Un omicidio per i Black

di Nene_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** Scelta OC ***
Capitolo 3: *** 1 - L'omicidio di Samuel Larson ***
Capitolo 4: *** 2 - Reazioni ***
Capitolo 5: *** 3 - Conseguenze ***
Capitolo 6: *** 4 - Il funerale ***
Capitolo 7: *** 5 - Caroline Hellen Fisher ***
Capitolo 8: *** 6 - Sylvia Berenice Burke ***
Capitolo 9: *** 7 - Catalina Garcia Lopez ***
Capitolo 10: *** 8 - Elliot Alexander Florence ***
Capitolo 11: *** 9 - Aaron Morgan ***
Capitolo 12: *** 10 - Alexis Elizabeth Buldstrode ***
Capitolo 13: *** 11 - Cassiopea Lyra Black ***
Capitolo 14: *** 12 - Amelie Northman ***
Capitolo 15: *** 13 - Lysbeth Gwen Chevalier ***
Capitolo 16: *** 14 - Cecilia Alya Weiss ***
Capitolo 17: *** 15 - Theophile Larson ***
Capitolo 18: *** 16 - Candice Sutherland ***
Capitolo 19: *** 17 - Darius Levenvolde ***
Capitolo 20: *** Speciale ***
Capitolo 21: *** 18 - Melisandre McTavish ***
Capitolo 22: *** 19 - Julia Carlisle / Victoria Julia Foster ***
Capitolo 23: *** 20 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** 0 - Prologo ***


0


- Prologo -
 


21 giugno 2007, Londra, Villa Black - Levenvolde




"Non posso credere che tu l'abbia davvero fatto!" Strillò Cassiopea completamente fuori di sè, entrando in una stanza a caso.
Era talmente furiosa che fece esplodere il vaso sopra al tavolino in mille pezzi, in un eccesso di magia involontaria.
E Darius, che la seguiva a poca distanza, prima di risponderle contò mentalmente fino a dieci.

Quando Cassiopea era incinta era intrattabile. Bastava un nulla per farla scattare come una molla. E il primo a farne le spese era lui.

"Cassy..." Tentò comunque, avvicinandosi a lei con il tono e il portamento più tranquillo che la situazione potesse permettergli. "Tesoro... ho dovuto farlo, non ho avuto altra scelta. E lo sai anche tu."
"No, Darius. La scelta alternativa ce l'avevi eccome!" Strillò però lei ormai in preda alle lacrime. Maledetti ormoni! "E non cercare giustificazioni perchè non ne hai!" Continuò ad urlare facendo un passo indietro, per evitare la mano del marito che aveva cercato di raggiungere la sua spalla. "E non provare neanche queste tecniche subdole, perchè con me non attaccano, chiaro?" Concluse girando i tacchi e cercando di andarsene.
Ma Darius fu più veloce e la acchiappò al volo per un braccio, stando attento a non usare una presa ferrea.

"Cassy, per favore, possiamo parlarne?" Provò a pregarla.
"Non di sicuro adesso." Rispose però lei fredda "Gli invitati arriveranno da un momento all'altro."
"Appunto! Vogliamo davvero farci vedere davanti a tutti arrabbiati l'uno con l'altro?"
Tentò di farla ragionare l'uomo, sapendo bene quanto alla moglie interessasse mantenere una certa immagine pubblica. In fondo il party l'aveva organizzato lei.
"Non preoccuparti Darius." Rispose però Cassy con gli occhi che spruzzavano scintille rabbiose "Non se ne accorgerà nessuno. Sono molto brava a fingere. E tu dovresti saperlo bene."

Davanti a quella frase sibillina, Darius capì che per quella sera non avrebbe potuto ottenere nulla.
Non c'era niente che potesse fare o dirle per farle cambiare idea. Non in quel contesto perlomeno. Perciò la lasciò andare.
E Cassiopea, senza aggiungere altro, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

L'auror, roteando gli occhi, si apprestò a seguirla. Prima che la sua attenzione venisse attirata dallo sgabuzzino alla sua destra, dal quale era uscito uno strano rumore.
C'era qualcuno dentro.
Qualcuno che aveva ascoltato tutta la loro conversazione.

Fantastico. Davvero fantastico.

Inviperito, pensò velocemente ad un incantesimo per impedire a questa persona - chiunque fosse - di scappare.
E solo dopo aver sentito l'imprecazione proveniente dall'interno, segno che l'incantesimo era andato perfettamente a segno, aprì la porta.

Fu così che si ritrovò davanti a Samuel Larson, il loro cameriere da cinque anni, appeso a testa in giù.
"Sam!" Esclamò sorpreso, agitando appena una mano per liberarlo. "Si può sapere cosa diavolo stavi facendo, nascosto dentro allo sgabuzzino?" Forse il tono gli uscì più duro di quanto volesse, ma su qualcuno la sua frustazione doveva pur sfogarla.
"Io... io..." Iniziò a giustificarsi l'uomo balbettando, senza però riuscire a fornirgli una spiegazione convincente.
"Da quanto ascolti le conversazioni private tra me e mia moglie?" Domandò a quel punto il ragazzo, facendolo sbiancare.
"No... conversazioni? Io non... ho sentito nulla... no..." Rispose l'altro, continuando a balbettare terrorizzato.
Facendo sbuffare di impazienza Darius.

Per quella sera il suo livello di sopportazione aveva già ampiamente superato il limite.

"Non ho bisogno di domestici che, anzichè fare il loro dovere, spiano me e la mia famiglia!" Commentò con un diavolo per capello. "Sei licenziato. Domani mattina ti voglio fuori da questa casa. Guai a te se vai a riferire anche la minima cosa che hai sentito o visto in questa Villa ad anima viva! E adesso sparisci!"



-*-*-*-


"Sei così arrabbiata da non concedermi neanche il ballo di apertura?"

Era stato appena un sussurro, quello di Darius al suo orecchio. Eppure Cassiopea lo aveva sentito benissimo.
Sorridendo dolcemente, gli appoggiò una mano sul viso e poi lo attirò leggermente a se, come per baciarlo. "Ma certo che te lo concedo. Però stanotte dormi sul divano. Così come le prossime. E non provare a sbuffare: c'è un paparazzo a pochi metri."

Chiunque li avesse visti da fuori, avrebbe scambiato i loro gesti per tenerezze.
Ma Darius, che conosceva bene la moglie, sapeva che il suo
personale inferno domestico era appena iniziato. Almeno finchè Cassiopea non si fosse calmata.
Mettendo su la sua migliore faccia di bronzo, la stessa che sfoggiava al Dipartimento Auror quando le cose si mettevano davvero male, il ragazzo le sorrise dolcemente "Come vuoi tu, cara." La prese per mano e la accompagnò in pista, dove, dopo un breve discorso di benvenuto a tutti gli ospiti, iniziarono a ballare.

Stavano per abbandonare la pista, terminato ormai il secondo ballo di fila, quando un movimento strano proveniente da destra attirò l'attenzione dell'Auror.
E qualcosa di molto pesante cadde nella piscina, schizzando acqua ovunque.
Acqua mista a qualcos'altro. Qualcosa di rosso.


Al centro della piscina il cadavere di Samuel Larson, coperto di sangue, galleggiava con gli occhi sbarrati.


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Ciao a tutti!
Per chi ancora non mi dovesse conoscere, piacere sono Nene, una delle tante drogate di interattive ^-^
Sto concludendo "Un erede per i Black" e, mentre guardavo il telefilm "Devious Maids - Panni sporchi a Beverly Hills" mi è venuta l'ispirazione per questa. In un certo senso è un continuo, ma possono anche essere lette separatamente.
Detto ciò, passiamo alle 
REGOLE PER ANDARE D'ACCORDO CON LA SOTTOSCRITTA:

1) massimo 2 OC a testa, di età compresa tra i 25 e i 40 anni.
Costoro saranno tutti appartenenti all'alta società magica inglese (che non significa necessariamente essere purosangue! Basta avere un determinato ruolo: ad es. al Ministero, star del Quidditch, importante scrittore diventato famoso grazie ad un best seller ecc ecc) oppure persone che hanno lavorato alla festa (camerieri, tecnici, cuochi ecc ecc). Chi ha già partecipato all'altra interattiva può decidere se rimandarmi gli stessi personaggi oppure dei nuovi!
Tra questi mi servirebbero:
- un magiavvocato (o più di uno)
- un giudice
- un Auror (o più di uno)
- un/a cameriere/a (o simili) che ha sentito Darius licenziare Samuel
- la famiglia di Samuel Larson (moglie/fidanzata, sorella/fratello...)
- Samuel Larson (no, non sono pazza!)

2) non do un numero massimo o minimo di personaggi, MA se non venite scelti NON VOGLIO PIAGNISTEI

3) chi viene scelto deve farsi sentire almeno ogni 2 capitoli: dopo 2 di assenza il vostro OC non comparirà nel 3° e farà una brutta fine nel 4° (su questo punto non scherzo: non sapete quanti ne ho fatti fuori nelle mie storie precedenti!)

4) se volete partecipare mi lasciate un commento e, quando vi do l'ok, mi mandate la scheda per MP:
     - NO a schede lasciate per recensione
     - secondo le regole del sito "Voglio partecipare con una ex Serpeverde di 20 anni" non è una recensione! Quindi evitate. 

5) Tutti i vostri personaggi potranno essere l'assassino, perciò MI SERVE UN MOVENTE. Poi deciderò io chi sarà quello vero (se proprio non volete che il vostro OC sia l'assassino, segnalatemelo nel MP)

6) gli aggiornamenti saranno irregolari, ma non andrò mai oltre le 2 settimane 


Questa è la SCHEDA --> da mandare entro e non oltre il 10/02/2017.


Nome, cognome
 (eventuali secondo nome, soprannome):  
 


Ex Casa ed ex Scuola
 (può essere anche non Hogwarts!):

Età (tra i 25 e i 40):

Descrizione fisica del personaggio:

prestavolto:

descrizione psicologica e caratteriale:

Storia del personaggio e della sua famiglia:

Bacchetta:

Cosa fa nella vita:

Perchè potrebbe aver ucciso Samuel Larson:

segreto personale che non confiderebbe ad anima viva:

cosa ama, cosa odia, cosa gli piace, cosa no:

fobie:

Altro (più siete completi più è facile che vi scelga!):


Detto ciò, ecco a voi i miei OC (chi ha già partecipato o letto "Un erede per i Black" li conosce)

Image and video hosting by TinyPic Cassiopea Lyra Black in Levenvolde, ex Corvonero, 25 anni, lavora al Ministero come funzionaria nell'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. E' sposata da 5 anni con Darius Levenvolde. Ha ereditato dal nonno, Antares Black, un ingente patrimonio.


Image and video hosting by TinyPicDarius Levenvolde, ex Folletto (Durmstrang), 31 anni. E' il terzogenito del Primo Ministro della Magia Russo, Alexej Levenvolde, e abita in Inghilterra con la moglie da quando l'ha conosciuta. E' un Auror parecchio stimato.


Image and video hosting by TinyPicLyra Meissa Levenvolde, 4 anni, è la primogenita della coppia.


Inoltre compariranno anche loro (mi dicano le autrici se li vogliono ancora come principali!):


Image and video hosting by TinyPic Gillian Greengrass in Black, ex Corvonero, 27 anni, lavora al Ministero nel Dipartimento per il Controllo e la Cura delle Creature Magiche. E' sposata da cinque anni con Nihal Black. E' cugina di primo grado di Cassiopea, nonchè la sua migliore amica.


Image and video hosting by TinyPic Nihal Black (nato Nihal Jackson), ex Tuonoalato (Ilvermony), 30 anni, divide con la sorella North un'attività di antiquariato. Cugino di primo grado di Cassiopea, è diventato suo "fratellastro" quando è stato adottato da suo nonno, Antares Black, ereditandone così sia il cognome che un ingente patrimonio.


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Capitolo 2
*** Scelta OC ***


0 bis


Ciao a tutti!
Di sotto troverete le scene con man mano tutti gli OC scelti. Come al solito la partecipazione è stata alta e così, anche se a malincuore, ho dovuto eliminare qualcuno (è stato davvero difficile, credetemi).

Detto ciò vi ripeto che chi è stato scelto deve farsi sentire almeno ogni 2 capitoli: dopo 2 di assenza il vostro OC non comparirà nel 3° e farà una brutta fine nel 4°: le recensioni nel precedente NON sono considerate ai fini del conteggio.
Spesso troverete anche delle domande a fine capitolo, alle quali dovrete rispondere.

Può anche essere che alcuni dei vostri personaggi, anche se scartati, facciano delle comparse in qua e in là.

Buona lettura! ;)

ps: le scene non sono in ordine cronologico



- Scelta OC -
 




postimage  Aysha Mayne Meghara, 25    Image and video hosting by TinyPic Eleanor Parker, 29

  postimage Aaron Morgan, 35   Image and video hosting by TinyPic Darius Levenvolde, 31



14 giugno 2007,
Londra, Ministero della Magia, Dipartimento Auror, ore 6.00 (una settimana prima)




"Capo, sono tornati."
A quelle parole Aaron Morgan, con un sospiro di sollievo, abbandonò il fascicolo che stava leggendo sul tavolo.
Poi alzò la testa in direzione di Aysha Mayne Meghara, che faceva capolino dalla porta, con i capelli leonini che le incorniciavano il volto, in attesa di una sua risposta. Infine si alzò per dirigersi in Sala Riunioni. Sentendo dietro di sè il rumore dei passi della collega seguirlo a breve distanza.

Lì, con un'aria stravolta - sintomo della nottata appena passata - si trovavano Darius Levenvolde e Eleanor Parker, entrambi con una tazza di caffè in mano, piena fino all'orlo.

"Com'è andata?" Si interessò Aaron, catalizzando tutta la sua attenzione sui due.
Era da circa due mesi - esattamente 56 giorni, gli suggerì una vocina nella sua testa - che gli era stato affidato il coordinamento di quella delicata operazione. Talmente delicata e importante che molte squadre erano state poste sotto il suo comando.

Uno sbadiglio di Darius però, gli confermò che anche quella notte non erano venuti a capo di nulla.
"L'appostamento non ha portato a niente." Rispose infatti Eleanor per entrambi "Calma piatta. Se i sensori termici non ci avessero confermato che si trovavano davvero lì dentro, neanche ce ne saremmo accorti." Spiegò.
"Maledizione!" Imprecò Aaron "E io che speravo che stanotte saremmo finalmente riusciti ad ottenere qualcosa!"
"Se non è successo nulla stanotte succederà presto." Provò a rassicurarlo Aysha, poggiandogli una mano sulla spalla. "Ormai gli stiamo con il fiato sul collo da mesi. Prima o poi faranno un passo falso. E' solo questione di tempo."
"Adoro il tuo sano ottimismo Mayne." Rispose Darius con un leggero sorriso "Ma questi sono ossi davvero duri. Probabilmente di questi appostamenti ne serviranno ancora molti, prima di riuscire a concludere qualcosa."
"Motivo in più per non perderli mai di vista, neanche per un secondo." Commentò Aaron "Chi vi ha dato il cambio?"
"Sarah Thompson e Mark Rhodes della squadra 914." Rispose Eleanor, soffocando l'ennesimo sbadiglio e cercando di coprirlo il più possibile con la mano. "Ma non credo che..." Non terminò la frase, che venne interrotta dall'ennesimo sbadiglio.
"Beh, direi che per oggi può bastare, per voi due." Commentò Morgan divertito, mentre osservava Darius cercare in tutti i modi di non imitare la collega. "Andate a casa, fatevi una doccia e, soprattutto, dormite." Ordinò. "Se si preannuncia una indagine destinata ad andare per le lunghe, vi voglio in forze, per i prossimi appostamenti." Concluse battendo le mani. "Tu invece Mayne vieni con me. Abbiamo molto lavoro da fare."
"Sì, signore." Risposero tutti e tre in coro, prima di abbandonare le rispettive postazioni.

Mentre Aysha seguiva nuovamente Aaron per il corridoio, ordinando a diversi promemoria viola svolazzanti di tenere dietro ad entrambi e urlando contemporaneamente ordini ad alcuni Auror sparsi nei cubiculi, Eleanor e Darius si diressero verso l'uscita.

"Non vedo l'ora di togliermi questa schifezza dai vestiti... e soprattutto di farmi una doccia. Puzzo come una capra." Commentò la ragazza quando si trovarono nell'Atrium, in fila per accedere ad uno dei camini che li avrebbe condotti a casa.
"A chi lo dici!" Rispose lui, vedendo finalmente il camino di fronte a lui vuoto "Ci vediamo lunedì!" Esclamò prima di sparire tra le fiamme smeraldine.
"Ehy!" Protestò Eleanor "Come lunedì? Ma se è solo giovedì! Levenvolde, torna indietro!" Strillò prima di rendersi conto di parlare al vuoto. "Non mi dire che si è preso tutto il weekend di pausa senza avvisarmi." Borbottò scuotendo sconsolata la chioma rosso fiamma. "Questa me la paga."
Poi entrò nel camino e sparì tra le fiamme anche lei.




- * - * -


   Image and video hosting by TinyPic Cassiopea Black in Levenvolde, 25   
Image and video hosting by TinyPic Gillian Greengrass in Black, 27


 Villa Black - Levenvolde, ore 6.45



Se Cassiopea avesse fatto un altro giro su quel pavimento, avrebbe lasciato un solco.

Questo fu ciò che Gillian pensò, anche se si astenne dal commentarlo ad alta voce.
Sua cugina aveva già fatto almeno trenta volte il giro del salotto - e questo soltanto negli ultimi dieci minuti. Continuava a muoversi avanti e indietro, stropicciandosi le mani e passandole nervosamente sul ventre, ormai parecchio pronunciato, essendo entrata nel settimo mese di gravidanza.

"Cassy?" Domandò dolcemente, in tono quasi materno, chiedendosi come continuare la conversazione. Di certo non poteva chiederle se stesse bene. Sua cugina non stava bene. Non finchè non avesse rivisto Darius rientrare in casa, sano e salvo.
"Uhm?" Fu la risposta della padrona di casa. "Vuoi dei biscotti Gilly?" Domandò distrattamente.
Soprassedendo sul fatto che era la quarta volta che glieli offriva, ma che non glieli portava, la ragazza sospirò. "Se hai quelli al cioccolato volentieri." Rispose nuovamente, sapendo già cosa cosa sarebbe successo.
"Ok. Adesso chiamo Cata e te ne faccio portare un vassoio." Disse la Black, avviandosi verso la porta, prima di bloccarsi sulla soglia.
"Tesoro, sono sicura che Darius sta bene." Provò a rassicurarla Gillian, alzandosi per andare ad appoggiarle una mano sulla spalla. "Perchè non vai a stenderti un po'?"
"No." Fu la secca risposta.
"Tutto questo stress fa male al bambino." Tentò nuovamente di convincerla Gilly.
"E secondo te cambierebbe qualcosa, essere stressati da seduti o da in piedi?" Ribattè Cassy nervosamente
"Io non vado a letto finchè mio marito non torna." Affermò decisa. 
"Ma..." Provò a ribattere la Greengrass, prima di essere interrotta.
"Fantastico. Si è svegliato. E scalcia anche parecchio." Commentò la Black con una smorfia sul volto, iniziando a massaggiare con vigore il ventre gonfio.
"Irrequieto come la mamma allora. Perchè quel lato non l'ha preso di sicuro da me. Io ero un angioletto da piccolo."
Darius, senza che nessuna delle due se ne fosse minimamente accorta, era sbucato alle loro spalle. E Cassiopea, dimenticandosi completamente dei calci del secondogenito, si era precipitata ad abbracciarlo.

"Tesoro, prima che tu possa pentirtene, ti avviso: puzzo da morire." Commentò l'auror divertito, spalancando però le braccia. Anelava dalla voglia di abbracciarla.
"E' per questo motivo che hanno inventato le vasche da bagno." Rispose lei prima di alzarsi in punta di piedi per baciarlo, intrecciandogli le dita dietro al collo.

Gillian guardò la scena per qualche secondo con un sorriso sulle labbra. Poi, capendo che la sua presenza non era più necessaria - e anzi, probabilmente di troppo - sgusciò via.



 

- * - * -

postimageCecilia Weiss in Evans, 26  Image and video hosting by TinyPic Nihal Black, 32


 Villa Grengrass - Black, ore 7.15


Gillian era appena rientrata in casa quando sentì delle risate provenienti dal salotto.
Per un attimo rimase perplessa, visto che non doveva esserci nessuno - escludendo i figli, che però dormivano sicuramente ancora della grossa.
Ma poi riconobbe le voci e un enorme sorriso le spuntò sul volto.
Senza neanche rendersene conto iniziò a correre verso quella stanza, finendo per saltare addosso a suo marito, che la afferrò al volo stringendola delicatamente.
"Sei tornato in anticipo!" Esclamò sorpresa, mentre la stanza attorno a lei vorticava. "Tu e North siete poi riusciti a recuperare il prezioso vaso perduto?" Lo prese in giro, riferendosi alla famosa pubblicità babbana.
Prima di metterla giù ridacchiando, Nihal la baciò. "Oh sì. E anche ad un prezzo esageratamente conveniente."

"Piccioncini, capisco che non vi vediate da tanto, ma io sono qui!" Li riportò alla realtà la voce della terza persona presente nella stanza.
Gillian, facendo finta di sbuffare, si staccò da Nihal.
Poi si lanciò sulla cugina più o meno nello stesso modo, ridendo a crepapelle e stritolandola in un abbraccio. "E' bellissimo rivedere anche te Sil... ma da dove sei sbucata, esattamente? Tu e Aster non eravate in Spagna?"
"Infatti è così." Confermò la rossa con un sorriso, appena riuscì a liberarsi della presa della bruna "E' proprio da Barcellona che Nihal 'mi ha recuperato'." Spiegò mimando le virgolette con le dita "Non c'erano passaporte dirette, dal Venezuela all'Inghilterra, così tuo marito ha fatto scalo in Spagna... e io ho deciso di fare una sopresa a tutti!" Esclamò allargando le braccia "Quindi, per favore, non dirlo a Cassy. Lo saprà anche lei a tempo debito. A proposito, come sta?" Domandò quasi tutto d'un fiato. "Non vedo l'ora di vedere quanto sua figlia Lyra è cresciuta! Sarà diventata ancora più bella immagino! E, a proposito di bambini, come stanno i tuoi? Voglio vederli!"


- * - * -


 postimage Lyra Levenvolde, 4  postimage Catalina Garcia Lopez, 25 

 

Villa Black - Levenvolde, ore 9.30


"Sveglia mi pequena!"
Al richiamo di Catalina, la piccola Lyra fece un sorrisetto furbo e poi si nascose sotto al lenzuolo, sperando forse che la cameriera non notasse le sue mosse.
E la ragazza stette al gioco. Facendo finta di nulla, si chinò sulla bambina.
Poi, quando fu a pochi millimetri dalla sua guancia, le fece una pernacchia, facendola scoppiare a ridere.

"Ah ma allora sei sveglia!" La prese in giro.
"No!" Ribattè l'altra, cercando di negare l'evidenza.
Per confermare tale ipotesi, si girò dall'altra parte, chiudendo nuovamente gli occhi.
"Che peccato!" Esclamò Cata con un sorriso furbo "E io che speravo di avere una assaggiatrice per la torta al cioccolato che devo preparare!" Continuò ridendo sotto ai baffi per la reazione che Lyra aveva avuto alle parole 'torta' e 'cioccolato' "Vabbè, vorrà dire che la mangerà tutta Diego." Concluse, sapendo perfettamente di averla in pugno.
"Nooo!" Gridò infatti la bambina, spalancando gli occhi di colpo. "Io torta!"
Catalina, a quella reazione più che aspettata, cercò di rimanere seria. "La torta può essere mangiata solo da persone sveglie." Commentò impassibile.
"Sono sveglia!" Protestò Lyra, allungando le braccine verso di lei per essere presa in braccio.
E Catalina si apprestò a sollevarla ridacchiando.



- * - * -



postimage Candice Shuterland, 27  postimage Lysbeth Chevalier, 25
 
postimage Samuel Larson, 28


Villa Black - Levenvolde, ore 8.00


Samuel Larson avanzò a passo deciso per il cortile finchè non raggiunse la fila delle "aspiranti".
O almeno quella che aveva ribattezzato come tale nella sua testa.
Gettò un'occhiata a tutte, senza prestare particolare attenzione a nessuna - chissà come mai erano praticamente tutte donne - poi estrasse il foglio di pergamena che teneva nella tasca.
"Candice Shuterland e Lysbeth Gwen Chevalier?" Domandò con tono monocorde e piatto.

Immediatamente due ragazze nella fila alzarono la testa.
Al contrario della prima, che aveva lunghi capelli castani mossi nella norma, quelli della seconda erano di un colore alquanto improbabile. Che immediatamente fece storcere il naso a Samuel.

Ma in fondo cosa gli importava? Lui doveva soltanto fare il suo lavoro.

"Con me." Si limitò a dire, facendo ad entrambe un segno col capo.

Non aspettò per vedere se le due lo stessero effettivamente seguendo o meno, così come non si fermò a presentarsi o a chiedere qualcosa sul loro conto, nonostante i tentativi di Candice di fare conversazione. Semplicemente, si limitò a condurle per il cortile, seguendo lo stesso percorso che lo aveva portato fin lì.
Finchè non arrivò alla meta.
Un tavolo di legno con quattro sedie posto in un angolo riparato.

"Sarò breve." Commentò accomodandosi e facendo loro segno di fare altrettanto.

Le due, prima di sedersi, si scambiarono un'occhiata perplessa.

"Siete state selezionate per lavorare alla festa che si terrà qui tra una settimana non per chissà quali doti come cameriere... di quelle ne potremmo trovare a migliaia. Ma perchè entrambe parecchio brave a suonare il violino. Perciò, se siete disposte a lavorare sia come cameriere che come musiciste, il posto è vostro. Per tutta questa settimana e la prossima. 3000 galeoni di compenso a testa, per una disponibilità lavorativa continua. Se accettate, dovete firmare qui."
Con un colpo di bacchetta, fece comparire un contratto già compilato, nel quale mancava solo la firma, insieme a due penne d'oca e una boccetta di inchiostro.

"Scusi ma..." Provò a domandare Candice sporgendosi appena "cosa intende con 'disponibilità lavorativa continua'?"
Samuel, prima di rispondere, spostò lo sguardo su Lysbeth, che sembrava avere dipinta in faccia la medesima domanda. "Non verranno intaccati i vostri diritti sindacali, se è questo che temete." Commentò con un sorrisetto ironico. "Tuttavia potreste essere chiamate a lavorare a qualsiasi ora del giorno o della notte senza preavviso." Spiegò "In fondo, la signora è incinta." Aggiunse come se quell'ultima frase potesse spiegare tutto.
"Perciò in queste due settimane dovremmo essere sempre a disposizione?" Riassunse Lysbeth.
"Esattamente." Annuì l'uomo "Ma immagino che questo già potevate immaginarlo. E il compenso vale ogni disturbo, giusto?"
Sia Candice che Lysbeth si ritrovarono ad annuire.

"Dove ha detto che devo firmare?"

Per 3000 galeoni in due settimane probabilmente sarebbero state entrambe disposte a fare di peggio che svegliarsi in piena notte per rispondere ai capricci di una ricca ragazza incinta.

Dieci minuti dopo, Candice e Lysbeth si stavano accordando per provare insieme, quando la voce di Samuel le raggiunse nuovamente.
"Chevalier, le do un consiglio: cambi il colore dei capelli."



- * - * -


postimage Melisandre McTavish, investigatrice privata, 25


Bassifondi di Londra, ore 7.25



"Forza bello! Vieni cinque centimetri più avanti... fallo per la zia!"

Nonostante stesse borbottando quell'incitamento da cinque minuti buoni, tale preghiera non venne ascoltata nè da Danny Mill nè, tantomeno, da Jane Anderson, la donna che si trovava con lui e che era la sua amante.

Melisandre McTavish borbottò di frustrazione.

Nonostante gli stesse con il fiato sul collo da almeno due settimane, nessuno dei due aveva fatto un solo passo falso fino a quel momento.
E proprio adesso che lo stavano facendo, lei era troppo lontana da loro per poter scattare quelle foto che li avrebbe inchiodati per sempre.
E non poteva neanche avanzare o la sua copertura sarebbe saltata, mandando a puttane tutto il suo duro lavoro.

Di punto in bianco però, la fortuna sembrò girare dalla sua parte quando Jane uscì a passo svelto dall'appartamento. E Danny le corse dietro altrettanto di corsa.

Altro che cinque centimetri! Quelli erano veri e propri metri!

Senza attendere altro, Melisandre iniziò a scattare foto a più non posso, cercando al contempo di recepire quante più informazioni possibili dalla loro conversazione - non che fosse difficile, visto che si erano messi ad urlare l'uno contro l'altro.

Soddisfatta per gli ottimi risultati finalmente ottenuti, Melisandre racattò tutti i suoi strumenti.
Poi si smaterializzò nuovamente nel suo ufficio.



- * - * -



postimage Caroline Fisher, 26, magiavvocato postimage Julia Carlisle, 28, medimaga


San Mungo, ore 7.30



Julia Carlisle attraversò a passo svelto uno dei tanti corridoi del San Mungo, completamente assorbita dalla lettura di una cartella di un paziente.
Era talmente immersa nell'attività, che non si rese conto subito di essere arrivata nella zona di smistamento di primo soccorso, caratterizzata da un andirivieni e da un vociare molto vivace, estraneo al resto dell'ospedale.


Sollevò lo sguardo dal fascicolo solo quando sentì una voce a lei nota chiamarla.
"Julia, ciao!"
Davanti a lei, con una mano malamente fasciata, si trovava Caroline Fisher.
Non che le due fossero grandi amiche, ma Caroline lavorava per un noto studio di magiavvocati, che più volte si era avvalso delle capacità di Julia, usandola come perito.
"Caro!" Esclamò la medimaga, passandola brevemente in rassegna. "Cosa hai fatto alla mano?" Domandò incuriosita avvicinandosi.
"Niente di che. Non sarei neanche venuta qui, se mio marito non avesse insistito." Spiegò Caroline con una stretta di spalle, mentre Julia toglieva la fascia per controllare l'entità del danno con i propri occhi. "Cole, in un eccesso di magia involontaria, ha rotto un vaso di vetro." Spiegò.
"Ha sei anni giusto?" Domandò Julia estraendo la bacchetta e puntandola contro la mano ferita della ragazza.
"Corretto." Rispose l'avvocato.
"Direi che è normale alla sua età." Proseguì la medimaga, borbottando un incantesimo. "Ecco fatto, la tua mano è come nuova!"
"Grazie mille!" Esclamò allegramente Caroline, guardando la mano curata "Chissà quanto avrei dovuto aspettare altrimenti! Come posso sdebitarmi?"
"Ho fatto solo il mio dovere." Rispose Julia "Ma se aspetti cinque minuti, vado a recuperare un fascicolo che serve al tuo ufficio!"
"Quale dei tanti?" Domandò Caroline.
"La perizia che mi avete fatto fare per l'omicidio Brosky. Così mi evito un giro per Londra!" 



- * - * -


postimage Theophile Larson, 27, indicibile   postimage Sylvia Burke in Selwyn, 32, indicibile


Ministero della Magia, ore 9



"Buongiorno!"

Alla voce del suo collega Theophile Larson, Sylvia Burke smise per un attimo di lavorare sulla sfera che aveva davanti. "Buongiorno a te, Theo." Rispose con un leggero sorriso.
"Sono appena le 9 e tu sei già al lavoro... da quanto?" Domandò lui scherzando, avvicinandosi alla scrivania della donna.
"Dalle 7 circa. Mi conosci, sono una tipa meticolosa." Fu la risposta della donna, prima di focalizzare la sua attenzione su qualcos'altro. "E' caffè quello?" Domandò infatti, indicando i due bicchieri che il ragazzo teneva in mano.
"Uno per te e uno per me. Come al solito." Rispose Theo passandole il bicchiere contenente la bevanda bollente.
"Mio salvatore!" Commentò Sylvia allungando una mano per prenderlo e bevendone subito un sorso. "Mi serviva proprio!"
"Come hai detto giustamente tu, ormai ti conosco." Replicò lui, apprestandosi a fare altrettanto. "In fondo da quant'è che lavoriamo insieme ormai?"
"Saranno sei anni a gennaio." Rispose la donna, rimettendosi a lavorare.

Mentre buttava giù il primo sorso di caffè, Theo si appoggiò alla scrivania sulla quale la Selwyn - Burke si corresse automaticamente nella sua testa: Sylvia odiava essere chiamata col cognome del marito sul lavoro - stava lavorando, iniziando ad osservare con molta attenzione ogni minimo gesto che la donna compiva sulla sfera.
Era da circa tre mesi che stavano studiando quel particolare settore della magia pura, ma nonostante ci avessero trascorso sopra ogni singolo minuto libero, avevano fatto pochissimi progressi.

Ma ci sarebbero arrivati. Su quello Theo non aveva alcun dubbio.
Dovevano solo essere pazienti.



- * - * -


postimage  Myles Snow, 40, insegnante di Difesa contro le Arti Oscure
 
postimage Alexis Buldstrode, 25, magiavvocato


Studio del magiavvocato Kennox, ore 10.30


"Ecco, signor Snow. Faccia un'ultima firma qui." Comunicò Alexis Buldstrode, indicando col dito indice il punto nel quale Myles Snow doveva porre la firma per rendere il documento legalmente valido. "Poi abbiamo concluso."
Senza esitazione, l'uomo depose la sua firma in calce, aspettando poi che l'inchiostro sulla pergamena fosse asciutto. "La compravendita è andata a buon fine dunque?" Domandò.
"Assolutamente." Confermò Alexis annuendo. "Lei e sua moglie siete, da questo preciso momento, proprietari dell'immobile."

Myles, davanti a quella conferma, sorrise felice.
Quella casa era stata il sogno di sua moglie dal momento in cui gli aveva appoggiato gli occhi sopra.
E lui, per farle una sorpresa, l'aveva acquistata senza dirle nulla.
Non vedeva l'ora di tornare a casa, da Cat, per informarla che quella casa che le era piaciuta tanto, la casa dei loro sogni, era finalmente davvero la loro casa.

"Queste sono le chiavi della proprietà." Continuò Alexis porgendogli il mazzo. "E complimenti per l'acquisto!"
Myles si sporse in avanti per porgerle la mano. "La ringrazio per l'aiuto, avvocato Buldstrode."
"Si figuri. E per qualsiasi situazione eventuale di incertezza che dovesse presentarsi in futuro, sono qui signor Snow." Rispose Alexis stringendo a sua volta la mano dell'uomo. "Arrivederci!"



- * - * -


Amelie Northman


Amelie Northman, 29, banchiera  postimage Elliott Florence, 30, paparazzo



Villa Northman, ore 11



"Ehy! Cosa diamine sta facendo nel nostro cortile?"

Quando la soave voce di Amelie Northman raggiunse le sue orecchie, Elliott Florence sbuffò contrariato.
"Beccato..." Si limitò a borbottare, alzando gli occhi al cielo.

"Non lo sa che questa è violazione di proprietà privata?" Continuò a sbraitare Amelie, comparendo velocemente nella sua visuale armata di bacchetta. "Potrei denunciarla per violazione della privacy!"
"Essere delle celebrità comporta non averla proprio, una privacy." Si limitò a replicare Elliott, indirizzandole un occhiolino sfrontato. "Lei e suo fratello dovreste saperlo molto bene." Non sembrava affatto preoccupato di essere appena stato 'beccato con le mani nel sacco'.
Anzi, sembrava per lo più divertito.

Amelie, davanti a quella sfrontatezza, assottigliò pericolosamente gli occhi. "Mi sta provocando, per caso?" Domandò tenendolo sotto tiro con la bacchetta.
"Oh no, non mi permetterei mai." Rispose lui sarcastico.
"Se ne vada immediatamente! E lasci in pace me e mio fratello. ADESSO! O chiamo la sicurezza!" Comandò imperiosa.
"Come vuole lei, Madame." Replicò Elliott sempre con lo stesso sorriso sfrontato.
Appellando le sue cose senza fretta, il paparazzo si preparò a smaterializzarsi.

Ma mentre lo faceva non si accorse che Amelie, con un incantesimo non verbale, si era appropriata dei rullini delle foto da lui scattate fino a quel momento.



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Ebbene sì, la stragrande maggioranza sono donne. Diciamo che darò poco spazio alle love story trattandosi di un giallo (e poi molti degli OC che mi avete mandato sono già fidanzati/sposati).

Spero che vi sia piaciuto! Ci si vede tutti alla festa ;)

E a proposito di festa, prima domanda: come reagiranno i personaggi (almeno esternamente) alla morte di Larson? --> PER MESSAGGIO PRIVATO!!!


Chiedo scusa per la mancanza di immagini ma oggi tynipic sta facendo i capricci. Sistemerò appena possibile! A presto! ;)

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Capitolo 3
*** 1 - L'omicidio di Samuel Larson ***


1

Ciao a tutti!
Allura... innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma come molti di voi già sapranno settimana scorsa mi sono laureata, perciò ho avuto molto da fare e poco tempo per scrivere.
In ogni caso ecco a voi il nuovo capitolo! ;)

Piccola avvertenza: vi consiglio di rileggervi un po' tutti i capitoli ogni volta (soprattutto le date), perchè non andrò sempre in ordine cronologico e non vorrei causarvi 'disordini temporali' del tipo "ma quello non era stato ferito alla gamba? Perchè corre come se niente fosse?" 

Ok, buona lettura ;)


- L'omicidio di Samuel Larson - 



21 giugno 2007, Londra, Villa Black - Levenvolde (giorno dell'omicidio)




Sylvia si morse violentemente la lingua per non emettere un gemito incontrollato provocato dall'orgasmo che Theophile le stava facendo provare.
Avevano insonorizzato la camera, ma chiunque sarebbe potuto comunque entrare lì dentro in ogni momento, interrompendoli sul più bello.
Ansante, la donna si appoggiò con la schiena alla colonna di marmo dietro di lei, mentre il suo amante le sprofondava dentro ad un ritmo sempre più incalzante.

Sylvia sapeva che non avrebbe dovuto cedere di nuovo e soprattutto non a quella festa - suo marito si trovava nel cortile, a poca distanza dalla stanza dove loro due si erano rifugiati - ma non era proprio riuscita a trattenersi.
In fondo, che il loro matrimonio fosse una farsa, combinato solo per volere delle loro famiglie, era cosa nota.
Così, appena aveva visto Theophile solo in un angolo, era stata lei a prendere l'iniziativa: con la scusa di parlargli di un problema sul lavoro - essere colleghi aveva anche dei vantaggi dopotutto - l'aveva trascinato in una stanza vuota.
Poi erano stati i loro corpi a fare il resto.

"Oh per Merlino!" Li interruppe la voce di Samuel, entrato in quel momento nella stanza come nelle peggiori previsioni di Sylvia, costringendoli così ad interrompere il bacio di colpo come se si fossero scottati. "Ecco perchè non si apriva la po... Theo!" Esclamò poi, ancora più sorpreso riconoscendo il cugino.

Per un attimo il silenzio regnò sovrano nella stanza, con la situazione bloccata a mezz'aria.
Poi Samuel sembrò riprendersi.
Si schiarì la gola, appellò ciò che era venuto a prendere - un paio di casse piene di bevande - e se ne andò come se niente fosse successo, ignorando i richiami di entrambi.

Ma il sorrisino che sfoggiò prima di uscire dalla stanza non piacque a nessuno dei due.



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postimage postimage Electra e Perseus Black, 2 e 4 anni (figli di Gillian e Nihal Black)



Cassiopea attraversò il cortile infuriata, anche se regolò il suo passo in modo tale che, ad un occhio esterno, potesse sembrare tranquilla e sicura di se stessa.
Non solo aveva litigato con Darius prima dell'inizio della festa, ma subito dopo l'aveva raggiunta quel borioso di August Travers per proporle un matrimonio combinato tra Lyra e suo figlio Manuel.

"Mia figlia ha quattro anni!
E' una bambina!" Aveva sbottato incredula lei "E anche se non lo fosse, sono contraria ai matrimoni combinati." Aveva chiuso la questione in maniera secca, andandosene prima ancora che l'uomo potesse replicare.
Sapeva già che se si fosse trattenuta anche un solo secondo in più, l'avrebbe probabilmente preso a schiaffi solo per averglielo proposto.
Nonostante fosse incinta, non ci teneva a fare la figura della pazza isterica per colpa di una serata storta.

Raggiunta la sua meta si piegò - per quanto fosse possibile dato il pancione - sulle ginocchia, sfoggiando un sorriso luminoso per i tre bambini che si trovavano a giocare in quell'angolo di cortile.
Oltre a sua figlia, erano presenti infatti anche i suoi nipotini Electra e Perseus, vigilati a vista da Cecilia, seduta comodamente a tavolino con un drink tra le mani e un sorriso sulle labbra.

"Mamma!" La accolse festante Lyra, lasciando andare il gatto che aveva tenuto tra le mani fino a quel momento e spalancando le braccia per essere presa in braccio.
Con una nota di divertimento, Cassiopea vide il gatto approfittare della momentanea distrazione della bambina per fuggire il più lontano e velocemente possibile, perciò decise di fornirgli più tempo per la fuga accontentando la figlia.
Mentre Lyra si accoccolava sul suo petto, Electra, muovendo passi incerti, si aggrappò alla sua gamba e Perseus, per l'ennesima volta, allungò le braccia per sfiorarle il pancione e chiederle come facesse a starci dentro suo cugino senza sentirsi stretto.

"Sai che me lo sono chiesto sempre anche io?" Intervenne Cecilia alzandosi dal tavolino, visibilmente divertita dalla domanda che ogni volta metteva in difficoltà sua cugina. "Purtroppo però ancora nessuno l'ha capito. Anzi, sembra che lì dentro si stia incredibilmente comodi." Concluse strizzando l'occhio in direzione della Black.
Immediatamente Electra si girò verso di lei, allungando le braccia. "Tia in baccio!"
"Anch'io!" Le fece eco il bimbo, lasciando così perdere il pancione di Cassy.

"Oh Morgana! Sono qui da neanche una settimana e ho già il mal di schiena!" Si lamentò Cecilia borbottando, ma chinandosi per accontentarli entrambi. Ovviamente lo disse a bassa voce, in modo tale che solo sua cugina potesse sentirla.

In realtà mentiva sapendo di mentire. Era ben felice di poter spupazzare i suoi nipoti in quel modo. E come aveva detto più di una volta sia a Gillian che a Cassiopea "Voi siete le mamme e li educate. Io sono la zia e li vizio."

Cassiopea ridacchiò divertita, mentre stampava un bacio sulla tempia della primogenita, sentendosi improvvisamente più calma. Le bastava sentire il profumo di sua figlia per tornare ad essere in pace col mondo. "Credimi Sil... un loro sorriso ti da la forza per affrontare qualsiasi cosa."



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"Sicura che non possiamo darti una mano Cata?" Domandò Candice osservando la governante dei Black sistemare gli ultimi dettagli nei tavoli presenti nel cortile retrostante a colpi di bacchetta.
"Ormai ho finito." Rispose lei facendo planare un mazzo di fiori dentro ad un vaso di vetro e facendo sbocciare alcuni boccioli di rosa.
"Neanche per le luci?" Tentò di nuovo Lysbeth, osservando come queste ultime fossero state disposte e appuntandosi mentalmente dei piccoli accorgimenti che avrebbero di sicuro potuto migliorarne la resa. In ogni caso dovette riconoscere che il lavoro fatto era comunque ottimo.
"Siamo a posto." Ripetè però Catalina "Se proprio volete aiutarmi ditemi piuttosto che siete pronte con quello che voi due dovete fare." Affermò gettando un'occhiata alle custodie dei violini delle due ragazze, appoggiate in un angolo del palco che si trovava al centro del cortile.
"I violini sono perfettamente accordati e lucidati." Confermò Candice mostrandole il pollice.
"E ci siamo esercitate insieme per tutta la settimana." Rimarcò la dose Lysbeth. "Sono sicura che sia gli invitati che i padroni di casa ne rimarranno pienamente soddisfatti."
"Buon per voi." Rispose Cata con un piccolo sorriso, terminando finalmente di sistemare il cortile con un ultimo colpo di bacchetta e osservando il risultato finale.

Una serie di tavolini rotondi erano disseminati per il cortile, posizionati l'uno rispetto all'altro in modo equidistante.
Una parte di essi era allo scoperto, un'altra invece si trovava sotto all'enorme tendone che galleggiava pigro a mezz'aria, messo come sicurezza nel caso dovesse venire a piovere.
Ma il cielo era limpidissimo e le prime stelle avevano iniziato a fare capolino insieme alla luna, aiutando così ad illuminare l'ambiente insieme alle lucciole.

Di certo nulla, in quel momento, poteva far presagire ciò che sarebbe successo di lì a poco.


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Caroline Fisher arrivò trafelata, quasi correndo, davanti all'ingresso di Villa Levenvolde.
Nonostante avesse ricevuto quell'invito da settimane e si fosse ripetuta più e più volte di non potersi in alcun modo permettere di fare tardi, alla fine era arrivata tardi comunque.
Stava per entrare, quando due voci concitate provenienti da un lato della Villa attirarono la sua attenzione.
Non riuscendo a reprimere la curiosità - e avendo anche riconosciuto almeno una delle due voci - tirò fuori la bacchetta e si diresse verso il punto dal quale i suoni provenivano.
Riconobbe immediatamente la sua collega di studio Alexis, così come ci mise poco a riconoscere anche il secondo individuo, Elliott Florence, il giornalista più ficcanaso del mondo magico dopo Reeta Skeeter.
Ciò che non riuscì invece a capire però, fu l'oggetto della discussione.
Di sicuro qualcosa che li riguardava entrambi da vicino, visti i toni sempre più accesi usati dai due.

Quando Alexis però tirò fuori la bacchetta e la puntò contro l'uomo, Caroline non riuscì proprio più a restarsene in disparte.
Conosceva bene le carogne come Florence e sapeva che l'uomo stava cercando solo una scusa per poter gettare fango su qualcuno. E Alexis, sstraendo la bacchetta, stava per fornirgliene una su un piatto d'argento.

Per quel motivo la donna si schiarì la gola in maniera forte e decisa, mostrando così la sua presenza e attirando l'attenzione su di lei.

Immediatamente la situazione sembrò rientrare: sia Alexis che Elliott smisero di litigare e riposero le bacchette nelle tasche. Poi si allontanarono di parecchio l'uno dall'altro.
"Questa Villa è proprietà di mio cugino*" Sibilò la Bulstrode all'indirizzo del paparazzo "Quindi vedi di sparire immediatamente e non farti vedere minimamente in giro questa sera se non vuoi guai!" Concluse ancora infuriata.

Davanti ad una Caroline alquanto stupita - difficilmente aveva visto la collega perdere le staffe in quel modo - la donna se ne andò velocemente, dirigendosi verso l'ingresso della Villa.
E poco dopo Elliott fece altrettanto, seguendone la scia.

"Prevedo grossi guai questa sera." Borbottò Caroline a se stessa.

Neanche lei poteva immaginarne quanti però.



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"Mi scusi..." Disse Eleanor gentilmente avvicinandosi ad un uomo sulla quarantina che si trovava vicino alla piscina, attirandone così l'attenzione "Lei per caso è Myles Snow? L'insegnante di Difesa contro le Arti Oscure di Hogwarts?" Domandò curiosa, attirando così l'attenzione anche di una ragazza bionda e pallida lì vicino, che si voltò impercettibilemnte verso di loro per ascoltare la conversazione.
"In persona." Rispose lui, voltandosi nella direzione della ragazza per stringerle la mano. "Con chi ho il piacere di parlare?" Si interessò.
"Eleanor Parker." Si presentò lei "Sono un'Auror."
"Ah una collega del padrone di casa!" Capì in quel momento Myles.
"In effetti sono proprio la sua partner in missione." Specificò lei.
"E cosa potrebbe mai volere un'Auror addestrata da un semplice insegnante come me?" Si interessò l'uomo, incuriosito.
"Più che altro ero curiosa di conoscere di persona l'uomo che finalmente è riuscito a mantenere la cattedra di Difesa tra le mani per più di un anno!" Spiegò Eleanor "Quando andavo io ad Hogwarts li cambiavamo di continuo."
"Direi che era normale, visto che la cattedra era stata maledetta da Lord Voldemort in persona!" Si inserì di punto in bianco nella conversazione la ragazza bionda, facendo venire i brividi sulla schiena ad Eleanor.

Nonostante fossero passati quasi dieci anni dalla caduta del mago oscuro, pronunciare il suo nome in Inghilterra provocava ancora qualche problema. Soprattutto per chi, come la Parker, aveva vissuto la giovinezza imparando a temerne il nome.

"Ma morto lui non esiste neanche più la maledizione, dico bene?" Continuò la ragazza tranquilla "In ogni caso piacere, Amelie Northman." Aggiunse allungando la mano prima a Myles e poi ad Eleanor. "Non ho bisogno di spiegarvi chi sono, immagino."

Amelie Northman. Colei che, insieme al gemello, è riuscita a prendere in mano le redini di molte banche dei maghi dopo che queste furono tolte dal controllo dei folletti. Si ritrovò a pensare Eleanor velocemente. Probabilmente colpevoli di diverse truffe, ricatti e raggiri che però nessuno è mai riuscito a dimostrare.
No, quella ragazza non aveva bisogno di presentazioni.

Il momento di silenzio venne interrotto da Myles "In effetti è così, visto che insegno ininterrottamente da sette anni." Spiegò cercando di ricreare l'atmosfera presente prima dell'interruzione della ragazza nordica.
Cosa che gli riuscì perfettamente.

Almeno finchè un cadavere non venne buttato nella piscina, schizzando tutti e tre di acqua e sangue.


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"Questo era esattamente ciò che ci serviva." Commentò Aaron soddisfatto, vedendo i documenti che Melisandre gli aveva appena fornito.  "E' incredibile come tu sia riuscita a recuperarli così in fretta, quando noi siamo stati su questo caso per così tanto." Commentò stupito.
La donna si permise un piccolo sorriso, senza però esporre più di tanto la soddisfazione che provava. "Mi avete indirizzato voi sulla strada giusta." Si limitò a rispondere "E io ho a disposizione strumenti leggermente... diversi rispetto ai vostri." Concluse senza soffermarsi troppo a specificare di cosa stesse parlando.
E Aaron, con un cenno della mano, la invitò a non preseguire oltre.
Sapevano entrambi che forse quegli strumenti non erano del tutto rientranti nell'ambito legale, ma a volte erano comunque necessari.
Soprattutto se servivano per incastrare delinquenti di un certo calibro.

L'uomo stava per porre alcune domande alla donna riguardo ai documenti che gli aveva portato, quando la voce di Aysha li interruppe.
"Capo, abbiamo un problema." Annunciò con tono di voce serio. "Grave."
Dal momento che non aveva neanche bussato alla porta per comunicarglielo, Aaron non dubitò della veridicità di quella informazione neanche per un istante.
"Che tipo di problema?" Si limitò a chiedere, volgendo tutta la sua attenzione alla collega.
"Un omicidio." Rispose Aysha, ancora affacciata sulla porta.
"E sarebbe un problema perchè...?" Domandò Morgan incuriosito.

Un omicidio era sicuramente un brutto evento. Ma non così tanto da essere definito 'problema grosso', come invece era stato ribattezzato da Aysha.

"Perchè è avvenuto nella Villa dei Levenvolde." Spiegò velocemente la donna, dopo aver ottenuto un breve cenno di assenso da Aaron che la autorizzava a parlare anche di fronte a Melisandre, che si era messa ad ascoltare attentamente. "Sia Darius che Eleanor sono lì. E di sicuro non sarà una buona pubblicità per il Dipartimento. Soprattutto con quel paparazzo, Florence, in agguato."

"Ma porca..."

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"Ehy Julia! Ma che fine avevi fatto? Non è da te arrivare così in ritardo!"

Julia Carlisle, sbiascicando scuse su scuse al suo capo, si infilò frettolosamente il camice da lavoro da guaritrice.
Tutto questo mentre attraversava a passo di marcia il lungo corridoio del San Mungo, cercando di recuperare un po' del tempo che aveva perso.

Velocemente recuperò un paio di cartelle di alcuni pazienti, pronta a fare il suo solito giro di routine.
Ma prima di potersi avviare per le scale, venne bloccata dal suo capo, che l'aveva seguita come un'ombra fino a quel momento.

"No stasera non ti occuperai di quei casi: li ho già assegnati a Maisy e Will." La bloccò appoggiandole una mano sulla spalla per arrestare la sua corsa.
"Che?" Domandò lei distrattamente girandosi. "Perchè?"
"Perchè devi fare un'autopsia." Spiegò brevemente lui "Sei la più brava in questo campo... è per questo che ti stavo cercando."
"Ah." Rispose lei con una smorfia. 

Nonostante la sua bravura non le piaceva per niente fare le autopsie. In certi casi erano solo un modo per realizzare fin dove era in grado di spingersi il sadismo umano.
Ma non poteva proprio rifiutare. Sapeva che Robert contava su di lei.
E ci teneva un bel po' a guadagnarsi quella promozione che era in ballo da mesi.
Era già arrivata in ritardo, non poteva permettersi di sgarrare nuovamente rifiutandosi.

"D'accordo." Si arrese alla fine. "Chi sarebbe il cadavere?"
"Un cameriere che lavorava per una famiglia purosangue. Un certo Samuel Larson."


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* per chi non se lo dovesse ricordare o non avesse letto l'altra storia, la madre di Darius Levenvolde è Meissa Bulstrode

Il prossimo capitolo arriverà sicuramente prima di questo, promesso!
A presto! ;)


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Capitolo 4
*** 2 - Reazioni ***


2



Ciao a tutti!
Forse non tutti i personaggi avranno lo stesso spazio nel capitolo, ma sto imparando a conoscerli pian piano, così come loro stanno imparando a conoscere me, quindi portate pazienza.

Buona lettura!



- Reazioni - 



21 giugno 2007, Londra, Villa Black - Levenvolde




Eleanor sbattè ripetutamente le palpebre, interdetta.
Probabilmente quella sera aveva bevuto qualche drink di troppo perchè in fondo diamine, non era mica in servizio!
Ma da bere qualche drink di troppo a vedere un corpo galleggiante nel bel mezzo della piscina di Darius ne passava di strada.

Scuotendo la testa, ancora stupita da ciò che era appena accaduto, decise che non poteva restare un secondo di più a tergiversare.
Lei era un'Auror per Merlino!

Per quel motivo, senza ulteriori indugi, si tolse le scarpe e si buttò in acqua.

L'acqua fredda sul suo viso ebbe il potere di combattere i sintomi dell'alcool, risvegliandola del tutto dallo stato di torpore che l'aveva accompagnata fino a pochi minuti prima.
Mentre sentiva la voce di Darius da qualche parte attorno a lei chiedere con urgenza se in mezzo a quel marasma di gente ci fosse anche un medico, Eleanor raggiunse il corpo - che continuava a tingere l'acqua di rosso - in poche bracciate.
Ma le bastò poco per capire che ormai non c'era più nulla da fare.

Samuel Larson era ufficialmente un cadavere: il suo polso non aveva battito.
E aveva perso troppo sangue per tentare qualsiasi cosa.

Nonostante questo, Eleanor cercò di trascinarlo comunque a bordo piscina, volendo tentare il tutto per tutto.
Ormai vedeva ben poco anche lei, circondata com'era dal sangue della vittima, ma non si arrese finchè non riuscì a tirarlo fuori dall'acqua.

Solo parecchio tempo dopo, avvolta in un asciugamano, tremante, gocciolante e completamente sporca di sangue, si accorse di ciò che era effettivamente successo.

E la situazione non le piacque per niente.


-*-*-*-


"Oh Merlino!"
"Morgana santissima!"
"Per i quattro fondatori!"

Una cacofonia di suoni ed esclamazioni si espanse per il cortile, tutti riguardanti il corpo che galleggiava in piscina colorando l'acqua di rosso.
Ma mentre la ragazza che aveva appena conosciuto - la Auror dai capelli rossi - si tuffava in piscina per cercare di salvare il salvabile, l'unica cosa che riuscì a pensare Amelie Northman in quel momento fu che, a causa degli schizzi di sangue e acqua, il suo drink era diventato imbevibile.

Per quel motivo, ignorando tutto e tutti, si diresse verso la cameriera più vicina, che osservava la scena a bocca spalancata e, con il tono più tranquillo del mondo le chiese "Non è che se ne può avere un altro?"

Candice, suo malgrado, dovette distogliere lo sguardo dalla piscina per spostarlo su di lei.
E quando lo fece inarcò un sopracciglio con aria interrogativa.
"Come scusi?" Domandò sbigottita.

C'era probabilmente un cadavere dentro alla piscina e quella ragazza bionda le chiedeva un drink? Ma con chi aveva a che fare, con una psicopatica?

"Ho chiesto" Ripetè Amelie iniziando a sillabare ogni lettera, quasi come se si fosse convinta di stare parlando con una ritardata "se è possibile avere un altro drink. Sa, per quanto le cose strane possano interessarmi, non sono ancora diventata un vampiro." Spiegò, indicando delle piccole gocce di sangue che si erano posate sul bordo del bicchiere a causa degli schizzi subiti a bordo piscina.

Dal momento che Candice continuava a guardarla con la bocca spalancata - a quel punto la povera cameriera non sapeva se essere più scioccata per il cadavere o per il comportamento di Amelie - la Northman decise di agire da sola.
"Ok, ho capito." Disse appoggiando il bicchiere sporco sul vassoio che la bruna teneva ancora in mano "Faccio da sola." Continuò prendendone un altro "Certo che per essere stata organizzata da una Black, la festa è proprio scadente. Adesso chi me lo ripagherà il vestito nuovo?"



-*-*-*-



Cassiopea fissava stralunata tutto ciò che stava accadendo di fronte a lei, rifiutandosi di credere ad ogni singolo fotogramma che stava vedendo con i suoi stessi occhi.
Non riusciva a credere che solo pochi minuti prima stava ballando in pista con suo marito.

Il litigio che avevano avuto prima della festa.
La discussione subito seguente con Augustus Travers.
La nuova discussione a mezza voce con Darius avuta proprio pochi secondi prima del ballo di apertura.

Tutto quello le sembrava incredibilmente lontano, come se appartenesse ad una vita precedente.
In quel momento invece le sembrava solo di vivere un incubo ad occhi aperti.

Osservò con occhi sbarrati suo marito correre verso la piscina, chiedendo a gran voce se lì in mezzo, tra tanti invitati, ci fosse per caso un medico.
Lo vide aiutare Eleanor Parker a tirare fuori il corpo - non uno qualsiasi, ma quello di Samuel Larson, il loro cameriere da cinque anni - dall'acqua.
E poi lo vide aiutare la sua collega a fare lo stesso, ad uscire da quella piscina ormai rosso sangue.

Quando non riuscì più a distinguere la differenza tra l'acqua e i capelli vermigli di Eleanor, capì di essere rimasta a guardare abbastanza, mentre un senso di nausea sempre più potente si faceva strada in lei.

Non odiò mai così tanto il fatto di essere incinta.
"Aiuto!" Riuscì a sbiascicare a malapena, non sapendo bene neanche lei a chi.

Poi tutto si fece nero.



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"SIL!"

Cecilia, sentendo quel richiamo a pieni polmoni, si guardò freneticamente intorno, scorgendo quasi subito Gillian avanzare verso di lei ad una velocità impressionante, tenendo conto di quanto la Greengrass fosse piccola e, in quel momento, anche fortemente ostacolata dai tacchi.

"I BAMBINI! DOVE SONO? ERANO CON TE PRIMA! OH MERLINO! Non voglio che vedano!" Strillò agitata, portandosi le mani al volto.
"Non sono con me!" Esclamò Cecilia in risposta, senza però riuscirsi a spiegarsi meglio.
"Come sarebbe a dire che non sono con te?" La interruppe istericamente Gillian, agitandosi ancora di più.
"La cameriera spagnola non è la vostra?" Rispose la tassorosso, cercando di mantenere la calma. "Li ha presi mezz'ora fa, dicendo che era l'ora della nanna." Spiegò vedendo immediatamente i lineamenti della Corvonero distendersi leggermente "Cioè... doveva mettere a dormire Lyra, ma poi i bambini hanno detto che volevano dormire tutti insieme e allora ho lasciato andare anche loro. Ho fatto male?" Domandò con un filo di voce, quasi come aspettandosi una sgridata, che però non arrivò.

"Catalina intendi?" Indagò Gillian, visibilmente più rilassata. "Sì, ogni tanto lo fanno. Quindi no, non hai fatto male. Gli hai solo evitato un trauma. O almeno spero." Continuò voltandosi verso la piscina, dove la folla stava continuando ad assediarsi.
"Merlino! E adesso che facciamo?" Si preoccupò Cecilia, osservando l'insieme di persone che continuava ad urlare e ad agitarsi per il cortile.

"Per prima cosa voglio entrare in casa per assicurarmi che i bambini  stiano
davvero dormendo." Rispose Gillian dopo un attimo di riflessione passato a massaggiarsi le tempie.
"Ma prima dovremo occuparci di Cassy." Le fece eco la tassorosso, guardando un punto indefinito dietro di lei.
"Cassy? Perchè?" Chiese a quel punto la Greengrass allarmata.
"Perchè è appena svenuta." Rispose Cecilia, indicando con la testa il punto in cui la loro cugina aveva appena perso conoscenza tra le braccia di Nihal.


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"E' proprio sicura di non aver visto nulla di insolito o di sospetto?" Domandò Aysha a Sylvia, tenendo in bilico davanti a lei un foglio di pergamena sul quale sfrecciava avanti e indietro la sua fidata penna prendi appunti.
La Burke scosse però la testa, in un chiaro segno di diniego. "Assolutamente nulla." Confermò senza lasciar trapelare alcuna emozione.
"L'ultima ora come l'ha passata?" Domandò l'auror, snocciolando una dopo l'altra le solite domande di routine con aria annoiata.

Era perfettamente consapevole dell'inutilità della cosa, ma quella era la prassi.


Aysha sapeva perfettamente che, in un contesto del genere, nessuna risposta le sarebbe potuta tornare utile: la maggioranza degli invitati erano purosangue o comunque persone di un certo rango.
Impossibili da far parlare.
Se non voleva dirti una cosa non te la dicevano. E non potevi ricavarla neanche da dei loro tic nervosi, dal cosiddetto linguaggio del corpo.
Tutti loro sapevano perfettamente controllarlo.
E in quel momento Aysha si trovava di fronte ad una delle purosangue per eccellenza, una Burke sposata Selwyn, che le aveva già detto di non aver visto nulla.
E che avrebbe continuato a dirlo, risultando addirittura convincente, anche se ne fosse dipesa la sua stessa vita.

"Come le ho già detto" Ripetè pazientemente Sylvia con un sorriso di circostanza "Ho passato tutta la serata con mio marito. Abbiamo mangiato, bevuto, chiaccherato tra noi e con alcuni ospiti da quando siamo arrivati finchè non è successo... quello." Pronunciando quella parola, Sylvia si permise una piccola smorfia "Se vuole le indico le persone con le quali ho parlato nel corso della serata, ma a parte questo non saprei come aiutarla dal momento che, come ho già avuto modo di spiegarle, non ho proprio visto nulla." Concluse ritornando alla sua solita espressione impassibile. "Ha qualche altra domanda per me?"

"No, nient'altro." Rispose Aysha sospirando e decidendo di non insistere ulteriormente con altre domande. Era chiaro come il sole che non avrebbe cavato un ragno da un buco insistendo. "Può andare. Ma se le viene in mente qualsiasi cosa che potrebbe esserci utile, la prego di contattarmi." Concluse consegnandole un fogliettino di pergamena sul quale erano annotati i suoi recapiti.
E avendo la certezza matematica che quel fogliettino sarebbe finito nella spazzatura di lì a cinque minuti.
"Naturalmente." Rispose Sylvia prima di congedarsi con un lieve inchino.





La Burke si era allontanata da pochi minuti, quando l'attenzione dell'auror venne catalizzata da una massa di capelli color arcobaleno, la cui proprietaria la stava guardando da lontano con aria titubante, come se fosse in conflitto con se stessa.
Cercando di non dare troppo nell'occhio e seguendo l'istinto, Aysha le si avvicinò con no chalance, facendo in modo che sembrasse solo l'ennesima richiesta di informazioni.
Solo quando fu sicura che nessuno stesse prestando poi troppa attenzione a loro due, si decise a parlare.
"Mi fornisce gentilmente le sue generalità?" Domandò tanto per spezzare il ghiaccio.
"Sono Lysbeth Chevalier, olandese." Rispose subito lei "Mi trovo qui perchè una settimana fa sono stata assunta per lavorare come cameriera e musicista a questa festa."
"E cos'ha da dirmi di così importante da domandare addirittura a se stessa se sia il caso di comunicarmelo o meno?" Chiese Aysha diretta, quasi in un sussurro.
Per un breve attimo, vide la giovane ragazza guardarsi intorno e deglutire, come se fosse spaventata che qualcuno potesse sentirla. Poi, dopo una breve battaglia con se stessa, aprì bocca.
"E' che... non voglio mettere nei guai nessuno. E non so neanche cosa ho effettivamente visto... o sentito. Magari non c'entra proprio nulla." Iniziò a spiegare dubitante, giustificandosi.
"Questo lo lasci decidere a me." Replicò Aysha "E se ha paura di possibili ritorsioni, si ricordi che possiamo proteggerla." Suggerì con un sorriso accomodante.
"E' che... prima dell'inizio della festa sono entrata in casa perchè... avevo bisogno del bagno." Iniziò a spiegare Lysbeth tentennando "E ho sentito il signor Levenvolde, il padrone di casa, che... beh ha urlato contro la vittima. E subito dopo lo ha licenziato e minacciato."

La giovane Auror, a quelle parole, sgranò gli occhi sorpresa.
Quella cameriera stava forse suggerendo che Darius potesse essere l'assassino?

"Porco Salazar!"



-*-*-*-


"E' sicuro di farcela signor Larson?" Domandò Aaron a Theo, indugiando nell'atto di alzare il telo bianco, in attesa di un cenno di assenso da parte del ragazzo.
"Non credo che si possa fare altrimenti." Rispose l'uomo deglutendo e guardando l'Auror con ansia.
Davanti a quella constatazione, Morgan abbandonò ogni indugio e sollevò il telo, esponendo così il cadavere alla vista.
"Sì, è mio cugino, non c'è alcun dubbio." Confermò Theophile con un sospiro riconoscendolo, spostando lo sguardo per non indugiare oltre sul corpo martoriato del parente.
Immediatamente Aaron lasciò andare il telo, tornando così a coprire il cadavere.
Poi fece un cenno ai colleghi per indicare che potevano portarlo via. D'altra parte avevano ormai analizzato ogni singolo centimetro sia del cortile che di tutte le zone circostanti e i vari Auror stavano finendo di interrogare i diversi testimoni.
Non c'era quasi più nulla che si potesse ancora fare.

"Scusi se la trattengo ancora Signor Larson, ma il protocollo lo richiede." Disse Aaron "Devo farle alcune domande. Se non vuole, ha diritto a non rispondere, così come di avvalersi di un avvocato, ma se collabora è più facile che l'assassino di suo cugino sia assicurato più velocemente alla giustizia."
"Comprendo e sono a disposizione." Rispose Theo passandosi una mano sul volto leggermente sudato. "Chieda pure."
"Che lei sappia suo cugino aveva dei nemici?"

Davanti al prolungato silenzio di Theo, Aaron si sentì in dovere di ripetere la domanda. In fondo non sapeva quanto i due cugini fossero legati. Magari Theophile non conosceva poi così bene Samuel.
Oppure quel silenzio poteva essere sintomo di qualcos'altro.

"Nel senso, qualcuno poteva avercela con..." Iniziò a domandare, prima di essere interrotto dall'indicibile.
"Ho capito la sua domanda. Stavo cercando un modo per risponderle in maniera... completa." Disse Theo, iniziando così finalmente a parlare "Vede, il fatto è che Samuel era... un tipo molto particolare."


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Elliott, seminascosto in un angolo del cortile, lasciò vagare lo sguardo sui vari ospiti ed invitati che stavano ormai abbandonando la festa dopo aver parlato con gli Auror.
Il suo scopo era trovare una falla nel sistema: sapeva perfettamente di non poter passare inosservato davanti a quella enorme folla.
Qualcuno l'avrebbe sicuramente riconosciuto. E di sicuro gli Auror gli avrebbero sequestrato tutte le foto che era riuscito a scattare nel corso della serata, classificandole come prove e trovando una scusa per non restituirgliele più.
Non poteva permettere che una cosa del genere accadesse.

Quelle foto erano la sua principale fonte di guadagno.
Già se li immaginava, i giornali scandalistici del giorno dopo: titoloni enormi sull'efferato omicidio accaduto a Villa Levenvolde. E, in primo piano, una delle sue foto.

No, non poteva assolutamente permettersi il lusso che lo fermassero, riconoscessero e sequestrassero le foto.
Doveva trovare il modo di abbandonare la Villa bypassando i controlli.

E finalmente lo trovò.

Peccato che la fortuna non fosse evidentemente dalla sua parte quella sera.

Si stava muovendo furtivo verso il cancello quando avvertì un peso improvviso sulla schiena buttarlo a terra, mozzandogli il respiro.
"E tu dove diavolo pensavi di svignartela?" Domandò una voce femminile da qualche parte dietro di lui, tenendolo inchiodato a terra con il suo peso.
"Ma che cazzo!" Imprecò Elliott agitandosi per cercare di liberarsi.

Fu tutto inutile però: chiunque lo stesse tenendo, sapeva come farlo.
Gli aveva posizionato il braccio destro dietro alla schiena, in una posizione che, se Elliott si fosse mosso ancora, se lo sarebbe spezzato da solo. E aveva anche una presa molto salda.

"E sta' fermo!" Imprecò Melisandre con il fiatone, continuando a schiacciarlo a terra. "Aaron! Questo signore stava cercando di svignarsela! Che dici, provo a farlo cantare?"


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Cassiopea aprì lentamente gli occhi, quasi con fatica.
Aveva un enorme mal di testa e una fortissima nausea.

"Señora!
Señora!" Sentì la voce di Cata da qualche parte vicino a lei. "Merlin y Morgana! Si è svegliata! Come està?"
"Lasciala respirare Cata." Sentì anche la calda voce di Darius "E' stata davvero una pessima serata."

"Lyra?" Domandò debolmente Cassy, cercando di fare perno sui gomiti per alzarsi dal letto.
"Sta dormendo tranquilla." Le rispose immediatamente Cata "Non ha visto nada de nada. Era già a letto con i cuginetti quando... è successo todos." La rincuorò non osando però parlare esplicitamente della cosa. "I segnori Black sono con loro adesso."

Mentre ascoltava la risposta della sua domestica, Cassiopea era riuscita, grazie all'aiuto fornitole dal marito, a sedersi sul letto, appoggiando la testa sul petto di Darius.
"E cosa sta succedendo di sotto?" Ebbe il coraggio di domandare con un filo di voce. Aveva quasi paura di ricevere la risposta.
"I miei colleghi stanno interrogando gli invitati." Le rispose immediatamente l'Auror, accarezzandole la testa e spostandole una ciocca dietro l'orecchio.
"Ha bisogno di qualcosa?" Domandò premurosa Catilina abbandonando la sua postazione sul letto per alzarsi in piedi.
"Sì, che qualcuno mi dica che questo è un bruttissimo scherzo... oppure un incubo." Fu la risposta laconica di Cassiopea. "E' proprio morto?"

Dagli sguardi del marito e della cameriera, Cassiopea capì la risposta.

Il momento di silenzio venne interrotto da un bussare delicato alla porta e immediatamente Cata, dopo aver ricevuto un cenno di assenso da parte dei coniugi, andò ad aprire.
Sulla soglia comparvero Aaron e Alexis.
Uno con la faccia più tetra dell'altro.

"Mi dispiace disturbarvi, soprattutto viste le condizioni di tua moglie." Iniziò il capo Auror, quasi senza trovare il coraggio di guardare in faccia Darius. "Ma credo che tu debba seguirci al Dipartimento."
"Andiamo Morgan, è ridicolo!" Sbuffò Alexis incrociando le braccia "Dovresti semplicemente rifiutarti di farlo!"
"E' per questo che l'ho chiamata, avvocato Buldstrode." Rispose però lui duro cercando di tenere almeno formalmente le distanze "Se ci credessi davvero neanche l'avrei avvisata in anticipo."

"Di che cosa stiamo parlando?" Domandò Cassy con un filo di voce, sbiancando di nuovo.
In realtà aveva capito benissimo, ma si rifiutava di crederci.

"Mi stai dicendo che sono in stato di arresto?" Domandò invece incredulo Darius, spalancando gli occhi, mentre Catalina si portava le mani alla bocca.
"Abbiamo ricevuto una denuncia e non possiamo ignorarla. Sai come funziona. Inoltre, considerata la tua posizione sociale, sei a rischio di fuga." Spiegò Aaron guardando ovunque tranne che verso i presenti nella stanza.
Sapeva che avrebbe letto sui loro volti solo accuse nei suoi confronti oppure spavento. "Mi dispiace." Aggiunse come se le sue parole potessero aggiustare tutto.

"Ripeto: tutto questo è ridicolo!" Si intromise di nuovo Alexis incrociando le braccia al petto e sbuffando ancora di più "Il mio cliente è del tutto innocente e, a parte una testimonianza lacunosa rilasciata da chissà chi, non avete in mano assolutamente nulla che possa confermare la vostra assurda ipotesi."
"D'accordo Aaron." Rispose invece a sorpresa Darius dopo aver emesso un lungo sospiro "Ti seguirò al Dipartimento."
"NO!" Gridarono in coro Cassy, Alexis e Catalina, prese in contropiede.
"Voglio che questa situazione sia risolta il prima possibile." Continuò lui ignorandole. "Ma io sono innocente."

"Grazie." Rispose Aaron "Ufficialmente verrai con me per fornirmi maggiori dettagli sulla casa, sulla festa e sugli ospiti, così cercheremo di non infangare la tua immagine. Ma non posso fare altro."
"Darius non sei obbligato a farlo." Tentò di convincerlo ancora Alexis. "Non hanno nulla in mano."
"Lo so, ma devo." Rispose però suo cugino. "Mi lasciate un minuto con mia moglie per favore?"
"Un minuto." Gli concesse Aaron, uscendo per primo dalla porta e tenendola aperta per la Buldstrode e Catalina, che lo seguirono riluttanti, gettando occhiate preoccupate alla coppia.

"Cassy?"
La ragazza si era nascosta il volto tra le mani, respirando profondamente per cercare di calmarsi.
Ma quando alzò lo sguardo di nuovo su Darius, la sua espressione divenne di colpo ferma.

E l'auror capì che non aveva più davanti a sè Cassiopea Levenvolde, la ragazza che con il matrimonio e la nascita di Lyra aveva fatto faticosamente emergere negli ultimi cinque anni. Al suo posto c'era di nuovo Cassiopea Black, la nipote di Antares.

"Non passerai neanche una notte là dentro, te lo posso assicurare." Affermò decisa "Se trovo chi ha fatto la denuncia gli faccio passare la voglia di sparare stronzate. Ma se becco chi ha ucciso Samuel... neanche l'inferno gli basterà per nascondersi."


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"Finalmente sei tornato!"
Il sospiro di sollievo di Cat nel vedere suo marito finalmente a casa si infranse subito davanti al comportamento dell'uomo, che la ignorò bellamente, dirigendosi a passi spediti verso la loro camera da letto.

Senza fornirle alcuna spiegazione, aprì con un colpo di bacchetta l'armadio, fece uscire delle valige e poi iniziò a riempirle velocemente.

"Myles!" Provò a protestare la donna allarmata, cercando di fermare l'azione dell'uomo "Che cosa... che cosa stai facendo?"
"Non si vede?" Replicò lui sarcastico "Le valige. Ce ne andiamo." Comunicò secco.
"Co... come?" Trasecolò lei incredula "Ma perchè? Myles, ti prego, calmati e dimmi cos'è successo!" Provò a farlo ragionare sedendosi sul letto e prendendo una mano del marito tra le sue, cercando così di fermarlo almeno per un attimo. "Ti prego!"

Davanti al tono di voce della donna, l'insegnante fece un respiro profondo che però non servì a calmare del tutto il suo animo in tumulto.
"Alla festa di stasera" Iniziò a spiegare con il fiatone, come se avesse corso per miglia e miglia senza mai fermarsi "C'è stato un omicidio."
Alla parola 'omicidio' sua moglie intensificò la stretta sulla sua mano.
"Perciò gli Auror stanno indagando a tappeto, sia sulla vittima che sugli ospiti. Quanto pensi che ci metteranno a scoprire chi siamo davvero? Dobbiamo andarcene."


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"D'accordo." Si arrese alla fine. "Chi sarebbe il cadavere?"
"Un cameriere che lavorava per una famiglia purosangue. Un certo Samuel Larson."
(cap 1 - L'omicidio di Samuel Larson)




Julia, con un sospiro, si tolse la divisa da medimaga per indossare quella che serviva per svolgere le autopsie.
Odiava a morte quella parte del suo lavoro, ma a quanto pareva quella sera non aveva proprio scelta.

Con passo lento e cadenzato, si diresse verso le scale che conducevano nei sotterranei, dove i cadaveri venivano temporaneamente portati.
Come se avanzare lentamente verso quel destino ineluttabile potesse in qualche modo evitarglielo.

"Julia! Aspetta!" La richiamò all'improvviso la voce del suo capo, arrivando correndo trafelato con un foglio di pergamena tra le mani.
"Sì?" Domandò speranzosa lei, incrociando le dita affinchè gli fosse arrivato qualcosa di urgente che avrebbe rimandato l'autopsia.
"Prima di fare l'autopsia devi aspettare una persona." Le comunicò lui, sventolandole il foglio davanti agli occhi.
"Chi?" Domandò la medimaga roteando gli occhi e sbuffando. Conosceva perfettamente la procedura: se le avevano inviato qualcuno per controllare che seguisse ogni minimo gesto previsto dal protocollo, era chiaro che gli Auror avevano tra le mani già un possibile colpevole. La cui difesa doveva essere garantita ad ogni costo.
Erano finiti i tempi della guerra, dove bastava una minima accusa per sbattere qualcuno ad Azkaban.

"Caroline Fisher." Rispose l'uomo dopo aver riletto il nome sul foglio "Me l'hanno appena comunicato. Arriverà tra pochi minuti via camino." La informò.
"Ah sì, la conosco." Sospirò di sollievo Julia. Almeno Caroline non era una puntigliosa. E forse odiava le autopsie anche più di lei. Quantomeno se la sarebbero sbrigata in fretta. "Ok, allora vado a riceverla."


Pochi minuti dopo, sia lei che Caroline erano posizionate davanti all'enorme portone di metallo che divideva il corridoio dall'obitorio.
Forse era solo la luce, oppure la prospettiva di ciò che l'attendeva oltre quella porta, ma la pelle del magiavvocato era molto più terrea del solito.
"Ok, vediamo di toglierci questo dente. Prima entriamo prima finiamo."


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Domanda della settimana: come pensate che si muoveranno (a grandi linee) i vostri personaggi nei giorni seguenti, tenendo sempre presente che potrebbero essere loro l'assassino/mandante? PER MP (entro il 20/03)! (e non dite "non lo so/fai tu" perchè se volessi fare così non ve lo chiederei!)




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Capitolo 5
*** 3 - Conseguenze ***


3



- Conseguenze -
 




21 giugno 2007, Londra, Dipartimento Auror (subito dopo l'omicidio)



"Eleanor, siediti."
La Parker, sbuffando, si apprestò a fare quanto Aaron le aveva appena chiesto, accomodandosi sull'unica sedia di plastica disponibile della stanza. Con sollievo, le catene che si trovavano attaccate al tavolo emisero un lieve tintinnio, ma non si mossero.
"Sono in stato di arresto anche io, per caso?" Domandò contrariata.

Non era affatto stata una piacevole serata, per lei.
Prima aveva recuperato un cadavere da una piscina sporcandosi di sangue, quando aveva invece preventivato di passare la serata a divertirsi, poi aveva saputo dell'accusa e dell'arresto del suo partner. E infine Aaron l'aveva convocata nella sala degli interrogatori.

"Certo che no." Rispose Aaron alzando gli occhi al cielo. Quella serata gli sembrava davvero infinita. "Ma devo comunque chiederti delle cose. E non provare a sbuffare, sai benissimo come funziona."
"Avanti, chiedi pure." Lo incoraggiò lei. "Ma se la tua domanda riguarda Darius, sappi che la risposta è che non è stato lui." Continuò "Stava ballando con Cassy quando è successo. E comunque lo conosco abbastanza bene, visto quanto tempo ci passo insieme sul campo: se anche fosse stato lui, quello non è il suo stile." Concluse tutto d'un fiato.
"Credo alla sua colpevolezza quanto ci credi tu." La rassicurò immediatamente il capo Auror.
"E allora perchè...?" Iniziò a chiedere Eleanor, prima di essere bruscamente interrotta.
"La mia domanda per te è un'altra: quanto sei coinvolta nell'intera vicenda?"

Per qualche secondo la Parker lo guardò interdetta, sbattendo le palpebre confusa. Se lo credeva innocente, perchè chiedeva a lei...?
Solo dopo un bel po' capì il vero senso della domanda.
Aaron non le stava chiedendo se fosse coinvolta nell'omicidio.
Le stava chiedendo, visto anche il suo rapporto con il principale sospettato, quanto si sarebbe lasciata coinvolgere a livello emotivo nella vicenda. Se i suoi sentimenti avrebbero in qualche modo influito nelle indagini.

"Sarai in grado di seguire la vicenda lasciando fuori ogni sentimento personale, Eleanor?" Specificò infatti lui dopo un po', avvicinando il viso a quello della sua sottoposta, visto che la risposta della ragazza tardava ad arrivare.
Non voleva avere il minimo dubbio in merito.


"Perchè non potrò farti lavorare al caso, altrimenti. E tu sei un elemento troppo valido di questa squadra per perdere una risorsa simile in un momento del genere."



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21 giugno 2007, Londra, Dipartimento Auror (qualche ora dopo l'omicidio)


"SIGNORA LEVENVOLDE!" Strillò il tirocinante turbato, correndo a perdifiato dietro a Cassiopea, che percorreva quasi a passo di marcia i corridoi del Dipartimento, decisa ad ignorarlo.
"Signora Levenvolde!" Ripetè di nuovo, chiedendosi come diamine facesse una donna incinta a muoversi così velocemente. "Lei non può stare qui!"
"Oh sì che posso! E se non posso ve ne farete una ragione!" Rispose lei, continuando a camminare spedita verso la sua meta.
Il ragazzo provò a raggiungerla, sorpassarla e bloccarle la strada, ma Cassiopea fu più veloce.
"Non si azzardi a toccarmi!" Strillò in mezzo al corridoio, estraendo la bacchetta.
"Non vorrà attaccare un Auror vero?" La derise il ragazzo. "Non oserebbe!"
"No, mio caro, sei tu che non oseresti mai attaccarmi: nel caso non te ne sia accorto, sono incinta! E poi tu NON sei un Auror!" Rispose per le rime la ragazza, prima di sorpassarlo nuovamente a passo di marcia, lasciandolo interdetto, piantato a metà del corridoio. "Adesso, se non ti dispiace, puoi facilitarmi le cose e dire dove tenete mio marito! Arrestarlo in quel modo davanti a tutti e senza uno straccio di prova! Siete ridicoli!"
"Le prove le abbia..." Provò a contraddirla il ragazzo, prima di venire zittito nuovamente.
"Oh certo! Una cameriera che ha sentito mio marito licenziare la vittima! Sai che prova schiacciante!" Ringhiò Cassiopea, che nel frattempo era arrivata esattamente dove voleva: davanti alle celle dove venivano temporaneamente messi i prigionieri subito dopo l'arresto, in attesa del rilascio o del processo.
Darius era lì, seduto su una panca di legno. E il suo sguardo era puntato in direzione della moglie.
Probabilmente attirato dalla sua voce soave.


"Aprila." Ordinò la Black, fulminando con lo sguardo il tirocinante e indicandogli la gabbia.
"No." Si oppose però quest'ultimo. "Capisco la situazione" Provò a rabbonirla "ma ho l'ordine di..."

Pessima mossa.
Pensò Darius, immaginandosi la successiva azione della moglie e passandosi una mano sul volto, quasi come a volersi nascondere. "Io, fossi in te, farei come dice, Patrick." Sussurrò a bassa voce per non essere sentito.

"ME NE INFISCHIO DEGLI ORDINI!" Urlò infatti la donna, ormai senza alcun controllo. "MIO MARITO E' UN AUROR STIMATO E QUESTO E' UN ORDINE DI RILASCIO FIRMATO DAL GIUDICE WILLIAMS!" Continuò sventolandogli un foglio di pergamena sotto al naso.

Che probabilmente ha fatto svegliare in piena notte. Quel pover'uomo, ad andar bene, non sa neanche cos'ha firmato.

Si ritrovò a pensare Darius semi-divertito: se la immaginava molto bene sua moglie ad attaccarsi alla porta del giudice e a prenderla a maledizioni finchè qualcuno non fosse arrivato ad aprirle.

"Il giudice è un vecchio amico di suo nonno..." Provò a ribattere debolmente il tirocinante, in un pigolio quasi indistinto.
"HO PAGATO LA CAUZIONE PREVISTA!" Continuò però lei imperterrita, fingendo di non aver sentito "E SE TUTTO CIO' NON BASTASSE STATE TRATTENENDO IL FIGLIO DEL PRIMO MINISTRO RUSSO! VOLETE CREARE UN INCIDENTE DIPLOMATICO
, PER CASO?" Minacciò ringhiando. "Perchè in tal caso l'omicidio di un cameriere sarà l'ultimo dei problemi, per il Ministero Inglese. E la colpa sarà solo TUA." Concluse quasi sibilando.

Se la situazione non fosse stata grave, Darius sarebbe scoppiato volentieri a ridere.
Vista dall'esterno il tutto era effettivamente comico: il giovane ragazzo, non ancora avvezzo a trattare situazioni di quel tipo, nonostante superasse Cassiopea di almeno venti centimetri sembrò farsi piccolo piccolo di fronte a lei, che lo fissava torva e a braccia incrociate, stringendo nella mano sinistra l'ordine di rilascio e nella destra la bacchetta.
Soprattutto, sembrava terrorizzato dall'idea che la colpa di una crisi diplomatica potesse ricadere interamente sulle sue spalle.

Darius, per un breve attimo, pensò di provare a rabbonire la moglie, ma alla fine, scuotendo la testa, decise di lasciar perdere: Cassiopea era parecchio testarda... e in quel caso faceva comodo anche a lui uscire in fretta da lì.
Di solito era lui a sbattere in gabbia i criminali, non il contrario!

"D'accordo." Si arrese alla fine il tirocinante, aprendo la gabbia e facendo così uscire l'Auror.
"Era ora!"


Appena misero piede fuori dal Dipartimento, Cassiopea buttò le braccia al collo del marito e lo baciò.
"Quando ho detto che non volevo dormissi con me stanotte, non intendevo questo." Gli sussurrò quando si staccarono. "Domani penseremo a come sistemare questo casino. Adesso andiamo a casa... E per quanto riguarda Aaron: bel ringraziamento per tutte le volte che è stato a pranzo da noi!" Sbottò contrariata.
"Tesoro, io ti amo." Cercò di calmarla Darius abbracciandola a sua volta. "E non ti ringrazierò mai abbastanza per avermi fatto uscire così velocemente da lì." Continuò 
depositandole un bacio in fronte. "Ma non era il caso di strapazzare così tanto il povero Patrick! E' solo un povero tirocinante che cercava di eseguire gli ordini! Lo avrai traumatizzato a vita!" La prese in giro cercando di alleggerire l'atmosfera.
"Se è rimasto traumatizzato con così poco, forse dovrebbe riconsiderare l'idea di diventare Auror." Borbottò Cassy facendosi cullare per un po', prima di alzare la testa di scatto "Comunque tu da che parti stai scusa?" Domandò di colpo irritata "Vuoi ancora dormire sul divano, per caso?" Chiese retorica guardandolo storto.
"Ho detto che ti amo." Ripetè il Russo, tutto sommato divertito dalla situazione. "Ma devo proprio fartelo notare: credi che Aaron abbia lasciato per caso un tirocinante lì dentro da solo, sapendo che saresti arrivata a breve?" Domandò con un piccolo sorriso ironico.
Davanti a quella domanda retorica, Cassy sbuffò. "Ti amo anch'io." Dichiarò appoggiandogli la testa sul petto e chiudendo gli occhi. "Andiamo a casa adesso."


-*-*-*-


22 giugno 2007, mattina. Londra, Villa Black - Levenvolde


Candice, reprimendo un piccolo brivido, attraversò in fretta il cortile della proprietà, cercando di fare tutto ciò che era in suo potere per non guardare nel punto cui il cadavere di Samuel Larson si era trovato solo poche ore prima.
Tuttavia, qualcosa dentro di lei di vagamente morboso - o, per meglio dire, la sua inguaribile curiosità - la convinse a gettare comunque un'occhiata frettolosa in direzione della piscina, mentre continuava a camminare verso la Villa.

Quando si ritrovò davanti alla porta di casa però, ebbe un attimo di esitazione prima di bussare.
In teoria aveva tutto il diritto di essere lì, visto che il suo contratto di lavoro sarebbe scaduto solo la settimana seguente e nessuno le aveva comunicato nulla, ma allo stesso tempo si chiese se fosse effettivamente il posto giusto dove stare in quel momento.

Sola la sera prima nel cortile era avvenuto un crudele omicidio.
Lei sarebbe riuscita a restare lì con quella consapevolezza, come se niente fosse successo?
Non lo sapeva.

Tuttavia, proprio ragionava sul da farsi, la porta dell'abitazione si aprì e davanti a lei comparve la governante della famiglia, Catalina Lopez.
"Candice!" Esclamò entusiasta quest'ultima, allargando le braccia per stringerla in un caloroso abbraccio. "Està aqui! Muy bien!"

La Shuterland, per un attimo, la fissò stralunata.
Un suo collega era morto solo la sera prima e quella donna la accoglieva con tutta quella allegria?

Ma poi si accorse che seduti al tavolo, intenti a fare allegramente colazione con della torta, si trovavano ben quattro bambini, tra i quali riconobbe anche Lyra, la figlia dei suoi datori di lavoro, che la fissò di rimando incuriosita.
Per quel motivo si stampò a sua volta un allegro sorriso sulla faccia e, appena Cata la liberò dall'abbraccio, si diresse verso il tavolo.
"Ma cosa abbiamo qui? Uuh! Beati voi che potete mangiare una torta così buona!"

Pochi minuti dopo Catalina, dopo essersi assicurata che i bambini avessero abbastanza cibo e bevande, l'aveva trascinata con una scusa in un salotto lì vicino.
"Es bueno che tu sia venuta aqui, Candice!" Esclamò iniziando il discorso "Con la muerte di Sam..." Disse mostrando per la prima volta un'espressione triste "...serve un'altra persona che aiuti in casa. E io fatto il tuo nome ai signori!" Comunicò tranquilla, mentre al contrario Candice strabuzzava gli occhi per la novità. "Ho commesso por caso un error?" Concluse Catalina, notando l'espressione della ragazza.


-*-*-*-


Melisandre adorava il suo lavoro.
Aveva iniziato per caso, dopo ciò che le era successo a New York, trovando in esso una ottima valvola di sfogo.
Tuttavia lavorare in quel campo significava dover necessariamente fare una cosa, una cosa che invece lei odiava: mettersi al servizio delle persone ricche.
E queste ultime non erano mai facili da accontentare.
Solo perchè avevano in mano una grossa quantità di denaro, si credevano i padroni del mondo, finendo per trattare come propri sottoposti anche coloro che non lo erano.
Ed era esattamente ciò che stava succedendo in quel momento.

Appena rientrata nel suo ufficio, la segretaria l'aveva immediatamente avvisata che una persona l'attendeva nel suo studio.
E così Melisandre si era trovata di fronte ad Alexis Buldstrode, che attendeva il suo ritorno a braccia incrociate e con aria di sufficienza, scocciata del tempo che aveva perso ad aspettarla.

Considerato che non aveva neanche un appuntamento, tutto quella messinscena poteva anche risparmiarsela. Si ritrovò a pensare Melisandre, trattenendo a fatica uno sbuffo.
Aveva una gran voglia di mandarla a spendere, ma qualcosa dentro di lei la trattenne.
Curiosità, più che altro: era raro che un purosangue, un appartenente alle Sacre 28, si presentasse nel suo ufficio.
Nonostante molte cose fossero cambiate, dopo la Seconda Guerra Magica, per i purosangue i mezzosangue come lei rimanevano pur sempre dei maghi di serie b.

"Non sarei neanche venuta fin qui." Esordì Alexis, quasi leggendole nel pensiero.
"Perchè ha paura di impolverarsi il vestito di seta?" Le domandò Melisandre sarcastica.
La Buldstrode, tuttavia, decise di ignorare quel commento. "Ma tutti parlano benissimo di lei come investigatrice privata, signorina McTavish." Continuò serafica. "E a me non interessa chi svolge un compito, purchè lo svolga nel migliore dei modi."
"Di cosa avrebbe bisogno?" Domandò a quel punto la McTavish.
"Mio cugino è stato ingiustamente accusato di omicidio, ieri sera." Spiegò Alexis. "Credo che lei sappia a quale episodio mi sto riferendo, visto che ieri sera era con gli Auror."
"Parla dell'omicidio del Signor Larson quindi?" Domandò diretta Melisandre, mentre una forte curiosità si accendeva in lei.
"Esattamente." Confermò la magiavvocato "Quindi immagino che abbia già capito perchè sono qui."
"O per incastrarlo del tutto oppure per scagionarlo completamente, trovando il vero colpevole." Rispose Melisandre, appoggiandosi con la schiena alla scrivania e incrociando le braccia al petto.
"Perchè dovrei voler incastrare mio cugino, scusi?" Domandò a quel punto Alexis, sorpresa. E anche leggermente alterata. "Sono anche il suo avvocato difensore."
"Erano solo ipotesi." Ragionò la detective con una scrollata noncurante di spalle "Voi famiglie purosangue siete sempre particolari."
"Noi famiglie purosangue teniamo molto al nostro cognome." Le rispose la Buldstrode con un sibilo.
"E se Darius venisse condannato, l'infamia cadrebbe non solo su di lui, ma anche sui Buldstrode e sui Black." Completò per lei Melisandre, issandosi sui gomiti per sedersi sopra alla scrivania. "Capisco... ma non sono interessata al caso." Aggiunse con un sorrisetto.
"Sta rinunciando ad un mucchio di galeoni." La tentò Alexis, vagamente stupita per quel rifiuto.

"Non sono i soldi che mi interessano." Tagliò corto Melisandre, scivolando giù dalla scrivania e andando alla porta per aprirgliela. "Perciò può andare. E' stato un vero piacere conoscerla, signorina Buldstrode."


-*-*-*-


Ministero della Magia, Ufficio Misteri



"Theo?"
Al richiamo della donna, l'indicibile sollevò il capo, gettandole un'occhiata confusa. Fino a quel momento aveva tenuto il volto nascosto tra le mani, massaggiandosi ritmicamente le tempie, alla ricerca di un sollievo che proprio non ne voleva sapere di arrivare.
"Sì?" Domandò alla fine, vedendo che Sylvia continuava a mordersi le labbra ma non si decideva a pronunciare il minimo suono.
La purosangue aprì bocca, come per dirgli qualcosa, ma subito dopo scosse la testa, come se avesse cambiato idea.

Ala fine gli si avvicinò per sostituire le mani del ragazzo con le proprie, iniziando a massaggiargli le tempie, sentendo un piccolo gemito di gratitudine uscire dalla bocca di Theo.
"Hai dormito almeno un po' stanotte?" Domandò dopo un po' con voce dolce, quando finalmente sentì sotto alle dita i muscoli dell'amante sciogliersi. "Eri distrutto ieri sera. Avrei voluto raggiungerti, ma con tutti quegli Auror in giro..."
"Hai fatto bene a restare dov'eri." Commentò l'uomo a voce bassa, come per paura che qualcuno potesse sentirli. "In ogni caso non ho dormito molto: ogni volta che chiudevo gli occhi, mi appariva il suo cadavere davanti." Spiegò con un sospiro, mentre Sylvia al suo fianco rabbrividiva. 

"Perchè non hai preso un giorno di ferie?" Chiese ancora lei, abbracciandogli il collo e depositandogli un leggero bacio sulla nuca. "Te lo avrebbero dato senza problemi, considerato ciò che è successo."
"Perchè avrei avuto ancora più tempo a disposizione per pensarci." Rispose Theo, gettando la testa all'indietro con un pesante sospiro. "E non voglio proprio farlo, in questo momento. Almeno, qui in ufficio, posso provare a pensare ad altro." Spiegò tirandosi indietro e allargando le braccia.
Il segnale era chiaro: Sylvia sarebbe dovuta andare a sedersi in braccio a lui.
Cosa che la ragazza fece
immediatamente, approfittando della posizione per mettergli le braccia al collo e baciarlo di nuovo.

Theo sembrava davvero distrutto per la morte di suo cugino, cosa che rendeva Sylvia alquanto triste a sua volta.

"Domani ci saranno i funerali." La informò lui tra un bacio e l'altro.

Ma la cosa positiva era che Samuel, con la sua morte, avrebbe portato il segreto della loro relazione con sè nella tomba.


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San Mungo


Julia, dopo la lunga nottata passata all'ospedale, uscì dal San Mungo completamente stravolta dalla stanchezza.
Avrebbe voluto smaterializzarsi direttamente a casa, ma sapeva che nelle condizioni in cui si trovava - fare quella autopsia le aveva risucchiato le energie più che se si fosse trovata al cospetto di un dissenatore - la cosa non era affatto raccomandata: avrebbe rischiato solo di spaccarsi.
Per quel motivo, dopo un breve ragionamento, aveva optato per farsi una passeggiata fino a casa, approfittando anche della bella giornata di sole.
In fondo, abitava davvero molto vicino al luogo di lavoro.

Quella, però, si rivelò essere la scelta più sbagliata che potesse fare.

Appena uscì dall'ospedale magico infatti, venne illuminata da un numero indefinito di flash.
"Ma che...?" Esclamò sorpresa, ingoiando a fatica un'imprecazione. E strizzando le palpebre, si accorse che l'autore degli scatti era Elliott Florence.

Julia trattenne appena un pesante sospiro, indecisa se andare incontro all'uomo oppure no.
Da quel che sapeva, con ciò che l'uomo aveva combinato in passato, l'ingresso all'ospedale gli era precluso - a meno che non fosse in fin di vita. Peccato che nessuno avesse pensato di impedirgli di circolare anche nell'area immediatamente esterna all'edificio.

Appena Elliott si accorse di avere l'attenzione della donna, le rivolse un sorriso smagliante, dirigendosi verso di lei a passo spedito e con la mano tesa.
"Signora Carlisle? Molto piacere, sono Elliott Florence, giornalista della Gazzetta del Profeta." Si presentò tutto d'un fiato.
"So chi è." La sentì borbottare in risposta a denti stretti.
Tuttavia l'uomo preferì ignorare il commento, continuando il discorso che si era accuratamente preparato. "So che è stata lei questa notte ad effettuare l'autopsia sul cadavere di Samuel Larson, quindi mi chiedevo se potesse rilasciarmi un'intervista." Chiese diretto, ignorando anche il fatto che lei, davanti a quella informazione riservata, avesse strabuzzato gli occhi "Naturalmente il suo disturbo sarà ampiamente ricompensato. E, se lo dovesse desiderare, la sua fonte rimarrà completamente anonima." Accompagnò il tutto con un'occhiolino e poi aspettò la risposta della ragazza, che non tardò ad arrivare.
"Lei è pazzo." Commentò Julia, stringendosi la borsa al petto e riprendendo a camminare.
"Lo prenderò per un sì." Rispose Elliott affrettando il passo per seguirla e scattandole un'altra foto a tradimento.
"Da me non saprà assolutamente nulla." Tagliò corto la medimaga.
"E con questo mi ha appena confermato di essere stata davvero lei a fare l'autopsia." Continuò lui, incurante dei poveri tentativi di Julia di seminarlo. "Quindi, mi dica, cosa ne...?"
Ma non riuscì mai a completare la frase, perchè si trovò una bacchetta puntanta contro al petto.
"Mi stia bene a sentire" Sibilò la donna "Stia lontano da me!"
Nonostante la minaccia, un sorriso allegro si dipinse sul volto dell'uomo "Uuuh! Qui abbiamo qualcosa da nascondere allora!" Esclamò giulivo. "Non vedo l'ora di scoprire cosa!" Commentò facendole un occhiolino sfrontato.
"Ma che cosa sta dicendo?" Esclamò Julia sbigottita per la piega inaspettata presa dalla conversazione.
"Sto dicendo, mia cara, che tutti hanno dei segreti!" Le rispose Elliott, sorridendo come se gli avessero comunicato lo scoop del giorno "E io scoprirò il tuo!" Con un occhiolino, le mise tra le mani un biglietto da visita "Ma se vuole risparmiarmi la fatica, questi sono i miei contatti."

Con un veloce inchino l'uomo si smaterializzò, lasciandola impalata in mezzo alla strada, bianca come un cencio e tremante.



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Cat era riuscita a convincere Myles a non fuggire da casa quella stessa notte.
Se suo marito aveva completamente perso la testa, a seguito dell'omicidio, lei aveva cercato di mantenere un po' di raziocinio.

"Noi non conosciamo la vittima. Ed era un caso che ti trovassi a quella festa." Aveva cercato di calmarlo, obbligandolo a non riempire ulteriormente quella valigia che l'uomo teneva ancora in mano. "Quindi calmati e vieni a letto. Ci penseremo domani mattina."

Dopo una lunga discussione in merito, Myles si era convinto ad ascoltarla.

Tuttavia, la donna aveva iniziato a pentirsi di quella scelta molto presto.
Lo aveva fatto nel corso della notte, sentendo suo marito sempre più agitato.
Se n'era pentita in quelle interminabili ore, sentendolo rotolare come un'anima in pena per tutta la lunghezza del letto.
Se n'era pentita ancora di più quella mattina, vedendo la mano del marito tremare violentemente mentre si versava il suo solito caffè nella tazza.

E infine se n'era pentita del tutto proprio in quell'istante, dal momento che una donna mulatta con la divisa azzurra da Auror si era smaterializzata proprio davanti alla
loro casa, suonando il campanello.
 
"Per l'amor di Merlino, Myles! Vatti a fare una doccia e ricomponiti!" Gli sibilò, mentre con un colpo di bacchetta iniziava a lavare le posate della prima colazione."Se fossero qua per arrestarti non si sarebbe presentata un'Auror da sola! E soprattutto non starebbe suonando il campanello!"

Aysha nel frattempo, vedendo che nessuno le veniva ad aprire, suonò una seconda volta, gettando un'occhiata all'orologio.
Forse si era recata lì troppo presto? In fondo erano solo le dieci di mattina.
Lei stava già lavorando da quasi tre ore, ma per un'insegnante in vacanza quello poteva essere un orario non appropriato.

Stava per allungare il collo - le sembrava di avere visto un movimento provenire da dietro le tende della cucina - quando la porta, finalmente, si aprì, rivelando dietro di essa una donna dai capelli rossi.
"Salve, posso aiutarla?" Domandò quest'ultima tranquillamente.
"Salve signora, sono l'Auror Meghara: stavo cercando il signor Snow." Rispose Aysha allungando la mano a Cat, che immediatamente gliela strinse.
"Mio marito è sotto la doccia al momento.
Ma lei si accomodi pure, intanto." Rispose la rossa, mettendosi di lato per farla passare. "Vuole qualcosa da bere, nel frattempo? Stavo preparando il the."
"La ringrazio per l'offerta, ma non possiamo mai consumare nulla in servizio." Le fece notare gentilmente l'Auror, seguendola per lo stretto corridoio.
"Scusi l'indiscrezione..." Tentennò Cat "Ma immagino che lei non sia qui per caso... riguarda l'omicidio di ieri sera per caso? Mio marito è tornato a casa sconvolto! Tutto quel sangue! Non oso neanche immaginare!"
"In effetti è così: suo marito era uno di quelli più vicini alla piscina." Spiegò Aysha "E di solito, a distanza di ore, tornano alla mente dei particolari ai quali non si aveva pensato sul momento. Per questo sono qui: stiamo indagando a 360 gradi."


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Villa Black - Levenvolde


Caroline, reprimendo un brivido che le corse lungo tutta la spina dorsale al ricordo di ciò che era successo solo la sera prima, attraversò a passo spedito il cortile della Villa.
Quella notte aveva dormito pochissimo.
Si era rotolata nel letto più volte, finendo per svegliare anche il marito.
E alla fine, psicologicamente esausta, si era alzata prestissimo per andare al lavoro, solo per cercare di tenere la mente impegnata.

Aveva così trovato Alexis, in procinto di uscire, che le aveva chiesto il favore di portare dei documenti
ai Levenvolde per la difesa di Darius.
E Caroline, pur di fare qualcosa che la tenesse impegnata, si era prestata volentieri.

Solo che in quel momento, guardando l'orologio, non era più così sicura di ciò che stava facendo.
Erano da poco passate le 10 e non era scontato che qualcuno di quella famiglia fosse già sveglio: e se li avesse disturbati?

Tuttavia tutti i suoi dubbi scomparvero quando una ragazza dai capelli rossi venne ad aprirle.
Una ragazza che, scavando nella memoria, Caroline identificò come Cecilia Evans, una delle tante cugine di Cassiopea.
Peccato che tra le braccia stesse tenendo Lyra.
Come cavolo avrebbe fatto a parlare liberamente davanti alla bambina di suo padre?

"Caroline Fisher, giusto?" La tolse dagli impicci la rossa, allungandole la mano libera per stringergliela.
"Sì, esatto." Confermò Caroline, regalando un sorriso alla bambina, che la stava fissando curiosa.
"Alexis ha avvisato che saresti passata." Annuì Cecilia "Prego, accomodati." Aggiunse spostandosi di lato per farla passare.
"Perchè non è venuta la zia allora?" Domandò Lyra confusa.
"Sono sicura che la prossima volta verrà." Le rispose la rossa, sollevandola in aria per distrarla. "Ma io non ti basto?" Domandò facendole il solletico.
Immediatamente, la risata cristallina della bambina si espanse per la casa.
Quando l'attacco di solletico terminò, Cecilia tornò seria e la mise giù.
"Perchè non vai a cercare tua mamma, così le dici che Caroline Fisher è qui?" Domandò alla fine per allontanarla, seguendola con lo sguardo finchè la bambina non sparì in fondo al corridoio correndo.

Appena i passi di Lyra segnalarono che la bambina si era allontanata abbastanza, sia lo sguardo di Cecilia che quello di Caroline diventarono cupi.



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25 giugno 2007


Lysbeth sospirò pesantemente, guardando con aria malinconica la parete del salotto del suo piccolo appartamento in affitto.

Le era piaciuto subito quel posto, tanto che col tempo lo aveva reso il suo piccolo rifugio perfetto.
Peccato che probabilmente avrebbe dovuto abbandonarlo a breve, visto che non era più in grado di permetterselo.

Maledetta la sua boccaccia!

Quando quell'Auror, ormai quattro giorni prima, l'aveva convinta a parlare, l'aveva assicurata che sarebbero stati in grado di proteggerla.
Ma che protezione potevano mai fornirle, rispetto ad un lavoro mancante?
E per aggiungere la beffa al danno, il signor Levenvolde era stato immediatamente rilasciato.

Semplicemente, dopo aver "cantanto", Lysbeth era stata licenziata in tronco, senza neanche ricevere il pagamento per la settimana che aveva già svolto.
Ma i Levenvolde non si erano fermati lì: avevano sparlato di lei con praticamente tutte le famiglie altolocate inglesi, impedendole così di trovare un qualsiasi lavoro.
Nessuna famiglia, da quella maledetta sera, sembrava più aver bisogno dei suoi servigi.
Appena si presentava davanti ad una abitazione, le veniva sbattuta la porta in faccia. E i suoi curricula venivano immediatamente cestinati.

Per un breve attimo, Lysbeth si domandò se non fosse il caso di andare a lavorare per dei babbani - con l'ausilio della magia avrebbe potuto svolgere il triplo del lavoro nella metà del tempo - oppure, addirittura, di chiedere aiuto a sua zia, anche se scartò immediatamente tale ipotesi: qualsiasi cosa, ma non lei.

Ma poi qualcosa battè contro la sua finestra e Lysbeth, voltandosi, si rese conto che davanti a lei si trovava un gufo in attesa.
E legata alla sua zampa, sigillata con la ceralacca, si trovava un messaggio, del quale la ragazza dovette controllare più volte l'autenticità prima di credere ai suoi occhi.

Un'offerta di lavoro da parte di Amelie Northman.


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26 giugno 2007, Londra, Villa Northman


Amelie stava trotterellando allegramente per uno degli infiniti corridoi della villa, mentre Lysbeth arrancava faticosamente nella sua scia.

Ma quanto
era grande quel posto?

"Questo è il salotto dove ricevo solo le mie amiche più intime e i familiari. Questo invece è dove ricevo gli ospiti indesiderati. Questo è il salone dei ricevimenti. Qui invece si trova il..." Continuava ad elencare Amelie, fermandosi di volta in volta davanti ad una stanza diversa, mentre Lysbeth aveva ormai rinunciato da tempo a memorizzare la funzione di ogni singola stanza.
Erano troppe e non era umanamente possibile ricordarsele.

Come avrebbe fatto a gestirle, ancora non lo sapeva.

"Non sarei mai ricorsa ad una domestica chiaccherona come te, ma sono disperata, perciò mi va bene tutto." L'aveva accolta la Northman circa un'ora prima. "Le tue referenze sono pessime, ma non ho proprio il tempo di mettermi a cercare un'altra domestica e so che tu sei disperata quanto me perchè ti mancano i soldi."
Davanti a tutta quella schiettezza, Lysbeth si era limitata a sgranare gli occhi stupita, mentre Amelie continuava imperterrita il suo monologo "Dopo quel dannato omicidio, gli Auror mi hanno bloccato in Inghilterra! Ma ti sembra giusto? Solo perchè ero presente al momento dell'omicidio! Sono una testimone, quindi non posso muovermi da qui!" Le aveva spiegato indignata "Ma ti sembra giusto che io debba rinunciare al mio shopping settimanale a Milano e Parigi solo per le loro manie di protagonismo?"

Prima che Lysbeth potesse anche solo pensare che magari i veri problemi della vita erano altri, la Northman continuò "E ovviamente, non avendo preventivato di rimanere bloccata a Londra per così tanto tempo, non avevo pensato a un domestico che potesse occuparsi della mia casa londinese. Sono stata praticamente obbligata a prendere te... ma sappi che se dovessi tradire la mia fiducia e parlare troppo, la rabbia dei Levenvolde ti sembrerà una carezza rispetto alla mia."


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Domanda della settimana: il prossimo capitolo sarà incentrato sul funerale (l'ho detto che non sarei andata in ordine di data). Il vostro OC andrà o non andrà? E come si comporterà? (SEMPRE PER MP, MI RACCOMANDO (entro l'1 aprile!) )


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Capitolo 6
*** 4 - Il funerale ***


4


Mi scuso se il capitolo non sarà il massimo, ma l'ho scritto a cucci e spintoni tra un turno di lavoro e l'altro.
In ogni caso, buona lettura! ;)



- Il funerale - 




23 giugno 2007, Londra, Villa Black Levenvolde, ore 8.30



"Cassy?"
Domandò Darius, aprendo l'ennesima porta e non trovando sua moglie neanche lì.

D'accordo, la loro Villa era praticamente infinita, ma dove si era andata a cacciare Cassiopea?

Mancava meno di un'ora al funerale e ci teneva particolarmente ad essere puntuale.
Nonostante tutto, Samuel aveva comunque lavorato per loro per più di cinque anni.
Forse aveva agito un po' troppo d'istinto licenziandolo.

Colpito da un'idea improvvisa su dove potesse essere la moglie, l'Auror tornò sui suoi passi, dirigendosi verso la camera della figlia, la stessa che un tempo era appartenuta a Cassiopea.
E fu lì che trovò la ragazza.
Era seduta sul bordo del letto della bambina, intenta ad accarezzarne delicatamente la folta chioma.

Utilizzando il passo felpato che aveva ormai sviluppato come Auror nel corso degli anni, Darius le raggiunse, appoggiandole una mano sulla spalla.
"Dorme?" Domandò in un sussurro.
"Sì, e non ho intenzione di svegliarla per portarla ad un funerale." Rispose Cassy altrettanto a bassa voce, spostandosi all'indietro con la schiena per appoggiarsi a lui e continuando ad accarezzare i capelli di Lyra. "Chissà da chi li ha presi tutti questi ricci." Aggiunse sovrappensiero.
L'Auror fece scorrere la mano destra in basso, verso la vita della moglie, per stringerla delicatamente. "Me lo sono sempre chiesto anch'io." Commentò appoggiandogliela sul ventre "Così come mi domando come sarà il piccolo Antares."

In quel momento la bambina si mosse nel sonno, così i due, per non rischiare di svegliarla, decisero di uscire dalla stanza.
Darius era convinto che si sarebbero diretti immediatamente verso la camera da letto per finire di prepararsi, ma gli bastò poco per accorgersi che la moglie non era accanto a lui.
Era rimasta vicino alla porta, ancora intenta ad osservare Lyra dormire.
"Amore?" Domandò incerto, vedendo Cassiopea con gli occhi lucidi. "Tutto bene?"

"Ho preso una decisione." Rispose lei dopo un attimo di esitazione. "Se dovessero proseguire con le accuse nei tuoi confronti, dirò che sono stata io."
"COSA?" Replicò lui strabuzzando gli occhi.
"Chiunque mi abbia visto in un momento di rabbia sa che avrei potuto farlo benissimo." Spiegò la Black "E la legge sarebbe dalla mia: sono incinta, quindi in uno stato mentalmente instabile. Nessuno mi condannerebbe e finirei per pagare una multa o poco più."
"NO! NON ESISTE!" Protestò però l'uomo. "Per quale motivo dovresti farlo? Nessuno di noi due è colpevole e presto lo capiranno tutti." Provò a rassicurarla, avanzando verso di lei per abbracciarla.
"Oppure possiamo far allungare il processo all'infinito - ho ancora i contatti con tutti i colleghi di mio nonno - e nel frattempo andarcene. Negli Stati Uniti c'è la famiglia di mio fratello*, oltre che quella di Alexis: ci aiuteranno di sicuro
... oppure in Russia, da tuo padre." Continuò a proporre Cassy, appoggiandogli la testa sul petto.
"Ma perchè devi pensare a queste ipotesi per forza?" Domandò Darius spiazzato.

Era abituato ai suoi continui sbalzi di umore, ma solo la sera prima gli era sembrata così combattiva ed energica!
In quel momento invece gli sembrava solo una bambina fragile, che aveva bisogno di rassicurazioni riguardo ai mostri sotto al letto.
Non sembrava neanche la stessa persona.

"Perchè io voglio che Lyra e Antares, a differenza nostra, abbiano una famiglia vera, composta da un padre e una madre che siano sempre presenti per loro." Spiegò la donna, ormai sull'orlo delle lacrime. "E non mi interessa cosa dovrò fare, per fare in modo che sia davvero così: sono disposta a tutto."


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Villa Northman, ore 9.00


"Uhm no, questo non mi piace proprio. Portamene un altro." Ordinò Amelie a Lysbeth dopo aver fatto un giro su se stessa per osservare attentamente il suo profilo nella grande specchiera contenuta nell'armadio.
Senza proferire un suono che potesse segnalare le sue perplessità, la giovane cameriera si limitò ad accontentarla, porgendole l'ennesimo abito nero.

A differenza della olandese, che era già pronta da un pezzo, la banchiera era ancora in vestaglia, intenta a provare e riprovare decine di cambi.
Se non fosse stato che ogni singolo abito era di colore nero, avrebbe potuto sembrare quasi che Amelie stesse per recarsi ad una sfilata di moda piuttosto che ad un funerale.

"No, questo assolutamente no! Mi fa il sedere troppo grande!" Si lamentò ancora una volta la donna, scartando nuovamente il vestito e gettandolo alla rinfusa sul letto, facendolo finire sopra ad altri precedentemente esclusi.

Davanti a quell'ennesimo rifiuto, Lysbeth trattene a stento una imprecazione: le era venuto male al braccio a forza di tirare su e giù dall'armadio - che tra le altre cose era grande più del suo appartamento - i diversi capi di vestiario della Northman.

"E questo non si addatta per niente ai miei occhiali da sole!" Commentò Amelie gettandone via un altro ancora, che finì dritto sul pavimento.

"Può sempre non andare al funerale." Propose a quel punto Lysbeth, quasi con una nota speranzosa nella voce.

Sapeva perfettamente che se la sua nuova "padrona" si fosse recata in quel luogo lei, in qualità di cameriera, avrebbe dovuto per forza seguirla. E ciò avrebbe significato imbattersi nuovamente in Cassiopea Black. 
Aveva già affrontato la sua ira una volta. E non ci teneva minimamente a ripetere l'esperienza.

La banchiera però, davanti a quella frase, scoppiò a ridere fragorosamente.
"Paura di incontrare la signora Levenvolde?" La prese in giro, quasi come se le avesse letto nel pensiero. "Beh... non posso di certo darti torto. Le hai toccato suo marito e so molto bene quanto ci tiene... credo che sarebbe disposta anche ad uccidere per lui." Continuò serafica, mentre le sue labbra si piegavano in un leggero sorriso divertito.
Più che preoccupata, sembrava che la prospettiva la divertisse un mondo.

"Passami l'abito nero di Chanel con il bordo in pizzo: credo proprio che indosserò quello." Chiuse alla fine bruscamente il discorso. "Altrimenti rischiamo davvero di fare tardi. E io ci tengo moltissimo alla puntualità."



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Villa Black - Levenvolde, ore 9.00



Catalina osservò per un'ultima volta la sua immagine nello specchio presente nell'ingresso della Villa, poi recuperò la borsa e si diresse velocemente verso la cucina, per controllare per l'ennesima volta che tutto fosse in ordine.

Dentro alla stanza, intenta a controllare con la bacchetta una serie di stracci e scope, trovò Candice.
La ragazza era talmente intenta nella sua opera di pulizia che si accorse solo dopo un bel po' di essere osservata. E quando se ne rese conto emise un piccolo urlo di sorpresa, portandosi subito dopo la mano destra all'altezza del cuore, mentre tutti gli strumenti dei quali si era circondata cadevano a terra emettendo un gran fracasso.

"Cata!" Esclamò alla fine, facendo dei respiri profondi per calmarsi e sfilando un filo bianco dall'orecchio sinistro. "Non ti avevo sentita arrivare!"
"Che cos'è quel coso?" Domandò subito sospettosa la cameriera spagnola, puntando un dito contro all'affare bianco che Candice teneva ancora in mano.
"Queste?" Domandò Candice mostrandogliele.
Al cenno affermativo di Catalina, l'altra cameriera si avvicinò di qualche passo. "Sono le cuffie dell'mp3." Rispose porgendogliene una.
Ma dalla faccia perplessa della donna, capì che non ne sapeva assolutamente nulla delle invenzioni babbane di quegli ultimi decenni. "E' una specie di radio, un'invenzione recente dei babbani per ascoltare la musica." Cercò di spiegare a quel punto.

"Ah... ehm... ok." Rispose Catalina dopo qualche secondo di silenzio, non del tutto convinta, continuando infatti a lanciare strane occhiate al filo.
Dopo un altro po' di tempo però si riscosse, ricordando il vero motivo per cui era andata lì.
"Io e i seniori Levenvolde stiamo andando al funerale insieme alla seniora Evans." Spiegò, capendo di avere ormai l'attenzione completa della ragazza. "Tu sei proprio secura di voler rimanere in casa?" Domandò.
"Sì, certo." Confermò Candice annuendo "In fondo io non conoscevo il signor Larson. E non mi va di fare la figura della ficcanaso."
"In tal caso sappi che al piano di sopra està durmiendo Lyra." Si raccomandò Catalina "Quando si sveglia sono pronti i biscotti de chocolate."
"D'accordo." Annuì l'americana.
"E tra meno di media hora arriveranno qui il seniore e la seniora Black."

Sembrava una raccomandazione qualsiasi, ma dal tono in cui la spagnola disse l'ultima frase Candice capì che quello era più un sottile avvertimento.

Ti abbiamo assunta, ma non ci fidiamo di te.

In un primo momento la giovane violinista si ritenne offesa da quella poca dimostrazione di fiducia. Ma poi pensò che, con tutto quello che stava succedendo, i Levenvolde avevano le loro buone ragioni per non fidarsi di lei.
E non potè far altro che dar loro silenziosamente ragione.



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Tempio di Mitra***, ore 9.05


Una leggera brezza si alzò non appena Alexis raggiunse il cono d'ombra proiettato dalle colonne del tempio, per quel motivo la ragazza, reprimendo un brivido che le attraversò l'intera colonna vertebrale, dovette fermarsi.
Con un gesto secco aprì la borsa per tirarne fuori uno scialle di seta nera, che aprì in tutta la sua ampiezza per appoggiarselo sulle esili spalle, cercando così di contrastare l'aria frizzantina, completamente inadatta a quella giornata di giugno.

Aveva appena finito di farlo, quando una figura familiare la raggiunse, rivolgendole un piccolo sorriso di circostanza.
"Caroline?" Domandò quindi la Buldstrode innarcando un sopracciglio, sorpresa di trovare la sua collega presente in tale circostanza. "Anche tu qui?"
"Ciao Alexis." La salutò l'altra "Sì, sono venuta per il funerale del signor Larson."

Dal momento che, per quanto ne sapeva la purosangue, la sua collega non aveva motivo di essere presente a quel funerale, la risposta la lasciò alquanto perplessa. Tuttavia preferì non indagare troppo sulla circostanza.
Almeno non apparentemente.

"Gentile da parte tua." Si limitò quindi a commentare, finendo di sistemarsi lo scialle e dirigendosi verso la scalinata che conduceva all'ingresso del tempio, sentendo il ticchettio dei tacchi di Caroline seguirla a breve distanza.
"Mi sembrava alquanto maleducato non partecipare." Rispose l'altra, abbassando progressivamente il tono di voce man mano che si inoltravano all'interno del tempio. "Abbiamo assistito tutti alla sua morte, in fondo. Conosciuto in vita o no, mi sembra un giusto segno di rispetto." Ragionò con un tono di voce alquanto pacato.

Alexis non si preoccupò di rispondere a quella constatazione: non la trovava del tutto logica, ma in quel momento la sua mente era proiettata su tutt'altro.
Nel frattempo inoltre, le due avevano raggiunto l'area riservata alle cerimonie funebri, dove aveva iniziato ad assemblarsi una piccola folla.
Perciò si limitò a rivolgere a Caroline un piccolo cenno di saluto con la testa dopo aver individuato la figura di suo cugino e della moglie, dirigendosi subito dopo nella loro direzione.



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Dipartimento Auror, ore 8.30


Eleanor, con aria annoiata, appoggiò il mento sul palmo della mano destra, reprimendo a stento uno sbuffo.
Davanti a lei, in quel preciso momento, ammanettato al tavolo con un sorriso strafottente, si trovava Elliott Florence.

"Oh andiamo Elly!" Stava dicendo il fotografo con aria divertita "Lo sai già cosa succederà." Continuò indirizzandole un occhiolino. "Tantovale che ti risparmi la fatica, no?"
"Elly?" Commentò lei sarcastica "Siamo passati ai nomignoli adesso?"
"Parker lo trovo troppo... formale." Replicò l'uomo, indirizzandole l'ennesimo occhiolino sfrontato. "E ormai io e te ci conosciamo da troppo tempo per usare ancora queste formule... no?"

L'Auror stava per rispondergli irritata che l'unico motivo per cui si conoscevano era che lui era ormai diventato un habituè al Dipartimento solo perchè arrestato troppe volte, quando la porta dietro di loro si aprì, facendo sbucare Aaron sulla soglia.

Per un attimo, gli occhi chiari del capo Auror vagarono per la stanza, cercando di riconoscere il profilo dell'uomo ammanettato che gli dava le spalle. Quando vi riconobbe il profilo ormai noto del paparazzo, un piccolo sorrisino gli increspò le labbra.

"Florence!" Esclamò entrando e chiudendo la porta dietro di lui, mentre Eleanor assisteva alla scena in silenzio. "A chi è che hai rotto le pluffe durante la partita a questo giro?"
A quella domanda retorica, che non aveva bisogno davvero di una risposta, Elliott sentì comunque il dovere di rispondere. "Un funzionario francese in vacanza si è sentito leso nella sua dignità per un paio di domande innocenti." Rispose scrollando le spalle con noncuranza. "Ma forse tu sei più intelligente della tua collega qua" Continuò indicandogli Eleanor con un cenno della testa "e mi libererai senza tante storie. Tanto, lo sai già come funziona." Concluse allungando le mani ammanettate il più possibile nella direzione di Aaron.
Tuttavia l'Auror lo ignorò, aumentando l'ampiezza del sorriso. "Oh sì che so come funziona, così come lo sa anche Eleanor: tu ti metti nei guai e tuo fratello viene a liberarti. Ma resta il fatto che non muoverò un dito per facilitare la tua liberazione."

Elliott, davanti a quella netta presa di posizione, sbuffò per sottolineare tutto il suo disappunto. "Ma così mi farete perdere il funerale di Samuel Larson!" Si lamentò.
"E' proprio questo lo scopo." Rispose Aaron con un sorrisetto. "Eleanor, io e Aysha stiamo per andare al suddetto funerale. Per quanto riguarda te, invece, hai il compito di trattenerlo il più possibile. In fondo, tu non sei una tirocinante alle prime armi, giusto?"
"Giusto signore!" Rispose lei, trattenendosi per non scoppiare a ridere in faccia ad Elliott mentre, con una leggera strizzatina d'occhio, Morgan abbandonava la stanza degli interrogatori.



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Villa Burke - Selwyn, ore 9.10


Frederick Selwyn sbuffò per l'ennesima volta, mentre cercava di sistemarsi senza successo la cravatta davanti all'enorme specchiera presente nella camera da letto.
D'altra parte, l'evidente impazienza di Sylvia, che lo fissava con espressione torva e a braccia incrociate davanti alla porta, non lo aiutavano di certo a concentrarsi.

"Allora? Hai finito?" Domandò la donna con voce piatta, tentando così di malcelare tutto il suo disappunto per l'evidente incapacità del marito. "E poi dite che siamo noi donne ad impiegare molto tempo per vestirci. Io sono già pronta da secoli!" Sbuffò infastidita "Rischieremo di fare tardi al funerale!"
"Non ho ancora capito per quale motivo tu ci tenga così tanto ad andare a quel funerale." Borbottò in risposta l'uomo, continuando a litigare con la cravatta "Era solo un qualsiasi cameriere! E per di più neanche purosangue."

A quelle parole, che non era neanche la prima volta che diceva, Sylvia assottigliò pericolosamente gli occhi. "Purosangue o no, è il cugino del collega col quale lavoro da sette anni." Rispose quasi sibilando.

Ogni volta che, anche per puro caso, lei e il marito si mettevano a parlare di Theo, sentiva il sangue andarle al cervello.
La paura che qualcuno, soprattutto Frederick, potesse scoprire qualcosa su di loro la faceva completamente sragionare. E il fatto che proprio colui che avrebbero sepolto quel giorno aveva scoperto la verità, la faceva solo agitare ancora di più.


"Mi sembra un gesto doveroso fare quantomeno atto di presenza." Continuò serafica, ripetendo come un mantra la balla che si era autoimposta.
Lei e Theo erano davvero colleghi da sette anni, in fondo. Detta così suonava come un gesto nobile e altruista, no?

"Quindi sbrigati o faremo tardi." Gli ordinò secca prima di voltare le spalle ed andarsene, in modo da non dover ulteriormente replicare a possibili obiezioni del marito.
Con o senza di lui sarebbe comunque andata.

Non gliene fregava assolutamente nulla, ovviamente, del cadavere di Samuel Larson.
Ma di Theo sì, eccome se le importava.



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Cimitero di Highgate**, ore 10




Un caldo sole splendeva sulle loro teste, proiettando diverse ombre sul terreno. E gli uccellini, nascosti tra le fronde degli alberi, cinguettavno senza sosta, mentre il loro canto era accompagnato da quello delle cicale e dei grilli.
Non sembrava un giorno adatto, per un funerale.

Aysha Meghara però, seduta al fianco di Aaron, non prestava attenzione a tutto ciò: il suo sguardo, ben nascosto dagli spessi occhiali da sole scuri, viaggiava senza sosta sulla piccola folla presente in quell'angolo di cimitero, alla ricerca di qualcosa di strano od insolito.
Ma fino a quel momento non aveva visto nulla di particolarmente degno di nota.
Si era soltanto divertita ad osservare un paio di "nobili con la puzza sotto al naso", come li aveva ribattezzati lei nella sua testa, che tentavano di rimanere impassibili al fianco delle loro mogli, mentre si notava lontano un miglio come in realtà si stessero sciogliendo come neve al sole, ingiacchettati e incravattati com'erano dentro ai loro completi scuri.

Il sole non perdonava proprio quel giorno. E il nero non aiutava di certo, in quella situazione.

Reprimendo un sorrisetto divertito, che sarebbe stato alquanto fuori luogo in quella situazione, Aysha fece vagare lo sguardo verso le prime file, dove erano presenti i membri della famiglia Larson - compresa la vedova, che non aveva mai alzato lo sguardo dal fazzoletto di foggia scura - e poi poco più indietro, dove si trovavano i Levenvolde.

Sapeva che tutta le spese del funerale - organizzato alla velocità della luce - erano state pagate dalla famiglia di Darius, ma non riusciva ancora a capire il perchè di quel gesto.
Conosceva ormai Darius da anni e lo considerava un ottimo collega.

Ma era davvero disposta a mettere la mano sul fuoco per lui e per la sua innocenza?
Aaron ed Eleanor ne erano abbastanza convinti, ma lei?

Darius e la moglie avevano pagato tutte le spese per un atto di pietà verso quello che era stato un loro dipendente per anni oppure per sepellire in fretta qualcosa che andava nascosto?

Aysha non aveva risposte certe in quel momento, ma su una cosa era sicura: chiunque fosse stato, lei lo avrebbe scoperto.
Era solo questione di tempo.







Mentre la sacerdotessa enunciava la laudatio funebris in onore di Samuel Larson, Cecilia gettò un'occhiata attorno a sè per cercare di capire da chi fosse circondata.
Per un breve attimo si pentì anche di non avere scelto di rimanere a casa.
Quantomeno alla Villa avrebbe potuto sfruttare il suo tempo giocando con Lyra.

Invece aveva deciso di recarsi al funerale, un po' per fare da supporto morale a sua cugina Cassiopea - che quella mattina sembrava essere giù di corda più del solito - e un po' per soddisfare la propria curiosità.
Non era riuscita proprio a resistere.

Poteva sembrare cinico, pensato in quel momento, ma Cecilia non era riuscita a pensare ad altro che quello in quei giorni: con una sola morte, si era riuscito a creare un pandemonio peggiore di quello che avrebbe potuto creare il passaggio di un uragano.
Nonostante il pensiero dai risvolti cinici, si ritrovò quasi ad odiare Samuel Larson per essere morto proprio in quella circostanza: ma non avrebbe potuto morire qualche ora prima oppure qualche giorno più tardi?
Perchè invece era morto proprio subito dopo il licenziamento ricevuto da Darius?


Guardando con la coda dell'occhio nella direzione della cugina, la vide con la faccia nascosta nel petto del marito, mentre lo stringeva a sè con una forza tale da farle diventare le nocche delle mani bianche.
E si ritrovò a pensare alla circostanza - ormai accaduta sette anni prima - che li aveva portati a conoscersi.
Lui e Cassy avevano formato da subito una coppia splendida e di certo non meritavano tutto quello che gli stava succedendo.

Non lo meritavano proprio.

Ma cosa avrebbe potuto fare lei concretamente, per aiutarli?



-*-*-*-


Casa Larson, vacanze di Pasqua, 2002


Theophile e Alexander Larson non riuscivano a staccare gli occhi di dosso a quella stranissima coppia.

Elettra Eurinome Sirene in Larson era la perfezione fatta persona.
Alta circa un metro e settanta, sessanta chili di peso, bionda e, soprattutto, purosangue, in quel momento stava discorrendo amabilmente in mezzo al cortile con la madre di Samuel, Cordelia, mentre teneva tra le dita affusolate e perfettamente curate un bicchiere di vino bianco.
E il loro cugino si trovava a pochissima distanza da lei, con un sorriso sulle labbra, mentre le teneva una mano sulla vita, come per voler dimostrare ulteriormente a tutti che sì, quella donna era davvero sua moglie.
Sua e di nessun altro.

Il problema era proprio questo.

A parte aver riconosciuto la donna grazie alle sue innumerevoli comparse su diversi tabloid del mondo magico francese, nessuno nella famiglia Larson poteva dire di conoscerla davvero.
Samuel era semplicemente andato in vacanza per due settimane in Egitto, da single.
Ed era ritornato con quella donna, sposato.

Come avesse fatto, in meno di due settimane, a conoscerla così bene da decidere che proprio lei dovesse diventare la donna della sua vita, a nessuno era dato sapere. Così come nessuno riusciva a capire cosa li avesse uniti così profondamente in così poco tempo.
O anche solo cosa ci avesse trovato lei in lui.

In ogni caso era successo.
E tutti loro, componenti della famiglia di Samuel, non potevano far altro che accettarlo.



-*-*-*-


Casa Snow, ore 10


L'uomo urlava a sguarciagola per esprimere tutto il suo dolore, ma questo non gli interessava minimamente.
Con una mano gli teneva stretta la gola per cercare di togliergli l'aria, bloccandolo contemporaneamente a terra.
Con l'altra lo riempiva di pugni, colpendo ogni minimo millimetro che gli capitava a tiro.

Non avrebbe avuto alcuna pietà.

"Myles!"

Con un sussulto, il professore si svegliò di soprassalto spalancando gli occhi.
Era sdraiato sul divano, con solo un paio di pantaloncini addosso.
Nonostante questo la sua pelle, coperta da uno strato di sudore, si era appiccicata al divano sopra al quale si era appisolato.

"Il solito incubo?" Si interessò sua moglie, passandogli una mano sulla fronte.
A differenza della pelle dell'uomo, alquanto accaldata, la mano di Cat era fresca e asciutta.
"Sì." Rispose lui facendo perno sulle braccia per mettersi seduto. "Grazie per avermi svegliato." Continuò prendendo tra le sue mani quella della moglie e portandosela alle labbra, per lasciare su di essa un bacio delicato.

Pochi secondi dopo, la donna appellò un bicchiere e una caraffa ricolmi sia d'acqua che di cubetti di ghiaccio e Myles se ne servì immediatamente.

Ancora più dell'acqua fu però la presenza della donna a calmarlo.

E sua moglie lo sapeva benissimo, visto che non lasciò la sua mano per un solo secondo.

"Non voglio tornare in prigione Cat." Si ritrovò ad ammettere alla fine, nascondendo il volto tra le mani. "Là dentro è tutto così orribile."


Mentre la donna protendeva in avanti il busto per abbracciarlo e consolarlo, un'altra, poco lontana da casa loro, sistemava il binocolo magicamente modificato per assistere meglio alla loro conversazione.
"Ah ma allora hai davvero qualcosa da nascondere, caro il mio professore!" Si ritrovò a pensare Melisandre allegramente, borbottando una serie di incantesimi per rafforzare gli strumenti che stava usando in quel momento per spiarli. "E io non vedo l'ora di sapere cosa!"



-*-*-*-


Casa Carlisle, ore 10


"Mamma guarda!"

Davanti al foglio sventolatole sotto al naso da sua figlia Martha, Julia venne bruscamente distolta dai suoi pensieri.

"L'ho fatto per te!" Insistette la bambina continuando a sventolarle il foglio sotto agli occhi, non capendo perchè sua madre non le dedicasse attenzione come al solito.
Costringendo le sue labbra a piegarsi in un sorriso, Julia piegò il busto in avanti, in direzione della figlia. "Scusa tesoro, ero distratta. Puoi ripetere per favore?"
Martha, vedendo che l'attenzione della madre era finalmente rivolta a lei, sorrise allegramente porgendole nuovamente il foglio. "E' per te!"
A quel punto la medimaga, calata di nuovo nella sua realtà di madre, prestò finalmente attenzione al disegno.

Nei tratti infantili ed indecisi della figlia riconobbe immediatamente se stessa e le due gemelle, Martha e Dylan - non era la prima volta che la bambina le raffigurava. Ma non riuscì a riconoscere la quarta figura. Era solo un ammasso rosa e verde.
"E questo chi è?" Domandò indicandogliela, sperando che la bambina non se la prendesse.
"Papà con la divisa da militare!" Rispose innocentemente la piccola, senza avere idea del tormento interiore che quella semplice frase riuscì a scatenare in sua madre. "Ti piace mamma?"

Ingoiando l'enorme groppo in gola che le si era formato, Julia rivolse un sorriso alla figlia.

"Certo, è bellissimo." Rispose alzandosi in piedi "Vado in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Tu vuoi qualcosa tesoro?"

A momenti senza neanche aspettare la risposta, la medimaga si diresse verso la stanza appena citata.
Poi, quando fu sicura di essere finalmente sola, nascose il viso dietro alle mani, cercando di trattenere le lacrime.


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* per chi non ha letto "Un erede per i Black", qui Cassy si riferisce a Nihal: nonostante siano solo cugini, sono stati entrambi adottati dal nonno materno, Antares Black, diventando così fratelli "per legge"

** è un cimitero gotico situato nel nord di Londra: se avete la passione per storie di fantasmi e vampiri andatevelo a cercare su internet!

*** già in altre mie storie l'ho spiegato, ma repetita iuvant: nel mio immaginario i maghi sono pagani, quindi ancora soggetti al culto delle antiche divinità politeiste. Non sarà raro trovare nelle mie storie riferimenti ad antiche civiltà, così come i protagonisti potrebbero anche finire a pregare un qualche Dio o Dea di cui magari avete letto soltanto nei vostri libri di storia. In questo specifico caso, le rovine del tempio di Mitra si trovano davvero a Londra ed è uno dei pochi templi ancora quasi perfettamente conservato nonostante i secoli passati... indovinate un po' perchè? :P


Ciao a tutti! :)
Come avete visto, in questo capitolo sono contenuti dei flashback. 
Questo serve per inaugurare ciò che farò in futuro: ogni capitolo, a partire dal prossimo, sarà dedicato ad uno specifico personaggio (tranquilli, gli altri OC ovviamente compariranno ;) )

Ovviamente ogni OC avrà il proprio (salvo sparizioni) quindi non preoccupatevi, avrete tutti lo stesso spazio entro la fine della storia.
Pertanto, a partire da oggi, alla fine di ogni capitolo metterò una lista di nomi (ridotta, se no rischio di avere si e no una manciata di voti ad OC) e voi dovrete votare di quale OC volete vedere il passato per primo.

Via al televoto! (risposte per MP entro il 15/04)

- Sylvia Berenice Burke
- Catalina Garcia Lopez
- Eleanor Jamie Parker
- Caroline Hellen Fisher


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Capitolo 7
*** 5 - Caroline Hellen Fisher ***


5

Ehilà!
Caroline è stata la più votata (anche se di poco), perciò, come promesso, parto da lei.

Anche se immagino che la cosa sarà intuitiva, lo specifico: visto che Cassiopea è nata nel 1981 e molti degli OC sono circa suoi coetanei, se inserisco nella storia scene che si svolsero ad Hogwarts, potrei far comparire anche dei personaggi canon, quindi non sorprendetevi così tanto se li trovate citati in qualche scena.

Buona lettura! ;)



- Caroline Hellen Fisher - 



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Caroline Hellen Fisher, 1 aprile 1980, Corvonero



Marzo 1994, Hogwarts, Sala Grande



"Caroline?"
...
"Caroline?"
...
"Caro?"
...
"TERRA CHIAMA CAROLINE!" 

A quella frase praticamente urlata da Cho Chang, finalmente Caroline rivolse la sua attenzione alla ragazza... peccato che insieme a lei si fossero girati anche metà degli appartenenti al tavolo dei Corvonero, che avevano iniziato a fissare curiosi le due amiche.
E la Fisher, sentendo tutti quegli sguardi addosso, sentì il volto andarle a fuoco.

"Che vuoi?" Domandò imbarazzata dopo un po', mentre una buona parte del tavolo tornava a farsi gli affari propri.
Con la coda dell'occhio, Caroline vide Cassiopea Black e Gillian Greengrass tornare a confabulare a loro volta, sedute qualche posto più in là.
"Ti ho chiamato più volte ma sembravi avere la testa tra le nuvole." Ridacchiò Cho in risposta "Cosa stavi guardando... o forse dovrei dire chi?" Domandò gettando un'occhiata al tavolo dei Serpeverde, dove un certo ragazzo continuava a spalmarsi la marmellata sulla fetta di pane, del tutto inconsapevole dell'attenzione suscitata.

"Nessuno." Borbottò Caroline distogliendo in fretta lo sguardo, finendo però inevitabilmente per arrossire.
"Sì, certo! Chi ci crede!"


-*-*-*-



23 giugno 2007, Londra, Dipartimento Auror, ore 7.30



"... E SI PUO' SAPERE PERCHE' E' ANCORA A PIEDE LIBERO NONOSTANTE TUTTO?"
Davanti alla domanda del suo diretto superiore, Aaron trattenne al pelo uno sbuffo.

Il perchè Darius Levenvolde fosse un uomo libero era sin troppo chiaro, ma non c'era stato verso di far ragionare alcune teste calde del Dipartimento.

"LASCIARE UN TIROCINANTE DA SOLO E' STATO UN ERRORE CHE DA TE NON MI SAREI MAI ASPETTATO MORGAN!" Continuò a sbraitare l'uomo puntandogli un dito contro, incurante del fatto che l'Auror non gli stesse prestando attenzione più di tanto.
E avrebbe continuato a sbraitare, se Aaron, dopo aver evitato per l'ennesima volta di roteare gli occhi con aria esasperata, non avesse deciso di interromperlo.

"Ti faccio presente che contro Darius Levenvolde abbiamo solo qualche prova indiziaria. Inoltre, sua moglie si è presentata con una cauzione pagata e un ordine di rilascio firmata da un giudice." Riassunse brevemente
marcando di volta in volta la voce nei punti salienti, per dimostrare quanto quelle accuse fossero infondate. "Quindi al Dipartimento avrebbe potuto essere presente anche Harry Potter in persona, ma il signor Levenvolde non avrebbe potuto essere comunque trattenuto ulteriormente."
"Lo sappiamo tutti che il giudice Williams è un amico di vecchia data di Antares Black!" Ribattè l'altro.
"Certo, ma questo non toglie che è pur sempre un giudice... a meno che non volessimo andare contro quanto previsto dal nostro stesso sistema giudiziario, ovviamente." Replicò sarcastico Aaron.
Ma l'altro non si arrese. "E come vi è venuto in mente di dire che è stata la cameriera a parlare? Avete rischiato di distruggere un testimone!"
Davanti a quell'ennesima accusa, Aaron sbuffò apertamente. "Non sia ridicolo! Nessuno di noi gliel'ha detto!" Controbattè.
"E allora come diavolo ha fatto a saperlo così in fretta?"
"C'è una cosa che evidentemente non hai ancora capito, secondo me: è di Cassiopea Black che stiamo parlando."








23 giugno 2007,
Londra, Cimitero di Highgate, ore 11.30



Un rumore di panche e sedie strisciate a terra riscossero Aaron dal ricordo di quella mattina.
Senza perdere tempo, l'Auror si alzò in piedi per cercare tra la folla la figura di Darius. Trovandola poco più in là, mentre si dirigeva fuori dal cimitero, a braccetto con la moglie.

"DARIUS!" Lo chiamò ad alta voce, per sovrastare il vociare sempre più intenso del gruppo di persone che si stava lentamente allontanando. "ASPETTA!"
Fortunatamente l'uomo lo sentì e si fermò, rivolgendogli anche un piccolo sorriso. Al contrario di Cassy, che non appena si accorse di chi aveva appena attirato l'attenzione di suo marito lo fulminò con lo sguardo.

Per un attimo, Aaron rimase spiazzato da quel gesto.
Di certo non si aspettava benevolenza da Cassiopea, visto che le aveva arrestato Darius davanti agli occhi solo pochi giorni prima. Ma neanche quello sguardo così gelido.
Gli occhi azzurro grigi della donna annunciavano solo tempesta.

"Darius, posso parlarti un attimo?" Domandò comunque, cercando di ignorare lo sguardo insistente della Black che in quel momento gli stava perforando la nuca. "Da solo?" Aggiunse sentendosi sempre più a disagio.
Fortunatamente l'uomo, dopo essersi scambiato uno sguardo con la moglie, acconsentì.

Ma per tutto il tempo della chiacchierata Aaron non potè fare a meno di percepire lo sguardo torvo di Cassiopea su di lui, nonostante si fosse nel frattempo allontanata insieme a Cecilia ed Alexis.







"Cosa voleva Aaron?"

Darius aveva appena raggiunto nuovamente sua moglie quando venne investito da tre voci femminili diverse.
L'uomo inarcò vagamente un sopracciglio, ma non ne fu affatto sorpreso.
In fondo non poteva pensare di passarla liscia avendo di fronte sua moglie, Cecilia e sua cugina.

"Lo sai che non dovresti neanche parlarci, se non hai me al tuo fianco." Lo riprese Alexis stringendo appena gli occhi.
"Sai Alex? Sono un Auror, credo di conoscere molto bene i miei diritti." La prese però in giro lui con un sorrisetto ironico sulle labbra.
"Infatti li conosci talmente bene che ti sei fatto arrestare come un fesso subito." Ironizzò lei in risposta, mentre Cassiopea, dopo averla fulminata con lo sguardo, la zittiva.
"Shhh! Vuoi che lo vengano a sapere proprio tutti?"
"Dopo il casino che hai fatto tu con il giudice Williams, dubito ci sia ancora qualcuno che non lo sappia." Rispose piccata l'avvocato.
"Quel casino è stato fatto per farlo uscire subito! Sarebbe ancora là, se fosse stato per te!"

"State dando spettacolo." Le interruppe a quel punto Cecilia, impedendo ad Alexis di ribattere e troncando così sul nascere la discussione, ricevendo un'occhiata di ringraziamento da Darius in risposta.

In fondo era risaputo che Cassiopea e Alexis non riuscissero a sopportarsi.
Che poi avessero fatto fronte comune per tirarlo fuori da quella brutta vicenda era tutta un'altra storia.

"Che tu sia un Auror o no, non mi sembra proprio che tu stia prendendo questa storia seriamente!" Sibilò Alexis prima di stringere la borsa forte al petto. "Quindi, quando ti sarà tornata la voglia di non finire ad Azkaban fammi un fischio." Decretò prima di girare i tacchi e andarsene.

"Alex!" Provò a richiamarla l'uomo.
Ma la cugina lo ignorò, aumentando il passo e sparendo dietro la curva.

"Mi dispiace ammetterlo
ma Alexis ha ragione." Commentò Cassiopea a quel punto, voltandosi verso di lui "Tu non stai prendendo questa storia seriamente!"
"Ehy ma quella statua a forma di angelo è nuova? Non l'avevo mai vista!" Svicolò Cecilia allontanandosi dai due con la prima scusa che riuscì a trovare.
Ma i coniugi a malapena se ne accorsero.

"Scusa tanto Cassy se non mi comporto come vorresti tu, ma sai sono un tantino spiazzato anch'io, visto che non mi è mai capitato di essere accusato di omicidio!" Ribattè l'uomo alterandosi leggermente, mentre la ragazza incrociava le braccia al petto in risposta.
"Nessuno ti sta chiedendo di comportarti in maniera perfetta!" Sbraitò agitando le braccia "Ma se un Auror chiede di parlarti, almeno in questo frangente portati dietro un avvocato!"
"Ma era solo Aaron!" Replicò Darius "E' un mio collega! E' stato il primo a dirmi di portarmi dietro Alexis, quando è servito!" Provò a farla ragionare.
"Aaron era un tuo collega." Rispose però Cassy agitando l'indice nella sua direzione "Adesso è solo l'uomo che ti ha fatto arrestare... la capisci la differenza?" Vedendo però che Darius tardava a risponderle, la ragazza continuò "E comunque non hai ancora risposto: cosa voleva?"
"Ho delle ferie arretrate. Mi ha suggerito di prenderle tutte e farmi un mese di vacanza, in attesa che si calmino le acque." Rispose lui. "Contenta adesso?"
"Ah... E tu cosa farai?" Domandò Cassy a quel punto calmandosi di colpo, spiazzandolo completamente.

Era quasi sicuro che avrebbe iniziato a fargli il terzo grado sul perchè Aaron avesse preferito dirglielo in privato.

"Credi che io abbia davvero una scelta?" Domandò ironico "E' chiaro che, volente o nolente, dovrò seguire il suggerimento." Ammise sbuffando.
Al contrario di Cassiopea, il cui volto fu illuminato da un sorriso enorme. "In questo caso... tutto è bene quel che finisce bene." Disse avanzando verso di lui per riprenderlo a braccetto, allegra come non la vedeva da un bel po'.

Darius rimase qualche minuto a lambicarsi su cosa avesse potuto provocare quel repentino cambio di umore. Poi la risposta gli arrivò all'improvviso.
"Cassy... il tuo improvviso buonumore non è causato dal motivo per cui abbiamo litigato prima della festa... vero?"
Anche prima della risposta della ragazza però, l'uomo capì di avere fatto centro.
Il sorriso di sua moglie infatti si allargò solo di più.
"Oh caro, perchè dovrei nascondertelo? Certo che sì!" Trillò allegra "E a proposito di quel litigio" Aggiunse tornando ad avere di colpo un'espressione cupa "non l'ho dimenticato... l'ho solo rimandato."

"Maledizione a Grindelwald!"


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Dicembre 1994, Hogwarts



"La quantità di acqua versata in una vasca raddoppia ogni giorno. Al ventottesimo giorno la vasca è piena. Quanti giorni servirebbero per riempire mezza vasca?"

Nonostante la soluzione all'indovinello proposto dal Corvo fosse molto semplice, Caroline non riuscì proprio a trovare la soluzione.
In effetti, non l'aveva neanche ascoltato davvero.

La sua testa era da tutt'altra parte quel giorno.


Ancora non riusciva a crederci: Samuel Larson, l'intrigante Serpeverde per il quale aveva una cotta stratosferica più o meno da quando aveva messo piede ad Hogwarts, le aveva chiesto di farle da dama al Ballo del Ceppo!
Per qualche secondo non aveva risposto, troppo spiazzata dalla domanda.
Ma poi, vincendo la secchezza alla gola che l'aveva improvvisamente colta, gli aveva risposto positivamente.

Era tutto il pomeriggio che non pensava ad altro.
Le sembrava di toccare il cielo con un dito.



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23 Giugno 2007, Londra, Villa Black Levenvolde



Con un debole pop, Cecilia si materializzò direttamente nel Salone principale della Villa, nel quale trovò sia Lyra che Candice.
Non appena la vide, la bambina le rivolse un sorriso luminosissimo.
"Zia! Sei tornata!" Esclamò allegramente, alzandosi in piedi e correndole incontro. "Ma dove sono mamma e papà?" Domandò poi curiosa, guardandosi attorno, mentre a sua volta, dopo essersi alzata in piedi, anche Candice la salutava con un rispettoso "Salve Signora Evans."
Vedendo che la delusione si stava facendo strada sul viso della bambina, Cecilia si affrettò ad assicurarla. "Torneranno presto vedrai, erano con me giusto cinque minuti fa." Le disse prendendola in braccio.
"E Candice" Aggiunse girando la testa nella direzione della cameriera. "Per favore... la signora Evans è mia suocera... siamo più o meno coetanee, dammi del tu e chiamami Cecilia. Oppure Sil, come fanno tutti. Se no mi fai sentire vecchia." Le disse rivolgendole una strizzata d'occhio e vedendo in risposta le spalle della ragazza rilassarsi immediatamente.
"D'accordo sign... ehm... Cecilia." Le rispose Candice prima sorridendo e poi scoppiando immediatamente a ridere, trascinando l'ex Tassorosso con sè.
"Dunque... cosa stavate facendo prima che vi interrompessi?" Domandò a quel punto la Weiss, sedendosi sul divano e trascinando la nipote con sè.
"Un gioco nuovo! Me lo ha insegnato Candy! Guarda!" Trillò allegramente Lyra prendendo le mani della zia per metterle in posizione, iniziando a spiegarle le regole con il suo tipico linguaggio infantile.

Dopo pochi minuti però, il gioco era già stato dimenticato: un gatto era entrato nel salone e Lyra era saltata giù dal divano per rincorrerlo.
E Cecilia ne approfittò per cercare di conoscere quella nuova cameriera, della quale tutti sapevano così poco.

"Candice?" Domandò alla ragazza, che nel frattempo si era messa in un angolo a lucidare dell'argenteria.
"Sì?" Domandò l'americana, alzando lo sguardo e lasciando momentaneamente perdere le posate. "Ha bisogno di qualcosa?"
"Ti ho già detto di darmi del tu!" La riprese scherzosamente "In ogni caso, lascia perdere le posate. Io avrei voglia di un bel the freddo alla pesca... tu no?"
"Vuoi che vada a preparartelo?" Chiese a quel punto Candice.
"Solo se lo prendi anche tu." Rispose la tassorosso gentilmente. "Ma può essere anche qualcosa di diverso, se preferisci. Basta che ci sia del ghiaccio."
"D'accordo." Replicò l'americana smettendo a quel punto di occuparsi del tutto delle posate. "Oggi direi che per oggi preparerò davvero del the alla pesca. Ma magari, se ti fermi per molto tempo in Inghilterra, posso farti assaggiare la Coca Cola." Propose.

"Ehm... la cosa che?"



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Natale 1996


Caroline, rannicchiata in posizione fetale sul letto della sua camera, non riusciva a smettere di piangere.

"Tesoro, me lo vuoi dire che cos'hai?" Domandò sua madre dopo aver bussato leggermente alla porta.
Dal momento che la figlia le rispose solo con l'ennesimo singhiozzo, Annie Fisher entrò nella stanza e si accomodò sul letto accanto alla figlia, che immediatamente nascose la faccia sotto al cuscino.
"Hai litigato con Samuel?" Tirò ad indovinare la donna.

Anche se non aveva mai approvato la relazione della figlia con il ragazzo - quel Serpeverde non l'aveva mai convinta del tutto - aveva tenuto le sue perplessità abbastanza per sè: in fondo Caroline aveva diritto a farsi le proprie esperienze... e passando circa nove mesi all'anno ad Hogwarts sarebbe anche stato difficile, per lei, impedirle di frequentare qualcuno.

"In un certo senso." Replicò la figlia, emergendo finalmente da sotto il cuscino e tamponandosi le lacrime con il lembo della maglietta, mentre altri singhiozzi traditori le sfuggivano dalla bocca.
"E come mai?" Domandò la donna, allungando una mano per accarezzarle la guancia.
A quella domanda, il pianto della ragazza si intensificò.

Ci provò davvero, ad aprire la bocca per dirglielo.
Ma si sentì mancare subito l'aria, scoppiando subito dopo in singhiozzi incontrollati.

"Ti ha lasciata?" Domandò ancora la donna.
A quella domanda diretta, Caroline iniziò a boccheggiare, sentendosi mancare completamente il fiato.
"Ss... sì..." Riuscì a balbettare alla fine "Dopo c... dopo che... gli ho de... detto... incinta!"

Pronunciare la "parola magica" fu alquanto liberatorio per Caroline. Sentì un enorme peso che le veniva sollevato di colpo dal petto.
Sapeva perfettamente che sua madre non sarebbe stata contenta della cosa.
Ma anche che non l'avrebbe mai e poi mai lasciata sola.

"Gli ho detto di essere incinta... " Ripetè con un filo di voce "E lui... mi ha detto che... non gli interessa... e di... abortire."



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23 Giugno 2007, Londra, Dipartimento Auror



"Grazie a Merlino!" Esclamò Elliott massaggiandosi vigorosamente i polsi che gli erano appena stati liberati, mentre Eleanor lo fissava con la testa leggermente inclinata, non sapendo neanche lei se sbuffare infastidita oppure se guardare la scena con divertimento.

Alle spalle del paparazzo infatti, con le braccia incrociate e l'aria torva, si trovava suo fratello Isaiah, a lei meglio noto come il Giudice Florence.
Accorso per l'ennesima volta a prendere le difese del fratello minore.

"Grazie a Merlino?
Grazie a Merlino?" Gli sbraitò infatti addosso, mentre una vena della tempia gli pulsava pericolosamente. "Non mi sembra di aver visto Merlino intervenire, per tirarti fuori dai guai!"
"Rilassati bro!" Fu però la risposta dell'uomo, insieme ad un sorriso rilassatissimo "E' solo un modo di dire! E abbiamo anche un pubblico." Gli ricordò facendo un cenno con la testa in direzione di Eleanor, che continuava a guardarli con le braccia incrociate, appoggiata ad un angolo del muro della stanza.
"Bene, qui abbiamo finito. La ringrazio per la sua gentilezza, Signorina Parker." Commentò Isaiah, cercando di ignorare la battuta del fratello.
"Si figuri signor Florence. Spero che questo genere di incontri non accada di nuovo così presto." Replicò l'Auror, allungando la mano per stringergliela.
"Ma per favore! Se non mi vedete almeno una volta a settimana mi contattate via camino per sapere se non sono ancora stato preso dalla Mafia Russa!" Fu invece il commento sarcastico di Elliott.

Mentre il volto del giudice diventava di una interessante sfumatura color cremisi a causa della sfacciataggine del fratello, Eleanor si ritrovò a pensare che alla fine dei conti era andata bene così.
Che, in un certo senso, doveva quasi un favore ad Elliott Florence.

Facendosi arrestare infatti, lei era dovuta rimanere al Dipartimento per fargli da balia, in attesa che il fotografo fosse rilasciato.
In caso contrario, Aaron avrebbe fatto di tutto per farla andare con lui ed Aysha al funerale di Samuel Larson.

L'ultimo posto sulla terra dove lei sarebbe voluta essere in quel momento.






"Elliott... ma con tutti i personaggi importanti che ci sono in giro per Londra oggi, proprio ad un alto funzionario francese dovevi andare a fare quelle domande?"
"Perchè, qualcun altro ti sarebbe andato meglio?"





Sentendo la discussione in corso, sia Aysha che Melisandre si zittirono di colpo.

Erano entrambe chiuse dentro all'Ufficio personale di Aysha, dove Melisandre si era direttamente materializzata.

Ma quello che stavano facendo non era esattamente previsto dalle regole del Dipartimento Auror e non si sapeva mai chi potesse essere in ascolto.

Fu solo quando Aysha capì a chi appartenevano le due voci, che le due ripresero a parlare tranquillamente.

"Quello che non capisco Lissa" Comunicò l'Auror perplessa "E' per quale motivo tu non abbia accettato il caso che ti ha offerto Alexis Buldstrode, visto che tanto stai comunque indagando per conto tuo. Almeno saresti stata pagata!" Cercò di farla ragionare.
"Perchè quella lì non mi piace." Commentò l'investigatrice con una scrollata di spalle "E mi ha trattato in un modo così supponente che non lavorerei per lei neanche se fossi ridotta alla fame." Continuò a sfogarsi.
"Ma..." Provò a replicare Aysha, prima di venire interrotta.
"E se poi trovassi delle prove sulla colpevolezza di Darius Levenvolde? Dovrei distruggerle immagino, lavorando per lei! Io non lavoro in questo modo! E voglio essere libera di indagare a 360°." Spiegò Melisandre.
"Però non mi sembra che tu ne abbia trovate, per adesso." Commentò l'Auror.
"E' proprio per questo che sono qui!" Rispose la rossa tirando fuori un piccolo cd e dandolo in mano alla ragazza "Questo è quello che ho registrato appostandomi fuori alla casa del professor Snow. Mi hai detto che c'era qualcosa che non ti aveva convinto, in lui... e probabilmente hai ragione." Spiegò
"In che senso?" Indagò Aysha.
"Nella conversazione che ho ascoltato, Myles Snow dice di essere stato in prigione in passato, ma io non sono riuscita a trovare nulla su di lui, negli archivi." La aggiornò "Magari i vostri database sono più completi dei miei..."
"Ne dubito..." Borbottò l'Auror in risposta.
"... ma vi consiglio di aprire formalmente le indagini sul professor Snow."


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24 Giugno 2007, Londra, Casa Snow



"Ecco fatto signora Snow!" Comunicò allegramente Julia, togliendo la piccola ampolla di vetro dal braccio destro della donna.

Con fare esperto, puntò la bacchetta contro al sangue contenuto nell'ampolla di vetro e ne estrasse una goccia, che fece finire direttamente sul foglio di pergamena. Poi borbottò uno incantesimo.
Immediatamente la goccia si tramutò in inchiostro, che redasse righe su righe di diagnosi, finchè sul foglio non vennero scritte le esatte analisi del sangue di Catleen Snow.

Appena il processo di scrittura fu terminato, Julia prese il foglio in mano per leggerlo, mentre Myles e Cat la fissavano in attesa.

Vedendo le espressioni ansiose dei due, Julia rivolse loro un piccolo sorriso. "Non vi preoccupate, le analisi del sangue sono perfettamente nella norma."
Un piccolo sospiro di sollievo uscì dalle bocche di entrambi a quelle parole.
"Lei ha semplicemente avuto un piccolo mancamento signora. E' più che normale direi, date le sue condizioni." Continuò a spiegare Julia, sempre sorridendo.
"Le mie... le mie condizioni?" Domandò perplessa Cat, assumendo un'espressione confusa, specchio di quella del marito. "In che senso?"
"Non capisco." Le fece eco Myles, perplesso quanto lei.
"Lei è incinta, signora." Rispose Julia.

Per qualche secondo, un silenzio attonito si propagò per la stanza.

"Come scusi?" Riuscì alla fine a domandare Myles, appoggiando il braccio destro sulle spalle della moglie. "E' proprio sicura di ciò che dice?"
La medimaga, che tutto si aspettava forchè quella reazione, gettò ai coniugi un'occhiata perplessa. "Signori, faccio questo mestiere da più di cinque anni. Sono più che sicura di ciò che dico." Replicò. "C'è qualche problema? Perchè se non volete portare avanti la gravidanza, esistono me..."
"NO!" Esclamarono in coro i due, bloccando così quella frase sul nascere.
"No!" Ripetè Cat con tono di voce più calmo. "E' solo che... siamo sorpresi. Anni fa ho... avuto un incidente. E in seguito ad esso i medimaghi mi hanno comunicato che... ero diventata sterile."


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Luglio 2001, Londra, Diagon Alley



"Caroline! Ay Merlin! Proprio tu eres!"
Riconoscendo immediatamente quell'inconfondibile accento spagnolo, Caroline si voltò verso Catalina Lopez.

Non che si conoscessero così bene, visto che ad Hogwarts erano appartenute a case diverse, tuttavia erano sempre andate d'accordo.

"Cata!" Esclamò così andandole incontro, trascinando per mano sua figlia Isobel. "Come stai?"
"Mucho bien! Y tu?" Rispose allegramente l'ex Grifondoro, trascinando a sua volta un passeggino contenente un bambino. "Non te vedevo da anni!"
"Sono tornata a Londra da poco." Rispose Caroline "Da neanche un mese in effetti." Specificò sorridendo.
"E donde sei estata in todo questo tiempo?" Domandò a quel punto Catalina, alquanto curiosa.
"I miei genitori avevano capito in anticipo ciò che stava per succedere... intendo la Guerra" Spiegò l'avvocatessa "E quindi, prima che scoppiasse ci siamo trasferiti in Italia. Lì ho completato i miei studi e..."
"CAROLINE!" Li interruppe una voce maschile molto profonda.
"Sono qui!" Rispose lei voltandosi e agitando il braccio destro, sul cui anulare - Catalina lo notò solo in quel momento - splendeva una fede d'oro.

"Catalina Lopez ti presento
mio marito Drake Logan. E lei è nostra figlia Isobel."




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23 giugno 2007, Villa Northman



"Ti stai tormentando le mani."

Lysbeth alzò di scatto la testa a quelle parole.
Accorgendosi così che Amelie aveva ragione: lei si stava tormentando le mani.
Immediatamente, quasi in un riflesso automatico, smise di farlo, portandosele dietro alla schiena per non tornare a farlo sovrappensiero. "Mi scusi."
"Se ti tormenti le mani, significa che c'è qualcosa che non va." Decretò Amelie, portandosi alla bocca il bicchiere di champagne che la cameriera le aveva appena portato e bevendone un lungo sorso. "E io non voglio che nella mia casa ci siano dei problemi. Quindi, di qualsiasi cosa si tratti, vedi di risolverlo in fretta."

A quell'odine, Lysbeth strabuzzò appena gli occhi. Ma poi cambiò idea.
In fondo glielo aveva appena ordinato lei, di risolvere in fretta.

"In realtà il mio non è un vero problema." Comunicò sorridendo amabilmente. "Mi stavo semplicemente domandando una cosa su di lei e se fosse il caso di chiedergliela o meno... sempre se non sono troppo indiscreta ovviamente." Comunicò pacata.
"Domanda dunque." La invitò Amelie "Ma prima riempimi il bicchiere." Le ordinò. "Devo essere davvero annoiata, se mi metto a dare ascolto anche alle domestiche." Borbottò tra sè e sè, ma in un tono che Lysbeth riuscì a sentire comunque benissimo.

Obbedendo immediatamente alla richiesta, la violinista si sedette sul bordo del divano, riempiendo il bicchiere di champagne fino all'orlo.
"Ecco... mi stavo chiedendo... come mai ha partecipato al funerale del Signor Larson?"

"Tutto qui?" Decretò Amelie dopo aver tranguggiato l'intero bicchiere.
"E io che mi aspettavo chissà cosa! In ogni caso... Samuel Larson, prima di essere assunto dai Levenvolde, ha lavorato come maggiordomo per me e per mio fratello Hakon per due anni. Non lo trovi ironico?" Aggiunse ripensandoci e iniziando a fissarla insistentemente.

"Sembra che io sia destinata a scambiarmi i camerieri con i Levenvolde!"



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24 Giugno 2007, Casa di Theophile Larson



Sylvia spalancò gli occhi di colpo e si guardò attorno confusa per qualche secondo, prima di riconoscere attorno a sè la familiare camera da letto di Theo.
Per pochi secondi si chiese cosa l'avesse svegliata così all'improvviso, ma appena le note di una canzone familiare le giunsero alle orecchie capì.

"... jingle all the way!
Oh, what fun it is to ride in a one...".


E sbuffò divertita rintanandosi sotto al leggero lenzuolo: solo Theo era in grado di cantare canzoni natalizie a fine giugno.
In effetti quella era proprio una caratteristica peculiare del ragazzo: canticchiare canzoni fuori contesto sempre e comunque.
Ma la vera predilizione ce l'aveva per quelle natalizie. Le conosceva praticamente tutte a memoria.
E in quel momento ne stava canticchiando una mentre si faceva la doccia, ben sapendo quanto quella cosa le desse fastidio.

Guardandosi attorno, Sylvia individuò una maglietta del ragazzo e allungò un braccio per prenderla e mettersi così qualcosa addosso per recarsi in cucina.
Dopo tutto quel movimento le era venuta una gran fame.

"Vado a preparare qualcosa da mangiare, vuoi qualcosa anche tu amore?" Gli domandò dopo aver bussato alla porta del bagno, interrompendo così a metà quella ridicola canzoncina.
Pochi secondi dopo, la testa di Theo, completamente fradicia, sbucò dalla porta. "Perchè, senza cameriera sei in grado di cucinare?" La prese in giro.
"Spiritoso!" Commentò lei dandogli una leggera spintarella.

Per tutta risposta, Theo la afferrò per trascinarla contro il suo petto. Poi la baciò.

Era in quei momenti che Sylvia si sentiva davvero felice.
E al contempo incavolata col mondo.
Soprattutto con il fato, che l'aveva fatta nascere con il cognome Burke.



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23 Giugno 2007, Cimitero di Highgate


Erano passate diverse ore dalla fine del funerale e ormai tutti i partecipanti alla cerimonia funebre se n'erano andati via.
L'unica ad essere ancora presente era proprio lei, Caroline Fisher.
Aveva ingannato il tempo passengiando per l'immenso cortile del cimitero, ripensando alla tormentata storia che aveva avuto con quel ragazzo.

Samuel Larson, il suo primo amore.


Dopo che le aveva detto di abortire, lei non aveva avuto più contatti di alcun genere con lui.
Se n'era semplicemente andata, seguendo i genitori lontano dall'Inghilterra.

E quando era tornata lì, lo aveva fatto da sposata.
Suo marito Drake era, in tutto e per tutto, il padre di Isobel.

Non Samuel Larson.
Drake Logan.

Senza che neanche se ne fosse accorta, i suoi piedi la riportarono per l'ennesima volta davanti a quella tomba bianca, al cui interno erano contenute le spoglie del primo uomo che aveva amato.
Caroline allungò la mano destra, sfiorando così la pietra bianca.

"Ce l'ho avuta con te per così tanto tempo, per averci abbandonato." Mormorò alla lastra "Ma ormai sei morto. E' tempo di andare avanti. Per tutti."


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Ecco a voi il televoto! (risposte per MP entro il 25/04)

- Sylvia Burke
- Catalina Lopez
- Candice Shuterland


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Capitolo 8
*** 6 - Sylvia Berenice Burke ***


6


Salve!

Prima ancora di lasciarvi al capitolo, faccio una breve considerazione che vale PER TUTTI (io pensavo che la cosa fosse scontata, visto che l'ho già detta e stradetta, ma a quanto pare non è così -.-' ): alle domande che faccio a fine capitolo, dovete rispondere SEMPRE.
Non credo che inviare un nome per MP sia questo sforzo titanico.

Buona lettura!




- Sylvia Berenice Burke - 


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Sylvia Berenice Burke in Selwyn, 19 ottobre 1975, Corvonero



19 ottobre 1975, Swansea, Galles, Gran Bretagna



Kenneth Burke continuava a passeggiare avanti e indietro per il corridoio, nel quale arrivavano soffocate le urla della moglie, partoriente per la terza volta.
Come ogni bravo purosangue, non aveva mai assistito direttamente alla nascita dei suoi figli.
Semplicemente, si piazzava nel corridoio, in attesa che l'elfo domestico preposto a tale compito uscisse e ne comunicasse l'avvenuta nascita.

Tuttavia quella volta sembrava che la nascitura Sylvia Berenice - quello era il nome che lui aveva scelto per la futura figlia - non avesse alcuna fretta di nascere.
Era da ore che il travaglio andava avanti, pensò sbuffando e gettando l'ennesima occhiata all'orologio a pendolo piazzato a metà del corridoio... se la nascita avesse tardato ancora un po', lui avrebbe rischiato di fare tardi all'udienza dello Winzengamont.
E di certo non poteva permetterselo, visto che stava semplicemente per nascere una femmina.
Magari, se fosse stato il terzo maschio, avrebbe anche potuto farla un'eccezione.

Tuttavia, dopo qualche altro minuto - che però a lui sembrarono ore - un pianto di neonato si levò nell'aria e l'elfo domestico uscì con un piccolo fagotto rosa tra le mani, annunciando così al mondo la nascita di Sylvia Berenice Burke.




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2007, Londra, Villa Black Levenvolde, ore 7.00



"E tu cosa ci fai nella mia cucina?"

La domanda, posta all'improvviso, ruppe il silenzio regnante fino a pochi secondi prima nella stanza.
E ottenne come risultato quello di far prendere un mezzo infarto a Candice, che per la sorpresa battè la testa contro al forno che stava pulendo.

"Ahy!" Si lamentò la ragazza, portandosi una mano sopra alla parte del corpo lesa.
"Oh Merlino! Ti sei fatta male? Guarda che stavo scherzando!"

Candice, ancora dolorante, si girò verso colui che aveva parlato, riconoscendolo come Nihal Black.
"Sto bene... più o meno..." Commentò mentre sentiva la parte di pelle colpita pulsare.
"Fa vedere!" Esclamò l'uomo avanzando verso di lei e costringendola a sedersi sulla sedia, nonostante le rassicurazioni della ragazza.

Dopo una breve occhiata, le puntò la bacchetta contro borbottando qualcosa e immediatamente un senso di sollievo si propagò dal punto colpito.
"Giuro che non volevo spaventarti." Ripetè Nihal mortificato "Si tratta di uno scambio di battute che faccio spesso con Cata: credevo fossi lei! Di solito finiamo sempre per discutere su chi debba usare la cucina!" Spiegò. "L'unica cosa certa è che, tra elfi domestici e domestici non ne ho mai l'uso esclusivo!" Concluse sbuffando, con tono di voce contrariato.
"Di sicuro con me questo problema non si porrà!" Commentò Candice divertita "E non si preoccupi Signor Black, sto bene." Ripetè nuovamente "Le piace cucinare quindi?" Domandò poi incuriosita.

Di sicuro non se lo aspettava minimamente da un purosangue!

"Dammi del tu per favore!" Replicò lui agitando una mano "Comunque sì, adoro cucinare... anzi, sono quasi certo di avere conquistato mia moglie proprio in quel modo. Anche se lei continua a negare." Ammise divertito. "Sei sicura di stare bene?" Domandò per l'ennesima volta.
"Sì, assolutamente." Rispose Candice iniziando ad osservare l'uomo, che si muoveva abilmente nella cucina per recuperare determinati ingredienti e strumenti. "Le serve una mano?" Domandò poi vedendo che il ragazzo si era fermato nel bel mezzo della stanza, guardandosi intorno con aria perplessa.
"Stavo pensando a dove Cata potesse avere nascosto il setaccio..." Borbottò lui in risposta, prima di fare spallucce "Vabbè, amen. Accio! ... E ti ho detto di darmi del tu!"


"Come ti trovi qui?" Domandò Nihal dopo un po', mentre aggiungeva del latte all'impasto. "Deve essere un bel salto dagli Stati Uniti all'Inghilterra... io ne so qualcosa."
"Come hai detto tu... è un bel salto." Convenne Candice "Di sicuro sono due mondi molto diversi... all'inizio è stato strano ambientarsi, ma adesso va meglio... come mai ne sai qualcosa?" Chiese poi incuriosita.
"Sono americano anch'io." Rispose lui.
"Ma non sei... un Black?" Domandò la cameriera perplessa.
"Solo di adozione." Spiegò Nihal tranquillo "Mia mamma Pyxis era la vera Black! Io sono nato con il cognome Jackosn, ma poi mio nonno - Antares Black - non voleva che la dinastia si estinguesse con lui, perciò mi ha adottato e dato il suo cognome." Riassunse brevemente "Ma io sono nato e cresciuto a New York... davvero non ne hai mai sentito parlare? E dire che la nostra storia è stata sulle riviste di gossip per un bel po'!" Commentò sorpreso.
La violinista, a quelle parole, si strinse leggermente le spalle. "Diciamo che qualcosa magari ho letto... ma non si sa mai cosa sia vero e cosa no, visto che le riviste di gossip tendono sempre ad esagerare." Spiegò "Comunque sono del New Jersey: di Atlantic City per l'esattezza ... ma tu non stai un po' esagerando con tutto quell'impasto?" Chiese sorpresa all'improvviso, notando quanto impasto per dolci Nihal avesse prodotto durante la loro chiacchierata. "Si potrebbe quasi sfamare un esercito!"
"In linea teorica avresti ragione però, in questo caso, dovrò sfamare
davvero un esercito." Replicò l'uomo "Tra pochi giorni sarà il compleanno di mia nipote Lyra e subito dopo quello di mio figlio Perseus. Non ho idea di quanti saremo, tra parenti vari!"



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Luglio 1993, Swansea, Galles, Gran Bretagna



Sylvia, avvolta nel suo vestitino leggero estivo all'ultima moda, arrivò nel salotto adibito alla colazione e, con sorpresa, si accorse che non solo erano presenti tutti i componenti della sua famiglia - oltre ai suoi genitori Kenneth ed Aurelie, c'erano anche i suoi fratelli, Laertes ed Octavian - ma anche un signore che non aveva mai visto, intorno alla quarantina.

Avrebbe voluto aprire bocca per augurare il buongiorno a tutti i suoi familiari e successivamente presentarsi allo sconosciuto, seguendo quelle regole previste dall'etichetta purosangue che le erano state inculcate nella testa fin dalla più tenera età, ma suo padre la precedette.
"Sylvia, stamattina sono arrivati i risultati dei tuoi MAGO." Annunciò sventolandole davanti agli occhi un foglio di pergamena, con il sigillo di Hogwarts già spezzato, mentre un elfo domestico iniziava a versarle il the dentro ad una tazza.

A quelle parole, il respiro di Sylvia si spezzò per un attimo, anche se cercò di mascherare il tutto dietro alla sua solita maschera di impassibilità.
Stava aspettando quei risultati da giorni ormai.

"E devo dire che non deludono affatto il nome dei Burke: sono tutte E." Continuò l'uomo con un piccolo moto di orgoglio che raramente Sylvia gli aveva sentito esprimere.

Tuttavia, nonostante la splendida notizia, c'era qualcosa che non le tornava: cosa c'entrava quell'uomo sconosciuto, con quel momento?
"Sono felice di aver raggiunto le vostre aspettative, padre." Comunicò, bevendo un sorso di the, tenendo per sè le sue perplessità.

"Aspettative che di sicuro non deluderai neanche in futuro." Continuò l'uomo "Così come sei stata una ottima studentessa, sarai anche una ottima moglie. E' per questo motivo che ci tenevo a darti la notizia adesso, davanti a Frederick Selwyn, il tuo futuro marito."

A quelle parole, Sylvia dovette ricorrere a tutto il suo controllo purosangue per non reagire in alcun modo.
Nonostante questo, il the le andò comunque di traverso.


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25 giugno 2007, 
Londra, Villa Northman



Lysbeth, carica come un mulo di sporte con la spesa, si smaterializzò in uno dei tanti corridoi della Villa.
Spaesata, si guardò intorno, cercando di capire dove diamine fosse finita: quella abitazione era un vero e proprio labirinto e lei non si era ancora abituata a tutto quello spazio.
Lo dimostrava il fatto che le sue reali intenzioni erano quelle di  smaterializzarsi direttamente in cucina, non di certo in mezzo al nulla.

Stava per girare su se stessa per provare a rismaterializzarsi, quando due voci - una maschile e una femminile - attirarono la sua attenzione.
Riconobbe subito quella femminile: era quella di Amelie.
Per l'altra ci mise invece un po' più di tempo, ma alla fine riconobbe quella di Hakon, il gemello della ragazza.

Anche dalla sua postazione si capiva che stavano discutendo vivacemente riguardo a qualcosa.

E nonostante Lysbeth, dopo il licenziamento dai Levenvolde, si fosse ripromessa di non ficcare più il naso in in questioni relative ai purosangue, non riuscì proprio a trattenere la curiosità.
Così, dopo aver appoggiato le borse per terra e averle fatte evanescere, si accucciò in un angolo e tese l'orecchio.

"... ma certo che vorrei tornare a casa Hakon! Credi davvero che io mi diverta a restare bloccata qui in Inghilterra?" Stava dicendo Amelie, con una voce stridula, ormai prossima al pianto "Sono lontana da tutto qua! Dalla mia casa, dalla mia famiglia, da te!"
"E allora cosa stai aspettando a farlo?" Controbattè il ragazzo, alzando leggermente il tono di voce.
"Gli Auror me lo stanno impedendo, maledizione!" Rispose lei soffiando come una gatta davanti all'acqua.
"E cosa aspetti a corromperli? Non sarebbe di certo la prima volta per noi!"
"Cosa credi, che me ne stia con le mani in mano?" Ribattè la ragazza arrabbiata "Sto cercando un qualche appiglio... un segreto, uno scheletro nell'armadio, qualcosa che mi possa servire... ma la squadra messa su da Aaron Morgan sembra essere senza macchie." Ammise con tono abbattuto. "Maledizione a Grindelwald!"

Un rumore di vetri infranti fece pensare a Lysbeth che probabilmente Amelie, presa dalla rabbia, avesse scagliato un bicchiere - o qualcosa di simile - con rabbia a terra.

"Calma tesoro." La riprese però la voce pacata del fratello "Tutti hanno un punto debole. Trova il loro e sfruttalo per tornare a casa. Ho bisogno di te qui."
"Tutto questo maledetto casino per uno stramaledetto domestico!" Sbuffò la bionda, anche se già con un tono di voce molto più calmo. "Che possa marcire nella tomba!"
Il gemello ridacchiò
però divertito, per nulla impressionato da quelle esternazioni. "Non gliel'hai ancora perdonata, eh?"
"Perchè, tu sì?" Fu la risposta ironica di Amelie.
"E' morto." Replicò Hakon con una scrollata di spalle. "Non potrà più parlare. Per fortuna.



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1995, Villa Burke - Selwyn


Sylvia, dopo aver controllato per l'ennesima volta di essere da sola in casa, tirò fuori dal cassetto un modulo.

Ormai era sposata con Frederick Selwyn da più di un anno... e non ce la faceva più, a fare la casalinga.
Le sembrava di impazzire.
Doveva restare in casa tutto il giorno per controllare tutto ciò che i domestici facevano, dividendosi tra cortile e le numerose stanze della Villa che condivideva con suo marito.
Uomo con il quale era riuscita giusto ad instaurare un rapporto di distaccata cortesia.

Frederick Selwyn, tra tutti i purosangue che le sarebbero potuti capitare, non era neanche il peggiore.
Tuttavia, esattamente come avrebbe fatto chiunque di loro, aveva preteso dalla prima notte di nozze che sua moglie adempisse ai suoi doveri coniugali.
La prima e quasi tutte le altre successive.

Con il tempo, l'interesse per la giovane moglie - avevano ben 15 anni di differenza - era scemato, probabilmente complici sia i suoi impegni di lavoro - che lo facevano stare spesso lontano da casa - sia il fatto che Sylvia sembrasse completamente immune alle gravidanze.

Probabilmente, se avesse saputo che a sua insaputa lei usava degli anticoncezionali, la situazione sarebbe stata del tutto diversa.

Ma non l'aveva mai scoperto e Sylvia era ben felice di non portare in grembo un bambino che l'avrebbe legata a quella casa - e a quella famiglia non voluta - ancora di più.

Tuttavia quella magra consolazione non era per lei abbastanza.
Stare tutto il giorno in quella casa le dava alla testa.
Aveva bisogno di una valvola di sfogo.
Anche solo per poche ore al giorno, ma ne sentiva ogni giorno di più l'esigenza quasi soffocante.


Per quel motivo aveva quel modulo in mano: aveva sentito dire che all'Ufficio Misteri erano a corto di personale.
E lei, con i voti che aveva preso solo due anni prima ai MAGO, rientrava pienamente nel profilo richiesto.

Inoltre la dirigente del Dipartimento, Aurelia Yaxley, era una vecchia amica di famiglia e le aveva assicurato che non ci sarebbero stati problemi, per quanto riguardava la sua assunzione.
Doveva solo spedire il modulo compilato e il gioco era fatto.

Suo marito non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di negare una richiesta proveniente dal Ministero della Magia stesso.
E lei, per almeno un po' di ore al giorno, sarebbe stata libera.


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25 giugno 2007, Londra


Melisandre, non appena sentì le parole della sua segretaria, si diresse a passo di marcia verso il suo studio, intenzionata a dirgliene quattro alla persona che si trovava lì.
Eppure, quando raggiunse la meta, si fermò perplessa ad osservare la sua interlocutrice.
In effetti, quando la sua segretaria le aveva detto che una giovane ragazza purosangue si trovava nel suo studio, la detective aveva pensato di non essere stata evidentemente abbastanza chiara nel respingere la proposta la volta prima.
Ciò che l'aveva bloccata però, era la persona che aveva davanti.

Al posto del caschetto castano di Alexis Buldstrode infatti, davanti a lei si trovava la chioma rosso fuoco di Cecilia Weiss.
E a differenza della magiavvocato, la ragazza emanava un'aria da persona molto più simpatica e alla mano.

In sostanza, Melisandre non se la sentiva proprio di cacciarla in malo modo come aveva pensato di fare fino a pochi secondi prima.

"Detective McTavish?" Domandò Cecilia, sfoggiando un sorriso contagioso "Piacere di conoscerla, sono Cecilia Evans." Si presentò allungandole la mano.
E Melisandre, quasi spinta da una forza invisibile, si ritrovò a ricambiare la stretta. "Ho già rifiutato il caso." Si ritrovò comunque a voler precisare, giusto per non darle false speranze.
"Lo so" Ammise Cecilia "Ma non vorrei lasciare nulla di intentato... magari è stato solamente sbagliato l'approccio. So quanto Alexis possa essere irritante, a volte."
"Si è presentata come se fosse lei la padrona dell'ufficio." Borbottò Melisandre, facendo il giro della scrivania per sedersi sulla poltroncina.
"Capisco." Annuì la tassorosso "A volte facciamo fatica a sopportarla anche noi." Commentò con una scrollata di spalle.

Di solito Melisandre era abituata a nasare le bugie. E in quel caso seppe subito che la ragazza stava dicendo la verità. Neanche lei sopportava Alexis.
Tuttavia decise di non dargliela vinta così facilmente. "Perchè dovrei accettare il caso adesso, se l'ho rifiutato solo pochi giorni fa?"

"Perchè Cassiopea e Darius non si meritano quello che stanno passando." Rispose prontamente Cecilia. "E se lei può aiutarci a ristabilire la verità su quello che è successo, aiuterebbe una famiglia a non andare in pezzi."
"Non tenta neanche di convincermi con la promessa di una consistente somma di denaro?" Domandò Melisandre incredula.
La Weiss fece spallucce "Può chiedere la somma che vuole, quella è l'ultimo dei miei pensieri." Ammise candidamente "Voglio solo che mia cugina e suo marito vivano tranquilli."
"Ha detto che non se lo meritano e che la loro famiglia rischierebbe di andare in pezzi... perchè?" Indagò Melisandre. "Perchè dovrei aiutare una famiglia purosangue ricchissima e viziata ad uscire dai guai?"
"Perchè, come ho detto prima, non se lo meritano." Ripetè pazientemente Cecilia. "E non voglio che i miei nipoti - Lyra e quello che deve ancora nascere - passino quello che ha passato mia cugina. Ne avrà sentito parlare immagino... avrà anche avuto un nonno che l'ha super viziata, ma credo che avrebbe rinunciato volentieri a molti di quei vizi, in cambio dell'amore di due genitori."
"Sì, ne ho sentito parlare." Ammise Melisandre sospirando e trovandosi improvvisamente con le spalle al muro. "Accetto il caso."

"Questo è un assegno in bianco." Disse Cecilia depositando il pezzo di carta sulla scrivania di Melisandre, con un sorriso a 32 denti "Io ho messo solo il primo numero e la firma... decida lei il resto."



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1997, hotel londinese



Sylvia arretrò di qualche passo, mentre l'uomo di fronte a lei la schiacciava sempre di più verso la parete, baciandola con foga e iniziando a scioglierle i lacci del vestito.

Sinceramente, la donna neanche si ricordava come quest'ultimo si chiamasse oppure se si trattasse di un mago purosangue, mezzosangue o nato babbano e neanche le interessava: ne aveva avuti troppi, di amanti occasionali, per ricordarseli tutti.
L'unica caratteristica che le importava era che fossero discreti.

Non che fosse un problema: la maggioranza di loro era davvero intenzionato a darle solo "una botta e via".
E a lei andava benissimo così.
Se suo marito le aveva tolto la verginità, la passione in un rapporto sessuale le era stata insegnata solo anni dopo, da diversi uomini che erano finiti casualmente sul suo cammino.
Quegli incontri la facevano sentire viva, donandole quel pezzo di vita che non si era goduta per nulla, essendo stata costretta a sposarsi ad appena 18 anni con un uomo decisamente piatto, oltre che più vecchio.

Tutti gli uomini che aveva avuto li aveva incontrati, per un motivo o per l'altro, sul lavoro.

In fondo, che il Ministero della Magia fosse un continuo via vai di gente, era cosa nota.
L'unica regola che si era imposta era di non instaurare nessun rapporto - neanche per una scopata - con qualcuno che condivideva con lei il luogo di lavoro.

In nessun modo doveva essere scoperta.


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25 giugno 2007, Londra


Caroline Fisher aveva sviluppato nel tempo una tecnica di sopravvivenza molto semplice per sopravvivere al lavoro: se Alexis Buldstrode sembrava anche solo vagamente infuriata, era meglio tenersi alla larga il più possibile.

Per quel motivo quella mattina, appena capita l'antifona, cercò di tenersi impegnata per più tempo possibile lontana de Alexis, lavorando solo ed esclusivamente nel suo ufficio, senza mai mettere il naso fuori.

Tuttavia, quella mattina, quella tecnica risultò per la prima volta insufficiente: Alexis, senza neanche bussare, entrò all'improvviso come un tornado nel suo ufficio, sbattendole una serie di fascicoli sulla scrivania, ordinandole di analizzarli in fretta, perchè ne aveva bisogno il prima possibile.
Tuttavia, almeno quella mattina, Caroline non era affatto disposta a farsi mettere i piedi in testa.

Era ancora troppo sconvolta dal funerale di Samuel.
E si era ricordata all'improvviso quanto fosse fastidioso essere manovrati come delle marionette.
Alexis inoltre, benchè in ufficio non si fosse mai comportata come tale per via del suo cognome altisonante, era una sua collega, non il suo capo.

Per quel motivo, ancora prima di rendersene pienamente conto, la sua bocca si mosse per articolare un secco "No."

Per qualche secondo, Alexis si fermò a fissarla in silenzio, perplessa quanto Caroline stessa per quello strano rifiuto.
Poi sbattè le palpebre e sembrò riprendersi. "Come prego?"

"Non sono una tua sottoposta. Sono una tua pari, una tua collega." Le rispose Caroline con tono fermo. "Quindi, se vuoi qualcosa, me lo chiedi gentilmente e aggiungendoci un 'per favore'." Spiegò virgolettando l'espressione con le dita "Oppure ti arrangi."

Qualche secondo di silenzio si propagò tra le due, prima che Caroline, spinta da un moto di amor proprio che non pensava di avere, concludesse il discorso con la frase "Questi fascicoli, intanto, te li fai da sola."


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2001, Ufficio Misteri



"Selwyn!"

Sylvia, davanti a quel cognome, arriccò il naso infastidita.
Aveva già provato più e più volte a spiegare al suo capo ufficio che il suo cognome era Burke, ma non c'era stato verso di far entrare il concetto in testa a quella zucca vuota.

Tuttavia fu costretta a stamparsi in faccia una educata espressione di circostanza e ad alzare lo sguardo verso il suo interlocutore, scoprendo così che l'uomo era accompagnato da un giovane ragazzo, probabilmente fresco di MAGO o poco più grande.
"Sì capo?" Domandò interrogativa, cercando di mantenere un'espressione impassibile.

Qualcosa, in quel ragazzo, la agitava profondamente.
Le aveva risvegliato sensazioni che non credeva neanche lei di poter più provare, dopo il matrimonio con Frederick.

"Lui è il tuo nuovo collega." Spiegò secco l'uomo "Vedi di fare un po' di posto nel tuo ufficio, perchè d'ora in avanti lavorerete insieme. Gli farai da tutor." Concluse prima di girare i tacchi e andarsene, augurando al ragazzo buona fortuna prima di sparire oltre la porta.

"Piacere signorina Selwyn. Sono Theophile Larson." Si presentò il ragazzo, porgendole la mano per stringergliela.
"In realtà mi chiamo Sylvia Burke." Lo corresse lei "Selwyn è il cognome di mio marito" Spiegò con una smorfia, sentendosi in imbarazzo ad ammetterlo "... purtroppo."

"In ogni caso chiamami Sylvia e dammi del tu. "

Entrambi fecero fatica a sciogliere quella stretta di mano: una scossa elettrica li aveva colpiti inesorabilmente.



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"Pensavi mi fossi scordato di te?"

Quella domanda, rivoltale all'improvviso da qualcuno che si trovava alle sue spalle, fece prendere un mezzo infarto a Julia.

"Spiacente per la mia assenza, bellezza." Continuò Elliott, ormai sicuro di avere la completa attenzione della sua interlocutrice. "Ma cause di forza maggiore mi hanno trattenuto." Concluse rivolgende un breve inchino nella sua direzione.
"Qualcuno ti ha denunciato per stalking?" Non riuscì a trattenersi dal domandare Julia con tono pungente, mentre iniziava a rovistare nelle tasche del mantello per trovare la bacchetta.
"In ogni caso, non mi sono dimenticato di te." Continuò il fotografo, ignorando volutamente la domanda della medimaga.
"Che fortuna!" Borbottò la donna sarcastica, che nel frattempo aveva ormai trovato la bacchetta e gliela puntava contro, nascosta dal mantello.

Attaccare ogni forma di vita umana era contro i suoi principi, avendo studiato per salvarle.
Ma in quel caso la considerava come legittima difesa.

"Hai pensato alla mia proposta?" Domandò Elliott aumentando il passo per avvicinarsi a lei, mentre Julia lo aumentava a sua volta per cercare di seminarlo. "Una bella intervista esclusiva sull'autopsia al cadavere di Samuel Larson, il cameriere dei Levenvolde? Sarebbe un articolo da prima pagina!" Esclamò entusiasta.
"Forse in una rivista per mentecatti." Commentò la medimaga, roteando gli occhi al cielo.

Stava cercando di non pensare a quella autopsia, ma ormai nelle riviste di gossip non si parlava altro che di quell'omicidio.
Era difficile non pensarci.
In effetti, si ritrovò a pensare, era strano che nessun altro giornalista, a parte Elliott Florence, l'avesse ancora contattata per saperne di più.

"E potresti guadagnare un sacco di galeoni!" Insistette Elliott, agitando le braccia. "Conosco moltissime riviste che pagherebbero profumatamente per questo genere di notizie!"

Con un sospiro di sollievo, Julia si accorse di essere ormai a pochi passi da casa.
Doveva solo finire il vialetto e si sarebbe ritrovata al sicuro, tra le confortevoli mura domestiche.
Dove Elliott Florence non avrebbe mai potuto raggiungerla.

"Per l'ultima volta" Ripetè esasperata "La mia risposta è no."
Mettendosi quasi a correre, raggiunse il cancelletto di casa sua, attivando tutti gli incantesimi di protezione.

E con una discreta soddisfazione vide Elliott Florence venire respinto, come se si fosse lanciato su un muro di gomma invisibile.
Sapeva anche lei che non sarebbe bastato così poco, per tenerlo lontano.

Ma anche quel giorno era riuscita a sfuggirgli.


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21 giugno 2007, Londra, Villa Black - Levenvolde (giorno dell'omicidio)




Sylvia si morse violentemente la lingua per non emettere un gemito incontrollato provocato dall'orgasmo che Theophile le stava facendo provare.
Avevano insonorizzato la camera, ma chiunque sarebbe potuto comunque entrare lì dentro in ogni momento, interrompendoli sul più bello.
Ansante, la donna si appoggiò con la schiena alla colonna di marmo dietro di lei, mentre il suo amante le sprofondava dentro ad un ritmo sempre più incalzante.

Sylvia sapeva che non avrebbe dovuto cedere di nuovo e soprattutto non a quella festa - suo marito si trovava nel cortile, a poca distanza dalla stanza dove loro due si erano rifugiati - ma non era proprio riuscita a trattenersi. 
In fondo, che il loro matrimonio fosse una farsa, combinato solo per volere delle loro famiglie, era cosa nota. 
Così, appena aveva visto Theophile solo in un angolo, era stata lei a prendere l'iniziativa: con la scusa di parlargli di un problema sul lavoro - essere colleghi aveva anche dei vantaggi dopotutto - l'aveva trascinato in una stanza vuota.
Poi erano stati i loro corpi a fare il resto.

"Oh per Merlino!" Li interruppe la voce di Samuel, entrato in quel momento nella stanza come nelle peggiori previsioni di Sylvia, costringendoli così ad interrompere il bacio di colpo come se si fossero scottati. "Ecco perchè non si apriva la po...Theo!" Esclamò poi, ancora più sorpreso riconoscendo il cugino. 

Per un attimo il silenzio regnò sovrano nella stanza, con la situazione bloccata a mezz'aria. 
Poi Samuel sembrò riprendersi. 
Si schiarì la gola, appellò ciò che era venuto a prendere - un paio di casse piene di bevande - e se ne andò come se niente fosse successo, ignorando i richiami di entrambi.

Ma il sorrisino che sfoggiò prima di uscire dalla stanza non piacque a nessuno dei due.



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25 giugno 2007, 
Londra, Dipartimento Auror



Eleanor Parker sbuffò contrariata, continuando a leggere il rapporto che teneva tra le mani.
Per un solo attimo alzò gli occhi dal foglio, per prendere tra le dita una ciocca di capelli rossi sfuggitale dall'acconciatura e la spostò dietro all'orecchio, cercando così di sistemare la pettinatura.
Poi tornò a guardare la cartella, che conteneva l'autopsia del cadavere di Samuel Larson, quasi sperando che nel breve lasso di tempo che le era servito per sistemarsi l'acconciatura, il foglio si fosse autonomamente trasformato.

Appurato che però il testo, confermato dalla firma della medimaga Julia Carlisle, non si era modificato di una virgola, sbuffò di nuovo.

"O hai molto caldo oppure quel rapporto ti ha fatto qualcosa." Commentò divertito Aaron, allungando il collo dalla sedia accanto per osservarla meglio.

Era da almeno dieci minuti che seguiva le mosse della sua sottoposta, ovvero da quando era finalmente arrivato il rapporto della autopsia.
Ed era da almeno cinque minuti che Eleanor sbuffava come una ciminiera.

"Brutte notizie?" Domandò curioso, dal momento che la ragazza continuava a lanciare occhiatacce al foglio, quasi come se fosse colpa sua per ciò che c'era scritto all'interno.

"Questo rapporto non ha senso." Annunciò alla fine lei, sospirando sconsolata. "Dice che Samuel Larson... si è suicidato!"
Aveva appena finito di dirlo che Aaron, con uno scatto felino, era balzato in piedi per raggiungerla, strappandoglielo di mano con poca grazia.


"Ma che stai dicendo?"


Dopo averlo letto attentamente, l'Auror assunse un'espressione corrucciata. "Non è esattamente come dici tu."
"Ah no?" Rispose Eleanor ironica "Per te cosa significa 'ferite autoinflitte dimostrabili tramite l'angolazione dalla quale è stato sferrato il colpo'?" Domandò citando le stesse parole contenute nel rapporto.
"Solamente che si è autoinflitto delle ferite, che probabilmente si è autoinferto a causa degli allucinogeni che qualcuno gli ha somministrato - sempre se non ne ha assunti di sua spontanea volontà." Rispose l'uomo. "E' scritto qui." Continuò indicandole il punto inerente alle analisi del sangue che la ragazza aveva frettolosamente saltato per arrivare alla diagnosi finale.
"Quindi prima ha assunto droghe, poi ha delirato in preda alle allucinazioni e durante queste si è autoferito e buttato da solo nella piscina?" Domandò Eleanor, passandosi una mano sulla fronte per asciugare qualche goccia di sudore che le era colata lungo il collo, a causa del troppo caldo presente nella stanza.
"O ha assunto droghe da solo oppure qualcuno gliele ha somministrate con l'inganno." Ragionò Aaron "Il problema è sempre quello... chi è stato a fare cosa?"

"In pratica siamo da ca..." Cominciò a dire Eleanor.
Tuttavia non riuscì mai a finire la frase.
La porta della stanza in cui si trovavano, rimasta chiusa fino a quel momento, si aprì di colpo, facendo entrare una trafelata Aysha.

Si teneva una mano sul petto mentre boccheggiava in cerca d'aria.

"Meghara!" La riprese Aaron, innarcando un sopracciglio, turbato da quella irruenza per niente tipica della ragazza. "Che è successo? Per non busssare deve essere qualcosa di grave!"
"Mi... mi scusi..." Boccheggiò Aysha, cercando di radunare la sua chioma leonina dietro all'orecchio. "Ma deve saperlo!"

Per qualche secondo il silenzio si propagò per la stanza, interotto solo dagli ansiti di Aysha, che doveva avere corso fino a quel momento.
Poi, dopo avere ripreso abbastanza fiato, la ragazza spiegò "Una fonte mi ha suggerito di indagare sugli Snow... il pro..."
"Sì, sì, sappiamo chi sono... vai avanti." La interruppe Aaron, facendole un gesto significativo con la mano.
"Ho accolto il suggerimento e li ho tenuti d'occhio." Riprese il filo del discorso la ragazza "Solo che questa notte si sono dati alla fuga. Nessuno ha idea di dove siano."



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21 giugno 2007, Londra, Villa Black Levenvolde (giorno dell'omicidio)



"Sylvia aspetta!"
Nonostante i richiami ripetuti di Theo, la donna lo ignorò. Finì di vestirsi velocemente e poi si precipitò sulla scia di Samuel.
Fortunatamente lo trovò a poca distanza, in un corridoio deserto, apoggiato alla parete con le braccia incrociate.

Come se la stesse aspettando.

La donna, davanti a quella ostentata sicurezza, si sentì per un attimo smarrita: l'aveva seguito senza ragionare, ma cosa avrebbe dovuto fare a quel punto?

"Ho sempre saputo che mio cugino era invidioso di me" Proclamò il cameriere con un sorrisino divertito, avvicandosi a lei come una belva fa con la sua preda "Ma addirittura diventare l'amante di una ricca purosangue sposata solo per emularmi... non pensavo arrivasse a tanto." "Cosa?" Domandò lei, completamente presa in contropiede.
"Ma come, non te l'ha detto? Eppure mi sembravate così... intimi fino a pochi minuti fa!" La sbeffeggiò lui "Oppure era solo una scopata casuale per voi?" Senza darle il tempo di rispondere, continuò "In ogni caso... ho anche io una purosangue a disposizione... ma a differenza del caro Theo, io ed Elettra siamo sposati."
"Non sono affari tuoi." Fu la risposta di Sylvia, che approfittò di quel lungo discorso per riorganizzarsi le idee "Cosa vuoi per il tuo silenzio? Soldi?" Domandò "Se hai una moglie purosangue, avrà di certo delle esigenze che con un semplice lavoro da cameriere non puoi soddisfare." Provò a proporre "Te ne posso dare talmente tanti che non dovresti mai più lavorare in vita tua."

Non ci fu bisogno del sorrisino che Samuel le fece in risposta, per capire che quella proposta non sarebbe mai stata accolta.
"Ma a me piace fare il cameriere." Ribattè infatti l'uomo "Nessuno ti considera, se non per ordinarti qualcosa, ma tu sei lì." Spiegò facendo un passo verso di lei "Pronto a cogliere il minimo segnale, pronto a svelare il più piccolo segreto... come ad esempio il tuo..." Continuò, rivolgendole un veloce inchino "Non so ancora cosa ti chiederò, in cambio del mio silenzio, Sylvia Selwyn. Perciò tienti pronta."



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25 giugno 2007, Londra, Villa Black Levenvolde, ore 10



Avendo individuato moglie e figlia in terrazza, intente a fare colazione, Darius le raggiunse e, dopo aver augurato il buongiorno a Cassiopea e averle dato un breve bacio, si sistemò su una delle poltroncine che attorniavano il tavolo.

"Papà!" Esclamò Lyra non appena lo vide "Mi prendi in braccio?"
Senza neanche aspettare il cenno di assenso dell'uomo, la bambina radunò i fogli di pergamena e i pastelli che stava usando, fece il giro del tavolo e si arrampicò sulle gambe del padre.
Poi sistemò tutto il materiale nella sua nuova postazione, rimettendosi a disegnare felice, mentre Darius le avvolgeva - in un gesto automatico - un braccio intorno alla vita per non farla cadere.

Cassiopea osservò tutta la scena con un sorriso rilassato, mentre sorseggiava del the dalla sua tazza preferita.

"Buongiorno seniore. Cosa vuole mangiare stamattina per colazione?" Domandò Catalina, uscendo a sua volta sul terrazzo insieme ad alcuni vassoi galleggianti a mezz'aria, contenenti alcuni tra i piatti preferiti dell'uomo.
"Una kascia di grano sarceno con miele e un caffè andranno più che bene. Grazie." Rispose lui, gettando un'occhiata distratta al disegno della figlia per poi spostare lo sguardo sulla moglie, mentre Catalina si indaffarava attorno al tavolo per eseguire la richiesta. "Come sta Antares oggi?" Domandò allungando una mano per sfiorarle il ventre.
"Fortunatamente sta dormendo." Rispose Cassy accarezzando la mano del marito, mentre Lyra alzava la testa per guardarli incuriosita. "Beh, direi che dopo tutti i calci che mi ha dato stanotte, un po' di forze dovrà recuperarle anche lui." Commentò ironica. "Cata ce ne sono ancora di quei biscotti al cioccolato che hai fatto l'altro giorno?" Domandò infine rivolgendosi alla domestica. "Perchè ne avrei proprio voglia!"
"Ma certo!" Rispose la ragazza, felice del successo che i suoi dolci avevano avuto "Vado subito a prenderli!"
"Grazie mille!" Fu la risposta "E magari, mentre sei in cucina, prendi qualcosa anche per te e vieni a fare colazione al tavolo con noi!" Si raccomandò, mentre Catalina apriva la porta del terrazzo per rientrare in cucina.

"Ti vedo particolarmente allegra stamattina." Notò Darius innarcando un sopracciglio, portandosi alle labbra la tazzina di caffè e bevendone un sorso.
"Ovvio che sono allegra: sei a casa!" Rispose la Black con tono ovvio. "Anche Lyra è contenta di avere il suo papà... vero tesoro?" Domandò allungandosi verso la figlia per darle un buffetto sulla guancia.
"Sì!" Fu il commento della bambina ridacchiante.
"E basta?" Indagò lui, lanciandole un'occhiata obliqua.

Ormai la conosceva bene, dopo due anni di fidanzamento e cinque di matrimonio.
E per quanto sapesse che Cassiopea fosse davvero contenta di averlo a casa con sè - non era mai riuscita a dormire, quando lui faceva le missioni di notte - aveva capito che la sua presenza in casa non poteva essere la ragione esclusiva di tutta quella allegria.

"Diciamo che delle notizie arrivate stamattina dal Ministero hanno contribuito al mio umore." Ammise la ragazza allargando il sorriso.
"Ovvero?" Domandò Darius, ormai certo di poterlo chiedere.

Con il lavoro che svolgeva, avevano dovuto sviluppare un codice verbale per poter parlare anche di cose importanti di fronte alla figlia, senza che questa se ne rendesse conto.

"Gli Snow si sono trasferiti, probabilmente all'estero." Spiegò Cassiopea serafica. "Peccato, proprio adesso che stavano facendo amicizia con i tuoi colleghi!"
"Non li hanno salutati prima di andare via?" Domandò ingenuamente Lyra, sgranando gli occhi e inserendosi così nel discorso.
"Già!" Rispose sua madre "Vero che sono stati proprio maleducati tesoro?" Commentò accarezzandole la testa. "E' per questo che sono felice: se sono così maleducati, è meglio non averli proprio intorno. Non trovi anche tu?"

Mentre la bambina annuiva in risposta, dandole così ragione, Darius si ritrovò a pensare di non voler indagare oltre.
Era chiaro che Cassiopea era venuta a sapere quella notizia nello stesso modo in cui aveva scoperto in cinque minuti che era stata Lysbeth Chevalier a denunciarlo.
Ma come sua moglie riuscisse a ricevere tutte quelle informazioni dal Ministero, prima ancora che le sapessero i diretti interessati, quello per lui rimaneva un mistero.

Che non aveva nessun interesse a svelare.


"Ecco la kascia per il seniore e i biscotti per la seniora!" Commentò Catalina, risbucando in quel momento sul terrazzo con un paio di vassoi galleggianti.
"Ma che bello, hanno un profumino delizioso! Dai, siediti con noi Cata!"


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Ed eccoci qua! Quanta carne al fuoco vi ho messo a questo giro? XD
Non ve lo aspettavate eh? :P


V
isto che il prossimo capitolo è già mezzo scritto, è possibile che io aggiorni prima del solito. Inoltre non vi farò la solita domanda su chi volete che sia il protagonista al prossimo giro (ho già scelto io). Semplicemente vi chiedo: qual è il vostro personaggio preferito al momento?


Alla prossima!


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Capitolo 9
*** 7 - Catalina Garcia Lopez ***


7

Ehilà!
Avevo detto che il capitolo era già mezzo scritto e infatti sono di nuovo qui!

So che molti di voi hanno sperato fino all'ultimo che la fuga degli Snow fosse stata creata ad hoc per motivi di trama.
Purtroppo però, come spesso accade, è dovuta alla scomparsa dell'autore.

Per chi fosse curioso, allego la storia in breve:

Myles Snow, nato Steven, è stato un giocatore di quidditch degli Stati Uniti. 
Ha conosciuto sua moglie ad Ilvermony e da quel momento non si sono più lasciati.
Dopo una partita, mentre Cat lo stava aspettando sugli spalti, la donna venne aggredita da alcuni purosangue americani di famiglie molto note e ricche che tentarono di stuprarla.
Myles arrivò appena in tempo per salvarla, ma preso dalla rabbia uccise gli aggressori della donna, cosa che lo portò in prigione.
Cat, dopo anni, riuscì a dimostrare la sua innocenza, ma la reputazione dell'uomo era ormai distrutta, anche a causa della campagna mediatica che venne scatenata contro di lui dalle famiglie degli aggressori.
Per quel motivo decisero di trasferirsi in Inghilterra, cambiando nome e volto (Cat è una metamorphomagus).

Ovviamente nessuno dei due è l'assassino.


Infine, in questo angolo autrice che sarà probabilmente più lungo della storia stessa, preciso un'altra cosa: questo capitolo sarà diverso dal solito.

Ho visto che nello scorso sono sorte delle domande sul mondo magico, soprattutto su ciò che riguarda matrimoni combinati, divorzi, organizzazione delle società magica ecc.

Così approfitto di questo per spiegare un po' di cose, in modo da farvi sapere di più sul mondo magico (ovviamente, per come me lo sono immaginato io) e in particolare su quello dei purosangue.

Ho detto tutto, perciò continuiamo con la storia.


Buona lettura!




- Catalina Garcia Lopez - 



postimage 
Catalina Garcia Lopez, 3 settembre 1981, Grifondoro



27 giugno 2007, Villa Black Levenvolde


"Estamo aqui!" Annunciò Catalina allegramente, avanzando verso Candice con un vassoio pieno di leccornie e un altro con tutta l'attrezzatura per il the, entrambi galleggianti a mezz'aria.
Con un colpo di bacchetta, la ragazza dispose tutto quanto sul tavolino davanti all'americana. "Preferisci latte o zucchero?"
"Zucchero grazie. Una zolletta." Rispose la tuonoalato con un sorriso, vedendo immediatamente planare in risposta davanti a sè una tazza con un cucchiaino che stava mescolando da solo la bevanda, mentre nell'altra veniva aggiunto del latte.
"Ecco qua!" Trillò allegramente Catalina, completando così le ultime manovre.

"Prendete un the?" Le interruppe la voce di Cassiopea, sbucata all'improvviso da una porta.
Mentre Candice rischiò di sputare ciò che aveva appena bevuto per la sorpresa - non era proprio sicura che quel momento di pausa fosse contemplato - la spagnola le sorrise allegramente "Hola, seniora! Ne vuole anche lei?"
"Per adesso no, sto uscendo." Rispose la Levenvolde, sventolando il mazzo di chiavi "Ma se tra un'oretta me ne fai trovare dell'altro pronto, nel servizio in ceramica, mi faresti un favore: verrà Sylvia Burke in casa. Dovrei tornare in tempo, ma nel caso falla accomodare nel Salottino dei Fiori." Si raccomandò.
"Naturalmente."
"Ok, grazie. Godetevi il the, magari la prossima volta lo prenderò con voi." Si congedò Cassiopea con un occhiolino, prima di uscire dalla porta.

"Non ci ha ripreso?" Commentò sorpresa Candice a bassa voce, non appena la padrona di casa fu sparita dalla sua visuale.
"Porchè avrebbe dovuto?" Chiese Catalina perplessa, innarcando un sopracciglio.
"Stiamo prendono una tazza di the anzichè lavorare..." Rispose perplessa l'americana "Mi aspettavo quantomeno un richiamo."
"La seniora guarda solo al lavoro che facciamo e al resoltato. Non de seguro al resto." Obiettò la grifondoro. "La conosco da tiempo e se noi facciamo il nostro dovere, qual è il problema se ci prendiamo una tazza de the durante una pausa?"
"Di sicuro la conosci meglio di me, quindi mi fido!" Commentò Candice molto più rilassata, aspirando un sorso della bevanda. "Da quanti anni è che lavori per i Levenvolde?" Domandò poi curiosa.
"Più de quinquie." Rispose Catalina con un sorriso "Ma conosco la seniora da molto prima... da quando era ancora seniorina in effetti... e le devo todos."


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15 maggio 1999, Hogwarts, bagni femminili


"Ehy! Tutto a posto?"
"Sì, ce..."

Catalina non riuscì nè a finire la frase nè a capire chi fosse la sua interlocutrice.
Semplicemente ributtò la testa nel water, rimettendo tutto ciò che aveva mangiato tra pranzo e colazione.

"A me non sembra proprio." Fu il commento sarcastico della ragazza dietro di lei.

Senza che Catalina potesse fare nulla per impedirlo, due mani delicate le afferrarono i capelli, radunandoli dietro alla nuca e bloccandoli con un fermaglio.
Poi le stesse mani le sorressero la fronte, rimanendo lì finchè il potente conato di vomito non terminò.

Anche volendo, non aveva più nulla da rimettere.

"Chiunque tu eres..." Boccheggiò Catalina tremante, prendendo tra le mani la salvietta che le venne data per pulirsi la bocca "Gracias."

"Figurati." Rispose l'altra.

E la Grifondoro, riuscendo finalmente a girarsi, si accorse con stupore che colei che l'aveva assistita fino a quel momento era Cassiopea Black.
Per qualche secondo, la guardò a bocca spalancata, presa completamente alla sprovvista.
Erano dello stesso anno, eppure non si erano mai rivolte più di qualche parola di distaccata cortesia, appartenendo a case diverse e non essendo mai diventate amiche.
Che si fosse fermata proprio lei ad aiutarla, era una cosa che la Grifondoro non si sarebbe mai aspettata.

"Vieni, ti accompagno in infermeria." Aggiunse la Corvonero, porgendole la mano.
"Non serve." Rifiutò però Catalina, scuotendo la testa.
"Allora alla Torre dei Grifondoro." Insistette Cassiopea "Ma preferirei in infermeria. Scusa la schiettezza, ma si vede che non stai per niente bene. Se ti lasciassi sola, potresti svenire in mezzo al corridoio."

Probabilmente la Grifondoro avrebbe cercato di opporsi ancora, ma un nuovo conato di vomito la colse all'improvviso, costringendola a ributtare la testa dentro al gabinetto. Anche se riuscì a sputare solo bile.
"Argomento chiuso. Ti porto in infermeria." Decise Cassiopea, prendendola per le braccia per aiutarla a rialsarsi, non appena anche quell'attacco terminò. "Non sei nelle condizioni di poter ribattere."



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27 giugno 2007, Dipartimento Auror


Eleanor, nel vano tentativo di creare una frescura inesistente, sventolò davanti al viso il fascicolo che teneva in mano.
Finchè trovò energie per farlo, la situzione migliorò vagamente.
Ma appena smise, tutto tornò come prima. Anzi peggiorò, visto che per qualche secondo c'era stata l'illusoria aria creata da lei artificialmente.

Con un sospiro rassegnato, guardò la scrivania davanti a sè, strapiena di fascicoli che avrebbe dovuto leggere.
Tuttavia non ne aveva minimamente voglia.

Si stava annoiando a morte.

Di solito, a quell'ora e in qualsiasi altro giorno, sarebbe stata in giro per l'Inghilterra con Darius, pronta all'azione.
Ma lui era a casa, a godere delle vacanze che gli erano state imposte d'ufficio da Aaron.
E non c'era neanche Aysha con la quale poter fare quattro chiacchere, essendo stata spedita all'estero dal Dipartimento insieme ad altri Auror, alla ricerca degli Snow. 
Infine Aaron era con altri capo ufficio al settimo livello, per una riunione di coordinamento su come gestire i casi ancora aperti degli ultimi mesi.

In pratica, era in ufficio da sola.

Per l'ennesima volta, si rimise a leggere il rapporto di Julia Carlisle, come sperando di trovare un indizio che le fosse sfuggito.
Ma, ancora una volta, quel foglio rimase per lei completamente muto, facendola sospirare per la frustrazione.

Lei era una ragazza d'azione, non da ufficio!
Come avrebbe fatto ad arrivare a sera sana di mente, con quella noia mortale che la circondava?



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18 maggio 1999, infermeria di Hogwarts


"Ciao! Come ti senti oggi?"

Anche se aveva già riconosciuto la voce, Catalina alzò comunque lo sguardo dal libro che stava leggendo, per accertarsi di non avere allucinazioni uditive.
Per la seconda volta in pochi giorni, Cassiopea Black si trovava davanti a lei, pronta ad interessarsi alle sue condizioni di salute.

"Non male." Rispose dubbiosa Cata, non sapendo neanche bene lei che cosa risponderle. Non erano mai state amiche, quindi perchè la Corvonero si interessava a lei, così tanto all'improvviso? "E muchas grazias ancora por l'aiuto dell'altro giorno." Aggiunse con un piccolo sorriso.
"Figurati." Fu la replica della Corvonero "Non avrei mai lasciato nessuno da solo, in quelle condizioni..." Continuò avvicinandosi al letto ed evocando una comoda poltroncina sulla quale si sedette "E poi, se sei ancora qui, significa che ne avevi davvero bisogno."
"Come mai sei qui?" Domandò a quel punto Cata, desiderosa di cambiare argomento.
"Manchi da tre giorni a lezione e tra poco ci sono i MAGO." Rispose Cassy con una scrollata di spalle "Ho pensato che ti servissero degli appunti per mantenerti in pari."

Davanti a quell'ennesimo gesto disinteressato, Catalina non riuscì più ad ignorare l'enorme groppo che le si era venuto a creare in gola già da un po'.
Fu così che scoppiò a piangere a dirotto.

"Sono... incinta." Singhiozzò disperata, non capendo neanche lei perchè lo stesse confidando praticamente ad una sconosciuta, quando neanche i suoi amici erano riusciti ad estorcele quella informazione "Lui non lo vuole! E... e mio padre è un purosangue... parà lui solo los ninos nati dentro al matrimonio son legittimi! Non so cosa fare!"


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27 giugno 2007, Londra, Zenna Bar


Dopo essersi smaterializzato in un vicolo laterale, Aaron scivolò sulla via principale, cercando il bar prefissato per l'incontro.
Quando lo trovò, lo raggiunse ed entrò, trovando quasi subito chi stava cercando.

"Come mai mi hai voluto vedere qui?" Domandò accomodandosi nello stesso tavolo di Melisandre, già impegnata a sorseggiare un drink.
"Mi sembrava giusto informarti che sono passata alla 'concorrenza'." Spiegò l'investigatrice tranquilla "Cecilia Evans mi ha convinto a lavorare per loro."
"Era anche ora direi!" Fu la risposta di Aaron, che rivolse alla donna un sorriso di fronte a quella notizia.

Davanti alla espressione vagamente confusa della sua interlocutrice, si affrettò a precisare "Non credo nella colpevolezza di Darius, anche se alcuni al Ministero si sono incaponiti su questa pista. Solo che io, da Auror, non posso mostrarmi di parte. Se mi dicono di indagare su qualcosa, devo farlo. Tu invece non hai vincoli. E so quanto sei in gamba."

"E' per questo che ti ho fatto venire qui:
siamo in un quartiere completamente babbano, oltre che in un bar." Precisò Melisandre "In ogni caso volevo chiederti di poter continuare a collaborare, anche se ufficiosamente, con voi. Possiamo darci una mano a vicenda e risolvere la situazione più in fretta." Propose.
"Massima disponibilità." Commentò Aaron senza neanche stare a pensarci.

"In questo caso" Commentò l'investigatrice tirando fuori un foglio dalla borsa "Ho controllato un po' di esercizi commerciali che vendono la droga che è stata usata su Samuel: alcuni lo fanno legalmente, altri in nero." Disse appoggiando il foglio sul tavolo e spingendolo verso l'Auror "Io non posso perquisirli, ma tu sì."


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1 luglio 1999, casa di campagna di Antares Black


"Ecco qua!" Esclamò Cassiopea, accendendo la luce con un colpo di bacchetta. "Non è molto grande, ma..."
"Ma se è più grande della Sala Grande ed è solo l'ingresso!" Protestò Catalina, guardandosi attorno stupita. "Mucho de più de quanto me serve. Segura de volerlo davvero fare?" Chiese per l'ennesima volta corrugando la fronte. "Non riuscirò mai a repagarte de todos!"

La Corvonero, davanti a quella esclamazione, roteò gli occhi infastidita. "Per l'ultima volta: non voglio niente in cambio e mio nonno è d'accordo." Specificò sbuffando "Puoi restare qua per quanto tempo vuoi."
"Ma..." Provò a protestare la Grifondoro.
"Vuoi davvero ripagarmi?" La interruppe la Black, girandosi verso di lei con le braccia incrociate al petto. "Allora non abbandonare mai tuo figlio."

Per un attimo, a Catalina sembrò quasi di vedere gli occhi di Cassiopea diventare lucidi.
Ma doveva esserselo immaginato, visto che la purosangue le sorrise prima di congedarsi con un "Se hai bisogno di qualcosa, gli elfi sono a tua disposizione." e smaterializzarsi.


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27 giugno 2007, Villa Northman


"Lysbeth?"

La cameriera stava finendo di dare lo straccio nel salotto quando la voce di Amelie la colse alle spalle.

"Sì?" Domandò la ragazza, girandosi incuriosita.
"Hai un minuto?" Domandò la banchiera, in un tono che a Lysbeth parve sin troppo gentile.
"Naturalmente." Acconsentì "Dovrei finire un attimo di dare lo straccio però." Le comunicò, indicando con l'indice il lavoro ormai quasi finito.
"Oh beh, alla fine basta che mi ascolti. Puoi anche continuare a lavorare, se sei in grado di fare due cose alla volta." Commentò Amelie con un sorrisino strafottente.

Lysbeth innarcò vagamente un sopracciglio, ma preferì non ribattere a quella chiara provocazione.
Così Amelie si sentì libera di continuare a parlare "Immagino che la tua massima aspirazione non sia fare la cameriera a vita, dico bene?" Domandò con un tono che sapeva molto da affermazione.
"Infatti." Rispose la violinista perplessa, mentre una ruga si disegnava sulla sua fronte.

Perchè quella domanda all'improvviso? Era forse un trabocchetto?

"Dubito che qualcuno vorrebbe fare la cameriera per sempre." Si affrettò ad aggiungere.
"E cosa vorresti fare?" Chiese Amelie quasi in un sussurro.
"Perchè me lo sta chiedendo?" Replicò Lysbeth innarcando un sopracciglio.
"Non vorresti diventare una musicista famosa?" Continuò la banchiera imperterrita "Ti ho sentito suonare, dai Levenvolde. E penso che tu abbia parecchio talento."
"Ehm... grazie." Si ritrovò a dover dire, suo malgrado, la ragazza, continuando però a non capire dove la bionda volesse andare a parare.
"Credo che la cosa migliore da fare, per te, sia frequentare un'Accademia di tutto rispetto, dove tu possa coltivare il tuo talento." Proseguì Amelie "Come, ad esempio, quella Viennese: è la migliore in assoluto."

Per qualche secondo il silenzio calò nella stanza, prima che Lysbeth si ritrovasse ad ammettere, con una nota di incertezza "Mi piacerebbe, ma è completamente fuori dalla mia portata economica."
"Io pago bene le persone che lavorano bene per me." Replicò Amelie con un sorrisino "Ma per lavorare bene... bisogna farlo in silenzio."



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Febbraio 2002, Villa Black, ore 17


"Cassy?"

Sentendosi chiamare, la ragazza sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
Poi rivolse un sorriso a 32 denti al fidanzato, che si era appena materializzato davanti a lei.

Lasciando perdere sia libro che plaid sul divano, balzò in piedi e subito dopo saltò in braccio a Darius, circondandogli il collo con le mani e la vita con le gambe.

Quel giorno il ragazzo era rimasto al Dipartimento più del solito.
O almeno così credeva lei.

"Aaron non ti lasciava andare più, oggi?" Domandò infatti curiosa, non appena si staccarono.
"In realtà sono uscito dal lavoro circa due ore fa." Rispose il russo.
"E dove sei stato per tutto questo tempo?" Chiese confusa, innarcando un sopracciglio.
"Mi ha chiamato il maginotaio di mio padre."
"ANCORA?" Sbottò Cassiopea contrariata "Ma possibile che quello trovi sempre qualcosa che non gli va bene, per il nostro matrimonio?"

Tutto il buon umore che era nato in lei non appena aveva visto materializzare il russo nella stanza, era svanito di botto.
Era da mesi che andavano avanti le trattative per il loro contratto matrimoniale, ma chi li rappresentava non aveva ancora trovato un accordo.
In un primo momento il problema più grosso era sembrato essere un contratto che Alexej Levenvolde aveva firmato per il figlio - quando Darius aveva solo 3 anni - con una famiglia purosangue croata.
Ma, una volta sciolto quello - a seguito di un considerevole esborso di denaro - i problemi non erano affatto finiti. Anzi, delle due erano solo aumentati.

"Cosa c'è che non va stavolta?" Domandò la Corvonero, sbuffando e roteando gli occhi.

Iniziava quasi a rimpiangere la proposta dell'Auror, che aveva suggerito di farsi una vacanza da qualche parte - loro due da soli - e di tornare in Inghilterra direttamente sposati.
Almeno non ci sarebbero state infinite discussioni su questioni contrattuali e clausole varie.
Però lei aveva promesso a Gillian un matrimonio a quattro, promessa che aveva tutta l'intenzione di rispettare.
E non ci teneva a sposarsi di nascosto, quasi come se si dovesse vergognare di quella unione. Lei era orgogliosa di sposare il suo fidanzato.

"In effetti, questa volta, si tratta di una cosa che incuriosisce anche me." Constatò Darius, girando attorno alla ragazza per andare a sedersi sul divano, facendole cenno di accomodarsi accanto a lui. "So che tutto quello che ti ha lasciato Antares è tuo e puoi disporne come vuoi..." Iniziò prendendola alla larga.
"Ma?" Lo interruppe Cassiopea perplessa, non capendo dove volesse andare a parare.
"Ma..." Riprese il discorso lui, cercando di trovare le parole adatte per chiederglielo "... c'è qualcosa che devo ancora sapere di te? Qualcosa di importante?"
La Corvonero inclinò la testa, assumendo un'espressione perplessa.
"Magari... hai dei... - Merlino! Come te lo chiedo? -" Esitò Darius in imbarazzo "...parenti non riconosciuti che però trovi giusto mantenere? Oppure...?" Continuò senza sapere bene come andare avanti.

Per qualche secondo Cassiopea assunse un'espressione talmente confusa che il ragazzo pensò che non ne sapesse davvero nulla, che fosse qualcosa che Antares avesse fatto in vita senza averne mai parlato con lei.
Almeno finchè un lampo di comprensione non le attraversò lo sguardo.
"Hai trovato il versamento di 500 galeoni* mensili tra le mie spese fisse, per caso?" Domandò tranquilla.
Davanti al cenno di assenso del ragazzo, la Corvonero sorrise e gli prese la mano. "Tra i vari preparativi per il matrimonio me ne ero completamente dimenticata, ma credo che sia il momento di presentarti due persone. Ti va di venire con me?"

Cinque minuti dopo, per la prima volta in vita sua, Darius Levenvolde conobbe Catalina Garcia Lopez e suo figlio Diego, di due anni.


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27 giugno 2007, San Mungo


Larson.

Quando Julia vide il cognome del paziente che le era stato assegnato sulla cartella clinica, per un attimo pensò di avere le allucinazioni.
Poi, però, si rese conto che 
probabilmente Samuel Larson non era l'unico con quel cognome... avrebbe potuto avere benissimo dei parenti  in giro.
Oppure poteva anche trattarsi di un caso di omonimia.

Comunque stessero le cose, Julia dovette recarsi dentro alla stanza bianca e assettica nella quale era stato confinato il paziente, in attesa di essere visitato.
Fu così che si ritrovò davanti ad un ragazzo castano, che reggeva con la mano sinistra il braccio destro, completamente fasciato.

"Signor Larson?" Domandò per annunciare la sua presenza "Sono la medimaga Carlisle. Cosa le è successo?"
"Le stringerei volentieri la mano, ma come vede è fuori uso." Rispose con una smorfia Theophile, girando il collo nella sua direzione. "In ogni caso, si è trattato di un incidente da laboratorio.
Lavoro nell'Ufficio Misteri e stavo trafficando con della magia elementale." Spiegò senza entrare troppo nel dettaglio "Purtroppo sono gli inconvenienti del mestiere." Concluse arricciando il naso.
"Capisco." Annuì Julia sedendosi davanti a lui e iniziando a disfare la fasciatura. "Riesce a stringere la mano a pugno?" Domandò puntando la bacchetta contro.


Al termine della visita, dopo aver effettuato un'attenta diagnosi, Julia si raccomandò con Theo di non sforzare troppo il braccio per qualche giorno.
"Solo movimenti lenti e senza pesi. Possibilmente non usi neanche la magia, a meno che non sia proprio costretto. Le sconsiglio di andare al lavoro per qualche giorno, in effetti." Si raccomandò "Ha qualcuno che potrebbe aiutarla in casa durante questo breve periodo?"

Soffocando un colpo di tosse per l'imbarazzo provocatogli da quella domanda, Theo le rivolse un'espressione neutra. "Vedrò di fare il possibile."

"Auguri Signor Larson: se dovesse avere ancora bisogno sono qui. E... condoglianze per suo cugino." Si congedò la ragazza. 



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15 Dicembre 2002, Villa Black - Levenvolde, ore 10.30


"MALEDIZIONE A GODRIC!"

Riconoscendo nella esternazione la voce di Cassiopea, Catalina si diresse a passo veloce verso la cucina, preoccupata che potesse esserle successo qualcosa.
In fondo sapeva che la ragazza era rimasta da poco incinta, anche se ancora non si vedeva.

"E HANNO ANCHE IL CORAGGIO DI CHIAMARLA 'EROINA DEL MONDO MAGICO'!" Stava continuando a sbraitare Cassiopea contro il nulla "LEI E QUEL SUO MALEDETTO C.R.E.P.A.! LEI DOVREBBE CREPARE!"

"Todo bien?" Chiese Catalina, sbucando dalla porta e gettando un'occhiata perplessa alla Corvonero.

Cassiopea era appoggiata al lavandino della cucina, mentre teneva il dito indice sotto il getto dell'acqua.
Sentendo la voce della spagnola girò la testa, cercando di non mostrare quanto fosse arrabbiata. "Mi sono appena tagliata un dito." Comunicò con tono lugubre.

"E porchè sta insultando Hermione Granger?" Domandò Catalina incuriosita.
"Perchè se non avesse fatto quella stramaledetta legge per la liberazione degli elfi domestici, a quest'ora non mi sarei tagliata per cercare di preparare un pranzo!" Si lamentò la Black. "Sarà anche stata una eroina di guerra, ma a livello politico sta facendo solo dei danni, maledizione!"
"Mi faccia vedere la mano." Propose Catalina "Cosa stava cercando di preparare?" Chiese poi incuriosita, lanciando un'occhiata al tavolo della cucina, dove erano presenti sia il coltello ancora insanguinato sia alcuni ingredienti.
"Del pollo Kiev." Rispose Cassiopea con uno sbuffo "Darius ne va matto... ma mi sa che io non sono neanche in grado di preparare del the." Ammise abbattuta. "Di solito ci pensavano gli elfi! Ma quella stramaledetta strega ci ha costretto a disfarcene!" Continuò a lamentarsi "La mia povera Bessy! Mi ha cresciuto lei! Quando le ho detto che dovevo liberarla ha pianto per giorni, pregandomi di non farlo e chiedendo il perchè, se avesse sbagliato qualcosa! E alla fine è morta di crepacuore! E QUELLA LA' ha pure provato a darci la colpa, dicendo che è morta perchè l'abbiamo sfruttata troppo in vita!" Continuò a sbraitare, totalmente oltraggiata. "Io volevo bene a Bessy, era praticamente di famiglia! Come avrei potuto trattarla male?"

Più ripensava a quell'episodio più le saliva il sangue al cervello.

"Io non ho mai maltrattato un elfo domestico in vita mia! Ed ero pure disposta a pagarli tutti, pur di tenerli! Ma no! Devono 'disintossicarli'! Perchè ovviamente noi purosangue non abbiamo di meglio da fare tutto il giorno che fare il lavaggio del cervello agli elfi! ... Cata? Cosa stai facendo?"  Chiese bloccando la sua invettiva di colpo e guardando la ragazza perplessa.
"Il pollo Kiev ovviamente." Fu la risposta serafica di Catalina.

Cassiopea infatti era stata talmente presa dal suo monologo, che non si era accorta che, nel frattempo, la spagnola non solo le aveva curato la mano, ma si era anche messa a preparare il pranzo.

"Vuole dare da mangiare a suo marito por pranzo oppure no?"
"Ma..." Provò a protestare la donna, completamente presa alla sprovvista "Non devi farlo tu!"
"Sì invece." Replicò però Catalina allegramente.
"Ma..." Provò nuovamente a farla ragionare Cassiopea, prima di venire interrotta.
"Me ascolti..." Iniziò la spagnola, abbandonando per un attimo il coltello e congiungendo le mani, quasi come se fosse in preghiera "In todos estos anos me ha siempre mantenuto lei. E non ha mai voluto nada en cambio. E' chiaro che adesso è lei ad essere in difficoltà. Ed è anche incinta! Me lasci aiutare!" Provò a convincerla "Me piace cucinare!" Aggiunse anche, come se ciò spiegasse tutto.
"Non l'ho mai fatto per avere qualcosa in cambio." Sussurrò Cassiopea, alquanto combattuta.

Aveva davvero bisogno di aiuto, in casa. Ma di sicuro non aveva pensato a quel risvolto anni prima, quando l'aveva accolta.

"Ho cercato lavoro in questi anni, sa?" Continuò Catalina, iniziando a disporre alcune cose nella teglia "Volevo guadagnare e restituire almeno una parte de quanto me ha dato." Spiegò "Ma appena dico che NON sono sposata e ho un nino, me chiudono la porta en faccia. Magari questa è la volta buona."
"Cata... sei sicura di ciò che stai proponendo?" Domandò Cassiopea "Questa Villa è enorme..."
"Non ve riuscirò mai a repagare abbastanza por quello che avete fatto por mi e por Diego." Replicò la spagnola con un sorriso "Ma almeno quiesto posso farlo." Affermò decisa.

Passò qualche secondo di silenzio poi...

"In tal caso... come te la cavi con le pulizie? Perchè io non ho ancora capito quella cosa dell'ammorbidente..."
Catalina, che ormai aveva finito l'impasto del pollo, scoppiò a ridere. "Mi faccia finire aqui, poi me dedicherò a qualcos'altro... giusto per curiosità... a quando risale l'ultima pulizia della casa?"

Il silenzio imbarazzato di Cassiopea fu una risposta sufficiente.


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27 giugno 2007, Magistudio legale Kennox


"PER L'ULTIMA VOLTA! LEI NON PUO' STARE QUI!"

Sentendo delle urla provenienti dal corridoio, Alexis alzò la testa dal documento che stava leggendo.
"Ma che...?" Domandò al nulla.

"SE NE VADA SUBITO!" Sbraitò la voce che la ragazza riconobbe come quella di Caroline "ALTRIMENTI CHIAMO GLI AUROR!"

Abbandonando il fascicolo sulla scrivania, Alexis si alzò in piedi e attraversò il suo ufficio quasi a passo di marcia.
Aveva già una vaga idea di chi fosse l'interlocutore della sua collega, ma aveva bisogno di vederlo in faccia per esserne sicura.

E appena aprì la porta, scoprì di avere ragione. Come sempre del resto.

Elliott Florence, con un sorriso a trentadue denti, si trovava in mezzo al corridoio, a poca distanza da Caroline, per nulla impressionato dalle sue minacce. Anzi, sembrava solo divertito.
"Si accomodi pure, mia cara: li chiami gli Auror." La sfidò. "Poi vediamo quanto tempo ci metteranno, a rilasciarmi."

"Ma chi è che le da sempre il permesso di entrare?" Sbottò Alexis incredula, palesando così la sua presenza ad entrambi, mentre altre persone dello studio, attirate dal baccano, si stavano man mano affacciando nel corridoio.
"Quello, mia cara, me lo prendo da solo." Rispose Elliott avanzando verso di lei felice come una pasqua, trovando addirittura il coraggio di avanzare e farle il baciamano, nonostante la magiavvocato l'avesse fulminato con lo sguardo. "In ogni caso sono felice che tu sia uscita..." Continuò indirizzandole un occhiolino "... visto che ti stavo cercando."
"Cosa vuole?" Domandò Alexis ritraendo velocemente la mano.
"Farle un'intervista ovviamente: come ci si sente a difendere un possibile assassino? E lo fa per soldi oppure per difendere l'onore della fami...?"

Elliott non riuscì mai a finire la frase: con un veloce guizzo di bacchetta, Alexis lo schiantò, lasciando tutti coloro che assistivano la scena a bocca aperta.
"Tanto se mi denuncia mi difendo da sola." Commentò con un'alzata di spalle, prima di tornare dentro al suo ufficio e sigillarsi dentro.



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15 Dicembre 2002, Villa Black - Levenvolde, ore 22.30


Vedendo la moglie già rintanata sotto le coperte ma intenta nella lettura, Darius inclinò leggermente la testa, per cercare di leggere il titolo del libro e capire così cosa stesse leggendo.
"Divorzio" Lesse lentamente corrugando la fronte "Che cos'è? Cibo?" Domandò poi alla ragazza, non trovando la parola familiare.
"No. Un uso giuridico babbano." Rispose lei tranquillamente, senza sollevare gli occhi dal libro. "Mi lasci finire il capitolo che poi ti spiego?"
"Ok." Commentò lui, approfittando di quel lasso di tempo per rotolare sotto alle coperte e cercare la posizione più comoda.

"Fatto." Lo informò Cassy pochi minuti dopo, chiudendo il libro e appoggiandolo sul comodino. Poi si sporse per baciarlo.
"Mi spieghi?" Domandò Darius innarcando un sopracciglio. "Cos'è il divorco?"
"Divorzio" Lo corresse la Black con un sorrisino "E' un uso giuridico babbano... in pratica, quando un matrimonio non funziona più, viene sciolto ed entrambe le parti si possono risposare, come se il matrimonio non fosse mai avvenuto."
"Un po' come il ripudio?" Domandò il ragazzo, innarcando un sopracciglio con aria perplessa.
"No, il ripudio è a senso unico: il marito si stufa, ripudia la moglie e la cambia, anche senza motivo. Nel divorzio può essere anche la donna a chiederlo... e la colpa può andare al marito, cosa che nella nostra società non è minimamente contemplata." Ribattè lei con una smorfia.

"Cassy... perchè ti sei messa a leggere certe cose?"  Domandò a quel punto Darius, con una nota di allarme nella voce.
La ragazza capì immediatamente cosa ronzasse nella testa del marito e si affrettò a rassicurarlo, passandogli una mano sul volto. "Non fare viaggi mentali strani, amore. Ti amo tantissimo e di sicuro non voglio sciogliere il vincolo." Comunicò "Solo che oggi, parlando con Catalina, mi sono resa conto di un po' di cose sulla nostra società... cioè, già le sapevo... ma è stato... illuminante." Continuò ripensando alla conversazione che aveva avuto con la ragazza "Lo sai che le hanno rifiutato dei lavori solo perchè ha un figlio senza essere sposata? Come se questa cosa la rendesse inaffidabile!" Sbottò.
"Oook..." Rispose Darius lentamente, che aveva innarcato le sopracciglia, cercando di starle dietro con il ragionamento.
"La nostra società è profondamente maschilista: i nostri matrimoni vengono decisi quando siamo piccoli tramite contratti stipulati dalle famiglie, se la moglie genera solo figlie femmine o non genera figli in generale può essere ripudiata, il matrimonio può essere sciolto se la ragazza non arriva vergine alla prima notte di nozze..." Iniziò ad elencare Cassy "L'uomo può portarsi l'amante anche in casa e la donna non ha diritto di replica. Ma se è lei a tradire, apriti cielo! Anche se lui ha l'amante in casa!" Continuò vagamente alterata "Queste cose nel mondo babbano succedevano nel Medioevo! Da noi succedono ancora adesso, anche se siamo negli anni 2000." Spiegò indicando con la mano il libro che aveva appoggiato sul comodino. "Quindi ho pensato: il momento è favorevole, visto che abbiamo un Ministro babbanofilo. Se ci hanno tolto gli elfi, potranno anche creare un po' di leggi per modernizzare la situazione... no?"

"Bisognerebbe cambiare la mentalità di certe persone prima ancora delle leggi." Fu il commento saggio di Darius. "Però non hai torto." Ammise con un sospiro.
"Sei d'accordo con me?!" Esclamò Cassiopea sorpresa, innarcando un sopracciglio.
"Beh... sì..." Ammise lui "Alla fine dei conti l'abbiamo passato sulla nostra stessa pelle. Siamo entrambi appartenenti a due famiglie purosangue di spicco ma, nonostante questo, guarda tutti i problemi che sono nati prima che riuscissimo a sposarci, solo perchè la nostra unione non è stata programmata dall'inizio! ... Quindi cosa vorresti fare, esat...?"

L'uomo non riuscì a terminare la domanda.
Cassiopea, presa dall'entusiasmo, si disfò velocemente delle coperte.
Poi saltò addosso al marito, iniziando a baciarlo con foga.


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27 giugno 2007, Villa Black - Levenvolde


"Non ne posso più." Esordì Sylvia, sedendosi sul divano accanto a Cecilia, mentre davanti a lei la teiera si muoveva da sola per riempirle la tazza di the appena fatto.
"Tuo marito?" Indagò la tassarosso, con tono abbastanza neutro.

Non era la prima volta che la Burke si lamentava di Frederick, perciò la cosa non la sorprendeva.

"Sta diventato un incubo." Confermò l'indicibile annuendo "Dopo l'omicidio ha iniziato a seguirmi ovunque. Mi porta al lavoro, mi viene a prendere... mi ha portata anche qui! Qualcuno potrebbe dire che sono gesti premurosi, ma io mi sento solo soffocata!"
"Cos'è, ha paura che dopo il nostro cameriere vogliano far fuori anche suo cugino?" Domandò ironicamente Cassiopea, scatenando la risatina di Cecilia ma senza avere idea del tasto che era andata involontariamente a toccare con Sylvia. "Ehy tranquilla! Stavo scherzando!" Aggiunse in fretta, vedendo la Burke sbiancare di colpo e mal interpretando il suo malessere "Dubito che, chiunque sia stato, possa combinare qualcosa all'interno dello stesso Ministero." Commentò dopo aver bevuto un sorso di the.
"Come fate voi due a stare in questa casa, dopo quello che è successo, io non l'ho ancora capito." Disse Sylvia repriemendo un brivido.
"Eppure oggi sei qua anche tu." Replicò Cecilia facendole un occhiolino per cercare di alleggerire l'atmosfera.
"Magari spero solo che l'assassino sia ancora qua e faccia fuori anche mio marito." Rispose la Burke con una smorfia.
"So che il vostro rapporto non è mai stato granchè, ma avevi detto che ormai eravate riusciti ad ottenere un equilibrio." Commentò Cassiopea perplessa. "Cos'è successo per augurargli la morte così all'improvviso?"

"E' successo che adesso vuole un figlio a tutti i costi." Ammise Sylvia dopo un po', sbattendo ripetutamente le palpebre per non far uscire le lacrime. "Fino ad ora non sono mai rimasta incinta e sembrava che gli andasse bene... ma adesso vuole arrivarci in fondo. Si sente vecchio e vuole un erede. Ma io non sono disposta a darglielo e non so cosa fare."

"E' per questo che sono qui Cassy... a che punto sei con la tua associazione?"


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Giugno 2007, Villa Black - Levenvolde (pochi giorni prima dell'omicidio)


"Ehm... Cata? ... Tutto a posto?" Domandò Darius entrando nella cucina, vedendo la ragazza pulire i piatti a mano con molta foga, senza usare la magia come al solito.
"Sì! Certo!" Rispose lei piccata, aumentando il ritmo della strofinatura, nonostante l'oggetto che aveva in mano fosse già lucido.
"Sicura?" Insistette l'Auror, innarcando un sopracciglio.
"Non se preoccupi por mi." Rispose lei, finendo di strofinare e mettendo il piatto sopra alla pila di quelli puliti in precedenza. "Estoy bien!"
"D'accordo..." Replicò l'uomo, per nulla convinto, decidendo di non insistere oltre.

Catalina era forse testarda quasi quanto Cassiopea. Se non voleva dire qualcosa non lo diceva.

"Aveva besogno de qualcosa comunque?" Domandò la domestica cercando di sorridere, anche se tutto ciò che le uscì fu una smorfia.
Darius stava per rispondere che era andato in cucina perchè stava cercando di capire se c'era qualcuno in casa, visto che era appena rientrato, quando venne interrotto dalla voce della moglie.
"SIAMO A CASA!"

"CUCINA!" Rispose Catalina, usando più o meno lo stesso tono.

Tre secondi dopo, anche Cassy comparve nella stanza, portando per mano sia Lyra che Diego.
"Uh ciao caro!" Lo salutò facendo il giro del tavolo per baciarlo, facendo ridacchiare entrambi i bambini. "Cata... perchè stai pulendo le stoviglie a mano?" Chiese poi perplessa innarcando un sopracciglio, mentre appoggiava delle buste sul tavolo con un colpo di bacchetta.

"Porchè oggi me lo chiedete tutti?" Sbottò lei in risposta, roteando gli occhi.
"Perchè di solito non lo fai mai."
"Estoy bien!"

Capendo l'antifona, Cassiopea si girò verso i bambini, che guardavano la scena perplessi. "Perchè non andate di là da Gillian? Cecilia ha appena portato un diricawl... non siete curiosi di dargli un'occhiata?"

"Ok... cosa è successo?" Domandò di nuovo la Levenvolde, non appena i bambini furono spariti nel cortile. "E lo sai che posso diventare parecchio insistente. Ti abbiamo fatto qualcosa senza accorgercene?"
"Cosa? No! Siete delle persone meravigliose! Ve devo tutto!" Rispose Catalina.
"E allora cosa c'è che non va?"
"Non me piace parlar male delle persone... e me la so cavare."

"E va bien!" Ammise dopo un bel po' di insistenze "Se tratta de Sam... me ha dato della troia! Porchè ho Diego e non sono sposata."



2 ore dopo


"Ma come ti è saltato in mente di dirle quelle cose? Con l'associazione che ho fondato, poi?" Sbraitò Cassiopea all'indirizzo di Samuel.
"Quel bambino mi stava dando sui nervi!" Fu la giustificazione dell'uomo. "Ogni volta che sistemo la piscina o faccio dei lavori nel cortile è sempre in mezzo ai piedi." Continuò senza sembrare minimamente pentito. "Ho solo perso la pazienza."
"E c'era bisogno di apostrofare Catalina in quel modo?" Domandò Cassiopea incredula "I bambini sono curiosi e vivaci! E' normale! E Diego ha solo 7 anni! C'erano tanti modi per dirgli di non fare qualcosa!"
"Beh, allora dica a sua madre di tenermelo fuori dai piedi!" Ordinò Samuel imperterrito. "Altrimenti..."
"Altrimenti COSA, con esattezza?" Replicò Cassiopea, tamburellando il piede sul pavimento, mentre incrociava le braccia e assottigliava le palpebre.
"Niente." Si ridimensionò subito lui, roteando gli occhi.
"Facciamo così: tu non ti azzardare MAI PIU' a dire una cosa del genere... a Catalina come a qualunque altra donna. E io ti farò il favore di non licenziarti in tronco." Propose Cassiopea "Sono stata abbastanza chiara?"
"Posizione di empasse... la mia preferita." Rispose l'uomo sogghignando. "Ma credo di essere in leggero vantaggio."

"Questo è tutto da vedere." Replicò Cassiopea prima di girargli le spalle e andarsene.



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* se qualcuno ne sa più di me sull'argomento lo dica, ma non avendo idea di quanto valga un galeone ho optato per il cambio 1 galeone = 1 €... perciò è come se Cassy avesse dato a Cata 500 € al mese dal momento della gravidanza (considerato che Cata non doveva neanche pagare affitto e bollette, usufrendo della villa di campagna, credo che sia una somma più che sufficiente)


Ed eccoci qua!



Allora... prima che a qualcuno vengano strane idee, ci tengo a specificare:

1) il padre di Diego NON è Samuel Larson (non è che si è messo ad ingravidare mezza Hogwarts! :P e così fosse stato lo avrei scritto)

2) Cassy, quando chiede a Cata di ripagarla non abbandonando il figlio, pensa semplicemente alla scelta completamente diversa che ha fatto sua madre con lei (lo specifico per chi non ha letto "Un erede per i Black" : Cassiopea è stata abbandonata da sua madre Selene nel maniero di famiglia pochi giorni dopo la sua nascita ed è stata cresciuta dal nonno materno, Antares Black. Non ha la minima idea di chi possa essere suo padre)



Infine vi lascio con la solita domanda (risposte per MP entro il 12/05).
Questa volta abbiamo un bel trio di purosangue: a chi volete sia dedicato il prossimo capitolo?
- Cecilia Weiss in Evans
- Alexis Buldstrode
- Elliott Alexander Florence

Ps: nel prossimo capitolo ci sarà anche il compleanno dei pargoli di casa Black, Perseus e Lyra (e faranno la loro comparsa un po' di vecchie conoscenze). Chi dei vostri OC parteciperà al compleanno? E cosa porterà per regalo? (sempre per MP).



Infine... già lo immaginavo, ma a quanto pare i vostri personaggi preferiti (a pari merito) sono loro due:

postimage Amelie Northman    postimage Aaron Morgan


Ciaoooo!

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Capitolo 10
*** 8 - Elliot Alexander Florence ***


8

Ma ciao!

Visto che lo avete chiesto praticamente tutti nelle recensioni do una risposta collettiva: Amelie, nello scorso capitolo, ha detto quelle cose a Lysbeth perchè in qualche modo ha scoperto che lei ha ascoltato tutta la conversazione con il fratello. Ma vi farò scoprire più avanti come XD


Per il resto... Elliot ha stravinto!
Quindi ecco a voi la sua storia.

Buona lettura! ;)




- Elliot Alexander Florence - 



 postimage
Elliot Alexander Florence, 11 ottobre 1976, Wampus



11 ottobre 1976, California, Sacramento, Villa Florence



Il piccolo Isaiah Florence, di otto anni, continuava a camminare avanti e indietro per il cortile della Villa, annoiandosi a morte.
Quel giorno sembrava che nessuno fosse interessato a lui: dai genitori che sembravano completamente spariti dalla faccia della terra ai domestici, chiunque, appena lo incrociava, sembrava ricordarsi all'improvviso di avere altro da fare.

Isaiah inizia a chiedersi se non avesse fatto qualcosa di male nei giorni precedenti senza rendersene conto e se quella quindi non fosse una sorta di punizione messa in atto dalla sua famiglia.
Eppure, nonostante si scervellasse in merito, il bambino non riusciva proprio a venire a capo di nulla.

Con un sospiro di rassegnazione, si sdraiò nel bel mezzo del cortile, all'ombra di un grosso faggio.

Si era quasi addormentato, quando la voce stridula della loro elfa domestica, Nelly, rieccheggiò per tutto il cortile. "Signorino Isaiah! Lei dove essere cacciato adesso?"

Sbattendo le palpebre confuso, il bambino alzò il busto di scatto. "Sono qui!"

Tempo pochi secondi e l'elfa si era materializzata accanto a lui.
"Tu deve venire con me adesso."  Gli comunicò afferrandolo per il polso "Tu deve venire a conoscere nuovo fratellino."




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30 giugno 2007, Casa Larson



Sentendo rumori strani provenire dal salotto, Theo impugnò la bacchetta e si diresse a passo felpato verso quella stanza, trascinandosi dietro il braccio sinistro, ancora rigido per via della fasciatura.

Tuttavia, non appena capì di chi si trattava i muscoli facciali si rilassarono e aprirono in un sorriso sincero.
"Sylvia!" Esclamò sorpreso una volta entrato,avendo riconosciuto la donna che gli stava ordinando il salotto a colpi di bacchetta.

La purosangue si girò emettendo un piccolo sussulto di sorpresa, ma subito dopo gli rivolse un piccolo sorriso, cosa che Theo notò immediatamente.
Era chiaro che ormai non bastava più la sola presenza del ragazzo per tranquillizzarla: da quando il signor Selwyn aveva decretato di volere un figlio entro un anno, Sylvia non era più riuscita a mostrarsi veramente serena.
Neanche quando riusciva a ritagliarsi un po' di tempo da passare con lui, come stava succedendo in quel momento.

Risvegliandosi dai suoi pensieri, il ragazzo si accorse che nel frattempo la donna lo aveva abbracciato, per poi dargli un bacio.

"Come va il braccio?" Domandò non appena le loro labbra si staccarono.
"Meglio... ancora un paio di giorni e potrò tornare al lavoro." Cercò di rassicurarla lui, mentre continuava a stringerla a sè con il braccio sano. "Come hai fatto ad arrivare qui? Tuo marito non controllava ogni tua mossa ultimamente?" Domandò poi preoccupato, mentre una piccola ruga si disegnava sulla sua fronte.
"Oggi c'è la festa di compleanno di Perseus Black e di Lyra Levenvolde." Spiegò Sylvia accarezzandogli la fronte con il pollice, esattamente nel punto in si era formata la piccola ruga "Mi ha accompagnata lì e poi se n'è andato. Ironico... proprio lui che vuole un figlio non è in grado neanche di presenziare al compleanno di quelli degli altri." Continuò tornando a stringergli le braccia attorno al collo "Meglio per noi due: mi mancavi troppo per non correre questo piccolo rischio." Ammise prima di baciarlo di nuovo.



-*-*-*-


11 ottobre 1976, California, Sacramento, Villa Florence



Isaiah, condotto per mano dalla piccola elfa domestica, attraversò il grande corridoio principale della Villa, finchè non arrivò davanti alla camera dei genitori.
Anche con la porta chiusa riusciva a distinguere chiaramente il vagito di un neonato.
Incoraggiato dallo sguardo di Nelly, il bambino bussò timidamente alla porta, ricevendo dopo pochi secondi il permesso per entrare.

Dentro alla stanza, appoggiati al grande letto matrimoniale, si trovavano entrambi i suoi genitori.
Sua madre, lucida di sudore, aveva uno sguardo molto stanco, tuttavia non riusciva a staccare gli occhi di dosso a quel piccolo fagotto azzurro che teneva tra le braccia, che continuava a cullare canticchiando una dolce melodia.
Fu quindi suo padre ad accoglierlo. "Vieni Isaiah." Lo invitò con un gesto della mano "Ti presentiamo tuo fratello minore Elliott."

Eseguendo le indicazioni del padre, il bambino si avvicinò di più al letto, quasi in punta di piedi, poi allungò una mano per sfiorare la testolina del piccolo. "Ciao"
"Vuoi prenderlo in braccio?" Domandò sua madre, sporgendosi appena verso di lui.

Davanti all'annuimento di Isaiah, entrambi i genitori si prodigarono per mettere tra le braccia del bambino il neonato, che si aprì in un sorriso festoso.
"Oggi è un giorno importante per te Isaiah." Proclamò suo padre "Sei diventato fratello maggiore: dovrai sempre aiutarlo e proteggerlo. Quando noi non ci saremo più, spetterà a te. Lo prometti?"
"Sì padre, lo prometto."



-*-*-*-


30 giugno 2007, Villa Northman



"Assolutamente no."

Davanti a quel diniego così marcato, Lysbeth innarcò un sopracciglio. "Ma oggi è il mio giorno libero!" Provò a protestare.
"Beh, se vuoi suicidarti sei libera di farlo" Controbattè Amelie "Ma non finchè sarai la mia cameriera. Se Cassiopea Black ti uccide, poi chi mi pulirà i pavimenti?" Domandò con voce tragica, portandosi la mano destra alla fronte come se stesse per svenire "Mi sento male alla sola idea che possano rimanere sporchi per tutto il tempo che mi servirà per trovare una nuova domestica."

Incredula di fronte a tale uscita, l'olandese sbattè un paio di volte le palpebre.
Poi si dette un pizzicotto, per assicurarsi di non stare sognando. Finendo solo per farsi del male. Cosa che sembrò divertire parecchio la sua interlocutrice.

"Te lo ripeto per l'ultima volta" Rimarcò il concetto Amelie, puntandole un dito contro "Tu non andrai al compleanno di quei due bambini. E non mi interessa se ti sei affezionata a loro stando dai Levenvolde per una sola settimana. Se hai già preso un regalo spedisciglielo per gufo!"
"Ma..." Provò a ribattere ancora Lysbeth, in un moto di ribellione. "Credevo fosse stata invitata anche lei."

Nonostante fosse stata lei a denunciare Darius, ci teneva comunque ad andare a quella festa.
Non solo per portare il regalo - che aveva già comprato - ad entrambi i bambini.
Ma più che altro per cercare di chiarire con quella famiglia, cercando di far loro capire il suo punto di vista.

Anche se era altamente probabile che le avrebbero soltanto sbattuto la porta in faccia.

"Io? Invitata alla festa di due mocciosi? E che cosa ci potrei mai fare con quell'invito? Non li sopporto i bambini!" Replicò Amelie con voce impettita "Se deciderai di uscire da questa porta, potrai considerarti immediatamente licenziata." Chiuse la conversazione dirigendosi verso la porta e aprirla, per poi osservare Lysbeth con sguardo di sfida. "A te la scelta."


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1988, California, Sacramento, Villa Florence



Elliot, con le lacrime agli occhi maltrattenute, guardava impotente l'enorme Villa dove era cresciuto andare a fuoco, mentre gli Auror, i Medimaghi e i vigili del fuoco si affollavano attorno a lui e al fratello, cercando di capire le dinamiche dell'evento e anche se qualcuno, oltre a lui e il fratello, fosse riuscito a sopravvivere a quel disastro.

Elliott ed Isaiah rimasero lì, immobili per un tempo infinito, abbracciati ad aspettare, mentre nel loro cuore la speranza di vedere almeno uno dei due genitori uscire vivo dalle fiamme si affievoliva sempre di più.

Ma tutto ciò che ottennero furono solo flebili risposte.

A quanto sembrava, la loro madre - famosa pozionista - aveva pasticciato con qualcosa di strano nel suo laboratorio, dando così vita accidentalmente alle fiamme, che avevano finito per distruggere non solo il laboratorio stesso, ma anche l'intera casa, oltre che la sua vita e quella del marito.

Elliot e Isaiah, di dodici e vent'anni, erano diventati ufficialmente orfani.

"Adesso chi si occuperà di me?"
"Io Elliott. L'ho promesso a mamma e papà quando sei nato ed è una promessa che intendo rispettare: ti aiuterò e proteggerò sempre."


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30 giugno 2007, Magistudio legale Kennox


"Mi passi il fascicolo Morrison per favore?"

Alla domanda di Alexis, formulata con quel tono così gentile, Caroline innarcò un sopracciglio perplessa.

Il primo istinto era stato quello di risponderle "Puoi sempre appellarlo anzichè chiederlo a me": in fondo, non aveva ancora dimenticato l'ultima litigata che avevano avuto in ufficio, solo pochi giorni prima, sempre sul medesimo argomento.
Tuttavia, il fatto che glielo stesse chiedendo gentilmente e non con il solito tono indisponente ed arrogante, tipico di chi è abituato a comandare su tutto e tutti, dimostrava come, di fatto, almeno una parte del messaggio fosse quasi sicuramente arrivata nella mente di Alexis.

Fu per quel motivo che Caroline, dopo aver emesso un piccolo sospiro, decise di accontentare la collega, facendole arrivare il fascicolo direttamente sulla scrivania con un incantesimo di esilio.

"Grazie." Fu la risposta di Alexis, che le rivolse addirittura un piccolo sorriso.
"Come mai sei qui?" Non riuscì però a trattenersi dal chiedere Caroline "Non dovresti essere al compleanno di tua nipote?"
"Andrò più tardi." Commentò l'altra distrattamente, mentre apriva la cartella di cartone rigido e ne estraeva il fascicolo "Tanto la festa durerà tutto il giorno, quindi non c'è fretta... come mai lo sai?" Domandò poi, vagamente incuriosita.
"Sono stata invitata anche io." Rispose Caroline.
"Ah sì, giusto..." Disse Alexis, cercando di scavare nella memoria "I tuoi gemelli dovrebbero avere più o meno l'età di Lyra... Rebecca e Calmus dico bene?"
"Rachel e Cole." La corresse la Corvonero a denti stretti. "E sì, hanno un anno in più."
"Beh sì, quello che è. Non sono brava con i bambini." Replicò in fretta la purosangue "Anche se mia nipote è, ovviamente, adorabile." Aggiunse ancora più in fretta, quasi come a volersi giustificare.

E il fatto che tu non abbia neanche una sua foto lo dimostra ampiamente. Si ritrovò a pensare Caroline, senza però esprimere il concetto ad alta voce.


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1998, MACUSA



"Florence Elliot?" Domandò la giovane Auror affacciandosi alla porta della stanza dove alcuni prigionieri si trovavano ammanettati "Sei libero. Tuo fratello ha pagato la cauzione."

Con un sorrisino strafottente, Elliot porse i polsi ammanettati all'Auror che lo aveva in custodia, intimandolo così a liberarlo. "Ha sentito no? Sono libero." Lo prese in giro con tono beffardo.
E l'uomo, sbuffando come una ciminiera, fu costretto ad eseguire l'ordine.

"Solo perchè tuo fratello è un giudice, non significa che tu possa fare ciò che ti pare." Lo ammonì puntandogli un dito contro.
"Vogliamo scommettere?" Fu l'unica risposta sarcastica di Elliott prima di abbandonare la stanza, trovando addirittura il coraggio di fargli un occhiolino.



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30 giugno 2007, Villa Black



postimage  Altair Black


"So che forse questo non è il momento adatto... ma devo parlarti."

Perplessa dalla frase quasi sussurrata al suo orecchio dallo zio, Cassiopea si allontanò dalla figlia con no chalance, seguendo Altair Black per il corridoio.
E Lyra, troppo concentrata insieme a Perseus nello spettacolo messo su dagli animatori, neanche se ne accorse.

Non appena la ragazza chiuse la porta dietro di sè, trovò l'uomo comodamente seduto sul divano, con un bicchiere di whisky incendiario in mano.
"Ti fa male quella roba, soprattutto alla tua età." Commentò innarcando un sopracciglio. "E togli immediatamente i piedi dal tavolino."
"Ne offrirei uno anche a te, ma date le tue condizioni non puoi permettertelo." Fu la risposta di Altair con una scrollata di spalle, lanciando un'occhiata al pancione e buttando giù il contenuto del bicchiere tutto d'un fiato, mentre si apprestava a fare ciò che la ragazza gli aveva appena ordinato. "Quand'è che dovrebbe nascere esattamente?"
"Queste cose avresti potuto chiedermele anche fuori..." Replicò Cassy portandosi una mano sul ventre e accomodandosi su una poltroncina "Quindi perchè mi hai chiesto di parlare in privato?"
"D'accordo... sempre dritta al punto eh? Caratterialmente sei uguale ad Antares." Commentò l'uomo, evocando un altro bicchiere di whisky.
"Altair..." Lo ammonì lei.
"Hai ragione: vado dritto al punto allora." Borbottò lui "Come vanno le cose con l'associazione che hai fondato, Cassy?"

Davanti a quella domanda, la Black innarcò un sopracciglio perplessa "Perchè ti interessa? Zia Lizzy ti ha preso di nuovo a pugni e vuoi sbarazzarti di lei in modo legale?" Domandò con un sorrisetto.
"Se provassi a fare una cosa del genere non credo trovereste neanche il mio cadavere." Replicò Altair divertito "Ma tu non hai ancora risposto."
"Perchè non ho una risposta precisa da darti." Ammise Cassy "Dopo il caso Rosier - Nott c'era stata una mobilitazione..."
"Quel caso è stata una autentica genialata, non ti avevo ancora fatto i complimenti." Commentò l'anziano, indirizzando il bicchiere nella sua direzione come per farle un brindisi virtuale.
"...ma poi, a distanza di qualche mese, la proposta di legge è stata bloccata di nuovo." Riprese il discorso Cassy "E adesso, con le accuse contro Darius, ho avuto davvero poco tempo a disposizione per interessarmi all'argomento."
"Come immaginavo." Fu l'unico commento di Altair, mentre faceva comparire davanti a sè il terzo bicchiere.

Che gli venne però sottratto con uno scatto fulmineo da Cassiopea, facendolo sbuffare. "Non ho cinque anni Cassy."

"Non ne avrai 5, ma ne hai 82, per Merlino! Quindi BASTA"
Decretò la ragazza "Perchè ti interessa, comunque? Anzi..." Aggiunse ripensandoci "...perchè lo immaginavi?"

"Perchè queste sono le tipiche tecniche usate per rallentare o insabbiare qualcosa di scomodo." Rispose l'uomo con un sospiro, rassegnandosi all'idea di non poter bere l'ennesimo bicchiere contenente alchool "Non sai come impedire ad una persona di fare qualcosa che non vuoi? Allora distraila." Spiegò "Tu e Darius avete già infranto parecchie regole del mondo purosangue - come, ad esempio, aver convissuto per due anni prima di sposarvi - ma, finchè si trattava di una questione interna a due famiglie, erano tutti disposti a chiudere un occhio. Ma adesso state cercando di allargare la maglia per far passare anche gli altri. E questo non è più considerato accettabile da molte famiglie."

Davanti alla bocca aperta della nipote, che stava per replicare qualcosa, si affrettò a precisare "Non sto dicendo che abbiano commissionato l'omicidio del vostro domestico per incastrare Darius... ma qualcuno si sta sicuramente approfittando della situazione. E' per questo che stanno concentrando le indagini così tanto su di lui." Concluse con sguardo serio. "Lo sai che su queste cose difficilmente mi sbaglio. Quindi, per favore, stai attenta."


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2000, MACUSA


"Florence" Iniziò a dire Curtis Stalkon sudando freddo, rivolgendosi ad Isaiah "noi del Dipartimento ti siamo sempre venuti incontro, per quanto riguarda le situazioni nelle quali tuo fratello è rimasto coinvolto in passato..."
"Ma?" Domandò il giudice con voce ferma, stringendo appena il bordo del bicchiere, in un chiaro segno che denotava tutto il suo nervosismo.
"Ma questa volta le accuse sono davvero gravi..." Provò a spiegare nuovamente Curtis "Ha molestato pesantemente una ragazza! Come faccio ad insabbiare... questa cosa?"
"Non mi interessa come." Proclamò Isaiah, allungando un braccio per prendere la bottiglia di vetro contente scotch e versarsene una dose abbondante nel bicchiere. "Trova-il-modo." Sibilò infastidito.
"Ma..." Provò a farlo ragionare l'altro.
"Oppure dovrò informare i membri del MACUSA di alcuni tuoi... vizietti..." Continuò Isaiah ignorandolo. "In fondo la ragazza era in un locale, giusto? Magari aveva bevuto anche dell'alchool... quanto gliene è stato trovato, con le analisi del sangue?" Gli suggerì. "Se è oltre una certa soglia... la sua testimonianza contro Elliot non vale niente."

Per qualche secondo il silenzio piombò tra i due uomini.
Sapevano entrambi quali fossero le effettive analisi del sangue della ragazza.
Per fare quanto appena suggerito da Isaiah avrebbero dovuto falsificarle.

"D'accordo." Cedette Curtis alla fine, con un enorme sospiro "Lo farò... ma non sarà gratis. Siete diventati troppo scomodi, qui negli Stati Uniti.
Tuo fratello ha collezionato troppe denunce e la gente sta iniziando a chiedersi come mai la faccia sempre franca. Non possiamo continuare così all'infinito.""
"Cosa proponi?" Domandò Isaiah inarcando un sopracciglio.
"So che in Inghilterra, dopo la Seconda Guerra Magica, il Ministero è rimasto a corto di personale, c
ompresi i giudici del Winzengamont." Affermò l'uomo nervosamente "Io insabbierò il caso, ma tu e tuo fratello dovrete andarvene. Mi occuperò io della tua lettera di raccomandazione."



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30 giugno 2007, Villa Black



Gillian, prima di dirigersi verso Cecilia, gettò un'occhiata all'enorme stanza dove erano radunati sia i festeggiati che gli ospiti.
Lyra era accoccolata in braccio ad Elizabeth Black, mentre suo figlio Perseus era impegnato in un finto braccio di ferro con il nonno, Charlus Greengrass, incitato dagli amichetti a vincere la sfida.

Sapendo già che suo padre avrebbe fatto finta di perdere la sfida dopo un po', solo per accontentare il nipote, la Corvonero raggiunse con un sorriso la cugina, che stava assistendo alla scena divertita come tutti gli altri.

"Hai un minuto?"
"Volevo vedere la sfida di tuo figlio!" Protestò l'altra a bassa voce.
"Tanto lo sappiamo tutte e due come andrà a finire" Rispose Gillian, appoggiandole una mano sulla spalla "Mio padre farà finta di perdere e gli chiederà la rivincita, che poi farà finta di perdere di nuovo. Andiamo dai." Ripetè prendendola per entrambe le spalle e iniziando a pilotarla verso la porta della stanza, sempre facendo attenzione a non farsi notare troppo da figli e nipote.

Quando arrivarono nella stanza prescelta, Cecilia le gettò un'occhiata perplessa, incrociando le braccia sotto al petto con aria scocciata. "Si può sapere cosa c'è di così urgente?" 
"Volevo arrivarci per gradi ma ok... dov'è Aster, Sil?" Domandò la Black senza giri di parole. "Hai detto che è in giro per affari, ma almeno per il compleanno dei suoi nipoti poteva farlo un giorno di pausa." Continuò prima che la bocca della Tassorosso potesse aprirsi per propinargli quella scusa.

Per qualche secondo il silenzio calò nella stanza, almeno finchè Cecilia non proclamò con un filo di voce. "Gli ho detto io di non venire oggi."
"E perchè?" Domandò a quel punto Gillian, sgranando gli occhi sorpresa. "Avete dei problemi?"
"Non esattamente..." Borbottò la tassorosso. "Se fosse venuto avrebbe visto tutti quei bambini..." Provò a spiegare, abbassando progressivamente il tono di voce, quasi vergognandosi.
"Non mi sembra che ad Aster non piacciano." Replicò la Corvonero, non riuscendo ancora a capire quale fosse il problema.
"E' proprio questo il problema!" Esplose a quel punto Cecilia "Siamo sposati da ormai 6 anni e ancora non ne ho avuti! Sono rimasta incinta già tre volte, ma li ho persi tutti nell'arco dei primi due mesi! Ho fatto visite su visite e tutti i medici hanno detto che sia io che lui siamo fertili, quindi non riescono a capire dove sia il problema!" Continuò a sfogarsi, ormai con le lacrime agli occhi "Tu e Cassiopea siete entrambe rimaste incinte subito, durante la luna di miele, tu hai avuto il secondo dopo neanche due anni e a Cassy manca ormai poco. Miranda si è ritrovata direttamente madre, visto che Hitoshi una figlia già ce l'aveva... io invece no! Non fraintendermi Gilly, adoro sia voi che i miei nipoti, ma non ce la facevo a condividere con Aster tutto questo! Ho bisogno di un breve periodo di stacco, lontano da casa e da mio marito. Per questo motivo sono qui."



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2002, Londra, Dragon's pub


Seduto al bancone dell'angolo bar, Elliot buttò giù tutto d'un fiato il bicchiere stracolmo di vino elfico, poi tamburellò con le dita sul bordo del bicchiere ormai vuoto, ragionando su come procedere.

Quando suo fratello gli aveva comunicato, ormai due anni prima, che entrambi avrebbero dovuto sloggiare dagli Stati Uniti perchè lui ne aveva combinate davvero troppe, si era inizialmente incazzato, cercando di opporsi in tutti i modi a quella decisione univoca.
Gli Stati Uniti erano sempre stati la sua casa in fondo.
Ma Isaiah non aveva voluto sentire ragioni.
E così Elliot si era dovuto adeguare: in fondo lo sapeva anche lui che senza suo fratello a coprirlo in tutte le sue malefatte, non sarebbe sopravvissuto un giorno a piede libero.

Tuttavia, ben presto, era riuscito a creare anche in Inghilterra una rete di contatti parecchio utile, scoprendo così che in quella regione c'era qualcosa di parecchio più interessante di ciò che si era lasciato alle spalle.
In Inghilterra c'erano le cosiddette "Sacre 28", le 28 famiglie purosangue di retaggio più antico. Che nonostante la Seconda Guerra Magica, erano comunque riuscite a mantenere in qualche modo il potere concentrato nelle loro mani.

E dove c'era il potere, c'erano segreti e scandali da nascondere.
Un nuovo mare pieno di pesci da pescare, per un abile pescatore come lui.

E, cosa ancora più importante, il Governo aveva deciso di abolire con una legge lo status di servitù degli elfi domestici.
Un gesto umanitario, per molti.
Ma lui, che era molto più furbo e in grado di proiettarsi con la mente in avanti, era riuscito ad intravedere una possibilità enorme in quella apparente innocente mossa politica: gli elfi domestici erano sempre stati i custodi silenziosi delle case della gente ricca, vincolati dalla stessa magia a mantenere il riserbo e il silenzio anche sui segreti più scandalosi che si consumavano tra le mura domestiche.

Ma con la loro liberazione, quei compiti erano passati agli uomini. Che tale vincolo non avevano.

E lui stava diventando un esperto su come farli parlare.
Tra le sue mani, aveva ormai le chiavi delle case delle famiglie più importanti di Inghilterra.
Una vera manna dal cielo.

Alla fine dei conti poteva anche ringraziarlo suo fratello, per averlo trascinato lì.



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30 giugno 2007, Dipartimento Auror


"Aysha!" Esclamò Eleanor, vedendo la collega uscire dal camino completamente gocciolante "Sei tornata!" Esclamò sorpresa.
"Uff!" Sbuffò la ragazza in risposta, togliendosi l'impermeabile e lasciando una scia d'acqua sul pavimento "Non mi ricordavo facesse così caldo in Inghilterra! Dove c'ero io era in atto un acquazzone tremendo!"
"Lo vedo!" Replicò la Corvonero divertita, puntandole la bacchetta contro per aiutarla ad asciugarsi "Dov'eri esattamente?" Domandò poi curiosa.
"In Francia, ad Arles." Fu la risposta di Aysha "Sembrava che gli Snow si fossero rifugiati temporaneamente lì, ma a quanto pare siamo arrivati tardi." Spiegò piegando la giacca e sistemandola sull'attaccapanni. "Potevo continuare le ricerche con gli altri Auror, ma ho deciso di ritornare: qualcosa mi dice che loro non c'entrano nulla e che l'assassino si trovi ancora in Inghilterra." Spiegò pratica "Così eccomi di nuovo qui! Aaron è nel suo ufficio? Devo fargli rapporto." Concluse poi, iniziando a dirigersi verso l'ufficio del suo capo.
"Inutile che ci vai: Aaron non c'è." La bloccò però Eleanor, dirigendosi nuovamente verso la scrivania e rimettendosi a sedere con uno sbadiglio. "E' a casa di Darius."
"Stiamo ancora indagando su di lui?" Si interessò a quel punto Aysha, inarcando un sopracciglio perplessa.
"Magari approfitterà della situazione per guardarsi un po' attorno." Replicò la rossa con una scrollata di spalle "Ma ti ricordo che oggi è il compleanno di Lyra." Le disse indicando la scrivania completamente sgombra di Darius, ad eccezione delle foto di moglie e figlia.
"E come mai non sei andata anche tu allora?" Domandò l'altra, vagamente perplessa. "In fondo lavorate insieme da quanto? 7 anni?"

Per qualche secondo il silenzio calò tra le due, mentre Eleanor cercava di pensare ad una risposta che fosse il più neutra possibile.

'Perchè sua moglie è gelosa marcia e vede cose che non esistono' non poteva essere una risposta adatta.
Così, dopo averci pensato un po', optò per un semplice "Diciamo che al momento gli Auror non sono ben visti in quella casa. Quindi Aaron basta e avanza."



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18 Giugno 2007 (pochi giorni prima dell'omicidio)


"Elliot Florence?"

Sentendo chiamarsi con nome e cognome da una voce maschile, il paparazzo si voltò, trovandosi così davanti ad un sorridente Samuel Larson.
"Immagino si ricorderà di me." Continuò il cameriere, allungandogli una mano per stringergliela. "L'ho sbattuta fuori di peso stamattina dalla Villa dei Levenvolde." Gli ricordò con un sorrisetto impertinente.
"Come dimenticarselo?" Replicò ironicamente Elliot "Ho sbattuto il naso sul terreno a causa della colluttazione e ho il divieto di accedere al San Mungo... faccia lei."
"Sono desolato." Commentò Samuel, in un tono che faceva capire perfettamente l'esatto contrario "Tuttavia sono sicuro di poter rimediare." Continuò con un sorriso mellifluo. "E la prima informazione che le fornirò, come risarcimento, è questa: lei sta cercando nel posto sbagliato."
"Cosa intende dire?" Domandò a quel punto l'americano, inarcando un sopracciglio.
"Non troverà nulla di strano su Cassiopea e Darius Levenvolde, introducendosi di nascosto in casa loro: sono la classica famiglia perfetta." Specificò Samuel, ordinando con un gesto della mano un drink al cameriere. "Quindi glielo ripeto: deve cercare altrove."
"Continuo a non capire." Replicò Elliot confuso.
"Se vuole trovare qualcosa su di loro... deve cercare... a monte." Gli suggerì il cameriere con un occhiolino, finendo di trangugiare il suo drink e alzandosi in piedi per andarsene.
"Mi sta prendendo in giro per caso?" Domandò a quel punto l'americano, con una nota di irritazione nella voce.
"Sono sicuro che un giornalista con le sue doti saprà sicuramente districare l'enigma."  Replicò Samuel con un occhiolino strafottente, prima di smaterializzarsi.


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30 giugno 2007, San Mungo


"Julia Carlisle?"
"Sì?" Replicò quest'ultima voltandosi e trovandosi davanti agli occhi una donna dai capelli rossi.
"Sono Melisandre McTavish." Si presentò l'investigatrice, allungandole la mano per stringergliela. "Sono un'investigatrice privata.
" Spiegò sinteticamente, vedendo l'espressione confusa presente sul volto della medimaga.

Davanti al totale mutismo della donna, Melisandre si sentì in dovere di aggiungere "Lavoro per i Levenvolde. Non è lei ad aver eseguito l'autopsia sul cadavere di Samuel Larson?"
"Io... sì, l'ho fatta io." Confermò Julia riprendendosi.
Anche se cerco sempre di scordarmene, soprattutto da quando Elliot Florence mi sta alle costole.
"Cosa posso fare per lei?" Domandò a quel punto la medimaga, cercando di tornare professionale e distaccata, come richiedeva il suo ruolo.

"Posso visualizzare il file originario?" Chiese Melisandre "Quello che ha redatto durante la stessa autopsia insieme a Caroline Fisher?"
"Solo se mi dimostra davvero di essere chi afferma di essere." Replicò Julia, alzando la testa con aria di sfida. "E se il mio capo mi da il permesso."
"Naturalmente, nessun problema." Affermò l'investigatrice, estraendo dalla tasca un documento e porgendolo gentilmente a Julia.

Per qualche minuto la medimaga lo analizzò, cercando particolari che eventualmente potessero non suonarle coerenti.
Poi, vedendo che tutto quanto era in ordine, si alzò dalla sedia. "Da questa parte, mi segua." La invitò "La porto dal mio capo: se lui non farà obiezioni, le farò visualizzare anche il file originario."
"La ringrazio."



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30 giugno 2007, Villa Black


"Ti dirò, mi ha sorpreso aver visto il tuo invito a questa festa." Commentò Aaron appoggiando due pacchi sul tavolo, insieme agli altri regali. "Tua moglie non ha avuto nulla da ridire?"
"Non ne era entusiasta" Ammise Darius con un sospiro "Ma Lyra è sveglia... se nessuno dei miei colleghi fosse venuto avrebbe sicuramente iniziato a fare delle domande... e stiamo cercando di non dirle nulla, a meno che non sia strettamente necessario." Continuò a spiegare "Non sa neanche niente di Samuel... è convinta che sia andato in vacanza, più o meno come lo sono io. Quindi, per favore, cerca di non farti sfuggire nulla sull'argomento." Lo pregò.
"Capisco perchè l'avete fatto." Affermò il capo Auror "E sono davvero affezionato a tua figlia, così come penso lo siano tutti i colleghi. Non sarei mai mancato comunque, anche a costo di farmi sbattere la porta in faccia."
"Lo immaginavo." Borbottò il russo, mentre l'ombra di un sorriso faceva capolino sul suo volto.
"Ma devo comunque chiederti una cosa..." Riprese il discorso Aaron, dopo un attimo di tentennamento. "Hai la lista esatta degli invitati alla festa del 21? Non intendo solo chi era presente, ma anche chi è stato invitato e che poi, per un motivo o per un altro, non si è presentato."
"Se vuoi una risposta precisa devi chiedere per forza a Cassy." Replicò però Darius, grattandosi la testa in imbarazzo "Io in queste cose non ci metto mai naso, quindi non saprei davvero come aiutarti."
"Correrò il rischio di farmi uccidere da tua moglie allora." Borbottò Aaron alzando gli occhi al cielo, prima di rendersi conto della pessima battuta che aveva appena fatto senza accorgersene.


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30 giugno 2007, Villa Black


"No nino! Non se tocca la torta!" Commentò Catalina, afferrando Diego al volo - entrato in cucina in un momento di distrazione delle due donne - ed impedendogli così di tuffare il dito nell'abbondante strato di cioccolata presente sulla torta di pan di spagna. "Dopo ne avrai una fetta come todos, ma adesso no!"
"Ma mamà!" Replicò il bambino assumendo un'espressione corrucciata, essendo stato colto con le mani nel sacco.
"Ho detto de no! Non è tua!" Replicò sua madre, forse un po' troppo duramente.

Candice, vedendo che il bambino stava per mettersi a piangere, si affrettò ad intervenire.
"Ehy Diego!" Lo chiamò attirandone così l'attenzione "Mi è avanzato del cioccolato nella ciotola..." Propose allungandogli quella dove ne aveva sciolto fino a pochi minuti prima "Sull'impasto non ci stava tutto e a me non va di mangiarlo... lo vuoi tu?" Domandò vedendo immediatamente l'ombra di un sorriso spuntare sul volto del bambino, che guardò sua madre titubante prima di accettare ciò che l'americana gli stava porgendo.
"Graciaz!" Balbettò imbarazzato, appropriandosi della ciotola e immergendo immediatamente un dito dentro, per poi portarselo alle labbra.

Anche Catalina la ringraziò con lo sguardo, prima di girarsi e iniziare a sistemare le candeline sulla torta.
"Perchè sei di qua, me amor?" Domandò poi, innarcando un sopracciglio. "Non vuoi stare di là a giocare con gli amichetti?"
"Sono gli amici di Lyra e Perseus, non i miei." Replicò il bambino, tornando ad assumere un'espressione triste. "Loro sono ricchi, io no." Spiegò con una onestà disarmante, facendo gelare sia sua madre che Candice.

Tuttavia la possibilità di rispondere venne loro tolta dalla porta che si aprì, facendo sbucare proprio Perseus e subito dopo, a breve distanza, Lyra. "Diego cosa ci fai qui?" Domandò stupito il primo, addocchiando subito dopo la ciotola contenente il cioccolato. "Me ne dai un po' per favore?" Chiese poi con gentilezza.
"Anche a me!" Si unì Lyra "Per favore." Aggiunse subito dopo, ripensando alle buone maniere che sua madre stava cercando di inculcarle.

"Se aspettate cinque minuti ci sarà una torta enorme tutta a vostra disposizione." Intervenne a quel punto Candice, segnalando così la sua presenza ad entrambi, che non l'avevano notata affatto, troppo presi da Diego e dalla cioccolata.
"Con la cioccolata?" Domandò Lyra speranzosa, girandosi verso di lei.
"E con la panna?" Rincarò la dose Perseus.
"Ay! E c'è anche la crema." Confermò Catalina, finendo di sistemare con un colpo di bacchetta gli ultimi dettagli della torta. "Se me precedete la porto fuori." Li invitò.
Senza farselo ripetere due volte, i bambini afferrarono Diego - Perseus per il braccio destro e Lyra per quello sinistro - e lo trascinarono fuori con loro. "Devi aiutarci a spegnere le candeline!"

"Beh, almeno quei due non sembrano pensarla allo stesso modo." Commentò Candice aggrottando le sopracciglia.
"Questo non toglie che dovrò parlargli presto." Rispose Catalina, assumendo un'espressione pensierosa.



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"Sì, certo. La lista è dentro allo studio del nonno." Affermò Cassy mentre i bambini erano impegnati con la torta, lasciando Aaron completamente stupefatto.

Di sicuro la ragazza non sembrava felice della sua presenza, ma neanche scontrosa come al solito.


Senza commentare, l'Auror si limitò a seguirla per il corridoio, finchè i loro passi non si arrestarono davanti ad una porta chiusa di legno massiccio.
Il vecchio studio di Antares Black.
E fu davanti alla porta di legno che Cassiopea si bloccò di colpo, sgranando gli occhi e facendo un passo indietro, coprendosi il pancione con la mano come a volerlo proteggere.

"Darius... c'è qualcuno dentro."
"Come?" Domandarono i due uomini in coro, avvicinandosi ed estraendo le bacchette.
"Sei sicura?" Insistette Aaron.

Ma che diamine stava succedendo in quella casa?

"Gli incantesimi di protezione, quelli messi su da mio nonno, sono tutti spezzati... e in pochi sanno dove si trovano o come fare a scioglierli." Confermò lei in un sussurro, indietreggiando ancora
e impallidendo talmente tanto che per un attimo Aaron temette che le stesse per venire un collasso. "Ma è ancora attivo quello anti smaterializzazione: chiunque si trovi dentro, non può uscire."
"Vado io." Commentò a quel punto Aaron, bloccando per un braccio Darius "Tu cerca di evitare che tua moglie svenga."

Evidentemente c'era un incantesimo anche di insonorizzazione in quella stanza, pensò l'Auror non appena aprì la porta.
Finchè erano rimasti fuori, nessuno di loro aveva sentito i rumori tipici di chi stava frugando tra i mobili, così come invece riusciva a sentirli chiaramente lui in quel momento.

Avanzando con il tipico passo felpato che aveva sviluppato negli anni come Auror, Aaron riuscì ad arrivare fino a pochi millimetri di distanza dall'ospite indesiderato, puntandogli così la bacchetta tra le costole e prendendolo di sorpresa.

"In nome del Ministero della Magia, ti dichiaro in arresto per violazione di domicilio e tentato furto." Comunicò con voce ferma.
'E se mi va fatta bene, anche per omicidio.' Pensò fra sè e sè.

Con le mani alzate, l'uomo si girò verso di lui.
Fu così che Aaron Morgan riconobbe Elliot Florence.


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A questo giro vi propongo una "terna mista", ossia un Auror, una cameriera e una purosangue.
Che la sfida abbia inizio! (risposte per MP entro il 25/05)

- Alexis Buldstrode
- Aaron Morgan
- Lysbeth Gwen Chevalier

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Capitolo 11
*** 9 - Aaron Morgan ***


9
Piccolo avviso prima di lasciarvi alla lettura: questo capitolo è strettamente collegato al precedente: letti uno di seguito all'altro vi risulteranno sicuramente più chiari.

ps: le scene non sono in ordine cronologico


- Aaron Morgan - 



postimage 
Aaron Morgan, 11 luglio 1972, Grifondoro



Avanzando con il tipico passo felpato che aveva sviluppato negli anni come Auror, Aaron riuscì ad arrivare fino a pochi millimetri di distanza dall'ospite indesiderato, puntandogli così la bacchetta tra le costole e prendendolo di sorpresa.

"In nome del Ministero della Magia, ti dichiaro in arresto per violazione di domicilio e tentato furto." Comunicò con voce ferma. 
'E se mi va fatta bene, anche per omicidio.' Pensò fra sè e sè.

Con le mani alzate, l'uomo si girò verso di lui.
Fu così che Aaron Morgan riconobbe Elliot Florence.

(cap. 8 - Elliot Alexander Florence)





30 giugno 2007, Ministero della Magia, Dipartimento Auror




"Perchè ti sei introdotto di nascosto nella casa di Cassiopea e Darius Levenvolde?"

Alla domanda di Aaron, Elliot continuò a tacere, guardando un punto fisso poco sopra la sua spalla.

"Perchè proprio nel vecchio studio di Antares Black?" Insistette l'Auror.

Ma nuovamente non ottenne alcuna risposta.

"Perchè proprio il giorno del compleanno di Lyra Levenvolde e Perseus Black?" Chiese nuovamente l'uomo. "Pensavi che tutti fossero abbastanza distratti da non accorgersene?"

Aaron ottenne però in cambio soltanto silenzio.

"Posso anche andare avanti tutto il giorno. Fino a notte fonda, se necessario." Specificò l'Auror, ottenendo così finalmente una prima reazione.
"Accomodati." Fu la risposta infatti dell'altro, sfoggiando un sorrisetto ironico "Ho parecchio tempo a disposizione per non risponderti."

"Hai ucciso tu Samuel Larson e sei tornato sul luogo del delitto per cercare di occultare delle prove?" Tentò ancora Aaron, non tenendo conto della provocazione.

A quella domanda, Elliot cercò di rimanere impassibile, tuttavia il suo corpo lo tradì, facendogli eseguire uno strano scatto. "Voglio il mio avvocato. Anzi, voglio mio fratello." Affermò lanciando uno sguardo di sfida all'Auror.
Con sua enorme sorpresa, Aaron gli rivolse un sorriso altrettanto ironico. "Ma certo: è qui fuori." Gli comunicò con voce vellutata. "Lo faccio entrare subito. In fondo... è un tuo diritto." Concluse alzandosi in piedi e dirigendosi verso la porta.

Con un ultimo cenno in direzione del paparazzo, che aveva i polsi ammanettati alla catena che sbucava dal tavolo, l'Auror aprì la porta, permettendo così ad un Isaiah ringhiante di entrare e notando subito Eleanor avanzare nella sua direzione con una tazza di caffè in mano.

"Come va?" Gli domandò la rossa, appoggiandogli appena una mano sulla spalla e porgendogli la tazza in un tentativo di conforto.
"Non è una novità che non parli." Rispose Aaron "Ma questa volta l'ha fatta davvero troppo grossa perchè anche suo fratello possa fare qualcosa per aiutarlo." Decretò accettando la tazza e bevendo un sorso della bevanda calda. "Adesso voglio che raggiunga Aysha di là, nella stanza degli specchi e che non vi perdiate una sola sillaba della conversazione tra lui e il fratello." Ordinò.
"Tu non vieni con noi?" Domandò Eleanor a quel punto sorpresa.
"Vi raggiungo tra un po'." Liquidò lui velocemente la vicenda "Prima devo fare una cosa." Comunicò prima di lasciare quel lungo corridoio a passo svelto, non dandole così modo di replicare.


Non appena raggiunse l'esterno dell'edificio, si appiattì contro la parete, iniziando a fare respiri profondi.

I luoghi chiusi e piccoli, come le stanze adibite agli interrogatori, continuavano a dargli fastidio e a causargli crisi di panico, nonostante fossero passati anni.

Pian piano si accasciò su se stesso fino a sedersi sull'asfalto, ripetendosi mentalmente di respirare e guardare il cielo.



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18 febbraio 1988, Hogwarts, Ufficio della Vicepreside McGranitt



"Professoressa, sono qui. Posso entrare?" Domandò il permesso Aaron dopo aver bussato leggermente alla porta, avendola trovata già aperta.
Indirizzandogli un'occhiata neutra, Minerva depositò il fascicolo del ragazzo sulla scrivania. "Venga pur dentro signor Morgan, la stavo aspettando. Si accomodi."

Seguito dallo sguardo dell'insegnante, il ragazzo attraversò l'ufficio, arrestandosi davanti alla scrivania e sedendosi sulla sedia di legno, mentre sentiva i palmi delle mani iniziare a sudargli.
Per quanto conoscesse già il motivo della convocazione e sapesse perfettamente di non aver fatto nulla di male, la direttrice della sua casa aveva lo strano potere di renderlo sempre nervoso.

"Come lei ben saprà" Iniziò a dire l'insegnante, mentre Aaron finiva di accomodarsi, appoggiando la borsa per terra "questi colloqui sono volti ad orientare lo studente verso la sua carriera futura."
A quelle parole il Grifondoro si limitò ad annuire. Certo che lo sapeva.
"Ho avuto modo di analizzare il suo fascicolo e la sua progressione scolastica in questi cinque anni." Continuò la docente impassibile, estraendo dalla cartellina alcuni fogli di pergamena. "E vedo che lei ha dei voti discreti un po' ovunque, senza però raggiungere l'eccellenza... a parte in Difesa, dove ha sempre ottenuto il massimo."
"Confermo." Annuì il ragazzo.
"Dunque le chiedo: ha già un'idea della carriera lavorativa che vorrebbe intraprendere, una volta terminato il suo percorso ad Hogwarts?"

A quella domanda, Aaron si sciolse nel primo vero sorriso da quando si trovava in quella stanza.
Almeno per quanto riguardava il suo futuro, aveva sempre avuto le idee chiare.

"In effetti sì professoressa: voglio diventare un Auror."



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30 giugno 2007, Ministero della Magia, Dipartimento Auror



Isaiah Florence, non appena Aaron Morgan gli diede il permesso, entrò come una furia nella stanza dove era stato rinchiuso il fratello.
Tuttavia, appena i suoi occhi ebbero visualizzato la figura del consanguineo, lo fissò per qualche secondo in assoluto silenzio, stralunato.

"Che cosa... cosa diamine è successo alla tua guancia?" Domandò sbalordito, vedendo il lungo segno rosso che occupava abbondantemente quella porzione di pelle.
"Cassiopea Levenvolde." Borbottò il fratello, dopo qualche secondo di silenzio. "Dovrebbe essere denunciata per aggressione e rinchiusa in un manicomio!"

Per qualche minuto Isaiah non disse assolutamente nulla, mentre chiudeva gli occhi e portava l'indice e il pollice della mano destra alla radice del naso per massaggiarsela, in un chiaro segno di nervosismo.
Gli dava ovviamente fastidio quello che la donna aveva fatto a suo fratello, ma, almeno in quel caso, non poteva davvero fare nulla per toglierlo dai guai.

"Ti ricordo che la suddetta donna è incinta" Spiegò quasi in un ringhio "E tu sai cosa significa? Potrebbe anche commettere un omicidio e non sarebbe comunque perseguibile per legge!" Sbraitò "Inoltre, tu sei entrato in casa loro, senza nessun tipo di invito: questa è violazione di proprietà privata! In pratica avrebbero potuto anche ucciderti ed essere dalla parte della ragione!" Urlò con tutto il fiato che aveva in gola "In pratica gli hai fornito ben due ragioni valide per farti fuori! TI RENDI MINIMAMENTE CONTO DELLA SITUAZIONE? Questa volta sei andato troppo oltre perchè io possa fare qualcosa! E ti sei pure fatto arrestare come un fesso da un uomo che ricopre uno dei ruoli più in alto della scala gerarchica del Dipartimento!"
"Avevano due ragioni valide per farmi fuori, eppure non l'hanno fatto. Non ti viene da chiederti il perchè, fratello?" Domandò a quel punto Elliot, sorridendo vittorioso.



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9 aprile 1991, Accademia Auror




"Rialzati."

Dal momento che faceva fatica anche solo a respirare, Aaron non obbedì subito all'ordine del suo istruttore.
Rimase quindi a terra, bocconi, continuando ad alzare e abbassare ritmicamente il petto, nella speranza di incamerare ossigeno e riprendersi.

"Ho detto 'rialzati'." Ripetè Altair impassibile, mettendo mano alla bacchetta e puntandogliela contro.
"Non... non ci riesco." Boccheggiò il Grifondoro senza forze.

"E pensi che me ne freghi qualcosa?" Lo derise l'Auror "Crucio."

"NO!" Si oppose a quel punto Aaron.
Con uno scatto fulmineo, riuscì a spostarsi e a rimettersi in piedi, proprio mentre la prima sfilza di incantesimi piombava su di lui - o meglio, nel punto dove si era trovato fino ad un attimo prima.
Cercando di non perdere di vista l'avversario, evocò velocemente uno scudo protettivo, mentre l'istruttore continuava ad attaccarlo senza sosta con diversi incantesimi non verbali.

Poi, fu un attimo.
Non seppe bene come, ma di punto in bianco riuscì a capire cosa Altair Black stesse per fare. Per fargli.

Istinto di sopravvivenza probabilmente.


Così, mentre l'uomo lo attaccava, il grifondoro reagì di conseguenza.

Pochi secondi dopo si ritrovò di nuovo a terra, boccheggiante, colpito e dolorante più di prima - e probabilmente anche con una gamba fuori uso.
Però, notò con soddisfazione, non era stato l'unico ad essere colpito.

Altair Black, lasciando perdere per pochi secondi la sua solita espressione imperturbabile, si portò la mano destra sulla fronte, appena sopra al sopracciglio destro, strisciandosi il pollice sulla pelle.
Un rivolo di sangue gli scendeva fino all'occhio, appannandogli momentaneamente la vista.

Aaron trattenne il fiato, incerto su come quel suo gesto potesse essere interpretato.
Ma tutti i suoi dubbi vennero sciolti poco dopo, quando il viso di Altair si aprì in un piccolo sorriso. "Ecco, vedi? Era esattamente questa, la reazione che volevo. Vieni ragazzo" Aggiunse agguantandolo e aiutandolo a rimettersi in piedi "Ti accompagno in infermeria: per oggi può bastare."



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30 giugno 2007, San Mungo



Melisandre, mentre aspettava lungo il corridoio che il capo di Julia firmasse tutti i documenti necessari dal punto di vista burocratico per permetterle di analizzare il file originale della autopsia di Samuel Larson, si perse ad osservare la figura della medimaga, in attesa accanto a lei.

I capelli castano chiari e mossi, gli occhi allungati sempre castani che però viravano sul verde se venivano colpiti da una certa luce, il naso a punta e le labbra piene.

Continuava a scrutarla dall'alto in basso, con discrezione, cercando di farsi notare il meno possibile.
Tuttavia, evidentemente, almeno in quel caso, non fu abbastanza brava ad agire senza farsi notare.

"Ha bisogno di qualcos'altro, oltre a quel documento?" Domandò infatti Julia voltandosi verso di lei con le sopracciglia vagamente inarcate, in una comprensibilissima espressione interrogativa.
"No, per ora mi serve solo quello." Replicò Melisandre scuotendo la testa e accantonando momentaneamente i suoi pensieri. "Però, visto che me lo sta chiedendo... so che secondo la procedura dell'ospedale se un medico fa un'autopsia deve essere affiancato da un soggetto esterno, per garantite che la procedura venga eseguita nel dettaglio. Posso sapere chi l'ha aiutata a svolgere tale operazione?"

"Vedrà di sicuro la sua firma anche nell'atto, quindi non ho problemi a dirglielo: sono stata affiancata da Caroline Fisher... è un'avvocatessa dello studio Kennox." Fu la risposta tranquilla di Julia.

"E poi, volevo chiederle..." Iniziò nuovamente l'investigatrice, prima di interrompersi ed esitare, attirando così nuovamente l'attenzione dell'altra donna "Noi due ci conosciamo già per caso? Lei ha un profilo che sono sicura di avere già visto, da qualche parte."

La possibilità di rispondere di Julia venne però interrotta dal suo capo, che scelte proprio quel momento per uscire nel corridoio con i moduli firmati e la cartelletta contente il file che serviva a Melisandre.
"Ecco a lei detective." Disse porgendoglielo. "Ha bisogno d'altro?"
"No grazie, per ora no."
"Nel caso, siamo a sua disposizione."

 

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5 novembre 1997, Ministero della Magia



Faceva freddo, molto freddo. Troppo.
Di quel gelo penetrante che ti arrivava fino alle ossa.
Aaron faceva una fatica tremenda a trattenersi dallo sbattere continuamente i denti. L'unico motivo che lo convinceva a non dimostrare quanto freddo - e anche quanta paura - provasse in quel momento era il fatto di non voler dare loro soddisfazione.

Ma a quanto poteva servire il suo orgoglio in tale circostanza?

Li avevano presi. Lui e i suoi genitori erano stati presi.

Dopo la caduta del Ministero, avevano fatto l'errore di temporeggiare, decidendo di non andarsene subito dall'Inghilterra. Volevano aiutare la resistenza.
Ed era stato l'errore più grosso che avessero mai potuto fare.

"Lei è Aaron Morgan?" Domandò Dolores Umbridge, con il tipico tono di voce di chi aveva ormai ripetuto le stesse domande migliaia di volte.
"Sì." Si limitò a rispondere lui. Che senso aveva mentire, in fondo?
"Figlio di Michael ed Annabelle Morgan?"
"Sì." Confermò nuovamente.
"Ex Auror traditore del Ministero?" Chiese lei con voce soave, allargando il sorriso.
"E' il Ministero che ha tradito se stesso, non il contrario." Non riuscì a trattenersi dal commentare l'uomo.
"Il suo compito è solo rispondere 'sì' o 'no', non fare valutazioni personali." Commentò fredda la Umbridge, arricciando il naso per quella risposta insolente. "Ora mi dica, signor Morgan... a quale mago i suoi genitori hanno rubato la magia? Sono entrambi nati babbani, dico bene?"
"Loro non hanno rubato proprio nulla!" Si ribellò Aaron.
"BUGIARDO! La tua magia è un abominio!" Replicò la donna.
"NO!" 
"Frutto di un furto ai danni di ben due maghi!"
Continuò lei imperterrita.
"NON E' VERO!"
 
"Per questo motivo la Corte vi condanna - tu e i tuoi genitori ladri - alla detenzione nella prigione di Azkaban a vita!" Concluse sbattendo il martelletto sul tavolo. "La seduta è tolta."

Avrebbe tanto voluto ribellarsi ancora, ma lo avevano privato ormai giorni prima della bacchetta.
E non poteva neanche contare sulle sue forze: si erano divertiti, in attesa di quel processo farsa, a lasciarlo senza cibo e senza acqua, alternando su di lui torture varie.
Gli stessi che fino a qualche mese prima aveva considerato come suoi buoni colleghi.

Non seppe chi di quelli che lo trascinavano, ma uno di loro lo schiantò.
Il suo ultimo pensiero prima di svenire fu che non ci sarebbero mai riusciti, se lui fosse stato in forze e armato di bacchetta.

Quando riaprì gli occhi si ritrovò rannicchiato in una delle celle buie, umide, fredde e strette di Azkaban.



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30 giugno 2007, Ministero della Magia, Dipartimento Auror



Aysha, dopo essersi data il cambio con Eleanor nella sala degli specchi, raggiunse Darius e Cassiopea.
La ragazza aveva approfittato della presenza di un divanetto in un saletta riservata per sdraiarsi un po', perciò in quel momento si trovava con gli occhi chiusi e con la testa appoggiata alle gambe del marito, che le accarezzava i capelli.

Tuttavia percepì subito la presenza della ragazza e di conseguenza aprì gli occhi di scatto.

"Vi ho portato un po' di the." Spiegò l'Auror, indicando il grosso bicchiere che aveva in mano, cercando così di mostrarsi premurosa e gentile.
"Sai qual è l'unica cosa sulla quale la mia ginecologa si è raccomandata all'infinito, per quanto riguarda quest'ultimo periodo di gravidanza?" Domandò Cassiopea, girando solo la testa nella sua direzione "Di non essere sottoposta a fonti di stress. Prima l'omicidio, poi le vostre accuse insistenti contro mio marito e adesso Elliot Florence si introduce in casa nostra ma veniamo trattenuti anche noi come se avessimo fatto chissà che cosa!" Sbraitò iniziando a piangere "E Aaron è sparito!" Continuò "Quindi... cosa diamine me ne faccio del tuo the? Probabilmente sarà anche pieno di veritaserum!" Continuò alzando la schiena di scatto. "Voglio solo andare a casa! Oppure strozzare Elliot Florence con le mie mani!" Aggiunse ripensandoci.

Davanti a quel discorso, Aysha non se la sentì di darle torto.
Tutta quella situazione non sarebbe stata facile da gestire neanche in condizioni normali, figurarsi con una gravidanza che aveva ormai superato il settimo mese.
Tuttavia non poteva agire diversamente. E aveva fatto tutto il possibile per cercare di metterli a loro agio - come ad esempio fornire il divanetto dove potersi sdraiare - anche se con tutte le limitazioni del caso. Anche portare il the doveva servire a quello scopo.
Anche se, doveva ammetterlo, aveva davvero pensato di inserire qualche goccia di veritaserum dentro alla bevanda.
Ma poi aveva desistito per coscienza.
C'erano studi controversi sugli effetti che la pozione poteva avere su una gravidanza. E lei non se l'era sentita di rischiare fino a quel punto.

"D'accordo, allora non beva il the, se così le aggrada, ma le garantisco che non c'è veritaserum dentro." Disse appoggiando il bicchiere su un tavolino lì vicino. "Devo farvi poche domande, poi potete ritornare a casa. Se preferite, può farvele Aaron, ma dovremo aspettare che torni."  Offrì loro.

"Faccia pure lei... tanto ormai..." Borbottò Cassy, dopo essersi scambiata uno sguardo con Darius.
"Cosa c'è dentro al vecchio studio di suo nonno? Cosa potrebbe aver spinto il Signor Florence a cercare lì dentro?"
La Black si strinse però le spalle "Non ne ho idea. Ho un mobile che contiene le mie cose lì dentro, che mi è sempre appartenuto fin da quando sono nata e del cui contenuto posso fornirvi una lista dettagliata a memoria, ma tutto ciò che è stato di mio nonno... rimane di mio nonno. Non ho mai toccato nulla, da quando se n'è andato, perciò non lo so."

Aysha rimase stranita da quella strana risposta e non sapeva se la donna le avesse fornito la verità, tuttavia capì che anche inistendo non avrebbe ottenuto nulla di diverso. Perciò decise di passare alla domanda successiva. "Elliot ha detto a suo fratello che se non l'avete ucciso oggi, nonostante aveste più di un motivo per farlo, è stato per una ragione ben precisa."

A quella domanda fu Darius a rispondere "Semplici circostanze. Aaron si trovava con noi per un caso fortuito e Cassy era sul punto di avere un collasso. Mi ha semplicemente consigliato di occuparmi di lei, mentre all'intruso ci avrebbe pensato lui. Può confermarlo lui stesso. Se fossimo stati da soli in casa, non mi sarei fatto molti scrupoli. Anche perchè non sapevamo chi fosse, finchè Aaron non l'ha portato fuori ammanettato."
"Hai un'accusa di omicidio sulla tua testa ma ne avresti commesso un altro?" Domandò a quel punto Aysha scettica.
"Con mia moglie incinta e mia figlia e mio nipote - di quattro anni - presenti in casa, cosa avrei dovuto fare, invitarlo a pranzo?" Domandò sarcastico Darius, alterandosi leggermente davanti all'espressione della collega "La legge parla chiaro in merito: sarebbe stata soltanto legittima difesa. Quindi non fare quella faccia scettica Aysha, perchè sono sicuro avresti reagito così anche tu. Ma..." Aggiunse subito dopo "Questo non cambia i fatti: non ho ucciso io Samuel Larson."

 

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19 marzo 1998, Azkaban


Tra le varie ombre scure che si stagliavano confuse davanti ai suoi occhi e che si perdevano nei meandri della sua mente, togliendogli pian piano ogni piccola fonte di gioia - compresi i ricordi - Aaron venne quasi accecato all'improvviso da una fonte di luce.
Non sapeva più cosa fosse reale e cosa no - i dissennatori lo stavano rendendo giorno per giorno sempre più simile a loro, entrandogli sia nella carne che nelle ossa - tuttavia si ancorò a quella piccola fonte di luce con tutte le sue forze.

Ormai non poteva più sopportare il buio, anche se quest'ultimo non lo abbandonava mai.

Riacquistando pian piano l'uso della vista, si accorse che la luce era emanata da un animale.

Un lupo.


Da quando i lupi producevano luce?

I lupi no, ma i patronus sì.

Sbattendo più volte le palpebre, solo per assicurarsi di non avere le allucinazioni, Aaron allungò una mano verso quella figura evanescente, mentre una pallida speranza iniziava a farsi prepotentemente strada in lui.

"Sì, è un patronus. Avrete tempo di conoscervi più tardi, adesso bevi questo." Gli ordinò una voce austera, che Aaron non sentiva da troppo tempo.
Mentre sentiva il sapore pungente e schifoso della pozione pollisucco andargli giù per la gola, il Grifondoro, sbattendo nuovamente le palpebre, riuscì a mettere a fuoco la figura di Altair Black.

"Come... come...?" Riuscì appena a balbettare, tra un colpo di tosse e l'altro, mentre sentiva gli effetti della pollisucco agire e il suo corpo mutare.

"A dopo le spiegazioni." Replicò frettolosamente l'altro, iniziando a spingerlo verso la porta della cella. "Ritrova quella scintilla con la quale mi hai attaccato quando eri ancora un allievo dell'Accademia e muoviti."


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Sylvia si svegliò all'improvviso, avvolta nel lenzuolo che aveva l'odore di Theo.
Non ricordava neanche di essersi addormentata.

Alzando la testa di scatto, controllò l'orologio.
E ci mancò poco che le venisse un infarto.

Erano quasi le sei del pomeriggio. Se la festa non era ancora finita, poco ci mancava.


Proprio in quel momento Theo comparve sulla soglia della camera da letto, ma Sylvia, a momenti senza degnarlo di uno sguardo, appellò velocemente i vestiti e iniziò a rivestirsi frettolosamente.
"Perchè diamine non mi hai svegliato?" Gli sbraitò addosso, quasi ringhiando.
"Stavi dormendo così bene..." Si giustificò l'uomo, lanciandole uno sguardo addolorato "E hai sempre le occhiaie ultimamente." Aggiunse allungando una mano per sfiorarle lo zigomo.
Mossa che lei scansò malamente.

Se lui l'avesse anche solo sfiorata, non ce l'avrebbe fatta ad andarsene. E in quel momento non poteva proprio permettersi di perdere tempo.

Senza dare spiegazioni - e soprattutto senza ascoltare ciò che lui stava provando a dirle - Sylvia si smaterializzò, precipitandosi verso Villa Black.
Pregando che nel frattempo la festa non fosse già finita e che suo marito non fosse già venuto a prenderla.

Speranza che si rivelò vana.

Frederick Selwyn era proprio lì ad aspettarla, con le braccia incrociate e un'espressione furiosa in volto.
"DOVE DIAVOLO SEI STATA FINO AD ADESSO?"
 


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2 maggio 1998, Hogwarts



Con le lacrime agli occhi per la felicità, Aaron si lasciò andare lungo la parete della Sala Grande.
Gli sembrava quasi impossibile, ma quella notte era stata fatta la storia.

Harry Potter, un ragazzino di neanche 18 anni, aveva appena sconfitto Lord Voldemort, il più grande mago oscuro di tutti i tempi.

Era finita.
La guerra era finita.

Tremando da capo a piedi, un tremore che non aveva avuto neanche durante la Battaglia, Aaron si rimise in piedi, iniziando a guardarsi intorno.
Anche se Voldemort era stato sconfitto, non si poteva parlare di certo di vittoria, anche se i libri di storia l'avrebbero probabilmente classificata come tale, in futuro.

Non si poteva parlare nè di vincitori nè di vinti, in tale circostanza. Solo di morti.

Camminando a passo lento, l'Auror raggiunse il centro della Sala Grande, dove man mano i cadaveri dei caduti venivano trasportati, sperando - anche se in modo vano - di non riconoscere nessuno di loro.
Speranza che venne disattesa quando riconobbe una famiglia in particolare piegata su un corpo.
Quello senza vita di Elnath Black, il figlio dell'uomo che lo aveva liberato da Azkaban.

"No!"

La sua testa era delicatamente appoggiata sulle cosce della madre Elizabeth, che continuava ad accarezzargli la fronte con aria assente, chiamandolo piano, come sperando che potesse risvegliarsi.
Non piangeva neanche: era troppo devastata dal dolore per poterlo fare.

Altair invece era inginocchiato a terra, accanto al cadavere del figlio, scosso dai singhiozzi, mentre abbracciava sua nuora Danae.


"Non siamo tutti pazzi come mia cugina Bellatrix, in famiglia." Gli aveva spiegato Altair dopo la fuga, quando si erano trovati in un luogo sicuro. "Molti di noi, molte famiglie purosangue, hanno capito che questo regime è solo marcio e che, presto o tardi, sarà destinato alla distruzione."
"E dove sono tutte queste famiglie, mentre noi veniamo imprigionati e torturati?" Aveva replicato Aaron sarcastico.
"E tu come pensi di essere stato liberato?" Gli aveva risposto il Black, altrettanto ironico. "Opporsi in maniera teatrale, come fa quel ridicolo ordine del tacchino, non serve assolutamente a nulla, se non ad attirare l'attenzione e morire, schiacciati uno alla volta." Aveva spiegato imperturbabile. "L'unica maniera per essere davvero efficaci è lavorare da dietro, boicottando ogni loro mossa senza che se ne rendano conto."



Eppure un figlio, alla fine, l'aveva perso anche lui, in quella folle guerra.

Il ricordo di Aaron venne interrotto dai prepotenti singhiozzi di Elaine Burke*, che si gettò tra le braccia di sua zia Danae, chiedendole ripetutamente scusa per averla privata del marito.
"E' stata colpa mia! ... Non ho visto un ... uno di loro... e lo zio si è gettato in mezzo per salvarmi... facendosi colpire al mio posto."
"Ela, stammi bene a sentire" Replicò però Elizabeth, risvegliatasi all'improvviso dal suo stato catatonico, con una voce talmente ferma che spiazzò completamente Aaron, prendendo il volto della nipote tra le mani "Nath era un Auror, sapeva perfettamente a cosa stava andando incontro. E se non l'avesse fatto, se non avesse cercato di salvarti, di salvare la figlia di sua sorella, lo avrei ucciso io stessa. Sono stata abbastanza chiara?"
Anche Danae annuì alle parole della suocera, mentre continuava a singhiozzare disperata.


Fu una voce a distogliere Aaron da quello straziante spettacolo "Morgan!"
Girandosi, l'uomo si ritrovò così davanti a Kingsley Shacklelbolt, il nuovo Ministro della Magia Inglese ad interim, fresco di nomina a furor di popolo.
"Ministro" Lo salutò con un veloce inchino, cercando di non mostrare le lacrime. "Cosa posso fare per lei?"
"Dobbiamo ricostruire tutto. Ma anche cambiare le cose. Ho bisogno di persone disponibili a darmi una mano, persone come te." Spiegò l'uomo brevemente. "Non voglio una risposta subito" Si affrettò ad aggiungere, forse mal interpretando la bocca aperta di Aaron. "Ma..."

"Ministro..." Lo interruppe però Aaron. Non aveva bisogno di pensarci. "Sono a sua completa disposizione."

Avrebbe lavorato sodo per ricostruire tutto da capo.
Non avrebbe più permesso che si commettessero palesi ingiustizie.




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"Credimi Sil... un loro sorriso ti da la forza per affrontare qualsiasi cosa."

Quella frase era stata detta a Cecilia solo nove giorni prima da Cassiopea, eppure alla rossa sembrava fosse passato un secolo.
Eppure, mai come in quel momento, si era dimostrata essere vera.

Appena Cassy e Darius erano tornati - per l'ennesima volta - dal Dipartimento Auror, a sua cugina era venuta una crisi nervosa pesantissima, che nessuno di loro era riuscito a calmare, nè a parole nè con degli infusi di erbe.
Nè lei, nè Gillian, nè Nihal, nè, tanto meno, Darius.

Poi Cecilia si era ricordata all'improvviso quella frase, come un fulmine a ciel sereno.
E aveva capito quale poteva essere l'unico modo per calmare Cassiopea.
Con le parole più dolci che era riuscita a trovare, si era recata da Lyra, spiegandole per sommi capi - ma con le parole più rassicuranti che riuscì a trovare - che sua madre non si sentiva molto bene - attribuendo la causa ad un generico malessere dovuto alla gravidanza, senza però entrare nei dettagli - ma che sicuramente con la sua presenza si sarebbe sentita immediatamente meglio.
Senza farselo ripetere, la bambina aveva insistito per recarsi nella stanza della madre, esprimendo il desiderio di starle vicino, compreso fare un pisolino pomeridiano insieme, se ciò fosse servito.

Aveva immediatamente funzionato: non appena Cassiopea aveva saputo che sua figlia stava per arrivare nella camera da letto, si era calmata immediatamente, spaventata dall'idea di poterla traumatizzare.

Ed era così che Cecilia li aveva lasciati, circa un'oretta prima.
Cassiopea e Lyra abbracciate sul letto, crollate immediatamente, e Darius a poca distanza, anche lui ciondolante dal sonno.

"Come stanno?" La distrasse dai suoi pensieri la voce di Candice, sbucata dalla porta mentre faceva galleggiare sopra alla testa alcuni sacchi contenenti i residui della festa di compleanno.
"Tu come staresti al loro posto?" Fu la risposta retorica di Cecilia.
"Credo che sarei sconvolta..." Ammise la domestica con un sospiro, iniziando a rigovernare il salotto a colpi di bacchetta "Doveva essere il compleanno della loro bambina, un giorno di gioia... e invece..."
"Credo che per un bel po' non si faranno più feste in questa casa." Commentò amaramente la rossa, guardandosi intorno.
"Ma questa era molto più controllata dell'altra..." Replicò Candice, rinunciando a finire di ordinare e sedendosi con un sospiro sul divano "Ci dovevano essere solo altri bambini con i loro genitori e magari qualche parente o amico stretto... possibile che quell'uomo non abbia avuto un po' di rispetto neanche per dei bambini?"
"Le persone come Elliot Florence non hanno un cuore Candice: rispondono solo al Dio Denaro." Fu il commento pieno di amarezza di Cecilia, mentre si sedeva con un sospiro accanto a lei.

"Elliot Florence hai detto?" Domandò a quel punto la domestica, scattando in piedi all'improvviso e girando il collo verso Cecilia talmente di scatto da farsi male.
"Perchè, lo conosci?" Domandò a quel punto Cecilia, vagamente stupita per quello scatto repentino.
"Ma certo che lo conosco!" Esclamò Candice gesticolando "Quel maledetto! Ha frequentato Ilvermony come me, ma aveva tre anni in più. Maledetto Wampus! Sia a scuola che dopo ne ha combinate di tutti i colori, ma l'ha sempre fatta franca! Anche quando ha molestato pesantemente Nicole!"
"Come? Ha molestato una tua amica?" Domandò la rossa incredula.
"Oh sì!" Si sfogò la ragazza, iniziando a passeggiare avanti e indietro per il salotto per sfogare il nervosismo "E' sempre stata astemia, non ha mai bevuto neanche una burrobirra! Eppure quella sera, chissà come mai, le sue analisi del sangue hanno indicato un valore altissimo di alchool nel suo corpo, la sua testimonianza è stata annullata e lui l'ha fatta franca! Poi è sparito insieme al fratello dagli Stati Uniti..."
"Per venire a rompere le scatole qua in Inghilterra, a quanto pare." Completò la Weiss al suo posto.



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5 gennaio 1999, Inghilterra, Newtongrange



Aaron, stringendo la bacchetta tra le dita, si appiattì contro al muro, scivolando lentamente verso il basso e iniziando a strisciare sui gomiti per avanzare senza essere visto.

La Guerra era finita otto mesi prima, tuttavia continuava a lasciare strascichi in giro.


Tra i Mangiamorte che erano sopravvissuti alla Battaglia, molti erano stati arrestati subito, ma altri erano riusciti a sfuggire alla cattura, disseminandosi in giro per la Gran Bretagna o fuggendo addirittura all'estero.
Non che servisse veramente a qualcosa: venivano stanati uno ad uno e ormai ne mancavano davvero pochi per completare le liste delle quali il Ministero era in possesso.
Alcuni di loro, in un primo momento fuggiti, avevano preferito arrendersi e consegnarsi spontaneamente, attirati dalla promessa di Kingsley di cambiare le regole sui processi - diventati molto più umani e tollerabili - e dalla prospettiva della prigione, tolta ormai dal controllo dei Dissennatori. E anche da ciò che stava succedendo: nonostante gli sforzi di Kingsley di mantenere il controllo della popolazione, più volte si erano verificati episodi di caos e guerriglia urbana.
Le famiglie delle vittime della Seconda Guerra Magica, se incappavano in presunti Mangiamorte in fuga, preferivano vendicarsi facendosi giustizia da sè, piuttosto che segnalare al Ministero e agli Auror.


Ma, almeno in quel caso, la segnalazione da parte di un cittadino era giunta e per quel motivo Aaron si trovava lì, insieme alla sua squadra: Monica e Adam Carter, ex Mangiamorte, erano stati avvistati in quella cittadina, dove si fingevano due comuni babbani da qualche mese.

Quando riuscì ad avere una perfetta visuale della casa, Aaron fece un cenno con la mano ai suoi uomini, disponendo così silenziosamente l'ordine di attacco.

Fu una cosa rapida, veloce e pulita.
Senza che i due Mangiamorte riuscissero quasi ad accorgersene, entrarono in casa, prendendoli di sorpresa e riuscendo a contrastare le loro difese in pochissimo tempo.
Ma la vera sorpresa la ebbe Aaron, quando salì al piano superiore per controllare che davvero quei due fossero gli unici abitanti della casa.
Perlustrando le varie stanze, arrivò nella cameretta di un bambino, che dormiva tranquillamente nel suo lettino.

Probabilmente non aveva neanche un anno.

In pochi secondi, Aaron riuscì ad immaginare tutta la vita che si sarebbe prospettata per lui, se fosse cresciuto nella società magica.
Figlio di due Mangiamorte.
Preso in giro a vita.
Emarginato.
Facile vittima del rancore e dell'odio di chiunque.
Con i genitori lontani, rinchiusi probabilmente in prigione per il resto della loro vita, sarebbe stato sbattuto in un orfanotrofio, senza nessuno a prendersi cura di lui.
Tutto per degli errori non suoi.

No, era diventato Auror anche per quello.

Qualche ora dopo, ripetendo come un mantra di aver fatto la cosa giusta, mostrò a tutti i ricordi che riguardavano il cadavere del bambino, dicendo che era morto per un banale incidente, mentre circondavano la casa e la attaccavano.

In realtà aveva portato il bambino ad una coppia di babbani, amici di famiglia.
Avevano sempre desiderato di poter avere un figlio, ma non c'erano mai riusciti. E con un paio di incantesimi aveva sistemato tutta la burocrazia.

I Miller avrebbero cresciuto quel bambino con tutto l'amore possibile. E quando si sarebbero verificati i primi episodi di magia involontaria, sarebbe stato lui a spiegargli ogni cosa sul mondo magico.

Nessun altro l'avrebbe mai saputo.

Nessuno.



-*-*-*-


"Alex?"
Fu quasi tremando che Caroline si affacciò alla porta della sua collega per comunicarle la notizia.

Si sarebbe arrabbiata di sicuro. Oh, se si sarebbe arrabbiata!
Anzi, arrabbiata era poco: si sarebbe di sicuro infuriata.

"Se la domanda è se voglio venire con te e i tuoi figli alla festa di mia nipote, la risposta è no. La festa dura fino a stasera e al momento sono concentrata su alcune pratiche." Replicò Alexis senza neanche guardarla. "Tu vai pure senza di me e di' loro che arrivo." Le comunicò piatta.
"Il problema è proprio questo Alexis" Sospirò Caroline pesantemente "non c'è più una festa alla quale andare."

Per qualche secondo il silenzio regnò nella stanza, mentre il vero significato di quelle parole facevano breccia nella testa della Buldstrode. "In che senso?" Domandò alla fine, lasciando perdere finalmente il fascicolo e riponendo verso la sua collega tutta la sua attenzione.
"Elliot Florence si è introdotto in casa loro senza permesso ed è stato arrestato da un Auror presente alla festa. Adesso sono tutti al Dipartimento, in attesa di ulteriori indagini." Spiegò Caroline quasi tutto d'un fiato, temendo la reazione della collega e attendendola per alcuni interminabili secondi, che però a lei sembrarono ore.

"Ciò per caso significa che Darius adesso sta rispondendo alle domande degli Auror senza di me? MA IO LO UCCIDO QUELL'UOMO!"
 


-*-*-*-


18 giugno 2007, Inghilterra, Villa Black (pochi giorni prima dell'omicidio)



Samuel, avendo finito i lavori giornalieri nel cortile, raccolse la sua attrezzatura per riporla nel capanno.
Tuttavia, quando passò vicino al gazebo dove si trovavano Cassiopea, Gillian e Catalina, la voce di Cassiopea lo incuriosì.

"Allora... hai accettato l'invito di Michael ad uscire?"
Catalina, a quella domanda, sbuffò. "Ancora con questa storia? Certo che no! E lei come fa a saperlo scusi?"
"Chi è Michael?" Domandò invece quasi contemporaneamente Gillian, interessandosi immediatamente all'argomento.
"Il fattorino del negozio di pizze." Rispose Cassy, ignorando i tentativi della sua domestica di sviare l'argomento. "Che, a quanto pare, si è preso una cotta per la nostra Cata" Continuò puntando il dito contro la ragazza. "E' inutile che neghi cara: so tutto!"
"Da quando mangi le pizze?" Sgranò gli occhi Gillian, sorpresa.
"Tu eres una pettegola!" Sbraitò quasi contemporaneamente Catalina.
"Da quando sono incinta!" Si giustificò la Black ridacchiando. "In ogni caso, secondo me hai fatto male a non accettare."
"Ho un ninos!" Provò a giustificarsi Cata.
"Ma hai anche 25 anni." Replicò Cassiopea sorridendo dolce "E sarebbe solo un appuntamento, non ti ha chiesto mica di sposarlo!"
"Non ho bisogno di un uomo!" Si impuntò Catalina "Ne ho avuto uno... e guardate il risultato! Un nino a 17 anni che ho dovuto crescere da sola!"
"Non tutti gli uomini sono così." Provò a farla ragionare Gillian, allungando una mano per spostarle una ciocca dal viso. "E Cassy ha ragione: hai solo 25 anni, meriti una possibilità di essere felice."
"Siete gentili a preoccuparvi por mi, ma come ho detto, non ho bisogno de un hombre!" Ripetè la domestica "Posso passare il resto della mia vita senza."
"Ah sì?" Ridacchiò a quel punto Cassiopea divertita, riempiendosi nuovamente il bicchiere. "E che mi dici del sesso?"

A quella domanda, Catalina divenne di un'interessante sfumatura cremisi, ma Samuel, che nel frattempo si era accucciato tra i cespugli per ascoltare, non potè vederlo. Riuscì soltanto a percepire un farfuglio, del quale riuscì a distinguere solo le parole "Diego", "8 anni" e "incinta".

Ma a quanto pareva Cassiopea l'aveva capito benissimo, visto che replicò con un "
Avere un figlio non ti rende automaticamente una sacerdotessa vestale! E io sono solo incinta, non menomata!"
"Ma certo!" Ridacchiò a sua volta Gillian "E poi Cassy e Darius hanno iniziato a consumare molto prima del matrimonio, quindi perchè non dovrebbero farlo adesso?"
"Senti chi parla!" Fu la risposta altrettanto divertita della Levenvolde "Tu e Nihal non siete stati proprio due angioletti, se ben ricordo!" La prese in giro.
"Mai negato." Replicò la Greengrass "Ma chi è che, appena Aidan Nott ha abbandonato la Villa, si è precipitata nella camera da letto di Darius? Mi hai anche chiesto consiglio su quale completino indossare!" 

Probabilmente avrebbero continuato quella conversazione ancora per un bel po' - e Samuel avrebbe continuato ad ascoltarle - ma un sensore magico gli segnalò che qualcuno si era appena introdotto nel cortile senza permesso.

Fu così che, protetto dai diversi cespugli di rose, l'uomo abbandonò la postazione, piombando su Elliot Florence e buttandolo a terra, facendolo impattare violentemente sul terreno.
"FUORI DI QUI!"


-*-*-*-


"Credo che per oggi con lo champagne possa bastare." Decretò Lysbeth, provando a togliere il bicchiere dalle mani di Amelie.

Ma la bionda, che a quanto pareva da ubriaca aveva più forza che da sobria, si oppose, torcendole il polso e riappropriandosi velocemente del bicchiere, scolando fino all'ultima goccia del liquido ambrato.
"Riempimelo di nuovo." Ordinò secca "E non rompere."

Lysbeth non obbedì subito. Per qualche secondo rimase a massaggiarsi il polso, incredula del comportamento assunto dalla banchiera.

"HO DETTO DI RIEMPIRMELO!" Sbraitò Amelie con tono arrogante. "Sei proprio una cameriera pessima!" Le urlò contro, completamente fuori di sè dalla rabbia e dall'alchool. "Il perchè ti ho assunta, ancora devo capirlo!" Sbraitò puntandole il dito contro.

Magari appena si riprenderà dalla sbornia capirà la situazione si ritrovò a pensare Lysbeth ma finchè è in queste condizioni devo nasconderle l'alchool.

Aveva appena finito di pensarlo che Amelie scoppiò a ridere.
Una risata non naturale. Inquietante. Isterica.
"Tu vuoi nascondermi le bottiglie?" Domandò ironica, continuando a ridacchiare "Tu vuoi nascondere qualcosa... a me?" Continuò puntandole il dito contro con aria minacciosa "Ma non l'hai ancora capito che io sono una legimens naturale? Non puoi nascondermi niente! Neanche di aver ascoltato di nascosto la conversazione privata che ho avuto qualche giorno fa con mio fratello." Le spiegò, attirandola con un braccio vicino a sè e alitandole a pochi centimetri dal viso "Quindi attenta a quello che fai o a quello che dici, perchè io lo saprò sempre. E te la farò pagare nel peggiore dei modi."


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* Altair Black ed Elizabeth (Abbott in) Black hanno avuto tre figli: i gemelli Elnath ed Electra e la minore Eltanin.
Eltanin si è messa con Aiden Burke e insieme hanno avuto tre figli: Alexander, Elaine ed Adhara Burke.
Elnath invece si è sposato con Danae Rosier e hanno avuto due figlie femmine, Enif e Mira Black.



Prima di lasciarvi alla solita scelta, vi chiedo un'altra cosa: oltre ai vostri OC, volete anche un capitolo dedicato ai miei (ossia Cassiopea e Darius)?

Ed ecco a voi la scelta da fare per questa settimana:
- Alexis Buldstrode
-
Aysha Mayne Meghara
- Lysbeth Chevalier

p.s. finale: io l'ho detto in tutte le salse, ma visto che non vi entra in testa passo ai fatti. D'ora in poi chi non risponderà alle domande non avrà più il suo OC presente nel capitolo successivo. Mandare un MP con un nome e un cognome non è uno sforzo titanico, quindi non ci sono scuse.
 


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Capitolo 12
*** 10 - Alexis Elizabeth Buldstrode ***


Il computer mi sta dando dei problemi, quindi se non riuscite a visualizzare bene il testo avvisatemi! Scusate l’inconveniente!
   
ALEXIS ELIZABETH BULDSTRODE


 
postimage
 
Alexis Elizabeth Buldstrode, 18 maggio 1981, ex Serpeverde poi Serpecorno



30 luglio 1994, Wiltshire, Villa Rosier - Buldstrode




"Sei proprio sicuro di quello che dici caro?" Domandò Bridget Rosier al marito per l'ennesima volta.
"Assolutamente." Confermò Adam "E anche se non ne fossi sicuro, questa sarebbe comunque una occasione irripetibile per noi!" Provò a convincerla "Ernest Rowle sta per andare in pensione... e chi meglio di me potrebbe sostituirlo, come rappresentante del Ministero Inglese al MACUSA?"
Bridget lasciò passare qualche secondo, prima di replicare.

Sapeva bene che se suo marito aveva deciso una cosa, quella tutta la famiglia avrebbe fatto.
Tuttavia l'Inghilterra era la sua casa e pensare di abbandonarla per un po' di tempo non era una prospettiva molto esaltante, per lei.


Adam sembrò comprendere il suo tentennamento, perchè le poggiò una mano sulla spalla.
"Ascolta Bri... ci sono degli strani movimenti in Inghilterra da qualche anno: prima un professore morto ad Hogwarts, poi la fuga di Sirius Black da Azkaban l'anno scorso e adesso girano strane voci, nell'ambiente purosangue, su... Tu Sai Chi" Spiegò con una smorfia, mentre a sentire quel nome di nuovo dopo tanto tempo un brivido attraversò la schiena di entrambi "Temo che potrebbe succedere già qualcosa di strano alla Coppa del Mondo... Caramell non sa leggere i segni, ma io sì. E' meglio se ce ne andiamo subito, cogliendo al volo la pluffa, prima che le cose si facciano serie." Concluse sapendo già di averla convinta. "E i bambini potranno studiare ad Ilvermony."

Davanti a quel discorso infatti, Bridget Rosier in Buldstrode non trovò più nulla da obiettare: suo marito aveva sempre avuto un ottimo fiuto, per certe cose.
Raramente si era sbagliato, per questioni che riguardavano la politica. E quella caratteristica gli aveva permesso di scalare molto in fretta la scala gerarchica, sia al Ministero che nello Winzengamont.


"Accetta il lavoro al MACUSA allora. Io darò disposizione agli elfi per preparare i bagagli." Chiuse la questione.



Forse fu per quel motivo che circa un mese dopo, ormai al sicuro a New York, nessuno della famiglia si sorprese, nel leggere dell'attacco alla Coppa del Mondo di Quidditch.
In fondo Adam Buldstrode aveva già previsto tutto.

 

 
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30 giugno 2007, Villa Burke - Selwyn

 
"Te lo chiedo per l'ultima volta Sylvia: DOVE-SEI-STATA?" Sbraitò Frederick dopo essersi smaterializzato in casa e aver trascinato la moglie a forza per un polso con sè.

Per qualche secondo, il salotto di Villa Selwyn venne invaso dal silenzio.
Quello spaventato di Sylvia, completamente presa in contropiede dalla reazione del marito - di solito tra loro vigeva una ormai silenziosa e alquanto fredda e distaccata cortesia - e quello rabbioso di Frederick, i cui occhi fiammeggiavano, in attesa di una risposta da parte della moglie.

Poi la donna prese il coraggio a due mani, decidendo finalmente di rispondere.

Con una bugia ovviamente.
 
"Era una festa per bambini Frederick." Disse nel tono più piatto che riuscì a produrre, dopo essersi ripetuta mentalmente di restare calma. "Sono andata, ho consegnato il regalo e poi, visto che mi stavo annoiando a morte, sono andata a farmi un giro a Diagon Alley." Spiegò fredda e atona.

In fondo era una mezza verità: prima di andare da Theo aveva davvero fatto un giretto. Più che altro per comperare delle cose che sapeva sarebbero servite al ragazzo. Ma questo suo marito non era importante che lo sapesse.

"Vuoi controllare il conto Fred? Non sono più libera di spendere neanche i soldi che mi guadagno lavorando al Ministero adesso?" Chiese in un sibilo, assottigliando pericolosamente gli occhi.
"Lavoro che hai ottenuto agendo alle mie spalle." Rinvangò lui, prima di avanzare verso di lei.
"Lavoro al quale non intendo minimamente rinun..." Provò a ribattere Sylvia, prima di venire interrotta dal marito, che la attirò bruscamente a sè per baciarla.
Subito dopo, ignorando l'opposizione della moglie - che si sentiva ancora l'odore di Theo addosso - iniziò a slacciarle l'abito, spingendola a forza sul divano.

La donna in un primo momento provò a ribellarsi, ma capì ben presto quanto inutili fossero le sue mosse: Frederick non avrebbe smesso finchè non sarebbe stato accontentato.
Perciò non le rimase altro da fare che sperare che finisse in fretta.


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2 settembre 1994, Ilvermorny, Sala Grande



"Alexis Elizabeth Buldstrode!"

Sentendo pronunciare il suo nome, la ragazzina avanzò fino alla pedana dove avveniva lo smistamento, sentendosi il cuore in gola.
Ad Hogwarts il suo smistamento era stato tutto sommato facile: tutta la sua famiglia era appartenuta a Serpeverde, perciò, appena il Cappello Parlante l'aveva sfiorata, gli aveva ordinato di essere smistata lì a sua volta.
Ma ad Ilvermorny le tipiche quattro case di Hogwarts non esistevano. E lei si sentiva profondamente smarrita.

Amicizie, conoscenze, rispetto per il suo cognome: con il trasferimento del padre aveva perso tutto.
Si sentiva profondamente a disagio in quella scuola.

E il suo disagio aumentò a dismisura quando si rese conto, tra lo sconcerto e la sorpresa di tutti i presenti, di essere stata scelta da tutte e quattro le case della scuola americana. L'ultima volta che ciò era accaduto era stato quasi un secolo prima, con Seraphina Picquery, diventata presidente del MACUSA dal 1920 al 1928.

Doveva essere lei a decidere, a quel punto.

Dopo qualche secondo di indecisione, optò per la casa di Serpecorno.

In fondo era un nome molto simile a Serpeverde.
No?

 
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30 giugno 2007

 
"Attenta a quello che fai o a quello che dici, perchè io lo saprò sempre. E te la farò pagare nel peggiore dei modi."


Mentre passeggiava per quel mercato babbano, Lysbeth non riusciva a smettere di pensare a quella frase - che a lei suonava tanto come una minaccia - pronunciata da Amelie solo il giorno prima.
Continuava a risuonarle in testa, unita all'espressione inquietante - quasi cattiva, malvagia - che la Northman aveva sfoggiato in quell'occasione. Espressione facciale che aveva fatto venire i brividi alla povera cameriera.

Cosa aveva fatto?
Per quale motivo aveva denunciato Darius Levenvolde? Solo per una stupida frase detta probabilmente in un momento di rabbia?
In fondo lei non conosceva nessuno di quella famiglia, non sapeva quali fossero i rapporti tra i suoi ex datori di lavoro e il giovane maggiordomo.
Quindi cosa le era saltato in testa di parlare?


Per quanto la cosa fosse sbagliata, Lysbeth non poteva far altro che auto attribuirsi la colpa di quanto successo.

'Se me ne fossi stata zitta, probabilmente a quest'ora lavorerei ancora per loro, anzichè per una psicopatica.'

Era talmente immersa in quelle considerazioni - quella mattina aveva colto al volo l'occasione di andare a fare la spesa per uscire di casa e non era ancora rientrata - che non si accorse di stare andando a sbattere contro qualcuno finchè la collisione non fu inevitabile.

"ATTENTA!" Sentì gridare, proprio mentre i sacchetti contenenti le verdure volavano prima per aria e poi si spargevano attorno a loro, atterrando sull'asfalto, seguiti poco dopo dal suo stesso corpo.
"Mi scusi." Sbiascicò frastornata, prima di rendersi effettivamente conto di contro chi era andata a sbattere. "Candice?" Domandò incredula, sgranando gli occhi. "Sei proprio tu?"

Per qualche secondo l'altra cameriera la fissò sgranando gli occhi, come se si fosse trovata davanti ad un fantasma.
Ma poi un leggero sorriso comparve sul suo volto. "Ciao Lysbeth. Come stai? E' da un bel po' che non ti vedo. Anche tu in giro per rifornire la dispensa?"
 
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Luglio 1998, campagna Newyorkese, Villa Buldstrode



Alexis si diresse pensierosa verso il salotto.
Quando suo padre l'aveva fatta chiamare dall'elfa domestica, comunicandole che doveva farle un annuncio molto importante, tutte le antenne le si erano rizzate in testa, temendo che fosse arrivato quel momento.
In fondo aveva già diciassette anni e l'anno successivo per lei sarebbe stato l'ultimo, a livello scolastico.
E sapeva molto bene che quella era la prassi, tra le famiglie purosangue.

Tuttavia sperava ardentemente che suo padre non le stesse per proporre un matrimonio combinato.
Non si sentiva pronta, per quel passo. E lei voleva studiare ancora, per seguire le orme paterne nella carriera forense.
Non voleva di certo accasarsi e iniziare a sfornare figli! Li sopportava a mala pena i bambini!

Tuttavia, accomodandosi di fianco al fratello Bernard, cercò di mostrarsi il più tranquilla possibile. "Mi hai fatto chiamare padre?"

L'uomo si limitò ad annuire, unendo le dita delle mani davanti al volto, formando con esse una sorta di triangolo. "Vi ho fatto riunire tutti qui perchè dobbiamo prendere delle decisioni fondamentali per il destino della nostra famiglia." Annunciò pacato "Tu, Alexis, sei la mia primogenita." E tu, Bernard, sarai il mio erede un giorno. Ormai siete abbastanza grandi per capire e ragionare, perciò voglio sentire anche il vostro parere in merito." Dichiarò, spostando lo sguardo da un figlio all'altro. "Come ben sapete, la Guerra in Inghilterra è finita. Perciò io e vostra madre abbiamo intenzione di rientrare. Cosa volete fare voi due? Restare qui per completare gli studi oppure tornare in patria con noi?"

Ascoltando quel discorso, Alexis non potè far altro che sospirare di sollievo.
Suo padre non voleva affatto accasarla! E, tutto sommato, le aveva posto anche un quesito abbastanza semplice.
"Non ho bisogno di pensarci: voglio tornare in Inghilterra con voi. E, una volta lì, completare gli studi per diventare Magiavvocato, sempre se avrò il vostro permesso." Dichiarò risoluta, mentre sentiva tutta la tensione accumulata sulle spalle sciogliersi di colpo, mentre vedeva Adam sorriderle con orgoglio in risposta.


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1 luglio 2007, Dipartimento Auror



Dopo aver appoggiato una serie di fascicoli sul tavolo, Aaron ne estrasse due per darli a Melisandre.
"Ecco a te." Le comunicò porgendoglieli "Julia Carlisle e Caroline Fisher." Elencò gettando alle cartellette due occhiate veloci per controllare per l'ennesima volta che fossero davvero quelli giusti "Anche se non ho ancora capito a cosa ti servano." Concluse piegando le labbra in una strana smorfia, gemella con quella di Aysha, che osservava la scena, altrettanto curiosa di sapere a sua volta.
"Infatti" Convenne la donna scrutando l'investigatrice "a cosa ti servono le notizie relative ad un avvocato e ad una guaritrice?"
"Non un avvocato e una guaritrice qualsiasi" Spiegò Lissa, allungando la mano per prendere le cartelline ed infilarle nella sua borsa, ingrandita apposta con la magia. "Sono loro che hanno fatto l'autopsia sul cadavere di Samuel Larson. E se voglio andare avanti con le indagini, devo per forza partire dal principio." Spiegò.
"E cosa pensi di trovare dentro ai quei fascicoli esattamente?" Domandò nuovamente Aaron, con un sorriso divertito "Non è la prima volta che scopriamo che i tuoi archivi sono più completi dei nostri." Ammise con un sospiro, mentre il sorrisino divertito spariva tanto in fretta quanto era comparso.
"Ancora non lo so." Ammise Melisandre "Ma da qualche parte dovrò pur iniziare no?" Chiese retorica "E poi, come dite spesso, voi dovete indagare su piste 'già tracciate'" Mimò facendo le virgolette con le mani "Ma io no."
"Buona fortuna allora." Replicò a quel punto Aysha "E tienici aggiornati."
"Lo farò senz'altro." Convenne la detective prima girare su se stessa per smaterializzarsi.


"Tu che ne pensi Aaron?" Domandò Aysha, quando anche l'ultima ciocca rossa di Melisandre sparì con uno schiocco.
"Che non ci ha detto tutto." Replicò lui strizzando leggermente gli occhi "Ma se con i suoi metodi riesce ad arrivare dove non riusciamo noi... a me va bene lo stesso... Ovviamente qui lo dico e qui lo nego."
"Non una parola." Promise lei, facendo finta di sigillarsi la bocca e buttare via la chiave.


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Ottobre 2000, Wiltshire, Villa Rosier - Buldstrode



"Mi volete spiegare perchè siete tutti così agitati?" Sbuffò Alexis, ormai al limite della pazienza, vedendo sua madre che si aggiustava per la centesima volta l'acconciatura davanti allo specchio, mentre suo padre faceva la medesima cosa con il suo cravattino. "E' solo una cena in fondo!" Borbottò esasperata, roteando gli occhi.
"Questa non è una semplice cena" La rimbeccò immediatamente Bridget, gettandole un'occhiataccia "E lo sai anche tu!"
"Tua madre ha ragione mia cara." Le fece eco Adam "Tuo cugino sembra tenerci davvero molto a Cassiopea Black, così come ci tiene molto che noi, gli unici membri della sua famiglia presenti in Inghilterra, approviamo la relazione. Perciò ogni minima cosa deve essere perfetta stasera." Ripetè per la centesima volta. "E sarà esattamente ciò che succederà, pertanto vedi di collaborare."
"Ma se non sono neanche davvero fidanzati!" Sbuffò nuovamente Alexis. "Darius è ancora legato con un contratto ai Vukovic!" Protestò inarcando un sopracciglio. "E lei non è neanche una vera Black!" Protestò irritata.

Non sapeva neanche lei perchè stesse osteggiando così tanto l'idea di avere suo cugino e la sua nuova fiamma a cena - in fondo Darius se lo ricordava a mala pena e con Cassiopea aveva sì e no condiviso qualche anno ad Hogwarts - tuttavia l'idea di un'altra ragazza purosangue in casa sua le dava parecchio sui nervi.
Lei era sempre stata la principessa - viziata - di casa. Primogenita e unica femmina.
Anche i fratelli, in un certo senso e benchè maschi, le davano retta.
Era sempre stata abituata a comandare, era sempre stata abituata a primeggiare, facendosi grande del suo cognome, della sua ascendenza, delle sue ricchezze e del potere di cui il padre disponeva e, infine, anche della sua spiccata intelligenza.

Lei era una Buldstrode, una appartenente alle Sacre 28, sia per discendenza materna che paterna.

E, per quanto qualcuna avesse cercato di primeggiare con lei, si era sempre dovuta inchinare, alla fine, davanti alla sua indiscutibile superiorità.
In fondo la società americana, dove aveva vissuto negli ultimi 5 anni, non vantava di famiglie purosangue ricche, antiche e potenti quanto la sua.

Ma, una volta tornata in Inghilterra, le cose erano cambiate. Lì c'erano altre famiglie, purosangue e a loro volta appartenenti alle Sacre 28.
E il fatto di stare per trovarsi a contatto con una di loro, la destabilizzava completamente.

"Senti Alexis..." Le interruppe i ragionamenti suo padre, vagamente irritato "Vera Black oppure no, suo nonno Antares l'ha riconosciuta come sua erede, lasciandole sia il cognome che un consistente patrimonio." Comunicò assottigliando pericolosamente gli occhi "E Alexej Levenvolde non si lascerà sfuggire l'occasione di imparentarsi con i Black, perciò sciogliere il contratto con i Vukovic non sarà un problema, per lui." Continuò piatto "Inoltre quella ragazza ha perso da poco il nonno e non vede l'ora di ricrearsi una famiglia - e ciò la rende estremamente influenzabile - perciò stasera vedi di essere gentile." Le ordinò secco, senza possibilità di replica "Possiamo solo guadagnarci da questa unione. Sono stato chiaro?"
"Sì padre."
 
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1 luglio 2007, Villa Black


"Aspetta che te aiuto!"
Candice non fece neanche in tempo a finire di smaterializzarsi che Catalina, quasi fosse dotata di uno speciale radar, si era materializzata al suo fianco, iniziando ad aiutarla con le buste della spesa.
"Tranquilla Cata, ce la faccio benissimo!" La rassicurò però l'americana.

"Però quanta roba!" Esclamò la spagnola sorpresa cinque minuti dopo, mentre le due donne erano impegnate a sistemare le cose man mano nella dispensa. "E' per quello che ci hai messo tanto?"
Davanti a quella domanda, Candice deglutì appena. "In parte" Ammise cercando di suonare neutra "Ho anche incontrato... una vecchia conoscenza... e mi sono persa a chiacchierare." Spiegò decidendo di non entrare nei dettagli.

Non aveva ancora abbastanza confidenza con l'altra cameriera, ma aveva capito quanto fosse legata ai Levenvolde. Non era proprio il caso di dirle che aveva incontrato Lysbeth al mercato e che era per quello che aveva fatto tardi. Non aveva la minima idea di come Catalina avrebbe potuto reagire.

La spagnola aprì bocca, probabilmente per chiederle qualcosa in più, ma entrambe furono interrotte da Cecilia, che comparve in cucina proprio in quel momento.
"Buongiorno a tutte e due!" Le salutò, prima che il suo sguardo cadesse sul sacchetto che Candy teneva ancora in mano. "Uuh! Mele!" Esclamò adocchiandole "Posso?" Senza neanche aspettare la risposta, ne afferrò una rossa in cima al sacchetto, le diede una veloce lavata e poi iniziò a mangiarla a grugno.
Pois spostò lo sguardo su Candice, puntandole un dito contro "Meno male che sei qui! Stavo cercando proprio te!" Continuò sgranocchiando il frutto. "Dove sono Cassy e Darius, Cata? E' da quando mi sono svegliata che li cerco senza trovarli." Domandò quasi subito dopo, sedendosi sul tavolo e facendo dondolare le gambe. "In effetti non ho visto nemmeno Lyra." Aggiunse ripensandoci.
"Vuol dire che non lo sa?" Chiese Catalina sgranando gli occhi "Sono al mare!"
"A che cosa le servo io?" Domandò invece quasi contemporaneamente Candice.

"Hai presente quello che mi hai detto ieri su Florence?" Rispose Cecilia, continuando a far dondolare le gambe. "Corrisponde davvero alla verità?"
"Ma certo!" Affermò Candice annuendo.
"E saresti disposta a riconfermarlo davanti ad altre persone?" Indagò la rossa.
"Io... credo di sì... perchè?"
"Perchè voglio portare la questione davanti al Ministro."
 
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1 Agosto 2001



"Avanti Alexis, vieni con noi! Ti divertirai!"

Quante volte aveva sentito quella frase, ripetuta dalle sue compagne di corso? Migliaia.
Quante volte aveva rifiutato, declinando gentilmente il loro invito? Altrettante.
Eppure, quella sera, erano riuscite finalmente a strapparle un sì.
Aveva sempre accampato come scusa il fatto di dover studiare, perchè non voleva deludere la famiglia, soprattutto suo padre.
Ma dopo due anni si era diplomata all'Accademia di Magisprudenza con il massimo dei voti e quella non poteva più essere una scusa valida.

Perciò quella sera le sue amiche riuscirono a trascinarla fuori con loro, con la scusa di festeggiare la fine degli studi.
Portandola per la prima volta in una discoteca babbana.

Dopo neanche un'ora, Alexis aveva perso completamente la cognizione di se stessa, mentre si muoveva a ritmo di musica sulle note di una sconosciuta canzone babbana, cercando di ritagliarsi un piccolo spazio per se stessa in mezzo ai corpi sudati che si muovevano attorno a lei.

Non aveva idea di quanti drink si fosse fatta fuori - l'alcool babbano era troppo diverso da quello magico - ma sentiva la testa iniziare a girarle sempre più in fretta, mentre la notte scivolava via.
Fu così che arrancando fino al bar, si sistemò di fianco ad un ragazzo, mentre cercava con tutte le sue forze di fare respiri profondi per non vomitare.

"Prima volta in discoteca?" Chiese divertito lui, vedendola in difficoltà.
"S... sì." Boccheggiò lei senza fiato, alzando lo sguardo sul suo interlocutore e venendo radiografata da uno sguardo color zaffiro, che sembrò trapassarla meglio di un legimens esperto.
"Prendi questa allora." Rispose lui, depositandole una pasticca bianca tra le mani "Ti aiuterà di sicuro a reggere per il resto della notte. In serate come queste bisogna divertirsi." Continuò facendole un occhiolino "La prima te la offro io. JOHN!" Urlò poi al barista, che immediatamente accorse "Dai alla signorina qualcosa da bere." Ordinò prima di alzarsi.
"Aspetta..." Lo richiamò Alexis, prendendolo per un braccio "Posso almeno sapere il tuo nome?"

Sorridendo gentilmente, il ragazzo annuì. "Mi chiamo Samuel... Samuel Larson. E mi raccomando: tutta giù d'un fiato. Non te ne pentirai."

E Alexis, spinta da una forza irrefrenabile, si mise la pastiglia sulla lingua. Per poi buttarla giù insieme al drink che le venne dato dal barista.


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1 luglio 2007, San Mungo

 
"Bene signor Larson, provi a stendere le dita adesso." Lo guidò Julia, appoggiando sia la mano destra che sinistra su quella infortunata di Theo per aiutarlo ad aprirla.
"Ahy!" Si lamentò lui, strizzando appena gli occhi.
"Sto cercando di fare il più lentamente possibile." Si giustificò la guaritrice "Ma purtroppo un po' di dolore lo sentirà lo stesso." Lo avvisò "Inoltre, più tardi si parte con la riabilitazione, più sarà difficile per lei tornare ad utilizzare la mano come faceva prima dell'incidente." Spiegò, continuando a guidarlo con i giusti movimenti.
"E' per questo che mi ha preso da lei oggi, nonostante sia domenica?" Domandò l'indicibile incuriosito.
"In ospedale non esistono sabati o domenica... o giorni di Natale." Rispose lei ridacchiando "Facciamo semplicemente a turni. Purtroppo la gente si fa male tutti i giorni." Spiegò, rimanendo però concentrata su ciò che stava facendo al braccio del ragazzo. "E di certo non possiamo rispondere con un 'mi scusi ma torni domani, visto che oggi è domenica', non trova?" Lo fece ragionare.
"Ha ragione, mi scusi per la domanda cretina." Si giustificò Theo.
"Si figuri. Adesso però afferri questa pallina e la stringa con tutta la forza che ha." Continuò lei serafica, mettendogliene una in mano.

Faticosamente, Theo provò ad afferrarla e a stringerla, senza però riuscirci, sentendo tutta la muscolatura irrigidita e la pallina cadde a terra, rotolando sul pavimento.
"Mi scusi." Ripetè, sospirando affranto.

Si sentiva particolarmente inutile in quel periodo. Non solo non riusciva a proteggere Sylvia da suo marito. Ma non riusciva neanche a prendere in mano una stupida pallina!

"Non si preoccupi, è normale che il suo braccio sia così rigido." Cercò di tranquillizzarlo lei, appellando la pallina con la bacchetta e cercando di rimettergliela in mano. "Ecco, riprovi. E non intendo solo qui, ma anche a casa tutti i giorni. Le basta una pallina di gomma per esercitarsi." Gli suggerì. "Come se la cava, attualmente, con i gesti domestici di tutti i giorni?"
 

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Ottobre 2001



Avanzando lungo i corridoi dello studio dove era stata appena accettata come stagista, Alexis provò una voglia irrefrenabile di dare una botta in testa a Carlotte - o come diamine si chiamava la ragazza che stava ciarlando ininterrottamente da un'ora.
La sera prima, come ormai da molti mesi, era andata di nuovo in quella discoteca babbana, reputandola come la sua ultima sera di vera libertà.

Era, ovviamente, molto felice che suo padre avesse fatto pesare il suo nome, trovandole quel posto di lavoro alla velocità della luce, ma allo stesso tempo sapeva che quello avrebbe troncato per sempre la libertà che si era invece completamente goduta quella estate.

Ma la sera prima aveva lasciato in lei anche dei segni abbastanza evidenti e purtroppo l'effetto della droga che aveva assunto - e che le aveva procurato Samuel come al solito - stava svanendo.
Perciò la luce le dava sempre più fastidio, così come la voce di Caroline - ecco come si chiamava davvero quella ragazza - che era stata incaricata dall'avvocato di mostrarle l'ufficio, ma che lo stava facendo con un po' troppo zelo.
O quantomeno, con troppo zelo rispetto ai canoni di Alexis. In quel momento voleva solo un letto e un cuscino dove sprofondare, in attesa che quel dannato mal di testa, insieme ai sintomi della nausea, svanisse.

Tuttavia dovette far buon viso a cattivo gioco e resistere.

"Vedrai che ti ritroverai bene qui" Stava ripetendo Caroline, cercando di rassicurarla con un sorriso, mal interpretando il suo nervosismo "Io ho completato il mio tirocinio neanche un anno fa e mi hanno assunto subito!" Esclamò allegra "Vedrai che, se ti impegni, tra sei mesi sarai nella stessa situazione anche tu!" 

Capendo che purtroppo non esisteva un tasto per spegnerla, Alexis si limitò a sospirare rassegnata.
"Ma certo." Replicò, sfoggiando lo stesso sorriso che sfoggiava anche agli eventi mondani purosangue, per non far vedere quanto in realtà quella situazione la irritasse profondamente "Ne sono sicura anche io."




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Cornovaglia, Isole Scilly, Pentlebay



"Hai freddo?" Domandò Darius premuroso, mentre lui e Cassy camminavano lungo la stradina che attraversava la spiaggia.
"No, tranquillo, sto bene." Replicò lei scuotendo la testa.


Peccato che un brivido le attraversò la spina dorsale, vanificando così le sue parole

Sorridendo divertito, l'Auror si tolse la giacca, posizionandogliela sulle spalle. E immediatamente la ragazza se la strinse addosso, aspirando leggermente l'odore del marito.
"In effetti così va meglio." Ammise con un piccolo sorriso, mentre Darius le cingeva le spalle col braccio per attirarla ancora di più a sè. "Ma non hai freddo tu adesso?"
"Tendi sempre a dimenticare che sono nato e cresciuto in Russia." La prese vagamente in giro lui, depositandole un bacio in fronte.
E ottenendo in risposta un sopracciglio inarcato della consorte. "Darius, non che non apprezzi ma... hai qualcosa da farti perdonare per caso?" Domandò a bruciapelo.

Davanti a quell'insinuazione, entrambi arrestarono il passo all'improvviso.

"Ma che stai dicendo?" Domandò lui sgranando gli occhi.
"Hai lasciato Lyra dai miei zii, mi hai fatto trovare un vestito nuovo, mi hai portato fuori sia a pranzo che a cena in una delle località marittime più belle della Gran Bretagna - prenotando in un albergo meraviglioso - e adesso stiamo camminando sulla spiaggia..." Elencò Cassiopea assottigliando gli occhi "Permetti che il dubbio sia legittimo, visto che queste cose non le fai da almeno due anni?"

Beccato.
L'uomo, a quel discorso non del tutto infondato, sospirò.
Beh, doveva immaginarselo che lei ci sarebbe arrivata.

"Cassy... stavo soltanto cercando di farti rilassare un po'." Provò a spiegare "L'ultimo periodo è stato... a dir poco assurdo. E ieri, dopo che siamo tornati  dal Dipartimento... beh, quella crisi di nervi che hai avuto mi ha spaventato a morte." Ammise con un altro sospiro "Forse mi sono fatto un po' troppo assorbire dal lavoro ultimamente, finendo per trascurarti, se non ho saputo neanche come fare per calmarti... perchè avrei dovuto essere io a riuscirci... e non Cecilia..." Concluse con tono di voce amaro.

Si sentiva davvero in colpa per quelle cose.

A quelle parole, Cassiopea gli appoggiò la testa al petto e lo abbracciò. Così Darius ne approfittò per abbracciarla a sua volta, attirandola verso di sè.
"Non mi sento trascurata..." Provò a rassicurarlo lei "Certo, quando hai i turni di notte non riesco a dormire e quando hai le missioni vorrei impedirti proprio di uscire di casa..." Ammise in risposta al leggero sbuffo incredulo del marito "Ma è un lavoro che facevi anche prima di conoscermi e so quanto ci tieni... non sei neanche il primo, in famiglia, quindi sapevo dall'inizio a cosa stavo andando incontro." Continuò "Ma, per quanto riguarda il riuscire a calmarmi... non c'è riuscita neanche Gillian! Eppure con lei ho passato la mia intera vita!"
"Sì ma..." Tentò di nuovo lui.
"Shhh." Lo zittì però Cassy "Cecilia ci è riuscita solo perchè sa come fare ormai. Ha passato due interi anni con me a Durmstrang e lì ne ho avute parecchie, di crisi simili." Spiegò ancora.
"A Durmstrang?" Domandò sorpreso Darius, sgranando leggermente gli occhi, preso in contropiede "Quand'è che sei stata nella mia scuola?"
"Durante la Guerra..." Borbottò lei con un filo di voce "Ma non è stato un bel periodo, per me, quindi faccio spesso finta che non sia mai accaduto." Tagliò corto, alzando la testa e accarezzandogli una guancia. "Ma stasera hai detto che vuoi farmi rilassare, giusto?" Domandò allacciandogli le braccia al collo e sfiorandogli appena le labbra con le sue. "Quindi che ne dici di passare al dolce?"


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Complesso delle nuove prigioni di Azkaban 



Isaiah attraversò a passo svelto la struttura di Azkaban, declinando le offerte di alcuni Auror di accompagnarlo - ormai lo conosceva a memoria quel posto - finchè non raggiunse le grandi vetrate che separavano i detenuti dai visitatori.
Al di là del vetro ad attenderlo, occupando una sedia come se fosse un trono, si trovava suo fratello, con la tipica divisa da carcerato.

Il giudice fece una vera e propria smorfia, davanti a quello spettacolo. Era sempre riuscito a tenerlo fuori dai guai, ma quella volta Elliot si era spinto davvero troppo in là, perchè anche lui potesse riuscire a fare qualcosa.
Ed Isaiah non riusciva proprio ad accettare di non poterlo proteggere.

"Come stai?" Domandò preoccupato, dopo aver applicato l'incantesimo al vetro che consentiva ai visitatori di parlare con i familiari.
"Da schifo" Replicò l'altro "I pasti sono indecenti e la qualità del vino è pessima. Inoltre questa divisa mi prude da matti." Si lamentò "Arriverò a casa scorticato vivo probabilmente. Senza contare che mi annoio a morte qua dentro." Completò la lista "Quand'è che mi liberi?"
Trattenendosi al pelo dal roteare gli occhi, Isaiah rispose secco "Sto cercando di farti modificare la detenzione con i domiciliari, ma non è così semplice questa volta. Ma proprio dal figlio del Primo Ministro Russo dovevi andare Elliot?" Ripetè sbraitando per l'ennesima volta "Alexej Levenvolde in persona ha iniziato a fare pressioni su Kingsley, evidenziando come sua nuora abbia bisogno di pace visto che è incinta di un maschio... e lo sanno tutti che dandoti i domiciliari finiresti per non rispettarli affatto." Concluse cupo.
"Questi sono affari tra l'Inghilterra e la Russia, ma noi siamo Americani!" Gli fece notare Elliot "Ed è inutile che continui a riprendermi per essere entrato in casa loro! Era proprio lì che dovevo essere!" Spiegò alterandosi leggermente "Una persona molto vicina ai Levenvolde, una fonte abbastanza attendibile, mi ha spiegato come fare per disattivare i loro incantesimi di sicurezza - è per quello che sono riuscito ad entrare così facilmente in casa loro - e mi ha anche confidato diverse cose su entrambi, soprattutto sulla Black... cose che, se diventassero di dominio pubblico, sono sicuro cambierebbero le carte in tavola." Confidò con un sorrisetto divertito "E allora anche Alexej Levenvolde smetterebbe di proteggere la nuora. Quindi la domanda è questa: vuoi darmi una mano o no, fratellone?"

Isaiah chiuse gli occhi per qualche secondo, prima di sospirare rassegnato.
Era chiaro che, se c'era un modo per tirare suo fratello fuori dai guai, lui avrebbe percorso quella strada, per quanto stretta potesse essere.
"Cosa devo fare?"

"Ci sono degli articoli già scritti a casa. Avevo intenzione di pubblicarne uno solo, appena ne avessi saputo con certezza di più ma, date le circostanze, dovremo procedere per tentativi. Parti da quello in cima alla lista."


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postimage Isaiah Thomas Florence, 38, ex Serpecorno


postimage (giusto per farvi capire... questa è la spiaggia di Pentlebay)


Visto che mi avete dato il via libera, il prossimo capitolo sarà su Cassiopea (e, ovviamente, su Antares).
Per quello dopo avete delle preferenze? (ebbene sì, a questo giro vi lascio totale libertà, vediamo cosa salta fuori :P )

 

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Capitolo 13
*** 11 - Cassiopea Lyra Black ***


11

Ciao a tutti!

Dunque... partiamo dalle note dolenti.
2 autrici si sono ritirate. Pertanto vi metto sotto in breve la storia di Eleanor Parker (se mai l'autrice dovesse leggere, ancora auguri per il suo esame di Maturità!).
L'altra è quella di Samuel Larson.


Eleanor Parker

Figlia di un Auror e di una giocatrice di Quidditch professionista, Eleanor vive la sua infanzia in maniera tranquilla e ordinaria, insieme al fratello minore (di 4 anni) Alexander.
Decide molto presto di seguire le orme paterne perciò, appena presi i MAGO, si iscrive all'Accademia.
Peccato che, essendo una ragazza abbastanza esuberante e alla quale piace l'adrenalina, durante il periodo di addestramento abbia partecipato ad una gara di scope da corsa clandestina, conclusasi con l'arrivo degli Auror. E in tale occasione Eleanor viene arrestata.
Fu il padre ad insabbiare la cosa, permettendole così di continuare a studiare in Accademia e diplomarsi: se qualcuno dovesse scoprirlo, sarebbe la fine della sua carriera.
A seguito di studi specialistici, è diventata un'abile legimens, cosa molto utile per il tipo di carriera che svolge.
Ha avuto una cotta per Darius, che ha cercato di mascherare in tutti i modi (ma che ovviamente non è passata inosservata, soprattutto a Cassy).
Non è lei l'assassina.


Altra nota prima di lasciarvi: mi sono accorta di avere fatto un piccolo errore di calcolo. Lyra Levenvolde e Perseus Black hanno compiuto entrambi 4 anni, e non 5 come ho erroneamente affermato più volte (sono nati entrambi nel 2003).
A livello di trama non cambia nulla e ho corretto nei capitoli precedenti, ma ci tenevo cmq a precisare.

Buona lettura!



- Cassiopea Lyra Black in Levenvolde -

postimage
Cassiopea Lyra Black in Levenvolde, 24 agosto 1981, ex Corvonero



"Da quanto è nata?" Domandò Antares all'elfo "Perchè nessuno mi ha avvisato? E dove diavolo è finita Selene?"
Ancora tremante e singhiozzante, finalmente l'elfo riuscì a fornirgli delle risposte. "La signorina Selene... andata via... bambina... nata il 24 agosto... lei volere così! Noi non doveva avvisare lei signore prima di altri tre giorni, ma la bambina piangere disperata! Noi avere cambiata, cullata e dato cibo, ma lei non smettere." Strillò, cercando di superare con la propria voce il pianto della bambina "E noi non sapere più che fare."
Nonostante il pianto incessante della neonata e lo shock dovuto alla situazione, Antares cercò di estraniarsi per un attimo.
Doveva affrontare una situazione per volta o ne sarebbe uscito pazzo.
Sua figlia era scappata di casa. Esattamente come tutte le altre. Avrebbe anche potuto farla cercare da qualcuno, ma restava il fatto che se n'era andata di sua volontà. Lasciandogli in eredità quel fagotto urlante.

(da "Un erede per i Black", cap. 15 "Un sano pomeriggio di relax... o forse no")



Antares non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quel piccolissimo essere minuscolo che si trovava tra le sue braccia.

Era proprio piccolissima, eppure, in qualche modo, era semplicemente perfetta.

Aveva gli occhi grigi, tipico marchio di fabbrica di quasi tutti i Black. Anche se con una leggera sfumatura di azzurro, come i suoi.

Dopo la morte di Lyra, Antares si era chiuso in se stesso, dedicando anima e corpo solo al suo lavoro.

Non sapeva proprio come affrontarlo un lutto, la perdita di una persona amata.
I suoi non si erano mai amati, fatti sposare dalle famiglie per convenienza.
E lui era sempre stato un viziato figlio unico, non abituato a dividere le sue cose con nessuno.

Così si era rinchiuso nel suo dolore, decidendo di non confrontarsi con nessuno. Neanche con la sua famiglia.


Se lo avesse fatto, si sarebbe accorto che anche le sue figlie soffrivano quanto se non più di lui, essendo state private di colpo non solo della madre, ma anche di un padre.

Era stato per quel motivo che, di punto in bianco, si era ritrovato completamente solo.

No, non solo del tutto.


Paradossalmente era stata la sua ultima figlia che, abbandonando la nave, gli aveva lanciato un'ancora di salvezza.


Quell'esserino che stringeva tra le braccia.


La sua occasione di ricominciare.


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"Ci sono degli articoli già scritti a casa. Avevo intenzione di pubblicarne uno solo, appena ne avessi saputo con certezza di più ma, date le circostanze, dovremo procedere per tentativi. Parti da quello in cima alla lista."

(da "Un omicidio per i Black", cap. 10 - Alexis Elizabeth Buldstrode)


3 luglio 2007, Villa Black


Quella mattina, mentre beveva la solita tazza di caffè latte prima di uscire di casa per andare al lavoro, Nihal Black rischiò fortemente di strozzarsi.
Incredulo, fissò per cinque minuti buoni la prima pagina del giornale, dove capeggiava quel titolo talmente assurdo da risultare irreale.
Poi, sentendosi all'improvviso privo di ossigeno, fece un respiro profondo, cercando di ricordare a se stesso come si doveva fare per respirare.

"Tutto bene amore?" Lo distrasse la voce preoccupata di Gillian, che si era girata in quel momento verso di lui, avendo appena finito di imboccare Electra. "Cosa c'è? Cos'è successo ancora?" Gli domandò in un sussurro, cercando di non assumere un tono allarmato.

Ancora scioccato dall'articolo, Nihal le passò il giornale. "Prima è meglio se ti siedi." La avvertì premuroso.
Fu quasi con foga che sua moglie glielo strappò di mano. E le bastò leggere il titolo per imprecare. "Io lo uccido quello st..."

"Ehm ehm." La bloccò appena in tempo suo marito, gettando un'occhiata significativa in direzione della figlia, che aveva preso la brutta abitudine di ripetere all'infinito ogni parola che sentiva uscire dalla bocca di chi la circondava.
"Oh giusto! Scusa piccola!" Esclamò a mezza voce Gilly, tornando a concentrare la sua attenzione sul giornale, per strapazzarlo ancora di più. "Spero vivamente che Cassy non l'abbia ancora visto. Dici che magari essendo al mare i gufi non gliel'hanno portato?" Domandò speranzosa.

"Sei nata e cresciuta nel mondo magico e ancora speri che i gufi non arrivino al mare?" Domandò una voce ironica alle loro spalle, comparsa proprio tre secondi prima sulla porta. "Comunque , sono già a casa, , ho già letto l'articolo e no, non me la sono presa. In realtà non me ne frega niente, visto la penna da cui è uscito." Spiegò Cassiopea, mentre si accomodava a tavola e agitava la bacchetta per appellare la colazione, facendo contemporaneamente spallucce e facendo slogare di conseguenza la mandibola ai coniugi Black.

"Sei... sei sicura di stare bene?" Domandò a quel punto Gillian, allungando una mano verso la fronte della cugina per sentirle la febbre, mentre invece Nihal ridacchiava, borbottando maliziosamente qualcosa sui 'miracoli del mare'.
Davanti all'occhiataccia della moglie però, tornò serio. "Cassy... ci metto tre secondi a presentare una querela. Quell'articolo è una diffamazione bella e buona." Provò a convincerla.
"Purtroppo lo sarebbe se sapessimo chi è il mio padre biologico. Ma l'unica a saperlo è la donna che mi ha partorito." Replicò lei, portandosi la tazza alle labbra.
"Sì ma..." Provò ad insistere nuovamente Nihal, esitando per un attimo "accusare Antares di... incesto con Selene... è troppo anche per Florence!" Sputò fuori alla fine, scandalizzato. "Non possiamo fare finta di niente!"
"Nihal..." Replicò però Cassiopea, chiudendo per un attimo gli occhi e facendo un enorme respiro per calmarsi "Ascolta... sei molto dolce a preoccuparti, ma... di questi articoli ne sono usciti un'infinità da quando sono nata. Figlia di un babbano, di un nato babbano, di un mezzosangue... sono stati vagliati tutti i purosangue che frequentavano la scuola ai tempi di mia madre... hanno anche detto che ero la figlia di Antares, nata da una delle sue tanti amanti e che non si sa perchè sono stata riconosciuta. Insomma, hanno accusato della mia paternità metà della popolazione
maschile magica e non solo." Continuò stringendo appena un po' di più la tazza. "Ho perso il conto sinceramente. E neanche mi interessa più ormai. Antares Black è stato mio padre - in un modo che molti padre purosangue neanche possono immaginare - e mia madre è morta il giorno in cui sono nata. Del resto non me ne frega assolutamente niente" Decretò decisa. "Elliot Florence la pagherà, su questo puoi scommetterci. Ma non sarà con una ridicola querela che fermeremo i giochini suoi e di suo fratello."


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30 agosto 1981, Villa Black


Altair, una volta uscito dal camino, dovette trattenersi per non scoppiare sonoramente a ridere.

Suo cugino Antares, che a memoria d'uomo non aveva mai tenuto in mano un bambino che avesse meno di due anni, era seduto su una sedia a dondolo, con in braccio una bambina di pochi giorni, profondamente addormentata.

Era stata proprio la presenza della bambina, e la paura di disturbare il suo sonno, ad impedirgli di ridere.

Tuttavia un'altra idea si affacciò prepotentemente nella sua mente, ma mentre pensava di realizzarla un sibilo proveniente dall'altro uomo lo bloccò. "Scordatelo." Gli comunicò in un sussurro perfettamente udibile "Una foto in questo momento è fuori questione."

Sorridendo divertito, l'Auror si avvicinò, sedendo su una sedia a poca distanza dai due. "Così sembri proprio una mammina casalinga, sai?" Lo prese in giro in un sussurro. Poi, a tradimento, appellò la macchina fotografica, scattando una foto prima che Antares potesse fare qualsiasi cosa per fermarlo. "Credimi Anty." Gli sussurrò indirizzandogli un occhiolino, mentre in risposta il cugino lo fulminava con lo sguardo. "Un giorno mi ringrazierai per questa foto. In ogni caso potrai averne una copia, ma la originale la tengo io, questa volta."
"Mi sono già pentito del nome che ho deciso di darle." Borbottò in risposta il giudice, chiudendo gli occhi per un attimo per calmarsi, impedendo così al suo istinto - che gli suggeriva di mollare la bambina e avventarsi sul cugino per strozzarlo - di prendere il sopravvento.

"E quale sarebbe?" Domandò a quel punto Altair incuriosito. "La terrai con te quindi?" Aggiunse sorpreso, sgranando leggermente gli occhi.

Antares Black non era mai stato un tipo molto paterno. Era sempre stata Lyra a permettergli di essere un padre decente.
E pensare che stava per accollarsi da solo il peso di una neonata all'età di 55 anni, era qualcosa che lo aveva lasciato di stucco.

"Che altro potrei fare?" Domandò Antares neutro "Non metterei mai mia nipote in un orfanotrofio - mi vengono i brividi solo a pensarci - e non posso neanche scaricarla ad una delle mie figlie come un pacco postale." Ragionò. "Quindi quale altra scelta ho?"
"Sei sicuro di ciò che stai per fare?" Indagò Altair, abbandonando l'aria divertita per assumerne una decisamente più seria "Una bambina piccola ha bisogno di molte attenzioni, cure, affetto, punti di riferimento... presenza" Spiegò calcando bene sull'ultima parola.
"Lo so." Rispose l'altro "Ed è per questo che ti ho chiamato qui." Aggiunse a denti stretti, ammettendo così quella sua debolezza "Vorrei che tu ed Elizabeth mi deste una mano. Vorreste essere voi il padrino e la madrina di Cassy?"
"Cassy?" Domandò Altair incredulo, mentre gli occhi gli diventavano vagamente lucidi.

"Cassiopea Lyra Black." Specificò Antares "E' il nome che ho scelto per lei."


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3 luglio 2007, Dipartimento Auror


Quindici giorni.

Non erano passati a momenti neanche quindici giorni da quando Lysbeth si era ritrovata in una situazione simile.
Era di nuovo al Dipartimento, di nuovo torchiata dagli Auror, di nuovo nella situazione di dover decidere se rispondere a delle domande scomode... oppure se non farlo.

Quando quella mattina, dopo essere tornata dal mercato, aveva trovato la casa dei Northman completamente vuota, senza neanche un soprammobile, le era venuta una crisi isterica.

Non poteva succederle di nuovo.

Non poteva perdere nuovamente il suo lavoro.

Amelie era una persona spregevole, era vero. Ma lo stipendio che le dava permetteva a Lysbeth di ingoiarne parecchi, di magoni.
Eppure ogni cosa in quella Villa faceva presupporre che, senza avvertire nessuno, Amelie Northman se ne fosse andata per sempre.

E Lysbeth si era ritrovata di punto in bianco, di nuovo, a dover rispondere alle domande scomode di Aysha Meghara, che la osservava impassibile al di là del tavolo, anche se con una vaga nota di pietà negli occhi.

"Ci rivediamo presto, signorina Chevalier." Aveva esordito a mo' di saluto.
E Lysbeth si era sentita fremere di rabbia.
"Lei!" Urlò adirata, con tutto il fiato che aveva in gola. "Non ho idea di cosa voglia da me, ma una cosa la metto in chiaro subito: questa volta non risponderò ad alcuna domanda!" Affermò convinta "L'altra volta mi sono fidata e guardi il risultato! Licenziata in tronco! Avevate detto che mi avreste protetta, se fosse servito!" Continuò a sbraitare furiosa. "E invece vi siete solo fatti gli affari vostri! Perciò d'ora in avanti parlerò solo in presenza di un avvocato. E' la mia ultima parola." Decretò.

"Le porgo le mie più sentite scuse." Iniziò a scusarsi Aysha, giocherellando nervosamente con una ciocca di capelli. "Ma non potevo sapere che  avrebbe denunciato Darius Levenvolde! Se solo..."
"Avvocato." La interruppe però Lysbeth a denti stretti, incrociando le braccia al petto e iniziando a fissare insistentemente il muro.

Non avrebbe detto una parola di più.

Nessuna delle due riuscì a dire nient'altro, perchè la porta dietro di loro si aprì violentemente.
"Ma che modi sono que...?" Iniziò a protestare Aysha, prima di venire interrotta da una voce infantile e divertita.
"Avvocato vuoi e avvocato avrai!" Esclamò Amelie Northman ridacchiando, ignorando i tentativi di Aaron di impedirle di entrare nella stanza, trascinando dietro di sè un altro uomo.
"Signorina Northman!"

"Si può sapere per quale motivo state trattenendo la mia cameriera?" Abbaiò lei aggressiva.
"Si può sapere dove è stata nelle ultime ore?" Ribattè invece Aaron.
"Questi sono solo affari miei." Rispose la banchiera secca. "Andiamo Lysbeth."
"Lei non si muove da qui invece!" Replicò l'auror, mentre una vena iniziava a pulsargli pericolosamente vicino alla tempia. "Ha un po' di domande alle quali rispondere. Glielo avevamo specificato molto bene di non allontanarsi per nessun motivo da Londra."
"Come se voi poteste davvero trattenermi! L'unico motivo per cui sono rimasta in città è perchè voglio godermi il divertimento." Rispose Amelie sfidandolo e facendo spallucce "Parlate con il mio avvocato se avete bisogno..."
Disse indicandolo con il pollice "... ma non potete trattenere nessuna delle due. E, adesso, andiamo Lysbeth."


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12 marzo 1985, Villa Black


"NONNOOO!"
Davanti a quell'urlo beduino, Antares non potè far altro che sussultare, lasciando di scatto i documenti che stava leggendo per precipitarsi fuori nel corridoio, alla ricerca della nipote.
"CASSY?" Urlò allarmato "COS'E' SUCCESSO?"

Fortunatamente ci mise poco a trovarla e, con un sospiro di sollievo, si accorse anche che sembrava perfettamente illesa.
"Cassy! Mi hai fatto prendere un colpo!" Esclamò avvicinandosi a lei per prenderla in braccio "Si può sapere perchè hai urlato così?"
"Non sapevo dov'eri e la casa è grande." Si giustificò lei, rivolgendogli un sorriso di scuse "E' arrivata questa." Continuò porgendogli una busta. "Sono i Ro... Rowle" Aggiunse compiaciuta, fiera di essere riuscita a leggere il nome del mittente, visto che Antares in quel periodo aveva appena iniziato ad insegnarle a leggere e a scrivere.

"I Rowle?" Domandò l'uomo inarcando un sopracciglio, mentre con un una complicata manovra sfilava la busta dalle mani della bambina e la apriva, sempre tenendo la nipote tra le braccia.

Non sentiva nessuno di quella famiglia da secoli, quindi perchè di punto in bianco gli scrivevano?


Leggendo il contenuto della lettera lo capì subito, ma la risposta non gli piacque affatto.
Una parola in particolare gli lampeggiava continuamente davanti agli occhi.

Matrimonio.

Cercando di trattenere a stento la rabbia voltò il collo verso la nipote, che aveva iniziato a giocherellare con la sua catenina.

Ma come diamine facevano i Rowle a chiedergli una cosa del genere? Cassiopea non aveva neanche cinque anni!

"Nonno?" Domandò a quel punto la bambina, forse spaesata dalla forte presa che Antares, senza accorgersene, stava esercitando sulla sua schiena. "Stai bene?"
A quella domanda, l'uomo si riscosse. "Sì certo." La rassicurò, iniziando ad attraversare il corridoio ad ampie falcate, finchè non raggiunse un salottino dove un fuocherello scoppiettava
allegro nel camino.

Senza pensarci due volte, Antares stracciò più volte la lettera e, davanti all'espressione stupita della bambina, la gettò nel fuoco.
"Fammi solo un favore Cassy: stai lontana da Aurelius Rowle... almeno fino ai 20 anni. E se arrivano altre buste del genere, ti do il permesso di bruciarle."
"E cuocerci sopra il formaggio fuso?" Domandò la nipote, mentre i suoi occhi si illuminavano a pensare a quella leccornia.
"Tutto quello che vuoi." Promise lui.


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"Ok" Borbottò Melisandre, controllando per l'ultima volta che tutti gli incantesimi che aveva posto su di sè funzionassero a dovere. "Vediamo se sei davvero affidabile quanto sembri, mia cara guaritrice."

Era da quando Aaron le aveva permesso di analizzare i fascicoli su Julia Carlisle e Caroline Fisher che l'investigatrice aveva iniziato le indagini su di loro.
Data e luogo di nascita, famiglia, lavoro, abitudini. Tutti elementi che stava cercando con estrema lentezza e metododicità, ma che pian piano stavano dando i loro frutti, permettendole di delineare un quadro sempre più ricco di dettagli.

E qualcosa le era saltato immediatamente all'occhio.
Nessuna delle due aveva passato la propria intera vita in Inghilterra.

Caroline, nonostante vi fosse nata, si era trasferita con la sua famiglia ad un certo punto in Svizzera, più o meno nel periodo della guerra. Invece Julia era arrivata a Londra qualche anno dopo la guerra, ma di sicuro non aveva origini inglesi.
Per quanto Melisandre avesse cercato infatti, in nessun angolo sperduto della Gran Bretagna era stata registrata la nascita di Julia Carlisle, circa 28 anni prima.
Ma questo non significava ancora nulla. La medimaga poteva essere benissimo nata da qualche altra parte. Magari in un paese anglofono, come gli Stati Uniti, il Canada oppure l'Australia.
O anche da genitori anglofoni in qualsiasi altro stato.

E soprattutto, ovunque fosse nata, questo non pregiudicava di certo la sua competenza come medimaga. Aveva ascoltato alcuni suoi colleghi, al San Mungo, e sembravano tutti entusiasti del lavoro che in quegli anni la ragazza aveva svolto presso l'ospedale.

Melisandre non era abituata a dare giudizi senza conoscere. E per questo motivo le serviva qualcosa di concreto sul quale lavorare.
Perciò quella mattina, per il secondo giorno di fila, si era appostata fuori casa della medimaga.

Sperando che le sue lunghe osservazioni dessero presto qualche risultato.



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20 maggio 1987, Diagon Alley


"Secondo me la stai viziando un po' troppo." Sbuffò Hydra a denti stretti, lanciando un'occhiata alla nipote, che in quel momento si stava ingozzando di gelato insieme a sua figlia a qualche tavolo di distanza.
"E perchè mai?" Replicò Antares inarcando un sopracciglio "Solo perchè ho detto sì quando hanno chiesto di mangiare il gelato ad un tavolo diverso dal nostro?" Domandò gettando a sua volta un'occhiata a Gillian e Cassiopea, intente a ridacchiare per qualcosa. "Le riusciamo a controllare benissimo anche da qui."
"Non è per il tavolo." Rispose Hydra, roteando gli occhi. "E' per tutto ciò che ci sta attorno: siamo entrati già in sei negozi diversi, prima di venire qui. E tu non hai mai detto no a nessuna delle sue richieste." Gli fece notare.
"E allora?" Domandò a quel punto l'uomo, non facendo nulla per nascondere tutta la sua irritazione.
"E allora anche i no servono per crescere." Rispose la donna, cercando di mantenere la pazienza. "Non la aiuterai, facendole credere che tutto le sia dovuto."
"Ha soltanto sei anni!" Protestò lui, assottigliando gli occhi. "Ha tutto il tempo per imparare come funziona il mondo. Ma forse..." Esitò un attimo, lanciandole una profonda occhiata "...forse sei soltanto gelosa... perchè le rivolgo quelle attenzioni che non ho mai rivolto a te o alle tue sorelle." La provocò a denti stretti.
"Non dire sciocchezze!" Ribattè Hydra inarcando un sopracciglio. "E' mia nipote! E' ovvio che mi preoccupo per lei!" Provò a farlo ragionare.
"Cercando di convincermi a non darle quello che mi chiede?" Replicò lui gelido.
"Non mi sembra che le manchi qualcosa." Soffiò sua figlia, iniziando a pentirsi di aver accettato di passare quel pomeriggio con suo padre.  

L'aveva fatto solo perchè aveva visto quanto Cassiopea e Gillian andavano d'accordo. E ci teneva che creassero un legame solido. Ma questo significava anche sopportare Antares.

Un tonfo sordo la fece sobbalzare, mentre alcuni clienti della gelateria si giravano verso di loro. L'uomo aveva appena battuto il pugno sul tavolo.
"Vuoi sapere perchè le dico sempre sì?" Sbottò il vecchio Black, dopo aver fulminato con lo sguardo coloro che li stavano guardando, convincendoli così a girarsi e a farsi gli affari loro. "Perchè ho dovuto dire di no all'unica cosa che mi ha chiesto una sola volta, tra le lacrime, ma che proprio non posso procurarle: una madre." Sibilò a denti stretti.
"Se tu me l'avessi detto dall'inizio, adesso questo problema non si porrebbe!" Replicò Hydra, ormai fregandosene altamente di essere in un locale pieno di persone, che sicuramente li stavano ascoltando. "L'avremmo potuta crescere io e Charlus come nostra."
"Solo perchè non sei riuscita ad avere altri figli oltre Gillian, non significa che tu debba prendere quelli altrui!" Sputò crudele Antares "Cassy è mia, sono stato chiaro?"

Alla sola idea che Cassiopea potesse essergli tolta, si era sentito mancare il respiro.

"E comunque... come pretendi di fare da madre ad entrambe, se le hai già perse di vista?" Aggiunse gelido, indicando con un cenno della testa il tavolo dove, fino a pochi minuti prima, le due bambine erano sedute, ma che in quel momento era desolatamente vuoto.

Mentre Hydra impallidiva e si alzava di scatto dalla sedia, iniziando a cercarle ovunque con lo sguardo, Antares lasciò dei soldi sul tavolo per pagare il conto di tutti e quattro e abbandonò il locale.
Dopo un attimo di sconcerto - e sentendo gli sguardi di tutti i clienti di nuovo addosso - anche la donna ne seguì la scia, trovandolo a pochi negozi di distanza, piegato sulle ginocchia con un sorriso rivolto alle bambine, che tenevano entrambe in braccio un cucciolo di kneazle, intente ad accarezzarlo.

"Voi due!" Le sgridò immediatamente Hydra con il fiatone, portandosi una mano al cuore "Perchè vi siete allontanate in quel modo senza avvisare? Volete farmi venire un infarto?"

Mentre Gillian abbassava lo sguardo, rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto, mormorando un debole "Scusa mamma", un lampo di rabbia attraversò gli occhi di Cassiopea, non abituata ad essere sgridata.
"E perchè avrei dovuto dirtelo? Non sei mica mia madre!" Le rispose stizzita prima di girarsi verso suo nonno "Nonno me lo compri?" Gli domandò con un sorriso angelico, mutando lo sguardo alla velocità della luce e ricominciando a coccolare il cucciolo, che dimostrò il suo gradimento facendo le fusa. "E prendi l'altro per Gilly?" Aggiunse subito dopo, girando lo sguardo verso la cugina, che continuava però a tenerlo basso.

Hydra era impietrita. Non le erano mai piaciuti gli animali. E sapeva già cosa stava per accadere.

"Ma certo!" Rispose infatti immediatamente Antares, materializzando così le sue paure. "Però Cassy, io posso prenderlo
solo per te. Per Gillian deve decidere... sua madre." Concluse calcando sulle ultime due parole, girandosi verso la figlia per sfidarla con lo sguardo.

Qualsiasi cosa avesse risposto in quel momento, Hydra aveva la consapevolezza di essere fregata.
Se avesse detto di no, Gillian, già sull'orlo delle lacrime, sarebbe scoppiata sicuramente a piangere, pianto che sarebbe addirittura aumentato vedendo invece sua cugina accontentata per l'ennesima volta. Se avesse detto di sì, suo padre glielo avrebbe rinfacciato di sicuro.
Poteva solo provare la terza via, sapendo già quanto il terreno fosse scivoloso.

"Prendiglielo pure" Concesse alla fine, fulminando Antares con lo sguardo "Ma sia chiaro: il kneazle starà da te, non da noi." Specificò, mentre Gillian alzava incredula gli occhioni lucidi.

Aveva appena finito di dirlo quando comprese di essersi messa ancora di più in trappola da sola: l'uomo aveva infatti assunto un sorrisino vittorioso. L'aveva previsto.
"Ma certo, nessun problema." Rispose infatti dirigendosi alla cassa "Naturalmente Gillian potrà venirlo a trovare quando vorrà. Anche tutti i giorni."

Con quella mossa, Antares Black non si era limitato a procurare a sua nipote un cucciolo di kneazle, accontendando così il suo ennesimo capriccio. Le aveva procurato anche
una sorella. E di conseguenza una madre.


-*-*-*-


"Florence! Il tuo avvocato è arrivato!" Lo informò l'Auror, mentre Caroline, con un'espressione completamente stupita in volto, si voltava di scatto.
"Come prego?" Domandò completamente stupita all'uomo, che però uscì velocemente dalla stanza, senza prestarle la minima attenzione.

Quando era stata spedita ad Azkaban, quella mattina, aveva pensato si trattasse del solito giro di routine che una volta al mese impegnava uno del suo studio.
Non si aspettava di certo di dover fare da avvocato difensore di Elliot Florence.

"Ed era anche ora!" Esclamò invece il fotografo, comparendo nella sua visuale con il suo solito ghigno.

Immediatamente, Caroline si ritrovò a fare un passo indietro, come a voler evidenziare la sua distanza da lui.

"Non so cosa tu abbia in mente Florence, ma io non sarò il tuo avvocato." Affermò decisa. "Non c'è già tuo fratello, a fare il lavoro sporco per te?" Domandò con una punta di ironia.
"Mio fratello, al momento, è impegnato su altri fronti." Ribattè Elliot serafico "E mi sembra appropriato concedergli un po' di tregua, non trovi anche tu?" Domandò retorico.
"Se tu non combinassi guai ogni cinque minuti, le pause per Isaiah sarebbero molto più lunghe." Rispose Caroline, determinata a non farsi mettere in piedi in testa.
"Oh, quindi è così che stanno le cose per te?" Domandò Elliot divertito. "Io che mi metto nei guai e il mio fratellone, il cavaliere senza macchia e senza paura, che corre a salvarmi su un cavallo bianco come nella famosa fiaba babbana?" La prese in giro "Evidentemente, lo dipingi molto più umano di ciò che è in realtà."

"Cosa vuoi?" Lo interruppe Caroline fulminandolo.
"Ma se l'hai detto tu prima!" Esclamò lui sgranando gli occhi, in una finta espressione stupita "Voglio che sia tu il mio avvocato difensore, Caroline."
"Per quanto mi riguarda, Florence, stia bene dove stai: a marcire in prigione." Replicò la donna, rigida. "Era anche ora che riuscissero a sbatterti dentro."
Si aspettava una qualsiasi reazione da Elliott, tranne quella che fece: sorridere dolcemente. "E' un vero peccato Caro." Sussurrò con voce morbida "Visto il caso che sta seguendo il tuo studio, pensavo fossi un po' più... accondiscendente. Mi riferisco, ovviamente, all'omicidio di Samuel Larson."
"Non capisco." Si limitò a rispondere lei, irrigidendosi appena.
"Beh... sarà ancora valida l'autopsia che hai aiutato a redarre - e con essa la difesa che state preparando per il signor Levenvolde - se qualcuno dovesse scoprire cosa ti lega a quell'uomo?" Domandò con un luccichio pericoloso negli occhi.

Isobel.

Nessuno dei due lo disse ad alta voce, ma quel nome risuonò nell'aria come se fosse stato urlato.

Come diavolo aveva fatto a saperlo?

"E non ti preoccupare del fatto che Alexis Buldstrode potrebbe opporsi alla tua decisione." Continuò serafico, quasi come se le avesse letto nel pensiero "So come tenere buona anche lei. E' la cosa bella delle persone: hanno tutti un segreto inconfessabile. Il mio compito è scovarlo. E questa volta ne ho trovati due parecchio utili."


-*-*-*-


"Non siamo tutti pazzi come mia cugina Bellatrix, in famiglia." Gli aveva spiegato Altair "Molti di noi hanno capito che questo regime è solo marcio e che, presto o tardi, sarà destinato alla distruzione."
"E dove sono tutte queste famiglie, mentre noi veniamo imprigionati e torturati?" Aveva replicato Aaron sarcastico.
"E tu come pensi di essere stato liberato?" Gli aveva risposto il Black, altrettanto ironico. "Opporsi in maniera teatrale, come fa quel ridicolo ordine del tacchino, non serve assolutamente a nulla, se non ad attirare l'attenzione e morire, schiacciati uno alla volta. L'unica maniera per essere davvero efficaci è lavorare da dietro, boicottando ogni loro mossa senza che se ne rendano conto."

(da "Un omicidio per i Black" - cap. 9, Aaron Morgan)


5 luglio 1996, Villa Black



"Nonno? Io dovrei uscire con... " Comunicò Cassiopea premendo sulla maniglia per entrare in salotto, prima di interrompersi "Oh! Ciao zio!" Esclamò allegra, rivolgendo un sorriso al suo padrino.

Le ci vollero pochi secondi però, per capire di avere appena interrotto una probabile discussione.
I due uomini infatti, davanti a quella interruzione non preventivata, si girarono di scatto verso di lei, mentre l'aria attorno a loro si faceva alquanto pesante.

"Ehm... io vado." Provò a congedarsi lei, facendo dietro front e cercando di raggiungere nuovamente la porta, prima che la voce di Antares la fermasse.
"No, resta qui." Le ordinò secco.
"Non ci provare." Lo reguardì quasi sibilando Altair. "Non ci provare neanche ad usarla come scudo!"
"Ma come ti permetti?"

"Si può sapere cosa diamine sta succedendo?" Li interruppe a quel punto Cassiopea, assottigliando gli occhi.
"Sta succedendo, Cassy, che stiamo per entrare in guerra. Di nuovo." Spiegò secco Altair, ignorando l'occhiataccia di suo cugino. "Piantala Antares, è abbastanza grande per capire."
"Puoi anche parlarne davanti a lei, non mi interessa. Ma non sarò disposto a fare come l'ultima volta." Decretò Antares, incrociando le braccia al petto. "Stavo giusto pensando di andare in pensione, per Merlino! Ho già superato i settant'anni! Penso di meritarmelo."
"State parlando di... Voi-sapete-chi?" Domandò la ragazza a quel punto, iniziando a tremare impercettibilmente. "Cosa... cosa avete... non avrete mica il marchio vero?" Domandò alla fine, incerta e preoccupata, occhieggiando verso le braccia dei due uomini, entrambe coperte dalle maniche della tunica.
"Ma certo che no! Non dire sciocchezze del genere Cassy, sei una Corvonero in fondo!" Esclamò Altair, tirandosi immediatamente su la manica per rassicurarla, mostrandole il braccio immacolato, seguito a breve distanza dal cugino. "Visto?"
"E allora... cosa?" Chiese ancora Cassiopea, sedendosi sul divano e mandando immediatamente al diavolo il suo impegno.
"E allora niente Cassy." Sbottò Antares "Eravamo neutrali l'ultima volta. E lo saremo anche questa." Decretò furibondo, lanciando l'ennesima occhiataccia all'uomo accanto a lui. "Che vinca chi riesce, che si ammazzino tra loro. E che se ne vadano tutti al diavolo!"
"Veramente l'ultima volta non mi sembrava che fossimo davvero neutrali." Lo contraddisse però l'ex Auror "Lo eravamo solo di facciata." Spiegò con un sorrisino ironico, a beneficio della ragazza, indirizzandole un occhiolino.
"Questa volta sarà peggio!" Si oppose l'altro "Entro un anno assumeranno il controllo sia del Ministero che della Scuola, nel caso te ne fossi scordato! E siamo anche molto più vecchi."
"Motivo in più per non andare in pensione." Replicò Altair "Pensa a quanti processi contro i nati babbani e i mezzosangue potrai mandare all'aria con la burocrazia, se rimarrai lì! E tutto sotto al loro naso!"




"Nonno..." Era quasi un sussurro quello di Cassy. Una preghiera. "Nonno, per favore non mandarmi via. Ti supplico! Voglio restare qui! Voglio restare con te!"

Non c'era voluto così tanto, ad Altair, per convincere Antares a fare di nuovo la cosa giusta.
Ma questo aveva finito per ripercuotersi inevitabilmente su Cassiopea.
Suo nonno non voleva che lei restasse lì, con una guerra alle porte. Ma allo stesso tempo sua nipote non voleva andarsene.

"Non vuoi passare un anno a Durmstrang, in modo da perfezionare la tua conoscenza della lingua tedesca e russa?"
Provò a convincerla lui "Non erano il tuo sogno le relazioni internazionali? Un anno all'estero è quasi un passo obbligato, per il tipo di carriera che vuoi fare tu."
"Non così!" Provò ancora una volta ad opporsi lei "Dovevi esserci anche tu! Dovevi andare in pensione e venire con me!"
"Non avrei comunque potuto seguirti, dentro alle mura di Durmstrang. Non dire assurdità, Cassy!" Le rispose Antares.
"Ma saresti comunque stato lì!" Protestò lei "E come faccio ad andarmene, sapendo quello che sta succedendo qui? Sapendo quello che voi state per fare?"
"Una ragione in più per andarsene. Sanno tutti quanto tengo a te e sarò più manovrabile, se tu rimani qui." Replicò lui, cercando di non far trasparire quanto quel distacco stava facendo male anche a lui.
"Voglio restare qui! Tutta la mia famiglia è qui!" Ripetè lei, con una nota di isterismo.
"Ma non è vero! Anche Cecilia passerà l'anno a Durmstrang! Sarete insieme!" Replicò l'uomo, riuscendo non si sa bene come a mantenere la calma.
"Non me ne frega niente di Cecilia! Voglio restare qui!"
"E' inutile che provi a convincermi Cassy: per quanto tu possa piangere e gridare, non mi farai cambiare idea, questa volta. Ho già deciso."

"Quindi la mia opinione non conta niente?
"In questo caso no."
"Ho capito... mi stai abbandonando anche tu. In fondo, l'hai fatto con tutte le tue figlie. Perchè con me dovrebbe essere diverso?"

Sapeva che quella sarebbe stata peggio di una coltellata, per suo nonno.
Il tempo di realizzare ciò che aveva effettivamente detto, che se n'era già pentita.

"Scusa io..." Pigolò appena, prima di essere interrotta dalla voce gelida di Antares.
"Fila in camera tua. E fai le valige. Adesso. Partirai stasera stessa."


-*-*-*-


Quando quella mattina, sull'orlo delle lacrime, Sylvia si era diretta a Villa Black, era convinta di poter parlare con Cassiopea.
Invece ad aprirle la porta, comunicandole che la Corvonero non era in casa in quel momento, era stata Cecilia.

"Non... non importa." Sospirò la Burke, facendo dietrofront. "Tornerò in un altro momento."
Stava per smaterializzarsi, quando si sentì afferrare di scatto per un polso. "E' un livido quello?" Domandò la Tassorosso, puntando gli occhi verso quella macchia violacea che aveva fatto la sua comparsa su una coscia e che quella mattina Sylvia non aveva proprio visto.

Altrimenti lo avrebbe coperto. Come tutti gli altri.

"Entra." La invità Cecilia senza aspettare una risposta, facendo un passo di lato per lasciarla passare. "Non accetto un no. Visto che conosci bene Cassy, sappi che sono testarda quanto lei."
"Non voglio disturbare." Replicò Sylvia, cercando di riassumere la sua solita aura di impassibilità.
"Troppo tardi." Rispose la rossa, invitandola con un cenno della testa nuovamente in casa.

Mentre guidava l'ospite verso il salotto, la tassorosso pensò per la prima volta alla sua situazione - che aveva spiegato a Gillian per il compleanno dei bambini - sotto ad una luce completamente nuova.

Era vero, non era riuscita ancora a portare a termine una gravidanza.

Ma se c'era una cosa della quale era assolutamente certa, era dell'amore che Aster provava per lei. E che lei provava per lui.
Indipendentemente dall'arrivo di possibili figli.
L'amava così tanto che, nonostante lei fosse ormai lontana da casa da quasi tre settimane, non le aveva mai fatto pressioni per farla tornare, accettando silenziosamente la volontà della moglie di prendersi un periodo di stacco, solo per se stessa.
Un altro sarebbe andata a prenderla per i capelli.

Sylvia, al contrario, era intrappolata in un matrimonio finto, ma dal quale non poteva retrocedere in alcun modo. E che le procurava solo dolore.

Due situazioni diametralmente opposte.


-*-*-*-


1 ottobre 2000, Villa Black


Cassiopea, con un sospiro affranto, coricò la schiena sul grande letto matrimoniale della camera che era stata dei suoi nonni, avvolgendosi in una coperta di lana.
Non faceva ancora così freddo, tuttavia il freddo se lo sentiva nelle ossa.

Suo nonno le mancava.
Moltissimo.

L'aveva sepolto da poco più di un mese in fondo.
E stare in quella camera al buio, in qualche modo glielo faceva sentire più vicino.
Se chiudeva gli occhi, le sembrava quasi di percepirlo ancora accanto a lei.

Sapeva che quella era solo una mera illusione. Ma per qualche secondo voleva farsi cullare da quella sensazione.

Si sentiva terribilmente sola.

Fino ad un mese prima, per tutto agosto, la casa era stata così piena di ospiti - tutti per concorrere per quello stupido cognome - che il tempo era volato via.
E con lui anche Antares.

Ma, una volta finita la gara, se n'erano andati tutti.
Qualcuno era inizialmente rimasto per il funerale. Ma poi anche quello era passato.
E lei si era ritrovata improvvisamente sola in quella casa così grande.
Anche Darius era dovuto tornare in Russia. Era già mancato dall'ufficio per un mese e mezzo. E non poteva proprio prendere altri giorni.

Ricacciando a forza le lacrime - anche se era sola odiava piangere - e senza rendersene conto, Cassiopea si assopì.

Fu svegliata, non seppe neanche lei quanto tempo dopo, da un tocco leggerissimo sulla schiena. Quasi uno sfioramento.
"Scusa, volevo solo coprirti, non svegliarti." Si scusò il ragazzo, prima di sedersi appena sul bordo del materasso. "Ti ho visto rannicchiata e ho pensato avessi freddo." Si giustificò.
"Non importa... non mi sarei neanche dovuta addormentare." Replicò lei, mettendosi a sedere a sua volta e guardandolo confusa, con occhi carichi di sonno. "Come mai sei qui comunque?" Domandò curiosa, chiedendosi per un attimo se non fosse solo tutto un sogno.
"Non mi vuoi qui?"
"Non essere ridicolo Nihal! Questa casa è tanto mia quanto tua ormai!" Replicò lei scherzosamente, ormai completamente sveglia, dandogli un piccolo pugno sul braccio. "Sono solo sorpresa: pensavo fossi a New York, dalla tua grande ed infinita famiglia."
"Proprio perchè è grande ed infinita non ho bisogno di stare là." Rispose lui facendo spallucce "Quel testamento non mi ha dato solo un nuovo cognome, o qualche soldo in più nel conto in banca. Mi ha dato anche una sorella. E non mi piace sapere che mia sorella è qua da sola."

Cassiopea, a quelle parole, ringraziò che la stanza fosse in penombra.
Solo Gillian, Cecilia e suo nonno, in quasi vent'anni di vita, l'avevano vista piangere.

Tuttavia il ragazzo dovette accorgersi comunque del suo stato emotivo, perchè ben presto si ritrovò stretta in un abbraccio.
"Non so se so farla, la sorella." Commentò alla fine, con un filo di voce. "Sono viziata, egoista ed egocentrica."
"Da quel che dice Gillian invece la sai fare eccome." La contraddisse lui.
"La sorella di una ragazza magari... voi fratelli maggiori non siete sempre gelosi ed iperprotettivi? Non so mica se ne voglio uno così!" Borbottò lei in risposta, ma già con il cuore più leggero.
"Troppo tardi." Replicò Nihal, parecchio divertito dalla situazione.

Per qualche secondo rimasero così, abbracciati e in silenzio.
Poi Nihal parlò di nuovo. "Allora Cassy, che ne dici? Hai voglia di seguirlo, il tuo fratellone? Perchè dovrei portarti in un posto."
"Un posto del tipo?" Domandò curiosa "Ehy!" Protestò sentendo lo sbuffo del ragazzo "Sono una Black, non posso farmi vedere da tutti in pigiama! Devo sapere dove sto per andare per vestirmi di conseguenza!"
"Non posso dirtelo, mi dispiace." Rispose però lui enigmatico. "O ti fidi o non ti fidi. Scegli."

E Cassiopea decise di fidarsi.

Mezz'ora dopo, con un abito che poteva andare bene in diverse occasioni, i due fratelli attraversarono dei corridoi che la corvonero riconobbe velocemente.
Si trovavano al San Mungo.
Tuttavia decise di non fare domande, continuando a seguire il ragazzo.

Finchè non si trovò davanti ad un corridoio che non aveva mai visto. E che, circondato da diversi teli bianchi, sembrava in fase di costruzione.
"Non so se hai dato un'occhiata ai nostri conti ultimamente." Prese la parola Nihal, fermandosi proprio davanti all'imbocco di quel corridoio. "Mancano svariate migliaia di galeoni." Confessò davanti all'espressione interrogativa di Cassy. "Li ho spesi qui. E ne spenderò presto altrettanti. Volevo che fossi la prima a saperlo." Le comunicò.
"Secondo il testamento quei soldi sono tuoi." Replicò Cassiopea scuotendo la testa "Non devi giustificarti con me se vuoi fare una donazione all'ospedale."
"Non è una semplice donazione: guarda la targa sotto al telo." La invitò allora Nihal, sollevandolo appena.

E per la seconda volta nell'arco di un'ora, Cassiopea si ritrovò di nuovo a piangere, prima di scoppiare a ridere.
Probabilmente Nihal l'avrebbe scambiata per pazza, ma in quel momento non le importava.
Non riusciva a capire come, ma suo nonno aveva organizzato proprio tutto, manovrando ogni evento anche dopo la sua morte.
Non l'aveva mai abbandonata, come lo aveva accusato ingiustamente, in un attimo di follia, ormai quattro anni prima. L'esatto contrario.
Le aveva dato tutto. Anche molto di più di quanto lei avrebbe potuto chiedere o sperare.

Nel corso degli anni le aveva dato una famiglia solida e completa, sulla quale poter sempre contare.


Reparto Antares Black.
Centro di ricerca e cura sperimentale per il morbo del drago
*



-*-*-*-


"Cata?"
Alla voce di Candice, la ragazza alzò la testa dal lavoro che stava svolgendo per indirizzare la sua attenzione all'americana. "Dimme." La invitò con un sorriso.

Più passava il tempo, più si trovava a suo agio con quella ragazza, che trovava acuta ed intelligente, oltre che dotata di un gran cuore.
La tuonoalato, oltre che le faccende domestiche, sotto richiesta di Cassiopea aveva iniziato a dare anche lezioni di pianoforte a Lyra e lì era emersa tutta la passione che quella ragazza nutriva per la musica, oltre alla sua enorme pazienza con i bambini.
Non che Lyra fosse capricciosa - Catalina era quasi pronta a scommettere che sarebbe diventata una splendida tassorosso, una volta arrivata ad Hogwarts - ma come tutti i bambini era parecchio esuberante ed allegra ed era molto difficile starle dietro.
Eppure Candice ci riusciva a meraviglia, nonostante fosse arrivata in quella casa da così poco.

Certo, magari quella poteva anche essere soltanto una maschera. Eppure, qualcosa, diceva a Catalina che no, quella non era una maschera. Candice era davvero così.

"Ti va di fare una piccola pausa?" Propose Candice, indicandole l'angolo dove avevano preso l'abitudine di bere il the insieme. "Oltre al fatto che questa Villa è davvero troppo grande da gestire - ho la schiena che reclama pietà - ormai le tue cronache sulla storia magica inglese del secondo dopoguerra mi entusiasmano troppo!"

Dalla prima volta che si erano messe sedute a tavolino - e Cata le aveva raccontato la sua storia e quella di Diego - era quasi diventato un appuntamento fisso, il loro.
In fondo Candice era americana, molte di quelle cose non le poteva sapere. Oppure ne aveva soltanto sentito parlare di sfuggita, essendo avvenimenti che si svolgevano a migliaia di chilometri di distanza da lei.

Il primo argomento che avevano affrontato erano state le due guerre magiche e la, fortunatamente per tutti, vittoria di Harry Potter.
Poi, con calma, Catalina aveva iniziato a spiegarle com'era il mondo magico prima di tale vittoria. E i conseguenti cambiamenti, benchè lenti e graduali, che stava cercando di portare avanti il Ministro Kingsley.
Come, ad esempio, la fine della "dittatura delle sacre 28", passando anche per la liberazione degli elfi domestici.

Erano argomenti lunghi e complessi, ma tanto Catalina si divertiva a raccontarli, tanto Candice ad ascoltarli. 

"Perchè no?" Acconsentì lei, finendo il lavoro che aveva tra le mani con un paio di colpi di bacchetta. "Dove eravamo rimaste l'ultima volta?" Domandò accomodandosi al tavolino e iniziando ad eseguire le manovre per preparare il the.
"Mi dovevi spiegare come hanno tolto il controllo delle banche ai folletti." Rispose la tuonoalato immediatamente.
"Giusto!" Annuì Cata "Allora oggi devo spiegarti per forza qualcosa sulla famiglia Northman."


-*-*-*-


24 Dicembre 2001, San Pietroburgo, Villa Levenvolde


Cassiopea tamburellò le dita sul calice che teneva in mano, in un chiaro segno di nervosismo.
Sapeva che tutto quello era stato fatto apposta dal padre di Darius solo per dimostrarle di essere ancora lui, ad avere il coltello dalla parte del manico.
Tuttavia era convinta di avere già sopportato abbastanza e non avrebbe tollerato un secondo di più quella situazione paradossale.

Perchè, come testimoniava anche l'enorme anello che aveva al dito - con una pietra d'acqua marina circondata da una corona di diamanti - era lei la fidanzata di Darius. Non Kathrina Vukovic.

Ma, a quanto pareva, l'unica a non averlo ancora capito era proprio lei. E la sua famiglia.
Certo, c'era un contratto che ancora doveva essere sciolto.
Ma, sinceramente, a Cassiopea di quel contratto non gliene fregava assolutamente nulla. Avrebbe trovato il modo di scioglierlo, prima o poi.
E prima i Vukovic avrebbero capito la situazione, meglio sarebbe stato.

Perchè lei non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.
Amava il suo fidanzato e sapeva di essere ricambiata. Tutto il resto era solo una antipatica scocciatura.

Anche se, almeno formalmente, lei era ancora soltanto l'amante.

Appoggiando il bicchiere sul tavolo accanto a sè, si distaccò dall'alto funzionario russo che aveva cercato di intrattenerla fino a quel momento, innondandola di chiacchere inutili in un inglese stentato. E lo fece sfoggiando per la prima volta la sua perfetta pronuncia russa.
"E' stato un piacere parlare con lei. Ma adesso, se non le dispiace, vorrei raggiungere il mio fidanzato." Si congedò facendogli strabuzzare gli occhi.

Era da quando era arrivata lì, ovvero da circa tre ore, che aveva finto di non conoscere la lingua di Darius.
E, ovviamente, ne avevano subito approfittato tutti, apostrofandola in vari modi ma nascondendo la cosa dietro a falsi sorrisi cordiali. La cosa più carina che si era sentita dire era stata "rovinafamiglie" - questione paradossale se si pensava che quella famiglia, di fatto, ancora non esisteva. Le cose peggiori invece le aveva sentite dire proprio dai Vukovic.
A quanto pareva, il fatto che lei e Darius convivessero già da quasi un anno senza essere sposati, aveva creato un piccolo scandalo alla corte di Russia. Non tanto per lui che, come uomo, aveva tutto il diritto di "sfogare i suoi istinti". Ma per lei, che, accettando quella condizione, era stata definita come una poco di buono.

Due mani le circondarono la vita all'improvviso e due labbra si appoggiarono delicatamente sulla sua guancia destra, facendola sorridere.
Avendo riconosciuto il tocco, si girò su se stessa, avvertendo le mani spostarsi dalla sua vita al fondoschiena e circondò il collo di Darius con le braccia, attirandolo a sè per baciarlo.
"Hai ascoltato abbastanza cattiverie su di te per ritenerti soddisfatta?" Domandò lui in russo quando si staccarono, ignorando tutti gli sguardi che, inevitabilmente, finirono per concentrarsi su di loro.
"Direi di sì." Rispose lei nella medesima lingua, con un piccolo sorriso, in un tono abbastanza alto perchè tutti potessero sentire. "E sto anche iniziando ad annoiarmi... possibile che voi Russi non abbiate un po' di fantasia con gli insulti? In tre ore ho sentito sempre la stessa ventina di parole... e io che volevo ampliare il mio vocabolario!" Esclamò ironica, vedendo le guance di parecchie persone che li stavano ascoltando colorarsi velocemente di rosso e i loro occhi sgranarsi per la sorpresa.
"Che vuoi farci amore?" Replicò lui chinandosi su se stesso e afferrandole le gambe, per prenderla poi in braccio come una sposa. "C'era un motivo, se ho sempre detto di volermi trasferire in Inghilterra. Che ne dici... possiamo andarcene da qui per passare il Natale nella nostra vera casa adesso?"
"Non vedo l'ora."


-*-*-*-


Theo osservò incredulo per qualche minuto l'ingente somma di denaro scritta sopra all'assegno che gli aveva appena consegnato Alexis.

Non aveva mai visto così tanto denaro in una volta sola.

Non sapendo bene cosa rispondere, deglutì a vuoto.

"La questione è semplice Signor Larson" Parlò a quel punto l'avvocatessa "Se lei accetta, potremo finalmente concludere la questione e buttarci tutto alle spalle." Gli disse con un sorriso accomodante.
"Non capisco perchè abbiate chiamato me." Risuscì alla fine ad articolare lui, staccando finalmente gli occhi da quel pezzo di carta. "Mio cugino aveva una moglie. Dovreste raggiungerlo con lei l'accordo."
"Oh, ma è questa la parte divertente." Rispose Alexis melliflua "La signora Larson ha già accettato il risarcimento. Quindi manca soltanto lei. Samuel non aveva altri parenti in vita, dico bene?"

A quella domanda, che sapeva molto più di affermazione, Theo strinse i pugni sui braccioli della sedia per calmarsi.
"No, infatti. Non ha nessun altro." Confermò alla fine.

Non più almeno.

"In tal caso, se lei accettasse, potremmo ritenere chiusa la vicenda per sempre." Riprese il discorso Alexis. "In fondo, mi pare che la somma sia più che ragionevole." Provò a convincerlo.

Per il tipo di persona che era mio cugino, è anche troppo. Pensò l'indicibile. "Posso prendermi qualche giorno per ragionarci sopra?" Chiese invece.

Alexis era una purosangue. Perciò ragionava come una purosangue.
Ovviamente, a Theo, non gliene fregava assolutamente nulla di Samuel. Anzi, era sicuro che la morte che aveva avuto se la fosse meritata fino in fondo. Chiunque fosse stato a procurargliela.
Tuttavia una somma così alta gli dava da pensare. Se gliela avevano offerta subito, significava o che poteva cercare di puntare ancora più in alto, oppure che quella famiglia era talmente ricca da non rendersi neanche davvero conto del valore dei soldi.

Comunque stessero le cose, voleva prima parlarne con Sylvia.
Lei, che era dentro a quei meccanismi dalla nascita, sicuramente avrebbe saputo consigliarlo nel migliore dei modi.

E chissà, magari quei soldi sarebbero serviti ad entrambi per andarsene lontano da lì. E, soprattutto, lontano da Frederick Selwyn.


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* per chi non avesse letto "Un erede per i Black" il morbo del drago è la malattia - incurabile - che ha colpito e ucciso Antares nel 2000


postimage  Antares Black
postimageanello di fidanzamento di Cassy



Mi scuso con Just Say: in questo capitolo non ho dato esattamente uno spazio a Julia, preferendo descriverla tramite le indagini di Melisandre. Spero non sia un problema.

Le tre opzioni più votate sono state:
- Amelie
- Lysbeth
- Melisandre
Via allo spareggio! ;) (ovviamente per MP)


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Capitolo 14
*** 12 - Amelie Northman ***


12

Buonsalve a tutti!

Note di servizio prima di lasciarvi al capitolo.
Ho fatto un piccolo calcolo e vi informo che, a meno che non scompaiano altri personaggi, mancano circa dieci capitoli alla fine della storia (ovvero 8 personaggi che devo ancora analizzare, il capitolo di chiusura e l'epilogo).
Quindi no, non si tratta di una storia lunghissima (ma se mi sparisce qualcun altro diventerà ancora più corta :P ).  

E poi partirò con un'altra interattiva, della quale ho già il prologo pronto.


! NB: Prima di lasciarvi alla lettura ci tengo a precisare: qualcuno nei capitoli scorsi l'aveva già intuito dagli indizi, ma se in mezzo a voi c'è un qualche moralista che storce il naso alla sola idea di incesto consiglio di non leggere il capitolo.


- Amelie Wave Northman - 


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Amelie Wave Northman, 17 dicembre 1978, ex Drago*



3 luglio 2007, Londra, Villa Northman

Non appena si smaterializzarono nel salotto della Villa, Amelie, con un enorme sospiro di sollievo, si buttò malamente sul divano, creando così un effetto a cascata con i suoi lunghi capelli biondi.

E ci mancò poco che Lysbeth non la seguisse. L'unica cosa che la trattenne dal fare altrettanto fu il pensiero che la Northman poteva permetterselo. Quella era casa sua, in fondo. Lei no.

Avrebbe anche voluto tanto aprire bocca per chiedere ad Amelie dove fosse stata, in quelle ore.
E, soprattutto, per quale diavolo di motivo aveva completamente eliminato ogni residuo di mobilio dalla casa.

Ma fu proprio mentre pensava alla situazione che l'aveva coinvolta solo quella mattina - anche se a lei sembravano passati secoli - che si rese conto di quel piccolo dettaglio.

Divano.
Amelie si era appena buttata su un divano.

Sgranando gli occhi, Lysbeth si rese conto solo in quel momento che nel salotto era contemporaneamente tutto uguale a prima e tutto diverso: Amelie si era sbarazzata di tutti i mobili che c'erano in precedenza nella Villa e poi ne aveva comprati degli altri, che aveva posizionato nei medesimi punti.

Ecco perchè quella mattina aveva trovato la casa completamente vuota.

In un'altra occasione, Lysbeth avrebbe sicuramente aperto bocca per chiederle il perchè.
Ma, almeno in quella determinata occasione, decise di non fare domande. Di non curiosare e ficcare il naso in giro.

Quella sua caratteristica l'aveva già messa nei guai troppe volte.

"Vedo che finalmente inizi davvero a capire cosa voglio dalla servitù." La riprese la voce di Amelie, che fino a quel momento non aveva staccato lo sguardo da lei per un attimo, osservandola dal divano sulla quale si era seduta mollemente. "Forse devo proprio dartelo 
quell'aumento."

Soprattutto in Olanda.


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17 dicembre 1978, Norvegia, Stavanger, Villa Northman


Quando sua moglie gli aveva comunicato di essere incinta, a distanza di neanche un anno dal matrimonio, Rodulphus aveva intimamente gioito, già certo che da lì a nove mesi la sua famiglia avrebbe potuto contare finalmente su un erede maschio: d'altra parte i Northman erano noti da generazioni per la peculiarità di avere una prole tutta al maschile.

Quando invece, in quel freddo giorno di dicembre, l'elfa domestica era uscita dalla stanza adibita al parto per comunicargli che erano nati non uno ma ben due figli, due gemelli, un maschio e una femmina, la sua gioia si era moltiplicata.
Suo figlio Hakon - quello era il nome che lui e la consorte avevano deciso per il bambino - avrebbe potuto portare avanti il cognome di famiglia, come succedeva ormai da secoli.
Mentre sua figlia avrebbe potuto dare la possibilità ai Northman di imparentarsi finalmente con una qualche famiglia purosangue importante che abitasse oltre i confini della Norvegia.
In fondo, non sarebbe stata lei a portare avanti il cognome. Poteva anche allontanarsi da casa, se questo avrebbe significato aumentare il prestigio della famiglia grazie ad un buon matrimonio.
Il figlio maschio invece non avrebbe mai potuto allontanarsi troppo dal suolo patrio. Avrebbe avuto una dinastia da portare avanti, dopotutto.

Non aveva la minima idea di quanto le sue previsioni fossero sbagliate.



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4 luglio 2007, Dipartimento Auror


"Accomodati Darius." Lo invitò Aaron con tono gentile, indicandogli una sedia vuota.

Dopo aver emesso un sospiro e aver lanciato uno sguardo malinconico alla sua scrivania - completamente vuota - il russo fece quanto il suo superiore gli aveva appena chiesto, continuandosi a chiedere per quale motivo era stato convocato al Dipartimento ancora una volta.
Gli sembrava quasi di passare più tempo lì, in quella determinata circostanza, che non quando ci passava davvero intere giornate per motivi lavorativi.

"Hai altre domande per me che riguardano l'omicidio del nostro cameriere?" Domandò stancamente Darius "Perchè sono davvero stanco di questa situazione Aaron: il vero assassino è là fuori, da qualche parte, che se la sta ridendo. E voi continuate ad accusare me." Commentò amaro "Quando sono diventato Auror ho giurato di proteggerle, le vite umane. Non di uccidere senza motivo."
"Non ti ho chiamato per l'omicidio di Samuel Larson." Replicò Aaron "Ti ho chiamato per questo." Spiegò tirando fuori il giornale del giorno prima e depositandoglielo davanti agli occhi. "Mi chiedevo per quale motivo tu e Cassy non abbiate ancora presentato querela per falso." Concluse indicando le tre foto che capeggiavano in cima al giornale.

"Sappiamo già che la notizia è falsa." Rispose il purosangue con una scrollata di spalle "Ma non abbiamo modo di dimostrare chi sia il vero padre di Cassy, visto che, a parte Selene, nessuno sa chi possa essere. Quindi una denuncia sarebbe inutile."
"Elliot Florence è già in prigione!" Cercò di farlo ragionare l'altro "Se collezionasse un numero abbastanza ampio di denunce e queste venissero confermate, potrebbe rimanerci per sempre. La cosa non ti alletta?"
"Stai cercando di usare la storia di mia moglie per scopi personali?" Domandò incredulo Darius.
"Certo che no!" Si oppose Aaron, agitando le mani come per scacciare via quell'ipotesi "Quello che intendevo dire..."
"No." Lo interruppe però il russo, alzandosi in piedi "Ne stiamo già affrontando troppe, mia moglie ne ha già affrontate troppe. E' quasi alla fine di una gravidanza, per Circe! Ha bisogno di riposo, non di altre fonti di stress! Non è il caso di aggiungere anche la ricerca di un padre fantasma solo... solo per questo." Affermò deciso "Il padre di Cassy è stato Antares Black. E non intendo cambiarle questa realtà. Se vuoi tenere Elliot in prigione trova qualcos'altro."

Senza aggiungere altro - e senza neanche aspettare un segno di congedo - Darius si alzò e abbandonò la stanza quasi a passo di marcia.

Doveva proteggere sua moglie e la sua famiglia, quello era certo. Ma non così.


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1 settembre 1989, Istituto di Durmstrang


"Le ragazze si posizionino sulla destra e i ragazzi sulla sinistra. Non saranno ammessi contatti di alcun tipo d'ora in avanti. E se ciò dovesse succedere, i provvedimenti saranno immediati."

La voce fredda del Preside Karkoroff fu uno dei primi contatti che Amelie ed Hakon ebbero con l'Istituto di Durmstrang, freddo quanto quella voce se non di più.
E ovviamente l'approccio non fu dei migliori.

A quelle parole, i due gemelli si fissarono dubbiosi negli occhi e solo dopo una lunga esitazione lasciarono l'uno la presa sulla mano dell'altro.
Erano cresciuti insieme, avevano sempre fatto tutto insieme.
E, ingenuamente, avevano pensato che sarebbe stato per sempre così.

Peccato che quella non fosse la realtà di Durmstrang.

"Hakon..." Sussurrò Amelie incerta, cercando però di non far trasparire dalla voce quanto in realtà la prospettiva di staccarsi dal gemello la terrorizzasse.
"Non basterà questo a dividerci Amy." Le promise lui in un sussurro. "Te lo prometto."


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5 luglio 2007, Casa Carlisle


Quando aveva dato il consenso alla figlia Martha per ospitare quel pomeriggio in casa alcuni suoi amichetti, Julia non aveva minimamente pensato alla infinita curiosità dei bambini.
Semplicemente aveva pensato a come quell'orribile periodo le stesse impedendo di vivere a pieno la sua vita, non permettendole di dedicarsi alle sue bambine come avrebbe voluto davvero fare.

Ma le cose sembravano mettersi sempre meglio per lei.

L'autopsia al cadavere di Larson le sembrava ogni giorno più lontana.
E da pochissimo tempo anche Elliot Florence aveva smesso di perseguitarla.
Era stato con estrema soddisfazione che Julia aveva scoperto dai giornali che l'uomo si trovava temporaneamente in prigione.
A quanto pareva, almeno per una volta, era andato a perseguitare le persone sbagliate. I Black - Levenvolde.

Quanto era strano che tutti gli avvenimenti Londinesi degni di nota delle ultime due settimane gravitassero proprio attorno a quella famiglia!

Comunque stessero le cose Elliot si trovava in prigione e Julia, in cuor suo, sperava che quell'uomo orribile restasse lì dentro il più a lungo possibile.
Per quel motivo, sentendo in qualche modo di dover festeggiare, la medimaga non ci aveva messo più di tanto per farsi convincere dalla figlia.
Un intero pomeriggio di relax, perchè dopo i turni soffocanti all'ospedale e quei giorni orribili badare a dei bambini per lei era davvero rilassante, era esattamente ciò che ci voleva. E le sue gemelle ne avevano bisogno quanto lei.

Solo che non aveva messo in conto la loro iperattività. E la loro infinita curiosità.
Oppure il fatto che - senza avvisarla o chiederle il permesso - si sarebbero diretti quasi immediatamente in soffitta.

Un attimo prima, Julia era in cucina, intenta a spalmare della cioccolata su alcuni toast.
Un attimo dopo, attirata dalle voci dei bambini, aveva fatto il suo ingresso in soffitta, pallida come un fantasma, mentre questi ultimi osservavano con occhi sgranati quegli strani abiti che avevano appena tirato fuori dagli scatoloni.

E poi, la pugnalata.
"Cosa sono mamma?"

"Non... non avevo per caso detto, a te e tua sorella, che la soffitta è off limits?" Riuscì a balbettare la donna in risposta, con una voce che non era assolutamente la propria.
Anche sua figlia se ne accorse, visto che mollò il pezzo di stoffa per terra e fece un passo indietro, spaventata.
"E allora perchè siete tutti qui? USCITE FUORI IMMEDIATAMENTE!"

Pochi minuti dopo, aborrendo completamente ciò che stava facendo, Julia si ritrovò a puntare la bacchetta contro ogni bambino, cancellando così i loro ricordi dell'ultima mezz'ora.
Non ne andava fiera, ma quel modo era l'unico che aveva per non far emergere nulla sul suo passato.

Sarebbe rimasto sigillato nella sua mente, così come avrebbe sigillato la soffitta, per sempre.

Era l'unico modo che aveva per proteggersi.
E per proteggere le sue figlie.


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1996, Istituto di Durmstrang


"Le ragazze si posizionino sulla destra e i ragazzi sulla sinistra. Non saranno ammessi contatti di alcun tipo d'ora in avanti. E se ciò dovesse succedere, i provvedimenti saranno immediati."


Erano passati ormai quasi sette anni da quando Amelie aveva sentito quelle parole uscire dalla bocca del loro ex preside. E ripensandoci, le salivano soltanto le lacrime agli occhi.
Per il troppo ridere ovviamente.

"Non basterà questo a dividerci Amy. Te lo prometto."

Hakon aveva mantenuto la sua promessa.
Loro due, in un modo o nell'altro, non avevano mai passato troppo tempo divisi.
Neanche dentro alle spesse e fredde mura di Durmstrang.

Le ingenti donazioni che il padre faceva periodicamente alla scuola aveva permesso ad entrambi di avere a disposizione una camera personale. Perciò nessuno era in grado di notare che, se uno dei due mancava da una camera da letto, inevitabilmente si trovava in quella dell'altro.

Quante sere avevano passato a fare insieme i compiti?
Quante a chiaccherare davanti al camino?
Quante a restare accoccolati sulla poltrona, uno in braccio - per non dire aggrovigliato - all'altro?
Quante notti avevano dormito insieme, nello stesso letto, abbracciati?
Infinite.

E più passava il tempo più quella esigenza si faceva strada prepotentemente in loro.
Non volevano passare neanche un minuto della loro vita separati dall'altro.

Erano stati uniti già nel grembo materno, quindi per quale motivo avrebbero dovuto restare separati al di fuori di esso?

Puro legame fraterno. Li giustificava il padre, rifiutandosi di vedere la realtà.
Rapporto con qualcosa di probabilmente malato. Aveva iniziato a malignare la gente, sempre però in un sussurro, nascondendo il tutto dietro a falsi sorrisi cordiali.

Ma a loro non importava nulla.
Che la gente dicesse ciò che voleva. Ci avrebbe pensato il potere della loro famiglia a metterli a tacere.

Finchè quella sera non accadde l'inevitabile.

Amelie riconobbe subito il rumore dei passi in avvicinamento. Li avrebbe riconosciuti ovunque e in qualsiasi circostanza.
Neanche il tempo di finire di pettinarsi, che il gemello entrò come una furia nella sua stanza.

"Aaren Bjork ti ha invitata ad uscire a Durmsburg?" Domandò irato, sbattendo la porta dietro di sè.
"Non si usa più bussare?" Rispose lei, continuando a pettinarsi i capelli come se nulla fosse successo.

Come se il suo gemello, la sua vita, non fosse entrato come un invasato nella sua stanza mentre lei si stava preparando per andare a dormire.

"Ti ho fatto una domanda!" Esplose nuovamente lui "E voglio saperlo subito, se lo devo uccidere per aver appoggiato i suoi luridi occhi su di te." Lo disse con un tono talmente freddo, gelido e fermo che Amelie non dubitò neanche per un istante della veridicità di quelle parole.

Con un sorrisino divertito, si rigirò verso lo specchio, ricominciando a pettinarsi i capelli.
"Sì è vero, mi ha invitato a Durmsburg." Commentò con tono di voce piatto, cercando di contenere il divertimento che quella prospettiva - quella che suo fratello potesse davvero uccidere il suo spasimante - le provocava. "Geloso?" Domandò con voce zuccherosa, già sapendo di averlo fatto capitolare.

"Sono sempre stato geloso di ciò che è mio." Rispose lui girandole la sedia.
"Non mi sembrava di essere tua." Lo provocò nuovamente lei con voce vellutata, quasi come se stesse facendo le fusa.
"Allora sarà bene definire in maniera netta la cosa." Rispose il ragazzo prima di fiondarsi sulle sue labbra.

Subito dopo, avvertendo il respiro della sorella farsi corto in risposta, la sollevò e la trasportò sopra al letto.

"Una volta per tutte."

Amelie non oppose alcuna resistenza. Anzi, si affrettò ad aiutarlo a disfarsi della divisa.

Hakon era tutta la sua vita. E, proprio per quel motivo, era disposta a tutto per farlo felice.

Anche perdere la verginità con lui quella stessa notte.


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"Cosa ne pensi?" Domandò Theo, dopo aver controllato per l'ennesima volta che la porta dell'ufficio suo e di Sylvia fosse davvero chiusa e imperturbabile.
"Che la somma è considerevole, ma non così alta da sembrare un tentativo di corruzione." Replicò lei dopo essersi presa qualche minuto per ragionare. "E anche se così fosse, sarebbero soltanto da capire." Borbottò a mezza voce, quasi come se si trattasse di un pensiero destinato soltanto a se stessa.
Pensiero che però Theo sentì comunque. "Cosa intendi?"
"Intendo che Cassy è incinta. La conosco e so bene che l'unica cosa che vuole è vivere in serenità gli ultimi mesi che la separano dal parto." Sospirò Sylvia "E di sicuro avere una spada di Damocle di questo tipo che pende sulla testa del marito non rende la situazione rilassante." Cercò di spiegare "Un risarcimento alla famiglia per chiudere pacificamente la questione non mi sembra un'offerta... così impensabile. E la somma mi sembra anche abbastanza equa."
"Tu ti rendi conto che potrei comprarmi metà Londra con quei galeoni vero?" Le domandò l'indicibile, innarcando un sopracciglio perplesso.

Come faceva la purosangue a considerarla una somma equa?

"E tu ti rendi conto che con tutti i soldi che i Black - Levenvolde hanno a disposizione potrebbero comprarsi tutta Europea e gliene avanzerebbero anche, vero?" Gli fece il verso lei "Sai cosa gliene importerebbe di perdere mezza Londra..." Concluse sarcastica.

Per qualche secondo il silenzio calò tra di loro, mentre per l'ennesima volta Theo avvertiva su di sè tutto il peso che le parole della donna si portavano dietro.

"Anche tu e tuo marito allora?" Domandò alla fine, con un filo di voce.
"Io e mio marito cosa?" Replicò Sylvia, strabuzzando gli occhi.
"Anche tu e tuo marito potreste comprarvi tutta Europa, se solo lo voleste?"
"Noi... ." Ammise alla fine, abbassando lo sguardo.

E Theo si sentì mancare la terra sotto ai piedi.
Come poteva mezza Londra competere con tutta Europa? Come poteva lui competere con tutto quello? 



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1999, Villa Northman


Hakon non si voltò neanche quando sentì dei passi raggiungerlo. Avrebbe riconosciuto la sua gemella in qualsiasi circostanza. Era parte di lui.
"Com'è andato il 'giro di ricognizione'?" Domandò divertito, mentre Amelie, con la sua solita delicatezza, faceva scivolare la porta scorrevole dietro di lei per ricavare uno spazio solo per loro.
"Benissimo come al solito." Rispose lei mentre gli occhi le brillavano, avanzando leggera verso di lui e accomodandosi tra le sue braccia.
"Scoperto qualcosa di utile?" Chiese ancora Hakon, facendo scivolare un braccio sulla vita della ragazza e attirandola verso di sè per aspirarne il profumo.

Erano stati separati solo per un'oretta scarsa, ma gli era mancata come l'aria.

"Quando incontrerai la moglie del Ministro Francese falle i complimenti per la sua nuova collana, a quanto pare la adora." Lo informò subito lei "Se solo sapesse cosa rappresenta davvero!" Aggiunse ridacchiando. "Suo marito ha un'amante e ogni volta che va con l'altra le porta un gioiello... ma questo lei ovviamente non lo sa... non ancora almeno." Affermò divertita. "E a proposito di amanti... Madailene Shafiq ha minacciato il marito che se andrà ancora una volta con una donna che non sia lei chiederà l'annullamento... sbaglio o con lui dobbiamo ancora concludere quel contratto?" Continuò sfoggiando un sorrisino che non prometteva niente di buono.  
"Il Ministro Francese ha sempre cercato di ostacolare la nostra filiale a Lione." Aggiunse Hakon pensieroso.
"Beh, non sarà nella posizione di poterlo fare ancora a lungo." Commentò soddisfatta Amelie. "Inoltre..."

Quando, al quinto anno, avevano scoperto che lei era una legimens naturale avevano entrambi gioito.
Non era una caratteristica comune anche nel mondo magico. E sapere che lei lo era, per entrambi, era solo l'ennesimo modo per dimostrare quanto Amelie Northman fosse speciale.
Ma poi il tempo era passato e i due si erano resi conti delle vere potenzialità di quel dono.

E nessuno dei due si era
- o si sarebbe - mai fatto scrupoli per utilizzarlo nel migliore dei modi.
I loro ovviamente.


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"NO! NON FARLO! NON PUOI! NO! NO!"

Sentendo le urla e riconoscendo nella voce
disperata quella di Cassiopea, Catalina accorse immediamente in salotto estraendo la bacchetta.
Certo, sapeva che Darius era in casa e che di sicuro sarebbe stato molto più capace di lei in un eventuale scontro, tuttavia, nel caso, voleva dare una mano.

Si accorse che c'era qualcosa che non andava - qualcosa che non le tornava - non appena mise piede in salotto.
E perplessa, sbattè ripetutamente le palpebre.

Cassiopea sembrava tutto forchè in pericolo.
Era seduta - anzi semisdraiata - sul divano e accanto a lei si trovava Cecilia.
Entrambe avevano il busto proteso in avanti, verso un apparecchio babbano che avevano acquistato da poco.
La melevisione... o qualcosa del genere. 

E Cassiopea scelse proprio quel momento per urlare di nuovo "MA NON LO VEDI CHE TI AMA, RAZZA DI RINCOGLIONITO?", mentre Cecilia al suo fianco ridacchiava divertita. "QUINDI PERCHE' TE NE VAI?" Continuò a lamentarsi la Black, agitando le braccia "NO! TORNA INDIETRO! TORNA INDIETRO!" Sbraitò verso lo schermo, che in quel momento rappresentava un primo piano sofferente del protagonista maschile. "Aaargh! Ma perchè non mi dai mai retta?" Concluse con tono lamentoso, come se il personaggio potesse davvero sentirla.
"Perchè non può sentirti e perchè se no la serie durerebbe soltanto 2 puntate anzichè 20 per 5 stagioni." La prese in giro ridacchiando sua cugina, tuffando la mano nella ciotola dei pop corn e portandosene una manciata in bocca. "Vuoi un po' di coca? Devo ringraziare Candice per avermela fatta scoprire."
"Non voglio della coca!" Strillò Cassy in risposta, continuando ad agitare le braccia, mentre la povera Catalina assisteva alla scena con un'espressione sempre più esterefatta. "Voglio che lui torni indietro! Quel maledetto troglodita!"
"Cassy?" Emerse la voce di Darius in quel momento, entrato anche lui nel salotto con la bacchetta spianata ma arrestandosi sulla porta non riuscendo a percepire segnali di pericolo "Stai bene? Ti ho sentita urlare..."

A quella apparizione, Cecilia non riuscì più a trattenersi e scoppiò apertamente a ridere. "Tranquillo Da! Tua moglie sta bene. Solo che non ha ancora capito la differenza tra una serie televisiva e un quadro di Hogwarts." Lo rassicurò.
"E che cosa sarebbe una serie televisiva?" Iniziò a chiedere l'auror perplesso, inarcando un sopracciglio.
"Tipo una rappresentazione teatrale, ma divisa in varie puntate e trasmessa tramite la televisione. E la trama generalmente è più o meno questa: lui ama lei e lei ama lui, tutti se ne accorgono - compreso il gatto delle nevi che vive in Timbuctù - tranne, ovviamente, i due diretti interessati." Riassunse brevemente Cecilia "Per una serie di vicissitudini non riescono mai a stare insieme e se ci riescono succede qualcosa che finisce inevitabilmente per separarli di nuovo. Vuoi dei popcorn?" Concluse allungandogli la ciotola.
Nel frattempo infatti, Darius si era accomodato sul divano di fianco alla moglie, la quale aveva approfittato della situazione per accoccolarsi sul suo grembo, piagnucolando per la storia d'amore travagliata dei due ragazzi.

"E perchè il gatto delle nevi dovrebbe stare a Timbuctù? Certo che sono proprio strani i babbani!"

Mentre ascoltava la frase di Catalina e la guardava accomodarsi su una poltrona, Cecilia si ritrovò per l'ennesima volta a confrontarsi con se stessa.
Nel telefilm quel ragazzo stava scappando, nonostante avesse avuto più volte la prova di essere amato incondizionatamente.

Lei non stava forse facendo lo stesso?


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2001, Norvegia, Villa Northman


Con un vago sospiro, Amelie si lasciò cadere con infinita grazia sul divano.
Se avesse sentito ripetere un'altra volta la parola "Condoglianze" avrebbe probabilmente realizzato un macello.
Non ne poteva più di sentirle dire da parte di persone che sapeva a malapena chi fossero. O di farsi guardare con finta compassione da chi non ne provava affatto - e lei lo sapeva bene cosa pensava la gente, visto che poteva sentirlo.

"Sei stanca?" Le domandò premuroso Hakon, attirandola con un abbraccio verso il suo petto e sfiorandole la fronte con le labbra.

Ecco una delle cose buone della morte fulminante della loro madre: potevano anche restare abbracciati tutto il giorno e nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. I miracoli del conforto fraterno.

Se n'era andata troppo in fretta, Cecilie Northman.
Non avevano neanche fatto in tempo a portarla in ospedale e a capire cosa avesse che... era morta.

"Tranquillo sto bene." Lo rassicurò lei, alzando contemporaneamente lo sguardo verso il fondo della stanza, dove era appena comparso il loro padre Rodulphus. "Padre." Lo salutò con un cenno educato della testa.
"Amelie, Hakon." Li salutò lui in risposta, sedendosi sulla poltrona che si trovava a poca distanza dal divanetto dove i gemelli si erano appena accomodati. "Hakon dovrei parlare con tua sorella in privato. Ci metterò pochi minuti."

Nonostante non avesse voglia di abbandonarla, Hakon sapeva ancora riconoscere un ordine. Per quel motivo, dopo essersi scambiato uno sguardo con la gemella, decise di abbandonare la stanza.

"Devo chiederti un favore Amelie." Iniziò suo padre diretto, senza troppi giri di parole. "La morte così veloce di vostra madre mi ha fatto ragionare."
Naturalmente la ragazza sapeva già dove suo padre volesse andare a parare - l'aveva letto nella sua mente - tuttavia preferì restare in silenzio, desiderosa di sentirlo con le sue stesse orecchie. E non aveva alcuna intenzione di agevolarlo ovviamente.
"Tu e tuo fratello avete già una certa età ormai e se in un primo momento ho sperato che riusciste a trovarvelo da soli, adesso non posso più aspettare." Continuò lui, ignaro delle capacità della figlia. " Devo fare in modo che almeno Hakon si trovi una moglie, in modo da generare un erede per la famiglia. Gli ho già proposto delle possibili compagne, ma le ha rifiutate tutte." Ammise vagamente sconsolato "Ma tu... tu hai sempre avuto un grande ascendente su di lui. Magari, se una donna fosse proposta da te, la accetterebbe più volentieri." Propose speranzoso.

Solo grazie al suo enorme autocontrollo, Amelie riuscì a non scoppiare a ridergli in faccia. Avrebbe voluto ucciderlo - nonostante avesse appena perso la madre - per aver proposto una cosa del genere. Tuttavia fece tutt'altro.
Un sorriso pieno di grazia - e anche altrettanto finto - si disegnò sulle sue labbra. "Ma certo padre, provvederò immediatamente a vagliare ogni ipotesi possibile." Per tenerle lontane tutte "E appena troverò una candidata che potrebbe rispecchiare i nostri bisogni, cercherò di convincere mio fratello." Ad ucciderla insieme a me "Ma ovviamente, mi servirò tempo per trovare qualcuna che sia ideale a tale compito. Il nome dei Northman non può essere assunto da chiuque, dico bene?" Concluse con un sorriso angelico.
"Grazie Amelie, lo sapevo che avresti capito." Affermò riconoscente il padre prima di abbandonare la stanza, molto più rilassato rispetto a quando era entrato.


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6 luglio 2007


"Io non ti capisco proprio." Sospirò Aysha riempiendosi un bicchiere di caffè e fissando Melisandre con un sopracciglio inarcato.
"Cosa non capisci?" Domandò curiosa la detective, allungando una mano per apprestarsi a fare la medesima cosa.
"Perchè tu stia indagando così tanto su Caroline Fisher e Julia Carlisle." Rispose l'Auror "Hanno collaborato con noi entrambe moltissime volte e non hanno mai dato problemi... quindi perchè questo interesse eccessivo nei loro confronti?"
"Come ben sai non sto indagando solo su di loro, ma anche su moltissime altre persone che in qualche modo possono essere ricollegate alla vittima." Replicò Melisandre facendo spallucce. "Solo che loro sono quelle che hanno effettuato l'autopsia. Quindi, se non so se sono davvero affidabili, non posso considerare affidabile neanche il prodotto del loro lavoro. E se non posso considerare affidabile il prodotto del loro lavoro, ovvero le cause della morte di Larson, non posso neanche andare avanti con le indagini." Provò a spiegare il suo ragionamento.
"Capisco..." Provò nuovamente ad intervenire Aysha "ma..."
"Lo sapevi, ad esempio, che Caroline Fisher è la ex fidanzata di Larson?" La interruppe bruscamente la detective, facendo sputare all'altra ragazza metà del suo caffè per la sorpresa.
"A quanto pare no." Continuò serafica Melisandre "Strano... soprattutto perchè non avete molti anni di differenza ed eravate tutti insieme ad Hogwarts."
"Hogwarts... è tanto tempo fa anche per me... e Caroline ha anche qualche anno in più..." Obiettò debolente Aysha.
"Ricordi la prima regola? Non si può lavorare su un caso di omicidio se si è sentimentalmente coinvolti." Rispose secca Melisandre. "Se dovessi scoprire che la Fisher è legata a Larson da qualcosa di più di una semplice vecchia cotta, l'autopsia potrebbe anche essere annullata."
"Ma resterebbe ancora il lavoro della Carlisle." Obiettò nuovamente Aysha.
"E' proprio per quello che sto indagando anche su di lei."


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2002, Londra, Villa Northman


Con un ultimo gemito di soddisfazione, Hakon si allontanò dalla gemella quel tanto che bastava per non pesarle addosso.
Si aspettava che Amelie si arrotolasse tra le lenzuola, come al solito, e poi lo abbracciasse fino ad addormentarsi, invece la vide sbarrare gli occhi e alzarsi di scatto, cercando di coprirsi il più possibile con il lenzuolo.
"Che succede amore?" Domandò allarmato, vedendola precipitarsi verso la porta e spalancarla di colpo.
E quando la sorella la aprì, Hakon si sentì mancare la terra sotto ai piedi.

Sulla soglia c'era Samuel Larson. Il loro domestico londinese. Che li guardava con occhi sbarrati.

Amelie era sempre stata un'ottima legimens. E questa caratteristica, che sfruttava per percepire i pensieri delle persone che li circondavano, aveva sempre permesso loro di uscirne puliti ovunque.

Certo, qualche voce sul loro attaccamente morboso c'era sempre stata. Così come qualche voce sui loro affari non propriamente legali.
Ma, senza prove, le voci rimanevano sempre e soltanto voci.

Si erano recati a Londra per qualche giorno proprio per stare più tranquilli, per poter vivere la loro storia con più serenità.

Ma avevano commesso l'errore di abbassare un po' la guardia. Un po' troppo.

Le voci, adesso, rischiavano di trasformarsi in prove concrete.
E nessuno dei due poteva permetterlo.


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"MA TI SEI COMPLETAMENTE AMMATTITA?" Urlò Alexis sgranando gli occhi, non appena Caroline le ebbe comunicato la sua decisione.
"Penso di essere ancora completamente padrona del mio cervello, grazie." Rispose seccamente l'interessata, facendo il giro della scrivania per accomodarsi. "Ti ho avvisato solo perchè... lo credo eticamente giusto. Ma non ti sto chiedendo il permesso." Concluse con appena una nota di incertezza nella voce, che immediatamente Alexis colse.
"Non puoi farlo... esistono tanti magiavvocati a Londra e in Inghilterra." Provò a convincerla "Il nostro studio non può lavorare per difendere Darius e al contempo chi gli è entrato in casa! Sarebbe un conflitto di interessi enorme!"
"Non vedo proprio il perchè." Replicò però l'altra, facendo spallucce.

Si era preparata mentalmente a quella conversazione e alle obiezioni che Alexis avrebbe potuto porle. E aveva studiato ogni possibile risposta.
Lei per prima aborriva quanto stava per fare.
Ma se serviva per proteggere sua figlia, allora sarebbe stata disposta a fare di tutto.

"Tu ti occupi di tuo cugino e io di Elliot Florence." Continuò apparentemente serafica, mentre in realtà lottava per impedire alla bile di salirle lungo l'esofago fino alla gola. "Così lo studio non potrà essere accusato di fare preferenze. In fondo è così che funziona no? Si può difendere chiunque, basta che paghi."


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Elettra Eurinome Sirene in Larson era la perfezione fatta persona. 
Alta circa un metro e settanta, sessanta chili di peso, bionda e, soprattutto, purosangue.
E il loro cugino si trovava a pochissima distanza da lei, con un sorriso sulle labbra, mentre le teneva una mano sulla vita, come per voler dimostrare ulteriormente a tutti che sì, quella donna era davvero sua moglie.
Sua e di nessun altro.

Il problema era proprio questo.

A parte aver riconosciuto la donna grazie alle sue innumerevoli comparse su diversi tabloid del mondo magico francese, nessuno nella famiglia Larson poteva dire di conoscerla davvero.
Samuel era semplicemente andato in vacanza per due settimane in Egitto, da single.
Ed era ritornato con quella donna, sposato.

(da "Un omicidio per i Black", cap. 4 "Il funerale")



2002, Londra, Villa Northman



"A quanto pare è stato davvero facile. Molto più del previsto." Comunicò Amelie, facendosi strada sul letto e tornando ad accoccolarsi nel luogo che la faceva stare meglio al mondo: tra le braccia del gemello. "Pensavo di doverlo obliare o minacciare o qualcos'altro. Invece è sceso a patti ad una velocità disarmante."
"Ha voluto dei soldi?" Si informò Hakon con non curanza.

In fondo quelli non sarebbero mai stati un problema, per loro due.

"No." Replicò sua sorella scuotendo la testa "E' stata la prima cosa che gli ho chiesto, ma mi ha riso in faccia. Cioè... in realtà si è trattenuto, ma gliel'ho comunque letto nella mente." Specificò "No, a quanto pare il nostro caro cameriere è rimasto incantato da una soave fanciulla che ha partecipato ad una delle nostre feste." Commentò ironica.
"Chi?" Si interessò vagamente il ragazzo, iniziando però ad essere più attratto dal collo di Amelie che non a quello che stava dicendo.
"Elettra Eurinome Sirene." Rispose lei inclinando la testa per agevolarlo. "Così... gliel'ho offerta."
"E' una purosangue..." Obiettò Hakon, agrottando appena il sopracciglio.
"Non si opporrà: lei e la sua famiglia sono pieni di debiti e se non fosse per le nostre banche, avrebbero già subito il tracollo economico" Liquidò in fretta la vicenda Amelie "Entro la fine di questa settimana sia lei che Samuel andranno in crociera in Egitto e torneranno sposati. Noi invece torneremo in Norvegia, per riprendere in mano gli affari di famiglia." Affermò "Quando tornerà, Samuel si ritroverà con una lettera di referenze meravigliosa, dove verrà descritto come il miglior maggiordomo del mondo. Non ci metterà molto a trovare lavoro presso una qualche altra famiglia purosangue, vedrai." Concluse pacata. "Così avremo risolto tutti i nostri problemi."
"E se dovesse cambiare idea? Se dovesse decidere che sua moglie non gli basta per stare zitto?" Obiettò ancora una volta Hakon.
"In tal caso... troveremo un modo per farlo stare zitto per sempre. Ma, per adesso, perchè usare la violenza se si può ottenere lo stesso risultato con le buone?"


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"Florence, c'è una visita per te."
tue
Quando l'Auror di turno gli aveva comunicato quelle parole, Elliot era rimasto perplesso.
Suo fratello era già passato quella mattina, perciò, a meno che non avesse trovato chissà che cosa, non poteva di sicuro essere lui. E non aveva nessun altro a Londra, che lui sapesse, che fosse disposto ad andarlo a trovare ad Azkaban.
Tuttavia quella giornata in cella si stava rivelando una vera noia, perciò accolse con un entusiasmo molto più ampio del necessario quella visita inaspettata e si limitò a seguire l'uomo con una scrollata di spalle.

Quando arrivò nella stanza degli incontri, rimase ancora più sorpreso nel vedere una ragazza bruna e dai profondi occhi scuri seduta davanti al vetro a lui destinato.
Era sicuro di averla già vista da qualche parte ma in quel momento non riusciva a focalizzare bene in che circostanza.
Probabilmente si trattava di una qualche ragazza anonima che girava attorno ad uno dei suoi articoli.

"Come posso aiutarti bellezza?" Domandò sedendosi e ammiccando nella sua direzione.

Davanti a quella domanda, Candice sorrise.
Era quasi sicura che lui gliel'avrebbe rivolta in quei termini. "Tranquillo, non devi proprio fare niente. In effetti, è già bellissimo vederti così. A marcire in prigione." Affermò fredda, senza però rilevargli la sua identità. "Sono solo venuta per godermi lo spettacolo." Aggiunse con uno scintillio negli occhi.
"Oh ma perchè me lo state dicendo tutte?" Replicò lui, con finto tono dispiaciuto "Io sono solo una vittima del sistema." Provò a convincerla. "Così fai solo male alla mia anima ferita dolcezza."
Ma tutto ciò che ottenne indietro fu una risata. Fredda. Gelida. "Una vittima del sistema Florence? E cosa dovrebbero dire allora le tue di vittime? Avrei voluto vederti in questa situazione anni fa, ma almeno adesso in prigione ci sei finito. Come ci si sente a pestare i piedi a chi sta più in alto di te?"
"Non resterò in prigione ancora per molto, dolcezza."
"Oh ci rimarrai invece." Lo contraddisse però lei secca "Farò in modo che tu ci muoia, in questo posto." Promise prima di alzarsi e andarsene.

Non le importava cosa Cecilia Evans le avrebbe chiesto di fare, fosse anche testimoniare di fronte allo stesso Ministro Inglese.
Aveva la possibilità di vendicare Nicole. E lo avrebbe fatto.
Ad ogni costo.


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* visto che non tutti stanno leggendo la mia storia ambientata a Durmstrang, spiego brevemente.
Nella mia fantasia l'istituto nordico è diviso in 4 case: Draghi (corrispondenti dei Serpeverde), Folletti (corrispondenti dei Corvonero), Alastyn (corrispondenti di Tassorosso) e Kelpie (corrispondenti dei Grifondoro).
Per comodità ho mantenuto anche qui il medesimo schema.



postimage Hakon River Northman


Scelta della settimana:

- Candice Sutherland
- Lysbeth Chevalier
- Theophile Larson
- Cecilia Weiss in Evans

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Capitolo 15
*** 13 - Lysbeth Gwen Chevalier ***


13
Ehilà!
Dunque, partiamo con le note dolenti: i personaggi di Aysha Mayne Meghara e Amelie Northman sono fuori dalla storia.
Quindi, come ho già fatto in precedenza, vi lascio la storia della prima, visto che la seconda l'ho già analizzata nello scorso capitolo.

Aysha Mayne Meghara
= nata da padre inglese (ex Serpeverde) molto ricco, in quanto proprietario di un'azienda che produce scope da Quidditch e madre spagnola, Aysha è un perfetto mix tra le due culture.
Ha sempre avuto un ottimo rapporto con la madre, dolce, affettuosa e premurosa, ma pessimo con il padre, che ha sempre preteso da lei moltissimo, sia in ambito scolastico che sportivo.
Ha sempre voluto diventare Auror e per diventarlo davvero non si è mai fatta scrupoli, compreso svolgere lavori/fare favori a personaggi potenti, anche quando si è trattato di cose non propriamente legali. Se qualcuno dovesse scoprire questo suo passato, non si farebbe problemi ad eliminare (anche fisicamente) questo qualcuno.
(Non è lei l'assassina)

Buona lettura ;)

ps: l'ultimo pezzo su Lysbeth sarebbe da leggere insieme al prologo ;) inoltre in questo capitolo ci sono un po' di cose alle quali ho già accennato in precedenza. Spero vi ricordiate tutto XD


- Lysbeth Gwen Chevalier - 


postimage
Lysbeth Gwen Chevalier, 5 aprile 1981, ex Aquila (Beauxbatons)



8 luglio 2007, Londra, Dipartimento Auror

"Come mai questa stanza è così vuota?" Domandò Melisandre guardandosi attorno incuriosita e inclinando appena la testa in direzione di Aaron.

Luglio era sempre stato il mese più caldo e di solito le attività degli Auror diminuivano, ma mai così tanto da giustificare l'assenza contemporanea di quasi tutti i membri di una squadra. Soprattutto se sti stavano svolgendo così tante indagini importanti come quella.

"Capisco l'assenza di Darius" Continuò, cercando di venirne a capo "ma Eleanor e Aysha dove sono?" Concluse inarcando leggermente un sopracciglio.

Prima di risponderle, Aaron la fissò di rimando, prendendosi tutto il tempo necessario per pensare all'eventuale risposta da darle. Anche se alla fine optò per la verità. In fondo stavano collaborando su quel caso dall'inizio. E Melisandre li aveva sempre informati su tutto. Era giusto che anche lui facesse altrettanto.

"Eleanor non potevo continuare a farla lavorare su questo caso e sono sicuro che anche tu sai il perchè." Le rispose inclinando leggermente la testa, mentre la donna si dava mentalmente della stupida.

Ma certo! Eleanor si era presa una bella cotta per Darius. Evidentemente non era riuscita a farsela passare e questo, alla lunga avrebbe finito per influire sulle indagini.

"Invece Aysha è tornata a cercare piste all'estero." Finì di spiegare Aaron.
"Siete di nuovo sulle tracce degli Snow?" Domandò la detective a quel punto, facendosi immediatamente più attenta.
"No." Replicò però l'Auror scuotendo la testa. "Abbiamo applicato un sistema simile a quello che usi tu."
"Ovvero?"
"Chi è stata la prima a denunciare Darius? La signorina Chevalier. Perciò stiamo cercando tutte le informazioni possibili su di lei e sulla sua famiglia." Spiegò l'uomo.
"E avete trovato qualcosa di interessante?" Si informò immediatamente Melisandre.
"Oh sì. Parecchie cose." Rispose Aaron, sorridendo appena. "Ad esempio... secondo te, per quale motivo una come lei dovrebbe fare la cameriera?" Domandò retorico, allungandole un fascicolo.
"In che senso, una come lei?" Chiese la rossa, inarcando un sopracciglio confusa, mentre prendeva la cartella tra le mani per aprirla.
"Nel senso che Lysbeth Gwen Chevalier è una ereditiera."

"E cosa diavolo ci lavora a fare una ereditiera dalla Northman?"
"E' esattamente ciò che stiamo cercando di capire."


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1986, Olanda, Villa Chevalier


A Lysbeth Chevalier era sempre piaciuto girare per l'intera proprietà dei suoi genitori, per esplorarla e trovare sempre posti nuovi dove nascondersi.
Adorava girare a vuoto per ore ed ore, finendo per nascondersi nei luoghi più impensabili.
 
Da quando aveva imparato a camminare, quello era diventato l'incubo di sua madre: alla donna bastava distrarsi un attimo e... puf! Lysbeth era scomparsa.

Non a caso, nonostante avesse solo cinque anni, la bambina conosceva perfettamente ogni singolo angolo della Villa, del terreno e anche della boscaglia che circondava il posto dove sorgeva la dimora di famiglia.

Quel giorno, esattamente come molti altri, aveva aspettato che sua madre si distraesse e poi si era precipitata fuori, per giocare nel cortile.
Si era allontanata parecchio, finchè anche i richiami materni non erano scomparsi dalle sue orecchie.
E poi aveva perso la cognizione del tempo.

Fosse stato per lei, avrebbe passato i secoli fuori da quella casa.
Tuttavia doveva essere passato parecchio tempo, visto quanto stava diventando buio in fretta, e lei aveva paura del buio.
Per quello aveva deciso di tornare a casa.

Non appena si ritrovò in prossimità della Villa però, si accorse che c'era qualcosa che non andava.

Perchè tutte le porte di casa erano spalancate?
Perchè c'era quella piccola folla - tutta colorata - che circondava la casa?
E perchè c'erano tutte quelle luci?

Avanzando velocemente, approfittando della sua piccola statura per farsi largo tra la folla, Lysbeth riuscì quasi ad arrivare fin dentro casa, prima che due braccia forti e mascoline la bloccassero. "Ehy piccola, dove pensi di andare?"
"LYSBETH!" Urlò invece quasi contemporaneamente una voce femminile. "Quella è mia nipote!"
"Allora c'è ancora qualcuno!"

"Che cos'è successo?" Domandò a quel punto, iniziando a spaventarsi "Dov'è la mia mamma?"


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San Mungo


"Le da fastidio l'odore o la vista del sangue per caso?"
Alla domanda di Julia, Sylvia si ritrovò a scuotere la testa lentamente, in segno di diniego. "Certo che no."
"Eppure c'è qualcosa che non la fa sentire a suo agio." Provò ad insistere la medimaga, sorridendo gentilmente.
"Le ho detto che sto bene." Replicò l'indicibile secca.

Non c'era niente che non andava. E di sicuro non le dava fastidio il sangue.
Era quella visita - anzi, il suo scopo - che non le piaceva per niente.

"Beh, dalle sue analisi direi che è tutto a posto." Le comunicò Julia dopo alcuni minuti di totale silenzio, che le erano serviti per decifrare i risultati delle analisi della purosangue. "Lei è perfettamente fertile perciò se vuole andare a chiamare suo marito poss..."
"NO!" Esclamò la Burke all'improvviso, facendola sobbalzare sorpresa. "No!" Ripetè, con voce appena più bassa. "Non... non dica a mio marito che sono perfettamente in grado di dargli un figlio." Iniziò a dire a voce bassa "La prego!" Insistette con appena un po' più di foga "Gli dica che sono sterile, che lo è lui, che ho un qualche problema temporaneo... anzi, no, non temporaneo altrimenti chiederebbe la cura... gli dica quello che vuole ma non gli dica che sono in grado di dargli dei figli! La supplico!"

Per qualche secondo, di fronte a quel discorso pronunciato con quel tono così... supplicante... Julia rimase spiazzata.
Poi però le vennero in mente i nomi - anzi, cognomi - che aveva letto sulla cartella, proprio poco prima di far entrare la paziente nel suo studio. Burke e Selwyn.

"Matrimonio combinato?" Domandò alla fine, già immaginando la risposta.
"Sì." Ammise Sylvia con un sospiro. "E dal mio cognome può anche capire che tipo di famiglia mi ritrovo alle spalle. Se servirà, sarò disposta a comperare il suo silenzio e le sue bugie a peso d'oro." Propose senza neanche stare a pensarci.

Qualsiasi cosa, pur di non dover dare un figlio a Frederick.

"Non ce ne sarà bisogno, signora Burke." Replicò Julia con un sospiro.
Di silenzi e bugie la sua vita era già piena. Non aveva bisogno di riceverne altri.
"Dirò a suo marito che ho bisogno di fare altri accertamenti, poi mi inventerò qualcosa." Garantì "Ma le voglio dare un consiglio, anche se probabilmente non richiesto: a volte un figlio è una benedizione, anche se non arriva nel... modo... in cui avremmo voluto. Parlo per esperienza. Quindi, prima di rinunciare a priori ad averne, ci pensi bene."


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1992, Olanda


"Puoi almeno evitare quella ridicola canzoncina?" Domandò Lysbeth a sua zia mentre quest'ultima, facendosi aiutare dall'elfo domestico, stava trasportando sul tavolo un'enorme torta di compleanno, canticchiando la famosa 'tanti auguri a te'.
"Maddai Lys! E' la parte più divertente!" Replicò la donna ridacchiando, mentre si dava da fare con la bacchetta per accendere le candeline che si erano spente lungo il tragitto dalla cucina.
"Forse per te." Borbottò lei in risposta, alzando gli occhi al cielo.
"E poi 11 anni si compiono una volta sola nella vita. Lo sai anche tu quanto questa data sia importante, per noi maghi." Continuò a dire Corinne "Non eri tu che non vedevi l'ora di frequentare Beauxbatons?" Le chiese con un vago tono di presa in giro "E adesso esprimi un desiderio!" La invogliò con un sorriso.

Lysbeth non dovette ragionarci molto prima di farlo, per poi incamerare aria per spegnere le candeline.
In fondo, ogni anno il suo desiderio era lo stesso.
Lo stesso da sei lunghi e maledettissimi anni.
Lo stesso da quella sera di sei anni prima, quando era tornata a casa dopo aver passato la giornata a nascondersi.

Secondo sua zia era stato un bene che lei avesse agito in quel modo, tanti anni prima.
Perchè altrimenti, oltre ai suoi genitori, avrebbero rapito anche lei.
Ma Lysbeth non la pensava allo stesso modo. Almeno, ovunque li avessero portati, lei sarebbe stata con loro.

Ed era quello che chiedeva con insistenza, da almeno sei anni: che, per quanto minima, le arrivasse una notizia da parte dei suoi genitori.
Anche semplicemente un corpo da piangere.

Perchè era quella la cosa più strana in assoluto: nonostante tutte le ricerche portate avanti dagli Auror e le ingenti somme di denaro promesse da sua zia a chiunque fosse in grado di fornire anche soltanto delle notizie, nessuno si era mai fatto avanti.
Neanche per chiedere un riscatto.
E ormai, a distanza di così tanti anni, la speranza di trovare Mike e Cara Chevalier ancora in vita era ormai svanita.

Buon compleanno Lysbeth.
Ma stai attenta a ciò che desideri.


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"Signorina Sutherland?" Domandò la ragazza bruna, guardandosi attorno attentamente per riconoscere Candice tra le persone sedute sulle sedie di plastica davanti all'ufficio.
"Sono io!" Scattò immediatamente la cameriera, alzando la mano per farsi notare meglio. E ricevendo immediatamente un sorriso cordiale in risposta.
"Prego, da questa parte." Le rispose infatti la ragazza, indicandole la direzione con un gesto del braccio. "Il Ministro Kingsley la sta aspettando."

Dopo essersi data una ultima veloce occhiata allo specchio, per controllare per l'ennesima volta che tutto fosse in ordine, Candice trotterellò velocemente nella direzione indicatagli dall'assistente del Primo Ministro della Magia Inglese, ripetendosi mentalmente che Cecilia Evans aveva ragione e che tutto sarebbe andato bene.

Aveva finalmente l'occasione di raccontare, a qualcuno che si trovava davvero in alto nella scala gerarchica, tutte le nefandezze della famiglia Florence.
E dalla sua parte, questa volta, aveva una persona come Cecilia Weiss. Una mezza Black. Una Evans per matrimonio.

Non una alla quale si poteva sbattere la porta in faccia come se niente fosse.

Candice si era spostata dagli Stati Uniti a Londra per un solo motivo: mantenere una promessa.

Ma forse, almeno per una volta, il destino l'aveva messa sulla giusta traiettoria per mantenerne due.


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1995, Olanda (parte 1)


Lysbeth aveva ormai 14 anni, eppure certe caratteristiche continuavano ad essere presenti in lei.
In primis la curiosità. Unita ad una assurda voglia di esplorare qualsiasi cosa.

Viveva con sua zia da quando aveva sei anni e ormai conosceva sia la Villa che tutto il circondario come le sue tasche.
Eppure vi continuava a girare sempre, come se quel posto avesse per lei ancora qualcosa da rivelare.

Non sapeva dare un vero nome a quella voglia irrefrenabile che la prendeva ogni volta.
'Curiosità' le sembrava un termine troppo blando per definirla.

Quel pomeriggio d'estate, che sembrava preso in ostaggio dal caldo soffocante, Lysbeth si muoveva come un'anima in pena per tutto il cortile, in cerca di un luogo dove trovare un po' di frescura, oltre che di requie.

Non seppe come le venne quell'idea.
Semplicemente, di punto in bianco, si ricordò di quella casetta che aveva visto molte volte in mezzo alla boscaglia che si trovava a pochi metri da casa, ma dove non era mai entrata.
E decise di andare ad esplorarla.

Arrivata sul posto, si pentì di essersi recata lì.


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"E' davvero sicura che... che tutto ciò che ci diremo oggi non uscirà da questo ufficio?"

Caroline ci mise qualche secondo per rispondere alla domanda, sottoposta con tono incerto e quasi tremante, di Theophile.
Anche se i due cugini erano completamente diversi, c'era qualcosa nell'indicibile che le ricordava incredibilmente Samuel.

Le era quasi venuto un infarto, quel pomeriggio, quando la segretaria dell'Ufficio Legale le aveva comunicato che il signor Larson aveva prenotato un appuntamento per parlarle.
Non sapeva neanche lei quante volte, prima che l'altro Larson morisse, aveva sperato di sentirsi dire quelle parole.
Magari chiarire e capire il perchè lui l'avesse abbandonata in quel modo, tanti anni prima. E magari, se le circostanze lo avessero permesso, dirgli anche di Isobel.

Invece tutto quello era rimasto solo un semplice sogno, mai destinato a realizzarsi.
E lei si era messa la coscienza in pace.

Samuel era morto e non avrebbe mai conosciuto sua figlia.
Ma almeno per un attimo, durante quella conversazione, era stata presa dall'impulso di vuotare il sacco, comunicando a Theophile che, anche se suo cugino era morto, una parte di lui era rimasta in vita.

"Scusi... si sente bene?" Domandò a quel punto l'indicibile, non capendo a cosa fossero dovuti gli occhi vitrei della sua interlocutrice.
"Sì, mi scusi... sto seguendo un caso abbastanza difficile... che mi distrae." Optò alla fine per rispondere Caroline, vergognandosi immediatamente di quei pensieri.

Un padre Isobel ce l'aveva.
Ed era Drake
.

"Ma certo, capisco. Però potrebbe lo stesso darmi le informazioni che cerco?" Domandò Theophile, tamburellando le nocche sulla scrivania della donna, in un gesto che, ancora una volta, a Caroline ricordò terribilmente il cugino.
"Porti pazienza... mi può ripetere cosa vuole esattamente da me?" Replicò Caroline, che da parte sua non vedeva l'ora che quella conversazione terminasse.
"E' lei che ha seguito il caso Rosier-Nott, dico bene? Il primo divorzio della storia magica inglese tra purosangue." Insistette l'indicibile quasi fremendo.
"Sì, sono stata io." Confermò Caroline.
"Sarebbe disposta a fare di nuovo qualcosa di simile?" Domandò a quel punto Theophile fremendo e mandando al diavolo ogni remora.
"Non credo che sia possibile." Lo freddò però l'avvocatessa in tono secco.
"Se è per una questione di soldi..." Provò a convincerla il ragazzo.
"Non è una questione di soldi signor Larson." Lo bloccò però subito lei. "Quello era un tentativo di introdurre un precedente per il divorzio nella società dei purosangue, portato avanti dalla famiglia Black. Un tentativo che ha creato più danni che utili, vista la stretta successiva che c'è stata  subito dopo in tutte le leggi sul tema. E' per questo motivo che dubito fortemente che la situazione possa essere replicata." 



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1995, Olanda (parte 2)


"Come sta Lysbeth, Corinne?" Domandò Mike Chevalier allungando il busto per prendere una tazza di the che faceva bella mostra di se stessa sul tavolino. "Come sta nostra figlia?"

La ragazza, nascosta dietro alla finestra, sussultò sentendo il suo nome. E ci mise un bel po' di tempo, prima di capire che no, suo padre non l'aveva assolutamente vista. Stava semplicemente chiedendo sue notizie... alla zia.

"Come se la sta cavando a scuola?" Domandò quasi in contemporanea sua moglie Cara. "L'ultima volta ci hai detto che ha qualche difficoltà."

L'ultima volta? Si ritrovò a pensare Lysbeth.
Questo significava che non era la prima volta che i suoi genitori e Corinne si incontravano.
L'avevano già fatto.
Quindi... quindi sua zia sapeva che loro stavano bene e non glielo aveva mai detto.
Tutti quegli anni passati a piangere per loro... e loro stavano bene!
E sua zia le aveva mentito!

Si accorse a malapena di tremare, mentre si allungava per cercare di sbirciare e sentire qualcosa in più.

"Nessuna difficoltà, semplicemente ha la testa ma non la voglia di studiare." Stava spiegando nel frattempo Corinne ai suoi genitori. "Perchè siete tornati, questa volta?" Cambiò bruscamente discorso "Sempre per lo stesso motivo? Avete ancora bisogno di soldi?"
Per qualche secondo il silenzio calò nella stanza, almeno finchè Mike non risposte con un unico monosillabo "Sì."
"NO!" Urlò invece Lysbeth, incapace di resistere oltre e saltando fuori dal suo nascondiglio provvisorio, con le lacrime agli occhi.


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Con un sorriso beffardo, Elliot si presentò davanti al vetro che permetteva ai detenuti di comunicare con chi era venuto a trovarli, per scoprire così in Alexis Buldstrode la sua nuova interlocutrice.
"Questo posto sta iniziando a diventare troppo affollato." Commentò ironico, rivolgendo un finto inchino all'avvocatessa, che invece lo fissava truce "E io che pensavo che sarebbe venuto a trovarmi soltanto mio fratello. A quanto pare devo ricredermi."
"Non sono venuta qua per fare delle inutili chiacchere Florence." Lo reguardì però Alexis, scoccandogli un'occhiataccia. "A differenza tua, il mio tempo è limitato."
"E allora parla, mia adorata." La prese in giro lui, indirizzandole un altro inchino. Sempre ironico, ovviamente.
"Perchè diamine, tra tutti gli avvocati che sono presenti a Londra, proprio Caroline Fisher?" Domandò diretta la ragazza "Perchè proprio una del mio stesso studio? Cosa nascondi, brutta canaglia che non sei altro?"

Di fronte a quelle domande, un sorrisetto comparve sulla bocca di Elliot.
Un sorriso che purtroppo Alexis conosceva sin troppo bene. E che fino a quel momento aveva significato una cosa sola: guai.
"Cosa nascondo io?" Domandò il paparazzo, fingendo di assumere un'espressione a metà tra il scioccato e lo scandalizzato "Così offendi la mia integrità morale Alexis! Io sono solo una povera vittima!" Continuò a blaterare, cercando di suonare convincente.

E ci sarebbe anche riuscito, se soltanto Alexis Buldstrode non l'avesse conosciuto così bene.
Non che ci sperasse, ovviamente.

L'espressione scioccata venne sostitutita nuovamente dal suo sorrisetto, prima che Elliot ricominciasse a parlare. "Al massimo dovresti chiederti cosa nasconde la tua amichetta." Le comunicò inidirizzandole un occhiolino. "In ogni caso, visto che sei qui e che condividete lo stesso studio, perchè non le ricordi che ha del lavoro da fare per me non appena la vedi? Te ne sarei davvero grato."
"Non sono il tuo gufo, perciò non le dirò un bel niente." Replicò Alexis, indirizzandogli in risposta un sorriso altrettanto dolce "E, per quanto mi riguarda, in prigione potrai restarci anche per il resto dei tuoi giorni."
"Uscirò dal carcere prima che tu possa rendertene conto." Promise il fotografo con voce vellutata, avvicinandosi il più possibile al vetro. "E quando uscirò, potremo andare a fare un giro da Martha insieme." Le comunicò in un sussurro.

Sentendo quel nome, per qualche secondo il sangue si gelò nelle vene di Alexis.
Quella che a chiunque poteva sembrare una frase innocente, per lei aveva un significato ben diverso: Martha era il nome della discoteca dove aveva conosciuto Samuel Larson. E dove, per la prima volta in vita sua, si era drogata.

Come aveva fatto lui a venirne a conoscenza?


Tuttavia riuscì a riacquistare in fretta il controllo di se stessa. E a sorridergli in risposta. "Vedremo Florence. Ma secondo me, non sarà un programma che rispetteremo." Sibilò a voe molto bassa, in modo che solo lui potesse sentirla "In fondo, tu per ora sei ancora in prigione. E si sa, in prigione gli incidenti... capitano." 

Senza aspettare una risposta, Alexis gli voltò le spalle e se ne andò.
Samuel era sempre stato l'unico a sapere del suo vizietto babbano. Ed era morto.
Magari non sarebbe stato l'unico a subire quella sorte.


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1995, Olanda (parte 3)


"Lysbeth! Lysbeth aspetta! LIZ!"

Tutto sommato, Lysbeth ci aveva messo davvero poco a far confessare come stavano le cose sia ai suoi genitori che a sua zia.

Cara e Mike Chevalier non erano mai stati rapiti.
Avevano semplicemente inscenato tutto.
Un paio di scelte sbagliate del padre, parecchi anni prima, li avevano riempiti di debiti. E i suoi genitori, per non doversi trovare a pagare, avevano simulato il rapimento, concordando ogni cosa con Corinne.
In questo modo, essendo loro due considerati ormai come morti, anche il relativo debito poteva considerarsi estinto e ogni bene, ricchezza e proprietà sarebbe passato direttamente a lei, Lysbeth, una volta diventata maggiorenne.

Lysbeth però era fortemente contraria a tutto quello.
Di fatto, quella loro mossa non era soltanto una truffa ai beni dello Stato.
Era stata soprattutto una truffa a lei, la loro unica figlia.

Tutti quegli anni passati a piangerli e loro?
Loro erano non solo vivi e vegeti, ma anche intenti a spassasserla.
Con i soldi di Corinne - che in parte erano anche quelli di Lysbeth. E con la benedizione di Corinne.
La stessa donna che molte, moltissime, troppe volte l'aveva consolata per quella finta perdita, sapendo benissimo come stavano invece le cose.

Bugiarda!
Bugiarda lei e bugiardi loro!

Senza fare troppo caso a ciò che stava mettendo in valigia - anche con anche l'ausilio della magia, nonostante formalmente fino ai 17 anni non avrebbe potuto farlo - Lysbeth iniziò a togliere ogni cosa da quella che per quasi dieci anni era stata la sua camera.

Per fortuna che aveva comunque in programma di andarsene da Mayla, visto che avevano acquistato i biglietti per le selezioni deii Campionati Europei di Quidditch, che si sarebbero tenuti ad Amsterdam.
Sarebbe arrivata con qualche giorno d'anticipo, sperando che la sua amica la accogliesse comunque. Magari senza farle troppe domande.

Poi sarebbe tornata alla Scuola di Magia e durante l'anno avrebbe pensato a cosa fare, a come muoversi.

E, soprattutto, a come potersi mantenere.
Perchè, se c'era una cosa della quale era assolutamente certa, era che non avrebbe mai più rimesso piede in quella casa.
E, soprattutto, quella sarebbe stata l'ultima volta che la sua "famiglia" l'avrebbe vista. 


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"Vamos!"
"Cata? Dove mi stai portando?" Domandò Cecilia inarcando un sopracciglio, cercando di frenare in qualche modo la domestica di sua cugina, che dopo averla beccata in salotto a guardare la tv l'aveva letteralmente presa di peso e iniziata a trascinare per la Villa.
"Ordini della seniora Levenvolde!" Le rispose la ragazza, senza però mollare la presa "E mi ha detto de dirle che dopo la ringrazierà."
"Cassy?" Domandò stranita Cecilia, ancora più confusa.

Davvero sua cugina aveva ordinato alla sua domestica di trascinarla in giro per casa in quel modo?

"Oh avanti!" Si lamentò Catalina sbuffando "Non me faccia fare fatica! Lei non è esattamente un peso piuma!"
"Oh ti ringrazio per il complimento!" Rispose sarcastica la rossa "Mi stai trascinando di peso senza dirmi la destinazione e io dovrei seguirti senza opporre resistenza? E mi accusi pure di essere grassa." Sbuffò infastidita.
"Non ho mai detto che lei è grassa!" Si difese Catalina, bloccandosi di colpo per girarsi verso la sua interlocutrice sgranando gli occhi. "Solo che lei non è un peso piuma! Sono due cose ben diverse." Constatò incrociando le braccia al petto, come una bambina offesa.
"Ma come? Non mi trascini più?" Domandò a quel punto Cecilia, incrociando a sua volta le braccia al petto.
"Non serve! Estiamo arrivati!" Replicò la domestica, prima di bussare alla porta e... dileguarsi alla velocità della luce.

Per un attimo Cecilia si domandò se non avesse usato uno dei passaggi segreti presenti nella Villa per sparire così in fretta, ma poi una voce al suo fianco catalizzò tutta la sua attenzione, distraendola.
Una voce che non sentiva da un bel po' di tempo. Quasi un mese.
"Buonasera cara!"

"Aster!"


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21 giugno 2007, Villa Black (sera dell'omicidio)


"SI PUO' SAPERE PERCHE' DIAMINE L'HAI FATTO?"

L'urlo arrivò talmente tanto all'improvviso, che per un attimo Lysbeth pensò che Cassiopea Black ce l'avesse con lei.
Perciò, colta completamente di sorpresa, sobbalzò spaventata, domandandosi mentalmente cosa potesse aver combinato di così grave per aver addirittura attirato l'attenzione della padrona di casa.
"Io... mi scusi..." Iniziò a balbettare, prima di rendersi conto che la voce non proveniva di certo dalle sue spalle.

"Cassy..." Sentì infatti la voce del padrone di casa poco dopo.
"PER UNA STRAMALEDETTA VOLTA NON POTEVI RIFIUTARE? UNA!" Strillò ancora la ragazza, con una voce che faceva presupporre si trovasse parecchio vicino alle lacrime. "NON CI SEI SOLO TU!"
"Pensavo di avertelo già spiegato il perchè ho accettato!" Sentì dire Lysbeth dall'uomo, con un tono di voce alquanto pacato.

Sentendo un rumore di passi in avvicinamento, la cameriera si ritrovò letteralmente a tuffarsi dietro ad una cassa di legno.
Di certo, date le circostanze, non voleva farsi trovare lì dai coniugi.
Ci mancava solo che la prendessero per una spiona e la licenziassero! Quei soldi le servivano come l'aria.

Per quel motivo decise di nascondersi e aspettare che i due la sorpassassero. Poi, si sarebbe dileguata velocemente dall'altra parte.

"NON POSSO CREDERE CHE TU L'ABBIA DAVVERO FATTO!" Strillò nuovamente la Black, mentre apriva la porta di una stanza lungo il corridoio per entrarci dentro, seguita a breve distanza dal marito.
Lysbeth stava per approfittare della situazione per andarsene, quando un rumore di un vaso rotto attirò la sua attenzione.

Possibile che la Black avesse addirittura lanciato un vaso contro suo marito?
Lysbeth sapeva che nella società magica inglese i matrimoni combinati erano all'ordine del giorno e per un attimo si chiese se non lo fosse anche quello. Magari quei due si odiavano, oppure lui le aveva proposto di fare qualcosa che lei trovava riprovebole. E quindi stava cercando di opporsi.
Quindi doveva aiutarla? Oppure lasciare che si arrangiassero?

Il totale silenzio proveniente dalla stanza la fece preoccupare per un po'.

"No Darius! La scelta alternativa ce l'avevi eccome!" Sentì però nuovamente la voce di Cassiopea dopo un po'.
Altre parole e frasi - che però Lysbeth non riuscì a distinguere bene - poi, quando stava davvero pensando di filarsela, Cassiopea uscì di nuovo dalla stanza sbattendo la porta dietro di sè.

E alla olandese non rimase altro da fare che rimanere rintanata lì, sicura che anche Darius sarebbe uscito a breve.
Invece ciò che sentì fu un'imprecazione, seguita da altre urla. Tutte emesse dalla voce dell'Auror. "Da quanto ascolti le conversazioni private tra me e mia moglie?"

Per la seconda volta nell'arco della serata, Lysbeth si ritrovò a deglutire spaventata, temendo di essere stata scoperta.
Almeno finchè non udì la voce di un uomo, quasi un balbettio, farfugliare qualcosa in risposta.

"NON HO BISOGNO DI DOMESTICI CHE, ANZICHE' FARE IL LORO DOVERE, SPIANO ME E LA MIA FAMIGLIA! SEI LICENZIATO! ... GUAI A TE SE VAI A RIFERIRE ANCHE LA MINIMA COSA CHE HAI SENTITO O VISTO IN QUESTA VILLA AD ANIMA VIVA! E ADESSO SPARISCI!"

Poco dopo Darius uscì dalla stanza trascinando quasi di peso Samuel Larson, che sembrava seguirlo come un automa, sfoggiando uno sguardo completamente allucinato.
Poi entrambi sparirono nel buio del corridoio.


-*-*-*-


"Resterai lì a guardarmi ancora per molto?" Domandò Cassy neutra, massaggiandosi il ventre e canticchiando a mezza voce una ninna nanna.
"Non ti sto guardando, vi sto guardando." Replicò Darius, appoggiato allo stipite della porta, mentre faceva vagare il suo sguardo sulla moglie che in quel momento era sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera e la camicia da notte slacciata fino all'altezza del seno, intenta a spalmarsi una pozione contro le smagliature.
"Ruffiano! Vuoi darmi una mano?" Lo invitò lei, prima che il suo viso venisse attraversato da una smorfia. "Uff! Stasera scalcia come un'indemoniato!" Si lamentò iniziando a massaggiare con vigore il punto colpito, prima che le sue mani venissero sostituite da quelle di Darius.
"Fai provare me."

Dopo qualche minuto fortunatamente l'Auror 
riuscì nel suo intento: non si sapeva bene come, ma il più delle volte il suo tocco aveva il potere miracoloso di calmare il bambino.

"Ti ringrazio." Sospirò di sollievo Cassiopea "Sono sempre più convinta che non nascerà di parto ma sfondandomi la pancia con un calcio. Tanto per non farsi riconoscere." Commentò con uno sbuffo.
"Lo sai che una cosa del genere non è possibile vero?" La prese in giro l'uomo ridacchiando, sdraiandosi sul letto e allargando le braccia, per far sì che la moglie si potesse sistemare lateralmente su di lui, in una posizione che, almeno a detta di Cassiopea, la aiutava a dare un po' di sollievo alla schiena.
"Mpf! Quando sarai tu ad essere incinto ne riparleremo."
"Tesoro... va tutto bene?" Domandò a quel punto Darius, inarcando un sopracciglio.
"Ho un bambino non ancora nato che mi sta maciullando a suon di calci il fegato, l'intestino e la milza. Ma sì, certo che va tutto bene!" Rispose sarcastica lei.
"Quello l'avevo capito..." Replicò a quel punto l'uomo alzando gli occhi al cielo. "Intendevo... il resto."

Per qualche secondo il silenzio calò nella stanza.
Poi, in un sussurro talmente basso che a Darius sembrò quasi di esserselo sognato, Cassiopea parlò.
"Devo chiederti una cosa..." Iniziò titubante, per poi interrompersi subito e sollevarsi sulle braccia, staccandosi così dalla presa del marito.

"Tu... mi ameresti ancora se io... se io non... non fossi purosangue?" 


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postimage Aster Evans

Avendo avuto più personaggi a pari merito, a questo giro non vi farò fare la solita votazione (a seconda dell'ispirazione, il prossimo sarà o su Theo o su Cecilia).

A presto! ;)

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Capitolo 16
*** 14 - Cecilia Alya Weiss ***


14

- Cecilia Alya Weiss - 


Cecilia Evans

Cecilia Alya Weiss in Evans, 15 maggio 1981, ex Tassorosso, Magizoologa



8 luglio 2007, Villa Black


"Tu... mi ameresti ancora se io... se io non... non fossi purosangue?"


Davanti alla domanda della moglie, Darius strabuzzò gli occhi e si tirò su di scatto. "Non ho idea del perchè tu me lo stia chiedendo Cassy, ma sappi che questo discorso non mi piace affatto. Che razza di domande fai?"
"Puoi rispondermi per favore?" Domandò lei con tono leggermente turbato.
"C'entra per caso mio padre? Ne ha tirata fuori un'altra delle sue?" Chiese a quel punto l'Auror, con voce alterata, prima di bloccarsi di colpo vedendo le lacrime iniziare ad affacciarsi sul volto della moglie.
Con un sospiro, allungò le braccia verso di lei per prenderla e trascinarla sulle sue gambe, depositandole un bacio sulle tempie. "Ti amo e basta Cassy, senza se e senza ma." Le rispose cercando di modulare il tono della voce in modo da renderlo pacato. "Adesso che abbiamo accertato questo punto, mi dici cosa sta succedendo? C'entrano mio padre e il nostro contratto prematrimoniale per caso?"
"Per ora no... ma potrebbero sempre saltare fuori." Replicò lei, quasi nascondendosi nel suo petto. "Il fatto è che... credo di avere trovato..." Per un attimo si interruppe, chiudendo gli occhi e respirando a più riprese "mio... mio fratello. O meglio... è lui che ha trovato me."

Per qualche minuto un silenzio assordante calò nella stanza, prima che Darius realizzasse del tutto la situazione.

"Come scusa?"


-*-*-*-


1974, Londra, Villa Prewett

Da quando Lyra Black era morta, era stata la sua primogenita Libra a prendere in mano le redini della famiglia.
Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere non solo per badare alla casa, ma anche per cercare di ricucire i rapporti tra il padre e le sue varie sorelle, inevitabilmente deteriorati a seguito della morte della madre.
E si era prodigata il più possibile per sostituire lei stessa quella madre che era stata strappata a tutte loro troppo presto.

In un certo senso era così che si sentiva quel giorno Cara Black, mentre abbracciava Libra: nonostante le dividessero soltanto cinque anni di età, era come se lei stesse salutando sua madre anzichè sua sorella maggiore.

"Appena arrivi mandami un messaggio tramite il diario." Ripetè per l'ennesima volta Libra Prewett con le lacrime agli occhi, stritolandola nel suo abbraccio.
"L'hai già detto." La prese in giro con un lieve sorriso Cara.
"I Var Dassen ti aspettano esattamente nel punto dove atterrerà la passaporta."
"Anche questo l'hai già detto."
"Hai messo un maglione pesante? In Germania fa fre..." Continuò imperterrita Libra.
"Tesoro se continui così tua sorella finirà per perdere la passaporta." Emerse a quel punto la voce di Robert Prewett, appoggiato al muro del salotto mentre osservava moglie e cognata.
"Hai ragione ma... Cara, sei sicura di voler andare davvero in Germania?" Domandò per l'ennesima volta, quasi come sperando che sua sorella potesse cambiare idea all'ultimo momento. "Ci sono ottimi allevamenti di creature magiche anche qui!"

A quell'ennesimo tentativo, la minore roteò gli occhi al cielo accompagnando il tutto da un leggero sbuffo. "Libra, ne abbiamo già parlato. Quel posto è l'unico ad avere un'intera nidiata di Coboldi! E comunque qua in Inghilterra non ho più niente. Tu e Berenike siete ormai sposate, mentre le altre vanno ancora a scuola. E' giusto che ognuno si viva la sua vita. Non posso continuare a farmi ospitare da voi, per quanto possa essere un'ospite gradita. E' ora che anch'io trovi la mia strada." Concluse il discorso sporgendosi per abbracciare di nuovo la sorella. "Ti voglio bene. E non temere: tornerò presto a romperti le scatole."
"Non vedo l'ora."



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9 luglio 2007, Villa Black


"Torna a casa con me Sil."
"Non so se mi sento pronta per lasciare Londra."
"Allora non farlo: ho una casa anche qui. Così potrai stare a contatto con le tue cugine e i nipoti, se è questo che vuoi. Ma almeno ti avrò accanto."
"Aster..."
"No, Aster niente! Siamo sposati Cecilia! SPO-SA-TI! Non mi sembra che il sacerdote ci abbia dichiarati marito, moglie e figli, ma solo marito e moglie. I figli non sono necessari per far funzionare un matrimonio. Il fatto che marito e moglie stiano insieme invece sì."
"In realtà volevo solo dirti che mi sei mancato." Aveva dichiarato lei, prima di avvicinarsi per baciarlo.



"Buondì!"

Immersa com'era nel rivivere la conversazione della sera precedente, Cecilia aveva fatto appena caso a dove i suoi piedi l'avessero automaticamente condotta quella mattina.
In effetti non se n'era accorta finchè non era entrata nel salotto della colazione, dove Gillian - augurandole il buongiorno - le aveva quasi fatto prendere un infarto.

"Buongiorno." Rispose alla fine, massaggiandosi leggermente il petto all'altezza del cuore. "Perchè in questi giorni fate a gara per attentare alla mia vita?" Domandò poi, accomodandosi su una sedia e prendendo la brocca del caffè per versarsene una dose generosa dentro ad una grossa tazza.
"Pensavamo che la 'sorpresa Aster' potesse farti piacere, non renderti ancora più nervosa." Replicò la Greengrass cogliendo immediatamente il riferimento, gettandole un'occhiata perplessa. "Abbiamo visto che continuavi a tergiversare nel limbo, così ti abbiamo dato una spintarella."
"Ero solo persa nei miei pensieri, ma i miei sentimenti per mio marito non sono mai stati in discussione. Solo che rivederlo dopo un mese così all'improvviso è stato... intenso." Provò a spiegare la rossa, cercando così di mettere ordine alla confusione mentale che aveva in testa.

Era stato più che intenso, in effetti. Neanche cinque minuti dopo si erano ritrovati senza vestiti.
E lei si era sentita quasi una ladra, quella mattina, quando era sgattaiolata via dalla stanza in silenzio, per cercare di non svegliarlo.

"Quindi avremo la tua - sempre gradita, intendiamoci eh! - presenza qui a Villa Black ancora per molto oppure la nottata è bastata per chiarirti le idee?" Domandò Gillan, assumendo un sorriso vagamente malizioso.
"Non vorrei altro che tornare a casa con lui" Ammise sospirando la Weiss "Solo che... dove stai andando?" Domandò interrompendosi di botto e sgranando gli occhi di colpo, vedendo la cugina alzarsi in piedi mentre lei era intenta a parlare.
"Ti porto in un posto che potrebbe aiutarti a decidere. Andiamo, seguimi!"



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1977, Germania, Amburgo


Ridacchiando come una adolescente alla prima cotta, Cara si lasciò guidare dalla presa salda e sicura di Edgar Weiss.
Non aveva la minima idea di dove lui la stesse portando, visto che l'aveva bendata.
Perciò, mentre la voce calda dell'uomo le suggeriva dove mettere i piedi per non inciampare - e spesso approfittava della situazione per sfiorarla - la Black si lasciò andare ai ricordi.

Non era stato affatto facile, per lui, riuscire ad invitarla ad uscire, visto che lo aveva rifiutato per un anno intero.
Edgar discendeva da una famiglia purosangue tedesca benestante, conosciuti in tutta la Sassonia per i loro allevamenti di ippogrifi, perciò si erano conosciuti quasi subito proprio grazie agli studi di Cara. E il ragazzo aveva subito un vero e proprio colpo di fulmine.
Ma lei era affascinata dalla nuova realtà nella quale si era trovata a vivere e non voleva perdersi qualcosa soltanto per un legame che si sarebbe potuto creare con qualcuno.
Una cosa alquanto stupida, con il senno di poi.
Edgar non era di certo perfetto. Come tutti, aveva i suoi pregi e i suoi difetti.
Tuttavia Cara, una volta superate le proprie reticenze decidendo di dargli un'opportunità, ci aveva messo molto poco per capire che, anche se il ragazzo non era perfetto, in qualche modo era perfetto per lei.

Consapevolezza che aumentò poco dopo, quando finalmente il passo del tedesco si arrestò.
"Siamo arrivati." Le disse in un sussurro appena udibile, molto vicino al suo orecchio, prima di toglierle la benda. "Mi raccomando: silenziosa come un pesce, oppure scapperanno via."

Gli occhi di Cara ci misero un po' ad abituarsi al buio: erano nel bel mezzo di un bosco ed era sera, tuttavia ben presto - guidata anche dalla mano di Edgar - la ragazza riuscì finalmente a scorgere il posto che il ragazzo voleva farle ammirare: la luce perlacea della luna, quasi piena, si rifletteva infatti sulle rive del laghetto, alimentato da alcune piccole cascate, rischiarando così l'ambiente.
E dentro al lago si muovevano velocemente alcune piccole figure, che nuotavano sinuose o eseguivano salti degni del migliore acrobata schizzando acqua ovunque: erano Nokken, i folletti acquatici.

"Per Morgana! E' stupendo!" Esclamò la Black in un sussurro, prima di girarsi per baciare Edgar, trovando così la seconda sorpresa della serata.
Il ragazzo era inginocchiato tra gli arbusti, con una piccola scatoletta tra le mani.

"Cara Black... vuoi diventare mia moglie?"


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9 luglio 2007, Ufficio Misteri


"Sei andato da Caroline Fisher per chiederle un consulto per il mio divorzio? Ma chi ti credi di essere?"

Fu con quella frase che Sylvia Burke entrò come un tornado nell'ufficio che condivideva con Theophile, facendogli rovesciare metà del caffè bollente sulla camicia bianca.

"Ma che ca..." Riuscì a sbottare a malapena lui, saltando sulla sedia per la sorpresa.

"Come diamine ti è venuto in mente Theo?" Continuò a sbraitare lei "Come ti è venuto in mente di chiedere una cosa così ad un avvocato così famoso, visto che tu neanche sei sposato? Non pensi che qualcuno potrebbe fare domande scomode?"
"Non ho neanche mai fatto il tuo nome!" Provò a giustificarsi lui, sgranando gli occhi e assumendo un'espressione dolorante a causa del caffè, che si stava velocemente espandendo sul lino. "E tu come fai a saperlo scusa?" Domandò esterrefatto, iniziando a togliersi la camicia per valutare l'entità del danno. Quel caffè bruciava proprio!
"Sono una purosangue, io vengo sempre a sapere tutto!" Sbottò lei, incrociando le braccia al petto. "E cosa diamine stai facendo? Ti pare il momento?" Sbraitò di nuovo, incapace di staccare gli occhi di dosso dal petto del suo amante, scambiandolo per un tentativo di seduzione.
"Guarda che non è tutto ricollegabile al sesso sai? Il caffè era bollente, per Merlino!" Sbraitò lui in risposta, puntandosi la bacchetta contro per refrigerarsi. "E comunque Sylvia sì, mi sono informato. Sto valutando seriamente di accettare la proposta dei Levenvolde e di spendere l'assegno per farti ottenere il divorzio, se ciò sarà possibile. Perchè dubito che potrai accedere ai conti di tuo marito per pagarti un avvocato! Pensa te, Sylvia: mio cugino potrebbe rendersi utile per la prima volta in vita sua proprio con la sua morte! Ma scusa tanto se da una cosa brutta sto cercando di ricavarne una bella! Scusa tanto se mi preoccupo per te! Scusa tanto se penso a come fare per migliorarti la vita! Scusa tanto se ti amo! Scusa tanto se non voglio più perdere nessun altro di importante nella mia vita!"


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novembre 1985, Londra, Villa Black


"Nonno, chi sono?"
"Loro, Cassy, sono tua zia Cara e tua cugina Cecilia. Un po' come zia Hydra e Gillian."

Mentre le due bambine si scrutavano intensamente - Cassiopea semi-nascosta dietro alle gambe di Antares e Cecilia dietro a quelle della madre - Cara si ritrovò a pensare in che modo bizzarro aveva scoperto dell'esistenza di quella sua nipote, la figlia di Selene, ormai quattro anni prima.



"E così la guerra in Inghilterra è finita." Commentò Cara, muovendo appena le ginocchia per mantenere costante l'oscillazione della sedia a dondolo, cosa che aveva scoperto riuscire a far addormentare Cecilia come un sasso.
"Già." Rispose Libra, portandosi alla bocca una tazza di the appena fatto e guardando con affetto alla culla di Cecilia, dove era stata riposta temporaneamente sua figlia Kleeia. "Se penso che a fermare...Tu-sai-chi... è stato un bambino che ha appena un anno in più delle nostre, mi vengono i brividi." Sospirò tremando leggermente. "Ma almeno i nostri figli cresceranno in un mondo dove regna la pace."
"Siamo sicuri che sia morto sul serio?" Domandò Cara inarcando un sopracciglio "Un bambino così piccolo che è riuscito a fare quello che neanche Silente... non è strano? Cosa ne pensa al riguardo...nostro padre? " Domandò alla fine, nominando per la prima volta quell'uomo che era quasi diventato un argomento tabù nella loro casa. "E' sempre stato molto bravo a prevedere ciò che potrebbe succedere..."
Immediatamente le spalle di Libra si irrigidirono. "In realtà non gliene frega poi molto. E' da agosto che pensa sempre e soltanto a Cassiopea. Cassiopea di qua, Cassiopea di là!" Disse scimmiottando la voce di Antares "Da quando c'è lei, anche il suo lavoro non sembra più così importante."
Per un attimo il silenzio
calò tra le due, prima che Cara, alquanto confusa, non chiedesse ulteriori spiegazioni.
"Vuoi dire che adesso, dopo anni passati a piangere per nostra madre, ha trovato all'improvviso un'altra donna? Quanti anni ha questa fantomatica Cassiopea, 20?"

"Vuoi dire che non ne sai nulla?" Domandò la sorella maggiore strabuzzando gli occhi. "Cassiopea è la figlia di Selene! E' rimasta incinta durante il settimo anno, ha partorito la bambina e poi se n'è andata. La piccola ha appena tre mesi. E, a quanto pare, è riuscita a fare da sola quello in cui abbiamo fallito in sei: conquistare nostro padre."  


"Cassy perchè non porti Cecilia nel cortile e le fai vedere l'allevamento di crup? So che li adora." Propose Antares con tono dolce, dandole un buffetto e una spintarella in direzione della cugina.

Non appena padre e figlia rimasero soli, il tono di voce dell'uomo cambiò.

"Ben tornata Cara." Si limitò a commentare con tono neutro "Ti sei trovata bene ad Amburgo in tutti questi anni?"
"Come fai a sapere che mia figlia si chiama Cecilia e che mi trovavo ad Amburgo?" Domandò Cara assumendo un'espressione sorpresa. "E che le piacciono i crup?" Aggiunse ripensandoci.

Antares non aveva mai fatto nulla per dimostrare di interessarsi a loro. Quindi come faceva a saperlo?

"
So anche che siete tornati in Inghilterra perchè volete che la vostra unica figlia frequenti Hogwarts come hai fatto tu. Dovresti conoscermi Cara: io so sempre tutto."


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9 luglio 2007, Dipartimento Auror


"Ecco qua, Aaron! Con le scuse da parte dei seniori per averci messo tanto a consegnarte el todo!" Comunicò Catalina, strappando all'uomo un sorriso divertito.

L'accento della giovane domestica l'aveva sempre incuriosito: nonostante fosse nata e cresciuta in Inghilterra, frequentando addirittura Hogwarts, aveva sempre mantenuto quell'accento spagnoleggiante che la caratterizzava. E Aaron si era ritrovato a chiedersi più volte il perchè.
Addirittura, si era domandato se in realtà la ragazza non lo facesse apposta, ad usarlo.

In ogni caso, non era lì per indagare sull'accento della domestica di Darius, ma soltanto per ricevere quei documenti.
Era dalla festa di compleanno di Lyra che doveva riceverli.
Ma poi avevano trovato Elliot Florence nello studio di Antares, Cassy aveva perso i sensi e lui si era concentrato sul paparazzo, arrivando addirittura a sbatterlo in prigione in via cautelare, cosa che non era mai riuscita a nessuno dei suoi colleghi.

Le liste che doveva consegnarli Cassiopea Black erano passate inevitabilmente in secondo piano.


"Muchas gracias Cata." Le rispose sorridendo leggermente, mentre questa, con una risatina, gli correggeva la pronuncia.
"E se serve qualcos'altro non esiti a chiedere." Aggiunse lei, prima di fare un gesto di congedo per poi girargli le spalle ed uscire dalla porta.



"C'è qualcosa di utile lì in mezzo?" Lo distrasse la voce di Melisandre poco dopo, facendolo sorridere di nuovo.
"Mel... sei sicura di essere un'investigatrice privata dotata di un personale ufficio?" La prese in giro lui, facendo il giro della scrivania per sedersi sulla sedia. "No perchè ultimamente sei sempre qui!"
"Tanto le scrivanie dei tuoi colleghi sono vuote, quindi non do fastidio a nessuno." Rispose lei con una scrollata di spalle. "Allora?" Insistette "Hai trovato qualcosa di utile?"
"Forse sì." Replicò lui dopo un po', appoggiando la lista che gli aveva appena data Catalina sulla scrivania e allungandosi per aprire un cassetto, dal quale estrasse altri fogli. "Ma dov'è andato a finire?" Domandò all'aria. "Se vuoi aiutarmi trova i verbali con tanto di liste di tutte le persone che sono state bloccate ed interrogate la sera dell'omicidio." Le ordinò. "Voglio confrontarle con la lista degli invitati e con quella di coloro che hanno confermato la loro partecipazione."

Poco dopo, anche Melisandre potè capire cosa avesse attirato l'attenzione di Aaron: tra le liste c'era una discrepanza. E un nome che non era nuovo a nessuno dei due.

"Ma questo potrebbe ancora non voler dire nulla, Aaron." Cercò di ragionare la detective. "Magari è un caso."
"Davvero?" Rispose l'Auror con tono alquanto scettico "E quante volte ti è capitato 'un caso'?"
"Praticamente mai."


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marzo 1995, Hogwarts, Torre dei Corvonero


"Cassy dammi la parola d'ordine per entrare nei dormitori dei Serpeverde. Adesso." Ringhiò Cecilia entrando a passo di marcia nella stanza della cugina.
"Perchè, hai intenzione di fare il giro di tutte le Sale Comuni entro oggi?" Domandò Cassiopea ironica in risposta.
"Come?" Chiese Cecilia spiazzata, mentre Gillian, seduta sul letto della cugina, si premeva le mani sulla bocca per non ridere.
"Sei una Tassorosso nel dormitorio dei Corvonero e vuoi la parola d'ordine per entrare in quello dei Serpeverde. Ti manca solo una scusa per andare anche dai Grifondoro e poi hai completato il giro." Rispose la Black sarcastica.
"Non mi serve niente dai Grifondoro. Voglio solo uccidere Aster Evans." Spiegò Cecilia "Quindi sei pregata di darmi la parola d'ordine senza tergiversare. Lo so che la sai: so benissimo che Corey* te l'ha detta."
"Cos'ha combinato stavolta?" Ridacchiò Gillian alzando gli occhi al cielo.

Ormai gli scontri e le litigate tra i due erano diventate leggenda.
E se la Tassorosso non si dirigeva nei sotterranei almeno una volta a settimana, i Serpeverde iniziavano a chiedere ai parenti - in questo caso una delle sue cugine - se la ragazza stesse bene.
Perchè ormai lo sapevano anche i muri che almeno una volta a settimana Cecilia Weiss - qualsiasi fosse il motivo - finiva per litigare con Aster Evans. 

"Ma voi da che parte state?" Si lamentò la Weiss con tono melodrammatico "Sono vostra cugina! Dovreste aiutarmi, non ostacolarmi!"
"Se ti do la parola d'ordine e tu uccidi Aster, tu diventeresti un'assassina e io tua complice. Non ti sto ostacolando, ti sto proteggendo!" Replicò Cassiopea prima di nascondere la sua espressione divertita dietro ad una rivista di gossip.
"Come se tuo nonno permettesse mai di farti finire ad Azkaban!" Sbottò la Tassorosso.
"Ok. La parola d'ordine è 'omnia vincit amor'." Si arrese la Corvonero. Troppo velocemente.
"Grazie." Rispose Cecilia precipitandosi immediatamente fuori dalla porta.

Per poi tornare subito indietro non appena il vero significato della frase si affacciò nella sua mente.
'L'amore vince su tutto.'

"Cassy! Mi stai pigliando per il culo vero? Qual è la vera parola d'ordine?" Ringhiò minacciosa. "Ho davvero urgenza di ucciderlo!"
"Ovviamente ti stavo prendendo in giro! La vera parola d'ordine è 'viridi serpens'." La informò a quel punto ridacchiando Cassiopea. "Che fantasia che hanno vero? Significa serpente verde in latino!"

Non appena Cecilia ebbe chiuso di nuovo la porta dietro di sè, sia la Black che Gillian scoppiarono apertamente a ridere.
"Finiranno per sposarsi quei due, vero?"
"Perchè, hai qualche dubbio in merito? Nonno ogni volta dice che gli ricordano troppo un'altra coppia. Ovviamente, una a caso."
"Tra rose e fior! Nasce l'amor!"



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10 luglio 2007, Casa Sutherland


"Grazie mille Candice." Disse Lysbeth prendendo tra le mani il bicchiere d'acqua che la bruna le stava porgendo per poi portarselo alle labbra. "E' bello vedere che, anche se non lavoriamo più insieme, io e te siamo rimaste amiche."
"E' proprio per questo che ti ho chiamato." Rispose Candice, versandosi un bicchiere anche per lei. "So che non te la passi molto bene dai Northman. Immaginavo avessi un po' bisogno di sfogarti."
"Lavorare lì è uno schifo!" Si lamentò immediatamente l'olandese "Amelie è una vera psicopatica! E non posso neanche pensare certe cose su di lei perchè è una legimens! Insomma, un conto è lavorare per persone che non sopporti. Un altro è lavorare per persone che non solo non sopporti, ma che lo sanno anche perfettamente e che perciò ti costringono a pensare ad altro! Non posso neanche più pensare liberamente!"
"Pur di non dover più lavorare per loro saresti disposta a guadagnare meno?" Le propose a quel punto Candice senza stare a tergiversare troppo.
"Quanto di meno?" Indagò subito Lysbeth, alzando gli occhi speranzosa.
"Abbastanza per mantenere comunque la tua casa." Replicò l'americana con un sorriso. "Ma non altrettanto per studiare all'Accademia Musicale." Aggiunse adombrandosi.

Quello era un sogno che condividevano entrambe da quando si erano conosciute. E Candice sapeva molto bene cosa significava per Lysbeth doverci rinunciare.

"Io... non lo so." Rispose dubbiosa l'olandese "Di cosa si tratterebbe?"
"Il signor Evans, il marito di Cecilia, è tornato in città." Spiegò velocemente la bruna. "E vuole avere la sua villa Londinese in ordine."
"Se è il marito di Cecilia non mi vorrà neanche vedere in cartolina." Replicò Lysbeth adombrandosi. "Ricordi? Per loro sono quella che ha denunciato il signor Levenvolde. E per colpa della quale lui rischia il carcere."
"Fammi finire!" Esclamò però Candice allegramente "Ha detto che a lui non piace avere domestici in giro, perciò si tratterebbe soltanto di un paio d'ore al giorno, quando lui e la moglie sono fuori casa. Non vi incrocereste neanche! E' stata Cecilia a chiedermi se conoscevo qualcuno!"
"E se rientrassero mentre sto pulendo? Magari lui no, ma lei mi riconoscerebbe subito!" Protestò l'olandese. "Ho dei capelli che sono riconoscibili ovunque!"
"Puoi sempre tingerteli in modo uniforme!"
Propose Candice ridacchiando, lanciando un'occhiata esasperata ai suoi capelli arcobaleno "Ma fidati, Cecilia non ce l'ha con te: ha provato anche a far ragionare Cassiopea sull'argomento, quindi non credo avrebbe problemi ad assumerti." Spiegò pacata "In ogni caso non ho detto che devi dirmi di sì subito e per forza, ti sto solo offrendo un'opportunità per smettere di lavorare per una psicopatica. Pensaci."
"Grazie Candy, ci penserò su."

-*-*-*-


1997, Durmstrang


"Cassy?"
Fu quasi un sussurro quello di Cecilia, mentre entrava nella camera che condivideva con Cassiopea.

In teoria, da regolamento, non avrebbero potuto farlo: seguendo la tradizione di Hogwarts, Cassiopea era stata smistata tra i Folletti, mentre Cecilia tra gli Alastyn.
Ma il preside Sokorof - il successore di Karkaroff - diventava estremamente permissivo davanti al denaro. E Cecilia sapeva per certo che Antares Black non aveva badato a spese, pur di garantire a sua nipote tutti i confort possibili. Compreso il fatto di non dover dividere la stanza con altre tre o quattro sconosciute. Alla fine dei conti ci aveva guadagnato anche lei.

"Guarda che lo so che sei sveglia." Insistette Cecilia, avvicinandosi al letto e in particolare al mucchio di coperte che sapeva benissimo nascondere il corpo di Cassiopea.
"Lasciami in pace." Risuonò la voce soffocata della Black, che la Weiss immaginò fosse sul punto di scoppiare in lacrime.
"Hai già saltato due ore di lezione." Cercò di farla ragionare la rossa. "Così gli insegnanti mi hanno spedita a controllare, visto che non sei in infermeria. Stai male?"
"No, sto benissimo. E so perfettamente di avere saltato due ore di lezione, così come salterò anche le restanti. Se i docenti hanno qualche problema che me lo vengano a dire di persona, anzichè usare te come un gufo!" Sbottò Cassy, emergendo finalmente dalle coperte. "Ho diritto a prendermi un giorno per me stessa quando mi pare e piace!"
"E questo giorno non ha nulla a che fare con la lettera che ti è arrivata stamattina vero?" Domandò Cecilia diretta. "Non provare a negare: lo so riconoscere lo stemma dei Black."
Immediatamente il corpo di Cassiopea sembrò afflosciarsi, mentre la proprietaria cercava di rintanarsi nuovamente sotto alle coperte. "Non avevamo iniziato questa conversazione con io che ti dicevo di lasciarmi in pace?"
"Peccato che io non abbia intenzione di farlo." Replicò l'altra, impedendo quasi con la forza alla cugina di rifugiarsi sotto al suo scudo di lana. "Quindi adesso mi dirai cosa sta succedendo, oppure mi metterò a frugare nella stanza finchè non troverò quella dannata lettera. In ogni caso lo saprò."
"Accomodati. Tanto l'ho strappata in mille pezzi." La sfidò la Black arrabbiata.
"Allora li cercherò uno ad uno e farò il collage."
"Li ho buttati nel fuoco."
"Ne dubito, come dubito che tu l'abbia davvero strappata: ogni cosa che arriva da tuo nonno la tieni come una reliquia. Anche le cose che ti fanno incazzare come una belva." Rispose Cecilia serafica, vedendo Cassiopea fare uno scatto strano al nome del nonno.
Cosa che le fece capire di avere fatto centro.


"Oh andiamo Cassy!" Sbottò dopo un po', vedendo che Cassiopea era rotolata su se stessa per darle la schiena, trincerandosi dietro ad un muro di silenzio. "Lo so che hai sempre odiato questo posto e che di tua volontà non ci saresti mai venuta. Ma non hai mai saltato le lezioni! Ad Hogwarts io e Gillian abbiamo dovuto quasi legarti al letto quella volta che avevi la febbre a 39.5 ma che volevi comunque andare a lezione di trasfigurazione! Anche a me mancano i nostri amici, manca Londra e manca Hogwarts. Per Merlino, mi mancano pure le litigate con Evans! Ma non salto le lezioni per protesta. Quindi mi dici cosa Morgana conteneva quella lettera?"

"Mio nonno non vuole che torni in Inghilterra per le vacanze. Vuole che resti qui." Buttò fuori Cassiopea, dopo qualche secondo di silenzio, prima di scoppiare a piangere.
"Oh!" Fu tutto ciò che riuscì a rispondere Cecilia, avvicinandosi al letto per abbracciarla.
"Quindi non venire neanche a dirmi che capisci come mi sento, visto che i tuoi genitori sono entrambi qui vicino, mentre l'uomo che mi ha cresciuto è da solo a mille miglia di distanza, in uno Stato sull'orlo di una guerra civile!" Strillò Cassiopea con una nota di isterismo nella voce "E sappi anche che continuerò a credere che in realtà a te Evans piace, visto che è stato l'unico,
tra le varie persone che ti mancano, che mi hai citato!" Concluse senza un apparente senso, lasciando Cecilia con la bocca spalancata.


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10 luglio 2007, Azkaban


"Uuuh! Ma guarda! C'è la mia sexy avvocatessa preferita!" Esclamò Elliot, vedendo arrivare Caroline dallo specchio che li separava. "Allora, che novità hai per me dolcezza?" Le domandò indirizzandole un occhiolino.
"L'unica novità è che sto davvero cercando di tirarti fuori da qui, ma le tue attività non me lo rendono affatto semplice." Sbottò lei irritata. Non era stato il modo in cui lui l'aveva apostrofata a farla scattare. Facendo l'avvocato, si era abituata a sentirsene dire di tutti i colori dai carcerati. Era il resto della situazione a renderle i nervi a fior di pelle.
"E cosa avrei combinato questa volta?" Domandò il paparazzo, con un tono talmente innocentemente falso che le fece salire quasi un conato di vomito. "Cosa potrei mai aver combinato di tanto grave, visto che sono rinchiuso in una cella di 3 metri quadrati per quasi tutto il giorno?"
"Come me lo spieghi questo?" Scattò a quel punto Caroline, allungandogli una copia di una famosa rivista di gossip con l'ennesimo articolo da lui firmato.

Che, tanto per cambiare, prendeva di mira i Levenvolde.

Per qualche secondo il silenzio calò tra i due. Però, prima che Caroline potesse pensare che Elliot fosse sorpreso quanto lei, la bocca dell'uomo si aprì in un sorriso soddisfatto. "Oh! L'hanno pubblicato finalmente! E dire che l'ho scritto quasi un mese fa!" Esclamò giulivo.
"Stai davvero giocando col fuoco." Gli sibilò Caroline infuriata. "Qui non si tratta più di te, di me o delle nostre famiglie. Questi sono rapporti internazionali! Ma tu non hai il minimo senso del limite?"
"Il mio motto è 'verso l'infinito e oltre'." Rispose però l'uomo "Credo sia babbano, ma non è che mi interessi. Mi rappresenta alla perfezione, non trovi anche tu?" Concluse indirizzandole un occhiolino.
"Io penso che l'unica cosa che ti stia per rappresentare sia una bara Florence." Rispose però lei, ormai non cercando neanche più di contenersi. "Hai pestato i piedi a troppe persone importanti e stai continuando a farlo. Se non avessi un ego troppo grande, te ne saresti già accorto. Ma non hai nè freni nè limiti, perciò continuerai a farlo. Però io non ho intenzione di cadere con te. Perciò racconta quello che vuoi su di me e mia figlia, ma io non sarò più il tuo avvocato. Mio marito sa tutto. E, anche se non lo sapesse, meglio sputtanata ma viva piuttosto che immacolata ma morta."


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31 dicembre 2000, Villa Evans


Con un calcio, Aster chiuse la porta di casa dietro di sè, poi addossò Cecilia al muro continuando a baciarla senza quasi darle respiro.
L'aveva trascinata in braccio per tutto il vialetto, tuttavia questo non l'aveva affatto privato nè delle forze nè del fiato.

Per quanto lo riguardava, poteva anche morirci su quelle labbra.
Sarebbe stata sicuramente una morte felice.
O il modo migliore per iniziare l'anno nuovo.

Si staccò soltanto per qualche secondo, per permettere ad entrambi di riprendere fiato. E per permettere a se stesso di ammirarla, sfruttando le luci dei fuochi d'artificio babbani che stavano esplodendo in quel momento fuori dalla finestra.
Poi ripartì all'attacco, privandola velocemente dei vestiti. Esattamente come lei fece con lui.
Non riuscirono neanche ad arrivarci, nella camera da letto.
La prima superficie disponibile che trovarono fu il divano.

E fu lì che arrivò la proposta, completamente inaspettata anche per lui.
Non aveva di certo preventivato di chiederglielo. Non in quel modo per lo meno.

"Sposami Sil. Sposami stanotte. Inauguriamo l'anno nuovo nel migliore dei modi. Possiamo anche organizzare una cerimonia più avanti, per far contenti amici e parenti, ma voglio che diventi mia moglie stanotte."

Cecilia non gli rispose. Semplicemente si sporse verso di lui.
Poi gli buttò le braccia al collo per baciarlo.
Erano sempre stati una coppia non convenzionale. Tanto valeva non esserlo neanche per il matrimonio.

Non c'era proprio modo migliore per iniziare l'anno nuovo.


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"Avvocato Buldstrode?"
Sentendosi chiamare, Alexis sollevò la testa, riconoscendo immediatamente nella sua interlocutrice la figura di Julia Carlisle.
"Mi dica." Replicò indirizzandole un sorriso di circostanza.
"Volevo chiederle un parere." Iniziò titubante Julia.
"Mi dica." Con un cenno della testa, Alexis le indicò la sedia di fronte alla sua scrivania, invitandola così a parlare.
"Ecco, vede, di solito in questo periodo io e le mie figlie andiamo sempre a farci una vacanza insieme da qualche parte, ma quest'anno c'è stata la questione dell'omicidio Larson." Iniziò a spiegare la medimaga, tormentandosi vagamente le mani. "Avendo fatto io l'autopsia, so che dovrei rimanere sia a disposizione degli Auror che del vostro studio, ma al contempo quella con le mie figlie è una tradizione. Ma se io mi spostassi, gli Auror potrebbero pensare ad una mia fuga!"
"Non può mandare le sue figlie in vacanza con il padre?" Domandò Alexis.
"Hanno soltanto me." Replicò Julia in tono distaccato, facendole capire di non voler proseguire oltre su quel sentiero.
"Capisco." Replicò a quel punto la purosangue neutra, prendendosi qualche secondo per riflettere, prima che un flash su suo cugino le attraversasse la mente.

Darius era ancora il sospettato numero uno per l'omicidio. Eppure lui e Cassy erano riusciti a trascorrere lo stesso qualche giorno al mare. Senza che quella sembrasse una fuga.

"Una soluzione c'è, ed è anche piuttosto semplice: prenoti una vacanza dentro ai confini della Gran Bretagna, meglio ancora se in Inghilterra." Le suggerì sorridendo "Così sarà facilmente raggiungibile se qualcuno di noi dovesse avere bisogno, si potrà godere la sua tradizione vacanziera con le figlie e nessuno penserà che lei stia fuggendo."


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21 giugno 2007 (mattina dell'omicidio), Villa Black



"Cassy?"
Cecilia stava passando per il corridoio sul quale si affacciava il vecchio studio di Antares, quando aveva sentito degli strani rumori provenire dallo studio medesimo.
Pensando fosse la cugina - era praticamente l'unica che continuava ad usare quel posto - era entrata subito dopo aver bussato, senza neanche aspettare un "avanti".

Peccato che non ci fosse Cassiopea lì dentro.

"E tu cosa ci fai qui?" Domandò guardinga, vedendo la figura di Samuel Larson profilarsi davanti a lei.
"La signora mi ha detto di mettere in ordine." Rispose prontamente l'uomo, mettendo velocemente via una scatola.
"Non farmi ridere: mia cugina non fa entrare mai nessuno qui." Replicò Cecilia, assottigliando lo sguardo. "E delle pulizie si occupa sempre Cata."
"Che vuole che le dica? Io faccio solo quello che mi è stato ordinato. In ogni caso ho finito." Rispose lui "Con permesso." Concluse prima di sorpassarla e andarsene.

Cecilia aspettò che i passi dell'uomo si allontanassero per il corridoio, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Spinta dalla curiosità, riprese tra le mani lo scatolone che l'uomo aveva riposto in fretta. Poi lo aprì.

Dentro ad una cartella, si trovavano una serie di documenti, per la maggior parte riguardanti il matrimonio di sua cugina con Darius. Tra cui anche il contratto prematrimoniale.
Stava per metterli via, trovandoli un ammasso di burocrazia alquanto noiosa, quando una delle condizioni le saltò all'occhio, lasciandola incredula.
Come aveva potuto Cassiopea firmare una cosa del genere? E soprattutto, anche Samuel Larson l'aveva trovata?

"Merda!"


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* si tratta di Corey Marshall, il primo fidanzato di Cassiopea


Cara Black Cara Black in Weiss   Libra Black  Libra Black in Prewett


Edgar Weiss Edgar Weiss


Domanda della settimana: per quanto avete visto fino ad ora, chi potrebbe essere l'assassino e perchè secondo voi? (risposta obbligatoria u.u per MP). Vi rimetto tutti i personaggi in ordine alfabetico.

Bulstrode Alexis Elisabeth

Burke Sylvia Berenice 

Carlisle Julia

Chevalier Lysbeth Gwen

Fisher Caroline Hellen  

Florence Elliot Alexander

Larson Theophile

Lopez Catalina Garcia

McTavish Melisandre

Morgan Aaron

Sutherland Candice

Weiss Cecilia Alya


Ps: per tutti quelli che stanno ancora aspettando qualcosa da me (es. recensioni o nuovi capitoli) non si disperino! Arriverò anche lì promesso! ;)

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Capitolo 17
*** 15 - Theophile Larson ***


15

Buonsalve bei ragazzuoli!
Grazie mille per le risposte che mi avete mandato: devo dire che mi sono
davvero immaginata  il criceto che girava la ruota nella vostra testolina e mi sono divertita moltissimo a leggere i vostri papiri che giustificavano il fatto di puntare su un personaggio piuttosto che su un altro.
Alcuni di voi ci hanno preso, quindi complimenti miei piccoli Sherlock Holmes in erba, avete davanti a voi una futura carriera in questo campo ;)
No, non vi dico chi di voi ci ha preso, troppo facile se no. u.u
Tanto manca poco alla fine, quindi lo saprete comunque.
Perciò non vi rubo altro tempo: buona lettura ;)

ps: questo capitolo è praticamente il continuo del precedente, quindi occhio :P


- Theophile Larson - 


Theophile_Larson

Theophile Larson, 20 gennaio 1979, ex Serpeverde



 
1985, casa Larson


"E' bello vederli così felici e spensierati non trovi?" Commentò Camille Schell in Larson, mentre dalla veranda, con una tazza di the in mano, teneva d'occhio i tre bambini che stavano giocando nel cortile: i suoi figli Alex e Theo con suo nipote Samuel.
"Considerato che fino a pochi anni fa, a causa della guerra, neanche si poteva uscire di casa in tranquillità, direi di sì: è uno spettacolo magnifico." Rispose suo marito Robert, chinandosi per sfiorarle il capo con un dolce bacio.

Si erano conosciuti praticamente per caso loro due: Camille, giovane babbana laureata in lettere antiche, si era trasferita da Ginevra in Inghilterra in cerca di fortuna e lì la sua strada si era incrociata con quella di Robert, infermiere al San Mungo.
Peccato che lo avesse fatto nel periodo peggiore: la Prima Guerra Magica era alle porte e un mago che frequentava una babbana non era una cosa vista esattamente di buon occhio.

Ma erano entrambi giovani ed innamorati, perciò andarono contro tutto e tutti, coronando il loro sogno d'amore dopo pochissimi mesi di fidanzamento.
Dopo neanche un anno era arrivato Alexander, il loro primo figlio. E a pochi anni di distanza era arrivato anche Theophile.

Due anni dopo la nascita del loro secondogenito, la Guerra era finita. A quanto pareva, proprio grazie ad un bambino speciale, che aveva un anno in meno del loro.
Quant'era strana la vita a volte!

I due, vedendo i bambini giocare spensierati nel cortile, pensarono che nessuno spettacolo al mondo poteva essere più bello di quello.



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"Lei sta cercando nel posto sbagliato:
non troverà nulla di strano su Cassiopea e Darius Levenvolde, introducendosi di nascosto in casa loro: sono la classica famiglia perfetta." Specificò Samuel, ordinando con un gesto della mano un drink al cameriere. "Quindi glielo ripeto: deve cercare altrove."
"Continuo a non capire." Replicò Elliot confuso.
"Se vuole trovare qualcosa su di loro deve cercare... a monte."

(cap. 8 "Elliot Alexander Florence")



10 luglio 2007, Azkaban


Caroline se n'era andata da appena due ore, quando un Auror afferrò prepotentemente Elliot per un braccio, trascinandolo di peso - e senza dire una parola - fino ad una saletta riservata.

E lì dentro ad aspettarlo, seduta su una poltroncina con un portamento fiero ed altezzoso, si trovava l'ultima persona che il paparazzo pensava di poter vedere: Cassiopea.
"Black!" Esclamò lui sorpreso mentre l'Auror, dopo avergli ammanettato entrambe le braccia ad una sedia metallica, si dileguava dalla porta. "Dal modo in cui sono stato trattato, presumo che questo nostro intimo incontro non risulterà da nessuna parte nei registri della prigione, dico bene?" Dedusse cercando di mantenere un tono di voce calmo.

Ma forse, per la prima volta in vita sua, non lo era così tanto.
La donna, che lo guardava con un'espressione disgustata, sembrava una fiera sul punto di attaccare.
E a peggiorare la situazione, gli tornarono in mente le parole di Alexis: "Gli incidenti capitano in prigione."
Suo fratello non era lì a proteggerlo, in quel momento.
E ad Elliot non era mai sembrato così lontano.

"Levenvolde per te." Lo corresse Cassiopea sorridendogli in modo quasi dolce, senza rispondere alla sua domanda.

Non che ne avesse bisogno: lo sapeva anche lui che, in un modo o nell'altro, metà della famiglia della ragazza faceva - o aveva fatto - parte del corpo Auror. 

"Vuoi avvelenarmi come hai fatto con il tuo cameriere?" Domandò deglutendo, sentendosi di colpo tremendamente esposto e fragile, ma cercando di mantenere comunque la sua solita faccia da schiaffi. "Perchè sarebbe strano se io morissi ora." Tentò di farla ragionare.
Davanti a quel debole tentativo di difesa, Cassiopea scoppiò a ridere. "Oh Elliot! Perchè dovrei uccidere il mio giornalista preferito?" Cinguettò in una risata priva di gioia. "In realtà sono solo venuta a chiederti per quale motivo non hai ancora fatto uscire l'articolo dove mi accusi di essere mezzosangue, visto che è l'unico che manca alla lista."

Per qualche secondo il silenzio totale calò nella stanza, mentre l'uomo tratteneva il fiato, cercando di non mostrare i segni di quell'ennesima sorpresa.

Lei come diamine faceva a sapere che quell'articolo era l'unico che mancava, l'unico che non era ancora stato pubblicato?


Tuttavia l'ennesimo sorriso mellifluo comparve sul volto di Elliot, deciso ormai a non cedere per nessuna ragione al mondo. "Volevo tenere il meglio per la fine." Si affrettò a rispondere "Pensa a cosa potrebbe pensare la gente! Cassiopea Black, l'altezzosa e viziata purosangue, che scopre invece di essere una semplice mezzosangue! Non trovi anche tu che si tratterebbe di un meraviglioso contrappasso?" La provocò.
"Ho detto che per te sono Cassiopea Levenvolde." Lo corresse di nuovo lei, tamburellando le dita sul tavolo con aria annoiata.
"No, tu sei e sarai sempre e solo Cassiopea Black." Ripetè di nuovo lui, marcando forzatamente su quel cognome. "Il contratto prematrimoniale parla chiaro, in merito. Perciò, se sei venuta per chiedermi di non pubblicare l'articolo, magari sperando in uno scambio con la mia vita, sappi che è troppo tardi: uscirà domattina."
A quella affermazione, le dita della ragazza smisero di tamburellare sul tavolo. "L'unico a menzionare uno scambio in questo frangente sei stato tu, Florence. Non mettermi in bocca parole non mie." Rispose pacata. "E poi... io voglio che quell'articolo esca." Affermò calcando molto sul verbo volere "Certo, se prima tu non ne avessi fatto uscire un altro con cui hai affermato che sono figlia di un incesto, magari risulteresti più credibile." Affermò divertita "Ma non si può di certo avere tutto."
"Cos'è, un test di psicologia inversa? Mi incentivi a fare una cosa nella speranza che io non la faccia?" Domandò a quel punto Elliot, inarcando un sopracciglio, mentre guardava la sua interlocutrice prendere la borsa e alzarsi in piedi.
"E' stata una bella chiacchierata Elliot. Ma adesso devo proprio andare." Si congedò lei con un sorriso enigmatico. "Buona permanenza in prigione." Aggiunse sparendo oltre la porta, ignorando i tentativi di richiamo del giornalista.







qualche ora più tardi, Villa Black



"Cassy! Ma dov'eri finita?"
"Mamma! Mamma!"

Era da un po' che Cecilia la stava aspettando: in un primo momento l'aveva cercata in giro per la villa poi, appena saputo da Cata che Cassiopea era proprio uscita, si era messa pazientemente ad aspettarla, ingannando il tempo giocando con Lyra.

"Ero in giro a fare delle commissioni Sil." Rispose la Black, allungando le braccia in direzione della figlia e piegandosi appena per prenderla in braccio, anche se diventava ogni giorno più difficile a causa del pancione. "E' da molto che mi aspettate?"
"Giusto un po'." Rispose la rossa "Ma l'abbiamo passato giocando, vero tesoro?" Aggiunse rivolgendosi alla nipote, che confermò ridacchiando. "Volevo dirti una cosa di persona." Concluse poi, attirando così l'attenzione di Cassiopea.
"Torni finalmente a casa con Aster?" Domandò la bruna. "Non che non ti voglia qui, eh!" Si affrettò ad aggiungere.
"Sì Cassy, torno a casa con mio marito, anche se resteremo a Londra
ancora per un po'." Confermò Cecilia annuendo "Quel posto dove mi ha portato Gillian... beh, so che ci sei anche tu dietro. Quindi grazie."
"Non c'è di che." Replicò Cassy, voltando la testa verso la figlia e rimettendola a terra. "Dal profumo che sento credo che o Cata o Candice stiano facendo i biscotti... perchè non vai a vedere amore?"
"Anche tu mamma?" Domandò la bambina, trotterellando allegramente in direzione della cucina.
"Ti raggiungo subito." Replicò lei con un sorriso "Cosa c'è Sil?" Aggiunse rivolgendosi a Cecilia, non appena i passi della bambina si attutirono.
"Cassy..." Iniziò la rossa accomodandosi sul divano con un sospiro "Non so come dirtelo, ma ci sto pensando da troppo tempo, perciò andrò dritta al punto: so del tuo contratto prematrimoniale." Buttò fuori tutto d'un fiato, in un sussurro bassissimo.


Con un semplice cenno della testa, senza mostrare troppo la sua sorpresa, Cassiopea le indicò una stanza a pochi passi da loro. La cui porta venne insonorizzata pochi minuti dopo.

"Da quanto lo sai?"
"Io... da poco prima dell'omicidio del vostro cameriere." Confessò Cecilia "Perchè hai accettato di firmare una cosa del genere?" Domandò poi con tono scandalizzato, non riuscendo a trattenersi oltre.
"Sil... tu non hai idea di come fosse quel contratto all'inizio, quali condizioni vi fossero contenute, quali condizioni il padre di Darius ha cercato di imporci - di impormi - per il nostro matrimonio." Sospirò Cassiopea dirigendosi verso una poltroncina e sprofondandoci dentro "La versione che ho sottoscritto è niente, in confronto."
"Ma..." Provò a ribattere Cecilia.
"Sil... non potevo ottenere più di così." Tentò di spiegare ancora Cassiopea. "O non sarei mai riuscita a sposarmi. E io volevo solo quello: sposare Darius. Ho dovuto aspettare più di due anni per poterlo fare e non ne potevo più."
"Appunto! Avevate aspettato così tanto tempo! Potevi aspettare un altro po' e cercare di ottenere..." Tentò ancora la Weiss.
"Un contratto più favorevole?" Completò per lei la Black, con tono di voce amaro "Come ti ho detto, era praticamente impossibile. E comunque io non avevo più tempo."
"Cosa intendi dire?" Replicò la Weiss, inclinando la testa e scrutandola attentamente.
"Voglio dire che ero già incinta di Lyra, quando io e Darius ci siamo sposati. Non sono rimasta incinta durante la luna di miele, Sil. Lo ero già da quasi un mese, anche se non lo sapeva nessuno." Spiegò Cassiopea con un altro sospiro. "E no, non potevo - anzi non volevo - sposarmi di nascosto come avete fatto tu ed Aster, come Darius mi aveva proposto." Continuò anticipando così l'obiezione di sua cugina "Diamine Sil! Ho passato tutta la mia vita 'di nascosto': mia madre ha avuto una relazione di nascosto, è rimasta incinta di nascosto, mi ha partorito di nascosto ed è scappata di nascosto. Io sono rimasta nascosta i primi giorni della mia nascita, visto che non lo sapeva neanche mio nonno e sono stata cresciuta di nascosto, visto che, ad esempio, tua madre neanche sapeva della mia esistenza. Non volevo che anche il mio matrimonio, quello che dovrebbe essere uno dei giorni più belli della vita, dovesse essere celebrato di nascosto!"



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1 settembre 1990, Hogwarts, Sala Grande


"Larson Theophile!" Chiamò la professoressa McGranitt, dopo aver letto il nome sul foglio di pergamena.
Leggermente tremante, il ragazzino percorse i pochi gradini che lo separavano dal tavolo degli insegnanti e si sedette sullo sgabello di legno, mentre sentiva gli occhi dell'intera Sala Grande puntarsi su di lui.
Era indubbiamente nervoso: suo fratello, ormai due anni prima, era stato smistato in Grifondoro non appena il Cappello lo aveva sfiorato, mentre suo padre, ai tempi, era stato smistato in Tassorosso.
Anche suo cugino Samuel era stato smistato abbastanza velocemente tra i Serpeverde, ma lui, Theophile, non si sentiva di appartenere ad una casa in particolare.

Era quasi sempre allegro, determinato ed ottimista e - a detta di sua madre - un vero e proprio rompiscatole, oltre che parecchio testardo. E, a completare il pacchetto, si aggiungeva anche una discreta intelligenza - anche se non abbastanza da smettere di provare paura per i mostri sotto al letto delle storie horror che gli raccontava sempre suo fratello.

Ma tutto ciò come avrebbe aiutato il Cappello a scegliere la Casa adatta a lui?

"Uhm..." Sentì la vocina del copricapo - che nel frattempo la Vicepreside gli aveva messo in testa - nella sua mente "Interessante... hai un discreto cervello ragazzo e questo potrebbe renderti un buon Corvonero" valutò "ma vedo anche dell'altro in te: ambizione, molta ambizione... Sì, direi che non ci sono dubbi: SERPEVERDE!"

Forse lui era pieno di dubbi ma, a quanto pareva, questi ultimi non erano per niente condivisi dal Cappello. 


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10 luglio 2007


"Darius perchè non ti calmi?" Provò a farlo ragionare Nihal mentre l'Auror, senza stare troppo ad ascoltarlo, si attaccava alla porta della camera d'albergo, iniziando a tempestarla di pugni.
"Ne stanno succedendo troppe perchè io possa calmarmi." Sibilò il russo in risposta, estraendo la bacchetta. "Se non apre la porta entro tre secondi la sfondo." Minacciò al nulla, non preoccupandosi minimamente di abbassare la voce.
Come se la sua minaccia fosse arrivata al mittente, immediatamente la porta si aprì e un ragazzo giovanissimo, probabilmente di neanche 20 anni, si affacciò. "Sì?" Domandò a bassa voce, facendo vagare lo sguardo da Darius a Nihal.
Non appena vide quest'ultimo però, sembrò rilassarsi. "Nihal!" Esclamò aprendo la porta del tutto. "Che... che ci fai qui?"

Se fino a pochi secondi prima Darius era andato davvero in quel posto con l'intenzione di commettere ciò per cui era stato ingiustamente accusato - un omicidio - guardando quel ragazzo la sua voglia si affievolì all'improvviso.
E si ritrovò ad abbassare la bacchetta, prima di rialzarla con uno scatto, indeciso su come agire e pieno di dubbi.

Quello non poteva essere di sicuro l'effetto della pozione pollisucco.

Però quel ragazzo poteva essere un metamorphomagus. Oppure solo molto bravo nella trasfigurazione umana.

Comunque stessero le cose, Darius dovette però riconoscere anche a se stesso che bisognava per forza dargli il beneficio del dubbio: di fronte a lui, quasi identico alle foto che sua moglie aveva ancora sparse in giro per casa, si trovava la copia ventenne di Antares Black.

Senza stare a ragionarci troppo, l'Auror afferrò il ragazzo per il colletto della camicia, trascinandolo dentro alla stanza e chiudendo la porta dietro di sè.
"Darius..." Lo ammonì ancora una volta Nihal dopo averlo seguito dentro alla stanza, intercettando lo sguardo sconvolto del giovane che, troppo sorpreso per la cosa, non aveva alzato neanche un muscolo per provare a difendersi.
"Adesso io e te ci facciamo una bella chiacchierata." Proclamò Darius secco ignorandolo "E non provare a fregarmi: se hai studiato bene la parte, dovresti sapere che io - il marito di quella che tu proclami essere tua sorella - sono un Auror. Quindi la domanda è una sola: cosa diamine vuoi da lei?"
 

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1999


Da grande diventerò un indicibile.

Da quando ne aveva memoria, Theophile aveva sempre risposto così a chi gli aveva chiesto quale mestiere volesse fare da grande.
Era sempre stato il suo sogno.

Per quel motivo, in un certo senso, la fine della Seconda Guerra Magica fu una benedizione per lui: si era diplomato ad Hogwarts relativamente da poco ed ecco che il Ministero della Magia imbandiva numerosi concorsi per selezionare il personale. Tra cui anche quello di indicibile.

D'altra parte non era un mistero quanto vittime avesse fatto quella guerra. E la conseguenza logica era stata la mancanza di organico.

Diventare un indicibile era sempre stato il suo sogno.
Ma era disposto a fare quanto gli aveva suggerito il suo amico Chris?

Lo aveva preso da parte un giorno, mentre erano in biblioteca a studiare insieme per quel test. E gli aveva messo in mano una busta parecchio voluminosa. "Qua dentro ci sono tutte le possibili domande che potrebbero farci alla selezione, insieme alle risposte corrette da dare." Gli aveva spiegato a bassa voce, con un tono da cospiratore. "Non mi chiedere come le ho avute, studia e basta."

Theo, con un sospiro, guardò per l'ennesima volta la busta ancora sigillata.

La sua volontà di avere quel lavoro era così grande da sopportare un imbroglio? Oppure era proprio per riuscire ad esaudire il più grande desiderio che aveva avuto sin da piccolo che avrebbe fatto bene a dare un'occhiata a quei fogli?
Aveva studiato abbastanza per passare quell'esame con le sue sole forze?

Non lo sapeva e non sapeva neanche darsi una risposta.
Sapeva solo che la sua ambizione si stava scontrando con la paura di non essere abbastanza.

E, dopo parecchi ragionamenti, fu la paura a prevalere e a fargli aprire la busta.



Mesi dopo, guardando con soddisfazione l'enorme tabellone che capeggiava nell'Atrium del Ministero - dove tra i nomi degli idonei a prendere servizio presso l'Ufficio Misteri era presente anche il suo nome - Theophile fece una promessa silenziosa a se stesso: magari non aveva ottenuto quel lavoro nel migliore dei modi, visto che aveva barato. Ma avrebbe fatto davvero di tutto, per dimostrare di esserne degno.


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"Scusa il ritardo!" Esclamò Candice, raggiungendo quasi di corsa il tavolino del bar dove la stava aspettando Lysbeth e rischiando di inciampare sui tacchi che si trascinava dietro.
"Figurati!" Rispose l'olandese divertita "Ma come mai ti porti dietro quei trampoli?" Domandò poi incuriosita, lanciando un'occhiata alle scarpe dell'amica.
"Ero dal Ministro fino a cinque minuti fa." Si giustificò la bruna, sedendosi al tavolino ed emettendo un sospiro di sollievo nel momento in cui si piegò per sfilarsi i tacchi e sostituirli con delle più comuni scarpe da ginnastica.
Davanti a quella risposta, Lysbeth strabuzzò gli occhi. "Il Ministro? Intendi Kingsley Shackelbolt?" Domandò incredula.
"Non fare quella faccia sorpresa Lys... lo sai anche tu per chi lavoro." Replicò Candice facendo spallucce "Ho dovuto accompagnare Cecilia Evans, visto che ancora non ha una cameriera personale." Proclamò lanciandole un'occhiata in tralice, quasi un messaggio subliminale.

Messaggio che l'olandese non fece fatica a cogliere.

"E' proprio per questo che ti ho chiamato Candy: se davvero gli Evans sono disposti a prendermi, allora accetto." Affermò decisa "Abbandono il lavoro dai Northman. Non ne posso davvero più di lavorare per quella psicopatica."


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2005, casa Larson (parte 1)


"Non so come ringraziarti per l'aiuto Samuel." Esordì Alexander con un sorriso, indicando a suo cugino il laboratorio di pozioni e alcuni strumenti di lavoro. "Avevo chiesto a Theo di darmi una mano per completare questa pozione, ma è letteralmente assorbito dal suo lavoro, perciò difficilmente ha del tempo libero a disposizione."
"Figurati, io di tempo ne ho parecchio." Rispose Samuel "Sarà quasi come tornare ai tempi di Hogwarts. Solo una cosa: sei sicuro che io ti possa aiutare davvero? La pozione è parecchio complicata e io non sono mai stato una cima."
"Tranquillo, non dovrai fare nulla di che." Si affrettò a rassicurarlo Alex "Dovrai soltanto prepararmi alcuni composti di base molto semplici e poi passarmeli, al resto ci penso io. Stai solo attento ad un'unica cosa:" aggiunse il pozionista assumendo un'espressione seria "non utilizzare mai questo prodotto." Si raccomandò indicandogli una bottiglia "Ne basta poco per causare danni celebrali non indifferenti."
"Se è tanto pericoloso perchè lo tieni nel tuo laboratorio?" Si interessò a quel punto Samuel, allungando il collo verso la bottiglia in questione e assumendo un'espressione incuriosita.
"Ne sto studiando la composizione chimica con alcuni colleghi per trovare un antidoto." Spiegò Alex "Allora... pronto a farmi da aiutante?"
"Ma certo, non vedo l'ora!"
 



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"Cata! Che bello vederti! Come stai?" Domandò Julia, affacciandosi dalla porta e accorgendosi così di chi sarebbe stata la prossima ad entrare  nel suo ambulatorio.
"Buenos dias!" Replicò allegramente la domestica, abbandonando la saletta d'aspetto e seguendo la guaritrice dentro allo stanza. "Io sto benissimo, infatti non sono venuta por mi."
"Beh, se hai quel tono allegro di sicuro non è successo nulla di grave." Ragionò immediatamente Julia "Quindi cosa posso fare per te? Si tratta della gravidanza di Cassiopea? Come sta procedendo?" Si informò subito dopo "Oppure si tratta dei bambini?"
"La seniora sta più o meno bene... ogni giorno è sempre più grossa" Commentò strappando una risatina alla medimaga "Ma voleva prenotare un controllo approfondito... sa, in questo periodo ha dovuto davvero affrontare molto stress e teme che questo possa nuocere in qualche modo al bambino." Affermò con una nota di preoccupazione "Non ho bisogno di spiegare la situazione vero?"
"No, certo che no. Penso che la conosca tutta l'Inghilterra magica ormai." Replicò Julia seria, prendendo in mano l'agenda "Quando vorrebbe farsi vedere da me?" Domandò iniziando a sfogliarla "Perchè io tra pochi giorni partirò per le vacanze insieme alle mie figlie quindi, se vuole farsi controllare prima del parto, il tempo stringe." La informò.
"Oh... e dove va di bello?" Chiese Cata, prendendo in mano a sua volta l'agenda e iniziando a sfogliarla "E quando parte esattamente?"
"Se tutto va bene dovrei partire sabato 14." Rispose Julia.
"Fra pochi giorni quindi!"
"Ma la meta ancora non l'ho decisa." Completò la medimaga.
"Oh!" Notò con disappunto in quel momento Catalina "praticamente fino al 13 la seniora è piena di impegni... non so se ce la facciamo."

"E se passassi il 14 mattina, prima di prendere la passaporta?" Propose Julia, dopo averci pensato un attimo. "Ma dovrò passare per forza la mattina presto."
"Oh sì! Sarebbe davvero perfetto!"


-*-*-*-


"La signora Larson ha già accettato il risarcimento. Quindi manca soltanto lei. Samuel non aveva altri parenti in vita, dico bene?"
Alla domanda di Alexis, che sapeva molto più di affermazione, Theo strinse i pugni sui braccioli della sedia per calmarsi. 
"No, infatti. Non ha nessun altro." Confermò alla fine.
(...)
A Theo non gliene fregava assolutamente nulla di Samuel. Anzi, era sicuro che la morte che aveva avuto se la fosse meritata fino in fondo.

(da cap. 11 "Cassiopea Lyra Black")





2005, casa Larson (parte 2)



"Mamma?" Domandò Theo affacciandosi in cucina. Trovando sua madre indaffarata tra i fornelli, si piegò su se stesso per darle un bacio sulla guancia. "Alex è ancora dentro al laboratorio? Mi aveva chiesto una mano per un esperimento e visto che ho una mezza giornata libera..."
"Direi che puoi tenertela libera caro. C'è già vostro cugino ad aiutarlo giù." Rispose sua madre, infilando i guantoni da forno e chinandosi per estrarre una teglia. "Vuoi fermarti a cena comunque? E' da un po' che non hai mai tempo per noi." Lo rimproverò bonaria. "Cos'è, ti sei trovato la fidanzata?" Gli domandò a bruciapelo, rischiando di farlo strozzare con il bicchiere d'acqua che Theo si era appena portato alla bocca.
"Mamma!" Protestò infatti lui.
"Sarebbe una cosa anche normale caro." Rispose però lei impassibile "Hai già ventisei anni in fondo! Io alla tua età avevo già avuto tuo fratello!"

Prima che Theo potesse trovare qualcosa da ribattere - non ci teneva a confidare a sua madre dell'esistenza di Sylvia perchè sapeva che non avrebbe capito - uno strano odore attirò la sua attenzione. "Mamma... ti sei scordata qualcosa nel forno per caso?" Domandò annusando l'aria.
"No, ho appena tirato fuori tutto." Replicò però la donna, indicandogli con la mano la teglia appena sfornata.
"E allora cos'è questo odore?"

Per qualche secondo il silenzio regnò nella stanza, mentre madre e figlio annusavano l'aria per cercare di capire cosa avesse sentito l'indicibile.
Poi, di punto in bianco, la consapevolezza arrivò.

Il laboratorio.

Alexander e Samuel.

Senza perdere tempo, Theo prese un panno e lo bagnò. Poi se lo portò davanti alla bocca e si precipitò giù per le scale.
A metà, con la vista appannata a causa del fumo, vide una figura salire velocemente le scale tossendo, figura che riconobbe poco dopo come quella di suo cugino.
"Sam... dov'è Alex?" Chiese bloccandolo "Dov'è mio fratello?"
"Di... di sotto" Boccheggiò lui, tra un colpo di tosse e l'altro "Ho provato a convincerlo a scappare di sopra con me ma... non vuole... è come impazzito!"
"Cosa?" Senza chiedere altro, l'indicibile lasciò andare suo cugino e si precipitò di sotto.

Nonostante il fumo, non gli fu difficile trovare suo fratello.
Il difficile fu convincerlo ad uscire da lì.


"Alex! Lascia tutto qui e andiamocene! Alex! Dai muoviti!" Disse cercando di prenderlo di peso, convinto che la sua immobilità fosse data da una difficoltà respiratoria.
"Chi è Alex?" Domandò però l'uomo, guardandolo stralunato "Ma soprattutto... chi cavolo sei tu?"


-*-*-*-


Dipartimento Auror


"Auror Morgan?"
Nel momento in cui Aaron e Melisandre riconobbero il volto della donna che era andata a bussare alla porta, entrambi rizzarono le antenne.

Si trattava di Caroline Fisher.

Con un cenno della testa, Aaron invitò Melisandre ad abbandonare l'ufficio per lasciare loro un po' di privacy.
Per quanto ormai infatti la detective fosse coinvolta nelle indagini a tempo pieno, di fatto non era un Auror.

E di questo erano entrambi consapevoli. Anche se la donna uscì comunque sbuffando, gettandogli un'occhiataccia.

"Mi dica signora Logan." La invitò Aaron, indicandole con la testa una sedia.
"Io..." Iniziò titubante lei "Io devo dirle una cosa... so che avrei dovuto farlo già molto tempo fa, quando sono partite le indagini... ma non ne ho avuto mai il coraggio." Continuò tormentandosi le mani.
"Sono tutto orecchie... e immagino che, da avvocato, saprà molto bene come muoversi, quindi non proverò neanche a fermarla." Replicò l'uomo con tono di voce pacato.
"Ecco... vede... ho mentito: non avrei potuto eseguire l'autopsia con la dottoressa Carlisle perchè... ho avuto una relazione con Samuel Larson quando ero una studentessa." Buttò fuori Caroline quasi senza respirare.
"E' stato molto tempo fa" Obiettò Aaron inclinando la testa per osservarla. "Perchè la cosa avrebbe dovuto influire sull'autopsia?"
"Perchè... questa relazione ha lasciato il segno: mia figlia Isobel... è anche sua. E io non ce la facevo più a portarmi questo peso addosso."
"Ha ucciso lei Samuel Larson quindi?" Domandò Aaron impassibile. "Per vendetta magari?"

In realtà era già a conoscenza di quel particolare: lui e Melisandre ci avevano messo un po' a scoprirlo, ma alla fine lo avevano fatto.
Avevano indagato sulla vecchia vita di Samuel e spulciato nelle sue vecchie relazioni sentimentali. Il legame con Caroline alla fine gli era balzato all'occhio, così come la rottura fra i due e l'età della primogenita della donna.
Con tutti quei dati in mano, fare due più due era stato abbastanza semplice.

"No! Certo che no!" Protestò però immediatamente Caroline "Io sono andata avanti! Mia figlia non ha la minima idea di chi sia il suo padre biologico e io non intendo di certo rovinarle la vita facendole sapere che lui non l'ha mai voluta! Ha un padre che la ama e che le ha dato dei fratelli... perchè avrei dovuto uccidere Samuel proprio ora, dopo tutto questo tempo?"
"E allora perchè è venuta a dirmelo, se sa di non avere fatto nulla di male?" Replicò Aaron.
"Perchè io non ho seguito la procedura dell'autopsia." Confessò Caroline con un filo di voce "Trovarmi davanti al cadavere del primo uomo che ho amato - del padre di mia figlia - mi ha comunque destabilizzato e mi sono sentita male. La dottoressa Carlisle ha dovuto svolgere buona parte del lavoro da sola."



-*-*-*-

"Pensa te, Sylvia: mio cugino potrebbe rendersi utile per la prima volta in vita sua proprio con la sua morte! Ma scusa tanto se da una cosa brutta sto cercando di ricavarne una bella! Scusa tanto se mi preoccupo per te! Scusa tanto se non voglio più perdere nessun altro di importante nella mia vita!"

(da cap. 14 - Cecilia Alya Weiss)




10 luglio 2007


Theophile, con un'espressione alquanto assonnata, stava cercando di capire cosa potesse contenere di commestibile il suo frigo, rimpiangendo la cucina di sua madre.
Lei sì che era sempre stata un mostro ai fornelli.
Ma dopo che suo fratello aveva perso la memoria, in quello che era stato classificato dagli Auror come un tragico incidente da laboratorio, non era stata più la stessa. Si era semplicemente consumata giorno per giorno, mentre qualcosa si spegneva nel suo sguardo ogni volta che andava a trovare Alexander - ormai rinchiuso in un reparto del San Mungo - e lui non la riconosceva.
Ed era così che se n'era andata, ormai un anno prima, seguita a breve dal marito. Consumata dal dolore.
Semplicemente, si erano lasciati andare.

E Theo, se da una parte era riuscito a capirli, dall'altra non era mai riuscito a perdonarli per non aver cercato di reagire almeno per lui, l'altro figlio rimasto. Non riusciva a perdonarli per averlo lasciato solo.
Ma soprattutto, non era mai riuscito a perdonare Samuel: quel giorno avrebbe dovuto aiutare Alexander. Non ridurlo ad uno stato larvale.


E adesso, che aveva litigato anche con Sylvia, Theo si sentiva davvero vuoto. Inutile.
Quella notte aveva dormito malissimo.

Fu il campanello a distrarlo.
E lì, davanti alla porta di casa, con un sacchetto in mano che emanava profumo di croissant appena sfornati, due bicchieri di cartone pieni di cappuccino e un sorriso di scuse, si trovava Sylvia.

Per qualche secondo Theo sbattè le palpebre, come per accertarsi che non si trattasse di un sogno ad occhi aperti. Poi si rese conto che quella era davvero la realtà.

"Io... non sono abituata a farlo, quindi apri bene le orecchie perchè non lo ripeterò una seconda volta.
Mi dispiace per ieri." Iniziò a dire la donna, con espressione determinata "Sono semplicemente cresciuta in un mondo dove il divorzio non è contemplato e l'unica cosa che è importante per noi donne è non andare mai contro le aspettative della famiglia. Se soffriamo, non dobbiamo darlo a vedere. Io sono stata cresciuta in questo modo... e andare contro gli schemi mentali che ti impongono dall'infanzia non è semplice..." Continuò iniziando a tremare leggermente "Quello che voglio dire è che... io ti amo davvero Theophile Larson. Non voglio più stare con mio marito, ma non voglio neanche che tu spenda i soldi del risarcimento per me: dovresti usarli per curare tuo fratello. Ma resta il fatto che ormai ne sono certa: voglio passare il resto della mia vita con te. E... tutto questo nella mia testa doveva essere un discorso logico e sensato ma..." Cercò di spiegare, sentendosi per la prima volta in vita sua alquanto esposta e fragile. Una sensazione nuova per lei.

"Una Burke mi ha appena chiesto scusa?" La interruppe però Theo scherzosamente, ancora incredulo. Allungò un braccio nella sua direzione, quasi come per accertarsi che non si trattava di un ologramma, poi la attirò a sè.
"Sì, ma non farmelo ripetere per favore." Rispose lei in un sussurro.
"La considero una vittoria personale enorme." Replicò lui, prima di piegarsi per baciarla "Ti amo anch'io. E adesso che finalmente ti sei convinta puoi stare tranquilla: non ti lascerò nelle grinfie di quell'uomo neanche per un secondo in più. E' una promessa."




Circa un'ora dopo, Theo si trovava nello studio di Alexis Buldstrode.

"Allora signor Larson, ha deciso cosa fare?"
"Accetto il risarcimento, ma voglio che nella somma sia presente uno 0 in più." Rispose lui deciso.

Sapeva di avere a che fare con il fuoco e voleva andare fino in fondo: se Alexis avesse percepito la sua incertezza, se ne sarebbe di sicuro approfittata.

Un piccolo sorriso impertinente affiorò infatti sul volto della donna. "Signor Larson... si rende conto che stiamo parlando di una somma parecchio considerevole, per un semplice cameriere vero?"
"Sarebbe sempre meno di quello che i Levenvolde dovrebbero pagare se intentassi un processo contro di loro." Rispose Theo facendo spallucce. "Immagino che lei abbia spulciato tutte le carte, perciò conosce bene la situazione di mio fratello. Ho bisogno di liquidità per le sue cure." Le fece notare "Avete risarcito sua moglie, volete risarcire me... perchè non dovreste risarcire anche lui?"
"La somma che le ho proposto più il 20% della nuova." Cercò di mediare Alexis.
"L'80." Replicò l'indicibile.
"40." Alzò la soglia la purosangue.
"70."
Un breve sospiro e poi... "60. Ma lei deve firmare un accordo dove, qualsiasi cosa succeda o si scopra in futuro tramite le indagini, si impegnerà a non chiedere più nulla ai miei assistiti e a ritirare ogni denuncia nei confronti di Darius Levenvolde o di chiunque altro dovesse risultare colpevole. Niente denuncia, niente risarcimento, niente carcere. Accetta?"
"Dove devo firmare?"


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Note di chiusura finali: verso ferragosto partirò per le vacanze, perciò o vi farò trovare un altro capitolo lampo a pochi giorni di distanza da questo (dipenderà dalla mia ispirazione/voglia di scrivere), oppure ci rivediamo verso i primi di settembre.
#sapevatelo

Alla prossima!


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Capitolo 18
*** 16 - Candice Sutherland ***


16

Ebbene sì, avevo detto che non avrei aggiornato prima dei primi di settembre e invece sono riuscita ad anticipare un po' (grazie connessioni wifi dei bar!). :)
Contenti?
Buona lettura ;)


- Candice Sutherland - 


Candice_Sutherland

Candice Sutherland, 2 agosto 1980, tuonoalato





Candice si era spostata dagli Stati Uniti a Londra per un solo motivo: mantenere una promessa.
Ma forse, almeno per una volta, il destino l'aveva messa sulla giusta traiettoria per mantenerne due.

(da "Un omicidio per i Black" cap. 13 - Lysbeth Gwen Chevalier)




1987, Atlantic City, Artic Way n°58



"Ciao!"
Sentendo la voce allegra di una bambina, probabilmente di una sua coetanea, James Melville alzò lo sguardo incuriosito.
"Cosa stai facendo?" Continuò lei curiosa, scrutandolo da sotto in sù, essendo posizionata sulle scale, qualche gradino più in alto di lui.
James, non avendo una vera risposta, si limitò a stringersi le spalle. "Mi annoio." Dichiarò alla fine, vedendo che la bambina continuava a scrutarlo "Tu invece?"
"Mi sto nascondendo: mia sorella vuole giocare con le bambole ma io non voglio!" Dichiarò risoluta la bruna, abbassando progressivamente il tono e iniziando a guardarsi preoccupata intorno, come per paura di vedere comparire davvero Alice dal nulla all'improvviso.
"Abiti qui anche tu quindi?" Domandò James, mentre i suoi occhi, fino a quel momento spenti, si illuminavano di gioia all'idea di avere finalmente una possibile compagna di giochi.
"Sì, al quinto piano." Rispose annuendo la bambina "Tu invece?"
"Io abito al terzo" Replicò lui "Ehy!" Aggiunse subito dopo, colpito da un'idea improvvisa "Puoi venire a nasconderti da me se vuoi!"
Davanti a quella proposta, per un attimo Candice tentennò: sua madre le aveva sempre detto di diffidare degli sconosciuti.

Ma quello non era esattamente uno sconosciuto no?

Era un suo vicino di casa. E, per di più, dovevano avere anche all'incirca la stessa età.

"D'accordo." Annuì alla fine "Io sono Candice comunque." Si presentò a quel punto.
"E io James."

Nessuno dei due lo sapeva ancora.
Ma da quell'invito sarebbe scaturita l'amicizia più importante della loro intera vita.



-*-*-*-


10 luglio 2007, Villa Black


"Sei un vero e proprio idiota Darius Levenvolde!" Sbraitò Cassiopea, rientrando in casa e puntandogli un dito contro. "E tu..." Aggiunse spostando la traiettoria del dito dal marito a Nihal "Sei un doppio idiota per non avere provato a fermarlo!"
"Veramente ci ho provato" Protestò Nihal sbuffando.
"Guarda che ci ha provato" Disse quasi contemporaneamente Darius, alzando gli occhi al cielo.
"Beh allora vuol dire che avresti dovuto provarci di più!"
"Cassy... sono un Auror... pensi davvero che Nihal avrebbe potuto fermarmi?" Provò a farla ragionare il russo, roteando di nuovo gli occhi.
"Dico solo che hai già abbastanza occhi puntati addosso, non hai di certo bisogno di commettere l'omicidio di una persona che, non si sa bene per quale motivo, non è ancora arrivata alle orecchie della stampa!" Replicò Cassiopea incrociando le braccia al petto.
"Lo sai anche tu che non lo avrei mai fatto... volevo solo mettergli un po' di paura." Spiegò Darius sbuffando. "E volevo capire se ciò che afferma è vero oppure no."
"E questo ci fa tornare all'argomento iniziale: sei un idiota!" Ripetè nuovamente la Black "Pensavi davvero che mi sarei lasciata avvicinare così tanto dal primo che arrivava dicendo di essere mio fratello? Pensavi davvero che non avrei fatto immediatamente tutte le dovute verifiche? Proprio tu che quando mi prendi in giro dici che non si muove una foglia al Ministero senza che io lo venga a sapere!" Concluse sarcastica.
"Ehm... io vado..." Provò a quel punto a defilarsi Nihal, iniziando ad avvicinarsi alla porta.
"No: tu resti." Lo contraddisse però immediatamente Cassiopea, girandosi e fulminandolo con lo sguardo, facendolo immediatamente arrestare. "Questa cosa riguarda anche te."
"Quindi è davvero tuo fratello." Realizzò a quel punto Darius, evocando una sedia e sedendosi.
La sua frase però scatenò una risata isterica nella moglie. "Non farmi ridere Darius: Alphard Carter non è mio fratello. E' soltanto un ragazzino di 17 anni, appena maggiorenne, che ha riconosciuto per caso la foto di sua madre sull'articolo di Florence e con il quale, a quanto pare, condivido il 50% del DNA. Questo però non lo rende automaticamente mio fratello." Concluse scontrosa.
"Un ragazzino che, appena ha riconosciuto la foto, è venuto fin qui per avere l'opportunità di conoscere la famiglia materna. Ti ricorda qualcuno?" Intervenne a quel punto Nihal, approfittando della situazione per introdursi nel discorso.
"Se mi stai suggerendo che dovrebbe ricordarmi te, ti faccio presente che le vostre situazioni sono completamente diverse. E non tutti hanno una concezione di onore e famiglia come ce l'hai tu." Rispose Cassiopea incrociando le braccia al petto e fissandolo torva, tamburellando il piede sul pavimento.
"Se non gli dai neanche la possibilità di farsi conoscere davvero, questo non lo saprai mai." Provò comunque a farla ragionare Nihal.
"Non so se ne ho voglia." Ribattè la Black stancamente "E poi, dopo il tentato omicidio di quell'idiota di mio marito non so se avrà ancora voglia lui di conoscermi." Aggiunse ripensandoci.
"La smetti di darmi dell'idiota?" Protestò a quel punto Darius.
"Assolutamente no." Rispose la donna, avvicinandosi però subito dopo a lui per sedersi sulle sue gambe. "Non posso smettere di darti dell'idiota, visto che lo sei. Ma sei il mio idiota, quindi ti amo lo stesso." Affermò accarezzandogli una guancia.
"Troppa grazia vostra maestà!" Replicò l'uomo, mentre l'altro Black li guardava divertito, non nuovo a quei siparietti tra loro due.

"Piuttosto..." Riprese il discorso poco dopo Cassiopea, assumendo nuovamente un tono serio "siete ancora d'accordo ad andare avanti, nonostante questo?"
Nonostante il brusco cambio di argomento, nessuno dei due chiese ulteriori specifiche.
Sapevano perfettamente a cosa lei si stesse riferendo.

"Assolutamente sì. Anzi, a maggior ragione direi."


-*-*-*-


2 agosto 1991, Atlantic City


"Per Merlino! Oh Circe! Santissima Isotta!"
Quella mattina Candice non riusciva proprio a stare ferma.

Si era svegliata molto presto, in quanto completamente incapace di trattenere l'emozione.
D'altra parte, sapeva benissimo che quel giorno sarebbe finalmente arrivata: era da diverse settimane che non aspettava altro, quasi incapace di prestare attenzione a qualsiasi altra cosa.
Aveva anche creato un calendario apposta, per contare i giorni che la separavano dall'arrivo di quel fatidico giorno.... e di quella fatidica lettera.

E finalmente lo vide: il gufo, con stretta nel becco la sua lettera di ammissione ad Ilverlmony, stava planando verso il suo palazzo. E verso la sua finestra.

Dieci minuti dopo, con la lettera tra le mani e un enorme sorriso gioioso stampato sul volto, Candice volò letteralmente giù dalle scale, verso la casa di James.
"Mi è arrivata! Mi è arrivata! Sono stata ammessa ad Ilverlmony! Andremo a scuola insieme!"


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11 luglio 2007, Azkaban


"Isaiah"

Riconoscendo la voce del fratello dall'altra parte della cornetta, il giudice rimase per un attimo perplesso.
Sapeva che ogni prigioniero di Azkaban aveva diritto a mezz'ora di conversazione telefonica alla settimana, ma Elliot non ne aveva mai fatto uso. Soprattutto sapendo che spesso e volentieri le conversazioni venivano interamente ascoltate dagli Auror.

"E' successo qualcosa?" Domandò a quel punto Isaiah, avvertendo nel tono del fratello un certo nervosismo. "Stai bene?"
"Io... sì... insomma, più o meno." Rispose Elliot balbettando.

Gli incidenti capitano in prigione.
Buona permanenza in prigione.


"Cos'è successo?" Indagò il giudice, rizzando le orecchie.
"Io... è già stato pubblicato il mio ultimo articolo?" Domandò il giornalista tutto d'un fiato, andando così direttamente al nocciolo della questione.
Non ebbe bisogno di specificare altro. Sia lui che suo fratello sapevano perfettamente a quale articolo si stesse riferendo: quello dove veniva affermato che Cassiopea Black non era purosangue.
"Certo, proprio stamattina... perchè me lo chiedi?" Confermò l'uomo, mentre una piccola ruga di preoccupazione si disegnava sulla sua fronte.

Non riusciva proprio a capire quella domanda: fino al giorno prima, Elliot era stato orgogliosissimo di quell'articolo.
Si era sperticato nel tessere enormi lodi su se stesso, dichiarando di avere prove letteralmente inconfutabili di quanto andava dicendo.
E aveva affermato più volte che non vedeva l'ora che quell'articolo uscisse.
Invece, in quel momento, sembrava soltanto spaventato da quella possibilità.

Gli incidenti capitano in prigione.
Buona permanenza in prigione.


"Elliot, che succede?" Insistette a quel punto, sentendo soltanto il silenzio provenire dall'altra parte della cornetta.
"Lei sapeva." Buttò fuori alla fine suo fratello, dopo un lungo silenzio. "Lei sapeva di quell'articolo... e sembrava quasi più impaziente di me... sembrava non aspettare altro che la sua uscita..." Spiegò boccheggiando, mentre la sua mente gli faceva rivivere secondo dopo secondo le conversazioni affrontate prima con Alexis Buldstrode e poi con Cassiopea Black.

Gli incidenti capitano in prigione.
Buona permanenza in prigione.

"Dici che... dici che è tutta una trappola?"

Gli incidenti capitano in prigione.
Buona permanenza in prigione.

"Magari stava solo bluffando." Provò a suggerirgli Isaiah "Se quello che dici nell'articolo è vero, allora lei rischia davvero di perdere parecchio."
"Non lo so..." Borbottò Elliot, ormai preda di una vera e propria crisi di panico "Quella donna non fa mai niente per niente... e io temo di averlo capito solo troppo tardi."

Gli incidenti capitano in prigione.
Buona permanenza in prigione.


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8 luglio 1995, Atlantic City


"Secondo te sono un'egoista?" Domandò Candice all'improvviso, rompendo così il silenzio che alleggiava nel parcogiochi a quell'ora del pomeriggio.
Davanti a quella domanda sibillina, James alzò lo sguardo dal manto erboso, scrollando la testa per eliminare la sensazione di sonnolenza che l'aveva colto nell'ultima mezz'ora.

C'erano soltanto loro due al parco: d'altra parte chi poteva mai uscire a luglio alle due del pomeriggio?
Avevano pranzato e poi si erano ritrovati sulle scale, nello stesso punto dove si erano conosciuti la prima volta, in quello che era diventato nel tempo 'il loro posto'.
Da lì, decidere di sgattaiolare al parco di nascosto era stato un attimo.
E in quel momento, mentre James era sdraiato sull'erba all'ombra di un grande faggio, Candice si dondolava avanti e indietro sul copertone che sostituiva il seggiolino dell'altalena.

"Perchè dici così?" Chiese il ragazzo, incuriosito dal tono amareggiato che aveva usato la tuonoalato.
"Così" Si strinse nelle spalle lei.
"Candice..." La ammonì però lui. Era inutile che provasse a mentire: la conosceva come le sue tasche.
"Beh ecco..." Disse a quel punto lei "hai presente che un mese fa è morta mia nonna no?"
James, in risposta, si limitò ad annuire.
"Non ho mai pianto." Provò a spiegare lei "Nè quando ho avuto la notizia della sua morte, nè al funerale e neanche nel mese successivo... perciò Alice mi ha accusato di essere soltanto un'insensibile egoista ed anaffettiva che pensa soltanto a se stessa." Buttò fuori tutto d'un fiato "Secondo te ha ragione?" Concluse, quasi più preoccupata che il giudizio del suo amico potesse coincidere con quello della sorella, che non del giudizio stesso di sua sorella.
"Io credo che oguno di noi affronti il lutto a suo modo" Rispose però James tranquillamente dopo averci riflettuto un po'. "Non piangere non significa per forza essere anaffettivi: c'è chi piange anche per una pubblicità del dentifricio e chi non lo fa quasi mai. Questo non significa che si tratti per forza di una persona insensibile. Io so quanto tenevi a tua nonna e tu lo sai meglio di me, perciò lascia perdere Alice. Sarete anche sorelle, ma siete obiettivamente molto diverse." Affermò incrociando le braccia dietro alla testa per sistemarsi meglio "E poi che domande mi fai? Sono stato o non sono stato io a darti il tuo soprannome, Candy? Fai tanto la dura, ma in realtà hai un cuore d'oro: è per questo che sei la mia migliore amica." Concluse alzandosi in piedi per andare ad abbracciarla.


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11 luglio 2007, Villa Evans


Lysbeth stava al contempo sia ammirando che spolverando l'enorme salone, quando una risata cristallina la fece irrigidire di colpo.

Cecilia Evans, mano nella mano con il marito, era appena entrata nella stanza, ridacchiando per qualcosa che Aster le aveva appena sussurrato all'orecchio.

Lysbeth sapeva perfettamente che la sua era una reazione completamente sciocca: Cecilia, nonostante quello che lei aveva fatto alla famiglia della cugina, le aveva offerto un lavoro.
Ma una parte di sè non poteva fare a meno di pensare che in realtà si trattasse di una trappola.
Forse gliela aveva offerto per vendetta e le sue reali intenzioni erano quelle di renderle la vita impossibile.

Si era appena liberata di Amelie per lavorare presso una donna ancora più sadica?

I suoi timori aumentarono nel momento in cui Cecilia, subito dopo averla avvistata, smise di sorridere e disse qualcosa all'orecchio dell'uomo che le stava accanto, che immediatamente annuì prima di abbandonare la stanza.

Lasciandole così completamente sole.


"Ciao!" La salutò la purosangue, indirizzandole un sorriso tutto sommato cordiale, avvicinandosi a lei e porgendole la mano. "Immagino che tu lo sappia già, ma mi piace fare le cose per bene: sono Cecilia Weiss. Visto che non mi piace girarci troppo attorno, vado dritta al punto: so perfettamente di aver appena offerto un lavoro alla donna che ha denunciato mio cognato, rendendo di conseguenza a tutti noi la vita un inferno nell'ultimo mese." Affermò guardandola dritto negli occhi e facendola sentire alquanto a disagio "Ma non ho intenzione di ripagarti con la stessa moneta." Aggiunse facendo sgranare gli occhi a Lysbeth "Probabilmente, se tu avessi avuto l'occasione di conoscere meglio Darius, non saresti mai arrivata alla conclusione alla quale sei arrivata la sera dell'omicidio, ma ormai è inutile piangere sulla pozione versata: quel che è stato è stato. Capisco perchè l'hai fatto, così come capisco che gli Auror hanno dovuto necessariamente fare il loro dovere a seguito della tua denuncia: hai agito d'isitinto, così come Cassy ha agito d'istinto - per ripicca - facendo sì che nessuna famiglia purosangue ti accettasse più a lavorare per loro, a parte i Northman. Ecco, credo che lavorare per loro sia stata una punizione più che sufficiente." Concluse con un piccolo ghigno "Ma sarebbe anche davvero carino avere la certezza che non andrai a denunciare mezzo mondo soltanto perchè sentirai me ed Aster litigare spesso: abbiamo due caratteri parecchio focosi, in tutti i sensi." Aggiunse scherzosamente, cercando di alleggerire l'atmosfera "Pensi di potercela fare?"
"Io..." Balbettò Lysbeth, incapace di aggiungere altro, completamente in imbarazzo.
"Oh! Ovviamente non ho potuto nascondere a Cassy il fatto che ti ho assunta." Riprese la parola Cecilia, quasi come ricordandosene all'improvviso "Ovviamente non diventerai la sua migliore amica all'improvviso, ma posso garantirti che non ci saranno ulteriori ripercussioni su di te. Ok, penso di averti detto tutto." Concluse quasi bruscamente, prima di girare i tacchi e andarsene, lasciando Lysbeth completamente impalata in mezzo alla sala da pranzo. "Io e mio marito stiamo per uscire a cena, quindi non preoccuparti di farcela trovare pronta!" Si raccomandò urlando, prima di sparire oltre la porta.


-*-*-*-


31 agosto 1997, Atlantic City


"Toc toc"
Candice, seduta sul letto e intenta ad accordare il violino, alzò lo sguardo per rivolgere un sorriso luminoso a James. "Vieni pure." Lo invitò, battendo con una mano sul materasso, in un chiaro gesto esplicito.
Non aspettando altro che quello, il ragazzo si stravaccò immediatamente accanto a lei, esattamente come avrebbe fatto nella sua camera.
"Comodo?" Lo prese in giro la tuonoalato con tono ironico, essendosi trovata a doversi rannicchiare per fargli spazio.
"In effetti, mi manca una cosa per stare davvero comodo." Rispose lui "Accio."
Con un gemito di protesta, Candice vide il cuscino scivolarle via da sotto il suo sedere per volare tra le mani in attesa del ragazzo, che si accomodò ancora di più scoppiando contemporaneamente a ridere. "Oh Candy! Dovresti vedere la tua faccia in questo momento!" La prese in giro dandole un buffetto affettuoso sulla testa.
"Ma pensa te questo!" Sbottò lei roteando gli occhi "Usa il mio letto, mi ruba il cuscino e poi mi picchia pure!" Si lamentò sbuffando.
"Esagerata! Era un innocente buffetto impregnato d'affetto!"
"Questo lo dici solo perchè non sei alto un metro e mezzo e non sei appena stato colpito da una mano grande più della tua faccia!" Lo contraddisse la ragazza, esibendosi in una alquanto matura linguaccia.

"Allora... ultimo anno." Commentò James poco dopo, mentre fissava il soffitto e teneva le gambe ciondolanti fuori dal letto. "Quest'anno abbiamo i MAGO... come ti senti?"
"Sarà di sicuro un anno particolare, ma non credo che sarà poi molto diverso dal quinto: se studieremo come abbiamo sempre fatto sono sicura che ce la caveremo." Rispose Candice con una scrollata di spalle "In fondo non può essere molto peggio dei GUFO no?"
"Ma dopo..." Insistette James "Dopo cosa vorresti fare? Ce l'hai già un'idea di cosa fare della tua vita una volta diplomata?"

La ragazza scosse però la testa.
L'argomento "futuro" era una grossa incognita per lei: era sempre andata bene a scuola, senza però mai spiccare in nessuna materia in particolare. E nessuna carriera magica la attirava davvero.

L'unica cosa che era sicura di voler fare fino alla fine dei suoi giorni era suonare il violino.


Ma quello, a parte a pochi fortunati, non avrebbe mai consentito a qualcuno di sbancare il lunario.

"Io vorrei trasferirmi in Inghilterra." Continuò il ragazzo "Lo sai che Londra è sempre stata il mio sogno."
"E ci andremo." Promise Candice "Ma adesso, con una guerra in corso, non mi sembra proprio il caso!"
"Ovviamente hai ragione... ma adesso c'è la guerra. Lo sai quante cose possono cambiare in un anno?"  



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"Io non ho seguito la procedura dell'autopsia." Confessò Caroline con un filo di voce "Trovarmi davanti al cadavere del primo uomo che ho amato - del padre di mia figlia - mi ha comunque destabilizzato e mi sono sentita male. La dottoressa Carlisle ha dovuto svolgere buona parte del lavoro da sola."

(da "Un omicidio per i Black" cap. 15 - Theophile Larson)



11 luglio 2007, Dipartimento Auror


Caroline Fisher non era fisicamente presente in quella stanza.
Eppure, lei e la sua confessione, galleggiavano a mezz'aria davanti ad Aaron e Melisandre, che si stavano riguardando tutto l'interrogatorio portato avanti solo il giorno prima dall'Auror utilizzando un pensatoio.

"Secondo la procedura, se una persona è legata in qualche modo alla vittima non può nè condurre le indagini nè, tantomeno, fare un'autopsia." Decretò davanti a loro l'immagine-ricordo di Caroline.
"E allora perchè lo ha fatto?" Ribattè l'Aaron del ricordo.
"Ne ero perfettamente consapevole, mi creda. Ma, quando mi hanno chiamato, ero ancora troppo sotto shock per ragionare come avrei fatto in una situazione di lucidità. Così non ho ragionato. E ho risposto che me ne sarei occupata io. Inoltre, quale scusa avrei potuto dare al mio capo? Per tutti quanti mia figlia Isobel è di Drake... spiegare tutto quanto in quel frangente..." L'avvocatessa tentennò solo per un attimo, mentre si passava una mano sulla fronte imperlata di sudore "Semplicemente non ce l'ho fatta a dire la verità." Concluse con un sospiro.

"Così si è sentita mancare davanti al cadavere e la Carlisle si è ritrovata a compiere tutto il lavoro da sola." Completò Aaron, dopo aver interrotto il 'video'.
Non avrebbe sopportato riguardarlo un secondo di più.

Sapeva perfettamente, così come lo sapeva anche Melisandre, che dal quel momento sarebbe venuta la parte più difficile.
Umanamente, capivano entrambi le motivazioni che avevano spinto Caroline Fisher ad agire in quel modo.
Ma, dall'altra parte, Aaron era un tutore della legge. Aveva il preciso compito di farla rispettare.

"Forse avrebbe fatto meglio a venire a dirlo a me, anzichè a te." Si ritrovò a constatare la detective. "Come agirai quindi?"
"Per il momento farò finta che quella informazione mi sia arrivata in forma anonima." Decise l'Auror con un sospiro "Ma ormai quasi tutto sta puntando in quella direzione. Non posso ignorare la cosa."
"Dammi qualche altro giorno per controllare altre due cose con i miei metodi poco ortodossi." Gli propose la donna "Poi, se anche quelli coincidono con tutto il resto, potrai finalmente mettere fine a questa storia."


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ottobre 1998, Atlantic City


Lo sai quante cose possono cambiare in un anno? Le aveva detto James proprio un anno prima.
E, purtroppo, non aveva mai azzeccato una previsione così tanto come in quel momento.

Con James lei ci era praticamente cresciuta. Non aveva neanche bisogno di concentrarsi, per richiamare alla mente il volto pieno e sorridente del suo amico, magari dopo avere combinato una qualche marachella con lei - oppure ai suoi danni.

Un'immagine che nulla aveva a che fare con il ragazzo che aveva davanti agli occhi in quel momento.
Perchè quella era soltanto una copia sbiadita di James Melville. Una sua brutta copia.

Era tutto cominciato quando erano ancora a scuola, dentro alle mura familiari ed accoglienti di Ilverlmony.
Di punto in bianco, emettendo appena un gemito, il suo migliore amico si era accasciato su se stesso, crollando in mezzo al corridoio, mentre il suo volto assumeva un colorito alquanto pallido.

Un calo di zuccheri. Aveva ipotizzato inizialmente l'infermiera della scuola.

Ma poi lo stesso episodio si era ripetuto più e più volte, finchè non era quasi diventata un'abitudine vedere il ragazzo svenire all'improvviso.

Solo degli esami più approfonditi all'ospedale dei maghi avevano evidenziato la situazione: James era affetto da una patologia alquanto rara per i maghi, ma anche estremamente letale.
Semplicemente, il morbo si nutriva della magia del mago, fino a prosciugarlo del tutto.
Fino alla morte.

Non esistevano cure.

Tutto ciò che Candice potè fare per lui, fu restargli accanto.
Fino alla fine.


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Theo, con una bottiglia di burrobirra in mano, stava comodamente seduto sul divano a guardare la televisione quando qualcuno iniziò a suonare con insistenza al suo campanello.
Dal momento che era sera - erano già quasi le undici - e che non aspettava nessuno, il ragazzo afferrò la bacchetta prima di dirigersi verso la porta.

Chiunque fosse, aveva evidentemente fretta.
Nel tempo che impiegò per compiere il tragitto dal divano alla porta infatti, il campanello suonò altre cinque volte.

"Sì! Sì! Arrivo, arrivo!" Brontolò lui "Chiunque tu sia, spero davvero per te che sia importante!" Quasi urlò socchiudendo la porta e controllando dallo spioncino, prima di rendersi conto che, dall'altra parte, non c'era altri che Sylvia.
"Ma che...?" Iniziò a domandare a quel punto, spalancando la porta del tutto.

Sylvia aveva ormai da più di un anno le chiavi del suo appartamento. Quindi perchè aveva suonato?

"Amore... cos'è successo?" Domandò allarmato, vedendo la donna tremante davanti a lui e accorgendosi solo in quel momento che portava con sè una valigia.
"Theo... io... io l'ho lasciato. Ho lasciato Frederick."


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"Io vorrei trasferirmi in Inghilterra." Continuò il ragazzo "Lo sai che Londra è sempre stata il mio sogno."
"E ci andremo." Promise Candice "Ma adesso, con una guerra in corso, non mi sembra proprio il caso!"
"Ovviamente hai ragione... ma adesso c'è la guerra. Lo sai quante cose possono cambiare in un anno?"  



2000, Atlantic City


Candice stava guardando completamente immobile la bara di legno - contenente il corpo di James - venire sotterrata, quando le tornò in mente quello stralcio di conversazione.
Le sembrava quasi passato un secolo da quando l'avevano avuta. In realtà non erano passati neanche due anni.

E, all'improvviso, si trovò a riconsiderare tutta la sua vita: una volta presi i MAGO, per accontentare il padre - ma soprattutto per stare vicino a James fino alla fine - aveva accettato un lavoro da impiegata in una azienda produttrice di scope e aveva attaccato al chiodo il violino.
Tuttavia, dal momento che James non c'era più, sentiva che lì, negli Stati Uniti, non c'era più nulla a trattenerla.

Certo, nutriva un forte affetto per la sua famiglia, ma i genitori servivano per dare delle solide radici, non per tarpare le ali.
E lei, avendo rinunciato a suonare, sentiva di avere rinunciato ad una parte di se stessa.

Di punto in bianco, seppe perfettamente cosa fare: appena finito il funerale sarebbe tornata a casa e avrebbe fatto le valige.
Poi sarebbe partita per Londra dove, come aveva profetizzato giustamente James, la guerra era ormai finita da tempo.

L'Europa era sempre stata una meta alquanto ambita per i musicisti.


Un modo per mantenersi lo avrebbe trovato. Magari avrebbe fatto la cameriera per una qualche famiglia ricca.
E chissà, magari si sarebbe fatta notare da qualcuno di loro proprio per il suo talento.


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13 luglio 2007, Studio Legale Kennox


Quando la segretaria aveva avvertito Alexis che un 'cliente alquanto importante' era arrivato e che voleva assolutamente avere lei, la Buldstrode si era sentita inizialmente lusingata.
Nonostante la giovane età infatti, sapeva perfettamente di essere una delle migliori avvocatesse in circolazione. E dove non arrivava la sua bravura arrivava il suo cognome: tantissimi esponenti di nobili famiglie purosangue infatti non ritenevano
ancora idoneo farsi servire da avvocati dal 'sangue dubbio'. E tutto ciò non poteva che riflettersi necessariamente a suo vantaggio.

Tuttavia, quando la segretaria fece entrare il 'cliente', tutto l'entusiasmo svanì così come era arrivato.
Non si trattava del solito purosangue annoiato che doveva realizzare la compravendita di una qualche proprietà dispersa per il mondo.

Davanti a lei, in tutta la sua aura regale, si trovava il Ministro della Magia di Russia Alexej Levenvolde.
Il padre di Darius. Suo zio paterno.

"Zio!" Lo accolse con un verso di sorpresa. "Darius non mi ha detto che era previsto il vostro arrivo in Inghilterra, altrimenti avrei provveduto a fornirvi un'accoglienza più adeguata."
"Mio figlio non sa che sono qui." Rispose lui afferrando una sedia e trasfigurandola in una poltrona per stare più comodo. "E, data la situazione, preferisco che non lo sappia fino all'ultimo." Continuò puntando la bacchetta verso la porta per chiuderla ed insonorizzarla "Sono qui per far rispettare il contratto di matrimonio che ha stipulato con Cassiopea Black: deve essere sciolto. E sarai tu a portare avanti la procedura per farlo."

Davanti a quell'affermazione, fatta con lo stesso tono col quale avrebbe potuto commentare il tempo all'esterno, Alexis strabuzzò gli occhi. Poi, altrettanto velocemente, tornò ad assumere la sua solita espressione impassibile.
"Zio... posso parlare liberamente?" Davanti al cenno di assenso dell'uomo, la purosangue continuò "Se è venuto fin qui per questo... beh, temo che sia tempo perso. Anche un cieco si renderebbe conto di quanto Darius ami sua moglie. Non la ripudierà solo per quello che c'è scritto su un semplice contratto. E poi..." Continuò cercando di mantenere il suo solito tono distaccato e professionale, per cercare di non dimostrare quanto in realtà temesse quell'uomo "Cassiopea sta per partorire un maschio... non tornerebbe comodo anche ai Levenvolde avere un erede che porti avanti la dinastia, visto che Andrej e Ivan hanno avuto solo femmine fino ad adesso?"
"A quanto pare non sei informata bene, mia cara nipote." La contraddisse però il Ministro "Andrej, sotto mio consiglio, ha ripudiato Janette Lacroix e sposato Tatiana Dashkov, che infatti è già incinta da tre mesi di un maschio: come vedi, non c'è bisogno di un altro erede. E comunque, meglio nessun erede che uno mezzosangue: il contratto parla chiaro, in merito."


Quando, circa mezz'ora dopo, Alexej Levenvolde abbandonò lo studio, Alexis si mise le mani nei capelli e si lasciò andare ad una pesante imprecazione: era chiaro che non poteva rifiutarsi di collaborare.
Ma riuscire ad ottenere quel risultato era tutta un'altra questione.

Perchè, almeno per quello, ne aveva la totale certezza: suo cugino e sua moglie non sarebbero rimasti a guardare senza fare nulla.
E lei si sarebbe trovata inevitabilmente tra due fuochi.
Doveva soltanto capire quale dei due avrebbe prevalso. E comportarsi di conseguenza.


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"Le persone come Elliot Florence non hanno un cuore Candice: rispondono solo al Dio Denaro." Fu il commento pieno di amarezza di Cecilia.
"Elliot Florence hai detto?"
"Perchè, lo conosci?"
"Ma certo che lo conosco!" Esclamò Candice gesticolando "Quel maledetto! Ha frequentato Ilvermony come me, ma aveva tre anni in più. Maledetto Wampus! Sia a scuola che dopo ne ha combinate di tutti i colori, ma l'ha sempre fatta franca! Anche quando ha molestato pesantemente Nicole!"

( da "Un omicidio per i Black" cap. 9 - Aaron Morgan)



2000, Atlantic City



"No dai, ragazze, cercate di non esagerare." Tentò di convincerle Candice, aprendo una mano a palmo per fermare l'ennesimo drink che la sua amica Kate le stava porgendo.
"Eddai Candice! Non fare la guastafeste!" Protestò quest'ultima, ficcandole a forza un bicchiere in mano. "In fondo dopodomani partirai per l'Inghilterra, quindi di occasioni come queste non ne avremo più!" Tentò di convincerla.
"Lo sai che non mi piace bere!" Ribattè la tuonoalato sbuffando.

Ma non ci fu verso di convincerle.

Appena avevano saputo che sarebbe partita per Londra, le sue amiche avevano preso la notizia come se lei stesse partendo per il fronte.
E si erano comportate di conseguenza.
Per quel motivo quella sera l'avevano praticamente trascinata fuori casa, per portarla in quel locale che aveva appena aperto.
E da lì avevano iniziato ad offrirle dei gran 'giri' di qualsiasi possibile drink, sia che lei accettasse sia che lei rifiutasse.
Volevano salutarla a modo loro.
Senza però capire che, per lei, il concetto di divertimento era abbastanza diverso dal loro modello.

In un certo senso, quella era quasi una serata per le sue amiche che non per lei.

"Prova a fare come me." Le suggerì a bassa voce Nicole, sbucata all'improvviso da dietro la sua spalla "E' da inizio serata che ho in mano questo drink - rigorosamente analcolico, anche se loro non lo sanno -. Così ho il bicchiere sempre pieno e loro non possono dire nulla."
"Hai ragione! Sei un genio." Replicò Candice sorridendole grata, svuotando il contenuto del suo ultimo drink in un vaso lì vicino. "Adesso vado a prenderne subito uno, così smettono di rompere."
"Io invece vado a prendere una boccata d'aria." Replicò Nicole "Non ne posso più di questa aria viziata."
"Vuoi che ti accompagni?" Si offrì immediatamente la tuonoalato.
"No tranquilla... a differenza di quelle là mi reggo benissimo da sola... e poi siamo in dicembre: fa freddo fuori! Non hai proprio bisogno di ammalarti, visto che devi partire tra due giorni. Io torno subito." La rassicurò con un sorriso.

Ma contrariamente alle aspettative, Nicole non tornò subito.
Dopo un arco di tempo giudicato idoneo, e con una bruttissima sensazione nel petto, Candice andò a cercarla.

Trovandola schiacciata contro a un muro, mentre si dimenava cercando di sfuggire alla presa di un ragazzo palesemente ubriaco che la stava palpeggiando senza vergogna e che cercava contemporaneamente di sfilarle la gonna.

Un ragazzo che Candice conosceva benissimo.
Elliot Florence.

Circa un'ora dopo la tuonoalato, in un tetro ufficio del Ministero della Magia Americano, stringeva Nicole a sè, tra un abbraccio e una coperta, cercando di rassicurarla con parole che però suonavano vuote pure a lei.
"La pagherà Nicole. Non so come, ma ti prometto che la pagherà."


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14 luglio 2007, Villa Black


Sentendo suonare il campanello, Cassiopea iniziò a scendere le scale per dirigersi verso la porta.
"E lei cosa sta facendo?" La interruppe però a metà discesa la voce di Catalina, comparsa magicamente dietro di lei. "Quante volte le devo ripetere che non se deve muovere? Lei è incinta! Vado io ad aprire!"
"Appunto! Sono incinta non malata!" Protestò Cassiopea sbuffando "Ed è anche la seconda gravidanza... penso di sapere cosa posso e non posso fare ormai. Stai diventando peggio di Darius!"
"Tanto è la medimaga Carlisle che è venuta para il suo controllo pre parto." La informò Catalina, affrettandosi a raggiungerla per poi sorpassarla.
"Allora a maggior ragione: se è per me posso anche aprire io!" Ribattè la Black "E' solo una porta, mica un peso di 100 kg! ... Ma perchè è venuta qui lei e per di più di sabato?" Domandò al nulla "Di solito non andiamo noi nel suo studio durante la settimana?"
"Perchè oggi pomeriggio parte per le vacanze con le sue figlie e non aveva posto tra i vari appuntamenti già presi." Spiegò la domestica, mentre un altro suono del campanello le raggiungeva entrambe. "Così ci ha fatto un favore. Lei però vada a mettersi comoda sul lettino e inizi a slacciarsi la vestaglia." Le consigliò premurosa "Io vado ad aprire e gliela porto."

Ma ovviamente Cassiopea non le dette ascolto.
Fu così che seguì Catalina fino davanti alla porta, che nel frattempo era stata aperta da Candice.

E fu lì che capì che c'era qualcosa che non andava.
Candice infatti guardava verso Julia con l'espressione di chi aveva appena visto un fantasma.
E la chiamò con un nome completamente diverso.

"Victoria!"


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Ed ecco a voi la domanda di questa settimana --> il prossimo capitolo lo volete:
- su uno dei vostri personaggi (ne mancano solo 2)
- su Darius
- "speciale" (ovvero a sorpresa --> no, non vi anticipo nulla :P )?

MI RACCOMANDO RISPOSTA PER MP!

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Capitolo 19
*** 17 - Darius Levenvolde ***


17

Sì, lo so. Avrei dovuto aggiornare Grimm anzichè questa e sono in super anticipo, ma praticamente mi è uscito di getto (e cmq Darius era davvero in vantaggio nella scelta che avevo dato u.u).
Nel capitolo troverete un personaggio che era stato eliminato: avevo scritto delle scene tempo fa e mi sembrava un peccato non usarle.
Occhio alle date, perchè non sono andata sempre in ordine cronologico!

Buona lettura ;)


- Darius Levenvolde - 


Darius_Levenvolde

Darius Levenvolde, 5 febbraio 1975, ex folletto (Durmstrang)




Darius ripiegò il giornale e lo appoggiò sul tavolo, mentre un piccolo sorriso iniziava a spuntare sul suo volto.
Ecco l'occasione che aspettava da una vita. L'occasione per poter lasciare la Russia - terra di suo padre - e potersi finalmente recare in Inghilterra, la terra d'origine di sua madre.


Non si era mai sentito a casa in Russia.

Avrebbe risposto all'annuncio di Antares. Avrebbe partecipato. 
E avrebbe avuto l'occasione di iniziare una nuova vita.

(da "Un erede per i Black", cap. 1 - Accetto!)



2 maggio 1981, San Pietroburgo, Villa Levenvolde


Il piccolo Darius, di appena 6 anni, guardava spaesato l'infinito corridoio che portava alla camera dei genitori, dove era presente un viavai continuo di gente.
Non aveva idea di cosa stesse esattamente succedendo, l'unica cosa che sapeva - quasi strappata di bocca ad un elfo domestico - era che sua madre, Meissa Buldstrode in Levenvolde, si era sentita male.
E così, mentre i suoi fratelli si erano fatti spedire fuori in cortile con la promessa di poter giocare a Quiddicth con le scope vere, lui aveva preferito rimanere lì, in attesa di notizie più precise.
Ma nonostante fosse piantato lì ormai da un tempo infinito e il corridoio pullulasse sia di gente che di elfi domestici, nessuno sembrava far caso a lui.

E non sembrò far caso a lui neanche suo padre, quando arrivò - dopo molto tempo - ancora con la tunica da Ministro addosso, segno che era arrivato direttamente dal lavoro.
"Spero per lei che sia importante!" Sbraitò infatti l'uomo, all'indirizzo di una donna che era uscita dalla camera per accoglierlo "Stavo conferendo con il Ministro Spagnolo!"
"Sua moglie..." Pigolò la donna con un filo di voce, rannicchiandosi su se stessa come se volesse sparire "L'abbiamo chiamata per sua moglie... non sappiamo se il parto andrà a buon fine... e se lei e la piccola riusciranno a salvarsi."
"Piccola?" Strabuzzò a quel punto gli occhi Alexej "Perciò mi ha scomodato per una figlia femmina?" Tuonò stringendo il pugno destro con aria minacciosa.
"A chi dovremmo dare la precedenza nel caso...?" Provò ancora a domandare la donna, tremando da capo a piedi, mentre il finale della sua domanda sfumava pian piano nell'aria.
"A mia moglie, ma solo se sarà ancora in grado di darmi ancora dei figli." Rispose lui secco "Altrimenti fate quello che vi pare. Io torno al Ministero."


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10 ottobre 2002, Londra, Villa Abbott - Black


"Come puoi vedere è indirizzata ad 'A. Black'." Gli fece notare Cassiopea, indicando il punto dove si trovava il destinatario con l'indice. "E non essendo presenti dei segni di riconoscimento ulteriori - come ad esempio la data di nascita - potresti essere benissimo anche tu."
"In effetti è stata scritta in modo talmente generico che la cosa mi sorprende, conoscendo il soggetto in questione." Replicò Altair, continuando ad analizzare il foglio, come alla ricerca di una qualche possibile trappola.
"So che voi Black siete talmente machiavellici da progettare anche quando andare in bagno" Intervenne a quel punto Elizabeth con tono ironico "ma in questo caso credo proprio che quel foglio contenga solo ciò che c'è palesemente scritto: non credeva per nulla nelle sue capacità ma gli faceva gola l'opportunità e questo l'ha fatto peccare di leggerezza."
"In fondo non sarebbe una novità." Confermò Cassy sbuffando. "Però sia chiaro: non voglio che lo facciate per forza. Anzi, mi sento davvero in imbarazzo a chiedervelo." Aggiunse abbassando lo sguardo "Soprattutto perchè... insomma, l'altra volta..." La sua voce si perse in un mormorio indistinto, ma entrambi i coniugi capirono comunque.
"L'altra volta era un motivo completamente stupido, questa volta mi sembra una cosa più che fondata." Replicò Elizabeth, passando una penna di pavone al marito "Avanti Black, firma!"

"Grazie, grazie davvero. Prometto che lo userò soltanto in caso di estrema necessità." Chiuse la questione Cassiopea, alzandosi per abbracciarli entrambi. "Anzi, spero di non doverlo mai fare."



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1983, San Pietroburgo, Villa Levenvolde


"Dai Meissa, vieni qui!" Disse Darius per incitare la bambina ad alzarsi in piedi e raggiungerlo.
Immediatamente, indirizzandogli un sorriso sdentato, la piccola provò a sollevarsi traballando sulle gambe, mentre sul suo volto si veniva a formare una smorfia per lo sforzo al quale era sottoposta.

Alla fine, tra lei e sua madre, aveva vinto lei la battaglia per la vita.
Meissa Buldstrode, dopo quasi trentasette ore di travaglio, si era semplicemente lasciata andare e solo l'intervento della medimaga presente aveva impedito che la figlia ne seguisse la sorte.
I funerali della donna si erano tenuti il giorno dopo, in forma privata, e tutta la Russia magica era stata informata tramite un annuncio sul giornale che la moglie del Ministro era morta di parto, portando con sè anche il bambino che stava aspettando.

Nessuno, al di fuori di Alexej, i suoi figli e pochissimi altri fidati dell'uomo, sapeva come si erano svolti davvero i fatti: perchè Meissa Levenvolde - chiamata così in onore della madre - non solo nascendo aveva privato suo padre di una moglie e i suoi figli, oltre che se stessa, di una madre, ma era anche nata magonò. Nessun potere magico era presente in lei.
E ovviamente, rendere la cosa pubblica avrebbe soltanto indebolito l'immagine dei Levenvolde.
Per quel motivo il Ministro Russo si era affrettato ad insabbiare la cosa: per chiunque, sua moglie era morta per delle complicazioni avvenute durante il parto. E nessuna bambina, strega o magonò che fosse, era mai nata.

In effetti, Darius si era sorpreso che suo padre avesse permesso alla bambina di crescere restando in casa con loro.
Non che l'uomo se ne prendesse cura: una domestica aveva sempre desiderato dei figli ma non era mai riuscita ad averne... e lui gliela aveva regalata, più o meno come se si fosse trattato di un cucciolo di animale.

Ma mentre sia Alexej che i suoi figli maggiori fingevano che lei non esistesse, Darius - sfidando tutto e tutti - continuava a prendersene cura.
Era sua sorella, l'ultima cosa lasciata da sua madre.
E lui non intendeva rinunciarci.


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14 luglio 2007, Villa Black - Levenvolde



"Victoria?" Domandò Catalina con voce sorpresa, inarcando un sopracciglio, mentre accellerava il passo per finire di scendere il più velocemente possibile dalle scale. "Candice... lei è Julia Carlisle... la guaritrice de familia!" La informò spiazzata.

Cassiopea invece si limitò a fermarsi a metà strada, lasciando vagare lo sguardo tra le due domestiche e la medimaga.

"Credo che lei mi stia confondendo con qualcun altro." Tentò Julia, indirizzando alla tuonoalato una smorfia "Se si fa di lato e mi lascia passare, dovrei visitare la signora."
Ma, contrariamente alla sua richiesta, Candice le si parò davanti per bloccarle la strada. "Julia Carlisle? Ti sei fatta una nuova vita utilizzando il tuo secondo nome e il cognome di tua madre?" Le domandò sgranando gli occhi.
"Ripeto" Insistette però Julia, anche se ormai tremante e più pallida del solito "Temo che lei mi stia scambiando con qualcun altro."
"Col cavolo!" Replicò però Candice, assottigliando pericolosamente gli occhi "La mia memoria funziona perfettamente... e sarebbe difficile scordare il tuo volto e il tuo nome, visto che non solo eravamo allo stesso anno, ma siamo state entrambe smistate nella stessa casa. Sette anni insieme sono difficili da dimenticare, Victoria Foster!" 


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1990, Durmstrang (4° anno di Darius)


Ivan mi ha informato della cosa e spero vivamente che si tratti solo di uno scherzo di cattivo gusto: davvero hai invitato a Durmsburg Anneke Kohler?
Sarà anche la figlia del proprietario della fabbrica di scope più importante della Germania, ma lei rimane una mezzosangue
*, non assolutamente degna di frequentare la nostra famiglia.
Chiudi immediatamente questa storia o sarò io a farlo.


Non si era neanche firmato, ma a Darius non serviva una misera firma per riconoscere la calligrafia di suo padre.
Che come al solito non si interessava minimamente a lui se non per dargli ordini. Oppure umiliarlo.

Stringendo la lettera tra le mani, il ragazzino si alzò in piedi per dirigersi a passo di marcia fuori dalla Sala Comune dei Folletti, in direzione di quella dei Draghi.
E una volta arrivato lì quasi costrinse un ragazzino del primo anno a farlo entrare.

Voleva soltanto raggiungere suo fratello e strozzarlo, anche se sapeva di non avere molte chance: non solo suo fratello aveva una conoscenza magica molto superiore alla sua, avendo tre anni in più di lui, ma era anche parecchio più grosso.

Quando lo trovò, gli sventolò arrabbiato il foglio davanti agli occhi, mentre Ivan, una volta capito quale fosse la fonte del problema, si limitò a sorridere beffardo.
"Come diamine ti è venuto in mente di andare a dirlo a nostro padre?" Domandò Darius infuriato.
"Ho fatto ciò che era giusto." Replicò suo fratello.
"Trovi giusto informare nostro padre per una cosa che riguarda solo me?" Sbottò incredulo il minore, assottigliando gli occhi.
"Ti sbagli: ci riguarda tutti." Lo contraddisse però l'altro "Cosa diranno della nostra famiglia se tu esci con una... mezzosangue?" Domandò retorico, calcando tutto il suo disgusto sull'ultima parola.
"Come se a nostro padre gliene fregasse davvero qualcosa di me o di te!" Provò a farlo ragionare Darius "Non ti rendi conto che fino ad adesso tutte le attenzioni sono andate soltanto ad Andrej, il suo prezioso primogenito? Quindi perchè sei andato a dirglielo? Neanche se ne sarebbe accorto!"
"Ma certo!" Lo derise però Ivan "E cosa pensavi di poter fare esattamente? Continuare ad uscire indisturbato con quella ragazza e poi portarla a casa a cena? C'è già un contratto firmato, per te, con una famiglia croata." Lo informò quasi sghignazzando "Ed è esattamente lei che sposerai, esattamente come ha già programmato nostro padre. Tanto cosa ti cambia una o l'altra? L'importante è che non ti facciano sfigurare agli eventi mondani e che ti soddisfino a letto, no?"
"Non concordo per niente con il tuo discorso e non mi sposerò solo perchè mio padre ha deciso così. Non sono il suo burattino!" Dichiarò Darius risoluto. 
"Ogni tanto mi chiedo se sei davvero mio fratello." Replicò Ivan scrollando le spalle "Chissà, magari nostra madre la sera che ti ha concepito se l'è fatta con il giardi..."

Non riuscì a terminare la frase.
Il pugno di Darius si abbattè sul suo naso.


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14 luglio 2007, Villa Weiss - Evans



"Signora Evans?"

Nonostante fosse ormai sposata da sette anni, Cecilia faceva ancora fatica ad identificarsi con l'appellativo di "signora Evans". Soprattutto con quello di "signora". Insomma, aveva appena 26 anni, era nel fiore della giovinezza! La "signora Evans" era la madre di Aster al massimo!

Tuttavia, dopo aver chiuso gli occhi per un breve attimo, li riaprì e si girò verso Lysbeth che si dondolava sui talloni, nella tipica posa di chi era in imbarazzo per qualcosa.

"Sì?" 
"Ecco... non so se sia il caso, ma dovrei chiederle un favore." Si armò di coraggio la cameriera.
"Esplicita il tipo di favore e vedrò cosa posso fare." Rispose la Weiss, incuriosita dalla richiesta.
"Ecco vede... so che non molto tempo fa è stato il compleanno dei suoi nipoti, Lyra e Perseus." Iniziò a spiegare l'olandese "E... ehm... ecco... avevo intenzione di venire alla festa, per portare loro un regalo e cogliere l'occasione per chiarire con i Levenvolde. Ma poi la signorina Northman non mi ha permesso di andare."
"In tutta sincerità credo che sia una delle poche volte in cui condivido un gesto di Amelie." Considerò Cecilia "Cassy non l'avrebbe presa per niente bene quel giorno." Senza contare il pandemonio che è successo subito dopo. Aggiunse mentalmente, ripensando all'intrusione di Elliot Florence nella villa e a tutte le conseguenze che ne erano scaturite, compreso il collasso di Cassiopea.
"Beh ecco... non è che potrebbe portarli lei i regali ai bambini?" Buttò fuori Lysbeth tutto d'un fiato.
"Ma certo" Replicò subito Cecilia allegramente "Tutto qui il favore? Sono sicura che i bambini saranno felici di ricevere qualche regalo fuori via. Cosa sono comunque?"


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Più il tempo passava, più Cassiopea lo intrigava.
Non solo da quando era presente alla Villa, no! Aveva posato gli occhi su di lei anni prima, durante una delle tante feste purosangue alla quale aveva partecipato.

(da "Un erede per i Black", cap. 10 - Notti insonni e dubbi inespressi)




"Appena arrivi mandami un messaggio tramite il diario." Ripetè per l'ennesima volta Libra Prewett.
"L'hai già detto." La prese in giro con un lieve sorriso Cara.
"I Var Dassen ti aspettano esattamente nel punto dove atterrerà la passaporta."

(da "Un omicidio per i Black", cap. 14 - Cecilia Alya Weiss)




Estate 1997, Amburgo, Villa Var Dassen


Darius sbuffò per l'ennesima volta, mentre si portava il bicchiere pieno di vino elfico alle labbra.

Suo padre, per godersi qualche giorno con l'amante di turno, aveva delegato Andrej per portare avanti alcuni affari in terra teutonica. E già che c'era, aveva spedito anche lui ed Ivan, con la scusa che 'avrebbero potuto imparare parecchio da quella esperienza'.
In realtà il tutto si era tradotto con Ivan, fresco fresco di matrimonio, che si era chiuso in hotel per poter 'usufruire' della sua nuova moglie, mentre invece Andrej, ormai stanco della propria, aveva iniziato a puntare spudoratamente ad alcune purosangue, a loro volta annoiate dal proprio matrimonio.

Era così che lui e Darius si erano ritrovati invitati alla festa tenuta nella Villa dei Var Dassen, una tra le famiglie purosangue più antiche, ricche ed influenti della Germania.

E fu lì che, all'improvviso, lo sguardo di Darius venne attirato dalla figura snella e aggraziata di una ragazza bruna.
Si trovava sotto ad un albero, a pochissima distanza da lui, seduta sopra ad un telo che si era appena fatta sistemare da alcuni elfi domestici.
E, ignorando tutto e tutti, aveva tirato fuori dalla borsetta - probabilmente dotata di un incantesimo estensivo irriconoscibile - un enorme libro che aveva iniziato a leggere.

Se glielo avessero chiesto, il russo non avrebbe saputo affatto rispondere cosa lo avesse attirato di lei.
Forse il fatto che si capiva che stava cercando di evitare la festa - e i suoi partecipanti - quanto lui. Oppure la linea del suo corpo, magra ma con tutte le forme al posto giusto. Oppure i capelli castani, che le ricadevano in morbide onde boccolate per tutta la lunghezza del busto.
O forse, semplicemente, il fatto che, al contrario di quanto avrebbero fatto metà dei presenti al suo posto, lei aveva ringraziato gli elfi che l'avevano servita.

Doveva essere comunque rimasto a fissarla abbastanza a lungo, perchè la voce di Andrej lo colse di sorpresa alle spalle. "Vedo che i tuoi gusti sono nettamente migliorati fratello." Lo prese in giro, puntando lo sguardo a sua volta verso la ragazza.
"Sai chi è per caso?" Domandò Darius, senza neanche perdere tempo a negare.
"Una Black." Rispose immediatamente il maggiore "Credo che si chiami Cassandra o qualcosa del genere."
"Cassiopea magari?" Gli suggerì l'Auror "I Black non hanno sempre nomi di stelle?"
"Ah sì, giusto... Comunque, Cassiopea o Cassandra non importa: se avesse anche solo un anno in più me la porterei a letto. Peccato che sia ancora minorenne!"
Davanti a quel commento così schietto, Darius sentì una bruciante sensazione di fastidio invaderlo, mentre la strana voglia di far rimangiare quelle parole a suo fratello lo attraversava all'improvviso. Non capiva il perchè però, visto che lui e quella ragazza neanche si conoscevano. "Anche se fosse maggiorenne, avreste circa 15 anni di differenza! E tu sei pure sposato! Ma non hai proprio limiti?" Si limitò a borbottare schifato.
"Peccato che a quanto pare sia già impegnata." Replicò Andrej senza neanche stare ad ascoltarlo, indicandogli con un cenno della testa l'albero, dove un ragazzo biondo aveva appena raggiunto Cassiopea, che l'aveva accolto con un verso di pura gioia, prima di alzarsi in piedi per baciarlo.

Con una strana sensazione alla base dello stomaco, Darius si ritrovò a dover distogliere lo sguardo dalla scena.
Qualcosa, nel profondo, gli fece invidiare parecchio quel ragazzo biondo. E sperare quasi di potersi trovare al suo posto.

Non sapeva che soltanto tre anni dopo il suo desiderio si sarebbe avverato.


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 12 luglio 2007, Casa Larson



"Theo... io... io l'ho lasciato. Ho lasciato Frederick." 


Dopo aver sentito quelle parole, Theophile si limitò a farsi da parte, facendo così entrare Sylvia in casa.
"Davvero?" Domandò incredulo dopo un po', ancora incapace di assorbire la notizia del tutto.

Quante volte glielo aveva chiesto, nell'ultimo anno? Un'infinità.
Eppure, per un motivo o per l'altro, lei si era sempre rifiutata di prendere una decisione definitiva, facendo così rimanere entrambi nel limbo. Quindi cos'era cambiato di punto in bianco?

"E lui come l'ha presa?"
"Lui... lui non lo sa ancora." Rispose la donna scuotendo la testa.
"SYLVIA!" Protestò a quel punto Theo, con tono assolutamente incredulo.
"Aspetta, fammi spiegare" Aggiunse però lei, con tono di voce rotto "Se glielo avessi detto di persona, mi avrebbe rinchiuso in casa, impedendomi anche di andare al lavoro." Spiegò nascondendo il volto tra le mani. "Così ho approfittato del fatto che starà via per qualche giorno - per affari - e gli ho lasciato una lettera sul tavolo."

"E poi come pensi di agire? Perchè è chiaro che, per quanto possa stare via, prima o poi tornerà." Cercò di ragionare l'indicibile, passandosi stancamente una mano sul volto.
"Io... io non lo so." Rispose titubante lei "Non ne potevo più di quella situazione e... e ho agito d'istinto. Ti prego Theo! Non posso chiedere aiuto a nessun altro! Se andassi dalla mia famiglia, mi riporterebbero immediatamente da lui!"
"Ok, tranquilla... in qualche modo una soluzione la troveremo." Sospirò alla fine l'uomo. "Che ne dici se adesso andiamo a dormire un po'? Un proverbio babbano dice che la notte porta consiglio."


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Dicembre 2002,
Londra, Villa Black


Aveva già il dubbio da un po' di tempo, ma quando aprì gli occhi quella mattina e allungò il braccio verso la parte sinistra del letto - sentendola inesorabilmente vuota - Darius ne ebbe la assoluta certezza: Cassiopea lo stava evitando.
Non tanto dal punto di vista fisico - le lenzuola completamente aggrovigliate e stropicciate, residuo della sera prima, ne erano la prova lampante - quanto dal punto di vista mentale.
Altrimenti non si sarebbe saputo spiegare per quale motivo la ragazza, per l'ennesima mattina di fila, si fosse svegliata molto prima di lui.

Cassiopea adorava dormire fino all'ultimo minuto: primo indizio.

Meraviglioso! Si ritrovò a pensare con ironia. Erano tornati dal viaggio di nozze da neanche una settimana e facevano già fatica a parlare.

Gettando un'occhiata distratta allo specchio - tanto i suoi capelli aggrovigliati erano e aggrovigliati sarebbero rimasti - appellò velocemente una maglia e un paio di pantaloni. Poi si diresse verso la cucina.

Non ci mise molto a riconoscere le due voci che arrivavano da lì. La prima apparteneva alla moglie. E la seconda alla cognata.

Secondo indizio: non si faceva mai trovare da sola
.

A parte la sera in camera. Ma lì era troppo distratto da altro per chiederle spiegazioni.

"Giorno!" Borbottò entrando nella stanza e palesando così la sua presenza.
"Meno male che ti sei svegliato!" Esclamò Cassy allegramente, avvicinandosi per dargli un bacio a fior di labbra. "Così almeno riesco a salutarti prima di correre al Ministero."
"Potevi sempre svegliarmi tu." La provocò con tono vagamente malizioso. "Lo sai quanto adoro i tuoi risvegli tesoro."

Terzo indizio: appena lui compariva, lei trovava una scusa per allontanarsi. Di solito un impegno improrogabile.


Ma Cassiopea o non aveva colto l'allusione oppure l'aveva volutamente ignorata: l'aveva infatti baciato velocemente e poi era entrata nel camino per attraversare le fiamme smeraldine.
 

Quarto indizio: da quando Cassy aveva smesso di smaterializzarsi e aveva iniziato ad usare il camino?

O, almeno, ci aveva provato.

Quinto indizio: l'espressione che Gillian gli stava rivolgendo in quel momento. Ergo, c'era davvero qualcosa che lei sapeva su Cassiopea... e di cui lui era all'oscuro.


Peccato che lui avesse velocemente recitato un incantesimo non verbale per bloccare il suddetto camino.
E di conseguenza la fuga della moglie, che rimase immobile per qualche secondo cercando di capire cosa non avesse funzionato nel mezzo di trasporto, venne brutalmente arrestata.


Ovviamente Cassiopea ci mise poco a comprendere a cosa - o per meglio dire a chi - dovesse essere attribuita la colpa della sua mancata partenza.
Darius sfoggiava un sorrisino troppo vittorioso, perchè la cosa fosse soltanto un caso. "Perchè l'hai fatto? Hai intenzione di sequestrarmi per caso?" Domandò inarcando un sopracciglio.
"No, solo di tenerti bloccata qui finchè non mi dici cosa mi stai tenendo nascosto." Rispose lui pacato, iniziando a versarsi del caffè nella tazza.
"E che cosa dovrei nasconderti scusa? Io non ti sto nascondendo proprio nulla!" Protestò Cassiopea, assumendo un'espressione talmente innocente che avrebbe ingannato anche lui, se quasi allo stesso tempo Gillian non avesse emesso un colpo di tosse che risuonò nella cucina come qualcosa di molto simile ad un "Diglielo!"
"Allora?" Insistette Darius incrociando le braccia al petto.

Per un po' i due coniugi fecero una silenziosa guerra di sguardi.
Poi, alla fine, spinta anche dalle occhiatacce varie di Gillian, Cassiopea si ritrovò a confessare quasi in lacrime: "Sono incinta Darius. Di una bambina."

Per qualche secondo il silenzio regnò sovrano nella stanza, mentre l'Auror assorbiva e realizzava del tutto la notizia.
"E perchè sembri tutto forchè feli..." Domandò confuso alla fine, prima di bloccare la domanda a metà, realizzando la situazione. "Oh!"

Il fantasma di quello che aveva fatto Selene, per quanto Antares si fosse prodigato per cercare di cancellarlo, aveva lasciato un segno indelebile in sua moglie.
Più o meno come suo padre lo aveva lasciato in lui.

"Non saremo come i nostri genitori Cassy." La rassicurò avanzando verso di lei per abbracciarla. "Te lo prometto."


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14 luglio 2007, San Mungo


"Mi scusi?" Domandò Melisandre, bloccando un'infermiera a caso "Sa per caso dove si trova la guaritrice Julia Carlisle? Sono andata nel suo ufficio ma è vuoto."
"Lei sarebbe...?" Domandò la donna sospettosa.
"Dipartimento Auror." La coprì immediatamente Aaron, tirando fuori il distintivo e mostrandoglielo. 

Non era vero ovviamente, ma sapeva che così facendo avrebbero evitato inutili perdite di tempo.

"Dobbiamo giusto farle qualche domanda." Insistette.
"Oh... beh, credo che siate arrivati tardi: la signora è in vacanza proprio da oggi." Rispose la ragazza, immediatamente rassicurata alla vista del distintivo. "Scusi il sospetto ma sa, dopo l'omicidio di quel cameriere abbiamo giornalisti e curiosi che continuano a sbucare da tutte le parti!"
"Ha detto che è in vacanza da oggi? Quindi la troviamo ancora a casa secondo lei? Scusi ma è davvero urgente." Domandò a quel punto Aaron, impaziente.
"Immagino di sì..." Rispose l'infermiera "Da quel che so doveva partire oggi pomeriggio."
"Ok, allora andiamo là" Commentò immediatamente Melisandre "Ricordo perfettamente dove abita."
"La ringrazio per l'aiuto." Si congedò Aaron, prima di imboccare nuovamente il corridoio per uscire fuori dall'ospedale. Tuttavia non aveva fatto neanche cinque passi quando la voce dell'infermiera li raggiunse nuovamente entrambi.
"Beh, se è proprio urgente, so che stamattina doveva andare a fare un controllo di routine a Cassiopea Levenvolde."

Sia Aaron che Melisandre, a quelle parole, congelarono sul posto.
"Grazie mille. Muoviamoci." 


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Agosto 2003, Londra, Villa Black


Darius era nella camera della figlia, intento a guardarla dormire, quando sentì un suono lamentoso provenire dalla camera da letto.
Riconoscendolo, non si allarmò più di tanto.
Tuttavia decise di immettersi nel corridoio per dirigersi immediatamente verso la stanza che condivideva con la moglie.

Esattamente come si era aspettato, Cassiopea si trovava davanti all'armadio spalancato, mentre almeno una decina di vestiti diversi galleggiavano pigramente attorno a lei.
In quel momento però la ragazza - solo con l'intimo addosso - stava concentrando la sua attenzione su quello che teneva tra le mani. "No, no, no!" 

"Qual è il problema Cassy?" Domandò più per farla contenta che non per reale interesse.

Sapeva già cosa non le andasse bene in quella situazione.

Non era la prima volta che succedeva in fondo.

Con uno sbuffo, la Black gli cacciò sotto al naso il vestito.
"
Non mi sta più!" Si lamentò. "E' il mio vestito preferito e non mi sta più! Guarda!" Esclamò cercando di infilarselo nuovamente. Ma ovviamente l'abito si bloccò a metà coscia. "E non mi guardare: sono grassa!" Gli ordinò cercando di coprirsi il corpo con le braccia, all'improvviso in imbarazzo.

Trattenendosi dall'alzare gli occhi al cielo - a suo parere le curve che la moglie aveva acquistato con la gravidanza non potevano che giovarle, visto quanto era dimagrita dopo la morte di Antares - Darius cercò di farla ragionare "Cassy, hai partorito da appena due mesi, è normale non avere smaltito ancora tutti i chili della gravidanza! E comunque non sei affatto grassa." Tentò di convincerla, venendo però fulminato da un'occhiataccia della donna.
"Certo! Dite tutti così poi, chissà come mai, vi trovate tutti l'amante più giovane e, soprattutto, più magra." Protestò lei.
"In ogni caso" Continuò lui marcando sulle quelle tre parole per cercare di tornare al discorso iniziale "sono sicuro che Cata conosca un incantesimo di sartoria per adattarlo. Perchè non provi a chiederglielo?"

"Ma io non voglio allargarlo! Lo voglio tenere così!" 
"Allora potrai rimetterlo solo tra un bel po' di tempo temo." Le rispose Darius, cercando in tutti i modi di non spostare lo sguardo sulla parte bassa del corpo della moglie, ancora coperta soltanto dall'intimo.

Sul serio lei si considerava grassa?

"Un bel po' quanto sarebbe?" Domandò Cassiopea sospettosa, incrociando le braccia al petto.
"Non che sia un esperto... ma un annetto più o meno?" Provò ad ipotizzare lui.

Vedendo che però la moglie continuava a borbottare, capì che c'era solo un modo per zittirla. E magari rassicurarla sulle sue paure completamente infondate.

D'altra parte, vederla con soltanto l'intimo addosso - come ogni volta che succedeva - non l'aveva lasciato affatto indifferente.


"Oh, al diavolo il vestito! Te ne compro un altro!" 
Esclamò prima di attirarla a sè per baciarla, scendendo poco dopo sul suo corpo, comprese le curve da lei tanto temute.


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14 luglio 2007, Studio Legale Kennox


Quella mattina Alexis non riusciva proprio a prestare attenzione al suo lavoro.
Avrebbe dovuto semplicemente stilare la bozza di un contratto di compravendita per un cliente, ma la sua testa era concentrata su tutt'altro.
Precisamente, sulla converazione avuta con suo zio solo due giorni prima.
Sapeva che l'uomo era a Londra e che stava progettando qualcosa per essere sicuro che suo figlio facesse esattamente ciò che voleva lui. Perchè di sicuro non nutriva la minima fiducia in lei, così come non l'aveva mai nutrita praticamente nei confronti di nessuno. Su ciò poteva metterci la mano sul fuoco.

Ma quindi, a quel punto, lei cosa doveva fare?  

Restare in un angolo e farsi gli affari propri, lasciando che suo cugino e il padre se la sbrigassero da soli, oppure quantomeno avvisare Darius di quella presenza alquanto ingombrante in città?
Lei e Cassiopea non erano mai andate d'accordo, su questo non ci pioveva, e Alexis non aveva neanche mai provato un affetto smodato per Lyra, ma l'avvocatessa conosceva benissimo cosa sarebbe accaduto, se il contratto che legava la Black al cugino fosse stato annullato: l'intero matrimonio sarebbe stato cancellato. E con esso tutti i suoi effetti.
Compresi i figli, che per la legge non sarebbero più stati di Darius.

"Hey, hai terminato la bozza?" La distrasse la voce di Caroline, entrata in quel momento nel suo ufficio con un altro fascicolo tra le mani.
"No." Rispose secca Alexis, alzandosi in piedi "Puoi occupartene tu, da sola?" Le domandò poi, appellando sia la borsa che il cardigan di cotone.
"Io devo andare."
"Ma sono solo le dieci di matt..." Provò a fermarla l'altra incredula, sgranando gli occhi di fronte a quella mossa a suo giudizio assurda: da quando la conosceva, la purosangue non se n'era mai andata dall'ufficio prima della fine dell'orario di lavoro. Anzi, di solito accumulava straordinari su straordinari.

Quindi perchè di punto in bianco se ne andava?

Non riuscì a completare la frase: Alexis si era già smaterializzata.


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28 giugno 2003, Londra, Villa Black


"Darius... non ti impanicare perchè basto già io per tutti e due e almeno uno di noi due deve rimanere lucido: credo proprio che ci siamo!" Lo informò Cassiopea, portandosi una mano al ventre e stringendo i denti per non urlare dal dolore, aggrappandosi al tavolo.

Per tutta risposta, l'uomo si limitò a sgranare gli occhi, rischiando di affogarsi con il caffè che stava bevendo. "Che?"
Insomma, sapeva che la cosa sarebbe potuta succedere, ma di fatto il parto era previsto per metà luglio.

"Che vuoi che ti dica? Avrà fretta di nascere!" Replicò lei, mentre il suo viso veniva attraversato da un'altra smorfia di dolore.
"Ok, aggrappati a me: ti porto al San Mungo." Rispose l'Auror, iniziando a ripetere come una cantilena nella sua testa di restare calmo.
"No!" Si oppose però Cassiopea bloccandolo.
"Come no? Hai intenzione di partorire in cucina per caso?" Le domandò Darius confuso, inarcando un sopracciglio.
"Non voglio partorire e basta!" Protestò la ragazza, lasciandolo leggermente basito.
"Beh, mi sembra un po' tardi amore!" Ironizzò lui, prendendola in braccio di peso e iniziando a dirigersi verso il camino.
"Io te l'ho detto che uno di noi doveva rimanere lucido! Io sono impegnata a partorire, quindi l'altro compito non può spettare che a te! Vuoi fare cambio per caso?"
"Andiamo. Ho come l'impressione che sarà una giornata parecchio lunga."




qualche ora più tardi, San Mungo


A dispetto delle aspettative di Darius, il parto era durato piuttosto poco.
E nonostante avesse il braccio destro praticamente fuori uso - Cassiopea glielo aveva stritolato tutto il tempo - l'Auror non poteva essere più felice di così.
Stava girando per la stanza, con sua figlia appena nata tra le braccia, mentre sua moglie li guardava dal letto con gli occhi succhiusi e un'espressione finalmente serena sul volto.

Aveva avuto paura fino all'ultimo che qualcosa potesse andare storto.
D'altra parte, non c'era stato solo l'abbandono di sua madre a pesare come un macigno su di lei.
Sua nonna Lyra era morta di parto.
E lo stesso era successo anche alla madre di Darius.

Ma tutto era andato bene. Ed entrambi avevano riscoperto come si faceva a respirare.

"Non voglio una balia per lei, voglio allattarla io." Gli comunicò Cassiopea, con voce stanca. "Si dice che aiuti a creare il legame con i figli... e io voglio vivermela ogni giorno la mia bambina."
Darius non rispose neanche, si limitò semplicemente ad annuire. Probabilmente, se avesse provato a parlare, la voce gli sarebbe uscita tremante.
"E Darius... voglio che sia lei, in futuro, a decidere della sua vita. Niente matrimoni combinati, niente imposizioni, niente di niente. Solo lei, con le sue vittorie e i suoi sbagli. Puoi promettermelo?"
"Non te lo posso promettere Cassy... te lo voglio giurare."


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12 luglio 2007, Azkaban



"Isaiah!" Esclamò Elliot sorpreso, vedendo il fratello comparire di punto in bianco davanti a lui. "Come... come hai fatto ad entrare?"
"Sono un giudice del Winzengamont ricordi?" Lo prese in giro ironicamente "Ho anche io i miei agganci."
"Questo significa che mi faria finalmente uscire?" Gli chiese speranzoso il minore.
"Purtroppo no: sembra che l'intero Winzengamont sia bloccato, come se stessero attendendo tutti l'arrivo di qualcosa. Anche se non ho ancora capito cosa." Lo informò Isaiah, sospirando e andando a sedersi sul letto. "Sono qui per la telefonata che mi hai fatto ieri: puoi spiegarmi esattamente cos'è successo tra te e Cassiopea Black? E, soprattutto, da dove hai preso tutte quelle notizie che la riguardano? E non tralasciare nulla Elliot: anche il più piccolo indizio può essere importante per toglierti dai guai."

Dopo qualche secondo di silenzio, il fratello più giovane sospirò "Me le ha date il suo cameriere, quello che è stato ucciso."
"Samuel Larson?" Replicò Isaiah sgranando gli occhi. "E tu ti sei fidato del loro cameriere?"
"Ci siamo trovati per caso una sera in un bar." Iniziò a raccontare Elliot "E mi ha detto che, se volevo attaccarli, non potevo usare nulla della loro vita di coppia. L'unico modo che avevo era guardare 'alla base'. Ciò poteva significare una cosa sola: c'era qualcosa di strano nel loro contratto di matrimonio." Spiegò Elliot "E infatti, spulciando le carte, ho visto che era vero: secondo il contratto, se Cassiopea dovesse risultare mezzosangue - e Darius ne dovesse fare richiesta - il loro matrimonio diventerebbe automaticamente nullo."


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Febbraio 2007, Scozia, Isole Orcadi, Westray


"Il letto lo lascio a te, io dormirò sul divano." Comunicò Darius cavallerescamente, dirigendosi verso tale mobile e iniziando a sistemarsi per la notte.
"Guarda che ci stiamo comodamente tutti e due." Gli fece notare Eleanor, togliendosi la finta fede dal dito e appoggiandola sul comodino.
"Lo so." Replicò l'uomo "Ma Cassiopea ha già fatto un macello sapendo che lavoreremo a stretto contatto per una settimana, fingendo di essere sposati. Non voglio neanche immaginare cosa potrebbe combinare, se dovesse venire a sapere che abbiamo anche dormito insieme." Spiegò sistemando un cuscino. "Fidati, è meglio così."
"Questo albergo appartiene ai Pater e non possiamo permetterci il minimo errore." Obiettò lei scettica "Se un cameriere dovesse entrare mentre dormiamo e vedere che non condividiamo lo stesso letto..."
"Potrebbe sempre pensare che abbiamo litigato e che sia stata tu, a confinarmi sul divano." Rispose il russo con una scrollata di spalle "Non è così raro in fondo, tra le coppie sposate."
"Perchè, tua moglie lo fa spesso?" Si interessò a quel punto Eleanor, decidendo di chiudere lì il discorso sul 'letto condiviso'.
"Qualche volta." Replicò Darius, lasciandosi scappare un sorriso al pensiero della sua vera moglie. "E sicuramente lo farà non appena tornerò a casa..." Aggiunse ripensandoci.

Cassiopea non era stata per niente felice di sapere che sarebbe stato lontano da casa per un'intera settimana - o forse anche di più, a seconda di come sarebbero andate le cose - per andare in missione.
E ancora di meno quando aveva scoperto che ci sarebbe dovuto andare con una sua collega.

Donna.
Eleanor Parker.
L'unica, fra le sue colleghe donne, che Cassiopea non riusciva proprio ad accettare per niente.

Darius sapeva, ovviamente, della cotta - non corrisposta - che la rossa nutriva per lui, ma l'odio di sua moglie era troppo viscerale per poter essere dovuto soltanto a quello.
Quando le aveva presentate la prima volta infatti, ad una festa del Ministero, Cassiopea l'aveva fulminata con lo sguardo prima di commentare a denti stretti di "avere già avuto il piacere di conoscerla". Poi se n'era andata, trascinandoselo dietro quasi di peso.
Ma a cosa sua moglie si riferisse, non l'aveva mai scoperto.

"Quindi, tantovale che inizi ad allenarmi fin da subito." Concluse l'uomo con ironia, scuotendo la testa.
"Ma... avete un centinaio di stanze in quella villa" Obiettò la sua collega sgranando gli occhi e accomodandosi sul letto "Perchè proprio il divano?"
"Veramente le camere da letto sono solo 35. E la metà appartengono a Nihal e Gillian ormai, visto che la Villa l'abbiamo divisa con loro." Replicò Darius dopo un breve calcolo mentale.
Vedendo però che Eleanor stava comunque per protestare, si affrettò ad aggiungere "In ogni caso lo fa perchè dice che così, se sto scomodo, ci metterò meno a chiederle scusa... anche se, in realtà, finiamo solo per stare scomodi in due." Concluse con gli occhi che emanavano scintille divertite.
"In che senso, state scomodi in du...?" Iniziò a domandare Eleanor prima di interrompersi di colpo, sgranando gli occhi. "Oh!" Esclamò in un momento di comprensione. "Non riuscite proprio a starvi lontano eh?" Domandò con una smorfia.
"E la mattina dopo borbotta arrabbiata, dandomi anche la colpa per il suo maldischiena." Completò il quadro l'uomo.
"Ma che senso ha confinarti sul divano, se poi ti raggiunge subito?" Domandò a quel punto la donna, non riuscendo comunque a tenere a freno la sua curiosità.
"Questo dovresti chiederlo a mia moglie." Replicò Darius divertito "Ma ti posso assicurare che la cosa ha comunque una sua... utilità."

Le ultime due parole le disse assumendo un tono volutamente malizioso, così Eleanor, capendo l'antifona, si premette le mani sulle orecchie. "Ok, ho capito. Non andare oltre." Lo pregò.

"Per esempio" Continuò però l'uomo, figendo di non sentirla "sono quasi certo che Antares sia stato concepito dopo la litigata a seguito della missione in Irlanda del No..."

Non riuscì a finire la frase, visto che la collega lo centrò in pieno tirandogli un cuscino addosso.

"Ho capito Darius. Non avevi bisogno di specificare." Ripetè "E comunque, per essere un Auror, i tuoi riflessi fanno davvero schifo."
Per tutta risposta, l'uomo agguantò il cuscino, sistemandolo insieme al resto delle coperte. "Veramente me lo sono fatto lanciare apposta: un cuscino era l'unica cosa che mi mancava ancora per stare comodo!" Commentò rivolgendole un occhiolino "Quindi grazie mille Parker. E, ovviamente, buonanotte."

Detto ciò si trasfigurò i vestiti in un comodo pigiama e si rintanò sotto alle coperte, spegnendo le luci senza chiedere il permesso alla ragazza, che sbuffò contrariata.

"Inizio a capire perchè Cassy ti confini spesso sul divano." Borbottò Eleanor roteando gli occhi, prima di coricarsi a sua volta, sentendo in risposta la risata soffocata - probabilmente proprio grazie al suo cuscino - di Darius.


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14 luglio 2007, Villa Black



"Quindi mio padre è in città."
"Esatto." Confermò Alexis "Io... ho pensato che fosse giusto informarti."
"Sai per caso come sta agendo?" Domandò Darius, appoggiandosi con il busto al muro.
"Mi ha chiesto di trovare un modo per convincerti a fare la richiesta di annullamento, ma non so se nel frattempo sta elaborando qualcos'altro... ha detto che vuole che tu sappia della sua presenza soltanto all'ultimo." Rispose Alexis, sentendosi improvvisamente in colpa per non sapergli dire di più... ma soprattutto per aver tergiversato per due giorni prima di informarlo.
"Sì, allora sta sicuramente agendo anche su altri fronti." Considerò Darius, avviandosi verso la porta. Lo conosceva abbastanza per riconoscere il suo modus operandi.
"Dove vai?" Gli chiese a quel punto la cugina.
"Ad informare mia moglie della cosa... fidati, è meglio che ne venga a conoscenza subito: se dovesse scoprire che le sto nascondendo una cosa così importante sono finito." Rispose lui.

Non fece in tempo ad allungare la mano verso la porta però, che qualcuno bussò dall'esterno.
"Signor Levenvolde?" Lo raggiunse subito dopo la voce di Cata. "Forse è meglio se viene giù... SUBITO... in salotto sta succedendo davvero di tutto!"



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Marzo 2001, Dipartimento Auror



Vedendo una ragazza bruna prima dirigersi a passo spedito e poi iniziare a trafficare attorno a quella scrivania, Eleanor aggrottò confusa un sopracciglio.
Dopo parecchi minuti, vedendo che la ragazza continuava imperterrita le sue manovre, decise di dirigersi lì, cercando di attirarne l'attenzione schiarendosi la gola.
Tentativo che venne però letteralmente ignorato dalla destinataria.

"Sei una stagista?" Si ritrovò a quel punto a domandare l'Auror, sempre più perplessa. E con un tono di voce reso vagamente irritato dall'indifferenza che mostrava l'altra ragazza.
Solo a quel punto la sua interlocutrice voltò lo sguardo nella sua direzione.

Ed Eleanor si ritrovò, a disagio, a dover
quasi fare un passo indietro mentre degli occhi azzurro grigi le lampeggiavano contro. Solo tutto il suo autocontrollo Auror le impedì di compiere quel gesto.

"Parli con me?" Domandò infatti la ragazza bruna, con tono di voce piatto, mentre tirava indietro la sedia e vi si accomodava sopra.
"Sì, sto parlando con te." Rispose a quel punto Eleanor, cercando di mantenere la calma. "E ti comunico che non puoi usare quella scrivania."Non è tua. E tantomeno la sedia! E..."
"Questo è tutto da vedere." Replicò però la ragazza interrompendola, prima di aprire la borsa, appoggiarla sulla scrivania ed estrarne una copia della Gazzetta del Profeta, che si mise a leggere con no chalance, come se l'Auror non esistesse proprio.

La rossa rimase per qualche secondo completamente spiazzata da quel comportamento assolutamente menefreghista, ma poi si riprese scuotendo la testa. "Ma chi ti credi di essere?" Sbraitò a quel punto incredula.
Solo dopo quella domanda, l'altra sembrò prestarle finalmente attenzione.

Tirò giù il giornale molto lentamente, in modo da scoprire il suo volto un centimetro alla volta - fulminandola ad ogni centimetro - poi, dopo averle indirizzato un sorriso tanto cordiale quanto falso, si presentò. "Sono CassiopeaBlack, lavoro al quinto livello - alla Cooperazione Magica Internazionale - e questa è la scrivania del mio fidanzato." La informò, lasciando Eleanor a bocca spalancata.

Darius era fidanzato? Non che parlasse molto della sua vita privata con i colleghi, ma quella era davvero una sorpresa.

Non fece però in tempo a metabolizzare la notizia, perchè Cassiopea riprese il discorso "Oh! Tanto per la cronaca: mio nonno mi ha insegnato che agli sconosciuti va dato del lei, finchè non hai l'assoluta certezza di chi ci si trova davanti. Ma a te evidentemente questo tipo di educazione...manca."
"Parker!" Le interruppe in quel momento Aaron, rientrato nell'ufficio in quel preciso istante e avendo nasato immediatamente la situazione. "Cassy!" Esclamò poi, voltando la testa verso la purosangue "Come stai? Darius dovrebbe rientrare tra una mezz'ora, se vuoi aspettarlo per il pranzo." La informò cercando di mantenere un tono pacato, per smorzare la tensione che avvertiva nell'aria. "Eleanor seguimi. Ho bisogno di te di là."



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21 giugno 2007 (giorno dell'omicidio)



Quando Darius rientrò in casa, trovando Cassiopea ad attenderlo torva con le braccia incrociate sopra al pancione capì subito che qualcosa non andava.
L'espressione furiosa sul volto della moglie diceva tutto.
E, purtroppo per lui, aveva anche già una vaga idea di che cosa l'avesse fatta scattare in quella maniera.

"Quando avevi intenzione di dirmelo?" Domandò la ragazza con voce gelida, sventolandogli sotto al naso quel modulo, dandogli così conferma della sua teoria.
"Domani mattina, dopo la festa... so quanto ci tieni, quindi te ne volevo parlare con calma dopo." Provò a mantenere la situazione sotto controllo lui.
"Ah davvero?" Replicò però lei, assottigliando pericolosamente gli occhi. "E' da tre giorni che Aaron te l'ha firmato!"
"Ed è da due settimane che ti occupi della festa. Cos'avresti fatto se te l'avessi detto?" Provò a farla ragionare.
"L'AVREI ANNULLATO PER AVERE IL TEMPO DI UCCIDERTI SENZA TESTIMONI INTORNO!" Scattò Cassiopea, alzandosi in piedi di scatto. "SONO AL SETTIMO MESE! HO BISOGNO DI CALMA, NON DI... QUESTO! LO SAI CHE ODIO QUANDO VAI IN MISSIONE E STAI LONTANO DA CASA PER COSI' TANTO!"
"Cassy..." Provò a farla ragionare lui, prima di venire bruscamente interrotto.
"Ed eccolo che arriva! Sentiamo... quale scusa mi rifilerai questa volta?" Lo prese in giro ironica.
"Lo sai che queste cose le facciamo a turni nell'Ufficio." Le ripetè per l'ennesima volta, cercando di mantenere un tono di voce pacato. "Aaron cerca sempre di dividere le cose equamente tra tutti."

Di solito sua moglie non faceva tutte quelle storie: certo, sbuffava parecchio, ma alla fine accettava la cosa. Ma in gravidanza, a causa soprattutto degli ormoni, era tutta un'altra questione.

"AARON NON HA UNA MOGLIE INCINTA! NON HA NEANCHE UNA FIDANZATA DA QUEL CHE MI RISULTA! QUINDI PERCHE' NON CI VA LUI A RISCHIARE LA VITA? PER UNA STRAMALEDETTA VOLTA NON POTEVI RIFIUTARE? UNA! NON CI SEI SOLO TU IN QUEL DIPARTIMENTO!"
"Perchè ci è andato proprio lui con Aysha l'ultima volta." Le rispose Darius senza ragionare, mordendosi la lingua subito dopo. "Cassy, lo sai che un giorno in missione corrisponde a tre di vacanza e che quindi potrò..." Si affrettò ad aggiungere, sperando così di non farle notare la conseguenza logica di ciò che aveva appena detto.

Troppo tardi.

Potrò stare a casa con te tutto l'ultimo mese della gravidanza. Avrebbe voluto dirle.
Peccato che non fece in tempo.

"NON POSSO CREDERE CHE TU L'ABBIA DAVVERO FATTO!" Strillò però lei interrompendolo e iniziando a camminare per il corridoio per sfogare i nervi, aprendo subito dopo una porta a caso e facendo esplodere in un eccesso di magia involontaria un vaso posto sopra ad un tavolino.



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* nella traduzione italiana si è fatto confusione tra "half blood" e "mud blood", rispettivamente "mezzosangue" e "sangue sporco". I primi hanno comunque una discendenza magica che in qualche modo giustifica la loro magia (es. Harry Potter: suo padre era un purosague) invece i secondi sono maghi nati all'interno di famiglie completamente babbane (es. Hermione Granger).
Nella mia testa a Durmstrang non fanno entrare solo i "sanguesporco"... ed è solo che nel film che l'Istituto Nordico diviene una scuola esclusivamente maschile.

Visto che, escluso questo, mancano in tutto 4 capitoli alla fine (lo speciale, Melisandre, Julia e l'epilogo) vi avviso che accelererò un po' i tempi di pubblicazione perchè vorrei concludere la storia entro fine mese.
Il prossimo sarà il capitolo speciale ;)
Ciauuu!


ps: per chi volesse, ho aperto le iscrizioni per una nuova interattiva (questa volta niente famiglie purosangue coinvolte :P). Se volete darci un'occhiata potete cliccare QUI


Cassy_e_Darius_2 Cassy e Darius (sì, ho trovato la foto dei 2 PV insieme *-* ) 


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Capitolo 20
*** Speciale ***


17
Ciao a tutti!

Questo capitolo non porta avanti la storia, ma semplicemente spiega molte cose che sono ad essa collegate e che fanno
capire meglio il background, approfondendo "indizi" che ho disseminato in giro. Perciò non tutti i personaggi saranno presenti.
Tratta anche di tematiche delicate ma non ho sforato il rating arancione.

Spero vi piaccia!



- Speciale -



"Perchè hai accettato di firmare una cosa del genere?" Domandò Cecilia con tono scandalizzato.
"Sil... tu non hai idea di come fosse quel contratto all'inizio, quali condizioni vi fossero contenute, quali condizioni il padre di Darius ha cercato di imporci - di impormi - per il nostro matrimonio." Sospirò Cassiopea "La versione che ho sottoscritto è niente, in confronto."

(cap. 15 - Theophile Larson)


ottobre 2001, San Pietroburgo, Villa Levenvolde



"Non capisco proprio quale possa essere il problema, ancora." Sottolineò Altair inarcando un sopracciglio, appoggiando contemporaneamente una mano sulla spalla di Cassiopea per tranquillizzarla. "Avevate detto che nel contratto con i Vukovic c'era una clausola con una penale da pagare se il matrimonio fosse saltato gambe all'aria, penale che noi Black ci siamo offerti di pagare interamente, nonostante la volontà di farvi rescindere dal contratto non sia attribuibile soltanto alla nostra famiglia. Il nostro cognome è uno dei più importanti di Inghilterra, pertanto più che adatto al rango sociale della vostra famiglia. La dote che la sposa porta, nonostante la penale pagata interamente con i nostri beni, è parecchio consistente. La ragazza, come avete potuto valutare voi stessi da diversi referti medici, è giovane, in salute e fertile, pertanto riuscirà a generare degli eredi senza problemi. Senza contare che è anche molto bella, quindi di sicuro non vi farà sfigurare agli eventi mondani." Continuò, chiedendo mentalmente scusa a Cassiopea per averla dipinta come una bestia da ingravidare, oltre che una bambolina. Esattamente ciò che lei odiava di più.

Se Antares l'avesse sentito, sarebbe uscito dalla tomba per trascinarlo dentro con lui.
Ed Elizabeth gli avrebbe dato sicuramente una mano.
Non che lui fosse da meno: si sarebbe preso volentieri a calci da solo. Ma d'altra parte sapeva perfettamente che era quello, ciò che Alexej Levenvolde voleva sentirsi dire.
E sapeva che Darius e Cassiopea, una volta sposati, non sarebbero andati a vivere in Russia.

"Quindi per quale motivo l'ufficializzazione del loro fidanzamento risulta ancora così distante?" Domandò alla fine. Cosa diavolo vuoi ancora? Avrebbe voluto dirgli.

"Quello che voi dite è vero signor Black." Concordò immediatamente l'uomo "Tuttavia ci sono dei... piccoli dettagli... che ancora non sono chiari."
"Ad esempio?" Domandò a quel punto Altair mantenendo la sua solita maschera impassibile, nonostante la voglia di schiantare l'uomo davanti a lui diventasse ogni secondo più insaziabile.
"Ad esempio lo status sanguinis della ragazza." Rispose immediatamente Alexej.
"Purosangue, certificato dall'atto di nascita e riconfermato dal testamento di suo nonno." Specificò l'auror, quasi con voce annoiata.
"E la sua dubbia verginità. Lei è vergine signorina Black?" Domandò il Ministro, rivolgendo la domanda a Cassiopea direttamente in inglese, non essendo a conoscenza della sua perfetta padronanza della lingua russa.
Ma prima che la ragazza potesse fornire una risposta, fu Altair a rispondere "Devo dunque presupporre che sul serio la vostra volontà sia quella di non arrivare ad un accordo: è cosa nota che è da circa un anno che suo figlio e mia nipote vivono insieme, visto quanto sta andando a rilento questa vicenda. Pertanto la domanda è completamente priva di senso."
"Se fosse stato davvero mio figlio il primo potrei anche chiudere un occhio... ma dalle mie fonti risulta che prima la signorina abbia avuto un altro fidanzato." Insistette Alexej "Un certo Corey Marshall. Sbaglio?"
"Questo avreste potuto chiederlo direttamente a me senza tutto questo trambusto, padre:
sono stato io, il primo." Intervenne a quel punto Darius, seduto dietro di lui, in maniera speculare rispetto a come erano posizionati Altair e Cassy.
"Il signor Marshall invece afferma che..."
"Devo dire, signor Levenvolde, che sta fornendo un'immagine davvero meravigliosa della fiducia che nutre nei confronti dei componenti della sua famiglia se da più adito alle affermazioni di uno sconosciuto che non a quelle di suo figlio." Lo bloccò immediatamente Altair "Di solito, se non si ha fiducia negli altri, è perchè per primi si è disposti a mentire. Ovviamente, se dovessi ragionare come lei, mi verrebbe quasi da chiedermi se non sia proprio lei a nascondere qualcosa."


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Il Ministro Russo si era affrettato ad insabbiare la cosa: per chiunque, sua moglie era morta per delle complicazioni avvenute durante il parto. E nessuna bambina, strega o magonò che fosse, era mai nata.
In effetti, Darius si era sorpreso che suo padre avesse permesso alla bambina di crescere restando in casa con loro.
Non che l'uomo se ne prendesse cura: una domestica aveva sempre desiderato dei figli ma non era mai riuscita ad averne... e lui gliela aveva regalata, più o meno come se si fosse trattato di un cucciolo di animale.

(cap. 17 - Darius Levenvolde)
 


novembre 2002, Toscana, Terme di Calidario (luna di miele di Cassy e Darius)


Sbuffando leggermente per il caldo, Darius si slacciò i primi bottoni della camicia, mentre si lasciava andare mollemente sul letto.
Per lui, che era nato e cresciuto in Russia, già il clima inglese era caldo. Figurarsi quello italiano, dove tuttosommato anche d'inverno le temperature rimanevano relativamente miti.

La scelta di quel posto era stata un compromesso: Cassy aveva affermato che una luna di miele senza costume da bagno era una luna di miele sprecata. Ma a lui, per quanto potesse far gola vedere la moglie con dei miseri costumini addosso - almeno finchè non notava qualche sguardo maschile troppo insistente su di lei - non piaceva l'idea di passare ore ed ore fermo su uno sdraio, esponendosi al sole e a temperature proibitive.
Le terme erano state perciò la soluzione migliore: Cassiopea aveva così la sua preziosa piscina, della quale potevano usufruire entrambi anche in piena notte, mentre spesso di giorno si allontanavano dall'hotel per visitare le città vicine e i vari scavi archeologici e musei sparsi un po' ovunque. Senza contare che, avendo la catena degli Appennini a poca distanza ed andando ormai incontro all'inverno, il clima per Darius non era poi così male.

"Amore capisco che la suite sia grande... ma ti sei persa?" Domandò a voce alta, senza neanche stare ad alzarsi dal letto, allungato sopra ad esso in una posizione di totale relax.
La donna non diede risposta, tuttavia dopo mezzo minuto si presentò direttamente in camera, con in mano dei fogli. "Stavo pensando ad una cosa..." Annunciò avvicinandosi a lui ed accomodandosi a sua volta sul letto. "Non ti ho ancora dato il mio regalo di nozze."
"Non penso che ce ne sia bisogno... ma se è un completino che vuoi farmi scegliere dal catalogo non devi che chiedere." Rispose lui, ricevendo così una piccola pacca sulla spalla.
"Mi sa che ti sto viziando un po' troppo." Replicò Cassiopea sorridendo "No... è una cosa un po' più seria."
"Anzichè un completino è un vestito?"
"Cretino"

Roteando gli occhi, la Black gli porse il primo foglio. Sopra al quale c'era...
"E' la piantina di una proprietà?" Domandò Darius dopo averla scrutata per un po', leggermente confuso.
"Sì, è una Villa che ho ereditato da mio nonno che si trova a Brighton, poco fuori Londra." Spiegò Cassiopea "Pensavo di donarla a tua sorella e a suo marito. Così potranno trasferirsi in Inghilterra, tu e Meissa potrete vedervi tutte le volte che vorrete e nostro nipote Nikolaj potrà crescere in un ambiente più sano rispetto a quello irrespirabile che tuo padre ha creato là. E quando sarà più grande potrà frequentare Hogwarts. Non credo che Alexej si lamenterà se glieli 'togliamo dai piedi'. Che ne pensi? Meglio del completino?" Chiuse il discorso con un sorriso malizioso, giusto per prenderlo in giro.

Per qualche secondo, un silenzio attonito invase la stanza.

"Vuoi... davvero vuoi farlo?" Domandò alla fine Darius incredulo, mentre sua moglie si sistemava a cavalcioni su di lui, posizionandogli le braccia dietro al collo.
"Se non volessi non te l'avrei proposto no?"
"Ti amo."


-*-*-*-


"Il momento è favorevole, visto che abbiamo un Ministro babbanofilo. Se ci hanno tolto gli elfi, potranno anche creare un po' di leggi per modernizzare la situazione... no?" 
"Bisognerebbe cambiare la mentalità di certe persone prima ancora delle leggi. Però non hai torto."

(cap. 7 - Catalina Garcia Lopez)



"E' stata colpa mia! ... Non ho visto un ... uno di loro... e lo zio Elnath si è gettato in mezzo per salvarmi... facendosi colpire al mio posto."
"Ela, stammi bene a sentire" Replicò però Elizabeth, prendendo il volto della nipote tra le mani "Nath era un Auror, sapeva perfettamente a cosa stava andando incontro. E se non avesse cercato di salvarti, lo avrei ucciso io stessa."

(cap. 9 - Aaron Morgan)



aprile 2003, Londra, Ministero della Magia, Atrium


"Come mai, se l'associazione ha come obiettivo quello di cambiare le cose in favore delle donne, è dedicata ad un uomo? Per di più ad uno della sua famiglia?" Domandò Elliot Florence dopo aver abbassato la mano, con un sorriso impertinente sulle labbra, convinto di averla appena messa nel sacco.

Era anche ora che me lo chiedeste, cretini! Due ore di domande stupide e nessuno mi ha chiesto la cosa più ovvia. Pensò invece Cassiopea. Tuttavia si limitò a sorridere cordialmente, come le era stato insegnato fin da piccola, facendo scorrere lo sguardo sotto di lei con studiata lentezza prima di rispondere.

L'Atrium del Ministero della Magia inglese era gremito.Tra giornalisti, familiari e semplici curiosi non c'era un solo angolo libero.

Un po' perchè il nome dei Black aveva ancora una sua importanza. Un po' perchè in molti erano curiosi di vedere dal vivo una delle coppie più chiacchierate e famose dell'anno - formata da lei e Darius. Un po' per il tema trattato, un'assoluta novità nel mondo magico.
Ma soprattutto perchè riuscire a ricevere il patrocinio sia del Ministro della Magia in persona sia di una delle eroine del mondo magico, Hermione Granger, non era una cosa affatto scontata.
Eppure Cassiopea c'era riuscita. E anche piuttosto in fretta.

Erano entrambi lì, in prima fila, insieme alla sua famiglia.

Quando aveva proposto l'idea dell'associazione a Kingsley, la ragazza non si era aspettata di certo di ricevere immediatamente il suo appoggio. Per quanto potesse avere lottato in prima persona contro Voldemort, si trattava pur sempre di un appartenente alle Sacre 28. E per di più uomo.
Invece, proprio quell'uomo, l'aveva totalmente spiazzata.
"Ha il mio totale appoggio, signora Black. Abbiamo combattuto per far sì che le cose cambiassero. Tutte. Non sarà facile ma, per quel che mi riguarda, sono a sua disposizione."
E davvero l'aveva fatto. A partire dalla presentazione in grande stile dell'associazione stessa, per la quale aveva messo a disposizione l'intero Atrium, spendendosi in prima persona per pubblicizzare l'evento.


Prima di rispondere alla domanda, Cassiopea lanciò un ultimo sguardo verso il punto dove si trovavano Altair ed Elizabeth, insieme alle due figlie e i vari nipoti, trovandoli visibilmente commossi. Loro lo sapevano già cosa stava per dire. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere, se non avesse avuto il loro consenso.

"Elnath Black non è stato un nome preso a caso: durante la battaglia finale contro Voldemort" Nonostante fossero passati quasi cinque anni, un mormorio di sorpresa si alzò dalla folla sentendo pronunciare quel nome "ha fatto scudo con il suo corpo a sua nipote Elaine, la figlia di sua sorella. Un gesto simile di solito ce lo si aspetta da una madre, non da uno zio. A meno che non ci sia un tornaconto. Mia cugina Elaine è una ragazza e come tale non può portare avanti il cognome di famiglia. Non è neanche una Black. Eppure Elnath non ci ha pensato due volte a dare la sua vita per salvarla. Semplicemente perchè l'amava e voleva proteggerla. Mi domando in quanti, tra i componenti delle varie famiglie purosangue qui presenti, sarebbero stati disposti a fare altrettanto, visto che molti uomini usano ancora noi donne come oggetti, utili solo per generare una discendenza o concludere affari. Quando la risposta sarà 'tutti', allora questa associazione non avrà più ragione d'esistere."




il mattino seguente, Villa Burke - Selwyn


"Assolutamente ridicolo!" Con un gesto secco, Frederick Selwyn chiuse il giornale. Poi tornò a concentrarsi sulla colazione, mentre Sylvia lo osservava di sottecchi.
"Cos'è che trovi ridicolo Frederick?" Gli domandò giusto per dimostrargli di stare ascoltando, mentre in realtà non gliene poteva fregare assolutamente nulla.

Se c'era qualcosa che dava fastidio a suo marito, a lei non poteva che far piacere.

"L'idea che Cassiopea Levenvolde sta cercando di far passare! Come se davvero le interessasse qualcosa delle tematiche che dice di portare avanti con la sua associazione, addirittura a favore di tutte le donne della comunità magica inglese!" Rispose l'uomo "Te lo dico io: quella si è già stufata di suo marito e vuol trovare un modo per chiudere il suo matrimonio!"
"Mi sembra altamente improbabile quello che dici, visto che sono sposati da pochi mesi." Gli fece notare Sylvia, appellando il sacchetto per la manicure. E hanno anche lottato parecchio per riuscirci.

Non come me, che sono stata costretta a sposarti. Io sì, che mi sarei liberata di te dal primo giorno, se solo ne avessi avuto l'opportunità. 

"Oppure è semplicemente un burattino nelle mani di qualcun altro, come ad esempio quel suo zio Auror, che vuol far tornare in auge il nome dei Black." Continuò a dire Frederick senza neanche ascoltarla "Insomma, una semplice mossa politica mascherata. E la Black è pur sempre una bella bambolina da guardare, giusto per vendere meglio la cosa al pubblico. Inoltre è anche incinta: il pubblico adora queste cose."
"E quale sarebbe la mossa politica?" Domandò a quel punto Sylvia con la voce più ingenua che le riuscì, smettendo di colpo di limarsi le unghie e alzando la testa per scrutare incredula il marito.
"E' semplice: i Black hanno nasato che c'è aria di cambiamento. Quindi che fanno? Fanno dimenticare a tutti che durante la guerra stavano dalla parte dell'Oscuro Signore, facendo finta che uno di loro sia morto in battaglia dalla parte dei buoni - loro dicono così, ma chi ci garantisce che non stesse combattendo con i Mangiamorte? - e poi lo usano per dare il nome ad una associazione che dovrebbe cambiare le cose." Spiegò lui brandendo un cucchiaino "Così, mentre tutti li acclamano, loro fanno finta di fare qualcosa per migliorare la società mentre in realtà rimangono nelle loro posizioni di privilegio. Ma, ovviamente, non faranno assolutamente nulla. In fondo pensaci: tutti dicono che il nuovo Ministro sia il meglio che poteva capitarci, ma è pur sempre uno Shacklebolt, un appartenente alle Sacre 28. Quindi il potere, alla fine, è sempre nelle nostre mani. I Black sono stati semplicemente i primi a riposizionarsi." Completò il discorso con aria soddisfatta.

Sylvia, davanti a quel discorso privo di logica, storse il naso. Era chiaro che quello che diceva suo marito era completamente insensato.

Certo, Bellatrix Black era stata conosciuta in guerra per le sue atrocità, ma anche altri Black vi avevano partecipato, schierati su fronti opposti.
E le dichiarazioni dello stesso Harry Potter, una volta finita la guerra, avevano sottolineato la cosa più volte. Alla fine dei conti c'erano stati molti più Black schierati dalla parte dei "buoni" che non da quella di Lord Voldemort.
Conosceva abbastanza bene Cassiopea Black e le sembrava tutto forchè manovrabile, come invece affermava Frederick.
Era molto più probabile che l'idea fosse stata sua e che solo dopo avesse chiesto e trovato l'appoggio della famiglia, oltre che del suo consorte.
Inoltre avrebbe voluto anche fargli notare che in realtà la storia di Elnath Black era reale. E lei lo sapeva più che bene visto che la ragazza salvata, Elaine Burke, era sua cugina.
Tuttavia decise semplicemente di mordersi la lingua. Sapeva già quale sarebbe stata la risposta di suo marito: "Zitta tu! Non vorrai mica affermare che di politica ne capisci più di me vero?"

Sì, meglio lasciar perdere.
E sì, lei era evidentemente nata nel ramo dei Burke sbagliato, purtroppo per lei.

"Se lo dici tu sarà vero." Si limitò ad affermare "Ma se per puro caso dovesse invece andare avanti con la sua associazione?" Domandò comunque, giusto per provocarlo.
"Non lo farà." Affermò sicuro Frederick. "Ma se proprio dovesse succedere è chiaro che la fermeremo: il Winzengamont - e di conseguenza la scrittura delle leggi - è ancora in gran parte in mano a noi purosangue, per fortuna. Nessuno vuole una cosa inutile come il divorzio. Ed è chiaro che voi donne, senza di noi, non siete in grado di fare nulla, neanche trovare marito. Figurati se quella riuscirà a far passare una legge simile!"

Se dovesse riuscirci, tu saresti finito.
Io punto su di lei.

Mentre ritornava a farsi le unghie, mostrando più menefreghismo di quanto ne avesse a disposizione, Sylvia si appuntò mentalmente di tenere monitorati i movimenti di Cassiopea, oltre che di andare a farle visita molto presto.
Chissà che non lo trovasse davvero un modo!


-*-*-*-


"Come vanno le cose con l'associazione
che hai fondato, Cassy?
" 
"Non ho una risposta precisa da darti." Ammise lei "Dopo il caso Rosier - Nott c'era stata una mobilitazione..."
"Quel caso è stata una autentica genialata, non ti avevo ancora fatto i complimenti.
" Commentò Altair, indirizzando il bicchiere nella sua direzione come per farle un brindisi virtuale.
"...ma poi, a distanza di qualche mese, la proposta di legge è stata bloccata di nuovo."

(cap. 8 - Elliot Alexander Florence)


"E' lei che ha seguito il caso Rosier-Nott, dico bene? Il primo divorzio della storia magica inglese tra purosangue." Insistette Theo.
"Sì, sono stata io." Confermò Caroline.
"Sarebbe disposta a fare di nuovo qualcosa di simile?"
"Non credo sia possibile." Lo freddò però l'avvocatessa in tono secco. "Quello era un tentativo di introdurre un precedente per il divorzio nella società dei purosangue, portato avanti dalla famiglia Black. Un tentativo che ha creato più danni che utili, vista la stretta successiva che c'è stata subito dopo in tutte le leggi sul tema. E' per questo motivo che dubito fortemente che la situazione possa essere replicata."

(cap. 13 - Lysbeth Gwen Chevalier)




2005, Studio Kennox


"Signora Logan?" Domandò la segretaria affacciandosi alla porta dell'ufficio di Caroline dopo aver bussato.
"Di qualsiasi cosa si tratti la risposta è no." Sibilò Caroline.

Quella mattina era oberata di lavoro. E non aiutava per niente il fatto che Alexis, forse per la prima volta da quando lavorava lì, non si fosse presentata per malattia.

"Ehm... mi scusi se mi permetto di insistere... ma dubito che gli interessati rifiuteranno un 'no' come risposta." Replicò la donna in imbarazzo.
"In questo momento potrebbe essere anche il Ministro in persona e la risposta sarebbe comunque no."

La donna chiuse la porta dietro di sè, dando così per qualche secondo a Caroline l'illusione di averla avuta vinta.
Peccato che dopo pochissimo venne riaperta.
"Amanda se dico no è n..." Sbottò l'avvocatessa prima di bloccarsi a metà frase. "Cassy! Ciao!" La salutò, rimodulando subito il tono da arrabbiato ad allegro. "Cosa posso fare per te?" Domandò alla fine con tono di voce rassegnato, senza neanche provare a discutere e lasciando perdere immediatamente ciò sul quale stava lavorando.

Sapeva che sarebbe stata soltanto una perdita di tempo inutile, provare ad opporsi.


"Credo di essere venuta a portarti il caso del secolo, col quale diventerai famosa in tutti i tribunali dell'Inghilterra magica." Rispose la Black sorridendo ampiamente.
"Se questo significa altro lavoro in più, ne faccio volentieri a meno." Replicò Caroline sarcastica, indicando con un cenno del capo la mole di cartelle e fascicoli presenti sulla sua scrivania.
"Oh no, sarà una cosa davvero molto semplice." Disse Cassiopea continuando a sorridere e facendo cenno a qualcuno di entrare.

Una coppia sulla quarantina fece così il suo ingresso nell'ufficio e la Fisher capì a colpo d'occhio che si trattava senza ombra di dubbio di due ricchi purosangue. Il portamento fiero e regale e i vestiti di foggia pregiata erano soltanto alcuni degli indizi che lo gridavano a gran voce.
"Caroline Fisher ti presento Joseph Rosier e sua moglie Amelia Nott." Le confermò infatti la Black.
L'avvocatessa stava per alzarsi in piedi per porgere loro la mano e dire che era un onore fare la loro conoscenza, quando la voce di Cassy la bloccò a metà "Vogliono divorziare."

"Cos'è, uno scherzo?" Domandò a quel punto Caroline sbarrando gli occhi. "Sarebbe questo il lavoro 'semplice'?" Domandò incredula "Non esiste il divorzio nel mondo magico!"
"Esisterà." Tagliò corto la Black, agitando la mano in aria con noncuranza. "Amelia?" Domandò poi, girandosi verso la donna con un sorriso incoraggiante.
"Vede signora Logan..." Iniziò Amelia con voce titubante, che divenne però sempre più decisa man mano che andava avanti con il racconto "Io e Joseph ci siamo sposati più di 20 anni fa. Eravamo ottimi amici e così le nostre famiglie hanno combinato il matrimonio. Abbiamo avuto anche un figlio, che è ormai adulto, ma resta il fatto che non siamo mai stati innamorati l'uno dell'altro. E abbiamo svolto quasi da subito vite separate. Ma adesso ho ritrovato il mio vecchio amore, al quale ho dovuto rinunciare per sposare Joseph e non voglio rinunciare a lui una seconda volta. E mio marito è d'accordo." Continuò mentre Joseph annuiva con vigore al suo fianco.
"Poi, se con la nostra situazione riusciamo ad aiutare anche Cassiopea e la sua associazione, siamo ancora più disponibili a tentare." Confermò l'uomo.
"Tutto questo è molto commovente signori ehm ... Nott?" Rispose Caroline incerta, non sapendo più come chiamarli.
"Mi chiami Amelia" 
"Mi chiami Joseph"
"... ma rimane il problema di fondo: non esiste il divorzio." Completò l'avvocatessa.
"Sì che esiste." La contraddisse però Cassiopea.
"Sì certo, in Canada e in Australia." Replicò Caroline "Ma..."
"No, non parlo di Canada e Australia. Parlo del divorzio che c'è qui, in Inghilterra." Insistette la Corvonero.
"Ok, sono ufficialmente confusa." Ammise a quel punto Caroline.

"Avvocato Fisher... sto parlando del divorzio babbano: Amelia e Joseph sono già d'accordo su tutto, compresa la divisione dei beni, quindi il giudice babbano non dovrebbe impiegarci molto per emettere la sentenza. Una volta ottenuta, il tribunale magico sarà costretto a riconoscerla."


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"Quindi avremo la tua - sempre gradita, intendiamoci eh! - presenza qui a Villa Black ancora per molto oppure la nottata è bastata per chiarirti le idee?" Domandò Gillan, assumendo un sorriso vagamente malizioso.
"Non vorrei altro che tornare a casa con lui" Ammise sospirando la Weiss "Solo che... dove stai andando?"
"Ti porto in un posto che potrebbe aiutarti a decidere. Andiamo, seguimi!"

(cap. 14 - Cecilia Alya Weiss)


9 luglio 2007


Dopo aver memorizzato l'indirizzo che Gillian le aveva dato, Cecilia vide il foglietto di carta prendere fuoco tra le sue mani. "Mi stai portando in un posto coperto da Incanto Fidelius?" Domandò, riconoscendo gli effetti dell'incantesimo.
"Esatto, vieni." Le rispose la cugina, porgendole la mano per guidarla nella smaterializzazione.

"Che posto è?" Domandò la rossa curiosa, trovandosi di punto in bianco in un grande ambiente arieggiato che si affacciava su un cortile.
"Si tratta della sede fisica dell'Associazione." Rispose la Corvonero, iniziando ad avanzare con passo deciso lungo il corridoio. "Qui vengono ospitate in via temporanea le donne che vogliono fuggire dai mariti... e i loro eventuali figli. Ma la nostra meta è un po' più avanti."
"Quante persone state ospitando al momento?" Chiese Cecilia, incapace di trattenersi.
"Troppo poche rispetto a quante ne avrebbero davvero bisogno." Fu il commento amaro di Gillian "Magari qualcuna viene a chiedere aiuto, ma poi non trova il coraggio di andare oltre. E preferisce restare con un marito imposto... e magari anche violento." Concluse con una smorfia, arrestandosi davanti ad una porta di legno. "Ecco, siamo arrivate." Concluse con un tono di voce alquanto cupo.
"Cosa mi devo aspettare di trovarci lì dietro?" Domandò a quel punto l'ex tassorosso, iniziando davvero a preoccuparsi, appena prima che Gillian abbassasse la maniglia e aprisse la porta.

Davanti a loro, dentro ad un lettino e attaccata a diverse apparecchiature in un mix di medicina sia magica che babbana, c'era una ragazza profondamente addormentata, probabilmente in coma.
"Merlino! Cos'ha?" Mormorò Cecilia incredula, sbarrando gli occhi orripilata, prima di riuscire a riconoscere il volto della poveretta.

"Livia Rowle in Carrow." Le confermò Gillian chiudendo la porta, lasciandosi così quello spettacolo pietoso alle spalle. "Probabilmente hai visto le sue foto sul giornale, tra le persone scomparse. Ce l'ha portata Aaron: si è smaterializzata nel suo ufficio e poi ha perso i sensi. Non sappiamo neanche come abbia fatto, sinceramente, ad arrivare fin lì, visto come era ridotta. Le abbiamo fornito tutte le cure possibili e fisicamente, ormai, sta bene. Ma le manca la volontà di tornare a vivere."
"E' stato... suo marito?" Domandò a quel punto la rossa, ormai iniziando ad intuire perchè sua cugina l'avesse portata lì.
"Sì." Annuì la bruna "Sto per farti un discorso davvero molto molto molto ipocrita Sil, perchè non posso neanche immaginare cos'hai dovuto passare con gli aborti che hai subito. Non voglio pensarci, non voglio immedesimarmi e spero di non ritrovarmi mai a dover affrontare una cosa del genere in futuro. Per Circe! Se penso che mi sarebbe potuto succedere con Perseus od Electra mi manca l'aria! Ma scappare di casa e da Aster non è la soluzione. Hai un uomo che ti ama quanto lo ami tu, cosa non è così scontata nel nostro mondo - te l'ho detto, sono un'ipocrita. E poi ci siamo noi, che saremmo disposte anche a farci in quattro per te: Villa Black sarà sempre a tua disposizione, così come noi saremo sempre disposte ad aiutarti in qualsiasi situazione. Ma preferiremmo cento volte ospitarti lì per una vacanza con Aster perchè avete voglia di cambiare aria o perchè vi manchiamo piuttosto che per una fuga dalla realtà senza di lui. Capisci cosa sto cercando di dirti?"
"Sì." Rispose Cecilia asciugandosi una lacrima "Credo proprio di sì."


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"Mi dici cosa sta succedendo Cassy? C'entrano mio padre e il nostro contratto prematrimoniale per caso?" Domandò Darius confuso.
"Per ora no... ma potrebbero sempre saltare fuori." Replicò lei, quasi nascondendosi nel suo petto. "Il fatto è che... credo di avere trovato..." Per un attimo si interruppe, chiudendo gli occhi e respirando a più riprese "mio... mio fratello. O meglio... è lui che ha trovato me."

(cap. 14 - Cecilia Alya Weiss)



"Quindi è davvero tuo fratello." Realizzò a quel punto Darius.
La sua frase però scatenò una risata isterica nella moglie. "Non farmi ridere Darius: Alphard Carter non è mio fratello. E' soltanto un ragazzino di 17 anni che ha riconosciuto per caso la foto di sua madre sull'articolo di Florence e con il quale, a quanto pare, condivido il 50% del DNA."
"Un ragazzino che, appena ha riconosciuto la foto, è venuto fin qui per avere l'opportunità di conoscere la famiglia materna. Ti ricorda qualcuno?" Intervenne a quel punto Nihal.
"Se mi stai suggerendo che dovrebbe ricordarmi te, ti faccio presente che le vostre situazioni sono completamente diverse. E non tutti hanno una concezione di onore e famiglia come ce l'hai tu." Rispose Cassiopea.
"Se non gli dai neanche la possibilità di farsi conoscere davvero, questo non lo saprai mai."

(cap. 16 - Candice Sutherland)


11 luglio 2007


"Sei sicura di volerlo fare?" Domandò Nihal, vedendo come Cassiopea stesse tentennando davanti alla porta.
"No, per niente. Torniamo a casa?"
"Cassy aspet..." Provò a trattenerla acchiappandola per un braccio, mentre quasi contemporaneamente la porta della camera d'albergo si apriva e Alphard Carter, con una valigia tra le mani, ne usciva.

Per qualche secondo l'aria intorno ai tre si immobilizzò, mentre si scrutavano intensamente negli occhi, incapaci di proferire parola.

Fu Nihal a rompere il silenzio. "Ehm... sei in partenza?"
"Io... sì. Torno a casa. Credo di avere recepito il messaggio: non sono benvoluto qui." Rispose Alphard guardando un punto indefinito nel muro poco sopra la spalla della Black. "Facciamo finta che io non mi sia mai presentato. A dire il vero non so neanche perchè sono venuto... è chiaro che questo non è il mio posto. Scusate se vi ho creato del disagio."
"Quindi torni a casa?" Ripetè stupidamente Cassiopea "Torni da... da lei?" Non riusciva neanche a pronunciarlo, il nome della donna che l'aveva partorita.
"Che altro posso fare?" Rispose lui stringendosi le spalle "I miei genitori neanche lo sanno che sono qua. Sono convinti che io sia in vacanza con degli amici per festeggiare il mio diciassettesimo compleanno."
"I tuoi genitori..." Ripetè Cassy con un filo di voce, d'un tratto incapace di formulare un discorso coerente, mentre Nihal allungava un braccio verso di lei.
"Sentite... mi dispiace, va bene? Non mi sarei mai dovuto presentare, questo l'ho capito. Non appartengo a questo mondo, al vostro mondo. Ho visto la foto sul giornale, ho riconosciuto la mamma e mi sono precipitato qui senza ragionare. Non lo so neanche io il perchè. Fate finta che non sia mai accaduto."
"Non sei obbligato ad andartene." Provò a mediare Nihal. "In realtà eravamo venuti perchè..."
"Dove abitate adesso?" Lo interruppe però Cassiopea, riprendendosi quasi di colpo.

Alphard la guardò confuso per un attimo, prima di rispondere titubante "In Irlanda del Sud, a Tralee. E' una piccola cittadina sulla costa... perchè?"
"Voglio parlare con... lei." Rispose la ragazza, portandosi al contempo una mano sul pancione.
"CHE COSA?" Domandò Nihal incredulo, strabuzzando gli occhi e girandosi di scatto.

Non erano andati lì per quello!

"Voglio parlare con Selene." Ripetè Cassiopea, con un tono di voce più convinto "E voglio farlo prima del parto. Almeno questo me lo deve."


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Vacanze di Natale 1936, Villa Black


I suoi genitori non avrebbero voluto farlo restare lì per la notte, ma Antares aveva insistito talmente tanto che avevano finito per cedere.
D'altra parte quell'anno era stato il primo per Altair ad Hogwarts, mentre lui ci sarebbe andato soltanto l'anno successivo, insieme a Cassiopea. Perciò il periodo natilizio era una delle poche occasioni che aveva a disposizione per restare con il suo cugino preferito. Tant'è vero che non aveva neanche voluto essere sistemato in una camera diversa.
Nei suoi piani c'era soltanto la volontà di restare in piedi fino a tardi, rimpinzandosi di dolci fino a scoppiare e farsi raccontare da Altair ogni minimo particolare di Hogwarts, oltre che degli incantesimi che aveva già imparato.

Quanto lo invidiava suo cugino, per quel misero anno in più!


Stava quasi per andare a letto, quando delle voci provenienti dal corridoio attirarono la sua attenzione.
O meglio,
forse non l'avrebbero mai fatto se proprio Altair non avesse avuto quello strano scatto.
Da sonnolento e ormai in procinto di addormentarsi, l'undicenne spalancò gli occhi di colpo, facendosi vigile e silenzioso, scattando a sedere sul materasso.

"Cepheus, ti ho detto di no! Lasciami!"
"Non capisco perchè ancora ti opponi: SEI MIA MOGLIE PER DIANA!"

Ecco, forse l'ultima frase l'avrebbe sentita anche senza che Altair lo mettesse in allarme.

"Cepheus ti prego... c'è anche Antares di là..."
"Lui e Altair staranno già dormendo! Muoviti!"
"Per favore no... mi fai male!"
"E sta' un po' zitta!"

Proteste e gemiti soffocati, una porta che veniva sbattuta e poi il silenzio.

Almeno finchè la porta della camera non venne aperta.
"Altair..." 
Con le trecce ai due lati del viso, la camicia da notte e le pantofole, Cassiopea fece il suo ingresso nella stanza del fratello con le lacrime agli occhi e tremante.
Poi corse a rifugiarsi nel suo letto - dove Altair la stava già aspettando a braccia aperte - sollevata di non dover affrontare quella situazione per l'ennesima volta da sola. "Non andare di là come hai fatto l'altra volta per favore!" Lo pregò tremante "O ti picchierà di nuovo!"
"Ti ha picchiata mentre ero via Cassy?" Domandò a quel punto il ragazzino, con un tono serio che Antares non gli aveva mai sentito. "E voglio la verità."
"N... no... solo la mamma... come sempre... ti prego Altair! Resta qui!" Balbettò la ragazzina scuotendo la testa e aggrappandosi a lui.

Antares, nel frattempo, assisteva alla scena impietrito e orripilato.
Neanche i suoi andavano esattamente d'accordo. Ma suo padre non aveva mai alzato un dito su sua madre.
Quando lui aveva compiuto 8 anni si erano messi semplicemente a dormire in stanze separate, mantenendo però nei loro rapporti una affettuosa cortesia e riversando su di lui tutto l'affetto possibile, forse anche complice il fatto di aver avuto quell'unico figlio abbastanza tardi.
Pensare che suo zio aveva invece alzato le mani anche sul figlio... era semplicemente inconcepibile.

Quanto potevano essere diversi i due fratelli Black?
E quanto potevano essere capitate in due situazioni completamente differenti Erin ed Eileen Rosier, le due sorelle che li avevano sposati?


"Ok, resto qui, tranquilla." La rassicurò alla fine Altair, costretto dalle circostanze a risdraiarsi sul letto, anche se avrebbe voluto lasciare la sorella ad Antares e raggiungere la camera dei genitori - un'altra volta - "Tra pochi mesi riceverai la lettera anche tu e andremo via da qui. E da grande diventerò un Auror, così potrò arrestarlo e proteggervi." Le promise convinto, per cercare di tranquillizzarla. "E ovviamente non ti farò sposare con nessuno! Anzi, ti sposerò io!" Concluse ingenuamente.
"E io gli darò una mano: diventerò un giudice, così se lui lo arresta io lo processo." Chiuse il discorso Antares, cercando a sua volta di rendersi utile per tranquillizzare la cugina e pensando contemporaneamente che mai in vita sua avrebbe fatto una cosa del genere ad una donna o a qualcuno in generale. "E se mai dovessi avere dei figli, di sicuro non li costringerei mai a sposarsi."

Ovviamente nessuno dei tre poteva sapere che, in futuro, quasi tutte quelle promesse sarebbero state mantenute.



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Alphard_Carter Alphard Carter 


Domande della settimana: visto che siamo agli sgoccioli, io di solito faccio una piccola raccolta di OS per raccontare in breve il futuro dei personaggi.
1) siete d'accordo?
2) se la risposta alla domanda 1 è "sì" iniziate a pensare a cosa vorreste nel futuro dei vostri OC e mandatemi tutto per MP


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Capitolo 21
*** 18 - Melisandre McTavish ***


18

Ragazzuole belle, lo so che vi siete un po' sorprese del mio "aver messo il turbo", ma io l'avevo detto che avrei accelerato per concludere la storia entro fine mese :P

Sarà un capitolo abbastanza...
confusionario. E non tutti i personaggi compariranno (scusate!).

Buona lettura! ;)



- Melisandre McTavish -


Melisandre_Mc_Tavish

 Deliverance 
Melisandre McTavish, 3 giugno 1982, ex Corvonero poi Tuonoalato


Melisandre adorava il suo lavoro.
Aveva iniziato per caso, dopo ciò che le era successo a New York, trovando in esso una ottima valvola di sfogo.


(da "Un omicidio per i Black", cap. 3 - Conseguenze)



inverno 1994, Hogwarts, Torre dei Corvonero


Era alquanto raro che Vitious si presentasse nella Torre che ospitava gli alunni appartenenti alla sua casa, perciò, quando lo fece quella sera, Deliverance pensò che l'uomo dovesse fare un annuncio legato al Torneo Tremaghi.
Pertanto non vi prestò attenzione più di tanto
, mentre il professore faceva scorrere lo sguardo sui vari ragazzi presenti nella Sala Comune, come alla ricerca di qualcosa.

Almeno finchè non lo sentì pronunciare forte e chiaro il suo nome.

"Signorina McTavish... può seguirmi nel mio ufficio per favore?"


"Si accomodi." La invitò l'insegnante di incantesimi una volta arrivati alla meta, gettandole un'occhiata quasi compassionevole, mentre un elfo domestico si affrettava ad appoggiare sulla scrivania del the caldo insieme a dei biscotti e a dileguarsi con un inchino.
Confusa dalla situazione, la ragazzina fece quanto le era stato detto.
"Io... mi dispiace, non c'è un modo meno doloroso per dirglielo, quindi andrò dritto al punto." Affermò Vitious tenendo lo sguardo basso. "I suoi genitori... hanno avuto un incidente... in seguito al quale... sono morti."

Deliverance, a quelle parole, sentì un enorme senso di vuoto invaderla. Non versò neanche una lacrima, ma qualcosa dentro di lei si spezzò.

"Che tipo di incidente? Hanno... hanno sofferto?" Domandò tremante, mentre arpionava con la mano il bracciolo della sedia, come per essere sicura di avere ancora un appiglio al quale aggrapparsi da qualche parte.
"Io..." Tentennò l'uomo, che aveva ricevuto la notizia ma senza troppi dettagli allegati.

Meglio cercare di darle quel seppur minimo conforto oppure essere sinceri?


"Questo non lo so." Optò per dirle la verità alla fine. "Gli Auror stanno indagando."
"Cosa ne sarà di me?" Chiese a quel punto Deliverance, con un filo di voce.
"Ho parlato con Silente: ti rimanderemo a casa per qualche giorno, in modo da farti partecipare ai funerali." Le spiegò Vitious, appoggiandole una mano sulla spalla in un vano tentativo di conforto e passando da darle del 'lei' al 'tu' "Poi tornerai qui, per concludere l'anno scolastico, se lo vorrai. Altrimenti potrai trasferirti direttamente dai tuoi nonni, a Boston o a New York, e continuare i tuoi studi ad Ilvermony - siamo già in contatto con la Preside. Mi dispiace davvero tanto Liv."


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"Signor Levenvolde?" Lo raggiunse la voce di Cata. "Forse è meglio se viene giù... SUBITO... in salotto sta succedendo davvero di tutto!"

(da "Un omicidio per i Black" - cap. 17, Darius Levenvolde)



14 luglio 2007, Villa Black



Considerato ciò che era accaduto nelle ultime settimane, Darius, appena sentita la frase di Catalina, non ci pensò due volte a precipitarsi fuori dalla porta, seguito a breve distanza da Alexis.
Ma neanche nella sua più fervida immaginazione avrebbe potuto pensare ad uno scenario simile.

Il suo salotto era letteralmente invaso da persone.

C'era Julia Carlisle che si agitava inutilmente in un angolo, bloccata sia da Aaron che Melisandre.

Ma il suo sguardo non potè che essere attirato dal volto sofferente di sua moglie, seduta a metà delle scale mentre respirava a fatica, stringendo convulsamente la mano a Cecilia e a Candice, mentre Gillian le accarezzava i capelli cercando sia di calmarla che di farla respirare normalmente.

Infine, a pochissima distanza da lui, vide Nihal.
Stava risalendo le scale talmente velocemente che per poco non andarono a sbattere l'uno contro l'altro.

Senza stare a pensarci troppo, Darius lo bloccò.
Voleva precipitarsi da Cassiopea, ma prima doveva assolutamente capire cosa stesse succedendo.

"Sto andando a prendere i bambini." Lo informò immediatamente suo cognato, che aveva il volto completamente stralunato "Julia Carlisle - o come diavolo si chiama - è appena stata arrestata per aver ucciso Samuel Larson... e a Cassy si sono appena rotte le acque."


"Che cosa?" Riuscì soltanto a balbettare Darius, totalmente spiazzato.
Oh porco, porchissimo Grindelwald!



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estate 1996, campagna newyorkese


Mentre guardava i campi rigogliosi di fronte a lei, Liv si trovò a ripensare a sua madre.
Non poteva fare a meno di cercare di rievocarla ogni volta che poteva, rendendosi conto però di ricordare sempre meno dettagli che la riguardavano. Come, ad esempio, il suono della sua voce.
Probabilmente, se non fosse stato per le diverse foto che c'erano, sue e di suo padre, nelle case dei nonni, avrebbe fatto fatica anche a ricordare il loro aspetto.

Ma, almeno quel particolare, lo ricordava molto bene: sua madre aveva sempre adorato i papaveri.
E in quel momento, di fronte a lei, si trovava un enorme campo pieno di quei fiori, rossi come i suoi capelli, che più di una volta avevano affascinato la donna.

Al contrario delle aspettative, si era trovata incredibilmente bene negli Stati Uniti.
Certo, la perdita di entrambi i genitori era sempre lì, a gravarle sul cuore, tuttavia aveva avuto la fortuna di non dover gestire tutto quanto da sola.
I suoi nonni, sia materni che paterni, le erano stati accanto dal primo momento che, tremante, era uscita dal camino di Hogwarts per recarsi al San Mungo. E poi non l'avevano più lasciata, riempiendola di affetto incondizionato.
E lo stesso avevano fatto anche il fratello di suo padre e la moglie, insieme a quello che, entro poche settimane, era diventato il suo cugino preferito: Chris.

Proprio Chris l'aveva convinta a lasciare subito Hogwarts per trasferirsi ad Ilvermony, dove era stata scelta immediatamente dal Tuonoalato. Che probabilmente rispecchiava molto meglio la sua anima di quanto non avesse mai fatto la casa di Corvonero ad Hogwarts.


"Se non ti sbrighi a mangiare quel gelato, finirà per sciogliersi completamente sulla tua mano." La distrasse dai suoi pensier una voce maschile, alquanto divertita, facendola sobbalzare.
Suo cugino, con il suo tipico passo felpato, l'aveva appena raggiunta.
"Stavo ripensando alla mamma." Lo informò lei, stringendo appena le spalle. "Il panorama le sarebbe di sicuro piaciuto." Spiegò indicandogli i papaveri, mentre un piccolo sorriso faceva capolino sul suo viso.
"Allora ne raccogliamo un mazzo e glieli portiamo sulla tomba?" Propose immediatamente Chris, andando ad accomodarsi accanto a lei.
"Credimi Chris... se ci sta guardando, sarebbe più felice di sapere che li abbiamo lasciati lì dove sono a vivere, piuttosto che vederli strappati dal terreno per essere depositati sulla sua tomba."
"Sei sempre stata più saggia di me." Rispose lui depositandole un braccio sulle spalle per attirarla verso di sè. "Sono sicuro che la zia apprezzerà."


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14 luglio 2007, Villa Black


"Cassy..." Borbottò incredulo Darius, che nel frattempo si era sostituito a Cecilia, Gillian e Candice, che si erano affaccendate intorno alla moglie fino a quel momento, per prenderla in braccio "Ti rendi conto che quello che stai dicendo è una assurdità?"
"No che non lo è." Ripetè però lei testardamente, mentre a causa dell'ennesima fitta tornava a stritolargli la mano "Julia - o Victoria o quello che è - mi ha seguito per tutta la gravidanza di Lyra e anche per quella di Antares... non ho alcuna intenzione di partorire con una guaritrice diversa."
"Ma..." Provò nuovamente a farla ragionare lui "E' stata appena arrestata per omicidio!"
"Aaron ha arrestato anche te per lo stesso motivo!" Gli ricordò però Cassiopea "Eppure sei qui. Ha avuto anni a disposizione per farmi del male, se avesse voluto! E Aaron potrà sempre riarrestarla quando avrò finito di partorire, nel caso."
"Cassy!" Protestò a quel punto Darius, incapace però di aggiungere altro.

"Aaron, libera subito quella donna e falle fare il suo lavoro!" Gli ordinò secca la padrona di casa, girando lo sguardo verso l'Auror "Aaargh! ADESSO! Se sto partorendo in anticipo è perchè in questo periodo ho subito una dose molto forte di stress... e tu, arrestando mio marito, hai contribuito. Quindi me lo devi!"

Dal momento però che sia Aaron che Melisandre - come più o meno tutti i presenti - la guardavano come si guardava una pazza, si sentì in dovere di aggiungere "Solo per il parto... Darius sarà dentro con me e se vorrai potrai entrare anche tu, Melisandre. E se prometti di restare dietro, anche tu Aaron. Così la terrete tutti sotto tiro. Ma-non-intendo-partorire-senza-di-lei. Vi prego!"


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15 giugno 2000, Grande Mela


Dopo essere uscita dal negozio, Liv si guardò frettolosamente attorno, sentendo un fastidiosissimo formicolio alla nuca.
Non sapeva dire il perchè, ma aveva l'impressione che qualcuno la stesse osservando. E che lo stesse facendo anche da parecchio.
Eppure, nonostante si fosse guardata intorno diverse volte, non aveva visto nessuno, di sospetto.
Cercando di autoconvincersi che fosse soltanto un'impressione - in fondo era pieno giorno - la ragazza aumentò la presa sulla sporta che aveva in mano e poi imboccò una stradina laterale poco trafficata, che avrebbe dovuto permetterle di eseguire la smaterializzazione che l'avrebbe portata direttamente a casa.

Peccato che la sensazione di essere seguita fosse esatta.

Non aveva neanche fatto mezza giravolta, che qualcosa di scuro venne calato sul suo volto, impedendole così sia di vedere che di urlare.

Fu per lei l'inizio di un incubo.






Così come non si sarebbe mai scordata il giorno del suo rapimento, Deliverance non avrebbe mai scordato neanche quello della sua liberazione.

Aveva passato un tempo indefinito tra le mani di quello psicopatico. Subendo infinite torture, sia psicologiche che mentali.
All'inizio aveva sperato che qualcuno, della sua famiglia o del corpo Auror o anche chiunque altro, riuscisse a ritrovarla in fretta. Ma ciò non era successo.
Perciò aveva iniziato a pregare di addormentarsi e non svegliarsi più.
Ma, purtroppo, non era accaduto neanche quello.

Sembrava che il suo rapitore conoscesse perfettamente i limiti del suo corpo: ogni volta che li stava per raggiungere, si fermava.
Poi, una volta che lei aveva recuperato abbastanza le forze, ricominciava da capo.


Quel giorno però, c'era stato qualcosa di diverso nell'aria: il suo rapitore aveva iniziato a dare i numeri.
Si comportava in modo strano - molto più di quanto non facesse di solito - e aveva iniziato a sussurrarle all'orecchio discorsi stravaganti.
"Ci siamo divertiti molto insieme, vero rossa? Peccato, davvero un peccato. Ma vedi, devo liberarmi di te. Stai iniziando a diventare troppo ingombrante... e poi qualche altra ragazza vorrebbe essere di sicuro al tuo posto... io devo pensare a tutte: non puoi essere così egoista da volermi tutto per te."

Liv avrebbe voluto rispondergli che, per quanto la riguardava, lei non lo aveva mai voluto. E che era sicura di parlare a nome anche di altre ragazze. Tuttavia l'unica cosa che le uscì dalla bocca fu una preghiera.
"Se devi uccidermi allora fallo in fretta." E spero che nessun'altra si ritrovi a dover affrontare ciò che ho subito io.

Ma non fu lei a morire quel giorno.

Luci, urla, scintillii di incantesimi.
E poi la voce calda di una donna, unita ad una coperta appoggiata sul suo debole e freddo corpo. "L'HO TROVATA! E' VIVA! DA QUESTA PARTE! ... Coraggio ragazza, mi senti? E' tutto finito."



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14 luglio 2007, Villa Evans


"Signor Evans?"

Sentendo la voce di Lysbeth chiamarlo, Aster si girò verso di lei con un'espressione interrogativa. Di solito era Cecilia che si occupava di quelle faccende... o che si metteva a fare amicizia con le domestiche.

"Sì?"
"Ehm... è appena arrivato questo per lei." Rispose la domestica, sventolandogli così davanti agli occhi un bigliettino, nel quale Aster riconobbe immediatamente la scrittura della moglie.
"Ma se Sil è appena uscita di casa!" Brontolò confuso, alzandosi velocemente in piedi per strapparglielo di mano.

Per qualche secondo il silenzio calò nella stanza, mentre l'uomo cercava di decifrare la scrittura frettolosa di Cecilia e Lysbeth era combattuta tra la voglia di farsi gli affari suoi e quella di chiedere cosa stesse succedendo - lo sapeva anche lei che la padrona di casa era appena uscita, visto che si era precipitata fuori non appena le aveva consegnato i regali per il compleanno dei bambini.

"Tutto bene?" Si azzardò a domandare alla fine.
"Prepara una borsa con un po' di cambi per me e per mia moglie:
intimo, vestiti, cose così." Fu la risposta di Aster "Cassiopea sta partorendo."


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2001, Casa McTavish


"Liv?" Domandò Chris non appena rientrò in casa, vedendo tutte le luci spente mentre sentiva un odore che con il tempo gli era ormai diventato familiare invadergli le narici.

Alchool.

Sua cugina si stava ubriacando di nuovo.
Era da quando l'avevano ritrovata e liberata che Deliverance aveva reagito in quel modo.
Beveva come una spugna e non si faceva avvicinare da nessuno che non fosse lui.

In un primo momento aveva provato a lasciarle i suoi spazi, permettendole anche di trasferirsi nella sua casa per cercare di donarle un po' di conforto, sperando che, almeno con lui, prima o poi si aprisse.
Ma non era mai successo: Deliverance si era chiusa nel mutismo più assoluto, rifiutandosi di vedere chiunque. E rifiutando anche di andare in terapia.

A parte di notte. Lì urlava e piangeva fino a non avere più lacrime. Finchè non si riaddormentava, completamente esausta.

Ma lui, Chris, non era più disposto ad andare avanti così.
Se lei non era disposta ad aiutarsi, l'avrebbe aiutata lui finchè non sarebbe stata di nuovo in grado di rimettersi in piedi da sola.

"LIV!" Urlò di nuovo, sapendo che almeno così avrebbe ricevuto una risposta.
"Non urlare che mi fai venire il mal di testa." Sbiascicò infatti la voce della cugina, sbucando barcollando dal salotto. E facendo immediatamente un passo indietro non appena si rese conto che il ragazzo non era da solo.
"Oh no, tu resti qui." La riacchiappò però lui al volo, approfittando dei suoi riflessi resi lucidi - a differenza della ragazza - dalla mancanza di alchool. "Ti presento Lauren Thompson." Disse indicandole la donna dietro di lui "E' l'investigatrice che ha aiutato gli Auror a ritrovarti e a farti uscire da quell'inferno. Nei prossimi giorni verrà a casa nostra molto spesso e ti insegnerà come gestire e, possibilmente, superare il trauma. Dovessi anche legarti alla sedia, ma tu la ascolterai."



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14 luglio 2007, Villa Black


"Candice... vai a prepararmi la borsa da portare all'ospedale... Cata... vai ad aiutare Nihal con i bambini... e recupera anche Diego già che ci sei..." Iniziò a dare ordini Cassiopea a destra e manca, mentre le due domestiche, avendo ormai rinunciato a farle cambiare idea, si affrettavano ad eseguire i suoi ordini "Alexis tu invece... Alexis che ci fai tu qui?" Domandò interrogativa sgranando gli occhi, notando soltanto davvero in quel momento della presenza della cugina di suo marito nella casa. "Aaaah!" Si lamentò poi, aggrappandosi del tutto a Darius per il dolore.
"Ehm..." Replicò incerta lei.

Non le sembrava proprio il caso, in quel momento, di dirle il motivo per cui si trovava lì. Le sembrava una situazione già abbastanza incasinata di suo.
Insomma, il padre di Darius non si sarebbe smaterializzato a Villa Black proprio in quell'istante no? Quindi poteva anche aspettare a dirglielo.

"Avanti... non può andare peggio di così." La incoraggiò Cassy sbuffando, facendo un passo in avanti e stringendo i denti per non urlare nuovamente dal dolore.
"In realtà può." Sputò fuori a quel punto Alexis "Sono venuta ad avvisare te e Darius: suo padre è a Londra, intenzionato a rendere il vostro matrimonio nullo." La informò.

Insomma, la ragazza era già in travaglio, non poteva accellerarle il parto più di così, no?

"Ok, devo imparare a stare zitta." Si limitò a commentare Cassiopea, alternando commenti a respiri profondi "Gilly... puoi avvisare tu zio Altair e zia Lizzie per favore? ... E anche le varie zie? ... Sil... tu accompagni me e Darius in ospedale?"
"Possiamo andare adesso o vuoi anche prepararti un the?" Sbottò a quel punto Darius spazientito, prendendola in braccio e iniziando davvero a trascinarla di peso verso il camino.

Appena le fiamme smeraldine li ebbero avvolti, anche Julia - tenuta sotto tiro sia da Aaron che Melisandre - avanzò con aria rassegnata verso il camino. "Prova a fare un passo falso e sei morta." La minacciò Aaron.
"Non intendo scappare." Lo rassicurò però la medimaga, alzando le mani per aria in segno di pace "Dopo il parto vi racconterò tutta la verità. E allora, forse, capirete che non sono io la cattiva di questa storia."


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"Per come la vedo io, puoi gestire la cosa in due modi Liv: continuare a piangerti addosso e affogare i tuoi dispiaceri nell'alchool - senza però risolvere nulla se non procurandoti una bella cirrosi epatica - oppure canalizzare quello che provi e senti in qualcosa di utile, trovando il modo di aiutare davvero te stessa. Queste intanto le mettiamo via."
Si era presentata così, il mattino dopo, Lauren Thompson, quando Deliverance aveva finalmente smaltito la sbornia, sequestrandole ogni bottiglia contenente alchool presente nella casa.

Liv non l'aveva accettata subito. Vedeva nella mossa del cugino una imposizione bella e buona sulla sua libertà.

"Ti ho liberato dall'inferno fisico Liv. Mi ci sono volute infinite notti insonni e tazze di caffè, ma non mi sono mai arresa pur di ritrovarti. Anche se non ti avevo mai vista nè conosciuta. Quindi ti libererò anche da quello mentale. Tu però devi essere la prima a volerlo."

Ci volle del tempo prima che la tuonoalato fornisse anche soltanto una minima risposta.
Di solito, ogni volta che Lauren si presentava, si metteva sul divano, con le braccia incrociate. Rifiutandosi di dire anche solo mezza parola.
"Non mi chiami Liv. Lo faceva spesso anche... lui. Non voglio che qualcuno mi chiami ancora così."
"Molto bene. Allora come vuoi che ti chiami?"
"Lissa. Il diminutivo di Melisandre."
"D'accordo Lissa."



Erano stati mesi difficili.
Più di una volta Melisandre aveva pensato di mollare, ritornando a rifugiarsi nella bottiglia.
E più volte aveva ceduto alla tentazione, sgattaiolando al supermercato di nascosto.
Ma se lei era testarda, Lauren lo era probabilmente di più.
Una settimana dopo la prima risposta, con la quale avevano concordato insieme il suo nuovo nome, l'investigatrice l'aveva portata in una palestra, insegnandole pian piano a fare a botte e a canalizzare la rabbia.


E i miglioramenti, anche se lentissimi, c'erano stati.


Con lo scorrere del tempo, quella donna diventò per lei un modello da seguire. In tutto.


Finchè Melisandre non si sentì pronta.

"Torno in Inghilterra." Comunicò a suo cugino una mattina. "Non posso continuare ad usare casa tua come un rifugio, tu devi vivere la tua vita... e io la mia. L'Inghilterra è un buon posto dove poter ricominciare da capo. I miei genitori mi hanno lasciato un po' di denaro, che userò per aprire una agenzia investigativa, la Allians Investigation. Lauren mi fornirà i primi contatti, poi mi farò strada da sola."
"Sei sicura che è questo ciò che vuoi fare?"
"Assolutamente sì. Voglio aiutare gli altri come lei ha aiutato me." 



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Ci vediamo presto con la storia di Julia (e anche da qua posso sentire i cori da stadio che cantano "Alleluja!") e poi con l'epilogo ;)

ps: chi non l'ha ancora fatto e vuole vedere il suo personaggio nelle OS, è pregato di mandarmi l'MP con la risposta!


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Capitolo 22
*** 19 - Julia Carlisle / Victoria Julia Foster ***


19
Come al solito occhio alle date (e agli orari), perchè farò un po' di "avanti e indietro".
Buona lettura ;)


- Julia Carlisle / Victoria Julia Foster - 




Julia_Carlisle

Victoria Julia Foster, 8 gennaio
1980, tuonoalato


15 luglio 2007, Dipartimento Auror ore 12


"Dunque Victoria - o preferisci essere chiamata Julia? - come si sono svolti davvero i fatti la sera del 21 giugno 2007 a Villa Black?" Domandò Aaron, accomodandosi sulla sedia della sala degli interrogatori e iniziando a massaggiarsi le tempie con le mani.

La testa gli stava scoppiando.
Cassiopea, durante il parto, non si era di certo sprecata nelle urla e lui aveva vissuto il tutto
anche con la tensione e la paura che la sospettata principale potesse fare qualcosa per riuscire a fuggire.
Ma, almeno quello, glielo doveva riconoscere: Julia Carlisle - o Victoria Foster - era stata di parola. Aveva fatto nascere il bambino e poi, dopo essersi andata a cambiare e pulire - sorvegliata a vista da Melisandre - si era fatta arrestare senza opporre resistenza.

In un'altra situazione avrebbe rimandato l'interrogatorio.
Ma ormai doveva rispondere anche alla propria curiosità.

Voleva chiudere il caso.

"Se volete sapere come si sono svolti i fatti, dovete prima ascoltare la mia storia. Altrimenti vi farete un'idea completamente sbagliata." Rispose Julia "In ogni caso, signor Morgan, se vuole ridurre il suo mal di testa le consiglio un impacco a base di foglie di rafano e gocce di limone." Gli suggerì.
"Pensi solo a rispondere alla domanda." Replicò però Melisandre, gettandole un'occhiataccia.
"Scusi, deformazione professionale." Disse Victoria abbassando lo sguardo a disagio "Come ho detto, è una storia lunga... che parte con la mia nascita a Boston, nel 1980..."


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primi anni '80, Boston


Quando Clarissa Carlisle in Foster si accorse di essere incinta per la terza volta, la considerò una vera e propria sorpresa: aveva ormai passato i 40 anni da un pezzo e pertanto, finchè non si era recata alla visita ginecologica, si era convinta di essere entrata in menopausa.
In fondo gli altri due figli avevano già rispettivamente 19 e 21 anni. Più che madre per la terza volta, Clarissa si aspettava di diventare nonna a breve, ormai.
Ma la piccola Victoria nacque esattamente come previsto di lì a qualche mese, rivelandosi essere una bambina perfettamente in salute.
E anzi, con qualche caratteristica in più rispetto ai suoi fratelli: nonostante la madre fosse una strega infatti, il padre era un babbano ed entrambi i figli avevano preso da lui. Neanche una goccia di sangue magico scorreva nelle loro vene.

Victoria invece, si dimostrò da subito essere una strega come la madre in tutto e per tutto: a soli due anni, essendo affamata, aveva fatto comparire il biberon tra le sue mani, iniziando subito dopo a succhiarlo, avida di latte.

Un episodio che sarebbe stato considerato normale, in una qualsiasi famiglia composta da soggetti magici. Ma che finì invece per allarmare il padre: Jackson Foster, puro babbano al 100%, si era costruito una carriera di tutto rilievo nel suo mondo, arrivando a ricoprire la carica di senatore dello Stato del Massachussets. E sua moglie, agli occhi dell'opinione pubblica, era una casalinga dedita soltanto alla casa e alla famiglia, che faceva volontariato in fondazioni benefiche per agevolare la carriera del marito.

Di sicuro non si potevano permettere che, durante un comizio, l'ultimogenita facesse comparire il suo orsacchiotto preferito dal nulla!

Riguardo a quell'argomento, Jackson Foster era sempre stato molto chiaro: i poteri di sua moglie erano ben accetti, a patto però che non interferissero mai con la sua carriera.
E la nascita di Victoria, di fatto, andava contro questo principio.


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14 luglio 2007, San Mungo


"Quando potrò vedere la mamma?"

Considerato che era la ventesima volta che lo chiedeva nell'arco di neanche mezz'ora, per un attimo Cecilia rivalutò la propria volontà di volere a tutti i costi dei figli.
Ma poi si girò nuovamente verso Lyra, seduta sulla sedia posizionata tra lei e Gillian, mentre stringeva tra le mani il suo orsacchiotto preferito e alternava lo sguardo tra le due zie, come nella speranza che presto una di loro le avrebbe fornito una risposta diversa, e cambiò subito idea.

"E' dietro a quella porta tesoro." Le rispose accarezzandole il volto e indicandogliela "Vedrai che tra un po' uscirà."
"Tra un po' quanto?"
"Dipende quanto tempo tuo fratello vorrà impiegare per uscire dalla sua pancia." Replicò Cecilia, maledicendo mentalmente Cassy per non aver raccontato a sua figlia la storia della cicogna come tutte le madri normali.
Almeno avrebbe potuto dare la colpa del ritardo al pennuto!

"E non possono dirgli di sbrigarsi?" Domandò a quel punto Lyra confusa.
"Tesoro... chi è che comanda in casa?" Replicò la rossa, colpita da un'idea improvvisa.
"La mamma." Rispose senza esitazione la bambina, mentre Gillian e Cata, sentendo la risposta, si portarono la mano davanti alla bocca per non ridere.
"E allora... se tuo papà ordinasse alla mamma di fare qualcosa, lei obbedirebbe?" Continuò nel suo ragionamento la rossa.
"No: è sempre lei che da gli ordini." Replicò Lyra convinta, mentre Gillian e Cata continuavano a seguire la discussione alquanto divertite e con sempre maggiore interesse, cercando di capire dove avrebbe condotto la conversazione la Weiss. "Papà dice sempre che ha più potere lei di zio Aaron."
"Beh, allora diciamo che in questo momento il potere è passato nelle mani di Antares." Concluse semplicemente Cecilia. E se lo terrà anche per un bel po' temo. Aggiunse mentalmente.
"E perchè?"

Ma erano tutti così i bambini?


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1985, Boston, Casa Foster


"Cynthia giochi con me?" Domandò Victoria, indirizzando un sorriso speranzoso alla sorella maggiore che però continuò a fornire tutta la sua attenzione ai fogli che aveva tra le mani.
"Non posso Vic, devo preparare una lezione." Rispose frettolosamente.
"Allora giochi tu con me Fred?" Insistette la bambina, girandosi verso il fratello.
"Non vedi che sto studiando?" Fu la risposta secca del ragazzo, con il naso immerso nei libri.
"Mamma...?"
"Sto andando alla Fondazione Bane tesoro. Per qualsiasi cosa chiedi alla tua tata: te ne abbiamo presa una apposta." Fu la risposta frettolosa della donna mentre finiva di infilarsi gli orecchini davanti allo specchio.
"Ma io voglio te!" Provò ad opporsi Victoria.
"Sìsì va bene. I soldi per la pizza sono sul tavolo." Dichiarò Clarissa senza neanche ascoltarla, prima di uscire nel cortile per dirigersi verso la limousine che la stava aspettando.

Prima che i primi lacrimoni iniziassero a fare capolino dagli occhi della bambina, Abby, la ragazza che i Foster avevano assunto come baby sitter, intervenne. "A cosa volevi giocare tesoro? Perchè io ho una gran voglia di andare al parco e di mangiare un gelato! Tu no?"
"Sì ecco brava, portala al parco. Così almeno non fa rumore! Ho bisogno di studiare io!" Fu il commento del fratello maggiore. "Ma vedi di non usare la magia in pubblico come hai fatto l'ultima volta Vic! Se no sono guai."


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14 luglio 2007, San Mungo


"A guardarla così sembra un angioletto vero?" Dichiarò Catalina, appoggiando una coperta leggera sopra al corpo di Lyra, che si era addormentata in braccio a lei circa un'oretta prima. "Non che di solito sia una bambina capricciosa o altro." Aggiunse subito dopo per non essere fraintesa.
"No, infatti, è una bambina buonissima." Replicò Candice, gettandole un'occhiata carica d'affetto a sua volta.

Le ci era voluto poco per volerle bene.

Quando aveva iniziato quell'avventura, da come gli erano stati descritti i Levenvolde - e anche a causa del disguido accaduto con Lysbeth - non si era fatta un'idea esattamente lusinghiera di quella famiglia. E si era convinta che si sarebbe trovata ben presto a che fare con una bambina viziata e capricciosa.
Ci aveva messo poco, invece, a ricredersi.
Certo, si trattava pur sempre di persone ricche e, come tali, con diversi vizi. Ma nulla che non potesse essere riscontrato anche all'interno di un qualsiasi altro nucleo familiare, ovviamente rapportato al grado di ricchezza.

"Vuoi un caffè Cata?" Le domandò occhieggiando verso il cartellone con le indicazioni per i vari reparti che si trovava in mezzo al corridoio "O anche qualcos'altro..."
"Ay! Credo che un caffè non sarebbe affatto male, visto che non sappiamo quanto dovremo aspettare ancora." Rispose Cata, gettando un'occhiata leggermente preoccupata verso la porta dove erano spariti sia Darius che Cassy ormai diverse ore prima.

Quando era nata Lyra, il parto era durato stranamente pochissimo. Ma era anche vero che, nella media, durava circa una decina di ore. E ne erano passate soltanto cinque, fino a quel momento.

"Magari anche qualcosa da mang...?" Candy non fece in tempo a concludere la domanda.
In quel momento, infatti, la porta alle loro spalle si aprì - anche se purtroppo non quella che avrebbero voluto - e Aster fece la sua comparsa insieme a Lysbeth, carichi entrambi di borse e oggetti vari.

"Avete svaligiato un negozio prima di venire qui per caso?" Li accolse Cecilia sgranando gli occhi, dirigendosi immediatamente verso di loro per aiutarli, seguita immediatamente da Candice.
"No... semplicemente Lysbeth ha voluto essere previdente: credo che abbia preparato da mangiare in quantità tale da poter sfamare più o meno un esercito." Rispose Aster, sospirando di sollievo nel momento in cui Candy gli tolse dalle mani una borsa. "Ci sono delle novità sul parto?"
"No, non ancora."

"Oh beh, direi che il mio giro per andare a prendere il caffè può aspettare a questo punto." Commentò Candice, gettando un'occhiata all'interno della borsa che aveva tra le mani "E' un termos quello che vedo?"
"Ce ne sono due." Confermò immediatamente l'olandese "Uno pieno di the e uno di caffè: li ho incantati apposta affinchè siano sempre caldi e pieni."
"Beh, allora non ci resta che attendere."


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"Volevo chiederle..." Iniziò Melisandre, prima di interrompersi ed esitare, attirando così l'attenzione di Julia "Noi due ci conosciamo già per caso? Lei ha un profilo che sono sicura di avere già visto, da qualche parte."

(da "Un omicidio per i Black" - cap. 9, Aaron Morgan)


anni '90, Ilverlmony


Avere ricevuto la lettera per Ilverlmony era stata una benedizione per Victoria.
Per la prima volta da quando era nata, aveva trovato un posto al quale sentiva di appartenere davvero.
In quella scuola nessuno la riconosceva come la figlia dell'ex senatore del Massachussetts. Lì la conoscevano semplicemente come Victoria Foster, la tuonoalato cacciatrice della squadra e prefetto.

Ilverlmony e il mondo magico erano la sua vera dimensione.

Lì poteva sfogare tutto il suo potenziale magico, imparando tutti gli incantesimi e le pozioni che voleva e, per la prima volta, aveva avuto anche la possibilità di farsi dei veri amici, che non la cercavano soltanto per via del suo cognome.
In particolare aveva legato con una ragazza, sua coetanea e compagna di casa, Cara Price. Che con il tempo aveva finito per sostituirsi quasi del tutto ai suoi fratelli.
Spesso e volentieri, per esempio, anzichè passare le vacanze di Natale e Pasqua dalla sua famiglia, Victoria preferiva passarle a casa Price. E a volte vi trascorreva anche i mesi estivi.
Lì sì che si sentiva completamente accettata per ciò che era.

Non come nella sua famiglia. Nel frattempo infatti, suo fratello era diventato avvocato, finendo per affiancare il padre nelle sue attività legate alla politica, mentre sua sorella era diventata professoressa di letteratura in una prestigiosa Università Americana.
Insomma, la classica famiglia perfetta.
Peccato per quell'unica nota stonata: lei.

Sempre più giornalisti e paparazzi babbani infatti, avevano iniziato a cercare notizie sull'ultimogenita di casa Foster, per capire se davanti a lei si prospettava un futuro luminoso quanto quello dei suoi fratelli. Non trovando però notizie da nessuna parte riguardo al tipo di scuola frequentata dalla ragazza.
In un primo momento, i Foster avevano dichiarato che Victoria era stata accettata in un prestigioso collegio privato Svizzero.
Ma la verità diventava sempre più difficile da nascondere.

Finchè non arrivò il Natale del 1997.



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14 luglio 2007, Studio Kennox


"Avvocato Fisher... dove si trova l'avvocato Buldstrode?" Domandò Thomas Kennox, il proprietario dello studio, dopo aver cercato Alexis in lungo e in largo.
"Ehm..." Replicò la donna incerta, non essendo sicura su come rispondergli.

L'ultima volta che aveva visto la purosangue era stata quella mattina, quando si era smaterializzata in tutta fretta senza però fornirle alcuna spiegazione. Perciò non sapeva a cosa fosse dovuta la sua assenza improvvisa.

Caroline stava rimuniginando su quale versione fornire al suo capo - e se fosse il caso di coprire la collega oppure no - quando Alexis stessa si rismaterializzò nella stanza.
"Mi scusi per la mia assenza improvvisa." Si giustificò immediatamente, vedendo l'uomo guardarla con aria interrogativa. "Ma sono dovuta scappare di corsa a causa di motivi familiari." Spiegò sfoggiando un sorriso innocente "Mia cognata, Cassiopea Levenvolde, è entrata in travaglio."
"Direi che in questo caso è un motivo più che fondato." Rispose immediatamente l'uomo, sfoggiando un sorriso comprensivo, ammorbidendosi immediatamente dopo aver sentito il nome e cognome del 'motivo famigliare'. "E congratulazioni!"
"E' già nato il bambino?" Domandò invece Caroline, agrottando le sopracciglia "Ma non è in anticipo?"
"Con tutto lo stress che ha dovuto subire questo mese, mi sarei sorpresa se avesse partorito senza alcuna complicazione." Replicò Alexis.
"E com'è il nuovo nato?" Chiese a quel punto la sua collega "Lui e la madre stanno bene vero?" Aggiunse ripensandoci.
"In realtà non l'ho ancora visto." Rispose la purosangue "Sono andata via che Cassiopea stava ancora partorendo, ma non potevo proprio perdere altre ore di lavoro. E soprattutto assentarmi per così tanto tempo senza fornire un'adeguata spiegazione." Aggiunse a beneficio del suo capo, che infatti le sorrise bonario.
"Suvvia Alexis, non sono di certo così crudele! Se vuoi assentarti anche per tutto il resto della giornata non me la prenderò di certo! La nascita di un bambino è sempre un evento gioioso, che merita di essere vissuto in pieno. Quindi torna pure al San Mungo... e, mi raccomando, tienici informati!"



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Natale 1997, Boston, Casa Foster


"Vic! Vic! Me lo fai vedere un'altra volta? Ti pregoooo!"

Kate, la secondogenita di sua sorella Cynthia, si era praticamente attaccata alla gamba di Victoria da quando aveva messo piede nella casa dei nonni, chiedendole insistentemente di compiere per lei quelle magie che la divertivano tanto.

"Sì sì! Dai zia dai! Fallo un'altra volta!" Si unì ai cori Mike, l'altro nipotino.

A differenza dei genitori, i bambini non vedevano l'ora che arrivassero le riunioni di famiglia per poter vedere la zia all'opera con la bacchetta magica e più di una volta avevano dimostrato tutto il loro disappunto nell'apprendere che loro due non avrebbero mai ricevuto la lettera.

"E va bene!" Cedette a quel punto Victoria, tirando fuori la bacchetta dalla tasca dei jeans. "Ma solo un'ultima volta."
"Sììì!" Esplosero entrambi i bambini con cori di felicità.

Julia aveva appena iniziato a far ballare
il tip tap ad un libro, quando nel salotto comparve suo padre. Che immediatamente le lanciò un'occhiataccia. "Non ti avevo forse detto che in questa casa devi limitare l'utilizzo della magia?" Domandò furente, mentre Kate e Mike sobbalzavano sul posto.
"Stavo solo facendo divertire i bambini." Replicò Julia, cercando di mantenere il controllo della situazione.
"E se al mio posto ci fosse stato un paparazzo?" Continuò l'uomo con voce gelida. "Filate nella vostra camera voi due! SUBITO!"
"La vedo dura, visto che abitiamo al decimo piano." Replicò sarcastica la ragazza, mentre i bambini sgattaiolavano via spaventati "Certo, a meno che non imparino a calarsi dal camino come Babbo Natale o ad arrampicarsi sulle finestre come Spiderman."
"Sono ad un tanto così" Disse l'uomo avvicinandosi a lei minaccioso, portando indice e pollice ad un millimetro di distanza "dallo scoprire che sei una strega... e tu utilizzi la tua magia come se niente fosse!" Le sbraitò addosso.

"Che succede?" Li interruppe in quel momento Clarissa, ricomparsa nel salotto con un enorme pandoro farcito di crema e cioccolata tra le mani.

"Succede che tua figlia ha usato di nuovo la magia!" Abbaiò Jackson "Nonostante più volte le sia stato detto di non farlo!"
"Stavo soltanto facendo divertire i bambini!" Protestò Julia "Ho fatto soltanto ballare il tip tap ad un libro! E perchè sono diventata di colpo soltanto sua figlia? Non sono anche tua forse?"
"Chiedi scusa a tuo padre." Affermò Clarissa con voce seria, dopo qualche secondo di silenzio.
"Come scusa?" Strabuzzò gli occhi Victoria, incredula.
"Ho detto chiedi-scusa-a-tuo-padre." Ripetè la donna, appoggiando il dolce sul tavolo e incrociando le braccia al petto "Te l'abbiamo detto più volte di non usare la magia! Ma tu fai sempre quello che ti pare vero? Se la stampa se ne dovesse accorge..."
"La stampa, la stampa, la stampa... MA TI SEI SCORDATA DI ESSERE UNA STREGA ANCHE TU?" Urlò a quel punto la ragazza, totalmente incredula "Tu sei come me, eppure ti comporti sempre e solo come una babbana! Ma come fai a rinunciare ad una parte di te stessa? E per che cosa dovrei chiedere scusa a mio padre esattamente? Per essere nata con dei poteri magici? E' diventata una colpa adesso? Possibile che l'amore per quell'uomo ti abbia resa così... insulsa?"

Aveva appena finito di parlare, che la mano di sua madre la colpì in pieno nella guancia. "Chiedi immediatamente scusa a tuo padre. E non ti azzardare mai più ad usare la magia in pubblico... o in questa casa. Altrimenti..."
"Non ti scomodare a finire la frase, mamma." La interruppe però lei, con voce gelida "Tranquilla, non mi vedrai mai più usare la magia in questa casa: me ne vado. Così riavrete la vostra famiglia perfetta, che con la mia nascita ho evidentemente distrutto. Tanto non ne ho mai davvero fatto parte. Addio."

Neanche mezz'ora dopo, completamente in lacrime e con una valigia tra le mani, Victoria suonò al campanello di casa Price, chiedendo alla famiglia di Cara il favore di poter essere ospitata fino alla fine delle vacanze natalizie.

Da quel momento avrebbe dovuto contare soltanto sulle sue sole forze.


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14 luglio 2007, Casa Larson


"Che ne dici delle Canarie?" Domandò Theo, seduto sul divano con un portatile sulle coscie e Sylvia semisdraiata accanto a lui.
"Il posto non mi dispiacerebbe, ma sono troppo vicine: mio marito ci troverebbe in un secondo." Replicò la purosangue storcendo il naso.
"Allora che ne dici delle Bahamas?" Propose ancora l'uomo, digitando un altro nome sullo schermo, quasi divertendosi a vedere le reazioni della donna davanti a strumenti come il computer, internet e google maps.

Più o meno le stesse che un bambino avrebbe avuto nel vedere per la prima volta Babbo Natale.

"Ma davvero riesci a vedere la città quasi come se tu fossi presente lì?" Domandò infatti incredula la donna, allungando di più il collo verso lo schermo del pc "E' assurdo! Chi l'avrebbe mai detto? Anche i babbani sono in grado di fare le loro magie!" Commentò sorpresa.
"E vedrai che magie quando prenoteremo online i voli e poi prenderemo l'aereo per andarcene da qui!" Le rispose Theo sorridendo divertito.
"Beh anche noi sappiamo volare, quella non è granchè come magia." Replicò Sylvia con voce sostenuta "Ma che cos'è l'ollay?"

Roteando appena gli occhi, Theo si allungò per rubarle un bacio. "Ho come l'impressione che dovrò insegnarti un bel po' di cose sul mio mondo." Dichiarò divertito, prima di vedere lo sguardo della sua compagna spegnersi. "... che cosa c'è che ti preoccupa?" Domandò corrucciato "Tuo marito non sa che sei qui e di sicuro una fuga tramite i mezzi babbani è l'ultima cosa che si aspetta da te. E' per questo che sarebbe una fuga semplicemente geniale."
"Lo so..." Replicò lei mordendosi le labbra "Ma... tuo fratello come farà? Gli rimani soltanto tu!"

Anche gli occhi di Theo, animati fino a quel momento dalla prospettiva di fuggire con la donna che amava, si spensero.
Di certo non se ne andava da Londra a cuor leggero: il suo lavoro, la sua casa, suo fratello, la sua vita... avrebbe dovuto abbandonare tutto quanto.

"E quale sarebbe l'alternativa Sylvia?" Domandò alla fine, scuotendo la testa sconsolato "Come ben sappiamo il divorzio nel mondo magico non esiste e, se dovessimo rimanere qui, tu saresti costretta dalle circostanze a tornare con... tuo marito." Anche solo dirlo gli procurava un enorme fastidio "Mio fratello non si ricorda minimamente di me e ho dato abbastanza soldi al San Mungo per fargli continuare le cure fino alla fine dei suoi giorni... se hai una proposta diversa e sensata sarò felice di prenderla in considerazione e discuterne insieme a te, ma, in caso contrario, non vedo altre alternative. Quindi te lo richiedo: hai un'altra proposta per caso?"



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1998, Bristol


Victoria, con la testa tra le mani per lo sconforto, guardò l'enorme mole di fogli contenente bollette e tasse da pagare, chiedendosi a cosa poter rinunciare ancora per tagliare le spese che doveva affrontare ogni mese.
Praticamente, non si concedeva neanche il lusso di un caffè al bar ormai da più di un anno.

Si era trasferita in Inghilterra, subito dopo la fine della Seconda Guerra Magica, animata da belle speranze.
L'Inghilterra, proprio a causa della Guerra appena terminata, era un Paese da ricostruire completamente. E lei aveva sperato di riuscire a trovare lì il suo posto.
Ma così non era stato.
L'unico lavoro che era riuscito a trovare era stato in una gelateria, ma con il misero stipendio che le davano riusciva a malapena a pagare l'affitto.
E tutti i mesi si ritrovava costretta a fare i salti mortali per riuscire a far quadrare i conti. Che non tornavano comunque.

La sua migliore amica, Cara Price, più di una volta le aveva mandato una parte dei propri risparmi per aiutarla, ma Victoria non voleva pesare su di lei.
Non dopo essersi fatta ospitare nella sua casa per così tanto tempo.

E poi, quella mattina, una possibile soluzione era arrivata dalla proprietaria della gelateria. "Ho visto che chiedi spesso di fare gli straordinari, Vic. Hai bisogno di soldi per caso?" Le aveva domandato.
"La vita qui è molto cara... e non riesco mai a far quadrare i conti." Le aveva risposto lei sospirando.
"Beh... se sei interessata... una possibile soluzione ce l'avrei. Mio fratello ha un locale... notturno. Di sicuro, con il tuo fisico, saresti molto richiesta. E guadagneresti parecchio bene."






"Cosa sono mamma?"
"Non... non avevo per caso detto, a te e tua sorella, che la soffitta è off limits?" Riuscì a balbettare Julia in risposta, con una voce che non era assolutamente la propria.
Anche sua figlia se ne accorse, visto che mollò il pezzo di stoffa per terra e fece un passo indietro, spaventata.

(da "Un omicidio per i Black" - cap. 12, Amelie Northman)




"Dirò a suo marito che ho bisogno di fare altri accertamenti, poi mi inventerò qualcosa." Garantì Julia "Ma le voglio dare un consiglio, anche se probabilmente non richiesto: a volte un figlio è una benedizione, anche se non arriva nel... modo... in cui avremmo voluto. Parlo per esperienza."

(Cap. 13, Lysbeth Gwen Chevalier)





Nei tratti infantili ed indecisi della figlia, Julia riconobbe immediatamente se stessa e le due gemelle, Martha e Dylan. Ma non riuscì a riconoscere la quarta figura. Era solo un ammasso rosa e verde.
"E questo chi è?" Domandò indicandogliela.
"Papà con la divisa da militare!" Rispose innocentemente la piccola.

(Cap. 4, Il funerale)



15 luglio 2007, Dipartimento Auror, ore 13


"Perciò, esattamente, in che cosa consisteva il suo mestiere? Spogliarellista oppure...?" Domandò Aaron, mentre la penna prendi appunti di fronte a lui continuava a muoversi frenetica avanti e indietro lungo il foglio di pergamena.
"Ero un'escort." Rispose Julia con voce incrinata, nascondendo il volto tra le mani "Ho fatto quel mestiere per circa tre anni. E' stato umiliante, mi sentivo sporca dentro... ma non potevo fare altrimenti. E guadagnavo talmente bene da potermi permettere non solo di coprire tutte le spese, ma anche di risparmiare. Ci ho messo poco per riuscire a mettere via abbastanza per coprire il primo anno di studi di medimagia. La mia speranza era di riuscire ad ottenere un vero lavoro, che fosse ben retribuito, in modo da poter smettere con... l'altro."

"Tutto questo mi fa accapponare la pelle" Commentò Melisandre "ma ancora non siamo arrivate alla portata principale: Samuel Larson in tutto questo cosa c'entra? E' stato uno dei suoi clienti?"

"No." Negò però la guaritrice, scuotendo la testa "Ma ha lavorato come cameriere per uno di loro. Prima che lavorasse per i Northman, era al servizio di un'altra famiglia: il padrone di casa non solo faceva venire spesso in casa sua molte di noi, per i suoi festini, ma era anche coinvolto in un giro di droga. E' in una di quelle occasioni che Samuel Larson mi ha conosciuto. Io cercavo sempre di non farmi riconoscere: usavo parrucche, lenti a contatto, trasfigurazione umana e a volte anche la pollisucco. Inoltre mi facevo chiamare Rosalyn."

"Ma lui l'ha riconosciuta comunque." Completò Aaron.

"Magari fosse così semplice... Poco prima dei miei 21 anni, ho scoperto di essere rimasta incinta delle gemelle..." Riprese il discorso Julia, che ormai era diventata un fiume in piena.

Non ce la faceva più a tenersi tutto dentro
.

"Ovviamente, non ho idea di chi possa essere il padre. Ero già disperata su come avrei fatto a mantenere sia me stessa che loro, ma poi, un mese dopo che sono nate, è successo un miracolo: ho scoperto che alla mia nascita i miei genitori mi avevano destinato un fondo di 5 milioni di dollari, al quale avrei potuto accedere appena compiuti 21 anni: mia madre l'ha stregato personalmente, per essere sicura che mi arrivassero in qualsiasi circostanza. Mi sono licenziata quel giorno stesso, intenzionata a finire gli studi di medicina e a crescere le mie figlie. Da sola. Volevo ripartire da capo. Così ho cambiato città, trasferendomi da Bristol a Londra. E ho cambiato anche il mio nome, decidendo di usare il mio secondo e il cognome di mia madre, che quasi nessuno conosce. E quando sono state abbastanza grandi, ho raccontato alle mie figlie la bugia che il padre era stato un militare babbano morto in missione. Volevo soltanto andare avanti. Ma purtroppo non sono stata l'unica a trasferirsi a Londra. Lo ha fatto anche Samuel Larson. E, ad una festa alla quale ero stata invitata, mi ha riconosciuto."


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15 luglio 2007, Azkaban


"Florence!"

Non appena sentì il suo cognome urlato dalla guardia, Elliot si alzò in piedi di scatto.
Era da giorni che non riusciva più a stare davvero tranquillo. Sentiva qualcosa nell'aria attorno a lui, come se qualcuno stesse trattenendo il respiro, in attesa che un grosso evento accadesse.

Ma fino a quel momento non era successo assolutamente nulla.
Ed Elliot aveva iniziato quasi a pensare di essersi immaginato tutto, in preda ad una feroce autosuggestione.

"C'è posta per te." Continuò la guardia, avanzando nella sua direzione e porgendogli un pacco.

Il paparazzo stava quasi per chiedergli cosa contenesse e chi fosse il mittente, ma all'ultimo richiuse la bocca, preferendo ingoiare la domanda e tacere.
Aveva riconosciuto l'uomo: era lo stesso che l'aveva preso di peso per portarlo nella saletta riservata, dove aveva avuto quel colloquio con Cassiopea.
Non era così sicuro di voler ricevere quel pacco.

"Non ho tutto il giorno Florence!" Gli urlò però nuovamente contro la guardia.
Deglutendo a vuoto, quasi come per timore che gli potesse esplodere tra le mani, Elliot si convinse alla fine a prendere la missiva.

E poi ad aprirla.

Dentro, vi trovò una serie di fogli di pergamena bianchi completamente immacolati.
E un biglietto.


Forse potresti trovare queste cose interessanti un giorno.
Ma per adesso è meglio che questi fogli rimangano bianchi.
Buona permanenza in prigione!

C. B.



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"Ehy Julia! Ma che fine avevi fatto? Non è da te arrivare così in ritardo!"
Julia Carlisle, sbiascicando scuse su scuse al suo capo, si infilò frettolosamente il camice da lavoro da guaritrice. "Ti cercavo perchè devi fare un'autopsia."
"D'accordo." Si arrese alla fine. "Chi sarebbe il cadavere?"

"Un cameriere che lavorava per una famiglia purosangue. Un certo Samuel Larson."

(cap 1 - L'omicidio di Samuel Larson)



"Quindi prima ha assunto droghe, poi ha delirato in preda alle allucinazioni e durante queste si è autoferito e buttato da solo nella piscina?" Domandò Eleanor incredula.
"O ha assunto droghe da solo oppure qualcuno gliele ha somministrate con l'inganno." Ragionò Aaron "Il problema è sempre quello... chi è stato a fare cosa?"

(cap 6 - Sylvia Berenike Burke)


15 luglio 2007, Dipartimento Auror, ore 13.30


"Samuel Larson mi ha riconosciuta e, con la scusa di portarmi un drink, mi ha avvicinata, facendomi capire che lui... ricordava." Riprese il suo discorso Julia, con voce strozzata. "Sapeva chi ero, il mestiere che avevo fatto prima di diventare guaritrice e anche... come erano state concepite le mie figlie. Non ci ha messo tanto a fare due più due." Concluse con occhi vitrei, iniziando a fissare il vuoto e smettendo di parlare.

Non che ce ne fosse davvero bisogno: Aaron poteva capire molto bene, a quel punto, cosa avesse spinto la donna ad agire.
Con le leggi in vigore - quelle che Cassiopea stava provando a cambiare da anni - se fosse saltato fuori ciò che Julia stava loro confessando, la donna avrebbe perso la custodia delle bambine.

Le prostitute non potevano essere madri.


"L'ho letteralmente pregato di non dire nulla a nessuno: ero disposta a fare qualsiasi cosa affinchè lui non parlasse, affinchè non informasse le autorità su come avevo concepito le bambine." Riprese Julia dopo un lungo silenzio, con un filo di voce. "E lui mi ha assicurato che non avrebbe detto nulla ma che, in cambio, mi sarei dovuta tenere pronta per sue eventuali richieste."

"E cosa le ha chiesto, quando è stato il momento?"

"Inizialmente droghe magiche. La mia specializzazione medica riguarda gli antidoti e i veleni, quindi per me non è mai stato un problema procurarmele, con la scusa di studiarle e trovare delle cure." Rispose la donna. "Tutto sembrava filare liscio: non ero contenta di ciò che stavo facendo, ma ero disposta a tutto per difendere le mie bambine. Ma poi, poco prima della festa dei Levenvolde, ha alzato la posta: voleva che ritornassi a fare la escort per alcuni suoi amici. E lì non ce l'ho
più fatta. Dovevo dargli una risposta alla festa di Cassiopea, dove saremmo stati presenti entrambi. E, con essa, fornirgli la solita dose di droga."

"Abbiamo visto il tuo nome nella lista degli invitati" Confermò Aaron "E anche la conferma per la partecipazione. Ma non eri tra le persone che abbiamo fermato subito dopo l'omicidio."

"Infatti... ho mandato un messaggio a Samuel, dicendogli che mi avevano cambiato un turno al lavoro, ma che avrebbe comunque ricevuto tutto, compresa la mia risposta." Riprese il discorso Julia "Mi sono presentata all'appuntamento con della droga che ho personalmente modificato: sapevo l'avrebbe condotto alla morte a seguito di terribili allucinazioni. Volevo fargli capire, almeno per una volta, cosa si prova a vivere nel terrore, ad avere paura anche della tua ombra. Ma non pensavo che l'avrebbe consumata subito: di solito sul luogo di lavoro non la usava. Probabilmente aveva capito che c'era qualcosa di strano e l'ha voluta testare." Continuò sfoggiando un sorriso pieno di amarezza "Illuso: ne bastava anche solo mezzo grammo per scatenarne gli effetti."

Mai mettersi contro una madre. Si ritrovò a pensare Aaron. Anche Voldemort l'aveva dovuto imparare a sue spese.

"Ma siamo stati interrotti dai Levenvolde, che sono entrati nella stanza litigando furiosamente: erano talmente presi dalle loro questioni che non si sono accorti della nostra presenza. Così ci siamo nascosti. Ma Samuel ha cominciato ad agitarsi non appena la droga ha iniziato a fare effetto e così è stato scoperto dal signor Levenvolde. Io invece sono rimasta nascosta. E appena ho potuto me ne sono andata. Non è ironico? Sono andata a lavorare per avere un alibi..."
"E il tuo capo, senza saperlo, ti ha fatto fare l'autopsia sull'uomo del quale avevi appena causato la morte." Completò per lei Aaron, girandosi appena verso i doppi vetri, oltre i quali sapeva che Darius aveva appena ascoltato tutto.
"Non volevo mettere nei guai nessuno. E soprattutto non volevo che un innocente venisse accusato... ma non sapevo davvero cosa fare. Mi dispiace tanto. Vi prego... se dovete mandarmi in prigione fatelo, è giusto che io paghi. Ma non mettete in mezzo le mie figlie: loro non hanno colpe."


-*-*-*-


15 luglio 2007, San Mungo, ore 9.00


Candice, mentre gettava occhiate di tanto in tanto alla piccola Lyra che continuava placidamente a dormire, si guardava attorno incuriosita.
Non sapeva cosa, ma c'era qualcosa di strano nell'aria.

Non erano arrivate ancora notizie certe sullo stato di salute di Cassiopea e del bambino - o almeno, niente era giunto alle sue orecchie - eppure aveva visto diversi componenti della famiglia Black arrivare e poi andarsene dall'ospedale.
Troppi, per essere soltanto una coincidenza.
Senza contare che continuavano a parlattolare tra loro, come se stessero discutendo di qualcosa della massima importanza.

Stava quasi per alzarsi in piedi e dirigersi verso Altair e Nihal Black, che stavano confabulando qualcosa in un angolo per chiedere loro se per caso si era persa qualcosa, quando la sua attenzione venne catalizzata dalla porta che si apriva e Gillian Greengrass che ne usciva con un largo sorriso.
"Svegliate Lyra: immagino che vorrà conoscerlo, il suo nuovo fratellino."



Ancora intontita dal sonno, la bambina fece il suo ingresso nella stanza dove era stata ricoverata la madre pochi minuti dopo.
Ma le ci volle poco per svegliarsi: le bastò vedere i genitori. Dei quali aveva chiesto insistentemente per ore nella giornata precedente, prima di addormentarsi esausta.

Tenuta per mano da Gillian, venne condotta fino al letto della madre, dove Cassiopea l'attendeva con un fagotto tra le braccia e un sorriso radioso, anche se molto stanco.
"Vuoi prendere in braccio tuo fratello, tesoro?"
"Sì... ma non so come si fa!" Rispose Lyra, sporgendo il collo per lanciare un'occhiata curiosa al nuovo nato, del quale le avevano parlato così tanto negli ultimi mesi. Non vedeva l'ora di poterlo vedere dal vivo.
Sorridendo dolcemente, Cassiopea le spiegò come posizionare le braccia nel modo corretto, poi gli depositò sopra il neonato, tenendo un braccio sotto la vita della figlia per evitare che facesse cadere il fratellino per sbaglio. "Ecco qua."
"Ma è pesante!" Si meravigliò Lyra, restando però immobile per paura di fare qualcosa di sbagliato. "Mya è più leggera!"
"Questo perchè Mya è una semplice bambola tesoro." Replicò sua madre, depositandole un bacio sulla nuca e aspirando così per la prima volta il profumo mischiato di entrambi i suoi figli.

Sentendosi finalmente in pace con se stessa.

"Io devo andare adesso, Lyra. Saluti papà?" Domandò dopo un po' Darius, mentre si avvicinava a moglie e figli per baciarli uno ad uno.
"Perchè? Dove vai?" Domandò la bambina guardandolo confusa "Non resti con noi?"
"Torno tra un po' tesoro." La rassicurò il padre "Prima devo risolvere alcune cose."
"Tipo cosa?" Chiese ancora la bambina curiosa.
"Te lo spiegherò quando sarai più grande." Replicò lui, sporgendosi verso Cassiopea per baciarla. "Torno tra poco."
"Ma io sono grande!"
"Tesoro, fidati di tuo padre: non avere troppa fretta di crescere."

Con un'ultima carezza ai suoi figli - e un'occhiata di intesa scambiata con la moglie - Darius si smaterializzò.



"Allora" Domandò una mezz'ora dopo Catalina, mentre si muoveva avanti e indietro nella stanza per far addormentare il bambino "lo avete davvero chiamato come avete detto? Posso iniziare a chiamarlo Anty?"
Sorridendo appena per il nomignolo che la domestica aveva affibiato al bambino senza saperlo - e che un suo omonimo non avrebbe di sicuro apprezzato - Cassiopea si ritrovò a rispondere. "In realtà come nomignolo stavo pensando ad Ares, ma sì, il nome che abbiamo scelto per lui è quello. Catalina Lopez, ti presento ufficialmente mio figlio: Antares Altair... Black."



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Ci vediamo con l'epilogo!
*fugge*


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Capitolo 23
*** 20 - Epilogo ***


20
Come al solito occhio alle date.
Buona lettura ;) 



- Epilogo -



16 luglio 2007, Dipartimento Auror



"Aaron?"

Facendo finta di non aver sentito quella voce alle sue spalle, l'Auror continuò a percorrere il corridoio.

"Aaron!"

Probabilmente stava peccando di ottimismo nella speranza che prima o poi si sarebbe stufata, tuttavia l'uomo decise di proseguire dritto per la sua strada.

"AARON MORGAN SE NON TI FERMI SUBITO E NON MI STAI AD ASCOLTARE GIURO CHE TI INVESTO!"

Beh, avrebbe dovuto immaginarselo che sarebbe andata a finire così.

Sospirando rassegnato, mentre qualche suo collega allungava il collo per vedere chi stesse facendo quel trambusto - e lo ritirava subito dopo aver ricevuto un'occhiataccia dalla persona in questione - Aaron si girò verso Cassiopea Black, che stava avanzando verso di lui con una sedia a rotelle magica e il piccolo Antares tra le braccia.

"Cassy... non dovresti restare a casa a riposare?" Domandò l'uomo con il tono più paziente che aveva a disposizione "Hai partorito soltanto ieri!"
"Se qualcuno si fosse fermato alla prima chiamata, probabilmente a quest'ora sarei già di ritorno." Rispose lei piccata "Hai problemi di udito per caso?" Domandò ironica.
"Le mie orecchie sono a postissimo, ma grazie per l'interessamento... prego, accomodati." La invitò, aprendo la porta del suo ufficio e facendole cenno di entrare per prima all'interno. "So già cosa vuoi chiedermi Cassy, ma la risposta è no."
"Ma davvero?" Rispose lei indirizzandogli un ghigno "Hai scoperto di avere l'occhio interiore anche tu?" Domandò imitando la voce velata della Cooman.
"No, ma credo di conoscerti abbastanza bene ormai..." Replicò lui "So che hai appena partorito e vorresti Darius a casa qualche giorno per aiutarti, ma ci è stato per più di un mese e ha abbondantemente superato il numero di giorni di ferie che aveva a dispo..."
"Ferie che lui non avrebbe mai preso ma che tu gli hai imposto per qualcosa che non aveva commesso: l'errore quindi sarebbe tuo, non suo... ma ne riparleremo." Lo interruppe a quel punto Cassy "Tuttavia, non sono qui per questo - come ho detto, ne riparleremo. Sono venuta per Julia."



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"Catalina Lopez, ti presento ufficialmente mio figlio: Antares Altair... Black."

(cap. 19 - Julia Carlisle / Victoria Julia Foster)




15 luglio 2007, San Mungo



Sentendo il cognome che era stato dato al bambino, Catalina sgranò gli occhi per qualche secondo, completamente spiazzata.
"Come?" Domandò incredula, arrestando il suo cammino a metà della stanza di ospedale "Come 'Black'? Porchè? El senior Levenvolde non l'ha riconosciuto per caso?"

Sorridendo divertita da quella reazione tutto sommato giustificata, Cassiopea scosse la testa "Cata... secondo te, se Darius non avesse riconosciuto suo figlio, l'avrei fatto uscire vivo da questa stanza?"

No, in effetti conoscendola una cosa del genere non sarebbe stata possibile.

"E allora porchè...?" Domandò la cameriera spaesata, alternando lo sguardo dal bambino che teneva tra le braccia alla madre, appoggiata alla testiera del letto con un braccio attorno alla vita di Lyra, seduta sul letto accanto a lei.

"E tu Lyra?" Domandò ancora Cassiopea, girandosi verso la figlia, ignorando così l'ultima domanda di Cata "Tu cosa ne pensi? Ti piacerebbe cambiare il tuo cognome in Black? Ti piacerebbe avere lo stesso cognome della mamma anzichè 'Levenvolde'? Ti piacerebbe chiamarti Lyra Black?"
"Lyra Black come la nonna?" Chiese la bambina con tono incerto, voltandosi a sua volta verso la madre che restava immobile, in attesa di una sua risposta "Io... penso di sì... ma perchè?"


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14 luglio 2007, Villa Abbott - Black


Sentendo qualcuno suonare alla porta, Altair mise da parte il giornale per gettare un'occhiata alla moglie.
"Aspettavi qualcuno cara?"
"Assolutamente no!" Rispose Elizabeth, mentre il campanello suonava nuovamente. "Oh beh, non scopriremo mai chi è se qualcuno non va ad aprire: quindi cosa stai aspettando Black?"

Roteando gli occhi e brontolando qualcosa sul fatto che lui non era il cameriere, l'uomo raggiunse la porta e la aprì, inarcando con aria perplessa un sopracciglio quando si ritrovò davanti ad Alexis Buldstrode.

"Credo che tu sia arrivata dai Black sbagliati." La informò ironico.
"Cassiopea sta partorendo." Fu la risposta sbrigativa di Alexis.
"Ok, allora sei nella Villa Black corretta." Si corresse l'uomo, spostandosi di lato per farla entrare.
"E mi ha detto di darle questo." Concluse l'avvocatessa, allungandogli un foglio di pergamena sigillato, che immediatamente Altair le strappò di mano.

Aveva già una vaga idea di cosa potesse essere. E le due righe frettolose scritte dalla nipote di suo pugno glielo confermarono.

"LIZZIE!" Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, credendo che sua moglie fosse ancora in salotto.
"I miei timpani! Sono alle tue spalle, cretino!" Fu la risposta della donna, comparsa magicamente dietro di lui e già con una borsa tra le mani.

Come cavolo avesse fatto a prepararla in due secondi, sarebbe rimasto un mistero.

"Bene, allora tu vai al San Mungo... io vado al Ministero, a vedere se la mia parlantina funziona ancora." 


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20 luglio 2007, Casa Larson


A differenza di Sylvia, che era rimasta rintanata da giorni in casa sua e che si era presa qualche giorno di vacanza in attesa di decidere cosa fare, Theophile aveva continuato a recarsi al lavoro come se nulla fosse successo.
In fondo nessuno era a conoscenza della loro relazione. Perciò difficilmente qualcuno sarebbe venuto a chiedere conto a lui.
E sarebbe stato molto più sospetto, se di punto in bianco fossero spariti entrambi dal luogo di lavoro.

Infatti, quasi come a voler dimostrare la correttezza di quel ragionamento, nessun Frederick Selwyn si era presentato fumante di rabbia nel loro ufficio. E nessuno era giunto neanche nella casa durante i pomeriggi, quando il ragazzo tornava a casa dalla compagna.

Fu per quel motivo che entrambi scattarono come molle quando, quel pomeriggio, qualcuno suonò alla porta.

"Tu resta in cucina e fa finta di non esistere" Si raccomandò Theo "Vado io ad aprire: se te la vedi brutta, smaterializzati." Concluse impugnando la bacchetta e dirigendosi verso il salotto.
Se si fosse trattato di qualcuno della famiglia della ragazza, lui avrebbe semplicemente fatto finta di averla vista l'ultima volta in ufficio il venerdì precedente.

Tuttavia, una volta aperta la porta, non si ritrovò davanti a nessun membro della famiglia Selwyn o Burke. Ma semplicemente a Caroline Fisher.

"Signor Larson?" Domandò la donna, allungano il braccio per stringergli la mano "E' un brutto momento?" Domandò poi, notando la leggera agitazione presente sul volto del giovane.
"No, no, si figuri." Rispose lui, continuando però ad impedirle l'accesso alla casa con il suo corpo "Come mai è qui?" Domandò sospettoso.
"Non è stato lei a chiedermi notizie su un possibile divorzio tra due purosangue?" Domandò la donna, continuando a scrutarlo intensamente.
"Ehm... sì, certo." Si affrettò a precisare Theo, anche se con tono vagamente incerto "Perchè?"
"Perchè, se è ancora interessato, avrei delle importanti novità da fornirle."

Senza stare a ragionare ulteriormente, Theo spalancò la porta. "Si accomodi e mi dica tutto."


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"Dove abitate adesso?" Lo interruppe Cassiopea, riprendendosi quasi di colpo.
Alphard la guardò confuso per un attimo, prima di rispondere titubante "In Irlanda del Sud, a Tralee. E' una piccola cittadina sulla costa... perchè?"
"Voglio parlare con... lei." Rispose la ragazza, portandosi al contempo una mano sul pancione.
"CHE COSA?" Domandò Nihal incredulo, strabuzzando gli occhi e girandosi di scatto.
"Voglio parlare con Selene." Ripetè Cassiopea, con un tono di voce più convinto "E voglio farlo prima del parto. Almeno questo me lo deve."

(cap. Speciale)



Selene_Black Selene Black in Carter    Alya_Carter Alya Carter




11 luglio 2007, Irlanda del Sud, Tralee



"Stai bene?" Domandarono in coro sia Nihal che Alphard, vedendo Cassiopea fermarsi qualche passo più indietro rispetto a loro per appoggiarsi ad un muretto.
"Sono all'ottavo mese e sto per incontrare una donna che non mi ha mai voluto. E' ovvio che sto benissimo." Rispose lei ironica.

Roteando leggermente gli occhi, Nihal tornò indietro per prenderla sottobraccio. "Coraggio Cassy... ormai sei qui. Non avrebbe senso tornare indietro proprio adesso, no?"
"No, infatti. Sono voluta venire io qui. Perciò me ne assumerò le conseguenze... qualsiasi esse siano. Andiamo."






"Mamma? Papà? Alya? Sono a casa!" Urlò Alphard dopo essere entrato in casa, seguito a breve distanza da Cassiopea.

Nihal invece aveva preferito rimanere fuori, nel cortile.
Nonostante Selene Black fosse, di fatto, sua zia di sangue, aveva capito che in quel caso si trattava di una vicenda di famiglia nella quale lui non era coinvolto.

Non appena il ragazzo terminò la frase, una ragazzina bionda fece la sua comparsa in salotto con un enorme sorriso.
"Alph!" Urlò lanciandosi tra le sue braccia e facendosi acchiappare al volo "Sei tornato finalmente! Senza di te qua a casa era un mortorio! Lo sai che la ma..."
La sua parlantina, che sembrava inarrestabile, si spense però all'improvviso, quando notò accanto ad Alphard la presenza di una ragazza bruna a lei sconosciuta.
Per qualche secondo la scrutò intensamente. Poi il suo sguardo si focalizzò in basso, verso il ventre gonfio di Cassiopea.

"Oh oh! Non mi dire che hai una fidanzata e che l'hai messa incinta! La mamma ti farà di sicuro a pezzi! Cavolo, quel bambino diventerà orfano ancora prima di nascere! ... Ma quindi questo significa che diventerò zia?" Continuò mentre il volto le si illuminava, davanti a quella prospettiva "Ok, ti darò una mano per cercare di rabbonire la mamma. Chi lo sa, magari potrebbe anche ammorbidirsi all'idea di un nipotino in giro pe..."
"Dov'è la mamma, Alya?" La interruppe a quel punto Alphard, sapendo perfettamente che se non l'avesse fermata lui la ragazzina avrebbe continuato a parlare all'infinito. "Dobbiamo parlarle." Continuò indicando se stesso e Cassiopea "Prometto che dopo ti racconterò tutto."

Nonostante la situazione paradossale - il ragazzo non l'aveva avvisata dell'esistenza di un'altra sorella - a Cassiopea scappò un mezzo sorriso. Bionda e con la parlantina: la copia al femminile di Altair.

"Sono qui... cos'è che devi dirmi Al?"

L'apparizione di Selene mozzò per qualche secondo il fiato alla Corvonero, che rimase a fissarla, senza riuscire a dire nulla.
E il fatto che la donna la scrutasse a sua volta attentamente, come se potesse trapassarla da parte a parte, non aiutava di certo a distendere la tensione.

"L'hai messa davvero incinta? Mi sembra un po' grande per te..." Fu il commento finale della donna.
Fu quella frase a risvegliare Cassiopea "L'unico che mi ha messo incinta, qui, è mio marito... e comunque tu sei l'ultima che potrebbe giudicare... mamma." Sull'ultima parola non potè che riversare tutto il suo sarcasmo.

Per qualche secondo il silenzio totale calò nella stanza, prima che Selene sgranasse gli occhi sorpresa. "... Cassy."
 
"Te la faccio breve Selene: l'unico motivo per cui sono qui è che voglio sapere chi è davvero mio padre: il mio matrimonio dipende da questo. Poi toglierò il disturbo."

"Allora sei venuta fin qua per niente... Mi dispiace, ma non posso dirtelo."


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15 luglio 2007, San Mungo


Era da un po' che sia Aster che Cassiopea l'avevano mandata a cercarla: sembrava infatti che la rossa fosse improvvisamente sparita nel nulla.

Tuttavia, quando sentì quei singhiozzi provenire dal bagno delle signore, Lysbeth non ebbe più alcun dubbio: Cecilia si trovava sicuramente all'interno.
Dopo aver bussato - giusto per segnalare la propria presenza e il suo imminente arrivo - la cameriera aprì la maniglia della porta con un pigro colpo di bacchetta.
"Tutto bene Signora Evans?" Domandò titubante, già immaginando quale potesse essere il problema della donna. E sentendosi di conseguenza una stupida a porle quella domanda.
"Sì certo." Si affrettò a rassicurarla Cecilia, asciugandosi frettolosamente le lacrime con la mano. "E ti ho detto un milione di volte di darmi del tu."
"Certe abitudini sono dure a morire." Replicò Lysbeth "Quindi temo che l'appellativo le rimarrà per... cioè, volevo dire ti rimarrà per un bel po'."
"Come mai sei venuta in bagno?" Domandò a quel punto la Weiss, dirigendosi verso lo specchio per sistemarsi il trucco "Merlino! La mia faccia è un disastro!"
"Sia suo marito che la Signora Black la sta... volevo dire... sia Aster che Cassiopea ti stanno cercando." Fu la risposta della cameriera, mentre si portava una mano alla bocca per cercare di non ridacchiare "E credo che Cassiopea voglia chiederti qualcosa di importante..." Aggiunse con tono incoraggiante.
"Probabilmente di fare la madrina al bambino." Realizzò in quel momento Cecilia, sgranando gli occhi per la sorpresa "Ma io non credo di volerlo fare..." Continuò tirando su col naso.
"Solo perchè fino ad ora non sei riuscita a diventare madre?" Replicò Lysbeth "So che il mio consiglio non è richiesto... e probabilmente, visti i trascorsi con la vostra famiglia non è neanche la situazione ideale, ma tu sei sempre stata brutalmente sincera con me, perciò voglio fare altrettanto. Magari nel tuo futuro non è previsto essere madre, anche se nessuno può saperlo davvero. Ma cosa ti impedisce di viverti a pieno l'essere zia? E poi, non è mai detto. Perchè adesso non vieni a conoscere tuo nipote, intanto?"


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17 luglio 2007, Dipartimento Auror


"Insomma Aaoron fermati!" Urlò Melisandre, iniziando a rincorrere l'Auror per i corridoi del Ministero.

Sbuffando, l'uomo rallentò appena il passo per permetterle di raggiungerlo, domandasi cosa potesse aver fatto di male per meritare un simile trattamento.
Insomma, nella sua vita non era presente una donna da un bel po' di tempo, eppure erano due giorni di seguito che diverse appartenenti alla categoria gli correvano dietro per i corridoi del Dipartimento, urlandogli addirittura degli ordini.

Quando la detective riuscì finalmente a raggiungerlo, l'uomo le indirizzò un sorrisetto ironico. "Qualcosa nella lettera che ti ho scritto non ti è chiaro Lissa?"
"No che non mi è chiaro!" Sbraitò la donna "Cosa significa che il Dipartimento non muoverà ulteriori accuse contro Julia / Victoria e che verrà liberata entro poche ore? E tutto il lavoro che abbiamo fatto in questo mese?" Continuò a domandare incredula.
Davanti a quella esternazione, completamente prevedibile, Aaron le rivolse un ghigno divertito "Buffo che me lo chieda proprio tu Mel. Non sei tu che sei stata ingaggiata dai Levenvolde?"
"Sì ma..." Provò ad obiettare la donna, prima di venire interrotta.
"Cassiopea si sente in colpa per quello che è successo." Spiegò Aaron. "E quindi ha cercato una scappatoia... che, ovviamente, ha trovato. Ancora non capisco perchè quella donna non sia diventata avvocato, ma alla fine ringrazio di non dovermela trovare contro in tribunale... " Concluse borbottando a mezzavoce.
"E perchè si dovrebbe sentire in colpa?" Domandò Melisandre incredula "Voglio dire... si è scoperto che aveva ragione no? Suo marito era innocente e se lei non si fosse intestardita a dimostrarlo, adesso ci sarebbe Darius al posto di Julia... quindi di cosa si dovrebbe sentire in colpa?"

Battendole una mano sulla spalla, l'Auror le rivolse un'occhiata strana "Lissa... Samuel Larson è stato un loro dipendente non per un giorno, ma per ben cinque anni. E in questi cinque anni ne ha fatte di tutti i colori, come stiamo scoprendo man mano dalle indagini. Cassiopea si sente in colpa per il fatto di non essersi accorta di nulla: Samuel ha ricattato Julia mentre lavorava per lei... e per una come la Black, che sa cosa succede al Ministero ancora prima che lo sappia il Ministro stesso, non sapere cosa succede in casa propria è completamente inaccettabile." 


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"Come puoi vedere è indirizzata ad 'A. Black'." Gli fece notare Cassiopea, indicando ad Altair il punto dove si trovava il destinatario con l'indice. "E non essendo presenti dei segni di riconoscimento ulteriori - come ad esempio la data di nascita - potresti essere benissimo anche tu."

(da cap. 17 - Darius Levenvolde)



Quando aveva proposto l'idea dell'associazione a Kingsley, Cassiopea non si era aspettata di certo di ricevere immediatamente il suo appoggio. Si trattava pur sempre di un appartenente alle Sacre 28. E per di più uomo.
Invece, proprio quell'uomo, l'aveva totalmente spiazzata. 
"Ha il mio totale appoggio, signora Black."

(da cap. "Speciale")


15 luglio 2007, Ambasciata Magica Russa


"E' l'ultimo?" Domandò Darius a suo padre, apponendo per l'ennesima volta la propria firma sui fogli che avrebbero sancito definitivamente l'annullamento del matrimonio tra lui e Cassiopea.
"Sì, con questo abbiamo finito." Confermò Alexej, ancora vagamente incredulo per la situazione.

Era stato Darius stesso a presentarsi da lui quella mattina, dichiarando esplicitamente di 'volerla finire una volta per tutte con quella storia'.

"Hai fatto la scelta giusta Darius, quella donna non è mai stata adatta a te." Gli disse l'uomo, dando al figlio una leggera pacca sulla spalla. "Adesso che finalmente il vostro matrimonio è nullo potrò trovarti la moglie perfetta. Peccato solo che tu ci abbia messo sette anni per capirlo."

Giocherellando con la piuma di pavone ancora sporca di inchiostro, Darius gli indirizzò un piccolo sorriso.
"Oh, sono sicuro che la donna che scegliereste per me sarebbe di sicuro un'ottima scelta, padre." Iniziò lentamente "Peccato per l'esistenza di un piccolo problemino: io sono già sposato."
Davanti a quella frase apparentemente senza senso, Alexej inarcò un sopracciglio. "Hai appena firmato i fogli per l'annullamento... come fai ad essere ancora sposato?" 
"Quello che voi dite è vero." Replicò l'Auror "Ma io ho firmato i documenti per l'annullamento come Darius Levenvolde. Peccato che quel cognome non mi appartenga più da anni."
"Non capisco..." Fu l'unica risposta del Ministro.
"Vede, signor Levenvolde... subito dopo il mio matrimonio con Cassiopea Black, io... sono stato adottato. Da Altair ed Elizabeth Black. Anche se non abbiamo mai reso la cosa pubblica." Fu la semplice spiegazione di Darius. "Quindi è ormai da cinque anni che io non sono più Darius Levenvolde. Pertanto, la nullità del matrimonio... è nulla. Interessante gioco di parole, vero?"

Per qualche secondo il silenzio totale calò nella stanza, mentre l'Auror, per paura di qualche ritorsione da parte del suo padre biologico, stringeva la mano sulla bacchetta che aveva sotto al mantello.

Ma Alexej si riprese parecchio in fretta, mentre un sorrisino compariva nuovamente sul suo volto. "Per una adozione del genere serviva la liberatoria del capo famiglia, ovvero la mia. E io non te la darò mai. Pertanto... non è valida."
Fu il turno di Darius di sorridere "Ma tu me l'hai già data: ricordi quando ho partecipato alla gara di Antares? Tutti i partecipanti dovevano presentare quella liberatoria firmata dal proprio capo famiglia, che autorizzasse il passaggio da una famiglia all'altra in caso di adozione. E tu l'hai firmata."
"Ad Antares, non ad Altair Black!" Replicò l'uomo "Un uomo che è già nella tomba da 7 anni! O vuoi forse dirmi che ti ha adottato il suo fantasma?" Domandò con scherno.
"No, voglio solo dirti che dovresti stare più attento a ciò che firmi: la liberatoria era indirizzata semplicemente ad 'A. Black'. P
ertanto, anche ad Altair." Lo informò Darius "L'adozione è perfettamente valida. E di conseguenza lo è anche la seconda cerimonia di nozze, che io e Cassiopea abbiamo celebrato il giorno dopo quelle pubbliche, alla presenza del Ministro Inglese in persona. E' per questi motivi che sono già sposato."


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Nicole non tornò subito.
Dopo un arco di tempo giudicato idoneo, e con una bruttissima sensazione nel petto, Candice andò a cercarla.
Trovandola schiacciata contro a un muro, mentre si dimenava cercando di sfuggire alla presa di un ragazzo palesemente ubriaco che la stava palpeggiando senza vergogna e che cercava contemporaneamente di sfilarle la gonna. 

Un ragazzo che Candice conosceva benissimo.
Elliot Florence.

Circa un'ora dopo la tuonoalato, in un tetro ufficio del Ministero della Magia Americano, stringeva Nicole a sè, tra un abbraccio e una coperta, cercando di rassicurarla con parole che però suonavano vuote pure a lei.
"La pagherà Nicole. Non so come, ma ti prometto che la pagherà."

(cap. 16 - Candice Sutherland)



16 luglio 2007, Azkaban


"Florence? C'è una visita per te nella saletta apposita! E devo dire che è anche una bruna piuttosto carina!" Lo informò un Auror con voce palesemente divertita "Stai per caso diventando una star? Hai più visite tu da solo che metà dei tuoi compagni di cella!"
"Che vuole farci Mars? Sarà colpa del mio irresistibile fascino!" Replicò lui cercando di pavoneggiarsi.

Era da giorni, dopo che aveva ricevuto quel pacco contenente fogli vuoti, che Elliot aspettava un segno qualsiasi.
E nel frattempo stava cercando di auto convincersi che in realtà quella di Cassiopea Black fosse stato soltanto un modo per cercare di intimorirlo.
In fondo era passato parecchio tempo dalla sua visita. E ancora di più da quella di Alexis.
Eppure nulla era ancora successo. Suo fratello lo avrebbe informato di sicuro, in caso contrario.

"Oh! A proposito!" Lo informò la guardia acchiappandolo per un braccio e impedendogli così di recarsi immediatamente verso la saletta "Da oggi pomeriggio non sarai più solo in cella: sono sicuro che apprezzerai la compagnia. Puoi andare."

Stranito da quella frase sibilina, ad Elliot non rimase altro da fare che recarsi dalla sua misteriosa visita.

"Io ti ho già visto." Commentò poi, una volta trovatosi davanti alla ragazza bruna. "Non eri venuta a trovarmi anche pochi giorni fa?" Domandò inclinando la testa, mentre un sorrisetto impertinente si affacciava sulle labbra della ragazza in risposta.
"Chi lo sa... può essere." Replicò Candice, senza però specificare il suo nome.
"E come mai sei tornata così presto? Sentivi per caso la mia mancanza?"
Continuando a sorridere, la cameriera scosse con vigore il capo "In realtà è difficile sentire la mancanza di persone come te al mondo Florence. Sono venuta qua soltanto per fare un favore ad una amica... hai ricevuto per caso un pacco pieno di fogli di pergamena vuoti, di recente?"

Elliot, a quella domanda, non rispose. Ma il suo silenzio parlò per lui.

"Dalla tua espressione direi di sì." Commentò Candice "Bene, ti dirò la formula per far comparire ciò che serve. E' Black's revelio: non serve la bacchetta magica per attivarlo. Sono sicura che la troverai molto utile." Lo informò senza mai smettere di sorridere. "E, ovviamente, buona permanenza in prigione." Concluse prima di alzarsi in piedi ed andarsene, ignorando i richiami dell'uomo.

Cinque minuti dopo, proprio mentre le prime parole comparivano su fogli di pergamena, la porta della cella di Elliot venne aperta dagli Auror che trascinarono dentro suo fratello Isaiah, a sua volta ammanettato, che si dimenava con tutte le sue forze.
"Te l'avevamo detto che avresti avuto compagnia. Non siete felici della reunion familiare?"
"Ma che cosa...?"



Al mio giornalista ficcanaso preferito.

Lo sai che è stato eletto da poco il nuovo Ministro Magico Americano?
Naturalmente è stato immediatamente informato di tutti i casi che tuo fratello ha insabbiato per proteggerti (e che ti ho prontamente allegato nella scatola)... e non vede l'ora di poterli rianalizzare.
Immagino che, nel tempo che trascorrerete nelle celle inglesi, tu e tuo fratello avrete modo di prepararvi una strategia difensiva convincente.
Ma, nel frattempo, buona permanenza in prigione.

C.B. (in B.)




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"Allora signor Larson, ha deciso cosa fare?" Domandò Alexis.
"Accetto il risarcimento, ma voglio che nella somma sia presente uno 0 in più." Rispose lui deciso. 
"Molto bene. Ma lei deve firmare un accordo dove, qualsiasi cosa succeda o si scopra in futuro tramite le indagini, si impegnerà a non chiedere più nulla ai miei assistiti e a ritirare ogni denuncia nei confronti di Darius Levenvolde o di chiunque altro dovesse risultare colpevole. Niente denuncia, niente risarcimento, niente carcere. Accetta?" 
"Dove devo firmare?"

(da cap. 15 - Theophile Larson)



17 luglio 2007, Dipartimento Auror


"Complimenti signorina Foster: lei è una donna libera."

Sentendo e vedendo la figura di Alexis dietro alle sbarre pronunciare quella frase e fare un cenno ad un Auror di aprire la gabbia - ordine che l'uomo eseguì prontamente - Julia ebbe per qualche secondo il dubbio di essere stata lei, ad ingerire la droga che aveva creato apposta per Samuel.

Invece era la realtà: Alexis Buldstrode era davvero lì, con un ordine di rilascio in mano e pronta a parlare a nome della famiglia Levenvolde.

"Come... come è possibile che io sia libera?" Domandò la medimaga incredula, una volta che lei e l'avvocatessa uscirono dal Dipartimento Auror.

L'unica cosa che Julia voleva era ritornare a casa per riabbracciare le sue figlie, ma non poteva farlo prima di avere capito cosa fosse esattamente successo.
Ed essere sicura che quella bruttissima storia fosse davvero alle sue spalle.

"Lo sa che ormai da alcuni anni lo stato di servitù degli elfi domestici è stato abolito?" Le domandò, senza un apparente senso, Alexis.
"Sì, certo... subito dopo la Seconda Guerra Magica per opera di Hermione Granger." Rispose Victoria perplessa "Ma questo cosa c'entra con me?"
"La servitù è stata abolita, ma molte leggi non sono ancora state abrogate." Spiegò la purosangue.
"Continuo a non capire."
"Samuel Larson era un domestico. E in mancanza di norme che regolano la materia, vengono applicate per analogia quelle più simili. Tempo fa, la famiglia di mio cugino ha risarcito sia la vedova che la famiglia di Samuel Larson, con la clausola che, chiunque si fosse rivelato essere colpevole della sua morte, non sarebbe più stato affar loro. In questo modo, la 'proprietà' del domestico è passata ai Levenvolde. Perciò, allo stato attuale delle cose, è come se lei avesse ucciso il loro elfo domestico. E, di conseguenza, sono loro a decidere l'eventuale risarcimento che lei dovrebbe dare alla loro famiglia. Venuti a conoscenza di tutta la sua storia, hanno deciso di ritirare ogni denuncia. Se non c'è denuncia, non c'è processo. E se non c'è processo, non c'è neanche pena. Perciò glielo ripeto, signorina Foster - o preferisce Carlisle? - Lei è una donna libera."


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qualche mese dopo, Winzengamont - Dipartimento Legislativo


Vedendo gli occhi di suo marito scrutarla con astio qualche fila più in basso, Sylvia venne colta dalla volontà di fuggire a gambe levate.
E stava davvero per farlo, ma una mano calda si posò sulla sua, iniziando a massaggiarle il palmo col pollice.
Girandosi, la donna si ritrovò così accanto al volto familiare e confortante di Theo.

"Andrà tutto bene, ne sono sicuro." Dichiarò il ragazzo, indirizzandole un sorriso e sporgendosi appena per baciarla.

Bacio al quale Sylvia rispose immediatamente, anche se leggermente titubante, mentre sentiva lo sguardo di Frederick perforarle la nuca.

Non era più tornata a casa dal marito.
Quando sia lui che la sua famiglia avevano scoperto cosa aveva fatto, le cose si erano fatte difficili. Sia i suoi genitori che Frederick, infatti, avevano provato in tutti i modi ad avvicinarla - con visite poco gradite anche in ufficio - per cercare di convincerla a tornare a casa, da suo marito.
Ma, nonostante tutto, non aveva mai ceduto alle loro pressioni.
E, nonostante fosse ancora legata formalmente con un matrimonio ad un uomo che non aveva mai voluto, Sylvia aveva iniziato a vivere la sua vita  come aveva sempre desiderato, accanto all'uomo che amava e alla luce del sole.
E aveva tutte le intenzioni di difendere ciò che aveva costruito.
Soprattutto in quel momento.

Aveva infatti scoperto da poco di essere incinta.

Perciò, nonostante tutto sembrasse essere contro di loro e la loro storia e ogni fibra del suo corpo le urlasse di scappare lontanissimo per preservare se stessa e la vita che le si era formata nel grembo, aveva deciso di rimanere lì, in Inghilterra.

Soprattutto dopo la visita di Caroline Fisher. Che era lo stesso motivo per cui quel giorno, anzichè restare a casa a riposare come avrebbe voluto Theo, si trovava lì, al Dipartimento Legislativo del Winzengamont.
In attesa di una sentenza che, se fosse passata, avrebbe potuto cambiare finalmente le carte in tavola sulle regole del matrimonio nel mondo magico purosangue.

Distogliendo lo sguardo sia dal suo compagno che da suo marito, Sylvia allungò il collo verso il basso dove, al centro della stanza circolare, si trovavano in quel momento Cassiopea e Darius Black, insieme ad Alexis Buldstrode e a Caroline Fisher.

"Per quanto voi possiate scervellarvi sulle questioni di nullità e simili" Stava argomentando Caroline "Non capirete mai se il matrimonio tra Darius e Cassiopea Black sia nullo oppure no, semplicemente perchè la questione è troppo fumosa per essere definita. Si sono sposati due volte, cosa che non sarebbe consentita, eppure l'hanno fatto. Con due cognomi diversi e alla presenza dello stesso Primo Ministro, che ha officiato personalmente la seconda cerimonia. Pertanto il matrimonio è valido. Eppure, queste carte, firmate da Darius Levenvolde, ne provano la nullità. Peccato che la persona fisica, Darius Levenvolde, non esista più da sette anni, essendo stato sostituito da Darius Black. Certo, se esistesse un metodo alternativo - come ad esempio il divorzio - entrambi potrebbero porre fine a questa situazione di incertezza chiudendo la cosa e risposandosi, ricominciando così da capo. Peccato che questo strumento non esista."

"Allora, signori, come intendete agire per sanare questa situazione di totale incertezza?"



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Ebbene sì, ci siamo: ho concluso anche questa interattiva.
Non è la prima e non sarà neanche l'ultima, tuttavia l'emozione è sempre più o meno la stessa.

Desidero ringraziare le 11 autrici che inviandomi i loro personaggi hanno reso questa storia possibile, seguendomi dall'inizio alla fine - Skystorm, Blackwhite, Cody, Grimilde, Shiory, Carme, Ladra, Leda, Secrety, Signorina e Clove.

Ringrazio Hailey per aver sempre recensito anche se non iscritta.

Ma soprattutto (senza nulla togliere agli altri personaggi) ci tenevo a ringraziare lei, Justsay: nel momento in cui ho letto la scheda di Julia mi sono detta "ecco l'assassina perfetta". Quindi grazie davvero per avermi spedito la "vittima sacrificale" (poveretta, non l'ha saputo neanche lei fino all'ultimo, scoprendolo insieme a tutte voi) ma, soprattutto, per non essere mai sparita.
Avevo stabilito altri 2 possibili assassini "per riserva" ma la storia avrebbe perso molto del suo spirito.

Inoltre ringrazio anche i 45 che, tra seguite, preferite e ricordate hanno seguito la mia storia e anche tutti gli altri lettori silenziosi
(non mi dispiacerebbe avere anche un vostro parere, se mai vorreste dedicarmi 2 minuti del vostro tempo).

Lo so, alcune situazioni sono rimaste in sospeso, ma non temete, le concluderò con le OS! (d'altra parte la storia era sull'omicidio, tutto il resto era solo di contorno).

Detto ciò ci vediamo presto con i nuovi capitoli di Grimm, con la selezione della nuova storia e, per chi ancora aspetta, con le recensioni che devo lasciare (scusate Mary e Signorina, prometto che arrivo!) ;)


Ciaooo!


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