Danganronpa FF- Missing M.

di Master Chopper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


Chapter 1: La rocambolesca ricerca dell'Ultimate Entertainer

La città scivolava all’indietro oltre il finestrino della macchina, e tutto ciò che si trovava all’esterno non poteva toccare Domen Ienobu, se non il caldo dell’estate.

Sollevò lo sguardo dal foglio di carta che stringeva tra le mani solo per incrociare quello del suo autista, Yukio, nello specchietto retrovisore. Vide anche i suoi di occhi: non erano raggianti ed accesi come al solito.

“ C’è qualcosa che non va, Domen ?” Domandò un ragazzo con qualche anno più di lui, chiamato Hoshino. Sedeva sul sedile dei passeggeri, ed era quello dall’età intermedia in quella macchina, essendo invece Yukio sulla tarda quarantina.

Il ragazzo rispose con un sorriso tirato, amplificato nel suo messaggio di malessere quando chinò il capo.

I due che sedevano in avanti si scambiarono un’occhiata rapida, e concorde con quel patto silenzioso l’autista accostò al lato della strada, uscendo dalla corsia brulicante di macchine.


“ Ehi, andiamo! Ne hai fatti tanti di spettacoli come questo. Mi sorprendi se ti fai prendere dall’ansia proprio ora.” Hoshino si voltò con un sorriso carico di positività, apposta per squadrare meglio il giovane.

In qualità di fratello del suo manager, era l’ennesima volta che accompagnava Domen ad uno spettacolo, però riconosceva che l’occasione si prospettava diversa dalle solite.

Il ragazzo avrebbe coperto un intermezzo di venti minuti durante un festival di importanza nazionale, e questo voleva dire che persone da tutto il Giappone l’avrebbero visto dal vivo, mentre l’evento sarebbe stato registrato e trasmesso in ogni casa.

- Non deve essere facile sopportare la tensione quando sei così giovane, ma allo stesso tempo così famoso.- Pensò Hoshino. Yukio intanto abbassò il finestrino quanto bastava per poter sbuffare fuori il fumo della sigaretta appena accesa.

Domen continuò a mantenere lo sguardo chino sul foglio di carta: era la sua scaletta, con annessa la coreografia scritta da lui stesso in quella settimana. Non c’era nulla di più importante per lui al momento.

Non c’era nulla di più importante per lui al momento?

Si ritrovò a guardare Hoshino con l’intensità di una persona appena risvegliatasi da un sonno profondo, al punto che l’imprenditore venne attraversato dai brividi.

“ Ehi… ma c-che… ?”

Venne interrotto dal rumore di Domen che cercava di aprire lo sportello.

L’autista Yukio rimase confuso da quel comportamento.

“ Domen, ma che hai? Non sei una ragazzina prima di un appuntamento, non puoi scappare dall’auto prima dello spettacolo !” Bofonchiò severo, ma quando incrociò lo sguardo del ragazzo non vide paura e ansia, bensì un sorriso caldo e due occhi determinati.

“ Eh ?”

Davanti alla confusione dei due, il ragazzo indicò il finestrino, o meglio cosa c’era su quel lato della strada.

“ Un negozio di... fiori ?” Comprese Hoshino. Nuovamente guardò Yukio: a differenza dell’autista era poco esperto nei comportamenti di quel bizzarro ragazzo, perciò non sapeva proprio cosa permettergli di fare.

“ Non sapevo avessi questa passione. Va bene… ti servono dei soldi oppure vuoi solo guardare ?” Domandò con un sorriso forzato di imbarazzo, al che il ragazzo gli agitò il dito davanti alla faccia.

“ Fai presto !” Gli gridò dietro Yukio nell’istante in cui gli consentì di uscire togliendo la sicura, vedendo Domen schizzare dentro il negozio.

Dopo qualche secondo di ambiguo silenzio, il fratello del manager finse di stiracchiarsi e sbadigliò. L’autista accanto a sé continuava a fumare guardando la porta del negozio.

“ Ma quindi gli piacciono i fiori o no ?” Chiese, volendo svelare questo dubbio.

“ Ah bho !”

“ Non vuole uscire, eh ?” Realizzò Hoshino dopo dieci minuti, ricevendo un sospiro seccato da parte dell’altro.

“ Vado a prenderlo io.”

Mentre Yukio usciva dall’auto, una vibrazione nella tasca sorprese l’uomo, il quale controllò subito il telefono.

Era un messaggio da parte di Domen.

“ Ehi Yukio… mi devo forse preoccupare ?” La sua voce tremante e carica di preoccupazione fermò l’autista, il quale si girò in tempo per ritrovarsi lo schermo del cellulare davanti alla faccia.

Lesse le prime scritte, dopo aver individuato il mittente del messaggio.

“ Perdonatemi se questo messaggio vi farà più arrabbiare che tranquillizzare. Dopotutto sono una persona a cui piace far ridere, tirare una sospiro di sollievo e distendere i nervi, e forse proprio per questo l’opportunità di scervellarvi per seguire la mia fuga romantica non vi sarà di gradimento. Piuttosto, non cercatemi dentro il negozio di fiori, non sono più lì …”

“ Fuga romantica ?!” Hoshino si strinse nelle spalle, emettendo uno strillo disperato.

“ Se i media lo sapessero sarebbe una tragedia! Milioni di fan in tutto il mondo potrebbero perdere interesse in lui, e la compagnia di mio fratello subirebbe un grave colpo economico! Non voglio diventare povero, sto ancora studiando all’università !”

L’atteggiamento poco serio del fratello del manager servì soltanto ad aumentare il livello di esasperazione di Yukio, il quale risolse la situazione afferrandolo dal colletto e tirandolo con uno strattone fuori dall’auto.

“ Non so chi si stia comportando più da bambino, tra Domen e te …”

Poco prima di fare il loro ingresso nel negozio la porta venne aperta da un signore anziano, con in braccio una quantità ridicola di papaveri, al punto che camminava barcollando ed ondeggiando da destra a sinistra.

Ignorandolo, i due agenti fecero il loro ingresso con non poca fretta, immediatamente gettando sguardi alla clientela. Tra gli scaffali e le mensole del piccolo negozio c’erano solo fiori e pochi interessati agli acquisti, di cui nessuno era un famoso intrattenitore comico in fuga.

I due puntarono al bancone, piombando davanti alla commessa, Hoshino con gli occhi lucidi per le lacrime e Yukio con una vena pulsante sulla fronte.

“ Stiamo cercando Domen …” Dissero in contemporanea.

La reazione della donna fu un sussulto, per poi distogliere lo sguardo e fischiettare con nonchalance poco credibile.

“ Ma chi? Domen Ienobu? Perché mai dovrebbe venire qui ?”

“ Noi non l’abbiamo proprio visto! No, no.” Furono le parole dette dai clienti, recitate all’unisono mentre distoglievano lo sguardo fischiettando anche loro.

“ Ma chi vi crede !” Sbraitò l’autista.

“ Signorina, per favore! Siamo due suoi agenti, e abbiamo bisogno di scortarlo fino al suo prossimo spettacolo.” Supplicò Hoshino, mentre come se fosse un budino ormai scivolava giù dal bancone nelle sue stesse lacrime.

La commessa tornò seria, e dopo aver compreso la crisi dell’uomo addolcì l’espressione e si lasciò scappare un sorriso.

“ Mi ha pregato di non dirvi nulla, però se è così importante… ha comprato una montagna di papaveri dopo avermi regalato questo.” E mostrò un origami a forma di fiore fatto di diversi cartoncini colorati, arrossendo in volto fino a mimetizzarsi con le rose alle sue spalle.

“ Montagna di… papaveri ?” I due si guardarono negli occhi ignorando i vaneggiamenti della signora sulla galanteria di Domen, e non poterono non pensare a quel vecchietto visto all’ingresso. O meglio, presunto vecchietto.

“ Ma dove può essere andato ?!” Yukio afferrò il compagno dalle spalle, per poi scuoterlo in aria in un impeto di rabbia.

Mentre Hoshino si dimenava tra i singhiozzi di pianto, la commessa sollevò lo sguardo a quella domanda.

“ Ah, ma se volete saperlo mi ha chiesto le indicazioni per lo studio fotografico più vicino.”

Dopo aver acquisito un’altra importante informazione, Yukio corse in macchina trascinando di peso Yukio con lui, e schiacciò l’acceleratore come se fosse inseguito dal diavolo in persona.

La macchina sfrecciò sulla strada verso la loro prossima direzione.

“ È difficile fare in modo che un altro essere umano provi le emozioni che tu vuoi fargli provare. Questo vale in tutti i casi: la commedia con l’allegria, i film horror con la paura o le poesie tristi con la malinconia.

Sono sicuro che sia questo il significato dell’arte, in tutte le sue forme. Catalizzare le tue emozioni in qualcosa che crei, per risvegliare ciò che vuoi in chi ti sarà da spettatore. Ma qual è quindi il guadagno?

Dopo un po’ ti accorgi di star usando la tua anima per gli altri, senza che essi possano mai ricambiare il tuo sforzo, come dire, ridonandoti le emozioni che hai utilizzato. Non esiste una bevanda che possa ricaricare un comico di allegria, ed è per questo che un comico non può esser sempre contento di ciò che fa. Anche se nessuno se lo aspetta …”

Con il secondo messaggio inviato da Domen, Hoshino divenne sempre più convinto che la paura del ragazzo dovesse essere davvero tanto grande per compiere una fuga del genere.

- Ma è davvero da codardo ciò che ha fatto? Si può forse condannare una persona se non è sicura dei contenuti che vuole portare ?- Rifletteva, quando intanto Yukio si accese un’altra sigaretta.

- Mi hanno sempre insegnato che se una cosa è fatta controvoglia, allora è meglio non farla proprio. Però non posso mettermi nei suoi panni, lui ha dei fan che contano sulla sua partecipazione, delle aspettative da tradire… e come ha scritto, un comico non può essere sempre contento di ciò che fa.-

Raggiunsero lo studio fotografico, ed immediatamente vi entrarono con la stessa furia di prima.

“ La prego, ci dica dov’è Domen !” Come un cucciolo abbandonato, Hoshino si avvinghiò alla gamba del commesso scoppiando nuovamente in lacrime.

“ Ma che ?!” Esclamo questi, per poi rabbrividire vedendo Yukio fare il suo ingresso con diverse vene pulsanti ora pure sul collo.

“ Dov’è ?!”

Il pover’uomo non sapeva cosa fare, perciò disse subito la verità.

“ Ha stampato una montagna di copie di sue fotografie e se n’è andato appena dieci secondi fa !”

“ Una montagna… di sue fotografie ?”

“ S-sì! Mi ha chiesto poi dove si trovasse l’ospedale.”

Per la seconda volta nell’arco di cinque minuti i due saltarono in macchina.

“ Ma come fa a muoversi tanto velocemente se porta con sé una montagna di papaveri ed una montagna di sue fotografie ?!” Sbraitò Yukio, prendendo a pugni il cruscotto per la rabbia.

“ Tu muoviti piuttosto! Sembra che la macchina diventi sempre più lenta !” Gli strillò di rimando Hoshino.

“ Sai perché un clown triste provoca una sensazione di disagio? Perché il clown non è altro che un attore a cui attribuisci due caratteristiche fondamentali: il sorriso e un aspetto stravagante. Per questo io non indosso nasi rossi, scarpe giganti, ma solo qualcosa con cui possa sentirmi me stesso.

Io sono io, non interpreto un personaggio quando sono su un palco. Lascio la recitazione ed il metodo Stanislavskij ad altri, persone che possano appellarsi attori. Io sono il clown di me stesso, e per piacere devo innanzitutto far ridere me.”

Il terzo messaggio lasciava un’aria di critica a non si sa cosa, però allo stesso tempo permise a Hoshino di conoscere un dettaglio importante della vita di Domen.

“ Vuoi vedere che la fuga romantica è con un’infermiera dell’ospedale ?” Yukio si schiacciò la terza sigaretta, ormai finita, nel pugno, facendo riscuotere l’altro dalla lettura.

“ Uhm …”

Raggiunsero l’ospedale in una manciata di minuti, e parcheggiando l’auto nell’unico fortunato posto libero, si fiondarono all’interno.

“ Stiamo cercando Domen Ienobu! Siamo suoi agenti e sappiamo che si trova qui !” Questa volta Yukio urlò a piena voce il motivo per cui era lì senza nemmeno aver parlato a qualcuno.

“ Dobbiamo condurlo al suo prossimo spettacolo, se sapete dov’è ditecelo subito !”

“ Cosa?! Domen Ienobu è qui? Diteci che non gli è successo nulla di grave !” Una folla di infermiere, la maggior parte giovani, si accalcarono sui due agenti quasi seppellendoli con i loro sguardi preoccupati e lacrimanti.

“ Bweeh !” Piangeva anche Hoshino, pensando al lavoro di suo fratello che stava andando in rovina.

Dall’alto dei suoi due metri però Yukio riuscì a scorgere una persona che non si era avvicinata: un’infermiera, probabilmente dell’età di Hoshino, la quale li guardava con sguardo colpevole.

“ Tu sai dov’è, vero ?” Domandò allora l’autista, per la prima volta placando il suo tono.

“ E sai perché ho bisogno di piacere a me stesso? Perché solo così posso avere quell’uno percento di sicurezza necessaria ad andare avanti, e a regalare il sorriso a chiunque lo desideri. Essere un artista non vuol dire essere ripagati in soldi, ma emozioni.

Penserai che mi stia contraddicendo, vero? Invece no, perché mentre prima ho detto che un artista non viene retribuito delle sue emozioni impiegate, ora ti rivelo che il carburante che ci fa andare avanti sono le emozioni di chi facciamo appassionare.

Fuga romantica, dicevo… sì, è stata una fuga per inseguire la mia passione. E forse voi eravate necessari: non sono molto forte, tutti quei fiori e quelle foto non avrei potuto portarli da solo !”

Quando Hoshino ebbe finito di leggere quel misterioso messaggio rimase a bocca aperta, soprattutto dopo aver compreso la frase finale.

Ormai però erano già lì. Avevano seguito l’infermiera, la quale aveva raccontato del suo accordo con Domen, e di come sapeva di starlo disturbando prima di un importante spettacolo.

Gli agenti aprirono la porta di una sala, venendo accolti da un’ovazione di voci squillanti.

“ Doooom- eh ?” Decine di bambini con indosso una vestaglia da pazienti, seduti su delle piccole sedie a rotelle, avevano levato un coro di esaltazione quando la porta si era aperta, ma si erano fermati di colpo.

Rimasero a bocca aperta, con i loro grandi occhi spalancati e colmi di trepidazione, quasi come quelli sbalorditi e colti alla sprovvista degli agenti.

“ Dottoressa! Dov’è Domen ?!” Chiese una bambina all’infermiera, aggrappandosi al camice per attirare la sua attenzione.

La donna sorrise prima a lei e poi ai due uomini.

“ Sta salendo. Ha detto che sta portando un sacco di regali !”

In quel momento una figura superò Hoshino e Yukio, frapponendosi davanti alla porta. Indossava un lungo impermeabile ed un cappello calato sul volto.

“ D-Domen !” Esclamò Hoshino, posandogli una mano sulla spalla per la contentezza, ritrovandosi un secondo dopo a vedere l’impermeabile scivolare per terra.

Una nuvola di palloncini colorati, prima legati da un filo che si era di colpo slacciato, si liberarono nella stanza tra i cori di ammirazione dei bimbi.

Una musica gioiosa riempì l’aria, al che tutti i presenti si voltarono verso la finestra, dove Domen Ienobu era appena apparso.

Ancora aggrappato con un sorriso a trentadue denti, sulle spalle il ragazzo aveva appoggiato un gigantesco mazzo di papaveri, mentre legate alla cintura c’erano sue fotografie autografate.

Il suo sguardo vittorioso sembrava voler dire: “Pensavate che non sarei arrivato ?”

I piccoli pazienti esultarono per la contentezza vedendolo scendere tra loro, mentre lui piroettava leggiadro come un ballerino. Per prima cosa donò i papaveri ad ognuno, per poi scrivere i loro nomi sulle fotografie.

“ Ma allora puoi scalare i palazzi come Spiderman! Sei un supereroe !” Lo indicò un bambino.

Di tutta risposta il ragazzo sfoderò un ghigno vanitoso, e mostrando il braccio svelò un bicipite grande quanto la sua testa. Poi, con aria innocente lo punzecchiò con un ago, e a quel punto scoppiò rivelandosi essere un palloncino.

I bambini risero di gusto a quella scena.

“ Inizialmente non volevo che lui facesse ritardo al festival di oggi.” L’infermiera intanto iniziò a parlare ad Hoshino e Yukio, i quali ancora guardavano Domen a bocca spalancata.

“ Però, sapete, questi bambini domani verranno trasferiti ad un istituto molto lontano per una terapia intensiva… e quando l’ha saputo Domen ha voluto per forza venire per regalare loro un sorriso.”

Yukio ebbe un brivido a quella frase, e comprese che in realtà non avrebbe mai potuto mettersi nei panni di quel fantastico ragazzo.

- Dedicare ogni cellula del proprio corpo agli altri, senza pretendere soldi o compensi, ma solo per donare… spero che in futuro Domen tu possa rendere felice il mondo intero !- E con quei pensieri le lacrime iniziarono a percorrergli le guance. Stavolta lacrime commosse.

“ Mentre noi lo inseguivamo lui ha messo i fiori e le fotografie nel bagagliaio… quel moccioso. Lo sa che odio quando gli altri mettono mano alla mia macchina.” Sorprendentemente anche il burbero Hoshino stava singhiozzando con un sorriso tremante in volto, cercando di asciugarsi gli occhi di continuo.

Domen avrebbe fatto ritardo quel giorno. Esattamente un ritardo di un minuto e ventitre secondi.

Questo tuttavia non importava per lui. Ciò che contava davvero era rendere felice il maggior numero di persone. E anche quei bambini, pochissimi comparati al pubblico che ebbe più tardi, fecero una differenza enorme.


Angolo Autore:

Welcome back! Questa sarà una raccolta riguardante il passato dei personaggi di Danganronpa FF- The Higher I Get The Lower I’ll Sink.

Missing moments, di prima che la disperazione li rendesse prigionieri del gioco perverso organizzato da Monokuma. Spero così possiate conoscere meglio anche i personaggi che non giungeranno mai al finale, ma che hanno già concluso il loro viaggio.

Alla prossima!


Scheda:

Nome: Ienobu

Cognome: Domen

Talento: Ultimate Entertainer

Altezza: 180 cm

Peso: 73 kg

Gruppo sanguigno: 0

Ama: I film di Charlie Chaplin;

Odia: Essere triste.

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


 

Chapter 2: Fidati solo della tua arma

 

Il vento del deserto sollevava solo sabbia, trasformandosi in nuvole gialle che strisciavano tra la terra ed il cielo per pochi secondi.

Le dune proiettavano ombre, ma rocce dalle forme più contorte e primordiali stagliavano vera e propria oscurità sull’ammasso uniforme di sabbia.

Un passo e poi l’altro. Questa era la regola.

La figura si trascinava ormai contando solo sulla forza del proprio corpo, mentre la mente era impiegata in altri tipi di pensieri. La resistenza messa a dura prova non era la priorità.

 

Il mantello sferzava nel vento, e se solo il cappuccio non fosse stato appesantito da un panno un tempo umido, avrebbe sicuramente rivelato il volto del viaggiatore.

Il sole era ancora lungi dal tramontare, eppure il viaggio era quasi al termine.

In lontananza scorse un punto dove le rocce facevano appena capolino da sotto una duna, somigliando al tetto di una casa poggiante su di una collina.

Arrivò al limite dell’altura, facendo attenzione affinché la sabbia non cedesse sotto il suo peso, ed ammirò cosa gli stagliava di fronte.

Illuminata dal sole, una conca circondata dalle dune era puntellata da colonne di roccia rossa, alte dai quattro ai cinque metri, le quali gocciolavano fiumi di sabbia e polvere per generare fini cascate lucenti.

Tutto era poggiato su di un pavimento calcareo sbiadito dal sole, ma che presentava delle venature larghe e spesse quanto delle automobili, proiettando ombra su quel pavimento imperfetto.

La figura compì un agile balzo verso la colonna più vicina, afferrandone uno spuntone di roccia con le mani poco prima dell’impatto. In seguito si lasciò scivolare per un buon tratto, fino a quando, con un altro balzo, atterrò su di un ammasso di sabbia ai piedi delle dune.

L’atterraggio fu al quanto morbido, ed una volta scrollatasi la sabbia dai vestiti, il viaggiatore si rialzò.

Il cappuccio era scivolato via dalla sua testa durante la caduta, rivelando un volto  giovane, in contrasto con le numerose cicatrici presenti sulla sua pelle. I capelli erano rossi, tagliati fino alle punte su tutto il cranio, mentre i grandi occhi da ragazzino brillavano con silenziosa serenità.

Il suo fisico ed il suo volto sicuramente non parevano adatti al suo atteggiamento e alla sua postura, i quali rivelavano un trascorso duro e colmo di pericoli.


Con somma attenzione Iwayama Koan si sporse sotto una delle venature nel terreno, individuando un punto dove la roccia si apriva in un profondo squarcio nascosto dall’ombra. Aria bollente colpì il suo volto, al punto che provò un’immediata secchezza degli occhi.

Nell’oscurità era difficile individuare quanto l’insenatura fosse profonda, così si picchiettò sul petto, e dalla sua tuta attillata ma ricoperta di cinture e tasche, una piccola torcia proiettò un fascio di luce.

Quello che credeva fosse un semplice fosso si rivelò essere una caverna che serpeggiava nella terra fino ad aprirsi e raggiungere la grandezza di una casa.

Delle piante crescevano  sulle pareti, segno che quando il sole raggiungeva determinate angolazioni permettesse ai suoi raggi di filtrare anche lì sotto.

Il ragazzo comprese che la sua discesa sarebbe iniziata da lì.

 

- Non posso crederci di essere finalmente qui.- Si disse, mentre con aria concentrata sfilava dalle sue tasche un rampino ed una fune, assieme a dei paletti di acciaio che si attaccò ai polsi tramite dei legacci di cuoio.

- Questo… sarà l’ultimo dei miei lavori prima di entrare nella Hope’s Peak Academy.-

La trepidazione era ben celata dalla sua espressione rigida e attenta, ma chiunque lo avesse sentito parlare nei giorni precedenti avrebbe sicuramente capito quanto fosse emozionato.

Solo l’idea di frequentare la migliore scuola del mondo, in quanto parte della Speranza che l’istituto mirava a proiettare nel futuro, era un sogno per molti studenti.

Inoltre era stato considerato Ultimate Weapon Collectioner in merito alla collezione di armi che aveva accumulato in anni di viaggi ed odissee, come quella che stava appena compiendo.

I suoi genitori sarebbero stati senz’altro fieri del merito per cui era stato riconosciuto.

- Se solo potessero vedermi ora.- Ripensò con un debole sorriso colmo di tristezza, mentre i preparativi per la discesa erano stati ultimati.

 

Conficcò il rampino nella venatura sopra la sua testa, e si calò lentamente nella fossa. Tenendo premuto un pulsante collegato alla sua cintura, dove la corda era stata annodata, riusciva a srotolare lentamente la fune verso l’alto per discendere.

Talvolta utilizzò i picchetti sulle sue mani per allontanarsi da spuntoni rocciosi nel suo percorso, ma non si rivelò per niente una discesa complicata.

- In confronto all’Himalaya e al Chile questo è nulla.- Commentò con presunzione, quando poté finalmente poggiare i piedi sul pavimento sabbioso del fondale.

Sfilò la corda rimasta dalla sua cintura, lasciandola penzolare a pochi centimetri da terra, poi guardò in alto.

Il sole era solo un bagliore luminoso che indicava la sua unica uscita.

La torcia sul suo petto, invece, rivelava le pareti lisce della caverna che lo avvolgeva.

- La mia ricerca inizia qui.-

 

Avanzò nel buio, affondando i piedi nella sabbia che aveva inghiottito il pavimento di quel luogo. Tutto attorno a sé emanava un odore di bruciato molto intenso, sicuramente capace di far perdere i sensi a qualsiasi essere umano dopo molto tempo.

La sua ricerca però necessitava molto tempo.

 

Con la torcia illuminò le pareti, fino a quando, dopo una buona mezz’ora, individuò un punto dove i rampicanti erano ammassati in modo uniforme e scomposto. Li scostò con la mano, rivelando delle rocce accatastate contro la parete.

- La parte superiore di queste rocce non è calda …- Osservò con la fronte aggrottata nella confusione.

- Sebbene il sole non colpisca direttamente questa zona, le pareti emanano calore a causa del surriscaldamento di questa caverna col passare degli anni. Quindi… perché queste rocce sembrano essere state da poco spostate ?-

Il dubbio si fece ancora più angosciante quando la luce della torcia proiettò ombre tra i sassi, le quale si insinuavano fra le cavità come serpenti.

A prima occhiata quel pezzo di parete sarebbe sembrato semplicemente colmo di detriti, magari generati da un crollo, ma agli occhi del ragazzo ora la questione era diventata molto più complessa.

 

Non ebbe nemmeno il tempo di porsi altre domande, perché presto la luce che raggiungeva i suoi piedi venne oscurata.

Si voltò appena in tempo per scorgere una shilouette davanti all’entrata della caverna, con il sole splendente direttamente alle sue spalle.

Iwayama si mise subito in allerta. Nessun altro sarebbe dovuto essere lì.

Quando dalla testa della figura venne emanato un bagliore verdognolo, accompagnato da un rumore meccanico di accensione, il ragazzo intuì che si trovava nei guai.

- È un visore termico !-


D’istinto saltò lateralmente, appena in tempo per evitare che un proiettile gli si conficcasse in corpo, preceduto dal boato di uno sparo.

La figura continuò a sparargli addosso dall’alto dell’apertura, supportata dal visore senza il quale sarebbe stato impossibile localizzare il suo bersaglio nel buio.

Sfortunatamente per lo Ultimate Weapon Collectioner, muoversi consentiva soltanto al sole di indirizzarsi contro il suo sguardo, impedendogli quindi di prestare attenzione al suo avversario.

- Sono in trappola! Da qui giù non posso fare assolutamente nulla.- Ringhiò con rabbia, mentre la polvere veniva sollevata attorno a lui, e nella caverna rimbombavano gli spari.

Il sudore gli imperlava la fronte, e a lungo andare la cappa che lo ricopriva stava soltanto venendo appesantita dalla sabbia che trascinava con sé.

Quando notò questo dettaglio, il rosso ebbe un’illuminazione, e la sua espressione frenetica divenne di colpo più rilassata.

- Uno, due, tre …- Iniziò a contare a mente i proiettili sparati. Dal suono e dalla velocità di colpo aveva riconosciuto il modello di pistola utilizzato. Ne conosceva persino il tempo di ricarica.

Attese fino a quando il caricatore non venne svuotato, dopodiché tutto quello che il suo avversario vide  tramite il visore fu una macchia uniforme materializzarsi dove prima c’era Iwayama.

 

Il rosso, al di sotto della cappa che aveva lanciato sopra la propria testa, portò entrambe le mani a due tasche diverse.

Il mantello cadde a terra, ed il pistolero poté appena percepire qualcosa venir lanciato dal suo bersaglio verso l’alto, prima di esser colpito alla testa da una forza centrifuga devastante.

Ciò che gli era appena stato lanciato contro era un boomerang, antica arma di origini australiane, il quale era stato avvolto dalla catena di una kusarigame, ovvero un’arma giapponese formata da un falcetto ed un peso.

Il mazzafrusto aveva sfruttato la forza del boomerang per accumulare velocità ed ancora più peso nella sua estremità in ferro, la quale aveva colpito con forza fulminea l’assalitore.

Iwayama osservò il corpo precipitare sul pavimento di sabbia dopo un volo di una decina di metri.

Il suo sguardo era gelido e completamente rilassato.

Sin da piccolo era stato addestrato nel mestiere della sua famiglia, ovvero sopravvivere a bestie feroci, trappole millenarie e profanatori di tombe in qualsiasi tempio o landa avversa all’umanità si trovasse.

Tutto per recuperare ciò che per lui rappresentava l’essenza stessa del progresso storico e del passato di ogni cultura, ovvero le armi.

 

Proprio grazie a questa spietata preparazione, non fu sorpreso di vedere la figura rialzarsi dopo la sua caduta, come se nulla fosse successo.

Si presentavano come un misterioso individuo di almeno venti centimetri più alti di lui. Indossa una pesante mimetica dai colori opachi del deserto, con scarponi color sabbia ed una sacca appesa sul fianco.

Il volto era coperto da un casco bianco con davanti il visore termico, ormai danneggiato dal colpo di prima.

Senza una protezione del genere difficilmente un essere umano si sarebbe ripreso dopo un attacco alla testa così impattante.

“ Soldati …” Sibilò il ragazzo, non molto sorpreso.

Il suo avversario  si tastò senza badargli attenzione, muovevano leggermente alcuni muscoli del corpo per verificare i danni riportati. In base a come un istante dopo volse il suo sguardo impercettibile verso Iwayama, questo comprese che doveva essere nuovamente pronto all’attacco.

“ Più precisamente sei un mercenario di Fenrir, dico bene ?”

Nonostante non volesse temporeggiare, il ragazzo notò il marchio di una testa di lupo all’interno di un ottagono spuntare sulla mimetica avversaria.

Non era un esperto di guerra, però durante i suoi numerosi viaggi in Medio Oriente aveva sentito a lungo le gesta di questo feroce ed apparentemente invincibile gruppo bellico. Si diceva che attaccassero feroci e spietati come lupi, mietendo le loro prede in qualsiasi ambiente, sia naturale ed ostile come il deserto, che urbano.

Il suo maggiordomo, unica figura paterna a lui rimasta, lo aveva sempre messo in guardia dal non scontrarsi con avversari del genere.

 

“ Purtroppo siamo capitati in due fazioni avversarie.” Sospirò con rammarico il ragazzo, mentre l’altro avanzava senza rispondergli.

“ Immagino che tu sia stato assoldato dalla repubblica avversaria a quella che mi ha ingaggiato. Il tuoi datori di lavoro hanno iniziato una guerra fredda senza mai manifestare pubblica violenza… però sanno che se io riportassi alla luce la leggendaria arma sepolta in queste terre, tutto il mondo avrebbe i suoi riflettori puntati sul vostro nemico.”

Di situazioni del genere gliene erano capitate a bizzeffe ormai, e ai suoi genitori prima di lui.

Le scoperte storiche portavano un grande successo e molte attenzioni, le quali si traducevano ovviamente in soldi. Ed i soldi causavano invidia.

Iwayama non credeva che si sarebbe dovuto sentire come un Indiana Jones contemporaneo, perché sicuramente svolgere il suo lavoro nel silenzio e nella calma di un antico luogo era il solo motivo per cui portava avanti il mestiere della sua famiglia.

- È davvero così sbagliato pretendere un po’ di serenità ?-

Un sospiro fu tutto ciò che il ragazzo riuscì a fare, prima di venir attaccato frontalmente da colui che era stato incaricato di ucciderlo.

 

Il soldato balzò in avanti, sguainando un coltello da una guaina posta sul proprio avambraccio. La desert eagle usata fino a prima era stata sbalzata via, forse in superficie o forse lì sotto, ma non aveva interesse nel recuperarla.

Un soldato che aveva affrontato un addestramento marziale impeccabile nei ranghi della più temuta organizzazione mercenaria, di certo avrebbe potuto uccidere un semplice studente con un coltello e anche meno.

Pensandola in questo modo, il mercenario fu stupito dal vedere il primo affondo verso il torace mancare il bersaglio. Iwayama aveva evitato il colpo lateralmente, e con una mano quasi a contatto con il braccio armato dell’avversario, era intenzionato a prevederne i movimenti.

Questo allora non si lasciò sopraffare dall’eccessiva sicurezza nelle proprie abilità, e ruotando il braccio con assieme al bacino sferrò un fendente orizzontale mirato a tagliare in due il rosso.

Un bersaglio così vicino sarebbe stato senza dubbio ucciso da un colpo di coltello portato a tale velocità, ma con le poche abilità marziali acquisite, Iwayama Koan sapeva che un attacco del genere era mirato a fallire.

Afferrando infatti il braccio del mercenario, si lasciò spostare all’esterno della sua guardia sfruttando la sua spinta.

Un movimento del genere è tipico delle mosche, le quali si lasciano spingere dalle correnti d’aria generate dagli attaccanti che cercano di colpirle.

Il soldato, tuttavia, ne aveva compreso il movimento. In un istante si sollevò da terra, ed usando la stessa presa di Iwayama come leva, ruotò il suo corpo a mezz’aria per piombare perpendicolarmente addosso al suo nemico.

 

Lo Ultimate Weapon Collectioner vide così il riflesso del proprio volto nel casco lucido dell’avversario. La mano libera del suo nemico si stava avvicinando ai suoi occhi, al punto che parte della sua visuale era già stata coperta.

Il guanto indossato presentava delle placche metalliche sulle dita, le quali se gli si fossero conficcate nei globi oculari li avrebbero trasformati in poltiglia.

Eppure quegli occhi erano calmi e placidi come uno stagno.

Iwayama aveva appena individuato un punto appena sotto il casco del suo assalitore, dove la carne era rimasta esposta durante il balzo, proprio in prossimità del collo. Stava aspettando che quel punto rimanesse scoperto, in quanto sapeva che tutte le mimetiche presentavano quel punto vulnerabile durante determinate azioni.

Così, mantenendo la sua innaturale compostezza, sputò verso quel punto un minuscolo frammento metallico coperto da una rete di circuiti.

Nell’istante in cui questo entrò in contatto con la carne, il mercenario venne attraversato da una scarica elettrica in tutto il suo corpo, capace di paralizzarlo a mezz’aria e di strappargli un urlo agonizzante.

“ Una voce… femminile ?” Esclamò sorpreso Iwayama, osservando il suo avversario cadere al suolo, reso inerme dalla sua trappola, fino ad allora nascosta sul retro di un suo dente.

 

Lo stupore fu l’ultima sensazione che il rosso provò, prima che il boato di un esplosione proveniente da sopra la sua testa lo scaraventasse al suolo.

Una pioggia di detriti cadde nel punto in cui si trovava l’unica uscita, e presto altri tremori e crolli provenienti dalla superficie si aggiunsero.

Lo studente provò a rialzarsi in piedi, ma una cascata di sabbia proveniente dall’alto lo investì, trascinandolo all’indietro con una potenza insormontabile.

In poco tempo la sua visione si oscurò, e la luce nella caverna venne inghiottita solo da sabbia e roccia.

 

Il ragazzo riaprì gli occhi una quantità di tempo dopo che non seppe definire, anche se gli sembrava di aver perso i sensi per appena pochi istanti.

L’intera struttura della grotta attorno a sé era cambiata, al punto che gli sembrò di essere in un luogo completamente diverso.

Si trovava steso su di uno sperone di roccia che aveva funto da conca per ripararlo dall’inondazione. Tutto attorno a sé ora era sabbia, solo che il soffitto della grotta era molto più vicino, al punto che solamente alzandosi in piedi avrebbe potuto toccarlo.

L’edera e le piante erano state inghiottite, e solo detriti appartenenti ai monoliti di roccia in superficie riempivano lo spazio.

Tutto ciò era reso visibile dalla torcia appesa al petto di Iwayama, senza la quale tutto sarebbe stato senz’altro buio pesto. Proprio quando lo studente fu sul punto di ringraziare la torcia, la luce si interruppe per un secondo intero.

- Dannazione! Non mi resterà molto tempo… devo esser rimasto incosciente per ore.-

Un dettaglio ancora più frustrante si aggiunse in quella situazione tanto pericolosa.

- Di questo passo… l’Arma Leggendaria che cerco…- Con aria mesta il ragazzo si guardò attorno.

La conca, prima profonda più di dieci metri, ora era stata ridotta appena ad altezza d’uomo. Se ciò che cercava si trovava in profondità, ormai era sepolta.

- Profondità …- Ripeté lo studente, prima di comprendere perché quella parola gli accendeva una lampadina nell’oscurità della sua preoccupazione.

Ricordò la parete rocciosa che aveva notato immediatamente al suo ingresso, ed i punti in cui le rocce sembravano essere state spostate da poco.

 

-Se quella cavità nascondeva una conca sul fondale, vuol dire che la pressione della sabbia deve averla sfondata, riempiendola.-

Iwayama ispezionò la zona con la luce della torcia, trovando in breve tempo un punto in cui il pavimento sabbioso si ritirava, formando una discesa perfettamente liscia.

Soddisfatto della sua intuizione, si lasciò scivolare sulla sabbia, percependo la parete rocciosa avvicinarsi sempre di più a sé.

Quell’area non era stata sepolta come il resto della grotta.

Dopo qualche secondo giunse al limite della conca. Doveva essere ritornato quasi sul fondo, e l’aria lì era più fresca e respirabile.

La sabbia formava un piccolo fiume all’interno di una cavità, testimoniando la teoria del ragazzo, ma un dettaglio scintillante sembrò attirare maggiormente la sua attenzione.

Il corpo del soldato, o meglio, della soldatessa, era accasciato al suolo, ricoperto in parte dalla sabbia.

Senza più casco era possibile notare i corti capelli biondi come il sole ocra del deserto, i quali a stento ricoprivano un rivolo di sangue che sgorgava dalla fronte.

Gli occhi erano chiusi, e la pelle olivastra era sporca di polvere , con particelle biancastre della sabbia che formavano delle macchie sul suo volto.

 

Lo Ultimate Weapon Collectioner posò il suo sguardo freddo e silenzioso sul corpo inerme della sua assalitrice. L’aria cominciava a mancargli, non avrebbe retto ancora per molto.

 

La ragazza schiuse le palpebre, trovando un solitario ma lontano raggio di luce proveniente dall’alto a fargli compagnia nell’oscurità. In preda ad un terrore puramente istintivo cercò di tirare su la testa, ma un’acuta fitta di dolore le attraversò la spina dorsale fino alla base del collo, bloccandola.

Emise un rantolo strozzato, vergognandosene immediatamente, ma che risuonò ugualmente nella caverna.

Piegando leggermente la nuca lateralmente, scorse attorno a sé. I resti della caverna nascosta erano irriconoscibili.

L’odore ferroso del sangue e quello pungente e amaro della sabbia le ricoprivano le labbra, ma avvertiva ugualmente una sensazione di refrigerio sulla testa.

Sollevando la mano per sorreggersi il capo notò di non possedere più i guanti. Continuando così con l’ispezione del proprio corpo, notò di essere praticamente rimasta solo in indumenti intimi, stivali ed una canottiera bianca che a stento le ricopriva le forme.

Fu allora che emise un altro grido di sorpresa, ed allora qualcuno la sentì.

 

Dal suo fianco emerse qualcuno, letteralmente scavalcando una discesa di sabbia per raggiungere lo spuntone di roccia sulla quale era adagiata.

“ Tu sei… il ragazzino.” Osservò la soldatessa con sommo stupore e confusione, riconoscendo il volto di Iwayama.

Il ragazzo stringeva tra le mani un bastoncino luminoso, il quale gli illuminava il viso pallido e gli occhi rossi, irritati per la poca luce e l’alone di polvere nell’aria.

“ Sì.” Rispose lui con voce rauca.

- Da quanto siamo qui dentro ?- Si chiese la ragazza, mentre un panno umido le scivolava dalla fronte, ricadendo sulla sua spalla.

“ Spero tu non mi voglia attaccare, almeno non adesso.” Mormorò stancamente lui, prima di voltarle le spalle e saltare giù.

Questa volta lei lo seguì, muovendosi a carponi e sporgendosi in basso.

Il rosso, con il solo ausilio delle mani stava scavando nella rientranza più profonda di un piccolo tunnel all’interno della parete. Aveva ormai formato un varco di almeno due metri di profondità.

Lei notò come le sue mani fossero ormai ricoperte di sangue, il quale aveva macchiato la sabbia e apparentemente anche la sua canottiera.

Si fermò a riflettere.

 

“ Mi hai toccato mentre ero incosciente ?!”  Sbraitò, carica di vergogna, cercando di coprirsi il petto con entrambe le braccia.

Da lì in fondo il ragazzo rispose con un imbarazzato colpo di tosse.

“ Non fare finta di niente, lo so che mi hai sentito !” Insistette lei, furente.

“ Non respiravi più ormai …” Rivelò infine l’altro, mentre il suo corpo era impegnato in un doloroso sforzo.

“ La sabbia ti era entrata nella divisa, schiacciandoti i polmoni e bloccandoti la circolazione in più punti del corpo. Quindi… ho… dovuto praticare il massaggio cardiaco, ecco.”

Con più imbarazzo nella voce di quanto sembrava dimostrare, Iwayama e le sue parole fecero sussultare la soldatessa.

 

“ Perché… l’hai fatto ?” Domandò lei con il poco fiato che aveva in corpo.

“ Avresti potuto prendere ciò  che cercavi ed andartene. Quanto tempo hai perso per aiutarmi? Quante provviste abbiamo ?”

“ Niente. Nessuna provvista.” Rispose improvvisamente il rosso, gelido.

“ Tutta la mia acqua è stata usata per il panno che avevi sulla fronte.”

Quell’assurdo dialogo non aveva di certo aiutato la soldatessa a comprendere meglio la situazione.

“ Ti ho chiesto perché mi hai aiutato! Sono un tuo nemico, sono stata pagata per ucciderti !”

Sin da quando era piccola l’avevano addestrata all’arte del combattimento e dell’assassinio.

Fallire significava morire, anche se si sopravviveva. Un corpo sopravvissuto senza vittoria era un corpo incapace di guadagnare soldi e rispetto.

I mercenari di Fenrir vivevano sulla fama che si erano costruiti nel corso di innumerevoli battaglie, era tutto quello che serviva per mantenere l’ordine ed il terrore ovunque andassero.

Se solo fosse tornata dai suoi compagni, questi non sarebbero più stati tali per lei, e lei non sarebbe stata degna di vivere ancora.

 

La morte la terrorizzava, ed odiava quel ragazzo per non averle permesso una dipartita rapida ed indolore nel buio e nel freddo.

“ Perché ?” Domandò ancora una volta, questa volta con il terrore che le si impossessava della voce.

“ Non so spiegarti il perché.” Il rosso finalmente si fermò, rimanendo in piedi nell’oscurità più profonda, ora che persino il bastoncino luminoso non emetteva più luce.

La sua voce rauca e stanca rimbombava nella caverna.

“ Sono sempre stato frainteso quando parlavo con gli altri, non importa cosa dicessi, e la gente aveva paura di me …”

Da quando i suoi genitori erano morti, non aveva avuto più nessuno con cui parlare, se non il suo maggiordomo. Mai nessun compagni di scuola era venuto a trovarlo a casa, o lo telefonava per parlare.

O forse non poteva semplicemente saperlo, siccome da quando era rimasto il solo a poter portare avanti il mestiere di famiglia, dedicava ogni suo momento libero a spedizioni di ricerca.

“ Per questo motivo, io ho sempre preferito rimanere da solo, in modo da non spaventare gli altri e non sentirmi offeso dalla loro paura. Però, mi sono accorto che più passo del tempo da solo, e più mi sento giudicato ed infelice.”

L’amarezza nella voce di Iwayama ero lo specchio della sua anima.

Le forze gli mancavano e sentiva che presto sarebbe crollato lì, nell’oscurità più profonda senza più la forza di respirare. Il sangue gli colava dalle mani, e non poteva più sfiorare la sabbia senza avvertire una scarica di bruciore fin dentro le carni.

“ Per questo forse non volevo lasciarti qui da sola, senza nemmeno avere la possibilità di aiutarti… come non ho potuto farlo con i miei genitori… e come nessuno vuole fare con me.”

 

Le palpebre gli si chiudevano, e sentiva di star parlando all’interno della sua testa. La caverna era diventata come il suo corpo, pulsava attorno a lui e lo investiva di caldo, soffocandolo ma abbracciandolo.

 

“ Ormai, tutto quello che posso fare è trovare l’Arma Leggendaria che giace da millenni in queste rovine… dopodiché, e solo allora, potrò andare alla Hope’s Peak Academy. Altrimenti non sarò mai degno di avere degli amici, come un ragazzo normale…”

Un sorriso triste e stanco gli sfuggì dalle labbra, prima che la bocca gli venisse serrata da un brivido.

“ Portami fuori di qui. Subito.” La soldatessa era arrivata alle sue spalle senza emettere un rumore, ed ora premeva la fredda lama di un coltello sulla sua gola.

Con tono terribilmente spietato sollevò ancor di più il coltello sotto il mento, strattonando il ragazzo da un braccio, per poi torcerglielo dietro la schiena.

“ Non posso.” Rispose Iwayama, soffrendo per il dolore. La soldatessa esplose in un grido furioso non appena lo sentì, serrando ancor di più la presa attorno al suo polso.

 “ Cos’hai detto ?!”

“ La mia corda può… reggere solo il peso di una persona per volta.” Ammise il ragazzo.

La morsa si allentò, e sorprendentemente la ragazza gli permise di girarsi. Il suo volto era fiero, con occhi immobili che non sembravano più provare paura.

Con calma gli disse:

“ Allora salirai tu per primo.” E lo lasciò libero.

 

Con le ultime forze rimaste ed i muscoli che gli esplodevano in corpo, Iwayama lanciò il rampino sulla sommità della grotta, ormai non più molto lontana. Con la fune attaccata alla cintura riuscì a tirarsi su.

Mentre meccanicamente si sfilava il supporto, rifletté su quanto stava facendo.

Guardò in basso, e vide la bionda aspettarlo con la testa all’insù.

Calò la cintura e la fune, senza sfilare il rampino dalla roccia.

 

In meno di un minuto anche lei fu salita, ed entrambi, per la prima volta, volsero lo sguardo al cielo.

La volta celeste risplendeva nel cielo bluastro, coronato da un aurora sottile, come se il deserto fosse stato un mare di specchi.

Il vento soffiava, riempiendo i polmoni dei due di aria fresca.

Iwayama ebbe appena il tempo di recuperare la sua cintura, prima che l’altra lo colpisse al volto con uno schiaffo.

Il dolore fu poco intenso, ma fulmineo e sorprendente.

“ Un’arma… un’arma di cui non si è mai accertata l’esistenza… vale quanto la tua vita ?”

La faccia del ragazzo rimase bloccata con lo sguardo fisso nel vuoto.

La soldatessa invece lo guardava intensamente, ancora con la mano tremante dopo il colpo.

“ Vale quanto il diritto di avere degli amici, di frequentare una scuola, di costruirsi un futuro? E dici che senza quell’arma non hai diritto di essere normale, come se una cosa così insignificante possa autorizzarti a vivere ?!”

Afferrò il ragazzo per il colletto, sollevandolo da terra nonostante le poche energie rimaste ed il fiatone. Lo sollevò come fosse uno straccio, stagliando verso il cielo stellato e luminoso un volto cupo e due occhi pieni di paura e confusione.

“Tu non puoi conoscere la morte così presto solo perché pensi che il mondo non ti accetti diversamente da come vorresti essere! Noi due, adesso, qui, in questo deserto di merda, dopo aver rischiato le nostre vite ed essere sopravvissuti … ”

Con voce tremante ebbe la forza di guardare finalmente in faccio Iwayama. Gli mostrò un tenero sorriso, con zigomi tremanti e forse prossimi al pianto.

“… siamo la dimostrazione che si può voler vivere ancora, dopotutto.”

 

Proprio lei in quel momento aveva infranto una delle leggi di Fenrir, e probabilmente avrebbe dovuto condurre il resto della sua esistenza nell’ombra, ma non le importava di star correndo quel pericolo.

Era viva, e non temeva la morte. La bellezza di una sensazione simile era paragonabile allo stupore della miriade di stelle sopra di loro in quel momento, le quali riempivano il nulla del cielo ed illuminavano il nulla del deserto.

E fu allora che Iwayama Koan comprese che i suoi genitori gli avevano donato la vita, e non avevano mai preteso altro da lui.

Né che continuasse il loro mestiere, né che trovasse quell’Arma Leggendaria. Gli avevano donato la vita, appunto, e allora il loro ultimo desiderio era stato che lui continuasse a viverla sempre e comunque.

 

-Mamma… papà …- Sussurrò il ragazzo al suo inconscio, dove le ombre dei suoi genitori finalmente sorridevano.

-Sono vivo anch’io da stanotte.- Sorrise anch’egli, mentre l’unica lacrima gli percorse il viso abraso, secco e sporco. Una goccia di acqua nel deserto, quella notte, era la dimostrazione che aveva saputo fare la cosa giusta.

 

La soldatessa lo  aiutò a medicarsi le ferite alle mani, mentre il deserto attorno a loro soffiava vento gelido e sabbia come fiumi o serpenti luminosi tra le dune, rischiarate dalla luce argentea della luna.

“ Chissà se è passata davvero solo qualche ora, oppure se siamo rimasti svenuti per diversi giorni …” Si domandò lei, rivolgendo uno sguardo nostalgico alla caverna che li aveva inghiottiti per tempo indefinito.

“ Pensi che quelli della tua squadra ti credano morta ?” Domandò il giovane.

“ Se hanno preferito seppellirci a suon di dinamite nella grotta… forse mi volevano morta e basta. Sono cresciuta con loro sin da quando ho memoria, non sospettano di me e non credo rappresenterei una minaccia se sparissi e basta.”

“ D’altronde se ti preferiscono morta perché vorrebbero cercarti ?”

Il vento trascinava altra sabbia lungo le macerie delle stalagmiti, e questa colava a picco nel buco, ricordando una grossa clessidra.

“ La sabbia ricoprirà le nostre tracce… e anche l’Arma Leggendaria, sempre che questa sia davvero esistita e che si trovasse lì sotto.” Mormorò la donna con un sorriso stanco, sentendosi presa in giro dal destino.

“ Sei sicuro che la cosa non ti dispiaccia ?”

Iwayama annuì con un movimento secco, dando infine le spalle a quel gorgo.

“ Spero che si trovasse davvero lì.” Disse con estrema serietà, a petto in fuori.

La donna non poté non assumere un’espressione confusa, inclinando il capo e squadrandolo interrogativa.

Il ragazzo notò la sua faccia, e l’ombra di un sorriso divertito gli attraversò il volto.

“ In questo modo potremo dire che la sabbia avrà ricoperto un qualcosa che entrambi vogliamo dimenticare e mantenere nascosto.”

 

I suoi occhi profondi si posarono sulla soldatessa, la quale ora lo guardava sbigottita. Le guance di lui si colorarono di rosso dopo un po’, e dovette abbassare la testa per la vergogna.

“ Oh santo cielo, ero solo sorpresa di sentire una frase del genere da te !” Lo rimproverò lei.

Il ronzio di pale in rotazione ed una forte luce emersero dalla notte,  emergendo dalle dune come una nave che sfida la tempesta fa con le onde.

Un elicottero apparve nel cielo. Non aveva colori militari, ma era di un acciaio nero lucido, e portava il simbolo di un organizzazione giapponese.

Il veicolo si fermò a diversi metri sopra le teste dei due puntando un potente riflettore verso il basso per investirli di luce.

“ Signorino, sta bene ?!” Una voce amplificata da un altoparlante rimbombò, venendo ugualmente riconosciuta dal ragazzo.

Iwayama sollevò lo sguardo e tese il braccio verso l’alto. Stavolta non resistette a sfoggiare un sorriso, con annessa una risata gorgogliante che gli nasceva in gola.

“ Chi è ?!” Urlò la soldatessa nel frastuono, coprendosi gli occhi per difendersi dalla luce.

Una scaletta venne fatta calare dall’elicottero, venendo afferrata da lui prontamente.

“ Il mio maggiordomo.” Rispose Iwayama Koan, per poi non muoversi più.

 

Rimase immobile, fissando la donna negli occhi con esitazione, devozione e rispetto.

“ Vuoi venire con me ?” Le domandò. Si sentiva il petto esplodere di tristezza perché già in cuor suo sapeva la risposta prima ancora di formulare la domanda.

Lei sorrise. Scosse il capo.

“ Abbiamo scelto di vivere, ed è giusto che ognuno trovi il proprio posto nel mondo.”

La sua immagine sembrava star svanendo tra la sabbia sollevata dal vento.

“ Però promettimi una cosa …” Strinse forte il braccio del ragazzo, facendolo sobbalzare.

“ Non abbandonare mai i tuoi sogni, ma dai sempre priorità alla tua vita! Quando deciderai che per te sarà il momento, mettiti pure alla ricerca di qualche inesistente Arma Leggendaria… però, almeno con la consapevolezza di avere qualche amico che ti aspetta.”

 

Con quelle parole ed il petto troppo pesante per rispondere, lo Ultimate Weapon Collectioner salì i pioli di quella scala sospesa in aria. La sua ultima missione in quanto ricercatore di armi era terminata.

Si sentì sollevare e portare via nel buio della notte, troppo in alto per toccare di nuovo il deserto che gli aveva ridato la vita e troppo in basso per raggiungere le stelle e non provare più una sensazione di vuoto nel cuore.

 

 

Iwayama Koan, Ultimate Weapon Collectioner, era rimasto pietrificato nel Salone della torre che ormai da quattro giorni lo teneva prigioniero.

Domen Ienobu era entrato mentre lui stava aprendo un misterioso pacco, e lo aveva visto estrarre un coltello militare jagdkommando. Non aveva avuto il tempo di fermarlo, di spiegargli che andava tutto bene e che non avrebbe fatto nulla di male con quell’arma.

Eppure, ora che era rimasto solo, schiacciato dal terrore che tutti avrebbero pensato a lui come un pericolo, un singolo pensiero sorse nella sua mente.

- Non ha senso dire che va tutto bene.- Snudò la lama contorta, osservando il suo riflesso deformato sull’acciaio.

- Io non sto bene. Questo posto mi sta privando della libertà. Solo che… non ho nessuno che mi aiuti.-

Gli sembrò di percepire la luce verdastra dello stick luminoso sfiorargli il viso, o il caldo opprimente togliergli il fiato.

In quella notte non aveva potuto comprenderlo da solo, ma ormai qualcuno gli aveva insegnato che vivere era senza dubbio meglio che annegarsi in un mare di dubbi, timori e paure.

 

“ Voglio sopravvivere ancora. Voglio ancora una volta dire… sono vivo anch’io.”

 

 

Angolo Autore:

Welcome back!

Eh… questo ritorno è difficile, soprattutto perché immagino di non aver ripagato la mia totale scomparsa da Agosto con questo piccolo capitolo spin-off. Perdonatemi tutti miei cari lettori, ma tra vacanze, impegni, ed il sempre simpaticissimo blocco dello scrittore è stato molto difficile convincermi a pubblicare qualcosa.

Sono molto felice però, adesso, di star davvero aggiornando. Sento di aver sconfitto una parte di me che voleva a tutti i costi tenermi lontani da EFP, dalle fan fiction, e dalla bellissima passione di scrivere.

Perdonate il papiro, anche se chi mi conosce da tempo sa che questo nei miei Angoli Autore è praticamente una briciola xD

Parlando del capitolo:

Spero sia stato di vostro gradimento. Volevo riportare per l’ultima volta l’attenzione su Iwayama Koan, assassino del First Chapter della mia fan fiction, approfondendo di più il suo talento e anche il suo carattere. Mi sono divertito molto a descrivere questo episodio del suo “mestiere”, e mentre lo stavo correggendo sentivo un po’ di vibes alla Metal Gear per qualche motivo.

Tornerò presto con la fanfiction della storia principale (Danganronpa FF- Limbo of Despair) ed un’altra storia sul fandom di Fairy Tail (Stella d’Argento: La Stella non si eclissa)

Alla prossima, e scusate ancora per la lunga attesa >.


Scheda: ​

Nome:  Koan

Cognome: Iwayama

Talento: Ultimate Weapon Collectioner

Altezza: 160 cm

Peso: 45 kg

Gruppo Sanguigno: B

Ama: Indiana Jones, le armi;

Odia: Non essere trattato come gli altri.

 

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Chapter 3: Indossare i vestiti nuovi dellimperatore

 

Si aggiustò con un misto di nervosismo e vanità le maniche della camicia al di sotto della giacca, sperando che tutto del suo aspetto fosse più che perfetto.

Nell’ascensore scintillante risuonava l’arpeggio appena iniziato di Starway to Heaven, rendendo quel momento di una manciata di secondi ancor più fastidiosamente imbarazzante.

Quando le porte si aprirono dinnanzi a lui, la figura lì accanto uscì per prima. Si voltò appena per un attimo, rivolgendogli un sorriso.

“ Andiamo, Arima.” Disse sua madre. Quel giorno la donna aveva legato i lunghi capelli blu in una coda alta, la quale discendeva sulla schiena lasciata scoperta dal vestito lungo di pizzo nero indossato.

Il figlio vestiva abiti abbastanza sincronizzati ai suoi: una camicia turchese al di sotto della pesante giacca nera con ricami dorati.

 

Lasciandosi incoraggiare dal sorriso plastico di sua madre, Arima socchiuse gli occhi ed accelerò il passo sempre più finché non si accorse di star camminando nel lungo corridoio che precedeva la stanza del suo appuntamento.

Davanti all’ultimo portone li aspettava un poliziotto in divisa, come tanti già incontrati ai primi piani dell’edificio. Questo sollevò appena lo sguardo dal suo cellulare quando vide approcciarsi i due, senza però aggiungere niente a parole.

Con un gesto distaccato aprì loro la porta, lasciandoli così entrare.

La sala ricevimenti che li accolse si presentava con un pavimento in parquet, il quale rifletteva le luci delle lampade a faretto sul soffitto. Il suo collocamento su di una terrazza permetteva a tre pareti su quattro di essere interamente composte da porte finestre, tutte collegate tramite un balcone a forma di U.

Al momento era spoglia, con appena qualche tavolo ricoperto da una tovaglia e poche sedie impilate in un angolo.

Al centro della sala, in prossimità della finestra, un gruppo di uomini dialogavano sommessamente. Tutti loro erano poliziotti in divisa, ma solo uno di loro era abbastanza in allerta da notare istantaneamente la porta della sala aprirsi. Si trattava di un vecchio un po’ sovrappeso e con folte basette.

“ Signora Robun !” Salutò con cordialità ma anche professionalità, rivolgendosi alla donna alta e snella come il soggetto di un quadro di Klimt.

“ Commissario Shimotsuki, lieta di fare la sua conoscenza.”  Salutò ella congiungendo le mani.

“ Suvvia, basta con i convenevoli: d’altronde abbiamo già parlato via e-mail della questione.” Rispose sbrigativo l’uomo. “ La situazione è complicata, ed i festeggiamenti della mia pensione dopo tutti questi anni di carriera non saranno proprio come me li aspettavo …”

Era possibile notare una certa tensione tra gli altri ufficiali lì attorno, e lo stesso commissario Shimotsuki parlava con molta fretta ed un tono parecchio seccato.

 

“ Se non avessi sbattuto in galera quell’intera gang di ragazzetti a Shonan adesso non avrei questi problemi, però allo stesso modo centinaia di negozi e ristoranti non sarebbero al sicuro da riscossioni, rapine e vandalismi …” Sospirò l’uomo.

“ Certo, ricordo l’accaduto. Mi chiedo però quali guai possano causare dei criminali già in carcere.” La donna si mostrò incuriosita da quel discorso così carico di rimorso.

“ Loro niente, ma pare che alcuni dei loro genitori siano dei membri di qualche clan più grande… infatti, solo uno yakuza potrebbe mandarmi una minaccia di morte con tanto di ultimatum.”

Un altro poliziotto intervenne con solidarietà, percependo la preoccupazione del suo superiore.

“ Domani festeggeremo il coronamento della carriera del commissario, e la vendetta degli yakuza è stata segnata proprio per quella data. È altamente improbabile che qualcuno dei genitori si faccia vivo, quindi manderanno per forza un sicario …”

“ Già! E se prendessimo quel bastardo potremmo anche scoprire chi l’ha pagato: in questo modo arresteremmo sia padri che figli! Questo genere di guerre tra criminalità e polizia vanno sedate sul nascere.” Riprese discorso l’anziano, con un certo fervore.

La donna dai capelli blu annuì.

“ Queste informazioni però capisco che siano abbastanza superflue… dopotutto l’abbiamo chiamata solo per organizzare i festeggiamenti, ovvero l’esca per attrarre il sicario.” Aggiunse un altro poliziotto.

A quel punto lo sguardo della Signora Robun si animò con un certo divertimento, mentre sulle sue labbra spuntava un piccolo sorriso.

“ Purtroppo credo che vi stiate sbagliando, signori …” Ad intervenire nel discorso però non fu la sua voce, bensì quella del ragazzo al suo fianco.

Quando gli occhi dei poliziotti si posarono sul ragazzo storsero appena il naso, ancora confusi da quanto avessero sentito. Tuttavia, lui sorrideva senza lasciarsi distrarre da quegli sguardi sospettosi.

“ La persona che ha contattato, commissario Shimotsuki, sono io: l’incarico spetta dunque a me. Non si preoccupi, sarà tutto completato entro stasera stessa !”

Gli occhi degli uomini si sgranarono ancor di più dall’incertezza, spostandosi poi verso la donna in cerca di una spiegazione.

“ Se non vi dispiace, io provvedo a prendere le misure.” Comunicò schietto il ragazzo, voltando le spalle dopo un inchino e saettando verso il perimetro della sala.


La donna trattenne una risata sul nascere, posandosi una mano sulle labbra e sorridendo di quella scena divertente.

“ Ma-Ma …?” Balbettava ancora il commissario.

“ Commissario Shimotsuki, le assicuro che non è uno scherzo: mio figlio si occuperà della sua festa.”

Lo rassicurò lei, anche se non ottenendo l’effetto desiderato.

Intanto Arima vagava con le mani incrociate dietro la schiena ed il naso puntato un po’ verso l’alto ed un po’ verso il basso. Intonava una nenia blues con voce da baritono mentre saltellava senza peso facendo schioccare le sue scarpe lucide sul parquet.

Quando improvvisamente si accovacciò per ispezionare un microscopico filo di polvere sul pavimento, sentì qualcuno avvicinarsi.

Era uno dei poliziotto con cui aveva parlato poco prima. Lo squadrava con curiosità, come se fosse un animale sconosciuto e forse anche un po’ pericoloso.

“ Salve !” Il ragazzo dai capelli blu spalancò il suo sorriso smagliante per poi ritornare concentrato sul pavimento.

“ Certo che un ragazzino che parla così ed è vestito come un maggiordomo è proprio strano …” Osservò il poliziotto. Nella sua voce non c’era alcuna cattiveria o provocazione, ma solo semplice curiosità.

Per questo Arima gli prestò attenzione, voltandosi.

“ Ah sì? Bhe, non avrei clienti se mi presentassi come un ragazzo qualunque e parlassi rozzamente.”

“ Ma davvero hai dei clienti? Cioè, come fai a lavorare se sei così giovane ?” Domandò l’altro, al che il ragazzo si strinse nelle spalle.

“ Si tratta solo di dare consigli di architettura, arredamento, catering, talvolta marketing e soprattutto di saper rispettare scadenze, gestire un budget, trattare con musicisti, tecnici, cuochi …” La lista delle sue mansioni andò avanti per così tanto tempo che presto al poliziotto iniziò a girare la testa.

“ E-E ce la fai ?! Sembra una quantità di lavoro assurda per un ragazzo !” Strillò infatti, esasperato e al limite dell’’incredulità.

Al suono di quelle parole il volto dell’altro si fece più serio, venendo colpito dall’importanza della domanda.

Il suo volto si rabbuiò impercettibilmente, mentre con un saltello si rimetteva in piedi.

 

“ Devo farcela: essere il miglior event planner del mondo è l’unica cosa che mi viene richiesta a parte lo studio. Se non fossi capace di organizzare un semplice evento come una festa di pensionamento, allora che diritto avrei di chiamarmi Robun ?” Sussurrò cupo.

“ Robun? È forse una famiglia importante in questa città ?”

“ Lo era, perlomeno prima che l’uomo sposato da mia madre non fuggisse con tutti i soldi dopo la morte di mio nonno …”

Il ragazzo dai capelli blu strinse i pugni, senza più che nessuno potesse scorgere il lampo di rabbia nei suoi occhi.

“ Così sono nato io, responsabile di un lignaggio ormai inesistente e di cui con le mie sole forze devo portare onore! Nobili in decadenza… che situazione demodé, vero? Sembra una cazzo di favoletta, altro che …”

Quando l’agente sentì la voce di Arima spezzarsi, trasformandosi in borbotti confusi, cercò di sporgersi per guardarlo in faccia. Trovò così il ragazzo scosso da brividi, mentre con i denti serrati guardava in un punto ignoto con uno sguardo colmo di ferocia.

“ Già, che bello scherzo mi ha fatto il destino! Da una parte il mio sangue è composto da importanti imprenditori che hanno perso tutto, mentre l’altro è frutto di un bastardo… lurido sorcio schifoso che mi ha lasciato nascere e vivere come un poveraccio mentre mia madre ostenta un onore ormai inesistente !”

“ S-Senti, va tutto ben… ?!”

Nel momento in cui il poliziotto parlò, la mano di Arima  si serrò attorno alla sua gola come la zampa di una belva feroce su di una preda. L’uomo divenne immediatamente pallido, poi sempre più purpureo in volto mentre ogni sua via respiratoria era stata otturata.

“ Arima, adesso basta.”

Fortunatamente la madre del ragazzo era intervenuta prima che qualcuno notasse la scena, e sicuramente prima che ogni tonalità sparisse dalla carnagione del poliziotto. Quando il suo assalitore, così mingherlino e basso al confronto, sciolse la presa, lui cadde per terra in preda ad un attacco di panico.

 

“ Ritieni ancora superfluo occuparti di questi tuoi scatti d’ira ?” Domandò la donna con tono provocatorio, ricevendo soltanto silenzio da parte del figlio.

“ Non potrai mai comportarti secondo il bon ton se solamente parlare del tuo passato fa crollare ogni tuo controllo.” Questa volta Arima non ascoltò nemmeno la fine del discorso della madre, e si allontanò nervosamente sotto lo sguardo terrorizzato del poliziotto a terra.

 

Qualche ora dopo il ragazzo era da solo in un bar, accompagnato solo dalla consolazione di un caffè in bicchiere da cocktail con uno strato di crema al latte ed i rimorsi per come si era comportato.

Si guardò la mano destra: la sentiva ancora pulsare per lo sforzo disumano, al punto da dolergli.

- Non posso condannarmi ad  un’esistenza mediocre per colpa delle mie azioni.- Pensò mentre lo stress gli attanagliava lo stomaco.

La causa di tutto questo suo malessere risiedeva nell’ultimo messaggio ricevuto da sua madre, ancora in bella vista sul display del cellulare.

“ Domani un osservatore della Hope’s Peak Academy è disposto a partecipare alla festa per giudicare il tuo operato.”

In quella semplicissima frase lui sapeva fosse racchiusa tutta la beffarda natura del destino, quanto le aspettative di sua madre. Da tempo la più prestigiosa scuola del mondo era l’obbiettivo più alto a cui potesse aspirare, il possibile climax della sua vita.

Se solo la super meritocratica Hope’s Peak Academy avesse riconosciuto il suo talento, allora tutta la sua esistenza passata sotto il peso di dover rispettare l’onore dei Robun sarebbe stato un lontano ricordo.

Avrebbe pensato solo: -Ah, ricordo di quando vivevo in un bettola senza poterci permettere nemmeno dei regali per Natale, tuttavia ero costretto a studiare economia aziendale sin dall’asilo.-

I morsi della fame, l’obbligo di indossare vestiti eleganti, spendere le sue giornate con adulti in grandi conferenze ed eventi di cui non gli interessava nulla: tutto ciò gli sarebbe stato ripagato con del vero successo ed una vita di renditi.

 

“ Ed io dovrei dimostrare di essere un simbolo della speranza con una semplice festa di pensionamento ?” Si domandò con voce carica di sofferenza, conscio di quale fosse la grande trappola in cui era cascato.

 

“ Dopotutto l’abbiamo chiamata solo per organizzare i festeggiamenti, ovvero l’esca per attrarre il sicario.”

 

Uno specchio per le allodole. Avrebbe dovuto addobbare una stanza per far svolgere un evento di cui nessuno in realtà si sarebbe curato.

“ Quella strega …” Arima aveva sempre reputato sua madre l’essere umano più mostruoso del mondo, al punto da fargli credere che avesse stretto un patto con il diavolo stesso.

La sua qualità di rilievo era senza dubbio l’orgoglio. Come le rovine di un monumento ormai sepolto dal tempo, la donna proteggeva le tradizioni della sua famiglia, e così aveva insegnato ad Arima.

In quanto Robun, si era dovuto comportare secondo i canoni dell’alto lignaggio a cui apparteneva, educato da un membro di questa casata. Lei era stata la sua unica insegnante di vita, sfidandolo quotidianamente a domandarsi se fosse degno di essere un Robun, soltanto per vederlo superare qualsiasi ostacolo.

Attraverso questa educazione, molto simile a quella dei leoni che lanciano i propri cuccioli giù dalle rupi per fortificarli, il ragazzo non passava giorno senza esser messo alla prova.

- L’ha fatto apposta… sapeva che l’osservatore si sarebbe presentato domani, così mi ha affidato un incarico così patetico per farmi vergognare di me stesso.-

Avvicinò il bicchiere alla bocca, ingoiando il caffè al latte dolce ma assaporando un sapore ben più amaro di quanto si sarebbe mai aspettato.

Conosceva se stesso, purtroppo, anche se non avrebbe saputo dire se meglio o peggio della megera che lo teneva in pugno.

Non si sarebbe mai sentito appagato davvero da un lavoro da quattro soldi come quella finta festa. Per quanto avrebbe potuto sentirsi fiero di se stesso, quell’onta l’avrebbe per sempre fatto sentire inferiore all’onorevole retaggio inculcato nella sua testa sin dalla nascita.

 

Il proprietario aprì una finestra per far cambiar l’aria. Una veloce pioggia avvenuta qualche ora prima aveva portato un vento fresco, capace di donare pace dall’arsura cittadina.

Anche ad Arima parve improvvisamente di star respirando aria più fresca. Le sue mani si erano paralizzate, costringendo il bicchiere ad essere premuto sulla bocca.

Il liquido non scendeva più tra le sue labbra, rimanendo immobile e rispecchiando sulla sua superficie liscia e scura gli occhi spalancati del ragazzo.

- E se non facessi un lavoro da quattro soldi come si aspettano tutti ?- Con tutti intendeva ovviamente se stesso e sua madre.

Sapeva bene che al mondo qualsiasi cosa facesse pareva un capolavoro, lo ammetteva senza modestia ma mera consapevolezza: tuttavia il più grande critico è sempre nell’artista stesso.

- Voglio fare qualcosa in grado di sorprendere anche me !- Poggiò finalmente il caffè sul tavolo con così tanta forza da far vacillare le ultime gocce di liquido rimaste come perle scure in uno scivolo.

- Ma certo! Realizzerò il miglior evento della mia vita proprio per questa patetica finta festa… d’altronde il tema che tutti vogliono è in realtà una finzione. Devo concentrare la mia attenzione sul vero motivo per cui sono stato convocato !-

 

L’appartamento Robun era situato in un condominio parecchio affollato in periferia, lontano da altri centri abitati e circondato solo dall’autostrada percorsa giorno e notte. L’aspetto da motel fatiscente non era nulla in confronto alle condizioni davvero minimali in cui erano lasciate le sue camere ed i suoi servizi.

Tuttavia, da anni aleggiava la leggenda che una donna pazza, convinta di essere una nobile, vivesse lì sentendosi una gran donna  e facendo vestire il suo marmocchio come un principino.

Proprio la porta di quell’appartamento tanto spettegolato venne aperta di gran lena molto dopo lo scoccare della mezzanotte. La signora Robun, distesa sul divano in una vestaglia di pelliccia blu notte ed intenta ad ammirare uno dei suoi tanti pezzi della collezione di Shakespeare, vide stagliarsi di fronte a sé una sagoma scura con dietro il cielo in tempesta.

Completamente fradicio, Arima venne illuminato da un lampo mentre si accasciava sullo stipite cercando di sfilarsi le scarpe: il suo abito era stato dilaniato in più punti, risultando ormai in uno straccio logoro che gli cingeva il busto e si arrotolava tra il collo e la spalla destra.

“ Bontà divina,  Arima.” Sussurrò la donna con voce molto pacata, dedicando ben due secondi di sguardo preoccupato al figlio, per poi tornare alla sua lettura. “ Cos’hai combinato ?”

Il ragazzo dai capelli blu sospirò, cercando di avanzare dentro casa sua. Nel farlo il ginocchio destro cedette, facendolo scivolare in avanti. Fortunatamente arrestò la sua caduta piantando un pugnò sul pavimento dal legno gonfio: quando la sua testa si trovò reclinata verso il basso, uno scroscio di liquido, questa volta rosso e molto dissimile dall’acqua piovana, inondò il terreno.

“ Ho girato tutta la città per contattare i miei fornitori… con il temporale i mezzi di trasporto erano bloccati. Ho dovuto lavorare fino a notte fonda nella sala ricevimenti. Ad un certo punto la sicurezza mi ha cacciato, ma io mi sono intrufolato dopo la chiusura ed ho continuato a lavorare.”

Mentre parlava a fatica il ragazzo iniziò ad usare la sua giacca, o ciò che ne restava, per tamponarsi la testa sanguinante.

“ Quando è scattato l’allarme sono dovuto scappare e per strada mi ha investito un motorino.”

“ Pulisci per terra prima di andare a dormire.” Gli ordinò la donna senza fare una piega.

“ Non sto andando a dormire.” Arima si accosciò a peso morto su di una sedia davanti ad un piccolissimo tavolo in un angolo della stanza che fungeva da cucina, salone e camera da letto.

“ Devo fare la verifica del bilancio delle spese… e sto aspettando che la polizia smetta di cercarmi per tornare a lavorare nella sala ricevimenti. A stento sono riuscito a montare certe cose che mi hanno procurato.”

Il suono tono di voce scivolava sempre più nello stato catatonico, procurato chiaramente dalle condizioni disumane di cui tuttavia si mostrava insofferente.

“ Ti procuri ancora gli allestimenti dalla yakuza ?” Domandò distrattamente la donna.

“ Devo.” Arima soffocò un gemito. Aveva iniziato a scrivere su di un grande quaderno mentre gocce di sangue ed acqua macchiavano il tavolo e parte della pagina.

“ Costano di meno, e poi sono tutti arredamenti rubati e di valore… introvabili nel mercato ad un prezzo ragionevole.”

Quella conversazione fu l’ultima che i due ebbero fino al mattino seguente.

 

Quando riaprì gli occhi, l’Ultimate Event Planner si trovava nell’ascensore assieme a Lilith. Grazie all’e-Handbook rubato a Yonamine era potuto entrare nel bagno delle ragazze assieme alla sua nuova, ed insospettabile alleata.

“ In questo momento Takejiro sta salendo con l’ascensore dei maschi.” Gli ripeté Lilith.

“ Non si aspetterà mai che tu voglia ucciderlo in questo momento: vai, fai il tuo dovere e poi ti aiuterò a tornare sano e salvo in camera tua sempre da questo ascensore.”

Il ragazzo aveva rinunciato a chiedere come mai ci fosse tutta quella volontà di aiutarlo a commettere un simile delitto. Semplicemente il suo sguardo era perso nel vuoto, sprofondando verso il basso mentre il suo corpo veniva attratto verso l’alto.

Nella mano stringeva un falcetto, e sapeva che presto si sarebbe macchiato di sangue. O meglio, lo sperò.

Doveva tornare alla sua vita là fuori, il mondo in cui era stato intrappolato non rappresentava per niente ciò che aveva sempre sognato di essere.

L’ebbrezza di inseguire ancora una volta un sogno gli impedì di scorgere il sorriso di contorta soddisfazione accanto a sé: “ Va’ pure.”

Con sé aveva la Killer Card, per questo il suo omicidio non gli avrebbe nemmeno causato la preoccupazione di poter essere scoperto. D’altronde lui non era un assassino, non avrebbe mai saputo commettere un simile crimine in maniera perfetta.

Pregò affinché la sua uscita da lì avvenisse presto, perché non aveva intenzione di affrontare gli sguardi colmi di giudizio dei suoi compagni. Non avrebbero mai capito, certo, ma un omicidio era pur sempre tale: sarebbe diventato un assassino.

- Ma non posso lasciare sola mia madre.-

 

Quando emerse allora dalle ombre della Piscina nel giardino, aveva ancora la mente persa in quel romantico e pietoso sogno di libertà. Il cielo dai colori pallidi presentava la più malinconica alba che avesse mai visto.

Mitsuko si voltò verso di lui. Mostrò sorpresa, poi preoccupazione. Aveva notato il falcetto.

“ C-Cosa… fai ?!” Un rantolio le uscì dalla gola mentre iniziava ad indietreggiare.

Arima era immobile. Non si sentiva più un assassino. Non avrebbe più commesso qualcosa di così orribile solo per uscire. I suoi sogni non avrebbero mai distrutto la sua umanità.

Si sentì riflesso negli occhi terrorizzati della ragazza, ed ebbe paura di se stesso, per quanto patetico fosse.

“ UCCIDILA !!” Tuonò però Lilith, deformata dalla perfidia e tramutatasi in un demone.

L’Ultimate Event Planner non aveva sospettato fino ad allora che quel suo piano fosse atto ad uccidere proprio Mitsuko, e non Takejiro. Non sapeva proprio più cosa volesse, tranne una cosa: voleva piangere disperato.

Fu ciò che fece, mentre urlando partì alla carica. La lama riflesse il sole roseo, il volto di Mitsuko, il sangue.

“ AIUTATEMI !!”

 

“ Al momento provo disgusto per tutto il mondo e soprattutto per me stesso.”- Lettera di suicidio di Akutagawa Ryunosuke.

 

 

 

 

Scheda: 

Nome:  Arima

Cognome: Robun

Talento: Ultimate Event Planner

Altezza: 177 cm

Peso: 63 kg

Gruppo Sanguigno: AB

Ama: L’ordine, bere al caffè Leblanc;

Odia: Gli autori giapponesi.

 

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