Dolci lacrime amare

di pandafiore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dolci lacrime amare ***
Capitolo 2: *** Giorno 1. ***
Capitolo 3: *** Giorno 2. ***
Capitolo 4: *** Giorno 3. ***
Capitolo 5: *** Giorno 4. ***
Capitolo 6: *** Giorno 5. ***
Capitolo 7: *** Giorno 6. ***



Capitolo 1
*** Dolci lacrime amare ***


Mini - Long

 

Dolci lacrime amare





Il fianco di Katniss si appoggiava stancamente sui cuscini del divano; un libro di antica carta ingiallita tra le mani, un thè caldo adagiato sul tavolino davanti a lei e le palpebre stanche, che si richiudevano piano ed ancor più piano tentavano di risollevarsi.
Un grande maglione a farle da abito ed un paio di neri leggins, sottili come calze, sotto di esso.
Una perfetta serata d'ottobre, per lei, in quel momento.

Una perfezione illusoria, certo: dov'era Prim? La dolce e tenera Paperella protagonista assoluta dei suoi sogni più soavi? E Gale? Assassino, amante, cacciatore, ribelle, cosa? Cos'era ormai Gale per lei?
Era così che Peeta la vedeva quindi? Come una poco nitida e luccicante immagine che sfavillava nell'oblio della confusione? Era per questo, quindi, che ben tre giorni prima Peeta era scappato da lei? Era nuovamente confuso dalle azioni da docile ma fiera Ghiandaia Imitatrice quale era? Era troppo in antitesi con se stessa, povera Katniss, per poter infondere tranquillità e pace anche ad una persona che non fosse se stessa?

Probabilmente sì, perché, nonostante il sonno in quell'istante stesse in ogni modo tentando di obnubilarle la mente, il marchio indelebile del ricordo di sole tre notti prima non riusciva a farle chiudere occhio, nemmeno per un istante. Un ricordo più forte di tutti gli altri, perché recente, perché quasi presente; il tempo ancora non aveva fatto il suo corso.
E soprattutto perché loro, tre notti prima, stavano per fare l'amore.
Perché lei e Peeta stavano per fare l'amore, quando lui ha avuto un episodio. Un altro: l'ennesimo.

I ricordi iniziarono ad appannare la mente di Katniss, che piano piano si snaturava, calava d'attenzione, cercava appigli, ma alla fine, solo alla fine, cadde in un sonno profondissimo. E rivide davanti a sé quella maledetta notte.

Faceva caldo, nonostante fosse ottobre, e la cena era pronta servita sul tavolo, cucinata miracolosamente da Katniss. Una tovaglia bianca con ricami azzurri fatti da Sae, una terrina ricolma d'insalata verdissima e due belle pizze fumanti ad attenderli.
Quando Peeta entrò in cucina, distratto, Katniss stava accendendo il fioco lume della candela che li avrebbe accompagnati per quella sera.
«Buon Compleanno.» Sussurrò lei, sottovoce, mentre lui l'osservava rapito.
Un passo, un altro, un altro ancora, e l'ebbe fra le braccia come una piuma tra le dita. E la strinse forte, e la baciò.
Per un attimo, l'acquolina per la pizza svanì, così come la fame. Peeta, senza nemmeno rendersene realmente conto, sollevò di peso Katniss e l'appoggiò sul ripiano vuoto accanto ai fornelli. Le sue cosce tornite erano soffici al tatto, e lo stringevano contro di lei.
Katniss infiltrò le dita tra i ricciolini biondi del ragazzo, scese a baciargli la porzione di collo scoperto, e giurò di non aver mai provato niente di simile: era tutto così meravigliosamente intenso. Dov'erano i sensi di colpa, le morti, il dolore?
Era sparito tutto.
La pace, e basta.

«Katniss...» Ansimava lui, cercandola, bramandola interamente, a partire da quei petali di rosa che le adornavano le labbra. Lei non parlava, sospirava soltanto, mentre la mano di Peeta iniziava a scorrere sulla sua maglietta fina. Le sue dita toccarono la pelle diafana della ragazza ed ebbero un tremito. Sentire quell'epidermide così liscia e calda sotto il suo tocco era strano, ma bello; era già successo altre volte, certo, ma in gran parte di queste non c'era lo stesso desiderio che entrambi sentivano di provare quel giorno. Quella calda sera d'ottobre, qualcosa vibrava nell'aria effervescente, ed era stupendo.

I loro sospiri e gli schiocchi dei loro baci risuonavano nell'aria, mentre l'emozione cresceva e le parole venivano meno.
La femminile maglietta bianca giaceva ora sul pavimento, e la bocca di Peeta saggiava con la lingua e con i denti quei seni tondi liberi d'ogni sostegno, sorretti solo dalle sue stesse mani, vogliose.
Katniss gemeva nell'atmosfera, cercando di non darlo a sentire, e nel frattempo gli sbottonava la camicia sportiva, che presto finì ai piedi di lui. Peeta ebbe un attimo di esitazione, mentre la osservava, e Katniss sentì i muscoli delle sue spalle irrigidirsi sotto le proprie mani. Un episodio? Ora? Pensò, ma scartò subito l'impossibile idea, perché Peeta, dopo aver sbattuto gli occhi un paio di volte a vuoto, ritornò su di lei più forte di prima.

I baci divennero fuoco, i respiri passione, e Katniss stava per chiedere a Peeta di portarla in camera da letto, quando questo si irrigidì nuovamente, come la prima volta, ma più di scatto.
Le fissava con intensità inquietante il seno, tanto che Katniss si sentì in dovere di coprirsi con un braccio. Voleva chiedergli che diavolo stesse succedendo, ma temeva di essere fraintesa, di apparire fuori luogo. E poi, lei non amava parlare.
Così stette in silenzio, iniziando a tremare per quell'osservazione quasi maniacale.
«Katniss...» Ansimò il ragazzo in un attimo, e il vigore con cui strinse le cosce dell'amata, la fecero miagolare di dolore.
«Katniss, sei un ibrido. Un fottuto ibrido.» Cosa?
Non riuscì a sbattere le palpebre per lo stupore nemmeno una volta, lei, che lui l'aveva già tirata giù dal ripiano della cucina e con forza l'aveva sbattuta contro il tavolo, stringendole i polsi con accanimento.
«Che stai facendo, Peeta...»
«Zitta!» Urlò, e sembrò una bestia.

Le lacrime erano difficili da trattenere per Katniss, ma ci riuscì; tanto, pensò, se piangeva o gridava comunque nessuno sarebbe venuto in suo soccorso. Nemmeno Haymitch, che sicuramente a quell'ora già dormiva.
«Lasciami andare, Peeta.» Sibilò allora, con le buone, stringendo i pugni.
Gli insulti che fioccarono dalle labbra che fino a pochi istanti prima le stavano lambendo il collo, la ferirono solo per questo. Vedeva che stava avendo un episodio: le sue iridi celesti erano ora nere come la pece; eppure si sentì offesa, arrabbiata e delusa per la cedevolezza e l'improvvisa cattiveria del ragazzo del pane. Non era colpa sua, lei lo sapeva, era colpa di Capitol, ma comunque non riusciva a giustificarlo.
Stava per ucciderla, e l'unico sentimento che la devastava era l'ira.

Ora un palmo di lui era passato ad avvolgerle la gola in una morsa di ferro, mentre l'altro le teneva il fianco bloccato al tavolo. Sembrava un film horror. Entrambi percepirono la lucidità delle proprie menti svanire in minuscoli frammenti, rarefarsi.
Difatti, nemmeno Katniss capì come fece a liberare una mano e a raccogliere subito dopo la candela accesa da neanche mezz'ora al centro della tavola. Senza pensarci su nemmeno un secondo, premette la cera bollente e la fiamma sul braccio massiccio di Peeta, che ritirò di scatto la presa, con un grido.

Katniss aveva la vista appannata per il poco ossigeno, i polmoni che fischiavano ad ogni respiro ed i piedi che s'inciampavano l'un l'altro.
«Che cazzo...» Imprecava lui, mentre lei cercava di scappare aggrappandosi alle pareti. Imprecazioni sempre meno convinte, sempre più distanti: non la stava inseguendo. Significava che stava bene, ma Katniss non aveva né la voglia né il coraggio di andare a controllare che fosse tornato quello di sempre.
Salì di corsa le scale fino in camera da letto e si avvolse nel lenzuolo, schiaffandosi sul materasso che era solito accoglierli entrambi la notte; si sarebbero mai più abbracciati in quel modo? Non lo sapeva, fragile Katniss, e per il momento non era quello che desiderava. Solo il terrore, ora, le invadeva le viscere, mentre tremava tutta.

La porta d'ingresso sbatté poco dopo.
Peeta se n'era andato.
Sarebbe tornato? O, una volta per tutte, Haymitch lo avrebbe spedito in un manicomio, stufo marcio di quelle agitate incursioni notturne?
Era molto probabile, il vecchio mentore si lamentava sempre dello scarso autocontrollo del ragazzo, senza capire (o fingendo di non capire) le reali condizioni in cui versava il ragazzo in quegli istanti.
Ma Katniss sperava che lo avrebbe soccorso ancora una volta; doveva farlo per lei, perché lei non ne era capace.
Pregava, nell'ombra della sua stanza. Pregava che prima o poi quell'incubo finisse.


Il sogno si interruppe di colpo, ed il busto di Katniss si alzò con uno scatto. Il fiato inizialmente mozzato, le lacrime a rigarle le guance e le mani che le tremavano, mentre si spostava dal viso i capelli aggrovigliati.
Per un attimo, nemmeno si rese conto che in casa aveva ospiti.

Volse distrattamente gli occhi all'orologio del salotto, per cercare quiete nel ticchettio delle lancette, ma ciò che vide la terrorizzò e basta.

Peeta, con gli occhi cerchiati da borse pesanti, sedeva sulla poltrona davanti a lei. Il sobbalzo che fece Katniss dimostrò che la paura era ancora vivida e glaciale, nel suo cuore.
Si strinse in se stessa e premette forte la schiena contro il divano, rannuvolandosi.
«Stavo facendo un incubo.» Sussurrò dura, puntando i propri occhi nei suoi.
«Perché non mi hai svegliata?» Il suo corpo convulso dal terrore.

Peeta non rispose; digrignò i denti e spostò lo sguardo ancora più in basso di prima.
Era come se non volesse più toccarla, nemmeno con gli occhi. E ciò la fece stare tremendamente male.
«Vattene.» Sibilò allora Katniss, con quell'orgoglio solo suo, cercando le iridi blu che non incontravano il suo sguardo. «Vattene...» Ripeté più roca e meno convinta forse, sull'orlo di una crisi. Stringeva i pugni pur di non lasciare andare quelle lacrime bastarde.
Peeta rimaneva immobile, a fissare il vuoto.
Un urlo agghiacciante esplose dalle labbra di Katniss, che si alzò di scatto e prese in mano la lampada del comò, tirandola forte contro la parete; «Vattene!» Gridò ancora, e non c'erano altre possibilità.

I piedi di Peeta camminarono sopra i cocci di terracotta senza nemmeno farci caso. Uno, due, tre passi. Poi si bloccò. Si girò lentamente, e Katniss non sapeva cosa l'aspettava perché non aveva intenzione di guardarlo negli occhi. Temeva di ritrovarci solo ombra e sangue.

«No.» Sibilò il ragazzo, stringendo i pugni fino a farsi male. «No,» Ripeté più forte «io non me ne vado. Sono stanco di scappare.»
«Mi hai quasi uccisa.» Rispose rapida lei, come una serpe, furiosa. Ma non era arrabbiata per quello, non era arrabbiata per l'episodio di Peeta: era tremendamente orgogliosa. Se avesse tradito il suo orgoglio, non si sarebbe nemmeno riconosciuta. «Vattene, Peeta.» Ma il suo tono era debole e scarno, fievole.
«Sai che non lo faccio.» Ora si stavano guardando e sembravano nuovamente due adolescenti ribelli - Peeta più del solito.
«Allora arrangiati.» Concluse lei, alzandosi (le gambe che tremavano, ma fingeva che non fosse così) dal divano e squadrandolo un'ultima volta, prima di imboccare le scale e rifugiarsi al piano di sopra, in camera da letto.
Ed era lì che, dentro di sé, sperava che Peeta la seguisse.

Non aveva nulla in testa, se non una guerra continua: l'orgoglio, doveva prevalere l'orgoglio, e se Peeta fosse entrato lì dentro dove si era nascosta, lei avrebbe dovuto cacciarlo con la forza. Non poteva vincere nessun'altra debolissima emozione, ma solo il suo orgoglio, perché Peeta non doveva capire che lei lo amava.
Lo amava? Dio, ma l'aveva pensato per davvero?! Era nella merda, profondamente nella merda.

La porta s'aprì, Katniss era avvolta nel lenzuolo candido - profumato di loro. Voleva piangere, voleva scappare e voleva morire. Ma non fece nessuna di queste tre cose.
Il passo pesante, zoppicante, il profumo di pane improvvisamente nell'aria.
Un singhiozzo le fuggì dalle labbra, nel silenzio più totale della notte.
Sentí il peso del ragazzo far sprofondare il materasso dall'altro lato, e si morse le labbra pur di non emettere un secondo gemito di sofferenza; ma le lacrime iniziavano a scivolare lungo le sue guance e fu impossibile trattenere quel rantolio di dolore che spezzò il silenzio.

E poi, improvvisamente, sentì una mano sulla propria spalla; rabbrividì.
Si voltò lentamente, i capelli appiccicati al viso umidiccio ed il bianco degli occhi venato di sangue per il pianto. Vide gli occhi dolci, proprio come una volta, del ragazzo del pane, e le sue lacrime esplosero.
Si voltò nuovamente, tirandosi la coperta sul viso e singhiozzò come una bambina a cui han tolto il bambolotto preferito.
«Ma che, piangi?» Sentì sussurrare dalle sue labbra sensuali, ed il pianto si fece solo più forte, nonostante si sforzasse di contenerlo con ogni cellula del suo corpo, tanto che le facevano fin male i polmoni.
«Ei...» Quant'era calda e carezzevole, quella sua bella voce. Se avesse potuto, sarebbe stata ad ascoltarlo per sempre. Per sempre...
«Non piangere, perchè presto tutto finirà.»
«Come fai a dirlo?» Rispose lei subitamente, sull'orlo di un crollo, voltandosi nuovamente verso di lui.
«Lo so e basta, Kat. Lo so e basta.» E l'abbracciò, mandando al diavolo tutti i consigli di Haymitch e del dr. Aurelius, che aveva sentito per telefono - non avrebbe dovuto toccarla finché non fosse stato certo di non farle del male, ad esempio. Ne era forse certo ora? No, assolutamente no, più la premeva, più gli sembrava di soffocarla. Ma l'amava, sapeva d'amarla, e questo bastava.

Rimasero lì, stretti ed uniti, per chissà quanto tempo.
Nemmeno quando l'alba bussò ai loro vetri si degnarono di muoversi, ma fecero del loro respiro una cosa sola, e dei loro corpi ancor di più.
Si amavano. Sarebbero riusciti a ricominciare, a cancellarle tutte quelle maledette lacrime, prima o poi. Prima o poi, insieme.





Note d'autore
Buongiorno!
Volevo rinnovarmi per un attimo, così eccomi qui con questa "mini-long". Cosa significa? In pratica ci saranno degli altri capitoli - più corti e, soprattutto, pochi, quindi seguibili abbastanza tranquillamente secondo me - in qui verrà spiegato cosa succederà "dopo" questo capitolo, che di per sè è una oneshot.
Spero che l'idea vi piaccia, aggiornerò presto!
Lasciate un commento, così almeno so cosa ne pensate!

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Capitolo 2
*** Giorno 1. ***


Capitolo 2.

 

Giorno 1.





La bianca luce del mattino infastidì le palpebre delicate e fresche di Katniss, che quel giorno si sentì più riposata del solito; man mano che si destava, il tarlante pensiero dell'episodio di Peeta di pochi giorni prima tornava ad insinuarsi nel suo cervello, cosicché si ricordò perché da tempo non dormiva così bene.

Non appena mise i palmi dei piedi sul pavimento, alle sue narici giunse un profumo dolce, venato di cannella. Ne capì subito l'origine, e sorrise di rimando, rituffandosi nel letto; fu questione di secondi, prima che dalla candida porta non fece capolino un ragazzo dai capelli colore del grano, con un gran vassoio tra le mani ed un sorriso ancor più lucente sulle labbra.
«Buongiorno...» Sussurrò suadente, adagiando la colazione sulle ginocchia di Katniss, che rimase affascinata da così tante leccornie. Nemmeno il tempo di rubarle un bacio, che lei stava già azzannando una brioche alla marmellata ancora calda di forno.
«Ti piace?» Le domandò, dopo aver riso di gusto.
«Mmh...» Fu la risposta mugugnata, che fece ridere ancor di più il ragazzo del pane, al quale brillarono gli occhi. Gli piaceva vederla mangiare di gusto, era sempre così magra e debole, tanto che spesso temeva potesse svenire da un momento all'altro.

Divorato tutto, spostò il vassoio sul comodino e guardò sorridente, masticando ancora, il ragazzo che la rendeva così felice, nonostante i loro momenti più bui.
Ci volle un secondo solo, il battito d'ali d'una farfalla, un fruscio di lenzuola, prima che Peeta le morse le labbra con decisione, e sorrisero entrambi, assieme. Il bacio che seguì fu intenso, carico di desiderio, ma nessuno dei due osava spingersi oltre le carezze, i tocchi accennati, perché temevano un altro episodio, anche se non lo dicevano.
Dovevano parlarne, sì: dovevano proprio parlare di quel che era successo la sera precedente e poche notti prima, ma... ma quei baci erano così sazianti, quelle carezze così bramate e quegli sguardi così ardenti, che nessuno dei due ebbe la minima voglia di affrontare l'argomento.
“Lo faremo...” Pensarono entrambi “prima o poi lo faremo...”
Intanto tutto stava andando per il meglio e sentivano di non aver bisogno proprio di nessuna, nessuna parola.






Note d'autore
Buongiorno!
Eccoci nuovamente qui. Spero che questo breve capitolo vi sia piaciuto!
Katniss e Peeta fingono che non sia mai successo nulla, che lui non abbia avuto l'episodio che in realtà stava per portarlo ad ucciderla e che lei non si sia totalmente chiusa in se stessa, poco dopo, terrorizzata. E soprattutto fingono che quell'episodio non sia successo esattamente nel momento in cui volevano conoscersi totalmente, facendo l'amore.
Ma non possono fingere per sempre, e lo vedremo.
Un abbraccio, spero vogliate dirmi cosa ne pensate.

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Capitolo 3
*** Giorno 2. ***


Capitolo 3.

 

Giorno 2.





La mano spessa e ruvida di Peeta trascinava con sé Katniss come in un passo di danza, ed i piedi di lei, rivestiti delle ballerine di morbido cuoio, correvano, pur di seguirlo ad ogni passo e non perdersi nemmeno un istante.
Il mercato del Dodici, in quel periodo, era fiorente. Avveniva ogni sabato in centro alla piazza, come un grosso smacco al fatto che proprio lì, non troppi anni prima, si svolgeva il rituale della mietitura dei bambini per i giochi, ed ogni settimana sembrava più grande e più bello.
Mille colori ed altrettanti tessuti rivestivano piccole capanne di legno e bambù, costruite alla bell'e meglio, pur di fare un po' di festa. La gente ballava e cantava, e si poteva udire di sottofondo il suono di un delizioso cembalo percosso da mani esperte, con i suoi sonaglietti e la sua sinfonia allegra.
Vestiti di lino e di lana - come se non esistesse né estate né inverno, ma solo un gran guazzabuglio - sporgevano da ogni bancarella, con buffi mercanti che invitavano a gran voce i passanti per provare qualche loro merce.
Le gote arrossate, i sorrisi gioiosi e le voci intonate erano solo la prima parte del mercato, perché poi c'erano i festeggiamenti per loro: i Vincitori. I Vincitori che, tra l'altro, avevano liberato la Nazione, permettendo così che quel mercato fosse lì, in quel preciso istante. Dunque gran festa e fisarmoniche a volontà per i figli del popolo, i ragazzi più amati di tutti!

Katniss era tremendamente imbarazzata da tutto ciò. E non da meno era Peeta, che però lo dava meno a vedere, sorridendo cordiale e salutando. Gli sguardi di entrambi però reclamavano un po' di pace, la  supplicavano proprio.
Volevano godersi anche loro, poveri ragazzi, la festicciola del paese e la propria intimità - ma sembrava solo che da quel maledetto treno di morte non fossero ancora scesi, e che non lo sarebbero stati mai.

Lo sguardo di Katniss si rannuvolò osservando un piccolo nastro celeste, posto in vendita ad uno dei tanti tendoni. Era semplice, di un bel raso sottile, ed era dello stesso colore degli occhi di quella bambina che ormai anni addietro era bruciata tra le fiamme dell'orrore. Molto probabilmente, se fosse stata ancora lì, avrebbe tanto desiderato quel fiocco e, dopo averlo ottenuto, avrebbe chiesto anche una fetta di torta del panificio di Peeta, ricostruito da poco, supplicando ed implorando, senza che ce ne fosse realmente la necessità, ma solo per fare un po' di dramma. E Peeta, sorridente come sempre, l'avrebbe portata volentieri in quel negozio magico, dove da piccola lei sbavava davanti alla vetrina, senza poterci entrare.
Sì, sarebbe andato proprio così.
Ma nulla andò così, perché  Prim era morta. Morta. Era morta...

Peeta premette Katniss contro il proprio petto prima che avesse un crollo emotivo e la strinse forte perché, dopo una fugace occhiata ai nastri, aveva già capito cosa stava accadendo.
«È tutto passato, shh...» Le sussurrava all'udito, accarezzandole i capelli e fregandosene di quello che le persone attorno stavano sicuramente bisbigliando sul loro conto. Sapevano tutti chi erano loro due e cosa avevano fatto, potevano benissimo immaginare che cosa devastasse i loro pensieri, giorno e notte. Ma, si sa, la gente chiacchiera, quando non sa cosa fare.

Solo un'anziana signora si fermò a rivolgere loro la parola e a chiedere se avessero bisogno d'aiuto. Dopo una risposta negativa da parte del ragazzo, donò allora a Katniss un fazzoletto di tela, con la quale lei si asciugò rapidamente il pianto. Glielo voleva resituire, ma l'anziana insistì affinché lo tenesse con sé, aggiungendo: «Guardalo, ogni volta che sei triste. E ricorda di non farti mai vincere dallo sconforto.» Katniss abbozzò un imprevedibile sorriso. «Sei forte.» Aggiunse «Voi due siete forti, entrambi. Nessuno qui avrebbe saputo sopravvivere a quello che avete passato voi, ragazzi. Quindi vantatevene o, perlomeno, andate in giro a testa alta e petto in fuori. Fatelo, maledizione, perché ve lo meritate.» Quella rugosa bocca sdentata aveva formulato le parole più belle che Katniss avesse mai sentito in vita sua.
Per questo si ricompose, la guardò dritta negli occhi e la ringraziò. Non c'erano gesti d'affetto in lei - in Katniss? Ma quando mai? -, eppure quel ringraziamento era così sentito che l'anziana ne fu sazia e, sul suo bastone d'ulivo, s'allontanò, lasciando una strana tranquillità nei giovani vincitori.
La ragazza dai capelli corvini ripiegò con cura il fazzoletto, notando una grande A - probabilmente l'iniziale del nome della proprietaria - ricamata su di un angolo, e lo mise nella tasca dei propri pantaloni sportivi.
«Vieni, dai.» Peeta la prese forte per mano e la trascinò via, balzellando tra una bancarella e l'altra, fino a quando non ebbe trovato ciò che gli era più di gradimento.
Sembrava un tessuto verde smeraldo; non si capiva bene, ma lui aveva già intuito forma e modello perché lo porse a Katniss entusiasta. Lei, un po' meno vivace, guardò quella seta riluttante: «E che ci devo fare io?»
«Niente,» Sorrise lui «tienilo un secondo in mano mentre pago.»
«Ma che cos'è?»
«Lo vedrai a casa.» Il sorriso sottile del ragazzo gli faceva brillare gli occhi.
«Ma non va provato?»
«No, no. Sono certo che possa andare.» Lo infilò dentro ad una sportina di plastica bianca e, lasciando piena di dubbi la ragazza che amava, sorrise, riprendendo a camminare.
Solo dopo minuti, forse ore, mentre stavano ancora passeggiando, riprese l'argomento:«È un vestito. Sai perché l'ho comprato verde?» Katniss scosse la testa, pensando al colore dei boschi, della sua amata foresta. Ci andava sempre con Gale...
«Perchè è il tuo colore preferito. Me l'hai detto tu, sul treno.»
Allora se lo ricordava... Katniss sussultò. E lui se ne accorse. Forse, dopo l'episodio di neanche una settimana prima, non era il massimo ricordare avvenimenti passati... ma erano fra molta gente, non ci sarebbe stato un gran pericolo - pensò Katniss.
«...E mi avevano deviato quel ricordo, col depistaggio. Ma questo non so se vuoi saperlo...» Disse amaramente Peeta, abbassando le palpebre e sedendosi su una panchina vuota lì vicino. Subito Katniss lo accostò e gli sollevò il volto con una mano. Annuì decisa, scrutandolo, e lui si fece coraggio: «Beh... mi avevano convinto che tu avessi risposto che il tuo colore preferito era il rosso. Rosso come il sangue dei miei genitori, quello che avevi bevuto. E all'improvviso vedevo tutto... tutto lucido, luccicante. E le tue labbra erano attraenti, ma vermiglie come dopo un sorso di vino. O di sangue, come volevano farmi credere.» Un respiro profondo svuotò la cassa toracica del ragazzo, mentre quella di lei era bloccata a metà, orripilata. «E... ed è dura ricordare. Ma volevo che lo sapessi.»
Katniss non rispose. Lei non era mai stata brava con le parole, non avrebbe iniziato di certo in quell'istante. Ma lo abbracciò forte, fortissimo. E alla fine, prima di ritrarsi, gli lasciò un casto bacio sulla guancia, che ritrovò umidiccia.
Estrasse il fazzoletto di tela di poco prima dalla propria tasca e con cura minuziosa ed amorevole gli accarezzò le gote, asciugandole, permettendo che non fossero tristi mai più.
E mentre faceva questo, lui l'osservava, rapito. Era così maledettamente bella, pensò. Le guance rosse e le labbra screpolate dal vento; gli occhi seri, brillanti, concentrati su ciò che stava facendo; la treccia scura adagiata sulla spalla, sempre più lunga e corposa.

La baciò, in quel preciso istante. La baciò perché era la sua amata, la sua donna, almeno in quel momento, e la baciò ancora perché si sentiva felice, nonostante i ricordi e la mente che troppo spesso vacillava. Sì, era maledettamente felice ed orgoglioso di avere lei al suo fianco... ed era anche un po' geloso, perché pensava apertamente di non meritarsela affatto, dunque sapeva che, al primo passo falso, lei sarebbe potuta andarsene.
Ma questa volta non era accaduto. L'aveva perdonato, ancora una volta. Perché lei lo amava.
Sì, Peeta era certo che Katniss, anche se non lo diceva ad alta voce, lo amasse.





Note autore
Buongiorno!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, volevo solo ringraziare chiunque stia leggendo/seguendo questa storia!
Se vi va, lasciate un vostro parere nelle recensioni: mi farebbe piacere avere un feedback riguardo quello che sto scrivendo. ;)
Tanto affetto,
pandafiore

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Capitolo 4
*** Giorno 3. ***


Capitolo 4.

 

Giorno 3.





L'abito verde di seta era ancora adagiato sulla sedia in camera da letto, inutilizzato. Katniss ogni tanto si domandava distrattamente perché Peeta glielo avesse fatto comprare con un tale entusiasmo; non trovando nessuna motivazione particolare, scrollava distrattamente le spalle e pensava ad altro, a qualsiasi altra cosa, che non dovesse aggrovigliarle il cervello.

Erano le dieci di sera. Un brivido freddo ed ottobrino scivolava attraverso gli spifferi delle finestre e raggiungeva la schiena di Katniss, intenta a sistemare le coperte del letto matrimoniale. Rabbrividì, prese rapidamente un maglione enorme di Peeta e se lo infilò sopra i propri abiti.
Stava per uscire dalla stanza, spegnendo la luce, quando vide il grosso libro in cartapecora rilegato in  cuoio appoggiato sul grande comò accanto alla porta. Lo prese in mano, sapeva benissimo di che si trattasse, e scese col cuore in mano le scale, cercando il ragazzo del pane.
Lo trovò seduto sul divano, con la televisione accesa, a disegnare distrattamente a matita su di un foglio bianco. Sorrise, scordandosi per un istante del volume che stringeva nella mano destra e, anzi, andando ad appoggiarlo sul tavolino davanti al ragazzo, per poi sedersi accanto a lui.

Lo osservava in silenzio - stava disegnando una violetta come quelle che fioriscono in primavera -, ma lui presto smise di tratteggiare con la punta di grafite le venature d'ogni petalo, perché decise di alzare lo sguardo su quello della ragazza, così attento e felice. «Che c'è?» Le chiese, passando le dita sul suo volto di donna. Com'era bella...
Katniss scrollò rapidamente la testa, mordendosi un labbro e ritrovando la ragione in un bagliore; più lucidamente, raccolse dal tavolino il vecchio libro e lo mise in grembo a Peeta, che dopo nemmeno un secondo riconobbe la copertina senza titolo né scritte.
«Vuoi che andiamo avanti a scriverlo?» Sospirò un po' affranto, e Katniss annuì.
Era il libro dei ricordi. Il loro libro dei ricordi. Dove già anni prima Peeta aveva dedicato ore per trovare la giusta tonalità di colore per rendere al meglio le iridi di Finnick; dove la pelle di Rue risplendeva di un luccichio dorato se si muoveva la pagina, e lo stesso facevano gli occhi di Tresh; dove anche Cato e Clove avevano una pagina a loro dedicata, subito dopo la facciata dove erano raffigurate le loro armi preferite, luccicanti e perfette - micidiali.
Per non dimenticare. Si ripetevano a vicenda i due ragazzi del Dodici. Per non dimenticare le morti, i dolori, la paura; per non dimenticare le persone.

Eppure, in quel libro, mancava ancora una delle pagine più importanti di tutte, e lo sapevano entrambi.
Le avevano riservato la facciata accanto a Rue, e non attendevano altro che trovare il coraggio per dipingerne le trecce dorate e gli occhi azzurri come i nontiscordardimé; sì, la persona che mancava era proprio Primrose.

«Vuoi... vuoi che facciamo lei?» Le chiese Peeta, sottintendendo la ragazzina che entrambi avevano ben presente. Katniss annuì e si alzò per andare a sedersi sulle sedie del soggiorno, dove, sul tavolo, c'erano decine e decine di colori e pennelli, pronti per essere utilizzati.
Lui la raggiunse, si sedette sulla sedia accanto, aprì il libro, e con una semplicità disarmante iniziò a delinearne i tratti del volto con un tenue rosa cipria.

Katniss lo osservò per tutta la serata: le sembrava di ritornare ad anni prima, quando quel libro era appena stato iniziato ed entrambi non sapevano nemmeno cosa provassero dentro se stessi. Erano persi nell'oblio del dolore, e ci sarebbe voluto molto tempo per uscirne.
Ma ora erano lì, assieme, che cercavano ancora di rimettersi in piedi.
Katniss guardava scrupolosamente le sue lunghe ciglia bionde, le sue spalle rilassate o le sue dita delicate, che di notte le accarezzavano il corpo con timidezza. Arrossì a questo pensiero, ancora così pura e pudica, lei.
«Non mi fissare, mi imbarazzi.» Scherzò il ragazzo del pane, ridendo lievemente.
Katniss, colpita in flagrante, distolse rapidamente lo sguardo, guardando la televisione ancora accesa su un canale qualsiasi. Si domandò distrattamente se avrebbe mai più rivisto Caesar condurre un programma, ma alla fine pensò con amarezza che molto probabilmente era stato giustiziato.
«Dovremmo inserire anche Caesar Flickerman nel libro, Peeta.» Gli rivelò in modo abbastanza autoritario, e lui annuì semplicemente, troppo concentrato per distrarsi.

Dopo un'ora, solamente il volto di Prim ed i capelli erano conclusi; mancava la codina che spuntava sempre dalla sua gonna celeste, le gambe esili e delicate, una rappresentazione del fiore che le dava il nome, la primula. Il lavoro, dunque, era appena accennato, eppure Katniss, nel vederlo, così preciso e perfetto, sentì un improvviso magone chiuderle la gola.
Le lacrime di colpo le riempirono gli occhi e fu inevitabile che una di esse scendesse sulla pagina, raggrinzendola. Le dispiacque ancor di più di aver rovinato la facciata dedicata alla sua sorellina, iniziarono a venirle veri e propri singhiozzi ed il panico crebbe. Si alzò di scatto, lo sguardo preoccupato di Peeta su di lei, e corse alla finestra per guardare un po' fuori, nell'avvolgimento del gran manto che è la notte, e cercare di calmarsi.

Dopo poco due tenere mani le avvolsero i fianchi e percepì un improvviso calore in tutto il corpo, dolce e cullante. Non parlava, non stava parlando Peeta, eppure riusciva lo stesso a calmarla con i suoi tocchi, il battito forte del suo cuore e quel respiro caldo che le si infrangeva sul collo.
Si voltò in silenzio, lei, incatenando i loro sguardi; si sentiva strana, come se improvvisamente avesse di nuovo una famiglia. Sua sorella e suo padre erano morti, sua madre era lontana, Gale pure e nessuno dei due la chiamava mai nemmeno una volta... sarebbe stata sola, se Peeta non fosse stato lì per lei, a salvarla dal buio della sua mente. E Peeta sarebbe stato a sua volta abbandonato a se stesso, senza di lei; dunque si completavano a vicenda, erano due mezze lune che si ritrovavano.
Katniss lo baciò, in quel preciso istante. Erano rare le volte in cui era lei a prendere l'iniziativa d'un gesto d'affetto, eppure negli ultimi giorni, proprio dopo l'episodio, si sentiva stranamente vicina a quel ragazzo, come se avesse una piccola calamita attaccata all'anima.
«Peeta...» Sussurrò afflitta, cercando ancora quelle labbra, mentre le mani di lui le stringevano i fianchi e quelle di lei gli prendevano il viso delicato.
Peeta non rispondeva a quel richiamo, era totalmente perso nel loro calore, come in un nebuloso oblio di dimenticanza.
«Peeta...»
«Mmh...»
«Ti... ti voglio bene. Tanto bene.» Il ragazzo si bloccò di colpo, con un sorriso enorme affacciato sulla bocca. Sapeva, sapeva benissimo quale sforzo fosse per la sua amata dire parole del genere ed in quel preciso istante - immersi nella penombra del soggiorno illuminato solo dalla lampada sul tavolo - il cuore gli esplodeva di gioia.
Le strinse forte i glutei, riprendendo a baciarle le labbra, e la sollevò in modo da tenerla in braccio.
La portò a tentoni fino al divano, dove la fece stendere, con le sue gote rosse e i suoi meravigliosi occhi lucidi. Si sdraiò su di lei e la baciò ancora, scendendo sulla linea della mandibola, poi del collo, facendola ansimare, ed infine dietro l'orecchio, arrivando a morderle il lobo carnoso.
C'era silenzio, tranne lo schiocco dei loro baci e l'eco dei respiri pesanti, ansiosi, di entrambi.

Le sfilò rapidamente il maglione maschile troppo grande per quel fisichetto, e ritrovò una camicetta bianca con i bottoncini di madreperla; si dedicò ad ogni bottone, con calma, per aprirla, mentre lei fremeva. Scoprì un reggiseno di pizzo bianco che lo allettava da morire; lo accarezzò sfiorandolo appena, affascinato, con le dita che tremavano. Non aveva mai amato nessuno tanto quanto amava Katniss.
Aprì fino alla fine quella camicetta ed iniziò a baciare il ventre tiepido ed accogliente della ragazza, che nel frattempo aveva la mente svuotata. Non sapeva che dire, cosa fare; semplicemente, lo seguiva, perché sapeva che Peeta avrebbe fatto la cosa migliore per entrambi.

C'era un'armonia meravigliosa tra i due ragazzi, come se si fosse creata un'incantevole magia. I loro corpi si attiravano e si desideravano; era un momento perfetto, come se si stessero finalmente curando in modo definitivo le ferite, così profonde e così dolorose.
Peeta stava per abbassarle i pantaloni, quando tre forti colpi bussarono alla porta d'ingresso. Tentarono di ignorarli, ma si ripeterono.
«Maledizione...» Sussurrò il ragazzo, alzandosi contrariato. Katniss si rivestí in tutta fretta, rossa come un peperone, mentre dalla porta aperta entrava un Haymitch sbraitante. Lei si rannicchiò nell'angolo del divano, tossicchiando.
«Quel cazzo di riscaldamento! Rotto, capisci? Rotto! Si gela in casa mia!» Haymitch era nero di rabbia e tremava per il freddo.
Il ragazzo del pane non voleva realmente andare a riparare il guasto dell'abitazione del mentore, ma si ritrovò costretto.
Lanciò un'occhiata alla ragazza che fino a pochi istanti prima stringeva tra le dita e venerava nella parte più vera di lei, e la ritrovò imbarazzata, confusa.
Fece qualche passo in sua direzione, abbassandosi a darle un bacio sul naso e a farle una carezza tra i capelli arruffati. «Ci vediamo dopo, okay? Torno subito.» Lei annuì, assuefatta da quel profumo di autunno che aveva la sua pelle, e lo lasciò andare, osservandolo infilarsi il giaccone in ingresso ed uscire con parole buone per Haymitch, tentando di calmarlo.

Katniss si addormentò poco dopo, da sola nell'enorme casa, ma quella che seguì fu una delle notti più terribili della sua intera vita.





Buongiorno ♥
Nel prossimo capitolo vedremo questa terribile notte di Katniss... ansia? Capirete! ;)
Spero davvero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, perché c'ho messo l'anima.
Grazie a chiunque decida di recensire!

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Capitolo 5
*** Giorno 4. ***


Capitolo 5.

 

Giorno 4.





Peeta tornò a casa circa alle due di notte, cioè dopo un'ora abbondante passata ad armeggiare con il condotto idraulico di Haymitch.
Era stanco, affaticato e gli facevano male le braccia per averle tenute in tensione troppo a lungo. Le palpebre a malapena gli si riaprivano, ad ogni battito di ciglia, ma nonostante questo non vedeva l'ora di rivedere Katniss e di darle il bacio della buonanotte; solo poco tempo prima stavano per lasciarsi andare come mai era successo, se solo Haymitch non avesse interrotto tutto, maledizione!

Ed erano questi i pensieri del ragazzo del pane mentre girava la chiave nella toppa per accedere a casa propria. Tranquillo, assonnato, inizialmente nemmeno si accorse di quelle grida agghiaccianti di una voce così familiare, che lo costrinsero a correre in soggiorno con il fiato mozzo nei polmoni.
E fu quasi sollevato nel vedere Katniss agitarsi convulsamente sul divano, in preda ad un incubo; almeno non era qualcosa di reale.
Dopo il primo sospiro che gli permise di respirare nuovamente, si accorse però del dolore orrendo che stava devastando la ragazza che, spasmodica, gridava a denti stretti sui cuscini del divano.

Le corse incontro, sollevandole il busto e stringendoselo forte contro se stesso, seduto a sua volta, accarezzandole la schiena ed i capelli.
«Ssh, shh... Era un incubo, Kat, era un incubo.» Cercava di tranquillizzarla, mentre lei finalmente si svegliava, ma iniziava a singhiozzare. Nonostante sapesse che le proprie parole potevano servire a ben poco, poco era comunque meglio di niente, dunque sussurrò fino a quando il suo pianto non si calmò.

«Ti prego, smettila di piangere, Katniss.» Le disse infine, prendendole il viso, così minuto ed addolorato, tra le grandi mani e portandoselo davanti agli occhi. «Ti prego. È... è tutto finito.»
Ma Katniss non riusciva a smettere; aveva ben nitide davanti a sé le immagini del sogno, che sembravano ancora così vere e così terrificanti. Come, ad esempio, il momento in cui Snow le tirava via Prim dalle proprie braccia e la gettava in pasto a degli ibridi. E la scena si ripeteva, più e più volte, con torture sempre più lunghe e strazianti per sua sorella, mentre lei era impotente, dietro a delle sbarre di metallo che cigolavano da quanto le strattonava.

«Ti prego, perfavore, perfavore, Katniss. Basta.» Era una supplica, quella di Peeta: forse lo facevano star male, quelle sue lacrime? Non gliene importava niente, tanto non riusciva a controllarle. Le diceva sempre di dar sfogo al suo dolore, ed ora invece le imponeva la calma; come poteva calmarsi, senza prima piangere l'anima?
Ad un certo punto, Peeta - stanco? Stufo, forse? - si alzò dal divano ed andò a preparare un thè caldo. Katniss rimase lì ad attenderlo, mentre lentamente gli spasmi ai bronchi si affievolivano.
Quando Peeta tornò, lei era riuscita a darsi un contegno, dopo tanto soffrire.

Prese tra le dita la porcellana celeste e la strinse, infischiandosene di ustionarsi i polpastrelli. Bevve due dolci sorsi, con calma, e poi riadagiò la tazza, quasi totalmente piena, sul tavolino.
Katniss percepiva il respiro pesante di Peeta al suo fianco, e fu più che certa che nella sua mente si stesse tormentando, domandandosi se, per caso, l'incubo non fosse stato su di lui, se per caso non fosse così spaventata proprio da lui, dal mostro che era. Forse per questo aveva preferito andare a preparare il thè, invece che restare lì, sul filo del rasoio.
Volle rassicurarlo, così parlò, dopo tanto tempo: «Ricordare tutto, ieri sera...» fece un profondo respiro, per svuotarsi di tutto «Ricordare Prim, con il libro dei ricordi... è stato... troppo.» La vista le si annebbiò nuovamente di lacrime; Katniss odiava essere così maledettamente fragile, per questo nascose il proprio viso tra le mani, rannicchiandosi in se stessa.
Sentí un improvviso brivido, e si accorse che Peeta le stava accarezzando la schiena, dall'alto verso il basso, con estrema dolcezza. «Tranquilla. Stai tranquilla, il dolore passa.» Katniss alzò il viso, voltandosi lievemente in sua direzione: «Tu ne sai qualcosa, non è così?» Domandò schietta, fissandolo negli occhi chiari. Peeta annuì semplicemente, perdendo lo sguardo nel vuoto della stanza, come se un improvviso furgone di ricordi - orribili ricordi - si stesse riversando nel suo cervello. Katniss parlò prima che un episodio lo devastasse, con conseguente rischio per la propria incolumità; «Pensavi che l'incubo lo avessi fatto su di te?»
Peeta fece nuovamente segno di sì col capo; il bagliore d'una lacrima luccicante rifletté la luce nell'angolo del suo occhio.
«Non faccio incubi su di te. Non mi aspetto che tu sia cattivo; succede e basta, a volte.» Disse Katniss, con ingenuità, senza accorgersi che quelle parole tagliavano come lame.
«Non... non sono cattivo, infatti. Non sono realmente io, quello degli episodi.» Le spiegò Peeta, un po' offeso, come se lei non avesse ancora capito niente di lui.
«Lo so.»
«E allora non dirmi che sono cattivo. È orribile, Katniss.» Di tutta risposta, lei si alzò e se ne andò a letto. Era stanca, non aveva alcuna intenzione di giustificare le proprie parole; le aveva pronunciate e basta, Peeta non avrebbe dovuto offendersi, fine della discussione. Con la sua frase intendeva solo dire che riteneva che lui fosse una persona buona, per questo non ne era terrorizzata e quindi non ci faceva incubi.
Era semplice, lineare nella testa della povera Katniss, che si sentiva incompresa, ma carica di ragione. Il torto era tutto di Peeta.
E quando quest'ultimo, dopo non molto, s'infiltrò sotto le coperte, lei lo sentì, ma non lo sfiorò nemmeno, stringendosi nel bordo estremo del grande letto.
Fu lui, però, a non resistere e a cedere al bisogno così fisico e carnale di avercela tra le braccia; così, in una mossa, la avvolse con il proprio corpo e le permise di passare una calda notte al riparo da tutto e da tutti, anche dai più temibili fantasmi del passato.
Quell'abbraccio era la pace.





Ei, buona domenica!
Spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto e, se volete lasciarmi il vostro parere, non esitate, ve ne prego! Positivo, o negativo che sia.
Vi abbraccio forte,
buon weekend!

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Capitolo 6
*** Giorno 5. ***


Capitolo 6.

 

Giorno 5.





Quando Katniss entrò in cucina quel giorno, per poco non le venne un infarto nello scoprire cosa le aveva riservato Peeta.
Farina, farina ovunque. E uova. E lievito, da tutte le parti.
E poi lui, seduto beatamente sul piano cottura, ad osservare divertito la sua reazione orripilata.

«Dimmi che non vuoi realmente che io cucini.» Sibilò esterrefatta, ricordando le sue terribili - davvero terribili - doti culinarie. In più, l'ultima volta che aveva cucinato, lui aveva avuto un episodio; non era piacevole ricordare. «Ti prego, dillo.» Aggiunse, e il ragazzo del pane scoppiò a ridere di gusto.
Scese dalla mensola ed esclamò subito, porgendole contento un panno bianco: «Dai, mettiti il grembiule che iniziamo! Facciamo i biscotti!»
E, dopo cinque minuti buoni di discussione, riuscì a convincerla, e fu l'uomo più felice del mondo.

Peeta voleva condividere assolutamente tutto con lei. E, per farlo, doveva partire dalle cose più basilari, come la sua passione per la cucina. Quindi perché non farsi aiutare a preparare dei bei dolcetti? Ci sarebbe stato di che ridere, pensò.

Già il modo in cui Katniss palpava tra le dita il soffice impasto gli fece capire quanto buffa fosse tra i fornelli, e l'adorava sempre più.
«Sei proprio una frana...» La prese in giro, affiancandola. Lo sbuffo di disapprovazione e nervosismo di Katniss fu solo l'anticipazione del successivo lancio dell'impasto sul tavolo; «Io mi dedico alla crema.» sospirò poi, mettendosi a cercare ginocchioni un contenitore all'interno della mensola sotto al frigorifero.
Peeta rise e si avvicinò subito a lei, scendendo a sfiorarle i fianchi, per invitarla ad alzarsi; a questo tocco quasi innocente, Katniss fece un balzo notevole ed un improvviso rossore le invase le guance.
«Vieni dai, ti aiuto io con l'impasto... la crema può aspettare. E poi le terrine non sono nemmeno lì dove stai cercando.» La voce suadente, ma al tempo stesso sorridente, di Peeta fece tremare la ragazza, che abbandonò la sua rigidità e si lasciò trasportare nuovamente fino al tavolo, con la testa piuttosto vuota, se non quella grossa paura che un episodio potesse tornare a distruggerli, a farli crollare. Rimettere insieme i pezzi, a quel punto, sarebbe stato quasi impossibile.

Tentarono entrambi di ignorare questi brutti pensieri e si misero ad impastare, in silenzio.
Le uova si incollavano alle dita di Katniss, lei sbuffava ed una ciocca corvina di capelli continuava a scenderle davanti agli occhi, creandole un fastidio immenso. Quando Peeta notò tutto questo, sorrise teneramente e si mise alle sue spalle, avvolgendo la sua schiena con il proprio petto. Raccolse quelle esili ed eleganti mani femminili tra le proprie, rudi e grossolane, che ricoprivano tutto, e le spiegò il movimento da fare per ottenere qualcosa di  decente. Katniss era affascinata da tanta bravura, ma al tempo stesso imbarazzata da una tale vicinanza. Percepiva, infatti, in modo molto nitido quel respiro caldo e spezzato sul proprio collo, alla radice dei capelli, ed ogni sospiro era diventato una tortura; non aveva il coraggio di muovere nemmeno un dito, e forse non voleva nemmeno realmente farlo.

La perfezione illusoria, il silenzio finto e scricchiolante si ruppero nel preciso istante in cui fu Peeta a cedere, appoggiando incautamente le sue rosee labbra sul collo bianco di Katniss, così dolce e profumato.
La Ghiandaia sussultò e, subito dopo, si lasciò voltare da quei palmi sporchi di farina ma così delicati. Si sedette con cautela sul tavolo, dopo aver spostato alcuni ingredienti, ma il mattarello cadde lo stesso a terra, ignorato da entrambi, che sorrisero.
La situazione, però, si stava ripetendo, uguale identica, alla notte dell'episodio, eppure questa volta sembrava loro di poter capire quando avrebbero dovuto fermarsi, si sentivano più maturi, più forti. Ma forse ci si sente sempre così, in situazioni del genere: non erano affatto più maturi, ma si sentivano tali. Si sentivano dannatamente invincibili, per loro il futuro era improvvisamente diventato qualcosa di controllabilissimo - era buffo, addirittura, che per gli altri non fosse così già da molto tempo.

I baci diventarono sempre più intensi, si mordevano, si cercavano e si bramavano. Non potevano più stare soli, dovevano unirsi, completarsi, come il sole e la luna, come la notte ed il giorno; uno non poteva esistere, senza l'altro.

Eppure il terrore, c'era quel fottuto terrore che attanagliava loro le viscere, soprattutto quelle di Katniss. Era spoglia degli indumenti superiori, i baci di Peeta scendevano sulle cicatrici della sua pelle, del suo seno, verso l'ombelico, e le sue cosce stringevano forte il ragazzo che amava: sembrava tutto meravigliosamente perfetto.
Eppure qualcosa stonava, nell'aria. L'ansia, la tensione ed il disagio che le percorrevano a brividi la spina dorsale non la tranquillizzavano affatto, anzi.
«È esattamente come l'altra volta.» Sussurrò, tra un bacio e l'altro, interamente irrigidita, riferendosi alla notte dell'episodio.
«Posso contenermi.» Rispose lui; un altro bacio. «Sai che posso farlo...»
«No...» Ribattè Katniss «Tu non puoi contenerti, Peeta. Non riuscirai a contenere il mostro, lo sai.» Queste parole, così vere e schiette, sembravano averlo colpito come una lama affilata. Si bloccò ed indietreggiò appena, per un istante senza più aria nei polmoni.
«Sono... sono un mostro per te?» E lo chiese con gli occhi lucidi, grandi ed azzurri di un bimbo.
«No, no...» Perché ogni volta che parlava, povera Katniss, sbagliava?
«Ma lo hai detto. Hai detto che non riesco a contenere il mostro. È questo che pensi realmente?»
«Peeta...» Mugugnò lei, in imbarazzo.
«Dimmelo.» Quei dolci palmi non la toccavano più, e lei si sentiva di fargli schifo, ora.
«No. No, non penso questo. Ma quella parte di te è mostruosa... dai, lo sai.» Le salirono le lacrime agli occhi e mai come allora ebbe un ricordo più nitido: percepì infatti nuovamente le dita di Peeta strizzarle la gola come se fosse un animale, e dovette scrollare la testa con energia prima di riuscire ad acquistare un minimo di lucidità da formulare almeno un'altra frase: «Mi... mi fai paura quando vuoi uccidermi...» Ed infine scoppiò, volto distrutto di una ribellione ormai così passata, che aveva portato tante morti, tanta distruzione. Non ce la fece più a tenersi tutto dentro, ed il pianto che seguì fu solo uno dei tanti che aveva sempre voluto fare ma, per orgoglio, aveva soppresso.
Peeta, dal canto suo, capì.
Capì cosa intendeva Katniss, con la sua definizione di "mostro", con quell'irrazionale paura che le leggeva nelle iridi di metallo, e si dispiacque di non poter essere tutto ciò che lei desiderava e che si meritava.

Con un dolore sordo al centro del petto raccolse la camicetta di Katniss e gliela riadagiò sulle spalle, coprendo le nudità; voleva anche abbracciarla, provava dolore nel vederla in quelle condizioni, ma non voleva spaventarla. Si rivestí a sua volta, con calma, e si passò stancamente le mani sul volto, respirando a fondo, in cerca di quiete. I singhiozzi di Katniss, però, riempivano l'aria e gli giungevano alle orecchie in modo penetrante e stridulo, come il verso delle vecchie Ghiandaie chiacchierone.
Ad un certo punto, non resistette più: la prese in braccio e la strinse forte, come se non ci fosse un domani. «Cazzo, scusami, Katniss...» Sussurrò e piangeva anche lui, dentro «Scusami per quello che sono diventato... per quello che mi hanno fatto diventare.»
Di tutta risposta, lei lo strinse a sé ed affondò il naso nella sua spalla profumata. Era una stretta che poteva significare di tutto, ma Peeta capì il vero motivo, intrinseco e così intenso, che le parole non avrebbero saputo esprimere: Katniss lo amava per quel che era, qualsiasi cosa fosse. E non c'era nulla da perdonare, ma lo perdonava lo stesso, per qualsiasi cosa lui chiedesse pietà.
Peeta le baciò le labbra, di nuovo. Erano soli in quella casa, niente li avrebbe né sentiti, né disturbati, ma nessuno dei due aveva più la minima intenzione di spingersi oltre, non in quell'istante.
A quel punto, però, potevano definirsi più maturi, avevano finalmente affrontato quell'argomento che da troppo tempo omettevano a tutto: l'episodio. Perché non erano necessari né psicologi né dottori, ma solo loro due: loro due che dovevano parlare, confrontarsi, o perlomeno avere il coraggio di guardarsi negli occhi... di piangerle assieme, quelle dolci lacrime amare.





Buonasera ♥,
come va? Perdonate la mia assenza -anche- in questa storia. Rimedierò, sicuramente. ♥
Che dire di questo capitolo? Non poteva esserci un miglioramento senza la svolta costituita da un confronto verbale tra i due, dunque eccola qui. Spero vi sia piaciuto tutto; in ogni caso - positivo o negativo che sia - se mi riferite che ne pensate, ve ne sono molto grata.
Infine, volevo annunciarvi che mancano pochissimi capitoli alla fine di questa mini-long (penso 3!)
Grazie a tutti e buona serata!!

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Capitolo 7
*** Giorno 6. ***


Capitolo 7.

 

Giorno 6.





«Vestiti, che usciamo.» Annunciò Peeta felice, quel pomeriggio, e non ammetteva repliche. «Ah, e mettiti il vestito verde che abbiamo comprato al mercato...» Aggiunse sorridendo, per poi umettarsi le labbra con le lingua.
«Che mi hai costretto a comprare, vorrai dire.» Katniss fece ridere il ragazzo del pane; «Comunque okay, torno subito.»

Dopo venti minuti, nelle sue tenere e semplici ballerine di cuoio, scese le scale tenendosi allo scorrimano, mentre Peeta l'attendeva alla base di questa.
Non appena la vide arrivare, per poco non la riconobbe. Aveva i capelli mossi e sciolti sulle spalle, liberi da inutili forcine, e quel vestito verde smeraldo che aveva scelto solo per lei le stava divinamente, con quella cucitura che si stringeva in vita per poi correre morbida lungo i fianchi. E che dire di come la seta le scivolava addosso, sinuosa e sensuale? In quel preciso istante, Katniss era bellissima.
Peeta le raccolse la mano con un sorriso immenso e le diede un piccolo bacio a stampo sulle labbra, senza aggiungere nessuna parola; bastavano i loro sguardi, a saziarli di tutto.

Camminarono lungo tutto il distretto, fino ad uscirne e a raggiungere la recinzione. Sorpassata questa, Katniss fu più che certa del posto in cui stavano andando: il lago.
Mille ricordi le si affacciavano alla mente, in quella splendida giornata di sole, così calda che sembrava addirittura fosse aprile. Tutti ricordi belli; non c'era più spazio per la tristezza, accanto al ragazzo del pane.

L'abito verde, nel suo semplice e fluido splendore, brillava con la luce del sole e a Katniss piaceva sentirne la consistenza soffice sulla pelle delle gambe, mentre svolazzava.
Infine, arrivarono al lago. Peeta aveva con sé uno zaino abbastanza grosso che adagiò per terra, estraendone poi una grande tovaglia da pic-nic, per distenderla sul prato soffice.  Invitò Katniss a sdraiarsi, promettendole che lui sarebbe tornato subito.
Dopo una decina di minuti, infatti, era nuovamente lì, ma teneva tra le mani un gran recipiente carico di frutti di bosco; «Oddio...» sorrise Katniss, arraffando subito una grossa fragola rossa. Era succosa e dolce, sotto i denti, come piaceva a lei, e subito il suo buonumore aumentò tantissimo. Si sdraiò con la testa adagiata sul petto di lui e si mise ad osservare il cielo, mangiucchiando frutti.
«Mmh, quella nuvola non sembra un sacco un dinosauro?» Chiese improvvisamente Peeta, facendola ridere di gusto, con le guance sempre più rosse.
«Un dinosauro? Perché, tu hai anche presente come è fatto un dinosauro?» Rispose subito lei, che odiava studiare storia alle elementari; soprattutto perché si faceva solo il primo anno di storia antica, per il resto unicamente storia del distretto Dodici - dunque carbone, miniere, minatori e povertà... per non dimenticare la magnificenza di Capitol, a detta del libro: "così generosa e corretta, nei confronti dei propri distretti".
Katniss sospirò; sì, odiava decisamente storia. Ma poi le venne un dubbio, mentre Peeta commentava altre buffe nuvole: anche loro erano nei libri di storia, adesso?
Lo chiese a Peeta, e lui rispose affermativamente, aggiungendo:«Però noi siamo i buoni. I vincitori. C'è un lieto fine per noi.» Lanciò di sfuggita un'occhiata a Katniss, che annuì convinta, prima di rimettersi entrambi ad osservare il cielo.
«Guarda!» Esclamo all'improvviso la ragazza, facendogli quasi venire un colpo «Quella nuvola sembra... sembra una mucca!»
«Che?! Dove, scusa?» Peeta rideva, ed anche lei.
«Lí, lí! È proprio davanti a te, Peeta!»
E, mentre lui era assorto nel cercare la fatidica nuvola, Katniss approfittò per punzecchiargli le costole con le dita, facendolo saltare su se stesso.
Le convenì alzarsi e scappare, con i piedi nudi sull'erba fresca, prima che Peeta la raggiungesse e si vendicasse con quel suo modo di fare il solletico micidiale per lei.
Correvano a perdifiato, felici, ridendo spensierati come realmente si meritavano, fino a quando, stanca morta, Katniss non rallentò e Peeta la raggiunse, avvolgendola tra le proprie braccia coprenti. «Ti ho presa!» Ansimò col fiatone contro i suoi capelli, che gli davano le spalle. Katniss sorrise e, prima che lui se ne rendesse conto, precipitò per terra, tra mille piccoli fiori di campo, esausta. Peeta le finì sopra e, per non schiacciarla, si adagiò sui propri gomiti, osservandola intensamente, felice; le diede un bacio sul naso, poi un altro sulle labbra, mentre con le dita giocava con i capelli bruni e le margherite. Un imbarazzo gioioso accarezzava i loro sguardi.
«Facciamo il bagno nel lago, perfavore.» Propose Katniss, implorandolo con due grandi occhioni luccicanti.
Peeta accettò, con un lieve sorriso quasi malinconico, lasciandola quindi libera di alzarsi. Questa, non appena in piedi, si tolse di fretta il vestito smeraldino e lo gettò sul tappeto rimanendo in completo intimo; un rossore invadente mutò il pallore candido del ragazzo in un carminio intenso, mentre la osservava seminuda.
Non appena lei se ne accorse, arrossì a sua volta, per poi affermare, con quel suo tono ardente: «Oh, andiamo... mi avrai vista ormai mille volte così, non imbarazzarti.»
Peeta sorrise, abbassando la testa ed accingendosi a togliersi la maglietta. Katniss non lo guardava, ma procedeva tranquilla verso l'acqua, dimentica del fatto che lui aveva una complicazione: la protesi che gli caratterizzava una gamba, dal ginocchio in giù. Un morso gli chiuse la gola; gli parve orrendamente brutto chiederle aiuto - perché in acqua non poteva entrare con la protesi, era di metallo e lo avrebbe portato a fondo -, così si tolse normalmente i pantaloni e camminò fino alla riva del lago, dove si sedette ed iniziò a togliersi il moncone, in silenzio.
Dopo il primo tuffo, Katniss si accorse che Peeta non era ancora entrato in acqua, così si voltò in sua direzione, trovando questo ragazzo che zoppicava tra una pietra e l'altra, tentando di raggiungere l'acqua. Il cuore le balzò nel petto e decise subito di nuotare veloce fino a lui, uscendo poi dall'acqua e correndo a soccorrerlo.
«Ma che, sei matto?!» Gridò, prendendolo saldamente da sotto un braccio. Il ragazzo sorrise affranto; «Mi sembrava brutto chiederti aiuto, sinceramente.»
«E perché, scusa?» Katniss parve offesa, mentre procedeva verso l'acqua trascinando lui con sé; pesava tantissimo per la sua muscolatura, ma tentò di resistere. Il vento freddo le sferzava la pelle scoperta e bagnata, ed era certa che di lì a breve le sarebbe venuta una bella influenza, ma se ne infischiò bellamente. C'erano cose ben più importanti da fare.
«È orribile che io debba farmi aiutare per fare una nuotata. È veramente orribile.» Proseguì Peeta, facendola diventare meno arrabbiata, ma comunque seria.
«Sei così per colpa mia, quindi zitto e cerca solo di non fare il peso morto.» Disse Katniss, contraendo le sopracciglia; mancava poco al lago, di lì a poco avrebbero smesso di parlare, per fortuna, e l'acqua avrebbe ben celato quelle maledette lacrime che stavano per crollare giù dalle palpebre.
«Oh, andiamo Kat! Ne abbiamo già discusso abbastanza volte, mi sembra. Mi hai solo salvato la vita, quindi smettila.»
«Smettila tu. Ora metti il piede in acqua e poi tuffati, tanto è subito profonda.» Era perentoria e Peeta non aveva voglia di obiettare, non in quel momento, così semplicemente si immerse, trovando saziante la temperatura mite dell'acqua ed inebriante il corpo di Katniss subito sul proprio, col timore che affogasse, ma si toccava per terra.
«Tutto okay?» Gli chiese, trovandolo abbastanza sereno.
«Tutto okay.»
«Te la senti di provare a nuotare?»
«In verità no.» Rispose lui, ridacchiando.
«Oh, dai... posso aiutarti, possiamo trovare un metodo per stare a galla, potremmo...» Farfugliava lei, rossa in viso.
«Kat...»
«No, ascoltami, potremmo davvero nuotare, fatti aiutare però. Se solo noi...»
«Katniss, davvero, non me la sento.» Sorrise amaramente, sfiorandole il corpo con un braccio, ancorandosi bene al terreno con il piede.
«Peeta... dai...» Arrossiva sempre più; cos'era che la imbarazzava, di preciso? Quella loro vicinanza? O il fatto che fossero seminudi, in un lago lontano da tutto e da tutti? O forse addirittura gli occhi brillanti del ragazzo del pane, che lasciavano trasparire tutta la sua voglia di far ben altro, oltre che nuotare?
Oh, forse era tutto questo assieme, pensò il ragazzo...
«Vieni qui, avvicinati.» Sussurrò Peeta, sorridendo. Katniss lo fissò, indietreggiando; «No... Mi sembra che tu stia bene a galla da solo.»
«Dai, scema...» E l'arraffò per una mano, portandosela addosso, poggiando la propria bocca sulla sua prima che riuscisse a fuggire. Sapeva d'estate, la sua Katniss, d'estate e di fragole. Amava baciarla, era come riunirsi con lei ogni volta, sentirsi più vicini e più un tutt'uno, come se l'uno inglobasse l'altro; era meraviglioso.
Le mani di lui scorrevano impudicamente sulle curve dell'amata, plasmandole a suo piacere, mentre quelle di lei cercavano le sue guance, accarezzandole, tentando con il corpo di non dargli troppo peso, standogli in braccio. Era un bacio bagnato dalle acque del lago ed era bellissimo, diverso.

«Ora, se vuoi...» Esordì lui, guardandola negli occhi profondi «puoi anche insegnarmi a nuotare.» Un sorriso beffardo, soddisfatto, che fece cogliere la palla al balzo a Katniss, che subito lo aiutò.
Tra bevute a grandi sorsate e risate ben poco contenute, quel moncone aveva imparato a stare a galla, finalmente, e Peeta, sebbene molto più lento e meno agile di Katniss, riusciva a nuotare sia a stile libero che a dorso.
Trascorsero in acqua gran parte del pomeriggio senza nemmeno accorgersene; solamente quando il sole iniziò a tramontare, decisero di abbandonare il lago, con la pance che doleva loro da quanto avevano riso.
Dopo aver risistemato la protesi, si buttarono sull'erba ad osservare il cielo, uno di fianco all'altro, mano nella mano; erano tutte cose romantiche, queste, e Katniss si sorprese moltissimo di trovare che le piacessero. La facevano sentire finalmente un'adolescente, una ragazzina spensierata come non era mai realmente stata.
Poi, improvvisamente, come a completamento di quella giornata così dorata e speciale, arrivò la fatidica frase di Peeta: «Tu mi ami. Vero o falso?»

Per un attimo - anche più di un attimo, in realtà - Katniss rimase frastornata. Girò il collo in sua direzione, con i capelli nell'erba, e ritrovò i suoi occhi chiari, un po' scuri per via del buio che avanzava. Ancora quel gioco, ancora quel delirio.
Respirò, come per dire qualcosa, ma tacette subito dopo, sigillando le labbra in una linea sottile; lei non era mai stata brava con le parole... eppure con le emozioni sì, almeno un po', perché lesse prima che fosse troppo tardi l'amarezza e la delusione nei non più fieri occhi di Peeta. Alzò dunque una mano, accarezzò il volto del ragazzo con dolcezza e si sporse a baciarne le labbra, sollevandosi volontariamente a cavalcioni su quel corpo. Stringeva forte tra le dita il capo di Peeta, tanto quanto lui imprimeva i polpastrelli nei suoi glutei seminudi. Fu strano, nei primi istanti, quel bacio appassionato, quel bacio così forte, soprattutto dopo la giornata che avevano trascorso, quasi da bambini; ma piaceva ad entrambi, terribilmente. Per Peeta, era come se Katniss stesse sussurrando mille "Vero"; per lei, invece, era una semplice conseguenza di tutto ciò che avevano passato. Doveva accadere, prima o poi, e quell'istante le parve perfetto.

Fecero l'amore sul prato, con l'erba sottile che pizzicava loro la pelle, i fiori che rilasciavano l'ultimo, inebriante respiro profumato, chiudendosi alle porte della notte; unicamente il manto stellato a far loro da testimone, con i suoi astri dolcemente argentati.

Faceva freddissimo, eppure nessuno dei due sembrava rendersene conto, sebbene decisero, a notte più che fonda, di avvolgersi nella coperta ed entrare nella piccola casetta che da ormai tantissimi anni costeggiava il lago.
Katniss chiuse la porta, per poi sedersi sul piccolo letto, stringendosi bene il tessuto addosso, mentre Peeta accendeva un piccolo fuoco nel caminetto. Ci mise poco, e quando si voltò si accorse che la sua amata lo stava osservando accuratamente e no, per una volta stranamente non si vergognò di essere stata colta in flagrante.
Lui prese fiato come per dire qualcosa, ma lei lo interruppe, di colpo: «Vero.»
«Che?!» Chiese subito Peeta, sicuro di aver capito male - magari un'allucinazione! -, con il cuore che improvvisamente gli rimbalzava nella gola.
Katniss sorrise appena, con le guance color rubino, facendogli capire che non si era sognato nulla; il ragazzo del pane si gettò in sua direzione, scontrando le proprie labbra con le sue, sorridendo di gusto, assieme a lei. Si distese nuovamente sul suo corpo e ne venerò ogni parte, come a ringraziarla, come se le fosse riconoscente. Di cosa? Di quel "Vero"?
Katniss sorrise; poteva pure dirglielo più spesso, se lo rendeva così felice, pensò.




Buongiorno♥
Come va? Capitolo dolce, dolce ed importante per i nostri Katniss e Peeta, che smettono di avere paura del futuro e, per un attimo, si vivono la vita.
Mancano circa due capitoli alla fine, spero che questa storia via stia piacendo; sappiate che anche la più piccolissima parola spesa in una delle vostre recensioni, mi ha spronato a continuare, a non mollare.
Grazie, grazie davvero.

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