con espressione tenera e contrita, mormorò: “Ti offro me stesso… tutto me stesso, se potrai accettarlo… oltra a una spiegazione per ciò che hai visto, se la vorrai.”
 
La giovane lo fissò senza capire e Malcolm, con un sorriso triste, tornò a baciarla, stavolta con minore ardore e più calma.
 
La avvolse nel suo abbraccio, schiacciò dolcemente le labbra di Eiko e le dischiuse, affondando poi in lei con il calore del suo amore e del suo potere.
 
Eiko venne invasa da ricordi non suoi, da voci che non conosceva, da persone che non aveva mai visto.
 
Una figura di donna ammantata di luce le sorrise, mentre generazioni e generazioni di persone si susseguivano ininterrotte dietro di lei, senza mai fermarsi.
 
Quando le immagini iniziarono a rallentare, Eiko riconobbe i genitori di Malcolm, i suoi zii e… una donna splendida, eterea, ma…
 
Ma era formata di ghiaccio, stupenda nella sua interezza, ma assolutamente innaturale.
 
Vide un bambino che riconobbe essere Malcolm. Lo vide crescere e, di fronte ai suoi occhi sgomenti, fare cose al di là dell’immaginabile. Al di là della logica comune.
 
Eppure, non ne ebbe paura.
 
Abbracciò quei ricordi, quella richiesta accorata d’amore e, quando infine si palesò il Malcolm adulto, lei comprese.
 
Rivide la terribile scena dell’ospedale, ma non come lei l’aveva scorta, ma con gli occhi di Malcolm, e con il suo cuore.
 
Ne percepì la paura, la confusione, il tentativo di mettere fine a quell’aggressione, e infine vide Rin… ma non la sua amica, solo una creatura demoniaca che le assomigliava e che voleva Malcolm.
 
Con quei ricordi, Mal le aveva donato ogni cosa di sé, pur se non si sarebbe mai aspettata fosse possibile fare una cosa simile.
 
Con quella confessione, Malcolm le aveva messo tra le mani ogni più piccola parte del suo animo, denudandola completamente, e permettendole di avere la possibilità di fare di lui ciò che voleva. Nel bene e nel male.
 
Aveva riversato in lei ogni suo segreto, la sua unicità, e i motivi di questa unicità.
 
Quando infine Malcolm si scostò da lei, i suoi occhi erano colmi di dubbi e speranze, oltre che di mille e più domande.
 
Eiko si sfiorò le labbra tumide, osservò a occhi sgranati le piccole creature alate che danzavano attorno al giovane, quasi volessero proteggerlo… da lei.
 
E forse era vero.
 
“Cosa… cosa ho visto?” riuscì a sussurrare Eiko, ancora frastornata.
 
“Me” disse soltanto Malcolm.
 
Fu in quel momento che Eiko si avvide del sangue che stava scivolando sul torace di Malcolm, e delle ferite da artiglio che aveva sulla carne.
 
Tutto il resto era passato in secondo piano; il suo aspetto disordinato, le sue ferite, ogni cosa.
 
Solo Malcolm era rimasto, di tutto il mondo che la circondava. Solo lui le era interessato.
 
A quel punto, sospirò sgomenta ed esalò: “Che ti è successo? Non può essere stata…”
 
Bloccandosi, Eiko prese un gran respiro e domandò subito dopo: “Cos’è successo, prima, esattamente? Ho visto, ho visto una cosa…”
Nel dirlo, si tastò la fronte, confusa e spaventata, e Malcolm annuì.
 
“Non era lei…” le disse Mal, stringendola in un abbraccio tremante. “… non era Rin. Non so in che altro modo spiegartelo ma… è posseduta da un demone.”
 
Eiko si irrigidì nel suo abbraccio, a quelle parole, trovandole anacronistiche, assurde… eppure credibilissime.
 
Dopotutto, intorno a lei non stavano svolazzando mille fatine bianche? E poi, l’aveva vista attraverso gli occhi di Mal, ne aveva percepito la forza e la malvagità.
 
O era impazzita del tutto – e poteva anche essere – oppure c’era qualcosa di molto più grande della logica comune, a farla da padrone in quel momento.
 
Prima ancora di poter parlare per chiedere ulteriori spiegazioni, però, il cellulare di Malcolm squillò e, nell’afferrarlo, il giovane si sentì urlare nelle orecchie: “Finalmente hai risposto! Scappate da lì! Venite a casa! A Washington! ORA!”
 
La voce di Selene, terrorizzata e ai limiti del pianto, sgomentò Malcolm al punto da perdere quasi la presa sul cellulare.
 
“Selly, ma cosa…” tentennò il cugino, chiedendosi fuggevolmente se la ragazza avesse avuto una visione.
 
“Lo spirito si libererà e, ora che è stato scoperto, non rimarrà più nell’ombra del passato e del futuro! Venite via di lì! Siete vulnerabili!” gli intimò la cugina con voce tremula e spaesata.
 
Preferendo lasciare a un secondo momento ulteriori spiegazioni, Malcolm assentì e, dopo aver rassicurato Selene, afferrò la mano di Eiko e disse: “Partiamo subito. Non c’è tempo da perdere.”
 
“Partire? E per dove? E l’università?” esalò lei, correndo al suo fianco nonostante tutto.
 
“Non saremo più neppure vivi, se quel maledetto demone dalle nove code ci raggiunge” si lagnò Malcolm, affrettandosi a far fermare un taxi per loro.
 
Al diavolo il decoro e la gentilezza! In quel momento, avrebbe asservito ai suoi scopi anche un plotone di marines, se fosse servito.
 
Subito, un’auto gialla si bloccò a fianco della strada e un uomo li fece salire senza proferire parola, pronto a esaudire ogni loro desiderio.
 
Malcolm gli ordinò di recarsi alla Central Station e, quando infine si volse per spiegare brevemente ogni cosa a Eiko, la trovò con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
 
“Eiko… che succede?” mormorò lui, chiedendosi cos’altro fosse successo, nei brevi momenti in cui non le aveva prestato attenzione.
 
Lei sobbalzò appena nel sentirsi nominare e, quando si volse verso di lui, esalò terrorizzata: “Cos’hai detto, prima?”
 
“Riguardo a cosa?”
 
“Al… al demone” riuscì a gracchiare lei, ancora disorientata da tutta quella situazione oltre i limiti del paradossale.
 
Dove diavolo era finita? In una puntata de ‘Ai confini della realtà’, forse?
 
“Un demone dalle nove code… perché?” le domandò lui, confuso.
 
“Oh, Kami-sama…” esalò lei, coprendosi la bocca spalancata con le mani, gli occhi sgranati e pieni di terrore.
 
Subodorando qualcosa, Malcolm le domandò: “Sai di cosa sto parlando, per caso?”
 
Lei assentì, le lacrime a velarle gli occhi di pece e, nell’addossarsi a Malcolm – che le strinse le spalle con un braccio – Eiko mormorò sgomenta: “I demoni a nove code fanno parte del bestiario giapponese, Malcolm. E, da quello che ho visto prima, poteva trattarsi di una kitsunetsuki. Di una possessione demoniaca da parte di una volpe.”
 
Mentre l’auto volava letteralmente per le strade, avvicinandosi sempre di più alla stazione e al treno che avrebbero preso di lì a poco, Malcolm sgranò gli occhi di fronte a quelle parole.
 
Era mai possibile che…
 
“Ero avvolto da code di volpe, un attimo prima che tu entrassi… ed erano nove, lo ricordo bene. Erano bianche come il latte” mormorò lui.
 
 
A quelle parole, Eiko scoppiò in lacrime e Mal, nello stringerla a sé, sussurrò contro i suoi capelli: “Dimmi cosa succede, mo chrói…”
 
Se la situazione fosse stata diversa, Eiko avrebbe gioito nell’udire quelle parole – sapeva cosa significassero perché gliele aveva sentite dire spesso, rivolto alla sorella – ma, in quel momento, pianse solo più forte.
 
Baciandole i capelli, Malcolm ritentò e lei, nell’affondare il viso nel suo torace, ansò: “Una volpe a nove code è un demone potentissimo, Malcolm e, se le leggende sono vere, non so davvero come potremo salvarci.”
 
“La mia famiglia è forte” la rincuorò lui, pur non sapendo se ciò si sarebbe poi tramutato in realtà. Non era certo che i loro poteri, stavolta, sarebbero bastati a confrontarti con un nemico di tal risma.
 
Eiko, allora, levò gli occhi umidi di pianto per fissare quel viso a lei tanto caro e, ansiosa, replicò: “Abbastanza per abbattere un demone che può viaggiare nello spazio-tempo, e può possedere le anime delle persone a suo piacimento?”
 
Malcolm non seppe cosa rispondere e, mentre si avvicinavano alla loro via di fuga, si domandò come stesse Rin, e se Benjamin fosse riuscito nei suoi intenti.
 
Di una cosa, però, era sicuro. Quel ‘non puoi più fare niente, per lei’, lo avrebbe perseguitato per tutta la vita.

 

 

 

Note: Lo spirito è venuto allo scoperto, mostrando finalmente le sue carte... e impadronendosi di Rin una volta per tutte.

L'entrata in scena di Eiko salva per un istante Malcolm e permette a Rin di scacciare, seppur per pochi istanti, la presenza della Volpe dentro di sè.

A questo punto, Ben può finalmente vederla, intrappolando per quel che può lo spirito e consentendo, così, a Malcolm di fuggire.

Eiko è giustamente furiosa e confusa, e Mal non trova altro di spiegarle se non offrendole tutto se stesso, paure e sentimenti e poteri compresi.

L'avviso terrorizzato di Selene impedisce altre spiegazioni, ma vi verranno fornite nel prossimo capitolo, promesso.

Grazie per avermi seguita fino a qui! alla prossima!

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


 
10.
 
 
 
“Nonno, che cos’è quella?”
 
Eiko fissò il nonno con gli enormi occhi spalancati, curiosi come quelli di qualsiasi bambina di sette anni di fronte a qualcosa di nuovo e strano.
 
L’uomo, imponente ma pacifico nel suo kimono tradizionale da sacerdote shintoista, le sorrise bonario e scrutò a sua volta la statua in pietra grigia che aveva attirato l’attenzione della nipote.
 
Essa si ergeva fiera sulle zampe anteriori su di un piedistallo quadrato, reggendo tra le zanne una chiave, anch’essa in pietra.
 
Il sacerdote, tornando a scrutare la nipotina, strinse le mani dietro la schiena in posa pensierosa e asserì: “Questa è una kitsune, Eiko-chan. Protegge il tempio di Inari dagli oni, i demoni malvagi.”
 
“E perché ha una chiave in bocca?” domandò ancora la bambina, fissando il nonno con espressione confusa e curiosa assieme.
 
“Sono le chiavi del magazzino del riso e lei le protegge, così come protegge il tempio e tutto ciò che esso contiene” le spiegò l’uomo, carezzandole i capelli corvini.
 
“Il magazzino… del riso?”
 
“Sai che Inari è il dio del riso, vero, bambina?”
 
Al suo assenso, Shinichi Kurumi proseguì nella sua spiegazione.
 
“Il dio Inari è venerato in questo tempio, che non a caso si chiama Fushimi Inari-taisha. La volpe che lì è rappresentata aiuta il dio, e noi tutti, a preservare questi luoghi, tra cui il magazzino del riso, così che le genti non muoiano di fame.”
 
“Allora, è potente?” esalò sorpresa la bambina, tornando a scrutare la statua della volpe.
 
“Devi sapere, tesoro che, più code ha una volpe, più ella è potente. Quando una volpe ha nove code, può viaggiare nel tempo e nello spazio, comandare le menti e impossessarsi della forza vitale di chi tocca.”
 
“Allora è… cattiva?” mormorò turbata la bimba.
 
“Non sempre, tesoro. Esistono kitsune buone e cattive, così come esistono persone buone e cattiva. Colei che protegge quanto tempio, è buona.”
 
Eiko girò intorno alla statua, ne curiosò la singola coda e, tornando a guardare il nonno, disse: “Lei, però, ha una coda sola. Non è tanto forte, allora.”
 
“Le altre code sono invisibili, Eiko-chan. Le kitsune possiedono molte facoltà speciali, tra qui quelle dell’invisibilità e dell’illusione. Possono entrare nei tuoi sogni, o creare scenari illusori. Un nostro antico antenato combatté al suo fianco per difendere i confini del tempio, e la volpe creò per lui uno scudo di invisibilità, così che Satochi, il nostro avo, potesse avventurarsi nel campo nemico per sconfiggere il loro comandante” le raccontò l’anziano, facendola sospirare di sorpresa e ammirazione.
 
“Non spaventarla, otōsan, o stanotte avrà gli incubi” intervenne dietro di loro Kenzo, il padre di Eiko.
 
Shinichi sorrise al figlio, di ritorno dalle preghiere e, nel carezzare il capo della nipote, replicò: “Eiko è coraggiosa e il suo spirito è forte, pur se quieto come la foresta che circonda il tempio. Se vorrà, un giorno sarà una brava miko… o addirittura una kannushi. Vorresti diventare una somma sacerdotessa, piccola Eiko?”
 
La bimba scrutò le miko presenti nel tempio, con i loro abiti cerimoniali bianchi e rossi e che, in quel momento, stavano scambiando quattro chiacchiere con alcuni postulanti in visita.
 
Le loro divise sempre ordinate e piegate alla perfezione l’avevano sempre affascinata, così come la loro aria ascetica e importante.
 
Il pensiero di poter diventare una vergine del tempio come loro la fece sorridere orgogliosa ma, quando tornò a scrutare il nonno, si limitò a dire: “Mi piace disegnare, però…”
 
Sia Kenzo che Shinichi risero sommessamente, a quel commento e, quando la madre – Motoko – si avvicinò loro con un piccolo maneki neko tra le mani, dichiarò: “Ora voglio ridere anch’io. Posso?”
 
Eiko, così, spiegò alla madre il perché delle risate di padre e nonno.
 
Indulgente, la donna le consegnò il piccolo gattino di porcellana che teneva in mano, replicando: “Sarai ciò che vorrai essere, piccola mia. Ma ora è tempo di rientrare a casa.”
 
“Nonno Shinichi, mi racconterai ancora della volpe e di Satochi?” si informò a quel punto la bambina, afferrando la mano della madre.
 
“Naturalmente, Eiko-chan. Tutte le volte che vorrai” assentì l’uomo, salutando la sua famiglia prima di tornare a scrutare il muso di pietra della kitsune.
 
Battendo una mano su una delle sue zampe, mormorò: “Fu una battaglia epica, quella.”
 
Lo fu…
 
Shinichi non si stupì affatto di udire quella voce nella sua testa.
 
Sapeva infatti da tempo che, all’interno di quella pietra apparentemente inerme, viveva lo spirito della volpe.
 
Era stata Lei a consigliargli di introdurre Eiko nel mondo dei kami, così che fosse consapevole delle verità spirituali che la circondavano.
 
Le servirà in futuro, gli aveva detto la volpe, e a questo il sacerdote si era attenuto.
 
Sperava soltanto che gli spiriti non la mettessero in pericolo, poiché questo non lo avrebbe mai potuto sopportare.
 
***
 
Lo sguardo gli tornò per l’ennesima volta al volto addormentato di Eiko.
 
Non appena avevano messo piede sul convoglio che li avrebbe riportati a Washington – mancavano venti minuti all’arrivo – lei era crollata, preda di emozioni troppo forti.
 
E come darle torto?
 
In pochissimo tempo, era stata testimone di una scena raccapricciante, aveva scoperto la verità su di lui e si era resa conto che un demone teneva prigioniera l’amica. Forse, l’aveva anche uccisa.
 
Davvero troppo per chiunque.
 
Anche Malcolm era tramortito da quella serie di eventi, ma non poteva permettersi di cedere. Doveva essere una spalla per Eiko e, più di tutto, doveva tentare di annientare una volta per tutte quell’odioso nemico.
 
Ehi, amico…
 
Eccoti, finalmente… aspettavo mi chiamassi già da un po’…”, mormorò nella sua mente Malcolm, sospirando di sollievo nell’udire la voce di Ben.
 
Risuonava stanca, così come il suo potere, che appariva affievolito e molto, molto debole, rispetto al solito.
 
Ma era vivo.
 
“Come va?”, domandò dopo un momento Malcolm.
 
E’ sparita, e ora so come fa… e chi è…
 
Una kitsune, giusto?
 
Odio quando le persone mi precedono negli scoop, protestò Benjamin, falsamente irritato. Comunque sì, è una enneacoda con i controfiocchi, e ha preso di mira te, amico.
 
Perché non te? Dopotutto, hai più potere di me”, volle sapere Malcolm, davvero incuriosito da questo particolare.
 
Sono una divinità, atipica finché vuoi, visto che io ho il mio corpo solido, mentre gli altri dèi non possono averlo - a meno di non possedere quello di un essere umano - ma resto una divinità. Nessuno può controllare una divinità. Tu, invece…
 
Io ho poteri conferitimi da un dio, ma sono un uomo”, disse per lui Malcolm, sapendo bene cosa scorreva nelle sue vene.
 
Il sangue di Aengus, il dio dell’amore dei Tuatha de Danann.
 
Lui aveva conferito il potere alla sua stirpe, e Malcolm era il detentore di un potere immenso e di cui, a volte, avrebbe voluto fare a meno.
 
Nessuno, a parte lui, avrebbe potuto essere l’involucro di Arianhrod sulla Terra. A lui era toccato il compito di essere il lungo braccio della dea.
 
Il tuo potere è quanto di più simile a quello di un dio, ma è contenuto in carni umane e, perciò, può essere strappato, se a farlo è un kami, uno spirito abbastanza potente per controllarlo, gli spiegò Benjamin, sospirando.
 
Malcolm sospirò a sua volta ed Eiko, stretta a lui, si agitò nel sonno, come turbata da un incubo.
 
Rin come sta?”, si informò a quel punto Mal, già temendo la risposta.
 
Benjamin attese quasi un minuto buono, prima di rispondergli e, quando lo fece, la sua voce suonò lugubre e fiacca alle orecchie del giovane Hamilton.
 
E’ stata davvero una tigre. Se non mi avesse dato una mano, non avrei potuto trattenere la kitsune così a lungo. Purtroppo, fin quando non avrò compiuto i trent’anni di età, i miei poteri saranno incompleti e, contro questa enneacoda, ci vuole qualcosa di più potente di me.
 
Quella confessione tramortì Malcolm, che mai si sarebbe aspettato una risposta simile.
 
Se anche un dio come Ben era in difficoltà con questo kami, lui come avrebbe potuto sconfiggerlo?
 
Ora che sappiamo contro chi stiamo combattendo, chiederò ad Amaterasu, la dea del sole shintoista, per sapere se ha idea su come fermare una kitsune. Pur se quelle bestie non prendono ordini da nessuno – e proprio per questo Amaterasu non ha potuto dirmi di lei, a suo tempo – forse conosce qualche contromisura da mettere in campo contro di loro.
 
Grazie, amico mio, e perdonami se ti ho messo in pericolo… era davvero l’ultimo dei miei desideri”, mormorò Malcolm, scuotendo il capo per la contrizione.
 
Io sono qui per dispensare opere buone per il mondo, Malcolm, e aiutare te è il primo passo per farlo. Se questa kitsune riuscisse a impadronirsi dei tuoi poteri, tutti gli esseri viventi sarebbero in pericolo.
 
Messa così, mi piace abbastanza. Mi sento un po’ meno in colpa”, riuscì a dire in qualche modo Mal, pur sapendo che Ben stava dicendo solo in parte la verità.
 
Sapeva bene che, soprattutto, l’amicizia lo aveva spinto ad agire e, di questo, gliene sarebbe stato per sempre grato.
 
Ora la kitsune è sparita, ma non è doma, per nulla. Rin è in coma, al momento, e i dottori la stanno curando meglio che possono, ma non so per quanto tempo potrà resistere. Il suo spirito è forte, così come la sua anima purissima – è solo grazie a questo, che ha potuto contrastare la bestia – ma non indistruttibile, e io non so se sarò in grado di scacciare di nuovo quell’affare dal suo animo.
 
Hai fatto già anche troppo. Lascia che tuo cugino Alex ti dia un’occhiata. Credo che tu abbia bisogno di un’iniezione di vitamine, lo pregò Malcolm, sorridendo appena nella semi oscurità del convoglio.
 
Sta già arrivando qui al Campus… deve aver sentito il richiamo di Rah, quando ho chiesto aiuto e, visto che lui è un Oracolo egizio reincarnato, può fungere da tramite tra me e il mio amico lassù, ironizzò Benjamin.
 
Quando Benjamin gli aveva parlato di quel particolare – e di come suo cugino Alex avesse a suo tempo aiutato anche sua cugina, e madre di Ben – ne era rimasto sorpreso.
 
Quanto aveva contato, il Fato, inserendo nella vita di Joy Patterson, precedente Fenice e madre di Benjamin, un Oracolo legato al culto egizio?
 
Erano davvero in grado di gestire il proprio futuro, o tutto era già scritto da mani folli e, forse, lungimiranti?
 
Non chiedertelo, Malcolm, o ti farai venire il mal di testa. A me è già venuto parecchie volte per le stesse domande, e ancora non ho trovato risposta, gli disse Benjamin, sbadigliando l’attimo seguente. Mollo la comunicazione e mi faccio una dormita mentre aspetto i rinforzi. Appena sarai entro i confini di Washington, dovrai chiamarmi tu. Hanno alzato la barriera.
 
L’avevo immaginato, assentì Malcolm. “A presto, amico mio, e ancora grazie.
 
Benjamin lo salutò, svanendo dal suo cervello e, quando penetrarono entro i confini cittadini di Washington, D.C., Malcolm tornò a respirare.
 
La barriera mistica che proteggeva la città era stata attivata. Il pentacolo di potere elevato dai costruttori della Capitale, tanti secoli addietro, era stato risvegliato per svolgere il suo ruolo.
 
In quel momento, niente e nessuno avrebbe potuto infastidire coloro che si trovavano al suo interno, fosse essa una creatura mistica o un’entità fisica.
 
Neppure la volpe avrebbe potuto entrare.
 
Non era la soluzione ai loro problemi, ma li avrebbe aiutati a trovare il bandolo della matassa.
 
O, quanto meno, ci avrebbero provato.
 
Fu in quel momento che Eiko aprì gli occhi e, nell’incontrare lo sguardo di Malcolm, sospirò nell’emettere uno stanco sbadiglio e disse: “So a chi possiamo rivolgerci.”
 
“Come?” esalò lui, sorpreso dal suo dire.
 
La giovane si passò le mani sul viso per riprendersi dal sonno che l’aveva presa e, vagamente sorpresa dal ritrovarsi nelle vicinanze della stazione, esalò: “Ho dormito così tanto?”
 
“Il viaggio non dura molto, e ne avevi davvero bisogno” replicò lui, sorridendole.
 
“Già, e così tu hai avuto tutto il tempo di autocommiserarti e darti colpe che non hai, vero?” protestò debolmente Eiko, sorridendogli con affetto.
 
Quanto era arrivata a conoscerlo, in quei pochi mesi?
 
Sì, certo che si era sentito un verme per aver lasciato Rin da sola con quel mostro, pur sapendo che, in quel momento, non avrebbe potuto far nulla per salvarla.
 
E certo, si era sentito un autentico idiota al pensiero di essere stato la vittima inerme di un predatore.
 
Ma, come anche Ben gli aveva confermato, quella kitsune era dannatamente potente e, se neppure Amaterasu l’aveva sentita muoversi all’interno del pantheon, nessuno poteva ritenersi colpevole per il suo attacco.
 
Quando il treno iniziò a rallentare, Malcolm lasciò perdere quei pensieri e, sorridendo sghembo, mormorò: “I miei genitori sono venuti a prenderci.”
 
Eiko lo fissò stranita per alcuni istanti, prima di rammentare l’enormità della verità cui era stata testimone solo poche ore addietro.
 
Malcolm, il suo mondo, i suoi poteri, la sua eredità.
 
Lui le aveva riversato tutto dentro, consapevole del rischio che stava correndo, ma ben deciso a correrlo perché credeva in lei… in loro.
 
Sorridendo appena, nonostante fosse mortalmente in pensiero per l’amica, Eiko gli afferrò il viso tra le mani e, con gentilezza, lo baciò.
 
Cercò di chetare le sue paure con quel bacio e, quando lo sentì rilassarsi, seppe di essere in parte riuscita nell’intento.
 
Sapeva bene che non sarebbe bastato questo a risolvere i problemi, ma desiderava essere d’aiuto in qualche modo.
 
Quando infine si scostò per scrutarlo in quei profondi occhi smeraldini, scorse una luce interiore sempre più forte, sempre più limpida.
 
L’attimo seguente, nella sua mente avvertì una carezza e le parole ‘ti amo’.
 
Eiko sorrise appena e, annuendo, lo abbracciò con tenerezza, sussurrando: “Anch’io. Pur se ho una paura folle di uscirne completamente pazza… o morta stecchita.”
 
Lui allora rise sommessamente, la strinse forte e replicò: “Allora siamo in due.”
 
La carrozza arrestò finalmente la sua corsa e, nell’alzarsi dai loro posti, i due giovani si diressero lesti verso l’uscita.
 
Non appena Eiko inquadrò lo specchio della porta scorrevole, si volse a mezzo verso Malcolm e domandò dubbiosa: “Non è che ci darà la caccia anche qui?”
 
“Siamo protetti, finché rimaniamo entro i confini di Washington, D.C.”
 
“E perché?” volle sapere lei, curiosa.
 
“Conosci il pentacolo che disegnarono i massoni fondatori della città?” le domandò allora lui, vedendola sgranare gli occhi.
 
“Ma dai… non mi dirai che…” gracchiò Eiko, prima di tapparsi la bocca per l’incredulità.
 
Mal si limitò ad annuire e la giovane, sbuffando appena, borbottò: “L’ho detto… ne uscirò pazza.”
 
Malcolm non fece in tempo a risponderle, o a dirle che quella era la minore delle stranezze, nella sua famiglia.
 
L’attimo seguente, due bambini lo abbracciarono con forza alle gambe, rischiando di farlo cadere.
 
Lui, però, non vi badò e, piegandosi a scrutare le teste bionde e brune dei gemelli, li strinse a sé e mormorò: “Non dovevate rimanere alzati fino a tardi.”
 
“Sei nostro fratello!” sbottarono in coro sia Shanna che Coryn, fissandolo torvi prima di notare la presenza di Eiko.
 
Prima che i gemelli potessero chiedere spiegazioni su di lei, Kimberly e Winter li raggiunsero e quest’ultimo, nel sorridere al figlio maggiore, sospirò sollevato.
 
“Ce l’avete fatta. Meno male.”
 
“Grazie per aver elevato la barriera” mormorò a quel punto Malcolm, allungandosi per stringere il padre in un breve abbraccio. I fratelli non lo avevano ancora mollato.
 
Kimberly gli sorrise calorosa, ma si preoccupò prima di tutto di Eiko, dicendole: “Selene, mia nipote, ci ha detto che ci saresti stata anche tu. Stai bene, cara?”
 
Non avendo più la forza di stupirsi – era troppo stanca per dare di matto – Eiko assentì e mormorò: “Grazie per essere venuti a prenderci.”
 
Winter, a quel punto, si avvicinò a lei con un sorriso disarmante e, nello stringerle la mano, asserì: “Per la famiglia, questo e altro.”
 
In quelle semplici parole erano contenute un’infinità di significati, dai più semplici e scontati, ai più complessi e misteriosi. A Eiko tornò subito in mente l’albero genealogico che, con tanto interesse, Rin aveva studiato per mesi.
 
Sì, quelle parole volevano dire molto di più che semplice cortesia, educazione e affetto nei confronti del figlio.
 
Tutti loro erano legati in modi così misteriosi e infiniti, che Eiko poteva solo tentare di comprenderli.
 
Non era solo il potere mistico che li contraddistingueva, a renderli speciali, ma anche la forza della loro unione, un’unione che travalicava il tempo e lo spazio.
 
Forse, dopotutto, era questa unicità, questo legame secolare, ad aver incuriosito la volpe.
 
Era possibile che la volpe li avesse seguiti per tutto il tempo, attendendo paziente di essere abbastanza potente da poter impadronirsi di quel sangue in particolare.
 
Quando l’intero gruppo si avviò per raggiungere l’uscita, Eiko lasciò perdere quel pensiero errabondo e, passandosi una mano sul viso per la stanchezza, si incamminò sorretta da Malcolm, chiedendosi fuggevolmente quanto ancora avrebbe resistito.
 
Con tutta probabilità, sarebbe svenuta da un momento all’altro, per risvegliarsi in un manicomio.
 
Chiedilo ai miei zii, o a mia madre, o ai nonni… è stata così per tutti coloro che sono entrati a far parte della famiglia.
 
La voce di Malcolm le giunse comprensiva nella mente ottenebrata dalla stanchezza e lei, con un mezzo sorriso, borbottò: “Posso sempre essere l’eccezione che conferma la regola.”
 
“Con il tuo retroterra? Ne dubito” le sorrise divertito Malcolm, lasciando in sospeso la frase.
 
“Che intendi dire?” volle però sapere lei, mentre Shanna e Coryn la scrutavano curiosi, mille domande sulla punta della lingua, sapientemente tenute a freno dallo sguardo ferreo del padre.
 
Malcolm fece per parlare ma Shanna, presa per mano Eiko, sospirò sorpresa ed esalò: “Posso dirlo io, fratellone?”
 
“E’ così forte, eh?” le sorrise amorevole lui, vedendola annuire mentre Winter scrollava le spalle esasperato ma orgoglioso.
 
Eiko li fissò confusa e Shanna, stringendo maggiormente la sua mano, disse sommessamente: “I tuoi avi hanno già combattuto la creatura che dà la caccia a mio fratello.”
 
Le parole della bambina fecero rammentare alla giovane un particolare molto importante e, quando raggiunsero l’auto degli Hamilton, Eiko disse solerte: “Dobbiamo chiamare mio nonno, a Kyoto. Lui saprà cosa fare. Conosce molto bene le kitsune.”
 
Winter impallidì leggermente nell’udire quel nome e, notando l’assenso da parte del figlio maggiore, mormorò torvo: “Un demone davvero notevole, non c’è che dire. E dici che tuo nonno potrà aiutarci? Crederà alle nostre parole?”
 
Salendo in auto, Eiko se ne uscì con una risata sgangherata e asserì contrita: “Crederci? Mi darà della sciocca perché non ci sono arrivata prima. Sono stata allevata per diventare una miko, perciò avrei dovuto capire…”
 
Coprendosi il viso con le mani, iniziò a piangere e Malcolm, nello stringerla a sé, mormorò: “Non è colpa tua, Eiko… quel demone era davvero troppo forte per essere smascherato.”
 
Shanna carezzò la spalla a Eiko per consolarla mentre Coryn, seduto sul sedile anteriore assieme alla madre e al padre, si volgeva a mezzo per mormorare: “E’ davvero così cattivo, Mal?”
 
“La creatura più spaventosa che io abbia mai conosciuto” assentì il giovane, scompigliando i capelli del fratello con la mano libera.
 
Winter si limitò ad accelerare lungo la strada praticamente deserta che li avrebbe condotti fino a casa. Non c’era altro che potessero fare, in quel momento.
 
***
 
Malcolm chiuse la porta della sua stanza e lasciò che Eiko dormisse un po’. Erano davvero successe troppe cose, in quelle ore, e non faceva specie che fosse crollata.
 
Tornato che fu in salotto con un passo più pesante di quanto non avrebbe voluto – anche lui era esausto, ma c’erano ancora un paio di cose che doveva fare, prima di cedere –, trovò ad attenderli i genitori e gli zii.
 
John e Summer sarebbero arrivati entro poche ore – si trovavano nel Maine, in quel momento – mentre Autumn e famiglia avrebbero raggiunto il Dulles nel primo pomeriggio.
 
A volte, era davvero una scocciatura sottostare alle regole e non utilizzare i propri poteri per favorirsi in qualche modo.
 
Sedendosi stancamente su una sedia, Malcolm si prese il capo tra le mani, poggiando i gomiti sul tavolo ovale del salotto.
 
I gemelli erano stati letteralmente obbligati ad andare a dormire, con la promessa di spiegazioni in orari meno antelucani. Pur se controvoglia, avevano accettato. Non che fosse servito molto, per farli crollare.
 
Quando avevano visto il fratello sano e salvo, l’adrenalina era scemata di colpo, facendoli collassare poco dopo il rientro a casa.
 
Di tutt’altro avviso era Winter che, al pari della sorella, era sveglio e vigile.
 
Max e Kimmy, pur se assonnati, erano ben decisi a resistere e Sunshine, in barba a tutto, era più che desta e pronta a dare una mano.
 
“Come sta, Eiko?” domandò infine Kimmy, sorridendo al figlio.
 
Malcolm risollevò il capo e ammise: “Avrei preferito presentarvela in un modo diverso, lo giuro…”
 
“Nessun dubbio in merito…” cercò di ironizzare Winter, sorseggiando del whisky da un bicchiere panciuto e trasparente. “… ed è palese che la ragazza ha forza di volontà da vendere, visto quello che ha passato. Sa ogni cosa, vero?”
 
“Tutto quanto, dalla A alla Z, mostri compresi” sospirò Mal, sentendosi stringere il cuore al pensiero di Rin.
 
“Hai parlato con Ben?” intervenne a quel punto Spring, in piedi accanto alla finestra che dava sul giardino.
 
Il vento scuoteva i rami adunchi delle piante, mentre una fitta neve cadeva sulla capitale, imbiancandola.
 
In lontananza, visibile solo ai loro occhi di Guardiani, le cinque colonne del pentacolo di potere si innalzavano fin dove occhio poteva spingersi.
 
Immense pareti dorate proteggevano la città dagli spiriti molesti così come dalle entità maligne, e così sarebbe stato finché loro non avessero disattivato la rete di protezione.
 
Attivare il Vertice della Stella non era stato semplice, come lo era stato per gli altri punti del pentacolo. Autumn aveva dovuto scardinare parecchie finestre alla Casa Bianca, prima di riuscire a creare una fata di dimensioni sufficienti perché potesse attivarlo.
 
Poiché non era concesso loro di entrare senza un valido motivo nella casa del Presidente, se non come turisti, l’unica soluzione che avevano trovato era stata quella.
 
Utilizzare l’aria nell’abitazione presidenziale per dare corpo a una Fata avrebbe portato a danni incalcolabili, perciò Autumn aveva dovuto introdurre più aria.
 
Alla fine, si era ridotto uno straccio, ma il Vertice era stato attivato correttamente …e alla Casa Bianca avevano dovuto chiamare con urgenza un falegname.
 
“Benjamin parlerà con Amaterasu, la dea solare legata al pantheon shintoista e, non appena saprà qualcosa, mi chiamerà. Ma era a pezzi, quando l’ho sentito, e penso gli occorreranno ore, per riprendersi” li mise alla fine al corrente Malcolm, passandosi nervosamente una mano tra i corti capelli neri.
 
Winter gli batté una mano sul braccio, mormorando: “Non è colpa tua, Malcolm. Né lo stato attuale di salute di Benjamin, né quello che è successo alla tua amica.”
 
“L’ho lasciata da sola” esalò affranto il figlio, fissando suo padre con espressione sgomenta.
 
“L’alternativa, da quel che ho capito, sarebbe stata permettere a quella specie di vampiro di prelevarti tutti poteri, così che poi potesse venire qui a divorare la tua famiglia…” replicò Max, con tono tranquillo e sagace. “… e poi dominare il mondo, se tanto mi dà tanto. Se neppure una divinità come Benjamin è stata in grado di fermarlo, cosa potevi fare, tu da solo?”
 
Malcolm non seppe cosa replicare, pur desiderandolo con tutto il cuore.
 
Non era stato capace di aiutarla. Pur con tutti i suoi poteri, si era ritrovato inerme, impotente, del tutto vulnerabile.
 
Aveva compreso per la prima volta in vita sua, e nel modo peggiore possibile, cosa volesse dire essere un semplice essere umano.
 
Solo ora era in grado di capire l’immane forza e coraggio che possedevano zio Max, sua madre, zia Melody… tutti quanti loro.
 
Il suo cellulare suonò proprio in quel momento di immane prostrazione e, quando Mal vide il numero di Bobby, accettò subito la chiamata, esalando: “Ehi, amico! Tutto bene?!”
 
“Tutto okay. Abbiamo fatto come ci hai detto, e siamo scappati subito. Siamo a casa di Keath, visto che i suoi sono via per le vacanze di Natale. Se fossimo andati dai miei, avremmo dovuto spiegare la nostra fuga e… beh, siamo a posto, in ogni caso” borbottò Bobby, tradendo più ansia di quanta non volesse mostrare all’amico.
 
Interrompendosi per un attimo, Bobby aggiunse subito dopo: “Come state, tu ed Eiko?”
 
“Siamo a casa anche noi. Nei limiti del possibile, stiamo bene” asserì Malcolm stancamente.
 
“Rin?”
 
Una lacrima solitaria solcò la guancia di Mal e Bobby, interpretando da solo il suo silenzio, mormorò: “Capito. Hai bisogno di noi?”
 
“Rimanete entro i confini di Washington D.C. Solo questo. A questo modo, saprò che lei non può toccarvi” disse il giovane Hamilton.
 
Lei? Che cos’è, amico?”
 
Malcolm gli fece un riassunto edulcorato della faccenda e, quando ebbe terminato, l’unica cosa che Bobby poté fare, fu fischiare per la sorpresa e lo sgomento.
 
“Dio, amico… e sapete già cosa fare?”
 
“Non ancora” ammise Mal, lasciandosi scivolare un poco sulla sedia, il capo reclinato all’indietro.
 
Fu così che si accorse della presenza di Eiko, in piedi sulla porta che conduceva alla zona notte di casa sua.
 
Anche gli altri si volsero a guardarla e Malcolm, nel salutare Bobby – promettendogli ulteriori aggiornamenti – si raccomandò di non allontanarsi dalla città.
 
Una volta chiusa la comunicazione, Mal si volse verso la giovane e disse: “Dovevi riposare ancora, Eiko.”
 
Scuotendo il capo, la giovane si avvicinò loro e, con un piccolo inchino, mormorò: “E’ un piacere conoscervi, io sono Eiko Kurumi.”
 
Max si levò in piedi e, rispondendo perfettamente all’inchino della ragazza, le sorrise e disse: “Dōzo yoroshiku, Eiko-san. Boku wa Max.”
 
Eiko sorrise spontaneamente nel sentirlo parlare un perfetto giapponese e, risollevatasi, allungò una mano nella sua direzione, asserendo: “Ha avuto un insegnante eccellente.”
 
“Ne sono lieto” ammiccò Max, dandole la mano. “E dammi pure del tu, bambina. Qui siamo tutti molto informali.”
 
Spring assentì e, nell’abbracciare calorosamente Eiko, aggiunse: “Io sono Spring, cara… grazie per essere rimasta accanto al nostro Malcolm. E’ molto importante… per tutti noi.”
 
Quando la giovane si scostò dalla donna, assentì a Malcolm, asserendo: “Sì, ormai so quanto sia importante il legame persistente nella vostra famiglia, e credo di sapere perché la kitsune si sia interessata proprio a Malcolm.”
 
Quelle parole sconcertarono i presenti, ma ormai Eiko ne era certa. La volpe era lì per un motivo preciso, non si era avvicinata a Mal per caso.
 
Niente, in tutta quella situazione strampalata, era mai stata dettata dal caso.

 

 

 

 

 

 

Note: Scopriamo un po' del passato di Eiko, e di come sia più addentro nel mondo degli spiriti di quanto non si pensasse all'inizio. Anche per questo, Rin all'inizio dice che Eiko può capire bene i legami famigliari che ha Malcolm con i suoi. Viene anch'ella da una famiglia antica e potente, pur se non nello stesso modo.

Scopriamo anche che una kitsune, stavolta buona, ha istruito il nonno di Eiko perché alla ragazza venisse insegnato l'antico credo shintoista, la realtà sui kami - gli spiriti della natura - e sui loro poteri.

Certo, Eiko li ha lasciati da parte, durante la crescita, ma essi sono insiti in lei e, al momento opportuno, sono tornati a galla, dicendole ciò che avrebbero dovuto fare.

Mentre Malcolm ed Eiko erano in viaggio, la famiglia Hamilton non è stata certo ad aspettare. Così fa la comparsa il famoso pentacolo di potere cui vi avevo accennato nella storia di Winter, che 'protegge' Washington dalle influenze nefaste.

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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


11.
 
 
 
Joy Patterson, madre di Benjamin Thomson e precedente Araba Fenice, stava scrutando ansiosa il viso pensieroso del figlio, seduto sul suo letto, allo studentato dell’Università.
 
Rammentava più che bene quando, ventitré anni prima, le Torri Gemelle erano crollate e lei era rimasta schiacciata dal dolore simultaneo provato dalle vittime.
 
Se non fosse stato per la presenza di suo cugino Alex, lei sarebbe morta prematuramente e con grande patimento. All’epoca, non aveva avuto la forza – e il potere – per sopportare una simile onda anomala di dolore.
 
Scagliandosi contro la kitsune per difendere Malcolm, Benjamin aveva rischiato allo stesso modo di venire schiacciato da qualcosa di più grande di lui. Forse, solo la presenza dell’anima pura della ragazza posseduta, gli aveva evitato il crollo.
 
Lei lo aveva aiutato a resistere, a scacciare il kami il tempo necessario per permettere a Malcolm e la sua amica di sfuggire ai suoi artigli.
 
Sapeva, in tutta coscienza, che era ciò che una Fenice doveva fare – lasciare un simile demone in libertà, era follia – ma, quando lei e Alex erano giunti allo studentato, Joy aveva rischiato di crollare.
 
Aveva abbracciato il figlio così forte che, alla fine, Ben si era lagnato con lei, pur sorridendole con amore.
 
Controvoglia, perciò, aveva lasciato che Alex svolgesse il suo compito di Oracolo, cioè di tramite fisico con Rah.
 
Dopo aver stretto la mano al cugino, Alex aveva quindi atteso l’inevitabile. Ancora una volta, come tanti anni addietro, il disco solare era comparso sul suo palmo, marchiando lui e Ben perché l’energia di Rah potesse scorrere.
 
Benjamin si era sentito subito bene e Alex, nel massaggiarsi la mano ustionata, aveva chiosato simpaticamente: “In fondo, mi era mancato…”
 
“Cosa ti ha detto Rah?” domandò alla fine Joy quando Benjamin tornò in sé, scollegandosi dalla sua chiacchierata mentale col dio egizio.
 
Curiosamente, Rah era ancora restio a parlare in presenza di Joy. L’affetto profondo che l’aveva legato a lei nel corso dei millenni lo faceva soffrire, quando ella era presente.
 
Joy lo comprendeva benissimo; infatti, mai una volta aveva insistito per udire di nuovo la sua voce ancestrale. Le mancava a sua volta, ma sapeva bene perché l’amico non voleva farsi sentire da lei.
 
Passandosi una mano tra i capelli fulvi e scompigliati, Ben mormorò: “A quanto pare, occorre un’altra volpe. Rah mi ha confermato le stesse cose che mi ha detto Amaterasu. Il punto è un altro; dove trovarla? Non è che mettano annunci sul giornale e, visti i poteri di questa, neppure l’altra si farà trovare, se non vuole… ammesso che ne esista un’altra, e sia buona e gentile. Un po’ troppe variabili, per i miei gusti.”
 
Joy sospirò sconsolata e Alex, nel chiudere la comunicazione con sua moglie Susan, asserì contrito: “Mi spiace scocciare, ma dobbiamo ripartire. Tu sei di turno all’ospedale, Joy, e io non posso mancare in tribunale. Come ti senti, ora, Ben? Possiamo ripartire tranquilli?”
 
“Tutto bene, Alex. Fresco come una rosa” gli sorrise il giovane, battendo il cinque con lui. “Sicuro di non volere qualcosa come ricompensa?”
 
Sorridendo alla cugina con fare complice, Alex chiosò: “L’ultima volta, ne ricavai una coppa di gelato. Ora, mi basta non trovare traffico sulla strada.”
 
Il cugino sbuffò e, nell’ammiccare, borbottò: “Come sprecare un desiderio.”
 
Scoppiando a ridere sommessamente, Alex aiutò Joy ad alzarsi dalla sedia dov’era accomodata e, nell’avviarsi verso la porta, replicò: “Tua madre mi disse la stessa cosa, a suo tempo.”
 
“Sei recidivo, allora…” ammiccò Ben, salutando la madre con un bacetto veloce sulle guance.
 
Avrebbe cercato di farsi perdonare per quel brutto spavento ma, in quel momento, doveva pensare innanzitutto a Malcolm per poter essergli di supporto. Quella volpe andava fermata a tutti i costi.
 
Rimasto infine solo, attese qualche attimo prima di lasciarsi andare lungo disteso sul letto e, pensieroso, osservò la piaga a forma di disco solare sul suo palmo.
 
Un cerchio contenuto in un altro.
 
E una volpe.
 
Sgranando gli occhi, il giovane balzò a sedere e, in barba all’orario assurdo – non aveva idea di che ore fossero, sulla costa Est – chiamò Malcolm.
 
***
 
“Sono più che convinta che, se chiamassi mio nonno, potremmo ottenere informazioni importanti. Inoltre, ho la quasi totale certezza che la volpe volesse Malcolm già da molto tempo… o, per meglio dire, un Involucro con la sua potenza” mormorò Eiko, stringendo le mani in grembo nell’osservare la famiglia Hamilton accomodata attorno a lei.
 
Era oltremodo imbarazzante essere in mezzo a persone praticamente sconosciute – ma che sapevano perfettamente cosa la legava a Malcolm – parlando di spiriti, miti ancestrali e potenziali guerre per la fine del mondo.
 
Alla famiglia Hamilton, però, sembrava non importare molto. Probabilmente, erano abituati a ben altre stranezze, nella loro vita.
 
“Cosa intendi dire?” volle sapere Winter, scrutandola con interesse.
 
Ancora una volta, Eiko si sentì strana nel ritrovarsi lì con loro, ma cercò di fare buon viso a cattivo gioco, vista soprattutto la posta in palio.
 
Aveva immaginato che sarebbe stato oltremodo imbarazzante incontrare i genitori di Malcolm, in qualità di sua ragazza. Di certo, però, non si era aspettata che, quell’incontro così speciale, potesse coincidere con una potenziale catastrofe di proporzioni globali.
 
Né che il suo ragazzo – era così strano pensare a Malcolm in quei termini – potesse essere uno stregone.
 
E dire che il nonno gliel’aveva sempre detto che i kami esistevano realmente!
 
Sciocca lei a non credergli.
 
Lappandosi nervosamente le labbra, Eiko asserì con sicurezza: “Le kitsune sono entità erratiche e misteriose, e le più potenti, le enneacoda come quella che perseguita Malcolm, possono viaggiare nel tempo e nello spazio. Ho idea che abbia seguito per molto tempo la vostra famiglia, ingolosita dai vostri poteri, ma non ancora pronta a cibarsene perché non abbastanza potente.”
 
“Sarebbe plausibile. Se acquisiscono potere con l’avanzare dell’età, potrebbe essere giunta allo stadio finale solo ora, il che spiega perché non vi siano mai stati prima attacchi di questo genere” assentì Winter, sorridendole con estremo rispetto.
 
Mal le batté una mano sul braccio, sorridendole fiero e lei, arrossendo leggermente, aggiunse: “Mio nonno conosce molte storie sulle volpi a nove code, e forse sa il modo per fermarle, ma dovrò dirgli di voi, o troverà assai strano che io gli chieda di una kitsune, così su due piedi.”
 
“Malcolm si è fidato di te, e a ben d’onde, direi…” dichiarò Winter, senza remora alcuna. “…perciò non ci saranno problemi se gli parlerai del nostro segreto.”
 
Hai” assentì la giovane, tornando in fretta nella stanza di Malcolm per recuperare il suo cellulare. Non c’era tempo da perdere.
 
Kimmy, a quel punto, si levò in piedi per dirigersi in cucina a preparare del caffè e Spring, nel seguirla, le sussurrò: “E’ carina, non ti pare?”
 
Lei assentì tutta orgogliosa e, nell’accendere la macchinetta, dichiarò: “L’ho sempre saputo che il mio figliolo ha buon gusto. E lei può veramente capirlo.”
 
Spring annuì compiaciuta, aggiungendo: “E’ addentro ai misteri non meno di noi, pur se non ha seguito un iter di crescita mistica come noi Guardiani. Ciò che ha imparato da bambina le tornerà comunque utile, visto in che ginepraio siamo finiti a causa di quella volpe.”
 
Kimmy assentì torva e, nel preparare tazze per tutti, mormorò: “Cosa succederà alla ragazza in cui è penetrata la kitsune?”
 
Spring fissò l’amica e cognata con espressione spiacente e Kimberly, con un lungo sospiro, sussurrò: “Difficilmente Malcolm guarirà da una ferita simile… parlava di Rin con toni così affettuosi…”
 
“Credo che neppure Eiko lo supererà mai del tutto, ma saranno insieme ad affrontare questo dolore e noi, di certo, non li abbandoneremo. E’ bastato Winter, per farci capire l’errore” esalò Spring, lanciando un’occhiata fuori dalla cucina quando sentì la ragazza tornare in salotto.
 
“Tu credi che…” mormorò Kimmy, lanciando a sua volta un’occhiata per scrutare la giovane.
 
Spring le sorrise convinta e asserì in un sussurro: “Sai bene che, quando ci si lega a un Guardiano, è per sempre. Lei è davvero affezionata a Malcolm, posso percepirlo senza sforzo, anche senza i poteri di mio nipote. Le loro auree brillano in risonanza.”
 
La cognata si limitò a sorriderle, preferendo non chiedere altro. Si fidava a sufficienza di Spring per prendere per buone le sue parole, anche se lei non era in grado di vedere ciò che lei vedeva.
 
Kimmy staccò quindi la caffettiera dalla macchina, mentre Spring portava le tazze in salotto e Malcolm, nel vederle finalmente tornare, sorrise loro e asserì: “Grazie. Credo proprio che ne avremo bisogno.”
 
“Non avevo dubbi” assentì sua madre, sedendosi poi accanto a Eiko.
 
Sorridendole, Kimmy le poggiò comprensiva una mano sulla spalla e la giovane, ringraziandola con un cenno del capo, accese il telefono e chiamò.
 
Non dovette attendere molto, prima che la voce di suo nonno Shinichi le solleticasse l’orecchio, riportandole alla memoria gioiose giornate passate al tempio.
 
Non cercate, ma forse necessarie, lacrime calde scivolarono silenziose sul viso della giovane. Subito, la stretta di Kimmy sulla spalla di Eiko aumentò.
 
“Nonno… sono Eiko… ho bisogno di te” mormorò con voce spezzata.
 
“Tesoro mio, cosa succede?” esalò l’anziano. “Dimmi come può esserti utile un vecchio sacerdote come me.”
 
Il suo tono sereno - nonostante l’ansia evidente nella sua voce – quel timbro vocale caldo e profondo, tutto in quel suono uniforme e a lei tanto caro la rilassò, rasserenandola un poco.
 
Lesta, perciò, ricacciò indietro il dolore così come le lacrime e gli spiegò cosa fosse successo, cosa l’avesse spinta a chiedere il suo intervento.
 
Gli raccontò della possessione di Rin, dell’aggressione a Malcolm, della speciale peculiarità del giovane e della sua famiglia. Ogni cosa venne sviscerata, così che il segreto degli Hamilton non fosse d’intralcio per ciò che li attendeva al varco.
 
Per tutto il tempo, Shinichi Kurumi ascoltò senza fiatare e, quando finalmente la nipote mise fine al suo monologo, poté solo dire: “Hai fatto bene a chiamarmi, Eiko, pur se mi sarei messo in comunicazione io stesso con te, entro breve.”
 
“Che intendi dire?” esalò la ragazza, più che mai sorpresa.
 
“Kurama1 è ansiosa già da diverse ore e, dopo ciò che mi hai detto, non posso che pensare che il motivo sia questo. E ora che sai, e hai visto, posso dirti tutto di lei.”
 
Sbattendo le palpebre per la confusione, Eiko rammentò un nome sedimentato nella sua memoria di bambina e, spalancando la bocca, esalò: “Era il nome che davi alla volpe del tempio!”
 
“Esatto, mia cara. Ma la volpe di cui amavi tanto sentire i racconti era più di una statua. Era – ed è – il kami protettore del tempio di Inari.”
 
Eiko si coprì la bocca per soffocare un singhiozzo pieno di sorpresa e sgomento e Malcolm, protettivo, le domandò: “Che succede, Eiko?”
 
Lei lo guardò con espressione ansiosa, esalando: “C’è un’altra volpe.”
 
Quella notizia sgomentò tutti, ma Shinichi si affrettò a dire: “Bimba mia, questa volpe non aggredirebbe mai un’anima. Essa è di indole buona e gentile.”
 
“Ma come è possibile che …”
 
Interrompendola, l’anziano disse: “Mettimi in viva voce, cara, perché ho alcune domande da porre ai tuoi amici e, grazie a queste domande, ti darò le risposte che stai cercando.”
 
Eiko si affrettò a farlo e, quando Shinichi parlò, si rivolse subito alla famiglia Hamilton.
 
“Grazie, innanzitutto, per aver pensato a proteggere mia nipote dalla kitsune. Ho un debito nei vostri confronti…” esordì l’anziano. “… e intendo pagarlo con il mio aiuto a voi. Come vi ha accennato Eiko-san, nel tempio ove mi trovo risiede una volpe in tutto simile a quella che vi ha attaccato. Essa, però, è buona e pura.”
 
“Ne esistono anche di questo tipo?” domandò a quel punto Malcolm.
 
Hai, sì, esistono e, stando a quello che mi ha detto Lei, Kurama, sta impedendo all’altra volpe di muoversi. Dice di aver di aver preso il posto uno spirito di luce che si stava opponendo alla kitsune, quando questa si è temporaneamente ritirata dal guscio in cui era rinchiusa. Più di questo, da qui, non può fare e, …”
 
Shinichi si interruppe, come se stesse ascoltando qualcuno – o qualcosa – per poi aggiungere tetro: “… Kurama mi ha appena detto che l’unico modo per sconfiggerla è portarla qui. E voi con essa.”
 
I presenti si guardarono l’un l’altro, confusi e preoccupati, e l’anziano sacerdote asserì: “Se voi verrete a Kyoto, lei vi seguirà. Non lascerà nulla di intentato, pur di avere ciò che vuole.”
 
“Quindi, Rin…” mormorò Malcolm, passandosi le mani sul viso.
 
La voce gli si spezzò e Shinichi, con tono compassionevole, mormorò: “Nulla di ciò che avresti potuto fare, sarebbe valso a salvarla, ragazzo. Chi viene posseduto da una kitsune di quel tipo, non può essere salvato. Ma, da quel che mi ha detto Kurama, la fanciulla ha dimostrato grande coraggio e forza, nel fronteggiare il potere della volpe. Era suo lo spirito che ha lottato fino all’ultimo per evitare che vi prendesse.”
 
“La sua era un’anima candida” assentì Mal. Sapeva di non sbagliare, parlando al passato, pur se ogni parola era una stilettata al cuore, per lui.
 
“Se servirà a bloccarla, verremo a Kyoto” intervenne a quel punto Winter, prendendo le redini della situazione.
 
Tutti assentirono a quelle parole e, quando la comunicazione venne infine interrotta, Win scrutò la sua famiglia e dichiarò lapidario: “E’ evidente che voi rimarrete qui.”
 
Ciò detto, lanciò un’occhiata a Max, Sunshine e Kimmy che, per tutta risposta, lo squadrò malissimo, intrecciando piccata le braccia sotto i seni.
 
“Ehi, amico, penso di essere abbastanza grande e vaccinato per sapere dove…” cominciò col dire Max, sul chi vive, prima di essere interrotto dalla moglie.
 
“Max, fermati. Win non vuole escludervi per mero puntiglio, o perché siete semplici umani, ma per un motivo molto semplice; quel demone è come un vampiro. Vuoi davvero che tua figlia – che sarà la prossima Guardiana dell’Aria – sia nelle sue vicinanze?”
 
Sbuffando, Max avvolse protettivo le spalle di Sunny che, sorridendo al padre, soggiunse: “Loro sono un Cerchio Attivo, papà, e possono operare in modi che noi, al momento, neppure possiamo sognare. E’ ovvio che siano loro a partire, e che noi rimaniamo a casa. Saremmo solo d’impiccio, se ci trovassimo là.”
 
“Un po’ meno lungimiranza sarebbe gradita, tesoro… sto perorando la mia causa di uomo di casa” brontolò l’uomo, pur sorridendole.
 
Anche Kimmy intervenne e, sbuffando sonoramente, borbottò: “Va da sé che neppure io posso venire, visto che Coryn e Shanna sono altri due Guardiani, giusto? Inoltre, anche le nostre anime sarebbero a rischio.”
 
“Esatto. Rimarrete qui assieme a John, Melody, Cynthia e Selene. Il loa di J.C. vi terrà al sicuro e…” assentì Winter, interrompendosi quando udì il cellulare di Malcolm suonare all’improvviso.
 
Assai sorpreso, lui accettò la chiamata e, all’altro capo, Ben esclamò: “Ho la soluzione! Cioè, insomma, almeno in parte…”
 
Sorridendo nel sentirlo nuovamente pimpante e fresco come sempre, Mal disse: “Spara pure, poi ti dirò le nostre, di novità.”
 
“Oh… okay. Credo che serva un doppio cerchio di costrizione. Uno non basterebbe, per una bestia simile, ma due… credo che potreste contenerla, con due cerchi. Ora, resta solo da capire dove fare una cosa del genere. Forse, Washington e le sue barriere mistiche sarebbero sufficienti, se voi azionaste anche il vostro, di Cerchio, ma mettere un simile mostro in una città con milioni di abitanti, sarebbe un disastro. Usare Stonehenge attirerebbe troppi curiosi, inoltre è un sito storico… troppi guai, se si rovinasse anche un solo sasso. Ti viene in mente qualche posto migliore?”
 
“Che ne dici di Kyoto, al tempio di Inari?” gli suggerì Malcolm, accennando un sorriso quando Ben se ne uscì con un ‘che?!’ assai confuso.
 
Dopo avergli spiegato l’intuizione di Eiko, cui seguirono i complimenti di Fenice, Mal gli accennò anche alla presenza di una seconda volpe entro le mura del tempio.
 
Questo mise sull’attenti Benjamin che, assentendo, mormorò: “Ora capisco perché l’altra, quella cattiva, sta dando di matto, da quando sono stato costretto a mollarla. Non perché non riesce a entrare a Washington – o magari, non solo per quello – ma perché c’è quella buona a disturbarla.”
 
“Sì, è probabile che l’effetto combinato della barriera di Washington e gli attacchi della volpe di Inari, la stiano facendo imbestialire” annuì Malcolm. “Stando a quello che ci ha detto il nonno di Eiko, il tempio rappresenterà il primo cerchio di costrizione, come hai giustamente pensato tu, e il secondo sarà rappresentato dal nostro. Con l’aiuto aggiuntivo della volpe, dovremmo riuscire a confinarla per sempre fuori dalla nostra dimensione. Spero, per lo meno.”
 
Un lungo sospiro seguì la frase di Malcolm ed Eiko, nello stringergli la mano, sussurrò: “Non pensarci, Mal.”
 
“Malcolm, è inutile che io ti ripeta che non è colpa tua, vero?” soggiunse Benjamin, sapendo bene da dove venisse il dolore dell’amico.
 
“Vuole me. E Rin è stata presa a causa del potere che risiede in me. Qualche responsabilità ce l’ho” replicò Malcolm, pur apprezzando le parole dell’amico.
 
“Rin è stata presa perché era un’anima candida e pura. Probabilmente, l’avrebbe divorata anche se non fosse diventata tua amica. Questo genere di demoni non si fa molti scrupoli, e le anime candide sono come il sangue per gli squali” precisò Ben, comprensivo.
 
“Meritava ben di più che una fine simile, però.”
 
“Niente da eccepire, amico, ma anche i pazienti di mia madre non meritano di impazzire a causa di ciò che vedono in guerra, eppure spesso succede. Non riesce a salvarli tutti” gli ricordò Ben, andando col pensiero ai pazienti amputati e con stress post-traumatico che curava la madre.
 
Lei e la dottoressa Rowling si occupavano rispettivamente di corpo e mente di pazienti traumatizzati, sia che fossero civili o militari. Quelli con le patologie peggiori, ovviamente, erano coloro che tornavano dal fronte, e lui era stato spesso testimone dei loro tormenti, così come delle loro fobie.
 
Era demoralizzante, e lo faceva spesso infuriare, avere il potere di spezzare in due la Terra, ma di non poter evitare alle persone di soffrire.
 
“Neppure io posso salvare tutti, anche se sono qui per indirizzarvi verso il bene e la gioia” ammise con contrizione Benjamin, conoscendo bene i propri limiti. “Si può solo fare del proprio meglio, Mal, e tu l’hai sempre fatto. Con Rin, non avresti potuto fare nulla. Ma puoi salvare te stesso, Eiko, la tua famiglia e, per estensione, il mondo intero. Una bestia del genere non può vagare libera per la Terra. Non mi pare poca cosa.”
 
Malcolm sollevò il viso a scrutare i suoi cari, la donna che aveva imparato ad amare – e che lo comprendeva più di chiunque altro – e, assentendo, mormorò: “No, non è poca cosa.”
 
“Parti con questa convinzione. Io penserò ai cari che rimarranno a casa. Darò una mano al loa di John, promesso” lo rassicurò Ben, tornando al suo solito tono allegro. “Sarà divertente spalleggiare un simile spirito guerriero.”
 
Mal accennò un sorriso e, dopo averlo salutato, chiuse la comunicazione per dire: “Sarà il caso di prenotare i biglietti per …qual è l’aeroporto più vicino a Kyoto?”
 
“Osaka” lo informò Eiko.
 
“E Osaka sia!” dichiarò Spring, correndo verso il palmare di Winter, che riposava sul basso tavolino dinanzi al divano.
 
“Ahhh, no, tesoro… forse è meglio se lasci fare a me” la prevenne Max, sorridendole amorevole quanto un tantino prevenuto.
 
Eiko si sorprese un poco, di fronte a tanta sollecita solerzia ma non Malcolm che, ridacchiando, chiosò: “Hai fatto danni mentre ero via, zia?”
 
Sbuffando, Spring offrì stizzita il palmare a Max, che le lanciò un bacetto al volo, e borbottò: “Solo perché ho impallato il computer di casa, non vuol dire che succederà anche con questo.”
 
Win tossicchiò e Kimmy fece finta di niente ma le sorrise divertita, così Spring dovette ammettere controvoglia: “Due computer… anche quello di tuo padre. La consolle centrale è stata cambiata da poco, non l’hai notato?”
 
A quell’accenno, Mal si volse a mezzo per controllare il pannello del sistema domotico della casa e, scoppiando a ridere, esalò: “Sei incorreggibile!”
 
Cominciando a comprendere dove fosse il problema, Eiko sorrise a una sconsolata Spring e domandò: “Tecnofobica?”
 
“Della peggior specie, cara” assentì suo malgrado la donna.
 
“Dovrebbe…” iniziò col dire Eiko, prima di venire frizzata da un’occhiataccia di Spring. “… dovresti conoscere mia madre. Credo potrebbe batterti.”
 
La Guardiana della Terra si illuminò in volto, a quella notizia e Max, nel terminare di prenotare i biglietti per loro, celiò: “Dio ce ne scampi e liberi… con tutto il rispetto, Eiko ma, se le mettessimo insieme, manderebbero in tilt il Pentagono.”
 
La giovane rise sommessamente, a quella battuta e Malcolm, nell’avvolgerle le spalle, dichiarò: “Beh… la mia famiglia è così.”
 
“Prova a lamentartene, e ti picchierò” lo minacciò bonariamente Eiko.
 
“Non ci penso proprio” scosse il capo Malcolm, prima di lanciare un’occhiata al padre, che li stava osservando con compiacimento.
 
“Non prenotare la cappella, papà”, gli disse mentalmente Mal, facendolo sorridere.
 
Il giorno in cui lo farò, sparami. Io sono davvero l’ultimo che può dire a un altro di sposare – o frequentare – qualcuno. Tu sei un capolavoro, Mal, e io e tua madre siamo e saremo sempre fieri di te, ma ciò che fecero a me ed Erin fu ingiusto e crudele. Però, posso essere felice di vedere mio figlio felice, e con una donna che lo capisce?
 
Penso di sì” assentì Malcolm.
 
Ti ho lasciato in pace, per la faccenda di Lynne, perché sapevo che eri abbastanza adulto per affrontarla da solo, …” iniziò col dire Winter, sorprendendo il figlio. “… ma ricordati che noi ci saremo sempre. Anche per dire due sciocchezze.
 
Non avevo idea che lo sapessi. Scusa se non te ne ho parlato, ma…
 
Si affronta il dolore ognuno a modo proprio, Mal, non c’è problema. Devo comunque dedurre che vada tutto bene, con Eiko.
 
Lei mi vede. Non è poco… e non le interessa altro.
 
E a me non interessa sapere altro”, sentenziò Winter, levandosi in piedi.
 
Scrutando poi con affetto incondizionato Eiko, le disse: “Adesso, credo che tutti noi abbiamo bisogno di riposare, in attesa di partire tra qualche ora. Eiko, tu prendi pure la camera di Malcolm. Il ragazzo, per stavolta, si accontenterà di dormire con la mamma.”
 
“E tu, papà, dove vai?” si informò Mal, curioso.
 
Sorridendo enigmatico, si avviò verso la porta d’entrata e disse: “Devo fare due chiacchiere con una persona, e ci vorrà del tempo.”
 
Ciò detto, uscì e Kimmy, presa sottobraccio Eiko, asserì: “Non preoccuparti, è sempre un po’ misterioso, nelle sue cose.”
 
***
 
Nella taverna c’era un freddo infernale, e l’acqua del pozzo era simile a quella di una ghiacciaia, ma per Arianrhod poteva sopportare anche questo.
 
I piedi immersi in un bacile di peltro bulinato a mano, Winter disegnò un pentacolo con dell’ocra sul suo torace nudo – al pari del suo corpo – e levò il capo in attesa.
 
Non si potevano fare interurbane agli dèi e, non avendo gli stessi poteri di Ben, Winter si era dovuto accontentare del solito metodo e raggelarsi per poter essere in sintonia con il Sopramondo.
 
Trascorse così quasi un’ora, infreddolito ma tenace, prima che la dea gli prestasse orecchio.
Avrebbe potuto coinvolgere Malcolm in quel dialogo privato con la loro guida, ma aveva preferito lasciarlo riposare. Aveva già dovuto sopportare fin troppo, in quelle poche ore.
 
Quando infine la figura snella e velata della dea apparve sopra di lui, Winter reclinò ossequioso il capo e mormorò: “Grazie per aver accettato di parlarmi, mia dea.”
 
La donna dalla bionda chioma sorrise, rimase a mezz’aria nella sua forma tridimensionale – ma priva di corporeità – e replicò: “Sono quasi vent’anni che non ti rivolgi a me, figlio mio. Spero non ti siano tornate velleità di morte.”
 
“Affatto, mia dea, tutt’altro. Desideravo solo chiederti protezione per i miei cari qui a Washington D.C., se fosse possibile.”
 
“Fenice non ha già offerto i suoi servigi?” gli rammentò la dea, inclinando su un lato il viso. La chioma scintillò come oro puro e Winter, per un attimo, si chiese a causa di quale luminescenza.
 
La taverna era illuminata soltanto da qualche candela votiva, ma ciò che rischiarava il viso della dea era di tutt’altra portata.
 
“Desidero che la mia famiglia abbia tutta la protezione possibile. Immagino tu comprenda perché” asserì Winter, sorridendo appena quando l’acqua divenne calda.
 
Il calore emanato dalla dea aveva riscaldato anche l’acqua con cui aveva fatto le abluzioni, e in cui era immerso fino alle caviglie.
 
“Soccorrerò Fenice, se e quando ne avrà bisogno, pur se non comprendo appieno i poteri di questo spirito errante. E’ oscuro anche ai miei occhi” ammise la dea, storcendo la bocca.
 
Non doveva essere facile, per una divinità, ammettere di avere dei limiti.
 
“Tutto ciò che potrai fare, mia dea, sarà benaccetto e, naturalmente, qualsiasi debito dovrò pagare per questo, io lo pagherò con onore” dichiarò Winter, sorridendo con serenità.
 
Arianrhod, allora, si arrischiò a un gesto che di solito non compiva e, sfiorando con una mano il viso sorpreso di Winter, mormorò: “Penso tu abbia già pagato a sufficienza in passato, figlio mio. Nessun pegno dovrà essere pagato, semmai io decidessi di intervenire. Sarà per mio piacere, non per il pagamento di un fio.”
 
“Te ne sono grato, mia dea, ma mi riterrò comunque tuo debitore” asserì infine Winter, inginocchiandosi a terra.
 
“Come preferisci. So che sai essere sommamente testardo, quando vuoi” sorrise la dea, sollevando curiosa le sopracciglia quando notò un particolare curioso sul corpo di Winter. “Oh… un tatuaggio, figlio mio?”
 
Scoppiando in una risata sommessa, lui assentì, mormorando: “Una follia momentanea, durante il post-matrimonio. Io e Kimberly ci siamo fatti tatuare le nostre iniziali sulla spalla destra.”
 
“Il braccio della spada… interessante” sorrise divertita la dea. “Sconfiggete quel demone crudele, figlio mio, e tornate da me sani e salvi.”
 
“E’ nei nostri intenti.”
 
“Bene. E congratulati con tuo figlio. La giovane che ha scorto il suo animo ha antichi e solidi natali e sarà abbastanza forte da tenergli testa, negli anni a venire” sussurrò Arianrhod, svanendo in un alone di luce così come era giunta.
 
Rimasto solo nella semioscurità della taverna, Winter uscì dal bacile in peltro per poggiare i piedi sul vicino asciugamano steso a terra. Già sul punto di rivestirsi, si sentì però dire con ironia: “Spiegami perché la prima cosa che devo vedere, quando arrivo qui, sono le tue chiappe lunari, fratello.”
 
Win si volse a mezzo, ghignò all’indirizzo di Autumn – poggiato contro lo stipite della porta d’ingresso della taverna – e replicò: “La tua è tutta invidia, ammettilo.”
 
Autumn preferì non replicare e il gemello, nell’afferrare la sua vestaglia di velluto, se la drappeggiò addosso e aggiunse: “Summer dovrebbe essere già arrivata, se le mie orecchie non mi hanno ingannato.”
 
“Da quanto tempo sei qua sotto, per non saperlo?” gli domandò il fratello, scendendo i pochi gradini di pietra che lo dividevano dal pavimento della taverna.
 
“Più di un’ora” ammise Winter, accorgendosi solo in quel momento che era l’alba.
 
Tornato serio, Autumn gli batté una mano sulla spalla, strinse su quei muscoli possenti e domandò turbato: “Non avrai…?”
 
“Tranquillo… ti tartasserò ancora per un bel po’ di anni, se quella volpe non ci rovinerà le uova nel paniere” sogghignò Winter, scostandosi per raggiungere a rapidi passi la stanza dove tenevano i loro oggetti da cerimonia.
 
Lì, si asciugò in presenza del fratello, tergendosi il pentacolo dal petto e, dopo essersi rivestito, gli domandò: “Hai già conosciuto Eiko?”
 
“Sono passato subito di qui. Ho sentito non eri in casa, e così…” scrollò le spalle il gemello, lasciando a metà la frase.
 
Winter lo fissò divertito, gli diede una pacca sulla spalla e, nell’uscire dalla taverna, celiò: “L.A. …a volte, sei davvero ridicolo.”
 
“Piantala di chiamarmi Little Autumn… sono troppo vecchio per questo nomignolo assurdo” brontolò il fratello, chiudendosi alle spalle la porta della taverna.
 
Win, però, scosse il capo e, nel sorridere con affetto, mormorò: “Sarai sempre il mio piccolo Autumn. Anche a novant’anni suonati.”
 
“Contento tu…” sbuffò il gemello, limitandosi a camminargli al fianco.
 
Non era male sapere che il fratello pensava questo, di lui, ma farlo sapere in giro non era davvero il caso.

 

 

 

 

1 Kurama: citazione dal manga e Anime 'Naruto'. E' il nome del demone-volpe che risiede nel corpo del protagonista, il ninja Naruto. E' la sua forza portante.

 

Note: La situazione si sta ormai delineando, ed è ormai chiaro che la volpe non si può sconfiggere così facilmente. L'intervento del nonno di Eiko è perciò basilare, e il Cerchio di Potere degli Hamilton deve gioco forza spostarsi a Kyoto, se vuole avere la meglio sulla kitsune. 

Se vi fossero venuti dei dubbi, non esitate a chiedere.

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


12.
 
 
 
C’era del trambusto… o se lo stava soltanto immaginando?
 
Schiudendo debolmente le palpebre – pesanti a causa della stanchezza accumulata – Eiko sgranò gli occhi un attimo dopo quando, a sorpresa, si ritrovò fissata da due profondità di cielo azzurro e limpido.
 
L’attimo seguente, mettendo a fuoco ciò che le stava innanzi, la giovane scorse una ragazzina affascinante e dai lunghi capelli neri.
 
Dimostrava sui tredici, quattordici anni e aveva occhi davvero profondi e carismatici, dotati di una maturità insolita, soprattutto per un’adolescente.
 
Mettendosi seduta con estrema cautela, le sembrava di essere appena passata sotto uno schiacciasassi, Eiko si passò una mano tra la chioma in disordine e la ragazzina, sorridendo soddisfatta, disse: “Sì, sei proprio come ti ho vista nella Visione. Sei la ragazza di mio cugino, vero?”
 
Sbattendo più volte le palpebre, Eiko la fissò al colmo della confusione ma, prima ancora di poter dire qualcosa, una nuova arrivata fece il suo ingresso, … e non le parve affatto contenta.
 
Bianca di capelli pur se ancora giovane, la donna indossava un completo maglione e jeans su alti stivaletti di pelo scamosciato.
 
Brillanti occhi grigi, in tutto simili a quelli del padre di Malcolm – notò Eiko – fulminarono la ragazzina, mentre la sua voce elegante borbottava: “Selene Catherine Hamilton… cosa stai facendo, qui dentro? Ti mollo due secondi, e tu vai subito a disturbare le persone?”
 
Ripiegando le spalle con fare contrito, ben conscia di aver fatto qualcosa che, evidentemente, le era stato vietato, la ragazzina si volse a mezzo e mugugnò: “Ma mamma… non ho fatto nulla di male, dopotutto…”
 
“No? Ti sei solo limitata a svignartela, infilarti nella stanza di Eiko mentre dormiva e, immagino, fissarla con così tanta insistenza da farla svegliare” brontolò la donna, facendo reclinare colpevole il capo alla ragazzina.
 
A quanto pareva, aveva centrato ogni punto nella lista di marachelle portate avanti dalla figlia.
 
Eiko sorrise spiacente alla ragazzina – Selene – e, dopo essersi alzata da letto, mormorò: “Non è successo nulla, davvero. In fondo, dovevo svegliarmi.”
 
“Deve comunque imparare a non disturbare le persone” sottolineò la donna, tornando finalmente a sorridere. “Visto che sono qui, tanto vale che mi presenti. Sono Melody Hamilton-Snow, la madre di questa birbante.”
 
“Oh… sì, la moglie di Autumn. Ora la… ti riconosco” rise sommessamente Eiko, ricordandosi l’imperativo, in casa Hamilton, di dare del ‘tu’ a tutti.
 
Melody ghignò nel notarlo e, stringendole la mano, chiosò: “Chi ti ha inquadrata? Spring o Summer? Di solito è Spry che minaccia tutti, quando le dai del ‘lei’.”
 
Eiko si limitò a sorridere e Selene, intervenendo, lanciò un’occhiata speranzosa alla ragazza e domandò: “Non ti ho svegliata, vero?”
 
“Mi stavo svegliando da sola, tranquilla” la rassicurò Eiko, e Selene sorrise più tranquilla.
 
“Beh, visto che siamo tutte in piedi, converrà andare di là a fare colazione, prima di avviarsi verso l’aeroporto. Così, ti darò man forte nelle presentazioni. E’ arrivata un po’ di gente, nel frattempo” dichiarò Melody, prendendo sottobraccio Eiko.
 
Nell’uscire dalla stanza di Malcolm, il trio incontrò nel corridoio una ragazzina undicenne afroamericana che, nel sollevare i suoi occhietti vispi su di loro, motteggiò: “Te l’avevo detto, Selly, di non ficcare il naso.”
 
“Piantala, Cyn… ero curiosa. Dopotutto, sono una Veggente. Che dovrei fare? Non guardare? Sarebbe come dire a Bernard Shaw di non lanciare” brontolò la ragazzina interpellata, facendo ridere l’amica e cugina.
Melody si piegò verso Eiko e sussurrò: “E’ il suo giocatore di baseball preferito.”
 
“Oh” mormorò sorpresa quest’ultima, immaginandosi la splendida ragazzina in uno stadio per tifare la sua squadra del cuore.
 
Eiko le scrutò quindi piena di curiosità e Cynthia, allungando una mano, disse pimpante: “Cynthia Graham, sono la figlia di Summer e John.”
 
“Molto piacere” disse Eiko, stringendole la mano. Pur se non li aveva conosciuti di persona, aveva visto i loro volti nei ricordi di Malcolm, oltre che nelle foto del suo cellulare.
 
“Siamo in tanti, scusa… un’autentica tribù” sussurrò sorridente Melody, scortandola fino al salotto, dove era stato allestito una sorta di buffet per la colazione.
 
Tutti le salutarono e Autumn, facendosi avanti, disse: “Spero che mia figlia non sia stata troppo sfacciata. Ho preferito evitare di inseguirla come un mastino… ci stava già pensando Mel.”
 
“Nessun problema, davvero. E’ un piacere conoscerti, Autumn” esordì Eiko, stringendo la mano all’affascinante Hamilton.
 
“Il piacere è tutto mio, Eiko. Mal ti ha già spiegato esattamente cosa siamo? Con tutto il caos di queste ore, non ho controllato.”
 
“Ricordo i vostri Elementi, sì” assentì la giovane, mentre un alto uomo afroamericano le offriva una bibita alla frutta.
 
“Siamo un guazzabuglio piuttosto variegato” chiosò l’uomo, sorridendole pieno di comprensione. “Io sono John. Diversa cultura, poteri simili.”
 
Eiko strabuzzò gli occhi e l’uomo, scoppiando a ridere, le spiegò le sue origini creole e il suo ruolo come houngan, oltre che ai suoi poteri di stregone.
 
Sempre più sconcertata, la giovane quasi strillò di puro spavento quando una donna dalla folta e corta chioma rossa spalancò la porta di casa e si presentò con due vassoi colmi di pasticcini.
 
“Eccomi arrivata!” esclamò Summer, avanzando imperiosa su magnifiche scarpe dal tacco chilometrico. “Oh, bene, ti sei svegliata! Ciao, Eiko, io sono Summer!”
 
La sua carica sensuale eruttava da ogni poro ed Eiko, riconoscendola subito, sorrise suo malgrado – era così frastornata che, se fosse entrato l’Imperatore, non vi avrebbe fatto neppure caso – e disse: “Sì, non mi sarei sbagliata neppure tra mille persone.”
 
Summer sorrise maliziosa al nipote, che stava mangiucchiando un biscotto e, al tempo stesso, teneva d’occhio la sua scapestrata famiglia, e mormorò sorniona: “Oh… che foto le hai fatto vedere, mo chrói?”
 
“Solo le migliori, zia” sottolineò lui, svicolando poi tra i tanti parenti per raggiungere Eiko. “Tutto bene? Sanno essere un po’ disturbanti, se messi tutti assieme.”
 
“Va tutto bene. Sono un po’ stordita, ma passerà alla svelta” dichiarò lei, arrossendo quando lui le diede un bacio leggero su una guancia.
 
Gli adulti non vi fecero alcun caso, ma Sunshine, Selene e Shanna ghignarono spudoratamente.
 
Coryn e Cynthia, invece, fecero finta di niente, limitandosi ad arraffare i muffin al cioccolato dal tavolo del salotto.
 
Accettando da Malcolm un muffin alla crema, Eiko curiosò il viso ammaliante di Selene e, dopo un attimo, le domandò: “Hai detto di essere una Veggente. Cosa intendevi, esattamente?”
 
Vistasi interpellata, Selene smise immediatamente di sghignazzare, si fece seria e disse: “Contrariamente ai miei cugini, che diventeranno Guardiani, io non sono nata dai Dominatori, ma mi hanno adottato mamma e papà.”
 
Eiko assentì, già conoscendo la sua storia e la ragazza, con un sorriso a Melody e Autumn, proseguì dicendo: “A quanto pare, però, avevo qualcosa di speciale anch’io.”
 
“Ovviamente. Sei mia figlia” ghignò Autumn, dandole un buffetto sulla guancia.
 
Lei rise, chiaramente deliziata dall’affetto del padre, ma proseguì comunque nel racconto.
 
“Si è scoperto che avevo dei poteri come la zia Brigidh… oh, lei non c’è perché è in Australia per una mostra. Ci è parso assurdo chiamarla perché tornasse, quando è al sicuro laggiù…”
 
“Giustissimo” assentì Eiko.
 
“Comunque, a quanto pareva, potevo vedere tra le maglie del tempo e, quando la zia ha iniziato a insegnarmi come fare, ha visto che ero molto, mooolto potente” sorrise Selene, stringendo le mani dietro la schiena e dondolandosi soddisfatta sulle scarpette.
 
“Sbruffona” borbottò ironica Cynthia, guadagnandosi un pizzicotto leggero dalla madre.
 
Selene le fece la lingua e Cynthia, per tutta risposta, infilò gli indici ai lati della bocca per esporre un ghigno davvero assurdo, che fece ridere Eiko.
 
Quei bisticci allegri e genuini le fecero tornare in mente lei e Rin da ragazzine, quando il loro legame si stava formando, cementandosi in quello che sarebbe diventato un rapporto di sorellanza.
 
Fu in quel momento, quando la nostalgia stava per prendere il posto dell’allegria, che Malcolm le avvolte le spalle e le sussurrò: “Stai bene? Pensi a Rin?”
 
Lei assentì e, nel poggiare il capo contro la sua spalla, mormorò: “Eravamo così, io e lei. C’era questo, tra di noi, e ora…”
 
Scusandosi con i parenti, Mal accompagnò Eiko sul terrazzo perché potesse piangere in privato l’amica e Selene, facendosi mogia nel vedere la coppia allontanarsi, mormorò spiacente: “Non è colpa nostra, vero?”
 
“No, tesoro. Ma stanno soffrendo entrambi per la perdita di un’amica, ed è giusto che condividano in privato questo dolore” sospirò Summer, strizzandole affettuosamente un occhio. “Coraggio, finite di fare colazione. Noi dovremo partire entro breve, e vi voglio tutti rifocillati a dovere. Non voglio sentire lamenti del genere ‘ho fame!’, mentre ci rechiamo all’aeroporto.”
 
“Va bene, zia” assentì Selene, prendendo per mano Cynthia per raggiungere il tavolo e darsi da fare.
 
Summer e Melody lanciarono un’occhiata verso la coppia sulla balconata e la Guardiana del Fuoco, tastandosi il torace, mormorò: “La ragazza ha una voragine nel cuore. Sto divorando quanto più possibile il suo dolore perché non crolli, ma è davvero immenso. Ciò che c’era tra quelle due ragazze poteva essere paragonabile soltanto a ciò che c’è tra di noi.”
 
“Non stento a crederlo… stando a ciò che mi ha detto Autumn, quelle due erano davvero unite” sospirò Mel, passandosi una mano sulla nuca con fare ansioso.
 
“Non dirmi che ha sbirciato?!” sbuffò Summer, lanciando un’occhiata venefica in direzione del fratello.
 
Lui levò il dito medio per tutta risposta senza neanche guardarla e Melody, sorridendo nonostante tutto, ammise: “Suo nipote, e in mezzo a due donne così splendide? Ovvio che ha sbirciato.”
 
“Che razza di stalker” brontolò Summer, lasciandosi però andare a un sorriso.
 
Quando vivevi in una famiglia di talenti come la loro, non esisteva la vera privacy. Era inevitabile.
 
***
 
“Avrei dovuto impedire che ti soffocassero con le loro attenzioni… a volte sanno essere esasperanti” mormorò spiacente Malcolm, trattenendo Eiko contro di sé perché avvertisse pienamente tutto il suo calore, il suo affetto incondizionato.
 
Scuotendo il capo, la giovane però replicò: “No, non dirlo. E’ bello trovarsi in mezzo a loro. Rasserenano lo spirito, nonostante la situazione ai limiti dell’assurdo in cui ci troviamo. Solo che vedere le tue cugine giocare tra loro, mi ha fatto tornare alla mente Rin, e così…”
 
Senza dire altro, Eiko gli sfiorò il viso con una mano, carezzandolo e, nella sua mente, formulò un pensiero per lui.
 
“Guarda, se vuoi…”
 
“Sei sicura? Sono ricordi tuoi.”
 
Lei gli sorrise e, nel tergersi le ultime lacrime salate dalle gote, asserì per contro: “Sei sempre così a modo?”
 
“Sono stato accusato di ben altro, sappilo.”
 
L’accusa di Lynne bruciava ancora nel suo animo, pur se la presenza rasserenante di Eiko aveva ormai cancellato del tutto l’onta di essere stato respinto perché aveva visto troppo.
 
Lynne non aveva accettato di essere stata smascherata, di vedersi – attraverso lo sguardo di condanna di Malcolm – per ciò che era stata in realtà. Una ragazza a cui era interessato soltanto il prestigio di poter stare con un Guardiano suo pari.
 
Eiko era diversa.
 
Si offriva spontaneamente, non aveva remore a mostrargli tutto di sé e, al tempo stesso, gli offriva un porto sicuro in cui rifugiarsi nei momenti di ansia.
 
Il bosco calmo in cui ritemprarsi.
 
La giovane gli sorrise fiduciosa e Malcolm, aprendo la sua mente a lei, le mostrò il momento in cui Lynne lo aveva tacciato di essere un ingrato. Non nascose nulla, né il prima, né il dopo, perché ogni cosa fosse chiara, senza misteri o dubbi.
 
Lei scrutò la scena a occhi sgranati, strinse i pugni sul maglione di Malcolm e, quando la visione terminò, sbottò dicendo: “Ma che stronza!”
 
A Malcolm venne spontaneo ridere ed Eiko, unendosi a lui, lo abbracciò e disse: “Scusa, ma mi è venuto spontaneo. Lei sapeva dei tuoi doni… e pretendeva di non condividere i suoi pensieri con te? Se veramente avesse voluto stare con te, sarebbe stata felicissima di poter fare ciò che stai facendo con me adesso.”
 
“Non vuoi avere dei segreti tutti tuoi? Qualcosa che io non possa – o non debba – vedere?” replicò lui, vagamente sorpreso.
 
“Se mi garba, sì, ma su ciò che riguarda i miei sentimenti per te, no, mai. Perché dovrei nasconderteli? Sarebbe sbagliato” scosse il capo lei, carezzandogli una guancia con il dorso della mano. “Malcolm, so bene che non tradiresti la mia fiducia, se ti chiedessi di non guardare in qualche angolo della mia mente ma, per ciò che riguarda te, sarai sempre libero di curiosare… anche senza che tu me lo chieda ogni volta. Anzi, …mi piace, quando lo fai.”
 
Malcolm arrossì, sapendo bene che sfiorare un pensiero profondo e privato rilasciava endorfine nel corpo cui apparteneva la mente in cui si curiosava.
 
Tanto più il pensiero era personale – e lo riguardava direttamente– tante più endorfine venivano prodotte.
 
Chinandosi a baciarla, Malcolm penetrò allora in lei con delicatezza, ed Eiko lo guidò verso i ricordi di cui gli aveva appena parlato.
 
Gli mostrò lei e Rin nel giardino mentre si rincorrevano o giocavano con il gatto, oppure quando litigavano per avere la polpetta di tofu più grande.
 
Sorrise sulle sue labbra e, quando infine si scostò, disse: “Grazie… sono ricordi bellissimi.”
 
“E’ bello condividerli con qualcuno a questo modo” ammiccò lei, giocherellando con il suo maglione. “Toglimi una curiosità, Mal…”
 
“Dimmi” mormorò il giovane, tenendo le mani appena sopra la sua vita.
 
“Se noi avessimo… sì, se l’avessimo fatto prima che tu mi dicessi tutto, cosa sarebbe successo?”
 
“Beh, ecco… trattandosi di te, è molto probabile che la mia mente sarebbe andata a ruota libera. Non sarei riuscito a trattenere alcun pensiero e tu, probabilmente, ti saresti spaventata a morte” ammise Malcolm, lanciando un’occhiata veloce in direzione di Autumn, giusto per sincerarsi che non li stesse sbirciando.
 
Da lui, ci si poteva davvero aspettare di tutto. Sperò comunque in un po’ di discrezione da parte dello zio, anche se non era una cosa su cui avrebbe scommesso tutti i suoi soldi.
 
Eiko sorrise divertita, si levò in piedi per sfiorare le sue labbra e mormorò: “Allora, quando ci arriveremo, sarò doppiamente felice, visto che so cosa aspettarmi… da quel punto di vista, per lo meno.”
 
Malcolm divenne paonazzo in viso, a quelle parole e la ragazza, abbracciandolo, gli trasmise questo pensiero: “Sei così educato e gentile… è bello vedere che ti imbarazzano, queste cose. Vuol dire che ci tieni. Che tieni a me.”
 
“Certo che ci tengo ma, più che altro, ho il terrore che Autumn stia origliando…” ammise Malcolm, facendola sobbalzare e avvampare a sua volta.
 
“Oh, cielo!” esalò lei, coprendosi la bocca per lo sgomento e l’imbarazzo.
 
“Difetto dell’essere in una famiglia di gente strana” celiò Malcolm, facendo spallucce.
 
Lei rise nervosamente e, in cuor suo, sperò davvero che lo zio di Mal si fosse contenuto, coi suoi poteri, per quella volta.
 
Capire cosa nascondesse il sorriso enigmatico di Autumn, però, non era cosa semplice… e Malcolm non voleva davvero curiosare.
 
Meglio tenersi il dubbio.
 
***
 
Per la partenza, anche Bobby e Keath si erano presentati all’aeroporto per salutarli.
 
Malcolm non se l’era sentita di tagliarli fuori, visto ciò che avevano rischiato – e stavano rischiando – a causa sua. Poiché erano a conoscenza del loro segreto, la kitsune avrebbe potuto rivalersi anche su di loro, e lui di certo non lo voleva.
 
In quel momento fermi al terminal d’imbarco, i due ragazzi strinsero con forza Eiko prima di dedicarsi a Malcolm che, nell’abbracciarli, disse loro: “State con la mia famiglia. Mi sentirò più tranquillo, sapendovi con loro.”
 
“Avrò del tempo da passare con Sunshine? Non chiedo di meglio” ironizzò Bobby, strizzando l’occhio alla ragazzina, che sorrise tutta allegra.
 
“Scordatelo, bell’imbusto” sottolineò Max, ghignando.
 
Tutti risero per quello scambio di battute e, quando infine si imbarcarono per raggiungere Osaka, l’umore era buono, pur se nessuno sapeva cosa aspettarsi all’arrivo.
 
La volpe sarebbe stata là ad attenderli? Kurama avrebbe protetto i loro passi fino al tempio? Nessuno di loro lo sapeva con certezza, ma era di vitale importanza non lasciarsi andare allo sconforto.
 
Questo avrebbe dato libero accesso alla volpe, consentendole di impossessarsi delle loro anime… dei loro poteri.
 
Kurama sta facendo un lavoro egregio, e devo dire che è anche simpatica”, intervenne Ben a sorpresa, quasi esplodendo con quel messaggio nella mente di Malcolm.
 
Ehi, ciao! Hai parlato con lei?
 
Non proprio. Ho sbirciato per vedere se avevate bisogno di uno strappo da Washington fino a Osaka, ma ci sta pensando lei.
 
Quanto a Rin… riesci a vederla?”, gli domandò Malcolm.
 
La volpe non fa nulla per mascherarsi, ormai, sapendo che nessuno può fermarla, al momento. Io non posso di sicuro e Kurama, schermandovi, è impegnata con voi, perciò lei può bighellonare come vuole. E’ una vera bulla”, brontolò Ben, scocciato. “Comunque, sta uscendo ora dall’ospedale, fresca come una rosa e pronta per andarsene all’aeroporto con il corpo di Rin risanato dal suo dominio. Arriverete prima voi, ma di poco. Non avrete molto tempo per prepararvi… qualsiasi cosa dobbiate fare.
 
Grazie per la dritta, Ben, e per tutto il resto.”
 
Siamo amici, no? Mi prenderò cura io di tutti i tuoi cari”, mormorò Ben, salutandolo.
 
Riaprendo gli occhi dopo quel breve colloquio, Mal sorrise a una curiosa Eiko, seduta accanto a lui e, nella sua mente, disse: “Era Benjamin…mi ha ragguagliato sugli ultimi sviluppi.
 
Non ti offendi, vero, se ti dico che lui mi sorprende ancor più di te?” gli disse lei mentalmente.
 
Malcolm si lasciò sfuggire una risatina, scuotendo il capo ed Eiko, sorridendo, poggiò il capo contro la sua spalla, lanciandogli un messaggio breve, ma intenso.
 
“Il mio preferito sei tu, comunque” aggiunse a mezza voce, sorridendo maliziosa.
 
***
 
“Come pensi di agire, una volta che saremo arrivati?” domandò a un certo punto Autumn, seduto al fianco di Winter. Spring e Summer erano dinanzi a loro, impegnate a controllare i loro documenti d’identità.
 
Malcolm ed Eiko, invece, si trovavano due file dietro, apparentemente persi in una chiacchierata mentale, almeno a giudicare dal loro prolungato silenzio e dallo strano brusio che i Guardiani potevano avvertire nel Sopramondo.
 
Winter spense il suo tablet per rispondere al fratello e, nello scrutare il suo profilo nobile e serio, sospirò.
 
Erano passati da tempo gli anni in cui non si parlavano, e quel ritorno alle origini li aveva legati ancor più di prima.
 
Non che il carattere di Autumn si fosse smussato, ovviamente. Rimaneva ancora una testa calda e un attaccabrighe, ma Winter avrebbe ucciso il primo che gli avesse torto un capello.
 
Spingersi così lontano da casa, su un territorio sconosciuto a tutti loro, e con l’unica guida di un sacerdote shintoista e una miko, non dava molte rassicurazioni.
 
La volpe che li attendeva a Inari, Kurama, era poi un’incognita ancora maggiore, e il pensiero di mettere in pericolo suo fratello, le sorelle, il figlio e la sua fidanzata lo angustiava.
 
Sapeva comunque che mettere la parola fine a quella situazione era imperativo, perciò dovevano fidarsi. Doveva lasciare che fosse Malcolm a guidare le danze, per una volta.
 
Come padre, questo lo faceva sentire malissimo, ma non poteva fare altrimenti. Il fulcro del Cerchio era Mal, non lui.
 
“Dovremo affidarci al signor Kurumi e a Mal. E’ lui che può parlare direttamente con la volpe, non certo noi” ammise controvoglia Winter, sospirando.
 
“Ti si rivoltano le budella al solo pensiero di non poter fare da scudo a Mal, vero? Per questo hai parlato con Lei… per avere rassicurazioni” gli ritorse con affetto Autumn, ghignando a mezzo per stemperare il nervosismo che lui stesso stava provando.
 
“Già” assentì Winter, passandosi una mano tra la folta chioma corvina.
 
“Le spaccheremo il culo, tranquillo. Abbiamo mai fallito?” lo rincuorò il gemello.
 
“Non abbiamo mai affrontato nulla del genere” sottolineò però Win, fissando il fratello nei profondi occhi blu notte.
 
Questi si incupirono, alle parole del gemello, ma dalla sua bocca non giunse nulla. Autumn non avrebbe mai esternato a parole i suoi dubbi perché sapeva bene che, se lo avesse fatto, ne sarebbe stato sopraffatto.
 
L’unica volta in cui aveva ceduto, parlando, aveva quasi perso la vita per salvare la sua Melody. No, meglio che i dubbi rimanessero silenti. Bastava Winter a metterli a parole.
 
Winter, al contrario del gemello, lavorava meglio esponendo tutto ciò che lo turbava.
 
“Eiko confida molto in suo nonno e nello Spirito di Inari. Temo dovremo aggrapparci a questo, e farcelo bastare” sentenziò alla fine Win, battendo una mano sul braccio del fratello.
 
“Mi piace andare dietro a una bella donna, ma stavolta non mi sento molto felice di farlo” ironizzò Autumn, facendo sorridere Winter.
 
“Se ti sentisse Mel, ti taglierebbe la gola e poi berrebbe il tuo sangue.”
 
“Probabile” ammise senza remore Autumn. “Scherzi a parte. Che ne pensi di lei? Potrà resistere? Non pensi che anche Eiko dovrebbe stare lontano dalla battaglia?”
 
“Se conosci un modo per smuoverla dalla sua decisione…” sorrise Winter. “… Ariahnrod mi ha detto che è di stirpe antica e forte, e che saprà reggere il confronto con ciò che le sta sbarrando la strada. E, se a dirtelo è una dea che regge le sorti di ogni vita…”
 
“Sai che non mi fido mai del tutto” sottolineò torvo Autumn.
 
“Lo so. Ma credo che la sua presenza aiuti Malcolm a essere più sicuro di sé. Non si è mai sentito del tutto a suo agio con i suoi poteri invece, vedendolo con Eiko, noto una sicurezza nel suo sguardo che prima non c’era” gli fece notare il gemello, sorridendo appena.
 
“Essere un Guardiano dello Spirito non è mai facile. Non è mai stato facile per nessuno” ammise Autumn.
 
Tutti loro ricordavano le storie raccontate da Maeb sui loro antenati, su ciò che ciascun Guardiano dello Spirito aveva dovuto affrontare per sopportare il pieno possesso del proprio potere.
 
Essere padroni di penetrare in ogni mente, di gestire la vita di ogni essere vivente… non doveva essere per nulla facile non farsi prendere dalla foga, dal desiderio di raddrizzare un torto.
 
O di favorire qualcuno al posto di un altro.
 
Non faceva specie se, nei decenni e nei secoli addietro, molti Guardiani dello Spirito fossero impazziti, schiacciati dal loro stesso potere. La stessa Maeb aveva preferito l’ascetismo e la solitudine, alla vita in famiglia, per meglio poter controllare il suo dono.
 
Sapere che Eiko aveva un tale effetto su Malcolm non poteva che essere positivo… ma Autumn sarebbe comunque stato attento a che la ragazza non succedesse nulla.
 
Winter gli sorrise sornione, sussurrando: “Ti darò una mano, tranquillo…”
 
“A fare cosa?” esalò Autumn, fingendosi confuso.
 
Win non replicò nulla, limitandosi a sorridere maggiormente. Che Autumn facesse pure il sostenuto, se voleva. Lui sapeva com’era il suo cuore.
 
 

 

 

 

 

Note: La famiglia è al completo, ed è pronta per affontare la bestia, pur se nessuno di loro sa esattamente come avverrà questo scontro, o se potranno risultare vittoriosi.

Eiko, nonostante tutte queste novità, regge bene il colpo e la famiglia allargata degli Hamilton la fa sentire come parte del gruppo, rendendola partecipe di tutte le loro stranezze.

Con Malcolm, inoltre, non vuole avere nessun segreto, e questo colpisce molto il giovane perché, finalmente, può essere se stesso completamente, come mai aveva potuto essere prima di allora. Eiko, al contrario di Lynne, vuole che lui si colleghi con la sua mente, perché desidera che Mal comprenda quanto lo ama, e quanto vuole essere partecipe della sua unicità.

Resta solo da capire cosa succederà una volta raggiunta Kyoto... basterà l'intervento di Kurama, per salvare la baracca?

 

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Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


 
13.
 
 
 
 La neve cadeva leggera, quasi evanescente, imbiancando ogni cosa… almeno, laddove il laborioso lavorio dell’uomo non era giunto per porvi rimedio.
 
Il viaggio era stato lungo, estenuante e per nulla semplice.
 
Dover fare scalo al LAX, dove avevano trovato ad attenderli un ritardo di tre ore, per poi prendere un nuovo aereo per il Kansai International Airport, aveva fatto perdere loro molto più tempo del previsto.
 
La loro unica certezza stava nel fatto che, se per loro era stato un viaggio ricco di incognite e ritardi, così lo era stato – e lo era tutt’ora – per la volpe.
 
Nessuno di loro voleva pensare a Rin come al nemico da sconfiggere, perciò era più semplice, e meno doloroso, pensare al demone piuttosto che alla ragazza che ne era posseduta.
 
Certo, sarebbe stata fisicamente Rin a presentarsi al tempio, ma sarebbe stata la volpe a guidarla, non certo il suo desiderio o le sue speranze.
 
Nell’uscire dall’immenso aeroporto, tutto vetro, acciaio e plastica bianca, il gruppo venne instradato cortesemente verso la stazione da robot addetti allo smistamento dei passeggeri.
 
Quei gentili automi li indirizzarono fino alle gallerie sotterranee che li avrebbero condotti alle varie fermate e, da quel punto in poi, altrettanti robot li avrebbero smistati ai loro posti.
 
Tutto era regolato da macchine efficienti e programmate per essere educate al pari degli esseri umani e, trattandosi del Giappone, Malcolm non se ne stupì più di tanto.
 
In quel Paese, le contraddizioni tra tecnologia e misticismo toccavano vette senza precedenti, perciò non era inusuale trovare un automa nei pressi di un tempio, o cose simili.
 
Quando infine raggiunsero i binari, un modello di Shinkansen Serie E6 li attendeva con la sua linea affusolata e il classico muso a becco d’anatra. Il motore emetteva soltanto un debole ronzio, che si confondeva con il suono degli altri treni presenti e dei mezzi spandi-sale all’opera nella stazione.
 
I suoi colori, argento e rosso, spiccavano nell’ambiente bianco e asettico della stazione e, quando salirono, un buon profumo di pulito li accolse, assieme alla voce chiara e brillante della speaker.
 
Eiko indicò loro i posti – prenotati in anticipo dal nonno – e, quando si accomodò assieme a Malcolm, disse: “Il treno partirà tra sei minuti e trenta secondi.”
 
“E’ quello che sta dicendo la speaker?” le domandò lui, curioso.
 
Lei sorrise, scuotendo il capo.
 
“No, sta dando le indicazioni sul tempo atmosferico che troveremo a Kyoto, e cioè neve e una temperatura di -4°C. L’orario di partenza puoi vederlo lassù, su quel monitor sopra la porta del convoglio” gli indicò lei, allungando il braccio per indirizzarlo dalla parte giusta.
 
Assentendo, Malcolm mormorò pensieroso: “Dovrò mettermi d’impegno per imparare il giapponese.”
 
“Non occorre. Sappiamo tutti piuttosto bene l’inglese, qui, sai?” replicò lei, ammiccando.
 
“Mi piacerebbe davvero impararlo. E’ una lingua che vorrei conoscere” sottolineò però lui, stringendole una mano. “E sarebbe anche una cosa in più da condividere con te.”
 
“Allora, te lo insegnerò.”
 
“Grazie” sussurrò lui, facendo l’atto di chinarsi per baciarla.
 
Summer, però, gli passò accanto e gli diede uno scherzoso scappellotto sulla nuca, ironizzando subito dopo: “Non ti è permesso sollazzarti con la tua bella, visto che nessun’altro di noi può farlo.”
 
“Zia!” sibilò Malcolm, fissandola male mentre Eiko scoppiava a ridere sommessamente.
 
Autumn si affacciò dal suo posto, subito dietro di loro, e soggiunse: “Summer ha ragione. E io non mi abbasserò a baciare tuo padre perché mi manca Mel, sappilo. Perciò, astinenza anche per te.”
 
“La cosa mi farebbe alquanto schifo, sappilo, fratello” borbottò disgustato Winter, seduto al suo fianco.
 
“Ma come? Non mi trovi affascinante?” ironizzò allora Autumn, fissando falsamente scandalizzato il gemello che, per tutta risposta, non lo degnò neppure di un’occhiata. “Non ti riesce difficile tenere le mani a posto, quando ci sono io?”
 
Mentre Summer interveniva in difesa di Autumn, dichiarando che, se non fossero stati gemelli, un pensiero ce lo avrebbe anche fatto, Spring si sollevò dalla sua poltrona e sorrise a Eiko.
 
Poggiate poi le braccia sul poggiatesta, mormorò: “Scusa se siamo così goliardici, ma abbiamo una certa tendenza a sdrammatizzare sulle cose, quando siamo preoccupati.”
 
Eiko assentì, comprendendo appieno, e replicò: “Non c’è nessun problema, e mi fa piacere che mi rendiate partecipe delle vostre dinamiche familiari.”
 
“Quando entri a far parte del nostro circo, lo fai completamente… e questo vuol dire sottostare anche ai nostri comportamenti un po’ sopra le righe” ammise Spring, rimettendosi a sedere quando passò il controllore per i biglietti.
 
Eiko mostrò il cellulare con i codici PNR della prenotazione dopodiché, con un fischio modulato, le porte vennero chiuse e il treno si mise in movimento.
 
Nel giro di venti minuti si sarebbero ritrovati alla stazione di Kyoto, e lì avrebbero trovato ad attenderli il nonno e un paio di miko, attrezzati con altrettante auto.
 
Quel breve tragitto le avrebbe dato il tempo di riordinare i propri pensieri, e chiedersi come affrontare ciò a cui stavano andando incontro.
 
Spinta dalla foga, aveva detto a Malcolm che, per nulla al mondo, sarebbe rimasta ai piedi del Monte Inari, in trepidante attesa del loro ritorno. A conti fatti, però, cosa poteva fare, lei, per aiutarlo?
 
Non possedeva alcun tipo di dono, né conosceva così a fondo le kitsune da poter essere un aiuto importante per Malcolm e la sua famiglia.
 
Anzi, forse, avrebbe potuto essere un intralcio, per loro, lei che era del tutto inerme e senza difese.
 
Il solo pensiero di lasciarli andare lungo la Inari-yama1, con i suoi mille e mille torii2 che conducevano al Monte Inari, la lasciava atterrita. E piena di rabbia.
 
Non sei inerme, bambina…
 
Eiko sobbalzò sulla sua poltrona e Malcolm, che ancora la teneva per mano, si irrigidì al pari suo, avendo a sua volta avvertito quella voce di donna nella mente della ragazza.
 
Ti ricordi di me?” disse ancora la voce, calda e suadente.
 
Ancora una volta, come le era successo durante il viaggio in treno verso Washington, Eiko tornò con la memoria alla sua infanzia, ai suoi ricordi di bambina.
 
Peccato però che, in quel momento, fosse completamente desta, e non preda di un sogno!
 
Si rivide piccola e curiosa, avvolta nel suo cappottino di lana rossa, mentre scorrazzava per il tempio, un omamori3 nella mano e, nell’altra, il suo inseparabile orsetto.
 
Tante volte si era fermata dinanzi alle due volpi del tempio, ma quella in possesso della chiave del magazzino del riso, l’aveva sempre attirata maggiormente.
 
All’ombra dell’immenso torii d’ingresso, che sovrastava il tempio di Fushimi-Inari Taisha, lei si era seduta spesso ai suoi piedi, in silenziosa contemplazione della statua.
 
Il nonno l’aveva sempre trovata lì, mai una volta si era fermata in un altro punto del tempio.
 
E, in quel momento di illuminazione, rammentò.
 
Quella voce sottile e leggera che tanto spesso l’aveva attirata accanto a sé, ogni volta l’aveva raccomandata di dimenticare, e che i loro ricordi condivisi avrebbero dovuto rimanere segreti per un po’.
 
Quella voce l’aveva istruita, l’aveva fatta diventare ciò che era ora, una difesa impenetrabile a qualsiasi spirito, un bosco inavvicinabile in cui solo chi era desiderato, poteva entrare.
 
Esattamente come il bosco che circondava il Monte Inari, su cui sorgevano i templi dedicati al dio del riso e i torii disposti lungo la via per raggiungerli, disposti a difesa contro ogni male.
 
Sei… Kurama?
 
Sì, bambina… scusa se ho dovuto cancellare i miei ricordi da te, ma non volevo che l’altra, Hashara, potesse sentirti. Saresti stata una ghiotta preda, per lei, se avesse ravvisato che eri legata a me. Per quanto mi è stato possibile, ho cercato di proteggerti.
 
Hashara? E’ il nome dell’altra volpe?” intervenne Malcolm, ansioso.
 
Sì, giovane Dominatore dello Spirito. Siamo in poche, ormai, e quasi nessuna è cattiva, o interessata all’umanità, ma Hashara… Hashara è sempre stata ingorda e priva di pietà.
 
Non avreste potuto fermarla?” si irritò un poco il giovane.
 
Con quali mezzi, bambino? Sono potente, ma non più di lei. Per questo, vi ho pregato di raggiungermi. Solo insieme, potremo bloccare per sempre il suo cammino, ma non se rimarremo separati.
 
Malcolm non se la prese più di tanto all’idea di essere stato chiamato ‘bambino’. La volpe doveva essere una creatura millenaria perciò, ai suoi occhi, lui era davvero un bimbo.
 
Quanto al combattere insieme, quello lo preoccupò molto di più, rispetto all’essere visto come un infante.
 
Perché hai detto che non sono inerme, Kurama?” domandò a quel punto Eiko, ancora confusa da quell’affermazione.
 
Hai visto il bosco, Dominatore? Quello che è dentro di lei?
 
Sì. E’ vasto e accogliente, ed è una delle prime cose che ho notato, in lei” ammise Malcolm, sorprendendo un poco la ragazza.
 
Questa è la tua difesa, Eiko. E la difesa di Malcolm… o degli altri Dominatori. Io sarò la spada, tu lo scudo, e Malcolm guiderà entrambe contro Hashara.
 
Che intendi dire, Kurama?” volle sapere Mal, accigliandosi non poco.
 
Temo dovrai permettermi di entrare, e così dovrai fare per Eiko. Noi saremo le tue braccia, e tu la mente che ci guiderà, ma dovremo essere immerse in te, per farlo.
 
E’ … è possibile?” ansò Eiko, sconvolta e incredula di fronte a quella possibilità.
 
Come pensi che riuscì a battere tutti quei soldati, il tuo illustre antenato, bambina? Si lasciò dominare da me, e io lo guidai in battaglia, dandogli i miei poteri. Volevamo la stessa cosa, e ci unimmo per questo. Ma ora, Malcolm ha bisogno di uno scudo, oltre che di una spada, mentre la sua famiglia conterrà la nostra energia tramite il Cerchio. Hashara è troppo potente. Dobbiamo essere in tre. Non uno di meno.
 
Malcolm ed Eiko si fissarono sconcertati. Mai, in tutte le loro elucubrazioni mentali, erano giunti a una simile – e sconvolgente – eventualità.
 
Lasciar entrare un kami, uno Spirito così potente dentro di lui…
 
Se si fosse trattato soltanto di Eiko, non avrebbe avuto remore a farlo. Anzi, l’idea che lei potesse penetrare così a fondo nel suo animo, lo esaltava. Lo eccitava.
 
Ma la volpe?
 
Chi gli assicurava che, messa di fronte a un potere come il suo, non avrebbe voltato le spalle a tutti, divorandoli uno dopo l’altro?
 
Seguendo i pensieri del compagno, Eiko gli strinse con forza una mano e, nella sua mente, mormorò: “Ti fidi di me?”
 
“Certo! Non devi neanche chiedermelo!” replicò Malcolm, senza remore.
 
Eiko allora sorrise, si arrischiò a dargli un bacio sulla guancia – non aveva idea se Summer avrebbe punito anche lei – e disse: “Ora che posso avere accesso a tutti i miei ricordi, so che di lei ci si può fidare. Era… è mia amica.”
 
Malcolm affondò più profondamente nel suo animo e lei lo lasciò fare, sapendo bene cosa stesse cercando. Qualcosa che potesse dargli il coraggio – o la forza – per permettere a uno spirito così potente di possederlo completamente.
 
Non aveva la minima idea di cosa volesse dire compiere un simile gesto, ma non faticava a comprendere i dubbi di Malcolm.
 
Con l’esempio di Rin ben fresco nelle loro menti, chi si sarebbe fidato a scatola chiusa?
 
Per questo, era vitale che Malcolm vedesse ogni cosa, e decidesse liberamente cosa – e quanto – accettare.
 
***
 
Ancora sorridendo in maniera sorpresa, pur se soddisfatta, il dottor Kenneth strinse la mano a Rin e disse: “Direi che potremmo scrivere la tua storia negli annali, visto il recupero magistrale che hai avuto nel giro di quarantotto ore…”
 
“Siete voi a essere stati bravi. Io ho solo reagito bene alle vostre cure” replicò Rin, sorridendogli calorosamente, la borsetta in una mano e l’altra infilata nella tasca del parka.
 
Non era il caso di mostrare i suoi artigli al dottore, o avrebbe dato di matto. Il suo chiacchierare a vanvera, però, la stava facendo irritare e, se le avesse fatto perdere altro tempo, lo avrebbe dilaniato.
 
Smettila di pensare solo a morte e distruzione! E smettila di usare il mio corpo! Non ti appartiene!” sbraitò Rin nella sua stessa mente, ora occupata dallo spirito della kitsune.
 
La volpe non la degnò neppure di una risposta ma, quando infine fu dimessa e si ritrovò a passeggiare lungo il marciapiede, le disse sardonica: “Mia cara… certo che mi appartiene e, quando ti avrò finalmente spezzata, potrò liberarmi della tua scomoda presenza. Mai trovata un’umana così agguerrita e desiderosa di rimanere. E’ un vero peccato che io non possa sfruttare tutti i miei poteri contro di te, visto che rovinerei il tuo bel corpicino. Per ora, mi serve.
 
Rin la insultò ancora, ma la volpe non le diede più retta, azzittendola nella sua mente e, con il cellulare del suo guscio mortale, prenotò sia un taxi che un volo per Osaka.
 
Se Kurama pensava che, portandoli tutti al tempio di quel vecchio, avrebbe avuto la partita in pugno, si sbagliava di grosso.
 
Erano secoli che puntava ad averla vinta sui Dominatori di Arianrhod, quella stupida biondina del pantheon norreno che andava tanto fiera delle sue forbici dorate e della sua ruota da carro e, ora che ne aveva il potere, nulla l’avrebbe fermata.
 
Combattere per ottenere lo spirito di Karura4 sarebbe stato inutile; si trattava di un’anima interamente divina, perciò lei non aveva speranze di poterla divorare senza morirne.
 
Pur essendo un demone potente, non poteva contenerne l’energia praticamente infinita. Sarebbe stato come tentare di divorare il sole. Impossibile.
 
Ma, oh… il potere di quei Dominatori… aveva avuto l’acquolina in bocca fin da quando aveva partecipato a quel rogo in pubblica piazza, durante l’Inquisizione di tanti secoli fa.
 
Aveva avvertito distintamente il dono di quella Fiamma Vivente, mentre si salvava dalla follia della Chiesa e dell’uomo.
 
Aveva anche tentato di divorarla, ma la Dominatrice l’aveva scacciata con facilità, e così aveva atteso, paziente, di diventare più forte.
 
Aveva divorato anime su anime, si era preparata, ne aveva studiato pregi e difetti e, quando Rin aveva espresso il suo desiderio di conoscere la storia di Malcolm, ne aveva approfittato.
 
Uno spuntino prima del grande pranzo fa sempre bene, e l’anima di Rin era così pura, così limpida!
 
Le era parso strano che una ragazza con un passato tanto tragico, avesse sviluppato uno spirito tanto angelico. Quasi sicuramente, ciò era avvenuto per merito della presenza di Eiko nella sua vita.
 
Quella miko, addestrata direttamente da Kurama, poteva essere pericolosa.
 
Non ti permetterò di torcerle un capello!” protestò Rin, riemergendo a fatica dal luogo in cui Hashara l’aveva rinchiusa.
 
Finché non avesse divorato Malcolm, lei avrebbe dovuto rimanere ingabbiata ove l’aveva nascosta. Se avesse ucciso l’anima di Rin, il suo corpo sarebbe stato inutilizzabile, perciò doveva sopportare suo malgrado anche le sue chiacchiere inutili.
 
No, quella scocciatrice doveva sopravvivere fino a che non si fosse impadronita di Malcolm, poi l’avrebbe lasciata andare con gran diletto.
 
Era stanca di ascoltarla.
 
Rin, nel frattempo, continuò a urlare, a strepitare, ma nulla servì al suo scopo.
 
Era sempre più debole a ogni ora che passava e, anche se Hashara non l’avrebbe sfiancata prima del combattimento, lei voleva liberarsi prima che questo avvenisse.
 
Se Malcolm si fosse scontrato con quel demone, avrebbe perso. La volpe era troppo potente e sapeva esattamente dove colpire, per sfiancarlo.
 
Eiko sarebbe stata la prima a morire, e il solo pensiero la atterriva a morte.
 
Se sei da qualche parte, Dio, aiutala. Non merita di morire, non lei, sussurrò nel suo angolino buio Rin, sentendo la risata sguaiata di Hashara rimbombare tra le pareti del suo cervello.
 
Cosa avrebbe potuto fare, per salvarli? Cosa?
 
***
 
Gli ombrelli aperti per difendersi dalla neve e gli occhi puntati sull’enorme torii d’entrata del tempio, la famiglia Hamilton e Eiko salirono le scale con aria ammirata e timorosa insieme.
 
Shinichi Kurumi non si era fatto attendere e, assieme a due ragazze che Eiko conosceva bene, li aveva condotti al tempio utilizzando due pulmini da cinque posti.
 
Una volta giunti a destinazione, il sacerdote aveva poi invitato le giovani miko a rientrare a casa, consigliandole di non trovarsi fuori di casa dopo il tramonto.
 
Le miko avevano acconsentito a cedere alle richieste del loro maestro e, dopo aver salutato gli ospiti e la loro amica, si erano avviate verso la stazione per tornare a casa.
Mentre il sole reclinava all’orizzonte, a malapena visibile a causa della nevicata, gli ultimi turisti presero la via dell’uscita e, sorridendo, Shinichi ne spiegò loro i motivi.
 
Nessuno che non fosse un sacerdote, restava all’interno di un tempio, la notte. La paura di essere catturati dagli oni5 era ancora forte, e nessuno se l’era mai sentita di smentirla coi fatti.
 
Anche in quei tempi di tecnologia pressante e grandi scoperte scientifiche.
 
Sorridendo nel farli entrare nel tempio ora deserto, Shinichi chiosò: “Il nostro popolo è strano e contraddittorio. E’ come se la nostra anima fosse scissa in due, e antico e moderno convivessero contemporaneamente… non senza far danni, ogni tanto, questo è ovvio.”
 
“Ne sappiamo qualcosa. Il nostro Clan ha alcune migliaia di anni di vita e, se il mondo sapesse, ci troverebbe assai anacronistici” assentì Summer, passandosi una mano tra i capelli. “Dio, ho sempre amato il Giappone…”
 
Spring sorrise e, in risposta allo sguardo curioso del sacerdote, asserì: “Io e mia sorella possiamo percepire tutti i sommovimenti della crosta e del magma di quest’isola, e sono talmente tanti che le stimolazioni sono continue.”
 
“Oh, sì, comprendo” assentì Shinichi, come se niente fosse. “Ricordo anche di un suo studio, Summer-sama, che ci ha aiutati a prevenire l’eruzione del Fuji con un discreto anticipo.”
 
“Si fa quel che si può…” scrollò le spalle la donna, pur apprezzando il complimento. “… non posso andare in giro a dire: ‘Il monte Atlasov esploderà il 27 gennaio del 2025!’ Primo, mi darebbero per matta, secondo, quando la cosa si fosse effettivamente avverata, mi metterebbero sotto formaldeide per studiarmi. No, grazie.”
 
“Un’isola dell’Arcipelago delle Curili esploderà?” domandò allora curioso il sacerdote.
 
Summer sorrise maliziosa e, nell’ammiccare, gli disse: “Io non farei una crociera nei paraggi, in quel periodo.”
 
Shinichi rise sommessamente ed Eiko, stringendosi al braccio del nonno, chiosò: “Allora, che ne dici?”
 
“Credo, mia cara, che tua madre impazzirà di gioia, quando vedrà la famiglia del tuo ragazzo. E credo – oh, kami-sama! – temo che le signore qui presenti saranno rapite da mia nuora. Vi adorerà fin dal primo momento” ironizzò il sacerdote.
 
Spring si esibì in un sorriso estasiato, esalando: “Combattiamo domani? Voglio conoscerla ora!”
 
Summer si dichiarò d’accordissimo, spalleggiando appieno il desiderio della gemella di conoscere la madre di Eiko.
 
Winter e Autumn fissarono le sorelle con aperto disgusto, scuotendo all’unisono le loro teste e Summer, per diretta conseguenza, borbottò: “Da quando siete tornati ad andare d’amore e d’accordo, non vi si può più sopportare. Tornate a odiarvi, per favore. Almeno ci facevamo due risate alle vostre spalle! Adesso sembrate gemelli siamesi!”
 
“Parla quella che piombò a casa mia, inviperita per i miei silenzi, e millantando pretese assurde circa il suo diritto di dirmi cosa dovevo, o non dovevo fare” replicò ghignante Autumn, dandole una leggera spinta.
 
“Oh, tu, brutto…” cominciò col dire Summer, subito bloccata da Spring.
 
Autumn aumentò il suo ghigno, già pronto a discutere con la gemella, ma Winter lo tirò indietro e celiò: “Ci scusi… quando siamo tutti e quattro assieme, facciamo scintille. Troppi poteri latenti che si danno i pizzicotti l’un l’altro.”
 
“Denota un legame profondo. E’ una buona cosa, in vista di ciò che succederà” sottolineò Shinichi, assentendo con un risolino.
 
Mio vecchio amico… tu sì che hai ragione” esordì Kurama, facendo rimbombare la sua voce all’interno del tempio.
 
Stavolta, anche i gemelli Hamilton udirono la sua voce e, sotto gli occhi sorpresi di tutti – o quasi – fece la sua comparsa un’enorme volpe dal manto bianco.
 
Essa superava i quattro metri alla spalla, appariva leggermente evanescente e le nove code dietro di lei danzavano come fiamme in un camino.
 
I suoi profondi occhi blu si puntarono subito su Eiko che, spalancando la bocca per la sorpresa, la riconobbe nei suoi sogni di bambina.
 
Era quindi lei, Kurama?
 
Sei diventata davvero grande, mia cara Eiko, e la vicinanza con il Dominatore dello Spirito ti rende ancora più forte. La tua barriera vibra in risonanza con il suo dono… è un bene.
 
Eiko sorrise a Malcolm, che le strinse la mano con fiducia e, nel rivolgersi alla volpe, le domandò: “Perché non permettermi di ricordarti? Solo per Hashara? O c’è dell’altro?
 
La kitsune parve sorridere, su quel muso allungato e perfetto, e replicò: “Sei sempre stata intelligente, bimba cara… ma sì, desideravo darti una vita quanto più semplice possibile, e sapere di un kami che cammina tra i vivi, e di cui avresti dovuto mantenere il segreto, ti avrebbe reso la vita difficile. Quando ti vidi con Rin, desiderai che tu avessi un futuro bellissimo e senza ombre. Mi rincresce sapere quello che è accaduto alla tua amica.
 
La giovane assentì, trattenendo le lacrime – che reputò inutili – e, con la voce solo un poco arrochita, asserì: “Io e Malcolm accettiamo il tuo patto.”
 
Bene, miei cari. Ma ora dirigiamoci verso la cresta del monte. Dobbiamo formare il Cerchio, con voi all’interno, e attendere che Hashara arrivi. Questo ci permetterà di affondare in profondità nell’animo di Malcolm e comprendere come muoverci.
 
Quella notizia giunse come una bomba, facendo sobbalzare la famiglia Hamilton al completo.
 
Winter, primo tra tutti, afferrò una spalla del figlio e, ansioso, esclamò: “Ma che va dicendo?!”
 
“Lei ed Eiko entreranno in me. Non c’è altro modo, papà. Eiko sarà lo scudo, Kurama la spada, e io sarò l’involucro che le guiderà in battaglia” si limitò a dire Malcolm, sorridendo appena.
 
“Non se ne parla! E poi, come potrebbe, Eiko, che è una ragazza come le altre?!” sbottò a sua volta Autumn, forse ancor più nervoso di Winter. “Senza offesa, Eiko, ma le cose stanno così.”
 
La ragazza fece per tranquillizzarlo, ma Kurama non fu di quell’avviso e, ringhiando all’indirizzo del Dominatore dell’Aria, sibilò: “E’ investita di tutto il mio sapere! Non è una ragazza come le altre e, anche se non ha i vostri poteri, il suo scudo può rivaleggiare con chiunque cerchi di abbatterlo.
 
Quello sfogo fu seguito da uno sbuffo di fumo rovente e Summer, nel dare una pacca sulla spalla al gemello, chiosò: “E dire che, ormai, dovresti conoscere le donne… nessuno ti ha mai insegnato che non bisogna dire mai di no, in loro presenza? Possibile che Melody non ti abbia messo in riga, fino a ora?”
 
Kurama scoppiò in una risata tale da far vibrare le pareti del tempio, ma Winter vi badò poco.
 
Occhi negli occhi al figlio, mormorò: “Sei sicuro?”
 
“Eiko si fida di lei, e io mi fido di Eiko. Tu ti sei fidato della mamma, quella volta in Artide, vero? Anche se era solo un’umana senza poteri” gli rammentò Malcolm, sorridendo.
 
“Non c’era in ballo nulla di così grosso” replicò il padre, pur comprendendo cosa volesse dirgli.
 
Si era affidato a Kimmy, e lo avrebbe rifatto altre mille volte.
 
“Lo so… ma credo davvero che sia l’unica soluzione.”
 
Non sapendo che altro dire, o fare, per far cambiare idea al figlio – ammettendo con se stesso che, in effetti, non vi erano molte altre possibilità – Winter alla fine assentì e, nel rivolgersi a Shinichi, gli domandò: “Dove inizia la Inari-yama?”
 
“Vi ci accompagno” dichiarò l’uomo, facendo loro strada.
 
Kurama li seguì e, quando uscirono dal tempio, scoprirono che la neve aveva smesso di cadere.
 
Tutti guardarono Autumn a tal proposito ma lui, scuotendo il capo, replicò: “Niente giochetti, stasera. Ho bisogno di tutta la mia concentrazione.”
 
“Beh, allora grazie, Madre Natura” sentenziò allora Malcolm, salendo per primo la lunga scalinata che li avrebbe condotti alla cima del monte Inari.
 
Al loro destino.

 

 

 

1 Inari-yama: percorso che risale il Monte Inari.

2 Torii: porte tipiche dei templi shintoisti. Il tempio di Fushimi-Inari è famoso per il suo percorso interamente protetto dai torii.

3 Omamori: tipico amuleto giapponese (per chi avesse visto i cartoni animati giapponesi, sono quei sacchetti colorati che sono soliti acquistare nei templi)

4 Karura: è il nome giapponese di Fenice.

5 Oni: demone(giapponese).

 

 

Lo Shinkansen, in realtà, non parte dall’aeroporto di Osaka, pur se alcuni treni di quella linea giungono in città da Tokyo ma, soprattutto, non ha una tratta che vada a Kyoto.

Kyoto si raggiunge da Osaka solo tramite treni locali, più lenti.

Ho voluto inserire comunque il viaggio in Shinkansen perché lo trovo un treno stupendo, tutto qui.

Ormai manca davvero poco alla battaglia finale, ma preferisco non spoilerare nulla.

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Capitolo 14
*** Cap. 14 ***


 
14.
 

 
 
Fin da quando avevano imboccato la Inari-yama, gli era parso strano notare come, il corpo inconsistente della kistune, attraversasse letteralmente i torii dinanzi a loro.
 
Era come essere di fronte a un’apparizione spettrale ma, al tempo stesso, Malcolm sapeva che la volpe aveva anche una consistenza fisica. L’aveva provata sulla sua pelle, poco prima di uscire dal tempio shintoista.
 
Ne aveva sfiorato il manto con una mano, trovandolo soffice e caldo e, pur vedendovi attraverso, non era affondato in essa come con un fantasma.
 
Era tutto assai strano e insolito, persino per lui. Immaginava comunque che, per Eiko, dovesse essere davvero molto peggio.
 
Non voleva intrufolarsi troppo nella sua mente per lasciarle la sua privacy, ma era evidente che tutta quella situazione la stava mettendo alla prova. E non poco.
 
Avrebbe tanto voluto esimerla da quel compito, proteggerla da ogni pericolo, ma sapeva bene che era impossibile.
 
Aveva compreso più che bene le parole di Kurama, e aveva saggiato con mano il potente scudo che, negli anni, la volpe aveva creato nella mente ricettiva di Eiko.
 
Sì, avrebbe avuto bisogno di entrambe, era inutile girarci intorno. Il fatto che non gli piacesse affatto, era secondario e ben poco importante, al momento.
 
***
 
Il bosco che sorgeva intorno al monte Inari. I sentieri protetti dai torii che si inerpicavano fino alla vetta. Il cinguettio degli uccelli, unito al chiacchiericcio delle persone.
 
Infine lei, piccola e curiosa, che sfiorava ogni torii con le mani, assorbendone le preghiere votive incise nel legno grazie al tocco magico di Kurama.
 
Per anni, durante le sue visite al tempio, tra gli insegnamenti del nonno e quelli più subdoli – ma benevoli – della volpe, aveva creato il suo personale bosco attorno al tempio della sua anima.
 
Una protezione invalicabile, accessibile solo a chi avesse desiderato lei.
 
Non ne aveva mai saputo nulla grazie al volere di Kurama, che aveva desiderato proteggerla e, al tempo stesso, preservarla da quel mondo magico e oscuro.
 
Perché? Perché decidesti di farlo?” le domandò mentalmente a un certo punto Eiko, ben sapendo che l’avrebbe sentita.
 
Sai che noi volpi possiamo viaggiare nel tempo e nello spazio… ciò che intravidi per te nel futuro, necessitava il mio intervento. Dovevo proteggerti.
 
E non avresti potuto avvertirmi? Avrei protetto anche Rin” le domandò per contro Eiko, sentendosi davvero inutile, in quel momento.
 
Anche avendolo saputo, non avresti potuto nulla. Il tuo scudo vale per te, e può essere utilizzato da persone come Malcolm, ma non ha valenza su altre creature umane prive di poteri.
 
Neppure io li ho. Eppure, ho uno scudo. Come mai?
 
Tu discendi da una stirpe di guerrieri e di cacciatori di demoni, Eiko, e molte kannushi, le sacerdotesse più potenti del tempio di Ise, facevano parte della tua famiglia. Il tuo sangue non sarà mistico come quello del tuo compagno, ma ha conosciuto la magia, ed è perciò più forte.
 
Sì, sapeva di aver avuto nella sua discendenza personaggi di un simile retaggio, ma mai avrebbe pensato che questo avrebbe fatto la differenza.
 
Che vi fosse qualcosa di diverso, di più spirituale e profondo di quanto non avesse in un primo momento pensato.
 
Nessuno pensa mai che i miti abbiano un fondo di verità, Eiko, anche se molti sono superstiziosi a sufficienza da seguire certi dettami pur non credendoci appieno. E’ il modo in cui il cervello preserva se stesso da cose che non è in grado di comprendere” le spiegò la volpe.
 
Eiko assentì, sapendo bene a cosa si stesse riferendo la volpe.
 
Il cervello tendeva a dimenticare tutto ciò che lo faceva soffrire per preservarsi integro, intonso e privo di punti oscuri.
 
Quindi, non sono come Malcolm, ma neanche come Rin, per esempio.
 
Esatto. Mi spiace soltanto di non aver potuto lasciarti i tuoi ricordi, prima di oggi, ma sapevo che Hashara li avrebbe percepiti, mettendoti in pericolo. Non sapevo se avresti mai incontrato Malcolm, ma era giusto proteggerti in ogni caso.
 
Sapevi di lui? Prima di oggi?” esalò Eiko, sorpresa.
 
Sapevo che, nel tuo futuro, avresti potuto incontrare uno stregone molto potente, e credimi, non sono molti, su questa terra. Ma il futuro non è scritto, è solo abbozzato e, anche ai miei occhi, non appare in tutta la sua interezza. Sapevo solo di doverti dare quante più protezioni possibili, tutto qui.
 
Quindi… non era scritto che io mi sarei innamorata di lui…
 
Kurama rise nella sua testa, ed Eiko con lei. Dopotutto, ricordarsi della volpe non era male.
 
Le piacevano quei ricordi, e quello che le era stato insegnato.
 
In ciò che è successo tra di voi c’è solo la vostra mano, non quella di altri.
 
Bene… non mi sarebbe piaciuto fare la figura dell’idiota per così tanto tempo, e senza alcun bisogno di farlo.
 
Voler accertarsi dei propri sentimenti, non vuol dire essere idioti, Eiko.
 
Dal mio punto di vista, sì. Ma mi consolo pensando che anche Malcolm ci ha dormito sopra.
 
Kurama rise ancora, e sentenziò: “Voi giovani avete un modo di parlare davvero strano, a volte.”
 
Lo so” assentì lei, sorridendo. “Kurama…
 
Sì, bambina?
 
“Mi fa piacere essermi ricordata di te.”
 
“E a me fa piacere poter parlare di nuovo con te.”
 
“Potrò tenere questi ricordi, quando tutto sarà finito?”
 
“Se tutto andrà come spero, pretenderò che tu ti ricordi di me” sottolineò Kurama, sghignazzando.
 
A Eiko fece molto piacere saperlo. Quante ragazze potevano dire di avere per amici una volpe a nove code e una Fenice, e per fidanzato uno stregone?
 
Ben poche, secondo il suo modesto parere.
 
***
 
Lasciati i torii alle spalle, il gruppo attraversò il tempio sito sulla cima del monte, dirigendosi direttamente sulla larga spianata erbosa che si trovava sulla vetta.
 
Da quel luogo silenzioso e tranquillo, Kyoto era ben visibile in tutta la sua estensione, illuminata e bellissima, protetta dal manto della notte e ignara di ciò che sarebbe ben presto avvenuto.
 
Quando infine raggiunsero il piccolo specchio d’acqua che sorgeva su un fianco della radura erbosa, Winter sorrise e disse alla volpe: “Se combattiamo sul ghiaccio, avremo un ulteriore vantaggio. Il cerchio avrà una superficie pari allo specchio d’acqua e potrò elevare barriere di contenimento più efficaci, a cui si andranno a unire quelle dei miei fratelli.”
 
“Sarai in grado trattenere la struttura, mentre sorreggi il cerchio, Dominatore?”
 
“Non lo farò io, ma qualcuno per me” asserì lui, muovendo le dita con eleganza.
 
Subito, sulla superficie dell’acqua, venne a crearsi una bruma leggera che, poco per volta, prese le sembianze di una donna bellissima.
 
Eiko la fissò strabiliata, chiedendosi chi fosse e perché fosse così differente dalle fate dello Spirito che Malcolm le aveva mostrato.
 
Volgendosi verso il compagno, la giovane domandò: “Come mai quella fata è così diversa? E a misura d’uomo?”
 
Sorridendole, Malcolm la prese per mano e si avvicinò alla fata che, nel frattempo, aveva preso totale corporeità e ora si trovava accanto a Winter.
 
“Eiko, ti presento mia madre.”
 
Lei fece tanto d’occhi e, coprendosi la bocca con le mani per trattenere un’esclamazione di sorpresa, fissò senza parola la bellissima donna di cristalli di ghiaccio che aveva di fronte.
 
Sapeva che la sua madre naturale era morta quando lui aveva quattro anni… ma mai avrebbe pensato che fosse stata una fata!
 
Intercettandone i pensieri, Malcolm sorrise e replicò: “No, non è sempre stata una fata. E’ stato mio padre a mutarla. Il suo spirito è trattenuto dal suo potere, e questo le permette di essere una fata di classe superiore. Per questo ha questa forma.”
 
La fata parlò, o almeno Eiko le vide muovere quelle labbra fatte di cristalli di neve, ma non udì alcunché.
 
Malcolm, allora, la prese per mano e disse: “Scusa. Chi non è legato al suo retroterra, non può sentirla. Ora puoi, attraverso me.”
 
“E’ un piacere conoscerti di persona, Eiko. Winter mi ha parlato di te. Io sono Erin, la mamma di Malcolm” disse allora Erin, sorridendole affettuosamente.
 
Di tutte le esperienze strane che aveva vissuto fino a quel momento, quella – per qualche strano motivo – le parve paradossale.
 
Eiko rise nervosa, le allungò una mano e disse: “Il… il piacere è tutto mio. Felice di conoscerti.”
 
Erin rise dolcemente, stringendo la sua mano e la ragazza, stranamente, avvertì un certo calore provenire da quei cristalli splendenti.
 
La sua magia? Forse.
 
“Spero di avere ancora tempo per parlare con te, e ringraziarti per come rendi felice mio figlio, ma ora il dovere mi chiama…”
 
Ciò detto, il suo corpo parve quasi disciogliersi dinanzi a loro e i cristalli andarono a compattarsi sulla superficie del lago, creando uno spesso strato di ghiaccio.
 
“Wow… e non scivoleremo?” esalò Eiko, ancora frastornata da quello strano incontro.
 
“Non succederà” le promise Malcolm. “Scusa, ma voleva assolutamente conoscerti, e io mi sono completamente dimenticato di spiegarti cosa fosse.”
 
Passandosi una mano tra i capelli, Eiko esalò: “Se avrò un esaurimento nervoso, riterrò te il solo e unico responsabile, e ti costringerò a curarmi.”
 
“Lo farò molto volentieri” replicò lui, ammiccando al suo indirizzo.
 
“Coraggio, piccioncini… saliamo sull’arena” li redarguì bonariamente Summer, indicando il lago ghiacciato con il capo.
 
Eiko annuì e, ancora mano nella mano a Malcolm, mise il primo piede sul ghiaccio, trovandolo ruvido a sufficienza per non scivolare.
 
Più sicura, avanzò con Mal al fianco e, nel passare accanto a Winter, mormorò: “Grazie per quello che hai detto a Erin.”
 
“Ho detto solo quello che penso. Inoltre, Erin può sentire senza difficoltà ciò che prova Malcolm. E’ legata a lui a doppio filo” le sorrise Winter, dandole un buffetto sulla guancia.
 
Sorpresa, Eiko lasciò che sfilasse accanto a lei per raggiungere uno dei quattro punti in cui i gemelli si erano posizionati per creare il Cerchio di Potere.
 
Summer aveva avuto ragione a chiamarla arena.
 
Ne aveva sia le dimensioni che la forma.
 
“Che intendeva dire, tuo padre, dicendo che tua madre è legata a te? Non dovrebbe essere legata a lui, visto che prende il potere dall’Acqua?” mormorò Eiko, mentre si avvicinava al centro del lago assieme a Mal e Kurama.
 
Quando raggiunse il centro del lago, Malcolm si posizionò di fronte a Eiko, la prese per entrambe le mani e replicò: “Sì, mamma è una fata superiore dell’acqua, ma è legata alla mia anima per un motivo diverso. Quando papà la mutò in una Elementale per salvare la sua anima, e permetterle così di vedermi crescere, lei decise di accettare, ma solo a patto di essere legata a me. Una volta che io morirò, lei smetterà di essere una fata, e anche il suo spirito se ne andrà.”
 
“Oh” esalò Eiko, impressionata.
 
Se non era amore materno quello. Erin aveva rinunciato all’immortalità concessa alle fate, legandosi al destino del figlio.
 
“E’ una cosa bellissima” aggiunse poi la ragazza, levandosi in punta di piedi per baciarlo sulle labbra.
 
“E’ ora, bambini… basta con i convenevoli. Dobbiamo immergerci in Malcolm, perché lui avrà bisogno di tempo per comprendere come usarci” li interruppe Kurama, accucciandosi in tutta la sua lunghezza attorno a loro.
 
Malcolm avvertì contro le gambe la morbidezza della sua pelliccia ed Eiko, nel guardarla, le domandò: “Cosa devo fare?”
 
“Sdraiati contro di me, così ti terrò al caldo. Quando sarai penetrata in lui, perderai il controllo sul tuo corpo, e non vuoi crollare a terra come un sacco di riso, vero?”
 
“Aaah, no. No davvero” borbottò Eiko, affrettandosi a sistemarsi contro il pelo morbido e folto della volpe. Era davvero calda! “Sei molto comoda, sai?”
 
“Grazie.”
 
“Quando volete, io sono pronto. Le porte sono aperte” disse a quel punto Malcolm, lanciando un’occhiata ai suoi zii e al padre.
 
Loro assentirono e, nel richiamare i poteri degli elementi, chiusero il cerchio e innalzarono le prime barriere contenitive.
 
Quattro cilindri di luce si elevarono dai loro corpi, andando a unirsi sopra il capo di Malcolm, a diversi metri d’altezza. Non appena i loro poteri si sfiorarono, i cilindri luminosi si aprirono a ventaglio, creando una cupola robusta e invalicabile, da cui quasi non si scorgeva più il bosco.
 
L’aria sfrigolò attorno a loro, segno che il potere dei quattro stava intensificandosi, irrobustendosi, ingigantendosi.
 
Per Malcolm venne quindi il momento di aprire anche la propria mente al suo potere e, per la prima volta, lo lasciò completamente libero da freni.
 
Un’intensa luce dorata si sprigionò da ogni poro della sua pelle e Kurama, ammirata suo malgrado, mormorò: “Non stupisce che Hashara volesse divorarti.”
 
“Pensi di precederla?” ironizzò Malcolm, allungando una mano verso di lei.
 
“Dovrei darti un morso anche solo per averlo pensato” replicò la volpe, ghignando.
 
Ciò detto, lo avvolse con il suo potere dirompente e Malcolm, stringendo i denti, lasciò che penetrasse dentro di sé un po’ alla volta. Fu come ricevere in pieno volto un’ondata d’acqua e, al tempo stesso, un calcio nelle costole.
 
“Eiko, ora chiudi gli occhi e pensa a quando parli a Malcolm con la mente. Basterà questo, a farti risucchiare in lui” disse poi la volpe, rivolgendosi alla sua protetta.
 
La giovane assentì e, non appena cercò di mettersi in contatto con Mal, percepì prepotente la sensazione di cadere, di precipitare in un vuoto infinito.
 
Il suo primo istinto fu quello di tornare indietro, di riprendere coscienza di sé ma, quando le spire delle code della volpe la avvilupparono, le fu impossibile.
 
“Non avere paura, bambina… stai andando bene. Lasciati andare. Malcolm ti prenderà.”
 
“Prenderà? In che senso, prenderà?” domandò Eiko, urlando un attimo dopo quando una luce accecante la inghiottì di colpo.
 
La sensazione di cadere cessò proprio in quell’istante e, stranamente, Eiko, si sentì avvolgere dal familiare contatto delle braccia di Malcolm.
 
Quando ebbe il coraggio di aprire gli occhi, si ritrovò in un bosco fitto, dal piacevole profumo e dai colori caldi e suadenti.
 
Kurama era accanto a lei, stranamente piccola e più simile a una volpe qualunque, non fosse stato per le nove code bianche che le galleggiavano alle spalle.
 
Infine vide Malcolm, saldo come una roccia al suo fianco e sorridente. Appariva strano ai suoi occhi e, dopo qualche istante, comprese perché.
 
Indossava un abito in tutto simile a quello che aveva usato per Halloween ma, in quel frangente, sembrava essere più la tenuta di uno stregone vero, che il vestito per un party.
 
Eiko poteva percepire senza sforzo l’energia che trasudava dagli articolati ricami dell’abito e, anche senza le spiegazioni di Mal, comprese che altro non erano che incantesimi.
 
Dentro di sé, sperò ardentemente che fossero malie protettive, perché aveva la netta sensazione che quella battaglia sarebbe stata tutt’altro che facile. O priva di costi.
 
“Wow… mi hai davvero presa” esalò a quel punto Eiko, mettendo finalmente piede a terra.
 
“Tutto bene? Ti sei spaventata?” le domandò lui.
 
“Un po’… ma ora va meglio. Dove siamo, esattamente?”
 
“Nella mia testa, e quello che vedi intorno a noi è il tuo scudo, come io l’ho sempre visto” le spiegò lui, sorprendendola.
 
“Lo hai sempre visto?” ripeté lei, a occhi sgranati.
 
“Sì, anche se non sapevo, all’epoca, che fosse uno scudo. Pensavo soltanto che la tua mente fosse un posto piacevole dove stare” ammise lui, scrollando le spalle.
 
“Ah… buono a sapersi” gracchiò Eiko, afferrandolo a una mano per non cadere come una pera cotta.
 
No, non era davvero sicura che si sarebbe salvata dal manicomio. Ma Malcolm aveva promesso di prendersi cura di lei, perciò… che la danza avesse inizio!
 
“E ora?”
 
“Ora, proverò a vedere se riesco a muovermi. Senza offesa, Kurama, ma mi hai intasato la memoria RAM” ironizzò Malcolm, guardando la volpe bianca accanto a loro.
 
“E’ per questo che ho voluto affondare in te prima dell’arrivo di Hashara. Devi abituarti a usare tutta la mia energia, se vuoi vincere” asserì la volpe, accucciandosi alla sua destra. “Prova. Fletti il braccio e richiama la spada.”
 
Il Malcolm in carne e ossa scrutò il proprio braccio destro sotto gli occhi attenti della sua famiglia e, in un battito di ciglia, una lama d’argento comparve nella sua mano, rilucente come una stella.
 
Il giovane socchiuse gli occhi, di fronte a quel bagliore, quando un secondo attirò la sua attenzione. Sul braccio sinistro, tondo e perfetto, uno scudo era apparso con un bagliore dorato, a protezione della sua persona.
 
“Pare che stia funzionando…” mormorò il giovane, provando a muoversi.
 
Mossa sbagliata.
 
Malcolm finì immediatamente carponi, col volto percorso da sudori freddi e le mani tremanti come foglie al vento.
 
Winter tremò a quella vista ma, impossibilitato a muoversi – la barriera si sarebbe disgregata, se si fosse mosso –, pregò soltanto che il figlio potesse contenere l’enorme potere che scaturiva dai suoi pori.
 
Era come trovarsi dinanzi a una supernova, all’esplosione di una stella, ma non era il caso di farglielo notare. Era molto probabile che, primo, già lo sapesse e, secondo, il saperlo lo avrebbe innervosito ulteriormente.
 
“E’ davvero impressionante, fratello…” mormorò ansioso Autumn, a poca distanza da lui.
 
“Solo un Dominatore dello Spirito può contenere una simile energia. Ma è dannatamente difficile non andare là per aiutarlo” sospirò Winter, stringendo i pugni e rafforzando la stretta sul Cerchio.
 
La barriera si fece incandescente, riuscendo così a contenere le onde di risacca che fuoriuscivano dal corpo di Malcolm, ancora impegnato a trattenere la volpe.
 
“Porco. Schifo” imprecò dopo qualche minuto il giovane, rimettendosi finalmente in piedi. “Avrei bisogno di una memoria esterna da dieci Terabyte.”
 
“Non sono un programma, bambino…”
 
“Lo so, Kurama, ma mi facilita il compito pensarti come un programma dal culo enorme” ironizzò Malcolm, poggiando la punta della spada a terra per puntellarsi. “Okay, riproviamo.”
 
***
 
Il viaggio era stato assai noioso, e la presenza costante della voce di Rin nella sua testa aveva reso il tutto ancora più insopportabile. Se non fosse stato che le serviva ancora in vita, così da poter sfruttare il suo corpo, l’avrebbe annientata già tempo addietro.
 
Per raggiungere Malcolm e impadronirsi definitivamente di lui, però, le serviva un corpo vivente con cui combattere e sconfiggerlo.
 
Sarebbe stato impossibile impadronirsi di lui e del suo potere, con Malcolm ancora vivo; fino a ora, l’aveva sempre scacciata.
 
No, doveva ridurlo in fin di vita e, sfruttando il suo amore per quella giovane mortale, lo avrebbe messo nelle condizioni di farsi ammazzare.
 
Quel ragazzo dal cuore così nobile non sarebbe mai riuscito a sfruttare la totalità dei suoi poteri contro Rin perché mosso dal rimorso e dall’affetto, e lui sarebbe stato suo.
 
Kurama non avrebbe potuto fare nulla per evitarlo – lei e i suoi stupidi preconcetti sul divorare le anime umane – e la sua sarebbe stata una vittoria totale.
 
Il potere di Malcolm le avrebbe aperto la strada a tutte le anime del mondo, e lei ne avrebbe fatto fiero pasto, divenendo la creatura più potente della Terra, presente, passata e futura.
 
A quel punto, sarebbe riuscita a fare sua anche l’anima immortale di Fenice, e lei avrebbe regnato incontrastata su tutte le creature mistiche presenti sul pianeta.
 
Sarebbe stata idolatrata come una dea, e ciò si sarebbe protratto per l’eternità. Lei, Hashara, sarebbe stata la creatura più potente del cosmo.
 
“Non avrai mai Malcolm!”
 
“Oh, smettila di fare del baccano, bambina. Mi hai stufato” brontolò Hashara, scendendo dal treno alla fermata di Kyoto. “Bene, siamo finalmente arrivati.”
 
“No, ti prego! Ti prego”
 
“E’ inutile che mi preghi, ragazzina… non hai nulla da offrirmi per cui valga la pena di rinunciare a lui.”
 
Ciò detto, si incamminò per uscire dalla stazione e prendere un taxi. Ancora poco, e avrebbe avuto tutto ciò che desiderava nel suo pugno.
 
Avrebbe distrutto Kurama per il puro gusto di farlo, e poi avrebbe regnato incontrastata. L’unica, la più forte.
 
Nel suo angolo di prigione, Rin pianse, non sapendo davvero che fare per aiutare Malcolm.
 
Si era sorpresa non poco nello scoprire i piani di Hashara, non avendo avuto la minima idea che l’amico fosse un potente stregone. Quando, però, aveva compreso le intenzioni della volpe che l’aveva catturata, aveva tentato in ogni modo di stroncare i suoi piani.
 
All’ospedale, complice anche l’aiuto di Ben – dio, niente meno che la Fenice! – era riuscita a distrarre Hashara il tempo necessario per far fuggire Malcolm. Si era però sentita inutile, in seguito, quando la volpe aveva ripreso pieno possesso del suo corpo.
 
Non le era più riuscito di sfuggire alle maglie del suo controllo e, sempre più debole, era divenuta la mera spettatrice della sua follia.
 
Che fosse per la progressiva stanchezza che avvertiva, o perché la volpe si era fatta più attenta ai suoi tentativi di fuga, Rin non era più riuscita a riprendere il controllo di sé per scacciare Hashara.
 
Era stata costretta suo malgrado a osservare il mondo da una prospettiva sbagliata, impossibilitata a intervenire in alcun modo, e ora andava incontro a una battaglia senza volerlo.
 
“Ti prego, Malcolm… trova la forza, e uccidimi…” pensò tra sé Rin, sperando con tutto il cuore che la volpe non la udisse.
 
Non si sarebbe mai perdonata, neppure nell’Aldilà, se Malcolm fosse morto a causa sua.
 
No, in qualche modo, l’avrebbe convinto a mettere fine alla sua esistenza. Sperava soltanto di trovare un sistema per fargli conoscere i suoi desideri, prima della fine di tutto.



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Riuscirà Malcolm a fare suo il potere di Kurama in tempo per la lotta? E Rin tenterà davvero di dire a Malcolm di ucciderla? Lo scopriremo a breve!

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Capitolo 15
*** Cap. 15 ***


15.
 
 
 
Le scarpe da ginnastica strusciavano leggere sui gradini di pietra, mentre i torii parevano come torcersi al suo passaggio. Alcuni sembravano sul punto di spezzarsi, al passaggio di Hashara, ma la volpe non se ne stupì.
 
Lei era la creatura forse più ostile che vi potesse essere, in quel luogo, e anche le preghiere intrise in quei totem protettivi se ne rendevano conto. A lei, però, non importava molto.
 
Una volta che avesse sconfitto Kurama, anche il tempio si sarebbe inchinato a lei, così tutte le reti mistiche che proteggevano quel luogo sacro e tutti gli altri templi in Giappone.
 
Il vecchio Kurumi – che così saggiamente l’aveva lasciata passare – si sarebbe prostrato ai suoi piedi, da quel giorno in poi, e ogni cosa sarebbe stata sua.
 
Era tempo di regnare.
 
***
 
Il controllo del corpo andava decisamente meglio, ma Malcolm avrebbe voluto avere ancora un paio d’ore per esercitarsi. Combattere era ben diverso che fare qualche passo a destra e a sinistra, tenendo spada e scudo tra le mani, senza inciampare nei propri piedi.
Sapeva però bene che, ormai, il suo tempo era agli sgoccioli.
 
Era impossibile non percepire l’aura di Hashara mentre risaliva verso la cima del monte, verso di loro, verso la battaglia finale.
 
Non avvertirla sarebbe stato come non sentire il rombo di un aereo mentre passa sopra la testa dei passanti. Impossibile.
 
Hashara era questo, dentro la sua testa. Un rombo continuo, un tuono che non cessa mai, un temporale senza un inizio e una fine.
 
Peccato che questo temporale terrificante, questa nemesi spaventosa, aveva le sembianze di Rin.
 
Fin da quando erano partiti per Kyoto, quel pensiero gli aveva ronzato nella mente come un tarlo infaticabile. Sarebbe riuscito, in tutta onestà, a levare la mano contro di lei, pur sapendo che non era l’amica a muovere il proprio corpo?
 
Era in grado di scindere lei dalla volpe?
 
La risposta gli era stata chiara fin dal principio. No.
 
Non ne era in grado, né lo sarebbe mai stato. Avendo dentro di sé anche i pensieri consci di Eiko, inoltre, tutto si sarebbe amplificato, tramortendolo.
 
La soluzione era una, e una sola, ma non sapeva quanto gli sarebbe costato, in termini di sanità mentale. L’orrore di ciò che sarebbe successo a tutti loro se avessero perso, però, lo convinse a muovere quell’ultimo, decisivo passo.
 
Era terrorizzato, perché mai si era lasciato controllare fino a quel punto – neppure le poche volte in cui la dea aveva tentato di affondare in lui – ma non vedeva altre soluzioni al suo problema.
 
Quindi, con un sospiro, mormorò: “Kurama?”
 
 
In un lampo, la sua coscienza lo condusse nel bosco e, lì, al fianco della piccola volpe che era Kurama e che, nel sentirsi chiamare, scodinzolò gentilmente, muovendo in sincrono le sue nove code pelose e morbide.
 
Avrebbe dovuto essere normale e accettabile, per lui, vista la famiglia in cui era nato e cresciuto, eppure… ormai il vaso era colmo persino per Malcolm.
 
“Hai deciso?” gli domandò la kitsune, forse già sapendo cosa gli frullava nella mente.
 
E come poteva essere diversamente, visto che la volpe si trovava proprio dentro di lui?
 
Eiko lo fissò a sua volta, turbata, e gli strinse la mano per dargli coraggio.
 
“Prendi i miei occhi e le mie orecchie. Anzi, prendi tutti i miei sensi, è meglio. Qualsiasi cosa potrebbe trarmi in inganno, e non voglio che questo succeda” riuscì infine a dire Malcolm, lasciandosi andare a un sospiro tremulo.
 
“Sarebbe una possessione totale, te ne rendi conto, vero?” gli fece notare la volpe, strofinando il muso contro la sua gamba per fargli comprendere quanto comprendesse il suo disagio, e non si sentisse offesa dalle sue paure.
 
Malcolm annuì, sapendo bene cosa volesse dire affidare tutto se stesso, e non solo il braccio della spada, alla volpe. Non sarebbe più stato lui a combattere, ma Kurama.
 
Lui sarebbe stato soltanto un involucro vivente, niente più di questo. Relegato in un angolo nella sua stessa mente, e controllato da un kami di incommensurabile potere.
 
Una cosa quasi insopportabile da accettare, ma non vedeva altre soluzioni, se voleva raggiungere lo scopo che si riproponeva.
 
“Non posso combattere contro Rin, pur sapendo che non sarà lei a levare la mano contro di me. Non riuscirei a essere lucido, lo so perfettamente… e non posso permettermelo.”
 
“Lo so, bambino. E so anche quanto ti costi lasciare a me la guida della battaglia. Non potresti dirmi come agire, cosa fare, perché non vedresti cosa sto facendo, o sentire cosa sto dicendo” sospirò la volpe, acciambellandosi a terra e guardandolo spiacente.
 
“Devo fidarmi di te ciecamente. Nel vero senso della parola” le sorrise mesto Malcolm, annuendo e allungando una mano per carezzarla.
 
Era morbida e calda, pur se era solo un’emanazione della vera Kurama. Quella vera, enorme e feroce, era stesa in forma spettrale sullo specchio ghiacciato del lago, a protezione del corpo di Eiko.
 
“E io non ti deluderò, te lo prometto. Ami la mia bambina, la mia allieva, e io farò quanto mi è possibile per non commettere errori. Sdraiati, ora, e lasciati completamente andare. Prenderò il tuo posto alla guida, e non è mai piacevole perdere i sensi da una posizione eretta.”
 
Malcolm assentì suo malgrado ed Eiko, nell’inginocchiarsi accanto a lui, domandò a Kurama: “Potrò prendermi cura di lui, mentre combatti?”
 
“Il tuo scudo è sempre elevato, cara, perciò sì. Inoltre, prendendoti cura di lui, lo renderai più saldo, perché sai che questo aiuterà me e proteggerà il tuo amato” assentì la volpe, divenendo più grande e maestosa sotto gli occhi sorpresi di Eiko.
 
Malcolm, al tempo stesso, si lasciò completamente andare e il suo corpo divenne flaccido, come se non si trovasse più lì.
 
Eiko lo sfiorò sul torace, ma lui non diede adito di accorgersi di nulla. La giovane poteva solo percepire il suo respiro e il battere tiepido del suo cuore.
 
Nel frattempo, la volpe divenne gigantesca e, quando ebbe raggiunto la sua forma primigenia all’interno del mondo onirico in cui si trovavano, disse: “Eiko, bambina, chiudi un momento gli occhi. Ora mi collegherò ai centri nervosi di Malcolm, e diventerò assai brillante per qualche attimo.”
 
La giovane assentì e, pur con gli occhi serrati e il corpo steso a protezione di quello di Malcolm, avvertì un calore enorme, e le palpebre le bruciarono per l’intensa energia sprigionata.
 
Fortunatamente, il processo durò solo alcuni attimi, …diversamente, avrebbe avuto non poche difficoltà a sopportarlo.
 
All’esterno, nel frattempo, Winter si accorse immediatamente del cambiamento avvenuto nel corpo del figlio.
 
Gli occhi di Malcolm si tesero, assumendo una forma leggermente a mandorla, mentre le labbra si arricciavano per lasciare spazio a due piccole zanne lucenti.
 
“La volpe…” mormorò sommessamente l’uomo, temendo per il figlio.
 
Cosa diavolo stava succedendo, là dentro?
 
Autumn fissò sia il fratello che il nipote con aria turbata, mentre Summer e Spring borbottavano: “Ma cosa cavolo…”
 
Malcolm si volse infine verso il padre ma, quando egli parlò, Winter udì solo la voce della volpe, non quella del figlio.
 
“Stanno tutti bene, ma tuo figlio ha preferito lasciare il governo a me. Non poteva, in tutta coscienza, levare la mano su Rin.”
 
“E tu potrai, volpe?” replicò l’uomo, mostrando non poca fatica nell’accettare quel mutamento in Malcolm.
 
Essere soggiogati era pericoloso, oltre che oltremodo straziante. Alla fine di tutto, Malcolm avrebbe accettato le decisioni prese da Kurama, o si sarebbe straziato a vita per la scelta presa in quel momento?
 
“Sono un kami, Dominatore, e la mia visione del mondo è diversa dalla vostra. Posso combattere, e lo farò ma, per amore di Eiko e del tuo bambino, cercherò di non distruggere colei che loro amano.”
 
Ciò detto, tornò a fissare il tempio sulla cima del monte, mentre Summer faceva i debiti scongiuri e Spring si faceva il segno della croce.
 
Tutte pratiche assurde, ma comprensibili. Anche Winter fu tentato di innalzare una preghiera alla dea ma, in quel momento, Arianrhod non avrebbe potuto aiutarli.
 
L’unica che poteva avere successo in quella lotta era Kurama, e da lei dipendevano le sorti di tutti loro. Del mondo intero, a ben vedere.
 
Ma era così difficile dimenticare che anche lei era una volpe millenaria, al pari di quella contro cui si sarebbero dovuti scontrare!
 
***
 
Hashara fu colta di sorpresa quando, approssimandosi alla radura sulla vetta del monte, trovò il cerchio di stregoni nel mezzo del lago, reso ghiaccio spesso e consistente dal potere del Dominatore dell’Acqua.
 
Con il corpo di Rin si avvicinò perciò alle sue rive, sorrise tutti loro e si avventurò su quella superficie ruvida, asserendo: “Bentrovati, miei cari. Esattamente, cosa pensate di fare, standovene qua sopra come allocchi?”
 
“Contenerti, Hashara, e permettermi di combattere più agevolmente” esordì Kurama, attraverso la bocca di Malcolm.
 
Rin si guardò intorno dubbiosa e, nel tornare a fissare lo sguardo sul viso distorto di Malcolm, Hashara dichiarò divertita: “E come pensi di farlo, Kurama? Grazie a questi Dominatori? Sai che non basterà mai. Io li spezzerò subito, e tu non avrai più nulla.”
 
“Solo con loro? Ovviamente. Ma con il contributo di Inari, sarà possibile tenere entro questo cerchio la nostra battaglia” replicò serafica Kurama, sorridendole attraverso il volto del giovane Dominatore.
 
Ciò detto, Malcolm fece un cenno ai suoi cari che, richiamati i loro Elementali, eressero la prima barriera contenitiva.
 
L’attimo seguente, a malapena visibile entro le pareti di quella cupola multicolore, una seconda barriera si elevò dalle basi del monte, avvolgendo l’intera montagna.
 
Un comune passante non avrebbe visto nulla. Forse, se la sua mente e il suo corpo fossero stati particolarmente percettivi, avrebbe avvertito un lieve formicolio, ma nulla più.
 
Per la volpe, invece, quella doppia barriera aveva un significato dannatamente diverso.
 
Hashara fissò quindi rabbiosa la sua nemica e, ringhiando, esclamò irritata: “Ti sei abbassata a chiedere aiuto a quello spaventapasseri di Inari?! Tu? Una kitsune del tuo lignaggio? Sei davvero caduta in basso.”
 
Malcolm sorrise pacifico, replicando con la voce di Kurama: “Per proteggere le genti dal tuo tocco? Avrei strisciato fino al Tempio di Ise, chiedendo di essere ricevuta da Amaterasu in persona. E tu sai bene quanto io la detesti.”
 
Rin, guidata dall’ira di Hashara, sforbiciò l’aria con un braccio, esclamando per contro: “Poco importa! Avete salvato Kyoto, per il momento, ma non otterrete altre vittorie, in questa battaglia. Malcolm sarà comunque mio e, dopo di lui, tutti gli altri! Le barriere non mi impediranno di divorarlo e, anzi, impediranno ai Dominatori di aiutarlo.”
 
Malcolm rimase impassibile di fronte allo scenario proposto da Hashara, ma Winter si lasciò andare a un ringhio irritato, mentre Autumn fissava malissimo Rin.
 
Lei allora sorrise, soddisfatta di averli colpiti dove faceva più male, nel loro amore per Malcolm. Fu Summer, però, che tentò di portarla a più miti consigli. A modo suo, per lo meno.
 
“Pensi che siamo così insensibili da non pensare a nostro nipote? Beh, allora, cara mia, hai vissuto veramente male, in queste migliaia di anni! Noi ci preoccuperemo sempre per lui, perché lo amiamo, e questo non potrà mai essere visto come un nostro discredito, bella mia! L’amore ci rende più forti, non più deboli!”
 
Rin si volse verso la Dominatrice del Fuoco e, accentuando il sorriso, replicò: “L’amore è per i deboli, Guardiana della Fiamma, perché si spreca solo del tempo a condividere ciò che si ha con gli altri. Il vero potere deve essere detenuto da una sola persona.”
 
Spring fece per rincarare la dose, ma Malcolm levò una mano a bloccarla, dichiarando lapidario: “E’ inutile parlare con lei. Hashara non ha mai amato la compagnia di nessuno, men che meno quella degli umani.”
 
“E ho fatto bene, a quanto pare, visto che hai avuto la brillantezza di spirito di abbassarti ad affezionarti a quella misera mortale…” ribatté sardonica Hashara, indicando Eiko, stesa accanto al corpo mistico di Kurama. “… finendo con il metterti contro di me per aiutare loro! Sei debole, Kurama, e lo sai!”
 
Malcolm non la stette ad ascoltare e, nel far comparire scudo e spada, lanciò un’occhiata ferale alla nemica, replicando: “Non sprecherò altro tempo con te! Lascia quel corpo, Hashara, e torna nell’ombra da dove sei venuta!”
 
La kitsune non la ascoltò e, imitata Kurama, richiamò una lunga spada ricurva, con cui si avventò contro Malcolm.
 
***
 
Il primo colpo tra le due spade d’energia riverberò nella mente di Malcolm, facendo trasalire Eiko, ancora accucciata accanto al giovane.
 
Era così strano pensare di essere lì solo con il pensiero, mentre il suo corpo reale era steso contro quello possente di Kurama.
 
Erano passati così pochi giorni da quando aveva scoperto ogni cosa, da quando il mondo si era praticamente capovolto su se stesso.
 
Ogni evento, ogni particolare era parso ai suoi occhi sotto una luce nuova, diversa, e tutto ciò che aveva dato come certo – Malcolm, suo nonno, il tempio – aveva preso forme strane e mai immaginate.
 
In un breve battito di ciglia, aveva visto frantumarsi tutte le sue certezze, e il mondo della magia aveva fagocitato quello della realtà in cui era vissuta fino a quel momento.
 
Aveva scoperto – o riscoperto – di esservi addentro più di quanto non avesse mai pensato, e ora si ritrovava a vivere in prima persona una battaglia all’ultimo sangue.
 
Nel carezzare il petto di Malcolm, privato dei cinque sensi e del tutto ignaro di ciò che stava accadendo al suo corpo, là fuori, Eiko però sorrise.
 
Sì, tutto il suo mondo ora ruotava in modo diverso.
 
Sì, la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
 
Sì, avrebbe perso Rin per sempre, pur non volendolo.
 
Ma non avrebbe mai rinunciato a Malcolm per tornare alla sua solita vita, perché ormai aveva compreso che solo con lui avrebbe potuto viverla in modo completo.
 
Fu per questo che levò il capo e, attraverso gli occhi di Malcolm – guidati da Kurama – affrontò finalmente la visione di Rin che combatteva contro di loro.
 
Malcolm aveva fatto bene a lasciare tutto nelle mani della volpe. Lei era l’unica a poter combattere senza cedere al dolore di colpire Rin.
 
Per quanto fosse difficile vedere quel combattimento, lei non avrebbe desistito. Il suo scudo sarebbe rimasto saldo finché lei avesse creduto in Malcolm e in Kurama. Doveva pensare soltanto a questo.
 
Poteva difenderli. Questo poteva farlo.
 
***
 
“Non riesco quasi a seguirne i movimenti…” mormorò Autumn, gli occhi puntati sullo scontro tra Malcolm e Rin. “… sono davvero troppo veloci.”
 
“Penso che Kurama voglia puntare su questo” replicò Winter, lo sguardo fisso unicamente sul figlio. “Malcolm può sopportare maggiormente lo sforzo di un combattimento prolungato rispetto a Rin che, di fatto, è solo umana.”
 
“Mal sta usando l’energia delle anime?” esalò Autumn, vagamente sorpreso.
 
Impegnati com’erano a reggere lo scudo – che perdurava da più di mezz’ora sulle loro teste – era difficile comprendere cosa stesse accadendo realmente.
 
“Mi stupirei del contrario. Kurama mi sembra abbastanza intelligente per aver capito come sfruttare al meglio i doni di Mal. Ivi compreso l’assorbimento dell’energia dagli esseri viventi” mormorò Winter, accigliandosi suo malgrado.
 
Non era pratica gradita ad Arianrhod, poiché sottintendeva una prevaricazione forzosa nei confronti delle creature, inermi di fronte agli Elementali dello Spirito. Winter sperava soltanto che Kurama non eccedesse nel prelievo, e Arianrhod avesse più pazienza rispetto al solito, altrimenti sarebbero stati guai.
 
Non voleva vedere il filo della vita di Malcolm spezzarsi perché Kurama aveva infranto le regole al posto suo. Ma non poteva neppure intervenire per mettere in guardia la volpe su ciò che stava facendo.
 
Farlo, avrebbe voluto dire mettere in allarme anche Hashara, oltre che distruggere la seconda barriera contenitiva del Cerchio.
 
Se ciò fosse avvenuto, lo scudo creato da Inari non sarebbe bastato a salvare Kyoto.
 
Certo, se Hashara fosse riuscita a colpire uno solo di loro, il risultato sarebbe stato lo stesso. Kyoto sarebbe caduta.
 
Ma le mosse di Kurama erano state così leste e veloci, fin dall’inizio che, di fatto, Hashara poteva occuparsi solo di lei, e lei sola.
 
Quanto fosse durato quello scontro, però, era difficile dirlo. Soprattutto, Winter non aveva idea di come avrebbero fatto a dividere Rin da Hashara.
 
Non v’era stato tempo per parlarne, e l’unico piano che gli era balenato in mente lo terrorizzava perché sapeva benissimo che, se ciò che aveva in mente fosse avvenuto, Malcolm ne sarebbe rimasto traumatizzato a vita.
 
***
 
Come aveva previsto, il corpo fisico di Rin, pur sovralimentato dall’energia della volpe, stava cominciando a cedere.
 
Hashara l’avrebbe consumata fino all’ultima stilla di vita, pur di riuscire a penetrare nelle difese di Malcolm.
 
Se fosse stata in una situazione diversa, l’avrebbe lasciata a consumarsi fino a far perire il suo involucro umano, ma stavolta la faccenda era più complessa.
 
Sapeva bene di non poter salvare la vita a Rin; quella era stata persa fin da quando Hashara si era impadronita di lei. Però, poteva almeno tentare di salvare il suo spirito.
 
Non avrebbe permesso che esso si perdesse nel nulla eterno, dove neppure la luce poteva giungere.
 
Un’anima così candida, forte e pura non meritava una fine del genere e, così facendo, forse avrebbe salvato le menti di Malcolm ed Eiko dalla follia.
 
Hashara, invece, non meritava simili riguardi.
 
Non si stava minimamente preoccupando del suo involucro umano, lo stava sfruttando senza ritegno, così piena di sé da non rendersi conto dell’inevitabile.
 
La brama di potere della sua simile la stava conducendo alla sconfitta, lei talmente sicura di sé da pensare di poter tenere in vita Rin per sempre.
 
“Non ti sei mai soffermata a pensare a come sono i corpi e le menti di coloro che hai divorato nei secoli, sorella… e ora perirai per questo tuo errore” dichiarò Kurama, scagliandosi per l’ennesima volta contro Rin, che schivò a stento il fendente, finendo però con il crollare a terra stremata.
 
“La consumerò finché non vincerò… terrò insieme il suo corpo con il mio potere, se necessario, ma ti batterò!” replicò Hashara, sorda a qualsiasi parola detta da Kurama.
 
“Non puoi… e lo sapresti, se conoscessi le creature viventi come le conosco io. Hai perso fin dal momento in cui ti sei impadronita di Rin. Un semplice umano non può nulla, contro un Dominatore.”
 
“Tu menti!” ringhiò Hashara, rialzandosi a fatica per poi slanciarsi contro Malcolm.
 
Il giovane, guidato dall’abilità di Kurama, schivò il fendente di Rin, che ruzzolò di nuovo a terra, ormai priva di forze.
 
“Hai la verità dinanzi agli occhi. Se avessi pensato meno alla tua brama di potere e più al veicolo entro cui ottenerlo, avresti capito che Rin non ti sarebbe mai bastata” asserì Kurama, avvicinandosi a Rin un passo alla volta, mentre quest’ultima tentava invano di rialzarsi.
 
Hashara urlò, imprecò, infangò i nomi di dèi e spiriti, ma niente valse a fermare l’avanzata di Malcolm che, levata la spada sul corpo di Rin, esclamò: “Muori per sempre, Hashara!”
 
Ciò detto, calò la lama di luce sul corpo sfiancato di Rin, penetrandole le carni del ventre con un unico, fluido fendente.
 
Rin urlò, Hashara urlò e Kurama, trattenendo a stento la lama nel corpo della giovane, esclamò: “Ora, Malcolm! Non riuscirò a trattenere Hashara ancora per molto!”
 
Lo scambio fra loro fu immediato quanto feroce.
 
Fu come essere strattonati nel sonno, gettati a terra e calpestati, ma Malcolm non ebbe il tempo di lagnarsi per quel trattamento poco gentile.
 
La rapidità era tutto, in quel momento.
 
Fin da quando aveva lasciato il governo del suo corpo a Kurama, sapeva già cosa avrebbe dovuto fare in caso di vittoria. E a cosa si sarebbe trovato di fronte, rientrando in possesso dei suoi sensi.
 
Una Rin morente, sotto di lui, mentre implorava pietà.
 
Ugualmente, non si lasciò prendere dallo sconforto – Kurama aveva già fatto a sufficienza, per lui – e, allungata la sua mano spirituale verso l’anima di Rin, strattonò.
 
Tirò così forte che, quasi, temette di spezzarne anche il corpo, non soltanto il suo legame con Hashara.
 
Sentì gli artigli della volpe graffiargli le braccia, le gambe, ma non mollò la presa sullo spirito di Rin che, fremente, si era aggrappato a lui non appena il contatto spirituale era avvenuto.
 
La spada affondata nel corpo della ragazza serviva a questo; rendere possibile quel contatto tra anime, con il conseguente distacco forzoso tentato da Malcolm.
 
“Aggrappati a me più forte che puoi, Rin!” urlò Malcolm, sperando che il suo spirito fosse abbastanza in forze per sentirla.
 
L’entità spirituale della giovane parve comprendere le sue parole, perché le sue braccia si strinsero attorno al collo di Malcolm, che diede l’ultimo strattone per liberarla da Hashara.
 
Quando ciò avvenne si udì uno schiocco fortissimo, come di un bang sonico, e Rin fu con lui, libera, non più costretta dalla presenza di Hashara.
 
Malcolm, allora, ritirò l’arma e si allontanò di qualche passo dal corpo ora inerme di Rin.
 
Nella sua mente, nel frattempo, crollò a terra stremato, ancora circondato dal bosco placido eretto da Eiko.
 
L’anima di Rin, pura e candida, era assieme a lui.
 
Stretto a lei, tremante e ferito, mentre Eiko scoppiava a piangere di sollievo, Kurama riprese il controllo della voce di Malcolm – ma non del corpo – e disse a Hashara: “Ora muori, sorella… il vuoto ti attende.”
 
Hashara gridò contro di lei, ma fu un suono flebile, sempre più debole e, quando il corpo mortale di Rin ebbe esalato l’ultimo respiro, anche la volpe esalò il proprio.
 
Lo scudo di Inari si sciolse alcuni attimi dopo e, a quel punto, Winter slegò il loro cerchio, rilasciando le braccia ormai esauste lungo i fianchi.
 
Malcolm, però, ancora non si muoveva. Sembrava come in trance.
 
Quando infine lo spirito di Malcolm riuscì a concedersi il lusso di liberare Rin dal suo abbraccio, desiderò piangere di fronte alle inequivocabili ferite che l’anima dell’amica recava.
 
Ma sarebbe stato ingiusto e da codardi, visto l’enorme coraggio dimostrato da Rin fino a quel momento.
 
Lei sorrise appena su quel volto che non era corporeo ma solo composto di pulviscolo dorato, e mormorò: “Alla fine, mi hai liberata…”
 
“Non avrei mai voluto che ti usasse per arrivare a me… è tutta colpa mia…” sospirò Malcolm, carezzandola in viso con delicatezza.
 
Eiko fece lo stesso e Rin, nel volgersi verso di lei con quel corpo formato da pura energia, sorrise maggiormente e disse: “Il tuo ragazzo è testardo. Dovrai convincerlo tu che non ha colpa di nulla.”
 
“Ci proverò, amica mia, ma sarà difficile” sussurrò Eiko, tentando di non piangere a sua volta.
 
Kurama guardò i tre giovani, l’oscurità che cominciava a calare sul bosco attorno a loro, e disse spiacente: “La stanno chiamando, Malcolm… è ora di lasciarla andare.”
 
Malcolm, però, scosse il capo e, rivolto a Rin, disse: “Posso legarti a una delle mie fate, se tu lo vuoi. Non posso ridarti il tuo corpo, perché abbiamo dovuto ucciderlo, per imprigionarvi dentro Hashara in modo tale che morisse per sempre… ma potresti rimanere con noi con altre sembianze.”
 
Eiko spalancò la bocca per la sorpresa, prima di esalare: “Come tua madre!”
 
Mal assentì, continuando a osservare una stupefatta Rin che, confusa, mormorò: “E’ davvero possibile? Potrei rimanere qui… come fata?”
 
“Per sempre. Sarai per sempre una fata dello Spirito, pur se non potrai più essere una ragazza come Eiko” le propose Malcolm, continuando a carezzarle il viso.
 
Pur essendo solo spirito, manteneva ancora intatta la sua dolce bellezza e il suo candore.
 
Rin, allora, si volse a guardare l’amica con espressione turbata e mormorò: “Dovrò… dovrò vedervi morire, un giorno?”
 
“Preferiresti di no?” le domandò Malcolm.
 
La giovane anima scosse il capo, replicando: “Rimarrò qui solo il tempo concesso a Eiko. Non di più. Non sopporterei di vivere senza di lei.”
 
“Allora, che sia così” assentì il giovane, chiudendo gli occhi. “Ti lego alla sua anima come, un tempo, mio padre legò alla mia quella di mia madre. Il suo tempo sarà il tuo tempo e, quando uno terminerà, anche l’altro cesserà.”
 
Ciò detto, lanciò un’occhiata a Kurama che, avvoltolando Eiko con le sue code, asserì: “E’ tempo di tornare, bambina. Reggiti a me.”
 
***
 
Eiko riprese coscienza del suo corpo come se stesse respirando per la prima volta.
 
Ansò, divorando l’aria attorno a sé al pari di una persona che stesse annegando e, nel rivoltarsi di lato, rimise acidi e bile.
 
Anche per Malcolm, recuperare l’uso completo del proprio corpo non fu esente da danni.
 
Crollò in ginocchio, colpito da una tosse violenta e dolori un po’ ovunque, finché non scoprì di avere pesanti ferite da artiglio su gambe e braccia.
 
Ciò che era successo all’anima si era trasferito al corpo, quando aveva strappato Rin dalla presa di Hashara.
 
Non fu però questo a farlo cedere di schianto. Fu la vista del corpo esanime e bellissimo di Rin, steso sul ghiaccio, ormai freddo e pallido.
 
Non riuscì a controllarsi. Fu più forte di lui.
 
Scoppiò in un pianto dirotto e, stringendosi le braccia attorno al corpo, lasciò che le lacrime colassero sul suo volto distrutto.
 
Eiko lo raggiunse a fatica, gatton gattoni, e si strinse a lui per piangere l’amica, mentre il resto dei Dominatori li raggiungevano nel mezzo del lago ghiacciato.
 
Tutti si strinsero intorno a loro, persino Kurama, ma fu la mano diafana di Rin a bloccare il pianto del giovane.
 
Malcolm levò il capo di scatto e, quando si ritrovò a scrutare il volto traslucido dell’amica, le sue piccole ali piumate e il sorriso tranquillo, esalò: “Rin…”
 
“Hai fatto quanto potevi… anzi, di più, visto che ora sono qui. Asciuga le lacrime, amico mio, e prenditi cura di Eiko, come lei si prenderà cura di te.”
 
Ciò detto, scrutò le persone attorno a lei, sorrise ai Dominatori e a Kurama e, infine, osservò spiacente il suo corpo.
 
“Mi spiace soltanto per mamma e papà. Potrò mai dire loro cosa sono diventata?”
 
“Penserò io a parlare con loro e, quando sarò sicuro che ne avranno la forza, ti chiamerò… ma penso che non dovremo attendere molto” le promise Malcolm, levando una mano a stringere quella dell’amica. “Se sono forti e coraggio solo la metà di te, riusciranno a comprendere.”
 
Rin allora gli sorrise, danzò per un istante con il suo nuovo corpo e fluttuò fino a raggiungere Eiko, che abbracciò con forza, mormorando: “Ora, mi avrai davvero tra i piedi finché non esalerai l’ultimo respiro. Spero che la cosa non ti scocci troppo.”
 
Eiko, nonostante tutto, scoppiò a ridere e, nel replicare all’abbraccio dell’amica, replicò: “Sarà molto difficile che io mi stanchi di te… basta che tu non ficchi il naso nei momenti sbagliati.”
 
Rin scoppiò in una fragorosa risata, e questo bastò perché la tensione formatasi dopo la sua morte fisica scemasse del tutto.
 
Summer prese in giro il nipote, ipotizzando scenari hot l’uno più perverso dell’altro, mentre Autumn batteva una mano sulla spalla di un imbarazzato nipote, dandogli il suo sostegno morale di uomo.
 
Il tutto proseguì per diversi minuti finché Kurama, tossicchiando, richiamò tutti all’ordine e disse: “E’ tempo che vada anch’io…”
 
“Grazie di tutto, Kurama. Senza di te, Hashara avrebbe avuto gioco facile, contro di me” asserì Malcolm, rimettendosi in piedi per carezzare la volpe.
 
“Hashara non ha mai compreso come fossero gli umani, e questo è stato il suo più grande limite. Prosperare in questo luogo e crescere con la famiglia di Eiko, nel corso dei secoli, mi ha insegnato molto, e questo ha fatto la differenza. Diversamente, anch’io avrei potuto danneggiarti.”
 
“Davo per scontato che, visto che avevi già fatto qualcosa del genere con l’avo di Eiko, sapessi il fatto tuo” ironizzò Malcolm, facendo ghignare la volpe.
 
“Scusati con la tua dea da parte mia… ho cercato di essere il più delicata possibile, quando ho prelevato le energie degli abitanti di Kyoto per tenerti su, ma non so se lei abbia gradito il mio piano.”
 
“Credo che Ariahnrod lo sappia e…” cominciò col dire Malcolm, prima di volgere sorpreso lo sguardo.
 
Evidentemente, le sorprese non erano finite, per quella notte.
 
 

 

 

 

Note: Prima che vi venga il panico, vi avverto che la sorpresa è tranquilla, perciò non innervositevi.

Detto questo, direi che ormai i nostri eroi possono tirare un sospiro di sollievo, pur se Rin è dovuta morire per poter fermare Hashara.

Ho ancora qualcosa da dire, sul combattimento, perciò tutto verrà maggiormente spiegato nel prossimo capitolo, tranquille.

Spero che la soluzione che ho trovato per Rin possa alleviare il dolore per la sua perdita come persona. Diversamente, non avrei potuto fare. Era l'unico modo per salvare almeno una parte di lei.

Alla prossima!

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Capitolo 16
*** Cap. 16 ***


 
16.
 
 
 
 
Una civetta svolazzò sulle loro teste mentre, dalla scalinata del tempio, una figura biancovestita avanzava lenta e tranquilla.

Winter fu il primo a riconoscerla e, nel pregare tutti di uscire dal lago, mormorò: “Mia Signora… è un onore incontrarti qui.”

Solo Malcolm e Kurama non sospirarono di sorpresa – ben sapendo a loro volta che volto avesse la dea – e Arianrhod, sorridendo per un attimo a Winter, asserì: “Dominatore dell’Acqua… è sempre un piacere vederti. Come sta mia figlia?”

Uno sfrigolio del ghiaccio sul lago e, in un attimo, Erin riprese forma umana per inchinarsi dinanzi alla dea.

Ossequiosa le baciò la mano protesa e Arianrhod, sorridendole, disse: “Figlia cara, le tue energie sono ancora fuori controllo. Ma non temere, non sono qui per punire nessuno. Tuo figlio non verrà con me.”

“E’ un sollievo saperlo, Mia Signora” mormorò Erin, raddrizzandosi per poi andarsi a piazzare di fianco a Winter.

Arianrhod, a quel punto, sorrise tutti loro, annuì ossequiosa all’indirizzo di Malcolm e infine squadrò Kurama, asserendo: “Sei stata cortese ad aiutare mio figlio, demone-volpe. Così come lo sei stata con le creature che hai usato per salvare la vita a Malcolm.”

“Non volevo causare guai al bambino, visto che ero io a guidare la sua mano. Ho imparato, nei secoli, a rispettare e onorare la vita umana, e ho a cuore le sorti del clan dei Kurumi, di cui questa fanciulla è l’erede.”

Ciò detto, Kurama scrutò una più che mai confusa Eiko che, fino a quel momento, non era stata in grado di chiudere la bocca per il troppo stupore.

Arianrhod, allora, la osservò a sua volta, sorrise misteriosa e mormorò: “Oh… ha uno stupendo cuore, figlio mio. Capisco perché ti abbia conquistato.”

“Non potrei essere più d’accordo, Mia Signora” assentì Malcolm, sorridendo nel prendere la mano di Eiko che, a quel tocco, sobbalzò, tornando in sé.

Nel ritrovarsi gli occhi della dea addosso, oltre a quelli di tutti i presenti, la giovane arrossì e, reclinando il capo, sussurrò: “Mia… Signora…”

Arianrhod rise, le si avvicinò ancora e le sfiorò il mento per sollevarne il viso.

Scostandolo a destra e a sinistra per scrutarne ogni angolatura, la dea assentì nuovamente, mormorando: “Sì, davvero perfetta. E il tuo scudo è mirabile, fanciulla. Hai una mente assai potente, per essere una persona priva di poteri.”

“G-grazie” balbettò Eiko, incatenata a quegli occhi multicolori, vorticanti, in tutto simili a un tornado di forze diverse e in lotta tra loro.

Arianrhod sorrise e, infine, si rivolse alla neonata fata, allungando una mano verso di lei perché le si avvicinasse.

“Vieni, piccina, e fai la mia conoscenza” mormorò la dea con tono caloroso, punteggiato qua e là di dispiacere.

Rin si avvicinò con un balzello, imitò l’inchino che aveva visto fare a Erin e infine domandò: “Potrò davvero stare sempre con Eiko e Malcolm?”

“Sì, bambina… in quanto Fata dello Spirito, Malcolm governa i poteri che ti permettono di essere ciò che sei, quindi, non solo potrai, ma dovrai.”

Rin allora sorrise alla coppia di amici e disse: “Non potrei chiedere di meglio. Ma mi sarà concesso di dire la verità ai miei genitori?”

“Lascerò questa decisione al mio Dominatore” replicò Arianhrod, sollevando il braccio perché la sua civetta bianca si posasse sul braccio proteso.

Carezzandola gentilmente sul petto morbido e piumoso con il dorso di un dito, la dea aggiunse: “Poiché hai aiutato i miei Dominatori, Kurama, io ti sono debitrice. Hai fatto ciò che io non avrei mai potuto.”

Kurama scosse però il muso e replicò: “Una dea che governa il divenire, non avrebbe mai potuto viaggiare avanti e indietro nel tempo come posso fare io, perciò non ci sono debiti. Il tuo bambino ama la mia protetta, e lei, lui. Questo mi basta. So che Eiko sarà al sicuro, anche se io sarò qui al tempio con Inari.”

Sorpresa, Eiko domandò alla volpe: “Cosa intendi dire, Kurama?”

“Io e Ashara non abbiamo combattuto realmente in questo tempo. Non completamente, e non sempre.”

Ciò detto, scrutò con intenzione Autumn e aggiunse: “E’ per questo che i nostri movimenti sembravano erratici, difficili da cogliere a occhio nudo. Eravamo in movimento tra passato, presente e futuro. Questa strategia ha sfiancato sia me che Hashara e, se non fosse stato per i poteri di Malcolm, entrambe saremmo cadute a terra stremate, del tutto deprivate di energia, poiché quella che può contenere un essere umano non è infinita.”

La volpe li lasciò digerire quella notizia di per sé sconvolgente, prima di terminare il discorso che aveva iniziato.

“Se Hashara avesse speso più tempo nel conoscere gli uomini, avrebbe capito che attaccarmi qui, con l’aiuto di cinque Dominatori, sarebbe stata la sua fine. La sua superbia l’ha condannata prima ancora del mio colpo mortale.”

“Fa piacere sapere che non mi servono gli occhiali da vista, allora” ironizzò Autumn, facendo ridere la volpe. “Così come fa piacere sapere che qualcuno ha un po’ di sale in zucca.”

“Lo si ha in abbondanza, Dominatore, credimi” replicò Kurama, mostrando la sua mirabile dentatura.

Tornando infine a rivolgersi alla sua protetta, Kurama aggiunse: “Una dea come Arianrhod può solo procedere in avanti, poiché lei tesse i futuri di tutti. Non si può permettere alcuna regressione, o finirebbe per cambiare il futuro di colui cui regge il filo della vita.”

La dea assentì alla sua spiegazione e, nel rivolgersi ai suoi figli, asserì: “Ora riposate, figli miei, ma sappiate questo. La vostra dea è orgogliosa di tutti voi.”

Ciò detto, allungò una mano a Rin perché andasse con lei e, con la promessa di rimandarla da loro ben presto, si allontanò verso il bosco.

La civetta si levò in volo, lanciando il suo triste verso e, infine, scomparve assieme alla sua padrona.

Fu solo a quel punto che Summer si lasciò andare a un sospiro tremulo e preoccupato, asserendo a mezza voce: “Giuro… stava per venirmi un coccolone, quando l’ho vista avvicinarsi.”

Questo bastò perché tutti loro scoppiassero in una risata contagiosa e liberatoria.

E fu in quel momento che il sole sorse, brillante e caldo nonostante il freddo della notte appena trascorsa.

Malcolm lo guardò a occhi socchiusi, con Eiko stretta a lui in un abbraccio che, sperò, non avrebbe mai avuto fine.

 
***

“Ahia! Papà, vacci piano con quel betadine! Brucia come l’inferno!” protestò Malcolm, quando Winter cercò di disinfettargli le ferite causate dagli artigli di Hashara.

L’uomo si interruppe solo il tempo di permettere al figlio di smettere di divincolarsi, dopodiché riprese a disinfettare il braccio destro.

“Sei un gran lamentone, Mal… e poi, più ti divincoli, più impiegherò tempo” replicò il padre, passando la garza imbevuta di disinfettante sui tagli slabbrati.

“Mamma, diglielo tu che…” iniziò col dire il giovane prima di interrompersi, stupito, quando non la vide più nella stanza.

Il signor Kurumi aveva offerto loro quella stanza, per curare Malcolm, mentre lui era impegnato a rifocillare il resto del gruppo e prepararsi all’arrivo delle miko.

Winter, perciò, aveva seguito Mal nello stanzino, subito seguito da una ansiosa Erin.

Erin che però, in quel momento, sembrava sparita nel nulla.

“Dov’è andata la mamma?”

“Da Kimmy e gli altri. Voleva rassicurarli” gli spiegò il padre, il viso sempre reclinato verso le ferite e percorso da una gravità che, solo negli anni seguenti dopo la morte di Erin, era stata così evidente e forte.

Quando Winter imbibì la garza per l’ennesima volta, Malcolm si rese conto del leggero tremore alla mano del padre e, nel bloccare il suo polso, mormorò: “Papà, che succede?”

Win prese un gran respiro, prima di sollevare il volto e scrutare ombroso il viso del figlio.

Non era facile ammettere le proprie debolezze, ma vedere il figlio in difficoltà e, soprattutto, ferito nel corpo e nello spirito, lo aveva quasi spezzato.

Dinanzi a lui, però, aveva preferito non ammettere quanto, quello scontro, lo avesse provato. Doveva essere una roccia, per lui, sempre e comunque.

“Sono abbastanza grande per sopportare anche il tuo dolore, papà” gli rammentò Malcolm, sorridendogli mesto. “E non penserò che tu non sia forte, se anche ti lascerai andare.”

“Smettila di leggermi dentro” si lagnò Winter, spingendo un dito contro la sua fronte. Malcolm rise di quel gesto.

“Non sarà facile accettare che Rin è morta, ma saperla una fata mi aiuterà… ci aiuterà. Convivrò con il mio dolore e cercherò di farlo sparire un po’ alla volta.”

“Avrei solo voluto evitarti tutto questo… non vorrei mai vederti infelice” ammise Winter, carezzandogli il viso col dorso della mano.

“Ma non puoi. Il semplice percorso di crescita di una persona comune, implica degli stati di infelicità. Sta a noi scoprire come essere anche felici. In quanto Dominatore, ho la capacità di comprendere molte più cose degli altri, dell’animo umano, e soffrirò molto più di una persona qualunque, per questo, ma non temo più il mio dono. Ora, so veramente come usarlo, e non mi lascerò mai sopraffare da esso” gli sorrise per contro Malcolm, circonfuso da una nuova sicurezza.

Winter assentì e, non potendosi più trattenere, strinse delicatamente a sé il figlio e permise alle lacrime di scendere silenziose sul suo viso.

Malcolm lo strinse a sé, massaggiandogli la schiena in lenti cerchi per confortarlo, per cancellare il dolore che quella lotta aveva risvegliato nel padre.

Per alcuni istanti, rivide se stesso da bambino, infelice per la perdita della madre, mentre suo padre lo stringeva a sé, grande e forte e protettivo.

Sorridendo, Malcolm poggiò il capo contro la spalla di suo padre.

Ancora una volta, nonostante fosse lui, in quel momento, a consolare Winter, avvertì quel senso di protezione, di forza, di grandezza.

Suo padre sarebbe sempre apparso un colosso, ai suoi occhi, per tutta la vita.

Un guerriero, un protettore, un padre amorevole, una persona che avrebbe dato la vita stessa, e anche di più, per lui.

“Ti voglio bene, papà” sussurrò a quel punto Malcolm, desideroso di mettere a parole i sentimenti che avvertiva fin troppo forti, dentro di sé.

Winter si scostò da lui, gli sorrise e, nel baciargli la fronte, mormorò: “Is breá liom tú1figlio mio…”

Un quieto bussare alla porta interruppe quel momento e Winter, nel volgersi a mezzo, disse: “Sì?”

“Sono Eiko. Vi ho portato un vassoio con qualcosa da mangiare, prima che si freddi” rispose la ragazza con tono compito.

L’uomo fissò il figlio con ironia – Malcolm era in boxer, visto che aveva ferite sia su braccia che gambe – e chiosò: “Non sei presentabile, ma fa lo stesso. Immagino ti abbia già visto così.”

“No, per la verità” sottolineò Malcolm, afferrando una felpa per coprirsi alla bell’e meglio.

Winter, allora, sghignazzò leggermente e, nell’andare ad aprire, sorrise a Eiko e, afferrato un panino caldo e fumante, le passò accanto sussurrando: “Vado a dare fastidio a Autumn, così non origlierà. E busserò, prima di rientrare. Ciao.”

“Eh? Oh, ah… ecco… g-grazie” balbettò Eiko, divenendo paonazza in viso mentre Winter si allontanava con il suo panino in mano e un sorrisone stampato in viso.

Nel chiudersi la porta alle spalle, la giovane si morse un labbro nel notare il torace nudo di Malcolm e le gambe mezze scoperte… e segnate dai tagli di Hashara.

L’imbarazzo venne subito sostituito dall’ansia per lui e, nel poggiare il vassoio accanto a Malcolm, esalò: “Oh, cielo… non mi ero resa conto di quanto fossero profonde.”

“Sono più brutte di quel che sembrano” minimizzò Mal, ritrovandosi ad affrontare due occhi neri e feroci.

Assottigliando le iridi infuocate, Eiko borbottò: “La verità, Malcolm. Niente di meno. Non dopo tutto quello che ho visto! Non voglio rischiare di impazzire senza un buon motivo!”

Sospirando nel vederla così volitiva e sì, decisa a tutto pur di conoscere le sue reali condizioni, il giovane allora disse: “Fanno un male cane e, quando ci passi sopra il betadine, è peggio. Ma non ho veramente idea se gli artigli di un demone possano fare infezione, perciò è meglio sopportare in silenzio, piuttosto che andare in setticemia.”

Afferrato batuffolo e betadine, Eiko si mise d’impegno per proseguire il lavoro di Winter lasciato a metà e, accigliata, mormorò: “Mangia con la mano libera, mentre ti sistemo qui. Almeno, avremo tutti e due qualcosa da fare.”

Lui assentì ma, nel notare il suo disagio, le domandò: “Che succede, Eiko?”

“La verità?” sussurrò allora lei, levando due occhi liquidi a guardarlo dubbiosa.

“Solo e unicamente la verità” assentì lui.

Eiko, allora, poggiò i medicamenti e lo strinse così forte da strappargli un ansito di sorpresa e dolore.

“Ehi, calma, mo chrói…

“Ho avuto una paura folle, quando Hashara ha afferrato te e Rin. Temevo vi avrei perso entrambi, e a me sarebbe toccato vivere tutta la mia esistenza senza di voi” ansò terrorizzata Eiko, aumentando ulteriormente la stretta.

Malcolm replicò alla stretta con una più lieve per non farle male e, dandole un bacetto sul collo, mormorò: “Ho avuto paura anch’io e, se ci ripenso, tremo ancora. Sarebbero potute andare storte un milione di cose, ma non è successo. Siamo qui, siamo vivi…”

“Non Rin” sottolineò Eiko con un sospiro tremulo.

“No, ma per lei ho fatto quanto di meglio fosse possibile, vista la sua condizione… e non la perderemo mai, così” le sussurrò gentilmente, carezzandole i lunghi capelli.

Eiko sospirò più tranquilla e l’abbraccio si fece più dolce, meno sincopato.

Le mani scorsero lungo la schiena nuda e Malcolm inspirò con forza, sussurrando: “Attenta, Eiko… non sono così stanco da non reagire al tuo tocco.”

Lei, allora, si bloccò, sorrise contro la sua spalla e mormorò: “Scusa. Ma ora come ora, sono un po’ scombussolata.”

“Ci arriveremo, ma non in questo momento. Vorrei offrirti qualcosa di più di un tavolo su cui stenderti” le sorrise lui, scostandola per baciarla con tenerezza.

“Oh, credimi, in questo momento andrebbe bene anche il pavimento…” esalò lei, facendolo scoppiare a ridere. “… ma hai ragione. Nessuno ci corre dietro, adesso. Niente più demoni pronti a mangiarci, o dee che possono portarci via da un momento all’altro.”

“A cosa diavolo ti ho messa di fronte…” si lagnò Malcolm, scuotendo il capo.

Eiko però gli sorrise, strinse il suo viso tra le mani per dargli un bacetto e replicò: “Ho detto che va bene. Tutta la verità, nient’altro che la verità e, anche se certe cose sono veramente folli – perché ammettiamolo, la vostra dea fa veramente paura, tanto sembra potente – sono disposta ad accettare ogni cosa, per te, chiaro?”

“D’accordo” assentì Malcolm, non potendo far altro che gioire all’idea di aver trovato una persona come Eiko, sul suo cammino.

“Quindi, tolto tutto ciò, non devo preoccuparmi di altro, vero? O di qualcuno?”

“No, di nessuno” sussurrò lui, afferrandola alla nuca per darle un bacio.

Con un ansito, affondò nella sua bocca e tornò a stringerla a sé, lasciando che le sue mani le carezzassero quei lunghi capelli serici e profumati.

Non l’avrebbero fatto, no, non era né il tempo né il luogo, ma non avrebbe rinunciato a quel bacio per nulla al mondo.

Come non avrebbe rinunciato a Eiko per nulla al mondo.

 
***

Il disbrigo delle questioni burocratiche legate alla morte di Rin, fu tedioso e quanto mai struggente, per Eiko.

Furono costretti a mentire, poiché sarebbe stato impensabile ammettere la verità con le autorità.

Nessuno avrebbe creduto loro, e il segreto degli Hamilton sarebbe stato in pericolo, ogni cosa sarebbe andata a catafascio.

Quando, perciò, i suoi genitori e quelli di Rin si presentarono al tempio su sua richiesta, la polizia era già stata allertata e, ben presto, sarebbero giunti.

Eiko li pregò di ascoltare sia lei che il nonno e, per tutto il tempo, la giovane tenne stretta a sé la madre di Rin, in lacrime e colma di dubbi e domande.

Fu Kurama stessa a sciogliere qualsiasi dubbio, presentandosi nella sua forma animale nel centro del tempio, così che le parole di Eiko avessero un senso.

Sulle prime, nessuno di loro volle credere a quell’apparizione, ed Eiko comprese più che bene le loro ritrosie.

Per uno shintoista, era facile credere ai kami, così come diceva la loro religione, ma un conto era dire… un altro era trovarsene dinanzi uno.

Nonno Kurumi dovette usare tutta la sua affabilità per calmare i quattro genitori e, quando Kurama finalmente poté parlare, conquistò la loro attenzione.

Quando infine giunse la polizia, fu Eiko a prendersi l’impegno di spiegare loro cosa fosse successo all’amica.

Li accompagnò sul monte Inari, mostrò loro il cadavere e spiegò ai due poliziotti che Rin era crollata a terra priva di vita, col sorgere del sole, dopo una notte passata in tenda nei pressi del tempio.

Nulla di ciò che aveva tentato, era servito a salvarla.

Come Kurama le aveva spiegato, se anche avessero tentato un’autopsia, avrebbero trovato solo i segni di un infarto del miocardio.

La spada di luce non aveva inferto danni al corpo, ma solo divelto l’anima.

Quando l’anima si era distaccata dal corpo, il cuore era collassato, andando in arresto.

Il tutto si svolse nel più completo riserbo e con estrema cortesia da parte dei poliziotti, che interrogarono i genitori per sapere di eventuali malattie pregresse della figlia.

Eiko fu sempre accanto a loro, non lasciò la coppia neppure per un attimo e, a ogni domanda dei poliziotti, rispose con lucidità.

Quando infine Rin venne condotta all’ospedale per un controllo di rito, la giovane poté concedersi il lusso di un pianto silenzioso, sostenuta dall’abbraccio di Malcolm.

 
***

Accomodato su una panchina nel giardino privato della casa dei Kurumi, Malcolm venne raggiunto da Kenzo, il padre di Eiko.

Il resto di entrambe le famiglie si trovava all’interno della casa tradizionale dei Kurumi, che si trovava alle loro spalle.

Allungandogli una Asahi in lattina, Kenzo gli sorrise a mezzo e asserì: “Dalle videochiamate di Eiko, ci era parso di capire un suo interesse per te, ragazzo, ma mai avremmo pensato che, quando lei ti definiva ‘speciale’, lo fossi così tanto!

Sorridendo sghembo, Malcolm assentì debolmente, replicando: “All’epoca, Eiko ancora non sapeva nulla. Però fa piacere sapere di averla colpita per qualche altro motivo che non fosse …, beh, questo.”

Ciò detto, sollevò una mano e la mosse come se volesse compiere una magia di qualche tipo.

“Non l’abbiamo mai vista così coinvolta… o combattuta” annuì pensieroso Kenzo, sorseggiando la sua birra. “Non sapevamo se esserne lieti, o preoccupati.”

“Credo che mio padre abbia avuto più o meno gli stessi pensieri, a tempo debito. Essendo ciò che sono, sa quanto un… coinvolgimento intimo possa turbarmi, se non c’è lealtà alla base del rapporto” ammise Malcolm, giocherellando con la sua lattina. “Ci sono già passato.”

Era stato strano parlare con loro, presentarsi ai genitori di Eiko con la Spada di Damocle dei loro poteri già sguainata e brillante sulle loro teste.

La schiettezza di Kurama aveva implicato altrettanta chiarezza da parte loro, o nulla avrebbe avuto un senso, per i genitori di Eiko e Rin.

Già così, doveva essere stato comunque difficilissimo prendere per vere le loro parole e accettarli nella loro vita, da quel momento in poi.

“Sai, credo che per Kazue e Iroshi sia un sollievo sapere che la figlia è rimasta qui con le sembianze di un kami” mormorò Kenzo dopo alcuni attimi di silenzio.

“Non ho potuto fare più di questo, per lei” sospirò Malcolm, reclinando il viso.

L’uomo, allora, gli batté una mano sulla spalla, sorrise e replicò sentitamente: “Hai fatto molto più di quanto avremmo potuto fare io, o Motoko, o mio padre… quel vecchio… sempre a blaterare di quella vecchia volpe… e ha sempre avuto ragione!

Malcolm sorrise a mezzo nel notare gli occhi vagamente sgranati di Kenzo, indice primo dell’incredulità che ancora galleggiava nel suo animo.

Sarebbe perdurata ancora per diverso tempo, ma Malcolm aveva visto in tutti loro anime in grado di sopportare quel peso.

Erano persone speciali, esattamente come la le figlie che avevano cresciuto.

Nel terminare la sua birra, Kenzo aggiunse: “Non avevo mai capito perché volesse con così tanto ardimento che noi portassimo Eiko al tempio. Ma ora che so, beh… dovrò proprio ringraziare mio padre.”

Ancora una risata incredula, e Malcolm accentuò il suo sorriso.

Ve ne sarebbero state ancora molte, poiché non tutto poteva essere assimilato al primo colpo, o dopo poche parole.

Vi sarebbero state mille altre domande, dubbi e incredulità, ma l’essere stati accettati per ciò che erano, era un buon inizio.

Quando anche Motoko si presentò in giardino, il bel caschetto di capelli neri a incorniciare un viso tondo e allegro, Malcolm disse: “Sarà meglio se rientriamo. Non voglio far preoccupare nessuno.”

“Certe cose si assimilano meglio nel silenzio e nella solitudine, Malcolm-san” replicò pragmatica Motoko. “Sapere che tu e la tua famiglia vi siete fidati di noi per esporci un segreto di tal portata, ha voluto dire molto, per me e per Kenzo, così come per Iroshi e Kazue. E, vedendo come Eiko è felice, non posso che essere lieta che ti abbia incontrato.”

“Grazie, signora Kurumi” mormorò Malcolm.

Lei allora rise dolcemente, scosse il capo e disse: “Motoko, caro. Solo Motoko. Come mi ha detto Eiko, in famiglia ci si da del tu.”

Annuendo nel ridere per quell’accenno, Malcolm si alzò assieme a Kenzo e, tornando in casa con la coppia, celiò: “E’ il motto di casa mia.”

“E’ un bel motto” chiosò Kenzo.

Quando infine si accomodò su uno dei bassi divanetti del salotto, Malcolm non si stupì più di tanto, quando udì la voce tranquilla di Ben fare capolino nella sua mente.

“Come va, laggiù nel Sol Levante?”

“Tutto bene, più o meno.”

“Ho visto Rin… è davvero favolosa, nelle vesti di fata.”

“Già. I suoi genitori l’hanno presa bene, dopotutto, e sembra che siano onorati che la loro figlia sia divenuta un kami.”

“Hai potuto dar loro molto più di una tomba su cui piangere, Malcolm. Grazie a te, potranno parlarle, vederla, e sapere che non si ammalerà mai, o nessuno potrà farle del male” gli rammentò Ben, saggiamente. “Quanti genitori possono dire lo stesso, per i propri figli?”

“Non avrò un crollo emotivo, davvero… credo di essere giunto più o meno a un compromesso, riguardo a Rin e a… beh, alla sua morte” lo rincuorò Malcolm, mentre sua zia Spring gli allungava un piatto con dell’okonomiyaki.

“Ti terrò comunque d’occhio ancora per un po’… ma prima, controllerò che tu non sia con Eiko. Non si sa mai” sghignazzò Ben dentro la sua testa.

Nonostante tutto, Malcolm scoppiò mentalmente a ridere e, nel mandarlo debitamente al diavolo, asserì: “Grazie per il tuo prezioso aiuto, Fenice, e grazie per aver pensato a proteggere la mia famiglia.”

“Per gli amici, questo e altro. E ora goditi la festa, amico… te la sei meritata.”

Ciò detto, Ben sparì dalla sua mente e, nel sorseggiare un po’ di birra, sorrise tra sé.

Sì, non sarebbe stato né oggi né domani, ma alla fine avrebbe accettato ciò che era avvenuto e non ne avrebbe più pianto.






 
1 Is breá liom tú: (gaelico irlandese) Ti voglio bene.



Note: Siamo quasi al termine di questa avventura, di cui spero di aver svelato tutti i misteri fin qui posti dinanzi a voi. Aveste dei dubbi, comunque, non esitate a chiedere.
Arianrhod ha pensato di dover intervenire in prima persona, questa volta, vista la vicenda più unica che rara in cui sono incappati i suoi figli, e il suo arrivo ha portato un certo scompiglio, visto che non si può mai star tranquilli quando un dio decide di mostrarsi.
Fortunatamente, la dea voleva solo congratularsi con i Dominatori e ringraziare Kurama, oltre a condurre per un po' con sè la giovane Rin. In fondo, lei è diventata una delle sue figlie, ed è giusto che le parli un po' di ciò che le spetterà come fata, non vi pare? ;-)
Venerdì prossimo ci sarà l'epilogo e poi, per un po', mi prenderò una pausa per pensare a cosa proporvi. Ci sono tanti progetti e molte idee, ma devo metterli nero su bianco, e questo richiederà un po' di tempo.
Voi, comunque, continuate a curiosare nella mia bacheca. Qualche OS ogni tanto potrebbe comunque comparire, nel frattempo.
Grazie per avermi seguita in questa avventura, e alla prossima!



 


 

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


 
Epilogo
 
 
 
 
24 Dicembre – Hamilton Manor
 
 
La neve cadeva fitta dal cielo, ammantando ogni cosa con il suo bianco velo.
 
La collina su cui sorgeva il castello, il lago, l’ampia strada che conduceva al maniero in arenaria grigia, ogni cosa era uniformemente bianca e splendente, nella luce diafana del giorno.
 
Quella sera avrebbero festeggiato la Vigilia di Natale e, come sempre da quando la famiglia si era riappacificata, il castello sarebbe stato gremito di persone, festoso e allegro come da sempre avrebbe dovuto essere.
 
Per quell’occasione speciale, il maniero sarebbe rimasto chiuso ai turisti – di cui si occupavano Colin e Miranda – e, per una volta, le segrete del castello, la sua sala d’armi e gli antichi camminamenti non avrebbero ascoltato le risate dei bambini e i commenti degli adulti.
 
La famiglia e gli invitati si sarebbero radunati ai piani alti, dove si trovavano gli appartamenti degli attuali inquilini e dove erano collocate le stanze a uso esclusivo della famiglia Hamilton. Lì si svolgevano anche le riunioni del Clan.
 
Per quell’anno, avrebbero ospitato anche le famiglie di Rin, Eiko e Benjamin.
 
Dopo gli eventi così drammatici che li avevano visti coinvolti loro malgrado, a Winter era parso giusto riunirli tutti sono un medesimo tetto. Niente sarebbe più stato lo stesso, per le due coppie giapponesi e l’unica loro figlia rimasta, e la presenza di Ben sarebbe servita a dare loro conforto e aiuto.
 
In questo, la Fenice era unica in tutti i sensi. Fenice che, in quel momento, stava esibendosi in un capitombolo degno di tale nome, colpito proditoriamente dalla sorella con una enorme palla di neve.
 
Sunshine rise assieme alla sua omonima più giovane, mentre Selene dava una mano a Ben a rialzarsi e Coryn e Shanna preparavano nuovi armamenti per ribattere all’offensiva.
 
Sull’altro lato della barricata, Anthony e Cynthia stavano facendo la stessa cosa, ridendo della caduta di Ben senza badare al volume elevato dei loro schiamazzi.
 
Malcolm sorrise nel vederli così ridenti e spensierati ed Eiko, al suo fianco, gli strinse una mano, asserendo: “Si stanno divertendo tutti tantissimo. Ma come mai hai deciso di non partecipare alla battaglia?”
 
“Perché? Si bagneranno fino al collo, e io detesto prendere il raffreddore. Lo prendo già senza che me lo vada a cercare” ironizzò Malcolm, nascondendo il volto oltre il bordo della pesante sciarpa che indossava.
 
Eiko rise di quel suo strenuo tentativo di difendersi dai batteri esterni e, nell’osservare i suoi genitori e quelli di Rin, impegnati a parlare con Winter, gli domandò: “Pensi che il senso di straniamento passerà?”
 
“Ci vuole tempo, per tutti. Chiedi a mamma cosa ha pensato, la prima volta che ha visto mio padre nei panni di Dominatore dell’Acqua. Pensava che fosse un X-men!” rise Malcolm, ed Eiko con lui. “O Max… è svenuto, quando zia Summ gli ha mostrato il suo potere. Forse, zia Mel è quella che l’ha presa meglio. Si è limitata a credere che lo zio fosse un dio… e penso che, a volte, lo creda ancora.”
 
Nel dirlo, sorrise in direzione della coppia che, mano nella mano, stava facendo una passeggiata nei pressi del filare di abeti che delimitava la proprietà.
 
Pur con tutte le rassicurazioni di Erin sulla buona riuscita della missione, quando gli Hamilton erano tornati a Washington, il ricongiungimento era stato traumatico quanto ricco di pathos.
 
Kimmy si era quasi arrampicata su Winter, incollandosi al marito al pari di un koala e, per tre giorni di fila, non lo aveva mai perso di vista.
 
Mel non era stata da meno, e si era stretta al braccio di Autumn come se ne andasse della propria vita.
 
John e Max erano stati più compiti, nei modi, ma i risultati erano stati più o meno gli stessi.
 
Tutti i bambini, infine, avevano dormito nel lettone dei genitori per la prima volta dopo anni, gli uni stretti agli altri in un abbraccio collettivo che sapeva di amore e di sollievo per il pericolo scampato.
 
Malcolm, più di tutti, poi, aveva ricevuto testimonianze di affetto e comprensione che, alla fine, lo avevano quasi convinto a scappare di casa.
 
A volte, anche la troppa dolcezza e il troppo amore potevano risultare indigesti.
 
Quell’avventura in terra straniera aveva lasciato strascichi su tutti loro, in un modo o nell’altro ma, presto o tardi, tutto sarebbe stato superato.
 
Erano sopravvissuti all’assalto di una volpe millenaria e sanguinaria… potevano sopravvivere anche a un po’ di shock post-traumatico e a qualche bacio e abbraccio in più rispetto al solito.
 
Il fatto che nella cultura giapponese si credesse negli spiriti, aveva in parte aiutato gli Otonashi e i Kurumi ad accettare la nuova forma di Rin. Saperli lieti all’idea di non avere perso del tutto la figlia, aveva reso più facile accettare anche per Malcolm ed Eiko, il futuro di Rin.
 
Il pensiero di non aver fatto abbastanza, per lei, continuava a ossessionare entrambi ma, proprio grazie ai sorrisi delle due famiglie nipponiche, era più semplice procedere con la guarigione delle loro anime ferite.
 
Sorridendo leggermente quando vide Rin comparire al fianco dei genitori nella sua forma a grandezza naturale – poteva prendere le forme che voleva – Mal mormorò: “Sembra si sia abituata bene a comparire senza che io la chiami.”
 
Eiko assentì, continuando nella sua passeggiata assieme a Malcolm.
 
Quando erano giunti a Hamilton Manor, due giorni addietro, Eiko era rimasta colpita dalla grandezza e bellezza di quel luogo.
 
Dopo aver vissuto le incredibili avventure di cui era stata protagonista, non si era però meravigliata più di tanto che il suo fidanzato avesse un maniero da favola in cui poter abitare.
 
Malcolm glielo aveva fatto visitare in tutta la sua ampiezza e, accompagnati da una curiosa Rin, ne avevano scoperto ogni angolo più nascosto.
 
A quel punto, avrebbe potuto percorrerlo anche a occhi chiusi, ma visitarlo in compagnia del fidanzato era sicuramente più piacevole.
 
Malcolm le sorrise divertito, ed Eiko seppe che le aveva letto la mente.
 
Non le spiaceva affatto che lui sapesse ciò che pensava e anzi, a volte era anche meglio che parlare ad alta voce.
 
Poter affondare nei suoi pensieri era qualcosa di incredibile, di profondo, di straniante. Ma la faceva sentire bene, completamente appagata.
 
Anche se a volte arrossiva come una quindicenne quando lui la scopriva a pensare a loro due assieme, le piaceva comunque avere quel rapporto con Malcolm.
 
“Anche io preferisco visitare il castello in tua compagnia” le disse Mal, scrollando leggermente le spalle.
 
Eiko fece per replicare, ma le facce di Sunshine e Selene la fecero scoppiare a ridere e Malcolm, curioso, le domandò: “Beh? Che c’è?”
 
La giovane gli indicò le cugine e Mal, nel notare quanto fossero imbambolate e con gli occhi sognanti, scoppiò a sua volta a ridere.
 
Ogni qualvolta compariva il padre di Benjamin, Morgan Thompson, quelle due andavano in brodo di giuggiole. Evidentemente, il fascino latino, su di loro, aveva un potere enorme.
 
Asciugandosi una lacrima d’ilarità, Eiko esalò: “Dovremmo dire a Joy di non mostrare troppo spesso suo marito. Ha effetti deleteri sulle ragazzine.”
 
“Solo sulle ragazzine?” ironizzò Malcolm, ammiccando al suo indirizzo.
 
“Oh, non solo su di loro. Morgan è davvero affascinante, ma nella tua famiglia c’è un tale concentrato di testosterone di prima qualità, che è difficile scegliere” replicò lei, con altrettanta ironia.
 
Malcolm le sorrise divertito e, nel darle un bacio, mormorò sulle sue labbra: “Spero comunque di essere il tuo preferito.”
 
“Sempre” assentì lei, lasciandosi avvolgere dal suo calore e dal suo potere.
 
Fin dalla prima volta in cui aveva sperimentato quel dolce affondare nel suo animo, Eiko aveva capito di non poterne fare a meno.
 
Altri l’avrebbero trovata strana, persino troppo forte, come esperienza ma, per lei, stava diventando normale e vitale come l’aria.
 
Forse, molto semplicemente, perché era una parte importante – per non dire vitale – di Malcolm, ed Eiko voleva essere partecipe di tutto ciò.
 
Non fu strano, quindi, percepire il suo desiderio a stento trattenuto, l’amore che provava per lei, un pizzico di paura al pensiero di spaventarla.
 
Quello era sempre presente, come se Malcolm temesse che, da un momento all’altro, qualcosa potesse essere troppo, per lei, e potesse farla fuggire.
 
Quando si scostò da lui, perciò, gli sorrise come sempre e, come sempre, gli carezzò il volto per fare svanire dai suoi occhi quella scintilla di insicurezza.
 
Malcolm la ringraziò con un sorriso di autentica venerazione – a quello, Eiko doveva ancora abituarsi – e, nel riprendere la via del maniero, lui disse: “Stasera si festeggerà fino a tardi. Siamo soliti aprire i regali a mezzanotte.”
 
“Nessun problema. Ho chi mi terrà desta” ammiccò lei, dandogli un colpetto con la spalla.
 
Lui assentì e, quando oltrepassarono il ponticello che li divideva dalla spianata dinanzi al castello, esclamò: “Ben, prendo il tuo posto!”
 
“Grazie, amico! Ho proprio bisogno di un po’ di caldo, a questo punto!” rise Ben, battendo il cinque con l’amico.
 
Ciò detto, si scostò dal campo di gioco e, raggiunto lo stradello sgombro di neve, lasciò che il suo fuoco lo avvolgesse per alcuni secondi, scatenando le grida di tutti.
 
“Esibizionista!” gli urlò contro sua sorella, mentre la piccola Sunshine e Shanna fischiavano come allo stadio.
 
Cynthia e Selene, invece, si avvicinarono per scaldarsi, e Coryn dichiarò serafico: “Aspetta che abbia anch’io il controllo sul mio, di fuoco, poi vedremo…”
 
“Ben detto, nipote! Gli faremo vedere noi!” esclamò Summer, imitando Benjamin.
 
Summer non aveva però tenuto conto della propria posizione, quando scatenò le sue fiamme scarlatte. Non appena il fuoco lambì la superficie nevosa, questa si sciolse, e i ragazzi le urlarono di smettere subito.
 
“Ops… ho dimenticato di usare quelle fredde” ironizzò lei, guadagnandosi le occhiatacce contrariate dei nipoti.
 
Kimmy, che aveva osservato l’intera scena da breve distanza, scosse il capo con espressione esasperata e domandò: “Che senso ha insegnare loro l’educazione, se poi tu fai peggio di loro, Summy?”
 
La Dominatrice del Fuoco, imperturbabile, richiamò le fiamme, batté una mano sulla spalla di Coryn e replicò: “Dai, Kimmy… non ti lamenterai mica dei tuoi figli, spero?”
 
“Per niente. Ma istigarli a usare i loro poteri come fossero giocattoli, non va bene” ribatté la donna, pur sorridendo alla cognata.
 
“Oh, povera la mia Kimmy, bistrattata da quella cattivona della zia Summer” ironizzò la Dominatrice, strizzando l’occhio a Coryn prima di correre ad abbracciarne la madre.
 
“Dai, piantala, Summ” brontolò Kimberly, allontanando con le mani la donna che, ridendo, stava tentando di darle un bacetto.
 
Tutti loro risero di quella commedia e Winter, ancora a fianco dei coniugi Otonashi e Kurumi, chiosò: “Siamo un branco davvero eterogeneo e chiassoso ma, come vedete, siamo anche assai allegri. Non ci si annoia mai, questo posso assicurarvelo.”
 
Motoko gli sorrise e, nell’osservare la figlia ridente e serena mentre se la rideva con Sunshine Thompson, asserì: “Abbiamo sempre voluto per le nostre ragazze un futuro speciale… più di così, penso che non avremmo potuto ricevere.”
 
Anche la madre di Rin assentì, sorridendo alla figlia che, nello stringersi alla donna, dichiarò: “Malcolm mi ha salvata in tutti i modi possibili, e mi ha resa qualcosa che mai avrei immaginato. Certo, non potrò darvi dei nipotini, ma a quello penserà Eiko…”
 
Come fata superiore dello Spirito, Rin poteva essere ascoltata da tutti, poiché parlava direttamente allo spirito delle persone. Contrariamente a Erin che, in quanto legata all’elemento Acqua, poteva interagire solo con i suoi congiunti, Rin non aveva problemi a farsi capire da chiunque lei volesse.
 
Le due coppie scoppiarono a ridere di fronte alla sua malcelata ironia e Winter, tossicchiando, esalò: “Ah, beh, cara… diamo il tempo al tempo. Quei due ragazzi non devono certo correre, ti pare?”
 
“Oh, ma certo, Winter, non dico che debbano farlo ora… ma credi davvero che Malcolm non voglia avere dei figli? Sarebbero come minimo bellissimi, visti i geni portentosi che ha” rise dolcemente Rin, danzando leggiadra attorno ai suoi cari. “E, con Eiko come mamma, avrebbero quel qualcosa in più che li farebbe diventare splendidi.”
 
Win assentì divertito alla fata, replicando: “Non posso che dirmi d’accordo, o mi darei la zappa sui piedi da solo. Ma desidero solo che facciano quello che vogliono. Niente verrà mai loro imposto.”
 
Quel capitolo si era chiuso con lui ed Erin. Nessun altro Guardiano avrebbe subito quella imposizione dal Clan.
 
Erano liberi, ognuno di loro lo era, in mille modi diversi, e la nuova generazione, il nuovo Cerchio, sarebbe stato il primo di una generazione nata senza vincoli.
 
Selene scelse quel momento per bloccarsi nel bel mezzo di una lotta a palle di neve con Malcolm e, abbracciando stretto il cugino, lo fece chinare per dirgli due parole nell’orecchio.
 
Mal si irrigidì per un istante, sorrise a Eiko e lei arrossì per diretta conseguenza.
 
Nessuno naturalmente parlò, e Summer diede dell’ingrata ai nipoti per quel silenzio ma Winter, nel notare il sorriso estasiato del figlio, ammiccò alla fata dello Spirito e mormorò: “Forse, dovrò cominciare a cercare una casa per mio figlio, a Washington, mentre lui ed Eiko finiscono gli studi.”
 
“Pensi che loro…”
 
“Non ora, ma succederà. O almeno, mi pare di capire questo, dal sorriso un po’ scemo di mio figlio” ironizzò Winter, sorridendo poi a Kenzo e Motoko. “Avevo lo stesso sorriso, quando Erin mi disse di aspettare Malcolm.”
 
“E’ il caso di preparare già un corredino, allora?” esalò Motoko, coprendosi le guance in fiamme con le mani.
 
Kazue, la madre di Rin, sorrise all’amica e, rivolta a Winter, domandò: “Pensi che ce lo diranno, prima o poi?”
 
“Credo proprio di no. Mio figlio è un po’ timido, quando si tratta di parlare di se stesso. Penso lo sapremo quando ci sarà veramente qualcosa di cui parlare, e non solo di una visione avuta dalla nostra splendida nipotina” replicò Winter, lieto che Selene avesse visto nel loro futuro qualcosa di così bello.
 
Avevano bisogno di serenità, e pensare a un bambino – o una bambina – non ancora tra loro, ma presente tra le maglie del tempo, era piacevole.
 
Rin, infatti, batté le sue mani traslucide ed esalò: “Ora vado a tartassare Eiko… ma prometto di non farvi la spia, se non vorrete.”
 
Kazue rise, diede un bacio alla figlia e disse: “Non pressarla troppo, però. Mi raccomando.”
 
“Sarò una bravissima fata, promesso” li rassicurò lei, involandosi con il suo corpo sinuoso e brillante come una piccola stella.
 
“E’ davvero un bellissimo kami” mormorò Iroshi, lappandosi nervosamente le labbra nell’osservare le movenze eleganti della figlia.
 
Winter gli batté una mano sulla spalla, assentendo, e disse: “Il più bello… presenti esclusi.”
 
Erin, alle sue spalle, sorrise divertita e si unì a sua volta alla compagnia, raggiungendo il figlio con il suo incedere fatto di cristalli di ghiaccio e gocce d’acqua.
 
Sì, il loro era davvero un branco eterogeneo, folle a vedersi, ma nessuno avrebbe potuto trovare al mondo famiglia più unita della loro.

 

 

Note: Qui si concludono le avventure della famiglia Hamilton. Il Cerchio si è completato, e una nuova schiera di Dominatori è pronta a crescere sotto la guida di Winter e gli altri Guardiani degli Elementi.

Spero che vi sia piaciuto leggerla, come a me è piaciuto scriverla.

Per il momento, vi dico arrivederci, poiché mi prenderò una pausa per portare avanti un’altra storia. Non ho idea di quanto mi ci vorrà, ma non è detto che, nel frattempo, io non possa postare anche qualche OS sul mondo di Hannah e Nickolas, oppure sui lupi di Brianna. Tenete d’occhio la bacheca, non si sa mai.

A presto, e grazie a tutte/i voi, che con tanta passione mi avete seguito fino a qui.

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