Between War and Battle di _Joanna_ (/viewuser.php?uid=539983)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
1.1
Prologo
Era un luminoso e freddo pomeriggio di aprile. Il vento soffiava a
raffiche violente, mentre Charlotte percorreva l'ultimo tratto di
strada deserta. Svoltò l'angolo, appena in tempo per notare un
ometto tarchiato sgattaiolare veloce dentro una bassa abitazione
dall'aspetto fatiscente: non era insolito, dopo l'ultima incursione
aerea tedesca, le persone tendevano a lasciare la relativa sicurezza
delle loro case il meno possibile.
Svoltò di nuovo a destra,
poi a sinistra, imboccando infine lo stretto vicolo che conduceva alla
sua casa. Lì il vento si insinuava fischiando, gelido e
sferzante; si strinse nel cappotto e accelerò il passo.
Salì rapida i pochi gradini
e, giunta davanti alla porta, cominciò a ravanare dentro la
borsa, alla ricerca delle chiavi.
«Ma dove diamine si saranno
cacciate» mormorò sbuffando, continuando a rovistare
frenetica tra le molte tasche interne. D'un tratto, udì la
serratura scattare, quindi la porta venne aperta e sulla soglia
fece capolino la minuta figura di Browny, l'elfo domestico, che era al
servizio della sua famiglia da oltre quarant'anni.
«Ehm» si schiarì la voce Charlotte «Grazie, Browny».
Per tutta risposta, l'elfo si
limito a scuotere la piccola testa grinzosa, borbottando qualcosa a
metà tra il rassegnato e il disgustato.
Decise di ignorarlo e varcò
rapidamente l'ingresso; subito dopo, Browny schioccò le dita e
la porta si chiuse alle sue spalle, quindi, trascinando rumorosamente i
piedi sul pavimento, si allontanò in direzione della cucina.
In quel momento, suo fratello
Albert stava scendendo le scale. Indossava un completo blu scuro, molto
elegante, notò Charlotte, anche se non ricordava che i suoi
genitori avessero in programma di ricevere ospiti quel giorno.
«Sei tornata prima» osservò Albert, raggiungendola.
«Infatti» ribatté lei, in tono piatto.
Suo fratello non diede segno di
voler approfondire la questione; si avvicinò invece al grande
specchio posto sulla parete destra dell'ingresso, accanto agli appendi
abiti.
«Che te ne pare?» le chiese, ammirando il suo riflesso.
«Stai molto bene» rispose Charlotte, neutra ma cordiale.
«Già» concordò lui.
Charlotte si tolse e il
cappotto, quindi, cercando di simulare un tono disinvolto,
domandò «Si tratta di un'occasione importante?»
Albert ammiccò al suo
riflesso «Lo spero» dichiarò e, senza aggiungere
altro, si diresse verso il salotto.
Charlotte scosse la testa e, appeso il soprabito, seguì il fratello.
«Nulla di che, Madre»
lo sentì intanto dire, mentre dava le spalle alla grande
finestra che si affacciava sull'ampio giardino sul retro. A differenza
degli altri della zona, il loro cortile era verde e rigoglioso; la
primavera sembrava essere esplosa solo in quel pezzo di terra. Il resto
del quartiere, infatti, era grigio e spoglio, tetro quanto quei tempi
incerti e pericolosi.
Charlotte avanzò, senza
riuscire a reprimere un moto di pacata incredulità. Nonostante
vi fosse ovviamente abituata, dopo aver passato la mattinata tra lo
squallore delle vita londinese, piegata dalla guerra, la sua casa
sembrava semplicemente irreale, fuori dal tempo.
Il salone, poi, era forse la stanza
più bella dell'abitazione. Spazioso e ben arredato, si
affacciava appunto sul cortile di dietro. Le due alte finestre
fornivano una generosa illuminazione, mentre il grande camino di marmo
giallo Siena, situato nel mezzo, fungeva efficientemente da fonte di
calore.
I due divani di pelle scura, in
perfetto contrasto con il marmo, erano disposti a L vicino alla parete
di sinistra, mentre due poltrone, anch'esse di pelle scura, erano
posizionate di fronte al camino, insieme a un bel tappeto spesso e
finemente intessuto in complicati ricami neri e gialli, che
richiamavano l'appartenenza secolare della famiglia alla Casa
Tassorosso.
Due grandi piante da interno
facevano la guardia ai lati della porta, mentre il lato destro della
sala era occupato da un grande tavolo di lucido legno nero e da una
voluminosa libreria, appoggiata contro il muro; infine, le pareti erano
tappezzate da molti quadri ricercati.
I suoi genitori erano accomodati sulle poltrone e si stavano godendo il dolce tepore del fuoco.
In quell'istante, sua madre si voltò verso di lei.
«Sei tornata presto, cara» osservò; Charlotte si limitò ad annuire.
Avrebbe potuto raccontare che al
lavoro avevano avuto un problema con l'ultima fornitura di carta
carbone; ormai il commercio era al collasso e le poche fabbriche ancora
in funzione erano state completamente riconvertite alla produzione
bellica. Gli operai specializzati erano sottoposti a turni massacranti
per soddisfare le richieste del Governo, mentre la bassa manovalanza
era stata mandata a rinfoltire le fila dell'esercito, o a lavorare nei
campi, affinché le derrate alimentari potessero rimanere
garantite a militari e popolazione civile.
Non era rimasto spazio per altro e
da troppo tempo Charlotte si sentiva stupida a recarsi ogni giorno al
lavoro, nell'enorme British Library, a catalogare e riordinare i
pesanti volumi che nessuno, ormai, aveva più voglia di
consultare.
Ma, appunto, non fece parola di
questo ai suoi genitori; saperlo, non avrebbe fatto altro che
infastidirli, e avrebbe riaperto la vecchia ferita mai del tutto
rimarginata, la vergogna che loro, con grande fatica, avevano sempre
tentato di ignorare, dimenticare: Charlotte era una Maganò.
Quando, da bambina,
Charlotte non aveva dato segni di alcuna abilità magica, i suoi
genitori non si erano particolarmente preoccupati. Dopotutto, zia
Beatrice, la sorella di suo padre, non era stata capace di far saltare
un tappo fino alla veneranda età di undici anni, due mesi e sei
giorni, una data memorabile, visto che appena una settimana dopo si era
ritrovata a bordo dell'Espresso per Hogwarts.
«C'è ancora tempo» ripeteva sempre suo padre, gioviale, ogni volta che qualcuno sollevava l'argomento.
Ma i giorni passavano e, per quanto
gli sforzi di far manifestare i suoi poteri si facessero via via sempre
più intensi, i risultati non arrivavano.
Alla fine, ad arrivare era stato il
suo primo giorno di scuola. Quel primo settembre Charlotte aveva
salutato mestamente suo fratello Albert alla stazione, quindi,
avvilita, era tornata a casa insieme a sua madre e a sua sorella
Elizabeth, più piccola di sei anni (per l'immensa gioia dei suoi
genitori, Lizzy aveva iniziato a manifestare i suoi poteri l'anno
seguente).
Comunque, la delusione nei profondi
e gentili occhi di sua madre era stata palpabile, per quanto lei si
fosse sforzata di non darlo a vedere; quanto a suo padre, si era
rinchiuso nel suo studio, per riemergerne due giorni dopo, con il volto tirato e stanco e una pergamena stretta tra le dita, annunciando
che aveva appena iscritto Charlotte a un prestigioso collegio olandese.
Un ottimo istituto, davvero, ma pur sempre una scuola
inequivocabilmente Babbana.
In capo a una settimana erano stati
fatti tutti preparativi, quindi era stata messa su una nave e scortata
all'Erasmiaans Gymnasium di Rotterdam .
Il primo anno era stato terribile;
Charlotte non era riuscita a fare amicizia con nessuno. Quel mondo,
così diverso a quello cui era stata abituata, le era parso
subito estraneo, ostile.
Ma l'anno seguente era stato
migliore e alla fine era riuscita a inserirsi completamente,
scoprendosi desiderosa di appartenere alla società Babbana, dove
non solo poteva sentirsi accettata, ma nella quale poteva anche
emergere.
Si era appassionata alle lingue
antiche e, una volta diplomatasi, aveva proseguito i suoi studi
acquisendo una certa competenza nelle lingue germaniche e norrene,
motivo per il quale era stata presto assunta presso la prestigiosa
British Library di Londra. Purtroppo, proprio in quegli anni, era
scoppiata la più sanguinosa guerra che il mondo avesse mai
visto, e l'Europa intera ne era stata colpita duramente.
Il banale intoppo di quel giorno
non sarebbe stato l'unico, lo sapeva, e ben presto il Direttore della
Biblioteca si sarebbe dovuto arrendere all'evidenza: la cultura, i
libri vecchi e polverosi, il millenario sapere racchiuso tra quelle
mura non poteva avere la precedenza sulle centinaia di morti che ogni
giorno andavano ad aggiungersi alla già tragicamente lunga lista
di caduti durante quel conflitto assurdo.
Charlotte avrebbe perso il lavoro,
e con esso l'unico strumento che aveva trovato per rendere, se non
fieri, almeno non completamente delusi, i suoi genitori.
E se il mondo Babbano non aveva
più nulla da offrirle, di certo non avrebbe trovato posto in
quello magico, dove un'altra guerra, altrettanto folle e crudele, ne
stava minando e forse cambiando per sempre le fondamenta.
Se le due anime dell'Inghilterra fossero state sconfitte, per Babbani e Maghinò sarebbe stata la fine.
«Madre!»
gridò Lizzy, irrompendo nella sala, strappando Charlotte da quei
pensieri foschi e preoccupanti. «Madre» ripeté
«Non trovo la mia bilancia!» continuò agitata.
Sua sorella Elizabeth, che
frequentava il quinto anno a Hogwarts, era tornata a casa una settimana
prima per trascorrere le vacanze pasquali in famiglia; tuttavia,
benché mancassero ancora cinque giorni alla ripresa delle
lezioni, aveva deciso di tornare a scuola l'indomani mattina. Non
poteva biasimarla: la Londra Babbana non era un luogo
particolarmente eccitante per una strega adolescente; se poi si sommava
il fatto che un grappolo di bombe potesse pioverti addosso in qualunque
momento, non c'era da stupirsi che Lizzy avesse deciso di anticipare la
sua partenza.
«Ho detto a Browny di pulirla
per bene, cara» stava intanto dicendo sua madre «Era tutta
annerita dal fumo» aggiunse, davanti allo sguardo confuso di
Elizabeth «Probabilmente ha dimenticato di riportartela»
continuò, prima di chiamare, con voce ferma e decisa, il nome
dell'elfo.
Browny si materializzò all'istante davanti al camino
«La padrona ha chiamato Browny» gracchiò in tono
ossequioso, chinando il capo grinzoso e, così facendo, le lunghe
orecchie flosce traballarono vistosamente.
«Hai pulito la bilancia di Elizabeth, come ti avevo ordinato?» chiese sua madre.
«Sì, padrona» assicurò lui.
«E cosa aspetti a riportarmela?» esclamò Lizzy, irritata.
Suo padre, che fino a quel momento
non aveva mostrato segni di interesse per la vicenda, si voltò,
squadrando la figlia minore.
«Che cosa significa questo tono, Elizabeth?» la rimproverò, serio.
«Ma-» tentò di
protestare lei, allungando il braccio a indicare il vecchio elfo, come
a voler dire che era lui ad aver sbagliato e a meritare il richiamo.
«Non ti permetto di avere questo atteggiamento» la zittì suo padre, in tono definitivo.
Lizzy tacque, ma i suoi occhi continuarono a mandare lampi.
Nello sguardo dell'elfo il disagio
era evidente «Browny ha dimenticato di riportarla nella stanza
della padroncina» ammise infatti «Browny è molto
dispiaciuto» si scusò.
«Non importa, Browny» lo rassicurò sua madre, con un sorriso.
L’elfo chinò la testa, grato, poi, con uno schiocco sonoro, si Smaterializzò, verosimilmente per ottemperare all'incarico lasciato incompiuto.
Albert, che fino a quel momento si
era limitato a osservare la scena con scarso interesse, intervenne
«Si sta facendo tardi, devo andare».
Charlotte, che non aveva la minima
idea di quale fosse l'evento a cui il fratello rischiava di tardare,
studiò attentamente i volti compiaciuti dei genitori.
Doveva trattarsi di qualcosa di
importante, forse una possibile promozione al Ministero, dove Albert
lavorava ormai da cinque anni, anche se lei non sapeva di preciso con
quale funzione.
Ma nessuno aggiunse altro e suo
fratello, con un ultimo saluto generale, gettò un po' di polvere
nel camino, vi saltò dentro e scomparve, inghiottito dalle
fiamme smeraldine; un istante più tardi, il fuoco rossastro
tornò a scoppiettare vivace.
«Ho alcuni documenti da
consultare» annunciò suo padre, poco dopo.
Charlotte, che era rimasta a fissare il punto in cui suo fratello si era volatilizzato, si riscosse.
Elizabeth aveva già lasciato la stanza, probabilmente per continuare a fare i bagagli.
Charlotte decise di ritirarsi in
camera sua; era stata una giornata pesante e l'unica cosa che
desiderava era gettarsi anche lei tra le fiamme verdi e sparire.
Si sarebbe dovuta accontentare di un bagno caldo.
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Capitolo 2 *** Capitolo I ***
2.2.
Capitolo I
Un nuovo inizio
L'estate stava lentamente cedendo il passo all'autunno; quel mattino,
una calda brezza leggera soffiava per la prima volta dopo settimane di
immobile afa rovente.
Le rive fangose del Tamigi erano punteggiate qua e là dai rari,
avventati bagnanti che cercavano refrigerio tra le sue acque torbide e
grigie.
Charlotte non si fermò a lungo all'aperto. Superò in
fretta uno dei tanti ponti che sovrastavano il fiume, pericolosamente
basso a causa della siccità prolungata; lassù il debole
alito di vento portava con sé l'odore putrido e malsano dei
pesci morti.
Percorse in fretta le vie deserte e bollenti, con il vestito
appiccicato al corpo esile, la fronte imperlata da goccioline di sudore
tiepido.
Finalmente, velata dalla calura tremolante, scorse la sagoma del grosso
edificio nel quale era diretta. La vista dell'enorme facciata neogreca
del British Museum, le provocò la solita emozione di muta
devozione, offuscata però di malinconia: per ora, e per un tempo
ancora indefinito, non avrebbe più potuto lavorare tra quelle
mura.
Come aveva previsto, la British Library aveva chiuso alla
fine di aprile; il Direttore, sir George Kenyon, un ometto calvo
e minuto, con due grandi baffoni neri e lo sguardo gentile, l'aveva
chiamata un giorno nel suo ufficio, insieme ai due soli altri impiegati
rimasti.
Aveva l'aria stanca e, quando aveva parlato per comunicare loro la
decisione di chiudere la Biblioteca, Charlotte si era quasi spaventata
nel sentire la sua voce, di solito squillante e vivace, pericolosamente
incrinata, il tono sempre gioviale, spezzato, avvilito.
Sir George, prima di congedarla, le aveva affidato una copia delle
chiavi della Biblioteca; sapeva bene quanto Charlotte amasse quel
luogo. Tuttavia, da quel giorno, lei non ci aveva più messo
piede. Per mancanza di tempo, diceva a se stessa, ma la realtà
era che, per la prima volta, aveva paura, anche se non sapeva davvero
di che cosa.
Adesso però ci stava tornando, con il cuore gonfio di speranza, una sensazione che non provava da molto.
Il giorno prima, infatti, quando era andata a ritirare la posta (Browny
era troppo impegnato a riordinare e lucidare gli strumenti scolastici
di Lizzy), aveva trovato una lettera indirizzata a lei da parte di un
certo professor Silente: chiedeva un colloquio per discutere di un
impiego che la scuola dove lavorava voleva offrirle. Non specificava
però né il nome dell'istituto, né la natura del
lavoro. Charlotte era sicura di aver già sentito quel nome,
Silente, da qualche parte, anche se non riusciva a dargli un volto,
né sapeva collocarlo in qualche modo.
Il mittente proponeva di incontrarsi a casa sua alle undici del giorno
seguente; tuttavia, Charlotte era riluttante a ricevere un Babbano
nella sua casa decisamente poco ordinaria e così, nella sua
lettera di risposta, insieme alla conferma del suo interesse per la
proposta, aveva suggerito di incontrarsi alla British Library, l'unico
luogo dove si sarebbe sentita a suo agio per sostenere un colloquio.
Ora che si avvicinava al suo vecchio luogo di lavoro, però, un
pensiero cominciava a farsi strada nella sua mente, rendendola ansiosa:
il professore aveva ricevuto la sua lettera in tempo? Con un misto di
apprensione e inquietudine si immaginava lo stupore dell'uomo davanti a
quello che gli sarebbe parso un mostriciattolo parlante o, se fosse
stato tanto coraggioso da varcare l'ingresso, allo sbalordimento
assicurato dai molti oggetti bizzarri e dai quadri animati. Se poi
fosse stato particolarmente sfortunato, avrebbe anche potuto assistere
alla Materializzazione di Albert o di suo padre tra le fiamme del
camino.
Decisamente, qualunque lavoro quel professore avesse da offrirle,
sarebbe sfumato con lui insieme ai suoi echi atterriti nel tentativo di
darsela a gambe.
Forse avrebbe fatto bene a raccontare tutto ai suoi genitori; quanto
meno, sarebbero stati preparati al possibile arrivo di un Babbano.
Ma ormai era tardi per tornare indietro o per sperare di avvertire i
suoi; poteva solo entrare nella Biblioteca e aspettare, sperando che il
professore avesse ricevuto il suo messaggio.
Era intanto arrivata ai piedi della scalinata, ma, invece che salirla,
come aveva fatto ogni giorno negli ultimi due anni, andò a
destra e girò l'angolo fino a raggiungere una piccola, pesante
porta incastrata nel muro perimetrale dell'edificio.
Estrasse il pesante anello di chiavi, che sir George le aveva affidato, scegliendo a colpo sicuro quella giusta.
Varcata la soglia, si ritrovò in uno stretto corridoio dalle
pareti di pietra viva. Era buio e fresco e Charlotte rabbrividì,
mentre i suoi occhi si adattavano al brusco cambiamento di
luminosità.
Quando finalmente fu in grado di distinguere i contorni della pietra,
si avviò a passo sicuro verso un piccolo stanzino, una sorta di
alloggio dei contatori, dove sapeva avrebbe trovato alcune torce.
Mancavano pochi minuti alle undici. Avrebbe atteso l'arrivo del
professore lì, quindi l'avrebbe condotto in un luogo decisamente
più confortevole e adatto alla natura del loro incontro; non
c'era bisogno di illuminare l'intero museo.
Si avvicinò a tentoni a una scrivania, ne aprì il primo
cassetto e cominciò a rovistare alla cieca. Pochi secondi
più tardi, la sua mano si chiuse attorno a un oggetto piccolo e
piatto; lo estrasse e, scorrendone il bordo con le dita, trovò
facilmente il bottone e accese la torcia, facendosi luce per
cercarne una seconda.
Le undici in punto. Charlotte richiuse il cassetto e, quasi meccanicamente, cominciò a lisciarsi le pieghe dell'abito.
Undici e cinque. Forse sta solo cercando l'ingresso laterale,
pensò; aprì la porta, sporgendosi fuori e guardando a
destra e a sinistra. Non c'era nessuno.
Rientrò, cominciando a camminare su e giù per lo stretto corridoio, la torcia a illuminare i suoi passi.
Undici e dieci. Che sciocca che era stata, si disse, tormentandosi
nervosamente la ciocca di capelli che era sfuggita dalla lunga treccia
bionda.
Stava pensando di dare un'altra occhiata all'esterno, quando udì bussare alla porta.
Velocemente, percorse il breve tragitto a ritroso e aprì l'uscio.
Accecata dall'intensa luce del mattino, Charlotte impiegò
qualche istante per mettere a fuoco la figura che gli stava davanti, e
ci mise altrettanto tempo per riprendersi dallo strano stupore che la
colse alla vista dell'uomo che attendeva educatamente davanti alla
soglia. Era molto alto e indossava un'ampia camicia di lino, di almeno
due taglie più grandi, sotto a una specie di gilè nero a
frange, e calzava un paio di pantaloni alla zuava verdi; calcato sulla
testa, portava un enorme cappello floscio, da cui spuntava una folta
chioma rossiccia; la barba, dello stesso colore dei capelli, era lunga
e ben curata.
Pur nella semplicità dell'abbigliamento, aveva un aspetto
decisamente stravagante; niente faceva pensare che potesse trattarsi
del professore di una rinomata scuola.
Prima che avesse il tempo di dire alcunché, l'uomo parlò.
«Buongiorno, sono il professor Silente» si presentò,
scostando la tesa del cappello e rivelando due occhi azzurro intenso,
penetranti «Lei deve essere la signorina Macmillan, dico
bene?»
Charlotte si limitò ad annuire, interdetta; c'era qualcosa in
quell'uomo che incuteva rispetto e una sorta di timore reverenziale.
«Mi scuso per il leggero ritardo e per il mio abbigliamento,
purtroppo di questi tempi è difficile trovare qualcosa di
adatto» continuò, cogliendo i pensieri di Charlotte.
«Posso chiederle di farmi entrare?» chiese poi con gentilezza.
Sempre in silenzio, quasi inciampando sui suoi stessi piedi, Charlotte si fece da parte per farlo passare.
Aveva ancora la torcia accesa, così, quando il professore chiuse
la porta, rimasero immersi in una semi oscurità, interrotta dal
fiotto di luce che traeva strane ombre contro la parete.
Dopo un altro breve silenzio, finalmente Charlotte ritrovò la parola e mormorò «Da questa parte».
L'uomo sorrise e attese che lei gli facesse strada.
Percorsero velocemente alcuni corridoi, fino a raggiungere il grande
atrio di ingresso, quindi guidò il professore lungo una rampa di
scale e un'altra serie di corridoi che portavano alla sala lettura dove
aveva sede la British Library.
Ai tempi della fondazione, tutta la collezione libraria del museo aveva
trovato posto in quella grande sala, ma, nel tempo, la raccolta si era
ampliata, ed era perciò stato costruito un grande archivio nel
seminterrato, dove era stata stipata la maggior parte dei libri; i
bibliotecari avevano il compito di riordinare ciclicamente gli scaffali
nella sala di sopra, selezionando e sostituendo i titoli più
richiesti, tuffandosi nelle profondità del museo per recuperare
i manoscritti più vecchi o meno noti, ogni qual volta uno
studioso, o un semplice appassionato, ne faceva domanda.
«Un giorno avremo un posto tutto per noi» ripeteva spesso sir George, e il ricordo le fece spuntare un sorriso.
Voltarono l'ultimo angolo, quindi raggiunsero la grande porta a vetri
che si apriva sulla sala lettura; al centro, circondati dalle alte
scaffalature, si trovavano molti tavolini, dove gli utenti della
biblioteca potevano sedersi per consultare i libri.
Charlotte ne scelse uno e fece cenno al professore di accomodarsi.
«Impressionante» commentò Silente gettando una
rapida, ma attenta occhiata intorno a sé «Temo che la
biblioteca, dove spero lei accetterà di lavorare, non sia
neanche lontanamente vasta e ricca come questa» continuò
«Ma spero comunque di avere altri argomenti per
convincerla» disse sorridendo.
Charlotte sorrise di rimando, prendendo posto all'altro lato del tavolo.
«Tè freddo?» propose il professore, all'improvviso.
Charlotte fu colta alla sprovvista: non aveva pensato a portare con
sé qualcosa da offrire e non era certa di poter trovare qualcosa
nelle cucine chiuse da settimane.
Di nuovo, Silente parve cogliere i suoi pensieri,
perché disse «Non si preoccupi, signorina, ci penso
io» e così dicendo, estrasse un lungo bastoncino di legno
dalla tasca, lo agitò debolmente e in un attimo una brocca di
tè ghiacciato e due bicchieri comparvero sul tavolo.
Charlotte non era una strega, ma sapeva abbastanza di magia da sapere
che cosa era successo. «Lei è un mago?» chiese
comunque.
«Oh sì» rispose lui, affabile «Credevo lo
sapesse, anche se avrei dovuto comprendere già dalla sua
reazione di poco fa che non era così».
Charlotte ora era imbarazzata. Che cosa poteva volere un mago da una come lei?
«Come diceva la mia lettera» riprese il professore
«Sono qui per offrirle un lavoro nella mia scuola. Sicuramente
avrà sentito parlare di Hogwarts».
Charlotte annuì, realizzando lentamente la portata di quelle parole.
«Professore» cominciò poi, a disagio «Lei lo
sa che non ho… voglio dire… ha saputo che non sono una
strega, che sono una Maganò?»
Silente annuì, continuando a sorridere.
Ora Charlotte era confusa.
«Mi perdoni, professore, ma come potrei lavorare a Hogwarts se
non sono una strega? Non sarei di alcuna utilità, non so fare
magie» disse lentamente.
«Ci sono molte cose da fare a Hogwarts e nel mondo magico che non
richiedono propriamente l'abilità di usare la bacchetta. In
effetti, se solo la metà di coloro che lavorano al Ministero
avessero il cervello di alcuni dei Babbani che tanto disdegnano, forse
ne trarrebbero un grande beneficio»
«Vorrei che lei venisse a lavorare a Hogwarts» riprese
«La nostra biblioteca è da anni lasciata nelle sapienti,
ma ahimè molto anziane mani del professor Atwood. Un mago molto
dotato, davvero, un grande studioso. Ma da anni ormai arranca tra
quegli scaffali, non ha più le forze, temo, per gestire una
biblioteca che, seppur molto più piccola di questa, necessita di
una costante supervisione. I registri sono in disordine, gli studenti
dimenticano di riportare i libri presi a prestito, molte sezioni
offrono ormai materiale superato e la raccolta dovrebbe essere
aggiornata»
«La biblioteca e Hogwarts ormai sono la sua casa, quindi nessuno
vuole mandarlo via» continuò «E la sua conoscenza ed
esperienza sono impareggiabili, ma sia io che il preside siamo
dell'idea che gli serva un aiuto, un assistente che possa gestire la
biblioteca dietro suo consiglio. E credo che lei, Charlotte, sia la
candidata ideale per questo compito»
«Io?» obiettò Charlotte, sbigottita «Ma io non so niente di magie e incantesimi!»
«Oh questo non è un problema» la rassicurò
Silente «Sir George mi ha parlato molto di lei, dice che è
tra le migliori nel suo campo e…»
«Conosce il mio capo?» non poté fare a meno di
esclamare Charlotte «È un mago?» chiese poi,
perplessa; sir George non aveva nulla in comune con Silente e non
riusciva proprio a immaginarselo alle prese con incantesimi e
pozioni.
«Lo conosco da molti anni, ma non è un mago» rispose
il professore, per nulla infastidito per essere stato interrotto
«Non sa che esiste la magia» continuò, interpretando
ancora una volta correttamente i suoi pensieri «Anche se credo
che un paio di volte sia quasi arrivato a scoprirlo»
«Lo incontrai la prima volta molti anni fa. Stavo facendo delle ricerche insieme a un mio amico»
spiegò, e Charlotte notò una strana smorfia comparire sul
volto del professore «Ci occorreva un testo di cui, strano
a dirsi davvero, solo la biblioteca Babbana presso cui lavorava
all'epoca possedeva una copia integrale, così lo contattai. Da
allora siamo rimasti in ottimi rapporti e negli anni abbiamo
intrattenuto una corrispondenza regolare.
È un uomo brillante e leale, una di quelle menti che, come dicevo, farebbe comodo nel mio mondo».
«E sir George le ha parlato di me?» chiese Charlotte, incredula.
«Un paio di volte, sì. L'ultima è stata l'anno
scorso, quando mi ha comunicato che eri stata tu a scoprire che gli
Einherjar a cui si riferiva Sturluson non erano semplici spiriti
guerrieri, ma veri e propri cadaveri riportati in vita. Naturalmente,
io conoscevo già questa differenza e l'esistenza di questa
creature, che noi maghi chiamiamo Inferi, ma di rado queste
informazioni raggiungono il mondo Babbano» spiegò affabile.
Tuttavia, Charlotte era ancora perplessa. «Professore, la
ringrazio, ma non vedo proprio come potrei lavorare a Hogwarts»
disse umilmente.
Silente sorrise di nuovo, sorseggiando il suo tè e invitando Charlotte a fare lo stesso.
Un'ora più tardi, Silente era riuscito a vincere molti dei suoi dubbi e a convincerla ad accettare il posto.
Comunicare ai suoi genitori la novità, e convincere Lizzy che la
presenza della sorella Maganò non avrebbe interferito con la sua
vita scolastica, fu più facile del previsto.
I suoi genitori accolsero la notizia che Charlotte avrebbe lavorato a
Hogwarts con grande entusiasmo. A quanto pareva, conoscevano bene il
professor Silente, che era stato compagno di scuola di suo padre,
nonché l'insegnante preferito di Albert. Suo fratello, in una
delle sue rare visite a casa (ora che lavorava a tempo pieno per il
Ministero, si assentava per molti giorni di fila) si era complimentato
con lei, facendole promettere di avvertirlo la prossima volta che il
professore fosse passato di nuovo a trovarla. Charlotte dubitava che
sarebbe successo, ma, raggiante, acconsentì comunque.
Come però aveva previsto, la reazione di Elizabeth era stata
molto più tiepida. Evidentemente, non aveva detto a nessuno dei
suoi compagni di avere una sorella Maganò, e l'idea di
ritrovarsela ora per i corridoi della scuola la imbarazzava più
di quanto volesse ammettere.
Alla fine, davanti allo sguardo severo del padre, aveva fatto le
congratulazioni a Charlotte ma, dopo cena, era salita in camera sua con
la scusa di fare i bagagli. Mancavano due settimane all'inizio
dell'anno scolastico, e Charlotte era sicura di non aver mai visto
Lizzy prepararsi con tanto anticipo; anzi, a dire il vero delegava
spesso il compito a Browny, con somma disapprovazione di sua madre.
Quanto a Charlotte, di comune accordo con il professor Silente, aveva
deciso di recarsi a Hogwarts appena possibile; avrebbe così
avuto modo di familiarizzare con l'ambiente, senza le centinaia di
studenti ad affollare il castello.
Avrebbe seguito le dettagliate istruzioni del professore e aveva preso
in prestito da Lizzy un volume intitolato “Storia di
Hogwarts”, decisa a sfogliarlo durante il viaggio.
Hogwarts, la millenaria scuola che da bambina aveva tanto sognato di
frequentare, nel tempo era diventata un nome qualsiasi, senza
significato.
E adesso, invece, Charlotte l'avrebbe finalmente vista, vi avrebbe vissuto, lavorato.
Era incredibile.
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