Death and all his friends

di T612
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Life in Technicolor II ***
Capitolo 2: *** Cemeteries of London ***
Capitolo 3: *** Lost! ***
Capitolo 4: *** 42 ***
Capitolo 5: *** Lovers in Japan ***
Capitolo 6: *** Viva la vida ***
Capitolo 7: *** Violet hill ***
Capitolo 8: *** Strawberry swing ***
Capitolo 9: *** Death and all his friends ***



Capitolo 1
*** Life in Technicolor II ***


Avvisi dalla regia:
La raccolta che segue è stata concepita come un filo conduttore che ripercorre gli eventi dell’MCU, seguendo la tracklist dell’album “Viva la vida/Death and all his friends” dei Coldplay.
Questa raccolta sarà così strutturata: lo sviluppo dei nove capitoli intercala le vicende di ogni personaggio con il testo e/o la melodia di ogni canzone citata, motivo per cui allegherò il link su YouTube all’inizio di ogni capitolo (non è necessario, ma è caldamente consigliato).
Pubblicherò ogni lunedì, concludendo appositamente la raccolta a ridosso dell’uscita al cinema di “Avengers - Endgame”.
Per chiarezza: questo mio progetto era in cantiere da prima che _Lightning_ e shilyss pubblicassero “Non alla polvere, non al rancore né al fato”, motivo per cui qualunque analogia e riferimento è puramente casuale. In ogni caso, vi consiglio di andare a dare un’occhiata, a mio avviso hanno concepito e stanno sviluppando una storia a dir poco pazzesca.
Detto questo, buona lettura!
_T612



 

LIFE IN TECHNICOLOR II - Tony Stark
[link alla canzone]



There's a wild wind blowing
Down the corner of my street
Every night there, the headlights are glowing
There's a cold war coming
On the radio I heard
Baby, it's a violent world

Tony è di nuovo sveglio, il fiato corto mentre contempla le luci dello skyline di New York dalla finestra della sua camera da letto alla Torre, mentre Pepper continua a dormire ignara tra le lenzuola.
Si era svegliato con uno spasmo al petto, temendo un corto al reattore, preparandosi a sventare l'infarto… realizzando che quello in corso era solamente l’ennesimo attacco di panico.
Pepper aveva tentato inutilmente di afferrarlo nel sonno, abbracciando il suo cuscino, affondando il volto contro la federa di riflesso quando lui si era disincastrato dal suo abbraccio.
Si era alzato bloccandosi di fronte alla finestra socchiusa, trovando respiro nel rivolo d’aria che soffiava dentro alla stanza, posando gli occhi sulle luci della città che non dorme mai… ma le luci sono fredde e distanti dall’altezza in cui si trova, gli ricordano le stelle disperse nello spazio siderale.
I polmoni si contraggono in uno spasmo quasi violento, spingendolo a fuggire dalla finestra per rifugiarsi nel suo laboratorio… le armature appese alle pareti gli infondono un vaga sicurezza che credeva di aver perso precipitando dal cielo, scacciando il buio e le luci di New York illuminando il laboratorio a giorno.
Non vuole che ricapiti, non vuole più provare quella sensazione orribile che avverte ogni volta che precipita nel sonno schiantandosi contro il materasso, cercando di regolarizzare il respiro, ignorando il battito martellante del suo cuore che dal suo petto ha camminato fino ai timpani.
Non può escludere l’eventualità di ritrovarsi nuovamente nello spazio, ma può migliorare le condizioni in cui si ripresenterà quello scenario inevitabile… sa che è inevitabile, l’ha visto nei suoi sogni.
Può migliorare la potenza dei propulsori, può creare una riserva di ossigeno, può ideare un intero sistema di sicurezza nuovo di zecca… afferra il blocco da disegno ed inizia a tracciare i primi disegni, a stilare la lista dei componenti, a fare l’elenco delle migliorie da apportare.
Quando Pepper lo raggiunge insieme ai primi raggi del sole lo trova ancora sveglio, sommerso dai nuovi progetti, seduto sul pavimento al centro di una raggiera di bozzetti e formule... lei non ha bisogno di sentirsi dire il perché lui non sia riuscito a chiudere occhio per tutta la notte, gli si siede accanto facendosi spiegare le nuove modifiche da apportare alla nuova armatura, chiedendogli se siano effettivamente necessarie.
Quando il buio sopraggiunge nuovamente Pepper cerca inutilmente di trascinarlo tra le lenzuola e durante la notte lotta con le unghie contro gli incubi per ancorarlo nel suo abbraccio, per non lasciarlo naufragare nello spazio, ma Tony viene risucchiato inevitabilmente dal portale che scaturisce dai suoi incubi inghiottendo inesorabile qualunque cosa... e si sveglia ugualmente a corto di fiato.
Scappa nel laboratorio anche quella notte. E la successiva. E quella dopo ancora.

Oh, love, don't let me go
Won't you take me where the street lights glow
I can hear it coming
I can hear the silent sound
Now my feet won't touch the ground

Tony è ancora sveglio, il cuore che martella contro il reattore scandendo i secondi che si rincorrono più velocemente del normale, abbandonando il tentativo di regolarizzare il respiro seguendo quello leggero di Pepper che gli solletica il collo, alzandosi dal materasso che minaccia di risucchiarlo come fosse composto da sabbie mobili, trascinandosi ad occhi chiusi fino a posare la fronte contro il vetro fresco della finestra a qualche metro di distanza.
Spalanca gli occhi osservando le onde illuminate dalla luna che si infrangono sulla scogliera sottostante, la schiuma bianca che si abbatte sulle rocce color nero pece, creando un vortice che lo spinge a precipitare nell’abisso.
Si ritrae con forza lontano dal vetro, registrando appena l’impronta delle sue mani sudate contro la superficie trasparente… Pepper l’aveva trascinato fino a Malibu alla ricerca di pace, scappando dalle luci di New York così simili alle stelle, sostituendo i puntini giallognoli dei lampioni con le increspature rilassanti dell’oceano.
I suoi migliori intenti erano stati spazzati via dallo sciabordio imprevedibile e incostante delle onde, provocandogli un vuoto allo stomaco che gli fa mancare il fiato, seguendo la corrente alla deriva, in quell’abisso inquietantemente così simile al vuoto dello spazio… non ha risolto un problema, ha solo ampliato ed ingigantito quello preesistente, ritrovandosi a rifugiarsi nuovamente nel laboratorio.
Pepper non capisce, ma ci prova… ci prova davvero. Promette di non lasciarlo solo quando le spiega che sta semplicemente tentando di proteggerla, che l’ammasso di ferraglia che si ostina a modificare, smontare e ricostruire serve unicamente ad evitare che lei sperimenti quello stesso vuoto che lui ha vissuto sulla sua pelle.
Pepper riesce a convincerlo che non ha bisogno di costruire un esercito a protezione del mondo, ma con il tempo le paranoie gli suggeriscono che un esercito di latta non è abbastanza, mettendosi d’impegno attingendo al suo ingegno, puntando a costruire l’armatura definitiva… ma i risultati non sono quelli sperati.
Vede apparire davanti ai suoi occhi una parte della distruzione che aveva intravisto attraverso il portale alieno, trascorrendo le notti seguenti ad alimentare gli incubi con nuove immagini che scatenano l’insonnia e il senso di colpa, abbandonando definitivamente il porto sicuro delle braccia di Pepper, ormai solo in un letto disabitato.
Vede con chiarezza quel buio che minaccia di inghiottirlo… ma le sue grida di pericolo sono mute alle orecchie del mondo, lui è l’unico essere umano in grado di vedere con estrema lucidità l’abisso verso il quale si stanno avvicinando, mentre tutte le persone che lo circondano restano cieche ed indifferenti al baratro che lui percepisce ogni giorno sempre più vicino.
Si sente lanciare in orbita, avverte le sue membra che si ricongiungono allo spazio minacciandolo di non lasciarlo sfuggire una seconda volta, unico testimone e portavoce di una catastrofe preannunciata solo nella sua testa… la gravità lo abbandona ogni volta che indossa l’armatura, i suoi piedi si staccano da terra e sale il più in alto possibile per osservare da vicino la congiura che le stelle stanno tramando alle sue spalle, portandosi sempre ad un passo da quel baratro sconfinato e freddo.
Fermo e sospeso davanti a quella soglia invalicabile, chiude gli occhi e lascia che la sua mente precipiti inesorabile verso il centro dell’universo… sa che quella sarà la sua fine, l’ha visto, ma ormai non crede di avere più le forze per spingere ancora più lontano quel momento inevitabilmente.

Time came a creeping
Oh and time's a loaded gun
(Every road is a ray of light)
It goes on
Time only can lead you on, still it's
Such a beautiful night

Il tempo scorre inesorabile, ma il ticchettio delle lancette rintocca con meno costanza, in un lento supplizio volto a fargli assaporare ogni singolo secondo di solitudine.
Con il trascorrere dei giorni si concede di muovere i primi passi verso una sorta di riconciliazione con i propri demoni, appurando il fatto che le stelle hanno posticipato il giorno della congiura… si concede un respiro esitante, terrorizzato di non essere meritevole di trascorrere qualche ora in pace, allentando la cravatta e reclinando il capo contro la poltrona.
Gli allarmi suonano svegliandolo in malo modo, indossando l’armatura in volata raggiungendo Lipsia… non è destinato alla pace, forse ha addirittura dimenticato cosa sia.
I giorni a seguire si trascinano lenti, mentre il silenzio che grava nel vuoto fa spazio al rumore dei pneumatici che stridono sull’asfalto, la gelida morsa buia che gli attanagliava le viscere viene soppiantata da un’altra morsa, altrettanto buia, ma al contrario della precedente risulta estremamente rumorosa.
Ogni volta che chiude gli occhi rivede quel dannato schermo sgranato in bianco e nero, sente lo stridio delle gomme sull’asfalto, percepisce lo schianto, il suono orribile delle lamiere dell’auto che si accartocciano ed infine lo sparo che mette fine a tutto.
Si sveglia sudato e con l’affanno, fissando le pareti spoglie della camera da letto, passeggiando per il Complesso incapace di darsi pace.
Non sa dire con assoluta certezza quando i suoi piedi abbiano deciso di cambiare rotta, quando ha smesso di scavare il solco intorno all’isola della cucina reggendo un caffè in mano, per poi ritrovarsi inconsapevolmente o meno ad infilare un paio di scarpe tirate a lucido e partire a passo di marcia in direzione dell’aeroporto.
Durante le ore di volo verso Malibu tenta inutilmente di chiudere occhio, ma le turbolenze dell’aereo non lo aiutano affatto… dopo un atterraggio movimentato ed una corsa in taxi, riesce finalmente a raggiungere la porta di Pepper, bianco come un cencio e con delle occhiaie da far spavento. Non ha la forza di dire nulla, accenna solamente un passo in direzione della donna, crollando con il capo contro l’incavo del suo collo.
Respira a pieni polmoni il profumo della sua pelle, la testa leggera per il troppo ossigeno, mantenendo quella posizione per secondi indefiniti, mentre Pepper lo stringe a sé in un abbraccio, sussurrandogli all’orecchio che va tutto bene… il tempo continua a scorrere inesorabile in ogni caso, mentre Tony si ostina a non voler ammettere a sé stesso di aver sprecato così tanto tempo prezioso negli ultimi mesi, ma trovando il coraggio per confessare le sue colpe chiedendole di tornare a New York con lui.
Da quel momento in poi le giornate si rincorrono veloci senza che Tony se ne renda realmente conto… almeno fino a quando i flash dei fotografi non lo abbagliano e le foto di lui inginocchiato ai piedi di Pepper, con un diamante sfavillante tra le mani, fanno il giro del mondo.
Al termine della giornata, quando il cielo si scurisce a tal punto da far intravvedere le costellazioni nella volta celeste, stringe Pepper a sé posandole un leggero bacio sulle labbra, per poi puntare lo sguardo su quelle stesse stelle che non hanno mai smesso di complottare alle sue spalle, continuando a gravare sulla sua testa come una spada di Damocle, mentre un microscopico sorriso torna ad increspargli le labbra… è una notte troppo bella per essere rovinata da degli stupidi corpi celesti lontani galassie e anni luce da lì.

Oh, love, don't let me go
Won't you take me where the street lights glow
I can hear it coming
Like a serenade of sound
Now my feet won't touch the ground

Quando si sveglia è convinto di avere una culla ai piedi del letto.
Tony si stropiccia gli occhi, cercando di rivivere quel flebile ricordo rimasto del sogno, marchiando a fuoco nella sua mente quei pochi fotogrammi rimasti… è la prima volta che sogna dopo anni, trova quasi surreale risvegliarsi senza il respiro accelerato e il suo battito cardiaco che gli spacca i timpani.
Ha qualche vago sospetto sul perchè, tra tutti i pensieri che gli frullano nella scatola cranica, il suo cervello abbia voluto regalargli una visione di sé stesso alle prese con l’incombenza di ritrovarsi padre da un giorno all’altro, sostituendo gli incubi al cardiopalma che negli ultimi anni non l’hanno mai abbandonato per più di tre notti di fila.
Asseconda quella novità inaspettata, tentando di comunicare a Pepper i suoi desideri di paternità rincorrendola lungo i marciapiedi di Central Park qualche ora dopo, mentre osserva la sua espressione inizialmente confusa che vira velocemente allo scetticismo, contestando l’idea picchiettando sul vetrino dell’alloggio per nanoparticelle, lasciando intendere che il suo stile di vita non è esattamente sulla stessa lunghezza d’onda dei desideri appena espressi.
Non serve a nulla obiettare che la nuova armatura serve a proteggere loro due e la loro ipotetica prole, aveva già provato a spiegarglielo raccontandole uno dei suoi incubi più recenti, informandola che la resa dei conti era terribilmente vicina… la sentiva, l’ansia e la paura che gli facevano tremare le ossa, preannunciando quella catastrofe che incombe su di lui da sei anni a quella parte.
Scuote la testa scacciando i pensieri nefasti abbandonando la paranoia per un millesimo di secondo, fa appena in tempo a promettere a Pepper che non ci saranno più imprevisti... ed immancabilmente un portale sfrigolante si apre in mezzo al parco, lasciando fuoriuscire un Bruce spaventato che cerca conforto in un abbraccio, preannunciando la fine del mondo.
Abbandona Pepper a Central Park seguendo lo stregone e Bruce attraverso il portale aperto, ascoltando passivamente la conferma alle sue paranoie, scoprendosi impreparato a quella eventualità nonostante fosse consapevole da anni che qualcuno dall’altra parte dell’universo stesse muovendo le pedine sulla scacchiera in una precisa direzione.
Il suo cervello registra in sordina la cacofonia generata dai suoni della battaglia, librandosi in volo per arginare i danni... ma nonostante tutti i suoi sforzi, alla fine la gravità lo abbandona di nuovo, ritrovandosi inevitabilmente sbalzato in orbita.

Gravity, release me
And don't ever hold me down
Now my feet won't touch the ground

Contro ogni previsione riesce a ricevere la chiamata di Pepper che gli intima di scendere immediatamente a terra, ma la comunicazione si interrompe prima che lei possa concludere la sfuriata, lasciandolo solo e in silenzio radio.
Tony realizza che, nonostante tutti i suoi sforzi, in realtà non è cambiato nulla... alla fine era ritornato a quel terribile punto di partenza.
L’unica cosa che persiste ancora, a distanza di sei anni e con disarmante fatalità, è una telefonata interrotta in arrivo da New York.

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Capitolo 2
*** Cemeteries of London ***


CEMETERIES OF LONDON - Clint Barton
[link alla canzone]



At night they would go walking
'Til the breaking of the day
The morning is for sleeping
Through the dark streets they go searching
To see God in their own way
Save the night time for your weeping
Your weeping
Singing lalalalalalalalaiy
And the night over London lay

Clint ama girovagare di notte tra i vicoli di Londra, la vita frenetica che non si arresta nemmeno sotto la pioggia, mentre la metropolitana sfreccia nel sottosuolo aprendo le sue porte sulle stazioni invase dalle note dei musicisti di strada… sente che è il posto giusto dove rifugiarsi, è sufficientemente lontano da casa ed è una città abbastanza popolata perchè nessuno noti la sua ombra che si staglia sopra i tetti delle case, seguita a ruota da quella di Lucky.
Quel cane lo seguiva dal giorno in cui aveva azzannato la gamba ad un idiota che puntava al suo portafogli. L’aveva ringraziato allungandogli una fetta della pizza che aveva comprato per cena, divorandola in compagnia standosene seduto sui marciapiedi appena fuori dalla stazione della metropolitana mentre il cane gli leccava le scarpe, lasciandosi inseguire fino al tendone del circo… la compagnia del cane non gli dispiaceva, dopotutto erano entrambi randagi senza famiglia e aveva scoperto che tutti e due amavano trascorrere le nottate a girovagare fino all’alba.
Clint ricordava di aver convinto il proprietario del circo a concedergli il permesso di adottare il cane, addestrandolo come aiuto ai suoi numeri nello spettacolo itinerante, prendendosi cura di Lucky come la sua famiglia non aveva mai fatto con lui.
Non rimpiangeva la fattoria in Iowa e le comodità di avere un luogo fisso a cui tornare, soprattutto non sentiva la mancanza delle percosse inflittagli da suo padre quando tornava a casa ubriaco, ma anzi, aveva provato un sentimento molto simile al sollievo quando era avvenuto l’incidente… aveva trovato l’auto accartocciata contro l’albero del vialetto d’entrata, suo padre era morto sul colpo, lasciandolo orfano e senza un soldo.
Non aveva avuto molte alternative, non c’era più nessun parente in vita che potesse badare a lui, così gli assistenti sociali l’avevano portato all’orfanotrofio… erano stati cinque anni difficili, aveva conosciuto dieci famiglie diverse e tutte e dieci l’avevano rispedito indietro.
Aveva dodici anni quando aveva appallottolato qualche vestito e i suoi pochi averi in uno zaino lasciandosi alle spalle l’orfanotrofio, l’aveva considerata una fortuna che in quei giorni ci fosse il circo in città. Ricordava di aver pensato, con la logica inesperta tipica degli adolescenti, che al circo nessuno era mai triste e che lui aveva bisogno di ridere a sufficienza fino a ripagare tutti gli anni della sua infanzia andati persi, eleggendo i circensi a surrogato di tutto ciò che gli era sempre mancato nella vita.
Doveva aver poi ragionato con fare pratico che la scuola pubblica non gli piaceva poi molto e che poteva tranquillamente farne a meno, non doveva essere un genio per imparare a fare il giocoliere o il trapezista, sapeva fare a pugni ed aveva una discreta mira con la fionda… doveva averli considerati dei requisiti base sufficienti per abbassarsi a pregare il proprietario del circo per convincerlo ad unirsi alla compagnia. Ricordava di essere stato al settimo cielo quando aveva ricevuto un riscontro positivo alla proposta, scomparendo dalla circolazione seguendo la tournée, visitando ogni cittadina d’America fino ad imbarcarsi in una nave diretta in Europa.
I primi anni si era divertito, poi crescendo aveva scoperto i traffici di banconote sporche che giravano sotto al tendone bianco e rosso e se ne era chiamato fuori.
Aveva una ventina d’anni quando aveva salutato definitivamente le luci del circo ritrovandosi a girovagare con Lucky per le strade di Londra, esibendosi nelle stazioni della metropolitana con trucchi di prestigio e qualche esercizio da giocoliere per sbarcare il lunario.
Non aveva idea se fosse stato il caso o la fortuna a fargli incontrare Nick Fury, avevano provato a derubarlo ed aveva fermato il ladro centrandolo alla nuca con un birillo, facendolo rovinare a terra ad una ventina di metri di distanza.
L’occhio martoriato di Fury l’aveva squadrato alla velocità della luce da dietro le lenti degli occhiali da sole, restituendogli la refurtiva raccolta da terra, per poi offrirgli un lavoro.
Aveva accettato immediatamente su due piedi senza rifletterci affatto, l’unico pensiero rivolto al fatto che con un vero stipendio per cena poteva dividersi più di un panino con Lucky.
La notte era calata su Londra, con lo stomaco pieno, un vero lavoro ed un cane come unica famiglia.

So we rode down to the river
Where Victorian ghosts pray
For their curses to be broken
We go wandering 'neath the arches
Where the witches are and they say
There are ghost towns in the ocean
The ocean
Singing lalalalalalalalaiy
And the night over London lay

Clint aveva seguito il corso degli eventi come un fiume in piena, venendone completamente travolto. Viaggiava spesso, in lungo e in largo senza fermarsi per più di un mese nello stesso posto, fino a quando non era incappato in uno sguardo color smeraldo e una chioma rosso fuoco.
Il cielo di Budapest si era tinto di rosso, aveva caricato Natasha su un aereo diretto in America, proponendosi come garante prendendosela in custodia sotto il suo tetto.
Nei mesi successivi la donna non gli aveva reso la vita facile, anzi, ma si era convinto ad osservare la situazione sotto una luce forzatamente positiva, ragionando che c’era qualcuno che rifilava le crocchette a Lucky quando lui non era in casa e che il suo accento russo aveva bisogno di una ripassata… ma con lo scorrere dei mesi aveva appurato che, invece di esprimere concetti e parole, quella era una lingua che parlava più volentieri quando la usava per lasciare una scia di baci focosi lungo il collo di Natasha.
Erano trascorsi due anni prima che capissero entrambi che tra loro due le cose funzionavano meglio se venivano utilizzate solo le parole, erano rimasti amici e Natasha si era ritrovata a ricoprire il ruolo della sorella che non aveva mai avuto, suggerendogli che forse lui era ancora in tempo per crearsi una vera famiglia, magari con una persona dalla vita decisamente meno turbolenta della loro.
C’era voluto altrettanto tempo perché Clint iniziasse a considerare la possibilità di guadagnarsi un briciolo di felicità... c’erano volute delle discussioni interminabili a cui Natasha a lungo andare era diventata insofferente, ormai sorda alle proteste di Clint che rivangano la maledizione che si era auto inflitto, mordendosi la lingua ogni volta che provava a contestarla ricordandole che, loro due, una famiglia non sarebbero mai stati in grado di crearla.
Era in quei momenti che Natasha si alzava e raggiungeva spedita la palestra per sbollire la rabbia, mentre Clint si mordeva la lingua e rimuginava su cose che non avrebbe dovuto dire ad alta voce, mettendo il guinzaglio a Lucky per poi uscire a prendere una boccata d’aria fresca.
Era stato dopo uno di quegli episodi che aveva dovuto rivedere le sue priorità. Aveva portato Lucky a Central Park per schiarirsi le idee come al solito, ma non aveva messo in conto che i suoi pensieri potessero incepparsi davanti al sorriso di Laura, che dopo essersi rialzata da terra spolverandosi le ginocchia sbucciate, aveva iniziato a grattare le orecchie al disgraziato del suo cane.
Ricordava di essersi scusato per il fatto che Lucky le fosse saltato addosso atterrandola senza logica apparente, tentando un accenno di un sorriso mortificato, inebetito dallo sguardo che aveva ricevuto in risposta, ritrovandosi ad offrirle un caffè.
I caffè erano diventati due, sette, quindici e cinquanta, seguiti a ruota dalle cene al ristorante e i picnic al parco… Clint credeva di essere andato completamente fuori di testa quando le aveva rivelato di essere una spia, ma aveva dovuto ricredersi quando si era sentito rispondere che a lei non importava assolutamente e che a quel punto voleva un anello al dito, scherzando sul fatto che dopo una confessione del genere o la sposava oppure sarebbe stato costretto ad ucciderla.
Non ci aveva pensato due volte a dirle di sì, aveva attraversato il varco che credeva inaccessibile a cuor leggero quando Laura aveva avuto l’approvazione di Natasha e, a distanza di un paio d’anni, avevano festeggiato il Ringraziamento tutti e tre insieme sotto lo stesso tetto mentre Cooper gattonava sopra il tappeto del salotto sotto lo sguardo vecchio e stanco di Lucky.
Le cose erano cambiate dopo New York, contro ogni logica Fury era riuscito a localizzare la fattoria in Iowa dove era cresciuto, trasformandola in una casa sicura per Laura e i bambini… credeva che quel posto fosse stato raso al suolo molti anni prima, tramutato in un appezzamento di terra vuoto dove si raccontava ci fosse stata una casa in rovina popolata dal fantasma del padre e dall’ombra del figlio scomparso.
Clint aveva trovato paradossale rimetterci piede dopo così tanti anni, soprattutto dopo aver incollato i cocci della sua vita in modo costruttivo, temendo di mandare tutto in mille pezzi e dover ricominciare da capo, adottando come soluzione quella di scardinare e smontare ogni asse, chiodo e vetro per ricostruire l’intero stabile… un modo come un altro per rendere tangibile il cambiamento, per adeguare la sua nuova vita ai muri di quella vecchia.
Alla fine era calata una notte serena su tutta la sua famiglia… una moglie, due figli, una sorella e un cane defunto sepolto in giardino.

God is in the houses
And God is in my head
And all the cemeteries of London
I see God come in my garden
But I don't know what he said
For my heart it wasn't open
Not open
Singing lalalalalalalalaiy
And the night over London lay

Dopo la Sokovia Clint era andato in pensione, aveva consegnato il distintivo a Fury ed era tornato a casa per godersi la pace con la sua famiglia.
Aveva finito di smantellare la serra ed aveva costruito lo studio per Laura, aveva assemblato una culla per Nathaniel, aveva accolto a braccia aperte Wanda e le sue visite discrete, approfittando della sua presenza per concedersi qualche buca a golf mentre Laura era a lavoro.
Ogni tanto Natasha rubava un Quinjet al Complesso e li degnava di una visita, raccogliendo le acclamazioni dei bambini che la definivano la zia preferita, usando la scusante di rifornire i nipoti di regali per aggiornarlo sul clima di cambiamenti che si era abbattuto su New York.
Clint non sapeva dire con certezza quando si era reso conto che, per quanto credesse di desiderare una vita tranquilla, l’adrenalina gli mancava terribilmente.
Si era scoperto invidioso, e a tratti preoccupato, del fatto che Natasha fosse al Complesso a discutere del se, del come e del perché rischiare l’osso del collo, decisa a mantenere i piedi in due scarpe in una posizione scomoda ed ad alto rischio. Riflettendoci si era reso conto che era invidioso del non aver avuto voce in capitolo riguardo ad una faccenda che fino ad un anno prima l’avrebbe riguardato da vicino… invece di sentirsi sollevato dal non essere costretto a prendere posizione, si era sentito messo da parte, insofferente ai termini e alle condizioni in cui i membri della sua famiglia allargata erano costretti a sottostare.
Laura non gli aveva lanciato contro l’intero servizio di piatti solamente perché non era il tipo di persona che si lasciava andare a certi impulsi, ma il messaggio era giunto comunque forte e chiaro… disapprovava, palesemente, ma sapeva di non poterlo dissuadere, lasciandolo decollare alla volta di New York.
Clint aveva raggiunto il Complesso facendo evadere Wanda, confessandole di star deludendo i suoi figli, raggiungendo Rogers a Lipsia, finendo in gattabuia ventiquattr’ore dopo… forse avrebbe dovuto dare retta a sua moglie chiamandosene fuori, forse non sarebbe mai dovuto andare in pensione.
Aveva firmato per gli arresti domiciliari, varcando la soglia di casa con la cavigliera elettronica e Laura l’aveva rimproverato bonariamente di non assecondare mai più gli impulsi folli dettati dalla crisi di mezza età… l’aveva sposato, sapeva a cosa andava incontro quando aveva detto di sì davanti all’altare, arrivata a quel punto era solamente grata che non fosse morto.
La notte era calata silenziosa sulla fattoria, celando agli occhi del mondo l’invio delle coordinate del Raft al transponder di Natasha.

Singing lalalalalalalalaiy
There's no light over London today

Quando Clint si era svegliato quel mattino, avrebbe dovuto capire che c’era qualcosa che non andava.
Aveva ignorato il cielo grigio che rischiarava pallido l’ambiente, a discapito delle previsioni meteo che avevano preannunciato un sole accecante. Non aveva dato peso al fatto che non sentisse il rumore delle sedie che sfregavano contro il parquet della cucina mentre i bambini facevano colazione, come non si era minimamente preoccupato per la mancanza del profumo del caffè che risaliva le scale ogni mattino da due anni a quella parte.
Aveva realizzato i dettagli mancanti solamente quando aveva capito di essere solo in casa… quando aveva trovato le quattro sedie della cucina ricoperte da un sottile strato di cenere.
In quel momento era stato incapace di provare qualunque cosa, aveva avuto solo le forze di alzare gli occhi su quel cielo pallido… era inutile che cercasse un qualsiasi spiraglio di sole, non c’era luce quel giorno, tutte le lampadine del mondo si erano fulminate nel giro di uno schiocco di dita.



Commento dalla regia:
Per questo personaggio, e per questa canzone in particolare, credo che una specificazione sia d’obbligo.
In questo caso particolare va tenuto in considerazione il sound della canzone, soprattutto le note di pianoforte finali, in quanto l’ultimo paragrafo idealmente si rifà ad esse, ciò che descrivo è una mia speculazione alquanto plausibile basata sui trailer di “Avengers - Endgame” resi pubblici.
Per quanto riguarda i primi paragrafi, ho attinto a qualche nozione fumettistica (il padre violento, la fattoria in Iowa, l'orfanotrofio, il circo e Lucky) riadattando il tutto alle nozioni canoniche dell’MCU. Non ho idea se effettivamente la fattoria della sua infanzia sia la stessa istituita a “casa Barton”, ho semplicemente voluto dare una spiegazione plausibile alle infinite ristrutturazioni, mentre sono da considerarsi miei headcanon il come sia avvenuto l’incontro con Fury e quello con Laura (considerato che quest’ultima nei fumetti non esiste, in quanto Clint è divorziato da Mimo AKA “Bobby” Morse da tempi storici).
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, qualunque commento/opinione è assai gradito!
_T

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Capitolo 3
*** Lost! ***


LOST! - Peter Quill
[link alla canzone]

 

Just because I'm losing
Doesn't mean I'm lost
Doesn't mean I'll stop
Doesn't mean I'm across

Peter scappa, incespica sui lacci delle scarpe slacciati, asciugandosi il volto con la manica della felpa, strizzando gli occhi cercando di cancellare l’immagine di sua madre che esala l’ultimo respiro tendendo una mano che lui non ha voluto afferrare.
Corre fuori dall’ospedale, lontano dalle voci dei suoi parenti che lo richiamano indietro, sfuggendo dalla presa di suo nonno che vorrebbe stringerlo a sé e lasciargli inzuppare di lacrime la sua camicia… ma Peter non vuole sentirsi compatito, non vuole che le persone siano gentili con lui solo perché la sua mamma è morta. Se scappa abbastanza lontano dall’ospedale può asciugare le lacrime e fingere che non sia mai successo, può far finta che lui stia giocando a nascondino, illudendosi che il sorriso luminoso di sua madre lo scovi ovunque si sia rintanato.
Spazza via le lacrime con la manica della felpa con un gesto arrabbiato, mentre il parco buio si illumina a giorno come uno stadio, intravedendo la luce accecante dietro al velo di lacrime, avvertendo appena i suoi piedi che si staccano da terra.
Le lacrime continuano a rigargli il volto ininterrottamente, la tristezza e la perdita sostituite alla paura, paura che si trasforma in terrore, raggiungendo picchi inauditi quando un uomo dalla pelle blu e gli occhi rossi lo chiama per nome. Si era divincolato dalla presa di quegli esseri mostruosi, correndo a perdifiato nei corridoi dell’astronave, rintanandosi e incastrandosi tra i condotti di aerazione, lontano da quegli estranei dalle spalle troppo grosse per raggiungerlo.
Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso, sapeva solo di aver fame e temeva che i crampi allo stomaco potessero ucciderlo… aveva ceduto, arrischiandosi a mettere fuori il naso dal condotto di aerazione, ritrovandosi davanti all’uomo dalla pelle blu che l’aveva accolto a bordo. Gli aveva sorriso mostrando i denti giallognoli e storti, rigirandosi una freccia tra le dita, rassicurandolo dicendogli che aveva dato l’ordine ai compagni di non divorarlo. Gli aveva promesso del cibo in cambio dei suoi servigi, dichiarando che una persona della sua statura e con le dita così piccole poteva tornargli utile, trascinandolo alla mensa rifilandogli cibo mai visto ma commestibile… e poi l’aveva visto: lo spazio sconfinato trapuntato di stelle.
In quel momento Peter aveva realizzato che, anche volendo, non avrebbe mai più fatto ritorno sulla Terra… e l’unica cosa che gli rimaneva della sua vecchia vita era un soprannome strampalato, un vecchio walkman ed un nastro con dodici tracce registrate, riprodotte in loop per tutti gli anni a seguire rischiando di consumare irrimediabilmente il nastro.
Peter non sapeva con esattezza quando aveva smesso di avere paura, quando aveva accettato la strana vita che conduceva nello spazio come la nuova normalità... se a convincerlo fosse stata la freccia di Yondu, le pistole al plasma, il suo casco dalle lenti rosse o la giacca di pelle con lo stemma dei Ravager sulla spalla.
Da piccolo aveva dato la colpa al fatto che non aveva altra scelta se non quella, ma una volta diventato adulto aveva realizzato che rubare gli piaceva sul serio, dovendo ammettere che vantava una certa bravura con le donne di qualunque razza, facendo colpo con i suoi strani aneddoti da terrestre, i quali non erano altro che riassunti rivisitati di vecchi film… consolandosi di avere più fortuna nel trovare qualcuno con cui passare la notte, a differenza delle possibilità di riuscire a farsi conoscere come Starlord.
Voleva la fama, voleva essere ribattezzato con un nome memorabile che ispirasse grandi imprese, desiderando segretamente di rinchiudere in un angolo della sua memoria il ragazzino spaventato che era stato un tempo e che rispondeva al nome di Peter Quill.
Peter non sapeva quale dei due istinti aveva prevalso, se era stata la fame di gloria o la fame di denaro a spingerlo a disertare dai Ravagers, ritrovandosi invischiato nelle trattative per accaparrarsi l’Orb.
Era stato tirato in ballo e visto che c’era aveva seguito il ritmo… letteralmente, la gara di ballo era stato un diversivo con i fiocchi per distrarre Ronan.
Da quel momento in poi la gente aveva iniziato a chiamarlo Starlord, non in segno di derisione, ma in segno di rispetto, legittimato ed eletto dalla Nova Corps al ruolo di Guardiano della Galassia, un onore e un onere da spartire insieme ai quattro idioti che erano diventati la sua famiglia nel giro di nemmeno una settimana.
Quando aveva afferrato i comandi della Milano, con Gamora che gli stringeva affettuosamente una spalla, si era reso conto che il venire chiamato Starlord era un punto d’arrivo e di partenza.
Aveva scattato il regalo di sua madre con troppi anni di ritardo, riappropriarsi di quel pezzetto di sé che si era impegnato strenuamente a celare al resto del mondo, decidendosi a riscoprire quel lato che aveva dimenticato così a lungo… realizzando che per Peter Quill, un terrestre con una famiglia nuova di zecca a carico, il futuro era ancora una pagina bianca puntinata da una miriade di stelle.

Just because I'm hurting
Doesn't mean I'm hurt
Doesn't mean I didn't get what I deserved
No better and no worse

Peter si rifiutava ad ammettere che Rocket avesse avuto ragione fin dall’inizio, che nel suo cinismo e nella sua testardaggine nel voler vedere sempre e solo il peggio delle persone, aveva interpretato correttamente tutti quei segnali che lui aveva palesemente ignorato.
Si era crogiolato nella possibilità concreta di avere un padre vero e proprio, non una foto spiegazzata presa da una qualsiasi rivista o l’infantile illusione che quella fantomatica figura fosse un attore in giro da qualche parte a girare un film qualsiasi.
Aveva avuto la conferma che suo padre fosse un Celestiale in carne ed ossa, volendo illudersi che Ego avesse amorevolmente vegliato su di lui negli ultimi trent’anni, impossibilitato a ritornare sulla Terra, inviando Yondu a prelevarlo per riportarlo a casa nonostante Peter non fosse mai giunto a destinazione.
L’aveva capito decisamente troppo tardi che c’era un motivo più che sensato se Yondu non l’aveva riportato a casa quando gli era stato ordinato di farlo, che la minaccia di mangiarlo era una bugia e che la tenuta e l’anonimato dei Ravagers erano stati la sua salvezza.
Aveva compreso in ritardo catastrofico che un vero padre non avrebbe mai aspettato così tanti anni prima di rintracciarlo, che di motivi per farsi trovare ne aveva forniti abbastanza ben prima degli eventi di Xandar e del risveglio dei suoi poteri da celestiale.
Era stato decisamente troppo tardi quando aveva realizzato che un padre ce l’aveva sempre avuto… un uomo dalla pelle blu, gli occhi rossi e i denti gialli e storti che combatteva con una freccia magica affilatissima, che nascondeva l’affetto che provava nei suoi confronti dietro alle minacce che inneggiavano al cannibalismo.
Aveva compreso in estremo ritardo, quasi fuori tempo massimo, che di persone che gli volevano veramente bene ce n’erano ben quattro, non importava se fossero i peggiori avanzi di galera e se vantavano una fedina penale infinitamente peggiore della sua… aveva accettato con sommo ritardo che i Guardiani erano la sua famiglia e che ballavano tutti e cinque sulle stesse note della medesima cassetta.
Aveva finalmente capito quanto fosse tardi quando Ego si era rivelato per la sua vera natura, scoprendo che lo stesso padre che per giorni aveva decantato la sua benevolenza e l’amore che provava nei suoi confronti, era la stessa persona che aveva distrutto il suo walkman ed aveva ucciso sua madre senza battere ciglio.
Contrariamente a ciò che Peter si aspettava, la vendetta era emersa da un silenzio emotivo devastante, esplodendo dirompente e senza sconti, uccidendo il sangue del suo sangue, rinunciando ad una parte di sé per salvare tutti quanti… aveva deciso di sacrificarsi per risparmiare ai suoi amici le innumerevoli sofferenze che Ego aveva premeditato, deciso a lasciarsi morire ripagandoli per la sua infinita ottusità mentre Rocket li portava tutti in salvo.
Peter non poteva fare a meno di pensare che alla fine aveva ottenuto esattamente quello che si meritava… dopotutto non era la prima volta che si lasciava sfuggire tra le dita le persone che amava, non era la prima volta che recideva volutamente tutti i legami sani e puri in favore di quella facciata idilliaca ed illusoria che aveva progettato esclusivamente per sé, non accettando che le circostanze e le priorità fossero cambiate negli ultimi anni, non trovando il coraggio di ammettere che quella vita che aveva prestabilito gli stava ormai stretta, restio a ricoprire il ruolo di capo all’interno della banda di disadattati che si era ritrovato  –e successivamente scelto– come famiglia.
Aveva accettato il suo destino come un giusto pegno per i suoi errori, ma il fato si era fatto beffa delle sue decisioni, lasciando che l’ago della bilancia puntasse su quella salvezza che con il senno di poi lui aveva reputato immeritata, mentre Yondu esauriva velocemente l’aria nei polmoni sacrificandosi per salvarlo, rendendosi conto troppo tardi di tutto ciò che aveva sempre avuto sotto gli occhi, ma che era stato sempre troppo cieco ed ottuso per vedere con chiarezza.
L’esperienza surreale del funerale l’aveva segnato, si era concesso di piangere dopo anni davanti all’inceneritore che aveva sparso i resti Yondu nello spazio in un milione di faville luminose, mentre Gamora gli cingeva la vita con un braccio posando il capo contro la sua spalla.
Si era sorpreso nel vedere apparire le navi Ravagers, constatando che nonostante l’atteggiamento e il comportamento discutibile che Yondu aveva riservato agli altri, fossero tornati tutti per rendergli tributo.
In quel momento Peter aveva compreso che forse avrebbe dovuto iniziare ad apprezzare sul serio ciò che aveva già, che non poteva desiderare di meglio degli affetti e delle persone che lo circondavano… era amato, a discapito di tutto, accettando la consapevolezza stringendo Gamora tra le braccia.

I just got lost!
Every river that I tried to cross
Every door I ever tried was locked
Ohhh and I'm just waiting til the shine wears off

Quando lo scenario di morte e sangue era apparso davanti a loro, Peter si era sentito mancare, colto dalla sensazione orribile di precipitare nel vuoto insieme ai cadaveri che stavano naufragando nello spazio. Aveva lanciato uno sguardo vacuo a Gamora, ricevendo un leggero cenno del capo a conferma delle sue teorie… ciò che aveva davanti era il risultato dell’opera di Thanos.
Aveva accolto con espressione assente il grido spaventato di Rocket quando uno dei cadaveri aveva aperto gli occhi, portando a bordo il corpo svenuto, svegliandolo per ottenere risposte.
Avevano scoperto di trovarsi di fronte all’unico superstite del regno distrutto di Asgard, un re senza popolo che bramava vendetta.
Peter si era ritrovato istintivamente a nascondere Gamora dietro al suo corpo, proteggendola al probabile pericolo, nonostante fosse consapevole che lei fosse perfettamente in grado di cavarsela da sola… sorprendendosi della reazione del dio del tuono, che aveva accettato l’idea della morte molti anni prima ed aveva commentato l’abominio appena commesso limitandosi a definire i legami familiari estremamente complicati.
L’aveva definita una dinamica complessa… Peter, nonostante si fosse visto portare via il briciolo di rispetto che si era guadagnato dai compagni in favore di muscoli asgardiani e lignaggio reale, non aveva potuto fare a meno di ritrovarsi d’accordo con le parole del dio.
Anche i suoi legami familiari erano estremamente complicati, incomprensibili e sorprendenti… certe volte, nonostante gli anni di convivenza trascorsi, si ritrovava a sbattere ancora contro il muro che i compagni erigevano per difendersi, chiudendo le porte delle camere a chiave ogni volta che litigavano, per poi fare pace nei modi più disparati.
Litigavano per l’idiozia di Drax, l'ingenuità di Mantis, la fotosintesi puberale di Groot, il sarcasmo sprezzante di Rocket e il comportamento scostante di Gamora… come in quel momento, avrebbe voluto strapparsi i capelli per l’esasperazione quando la donna era fuggita dai suoi tentativi di dialogo, rifugiandosi in un angolo a contemplare le stelle che presto o tardi si sarebbero inevitabilmente macchiate di sangue, rigirando tra le dita un coltello a doppia lama che aveva sempre visto tra gli averi della donna, ma che Gamora non aveva mai impugnato prima di allora.
Non avevano mai definito le cose tra loro, c’erano stati molti baci e qualche notte brava, ma Peter non aveva mai avuto il coraggio di definirla “la sua ragazza”, limitandosi a quel non detto che aleggiava tra loro ormai da anni.
Si era avvicinato titubante parlando di granate, ritenendolo un approccio abbastanza innocuo… di certo non si aspettava che gli chiedesse di ucciderla, ritrovandosi a giurare di mantenere la promessa, smosso dallo sguardo disperato della donna.
Alla fine l’aveva fatto… o meglio, ci aveva provato.
Le bolle di sapone l’avevano lasciato confuso, mentre il non detto spezzato da un “ti amo” inequivocabile gli aveva ridotto il cuore a brandelli quando l’aveva vista scomparire attraverso il portale… il varco si era richiuso, lasciandolo solo e allo sbaraglio.
Si sentiva perso senza di lei, inginocchiandosi a terra tra i cimeli incendiati del Collezionista, gli occhi arrossati e ti respiro rotto… avrebbe voluto chiuderli ed avere il potere di rimuovere gli ultimi eventi dalla sua memoria, ma le fiamme bruciavano ardenti nonostante tenesse le palpebre chiuse, mentre aspetta che si smorzino cedendo alle lacrime.

You might be a big fish
In a little pond
Doesn't mean you've won
'Cause along may come
A bigger one

Peter credeva di avere il pieno controllo della situazione, ma purtroppo aveva tragicamente scoperto che non era così.
Quando erano risaliti a bordo Drax gli aveva chiesto quali fossero le nuove coordinate, la nuova rotta e il prossimo passo da fare… non lo sapeva, aveva ignorato la richiesta di ricevere degli ordini, alzando la musica della stereo fino a frantumarsi i timpani, fissando il vuoto ascoltando la canzone che ballava sempre con Gamora.
La musica era stata interrotta di colpo dopo la cinquantesima volta che la loro canzone ripartiva in loop, Drax aveva scollegato lo zune imponendogli di reagire. Peter gli aveva urlato contro così forte da coprire il rumore causato dal gocciolio del suo cuore sanguinante, colmando il silenzio emotivo in cui era caduto vittima… bloccandosi quando Mantis gli aveva indicato la lucina gialla lampeggiante del canale di comunicazione d’emergenza.
Aveva trovato una ventina di messaggi in segreteria da parte di Nebula, lo minacciava di trucidarlo in almeno otto modi diversi appena l’avrebbe rivisto, accusandolo di aver perso la sorella, ma informandolo che Gamora era ancora viva e che Thanos la stava portando a Titano. *
Aveva eseguito le direttive senza battere ciglio facendo rotta verso Titano, per poi ritrovarsi a tenere un ragazzino come ostaggio, bloccato in uno stallo, chiedendo dove fosse Gamora.
Credeva che i Guardiani fossero gli unici protettori nell’intera galassia, aveva dovuto ricredersi dopo aver scoperto l’esistenza degli Avengers… forse insieme avevano una possibilità di salvezza, era una speranza remota, piccola e flebile, ma era pur sempre un qualcosa a cui credere per non cedere al panico.

And you'll be lost!
Every river that you tried to cross
Every gun you ever held went off
Ohhh and I'm just waiting til the firing's stopped
Ohhh and I'm just waiting til the shine wears off

Avevano strutturato un buon piano, l’avevano studiato a tavolino eseguendolo ad arte, riuscendo a far inginocchiare il titano mentre Stark e il bimbo ragno erano intenti a sfilargli il guanto.
Ce l’avevano quasi fatta, ma nessuno di loro poteva prevedere quello che sarebbe successo da lì a poco… era bastata una frase per mandare tutto a rotoli. Mantis aveva parlato di lutto, poi Nebula aveva confermato quella terribile ipotesi, infliggendo il colpo di grazia devastante.
Gamora era morta per degli sporchi e stupidi giochi di potere, per un bene superiore inesistente… era la seconda volta che Peter vedeva strapparsi via la donna più importante della sua vita per il cosiddetto “bene superiore”. Prima sua madre, poi la sua ragazza… e i suoi compagni pretendevano che lui mantenesse la calma, ma come avrebbe mai potuto riuscirci?
Peter aveva colpito Thanos con tutta la forza che aveva in corpo, sordo alle proteste dei compagni d’armi, il desiderio di consumare la sua vendetta personale, arrabbiato con l’universo perché era un luogo terribilmente ingiusto.
Alla fine avevano perso, Thanos era riuscito a fuggire e la colpa era solamente sua… le forze avevano ceduto, mentre i singhiozzi gli sconquassano il petto, desiderando di lasciarsi morire, pregando che la luce svanisca segnando la fine della sua miserabile esistenza.
Non ha più senso vivere in un mondo per cui prova solo odio.
Si inginocchia sulla sabbia rossa in attesa di udire la sentenza dei compagni, attende la sua condanna… ma arrivato a quel punto non gli importa più niente, ormai non prova più nulla se non un vuoto lacerante e incolmabile.

Ohhh and I'm just waiting til the shine wears off
Ohhh and I'm just waiting til the shine wears off

Peter non credeva seriamente che le sue preghiere venissero ascoltate, ma evidentemente l’universo aveva voluto essere misericordioso… aveva osservato impassibile i suoi compagni mentre si sgretolavano in cenere sotto i suoi occhi, provando una punta di sollievo nel vedersi ridurre in polvere.
Pace, finalmente.



Note:
[*] Questo paragrafo specifico si rifà/ispira a questa scena tagliata da “Avengers - Infinity War”.

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Capitolo 4
*** 42 ***


42 - Steve Rogers
[link alla canzone]
 

Those who are dead are not dead
They're just living in my head
And since I fell for that spell
I am living there as well

Steven Grant Rogers sapeva che non sarebbe mai dovuto venire al mondo, ma contrariamente ai referti dei medici era sopravvissuto… con una lista imbarazzante di malattie e problemi congeniti, consapevole fin dal primo respiro che aveva esalato nel mondo che la traccia di quella morte mancata l’avrebbe seguito come un'ombra fino alla fine dei suoi giorni da sopravvissuto.
Aveva sempre camminato incontro a Morte senza temerla, grato che quest’ultima non l’avesse mai rapito, nonostante la febbre, l’inverno e il poco cibo, donandogli una sana dose di caparbietà ed incoscienza nel correre un qualsiasi pericolo.
Con gli anni si era convinto che la sua ostinata sopravvivenza non si basasse sulla sua buona stella, ma sull’unica lezione che sua madre gli aveva impresso a fuoco nel cervello… aveva un ricordo abbastanza lucido della sua mamma che fronteggiava suo padre quando tornava a casa in licenza ubriaco, lo stesso padre che puzzava di alcol e lo rinchiudeva a chiave nella sua camera ignorando le sue urla contro la porta, ritrovandosi a spiare dal buco della serratura sua madre che sputava sangue e si riempiva di lividi sotto i colpi di suo padre. Steve aveva cinque anni, l’unica cosa che poteva fare era tempestare la porta con i suoi piccoli pugni urlando, fino a quando sua madre la riapriva con i lividi che iniziavano a comparire… le chiedeva sempre perché non restasse a terra, sentendosi rispondere che nella vita bisognava sempre rialzarsi, sempre1.
Era una lezione che aveva continuato a seguire anche dopo che i gas mostarda avevano portato via suo padre. Si rialzava sempre e tornava a casa scalzo ogni volta che gli rubavano le scarpe, si rialzava sempre nonostante le sbucciature alle ginocchia e in quei casi Bucky trafugava i cerotti dalla borsa di sua madre a sua insaputa… si era rialzato, con estrema difficoltà attingendo a forze che non sapeva di avere, quando sua madre era morta di tubercolosi, quando da lì a poco aveva dovuto reggere in piedi Buck quando la malattia e la guerra avevano portato via anche i suoi genitori.
Steve era sopravvissuto, mentre l’ombra di Morte aveva mietuto le anime che gli camminavano a fianco, intestardito a proseguire nella sua strada anche quando Bucky era salpato per l’Europa.
Era stato scelto per gli esperimenti di Erskine, arruolandosi e addestrandosi nell’esercito… non era previsto che sopravvivesse al siero, ma come al solito aveva stravolto le aspettative, non aveva desiderio di seguirla e Morte non l’aveva reclamato a sé.
Aveva cambiato idea quando aveva visto suo fratello precipitare nel vuoto, quando l’ombra della falce era calata anche sull’ultimo membro della sua famiglia, versando lacrime amare in mezzo alle macerie di un pub di Londra.

Time is so short
And I'm sure
There must be something more

Gli ultimi due anni di guerra erano volati, aveva provato più volte a raggiungere i fantasmi che si era lasciato alle spalle, lanciandosi in missioni una più pericolosa dell’altra, sfiorando Morte con un il brivido senza mai raggiungerla sul serio.
Con il tempo aveva abbandonato quella strada, arrendendosi a far riposare i fantasmi, inseguendo l’idea di voltare pagina con Peggy al suo fianco.
Ne aveva sfiorato solamente l’idea che Morte l’aveva colpito alle spalle con un gesto quasi scorretto, tentando di far calare la falce sulla sua anima, ottenendo come unico risultato quello di strappare il velo del tempo, lasciandolo precipitare nell’Artico ghiacciato.
L’idea di rifarsi una vita era sfumata sotto a metri di acqua e ghiaccio, desiderando di chiudere gli occhi sul mondo e non riaprirli mai più.
Morte non l’aveva reclamato a sé nemmeno quella volta, era sopravvissuto di nuovo, tramutandosi in un uomo bloccato tra le pieghe del tempo… arrivato a quel punto, Steve non aveva potuto fare a meno di chiedersi quali fossero i veri piani predisposti per lui, ma quella era una domanda di cui non era ancora meritevole di ricevere risposta.

Those who are dead are not dead
They're just living in my head
And since I fell for that spell
I am living there as well

Quando Steve aveva riaperto gli occhi sul mondo era stato colto dall’orribile sensazione di percepire ogni cosa in modo estremamente familiare, ma allo stesso tempo in maniera profondamente sbagliata… si era sforzato di comprendere i suoni che lo circondavano, cercando di analizzare ciò che i suoi occhi vedevano. Poi l’aveva sentita… la partita alla radio, peccato che lui l’avesse vista quella partita.
Era scappato, precipitandosi all’esterno, confuso e spaventato nel vedere i mega-schermi che illuminavano Times Square.
Allo SHIELD erano stati gentili, gli avevano spiegato cosa fosse successo dopo la sua presunta morte nell’Artico, raccontandogli come l’agenzia fosse figlia e si basasse sui principi dell’SSR.  L’avevano portato alla sede amministrativa indicandogli il monumento commemorativo ai caduti in servizio, leggendo il nome di “James Buchanan Barnes” che si stagliava a chiare lettere sulla lastra di granito, mentre l’Agente Coluson gli spiegava che tutto era nato dalle menti di Peggy Carter e di Howard Stark2.
Lo SHIELD gli aveva recapitato un baule impolverato con dentro le sue cose nell’appartamento asettico che gli avevano fornito, affermando che era stato conservato in un qualche scantinato a Malibu dal ‘45, fornendogli un fascicolo con tutte le informazioni di cui aveva bisogno per integrarsi nel mondo… era stato in quel momento, sfogliando tutti quei documenti, referti e rapporti, che aveva realizzato senza ombra di dubbio di essere l’unico vivo in un cimitero di amici.
Era stato un duro colpo leggere la scheda personale di tutti i membri degli Howlings, tutti con quel timbro vistoso al centro della pagina che imprimeva con l’inchiostro rosso la scritta “deceduto” a caratteri cubitali. Aveva sfogliato i documenti fino a quando il sorriso di Margaret Carter aveva fatto capolino tra le pagine… aveva trattenuto il fiato cercando il timbro rosso in fondo alla pagina, incerto se rattristarsi o sentirsi sollevato nel scoprirla ancora in vita, leggendo l’indirizzo della casa in Inghilterra ed il numero di telefono. Aveva sollevato lo sguardo sul cordless, prendendo in considerazione l’idea di comporre il numero e chiamarla, resistendo all’impulso scrollando il capo… non era una buona idea.
Era passato alla scheda successiva, notando il timbro rosso sotto il nome di Howard… incidente d’auto a dicembre, moglie e marito morti sul colpo, probabilmente la strada che portava al Pentagono era ricoperta di ghiaccio.
Sposta l’ultimo documento dell’SSR, rivelando la scheda SHIELD del figlio di Howard… abitava a Manhattan, aveva comprato un palazzo in centro città ribattezzandolo “Stark Tower”, i giornali non parlavano d’altro e si diceva fosse ancora in costruzione.
Se voleva tornare a camminare tra i vivi doveva iniziare a lasciarsi il passato alle spalle, forse poteva iniziare da lì, tra tutti quanti il figlio di Howard si meritava davvero una visita3.

Time is so short
And I'm sure
There must be something more

Steve aveva preso la metro in direzione di Manhattan, ma una volta raggiunta la Stark Tower non era riuscito a convincersi di un solo motivo per il quale avrebbe dovuto dirigersi a passo spedito fino al centro della hall per poi chiedere di Stark.
Rinuncia al buon proposito, il coraggio perso chissà dove, mentre si ordina un caffè alla caffetteria di fronte alla Tower ragionando sul da farsi. Non sa prendere una decisione, la procrastina di giorno in giorno, recandosi a prendere il caffè di fronte alla Stark Tower ogni mattina, disegnando a tempo perso negli angoli dei giornali fino a quando non decide che è giunto il momento di comprarsi un album da disegno.
Quella è la prima volta che si compra qualcosa di tasca propria, lo SHIELD non sapeva come rifornirlo di fogli dalla grammatura giusta o di grafite dalla pesantezza corretta, optando per procacciarsi il materiale da disegno da solo.
Ma dopo il primo paio di settimane la mancanza di un obbiettivo era diventata lampante, Steve necessitava di uno scopo tanto quanto necessitava di respirare, avvertendo il bisogno fisico di placare il prurito alle mani picchiando le nocche contro il sacco di cuoio… era stato un processo lento e silenzioso, ma non c’era voluto molto perché la frustrazione si trasformasse in rabbia e Steve sapeva qual era l’unico modo per sfogarsi e reprimerla.
Aveva trovato una palestra a Brooklyn, si era fatto firmare un assegno dallo SHIELD e aveva comprato l’immobile… aveva picchiato il sacco per quarantotto ore di fila, incapace di dormire, arrestandosi solo quando Fury aveva varcato la soglia proponendogli l’iniziativa Avengers.
In quel momento Steve aveva compreso quale fosse la risposta alla domanda espressa mentre congelava tra le acque fredde dell’Artico più di settant’anni prima, accettando l’impiego, gettandosi a capofitto nella fossa dei leoni3.

You thought you might be a ghost!
You thought you might be a ghost!
You didn't get to heaven but you made it close
You didn't get to heaven but you made it close

Steve credeva di essersi trasformato irrimediabilmente in un fantasma, ma aveva dovuto ricredersi quando aveva visto i telegiornali, quando aveva ascoltato la voce di decine e decine di persone che lo ringraziavano per aver contribuito alla salvezza di New York.
Pensava di aver trovato il suo posto nel mondo, ma dopo aver deposto lo scudo e le armi si era reso conto di essere tornato al punto di partenza… restava un veterano che soffriva d’insonnia cronica, disoccupato e con una propensione massacrante nel riportare su carta gli incubi troppo vividi di quei fantasmi che non volevano lasciarlo in pace e che lui, sotto sotto, non desiderava scacciare.
Non era cambiato nulla, l’unica differenza concreta era che ora le persone lo riconoscevano per strada, fermandolo chiedendogli foto ed autografi… ma a conti fatti non era molto diverso da ciò che faceva in Europa durante la guerra.
Restavano gli amici… aveva trasformato con un pizzico di rimpianto quelli che avevano combattuto con lui in trincea in fantasmi, interagendo e instaurando nuovi legami con i componenti della mistura chimica assemblata da Fury nelle ultime settimane e che lui si era ritrovato a guidare spalla a spalla con il figlio di Howard… dopotutto gli Avengers erano un buon motivo per restare ancorato al presente e non naufragare nei rimpianti del passato.
Forse era colpa di quella che definivano saggezza della vecchiaia, ma con il passare delle settimane aveva compreso che il concetto di “casa” non era un ammasso di tegole, ma le persone di cui si circondava… se doveva adeguarsi al ventunesimo secolo poteva abituarsi all’idea delle telefonate di Tony a qualunque ora del giorno e della notte, agli ordini di Fury, ad un domicilio a Washington ed alla compagnia di una spia russa estremamente sfacciata.
Steve aveva finito per cedere alla sua inutile lotta contro l’epoca sbagliata adeguandosi, adattandosi ed affezionandosi allo strano mondo in cui si era ritrovato a vivere… non poteva tornare indietro e tutto sommato quella situazione non era così male come credeva.

You thought you might be a ghost!
You thought you might be a ghost!
You didn't get to heaven but you made it close
You didn't get to heaven but you oh-oh oh-oh

Steve aveva visto il suo mondo, quello che si era sforzato di ricostruire negli ultimi due anni, sgretolarsi in mille pezzi sotto ai suoi occhi.
Lo SHIELD era una creatura in fin di vita che era stata brutalmente strangolata dai tentacoli dell’HYDRA… aveva provato un sentimento molto simile al panico quando aveva avuto la conferma che, dietro a quell’intera macchinazione abominevole, ci fossero ancora le dita invisibili del fantasma di Teschio Rosso.
Si era risvegliato in un letto d'ospedale con Sam al suo fianco, indifeso ed esposto, consapevole che lo SHIELD e l’HYDRA si erano combattute annientandosi a vicenda ed ora restava solo l’ombra dei mostri sacri che avevano incarnato una volta.
Senza un capo a guidare i tentacoli, tutti gli affiliati dell’HYDRA erano fuggiti come un'orda di topi, diffondendo la pestilenza approfittando della mancanza dell’aquila dello SHIELD che bloccava gli attacchi, così Stark aveva radunato tutti alla Tower per dare inizio alla caccia ai fantasmi.
Era necessario, non c’era stato un altro modo per arginare la catastrofe… nessuno aveva chiesto un loro intervento, nonostante se lo aspettassero, costringendo gli Avengers a legittimarsi da soli.
Nessuno aveva mai espresso una sola parola in contrario, poi il fiume di parole trattenute fino a quel momento li aveva travolti in pieno, facendo piovere addosso a loro tutte le accuse per Washington, la Sokovia, Lagos… Vienna... e Bucharest.
Steve aveva già avuto la terribile conferma di come sarebbe andata a finire l’intera faccenda molto prima degli Accordi, l’aveva sempre saputo, l’aveva già deciso nel preciso istante in cui aveva riconosciuto Bucky sotto alla maschera del Soldato d’Inverno… uno dei suoi fantasmi, il peggiore di tutti, era tornato per reclamarlo indietro. Morte era un avversaria crudele, ma non poteva sottrarsi al suo volere… ma era determinato a strappare suo fratello dalle ombre dei fantasmi che lo assillavano ancora dopo più di settant’anni, ritrovandosi di nuovo su quel treno che sfreccia tra le Alpi svizzere, davanti al quel bivio che attendeva una sua decisione dal lontano 1944.
Steve non aveva ancora deciso se lasciarsi morire e seguirlo giù nella scarpata, o se lottare con le unghie e con i denti per riportarlo al suo fianco tra i vivi, l’unica certezza era quella di compiere il prossimo passo insieme... perché a conti fatti Bucky era tutto ciò che restava della sua vera famiglia, decidendo di imbarcarsi in quell'impresa suicida, incurante della possibilità concreta di poter morire per mano del fratello o dell’ancora più probabile reclusione per aver disubbidito agli ordini impartiti dal governo americano.
La caccia iniziata a Washington era giunta a termine a Bucharest… era stato inevitabile disertare, poi era stato impossibile non recarsi a Lipsia, dopo era stato fondamentale raggiungere la Siberia, ma quello che era successo dopo… quello che era successo dopo Steve avrebbe potuto evitarlo, se solo avesse avuto un briciolo di coraggio in più e fosse riuscito a soppiantare a tempo debito la paura, il rimpianto e l’orgoglio dalla matassa confusa dei suoi sentimenti.
Quello che era accaduto dopo non sarebbe mai successo se Steve avesse preso le difese di Tony, invece di immolarsi a paladino del fantasma di suo fratello.
Era fuggito in Wakanda, con Bucky e seguaci a seguito, mentre le scelte sbagliate e i rimpianti avevano generato un baratro di silenzio incolmabile che l’avevano allontanato irrimediabilmente da Tony… poi improvvisamente, a distanza di due anni, la suoneria del cellulare a conchiglia aveva infranto il silenzio come una condanna a morte.
Per Steve era stato chiaro fin da subito che in quel momento non importava a nessuno con chi parlava o non parlava… quella era una chiamata alle armi, l’ennesima, alla quale nessuno di loro era in potere di sottrarsi.

Those who are dead are not dead
They're just living in my head

Steve non aveva capito subito cosa fosse successo, sapeva solo che un momento prima era a terra colpito alla tempia e quello immediatamente dopo era in piedi illeso come se non fosse mai successo… poi aveva udito uno schiocco di dita, aveva sentito il grido di Thor, raggiungendolo mentre raccoglieva da terra l’ascia con la lama macchiata di sangue viola.
Si era guardato intorno cercando Thanos, chiedendo spiegazioni… poi si era sentito chiamare.
Steve non aveva mai realizzato prima di quel momento quanto potesse essere terribile il suono del suo nome, soprattutto se proferito come una richiesta d’aiuto, con una leggera traccia di panico nella voce di suo fratello.
Poi il mondo gli era crollato addosso di nuovo, la falce di Morte era calata su tutti loro, mietendo le anime che lo circondavano, ma lasciandolo in vita di nuovo. Non era rimasto altro che cenere e sangue… seduto in mezzo ai resti del fratello con le mani tra i capelli e le lacrime che minacciavano di strabordare, si era chiesto di nuovo il perché non fosse morto, domandandosi quali fossero i veri piani predisposti per lui dall’universo… ma forse quella era una domanda alla quale non era mai stato meritevole di ricevere risposta.



Note:

  1. Lo scenario descritto in questo paragrafo si basa su questa vignetta del primo volume di “Capitan America - Fuga dalla dimensione Z”.

  2. Il “muro degli eroi” è stato istituito dal 1949 in ogni struttura SHIELD, è certificato che tra gli agenti caduti ci sia anche il nome di Bucky ed è visibile nella 1x12 di “Agents of SHIELD”.

  3. Questo paragrafo si ispira/rifà a questa scena tagliata da “The Avengers”.



Commento dalla regia:

Vorrei condividere con voi la spiegazione del titolo della canzone: “42” è un riferimento alla “risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto, un concetto espresso nella serie di romanzi di Douglas Adams “Guida galattica per gli autostoppisti”.
A detta dell’autore il numero non ha nessunissimo significato, quindi è mia opinione credere che questa canzone sia la risposta dei Coldplay alla domanda fondamentale.
Questo per dire che l’associazione mentale al Capitano è stata abbastanza palese, chi meglio del nostro ghiacciolo preferito poteva perdere il sonno alla ricerca di una risposta per spiegare la vita che non ha vissuto? A conti fatti Steve non ha mai avuto il tempo materiale per comprendere davvero gli eventi che gli si scaraventano addosso, affrontandola come una decisione preposta da una entità superiore… considerato che tecnicamente Morte è una entità in “carne ed ossa” nell’universo Marvel e che fumettisticamente parlando il disastro di “Infinity War” è da attribuire come un tributo d’amore da parte di Thanos, ho voluto unire le due cose.
Sono sinceramente curiosa di sentire la vostra opinione in merito, qualunque commento è ben accetto!
_T

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Capitolo 5
*** Lovers in Japan ***


LOVERS IN JAPAN - Stephen Strange
[link alla canzone]



Lovers, keep on the road you're on
Runners until the race is run
Soldiers, you've got to soldier on
Sometimes even the right is wrong

Stephen non dormiva bene da molto prima che Hulk precipitasse dal cielo e sfondasse il tetto del Sancta Santorum.
Aveva perso il sonno dopo l’incidente, restava sveglio a ragionare sul come guarirsi, ignorando un qualunque aiuto esterno, troppo concentrato a chiudersi nel suo mondo per curarsi davvero di qualunque altro problema al di fuori delle sue mani martoriate… la credeva una vera tragedia, con il senno di poi si era reso conto che era solo una facciata, un limite fisico che si era opposto dal piegare il Giuramento di Ippocrate in suo favore per ricevere la maggior fama e risonanza possibile nella comunità scientifica.
Aveva compreso una piccolissima parte della vera tragedia quando aveva visto dai telegiornali la situazione in Sokovia, consapevole di avere la conoscenza per salvare una buona parte di quelle vite, ma essere impossibilitato a farlo dal suo tremore alle mani… quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, da quel momento in poi si era accanito ancora di più nella ricerca di una cura, lapidando brutalmente il patrimonio rimasto per raggiungere Kamar-Taj.
Aveva avuto bisogno di un bel bagno di umiltà per riscoprire la gioia nello studio di una pratica che riteneva inconcepibile, sfondando i suoi preconcetti e muri mentali, scoprendosi l’allievo più curioso e caparbio dell’intero monastero. C’era voluto tempo, ma alla fine aveva compreso la vera tragedia quando aveva piegato il tempo per sconfiggere Dormammu, quando aveva appurato che esisteva una minaccia ben superiore ad una scaramuccia tra degli idioti in costume che volevano sfuggire al governo.
Stephen si considerava su tutt’altro piano di importanza, lui era l’unica difesa ai pazzoidi che abitavano nel cosmo, volente e nolente era l’unico che proteggeva realmente l’umanità da quei mostri di cui non avrebbero mai dovuto essere messi a conoscenza. Principalmente per quel motivo, una volta istituito a Guardiano del Santuario di New York, non si era sentito in dovere di curarsi dell’evasione di massa dal Raft o della necessità di firmare un pezzo di carta che gli avrebbe legato irrimediabilmente le mani.
Aveva riportato l’Occhio di Agamotto a Kamar-Taj, mettendosi a studiare in vista alle future minacce sotto la supervisione di Wong… le avvertiva, nascoste negli abissi dello spazio siderale, in agguato e in attesa di formare un esercito.
Era questione di tempo prima che la follia si scagliasse nuovamente sulla Terra, Stephen l’avvertiva, non sapeva ancora in che forma si sarebbe manifestata, ma era consapevole che fosse in arrivo… sempre più spesso, quando cercava di sbirciare attraverso il velo del tempo quel futuro incerto e tumultuoso, riusciva solamente a distinguere le stelle macchiate di sangue e il vuoto lasciato da milioni di anime, a prescindere da tutte le variabili in gioco.
Quella che vedeva era una previsione irreversibile, non poteva far altro che studiare, apprendere abbastanza nozioni e trucchi per far fronte a qualunque minaccia… sperava che gli amanti di tutto il mondo si amassero con ancora più intensità, pregava che i soldati capissero che la guerra che stavano combattendo era futile e transitoria, perdendo il sonno alla ricerca di uno stratagemma per fare in modo che tutte quelle anime ignorassero il più a lungo possibile la percezione dell’accorciarsi del tempo a loro disposizione.
Stephen non dormiva bene da molto prima che Bruce Banner chiedesse aiuto dal cratere sul pavimento che aveva creato dopo aver sfondato il tetto del Sancta Santorum, ma almeno Stephen si consolava di poter finalmente attribuire un nome alla minaccia che percepiva, consapevole di aver studiato tutto il studiabile per arginare la tragedia in arrivo… come Stregone Supremo non poteva essere più pronto di così.

They are turning my head out
To see what I'm all about
Keeping my head down
To see what it feels like now
And I have no doubt
One day we're gonna get out

Fauce voleva la Gemma, pensava che frugando nella sua testa tenendolo sospeso l’avrebbe reso più collaborativo, ma in risposta aveva serrato gli occhi mordendosi la lingua, consapevole che dalle sue azioni dipendeva la salvezza dell’universo.
Stephen avrebbe voluto prendersela con l’ironia della sorte… aveva visto che c’erano alte probabilità che lo catturassero durante l’attacco, ma purtroppo l’Occhio di Agamotto non riusciva a prevedere le variabili impulsive… ciò che stava subendo era una variabile nuova, era in balia degli eventi e la cosa non gli piaceva per niente.
Lo Stregone Supremo trovava ironico che Fauce d’Ebano lo stesse torturando con strumenti chirurgici, ma a discapito del sollievo, aveva trovato solamente irritante che la salvezza fosse giunta da quell’egocentrico di Stark, che glielo avrebbe rinfacciato fino alla fine dei suoi giorni, e il ragazzino che gli correva sempre appresso, quello che aveva intravisto nei TG e che Stark trattava come un figlio nonostante tentasse di nasconderlo agli occhi di tutti.
Stephen aveva fatto appello a tutta la pazienza di cui era in grado per stabilire una pseudo-strategia con Stark, costringendosi a fare un passo indietro di fronte allo sguardo spiritato del genio, ammettendo a sé stesso che la strategia di portare il conflitto lontano dalla Terra non era un’idea da scartare a priori… l’Occhio non gli aveva mai mostrato gli scenari del prossimo futuro successivi alla cattura, trattenendo un sospiro sollevato nel realizzare che le stelle non si erano macchiate del suo di sangue.
Nonostante tutti i suoi tentativi, sbatteva sempre contro ad una sorta di vetro ogni volta che tentava di indagare oltre alle stelle screziate di rosso, trovando surreale che la risposta alle sue domande gli fosse stata fornita da Stark… tutte le parti che a lui mancavano, non erano altro che gli scenari da incubo sperimentati dal miliardario negli ultimi sei anni.
Stephen si era costretto ad ammettere che unendo le forze avevano una possibilità in più di salvezza… forse collaborando le stelle avrebbero smesso di macchiarsi di sangue.

Tonight maybe we're gonna run
Dreaming of the Osaka sun
Ohhhh ohh ohh
Dreaming of when the morning comes

Stephen aveva chiuso gli occhi concentrandosi, vagliando tutte le possibilità future, calcolando le variabili, arrotondando le percentuali, mentre il mal di testa aumenta esponenzialmente ad ogni scorcio del futuro che intravede in quella marea di possibilità, sfiorando una crisi epilettica più di un paio di volte.
Vede 14000604 modi per perdere, percepisce la morte di miliardi e miliardi di anime per ogni singolo errore di valutazione, mentre gli scorrono davanti agli occhi la sua morte raccapricciante e quella dei compagni d’armi… ma c’è una possibilità, timida e flebile, che riescano a sconfiggere il Titano pazzo.
Deve lasciarsi morire, far perdere ogni speranza per spronare i sopravvissuti a reagire… calcola i tempi esatti per realizzare delle circostanze favorevoli, per dare l’illusione della mancanza di una qualsiasi via d’uscita.
Vede la polvere grigia mescolarsi alla sabbia rossa e alle sterpaglie della savana, vede un dolore inespresso e prorompente che si perde tra le lacrime e il vento che smuove le fronde… ma scorge un transponder luminoso abbandonato sui marciapiedi di New York.
Vede dei pugni che sfondando i sacchi da boxe, vede dita che sfiorano grilletti, vede una serie di sedie in circolo ed una voce che si leva sporadica dalla folla… ma scorge anche una navicella spaziale che sorvola lo skyline di New York.
Vede una pioggia di proiettili, vede un ghigno incorniciato da delle labbra viola, intravede una bara che percorre la navata di una chiesa ed una donna vestita di bianco che attende all’altare… ma le ultime sono previsioni troppo distanti nel tempo, troppo incerte e con troppe variabili non considerate nel mezzo.
Vede la corsa contro il tempo che giunge al termine, mentre il sole cocente illumina i sorrisi soffertamente felici di quelle anime in balia del tempo… per vincere deve rinunciare al tempo, è solamente un concetto relativo e mutevole.
Per vincere deve consegnare il Tempo… e deve lasciarsi morire, quello è l’unico modo.

They are turning my head out
To see what I'm all about
Keeping my head down
To see what it feels like now
And I have no doubt
One day the sun will come out

Hanno perso lo scontro… ci sono corpi riversi a terra, qualcuno tenta di alzarsi, ma nessuno si arrischia a guardare l’abisso celato negli occhi degli altri.
Tony lo guarda con la mano premuta contro l’addome, lo sguardo stralunato che cede al panico, mentre gli chiede quale idea folle gli abbia attraversato al cervello, il perché diavolo si sia contraddetto… il perché l’ha risparmiato, quando è ben consapevole di essere ad un passo dalla morte.
Vede i Guardiani disintegrarsi in cenere come aveva previsto, cercando di non pensare a ciò che succederà da lì a poco… un sacrificio enorme ma necessario, ha calcolato tutto con la massima precisione e purtroppo non c’è nessuna alternativa alla catastrofe che sta per abbattersi sui sopravvissuti.
Intercetta lo sguardo del genio, mentre un flash futuro si sovrappone al presente ed intravede i suoi occhi riempirsi di lacrime prima del tempo… prega che si salvi, spera che sopravviva al dolore di ciò che sta per scatenarsi, il futuro non è una scienza esatta, ma non può fornirgli un’alternativa.
È l’unico modo… Stephen sospira sollevato per essere riuscito a dirglielo prima di tramutarsi in polvere sospinta dal vento.

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Capitolo 6
*** Viva la vida ***


VIVA LA VIDA - Loki Odinson
[link alla canzone]




I used to rule the world
Seas would rise when I gave the word
Now in the morning I sleep alone
Sweep the streets I used to own

Recluso per un crimine che non attribuiva completamente a se stesso, biasimato per una conquista che non aveva portato a termine, sperando che la propria condanna a morte lo raggiungesse il più tardi possibile.
Loki era circondato dai campi di energia impenetrabili delle celle asgardiane, ma era consapevole che i figli di Thanos l’avrebbero raggiunto ovunque si fosse rintanato, conscio che fosse stato un errore di principio fidarsi del titano… credeva che valesse la pena regnare su un popolo sottomesso a cui bastava una sua parola per muovere mari e monti, ma era stato un desiderio vano, spinto dall’odio verso un trono rinnegato ed un legame spezzato.
Il dio dell'inganno aveva sfiorato il potere, rendendosi conto che il trono a cui puntava era solo un miraggio scaturito dalla Gemma… l’aveva capito tardi, ormai aveva perso tutti i legami con la Corona e dubitava di avere la possibilità per ristabilirli, macerando nella solitudine di una cella asettica e silenziosa, riempita unicamente dalle sue lacrime e dalle sue urla.

I used to roll the dice
Feel the fear in my enemy's eyes
Listened as the crowd would sing
"Now the old king is dead! Long live the king!"
One minute I held the key
Next the walls were closed on me
And I discovered that my castles stand
Upon pillars of salt and pillars of sand

Loki era in collera, era stato raggirato da una forza superiore, incolpandosi per aver ritenuto una buona idea vendicarsi della Corona, in una manovra temeraria ed imprevedibile, inconsapevole di essersi unito ad una causa che puntava ad un tiro di dadi truccati.
Il dio degli inganni amava scommettere, aveva deposto re e regine sussurrando all’orecchio dei sudditi, rigirando tra le dita dei dadi molto simili a quelli usati dal titano… era una tattica che utilizzava spesso, a tal punto da irritarsi indignato per essere stato fregato al suo stesso gioco dagli insospettabili monarchi sul trono di Asgard.
Il Padre Ancestrale gli aveva promesso il trono sul quale ambiva a salire, senza dire mezza parola in merito al fatto che non gli avrebbe mai permesso di avvicinarsi ad esso più del dovuto. Quello era il posto eletto e preposto per il fratello, generando un odio ribollente e sordo che era esploso in ritardo, generato dalla bugia che si ergeva a base della sua vita.
Aveva rinnegato il padre, salendo al trono alla ricerca di una approvazione da parte del popolo, per poi capire che il potere era transitorio, lasciandosi cadere dal Bifrost per sfuggire da ogni giudizio… Odino non voleva un Gigante di Ghiaccio sul trono di Asgard, mentre a Thanos non interessava chi governasse la Terra, promettendogli il trono in cambio di uno dei gioielli della Corona.
Credeva fosse un buon compromesso all'affronto subíto, ma l’inganno era stato smascherato, la zizzania seminata non aveva attecchito… ritrovandosi in manette, mentre il grido infuriato del titano si era disperso tra le stelle, scuotendolo fino alle fondamenta del suo essere.

I hear Jerusalem bells a-ringing
Roman cavalry choirs are singing
Be my mirror, my sword and shield
Missionaries in a foreign field
For some reason I can't explain
Once you'd gone there was never
Never an honest word
And that was when I ruled the world

Loki aveva sempre mosso le sorti del mondo, avere così tanti anni sulle spalle aveva i suoi vantaggi, aveva ascoltato compiaciuto la folla gridare tra i vicoli di Gerusalemme, aveva marciato con i cavalieri inneggiando alla guerra, sussurrando all’orecchio delle anime ignare… non aveva mai provato a nascondere la sua vera natura, preferiva giocare con i suoi mille volti, cogliendo il lato naturalmente ironico che il mondo gli offriva in continuazione.
Il dio degli inganni con il passare del tempo aveva abbandonato la bramosia del trono, puntando ad ottenere un riconoscimento negato dal padre per principio… forse doveva puntare il dito contro se stesso per la poca fiducia che tutti riponevano in lui, biasimando la sua naturale predisposizione al misfatto, ignorando le dicerie scaturite dalla sua reputazione.
Aveva compiuto gesta eclatanti per guadagnare un briciolo di riconoscimento, senza rendersi conto che nella foga e nella mania di grandezza aveva perso la benevolenza del fratello per strada… aveva dovuto ricredersi quando aveva percepito il dolore di Thor nel vederlo morire, spiandolo mentre indossava il lutto versando lacrime silenziose attraverso gli occhi onnipresenti dei corvi di Odino… un dolore autentico, mai espresso a parole, che era stato in grado di spezzare qualcosa dentro al cuore ghiacciato di Loki.
Aveva ignorato quel sentimento di puro affetto per non soccombere ad un qualsiasi rimpianto… non poteva permettersi di provare certe cose, dopotutto l’amore è l'inganno più vecchio del creato, è solamente la colossale bugia che spinge avanti le sorti del mondo.

It was a wicked and wild wind
Blew down the doors to let me in
Shattered windows and the sound of drums
People couldn't believe what I'd become
Revolutionaries wait
For my head on a silver plate
Just a puppet on a lonely string
Oh who would ever want to be king?

Il dio degli inganni aveva usurpato il trono, beandosi degli agi e delle comodità di governare su Asgard, ignorando le dicerie che circolavano sospinte dal vento fino alle sue orecchie.
Gli asgardiani erano scontenti dell’operato del Padre Ancestrale, stentavano a credere che Odino preferisse i banchetti e gli spettacoli teatrali, vivendo in una costante burla, ignorando le minacce che incombevano sui Nove Regni… accogliendo con gioia il ritorno di Thor, osservando sgomenti l'inganno a cui erano stati soggetti quando Loki aveva calato la maschera.
Non poteva biasimarli se pretendevano la sua testa su un piatto d’argento, segretamente grato che il fratellastro l’avesse trascinato alla ricerca del padre… l’avevano trovato in Norvegia, li aspettava entrambi, in attesa che le Norne recidessero il suo filo, polverizzandosi in milioni di faville luminose.
Odino aveva confessato le sue colpe solamente in punto di morte… l’aveva chiamato figlio, per poi tentare di prepararli all’apertura dei portoni di Hel prima che fosse troppo tardi.
Loki credeva che nulla potesse più sorprenderlo, aveva dovuto ricredersi quando aveva visto i resti sfrigolanti di Mjöllnir sul prato, urlando contro il cielo imponendo a Heimdall di aprire il Bifrost… rendendosi conto dell’errore solo una volta aperto, venendo scagliato giù dal ponte dell’arcobaleno da Hela, precipitando all’interno di un gap, finendo per schiantarsi su Sakaar.
Aveva tentato di sfruttare la situazione a suo vantaggio, manipolando il Gran Maestro per portarsi in una posizione di prestigio, aggirando il sistema dell’arena tentando di portare in salvo suo fratello, una volta scoperto che Valchiria l’aveva recuperato dalla discarica… aveva tentato di ignorare il più a lungo possibile il Ragnarok, ma era stato inevitabile, consapevole di non poter sfuggire per sempre ad una profezia.
Le Norne non potevano essere ingannate, erano loro che tessevano le sorti di milioni e milioni di anime, loro sapevano che il suo filo non era mai stato reciso davvero… poteva raggirare il titano, poteva illudere se stesso, ma non loro… non a lungo almeno.
Alla fine era tornato a casa, era stato inutile negare le sue intenzioni di fronte al fratello… anche se si era sorprendente ricreduto nel sapere che Thor si era rassegnato ad accettarlo per come era, con i suoi alti e bassi caotici, scovando lo schema alla base dei suoi trucchi.
Era tornato presentandosi come il salvatore, deponendo Hela dal trono con le sue mani, senza ricorrere ad inutili sotterfugi… era andato contro a tutti i suoi principi, abbandonando il basso profilo, dando alle fiamme Asgard.
Davanti all’implosione della casa natale non era riuscito a restare indifferente… sotto molti aspetti gli ricordava Roma arsa dalle fiamme, avvolta in spirali di fumo, costellata da grida agonizzanti. Non si riconosceva più nelle sue azioni passate, sorprendendosi del profondo cambiamento che avvertiva nel tumulto dei suoi sentimenti, cancellando il ricordo del sorriso che gli aveva solcato le labbra a specchio di quello sul viso di Nerone… la sua intera vita era stata demolita insieme alle fondamenta del suo essere, cadendo a pezzi insieme alle radici di Yggdrasill.
Loki voleva illudersi di essere diventato una persona diversa, ripudiando il suo passato discutibile, stazionando alle spalle del trono con una mano amica posata sulla spalla del fratello… non desiderava più il potere, aveva visto la sorella percorrere la sua stessa strada consumandosi nell'odio, arsa viva per difendere quello scranno dorato che aveva bramato per tutta la vita.
Il dio degli inganni voleva illudersi di essere diventata una persona diversa, ignorando il peso impalpabile del suo giocattolo preferito che gravava sulla sua testa come una spada di Damocle, attendendo di venire decapitato da un momento all’altro, temendo il grido furioso in avvicinamento del titano.

I hear Jerusalem bells a-ringing
Roman cavalry choirs are singing
Be my mirror my sword and shield
My missionaries in a foreign field
For some reason I can't explain
I know St Peter won't call my name
Never an honest word
But that was when I ruled the world

Loki aveva visto moltissime guerre nel corso della sua lunga vita, aveva visto campi di battaglia ricoperti di cadaveri e crateri sul terreno che avevano raso al suolo qualunque cosa… ma i resti del combattimento contro Thanos erano il peggior scenario a cui era mai capitato di assistere.
Austero e rigido come un fuso, attendeva di conoscere il suo destino con le armi nemiche puntate alla schiena, mentre tenta inutilmente di restare impassibile di fronte alla vista del fratello in fin di vita.
Percepisce le Norne dipanare il suo filo dorato di fianco a quello del fratello, osservando i punti sfilacciati e i nodi che ingarbugliano la matassa, valutando su quale dei due far calare la lama della forbice… Loki ha una preferenza, ce l’ha sempre avuta.
Tenta di trattenersi di fronte alle urla di Thor, testando la sua tempra di fredda indifferenza, ma il suo sguardo liquido lo tradisce.
Si scopre in colpa e in debito nei confronti del fratello, dando vita ad un inconscio istinto di protezione… non ha mai fatto tante cose, detto parole e frasi di conforto, non ha mai allungato una mano in un semplice gesto d’aiuto senza trasformarlo in qualcos’altro… a differenza del fratello, che nonostante tutto non ha mai perso sul serio la speranza nei suoi confronti.
Loki ha un debito enorme, vorrebbe restare fedele a se stesso, lo vorrebbe sul serio… ma urla al titano di fermarsi.
Il debito va saldato… solleva il mento in segno di arroganza, mentre l’universo trattiene il fiato di fronte all’epilogo della vicenda, prima che cali definitivamente il sipario sulla tragedia.

I hear Jerusalem bells a-ringing
Roman cavalry choirs are singing
Be my mirror my sword and shield
My missionaries in a foreign field
For some reason I can't explain
I know St Peter won't call my name
Never an honest word
But that was when I ruled the world

Il dio degli inganni compie un passo in avanti, suscitando la curiosità delle Norne, che lo osservano mentre consegna il Tesseract lasciando sospesa la forbice tra i due fili tesi.
Loki non sa spiegarselo con precisione, ma sa ancor prima di far apparire il coltello dietro alla sua schiena che lui non si salverà dall’ultimo inganno.
Rassicura il fratello, proclamandosi figlio di Odino accettando l’indissolubile legame fraterno, rivolgendogli le uniche parole completamente oneste che ha mai proferito in vita sua… non vuole che le ultime frasi che Thor ricordi di aver scambiato con lui siano “sei proprio il peggiore dei fratelli”.
Lo legge nel suo sguardo, la consapevolezza che l’impensabile sta per accedere e che la sua vita sta per giungere al termine, mentre le parole sfuggono dalle sue labbra sotto forma di dolce promessa… “ti assicuro fratello, il sole brillerà nuovamente su di noi”.
Lo guarda negli occhi con tutta la sincerità e l’amore di cui è capace, stringendo il manico del coltello che tiene nascosto dietro la schiena… per poi aggrapparsi alla mano violacea che gli blocca l’arrivo dell’ossigeno ai polmoni.
Cede esanime, gettato a terra con la grazia scomposta di una bambola di pezza, le lacrime cristallizzate agli angoli degli occhi... mentre le Norne commosse calano la forbice recidendo il suo filo, in un rumore secco e definitivo che risuona nel silenzio dell’universo.



Commento dalla regia:
Ad essere sincera non sono soddisfatta al 100% della resa di questo capitolo, non so se perché sono strettamente legata quasi sentimentalmente a “Viva la vita”, o semplicemente perché Loki è un personaggio estremamente complesso.
In ogni caso, a voi le spiegazioni/riferimenti del caso: ho voluto giocare con gli elementi della mitologia norrena (Norne e Yggdrasill nello specifico), sul fatto che Loki ha un’infinità di anni sulle spalle (con riferimenti all’età romana ricollegabili al testo della canzone e ad eventi storici di vario genere) e che l’attacco di New York è stata la causa della sua rovina, prendendo per buona la conferma che all’epoca anche lui era caduto sotto l’influenza della Gemma contenuta nello scettro.
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, qualunque commento è sempre ben accetto!
_T

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Capitolo 7
*** Violet hill ***


VIOLET HILL - James “Bucky” Barnes
[link alla canzone]



Was a long and dark December
From the rooftops I remember
There was snow, white snow
Clearly I remember
From the windows they were watching
While we froze down below
When the future's architectured
By a carnival of idiots on show
You'd better lie low
If you love me, won't you let me know?

I tetti imbiancati di Mosca erano uno spettacolo per gli occhi, tanti piccoli quadrati candidi, resi violacei dalla luce della luna.
Il tempo sembra essersi bloccato, mentre il vento pungente riapre le crepe sulle nocche già mutilate, portando via il fumo e la spolverata di cenere che precipita dal mozzicone di sigaretta che pendeva dalle labbra di James, un puntino luminoso nel buio candido.
Natalia sbuca alle sue spalle cingendogli la vita, esprimendo il desiderio futile e irrealizzabile di scappare via da lì... li avrebbero trovati in capo al mondo, non potevano semplicemente correre via dai cancelli del Cremlino senza guardarsi indietro, qualcuno li osservava sempre dall’alto dei tetti imbiancati di Mosca.
James registra appena il desiderio espresso dalla donna, gli chiede se la seguirebbe, gli chiede se la ama davvero… ma entrambe le risposte vengono proferite con un sussurro che viene disperso nel vento, sfiorandole la nuca in una carezza, depositando un leggero bacio sulle labbra della donna.
James torna a posare di nuovo gli occhi sulla neve immacolata, seguendo il movimento dei fiocchi di neve che si posavano inesorabili sui marciapiedi, coprendo i fiumi di sangue che tingono le strade, sui capi di innocenti, aguzzini e vittime senza discriminazioni... Mosca ricoperta di neve li illude entrambi che sia un bel posto dove vivere.

Was a long and dark December
When the banks became cathedrals
And a fox became God
Priests clutched onto bibles
Hollowed out to fit their rifles
And a cross held aloft
Bury me in armour
When I'm dead and hit the ground
My nerves are poles that unfroze
If you love me, won't you let me know?

James sapeva che prima delle Alpi era stato un bravo stratega, ricordava che al bunker lo screditavano in molti, ma alla fine anche i reticenti avevano dovuto ammettere che c’era più di un buon motivo se era il braccio destro del Capitano, oltre all’ovvio lascito d’infanzia e il tacito accordo che li legava indissolubilmente fino alla vera fine. Non sapeva determinare con precisione quando aveva riconosciuto tale dote scindendola dall’indole del Soldato perfetto, ma qualcosa dentro il suo cervello si era sgretolato, permettendo al Sergente di farsi strada guidato dal filo rosso del suo codice morale, paradossalmente riaffiorato mentre tentava di spezzare una ragazzina rossa come il fuoco e dalla tempra d’acciaio.
Aveva riscoperto le sue doti da stratega al momento giusto, appena in tempo per pianificare la fuga dallo stesso inferno che condivideva con Natalia, cercando il modo per scappare senza lasciare impronte sulla neve già macchiata di sangue.
James non sapeva quando il desiderio irrealizzabile di scappare era diventato concreto, quando la teoria si era tramutata in pratica… ma dopo settimane di attenta pianificazione non riusciva a capire quale fosse stata la falla nel sistema. Forse aveva commesso un errore di calcolo, forse aveva proferito una parola di troppo o inflitto una pugnalata di meno… forse le sue doti di stratega erano arrugginite dal tempo, forse le sinapsi del Soldato non erano mai riuscite a raggiungere e ricollegare sul serio i ragionamenti del Sergente.
Se ne era reso conto tardi, quando la pallottola aveva tentato di stroncargli il fiato a tradimento, prima che la scarica di piombo si abbattesse su di lui nel tentativo di placare la furia omicida quando aveva visto gli uomini armati avvicinarsi pericolosamente alla sua piccola ballerina.
James aveva tramortito diverse guardie prima di ritrovarsi a terra in mezzo ad una pozza di sangue, venendo trascinato di peso fino al laboratorio. Aveva cercato lo sguardo di Natalia per un’ultima volta, trovandola all’altro capo della stanza, spaventata, urlante e in lacrime, mentre le guardie la scortano lontano da lui.
Natalia supplicava con tutto il fiato che aveva in gola che lo risparmiassero, incurante della propria sorte, dibattendosi con la canna del fucile puntata alla tempia… James avrebbe voluto gridare con la stessa forza che la liberassero, che un’anima infuocata come quella di Natalia non apparteneva davvero ai venti siberiani e al nevischio che calava d’inverno su Mosca, ma le loro urla erano state inutili di fronte ai loro padroni… tutti quei sussurri che si erano scambiati sotto l’ombra del Cremlino erano stati spazzati via dopo la prima scossa ad alto voltaggio.
Restavano solo urla e parole sconnesse disperse tra i vicoli di Mosca, l’ultimo ricordo tangibile della sua piccola ballerina ridotto ad una fragile traccia nei recessi della sua memoria, un grido disperato perso nel tempo che per un breve periodo aveva avuto lo stesso significato di un “ti amo”.

I don't want to be a soldier
Who the captain of some sinking ship
Would stow, far below
So if you love me why'd you let me go?

James aveva tentato di seppellire il Soldato precipitando nel fiume Potomac, cercando una redenzione per le sue azioni trascinando il fratello riconosciuto sulla riva, allontanandosi con sguardo sfuggevole alla ricerca del Sergente che sapeva di essere stato una volta.
Aveva fatto ricerche, recuperando frammenti di ricordi dai giornali e dai musei, viaggiando senza sosta alla ricerca di un punto di arrivo per la sua anima inquieta… consapevole che una strategia senza tattica è un cammino lento in partenza. [*]
In due anni era riuscito a raccogliere i cocci del Sergente, in un processo lungo e tortuoso scandito da incubi e sensi di colpa, incollando i pezzi con frammenti sconnessi e flebili ricordi di troppe vite precedenti. Sapeva di essere stato un Sergente per il suo Paese e un Soldato per i suoi padroni, ricordava di essere stato anche un “James” per un’anima rosso fuoco… ma desiderava disperatamente di ritornare ad essere un “Bucky” per il suo Capitano, trovandosi impreparato quando suo fratello aveva fatto irruzione nella sua vita sfondando la porta del suo appartamento a Bucarest, trascinandolo lontano dai resti di una piovra malconcia che minacciava di soffocarlo di nuovo.
Steve aveva gettato all’aria la sua vita e i suoi progetti per lui, decretando che la percentuale di “Bucky” che James aveva recuperato era sufficiente per renderlo meritevole di essere salvato, a prescindere se lui condivideva o meno quell’azione avventata, fregandosene dei rischi che comportava una scelta del genere… incurante che una tattica senza strategia è solo clamore prima di una sconfitta annunciata. [*]
Iron Man e soci avevano provato a far rinsavire Steve a suon di pugni nel bel mezzo di un aeroporto a Lipsia, ma era stato un tentativo inutile, demolito dalla cocciutaggine di Steve e dal reale pericolo di una minaccia molto più grande di una firma di su un pezzo di carta… solo Natalia era riuscita effettivamente a sbarrare loro la strada, l’anima rossa che bruciava immutata con la stessa intensità di sempre, il ricordo di un grido sussurrato tra le labbra mentre si spostava per lasciarli passare.
La sua piccola ballerina aveva ceduto il passo al Capitano e al Sergente, non si era voltata per richiamare indietro il suo James, semplicemente aveva finto che non fosse mai esistito per non complicare ulteriormente le cose… ma lo sguardo l’aveva tradita, un microscopio barlume di speranza smorzato immediatamente, un sintomo lampante che anche lei certe cose non avrebbe potuto dimenticarle nemmeno volendo.
James si era lasciato scivolare addosso quello sguardo per il bene di entrambi, aveva incollato i cocci restanti della sua anima, seguendo la fede cieca che riponeva nel fratello. Una vita prima avevano giurato di restare insieme fino alla vera fine, aveva seguito Steve imbarcandosi in quella nave prossima al collasso, colando a picco nel mare ghiacciato della Siberia, affondando definitivamente di fronte ai compromessi e agli errori invalicabili commessi in una strada deserta che portava al Pentagono… dopotutto la traiettoria di un’anima spezzata punta sempre verso il collasso.

I took my love down to violet hill
There we sat in snow
All that time she was silent still
So if you love me, won't you let me know?
If you love me, won't you let me know?

James adorava aspettare l’alba, negli ultimi tempi trovava difficile dormire, ritrovandosi sempre più spesso a fuggire dalla sua tenda all’accampamento, sedendosi sulla cima del dirupo per osservare il sole africano che si levava tingendo il cielo di viola.
Per qualche secondo, osservando le nuvole lilla striate di violetto, poteva illudersi di avere ancora dieci anni, immaginandosi sopra i tetti di Brooklyn insieme a Steve ad aspettare il sorgere del sole su tempi più felici ed innocenti.
In Wakanda le albe e i tramonti erano i più intensi che avesse mai visto, i colori si fondevano tra loro in esplosioni uniche in grado di infondergli un po’ di pace, scatenando al contempo valanghe di ricordi… James si rivedeva sul terrazzo di Mosca ad osservare il pendio innevato che si perdeva nella steppa, la presenza silenziosa di Natalia al suo fianco mentre la luna tingeva la brina di viola, la mano calda stretta intorno alla sua, affondando le unghie nella sua pelle per ancorarlo a quei brevissimi momenti di felicità.
Gli attimi sereni erano stati stroncati dal ghiaccio e dalle lancette inesorabili dell’orologio… quando aveva rivisto Steve e Natalia tra gli alberi sferzava vento di guerra, accogliendo entrambi sul campo di battaglia con un nuovo peso d’oro e vibranio sulla spalla sinistra, sfiorando il grilletto di un mitragliatore con l’indice destro.
Aveva combattuto procrastinando discussioni lasciate in sospeso ancora anni prima, digrignando i denti mentre prendeva la mira e faceva piovere proiettili sugli invasori intergalattici, coprendo le spalle al suo Capitano, alleggerendo la mole di avversari alla sua piccola ballerina.
A battaglia conclusa si era guardato intorno, cercando Natalia con lo sguardo tra le sterpaglie della giungla africana, scontrandosi invece con le domande senza risposta proferite dal fratello a qualche metro di distanza.
Poi c’era stato quell’attimo indefinito come un battito di ciglia… e James aveva percepito un malore all’altezza dello stomaco, qualcosa all’interno del suo corpo era stato reciso dilaniando i suoi organi, ritrovandosi a chiamare il fratello con un filo di voce, come se nei suoi polmoni si fosse depositato un quintale di cenere… muovendo un passo in avanti, spostando il peso su una gamba inconsistente, mentre le sue dita si sgretolano facendo scivolare l’arma a terra, registrando appena il rumore sordo del mitragliatore che impatta contro il terreno.
La vista di James si appanna, percependo una luce bianca striata di viola, la medesima sfumatura della neve che d’inverno ricopriva i vicoli di Mosca… tramutandosi in cenere con una richiesta d’aiuto ancora impressa sulle labbra, lasciando aleggiare nel silenzio centinaia di domande senza risposta.



Commento dalla regia:
Questo capitolo è il motivo per cui esiste l’intera raccolta, con ovvie deduzioni su chi sia il mio favorito all’interno dell’MCU.
L’intera song-fic è costellata di riferimenti alla relazione tra Bucky e Natasha, rifacendomi blandamente a tutti i miei headcanon sviluppati in “1956”.
Per concludere, vorrei far notare che nonostante sia la risposta mancata di Natalia a far da filo conduttore per l’intera canzone seguendone il testo, una nota di merito va anche alla presenza di Steve, in particolare per il modo in cui rientra nella sua vita con vari riferimenti a Lipsia/Siberia/1991.

[*] Il Capitano (la tattica) e il Sergente (la strategia) sono due figure complementari, due lati della stessa medaglia (senza entrare nello specifico del background di entrambi i personaggi), interpretare come meglio credete le massime citate.

Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, qualunque commento/opinione è assai gradito.
_T ;)

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Capitolo 8
*** Strawberry swing ***


STRAWBERRY SWING - Wanda Maximoff

[link alla canzone]



They were sitting
They were sitting on the strawberry swing
Every moment was so precious

Wanda ha otto anni, corre spensierata tra le bancarelle della fiera mentre Pietro la insegue lungo il vialone principale, ride brandendo il bastoncino di zucchero filato che si presumeva dovessero dividere insieme.
Il fratello la raggiunge inciampando sui lacci delle scarpe slacciati, ruzzolando a terra strappando i pantaloni sulle ginocchia, rialzandosi con un sorriso innocente sulle labbra lanciandosi alla conquista dello zucchero filato come se nulla fosse.
Bisticciano su chi deve avere la priorità per assaporare quella nuvola rosa portatrice di carie, con Pietro che vanta il diritto di anzianità per quei fatidici dodici minuti, mentre lei cerca di compatirlo con la sua miglior espressione da cucciolo bastonato.
Si placano entrambi quando loro padre sequestra loro il dolce mettendo fine alla lite, cedendo arrendevole nel comprare un altro bastoncino quando Wanda gli si attacca ad una gamba minacciando di scoppiare in lacrime.
Addenta felice la nuvola rosa, sorda ai rimproveri di sua madre quando si accorge di dover rammendare di nuovo i pantaloni di Pietro, seguendo il padre lungo il viale ammirandolo con lo sguardo luccicante quando sfila dalle tasche i biglietti per la ruota panoramica.
Wanda ride sovrastando le grida euforiche del gemello quando la ruota comincia a salire, sporgendosi dalla cabina in prossimità del punto più alto cercando di afferrare le nuvole della stessa sfumatura dello zucchero filato.
Ride con le lacrime agli occhi, lo sguardo puntato sul sole calante… i secondi dalla durata di attimi eterni che si inseguono veloci, smorzando la sua risata lasciando spazio solo alle lacrime, quando due anni dopo una bomba precipita dal cielo sventrando il salotto.
Era tutto così perfetto… poi il nulla, nel giro di un battito di ciglia.

They were sitting
They were talking under strawberry swing
Everybody was for fighting
Wouldn't want to waste a thing

Wanda ha quattordici anni, non soffre la fame da diverso tempo, ma crede che l’emicrania possa ucciderla da un momento all’altro. Urla sprigionando scintille cremisi dalle dita, spaventata dai risultati degli esperimenti, ma determinata a riuscire a controllare quella sua nuova parte di sé.
Pietro la chiama dalla cella a fianco, percepisce il rumore indistinto di un corpo che si schianta contro la parete di vetro della cella, i pensieri caotici del fratello che urlano in contrapposizione al sussurro che gli sente proferire attraverso la parete.
Con quella decisione avventata pensava di salvarli da morte certa per aver derubato le riserve alimentari dell’HYDRA, ricordava di essersi sentita sollevata nel sapere che von Strucker aveva accettato di ripagare l’affronto subìto scegliendoli come cavie volontarie per gli esperimenti, ma non aveva mai accennato a quanto il processo potesse rivelarsi doloroso. C’era voluto tempo perché Wanda imparasse a controllarsi, ce ne era voluto altrettanto perché i loro padroni ritenessero abbastanza sicuro ed opportuno far incontrare i gemelli senza un muro di vetro in mezzo a loro per dividerli… aveva sedici anni quando la sua nuova vita era diventata la normalità, quando von Struker aveva dichiarato esplicitamente che i Maximoff erano un miracolo trasformato in arma.
Wanda percepiva il mondo ai suoi piedi, egoista ed altezzosa nel credersi invincibile, reputata insieme al gemello la punta di diamante dell’armeria dell’HYDRA, armi preziose che tuttavia andavano nascoste al mondo… da usare quando era necessario, privandoli definitivamente della libertà a cui avevano innocentemente rinunciato volontariamente.
I gemelli si erano ribellati, dopotutto li preparavano ad una guerra, era stato naturale come respirare prendere parte al conflitto. Gli Avengers erano entrati in casa loro, guidati dall’uomo che aveva disintegrato la loro infanzia in milioni di schegge… Pietro si era sorpreso nel vedere la gemella compiere quel salto nel vuoto imprevedibile ed incontrollabile, ma Wanda aveva sorriso quando aveva permesso a Stark di afferrare lo scettro, intenzionata a restituire il favore.
Forse avrebbe dovuto ascoltare il fratello e farsi qualche scrupolo in più, avrebbe dovuto credergli quando l’aveva avvisata che per ogni azione c’è una conseguenza, che per ogni affronto c’è sempre un prezzo da pagare.
Wanda aveva ripagato Stark con la stessa moneta puntando a distruggere il suo intero mondo, ma come il gemello aveva previsto il prezzo era stato elevato… il prezzo era stato Pietro, morto con gli occhi rivolti al cielo, dissanguato crivellato di proiettili.

Cold, cold water bring me round
Now my feet won't touch the ground
Cold, cold water what you say?
When it's such, it's such a perfect day
Such a perfect day

Wanda ha diciassette anni, un sorriso falso quanto una banconota da tre dollari e cicatrici così profonde da impedirle di fare un passo senza provare dolore.
Si era trasferita a New York dopo la Sokovia ed era stata una doccia fredda sotto tutti i punti di vista, catapultandosi nella vita di quelli che considerava nemici, estraniandosi da quel perdono che reputava immeritato, misto alla diffidenza che gradualmente era scomparsa missione dopo missione.
I mesi si erano rincorsi veloci, a tal punto che Wanda aveva smesso di chiedersi il perché dovesse alzarsi dal letto alla mattina, limitandosi a scendere in cucina in punta di piedi cercando una tazza di caffè per affrontare meglio la giornata per mero istinto di sopravvivenza.
Gradualmente si era risvegliata dallo stato di torpore in cui era volutamente precipitata, cicatrizzando la ferita causata dalla mancanza di Pietro, sostituendo il silenzio vuoto che la circondava con piccolissimi dettagli apprezzabili… una correzione per sferrare un pugno micidiale da parte di Natasha, un libro in prestito e un buon consiglio da parte di Steve, uno sguardo un po’ meno carico di odio da parte di Stark.
I rumori che fino a quel momento erano stati attutiti dal fiume in piena dei suoi sentimenti caotici, erano tornati a colorare di suoni la sua nuova esistenza, in un processo lento e graduale di cui era stata consapevole solo in un secondo momento. Apriva gli occhi quando il sole faceva capolino dalla sua finestra, alzandosi intorpidita ascoltando la vita in fermento all’interno del Complesso che non si fermava mai, trovando sempre qualcuno di sveglio a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Wanda si alzava con il rumore della brocchetta straripante della caffettiera e il fischio assordante del bollitore del the, trascorrendo il resto della giornata alternando il suono abitudinario dei pugni fasciati di Steve contro il sacco di cuoio, con le note del pianoforte inframmezzate dal graffiare delle punte da ballo di Natasha e le chiacchiere degli ospiti occasionali, passando per il tramestio delle pentole a pranzo e a cena, addormentandosi ascoltando la confusione dei compagni di squadra ma senza prenderne davvero parte.
Quando giungeva la notte trapuntando il cielo di stelle, si rifugiava in terrazzo scaldandosi entrambe le mani sorreggendo una tazza di camomilla, mescolando lo zucchero con un movimento svogliato del cucchiaino sospinto da una scintilla cremisi.
Se chiudeva gli occhi davanti agli astri luminosi, Wanda poteva illudersi di sentire la risata del fratello echeggiare nelle stelle, simile a quella di un principe lontano che si preoccupa per la sua rosa a galassie di distanza… una serata perfetta, a modo suo.

I remember we were walking up to strawberry swing
I can't wait until the morning
Wouldn't want to change a thing

Wanda sorseggiava la sua camomilla come ogni sera, incurante della pioggia che inizia a picchiettarle sul capo, seguendo con lo sguardo i nuvoloni neri che illuminano il cielo.
Sua madre le raccontava sempre che lei e il gemello erano nati nell’ora delle streghe mentre fuori imperversava una tempesta… da piccola, dopo averlo scoperto, Wanda si era beccata più di qualche raffreddore a forza di stare sotto la pioggia a guardare i temporali. Adorava l’elettricità nell’aria, l’odore della pioggia sull’asfalto e le scosse elettrostatiche che si sprigionavano dalle sue dita ogni volta che sfiorava Pietro quando la raggiungeva riparandola con l’ombrello… poteva illudersi di avere dei poteri magici, ci scherzava sempre con il gemello, ma per ironia della sorte era realmente finita per diventata una strega.
Sorseggia la sua camomilla annacquata, ammirando i fulmini che squarciano il cielo, sorprendendosi quando la pioggia smette di bagnarla, sollevando lo sguardo su Visione che la ripara con un ombrello.
La avvisa con voce gentile che rischia di prendersi un raffreddore, mentre lei risponde che non le importa e che ama i temporali, che forse la pioggia può lavare via i suoi errori e nascondere le sue lacrime… e Visione la sorprende, con il suo fare ingenuo ed impacciato, confessandole che pur conoscendo la teoria dietro al fenomeno atmosferico, i lampi e i tuoni gli fanno tremare i circuiti di elettricità statica e che trova grandiosamente incredibile che lei avverta una sensazione molto simile ogni volta che usa i suoi poteri.
Wanda vorrebbe dirgli che non c’è nulla di grandioso in ciò che è o ciò che fa, ma lo sguardo di Visione la fa sentire speciale… gli stringe la mano in segno di gratitudine e le notti non più solitarie smettono di farle provare nostalgia, rimpianti o infondata paura per quei demoni celati nelle ombre.
Le notti a seguire, quelle che credeva senza fine, diventano brevi e divertenti… l’alba sorge sorprendendola sempre più spesso a ridere, persa nello sguardo camaleontico di Visione, e per la prima volta dopo moltissimo tempo non desidera più cambiare nulla.
La nuova normalità le va bene così, niente più lacrime e cupi silenzi, ma più camomille annacquate cosparse di zucchero e risate.

People moving all the time
Inside a perfectly straight line
Don't you wanna just curve away?
When it's such, it's such a perfect day
It's such a perfect day

Wanda aveva raggiunto la cucina, guidata dal profumo delle spezie che non avvertiva da decisamente troppi anni, sorprendendo Visione ai fornelli intento a preparare il paprikash.
L’androide non aveva il senso del gusto, si era scusato per il sapore probabilmente discutibile della pietanza, smascherando i suoi tentativi di risollevarle lo spirito tentando di fare qualcosa di carino per scacciare i brutti pensieri.
Ma Wanda non poteva ignorare che al di fuori della gabbia dorata in cui Stark l’aveva rinchiusa i problemi c’erano, che mentre lei guardava film e si rimpizzava di schifezze insieme a Visione, fuori dalle mura del Complesso i potenti di tutto il mondo stavano decidendo se ridurla agli arresti domiciliari a vita.
Non si era tirata indietro dal combattere a Sokovia per liberarsi dalle macchinazioni dell’HYDRA, per salvarsi dai piani megalomani di Ultron e per rendere il mondo un posto migliore… di certo non si sarebbe tirata indietro dal lottare per avere la possibilità di andare al supermercato a comprare la maledettissima paprika senza avere la scorta o la supervisione di qualcuno.
Clint l’aveva istigata, demolendo la sua debole resistenza affermando che non c’era tempo per inutili piagnistei, scusandosi per aver fatto sfondare una decina di piani a Visione controllando la sua Gemma, seguendo l’arciere a Lipsia per difendere il fratello fuggitivo del suo mentore ed i brandelli della sua libertà guadagnata dopo essere scappata da von Strucker.
Wanda aveva compreso con pena infinita che, a combattere la paura generandone altra, aveva solamente guadagnato l’internamento ed un collare inibitore.
Mentre era rinchiusa i confini delle fazioni si erano confusi, Romanoff aveva disertato dalle fila di Stark in loro favore, così il Capitano era arrivato a salvarli portandoli il più lontano possibile dal Raft.
Si era nascosta ad Edimburgo, raccogliendo i pezzi di ciò che restava di se stessa… sorprendendosi quando mesi dopo, infradiciandosi sotto un acquazzone a contemplare i fulmini, Visione era apparso al suo fianco coprendola con un ombrello.
Wanda era consapevole che la sua anima non si era mai mossa su una linea diritta tracciata su un pezzo di carta immacolata, al contrario, era un scarabocchio intricato, frastagliato ed a tratti sbavato… ma quando Visione aveva stretto la mano nella sua, aveva avuto l’inconfutabile certezza che l’anima dell’androide non era perfetta e rettilinea quanto credeva, ma era caotica e complessa al punto da curvare nella direzione del suo scarabocchio complicato per fondersi con esso… intrecciandosi alla sua anima spezzata a metà in un nodo indissolubile, suggellato con un bacio da lungo atteso.
Erano rimasti sotto il temporale, mano nella mano riparati appena da un ombrello, i lampi accecanti ad illuminare una notte semplicemente perfetta.

Now the sky could be blue I don't mind
Without you it's a waste of time
Could be blue I don't mind
Without you it's a waste of time
Now the sky could be blue could be grey
Without you I'm just miles away
Oh the sky could be blue I don't mind
Without you it's a waste of time

Wanda ha a malapena vent’anni, ma si reputa abbastanza adulta per sapere cosa desidera e cosa non vuole dalla vita.
Desiderava una vita serena con Visione, un rifugio sicuro in un appartamento dimenticato dal mondo eletto a piccola oasi felice… un desiderio sacrosanto, spazzato via brutalmente da una minaccia molto più grande di loro, la stessa che causava le emicranie di Visione e spaventava lei a morte dai piccoli scorci che aveva intravisto nella mente del compagno.
Il suo mentore era corso in loro soccorso, portandoli in Wakanda per tentare di salvare tutti loro… anche se, motivata dall’egoismo dei vent’anni, Wanda desiderava unicamente salvare Visione e riappropriarsi della sua oasi felice, in una speranza difficile da smorzare.
Le era stato ordinato di proteggere Visione, ma il richiamo alla battaglia era stato istintivo, scendendo in campo facendo abbattere sui suoi nemici la tempesta energetica di cui era figlia… ma tutti i suoi sforzi erano stati inutili, non era giusto che quel compito spettasse a lei, ma si era ritrovata ad uccidere l’amore della sua vita.
Le aveva detto di amarla un'ultima volta, prima che la Gemma si spezzasse in centinaia di frammenti, scaraventandola indietro a causa dell’onda d’urto.
Si sentiva troppo annientata per reagire… ma ci aveva provato lo stesso in un ultimo disperato tentativo, quando aveva visto sconvolta il corpo di Visione tornare in vita unicamente per morire in modo atroce. Si era gettata in lacrime sulla carcassa del compagno, versando fiumi di lacrime amare… nulla aveva più importanza, sola in un mondo bianco, freddo e vuoto.
Abbracciava il guscio vuoto e senza vita di Visione quando aveva percepito il suo corpo dissolversi… desiderava morire, ricongiungendosi al suo amore e al gemello, pregando che le sue suppliche venissero ascoltate.
Quando il suo corpo aveva iniziato a ridursi in cenere aveva sollevato lo sguardo al cielo in un muto ringraziamento a qualunque divinità misericordiosa… non si era soffermata a definire se il cielo fosse blu o grigio, era solo sconfinato e prometteva libertà.
La morte era giunta come una benedizione… semplice, immediata, misericordiosa e perfetta.



Commento dalla regia:
Wanda Maximoff è sempre una sfida ardua, ho cercato di fare del mio meglio per immedesimarmi e renderle giustizia.
Ho voluto concentrarmi su Pietro, per ovvie ragioni, e Visione, per motivazioni altrettanto palesi.
Nel corso della stesura ho voluto puntare il dito su un paio di cose: in primis, il rapporto mentore-allieva con Steve che spesso viene dimenticato, e secondo, il rapporto conflittuale con Stark e le interazioni con tutti gli altri Avengers… spero di essere riuscita a mostrare al meglio la sua prospettiva sulle vicende trattate, personalmente è stato interessante entrare in un'ottica così inusuale.
Infine, i riferimenti fumettistici/personali: ho saltato a piè pari l’approfondimento sulla reclusione al Raft, ho già affrontato l’argomento sempre dal punto di vista di Wanda in separata sede (link per i curiosi) e temevo che con una seconda ripetizione il capitolo diventasse troppo dispersivo. Per quanto riguarda la venuta al mondo dei gemelli, secondo i fumetti la loro nascita è effettivamente avvenuta nell’”ora delle streghe” mentre fuori imperversava una tempesta, lo trovavo un dettaglio interessante ed ho voluto giocarci.
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento, qualunque commento è ben accetto, non siate timidi!
A lunedì prossimo con il capitolo finale,
_T

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Capitolo 9
*** Death and all his friends ***


DEATH AND ALL HIS FRIENDS - Natasha Romanoff
[link alla canzone]



All winter we got carried
Away over on the roof tops, let's get married
All summer we just hurried
So come over, just be patient and don't worry
So come over, just be patient and don't worry

Natalia non ricorda di aver mai vissuto un singolo giorno della sua permanenza in Madre Russia senza la supervisione pressante del patrigno o l’ombra inquietante delle mura del Cremlino ad oscurarle il sole.
Se chiude gli occhi e si concentra, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a rivivere un singolo fotogramma felice della sua intera infanzia… dopotutto la Morte Rossa non ha sentimenti, non ha radici e non ha ricordi.
Esiste semplicemente… bella ed innocente come la neve, letale e fredda come il vento glaciale che soffia d’inverno sulla steppa siberiana.
Si trascina giorno dopo giorno lungo il percorso monotono della sua esistenza… le percosse, la fame, il sesso, la tortura, la morte.
Natalia crede di non poter più essere in grado di provare un qualsiasi tipo di sentimento… mostrandosi reticente ad eseguire gli ordini solamente dopo aver riscoperto la propria anima, iniziando a porsi domande scomode, imponendosi scrupoli pericolosi. La fiammella che alimentava nel segreto di una cella era esplosa in un incendio, prorompente e devastante, carbonizzandola fino all’osso celebrando la sua cerimonia di laurea… eliminando la possibilità di un futuro, lasciandole un vuoto indefinito che non ricordava e non sapeva di preciso come colmare.
La neve aveva coperto tutti i misfatti sotto lo stuolo misericordioso della neve candida, scandendo i giorni che inseguivano la primavera con lo sgocciolio ritmato dei fiocchi di neve scongelati... rincorrendo uno sguardo color del ghiaccio sopra i tetti di Mosca, trascinando le loro disavventure lungo i vicoli insanguinati e sotto un lampadario impolverato forzatamente dimenticato.
C’era stato un sodalizio nascosto agli occhi dei padroni, un segreto consumato tra le pareti d'una stanza, divampando in fretta mitigato dall’estate russa… ma ogni stagione giunge al suo termine, il vento autunnale aveva spazzato via i fragili castelli di carta che avevano innocentemente costruito con speranze vane e sogni irrealizzabili, mentre i fiocchi di neve nascondevano gli sporchi accordi di un matrimonio ingannevole.
Negli anni a seguire Natalia si era sentita ripetere fin troppe volte di non porsi problemi, di stare al suo posto, di non preoccuparsi… ma la Morte Rossa non è fatta per stare rinchiusa in un angolo, era stata creata per mietere cuori infranti al suo passaggio, reclamando tutto ciò che è suo di diritto senza fare sconti a nessuno.
Forse i suoi padroni avrebbero dovuto pensarci un paio di volte prima di depositare tra le sue mani così tanto potere, forse suo padre avrebbe dovuto farsi qualche scrupolo in più prima di venderla al miglior offerente… che a privare la Morte Rossa di tutto ciò che ha di più sacro, nel volerla annullare confinandola nel corpo di una bambola di pezza da esporre in vetrina, non va mai a finire bene.
Continuavano a ripeterle di essere paziente, di non preoccuparsi… che i mostri cattivi sono al di là del Muro e che lei era l’arma di Madre Russia per sconfiggerli.
Ma poi era accaduto l’imprevedibile: il Muro era crollato, esondando verità nascoste, travolgendola come un fiume in piena.
Natalia aveva ricordato qualcosa, poi i dubbi erano proliferati riversandole addosso tutti i fotogrammi mancanti, troppi dettagli e troppo in fretta. Il piedistallo su cui aveva posto suo padre era crollato sotto il peso dei tranelli e delle bugie, suo marito era stato sgozzato sull'altare della patria nel vano tentativo di contenerla, in un sacrificio all’epoca ritenuto utile allo scopo… ma la Morte Rossa era scesa ugualmente tra le strade, ricoprendo di sangue il selciato, macchiando la neve immacolata che in tutti quegli anni aveva celato fin troppi segreti e misfatti, implacabile e glaciale come la Siberia di cui era figlia.

So come over, just be patient and don't worry
And don't worry

Natalia non sa secondo quale criterio suo padre abbia eletto Budapest a luogo sicuro per nascondersi, se lo ritiene un posto abbastanza lontano per sfuggire dal crollo imminente del grande impero di Madre Russia.
Suo padre credeva di avere ancora un qualche tipo di controllo sul suo operato, che Natalia sia ancora la sua docile piccola ballerina progettata per ballare in punta di piedi sul cuore sanguinante degli uomini, illudendolo ma progettando con pazienza calcolatrice e morbosa ogni più piccolo dettaglio per potersi dare alla fuga senza lasciare tracce.
Natalia sa che un americano armato di frecce le sta dando la caccia, ma non aveva ritenuto opportuno avvisare suo padre del pericolo imminente o dei suoi piani per fronteggiare il nuovo alleato travestito da nemico, decidendo di abbandonarlo a cuor leggero.
Le ultime parole che rivolge a suo padre hanno il retrogusto dell’inganno in atto: lo rassicura dicendogli di essere paziente, di non preoccuparsi… omettendo che l’arma di Madre Russia ormai parteggia per gli americani, che i mostri cattivi non sono mai stati al di là del Muro, ma che ci ha convissuto sotto lo stesso tetto per troppi anni.
Gli ripete con ironia fatalista lo stesso monito con cui suo padre era solito ingannarla, il medesimo mantra che si ripete per impedire il proprio crollo nervoso, mantenendo immutata la sua solita facciata algida e imperturbabile… mentre rade al suolo tutto ciò che la circonda.

Natasha è terribilmente consapevole che la sua nota rossa grondi sangue, che si è macchiata di troppe colpe perché possano essere lavate via da qualche buona azione… non importa quante volte Clint tenti di difenderla a spada tratta dalle grinfie di Fury, ormai si è rassegnata a servire l’America, ma impuntandosi nel voler eseguire esclusivamente gli ordini del Colonnello.
La Morte Rossa ha competenze specifiche che la rendono eccezionale, ascoltando le motivazioni di Fury che le spiega che sarebbe un vero delitto non sfruttare al meglio le sue inclinazioni naturali… al di là del Muro sgretolato le permettono di avere dei sentimenti, di affondare radici, di costruirsi dei ricordi, così Natasha accetta l’accordo concedendosi di chiudere un occhio, mantenendo la propria coscienza sufficientemente pulita su tutto il resto.
Sa di chi sono le bugie che racconta, rassicurando Clint dicendogli di essere paziente e di non preoccuparsi, di chiudere anche lui un occhio sul sangue che non può fare a meno di versare.
Non importa se il sangue sparso è il proprio, con il fianco trapassato tra le strade di Odessa per colpa di una mano amata e perduta nel tempo, oppure se è l’icore violaceo degli alieni che sfrecciano nei cieli di New York.
Ripete ai compagni d’armi che sarà divertente e di non darsi per vinti… mangiando shawarma, mentre fuori dal ristorante li proclamano eroi.

Natasha credeva di sapere di chi erano le bugie che raccontava, aveva dovuto ricredersi quando i burattinai nascosti nell’ombra avevano mosso i fili, portandola al cospetto del presunto cadavere del Colonnello da cui riceveva gli ordini.
Credeva di lavorare per i buoni… disillusa e temeraria, aveva dato una mano al Capitano a radere al suolo quella che credeva casa.
Si era sporcata le mani in prima linea, stanando i mostri che l’avevano cresciuta, contrastando il fantasma del зимний солдат identificandone le origini a distanza di anni, impedendo alla scoperta di interferire con la sua missione, tentando di regolare i conti con l’inferno da cui era fuggita.
Alla fine la polvere si era assestata sui rottami fumanti precipitati nel fiume, i topi erano scappati mentre la barca affondava, lasciandola vulnerabile e senza nessuno a coprirle le spalle per la prima volta dopo troppo tempo, ergendosi a scudo del suo Capitano in mezzo ad un’aula di tribunale affollata senza che qualcuno gliel’abbia chiesto.
Quando Steve riapre gli occhi su un letto d’ospedale, lo rassicura dicendogli di pazientare e di non preoccuparsi… se ne occupa lei, mentre riassembla i cocci di ciò che rimane di sé stessa, fornendogli la prima pista per calcare le orme del fratello perduto.

No I don't want a battle from beginning to end
I don't want a cycle of recycled revenge
I don't want to follow death and all of his friends

Natasha credeva di essere arrivata ad un passo dalla morte quando aveva fiancheggiato Steve dall’alto del precipizio creato da Sokovia, contemplando il panorama sconfinato, l’aria sempre più rarefatta mentre attendevano tutti in religioso silenzio lo schianto inevitabile.
Si erano salvati, non sapeva bene nemmeno lei come… ma a battaglia conclusa non erano stati acclamati nuovamente come eroi, il danno era stato enorme, le perdite erano state troppo elevate.
Il malcontento li aveva spinti a sedimentare l’idea che aleggiava già da tempo di trasferirsi al Complesso fuori New York, ma gli avvoltoi e i problemi li avevano seguiti comunque, presentando il conto delle conseguenze derivanti dal loro operato.
Natasha conosceva abbastanza bene le dinamiche che portavano avanti le sorti del mondo da sapere a priori che, prima firmava quel pezzo di carta, prima l’incubo avrebbe avuto una fine… forse avrebbe dovuto leggere tutte le postille degli Accordi, ma si conosceva abbastanza bene dal sapere che le direttive su di lei non si applicavano mai totalmente, che in caso di necessità avrebbe sicuramente trovato il modo di piegare le regole a proprio favore.
Di certo le tempistiche non erano state dalla loro parte, prima di approdare a Vienna c’era stata una brusca sbandata verso Londra… presenziando ai funerali della leggendaria Margaret Carter.
Natasha non la conosceva poi così bene, ma si era sentita in dovere di stringere la mano a Tony in fondo alla chiesa durante l’omelia e di abbracciare Steve in mezzo alla navata ormai vuota a funzione conclusa.
Il rintocco delle campane e l’avvio del corteo verso il cimitero avevano avuto una ripercussione nefasta su tutta la sua famiglia adottiva, in un monito che rifletteva i dissapori che avevano iniziato a formarsi tra le fila dei vendicatori, mettendoli davanti alla realtà dei fatti… tutti loro si erano scoperti tragicamente fragili ed umani di fronte agli errori di ognuno, sfatando il mito degli eroi leggendari ed invincibili, rimpiangendo i tempi in cui riuscivano ancora a dormire sonni tranquilli.
Natasha aveva tentato di salvaguardare tutti loro da un disastro annunciato con ogni mezzo a sua disposizione, rendendosi conto che avevano tutti superato il limite consentito generando uno scontro armato in piena regola a Lipsia. Un conto erano i battibecchi al tavolo delle trattative, un altro era arrestare i compagni perché difendevano il libero arbitrio per cui anche lei si era battuta strenuamente fino al giorno prima… imponendosi di fermarsi prima di compiere l’irreparabile, disertando, scegliendo il male minore.
Natasha aveva taciuto colpevole di fronte ai lividi di Steve, condividendo i segreti sepolti tra i resti di un bunker in New Jersey, limitandosi a medicargli le ferite, impedendo a tutti coloro che erano rimasti di piangere sul latte versato.
La Morte Rossa si era stancata di combattere, scoprendo di aver sviluppato un rifiuto per Morte e tutti i suoi amici, desistendo e dissuadendo gli altri dal imbracciare le armi per una vendetta fine se stessa… ripiegando nella latitanza, adattandosi al minore dei mali per saldare pazientemente sottobanco i cocci di ciò che resta della sua famiglia.

No I don't want a battle from beginning to end
I don't want a cycle of recycled revenge
I don't want to follow death and all of his friends

Natasha è stanca di combattere battaglie, di generare conflitti per la giusta motivazione o di concludere guerriglie per una causa infame… dopo New York il conto dei morti era aumentato drammaticamente, spingendoli forzatamente tutti verso il baratro, invischiati dal primo all’ultimo in una spirale di vendette, non detti, lingue morsicate e unghie conficcate nei palmi.
La Morte Rossa aveva mascherato ad arte il proprio tumulto interiore, adeguandosi alle nuove regole del gioco su scala intergalattica, prodigandosi per chiudere definitivamente il cerchio a sei anni di distanza… la resa dei conti era giunta, gli invasori avevano cavalcato di nuovo i cieli di New York, finendo per spargere cenere e sangue tra le radici della giungla wakandiana.
Natasha, con le ginocchia affondate nel terreno cosparso di cenere, vorrebbe illudersi di aver abbandonato da molto più tempo la scia di sangue che colora le sue orme, continuando a ripetersi con tono sempre meno convincente che alla morte ci si abitua… ma ciò che rimane, quando la polvere si assesta, è un cumulo di resti, una manciata di bugie e fin troppe speranze infrante.

And in the end we lie awake
and we dream of making our escape
And in the end we lie awake
and we dream of making our escape
[-The Escapist]

“Hai quello che hai quando ce l’hai… sii paziente, non preoccuparti”... prova a ripetersi il mantra per un'ultima volta, ma le parole di auto-consolazione suonano vuote alle sue stesse orecchie, rinunciando anche a quell’ultima terribile bugia… abbandonandosi alla valle di lacrime, naufragando in acque sconosciute.



Commento dalla regia:
Con mio sommo piacere annuncio la conclusione di questa raccolta, ringrazio di cuore chiunque mi ha seguita fino a qui e tutti coloro che hanno recensito e/o inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite! <3
Non mi dilungo troppo sui sentimentalismi, passando subito alle informazioni pratiche: questo capitolo è il punto di partenza e allo stesso tempo il punto di arrivo dell’intera raccolta, non a caso la canzone conclusiva dell’album riassume e condensa le tematiche sviluppate nei capitoli precedenti, come non è un caso che questo brano sia associato a Natasha, che si è sempre mossa nell’ombra legando con un filo rosso tutti i membri male assortiti della famiglia alquanto disfunzionale degli Avengers.
Il testo, il mio scritto e il sound della canzone sono legati a doppio filo, in questo capitolo molto più che nei precedenti, quindi ci tengo a sottolineare che la suddivisione dei tre paragrafi centrali corrispondono a quei due picchi sonori intraducibili a parole cantate.
Per quanto riguarda il primo paragrafo, la mia pignoleria per i dettagli mi impone di spiegarvi i retroscena per i meno ferrati in materia di fumetti: Natalia (classe 1928) entra nel programma Vedova Nera da bambina su ordine del patrigno guadagnandosi l’epiteto di “Morte Rossa”, la rivolta adolescenziale viene sedata con la cerimonia di laurea, lasciando scaturire la scintilla per generare i primi dissapori con i capi del Cremlino, culminando con le conseguenze nefaste della sua relazione con il Soldato d’Inverno… risvolti traducibili con un matrimonio combinato, un reset mentale e la successiva dipartita del marito nel tentativo (fallimentare) di asservirla nuovamente alla causa di Madre Russia. A seguire, menzioni speciali di vario genere, distribuite tra: il Muro di Berlino, il ‘91, Budapest e Clint, i primi anni allo SHIELD, fino agli eventi conosciuti ai più.
Detto questo, confido che quest’ultimo capitolo sia stato di vostro gradimento, nella speranza di essere riuscita a trasmettervi anche solo una piccola parte dell’amore che provo verso questi personaggi!
Buon “Avengers - Endgame” (e probabile collasso emotivo relativo) a tutti, baci,
_T <3

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