Shine

di Ellery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luna e sole ***
Capitolo 2: *** Splendi per me ***
Capitolo 3: *** La Festa della Notte ***
Capitolo 4: *** L'eclissi ***
Capitolo 5: *** Nightmare Moon ***
Capitolo 6: *** Gli Elementi dell'Armonia ***



Capitolo 1
*** Luna e sole ***


1. Luna e sole
 

Note: la ff partecipa al COWT8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 3 - Prompt: Shine (Tolmachevy Sisters)
Parole: 2496




Celestia si fermò al limitare della balconata, esausta. Il sole era appena tramontato. Il suo corno riluceva ancora della magia necessaria a coricarlo. Piegò il capo verso la sorellina, che osservava curiosa il piccolo gruppo di pony riunitisi al centro del cortile sottostante.

«Cosa fanno?» domandò Luna, spiando le figure radunate una decina di metri più in basso «Perché sono lì?» chiese, indugiando con lo sguardo sui Cutie Mark: tutti simili, rappresentanti un cielo stellato.

«Sollevano la luna.» fu la risposta della principessa «Ogni notte, si ritrovano per poterla chiamare, per collocarla nella volta celeste. Per estendere la notte e per farla svanire con l’alba successiva. È un compito molto importante.» la voce di Celestia si era fatta solenne, profonda, quasi cogliesse fino in fondo la responsabilità di quell’incarico «Mantengono il buio perché possiamo riposare, dormire e sognare.»

«Non basta un pony? In fondo, tu fai tutto da sola. Fai sorgere e tramontare il sole. Perché loro devono essere in…» contò a bassa voce «sei?» snocciolò.

«Sono la principessa del sole.» Celestia mosse il muso verso la propria groppa, dove il disegno dell’astro capeggiava sul manto bianco e lucido «è mio dovere controllare il giorno. Sono sola perché la mia forza magica è sufficiente, capisci? È il mio incarico; sono nata per questo. Ho scoperto di poterlo fare quando ero ancora giovane, mia cara; più giovane di te.»

Luna fissò la propria coscia. Sul mantello blu non vi era niente: nessun simbolo, nessun riconoscimento. Eppure, la maggiore aveva ricevuto il Cutie Mark in tenerissima età; era un disegno importante, sinonimo di una grande responsabilità e quasi un rituale di passaggio alla vita adulta. Perché a lei allora non era ancora comparso? Che non fosse altrettanto talentuosa? Che fosse destinata a vivere all’ombra dello splendore di Celestia? Ad essere soltanto un anonimo pony della capitale?

«Come l’hai ottenuto?» chiese, incollando lo sguardo azzurro al cielo, dove le striature rossastre andavano ormai confondendosi con il nero della vicina notte.

«Un tempo, prima che nascessimo, il sole veniva svegliato nello stesso identico modo. I Pony del Sole si radunavano ogni mattina e lo faceva sorgere. Intonavano canti e poesie per convincerlo a splendere per noi. Ogni giorno, mi fermavo su questa terrazza e li spiavo di nascosto; trovavo affascinante il loro fare, il modo in cui riuscivano a scandire il ritmo del tempo e la tenacia con cui lo manipolavano. Li ho osservati per anni.

Poi, un giorno accadde qualcosa di inspiegabile. Il sole non si sollevò; era come se fosse diventato insensibile alle filastrocche, alle canzoni, alle preghiere. Come se fosse stanco di ascoltarci e volesse rimanere coricato ancora un po’. I Pony del Sole provarono per ore, ma senza successo. La notte giacque su Equestria per giorni. Lo immagini, Luna? Il nostro splendido Paese avvolto nelle tenebre. Gli alberi avvizzivano, gli uccelli non fischiettavano, i conigli rimanevano nascosti nelle loro tane ed i campi non producevano e diventavano schiavi dei rovi. Soltanto i predatori notturni erano liberi di scorrazzare, mentre gli incubi invadevano la fantasia. I pony iniziarono a non uscire di casa, a temere le ombre, ad accendere luci artificiali sperando di trovare conforto nelle fiammelle delle candele. Riesci ad vederlo?»

Luna annuì:
«Non capisco. Perché temere così tanto la notte? Io… trovo sia affascinante. È splendida, a modo suo. Incompresa, forse… ma bellissima.»

«Sono d’accordo con te, ma… la notte non può rimanere per sempre. Deve esserci il giorno. Senza la luce, non c’è equilibrio.» la voce della principessa conteneva una sfumatura di leggero rimprovero, come se quell’interruzione l’avesse quasi infastidita; dopo poco, tuttavia, continuò «Mi feci avanti. Non so perché mi proposi… forse, sentivo di potercela fare e di poter aiutare i Pony del Sole. Mi sedetti in quello stesso cortile» uno zoccolo indicò lo spiazzo sottostante, dove i Pony della Luna avevano dato inizio al rituale «e pregai. Supplicai il sole, gli chiesi di concedersi ancora a noi, di non negarci il suo splendore ed il suo tepore. Fui esaudita. Cantai per lui per… ore! Alla fine, i raggi fecero capolino da oltre l’orizzonte. Lo vidi sollevarsi ed iniziare il suo cammino lungo il cielo. Quel giorno, il mio Cutie Mark apparve.»

«Capisco.» Luna non riuscì a tradire una nota delusa. Quanto ci metteva il suo “simbolo di bellezza” a comparire? Lei era ancora senza identità. Non era nessuno, se non una principessina cresciuta all’ombra della geniale sorella. Non aveva il Cutie Mark e non sapeva neppure come fare ad ottenerlo. Che talenti possedeva? Nessuno. Non sapeva far sorgere il sole, né comandare alle stelle di sparire. Non sapeva nulla dell’amore, né della famiglia, né dell’amicizia. Non amava leggere e non era neppure tanto portata per la magia. Chinò il muso, osservando nuovamente i giardini e poi l’orizzonte, dove si intravedeva un pallido bagliore.

«Chissà, forse diventerò una brava pasticciera…» scherzò, rammentando tardi il disastroso risultato ottenuto in cucina soltanto il giorno prima. Aveva bruciato due teglie di biscotti e rovesciato l’impasto per i muffin. Alla fine, la cuoca l’aveva fatta gentilmente accomodare alla porta, assicurandole che Miss Petunia, la giardiniera, aveva certamente bisogno di lei.
Non che alle serre fosse andata meglio. Miss Petunia si era ritrovata con le piante grasse affogate e le begonie rinsecchite.
Aveva tentato con la biblioteca, ma riordinare i volumi per autore e periodo storico si era rivelato un compito troppo noioso; classificarli in base ai colori delle copertine, tuttavia, aveva indisposto di parecchio il bibliotecario.

«O rimarrò una Fianchi Bianchi a vita» concluse, fissandosi mestamente. Era così che venivano chiamati coloro che non avevano ricevuto nessun simbolo; Fianchi Bianchi, pony senza talento, senza uno scopo, speciali quanto un torsolo di mela.

Era inutile fingere non fosse motivo di disprezzo ed era impossibile non cogliere i bisbigli che serpeggiavano tra la servitù e l’aristocrazia: la principessina Luna non aveva ancora un Cutie Mark? Inaudito e scandaloso! Non quando la sorella aveva ricevuto il suo in età così tenera. Possibile non fosse predisposta a nulla? Che fosse una perditempo?

«Sei ancora giovane, Luna.» la sorella la avvolse con una delle candidi ali «Pazienta. Sono sicura che apparirà presto; e che sarà bellissimo.»

“Come no…” pensò, senza staccare gli occhi dal giardino sottostante “Non me ne faccio nulla della tua pietà, cara sorella. È facile parlare quando si ha tutto dalla vita. Se solo provassi a capire, invece che elargirmi compassione”.

Si tenne dentro quelle parole. Sapeva che Celestia che avrebbe travisato. L’avrebbe letta come una accusa e non come una richiesta d’aiuto, troppo orgogliosa per poter essere espressa.

Chiuse gli occhi, respirando a fondo l’aria frizzante della sera. Il tepore del sole era ormai un ricordo lontano, mentre la notte gettava già le proprie ombre sulla città di Canterlot. Tese le orecchie, accontentandosi di cogliere il canto che si levava dal basso.
Le voci intonate si mescolavano perfettamente al gracidare dei rospi, al frusciare delle fronde frustate dalla brezza serale; al pigolio degli uccelli ormai ritornati ai loro nidi, ai rumori lontani della campagna che andava terminando le ultime attività.
 

Splendi nell’oscurità,
splendi nella notte, sei la mia luna che sorge.
 

Luna riaprì gli occhi, sorridendo al notare il profilo familiare del satellite spuntare da dietro le colline. Una falce perfetta, quasi un ghigno storto. Una parte illuminata ed una nascosta a tutti. La amava perché le assomigliava. Avevano entrambe un lato visibile, apparente. Una faccia con cui mostrarsi agli altri ed una maschera per celare la propria identità; per occultare il dolore, le preoccupazioni, la frustrazione.  

Un picchiettare sulla spalla la riportò bruscamente alla realtà: Celestia la stava fissando, incerta.
«Va tutto bene?» si sentì chiedere. 

Mosse il capo in un cenno affermativo:
«Sì.» mentì «Posso raggiungere i Pony della Luna? Ci sono alcune domande che vorrei fare e…»

«Naturalmente. Non metterci troppo, però. Saranno stanchi e vorranno andare a riposare… e anche tu dovresti dormire un po’!» la principessa le regalò un bacio leggero tra le ciocche scure «Buona notte, Luna.»

«Buona notte, sorella.»
 

***
 

Luna sorvolò il cortile, chiudendo poi le ali di scatto e fiondandosi in una breve picchiata. Celestia si sarebbe sicuramente indispettita, se l’avesse vista: non era un comportamento adatto ad una principessa, quello. Avrebbe dovuto usare le scale e presentarsi ai sudditi con il dovuto distacco, con la compostezza che si addice ad una futura regina.

Baggianate, ecco! Non le importava nulla dell’etichetta. Non in quei momenti, quando a guardarla vi erano soltanto le stelle e quando il buio della notte la proteggeva e la abbracciava come una madre orgogliosa.

Si accostò ai Pony della Luna che, sciolto il cerchio di preghiera, stavano già per ritirarsi.
«Perdonate!» esclamò, mimando un colpo di tosse per richiamare l’attenzione «Vorrei provi alcune domande.»

«Principessa!» i sei si inchinarono prontamente, ma a farsi avanti fu il più anziano del gruppo. Una lunga barba bianca contornava il mento del vecchio pony, mentre tra la criniera – un tempo di un fulgido oro – spuntavano ciocche argentate. Anche il manto aveva perso la sua tonalità originaria, sbiadendo in un pallido color lampone. Luna lo riconobbe immediatamente, nonostante gli spessi occhiali che celavano lo sguardo astuto:

«Mastro Betelgeuse.» salutò educatamente, piegando leggermente il collo «Spero di non essere inopportuna, ma… desidererei chiedervi alcune cose.» non attese il permesso, continuando imperterrita «Da quanto fate sorgere la luna?»

«Da tanto, principessa. In fede, non lo ricordo nemmeno. Ho preso il posto di mio padre e di mio nonno prima di lui. La mia famiglia si è sempre occupata del rituale. Mio figlio continuerà la tradizione, quando io non ci sarò più.» Betelgeuse sorrise, mettendo in mostra i denti storti.

«E se vostro figlio volesse fare qualcosa di diverso? Tipo… il gelataio?»

«Temo sia impossibile, principessa. Orion ha già ricevuto il suo Cutie Mark ed è identico al mio. Sa che il suo destino è legato indissolubilmente alla notte, che abbiamo giurato di proteggere.»

«Capisco. Però, non pensate che… magari si aspettasse altro dalla vita? Insomma, forse avrebbe preferito coltivare degli ideali differenti.»

«Non gli è mai stato impedito, principessa. Tuttavia, siamo guardiani da generazioni; e continueremo ad esserlo, perché siamo portati per fare questo. Non possiamo deviare dai nostri cammini: possiamo sbagliare strada, inforcare sentieri diversi, ma tutti percorreremo la via giusta presto o tardi; quella che il Cutie Mark ha scelto per noi.»

«Non lo trovo giusto…» bofonchiò Luna, tornando a scrutare il cielo.

La sua omonima splendeva ormai alta, bagnando Equestria con la sua pallida luce. Raggi sottili, delicati e quasi timidi; niente a che vedere con quelli maestosi e solenni del sole. Le piaceva, sì… perché i pony non si soffermavano ad ammirarne la bellezza, invece che rintanarsi a dormire? Perché accendevano i fuochi per scacciare le ombre, invece che raccogliere ogni sfumatura del silenzio e del buio? Erano una compagnia piacevole, ristorante ed amica. Perché soltanto lei riusciva a cogliere tutte le rassicurazioni che la notte regalava?

«Cosa non trovate giusto?» la voce gracchiante di Betelgeuse la strappò a quelle riflessioni.

Scosse il capo, limitandosi ad un «Niente…» e lasciando cadere l’argomento.

«C’è altro che desiderate chiedere?»

«Sì, per favore. È così faticoso far sorgere la luna? Vi vedo provato e… mi chiedevo soltanto quante energie possano servire per svolgere un compito simile.»

«Molto, principessa. La luna è una compagna volubile. Si mostra con tante sfaccettature e cambia viso tutti i giorni. Oggi, ad esempio… non era che una falce. È facile farla nascere, quando è ridotta ad uno spicchio. La parte illuminata è più piccola e richiede un minor dispendio di magia. Quando è piena, invece… pesante. È come se…»

«Come se sollevassi un secchio colmo d’acqua ed uno mezzo vuoto…»

«Precisamente. La luna piena è difficile e pretenziosa. Occorre molto più tempo perché si palesi. È come una bambina capricciosa: vuole essere viziata e coccolata. Non si accontenta delle solite melodie; ne cerca sempre di nuove, di raffinate e complesse.
Altre volte, invece, rifiuta di mostrarsi. La intravediamo spuntare all’orizzonte, ma è solo una fugace apparizione. Permane buia per tutta la notte, come un’amante che si vede negato un favore. È donna ed è mutevole d’umore. Bisogna essere pazienti, saperla comprendere ed assecondare i suoi desideri. Può essere una splendida compagna, come una nemica invisibile. Non bisogna mai fidarsi di lei, principessa.»

Luna aggrottò la fronte. Che significavano quelle parole? L’avevano scossa, senza dubbio. Era come se, con una semplice, Betelgeuse fosse riuscita a pungerla sin nel profondo. Batté le palpebre, incerta:

«Che intendete?»

«Non è come suo fratello. Il sole è genuino, onesto. Spunta ogni giorno e compie il suo cammino, vegliando su di noi. Ci scalda, ci allieta; dona nutrimento al terreno, fa sbocciare i fiori e maturare i frutti. Ci sostiene e non chiede nulla in cambio. La luna è diversa. Attraversa il cielo in silenzio; a volte, compare di giorno anche se non è richiesta: la vedi stagliarsi contro il cielo azzurro, pallida come un fantasma. Altre volte, non si degna neppure d’alzare la testa. È difficile da domare…»

Luna non rispose, abbassando semplicemente lo sguardo. Non riusciva a togliersi di dosso quella sgradevole sensazione. Era questo, dunque, ciò che i pony pensavano della luna? Possibile che fossero tanto ingrati e disonesti? Forse erano soltanto invidiosi del suo essere così solenne ed elegante; delle stelle che si inchinavano al suo passaggio, brillando contro lo sfondo nero della notte.

«Non sarebbe meglio, allora… evitarla? Lasciarla riposare. Se la sua presenza è tanto sgradita, perché disturbarla e chiederle di sorgere?»

«Perché il tempo richiede equilibrio. Al giorno deve corrispondere la notte. Il sole deve potersi rilassare e la luna deve vegliare sui sogni di Equestria.»

«A quanto dite, però… non è un granché come guardiana.»

«Non fraintendete, principessa. Immaginate un mondo dove regna sempre il sole. Riuscireste a dormire, in mezzo a tutta quella luce? Con i raggi caldi che vi feriscono continuamente gli occhi? È a questo che serve la notte: ci concede di riposare. Viviamo nel sole, ci assopiamo nella luna. Sono inscindibili; non potete separarli. Devono alternarsi, perché tutto funzioni correttamente.» il vecchio nascose a stento uno sbadiglio «Pensate a vostra sorella, per esempio. Se non esistesse la notte, non avrebbe un attimo di tregua. Sarebbe costretta a lavorare… beh, sempre. Celestia è talentuosa, certo… ma non al punto da poter fare a meno del riposo.»

«Credete esista un pony capace di non stancarsi mai? Io credo di sì.»

«No, principessa. Tutti abbiamo bisogno di riposare.» una pausa e di nuovo quel sorriso sdentato «A tal proposito, suggerirei di ritirarci. Si sta facendo tardi e siamo entrambi esausti.»

«Io non sono stanca!» protestò Luna «Ho ancora molte domande da farvi.»

«Vi chiedo perdono, allora. Potreste rimandarle a domani? Temo di non poter resistere oltre.»

Luna mimò un cenno d’assenso:
«Andate. Vi ringrazio d’avermi ascoltata.» sussurrò.

Attese finché non colse il rumore degli zoccoli svanire oltre le porte del palazzo. Soltanto quando fu sicura d’essere rimasta sola, sollevò il volto. Incrociò il bieco ghigno della luna.

«Rimarrò qui.» promise «Ti farò compagnia finché non sarà giorno. Splendi per me, ti prego.» 


 

Angolino: Buongiorno! è la primissima volta che scrivo su questo fandom, a cui mi sono accostata di recente.
Se devo essere sincera, MLP è stato una piacevolissima scoperta e... ho approfittato del prompt "Shine" per stendere questa mini-long, che spero vi possa piacere. Tratta principalmente del rapporto tra Celestia e Luna e di come quest'ultima si sia trasformata in Nightmare Moon. Volevo scrivere qualcosa di malinconico che parlasse del rapporto tra le due sorelle e di come Luna vivesse all'ombra della sorella maggiore. Il prompt si ispira ad una canzone delle Tolmachevy Sisters. "Shine" viene ripresa nell'arco dei capitoli sia come testo vero, sia con riferimenti durante la narrazione. (è la canzone che cantano i pony, di cui ho trovato la traduzione in italiano).
Vi ringrazio per aver letto fin qui! Se avete consigli e pareri, scrivetemi liberissimamente *_*
Un abbraccio

E'ry

 

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Capitolo 2
*** Splendi per me ***


2. Splendi per me


Note: la ff partecipa al COWT8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 3 - Prompt: Shine (Tolmachevy Sisters)
Parole: 2379



Trascorse un mese da quel primo incontro. Ogni sera, Luna usciva sulla terrazza e rientrava nelle sue stanze soltanto all’alba. Assisteva alla cerimonia quotidiana dall’alto, senza interferire con le litanie dei Pony della Luna. Restava in compagnia della sua omonima tutta la notte, sgattaiolando in camera poco prima che si svegliasse Celestia, chiamata a far sorgere il sole.

Non desiderava condividere con nessuno quei momenti: erano attimi privati, in cui poteva confidarsi con una amica lontana. La luna la ascoltava in silenzio, assorbendo i dubbi e le paure; la capiva, la incoraggiava. Le ricordava che non era sola, mai; che alla monotonia dei giorni, seguivano le avventure della notte. Quegli istanti in cui la fantasia viaggiava, costruendo storie nate dai sogni di tutta Canterlot.

Luna riusciva a percepirli: coglieva l’immaginazione galoppare quando gli occhi si chiudevano e quando il sonno calava sull’ intera capitale.  Sentiva la paura scatenata dagli incubi ed il sollievo quando questi terminavano in un brusco risveglio. “Era soltanto un sogno” sentiva rimbombare nella propria mente.
Un sogno, sì. Nessuno sapeva di questa sua capacità, nemmeno Celestia, e non voleva confidarla. Era un segreto, condiviso soltanto con il satellite che ogni notte faceva capolino nel cielo. La luna era sempre lì: piena, a spicchi, visibile oppure nascosta. Era lì e attendeva paziente la sua compagnia. Non aveva mai mancato un appuntamento.

Si stupì, quindi, quando un soldato bussò con insistenza al suo uscio. Luna schiuse la porta, ritrovandosi ad osservare il volto sconvolto della giovane guardia.
«Principessa, venite! È urgente.» le disse, la voce che tradiva una nota nervosa «Vostra sorella ha bisogno di voi. I Pony della Luna hanno fallito. Non riescono a…»

Non lo lasciò terminare. Luna scartò di lato, galoppando nel lungo corridoio. Non doveva far altro che svoltare un paio di volte, scendere le scale e correre dritta verso il giardino. Oppure…

Accelerò, spingendosi al massimo verso una finestra aperta. Era un alicorno, in fondo! Se l’avevano dotata di ali, era perché le utilizzasse. Raggiunse il davanzale, spiegandole in un gesto fluido e guizzando nell’aria fresca della sera. Planò verso il cortile, osservando dall’alto i visi esausti dei Pony della Luna. Nei loro occhi, leggeva sconcerto e disperazione: la luna non si era sollevata, nemmeno quando avevano provato a viziarla con nuove canzoni e filastrocche. Erano degli sciocchi, se avevano pensato di abbindolarla così: la luna si stava ribellando, sfuggendo al loro controllo; evidentemente, era stanca di ascoltare le voci di sudditi infedeli, pronti a voltarle le spalle una volta compiuto il loro dovere. Di persone ingrate, incapaci di accompagnarla in quel cammino solitario che ogni notte percorreva. La luna non desiderava più fidarsi di visi sconosciuti. Era per questo che persino la magia di Celestia aveva fallito: nemmeno il suo potere era stato sufficiente.

Si fermò al centro dello spiazzo, chiudendo le ali e chinando il muso, in un saluto rispettoso.

«Sono io.» sussurrò, riportando l’attenzione sull’orizzonte ancora cupo «Sorgi per me, ti prego. Splendi per me, ancora una volta.»

«Principessa…»

Quell’interruzione la indispettì. Luna si voltò di scatto, incontrando lo sguardo perplesso di Betelgeuse e di suo figlio Orion. I due sembravano preoccupati e… incerti. Lesse scetticismo sui loro musi. Non pensavano che potesse farcela? No. Le espressioni attonite dei presenti le diedero soltanto una dolorosa conferma: nessuno credeva in lei. La stavano abbandonando ancora una volta, sicuri che ogni suo sforzo sarebbe stato vano. Se nemmeno Celestia era riusciva a svegliare la luna, che speranze poteva avere la sua pigra e scostante sorella? Batté gli zoccoli, nervosa. Quegli stupidi non capivano! Era la sola che potesse riuscire. Nessun altro aveva instaurato un rapporto come l’aveva intessuto lei. Se il satellite non si fosse mostrato con lei, non l’avrebbe fatto mai più. Sarebbe stata la fine della notte, dei sogni e delle ore di riposo che tutti anelavano al termine di una lunga giornata lavorativa.

«Mostrati, per favore.» mormorò, ma di nuovo la voce del vecchio arrivò a ferirle le orecchie.

«Principessa, non affaticatevi inutilmente. Ci abbiamo già provato; non è servito a nulla e…»

«Oh, ci avete provato?» Luna si volse di scatto, senza nascondere l’irritazione per quell’ennesima intromissione «Ci avete provato davvero, Mastro Betelgeuse? Quanti di voi sono rimasti a farle compagnia, dopo averla svegliata? Quanti di voi, ogni notte, si sono fermati qui e l’hanno sostenuta nel suo quotidiano cammino? Quanti l’hanno davvero capita e l’hanno aiutata, invece che definirla come una sciocca capricciosa buona solo a riflettere la luce di suo fratello?» gettò una occhiata secca sugli astanti, soffermandosi, però, su Celestia «Non vivrò riflettendo soltanto le tue gesta, sorella; non sarò il tuo specchio. Risplenderò di una luce tutta mia.» non badò all’espressione sconcertata dell’altra, limitandosi ad uno ordine secco «Andatevene, ora.»

«Principessa Luna…»

«Andate via!» ringhiò.
 

***
 

Luna attese che tutti si fossero allontanati. Avevano cercato di convincerla a desistere, a tornare nelle sue stanze. L’indomani, Celestia avrebbe sicuramente trovato una soluzione. I Pony della Luna avrebbero ritentato, una volta ristorati e rifocillati. Non doveva sprecare il suo tempo in un’impresa chiaramente impossibile. Che speranze poteva avere lei? Giovane, inesperta, e poco avvezza alle arti magiche…

Alla fine, però, avevano dovuto cedere all’evidenza: non si sarebbe mossa da lì. Potevano scegliere se ritirarsi o aspettare svegli fino all’alba. Se consegnarsi agli incubi di una notte troppo buia o all’insonnia. Dopo qualche insistenza, i pony erano tornati ai loro alloggi. Anche Celestia l’aveva lasciata, esaudendo in silenzio il suo desiderio.
Luna spiò nuovamente l’orizzonte, dove l’oscurità era più densa. La sua omonima non aveva neppure fatto capolino oltre le colline lontane.

«Se ne sono andati.» sussurrò, spaccando il silenzio del giardino «Siamo nuovamente sole; siamo io e te, come ogni notte. Non vuoi venire a salutarmi?»

Non ottenne altra risposta che il frinire dei grilli.

«Capisco…» mormorò. Se qualcuno l’avesse vista, l’avrebbe sicuramente presa per pazza. La principessa che parla da sola al centro del giardino? Che assurdità. E… se non fosse riuscita nell’intento? Se avesse fallito, senza riuscire a svegliare la luna? La sua vergogna sarebbe certamente cresciuta e l’ombra di Celestia si sarebbe allungata sempre di più, sino a coprirla del tutto. «Preferisci che vada? Che ti lasci da sola?»

Ancora niente.

«Credevo avessimo qualcosa in comune, noi… e che la tua solitudine fosse uguale alla mia. Pensavo mi avresti ascoltato; che non mi avresti lasciato, non tu. Non dopo tutto quello che abbiamo condiviso in queste notti; ma se ciò non è sufficiente e se non desideri risplendere per me, allora… non importa. Ti lascerò in pace.»

Fece per voltarsi, ma un leggero bagliore catturò la sua attenzione. I profili delle colline si erano accesi di una pallida luce biancastra.

«Non devi niente a loro, lo so. Non meritano questo tuo sacrificio, luna. Non si soffermano nemmeno a guardarti; non conoscono la tua bellezza, le tue mille sfaccettature. Sono… sciocchi e superficiali. Temono ciò che non conoscono e ciò che può mutare. Il tuo continuo cambiare li spaventa. Eppure, come vedi, rifiutarsi di sorgere non è una soluzione. Non provano neppure a capirti; si intestardiscono e cercano di obbligarti a camminare. Ti disdegnano, eppure sentono la tua mancanza. Perché? Non lo so. Suppongo siano soltanto troppo pavidi e troppo abitudinari per accettare una tale alterazione nella notte.» si interruppe, osservando una cupola lattiginosa sollevarsi in lontananza «Sorgi per me, luna. Sono l’unica che ti merita. Fallo, ti prego.» sussurrò, chiudendo gli occhi.

Come era quella melodia? Quella che aveva ascoltato ogni notte dalla terrazza, intonata dai Pony della Luna. Nella sua testa, colse lo sciogliersi di una musica, mentre le parole sgorgavano caute dalle sue labbra, quasi timorose di affrontare sole l’immensità di un cielo ancora troppo scuro.

 
«Splendi nella mia oscurità
Splendi nella notte, la mia luna che sorge

 
No, non bastavano quelle parole. La luna le aveva ascoltate troppe volte. Erano vuote, false e monotone. Doveva osare di più, dove confidarsi e lasciare che i pallidi raggi arrivassero a toccare le corde della sua anima. E, viceversa, la sua canzone doveva volare lontano e raggiungere l’astro che ancora tardava a nascere. Tenne gli occhi chiusi, sgombrando la mente da ogni pensiero. Non poteva perdere la concentrazione, né distrarsi. La sua sola arma era il testo di una sinfonia che andava sgorgandole dal cuore, ricolma di ogni sentimento provato in quell’ultimo mese: la pausa della solitudine, il conforto di una amica, il cammino che ogni notte affrontavano insieme.
 

«Puoi essere il capolavoro dell'amore?
Mandando un messaggio,
Dicendo a tutto il mondo di mostrarti un po' d'amore
Nessuno ci abbatterà,
Sei la mia luna che sorge»
 

Percepì un tepore nascere dalla fronte ed irradiarsi lungo il corno. Era una sensazione strana: non fastidiosa o dolorosa, anzi. Piacevole ed impetuosa al tempo stesso, come un’onda impetuosa. Una forza indomabile, desiderosa di aprirsi un varco tra i suoi pensieri, di seguire il flusso della canzone e di sgorgare libera nell’oscurità. Come un raggio pallido, come una mano tesa.

Luna aprì di scatto gli occhi, mentre il cuore le batteva all’impazzata: poteva controllare quella magia così travolgente? Sì, doveva assolutamente riuscirci! Non si sarebbe lasciata spazzare via. Non si sarebbe spezzata, né piegata. Sgombrò la mente, liberandola da ogni dubbio, da paure e incertezze. Continuò a cantare, ripetendo la dolce cadenza del ritornello, mentre la sua magia continuava a ferire il buio.

Fu come ricevere un abbraccio caldo; come baciare le guance di una amica ritrovata.

La luna si sollevò di scatto, nascendo al massimo della sua forma. Piena e splendida, quasi fosse un omaggio alla canzone ricevuta in dono. Il disco pallido si palesò oltre i crinali lontani, intraprendendo il suo quotidiano cammino senza più celarsi.

Luna osservò la propria magia ridursi ad una cascata di scintille, sino a spegnersi del tutto. Il corno le bruciava per lo sforzo e si sentiva esausta. Era davvero così difficile far sorgere la luna? No, ma lo era aprirsi con se stessi; combattere timori e i dubbi, fino a mostrarsi spogli di ogni maschera.

«Grazie…» sussurrò, mentre i crateri lontani sembravano restituirle l’accenno di un sorriso.

«Luna!»

Una voce la spinse a voltarsi di scatto. Celestia era lì, a pochi passi, e fissava sconcertata il risplendere della volta.

«Ce l’ho fatta! Hai visto?» la voce tradì una nota orgogliosa. Ci era riuscita, sì! Aveva dimostrato di poteva farcela da sola e che non era soltanto una sciocca buona a nulla. Aveva ottenuto un grande potere e con esso il Cutie Mark. Si voltò di lato, permettendo alla sorella di ammirare la sua groppa: uno spicchio lunare era apparso, contornato da una macchia nera come quanto un cielo senza stelle.

«è piena. Dovrebbe essere… soltanto una falce.» l’incredulità della sorella le strappò un sorriso soddisfatto.

«Lo so, ma… ha deciso di mostrarsi così, oggi. Credo sia il suo modo per ringraziarmi.»

«Sei stata bravissima.»  Celestia le si accostò, senza staccarle gli occhi di dosso «Hai salvato Equestria e guadagnato il tuo simbolo. Domani lo annunceremo ai sudditi. Devono sapere.» una pausa e un morbido sorriso «Sono fiera di te!»

«Grazie.» mormorò soltanto, mentre lo sguardo azzurro tornava ad alzarsi «Ma non l’ho fatto per Equestria, né per me stessa. L’ho fatto per ritrovare un’amica.»
 
 
***
 

Luna si accovacciò sullo scranno, esausta. Per tutto il mattino, si era susseguita una processione di nobili desiderosi di porgerle i loro omaggi. L’avevano lodata, incoraggiata e salutata con grande deferenza. Si erano congratulati per il Cutie Mark e per lo splendido lavoro svolto.
Naturalmente, non aveva creduto ad una sola parola di quanto le avevano detto. Erano solo moine quelle, volte ad ingraziarla, a renderla malleabile ed un facile appiglio per le famiglie aristocratiche. Qualche matrona le aveva persino suggerito un incontro romantico con uno dei figli.

Rivolse un’occhiata alla sorella: Celestia sedeva composta sul suo trono, impeccabile. Il sorriso affabile non si era ancora spento, anzi. Sembrava addirittura a suo agio: il via vai di sudditi non le aveva recato alcun fastidio. Si era sentita allietata da quel continuo discorrere, che lei aveva, invece, trovato estremamente monotono.

«Come fai a sopportarli?» chiese, quando anche l’ultimo ospite fu accompagnato alla porta «Sono odiosi. Non fanno altro che prodigarsi in inchini, in riverenze e leccare il …»

«Luna! Modera il linguaggio.»

«Beh, lo sai cosa intendo! Non sono altro che una manica di bugiardi. A nessuno di loro importava di me, del mio simbolo o del sorgere della luna. Erano qui soltanto per farsi vedere, per… apparire! Per elemosinare favori in cambio di un po’ di adulazione.»

«Lo so, ma è nostro dovere intrattenere i rapporti con la nobiltà.»

«No, è tuo dovere! Io non voglio avere niente a che farci.» Luna batté le palpebre rapidamente, mutando la voce in un orrendo falsetto e storpiando la esse «Voftra maeftà… potete concedermi l’utilizzo efclufivo delle terre a nord di Equeftria? Devo allargare la mia tenuta di cavoli e… già che ci fono, vorrei coftruirci una pifcina dove trastullarmi d’eftate

Celestia celò una risata, accontentandosi di piegare graziosamente le labbra:
«Non essere troppo severa con loro, sorella mia. Imparerai ad apprezzarli.»

«Ne dubito.»

«Vieni con me. È ora che mostri il Cutie Mark ai sudditi di Canterlot»

«Devo proprio?»

Celestia la condusse verso il terrazzo. Nel cortile sottostante si era radunata una folla di curiosi, desiderosa di poter osservare da vicino il “simbolo di bellezza” della giovane principessa.

Luna si ritrovò catapultata all’esterno, prima che potesse impuntarsi e protestare: non aveva alcuna intenzione di mettersi in vetrina, men che meno davanti ai cittadini della capitale. In fondo, per lei non erano altro che visi sconosciuti: sorridenti, entusiasti, ma pur sempre anonimi.

«Mi sento in imbarazzo.» sussurrò.

Celestia, tuttavia, non la stava ascoltando. Al contrario, aveva già attaccato il discorso:
«Miei cari!» la sua voce era calda, melodiosa ed impreziosita da una nota orgogliosa «Siamo qui riuniti per celebrare con gioia la comparsa del Cutie Mark della mia adorata sorella, la principessa Luna.»

Luna si avvicinò alla balaustra, osservando i pony che, qualche metro più in basso, agitavano code e gli zoccoli in cenni di saluto. Spiò i loro visi allegri, lesse la curiosità e l’euforia nei gesti garbati che le rivolgevano. Sorrise incerta, distogliendo poi immediatamente lo sguardo. Le iridi salirono istintivamente al cielo terso del pomeriggio.

Appena visibile sullo sfondo azzurro, seminascosta da due nuvole di passaggio, l’ombra chiara della luna si inchinò a lei.

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Capitolo 3
*** La Festa della Notte ***


3.  La Festa della Notte
 

Note: la ff partecipa al COWT8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 3 - Prompt: Shine (Tolmachevy Sisters)
Parole: 2478



Ciò che era stato speciale divenne ben presto parte della quotidianità. Ogni tramonto, Luna raggiungeva Celestia nei giardini del palazzo. La osservava far calare il sole, poco prima di sostituirla. Sedeva al centro dello spiazzo e cantava per la sua amica, pregandola di sorgere ed assicurandole che avrebbe camminato con lei. Restava sveglia tutta la notte, osservando il satellite percorrere la volta. A tratti, si immergeva nei sogni dei pony. Li spiava correre liberi nelle pianure dell’est, intrecciare fiori, aspettare il vero amore o combattere contro i draghi. Non interveniva mai, se non davanti ad incubi particolarmente spaventosi; allora, si palesava nelle fantasie altrui, agile e guizzante. Un’ombra sfuggente, che non lasciava tracce o ricordi: scacciava le paure, cancellava le preoccupazioni e ridonava la serenità al sonno.
Era quello il suo compito, ora. Sorvegliare la notte e proteggere i sogni dei suoi sudditi.

Poi, col sopraggiungere dell’alba, Luna salutava la sua compagna d’avventure. Un arrivederci che sarebbe durato soltanto qualche ora. Si ritirava nelle proprie stanze, dopo aver augurato il buongiorno alla sorella. Aveva ridotto al minimo i contatti con Celestia: si vedevano soltanto all’aurora ed al calare del sole, intervallandosi alla guida del tempo. Si salutavano e si allontanavano, ciascuna presa dalle proprie mansioni.

Le mancava la compagnia di Celestia? Non lo sapeva. A tratti, rimpiangeva i pomeriggi passati a studiare insieme, ad esercitarsi con la magia o a passeggiare lungo i vialetti del giardino. Eppure, quando pensava alla sorella non poteva ignorare una sorta di fastidio, quasi fosse una seccatura costante: la bella Celestia, così talentuosa e garbata, che aveva da condividere con lei? Era curioso, anzi, che le due fossero sorelle! Celestia guidava il giorno in modo magistrale, accompagnata dal sole che splendeva quasi quanto la sua lucida criniera. Senza di lei, il mondo sarebbe stato certamente perduto: le tenebre avrebbero regnato su Equestria, gettando scompiglio e discordia; le piante non sarebbero germogliate e gli animali non sarebbero mai usciti dalle loro tane. Nessuno avrebbe potuto godere dei mille colori del paesaggio, così vividi quando i raggi li sfioravano.

E della notte, cosa dicevano? Oh, la notte non era che una manciata di ore tra un giorno e l’altro. Che c’era da vedere in lei? Era un ammasso di buio, utile soltanto per riposare un po’. Non vi era nulla da scoprire o da assaporare. La apprezzavano soltanto gli insetti, così fastidiosi con il loro continuo frinire, ed i rapaci, per muoversi nell’oscurità e catturare le prede. Era pericolosa: subdola, incomprensibile e misteriosa.

Come poteva competere? Celestia risplendeva nella luce del suo sole, gettandole addosso un’ombra che si allungava sempre di più. Possibile che non vi fosse nessuno con cui condividere le meraviglie della notte?

Aveva provato a interpellare Betelgeuse e suo figlio Orion, ma entrambi si erano rivelati una delusione: il primo si era addormentato dopo poche ore; il secondo, aveva ingannato il tempo giocando con i ciottoli dello stagno. Era stato un tentativo inutile.
 

***
 

Indire la Festa della Notte le era parsa un’ottima idea. Aveva invitato tutti i pony di Canterlot ad assistervi, allestendo lo spettacolo nella piazza principale. Aveva fatto montare un palco di legno ed ingaggiato giocolieri, cantori e menestrelli per poter allietare la serata. Dalle bancarelle, disposte lungo il perimetro, salivano profumi di spezie, di pannocchie arrosto e mele caramellate. Tutto era stato organizzato alla perfezione: l’evento sarebbe iniziato nel pomeriggio, con gare di ballo, prove di abilità e giochi a premi. Avrebbero cenato insieme ed atteso insieme la notte, per ammirare il cielo stellato e seguire la luna nel suo lungo cammino.

Luna sorrise al notare dei puledri sgranocchiare avidamente dei muffin di zucca.
«Vi state divertendo?» chiese avvicinandosi al gruppetto.

«Moltissimo, principessa! È una bellissima festa.»

«E non è che l’inizio! Quando il sole tramonterà, vi farò assistere alla nascita della luna. Dovrebbe essere piena, oggi. La potrete vedere da vicino, in tutto il suo splendore.»

«Sarà fantastico!»

«Oh, potete ben dirlo!» chiocciò, superandoli per raggiungere una coppia poco oltre.

Madame Ponpon si stava lisciando la criniera, mentre il giovane accompagnatore – suo marito, malgrado l’evidente differenza d’età – stava discorrendo con alcuni ospiti circa dei possedimenti a est della città.

«Signora!» Luna produsse un leggero inchino «Vi sta piacendo la festa?»

«Non c’è male, non c’è male. Un po’ contadinotta, ma…» la dama si lisciò il bavero di seta ricamato «Il cibo è gradevole, anche se non raffinato.»

«Aspettate e vedrete! Quando sorgerà la luna, rimarrete sorpresa, ve lo prometto.»

«Sì, mh… sono certa che saprete intrattenerci, principessa.»

Luna sgattaiolò via. Era interessante vedere reazioni tanto diverse, eppure egualmente entusiaste. La festa stava piacendo. Chissà, forse avrebbe potuto replicarla anche l’anno prossimo.

Trotterellò verso un banchetto di dolci, aggirando la fontana che spruzzava acqua colorata; i getti, illuminati dagli ultimi raggi del sole, riproducevano fedelmente i toni vivaci dell’arcobaleno. Era tutto così… perfetto! Niente sarebbe potuto andare storto. Sorrise ancora compiaciuta, avvicinandosi alla sorella.

Celestia sembrava nel pieno di una frivola discussione: le bacche selvatiche erano migliori, quanto a sapore, rispetto a quelle coltivate? Probabilmente sì; generalmente, erano più gustose. Con questo, naturalmente, non si voleva intendere che i mirtilli del signor Blackberries fossero scadenti! A differenza di quelli del signor Wine: grande coltivatore d’uva, ma more e lamponi non erano affatto buoni.

«Emh... ‘Tia» sussurrò, pungolando la spalla della sorella con uno zoccolo «Credo sia il tramonto, ormai…»

«Oh, certo!» la vide guardarsi attorno, quasi smarrita «Il tramonto? Di già? Non mi ero nemmeno accorta. Provvedo subito.» un inchino agli ospiti «Vogliate scusarmi, il dovere mi chiama.»

 
***
 

Il sole era ormai calato. Celestia aveva cantato e tutti i presenti si erano radunati attorno al palco per ascoltarla. Avevano applaudito, mentre l’astro scendeva cauto oltre l’orizzonte. In un attimo, il cielo si tinse di giallo ed arancione, prima che sfumatura violacee sorgessero da est.

«Tocca a te.» disse la sorella maggiore, cedendole il posto.

Luna si accomodò, osservando i pony che la guardavano con curiosità e ammirazione. Era il suo momento! Finalmente, avrebbe dimostrato le proprie capacità; li avrebbe stupiti e meravigliati. Avrebbero creduto e riposto in lei la stessa fiducia che riponevano in Celestia.
Puntò il cielo, attendendo che vi fosse silenzio per intonare:
 

«Splendi nella mia oscurità
Splendi nella notte, la mia luna che sorge.
Scaccia la follia
 

Cantò piano, senza mai staccare lo sguardo dalla volta punteggiata di stelle luminose. Sentiva, attorno a sé, il sibilo del vento fresco mescolarsi al sospirare rapito dei presenti. Li stava conquistando, ne era sicura! Li sentiva sussurrare, scambiarsi deboli incoraggiamenti, scuotere le criniere in cenni d’ammirazione.

 
«Puoi essere il capolavoro dell'amore?
Mandando un messaggio,
Dicendo a tutto il mondo di mostrarti un po' d'amore
Nessuno ci abbatterà,
Sei la mia luna che sorge»
 

Ancora silenzio, accompagnato da soffusi tonfi. Come passi incerti e discreti, di chi desiderava assistere, ma senza disturbarla. Si sforzò di non perdere la concentrazione, osservando il disco pallido fare capolino da oltre le montagne. Eccola, dunque! La luna stava sorgendo, ancora una volta. Il popolo di Canterlot avrebbe assistito alla sua magia ed avrebbe compreso, finalmente, quale grande bellezza si celava oltre il velo scuro della notte. Percepì la magia correre lungo il proprio corno ed esplodere in spruzzi argentati, mentre il satellite si mostrava interamente agli occhi dei presenti.
 

«Continuo a guardare avanti
Fuggendo insieme al vento
Apri il tuo cuore e…»
 

RONF
 
Un grugnito?
Le parole della canzone le morirono sulle labbra, rimpiazzate da una smorfia delusa: i pony si erano addormentati. Nessuno l’aveva ascoltata, né seguita in quel viaggio fantastico. L’interesse era scemato del tutto, sino a perdersi nel sonno. Avevano scambiato il suo canto per una ninnananna? O forse era troppo noioso per poter essere udito? Però… quello di Celestia l’avevano ascoltato tutti!

«Non dormite…» sussurrò, la voce incrinata dall’amarezza «Non dormite, vi prego.» mormorò.

Non servì a nulla. I sudditi continuavano a sonnecchiare, i respiri lenti e regolari e le menti intente a sognare.

«Luna…» solo Celestia era rimasta sveglia.

Luna si voltò di scatto, senza potersi nascondere oltre: era seccata, frustrata e sconfortata. Per un attimo si era illusa di poter ricevere rispetto, attenzione ed amore. Aveva ottenuto soltanto una platea appisolata. Squadrò la sorella che, al solito, montava un’espressione pacata e delicata. La stava compiangendo? Le faceva pena? Non poteva sopportarlo.

«Si sono addormentati! Stupidi, maledetti ingrati!» gridò, dando sfogo alla propria rabbia.

«Sono soltanto stanchi, Luna. Hanno lavorato tutto il giorno. La tua musica era tanto dolce che…»

«No! Non cercare di giustificarli! Hai sempre una buona parola per loro, ma… la verità è che sono degli irriconoscenti, degli egoisti e…» tornò a rivolgersi al pubblico dormiente «Svegliatevi!­­» gridò, mentre il suo corno si accendeva di scintille nere come la pece. Avvertì un bruciore alla fronte, mentre la magia andava addensandosi in gocce fluttuanti.

«Luna!»

«Svegliatevi! È un ordine!»

Le macchie si addensarono in delle sagome scure, simili a piccoli draghi. Gli occhi gialli brillavano sinistri, mentre il corpo si copriva di scaglie lucenti. Gli artigli ricurvi spuntarono dalle zampe tozze; ali telate, simili a quelle dei pipistrelli frullarono nell’aria.
Gli esserini si gettarono immediatamente sulla folla, destando i pony con morsi e graffi. Urla impaurite si levarono dai presenti, che presero a correre a destra e a manca, urtando bancarelle, rovesciando statue e distruggendo aiuole. I pegaso volarono via, mentre i terrestri galopparono veloci verso le loro case, inseguiti dalle creature nere.

«Luna! Che cosa hai fatto?!»

Luna abbassò le orecchie, mentre la festa mutava in un completo disastro. Non era così che voleva andasse! Desiderava soltanto condividere la propria magia con gli altri pony, non spaventarli e farli fuggire.

«Mi… mi dispiace!» sussurrò, chiudendo gli occhi e cercando di concentrarsi. Aveva generato lei quei mostriciattoli… forse poteva provi rimedio! Respirò a fondo, sforzandosi di escludere ogni rumore: di cancellare le grida, la paura, i tonfi dei vasi spaccati e dei festoni ormai rovinati. Quegli esseri dovevano sparire! Immaginò di farli scoppiare uno ad uno, come piccoli palloncini; di mutarli in liquirizie inanimate o rinchiuderli in qualche caverna lontana. Non percepì nulla, però: il suo corno non si accese e la magia non sgorgò. Perché non funzionava?! Batté gli zoccoli a terra, frustrata: non solo aveva generato quei draghetti, ma non era nemmeno capace di scacciarli.

«Non… non ci riesco.» biascicò, mentre Celestia decollava rapida nel cielo scuro.

Vide la sorella spiegare le ali e raccogliere a sé tutta la magia. Il corno bianco si illuminò, mentre una cascata di fulmini dorati cadeva sulle creature, facendole svanire in un secco “plop”. Bastarono pochi attimi per ristabilire l’ordine. I sudditi tornarono ad avvicinarsi al palco, lodando la principessa del sole; lasciarono i loro rifugi per omaggiare il potere benefico della loro regnante.

Luna si sforzò di non guardarli: sapeva che sui loro volti non avrebbe letto altro che timore e riprovazione. Perché era stata tanto sconsiderata? Si era lasciata prendere dallo sconforto e dalla rabbia, divenendo incapace di controllarsi. Non aveva generato quei mostri apposta, ma come poteva spiegarlo? Era impossibile che gli abitanti di Canterlot arrivassero a capire ed a perdonarla per la sua incoscienza. Ai loro occhi, era nuovamente la giovane ed incauta principessa, quella a cui Celestia doveva fare da balia.

Spalancò le ali e guizzò via, volando rapida verso il palazzo.
 

***
 

Luna distolse lo sguardo quando sentì la porta schiudersi. Scese dal davanzale della propria finestra, volgendo un muto saluto alla sua omonima.
«Cosa vuoi?» disse asciutta, quando scorse Celestia varcare l’uscio.

Perché non la lasciava in pace? Cosa era venuta a fare? A gongolare per la sua disfatta? O a commiserarla ancora un po’?
«Soltanto parlarti.»

«Se non puoi farne a meno…» snocciolò, indicando due cuscini al centro della stanza «Accomodati.»

Sedette anche lei, scegliendo un morbido pouff arancione. Avvicinò un vassoio con dei biscotti all’avena, coperti di zucchero a velo:
«Serviti pure» aggiunge, prendendone uno per sé stessa «E vuota il sacco.»

«Vorrei che non fossi così scontrosa con me.» la voce dell’altra conteneva una nota di rimprovero tra le sfumature pacate e caute «Vorrei che mi dicessi cos’erano quegli affari; e perché li hai scatenati.»

Scosse il capo. Come poteva spiegarlo? Neppure lei sapeva, a conti fatti, come li aveva evocati. Gettò lo sguardo oltre la finestra: la luna era nascosta da dense nubi grigiastre. I pegaso non avevano spazzato il cielo, quella notte. Che preferissero la pioggia al suo spettacolo?
«Non lo so. Non era mia intenzione. Sono apparsi e basta, va bene?»

«No, non va bene! Voglio sapere come hai fatto. Cosa hai provato, in quei momenti? Descrivimelo, per favore…»

Ci rifletté un istante. Cosa aveva sentito dentro di sé, quando aveva scorto i sudditi dormire e fregarsene della sua festa? Rabbia, senza dubbio. Una voglia irrefrenabile di insultarli e di cacciarli via. Disgusto e mortificazione.

«Ero arrabbiata.» confessò infine «Desideravo soltanto che mi conoscessero meglio, che apprezzassero anche il mio lavoro e non soltanto il tuo. Volevo che vedessero la notte così come la vedo io.» sbuffò, mentre qualche goccia di pioggia prendeva a cadere lenta «Non intendevo spaventarli.»

«Devi imparare a controllarti, Luna. Non puoi permettere che collera e indignazione abbiano la meglio su di te. Quei draghi sono frutto delle tue ire. Non lasciare che queste sensazioni offuschino il tuo giudizio.»

«Mi dispiace.»

«Lo so. Promettimi che farai attenzione d’ora in avanti. Sei dotata di una grande forza magica, mia cara; ma devi assolutamente padroneggiare il tuo potere.»

«Mi odieranno, ora…»

Celestia stese un’ala, passandola sopra le sue spalle. Avvertì il contatto con le piume calde e l’aura di conforto che emanavano.

«Niente affatto, Luna. Al contrario, ti ammirano molto e…Sono sicura che la prossima volta saprai sorprenderli e conquistarli. La tua canzone è molto bella, ad esempio: l’hanno apprezzata tutti e… pensi potrei usarla per il mio sole, qualche volta? Sono sicura che l’ascolterebbe volentieri anche lui.»

Annuì sollevata e nascose il viso contro il manto bianco della sorella. Era tiepido, rassicurante e profumava di albicocca e fiori di pesco. La criniera multicolore ricadeva morbida e lucida, mescolandosi alle sue ciocche blu, aggrovigliate e ribelli. Celestia aveva ragione: era stata impulsiva ed irrazionale; aveva permesso all’odio di farsi strada nel suo animo e di soggiogarla. Avrebbe dovuto lottare e non lasciarsi trascinare dalla rabbia. Non sarebbe più capitato! La prossima volta, si sarebbe contenuta e domata. Era stata così cieca da non considerare altri che se stessa, prendendosela con gli stanchi cittadini e con sua sorella, che aveva soltanto cercato di aiutarla. Eppure… era così difficile vivere nella sua ombra. Essere, a conti fatti, soltanto una pallida proiezione della grande e talentuosa Celestia.

Scosse il capo. No! Non doveva essere invidiosa. Anche quello era un sentimento sbagliato. Celestia l’aveva aiutata per amore, non certo per pavoneggiarsi davanti agli altri pony. Qualunque altra supposizione era ingiusta e da rigettare.

«Perdonami se sono stata tanto brusca» sussurrò appena, ricevendo in cambio un buffetto sul muso «Ti voglio bene, Tia.»

«Io anche di più…»

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Capitolo 4
*** L'eclissi ***


4. L’eclissi
 

Note: la ff partecipa al COWT8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 3 - Prompt: Shine (Tolmachevy Sisters)
Parole: 2812



I giorni divennero settimane. Luna iniziò ad abituarsi alla routine, preferendo mantenere un profilo basso. I pony di Canterlot sembravano non aver dimenticato la disastrosa festa di cui si era resa protagonista. Evitavano volentieri la sua compagnia, i suo sforzi, limitandosi a spiarla da lontano.

Naturalmente, ogni visita di Celestia in città era più che gradita, mentre le sue… beh, meno ne faceva e meglio era. Comunque, nessuno sembrava sentire la mancanza della principessa della notte. L’importante era che il sole continuasse a sorgere ogni mattino; il resto era un “di più”.

Era difficile convivere con l’immagine forte e dinamica che si era costruita la sorella. In fondo, chi era lei per poter osare tanto? Solo una spaventata ragazzina di corte, che ancora non sapeva domare correttamente la magia. Forse, non avrebbero neppure dovuto consentirle di usarla. I Pony della Luna non potevano rimpiazzarla nuovamente?

«Dovresti uscire da palazzo di tanto in tanto» le consigliava la sorella maggiore «Prendere un po’ d’aria fresca e incontrare nuovi amici non può farti che bene.»

Luna accampava scuse: il mal di testa, la stanchezza, gli zoccoli che le bruciavano dopo una brutta storta. Non aveva alcuna intenzione di scorrazzare per la città. A che pro? Solo per ricevere occhiate incerte e bisbigli serpentini?
 

***

 
«Oggi verrai con me.» sentenziò Celestia, accomodandosi al lungo tavolo imbandito di prelibatezze.

La colazione era sempre fonte di nuove scoperte culinarie: vi erano budini, insalate d’avena, muffin di cioccolato ed enormi cesti di frutta. Si servì un tramezzino alla marmellata, prima di continuare:
«Dobbiamo visitare un istituto di beneficenza e la tua presenza è richiesta, oltre che gradita.»

«La mia?» Luna per poco non sputò la mela che stava divorando. Chi mai poteva chiedere di lei?

«Sì.»

«Hanno chiesto di me?»

«Non nello specifico.»

Aggrottò la fronte. Che significava?
«Ossia?» incalzò, senza nascondere un tono seccato.

«Hanno chiesto di entrambe.»

«Hanno chiesto di te e tu hai domandato se potevi portarmi, vero?»

Raccolse un timido cenno d’assenso:
«Sì. Luna… so che può essere frustrante, ma…»

«Frustrante? Ma quando mai?» tornò a sbriciolare la mela, addentandola con maggior foga «Come può essere frustrante vivere nell’ombra di una regina tanto talentuosa e benvoluta come te? Proprio non mi viene in mente…»

«Niente sarcasmo. Vorrei solo che mettessi il muso fuori dal palazzo! Lo sto facendo per te…»

«Lo so.» sbuffò, scrollando poi le spalle. Non vedeva via di scampo, da quella situazione. Celestia sembrava irremovibile: doveva assolutamente presenziare. Cercare di farle cambiare idea era una perdita di tempo assicurata. «Va bene. Vado a prepararmi.» disse solo, abbandonando in fretta la sala.

 
***
 

Il viaggio in carrozza era stato nauseante e non soltanto per gli scossoni che quel trabiccolo a forma di cipolla riceveva ad ogni svolta. La cosa peggiore era stata sorbirsi i sorrisi entusiasti dei cittadini, lo sventolio dei fazzoletti ed il loro continuo acclamare. Elogi, sorrisi e sguardi ammirati erano unicamente rivolti a Celestia, mentre lei si era dovuta accontentare di occhiate circospette e smorfie indulgenti.

«Siamo arrivate.» sentenziò la sorella maggiore, aprendo lo sportellino e facendole cenno di scendere «Vieni, su..»

«Non capisco perché abbiamo dovuto prendere questa stupida carrozza. Possiamo volare… siamo alicorni, dannazione!» sbottò Luna, balzando agilmente a terra. Fermò lo sguardo sulla costruzione più vicina: l’istituto di beneficenza altro non era che un fatiscente orfanotrofio. Il tetto di paglia cadeva a pezzi, così come l’intonaco color ciliegia. Vi erano delle imposte scrostate e chiuse soltanto con l’ausilio di cordini. Una scritta sbiadita capeggiava sopra l’architrave della porta.

“Orfanotrofio Fragolino” recitava, nonostante all’appello mancassero alcune lettere.

«Vostra altezza!» una pony corse loro incontro, prodigandosi in una sbrigativa referenza «Sono Miss Camilla, la rettrice dell’orfanotrofio. Siamo lieti di aver ricevuto una vostra visita.» un paio di occhi giallastri si fissarono nei suoi «Voi dovete essere la principessina Luna. Sono felice di fare la vostra conoscenza.»

Luna replicò con un mezzo inchino, squadrando attentamente la direttrice. Aveva abbondantemente passato la soglia della terza età: la criniera argentata era raccolta in uno chignon, mentre la coda caparbiamente intrecciata. Indossava un grembiule  azzurrino, sopra il manto ormai canuto.

«Il piacere è nostro.» Celestia le fece cenno di seguirle verso l’interno «Non vi dispiace, vero?, se ho portato con me mia sorella. Desideravo vedesse la vostra fondazione.»

«Avete fatto benissimo, anzi. Sarò lieta di presentarla ai nostri piccoli ospiti, mentre noi discorreremo dei progetti futuri per la missione. Pensate che potremo riparare il tetto prima dell’inverno? Sapete, sono felice che desiderate aiutarci.»

Ecco perché l’avevano invitata! Volevano che tenesse a bada i marmocchi. L’avevano scambiata per una bambinaia? Evidentemente sì, considerato che Celestia non aveva fatto altro che appoggiare quell’idea assurda. Perché non poteva partecipare anche lei all’incontro? Era stanca d’essere considerata una principessa di “serie B”!

«Non posso venire con te?» sussurrò, accostandosi alla sorella. Quest’ultima scosse il capo:

«Meglio di no. Sarà una noiosissima riunione. Parleremo di finanziamenti, di ristrutturazione e di politica. Credo sia meglio che ti distragga un po’ con i puledrini e…»

«Luna la balia, va bene.» sbottò, piegando immediatamente verso destra, infilando il corridoio che portava dritto alla zona notte.

Persino all’interno, quel posto era fatiscente: la vernice si stava staccando dai muri e le assi del pavimento scricchiolavano ad ogni passo. Per un istante, provò una pungente vergogna: come poteva esserci una tale miseria all’ombra delle sfavillanti ville aristocratiche? Alle pendici del palazzo reale, anzi. Perché nessuno faceva nulla per combattere la povertà?
Raggiunse una porta di legno consumato, che aprì dopo un leggero bussare. Scivolò oltre la soglia, ritrovandosi presto accerchiata da mezza dozzina di piccoli pony. Contò quattro maschietti e due femminucce, a giudicare dai cravattini azzurri e rosa che adornavano i loro colli.

«Buongiorno.» esordì soltanto, incerta sul da farsi. Come si intrattenevano i bambini? Non era pratica! Cosa avrebbe dovuto fare? Farli divertire e giocare con loro? Sedette cauta, mentre i ragazzini le trotterellavano attorno, coprendola di domande:

«Sei davvero la principessa Luna?»

«è vero che vivi in un palazzo fatto di zucchero filato?»

«Luna, vuoi essere nostra amica?»

«Ho una bambola che ti assomiglia, la vuoi vedere?»

Ne fu stupita. La sincerità che traspariva da quei visi la commosse: nessuno di quei puledri aveva paura di lei. Al contrario! Le si avvicinavano e la ammiravano, giocando con morbide ciocche della sua criniera e mostrandole intere collezioni di pupazzi di stoffa.

«Principessa Luna… anche io da grande voglio essere una principessa!» una pony le si era accostata, sfoggiando un sorriso speranzoso. Gli occhi, verdi come due zaffiri, brillavano di curiosità, intonati al manto color pistacchio «Come faccio?»

«Beh…» non era sicura di saper rispondere. Era nata nella famiglia reale, dopo tutto. Come si diventava principesse? «Dovrai impegnarti e studiare tantissimo» mentì, scrutando le alucce che spuntavano sulla schiena della giovane pegaso «E diventare la migliore nel volo!»

«Lo sono già! Vuoi vedere quante acrobazie so fare?»

«Magari più tardi. Avete altre domande?»

«Io ne ho un milione!» un pony color carota si fece avanti, baldanzoso «Mi insegni a far sorgere la luna? Voglio riuscirci anche io.»

«Anche io!»

«Io pure!»

Le voci si unirono in un coro supplicante. Lune stiracchiò in sorriso incerto. Ecco un quesito a cui non poteva rispondere.
«Non so se posso…» sussurrò, osservando i musi farsi improvvisamente tristi e incerti.

«Miss Camilla dice la stessa cosa. Allora forse ha ragione…»

Aggrottò la fronte. Che c’entrava ora la direttrice?

«Cosa vi dice?»

«Che non siamo unicorni e … non possiamo padroneggiare la magia. Dice che è impossibile.»

Naturalmente, l’istitutrice aveva ragione. Non c’era nessuna possibilità che quei puledri – equamente divisi tra pegasi e pony di terra – apprendessero le arti magiche; quelle erano prerogativa degli unicorni, in effetti.  Scosse il capo: spettava, dunque, a lei infrangere per sempre le speranze dei suoi nuovi amici? Niente affatto. Non li avrebbe delusi, al contrario. Credevano in lei ed avrebbe fatto il possibile per renderli felici. Nessuno, men che meno una anziana zitella come Miss Camilla, doveva permettersi di distruggere così i loro sogni.

«Venite con me.» disse soltanto, guizzando agile verso la finestra più vicina. Spalancò le imposte con un rapido calcio, scavalcando il davanzale ed aiutando i puledri a fare altrettanto. Li condusse al centro della strada e sollevò lo sguardo al cielo. Nemmeno una nuvola faceva capolino nella vastità celeste, dove il sole regnava incontrastato. Beh, sarebbe durato poco il suo dominio.

Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Dove era la sua fedele compagna? Sarebbe sorta per lei anche in pieno giorno? Aprì il proprio cuore. La luna doveva conoscere le sue intenzioni, doveva poter leggere la speranza nel suo animo ed il desiderio di rendere felici gli orfani, che ancora la guardavano con tanta ammirazione.

«Attenti, ora.» sussurrò, facendoli disporre in un semicerchio rivolto ad est «Cantate con me. Aiutatemi a chiamare la luna.»

«Verrà davvero?» esclamò una puledra, battendo eccitata gli zoccoli.

«Non lo so, ma… farò il possibile per farvela incontrare.»

Luna sgombrò la mente, focalizzandosi soltanto sull’immagine familiare del disco pallido. Intonò la sua melodia qualche attimo dopo:
 

«Splendi nella mia oscurità
Splendi nella notte, la mia luna che sorge.
Scaccia la follia
 

Un coro di timide voci si unì alla sua. La canzone sgorgò limpida, salendo fino al cielo. La luna apparve, correndo rapida attraverso il cielo, fino a congiungersi al fratello. Sole e luna erano lì, tanto vicini da potersi toccare. Poi, gradualmente, la luce del giorno prese ad affievolirsi. La luna scivolò sopra l’astro bruciante, nascondendolo del tutto. Il buio si sollevò da ogni lato, arrivando a divorare l’azzurro del mattino. Calò una notte buia e senza stelle. La luna troneggiava al centro della volta, adornata di una corona di raggi luminosi, ultimo dono del fratello usurpato.

Luna osservò in silenzio, il cuore colmo di emozione e gratitudine. L’omonima era accorsa per lei e per quei giovani pony che scalpitavano felici: c’erano riusciti, alla fine! Avevano fatto sorgere la luna insieme alla principessa. Miss Camilla avrebbe dovuto ricredersi! Anche loro erano magici.

«Credete sempre in voi stessi.» sussurrò Luna, sorridendo ai nuovi amici «Non permettete che nessuno getti ombra sui vostri sogni.»

«LUNA!» una voce tuonò dall’alto. Non ebbe bisogno di sollevare lo sguardo per capire a chi appartenesse. Celestia le si parò davanti «Come ti sei permessa di…?»

Non stette neppure ad ascoltarla; voltò le spalle e trotterellò verso l’ingresso dell’orfanotrofio.

«Ne parleremo dopo, sorella.» snocciolò «Devo prima congratularmi con questi giovani maghetti. Non è da tutti, sai?, far sorgere la luna in pieno giorno.» sussurrò, scoccando un’occhiata sbieca all’altra «Peccato per il tuo sole, ma… sono sicura che si riprenderà dallo smacco, proprio come il tuo orgoglio.»

 
***
 

Celestia era furente.
Perché Luna si era comportata in modo tanto sconsiderato? Non capiva che quello non era un gioco? Far spuntare la luna durante il giorno, arrivando a coprire persino il sole. Come doveva interpretarlo, se non come un voluto atto di ribellione? Ci aveva messo più di un’ora per risolvere la situazione: per far calare il satellite, per riportare il giorno e per calmare gli animi dei pony agitati. I cittadini di Canterlot non sapevano che pensare; erano rimasti turbati da quell’apparizione, come se l’eclisse avesse spazzato via ogni loro certezza. Il sole poteva essere oscurato con tanta facilità? Che ne sarebbe stato di loro, se quel sortilegio fosse stato permanente?
Per le strade, non si parlava d’altro. Era una magia d’alto livello, incontrollata e pericolosa. Una negromanzia opera di qualche mago di passaggio? No, affatto! Era stata la piccola Luna a produrre quel maleficio. La principessa Celestia doveva essere più accorta: stava allevando una serpe!

Trottò fino alle stanze della sorella, consapevole che l’avrebbe trovata lì ad osservare il cielo, ormai tornato alla normalità. Non si premurò nemmeno di bussare. Calciò la porta, che ruotò sui cardini sino a sbattere contro la parete vicina.

«Non si usa bussare?» Luna la stava fissando, ritta accanto al davanzale.

«Ti rendi conto di quello che hai fatto?» ringhiò. Non poteva sopportare quello sguardo beffardo e di sufficienza che le stava piovendo addosso «Hai sconvolto l’ordine della natura, Luna! Non puoi giocare così con i tuoi poteri.»

«Perché no? Ti fanno paura?»

«Cosa…? Non essere ridicola! Non ti temo affatto.»

«Allora perché ti scaldi tanto?»

Quell’interrogatorio cominciava a darle sui nervi. Non era lei a doversi sentire sotto torchio, affatto! Batté uno zoccolo a terra, frustrata. Perché Luna si ostinava a non capire? Perché non considerava la gravità delle sue azioni?

«Hai idea di cosa si stia mormorando in città? I sudditi credono che tu sia una strega! Hanno paura di te. È questo che desideri? Incutere soltanto diffidenza e terrore?»

«Pensi che mi abbiano trattato diversamente, fino ad ora? Ricordi la Festa della Notte, Tia?» la voce conteneva un’insolita nota sarcastica ed irriverente «Ho provato a farli divertire; a farmi conoscere ed a condividere ciò in cui credevo. Si sono addormentati come degli sciocchi! Non hanno neppure provato ad ascoltarmi e… anche dopo, nessuno mi ha mai realmente perdonato per l’incidente dei draghetti. Perché allora dovrei preoccuparmi per loro e di quello che pensano? Se non vogliono rispettarmi, allora che mi temano!»

«Ma… che cosa stai dicendo?! Non ti riconosco più.»

«Pensi sia facile viverti accanto, Tia? Hai questa pessima abitudine di gettare ombra su chi ti sta vicino. “Celestia la talentuosa”; “Celestia la magnifica”; “Celestia la generosa, la pia, la…” metti un aggettivo qualunque e ti calzerà a pennello!»

«Capisco… quindi sei soltanto gelosa.»

«Non sono gelosa!» Luna scattò, fronteggiandola. Il loro musi erano tanto vicini da potersi quasi toccare «Vorrei solo che ti guardassi attorno, ogni tanto… che non girassi sempre con gli splendi paraocchi del tuo orgoglio! Non mi dedichi nemmeno la metà delle attenzioni che riservi ai tuoi amati nobili e… io sono tua sorella, dannazione!»

«Modera il linguaggio.»

«A che pro? Almeno così sarai obbligata ad ascoltarmi. Anche oggi… ti sei comportata da egoista. Non ti importava davvero che venissi con te; ti facevo soltanto comodo per tenere a bada i ragazzi dell’orfanotrofio. Non volevi che ti disturbassero e così me li hai rifilati!»
«Questo non è vero! Volevo soltanto ti facessi degli amici.»

Luna indietreggiò, un’espressione amara dipinta sul volto:
«Beh, me li sono fatta. Solo che… quando ho provato a renderli felici, tu hai rovinato ogni cosa!»

Era impossibile dialogare. Luna non riusciva a vedere il proprio errore. Più cercava di spiegarglielo e più l’altra si intestardiva. Urlare non sarebbe servito, né l’avrebbe aiutata a ristabilire un contatto con la sorella: la sentiva sempre più lontana, distante… come se la vecchia Luna stesse gradualmente scomparendo. Come se si rifiutasse di splendere, come se volesse eclissarsi dietro una barricata di rabbia e tormento. 
Sospirò, cercando di calmare il proprio tono:
«Luna… i nostri poteri non servono a far divertire gli altri pony. Servono a mantenere l’equilibrio del giorno e della notte. A governare gli astri, secondo i cicli della natura. Non puoi usarli a tuo piacere, men che meno per gioco.»

Le sue parole non sortirono l’effetto sperato. Luna la stava fissando con uno sguardo truce, secco. Come se non volesse aver più a che fare con lei. Come se la stesse scacciando definitivamente, rompendo il legame che le accomunava.

«Tu non capisci niente.» ringhiò la minore «Quei puledri avevano soltanto bisogno d’essere incoraggiati. Cercavano qualcuno che potesse mostrare loro la giusta via.»

«Quel “qualcuno” non sei tu, Luna. Hai dei doveri e dei compiti ben precisi.»

«Certo. Io devo solo… far sorgere la luna di sera e riporla al mattino, giusto? Nessuno sa quello che faccio realmente per questo Paese. Lo sai chi spazza gli incubi durante la notte? Io! Lo sai chi veglia sul sonno della tua amata Canterlot? Sempre io! Questo, però… non è sufficiente, vero?» le labbra si erano storte in un ghigno, mentre le ali spalancate fremevano nervose «Cosa devo fare perché mi amino?! Perché tu mi possa amare?!»

Celestia indietreggiò di un passo. Luna era completamente fuori di sé. Dal corno stavano sgorgando nuovamente delle scintille nere, che andavano addensandosi in ombre spigolose. Erano come cristalli scuri che si incastonavano sul pavimento e sulle pareti, creando un cerchio affilato attorno alla minore. C’era qualcosa di irreale in quella visione e di completamente sbagliato. La magia si stava piegando nuovamente, soggiogata da sentimenti infausti.

«Luna… calmati, per favore!» sussurrò, cercando di riavvicinarsi alla sorella «Cerca di controllarti.»

«Vattene via!» ringhiò l’altra di rimando, mentre i diamanti color ebano continuavano a disperdersi nella stanza.

«Non posso lasciarti così…»

«Vattene, ho detto!»

«Luna…»

«VATTENE!»

Non c’era modo di farla ragionare. Qualunque cosa dicesse, non faceva altro che peggiora la situazione. Era tutto così instabile e precario. Coglieva il tormento nell’animo della più piccola, eppure non sapeva come rassicurarla, né come scacciare le sue paure.
«Va bene.» disse infine, voltando le spalle e infilando rapida la porta «Me ne vado. Ma tu… calmati, per favore. Sei molto stanca. Prova a riposare un po’.» terminò, richiudendo dietro di sé il pesante battente e trottando via.

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Capitolo 5
*** Nightmare Moon ***


5. Nightmare Moon


Note: la ff partecipa al COWT8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 3 - Prompt: Shine (Tolmachevy Sisters)
Parole: 2642


 
Luna sapeva che stava sbagliando. Sapeva che quel gesto avrebbe fatto infuriare nuovamente Celestia, ma non le importava. Dopo tutto, l’amata sorella si era preoccupata delle sue condizioni? No, affatto. Non si era fatta viva nemmeno per sincerarsi che fosse tutto a posto e che i cristalli neri fossero svaniti. L’aveva lasciata sola, fingendo quasi che non esistesse.

Nei dì seguenti, si erano incontrate poco: soltanto all’alba e al tramonto avevano avuto occasione di scambiare qualche parola, prima di rientrare ciascuna nei propri alloggi. Per lo più, si era trattato di saluti affrettati e di scarni “Come stai?” a cui erano seguite le solite risposte monotone: “tutto bene”, “non c’è male”, “scusami, sono stanca e non mi va di chiacchierare”.
Nient’altro aveva scandito il passare di quei giorni.

Alla fine, stanca della propria solitudine perpetua, aveva preso una decisione. Si sarebbe recata nuovamente all’orfanotrofio, a trovare i suoi nuovi amici. Solo… non lo avrebbe fatto apertamente, no! Di nascosto, anzi… Nessuno doveva sapere di quella visita notturna. Sarebbe stato un segreto tra lei ed i Puledri della Notte. Così li aveva chiamati ed a loro, ovviamente, il nome era piaciuto subito: aveva una sfumatura libera, selvaggia e ribelle. Li faceva sentire importanti e benvoluti.

Luna aveva caricato i pony di terra su un piccolo pallone aerostatico. Si era passata le redini sul muso e sulle spalle, per poterlo trascinare nel cielo buio. I tre pegaso erano sfrecciati accanto a lei, prodigandosi in evoluzioni strepitose.

Si era sentita felice, ancora una volta. Amata, desiderata e non più sola. Aveva raccolto i sorrisi e gli schiamazzi di quegli sfortunati ragazzi, stringendoli a sé come fossero un grande tesoro. Li aveva osservati volare, giocare ed essere tutto ciò che desideravano: dei maghi, dei piloti di mongolfiere, degli abili acrobati.
Erano rimasti fuori tutta la notte, bagnati dalla luce delle stelle e del satellite che, ancora una volta, si era mostrato nella sua forma più completa.

«Tornerai domani, Luna?» avevano chiesto i ragazzi.

Lei aveva annuito, piegando le labbra in un dolce sorriso:
«Tornerò tutte le volte che vorrete.»
 

***
 

Il rientro all’orfanotrofio, però, era stato più brusco e turbolento del previsto. Fuori dalla porta si era radunata una folla di curiosi. Miss Camilla piangeva, seduta in un angolo, mentre alcuni poliziotti cercavano di interrogarla.

Luna planò dolcemente, trascinando con sé la mongolfiera. I pegaso atterrarono poco dopo, accalcandosi subito attorno alla direttrice:
«Perché piangi, Miss Camilla?» li sentì chiedere.

«Non stai bene, Miss Camilla?»

«è successo qualcosa di brutto?»

La direttrice, tuttavia, ignorò quelle domande. Luna la vide alzarsi e trottare verso di lei. Si sentì afferrare per le spalle e le sue iridi incrociarono quelle disperate della anziana pony:
«Perché lo avete fatto, principessa? Perché li avete rapiti?»

Quelle parole la lasciarono di sasso. Rapiti? Che intendeva dire?

Scosse frettolosamente il capo, cercando di radunare i pensieri. Era stato un gesto d’amore il suo! Desiderava soltanto far divertire i ragazzi e li aveva portati a sgranchirsi le ali ed a conoscere le meraviglie della notte. Che male c’era in tutto ciò?

«Non li ho rapiti!» protestò immediatamente «Siamo soltanto usciti a fare una passeggiata. Io… li avrei riportati a casa prima dell’alba. Non sarebbe successo niente.»

Si guardò attorno, in cerca di sostegno. Nessuno, tuttavia, osava guardarla: sui volti dei pony lesse riprovazione. Negli sguardi non vi era altro che biasimo ed incertezza. La temevano, ancora una volta. Non potevano fidarsi di lei: le avevano già concesso troppo credito ed ecco cosa avevano ottenuto! Una principessa ladra, infida, che strappava i bambini ai loro letti per trascinarli chissà dove.

Sentiva già le voci delle madri apprensive:
“Mangia la tua minestra, tesoro… o verrà la principessa Luna e ti porterà via.”

Sarebbe diventata un racconto del terrore, un’ombra che ogni notte usciva dagli armadi per spaventare i puledri capricciosi.
Cosa rimaneva del suo sogno d’essere finalmente amata e capita? Nulla. Era andato tutto in pezzi e, ancora una volta, era colpa sua.

«Non temete, Miss Camilla. Sono sani e salvi, come vedete.»

Ancora quella irritante voce! Possibile che fosse dappertutto? Come il prezzemolo, dannazione!

«Principessa Celestia! Mi dispiace avervi fatto preoccupare… se avessi saputo che erano con vostra sorella…»

Quante moine inutili! Perché la direttrice non veniva a scusarsi con lei, piuttosto? Le aveva dato della rapitrice così, senza neppure un motivo! Eppure… ora, quella stupida invocava il perdono di Celestia.

“Scusate adoratissima Celestia se vi ho tirato giù dal letto tanto improvvisamente” sussurrò Luna tra sé e sé “Sono così addolorata d’avervi fatto preoccupare. Ehi, Luna… quanto torni a rapire i bambini, lasciami un biglietto! Così starò tranquilla e non correrò il rischio di svegliare mezza Canterlot per niente!”

«Non temete, Camilla. Sono lieta che tutto si sia risolto nel migliore dei modi. Quanto a Luna, sono certa che non commetterà più lo stesso errore.»

Roteò gli occhi. Possibile che dovesse sempre parlare in sua vece, facendola apparire così sbagliata ed immatura?

«Ne sono certa. Grazie, Celestia… grazie per avermeli restituiti.»

Cosa?! Celestia non aveva fatto proprio niente. Li aveva riaccompagnati lei! Celestia aveva soltanto alzato il suo regale sedere dai cuscini e si era degnata di trotterellare fin lì, dopo aver allertato inutilmente le forze dell’ordine.

«Vai al diavolo…» ringhiò, infine. Spiegò le ali, prendendo una leggera rincorsa. Luna guizzò via nella notte, incurante delle voci che la richiamavano indietro. Non si fermò, decisa a raggiungere l’orizzonte ed a lasciarsi tutto alle spalle.
 

***
 

Stava soltanto rimandando l’inevitabile, ne era consapevole. Era rientrata soltanto all’alba, chiudendosi immediatamente in camera. Non voleva vedere nessuno, men che meno la sua eccellentissima sorella. Non aveva niente di meglio da fare che romperle le scatole con qualche tediosa ramanzina? Evidentemente no. Colse un bussare insistente.

«Apri subito!»

«Sei così prevedibile, sorella.» snocciolò, con uno sbuffo secco «è aperto, vieni pure.»

Celestia si palesò sull’uscio, lo sguardo duro e l’espressione stanca:
«Non so più cosa fare con te!»

«Non mi interessa.» Luna scrollò le spalle, appoggiando il muso al davanzale. Quanto doveva durare ancora, quel giorno? Quante ore prima che potesse finalmente chiamare la sua omonima.

«Perché non ti rendi conto di ciò che fai?! Hai rapito dei puledrini!»

«No! Li avrei riportati all’alba. Eravamo usciti a divertirci… da quando uscire con degli amici è considerato un sequestro?»

«Sono ancora piccoli! Sono dei bambini. Non sanno badare a loro stessi.»

«Erano con me! Non gli sarebbe successo niente.»

«Avresti dovuto chiedere il permesso a Miss Camilla.»

«Lo so! Ma… non volevo che nessun altro sapesse. Doveva essere un nostro segreto. Un modo per scappare insieme la notte, per essere finalmente uniti come una vera famiglia. Hai rovinato tutto, come al solito.»

Celestia batté gli zoccoli, nervosa:
«Non osare incolparmi di qualcosa! Fai tutto da sola e quando le tue azioni sconsiderate ti si ritorcono contro… diventano sempre un mio problema.»

«Oh, sai che peso! Ti adorano tutti, no? Sei sempre pronta a correre in loro soccorso. Che vita monotona avresti senza la sorellina cattiva, non trovi? Non potresti essere più l’eroina di Canterlot.»

La regnante tacque, sconvolta. Quella persona non era Luna. Non era la sorella che aveva tanto amato. Si era trasformata in qualcosa di diverso: in un concentrato di rabbia e di gelosia. Perché? Non lo sapeva. Che fosse davvero colpa sua? Che fosse il frutto di un’ombra lunga che aveva inconsapevolmente gettato su Luna? Non seppe rispondere. Tuttavia, doveva prendere una decisione drastica. Luna non poteva continuare così. L’odio la stava lentamente consumando. Come affidarle una magia tanto potente, se non sapeva neppure tenere a bada i propri sentimenti? Non poteva lasciarle oltre l’incarico di far sorgere la luna. Quella mansione sarebbe tornata appannaggio dei Pony della Luna, almeno finché la sorella non fosse rinsavita del tutto.

«I Pony della Luna prenderanno il tuo posto.» sentenziò, secca. In fondo, non c’era un modo delicato per dirlo. Tanto valeva, dunque, che la minore affrontasse la dura realtà «Non sei pronta per gestire il ritmo del giorno e della notte con me. Quando starai meglio… quando sarai maturata ed avrai dimostrato di potercela fare, allora…»

«No! Scordatelo! È il mio compito. Non puoi usurparmelo.»

«Non te lo sto chiedendo, Luna! È un ordine.»

«Me ne sbatto dei tuoi ordini!» il corno di Luna si coprì di magia nera. Dei lampi scuri saettarono verso la sorella, che innalzò immediatamente uno scudo dorato. Gli incantesimi si infransero, cadendo nell’aria come sottili scintille «Non puoi portarmela via! Non puoi!»

«è troppo tardi! Ho già dato ordine ai Pony della Luna di radunarsi. Ti sollevo ufficialmente dall’incarico, sorella e…» non abbassò le difese. Non poteva fidarsi: Luna era come impazzita. Aveva osato attaccarla e, anche se si era trattato di un blando tentativo, era un cenno di ribellione che non poteva passare inosservato. Non doveva essere clemente, non questa volta. Occorreva mantenere il controllo, senza lasciarsi intenerire dalle lacrime che solcavano ormai le guance della minore «Non osare mai più cercare di colpirmi. Rimarrai qui, questa sera. Domani, parleremo del tuo destino.» terminò, voltandosi e sbattendo la porta alle proprie spalle.

Un “Ti odio!” la raggiunse prontamente.

Celestia decise di non badarci. Trottò via, lungo il corridoio, richiamata da ben altri affari.
 

***
 

Luna spiò oltre il davanzale della propria finestra. Celestia si stava ritirando, cedendo il posto ai Pony della Luna. Riconobbe Betelgeuse, seguito dal figlio Orion. Li osservò disporsi in cerchio e sollevare i musi al cielo ancora tinto di screziature rossastre.

«Non sorgere, ti prego.» sussurrò, volgendo gli occhi all’orizzonte. La luna non l’avrebbe tradita. Non sarebbe apparsa, non senza di lei. Celestia avrebbe dovuto scusarsi e supplicarla di tornare. Sì, sarebbe andata così.

Sospirò, cercando di sgombrare la mente. Si sentiva irrequieta, nonostante tutto. Si stava sforzando di credere che la sua omonima non sarebbe arrivata, ma… che sarebbe successo se avesse comunque fatto capolino oltre le montagne lontane? Avrebbe perso ulteriormente di credibilità. I Pony della Luna l’avrebbero rimpiazzata per mesi, anni o forse per sempre.

Spiò sottecchi il proprio Cutie Mark. Che si fosse sbagliato? Era apparso sulla groppa di una puledra incauta, affatto talentuosa e che per nulla al mondo avrebbe dovuto guidare il sorgere della notte. Abbassò il capo, afflitta. Era tutto così ingiusto! Era condannata a vivere sola nell’oscurità, ad osservare in silenzio la propria vita scorrere, tornando ad essere un pony anonimo, senza futuro né speranze.

«Non verrà per voi, brutti stupidi.» sibilò, cercando di rincuorarsi. Non doveva essere tesa. La luna non sarebbe mai apparsa!
Si azzittì nel quando dal cerchio sottostante prese a levarsi una cantilena nota:
 

«Splendi nella mia oscurità
Splendi nella notte, la mia luna che sorge
 
 
Aggrottò la fronte. I Pony della Luna stavano aggiungendo parole alla solita nenia fastidiosa?
 
 
«Puoi essere il capolavoro dell'amore?
Mandando un messaggio,
Dicendo a tutto il mondo di mostrarti un po' d'amore
Nessuno ci abbatterà,
Sei la mia luna che sorge»
 
 
Scattò in piedi. Quelle maledette serpi! Avevano copiato le sue note, aggiungendo le strofe di sua invenzione. Stavano chiamando la luna usando la stessa intonazione, il suo medesimo ritmo e simulando la sua voce.

«No…» sussurrò, mentre il disco pallido sbucava da oltre l’orizzonte «Non farlo!» gridò, mentre l’omonima appariva in tutto il suo splendore «Non sono io! Ti stanno ingannando. Non sono io!»

Troppo tardi! Il satellite, ormai posizionato in cielo, iniziò il suo lento cammino. Luna crollò a terra, senza riuscire a soffocare le lacrime. Era tutto sbagliato e così ingiusto! Non sapeva fare altro che far sorgere la luna, ma… se non serviva più nemmeno a quello, che ne sarebbe stato di lei? Forse, avrebbe dovuto ritentare con la pasticceria o il giardinaggio…

«No!» scattò. Non lo avrebbe permesso. Non si sarebbe castigata diventando una semplice cameriera di corte o una bibliotecaria. Avrebbe lottato per se stessa, per proteggere i propri diritti. Il Cutie Mark le aveva indicato la via! Non l’avrebbe abbandonata tanto facilmente. Non si sarebbe arresa.

Balzò oltre la finestra, dispiegando le ali e catturando la brezza serale. Digrignò i denti, lanciandosi in una picchiata. Virò stretto, tagliando la strada ai Pony della Luna. Ignorò le loro grida, mentre un bruciore si irradiava dalla sua fronte fino al corno. Di nuovo, la magia sfuggì al suo controllo: permise alla rabbia di impadronirsene, all’odio di farsi strada nel suo animo.

«Bugiardi! Traditori!» gridò, mentre un bagliore cupo scaturiva dal suo corno e, come un’onda inarrestabile, travolgeva gli astanti.

Colse delle urla terrorizzate e degli zoccoli calpestare rapidamente il terreno, in un inutile tentativo di fuga. Espanse il proprio potere, concesse ai lampi neri di saettare ancora una volta nell’aria. Colpì i Pony della Luna senza esitazione, lasciandoli tramortiti al suolo.

Planò, infine, toccando il suolo. Il respiro affannato si spezzò quando vide la conseguenza delle proprie azioni. Si stava trasformando in un mostro spietato, un concentrato di ira e odio che non riusciva a governare. Celestia aveva ragione! Non avrebbe dovuto…

Scosse il capo. Non doveva pensare alla sorella. Non si sforzava nemmeno di capirla, quella! Troppo intenta a presenziare a fiere e banchetti per potersi interessare della sorte della piccola Luna. Non doveva niente a Celestia, anzi. Quello sfacelo era, in fondo, anche colpa sua: se non l’avesse rinchiusa in camera, se non l’avesse cacciata, niente di tutto ciò sarebbe successo.

«Sono qui, luna.» sussurrò, volgendo l’attenzione al cielo. Piegò le labbra in un sorriso selvaggio, riprendendo la melodia da dove era stata interrotta:
 
 
«Stavo guardando il cielo
Desiderando la luna
Aspettando un inizio nuovo per me
Vivendo sull’orlo
Ormai vicina al crimine
Attraverso il confine un passo alla volta»
 
 
«Ben fatto.» una voce la fece sussultare, interrompendo il suo canto.

Luna si voltò di scatto. Era convinta d’essere sola, invece… c’era una pony accanto a lei. Le assomigliava in modo sorprendente. Il manto nero ricordava un cielo senza stelle, mentre la criniera blu fluiva dal bordo di un elmo lavorato. La bocca era storta in un ghigno, oltre cui si intravedevano delle zanne acuminate.

«Chi sei?» domandò, senza indietreggiare. Per qualche strana ragione, non si sentiva intimorita dall’altra. Avrebbe dovuto esserlo, visto l’aspetto minaccioso, ma era come se la conoscesse da sempre.

«Sono te e non sono te.»

«Che significa?»

«Sono una parte di te, Luna. Sono quell’essenza che ti sei sempre sforzata di celare. Sono il tuo lato nascosto.»

Quelle parole contenevano una sfumatura calda, invitante, che cozzava con l’aspetto terrificante della creatura.
«Perché sei qui?» domandò la principessa, accostandosi di un passo.

«Vorrei che tu mi accettassi, Luna. Sono ancora un potere sopito. Non posso fare nulla, senza il tuo consenso, ma… ascoltami. So cosa desideri realmente, mia cara. Vuoi che la gente ti capisca, non è così? Che gli altri pony possano ammirare le bellezze della notte, che possano capirle ed apprezzarle.»

«Sì, è così, ma… come fare? Celestia dice che…»

«Celestia?» la sconosciuta si lasciò sfuggire una risata graffiante «Oh, non dovremo più preoccuparci della tua cara sorella, Luna. Se uniremo le forze saremo potenti, molto più di lei. Allora… Celestia non avrà più alcun controllo su Equestria. Porteremo la notte, Luna; sarà eterna e magnifica. I pony impareranno ad amarla, te lo giuro.»

Luna tentennò. Quelle promesse erano così ammalianti, ma… poteva davvero credere a quell’emanazione? Era davvero parte della sua coscienza? Celestia e Betelgeuse le avevano ripetuto spesso quanto fosse importante mantenere l’equilibrio nel tempo, ma… che sarebbe successo se la notte avesse spazzato via il giorno?

L’altra parve cogliere quei dubbi.
«Sono la tua unica amica, ormai, Luna.» riprese, con voce suadente. «Gli altri pony ti odiano. Ti hanno ignorato, schernito, tradito… Che cosa devi loro?»

«Nulla.» rispose Luna, facendo un ulteriore passo avanti. Chinò il capo quando vide le ampie ali nere avvolgerla strettamente. Percepì un nuovo vigore, una sensazione di gelo assoluto che, tuttavia, le risvegliava i sensi e spingeva al limite la sua magia «Ti accetto come mia compagna» disse, chiudendo gli occhi ed esalando un profondo respiro «Aiutali ad amare la mia notte.»

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Capitolo 6
*** Gli Elementi dell'Armonia ***


6. Gli Elementi dell’Armonia


Note: la ff partecipa al COWT8, indetto da Lande di Fandom.
Week 2, Missione 3 - Prompt: Shine (Tolmachevy Sisters)
Parole: 1940


 
Celestia accorse immediatamente, non appena le guardie la avvisarono. Luna era sparita e, al suo posto, era giunta una straniera. La pony si era barricata nella sala del trono e si era rifiutata di annullare la notte.

Galoppò rapida nei corridoi, seguendo la via più breve. Si fermò soltanto a riprendere fiato, prima di spalancare l’ingresso della stanza principale, scivolando all’interno.
La sala del trono non era altro che una lunga stanza rettangolare, accompagnata da sontuose colonne e vetrate. Al culmine della navata centrale, su uno scranno di marmo e diamanti, sedeva ora una figura misteriosa.

Celestia la osservò a lungo. Assomigliava a Luna, ma non era lei: il suo manto era quasi nero e la criniera troppo pallida, di un azzurro spento. Indossava un elmo ed una sorta di armatura recante come simbolo una falce di luna. Le labbra erano atteggiate in un ghigno che lasciava intravedere i lunghi ed appuntiti canini.

«Chi sei?» Celestia si avvicinò, incerta. Come confrontarsi con quell’apparizione? Non sapeva nemmeno se le sue intenzioni erano realmente ostili oppure se si trattava di un enorme malinteso. Tuttavia, non poteva spiegarsi la sparizione della minore. Che ne era stato di lei? Dopo il loro litigio, non era più passata a trovarla. Aveva abbandonato Luna, convinta che le servisse soltanto un po’di tempo per sbollire.

Non ottenne risposta.

Decise di ritentare:
«Dove è Luna?»

«Davanti a te.»

Temeva quella risposta. Era già successo in passato che un unicorno impazzisse improvvisamente e diventasse schiavo delle ombre. Era quanto accadeva a coloro che non imparavano a controllare la magia. Si trattava, in genere, di pony ambiziosi, irruenti e incapaci di filtrare i loro sentimenti; personaggi inclini al male, alla rabbia ed alla distruzione. Eppure… Luna non era così! Non la sorella che aveva sempre conosciuto ed amato: era una puledra spigliata, intelligente… forse un poco ribelle, ma non cattiva. Perché si era tramutata in quell’essere disgustoso?

«Sei Luna?» chiese, infine, ricevendo un cenno di dissenso.

«Sì e no. Sono una parte di lei. Sono il suo lato nascosto, quello che tu non hai mai voluto vedere. Quello che hai ignorato, convinta fosse soltanto il capriccio di una adolescente. Luna mi ha accettato come sua compagna. Sono qui per ristabilire l’ordine, per soddisfare i suoi desideri. Sono Nightmare Moon.»

«Sbagli! Luna non avrebbe mai fatto una cosa del genere.»

«Davvero? Glielo hai mai chiesto, cara Celestia? Le hai mai domandato come fosse crescere nell’ombra che le gettavi continuamente addosso? Ti sei mai fatta avanti per aiutarla? Per farla conoscere ai tuoi cari sudditi e per far sì che anche loro la amassero?»

«Io…»

«Credi che sia soltanto colpa di Luna se sono qui? Mh, forse è anche tua, Celestia. Tua e di quel popolo di zotici che ti ostini a governare!»
«Basta, fai silenzio! Restituiscimi Luna e riporta la luce del giorno!»

«Temo di non poterlo fare. Ho promesso a Luna una notte eterna, così che tutti voi imparaste ad apprezzarla; ed è quello che intendo fare, naturalmente.»

Celestia scattò in avanti. Non poteva trattenersi oltre. Quell’emanazione doveva essere cacciata, prima che fosse troppo tardi. Doveva annullarla e riportare indietro la sorella al più presto. Richiamò a sé tutta la propria magia, lasciando il corno risplendere.

Non fece in tempo a scagliare il colpo: la magia le si ritorse contro, proprio come un serpente

Vide una frusta dorata infrangere le vetrate, mentre un vento gelido la spazzava via… provò a contrastarlo, sbattendo le ali con vigore, ma senza successo. Era come volare contro un tornado. La potenza del vento era tale da arruffarle le penne, ferirle gli occhi e sbatacchiarla qua e là, come un piccolo pegaso alle sue prime lezioni di volo.

Non riuscì a distinguere più nulla. Colse soltanto il suono lontano delle risate di Nightmare Moon, mentre il turbine la portava via, scagliandola oltre una finestra spaccata.

«Addio Celestia.» sentì, poco prima d’essere investita da una seconda ondata nera.

Percepì un peso schiacciarle il petto, mentre le ali si serravano di scatto, incapaci di sopportare una tale pressione. Precipitò nel vuoto, per una interminabile manciata di secondi.

La sua mente cercò affannosamente una soluzione. Cosa poteva fare? La forza magica di Nightmare Moon era nettamente superiore. Non poteva sperare di vincerla senza un aiuto.

Rimbalzò sul tetto spiovente dell’ala est del castello, ruzzolando poi verso i giardini. Batté contro un gazebo in legno, prima di rotolare al suolo. Celestia sollevò il muso al cielo: la sua avversaria, parecchi metri più in alto, sghignazzava soddisfatta.

«Non penserai di scappare, vero?» la sentì ringhiare.

La principessa si voltò e corse via. Doveva raggiungere la biblioteca al più presto. Forse c’era un modo per sconfiggere quello spettro.
Superò un paio di aiuole con un ampio salto. Le spalle le dolevano e così anche le zampe, ma non poteva permettersi di rallentare. Sapeva d’essere inseguita, ma non poteva perdersi d’animo. Doveva arrivare alla biblioteca prima di Nightmare Moon e, se c’era una cosa su cui poteva contare, erano proprio i mille corridoi del castello. Senza dubbio, la sua nemica non poteva averlo già esplorato tutto. Nemmeno Luna, in fondo, l’aveva fatto. Soltanto lei conosceva i passaggi migliori, le svolte e i cunicoli che la reggia di Canterlot nascondeva. Era l’unica custode di quel segreto.

Varcò rapidamente l’ingresso, oltrepassando le cucine e gettandosi a capofitto nei corridoi circostanti. Piegò a destra, due volte a sinistra e proseguì fino a trovare una scala a chiocciola. La salì rapidamente, svoltando ancora e poi invertendo la marcia.

Tutti quei cambi di direzione non avevano altro significato che far perdere l’orientamento a Nightmare Moon, ma sarebbero bastati per ritardare lo scontro?
 

***
 

Celestia chiuse la porta della biblioteca alle proprie spalle. Ce l’aveva fatta, infine: aveva seminato l’avversaria, obbligandola a desistere dalla caccia. Finalmente, chiusa nel silenzio della vasta libreria, poteva concentrarsi sulla ricerca degli Elementi dell’Armonia.
Si trattava di una magia antica e molto potente. Era stata utilizzata raramente, nel corso degli ultimi secoli, ma sapeva come attivarli. Li aveva studiati a lungo e ne conosceva ogni segreto.

Trottò rapida verso una imponente teca di cristallo: gli Elementi erano lì, ciascuno poggiato su un cuscino di velluto.

«Eccovi…» disse, sfilandoli uno ad uno dal loro supporto. Li depose a terra, formando un cerchio perfetto. Vi erano sei pietre, tutte di colori diversi.

«Onestà» sussurrò, osservando la prima brillare «Gentilezza, Allegria e…»

«Troppo tardi, sorellina!» un’ombra scura irruppe nella biblioteca, mandando in frantumi la sola ed enorme vetrata. Schegge taglienti caddero ovunque, in una pioggia pungente, mentre Nightmare Moon guizzava rapida in sua direzione «Non ti permetterò di usarli!»
Celestia vide nuovamente l’onda nera nascere fluida dal corno avversario e dirigersi in sua direzione. Non aveva più tempo. Doveva attivare gli Elementi o sarebbe stata la fine.

«Onestà, Gentilezza, Allegria, Lealtà, Generosità. Unitevi nella Magia!» gridò; i gioielli levitarono nell’aria «Unitevi contro l’oscurità!» supplicò infine, mentre dei raggi argentati sgorgavano dal cuore delle gemme, unendole tra loro come una fitta ragnatela. L’aria si condensò davanti a lei, in uno scudo color arcobaleno.

L’onda nera si infranse contro la barriera. Gli Elementi vibrarono, ma ressero il colpo: lo scudo si mantenne integro, mentre il maleficio veniva rispedito al mittente.

Nightmare Moon crollò al suolo, senza riuscire a rialzarsi.

Celestia la sovrastò osservandola distaccata:
«Luna…» sussurrò, pentendosi amaramente di quell’unica parola. La pony che aveva di fronte non era Luna. Era soltanto un mostro che doveva essere scacciato al più presto, prima che si riprendesse. Allontanandolo, la notte eterna sarebbe calata ed il giorno avrebbe potuto riprendere il suo cammino.

«Mi dispiace.» mormorò, chinando il capo e richiamando a sé gli Elementi dell’Armonia «Mille anni di esilio nelle tenebre che tanto aneli.»
Una nebbiolina si condensò attorno alla sua avversaria, che svanì dopo poco, trasportata lontano.

Celestia sollevò lo sguardo, seguendo il profilo della luna piena dove, tra i crateri, era comparso il volto nero di Nightmare Moon.
 

***
 

La notizia della scomparsa di Luna si diffuse presto in tutto il regno. Celestia non riuscì a tenerla segreta a lungo, anzi: nell’arco di dodici ore, l’intera Canterlot conosceva il destino della giovane principessa, bandita dalla sua augusta sorella. Molti se ne rammaricarono: come era possibile che la dolce Luna si fosse tramutata in quell’orrendo fantasma che li aveva minacciati, cercando di imporre una notte eterna?

Ciascun pony fece ammenda nel proprio cuore: era una colpa collettiva, in fondo. La diffidenza, l’incertezza, le occhiate oblique e la sfiducia avevano condotto Luna alla pazzia e l’avevano trasformata in una creatura spietata e senza scrupoli. Celestia l’aveva scacciata; li aveva protetti ancora una volta, ma … a che prezzo?

Una fila interminabile di sudditi era accorsa a palazzo per esprimere il proprio dispiacere, ma senza successo. La principessa non desiderava vedere nessuno. Rimase chiusa nelle proprie stanze per giorni, uscendo soltanto all’alba e al tramonto, per ottemperare alle proprie funzioni.

Quattro giorni dopo, sul calare del giorno, Celestia ricevette una visita inaspettata.
Sei puledri, di cui tre pegaso e tre pony di terra, vennero ammessi a corte.
 

***
 

Celestia si accomodò sulla balconata, osservando il cielo tingersi di rosso. Il sole era appena tramontato ed i Pony della Luna stavano già iniziando il loro cantilenare.

«Che cosa fanno, principessa?» domandò la piccola pegaso, sporgendosi dalla balaustra.

«Fanno sorgere la luna.» rispose, semplicemente. Iniziava a capire cosa avesse visto la sorella in quei bambini: erano frizzanti, pieni di vita, instancabili e speranzosi.

«Possiamo aiutarli? Luna ci aveva insegnato come fare»

Celestia sorrise, indulgente:
«Ma certo.» sussurrò, con un mesto sorriso.

Le voci degli orfani si unirono al coro che, dal centro del cortile, si alzava verso il cielo:
 

«Splendi nella mia oscurità
Splendi nella notte, mia luna che sorge
Scaccia la follia
Puoi essere il capolavoro dell'amore?»
 

Lentamente, il satellite salì nella volta scura. Si mostrò come una falce triste, con un sorriso storto ed il viso deturpato dalla macchie nere. Intraprese mesto il suo arco, come ogni giorno. La luna appariva disinteressata, quasi camminasse più per obbligo che per piacere.

«Sembra arrabbiata.» mormorò nuovamente la pegaso «Perché?»

«Sono sicura che non ce l’ha con voi.»

«Come fai ad esserne certa?»

Non lo era, ma c’era qualcosa di sbagliato nel modo in cui la luna affrontava ogni sera il suo percorso. Sembrava scontenta, eppure si sottometteva alle loro canzoni con pazienza infinita, accettandole ancora una volta.
Forse, il rituale dei Pony della Luna era completamente inutile: il satellite non avanzava grazie alle loro melodie; camminava perché qualcuno le chiedeva di farlo, quasi fosse un favore personale.
Perché Luna, pur lontana nel suo esilio, non aveva mai cessato d’essere la guardiana della notte. Chiedeva alla sua omonima di muoversi, per cancellare le proprie colpe e riscattarsi. Eppure, non c’era più gioia, né entusiasmo in quel compito.
La malinconia si rifletté sul volto della luna come su quello di Celestia.

«Perdonami.» sussurrò infine, schiudendo le labbra ed unendosi alla melodia. Cantò, la principessa, ma non per l’avanzare della notte. Cantò una ninnananna, con parole nate dal profondo del suo cuore. Promise a sé stessa che l’avrebbe intonata ogni sera, finché la sorella non sarebbe ritornata dal cielo:

 
«Ora forse c’è un posto,
Forse c'è un momento,
Forse c'è un giorno in cui ti rivedrò.
Ora qualcosa mi devi donare:
Rendi questa notte più luminosa.»
 

«Principessa…» la pegaso la distrasse da quell’ultima strofa «Quanto è lontana Luna? Quando tornerà da noi?»
Celestia abbassò lo sguardo, incrociando quello speranzoso dei giovani pony.

«Mille miglia» disse soltanto «E mille anni»

«Ma… saremo grandi per allora. Non può venire a trovarci prima?»

Piegò le labbra in un tenue sorriso, mentre le iridi incrociavano ancora una volta il profilo della luna:

«Sono sicura che verrà, invece. Ogni notte, nei vostri sogni.»
 
 
 


Angolino: Eccomi di nuovo qui. La ff è completa, finisce così. Con Celestia che osserva il cielo aspettando il ritorno della sorella.
Vi ringrazio per aver letto fin qui! Vi ringrazio tantissimo,
Non so quanto i caratteri siano azzeccati, così come lo sviluppo degli eventi. Ho cercato di immaginare cosa potesse essere successo tra le due principesse e di concentrarlo in una mini-long sui loro sentimenti. 
Le spaziature tra una riga e l'altra sono una mia vecchia abitudine, per cercare di rendere l'impatto visivo più piacevole ^^ (non sono capace di mettere l'interlinea su efp ç_ç)
E... se avete suggerimenti e pareri, scrivete pure liberamente.
Grazie davvero!

E'ry
 

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