Wars of the Roses

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Il funerale ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - L'eredità ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Ricordi ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - La Rose Rouge ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Famiglia ***
Capitolo 19: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Wars of the Roses




Prologo

L’orologio stava per rintoccare la mezzanotte quando Edward Cavendish giunse nella camera da letto di suo padre. Il mago esitò sulla soglia prima di bussare e aprire la pesante porta di mogano, dirigendosi senza dire una parola attraverso l’enorme stanza verso il capezzale di George Cavendish, ex Ministro della Magia. 

Fatta eccezione per le candele che circondavano il letto a baldacchino, la stanza era completamente avvolta nell’oscurità, e la neve cadeva, delicata e silenziosa, come una spettatrice di quanto sarebbe avvenuto. 

 

George guardava fuori dalla finestra e non diede segno di essersi accorto del figlio finché Edward non si inginocchiò accanto al letto: amava la neve. Era felice di andarsene in una notte del genere, e aveva chiesto alla moglie di non tirare le tende per poterla guardare.

George sapeva che sarebbe morto, quel giorno: fin da quando aveva aperto gli occhi, diverse ore prima, aveva compreso che quelle sarebbero state le sue ultime ore di vita. L’aveva confidato alla moglie, che come si aspettava non aveva battuto ciglio. 

Aveva però potuto scorgere qualcosa negli occhi chiari della donna con cui aveva condiviso 57 anni della sua vita, qualcosa che gli aveva ricordato perché l’avesse scelta come compagna: la fierezza, la determinazione del leone, una fiamma che in lei non si era mai spenta. 

Era una grande donna, Gwendoline Saint-Clair, lui l’aveva sempre ammirata. E George sapeva di potersene andare in pace, con la consapevolezza che ci fosse lei a gestire la situazione, dopo la sua dipartita. 

 

Lo stesso, però, non si poteva dire del suo unico figlio. 

“Volevate vedermi, padre?” 

Edward parlò con un tono neutro che non lasciò trasparire alcun dolore mentre Gwendoline stava in silenzio in un angolo, conscia che il marito desiderasse un ultimo dialogo con lui prima di andarsene. 

George, il volto stanco e pallido appoggiato sul cuscino di piume, riservò al figlio una placida occhiata annoiata e annuì, asserendo che il suo testamento era in buone mani e che voleva che le sue ultime volontà venissero rispettate in tutto e per tutto. 

“Se oserai cercare di impugnarlo, Edward, ne pagherai le conseguenze.” 

 

I freddi occhi chiari del padre lo trafissero come una lama, e il più giovane strinse convulsamente il lenzuolo che copriva il vecchio mago quasi come un sudario, tremante di rabbia: non gli importava se stava per morire, non l’avrebbe mai perdonato.

“Voi avete consegnato quanto di più prezioso avevamo ai Saint-Clair, padre. Come avete potuto?”

“Vuoi saperlo, Edward?” 

Con le ultime forze che gli erano rimaste George si sollevò sui gomiti per avvicinarsi al figlio, scrutandolo con un velo di disprezzo, e notò con una punta di soddisfazione il leggero ritrarsi del più giovane: anche in punto di morte esercitava un grande potere su di lui.

“Perché sei uno smidollato, Edward, ecco che cosa sei. Sei uno spregevole smidollato, non so come io e tua madre abbiamo potuto sbagliare tanto con te. E tuo cugino Robert è diventato un uomo arrivista e quasi meschino, sono felice che mio fratello sia morto prima di me, si è risparmiato il dolore di vedere suo figlio così. Dolore che a me, invece, è spettato. Per questo ho lasciato la mia carica ai Saint-Clair, voi non la meritate. Sopratutto tu, Edward.” 

“SONO VOSTRO FIGLIO! E i Saint-Clair non sono certo migliori di noi, padre!”

Edward era livido, quasi tremante di collera mentre si tratteneva dal strattonare suo padre, che tornò a poggiarsi sul cuscino per riservargli un’occhiata severa e terribilmente carica di qualcosa che il figlio aveva scorto troppo spesso negli occhi dell'uomo delusione.

“La mela a volte cade lontana dall’albero. E ricorda che stai parlando della famiglia di tua madre, ragazzo. Il sangue dei Saint-Clair scorre nelle tue vene. Dimmi, Edward, hai ucciso tu Rodulphus?” 

Da livido, il volto del figlio si fece pallidissimo, e Gwendoline si irrigidì mentre George al contrario non batteva ciglio, rilassato come se gli avesse chiesto che tempo facesse. 

“Non potete davvero credere che sia stato io, padre.”

“Hai sempre detestato i tuoi cugini. Cerchi di negarlo, ma non puoi, è un dato di fatto, in parte sei un Saint-Clair anche tu, ritengo che il sangue sia l’unica cosa che non mente mai. E il tuo risentimento è aumentato a dismisura quando ho nominato lui mio successore, e non te. So che non sei un uomo cattivo, Edward, ma sei vendicativo e pieno di rancore, e talvolta questo basta a farci commettere azioni deplorevoli.” 

Il corpo dell’anziano mago venne scosso da dei colpi di tosse mentre Edward si alzava, le braccia rigide lungo i fianchi e le mani strette a pugno mentre scrutava il padre dall’alto in basso. 

Forse per la prima volta in tutta la sua vita. 

E la cosa, tutto sommato, gli piacque parecchio, dopo una vita trascorsa nella sua ombra.

“Addio, padre.” 

Edward se ne andò a passo deciso e senza voltarsi indietro, chiudendosi la porta alle spalle mentre, nella camera da letto, sua madre si avvicinava al marito, prendendo il suo posto. 

 

 

“Dovevi essere così rigido con lui fino alla fine, George?”

“È quello che si merita. Ma sono felice di poter contare su di te, posso andarmene tranquillo, sapendo che gestirai la situazione per entrambi, mi fido di te come di nessuno.”

Gwendoline sorrise al marito mentre sedeva accanto a lui, sfiorandogli il volto pallido e pieno di rughe, ma sereno. 

Sapevano entrambi che sarebbe morto da tempo, e lei era pronta. 

 

George Cavendish venne ricordato a lungo da molti, nella comunità magica. 

Venne ricordato dalla sua famiglia con un uomo severo ma giusto, arguto e combattivo, e da chi non lo conosceva come uno dei migliori Ministri dell’ultimo secolo.

Chi ne conservò il ricordo più vivido fu però sua moglie, la sua più fidata consigliera, e in particolare Gwendoline non potè mai scordare le ultime parole che gli udì pronunciare:

“Scopri chi ha ucciso Rod, Gwen. E sopratutto, non fidarti di nessuno. Sono le nostre famiglie, e sappiamo di che cosa sono capaci.”

 
*
 
La mattina seguente


Villa di Theseus e Astrid Saint-Clair, campagna inglese
 

Astrid Saint-Clair appoggiò la tazza di porcellana sul piattino mentre lanciava un’occhiata all’orologio a pendolo di legno, sistemato nello spazio tra due delle grandi finestre ad arco della sala da pranzo. 
Erano appena le dieci: suo marito si era alzato ed era uscito di corsa un paio d’ore prima quando gli era arrivato un gufo da Londra.

Di norma Astrid non si immischiava nei suoi affari, ma Theseus non le aveva dato alcuna spiegazione e le era sembrato parecchio nervoso, quindi era comprensibile che fosse in pensiero per lui. 
Quasi come se le avesse letto nella mente, sua figlia – seduta di fronte a lei e impegnata ad imburrare del pane tostato – scelse quel momento esatto per chiedere dove fosse il padre. 

“È uscito presto, ma se non dovesse tornare per pranzo ce lo farà sapere, suppongo.”
“È domenica, perché è uscito così presto?”

Astrid non ne aveva idea, ma preferiva non far sapere alla figlia che suo marito si era precipitato fuori di casa senza dirle nulla, così liquidò il discorso asserendo con tono piatto che la cosa non la riguardava prima di accennare all’animale dal folto pelo nero e argentato accucciato accanto alla sedia della ragazza, che gli diede un pezzo di bacon: 

“Devi proprio farlo stare qui mentre mangiamo, Elizabeth?”
“Sente l’odore del bacon, mamma… preferisci che vada in giro per la campagna a depredare gli allevamenti dei vicini?” 

Elizabeth-Rose guardò la madre con un sopracciglio inarcato mentre la volpe mangiucchiava il bacon con aria soddisfatta e Astrid, lanciata un’occhiata torva all’animale dagli occhi ambrati, si portò nuovamente la tazza alle labbra senza aggiungere altro: ricordava fin troppo chiaramente quando, quattro anni prima, sua figlia era tornata da una passeggiata nei dintorni con un cucciolo di volpe nera tra le braccia, asserendo che se l’avesse lasciato solo avrebbe fatto da pasto a qualche predatore più grosso. 

Astrid non era stata troppo contenta di ritrovarsi un animale di natura selvatica in casa, ma Elizabeth sembrava certa di poterlo addomesticare e, in effetti, ci era riuscita. Forse anche troppo bene, visto che l’animale era solito seguirla ovunque andasse. 
La notizia si era persino diffusa in tutta l’alta società e i loro ospiti sembravano sempre molto curiosi di vedere l’animale, che tuttavia la padrona di casa insisteva per tenere lontano dai loro ricevimenti. 

Ci mancava solo che quella volpe saltasse addosso ad uno dei suoi ospiti. 

La donna stava per sottolineare alla figlia quanto fosse disdicevole avere un simile animale da compagnia per qualcuno nella loro posizione quando un rumore estremamente familiare attirò l’attenzione delle due donne, che si voltarono simultaneamente verso il camino: delle note fiamme verdi si erano appena accese, anticipando l’arrivo di un ospite. 

“Sarà tornato papà?”

Astrid non fece in tempo a rispondere alla domanda della figlia, perché qualcuno uscì dal grande camino di marmo ponendo fine ai loro dubbi: una donna bionda molto nota ad entrambe era appena apparsa nella stanza, impegnata a spolverarsi la cenere dal soprabito borbottando qualcosa contro la Metropolvere. 

“Oh, buongiorno zia.”

Elizabeth rivolse un sorriso educato alla donna, che ricambiò prima di rivolgersi alla padrona di casa, che invece si era fatta più seria che mai e si limitò a rivolgerle un cenno pacato, senza neanche alzarsi: 

“Alexis. Cosa ti porta qui? Theseus non è in casa.”
“Lo immaginavo, visto ciò che ho appena scoperto. George Cavendish è morto, stanotte.”

Alexis parlò senza scomporsi, felice, da una parte, di essere lei a dare la notizia alle pareti: le piaceva molto essere al centro dell’attenzione, dopotutto.

“Che cosa?”

Elizabeth lasciò cadere la fetta di pane sul piattino, disseminando sul pavimento alcune briciole che Phobos, la sua volpe, si affrettò a raccogliere mentre Astrid sembrava ancor più sconcertata della figlia: non riusciva a credere alle due orecchie.

“George è morto? Ma… come?”
“Sembra che stesse male da qualche tempo, ma nessuno ne sapeva nulla. Gwendoline non aveva detto nulla a nessuno, no?”

Alexis sedette su una sedia e Astrid scosse il capo, sconvolta. 

“A me no, ma forse a Theseus sì… ecco perché era così strano, stamattina. Ed ecco perché George si è fatto vedere poco, di recente.”

“Questo significa…” 

La voce di Elizabeth indusse entrambe le donne a guardare verso di lei, e la ragazza parlò con tono mesto, accennando una smorfia con le labbra:

“Che ora sarà tutto nelle mani di suo figlio?”
“Merlino, spero proprio di no… ci mancava solo questa.”

Alexis scosse il capo, ma nessuna delle tre ebbe modo di dire altro, perché il camino si accese di nuovo e pochi istanti dopo una quarta donna dalla folta chioma di capelli color rame si precipitò nella sala col fiato corto:

“Avete sentito? Zio George è morto!”
“Sì Amethyst, ho appena informato Astrid ed Elizabeth.”

Alexis liquidò il discorso con un cenno della mano mentre la cognata sedeva accanto a lei, mormorando di non riuscire ancora a crederci: 

“Theseus è al Ministero? John è accorso poco fa, appena abbiamo saputo… non posso credere che sia morto. Povera zia Gwen…”
“Beh, se era malato probabilmente sapevano che sarebbe successo. Ma è strano che non l’abbiano detto a nessuno.”

“Trovi strano che non l’abbiano detto a NOI, Alexis? Siamo pur sempre i Saint-Clair. Negli ultimi anni ci hanno riservato un trattamento di favore solo a causa di Gwendoline, ma ora che George è morto ho paura che le cose cambieranno. Era l’unico, in quel covo di serpi, ad essere bendisposti nei nostri confronti. Suo figlio ci odia a morte.”

Astrid incrociò le braccia al petto mentre si appoggiava allo schienale della sedia, piegando le labbra in una piccola smorfia mentre Alexis, al contrario, sbuffava contrariata e scura in volto:

“Nessuno lo sa meglio di me. Scommetterei tutto quello che possiedo che è stato Edward Cavendish ad uccidere Rod.”


A quelle parole la padrona di casa rivolse un’occhiata di sbieco alla cognata – nonché cugina – prima di accennare alla figlia, che stava seguendo in silenzio e con visibile interesse il loro scambio di battute: era estremamente raro che parlassero di certe cose in sua presenza, ed Elizabeth si stava godendo quella straordinaria opportunità. 

Opportunità, tuttavia, che trovò un epilogo non appena sua madre le si rivolse con un tono che non ammetteva repliche:

“Elizabeth, lasciaci sole, per favore.”
“Ma mamma…”

“Elizabeth-Rose, fa’ come ti dico. Io e le tue zie dobbiamo parlare in privato.”

La ragazza esitò, tentata di far notare alla madre che non era più una ragazzina e che lei, alla sua età, era già sposata e con figli, ma desistette di fronte all’espressione decisa della donna: quando parlava con quel tono e la chiamava col nome completo, Elizabeth sapeva di non avere possibilità di convincerla, così si vide costretta ad alzarsi e salutare le zie con tono risentito prima di uscire dalla stanza con la volpe al seguito. 

“Vieni, Phobos.”

La giovane strega stava attraversando l’ingresso per tornare in camera sua (sua madre insonorizzava sempre le stanze, quindi non aveva nemmeno senso cercare di origliare) quando s’imbatté in un piccolo animale bianco che le trotterellò incontro, facendola sorridere:

“Eccoti qui, Deimos…” 

Elizabeth si chinò e prese in braccio la volpe artica che suo padre le aveva portato da uno de suoi viaggi, accarezzandone il morbido pelo candido prima di voltarsi, preoccupata, verso la grande porta d’ingresso: suo padre non era ancora tornato. 

Qualcuno aveva ucciso suo zio, due anni prima. E George Cavendish era appena morto. Elizabeth poteva solo sperare che suo padre non fosse il prossimo della lista. 

 

 

 

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Angolo Autrice: 

 

Inizio la mia prima storia dopo quasi due anni, e questa volta si tratta, com’è evidente, di un’ispirazione della Guerra delle Due Rose trasposta nel mondo di Harry Potter. 

Ci troviamo in una sorta di AU: gli eventi della saga non sono mai esistiti, così come tutti i personaggi, l’unica cosa che in questa storia rimane in auge è l’esistenza di Hogwarts e quella del Ministero, anche se con delle differenze, come avrete intuito leggendo il Prologo. 

 

Regole: 

  • Le iscrizioni sono aperte fino al 15/09, avete tempo fino alle 19 per mandarmi le schede 
  • Potete partecipare con un massimo di due OC, che possono essere membri della stessa famiglia (e quindi essere fratelli o cugini, accetto anche gemelli) come no. In questo caso potete scegliere se mandarmi personaggi che non hanno alcun legame tra loro oppure due amici o ex amici, o due sventurati amanti alla Capuleti e Montecchi. 
  • L’età degli OC dev’essere compresa tra i 20 e i 26 anni 
  • Non accetto Lupi Mannari, vampiri o Veela, ma se volete mandarmi un Animagus o un Metamorphomagus potete farlo. Chiaramente si tratta di capacità molto rare, quindi non accetterò molti personaggi del genere. 
  • Come sempre, vale la regola dei tre capitoli prima che io elimini il vostro personaggio dalla storia. 

Tutti gli OC devono far parte delle due famiglie, nessuna eccezione. Inoltre, vi chiedo di tenere a mente il contesto storico in cui ci troviamo (1912) quando create la scheda, quindi fate attenzione a tatuaggi, colori di capelli particolari o gusti troppo moderni. 

 

Scheda

Nome completo: 

Età: 

Ex casa: 

Prestavolto: 

Aspetto: 

Descrizione psicologica: 

Passioni e abilità: 

Fobie e debolezze: 

Percorso scolastico (in breve): 

Descrivere il suo rapporto con la famiglia: 

Cosa ne pensa della famiglia “avversaria”: 

Amicizie: (qui potete fare riferimento a personaggi di vostra invenzione che non fanno parte della storia o delle due famiglie)

Relazione: 

Animale: (sbizzarritevi, creature magiche sono ben accette)

 

Prima della selezione pubblicherò la seconda parte del prologo, dove presenterò anche i personaggi che qui non sono apparsi:

 

Famiglia Cavendish 

 

George Wilfred Cavendish III, 80 anni, ex Ministro della Magia, ex Serpeverde 
(Pv: Michael Caine)

Gwendoline Louise Saint-Clair in Cavendish, 75 anni, moglie di George, ex Grifondoro 
(Pv: Shirley MacLaine)

Edward George Cavendish II, 45 anni, ex Serpeverde 
(Pv: Jude Law)

Estelle Reynolds in Cavendish, 44 anni, moglie di Edward, ex Corvonero 
(Pv: Charlize Theron)

Robert Louis Cavendish, 50 anni, nipote di George e Gwendoline, ex Corvonero 
(Pv: Colin Firth)

Penelope Burns in Cavendish, 47 anni, moglie di Robert, ex Corvonero 
(Pv: Reneè Zellweger)

Famiglia Saint-Clair 
 

Rodulphus Sebastian Saint-Clair, deceduto da due anni, ex Ministro della Magia, ex Grifondoro
(Pv: Ewan McGregor) 

Alexis Silverstone in Saint-Clair, 46 anni, vedova di Rodulphus, ex Corvonero 
(Pv: Jennifer Aniston)

Theseus Rabastan Saint-Clair, 46 anni, fratello di Rodulphus, ex Grifondoro 
(Pv: Michael Fassbender)

Astrid Silverstone in Saint-Clair, 44 anni, moglie di Theseus, ex Corvonero
(Pv: Kate Winslet)

Amethyst Saint-Clair in Bouchard, 47 anni, sorella di Rodulphus, ex Tassorosso 
(Pv: Julia Roberts)

John Bouchard, 48 anni, marito di Amethyst, ex Serpeverde 
(Pv: Patrick Dempsey)

La mia OC: 

Elizabeth-Rose Saint-Clair, 23 anni, ex Serpeverde, figlia di Theseus e Astrid 
(Pv: Maria Zhgenti)

 

Tutti i vostri OC dovranno essere figli di una di queste coppie. Inoltre, avrei bisogno di un figlio maschio di Rodulphus e Alexis. 
Detto ciò mi sembra che sia tutto, quindi vi saluto. 
A presto!

 

Signorina Granger

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Il funerale ***


Prima di iniziare, vorrei ringraziare tutte voi per aver provato a partecipare e per avermi mandato un mucchio di schede interessanti.
Come ormai sono solita fare da alcuni anni, per dare la possibilità a più persone possibili di partecipare ho scelto un solo OC per autrice – eccetto per una singola eccezione – e anche così facendo qualcuno è rimasto escluso, visto che non volevo scegliere più di una decina di OC: come sempre chiedo a queste persone di non prenderla sul personale, se volete parlarne con me siete le benvenute, io non mi tiro mai indietro davanti ad un confronto educato. Semplicemente alcuni personaggi erano più complessi e più elaborati di altri, o anche solo più adatti alla storia per il loro temperamento. Inoltre, quella di non scegliere tanti personaggi è più che altro nell’interesse stesso di voi autrici, visto che poi riesco più facilmente a gestire gli OC e ad approfondirli meglio: non vorrei correre il rischio di non dare giustizia ad alcuni di loro nel corso della storia avendone troppi da gestire e in particolare qui ci sono anche i loro genitori ad occupare parte della trama. Spero che nessuno se la prenda, in caso dovessi riaprire le iscrizioni in futuro di sicuro prenderò in considerazione gli OC che qui non sono stati scelti.
Terminati i preamboli, vi lascio al primo capitolo – sarà breve e mi scuso, ma ho appena dato un esame che ha occupato due mesi della mia vita e sono un po’ esaurita, e non volevo farvi aspettare troppo – e alla lista degli OC scelti, tanto so benissimo che prima di leggere il capitolo andrete a curiosare lì.  :P

 
Capitolo 1 – Il funerale
 
 
Edward Cavendish era in piedi davanti allo specchio a figura intera davanti al quale vedeva sua moglie sistemarsi prima di uscire ormai da anni. Quella mattina, tuttavia, quello che tardava a prepararsi era lui: stava cercando di allacciare la sua costosissima cravatta di seta blu notte in un nodo Eldredge accettabile da quasi cinque minuti, ma senza successo.
Una smorfia attraversò il bel volto dell’uomo – coperto da un leggero strato di barba di due giorni non rasata – nel ricordare quando, venticinque anni prima, suo padre lo aveva costretto a provare e riprovare per un pomeriggio intero a fare un perfetto nodo di quello stesso tipo, caratterizzato da un intreccio molto particolare non facilissimo da effettuare.
“Questo è il nodo dei gran signori”, diceva sempre suo padre. Edward poteva ancora vederlo legarsi la cravatta in quel modo ogni mattina, prima di andare al Ministero.
 
“Serve una mano?”
Al mago non occorse voltarsi per sapere che era stata sua moglie a parlare: Estelle apparve nel riflesso dello specchio un attimo dopo, sorridente e perfetta come sempre. Indossava un semplice abito nero, guanti dello stesso colore lunghi fin sopra i gomiti e una stola a coprirle le spalle.
 
“Anche due.”
“Puoi sempre chiedere ad un Elfo.”     Estelle aggrottò leggermente la fronte mentre su avvicinava al marito, che per tutta risposta sbuffò mentre la moglie gli allontanava le mani dalla cravatta, iniziando ad intrecciarne i lembi personalmente.
“Detesto farmi vestire, non sono una bambola, e neanche un bambino.”
“Fatto. Sei perfetto tesoro.”
Estelle sorrise dolcemente al marito e sollevò una mano per accarezzargli una guancia dopo avergli sistemato il colletto della camicia bianca, mormorando che sarebbe andato tutto bene e che non doveva preoccuparsi di nulla, quel giorno.
“Grazie per aver pensato al funerale. Io non ne ero in grado.”
“I coniugi servono a questo, a sostenersi nei momenti di difficoltà. I ragazzi sono di sotto, sarà meglio andare.”
Edward annuì con un debole sospiro e prese il braccio della moglie con delicatezza, prendendosi un attimo per lasciarle un bacio su una tempia prima di uscire dalla stanza insieme a lei.
 
*
 
Un piccolo scoiattolo dal pelo fulvo stava annusando il guscio vuoto di una noce caduta sul prato quando un rumore improvviso lo spaventò, portando l’animale a correre verso l’albero più vicino per rifugiarvisi.
Il sonoro schioppo che aveva spaventato il roditore era stato provocato da una donna vestita di nero che era appena apparsa dietro un albero. La strega si guardò brevemente intorno e poi, sistemandosi il colletto dell’elegante giacca a mantella nera con le mani guantate, si allontanò dal prato per raggiungere il viottolo del parco più vicino, scavalcando con nonchalance la recinzione di ferro battuto – alta appena una ventina di centimetri – che circondava ogni stradina dei giardini di Kensington.
Amava quel luogo fin da bambina, ma quel giorno non era lì per una passeggiata di piacere o per dare da mangiare alle oche.
 
Non fu difficile individuare la donna che, seduta su una panchina, osservava in silenzio i bambini correre e giovani madri – o tate – spingere i passeggini.
Quando la vide la donna si alzò in piedi, avvicinandolesi con disinvoltura fino ad affiancarla, iniziando a camminarle accanto.
 
“Volevate vedermi, zia?”
“Sì cara. Temo che tra qualche tempo i nostri incontri saranno resi più difficili. Come state, a casa?”
Gwendoline prese la nipote sottobraccio senza smettere di camminare e Amethyst, voltando leggermente il capo verso di lei, aggrottò la fronte:
“Ve lo devo chiedere io… Mi dispiace molto per lo zio. Era un grand’uomo.”
“George lo era senz’altro. Sai che cosa mi ha detto, alla fine? Mi ha chiesto di capire chi ha ucciso tuo fratello. George era convinto che non si fosse suicidato fin da quanto abbiamo saputo la notizia.”
“Beh, poi è stato confermato, quindi lo zio aveva ragione… Aveva un’idea su chi possa essere stato, zia?”
“Forse. Ma non si è mai confidato molto a riguardo neanche con me, Amiee. Mi ha detto anche di non fidarmi di nessuno, neanche della mia famiglia.”
 
Amethyst aprì la bocca, scandalizzata, per difendere se stessa, suo fratello Theseus e i suoi nipoti, ma Gwendoline le rivolse un lieve sorriso carico d’affetto, affrettandosi a rassicurarla:
 
“Non preoccuparti, sai che sei sempre stata la mia preferita. Mi somigli più di tutti. Più di mio figlio, in effetti. Non potrei mai sospettare di te, so quanto amavi Rod.”
Gwendoline parve rabbuiarsi, ma fu solo per un istante, poi la sua espressione tornò impassibile e riprese a parlare:
“Voi tutti siete convinti che sia stato qualcuno dei Cavendish ad uccidere Rod.”
“E chi altro dovrebbe averlo voluto morto, zia? Scusate se mi permetto, ma sapete meglio di me quanta rabbia ha scatenato la decisione dello zio, dodici anni fa. E Rod era molto amato, come Ministro, non mi risulta che avesse altri nemici, oltre ai Cavendish.”
“Lo so bene. Ma mi rifiuto di credere che possa essere stato Edward. Non è un uomo meschino, Amie. Non a tal punto, almeno.”
“Posso volervi credere, zia, ma non c’è solo Edward nella vostra famiglia.”
 
“Famiglia… Cosa devo intendere quando parlo della mia famiglia, Amie? I Saint-Clair sono la mia famiglia di nascita, e amavo tuo padre tanto quanto tu amavi Rod, credimi. Voglio bene a te e a Theseus, e anche a tutti i vostri figli… Ma Edward è mio figlio, e i suoi figli i miei nipoti. Mi ritrovo con il piede in due scarpe, cara, la mia posizione sarà sempre più difficile, temo. Ad ogni modo, è ora di andare, la funzione inizierà a breve.”
“Volete che venga con voi? John e i ragazzi possono andare da soli.”
Gwendoline si fermò e la nipote le rivolse un’occhiata apprensiva, chiedendosi sinceramente come stesse e consapevole di quanto dovesse essere difficile, per la donna, quella situazione.
L’anziana strega però scosse il capo, gli occhi azzurri decisi e totalmente privi di tristezza, anche se stava andando a seppellire suo marito.
 
“No, meglio evitare di arrivare al funerale insieme. Tutti sanno che sono imparentata con voi, ma forse oggi è meglio non sottolinearlo. A dopo, Amiee.”
Amethyst salutò la zia con un debole sorriso e la guardò allontanarsi senza seguirla, probabilmente diretta in un posto appartato per Smaterializzarsi.
Dal canto suo, la strega non moriva dalla voglia di presenziare al funerale: era certa che la loro presenza avrebbe solo fatto infuriare i Cavendish, ma Theseus aveva insistito, ribadendo che George si era sempre comportato bene con loro e che teneva ad andare al suo funerale.
“E non saranno certo quei due ad impedirmi di prendervi parte. Non mi faccio dire che cosa fare dai Cavendish.”
 
Amethyst sospirò, poi, approfittando del fatto che il sentiero era deserto, si Smaterializzò.
Aveva la sensazione che sarebbe stata una giornata lunga. E un funerale tutt’altro che tranquillo.
 
*
 
“Phobos, lo dirò una sola volta, UNA. Ridammelo.”
Elizabeth-Rose, inginocchiata sul pavimento della sua camera, teneva gli occhi grigio-azzurri fissi sulla volpe, che ricambiava con i suoi occhi ambrati mentre teneva con impertinenza un guanto nero tra i denti.
Un guanto che serviva alla padrona per finire di prepararsi e uscire.
 
“Phobos. Dammelo.”  La strega allungò una mano, sempre più impaziente: non aveva altri guanti neri da mettere per il funerale, visto quanto la sua amata volpe si divertiva a rubarglieli. E non aveva nessuna voglia di sorbirsi la predica da sua madre per averli fatti tardare ad un’occasione così importante.
“Sei proprio una peste! Accio!”
 
Rinunciando all’idea di ottenere il suo guanto con l’educazione, la ragazza appellò direttamente la volpe, che guaì mentre planava tra le braccia della padrona, che afferrò il guanto per strapparglielo dalla bocca.
“Per l’amor del cielo Phobos, mollalo, mi serve! Guarda che ti trasformo in un cane, sai?”
 
La minaccia funzionò a dovere, perché il piccolo predatore si affrettò a mollare il guanto alla padrona, che sorrise vittoriosa prima di riparare gli strappi causati dai denti di Phobos con la magia.
Se lo stava per infilare – rimproverando a dovere la volpe – quando una figura apparve sulla soglia della stanza, seria e già vestita di tutto punto:
 
“Finiscila di giocare, Elizabeth, dobbiamo andare.”
“Mamma, non sto giocando, è che Phobos…”
“Sai come la penso sul fatto di avere due volpi come animali domestici, ribadisco quello che ho detto quando hai deciso di tenerlo: te ne devi occupare tu, e quello che combina è responsabilità tua. Adesso sbrigati, per favore, tuo padre è già nervoso senza che arriviamo tardi al funerale.”
“… Sì, mamma.” 
Elizabeth si alzò mentre la madre girava sui tacchi e si allontanava, infilandosi il guanto nero con uno sbuffo mentre scoccava un’occhiata torva a Phobos, assicurandogli che lo avrebbe messo in castigo non appena tornata a casa. Non aveva nessuna voglia di discutere, non quel giorno, così fece quanto Astrid le aveva detto: si affrettò a lasciare la sua camera, imbattendosi nel fratello maggiore non appena giunta in corridoio.
 
“Phobos combina guai?”
“Lascia perdere. Perché tu sei ancora qui e la mamma non ti rimprovera, comunque, mentre io passo sempre per una criminale?”
 
Thomas si limitò a sorridere, sornione, alla sorella, prendendola a braccetto prima di dirigersi verso le scale insieme a lei:
 
“Forse perché io non ho un animale selvatico che lei detesta come animale da compagnia.”
“Non farmi ridere, tu possiedi un Occamy! Direi che una comunissima volpe è molto meno impegnativa, rispetto ad una creatura magica.”
 
*
 
Quando Amethyst era tornata a casa e aveva trovato il marito seduto sul divano con la Gazzetta del Profeta in mano, aveva strabuzzato gli occhi: la funzione sarebbe iniziata entro in quarto d’ora e lui leggeva la pagina sportiva?
 
“John, non dirmi che non sei ancora pronto! Non voglio fare tardi, oggi!”
“Non io, cara. Parla con la tua progenie, io ci ho rinunciato da anni.”
John parlò senza neanche alzare lo sguardo dalle pagine, le gambe accavallate e l’aria rilassata e incurante come se fosse una comunissima domenica e dovessero andare ad un pranzo di famiglia.
Amethyst sbuffò e si diresse a passo di marcia verso le scale – udendo, in effetti, un gran vociare femminile dal piano superiore – proprio mentre il suo unico figlio maschio, Ambrose, scendeva gli ultimi gradini infilandosi il mantello nero con disinvoltura. Alla vista dell’espressione della madre – di solito sorridente e allegra, ora pericolosamente seria – il mago si affrettò a sollevare entrambe le braccia, dichiarando di averci provato prima di dileguarsi e raggiungere il padre, che ridacchiò da dietro il giornale.
La padrona di casa, invece, si fermò accanto alla balaustra e sollevò lo sguardo prima di urlare a pieni polmoni:
 
“RAGAZZE! SCENDETE! SU.BI.TO!”
 
Sentendo l’urlo della madre – che si infuriava molto di rado – le figlie capirono che non era il caso di contraddirla e si affrettarono a scendere al pian terreno, sfilando una dietro l’altra sulla scala leggermente ricurva di marmo.
“Scusaci, mamma. Siamo pronte.”
 
Colleen, la minore della famiglia, rivolse un sorriso di scuse e leggermente imbarazzato alla madre, che sembrò rilassarsi e sorrise di rimando alla figlia, accarezzandole con gentilezza i capelli rossi acconciati sulla nuca:
“Non fa niente, l’importante è che ora possiamo andare. John, Ambrose, forza.”
 
“Usiamo la Metropolvere, mamma?”
“No Clara, ci Materializziamo: l’ultima cosa che voglio è piombare nel salotto dei Saint-Clair per la veglia uscendo dal camino…. Edward sarebbe capace di murarlo seduta stante per non farci più uscire.”
La donna piegò le labbra in una smorfia e Cassiopea ridacchiò mentre si infilava il mantello, ma un’occhiata incerta di Ambrose le suggerì che la madre non scherzava.
 
*
 
“Siete pronti? E’ ora di andare.”
Robert, appoggiato ad una credenza nell’ingresso, sbuffò mentre la moglie, in piedi accanto a lui, gli lanciava un’occhiata torva, asserendo che i figli stessero scendendo proprio in quel momento.
“Merlino, quanto ci vuole…”
“Mi risulta che tuo zio sia morto, Robert. Dubito che gli importerà se arriviamo cinque minuti prima o cinque minuti dopo. Oh, eccoti, tesoro.”
 
Penelope sorrise alla figlia quando Caroline apparve scendendo le scale, sorridendo alla madre di rimando.
“Mi dispiace se vi ho fatte aspettare. Scusa, papà.”   La ragazza lanciò un’occhiata incerta al padre, ma Penelope le sorrise e le mise una mano sul viso per costringerla a guardare lei:
“Non badare a lui, cara. Sei magnifica. La più bella di tutte.”
La donna sfiorò uno zigomo della ragazza con affetto, guardandola con orgoglio, e Caroline le sorrise di rimando mentre suo fratello minore li raggiungeva sbuffando, asserendo che se volevano potevano andare.
“Visto, Robert? Nulla di tragico, siamo pronti e perfettamente in orario. Ezra, sistemati la camicia. Andiamo.”
 
*
 
Quando mise piede nella cappella, Riocard non potè reprimere un sorrisetto: rose.
L’interno era pieno, stracolmo di fiori. Rose bianche, naturalmente, nessuna eccezione.
Agli angoli delle panche dove si poteva prendere posto, ai lati della bara di suo nonno, sopra il coperchio ancora aperto per permettere ai presenti di vedere la salma di George Cavendish, vicino al leggio di marmo da cui si poteva parlare… ovunque.
Il mago era entrato insieme alla madre, tenendola sottobraccio, e i suoi occhi chiari saettarono sulla prima fila, scorgendo cinque persone sedute l’una accanto all’altra.
Due teste femminili dai capelli biondi, due ragazzi che conosceva bene, uno dei quali rosso di capelli, e poi un uomo. Non gli serviva guardarlo in faccia per sapere di chi si trattasse.
 
“Cielo, non si smentiscono mai…”
Alexis parlò in un sussurro e alzò gli occhi al cielo mentre il figlio, piegando le labbra in un amaro sorriso, mormorava qualcosa di rimano prima di iniziare a sfilare tra le panche.
“Avevi dubbi, forse?”
 
Avrebbero potuto occupare dei posti infondo, e forse era ciò che Alexis avrebbe preferito, ma Riocard la costrinse ad avanzare fino a raggiungere i primi posti.
Mentre prendeva posto Riocard intercettò lo sguardo di Edward Cavendish, che si voltò per rivolgergli un’occhiata velenosa che il ragazzo ricambiò senza scomporsi, quasi sfidandolo ad impedirgli di sedersi nella prima fila di panche dell’altra colonna.
“Ciao Ed.”
L’attenzione di Edward venne catturata da una voce e dalla mano che gli si poggiò sulla spalla destra: il mago si voltò e intercettò lo sguardo di suo cugino Robert, che era appena apparso dietro di lui con moglie e figli.
“Come stai Rob?”
“Sono stato meglio. Tu come te la passi ? »
“Me la cavo.”
Estelle si voltò e rivolse un sorriso educato a Penelope, mentre anche sua figlia Clio si voltava per rivolgere un sorriso più allegro alla cugina Caroline, che prese posto dietro di lei.
“Ciao Clio… Come stai? Mi dispiace molto per zio George.”
Il bel volto della ragazza si rabbuiò mentre la cugina si sforzava di sorridere, asserendo di stare bene e che era un momento difficile per tutta òa famiglia.
Suo cugino Ezra, invece, prese posto accanto a Caroline e incrociò le braccia al petto senza proferire una sillaba, mentre Egan, lanciando un’occhiata scettica a Riocard Saint-Clair, si avvicinava al fratello maggiore:
 
“Perché sono venuti?”
“Dubito per manifestare il loro cordoglio. Probabilmente per dimostrare che non gli importa sapere di non essere graditi e che fanno come più gli pare e piace.”
“Il nonno però era molto affezionato a lui.”
Egan accennò a Riocard e Neit, inarcando un sopracciglio, annuì prima di rivlgere al ragazzo un’occhiata scettica:
“E’ vero. Per qualche strano motivo a noi sconosciuto.”
“Pensi che verranno tutti?”
“Ne sono assolutamente sicuro. E infatti, parli del diavolo…”
 
Elizabeth stringeva il braccio del fratello maggiore, e mai come in quel momento fu felice di avere quel supporto: non era tipo da farsi intimidire facilmente, ma le occhiate che i Cavendish rivolsero loro quando entrarono bastarono per farla raggelare.
“Ignorali, Lizzy.”
La strega annuì alle parole del fratello e al suo tono rassicurante e si lasciò condurre lungo la navata fino a raggiungere sua zia Alexis e Riocard, prendendo posto dietro di loro insieme al padre e alla madre, che si sporse per dare un bacio sulla guancia alla cugina:
“Come state?”
“Bene, anche che Ric è ancora un po’ scosso. Ciao ragazzi.”
Alexis rivolse un sorriso ai due nipoti mentre accarezzava la spalla del figlio, che invece non proferì parola.
Theseus si avvicinò al nipote, circondagli le spalle con un braccio per dirgli qualcosa a bassa voce mentre la figlia, voltandosi verso l’ingresso, sorrideva con sollievo alla vista degli zii e dei cugini:
 
“C’è zia Amiee!”
 
Elizabeth-Rose stava per rivolgere un cenno ai cugini per attirare la loro attenzione, ma l’occhiata che la madre le rivolse la fece desistere, ricordandole in che circostanza si trovassero.
“Forza ragazzi, andiamo, sedetevi dietro zio Theo e zia Astrid.”
“Dobbiamo sederci anche se i Cavendish ci guardano come animali da braccare, mamma?”
Clara aggrottò la fronte e rivolse un’occhiata incerta alla colonna di anche a sinistra della cappella mentre Cassiopea, piegando le labbra in una smorfia, borbottava qualcosa a mezza voce:
“Quasi quasi me ne andrei a casa…”
“Sedetevi e non fiatate, ragazze! Siamo qui per zia Gwendoline.”
Clara roteò gli occhi, prese la sorella minore Colleen sottobraccio e si accinse a raggiungere i parenti, sedendo dietro ad Elizabeth e Thomas mentre Ambrose e Cassiopea le seguivano coi genitori al seguito, sfilando uno dietro l’altro lungo la cappella.
 
“Oh bene, ora ci sono i pel di carota al completo.”
Robert parlò con un sorrisetto divertito che gli fece guadagnare un’occhiata eloquente da parte della moglie, che gli suggerì di stare zitto mentre, davanti a loro, Edward scrutava i Saint-Clair con gli occhi azzurri ridotti a due fessure, ribollendo di collera:
“Che accidenti ci fanno LORO qui? Che accidenti dovrebbero voler dimostrare? E’ un’offesa.”
“Caro, non pensarci. Ignorali, ok? Sono la famiglia di tua madre, per questo sono qui. Non pensarci.”
Estelle mise una mano sulla spalla del marito e si chinò leggermente verso di lui, parlandogli a bassa voce. Neanche lei era entusiasta per la presenza dei Saint-Clair, ma l’ultima cosa che voleva era sollevare polemiche o una scenata in un contesto simile.
“Come faccio a non pensarci, Estelle? Si sono persino seduti praticamente accanto a noi! Boriosi sfacciati…”
“Ed. Fallo per tua madre, ok? Non se lo merita, oggi, di dover assistere ad una litigata tra te e Theseus Saint-Clair.”
 
Estelle conosceva suo marito da trent’anni e sapeva perfettamente come prenderlo: menzionare Gwendoline sembrò colpire nel segno, perché Edward si rabbuiò ma non aggiunse altro, limitandosi ad annuire proprio mentre la madre li raggiungeva, schiarendosi la voce:
“Potete farmi posto?”
“Ma certo Gwendoline, sedetevi.”
Estelle rivolse un cenno alla figlia, suggerendole di spostarsi per permettere alla suocera di prendere posto accanto ad Egan, che le sorrise:
“Come stai, nonna?”
“Ho avuto giorni migliori Egan, ma sopravvivrò. Come sempre. Ho affrontato di tutto, ormai, nella mia vita.”
Abbassando lo sguardo, Egan si accorse che la nonna teneva in mano un fiore: una rosa, ma una rosa diversa da tutte le altre presenti nella cappella. Una rosa dai petali bianchi, ma con alcuni bordi leggermente sfumati di rosso.
Il ragazzo era certo che suo padre non avrebbe gradito quel gesto e stava per farlo notare alla donna, ma la funzione iniziò ed Egan dovette tacere, rammentando che comunque non sarebbe servito a molto: sua nonna Gwendoline faceva sempre quello che voleva.
Quando, alla fine della funzione, Gwendoline si alzò, raggiunse la bara del marito e depositò il fiore sulle sue mani intrecciate, i Saint-Clair sorrisero, le labbra di Riocard si piegarono nel primo sorriso da quando suo zio era deceduto, un sorriso soddisfatto e beffardo.
Neit Cavendish, il figlio maggiore di Edward ed Estelle, quasi sospirò prevedendo la bufera che avrebbe seguito quel gesto: Estelle si voltò preoccupata verso Edward, livido di rabbia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Ed eccoci alla lista dei fanciulli scelti!
 
Cavendish
 
Neit George Cavendish, 26 anni, ex Corvonero, figlio di Edward ed Estelle
 
Neit

Clio Estelle Cavendish, 26 anni, ex Tassorosso, figlia di Edward ed Estelle
 
Clio

Egan Gwenddoleu ap Ceidio Cavendish, 25 anni, ex Grifondoro, figlio di Edward ed Estelle
 
Egan

Caroline Penelope Cavendish, 26 anni, ex Corvonero, figlia di Penelope e Robert
 
Caroline

Ezra Joseph Cavendish, 25 anni, ex Corvonero, figlio di Penelope e Robert
 
Ezra

 
Saint-Clair (l’esercito dei rossi)
 
Riocard Lionel Saint-Clair, 25 anni, ex Grifondoro, figlio di Rodulphus e Alexis

Riocard
 
Thomas Saint-Clair, 26 anni, ex Tassorosso, figlio di Astrid e Theseus
 
Thomas


Ambrose Bouchard-Saint-Clair, 25 anni, ex Serpeverde, figlio di Amethyst e John
 
Ambrose

Cassiopea Bouchard-Saint-Clair, 23 anni, ex Corvonero, figlia di Amethyst e John

Cassiopea  

Clara Seraphine Bouchard-Saint-Clair, 22 anni, ex Grifondoro, figlia di Amethyst e John
 
Clara

Colleen Eve Bouchard-Saint-Clair, 21 anni, ex Tassorosso, figlia di Amethyst e John
 
 
Colleen



Prima di chiudere vorrei fare una precisazione sulle coppie:
Si può dire che il lato negativo di scrivere una storia così, con due famiglie protagoniste degli eventi, sia il fatto che ogni OC è direttamente imparentato con metà degli altri personaggi.
Creare le coppie diventa, quindi, abbastanza limitativo, se si esce per forza dal nucleo familiare.
Per quanto riguarda i Cavendish, tuttavia, Neit, Clio ed Egan e Ezra e Caroline tra loro non sono cugini diretti, bensì di terzo grado, quindi direi che in linea teorica tra di loro potrei creare delle coppie senza problemi, visto che non sono imparentati in maniera così stretta. Per i Saint-Clair, che tra loro sono invece cugini di primo grado, la questione è un po’ diversa.
Penso che nessuno di noi sposerebbe mai il proprio cugino/a, ma siamo a inizio secolo scorso e in Inghilterra in realtà credo che neanche oggi sposarsi tra cugini sia considerato incesto, quindi, se per le autrici non è un gran problema, potrei creare delle coppie anche tra loro.
Naturalmente non è detto, sto parlando per ipotesi, non ho ancora minimamente pensato alle coppie.
 
Fatemi sapere (e vi prego, fatelo, è importante) che cosa ne pensate a riguardo, ovviamente se l’idea vi schifa non se ne fa nulla (neanche a me fa impazzire, ma è per avere più opzioni… Che poi, ad essere precisi, visto che Gwendoline è la nonna di Clio, Neit ed Egan ma è anche prozia dei Saint-Clair, alla fine gira e rigira sono tutti imparentati, quindi c’è poco da fare gli schizzinosi in questa storia).
Con questa questione chiudo e vi saluto, ci sentiamo presto, spero, e buon weekend!
Signorina Granger

 
 
Ps. Per caso vi siete messe d'accordo per inviarmi solo OC femminili con nomi che iniziano per C? Pensare che anche un altro paio di ragazze che non ho scelto avevano questa iniziale... Ora Elizabeth è l'unica XD
NB: Molte di voi mi hanno detto che non riescono a vedere le foto, non capisco proprio per quale motivo... in giornata le caricherò su un altro server, non preoccupatevi, quindi entro sera ripassate a vedere il capitolo!  
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - L'eredità ***


Per aiutarvi a fare mente locale, un piccolo riassunto sulle parentele:
Gwendoline Saint-Clair sposa George Cavendish: insieme hanno un figlio, Edward, che sposa Estelle. La coppia ha tre figli (Neit, Clio ed Egan).
Il fratello di George, Louis Cavendish, ha un figlio, Robert, che sposa Penelope e ha due figli: Caroline ed Ezra.
Il fratello di Gwendoline invece, Riocard Saint-Clair, ha tre figli: Rodulphus, Amethyst e Theseus.
Riocard e la moglie, Anastasia, muoiono prima dell’inizio della storia, quando i tre figli vanno ancora a scuola.
Rodulphus sposa Alexis Silverstone e insieme hanno un figlio, Riocard Jr. Theseus sposa la cugina di Alexis un anno dopo, Astrid, e hanno due figli, Thomas ed Elizabeth-Rose, mentre Amethyst sposa John Bouchard. Hanno quattro figli: Ambrose, Cassiopea, Clara e Colleen.
In sostanza, i due nuclei familiari sono imparentati grazie a Gwendoline, che è la madre di Edward ma anche la zia di Theseus, Amethyst e Rod, e quindi prozia dei loro figli.
Alexis e Astrid inoltre sono cugine.
Detto ciò, buona lettura!
 
 
Capitolo 2 – L’eredità

 
Edward si era chiuso nel vecchio studio del padre insieme alla madre non appena avevano messo piede nella casa dove era cresciuto e dove suo padre, un paio di giorni prima, era spirato.
Il mago aveva lasciato gli ospiti della veglia funebre nelle mani della moglie, certo che Estelle avrebbe saputo gestire egregiamente la situazione come sempre, e ora, in piedi davanti alla madre, cercava di contenere i toni per non farsi sentire oltre la porta chiusa:
“Avete idea del significato di ciò che avete fatto?”
“Per l’amor del cielo, Edward, era solo un fiore.”
“Rose bianche, madre, rose bianche. Tutti i Cavendish vengono seppelliti, e si sposano, circondati da rose bianche. Avete offeso la famiglia. E avete dato modo a loro –“  Edward sollevò un braccio, indicando la porta chiusa con veemenza senza aver bisogno di fare nomi per farsi capire – “modo di gongolare persino al funerale di mio padre. È già tanto che i Saint-Clair siano qui, adesso.”
 
“Sei pregato di non rivolgerti ai miei parenti con quel tono in mia presenza, Edward.”
“I vostri parenti? E noi che cosa siamo, allora, madre?”
“Siete la mia famiglia, naturalmente, ma lo sono anche loro. Prima lo capirai, e lo accetterai, prima vivrai molto più serenamente. Rodulphus è morto, Edward… per quanto deve continuare, ancora, tutto questo? Non ne hai mai voluto parlare.”
 
Gwendoline appoggiò la mano – che ancora portava la fede e l’anello di fidanzamento con cui George le aveva chiesto la mano e da cui non si separava mai – sulla spalla destra del figlio, guardandolo con gli occhi azzurri carichi d’affetto e di apprensione. Edward però si scostò e scosse il capo, facendo un passo indietro e mormorando che non intendeva farlo, neanche con lei o Estelle.
 
“Ma tu e Rod…”
“Non voglio sentirlo nominare, madre. Non oggi. Adesso andiamo, non voglio dar modo ai tuoi parenti di fare commenti di alcun tipo.”


Edward diede le spalle alla madre e uscì dalla stanza senza aggiungere altro, lasciando la donna sola per qualche istante: Gwendoline lo seguì brevemente con lo sguardo, leggermente preoccupata per il figlio, prima di seguirlo. Si fermò sulla soglia quando si voltò per chiudere la porta, e il suo sguardo indugiò sulla grande  e maestosa sedia di pelle posta alle spalle della scrivania di mogano dove aveva visto il marito scrivere o leggere infinite volte.
Le sembrò quasi di vederlo, lì seduto con gli occhiali scivolati fino alla punta del naso e con dei documenti o un libro in mano, che le faceva cenno di chiudere la porta prima di lasciarlo solo.
Un sorriso malinconico increspò le labbra sottili dell’anziana strega, che fece un passo indietro per chiudere la porta e lasciare il ricordo del marito custodito all’interno della stanza.
 
*
 
“Che cosa pensate che si siano detti papà e la nonna nello studio del nonno?”
“Beh, non è che sia difficile da intuire, a giudicare dai toni soavi di papà e della faccia che aveva quando ha messo piede in casa per la veglia. No, grazie.”
Neit, che teneva un bicchiere di vino bianco in mano, rifiutò con un cenno educato il vassoio di tartine che un cameriere porse a lui e ai fratelli, mentre sua sorella Clio ne prese una con un sospiro, mormorando che per fortuna la presenza della madre stemperava la tensione.
 
“Sai che cosa la provoca, invece, la tensione? Loro. Insomma, papà ha appena perso suo padre, e sappiamo che non avevano un rapporto idilliaco, ma era comunque suo padre. Cerca di non darlo a vedere, ma è comunque turbato. In più, alla sua veglia funebre si ritrova la famiglia che odia di più al mondo… per di più nella stessa casa dove lui è cresciuto. Probabilmente la vive come un affronto bello e buono.”
Egan si strinse nelle spalle mentre lanciava un’occhiata dubbiosa al padre, che in quel momento stava parlando con Robert davanti all’imponente camino di marmo del soggiorno, proprio sul tappeto dove lui, i fratelli e i cugini giocavano da bambini.
“Beh, infondo sono i nipoti della nonna, non penso che siano venuti per creare scompiglio, ma per sostenerla. No? Tutti le vogliono bene.”
Clio spostò lo sguardo da un fratello all’altro come per cercare conferma delle sue parole ed Egan le sorrise, mettendole una mano sulla spalla e asserendo che la sua difficoltà a pensar male di chiunque la rendesse oltremodo adorabile.
“Beh, sappiamo tutti quanto Theseus Saint-Clair e nostro padre si detestino. Ci resta solo sperare che si tengano a debita distanza e che non si prendano per il collo davanti a mezzo Ministero della Magia.”
Neit si portò il bicchiere alle labbra ed Egan sorrise, serafico, asserendo che se non altro sarebbe stata una scena che avrebbe ravvivato l’atmosfera.
 
*
 
Ezra teneva la sorella maggiore Caroline a braccetto, serio in volto, mentre con l’altra mano teneva un calice di champagne. Caroline si muoveva con la sua onnipresente grazia dispensando sorrisi educati, saluti e ringraziamenti per le condoglianze mentre lui, al contrario, era occupato a guardarsi attorno con attenzione.
 
Quando lo sguardo del mago incrociò un altro paio di occhi azzurri molto familiari il ragazzo sbuffò, distogliendo in fretta lo sguardo per mormorare qualcosa alla sorella con tono risentito:
“Se Ambrose Saint-Clair non la finisce di lanciarmi occhiatacce vado a chiedergli se ha bisogno di qualcosa.”
“Il suo nome è Ambrose Bouchard-Saint-Clair, Ezra.”
“Quello che è, rimane comunque uno di loro.
 
Caroline alzò gli occhi al cielo, ma non osò controbattere per non irritare il fratello minore e si diresse, invece, verso i loro cugini: Neit, Clio ed Egan – inseparabili come sempre – parlottavano tra loro in un angolo mentre Estelle faceva gli onori di casa insieme a Gwendoline e Penelope.
“Ciao ragazzi… Tutto bene con vostro padre?”
Clio si sporse per dare un bacio sulla guancia della cugina, che guardò Egan sbuffare e roteare gli occhi, borbottando che non vedeva l’ora che quella giornata finisse.
 “Ho idea che andrà per le lunghe. Il notaio è già arrivato?”     Ezra si sistemò il coletto della camicia e si guardò intorno, curioso, mentre Neit si stringeva nelle spalle, rispondendo con tono neutro:
“Non credo, sinceramente, ma sono felice che la lettura del testamento venga fatta oggi, meglio così che tirarla per le lunghe in eterno.”
“Ho idea che ne vedremo delle belle. È sempre così quando c’è una grande eredità di mezzo. Insomma, George avrà anche delegato la sua eredità “politica” ai Saint-Clair, ma c’è ancora un’altra questione in ballo.”
“Ciò che secondo il nonno fa girare il mondo, Ezra: il denaro.”
 
*
 
Theseus, in piedi in una angolo, teneva gli occhi chiari fissi su Edward Cavendish, senza degnare di uno sguardo il buffet o nessun altro.
Sua moglie stava conversando, insieme ad Alexis, con un qualche funzionario d’alto rango del Ministero, e ad avvicinarsi al mago fu sua sorella. Amethyst lo raggiunse con un bicchiere in mano, fermandosi accanto al fratello e sforzandosi di sorridere prima di parlare.
“A che cosa stai pensando? Conosco quello sguardo. Mamma diceva che sembrava volessi trafiggere qualcosa, a volte.”
“Beh, ammetto che c’è qualcuno che trafiggerei volentieri con lo sguardo in questa stanza, se solo potessi. Come sta la zia, l’hai vista stamattina, vero?”
Theseus si voltò e posò lo sguardo sulla strega, che annuì prima di lanciare un’occhiata fugace alla padrona di casa, che sembrava rilassata e a proprio agio in mezzo ai suoi ospiti.
“Mi è sembrato che stesse… bene, come ora, in effetti. Non so come ci riesca. Quando ero giovane la ammiravo moltissimo, ma lei diceva che un giorno anche io sarei stata forte tanto quanto o più di lei. Adesso però non sono più così giovane, e non avrò mai la presunzione di paragonarmi a mia zia. La ammiro anche di più, se possibile.”
“Ci ho pensato anche io, sai? A come mi sentirei se Astrid morisse. Tu come ti sentiresti?”
“Non riesco più ad immaginarmi senza John, sai? E’ passato tanto tempo… E una donna è abituata a dipendere da un uomo. Se ci pensi, io sono passata dalle mani di nostro padre, a quelle di Rod, e infine a quelle di John.”
Un sorriso dalle note amare increspò le labbra carnose della donna, che accennò al fratello in direzione della loro cognata:
“Dovremmo chiederlo ad Alexis, lei ci è passata. Forse lei sa come ci si sente, a non dipendere da un uomo.”
“Stai insinuando che sia felice senza Rod, Amiee?”
“Lungi da me, fratellino. Non nego che sia stato difficile per lei, dico solo che nella mia vita ho visto vedove di gran lunga più disperate. Immagino sia il prodotto di un matrimonio in buona parte combinato.”
Amethyst si strinse nelle spalle, portandosi il bicchiere alle labbra mentre Theseus annuiva, pensieroso.
Si domandò, all’improvviso, come sua moglie avrebbe affrontato la sua dipartita.
Non ci aveva mai pensato.  Alexis aveva gestito il lutto in un modo, ma nessuno meglio di Theseus sapeva quanto lei e la moglie fossero diverse.
 
*
 
“Sono un po’ preoccupata per Ric. Non è poco saggio lasciarlo qui da solo insieme a loro?”
Colleen lanciò un’occhiata apprensiva alla porta dietro alla quale il cugino era sparito già da diversi minuti, da quando il notaio aveva raggiunto la veglia funebre a casa Cavendish.
Gli ospiti stavano iniziando ad andarsene, tra cui anche i Saint-Clair, ma la più giovane tra i figli di Amethyst e John non sembrava del tutto convinta di andarsene senza il cugino, così come Elizabeth, che annuì con aria preoccupata mentre si allacciava il mantello all’altezza della gola:
 
“Lo penso anche io. Non potremmo, che so, aspettarlo qui fuori? Non penso che zia Gwendoline ci caccerebbe!”
“Lei no, ma suo figlio uscirebbe maledicendoci, ho idea… Ragazze, non preoccupatevi, Riocard non è in una gabbia di tigri.”  
Colleen lanciò un’occhiata molto incerta alla madre, ma Amethyst liquidò il discorso con un gesto della mano e mise un braccio attorno alle spalle della figlia, assicurando alla giovane strega che Riocard era perfettamente in grado di cavarsela da solo.
“E poi c’è anche zia Gwen, non preoccuparti, tesoro!”
“Io oltre a Edward mi preoccuperei di Ezra ed Egan, Riocard e loro due si odiano da quando hanno messo piede ad Hogwarts.” Ambrose aggrottò la fronte, scettico, mentre si infilava il mantello, guadagnandosi un sorrisetto beffardo da parte di sua sorella Clara, che guardò il maggiore con aria divertita:
“Ah, certo, perché tu ci andavi d’amore e d’accordo e una volta non hai quasi fatto a pugni con Ezra a scuola, vero?”
“Quella è acqua passata.”    Ambrose liquidò il discorso con un gesto molto simile a quello usato poco prima dalla madre, che gli lanciò un’occhiata torva mentre Clara, prendendo il fratello sottobraccio, sorrideva:
“Certo, come no… Cherry, non preoccuparti per Ric, la mamma ha ragione, sa il fatto suo, e c’è zia Gwen. Nessuno oserebbe mettersi a fare a botte o a duellare davanti a lei, prenderebbe tutti per un orecchio.”
 Clara rivolse un sincero sorriso rassicurante alla sorella minore – alla quale era molto affezionata e verso cui, a causa del carattere mite di Colleen, era molto protettiva – che annuì mestamente, rincuorata ma non del tutto convinta, mentre Cassiopea, sbadigliando, chiedeva se potevano finalmente tornare a casa.
“Non andiamo a casa, Cassy, andiamo tutti da zio Theo per un po’… Ma NON Smaterializzatevi tutti insieme, o finirà come a Natale dell’anno scorso e vi scontrerete gli uni con gli altri nello stesso punto. Ambrose, va tu con Clara, io papà vi seguiamo.”
 
Thomas, che fino a quel momento era rimasto in silenzio e in disparte – sinceramente curioso su cosa Riocard avrebbe ricevuto in eredità – colse l’occhiata eloquente che la sorella minore gli rivolse mentre si avvicinava a Cassiopea per smaterializzarsi insieme a lei e Ambrose e Clara sparivano con un sonoro schioppo.
Il ragazzo posò lo sguardo su Colleen e, sforzandosi di sorridere, le si avvicinò per porgerle un braccio:
“Ti dispiace venire con me, Colleen?”
La più piccola lo guardò sorpresa per un istante, ma poi annuì e gli rivolse un caloroso sorriso, stringendogli l’avambraccio con delicatezza:
“Ma certo Thomas.”
 
 
 
“Alexis, cosa credi che George abbia lasciato a Riocard?”
“Non ne ho idea, ma qualunque cosa sia, spero mandi quei due su tutti le furie, se lo meritano. Andiamo, muoio di freddo, rimpiango già l’estate.”
Alexis si sistemò il colletto del mantello con un sospiro annoiato mentre la cugina la guardava scettica, chiedendosi se davvero non ne avesse idea: Astrid la conosceva molto bene, le due erano cresciute insieme – in amore e in disaccordo – essendo quasi coetanee, ma ancora non riusciva del tutto a decifrare quando mentiva.
Non sempre, almeno.
 
“Vieni cara, presto avremo la casa invasa.”
Theseus prese la mano della moglie con un sorriso, e la donna sbuffò prima di alzare lo sguardo per ricordargli che era stata una sua idea, quella di invitare tutta la caotica famiglia a casa loro.
“Non guardarmi così cara, tutti vogliamo avere notizie da Riocard, no?”
“Caro, in casa oltre a due figli abbiamo già due volpi e persino un Occamy, ma neanche una creatura magica come quella sa risultare ingombrante quanto la tua famiglia al completo!”
 
*
 
Riocard non avrebbe voluto prendere parte al funerale, quel giorno. Ci erano voluti gli interventi combinati di sua madre e di suo zio Theseus per convincere il ragazzo, che aveva definitivamente ceduto solo quando aveva ricevuto una lettera dal notaio dei Cavendish. George lo aveva citato nel suo testamento.
A quel punto si era sentito costretto a prendere parte al funerale: non gli importava molto se l’uomo gli avesse lasciato del denaro o chissà che altro, ma sentiva che ignorare le sue ultime volontà sarebbe stata una mancanza di rispetto nei confronti del patriarca dei Cavendish, uomo a cui lui doveva moltissimo in ogni caso.
Quando il notaio era apparso nel salotto dei Cavendish attraverso la Metropolvere l’attenzione di tutti i presenti si era catalizzata sul figlio e i vari nipoti: tutti si chiedevano che cosa avrebbe lasciato loro, soprattutto considerando che l’uomo anni prima aveva privato proprio suo figlio del suo bene più prezioso. La sua carica.
Il Signor Jenkins, il notaio, aveva chiesto di poter conferire privatamente con la vedova nello studio del defunto, invitando i parenti più prossimi del suo cliente ad aspettare il suo invito per raggiungerli.
Riocard, che non impazziva dalla voglia di ritrovarsi chiuso in una stanza con tutti buona parte dei Cavendish presenti al funerale – suo zio lo aveva persino messo in guardia da fatture varie, e sua madre lo aveva abbracciato come se gli stesse dicendo addio – si era messo ad aspettare nell’anticamera dello studio, lontano, almeno laggiù, da occhi indiscrete e malelingue.
La notizia che anche lui era stato citato nel testamento di George aveva subito fatto il giro della veglia, e sembrava che tutti si stessero chiedendo che cosa gli avesse lasciato a discapito dei suoi stessi eredi.
L’ex Grifondoro era seduto a fumare quando un’incerta voce femminile giunse alle sue orecchie:
 
“Non credo che mia nonna sarebbe contenta. È un vizio che non apprezza, e non lo tollera in casa sua. Giusto… Giusto perché tu lo sappia.”
Riocard si voltò e rivolse una rapida occhiata pigra alla sua interlocutrice prima di tornare a guardare dritto davanti a sé, mormorando che in tal caso avrebbe affrontato la padrona di casa personalmente.
“Grazie per l’interesse, comunque.”
 
Clio esitò, guardandolo incerta: non conosceva di persona quel ragazzo, ma suo fratello minore Egan sì, i due erano stati compagni di scuola e anche di Dormitorio, anche se non erano mai andati particolarmente d’accordo. Aveva sentito suo padre nominare spesso il figlio di Rodulphus Saint-Clair, spesso non con tono lusinghiero a causa dell’attenzione che suo padre gli aveva riservato da alcuni anni a quella parte, specie da quando Rodulphus era morto.
“Sei Riocard, vero?”
“Si legge Ricard. È irlandese.”   Riocard parlò con tono piatto e senza muovere un muscolo, come se fosse fin troppo abituato a recitare quelle stesse parole. Parole che però colpirono la ragazza, che disse qualcosa quasi senza volerlo:
“Oh, scusami. Anche il nome di mio fratello è irlandese.”
 
Riocard si voltò verso di lei e Clio si maledisse mentalmente per non essere mai in grado di tenere la bocca chiusa. Forse sua madre aveva ragione su di lei, dopotutto. Che cosa gliene importava, a Riocard Saint-Clair, dell’origine del nome di un ragazzo che detestava e che per di più era il figlio di un uomo che odiava la sua famiglia?
 
Il ragazzo però fece qualcosa che Clio non aveva programmato: piegò le labbra in un sorrisetto dalle note beffarde e si alzò, facendo evanascere il sigaro prima di lisciarsi le pieghe della giacca mentre la studiava, divertito:
“Lo so bene. In effetti, è una cosa che ho sempre trovato ironica.”
“In che senso?”
Clio inarcò un sopracciglio, confusa: quel ragazzo la metteva a disagio, non poteva negarlo, ma non fu capace di impedirsi di abboccare alla sua provocazione.
“Beh, il fatto che il tuo fratellino abbia un nome irlandese.”
“I miei genitori glie l’hanno dato per via… per via dei suoi capelli.”
 
Gli occhi di Clio saettarono quasi senza volerlo sui capelli leggermente ricci di Riocard, rossi esattamente come quelli di suo fratello: ad Hogwarts al primo anno gli insegnanti li confondevano a causa della divisa identica e dei capelli e gli occhi dello stesso colore. Sembravano fratelli, dicevano.
 
“Ma certo, i capelli rossi. I capelli rossi dei Saint-Clair. L’ho sempre trovato così divertente… Tuo padre che ci odia tanto, tuo padre che farebbe di tutto per rinnegare da dove viene, che si ritrova un figlio con il nostro tratto fisico distintivo e omaggia persino la mia famiglia chiamandolo così, forse inconsapevolmente. Oh, non lo sai?”
Di fronte all’espressione confusa di Clio il sorriso di Riocard si allargò, gli occhi luccicanti:
“I miei genitori mi diedero i nomi dei miei nonni. Riocard era il nome del padre di mio padre, il fratello di Gwendoline. Come ti ho detto, è un nome irlandese. La mia famiglia viene da lì, anche se il cognome può trarre in inganno. Per questo trovo divertente che tuo padre abbia inconsapevolmente omaggiato così origini di sua madre.”
 
Clio aprì la bocca per dire qualcosa, ma venne bloccata sul nascere quando qualcuno interruppe lei e Riocard: la strega sentì una mano poggiarlesi sulla spalla destra e un attimo dopo la voce di suo fratello Egan giunse le giunse alle orecchie.
“Stai dando fastidio a mia sorella, Saint-Clair?”
I due ragazzi si scambiarono una rapida occhiata gelida prima che Riocard, che aveva improvvisamente smesso di sorridere, si infilasse le mani nelle tasche con aria disinvolta, parlando con un tono pacato che si distoglieva molto da quello duro del coetaneo:
“Non rientra nelle mie intenzioni. In tal caso mi scuso, Signorina Cavendish.”
Riocard le rivolse un cenno del capo educato e Clio, voltandosi verso il fratello minore, scosse il capo di fronte all’occhiata seria e interrogativa di Egan, che la guardava dall’alto in basso:
“No, affatto. Va tutto bene Egan.”
Il minore dei fratelli Cavendish stava per dire qualcosa, ma venne preceduto dalla voce seria e pacata del notaio, che aprì la porta dello studio e comunicò che Edward Cavendish, Robert Cavendish, le loro mogli, i loro figli e Riocard Saint-Clair potevano entrare per la lettura del testamento.
 
“Andiamo.”
Desiderosa di allontanare il fratello dall’enigmatico Riocard, Clio prese Egan sottobraccio e lo condusse rapidamente nello studio, dove sua nonna stava disponendo magicamente delle sedie che aveva appena evocato.
Ben presto vennero raggiunti anche dai loro parenti: Edward prese posto in prima fila accanto alla moglie, Robert e Penelope, mentre i loro figli si disposero alle loro spalle. Riocard, dal canto suo, prese l’ultima sedia rimasta e la spostò in modo da trovarsi infondo alla stanza, sedendo a braccia conserte senza degnare nessuno dei presenti di un’occhiata tranne Gwendoline, alla quale rivolse un debole sorriso quando la zia gli passò accanto per sedersi accanto ad Edward.
 
“Bene signori, possiamo cominciare. Le ultime volontà del mio compianto cliente sono  piuttosto chiare, era un uomo pratico, non ci sono particolari clausole. 
Il Signor Cavendish ha stilato un primo testamento insieme a me quindici anni fa, salvo poi modificarlo nel 1900, quando vi ha inserito il Signor Rodulphus Saint-Clair. Alla luce della sua prematura dipartita, il mio cliente ha modificato ulteriormente il testamento, esattamente un anno fa. E qui compare lei, Signor Saint-Clair.”
Il mago rivolse un cenno al ragazzo seduto infondo alla stanza, verso il quale Robert si voltò e a cui rivolse un’occhiata scettica prima di tornare a sedere dritto con un debole sbuffo. Edward, dal canto suo, restò impassibile: aveva promesso ad Estelle di contenersi e di ignorare il ragazzo, e avrebbe cercato di tenere fede alla promessa fatta alla moglie.
 
“Il Signor Cavendish lascia in eredità a suo nipote Robert, il figlio di suo fratello Louis Cavendish, 200.000 galeoni. Ai suoi figli, Ezra e Miss Caroline, lascia 100.000 galeoni a testa.”
“Ai suoi tre nipoti, Neit, Clio ed Egan, il Signor Cavendish lascia in eredità 250.000 galeoni ciascuno. Ha espressamente richiesto che i soldi destinati a Miss Clio fungano da sua dote in caso dovesse sposarsi. In caso contrario, la signorina potrà farne l’uso che preferirà.”
Edward teneva gli occhi fissi sul notaio, impaziente: mancava ancora la fetta più grossa del patrimonio di famiglia, che comprendeva il denaro restante, nonché la casa, gli altri possedimenti e tutti i beni materiali di suo padre.
Naturalmente, tutti si aspettavano che George avrebbe diviso quei beni tra lui e la moglie.
 
“A suo figlio Edward il Signor Cavendish lascia la sua casa in Cornovaglia. La casa del Derbyshire, nelle Midlands Orientali, la lascia invece a sua moglie, consapevole dell’affetto che la lega alla ragione in cui la signora è nata e cresciuta. Tutto il patrimonio restante, il Signore lo lascia a suo figlio, imponendogli però di delegare un terzo della quota a sua madre.”
Edward si voltò verso la madre e le rivolse un debole sorriso, allungando una mano per prendere quella della donna, che ricambiò.
Un singolo pensiero, tuttavia, attraversò la mente di tutti i presenti: qualcosa non era ancora stato menzionato.
Dal canto suo, Riocard si stava domandando che cosa ci facesse lì: tutti i soldi di George erano già stati suddivisi tra figlio, moglie e nipoti. Non capiva che cosa ci facesse in quella stanza, anche se dei soldi dei Cavendish non gli importava affatto.
“Che cosa ne sarà di questa casa, John?”
Alla domanda di Gwendoline, che si rivolse al notaio con tono educato, gli sguardi di tutti i presenti si spostarono di nuovo sul notaio, che diede un’occhiata alle ultime righe del foglio di pergamena che teneva in mano prima di schiarirsi la voce:
 
“Il Signor Cavendish lascia la casa a Londra, con tutto ciò che essa contiene, al Signor Riocard Lionel Saint-Clair.”
Per un solo istante il figlio di Rodulphus perse la sua espressione indifferente: il ragazzo sgranò gli occhi, quasi cadendo dalla sedia mentre Gwendoline si voltava di scatto verso di lui.
“CHE COSA? A LUI?” Robert sgranò gli occhi, scandalizzato, mentre Edward invece scattava in piedi, asserendo che non l’avrebbe mai permesso mentre il notaio ripiegava il testamento, si toglieva gli occhiali e posava lo sguardo, serio in volto, sul ragazzo dai capelli color rame seduto infondo alla stanza, finendo di parlare senza badare alle parole dei due eredi più diretti del defunto:
 
“Solo alla condizione che il suddetto signore sposi una delle sue nipoti entro cinque anni a partire da oggi. In caso ciò non accada, i mobili e le collezioni d’arte e di gioielli del Signor Cavendish verranno devoluti in beneficienza, mentre la casa andrà a sua moglie Gwendoline.”
Estelle si irrigidì e rivolse un’occhiata scettica a Penelope mentre, alle loro spalle, le loro figlie facevano altrettanto: quello era un risvolto che non avevano preso in considerazione.
 
*
 
“Ci sta volendo un’eternità o è solo una mia impressione dovuta all’impazienza?”
Cassiopea, completamente distesa sul letto di Elizabeth-Rose, sbuffò mentre disegnava cerchi concentrici sopra di lei con un filo di luce bianca che fuoriusciva dalla punta della sua bacchetta.
“No, non sei l’unica. Ma si trattava di un patrimonio non indifferente, suppongo, e magari sono sorte complicazioni…”
Elizabeth, seduta su una delle due poltroncine sistemate di fronte al caminetto spento con Phobos in braccio, sospirò mentre Colleen, seduta accanto a lei, sorrideva a Deimos mentre gli grattava la pancia e Clara se ne stava in un angolo, assorta e impegnata a contemplare il cielo oltre la finestra della camera da letto.
“Rilassatevi, magari staranno litigando tra loro per la fetta di patrimonio più grossa. Non vi danno questa impressione?”
“A volte, ma non oso immaginare che impressione abbiano LORO di noi, quindi è tutto relativo, Clara. Però bisogna ammettere che sono tutti davvero belli, non trovate? Ho sempre pensato che Estelle Cavendish sia una delle donne più belle in circolazione, e Caroline e Clio Cavendish non sono da meno. Ad ogni singolo evento tutti non fanno che parlare di Caroline e di quanto sia educata, gentile, graziosa, elegante, di buon cuore e bla bla bla…”
 
Cassiopea roteò gli occhi chiari mentre Colleen, stringendosi nelle spalle, asseriva con candore che in tal caso doveva essere vero per forza.
Clara guardò la sorella minore e sorrise mentre Elizabeth, allungando una mano per prendere quella della cugina, dava voce ai pensieri di entrambi:
“Nessuno può essere più di buon cuore te, Cherry. Comunque sia, non conosco bene nessuno di loro, a dire il vero, sono tutti più grandi di noi di qualche anno… Cassy, tu ti ricordi di Ezra Cavendish a scuola? Eravate nella stessa Casa, anche se è più grande.”
“Chi se lo scorda… Era dell’anno di Ambrose, e non potevano vedersi, così come con Riocard… Da quel punto di vista Neit Cavendish è il migliore, almeno si fa sempre gli affari suoi e non si crede superiore al mondo intero. Ezra Cavendish aveva una terribile aria di supponenza, e mi trattava come se fossi un’idiota davanti a tutti solo per via del mio cognome e perché ero la sorella di Ambrose!”
“Io ricordo qualcosa di Egan, invece. Non faceva strage di cuori tra le nostre compagne?”
Clara aggrottò la fronte ed Elizabeth annuì mentre Cassiopea roteava gli occhi, sbuffando piano mentre la cugina parlava:
“Me lo ricordo bene anche io, anche se a noi ovviamente non si avvicinava neanche… Che ci trovasse inguardabili?” Elizabeth ridacchiò mentre grattava le orecchie di Phobos, visibilmente compiaciuto, e Cassiopea si alzava a sedere, tirandole un cuscino:
“Figurati, è sempre per la storia del cognome. Chissà cosa gli hanno detto i loro genitori sul nostro conto, forse che sputiamo fuoco, o che siamo tutte delle arrampicatrici sociali.”
“Così arrampicatrici che siamo tutte ancora zitelle!”
“Zitella sarai tu Clara, mamma dice che prima dei 28 anni, ai giorni nostri, non puoi definirti zitella anche se non sei sposata o fidanzata!”
 
*
 
Gwendoline aveva raggiunto il nipote e gli aveva consigliato di dileguarsi rapidamente non appena il notaio aveva finito di leggere il testamento del marito, promettendo a Riocard di incontrarsi presto per parlarne: sapeva benissimo che a breve sarebbe scoppiato un putiferio, e la presenza del ragazzo avrebbe solo alimentato lo sgomento, l’indignazione e la rabbia di tutta la famiglia.
 
Un’ora dopo, infatti, la strega sedeva dietro alla scrivania del marito mentre, davanti a lei, Edward e Robert discutevano sul da farsi.
“E’ inaccettabile, ci sarà qualcosa che si può fare! Papà delirava, a quanto pare.”
“Tuo padre è rimasto lucidissimo fino alla fine, Ed, e tu lo sai bene. Non credo che si potrà impugnare il testamento.”
“E se quel ragazzo lo avesse confuso, o incantato con la Maledizione Imperius? Magari mirava all’eredità. Non mi stupirebbe, è proprio quello che ha fatto suo padre. Forse possiamo dimostrarlo.”
Gwendoline fulminò Robert con lo sguardo all’accenno a Rodulphus, ma per quieto vivere decise di lasciar correre mentre si alzava in piedi con un sospiro, sistemandosi lo scialle nero che le copriva le spalle:
 
“Sono sicura che Riocard non ha fatto nulla di ciò, era sorpreso quanto noi. E non credo che avere questa casa gli interessi molto: senza offesa, ma vi odia quanto voi odiate la sua famiglia. No, dev’essere stata tutta una provocazione di George, davvero vi sorprende? Credo che discuterne ora non porti a nulla, è stata una giornata lunga. Ne riparleremo nei prossimi giorni.”
“Ma mamma, questa casa è nostra de generazioni e generazioni, non puoi davvero volere che passi in mano a qualcun altro!”
“Ti ricordo che c’è una clausola, Edward: perché passi davvero nelle mani di Riocard lui dovrebbe sposare Caroline o Clio. Considerando che nessuno di voi due darà mai la sua benedizione alle nozze, ancor meno dopo oggi, non vedo perché siate così agitati. Se non ci sarà alcun matrimonio la casa resterà in mano mia, e naturalmente io la lascerò a te, alla mia morte. Non credo che sarà una perdita.”
Gwendoline vide figlio e nipote acquisito scambiarsi un’occhiata dubbiosa e abbozzò un piccolo sorriso, inarcando un sopracciglio:
 
“Certo, a meno che a voi non interessi, oltre alla casa, anche ciò che contiene, che vale moltissimo. In tal caso, se Riocard sposasse una delle vostre figlie, il patrimonio resterebbe comunque, parzialmente, nelle vostre mani. George vi ha messi di fronte proprio ad un bell’inghippo, ma onestamente non mi sarei aspettata nulla di diverso. Buonanotte, cari. Ne riparleremo con calma, per oggi direi che le emozioni possono bastare.”
Edward non ebbe il coraggio per cercare di trattenere la madre, lasciando che la donna superasse lui e il cugino per uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
A quel punto Robert sospirò, passandosi una mano tra i capelli mentre tornava a guardare il cugino:
 
“Come dovremmo muoverci a riguardo?”
“Non lo so, ma la casa potrebbe andare a Saint-Clair solo tra tre anni, fino ad allora niente e nessuno si muove da qui. Vorrei che mio padre fosse qui per complimentarmi per la sua trovata, posso quasi vedere la sua espressione beffarda e schifosamente soddisfatta. Non poteva darmi vita facile neanche da morto, naturalmente.”
Edward sbuffò, e lanciando un’occhiata quasi truce al ritratto di famiglia appeso alla parete – e in particolare sulla figura di George, seduto su un divanetto accanto alla moglie con figlio, nuora e nipoti in piedi alle loro spalle – girò sui tacchi per andarsene, aprendo la porta con una spinta mentre Estelle, in attesa, stava davanti al camino per tornare a casa insieme al marito.
La donna guardò l’uomo avvicinarlesi con sguardo leggermente preoccupato, mettendogli una mano sulla spalla quando la vicinanza glielo permise:
“Va tutto bene?”
“Per niente, ma cercherò di non pensarci più, per oggi. I ragazzi sono a casa?”
“Sì, gli ho detto che potevano andare.”
“Bene. Domani parlerò con Clio.”
 
Il tono del marito era così perentorio che Estelle non ebbe il coraggio di contestarlo o di chiedergli cosa volesse fare, ma lo seguì all’interno del caminetto co un’espressione sinceramente preoccupata dipinta sul volto.
Non aveva nessun motivo per disprezzare personalmente Riocard Saint-Clair – se non le dicerie e le lamentele di Egan, a cui però la donna non aveva mai dato totale credito non conoscendo il ragazzo di persona –, ma l’idea di lasciare la sua unica figlia in pasto a quella famiglia, che li odiava dal primo all’ultimo, non la allettava affatto.
 
*
 
“Ti ha… ti ha lasciato LA CASA? Ci stai prendendo in giro?”
“Credimi, lo vorrei tanto.” 
Riocard, in piedi davanti al camino acceso, diede un leggero colpetto ad un pezzo di legno con uno sbuffo, mentre Thomas, seduto sul divano alle spalle del cugino, stentava a credere alle sue orecchie, così come il resto della famiglia.
Alexis, che non sapeva se gioire o disperarsi, lanciò un’occhiata dubbiosa a Theseus, che non aveva ancora aperto bocca e sembrava riflettere sulle parole del nipote.
 
“Perché lo avrà fatto, Theo?”
“Non ne ho idea, non conoscevo bene George… Potremmo chiederlo a zia Gwen, forse con lei ne aveva parlato.”
“Non ne sarei certo zio, mi è sembrata sorpresa. Non contrariata quanto suo figlio, ma sorpresa. C’è una clausola, comunque. Dovrei sposare una delle sue nipoti entro i prossimi cinque anni, per averla.”
Alle parole del cugino Ambrose, seduto tra Thomas ed Elizabeth, non riuscì a trattenersi dallo scoppiare sonoramente a ridere, asserendo che il vecchio aveva di certo voluto prenderli in giro.
Il ragazzo sollevò le sopracciglia quando Amethyst gli scoccò un’occhiata torva, guardando la madre come se non capisse perché tutti fossero così seri:
 
“Andiamo, Riocard che sposa una Cavendish? Proprio RIOCARD, dopo tutto quello che Edward Cavendish ha fatto allo zio Rod? È assurdo, non accadrà mai!”
“Bisogna capire perché lo zio l’ha fatto, comunque. Ho visto zia Gwen prima del funerale e non me ne ha fatto parola, sono certa che non lo sapeva.”  Amethyst strinse le braccia al petto, dubbiosa, mentre Alexis sbuffava piano, seduta accanto ad Astrid:
“Beh, se non l’ha detto a lei non vedo a chi altro potrebbe averlo confidato. Chissà cosa gli è passato per la testa…Di certo Edward starà gongolando, tanto non acconsentirà mai ad un matrimonio del genere, figuriamoci. Hanno la casa in tasca.”
 
“Papà, tu che cosa ne pensi?”
Elizabeth-Rose si voltò verso il padre, in piedi alle spalle del divano occupato da lei, Thomas, Clara ed Ambrose. L’uomo esitò, scrutando il nipote con attenzione prima di scambiarsi un’occhiata eloquente con la sorella, conscio del fatto che entrambi stavano pensando la stessa cosa.
 
“Mi sembra chiaro.”
“Beh, illuminaci allora.” Astrid aggrottò la fronte alle parole del marito, guardandolo in attesa esattamente come tutti gli altri.
Riocard si voltò per guardare lo zio e i due si scrutarono per qualche istante prima che il capofamiglia parlasse, serio in volto tanto quanto nella voce:
 
“George Cavendish ha sposato una Saint-Clair. Gli anni successivi alle loro nozze sono stati gli unici di pace, relativamente, tra le nostre famiglie. Mi sembra chiaro che George fosse stanco di questa faida e che il suo sia un tentativo per riunire la Rosa Bianca e la Rosa Rossa. Riunirle tramite un matrimonio, come avvenne tra lui e zia Gwendoline.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Buonasera a tutte, care autrici, grazie mille per le recensioni dello scorso capitolo 😊
Onestamente confesso di non essermi fatta un’idea molto precisa sulla vostra posizione generale a proposito della questione coppie-parentele, ma ci torneremo con maggiore precisione quando arriverà il momento, per voi, di comunicarmi le vostre preferenze per il vostro OC u.u
(Ne approfitto come sempre per invitarmi a prestare attenzione ai “candidati”, visto che non passeranno molti capitoli prima che io vi ponga la fatidica domanda)
Inoltre, devo fare una piccola comunicazione che ho completamente scordato di inserire nello scorso capitolo, mi scuso, troppe cose da dire come sempre: il personaggio di Riocard non mi è stato mandato da nessuna autrice, è invece di mia invenzione. Di norma non creo più di un personaggio per una stessa storia, salvo casi come Half-Blood e Toujours Pur, e infatti non avevo intenzione di farlo, ma per il figlio di Rod e Alexis avevo idee abbastanza precise, diciamo, e poiché non mi è arrivata nessuna scheda che corrispondesse all’immagine che mi ero fatta, sono intervenuta.
Spero vivamente che il capitolo sia di vostro gradimento, attendo con trepidazione i vostri pareri sui personaggi, che sto iniziando a delineare, e su ciò che è avvenuto.
A presto e buonanotte,
Signorina Granger
 
PS. Per darmi modo di organizzarmi meglio – ma anche a voi per recensire e gestire i tempi – ho pensato di scandire le pubblicazioni fissando un giorno a settimana in cui cercherò di aggiornare sempre la storia. Pensavo al mercoledì, a metà settimana ditemi se vi può andar bene 😊
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Due anni prima
Casa di George e Gwendoline Cavendish, Londra
 
Sua madre lo aveva accompagnato fino alla porta, abbracciandolo prima di salutarlo silenziosamente con un’occhiata preoccupata mentre lo guardava entrare in casa.
Quando fu Gwendoline ad accogliere il ragazzo Alexis si rilassò, rivolgendo alla donna un breve sorriso prima di sparire Smaterializzandosi.
“Vieni caro.”
Gwendoline gli aveva messo una mano sulla spalla e lo aveva condotto nello studio del marito, lasciandoli soli. Riocard avrebbe preferito che fosse presente anche sua zia, che era una figura molto rassicurante, ma non osò obbiettare quando la donna uscì dallo studio e andò a sedersi su una delle due sedie poste di fronte alla scrivania del vecchio senza dire una parola.
 
Per qualche minuto nessuno dei due parlò e George Cavendish si limitò a studiarlo fumando il suo sigaro, mentre il ragazzo, al contrario, teneva il capo chino evitando il suo sguardo.
“Mi dispiace molto per tuo padre, Riocard.”
Il giovane mago sollevò la testa e lo guardò per la prima volta da quando era entrato nella stanza, riducendo gli occhi chiari a due fessure mentre lo scrutava:
“Che cosa vuole da me, Signor Cavendish? Dubito che mi abbia fatto chiamare per farmi le condoglianze.”
 
“Sai perché tuo padre ti ha dato questo nome?”
“Mio nonno si chiamava così. Perché?”
“Esatto. Mia moglie… Tu le stai molto a cuore, ragazzo. Immagino sia perché le ricordi suo fratello. Gli somigli, sai?”
“A mio padre? Lo so.”
“Non a tuo padre ragazzo, a tuo nonno. Fisicamente, ma anche per carattere, o almeno così diceva tuo padre. Tu non l’hai mai conosciuto, è morto quando tuo padre era poco più giovane di te, ma tua zia Gwendoline adorava suo fratello, un amore che io, per il mio, non ho mai provato. E per questo motivo, alla morte dei tuoi nonni, fece qualcosa che nessuno si sarebbe aspettato, visto e considerato che era sposata con un Cavendish. Prese quei tre ragazzi sotto la sua ala, tuo padre e i tuoi zii. Anche io volevo bene a Rodulphus, Riocard.”
 
“Sono qui per questo? Perché possa dirmi queste cose commoventi? Signor Cavendish, non ho niente contro di lei, ma se permette mio padre è appena morto. Non solo, è stato ucciso. La carica che lei gli ha lasciato l’ha ucciso, Signor Cavendish.”
 
“Forse, Riocard. Ma tu sei suo figlio, e sai che cosa significa. Non penso che tu sia pronto, tuo padre non pensava certo di morire così giovane… Perciò, intendo fare ciò che feci con lui: ti insegnerò quello che so, Riocard.”
 
Riocard stava in piedi davanti alla finestra, la vestaglia di seta rossa slacciata e una tazza di caffè in mano mentre scrutava il sole sorgere.
Non riusciva a dormire da quando George era morto. E gli eventi del giorno prima, se possibile, l’avevano scosso ancora di più.
 
Non aveva mai chiesto niente. La carica di Ministro, i soldi di suo padre, e ora la casa di George… Non era interessato a sposare una delle sue nipoti alimentando l’odio di Edward Cavendish, anche se l’idea di vederlo costretto a cedere pur di mantenere il controllo sulla casa di famiglia in parte lo deliziava.
George Cavendish si era affezionato a lui, negli ultimi due anni. E soprattutto, era riuscito in qualcosa dove suo padre aveva fallito: aveva creduto in lui.
La morte di Rodulphus era stata difficile. Non era il più affettuoso dei genitori, e non aveva un temperamento semplice da gestire, ma Riocard lo aveva sempre ammirato e idolatrato, incurante delle liti frequenti a causa dei caratteri simili. Quando era morto, essendo figlio unico, Riocard si era sentito solo con gli occhi del mondo puntati addosso.
Perché lui era suo figlio, e doveva succedergli.
 
Ma non era pronto, così suo zio Theseus si era offerto di prendere i suoi oneri per un paio d’anni.
Riocard gli era molto grato, così come a George Cavendish per tutto quello che aveva fatto per lui negli ultimi due anni.
 
“Sai che quello di certo non può aiutarti a dormire, vero tesoro?”
“Ho perso le speranze, come si suol dire.”
Alexis si allacciò la vestaglia rosa antico in vita e si avvicinò al figlio, abbracciandolo e appoggiando la testa sulla sua spalla prima di mormorare che era preoccupata per lui.
“Non esserlo mamma, andrà tutto bene.”
“Lo diceva anche Rod. E sappiamo tutti com’è andata. Non voglio perdere anche te, Ric.”
 
“Non succederà. Sono il tuo unico figlio, mamma, e non sopporterei di lasciarti sola.”
Riocard sorrise alla madre e le prese la mano per depositarci un bacio sul dorso, guardandola sorridergli lievemente dopo un istante di esitazione.
 
“Sai, a volte penso di rinunciare a tutto e sparire. Però… Però deluderei la famiglia, se lo facessi. Deluderei papà e George. George Cavendish ha fatto tanto per me, per noi, è andato contro la sua stessa famiglia per ben due volte, e non vorrei rendere vano tutto ciò che ha fatto. Credo di dovergli qualcosa. Non m’importa della sua casa, mamma, ma non voglio gettare al vento i due anni passati che lui ha perso per me. Gli ultimi due anni della sua vita.
“Ric, George stava male da tempo, me l’ha detto Gwendoline.”
 
Riocard annuì, scuro in volto mentre abbassava lo sguardo sulla tazza ormai quasi vuota, parlando a denti stretti:
 
“Già. E in tutto il tempo che abbiamo passato insieme non me ne ha mai parlato. Poteva anche avvisarmi, invece di farmi ritrovare nella stessa situazione di quando papà è morto. Almeno questa volta avrei potuto prepararmi, ma forse non gli importava così tanto di me, alla fine.”
“Sono sicura che non volesse farti soffrire, nessuno lo sapeva, praticamente. Evidentemente ti riteneva abbastanza forte da affrontare tutto questo, e aveva ragione. George Cavendish aveva sempre ragione, Riocard, lo diceva tuo padre.”
 
 
 
“Dimmi, ragazzo, cosa fai se qualcuno offende la tua famiglia?”
“Gli rompo il naso.”
“E se minaccia ciò che possiedi?”
“Glielo rompo di nuovo.”
 
“Affascinante modo di gestire i problemi, Riocard, ma al Ministero non puoi andare in giro a rompere ossa alla gente. C’è qualcosa, in questo mondo, che chiamiamo diplomazia. E un leader ne sa fare uso.”
“E se non ne fossi in grado? Io non sono mio padre, Signor Cavendish.”
 
Riocard sospirò e si fermò sulla riva del laghetto, calciando un sasso per farlo finire in acqua mentre George, fermandosi accanto a lui, gli metteva una mano sulla spalla:
 
“Hai il sangue di tuo padre e di tuo nonno nelle vene, due grandissimi uomini. Sei un Grifondoro, Riocard, sei un leader nato come Rod, fidati di me.”
“Anche suo nipote Egan è un Grifondoro. Perché non insegna questa cose a lui? Perché la carica non torna ai Cavendish, ora che mio padre è morto? A me non importa, voglio solo essere lasciato in pace.”

 
Riocard scosse il capo, le mani strette a pugno, e l’uomo lo guardò con una punta di compassione negli occhi celesti:
“So che non t’importa, Riocard, ma devi farlo per il bene della tua famiglia. Egan, comunque, preferisce la compagnia di sua nonna alla mia. So come ti senti, ragazzo.”
“No, lei non lo sa. Nessuno lo sa.”
 
*
 
 
“Più tardi mi accompagni al Ritz? Devo vedere Caroline per il thè. E porta a casa Winter, per favore, dubito che lo farebbero entrare.”
Clio sorrise a Neit, che annuì mentre camminava a Kensington insieme alla gemella, tenendola sottobraccio mentre i loro “lupi da compagnia”, così li chiamava Edward, trotterellavano davanti a loro annusando la ghiaia e facendo scappare le oche.
“Certo. E salutamela, naturalmente.”
Clio annuì con un cenno e tornò a guardare i due animali: avevano incantato Winter e Sommer in modo che agli occhi dei Babbani apparissero come dei comunissimi cani, visto che due animali del genere avrebbero dato nell’occhio – e fatto fuggire chiunque fosse capitato loro a tiro –.
Winter, l’animale della ragazza, si fermò e si voltò verso la padrona, guardandola con gli occhi blu prima di trotterellare verso di lei e avvicinare il muso alla sua mano per ricevere qualche carezza, facendola sorridere:
“Che ne dici Winter, fuggiamo insieme da questa situazione?”
“Potresti farlo davvero.”
“Lo so. Ma non credo che ne avrei mai il coraggio, Neit. Non vorrei dare questo dispiacere a mamma e a papà, e poi sai che senza di te ed Egan sarei persa.”
“E noi senza di te.”   Neit rivolse alla gemella uno dei suoi rari sorrisi, e Clio lo guardò ricambiando con affetto.
 
“Dai, cambiamo argomento, così ti distrai… Dimmi, come va la scrittura?”
“Oh, bene direi. Ovviamente ti farò leggere tutto, anche se ho promesso ad Egan che prima darò le pagine a lui, quando avrò finito. Penso che finirò il manoscritto entro un paio di settimane.”
“Bene. Sono molto fiero di te, Clio. Mi dispiace solo non poterlo sbandierare ai quattro venti.”


Clio si strinse nelle spalle, gettando un’occhiata alle numerose donne presenti nel parco che passeggiavano da sole o in compagnia del marito, del fidanzato, di un’amica, o ancora spingendo passeggini.
“E’ il triste destino delle donne dei nostri tempi che riescono ad avere successo in qualcosa, temo.”
 
*
 
 
“Elizabeth-Rose, ti ho vista.”
Thomas nascose il viso dietro il bicchiere di vino rosso quando il tono gelido della madre investì lui e la sorella, che era stata appena colta in fragrante mentre passava un pezzo di foie gras a Phobos sotto al tavolo.
“Ma mamma, ti prego, è fegato, mi fa schifo l’idea!”
“E’ fegato d’oca, Elizabeth, e si dia il caso che molte persone, a Londra, non vedranno mai un piatto simile in tutta la loro vita e pagherebbero oro pur di mangiare qualcosa di commestibile ogni giorno.”
Theseus alzò gli occhi azzurri al cielo, piegando il giornale prima di rivolgersi al figlio in tono pacato mentre Elizabeth, borbottando qualcosa contro l’uccisione delle oche per mangiarne il fegato, si sforzava di mandare giù qualche boccone.
“Thomas, com’è andata stamattina?”
“A parte i giornalisti che hanno assaltato la clinica bene, è arrivato anche uno Kneazle che era diventato viola, poverino, dopo aver bevuto una pozione per sbaglio…”
“Giornalisti? E che cosa volevano, di grazia?”
“Beh, sono il cugino di Riocard, credo volessero il parere di qualcuno della famiglia a riguardo, visto che tu sei inarrivabile. Ma non preoccuparti, non ho fatto commenti o dichiarazioni, se la sono svignata quando gli ho aizzato contro uno stormo di Billywig.”
Thomas sorrise, strappando una risata al padre mentre Elizabeth lanciava un’occhiata di sbieco alla madre, che non aprì bocca e continuò a mangiare come se nulla fosse.
Di certo se fosse stata lei ad affermare di aver aizzato dei Billywig contro dei giornalisti si sarebbe sorbita una filippica sulle buone maniere e su ciò che era appropriato o meno, ma ormai ci era abituata.
 
*
 
Piccadilly, Londra
 
Caroline Cavendish uscì dal cancello nord del Green Park, uno dei parchi reali di Londra, per immettersi nella lunga strada di Piccadilly e raggiungere l’imponente e maestoso edificio situato a pochi metri dall’entrata del parco: l’Hotel Ritz, che dalla sua inaugurazione ospitava notoriamente uno dei migliori ristoranti e sale da thè di tutta la capitale britannica.
 
Il portiere in divisa le rivolse un sorriso e un cenno educato col capo, tenendole la porta aperta per farla entrare mentre la ragazza si avvicinava all’ingresso:
“Buonasera, Miss Cavendish.”
“Buonasera.”
Un sorriso cordiale increspò le labbra rosee della strega, che mise piede nella maestosa hall dell’albergo prima di dirigersi con disinvoltura verso la sala da thè che ormai conosceva piuttosto bene: sua madre l’aveva portata lì per la prima volta sei anni prima, quando l’Hotel era appena stato inaugurato, e doveva ammettere di essersene innamorata, tanto che ormai quasi tutti i dipendenti della reception e del ristorante conoscevano per nome lei e alcuni dei suoi familiari.
 
La strega, scorgendo il suo appuntamento delle 17 seduto ad un tavolo rotondo e apparecchiato, sorrise e si diresse verso la cugina, che stava giocherellando con un cucchiaino d’argento, assorta nei suoi pensieri.
“Ciao Clio. Sei qui da molto?”
Caroline si fermò di fronte al tavolo, sfilandosi il soprabito per consegnarlo ad un cameriere mentre un altro le scostava la sedia per sedersi. Clio ricambiò il sorriso e appoggiò il cucchiaino mentre scuoteva il capo, asserendo che fosse in perfetto orario come sempre.
 
“Cosa posso servirvi, signorine?”
“Per me un English breakfast.”
“Io prendo un Irish breakfast, grazie Charles.”
Caroline sorrise al cameriere, che arrossì leggermente e ricambiò prima di allontanarsi dopo aver rivolto alle due un cenno del capo.
Clio, osservandolo divertita, si rivolse alla cugina con un sorrisetto e gli occhi chiari luccicanti:
 
“Se metà dei dipendenti sotto ai 35 anni del Ritz non è innamorata di te Caroline, non so giudicare la bellezza!”
“O gli uomini, cugina.”
“No, gli uomini di Londra sono facili da giudicare.” 
[Chi coglie la citazione di questo scambio di battute riceve un premio, Nda]
 
Caroline roteò gli occhi azzurri ereditati dalla madre mentre due camerieri appoggiavano sul tavolo un’alzata per dolci piena di pasticcini e due piatti che ospitavano una generosa fetta ciascuno delle torte che le due ordinavano più di frequente nei loro incontri:
“Carrot Cake e Victoria Sponge Cake… dici che veniamo qui troppo spesso, considerando che non dobbiamo più nemmeno ordinarle?”
“Pazienza, tanto meglio per noi. Allora, a proposito di uomini… Che cosa ne pensi del testamento di tuo nonno?”
 
Caroline sollevò il piccolo coperchio della teiera dipinta a mano che le era appena stata portata per controllare lo stato d’infusione del tè, mentre Clio se ne versava già un po’ nella tazza prima di aggiungerci un goccio di latte freddo.
“Penso che sia stato il colpo di grazia a mio padre. Non l’ha presa bene, si sente preso in giro, e posso capirlo, in un certo senso.”
“E TU come ti senti? Ti fa piacere essere la posta in gioco per ricevere un’eredità? A me non molto, in effetti.”
Caroline inarcò un sopracciglio e la cugina sospirò, mormorando che alla fine la decisione sarebbe spettata ai loro padri e non certo a loro povere figlie femmine.
“Beh, dubito che tuo padre, così come il mio, ci farebbe sposare il figlio di Rodulphus Saint-Clair, tuo nonno deve averlo fatto di proposito per mettere in difficoltà Edward. Comunque vada la casa non andrà a lui, non subito, almeno.”
“Sospetto che il punto non sia solo la casa, ma ciò che contiene. Hai sentito il notaio, no? Se anche Riocard non l’avesse e tornasse nelle mani di mia nonna, i mobili e il resto andrebbero in beneficienza. Mio padre si ritrova tra dover scegliere se possedere la casa, un giorno, ma priva di non so quanti oggetti dal valore enorme, o se mantenere tutto intatto ma nelle mani del figlio del suo peggior nemico. Anche se, con una di noi a viverci, la casa in un certo senso resterebbe comunque sotto il suo controllo.”


“Quindi pensi che potrebbero costringerci a sposare Riocard?”
“Non lo so Carol, non lo escludo. Non escludo più nulla, ormai. Ieri sera mio padre voleva parlarmi, ma mi sono chiusa in camera mia e ho convinto Egan e Neit a dire a mio padre che non mi sentivo bene. Per ora sono riuscita ad evitarlo, ma prima o poi vorrà parlarmi, e ho quasi paura di sentire cosa ha da dire.
 
*
 
 
“Devo vedere il Signor Saint-Clair.”
 
L’anziano Elfo Domestico rivolse un profondo inchino ad Ambrose prima di riferirgli che il Signore non usciva dallo studio da quella mattina.
Il ragazzo lo ringraziò e con un sospiro mesto si diresse verso la suddetta stanza al primo piano, esitando davanti alla porta prima di bussare.
Non ricevendo alcuna risposta Ambrose esitò prima di bussare di nuovo, questa volta aggiungendo qualcosa a voce alta:
“Ric? Ric, sono io. So che sei qui dentro.”
“Vieni allora.”
Fu quasi un sollievo sentire la voce del cugino, ferma e sarcastica come sempre, e Ambrose non esitò ad aprire la porta per poter entrare nella stanza.
L’ex Serpeverde si bloccò sulla soglia, spiazzato dalla quantità a dir poco scarsa di luce presente nello studio: le finestre erano chiuse, e le ante delle serrande erano state avvicinate tra loro così tanto da far passare nella stanza solo una scarsissima quantità di luce.
 
“Merlino Riocard, ti sei trasformato in un vampiro, per caso? Non so come fai a respirare, qui dentro.”
Ambrose sbuffò e aprì le finestre con un colpo di bacchetta, permettendosi così di scorgere il cugino seduto sulla sedia di pelle che una volta era appartenuta a suo padre, le lunghe gambe appoggiate sulla scrivania e con addosso solo la sua vestaglia di seta rossa.
Riocard sbuffò, mormorando che stava benissimo anche al buio mentre Ambrose andava a sedersi di fronte a lui, guardandolo scettico:
“Oh, lo vedo, come stai benissimo. Sono venuto a vedere come stavi… sarei venuto prima, ma ero alla Gazzetta del Profeta.”
“Oh, sì, l’ho letta.”   Riocard guardò il cugino senza battere ciglio e gli gettò davanti il numero di quel giorno: in prima pagina si leggeva il nome di George Cavendish e dei Saint-Clair, con tanto di foto del defunto mago.
“In seconda pagina c’è anche una foto mia. Mi consolo, almeno sono venuto bene…”
 
“Ric, mi dispiace, è il mio lavoro. Il capo mi ha obbligato a scrivere un pezzo su quanto accaduto, e me l’aspettavo, ma non sapevo che il testamento avrebbe comportato certe cose, per te. Mi dispiace, ma non potevo non menzionarti.”
“Merlino, e io domani dovrei andare al Ministero, sarà tremendo. Tranquillo Ambrose, ti perdono, ma solo perché hai messo una mia bella foto e non sei sceso troppo nei particolari.”
Riocard si stiracchiò e Ambrose sorrise, sollevato che il cugino non ce l’avesse con lui prima di farsi di nuovo serio:
“Va tutto bene? Sai che puoi dirmi tutto, vero?”
“Ma certo Ambrose, sto bene. Sto solo immaginando l’attentato alla mia vita che Edward e Robert Cavendish staranno organizzando mentre parliamo. Forse dovrei assumere un Auror come guardia del corpo, che dici?”
“Come futuro Ministro non dovresti già avercela, scusa?!”
“Sì, ma li liquido sempre, mi infastidisce avere sempre qualcuno tra i piedi! Ma forse dovrei ripensarci, domani lo dirò a zio Theo.”
Riocard si strinse nelle spalle con nonchalance e Ambrose alzò gli occhi al cielo, asserendo che George Cavendish avesse giocato un bello scherzo a tutti loro prima di chiedergli se avesse visto Gwendoline.
 
“No, domani andrò a trovarla, credo… Credo che davvero non ne sapesse nulla, era molto sorpresa. George ci ha proprio presi tutti in giro, eh?”
“Beh, a te non va così male: in un caso non ottieni nulla e la tua vita non cambia, nell’altro sposi una ricca strega di bell’aspetto e ti becchi una bella casa in eredità.”
“Peccato che la strega di bell’aspetto in questione sia una Cavendish! Mio padre tornerà come fantasma e mi perseguiterà!”
Riocard piegò le labbra in una smorfia e il cugino, dopo un attimo di esitazione, lo guardò incerto:
“Sei davvero così convinto che siano stati loro, Ric?”
“Chi altri? Certo che sono stati loro. Non sposerò mai una Cavendish. Mai.”
 
“Beh, non credo che nella nostra famiglia qualcuno avrebbe da ridire, soprattutto zio Theo. Ci guadagneremmo la soddisfazione di umiliarli e di prenderci casa loro, certo, ma credo che chiunque ti capirebbe. Io di sicuro. Comunque vada sarò sempre dalla tua parte, Ric, sei il fratello che non ho avuto.”
Ambrose sorrise al cugino, e l’ex Grifondoro ricambiò, annuendo mentre lo guardava con affetto:
“E tu lo stesso per me. Ti ricordi quando mia madre mi portava da voi e facevamo scherzi alle tue sorelle?”
“Sì, ma quando incollammo Clara ad una sedia lei si vendicò e senza bacchetta trasformò tutti i nostri giochi in rospi… Ah, che ricordi.”
 
*
 
“Oh, stai studiano, che novità. Quando sei tornata dalla Germania pensavo che avessi finito di vederti sui libri… Che cosa leggi?”
Cassiopea si sporse oltre la spalla della sorella minore per sbirciare il libro che Clara stava leggendo, facendo voltare la sorella:
“Un libro di Aritmanzia. Anche a te piacciono i libri, da che mi risulti.”
“Sì, ma io leggo romanzi per il piacere della lettura, tu studi da quando hai imparato a leggere, praticamente.”
 
Clara si strinse nelle spalle, tornando a concentrarsi sul suo libro mentre la maggiore faceva scorrere una mano su uno scaffale di una delle librerie che affollavano la biblioteca del padre e che entrambe “saccheggiavano” da anni, con gran disappunto di John che si ritrovava sempre i libri in disordine.
“Questo perché un giorno vorrei essere più che “la moglie di” o “la figlia di”, destino che a noi donne di buona famiglia spetta nella maggior parte dei casi.”
“Non hai torto, anche se io per ora preferisco non pensarci, al matrimonio. Ah, ecco qua.”
Cassiopea estrasse un libro con un sottotitolo in greco e rivolse un sorriso a Clara, che roteò gli occhi scuri ereditati dalla madre ma si astenne dal commentare.
Aveva passato la maggior parte degli ultimi anni a Jena, in Germania, per studiare, ma si era sempre tenuta in contatto con Colleen, Ambrose e anche sua cugina Elizabeth, che le avevano spesso accennato a Cassiopea e quanto spesso cambiasse frequentazione.
 
“Primo a poi capirò perché non ti piaccio, Clara.”
“Non è che non mi piaci, Cassy. E’ solo che siamo molto diverse, e lo sai anche tu.”
Clara parlò senza voltarsi verso la sorella, con cui, nonostante avesse solo un anno di differenza, non era mai riuscita a legare particolarmente, anzi, fino a pochi anni prima litigavano molto di frequente, con la povera Colleen a fare da intermediaria tra le due sorelle maggiori.
Ambrose aveva tre anni più di lei ed era un ragazzo, e nonostante questo era molto più legata a suo fratello di quanto non lo fosse mai stata a sua sorella maggiore.
“Beh, questo è sicuro. Buono studio.”
 
Cassiopea prese il suo libro e uscì dalla stanza sfogliandolo, incurante delle parole della sorella minore: secondo Clara erano molto diverse, e probabilmente era vero, ma una parte della maggiore era sicura che, infondo, sotto alcuni punti di vista si somigliavano parecchio.
Colleen era l’adorabile e dolce ragazza che nessuno poteva odiare, loro, invece, condividevano l’intolleranza nel farsi mettere i piedi in testa e il desiderio di avere sempre l’ultima parola.
Probabilmente era per questo che avevano sempre litigato parecchio, come ripeteva sempre sua cugina Elizabeth.
 
*
 
Diagon Alley
 
Colleen camminava tenendo al guinzaglio quello che, a prima vista, tutti avrebbero preso per un comune cagnolino – un Jack Russell Terrier, per la precisione – se non fosse stato per la doppia coda.
“Klaus, non spingere, siamo arrivati!”
Il Crup in realtà apparteneva a suo fratello maggiore, ma Ambrose, che dopo una rapida visita a Riocard era dovuto tornare al lavoro, l’aveva pregata di portarlo da Thomas per un controllo visto che da qualche giorno non mangiava quasi nulla e non correva in giro tutto il giorno come suo solito.
Con l’altra mano la giovane strega teneva invece una gabbietta che ospitava una piccola coniglietta bianca: non riuscendo a dire di no ad Ambrose, come sempre, Colleen ne aveva approfittato per portare con sé anche Lady Ophelia, tanto per assicurarsi che stesse bene.
 
La ragazza si fermò davanti all’entrata della clinica dive lavorava il cugino e aprì la porta, che scampanellò segnando il suo ingresso.
 
Ezra sedeva, in attesa di ricevere assistenza per il suo Kneazle tenendolo in braccio, quando la porta della clinica si aprì: attratto dal consueto campanello il ragazzo si voltò quasi senza volerlo, e sentì Merlin irrigidirsi tra le sue braccia alla vista del Crup che era appena entrato.
Il mago strinse istintivamente la presa sull’animale prima di alzare lo sguardo sulla proprietaria del cane, sentendosi raggelare: già era un supplizio, per lui, dover portare Merlin dove lavorava un Saint-Clair, ora per di più ne incontrava persino un’altra.
Non ricordava assolutamente come si chiamasse, ma era certo di averla vista, il giorno prima, al funerale di suo zio. E i capelli rossi non mentivano.
“Potresti prendere in braccio quel… coso, per favore? Non vorrei sbranasse il mio Kneazle.”
Il tono stizzito del mago attirò l’attenzione della strega, che riconoscendolo ammutolì, ma l’esitazione durò solo un paio d’istanti: si ricordò di quello che le diceva sempre sua sorella Clara, ossia di non farsi mettere i piedi in testa da nessuno, soprattutto dai Cavendish, e replicò prontamente:
“Lo… Lo stavo per fare. E solo per educazione, visto che Klaus è buonissimo, non si comporta male nemmeno con la mia coniglietta.”
“Sarà.”
Ezra fece spallucce e Colleen appoggiò la gabbietta di Ophelia vicino ad una sedia prima di prendere Klaus in braccio, dandogli un bacio sulla testa mentre sedeva il più lontano possibile da Ezra, lanciandogli un’occhiata torva.
 
Di norma non nutriva pregiudizi ed era bendisposta verso chiunque, ma Colleen si ricordava molto bene di Ezra Cavendish. E non erano ricordi piacevoli.
 
 
“Ehy Thomas, c’è tua cugina in sala d’aspetto, vuoi occupartene tu?”
“Chi, Clara?”
“No, è una di quelle rosse di capelli, scusa, non ricordo il nome, si somigliano tutte… La più piccola, direi.”
 
Alle parole della collega Thomas sollevò lo sguardo di scatto dalla piccola fenice a cui stava sistemando un’ala prima di annuire:
“D’accordo. Puoi occupartene tu? Io… finisco qui.”
La strega aggrottò la fronte, confusa, e guardò il collega con aria dubbiosa:
“Sei sicuro? Sai, l’altra persona in attesa è…”
 
“Il mio Kneazle morirà di vecchiaia, di questo passo!”
Theresa non ebbe bisogno di pronunciare quel nome, perché udendone la voce attraverso la porta che la collega aveva aperto Thomas piegò senza volerlo le labbra in una smorfia, mentre un nome si faceva strada nella sua mente.
 
Ezra Cavendish
 
“Miss Saint-Clair? Venga pure con me. Signor Cavendish, il suo Kneazle tra poco starà benissimo.”
La strega rivolse un cenno a Colleen, che le sorrise grata – anche e soprattutto per non dover più stare nella stessa stanza, e da sola, con Ezra Cavendish – prima di alzarsi. Il ragazzo borbottò qualcosa sul fatto che ovviamente lei veniva servita per prima essendo la cugina di Thomas Saint-Clair quando la voce del suddetto mago giunse alle sue orecchie:
 
“Se hai finito di lamentarti, posso visitare il tuo Kneazle.”
Ezra si alzò e guardò dubbioso il mago, l’animale ancora in braccio:
 
“Non è che me lo ucciderai di proposito, vero Saint-Clair?”
“No, sono troppo professionale e amo troppo gli animali, temo. Nella mia famiglia non uccidiamo nessuno di proposito.”
Thomas prese Merlin dalle braccia del padrone e Ezra aprì la bocca, scandalizzato, per ribattere all’offesa, ma Thomas era già sparito dietro una porta.
 
*
 
“Nonna, ma mi stai ascoltando?”
“Certo che ti ascolto, tesoro, pensi che noi donne non sappiamo fare due cose contemporaneamente? Ti confondi con gli appartenenti al tuo genere, caro.”
Egan alzò gli occhi azzurri al cielo, ma non osò controbattere mentre Gwendoline, davanti a lui, si dedicava con minuziosa attenzione alle sue rose con addosso guanti di pelle di drago per non pungersi e delle cesoie in mano.
Quando erano piccoli Gwendoline vietava ai nipoti di entrare nella serra senza di lei: nessuno poteva avvicinarsi ai suoi amati fiori, che curava con dedizione, tantomeno dei “bambini irruenti e combinaguai”. Inoltre, diceva sempre la donna, temeva che potessero pungersi, visto quanto amavano curiosare e toccare qualsiasi cosa a portata di mano.
Ovviamente ciò aveva solo alimentato la curiosità sua e di Clio, e più e più volte avevano architettato piani per intrufolarsi nella sera, finendo sempre scoperti dall’arguta nonna e riportati da Estelle per un orecchio.
 
“Nonna, davvero non ne eri al corrente?”
“Assolutamente no, caro. Immagino che George non me l’abbia detto perché sapeva che avrei cercato di persuaderlo a cambiare idea: non che non voglia bene a Riocard, ma questa trovata servirà solo a gettare altra benzina sul fuoco.”
 
Gwendoline prese con delicatezza una rosa rossa appena sbocciata con una mano, studiandone i petali con attenzione prima di sorridere:
“Perfetta.”
“Papà è furioso, lo sai vero?”
“Oh, certo che lo so. Clio come sta?”
“Molto turbata. Non pensi che… che papà le farà sposare Saint-Clair per la casa, vero nonna? Insomma, comunque se non si sposassero andrebbe a te, e alla fine sarà lui ad ereditarla, ovviamente. La avrà, prima o poi.”
Egan seguì la nonna in mezzo ai fiori, guardandola scuotere il capo con sincera preoccupazione:
“Caro, so che tieni molto a Clio, ma credimi. Sposare Riocard non sarebbe il destino peggiore, per lei.”
Il ragazzo esitò e la donna, voltandosi verso di lui, gli rivolse un debole sorriso:
“So che voi non vi sopportate, Egan, ma ti assicuro che non è un cattivo ragazzo. Sia quanto ti voglio bene, ma sono affezionata anche a lui… è mio nipote anche lui.”
“E’ diverso.”
“Oh tesoro, sai che ti adoro! Da piccolo eri così geloso di Riocard, non ne hai idea! Infondo però un po’ vi somigliate, credimi.”
 
Egan sfoggiò una smorfia, ma non osò contraddire la donna prima di porle un’altra domanda:
“Perché ho diversi ricordi di Riocard a casa nostra, nonna? Lo portavi tu da noi?”
 
Gwendoline stava per potare una rosa che stava appassendo quando, sentendo quella domanda, fermò la mano a mezz’aria e si voltò verso il nipote più giovane, seria in volto:
“Questo lo devi chiedere a tuo padre, Egan.”
 
*
 
 
Caroline aveva appena messo piede dentro casa quando le sentì: le urla. Sua madre e suo padre stavano litigando, da quel che poteva sentire.
La strega sospirò, preparandosi psicologicamente a dover fare da intermediario tra i suoi genitori – quando di sicuro il motivo della lite aveva a che fare con il testamento e con lei – quando dalla porta del salotto aperta comparve Ezra, che doveva averla sentita entrare.
“Ezra, che succede?”
Il fratello non le rispose e la raggiunse in fretta scuotendo il capo, prendendola per un braccio quasi per trascinarla di nuovo fuori dall’ingresso sotto lo sguardo attonito della strega:
 
“Ezra, che diavolo stai facendo?”
“Meglio se fingi di non essere mai tornata a casa, Carol. Va’ da qualcuno, fidati. Vai da Clio, o da Mary… Torna più tardi, è meglio.”
“Ma Ezra… EZRA, APRIMI SUBITO!”
Il fratello minore le chiuse la porta alle spalle, chiudendola fuori, e la strega sbuffò, furiosa. Se gli fosse stata meno affezionata probabilmente si sarebbe ripromessa di fargliela pagare, ma si limitò a guardarsi intorno per controllare che la strada ormai buia fosse deserta – arrendendosi al fatto che il fratello, testardo com’era, non avrebbe mai cambiato idea – prima di Smaterializzarsi.
 
*
 
“Dovremmo rientrare, si sta facendo buio.”
“Rilassati Tommy, siamo maghi diplomati e adulti. Mi andava di prendere un po’ d’aria.”
Elizabeth-Rose sollevò la testa all’indietro per gettare un’occhiata al cielo ormai quasi completamente buio mentre procedeva al passo sul suo cavallo baio accanto al fratello maggiore, mentre Phobos e Deimos trotterellavano vicino al cavallo della padrona.
“Sono un po’ in pensiero per Ric.”
“Ric è un osso duro sorellina, non ti preoccupare… A me la situazione per certi versi quasi diverte, te la immagini la faccia di Edward Cavendish? Avrei pagato per poter assistere, davvero.”
Thomas sorrise, gli occhi azzurri luccicanti nell’oscurità mentre Elizabeth roteava lo sguardo e accendeva la punta della sua bacchetta con un Lumos non verbale, tenendola insieme alle redini di cuoio.
 
“Te lo immagini, Riocard sposato con una Cavendish? Proprio lui? Forse George gli era affezionato, ma credo che in questo caso gli abbia fatto un tiro davvero meschino.”
“Puoi vederla così, Lizzy, oppure pensare che volesse mettere in difficoltà la sua, di famiglia. E poi George conosceva Ric, sapeva che è un bravo ragazzo e che, in ogni caso, alle sue nipoti finire sposate con lui non andrebbe poi così male.”
Thomas sorrise e la sorella si voltò a guardarlo, la fronte leggermente aggrottata:
“A volte ci penso, sai? Che nessuno di noi si è ancora sposato… E’ quasi un po’ strano, non trovi?”
“Forse un po’, ma finchè nessuno ci costringe, tanto meglio per noi. Secondo chi si sposerà per primo, tra di noi?”
“Io punto su Cherry, è troppo adorabile. Oppure su Ambrose o Ric, le ragazze li adorano.”
“E tra noi due?”
 
Thomas piegò le labbra in un sorrisetto divertito che la sorella minore imitò mentre si voltava verso di lui, parlando con un tono che ricordava molto quello vagamente altezzoso che sua madre sfoggiava quando discuteva con Alexis:
“Io, naturalmente, visto quanto sono meravigliosa.”
“Oh, certo, come ho potuto anche solo chiedermelo…”
“Dai lumacone, ho fame e la cena sarà in tavola tra poco… Chi arriva per ultimo a casa offre un pranzo fuori.”
Elizabeth fece partire il suo cavallo al trotto con un colpo di talloni e poi al galoppo puntellandogli il collo con il frustino, facendo sbuffare il fratello mentre la imitava con qualche istante di ritardo:
“Sei sempre la solita, Lizzy!”
 
*
 
“Caroline?”
“Ciao Mary. Scusa l’assenza di preavviso, ma… diciamo che non potevo stare a casa mia, stasera. Posso entrare?”
La bionda sfoggiò un sorriso di scuse e l’amica, guardandola sorpresa, si spostò per farla entrare in casa:
“Che cosa è successo? Ha a che fare col testamento di George Cavendish? Se ne sentono di tutti i tipi da ieri, sai? Mi aspettavo una tua lettera.”
“Te l’avrei scritta stasera, ma quando sono arrivata a casa i miei genitori non erano in vena di accogliermi, e credo stessero discutendo proprio per quello… Ezra mi ha gentilmente consigliato di non farmi trovare a casa per ancora un paio d’ore, ti dispiace?”
“No, affatto, tanto John non è in casa… e loro sono sempre felicissime di vederti. Ragazze, venite a vedere chi è venuto a salutare!”
 
La padrona di casa si voltò verso l’ingresso del salotto, dal quale spuntarono quasi immediatamente due bambine che sorrisero a Caroline prima di correrle incontro:
“Zia Carol, ciao!”
“Zia, guarda, ho un vestito nuovo, la mamma me l’ha fatto fare la scorsa settimana!”
 
“Ciao signorine… Come state? Sono felice di vedervi.”
La strega sorrise alle figliocce e si chinò per abbracciarle sotto lo sguardo della sua migliore amica ed ex compagna di scuola, che a differenza sua era stata costretta a sposarsi appena diplomata con un uomo che a dir poco detestava.
“Ci racconti una delle tue storie, zia?”
“Ma certo tesoro, andiamo di là.”
 
Caroline sorrise e, presa in braccio Abigail, la più piccola, s’incamminò verso il salotto con l’amica al seguito, che la guardò sorridendo lievemente:
“Mi dici quand’è che ti sposi, Carol? Sei una di quelle persone nate per essere genitori.”
“Mary, ci pensa già mia madre a farmi sentire vecchia perché a 26 anni non sono ancora sposata, non ti ci mettere anche tu.”
 
*
 
Estelle si avvicinò alla poltrona che Edward aveva occupato davanti al camino acceso, mettendogli una mano sulla spalla prima di sorridergli:
“Come stai, caro?”
“Sono stato meglio, direi. Mio padre mi ha preso in giro fino alla fine. Anzi, me l’ha fatta pagare fino alla fine. Non mi ha mai perdonato. E io non perdonerò mai lui.”
 
“Se solo permettessi a qualcuno di aiutarti… Non ne hai mai parlato neanche con me. Perché tuo padre si arrabbiò tanto con te?”
Edward non rispose, limitandosi a riempire magicamente il bicchiere che teneva in mano di vino rosso prima di berne un sorso, fissando i tronchi che bruciavano nel caminetto.
“Non credo che te lo dirò mai Estelle. Non a te.”
“Perché non a me? Lo sai che ti sono sempre vicina e che non ti giudico! Puoi dirmi qualsiasi cosa.”
 
Edward si voltò verso la moglie e le sorrise, allungando una mano per prendere la sua mentre la guardava con affetto:
“Lo so. Sai che cosa mi ferisce di più, Estelle?”
“Che cosa?”
“Non l’eredità. Non che mio padre abbia lasciato la sua casa ai Saint-Clair… o la sua carica. Mi ferisce di più che mio padre, in punto di morte, mi abbia chiesto se avessi ucciso Rodulphus. Lo pensava davvero, Estelle. Mio padre mi pensava davvero capace di uccidere qualcuno… Per di più proprio Rod.”
 
*
 
 
“Posso entrare?”
“Ciao mamma.”
 
Il tono con cui Clio accolse la madre era molto meno allegro e vitale del solito, e Estelle chiuse la porta della stanza con un sorriso prima di avvicinarsi alla figlia, che se ne stava stesa a letto completamente vestita. La donna sedette sul materasso e allungò una mano per allontanare una ciocca di capelli dal viso della ragazza prima di parlarle con il tono gentile che utilizzava sempre e solo quando i figli erano malati o in difficoltà:
 
“Come stai? Hai visto Caroline oggi?”
“Sì, al Ritz. Ne abbiamo parlato un po’, ma lei mi sembra stare bene. Probabilmente si è arresa al fatto che se suo padre dovesse decidere di farla sposare con Riocard dovrebbe farlo senza obbiettare.”
“E tu come stai?”
“Non lo so. Pensi che papà deciderà di farmelo fare? Non è nemmeno per Riocard, mamma, è che non mi piace l’idea di essere una merce di scambio.”
“Purtroppo è il destino di molte di noi, Clio. Ma tuo padre ti vuole bene, lo sai. E Riocard Saint-Clair… Egan lo detesta, ma se Gwendoline è affezionata a quel ragazzo, dubito che possa essere davvero tanto male.”
“Speravo che mi sarei sposata per amore, però.”
“Ed è quello che ti auguro, Clio. Io sono stata molto fortunata, malgrado l’idea che molti hanno di tuo padre, sapete quanto tenga a lui. Spero che anche tu avrai una fortuna simile, tesoro. Va’ a dormire presto, ok? Domani pranziamo tutti insieme e ne parliamo con calma.”
 
Clio annuì e Estelle si alzò per uscire dalla stanza e lasciarla sola, rivolgendole un’ultima occhiata prima di chiudere la porta della camera. La strega esitò sulla soglia, poi si decise e si diresse al pian terreno per raggiungere il marito.
 
*
 
Non aveva voluto disturbare la sua amica fino a tardi, e quando le bambine erano andate a dormire Caroline si era congedata. L’idea di tornare a casa e trovare il padre e la madre impegnati in una lite però non la entusiasmava, così si era attardata per una passeggiata.
Stava camminando lungo il Tamigi quando scorse una figura che camminava nella direzione opposta, diretta verso di lei.
 
“Per una Signorina non è sicuro girovagare per Londra da sola di sera, Caroline!”
 
Le parole che più e più volte aveva sentito udire dalla madre le tornarono in mente all’improvviso, e la ragazza stava quasi per prendere la bacchetta sotto al soprabito – per sicurezza – quando si rese conto di conoscere, anche se vagamente, la persona che aveva davanti.
 
“Giuro che non intendo rapirvi per sposarvi contro la vostra volontà, Signorina.”
“Oh, siete voi. Buonasera.”
Le labbra di Caroline si distesero in un sorriso quasi rilassato mentre Riocard si fermava di fronte a lei, realizzando al contempo che probabilmente per suo padre quell’incontro non era meno grave che imbattersi in un malintenzionato.
 
Riocard che la studiò brevemente, la fronte aggrottata, prima di parlare:
“Ritenete che sia saggio per voi girovagare da sola a quest’ora a Londra?”
“Mia madre direbbe la stessa cosa, nutrite tutti molta poca fiducia nella nostra città.”
 
“Io non vivo qui, sono venuto solo per passeggiare e distrarmi un po’. Come voi, credo.”
Riocard si voltò per guardare il Tamigi, evitando di rendere noto alla strega che spesso passeggiava proprio lì con George, fino a poco tempo prima.
Il mago tornò a rivolgersi alla strega e abbozzò un sorriso, inclinando leggermente il capo con aria divertita:
“Voi non siete come loro, vero?”
“Che cosa volete dire con questo?”
“Beh, innanzitutto vostro fratello. Eravamo dello stesso anno ad Hogwarts, e non mi sembra che vi somigliate molto. Vostro zio lo diceva, sapete? Che le sue nipoti erano molto diverse dal resto della famiglia. E ammetto che si vede, che siete una persona gentile.”
 
“E da che cosa?”
“Beh, da come mi avete salutato. Vostro fratello o i vostri cugini di certo non l’avrebbero fatto. Andate a casa Signorina, o qualcuno potrebbe davvero rapirvi per sposarvi contro la vostra volontà.”
Riocard le rivolse un cenno educato e la superò, le mani nelle tasche.
Caroline si voltò e lo seguì con lo sguardo. Clio non aveva avuto torto nel definirlo “enigmatico”, poco ma sicuro.
 
*
 
 
“La nonna mi ha detto di chiederlo a papà, ma non so se mi direbbe la verità, quindi preferisco chiedere prima a te.”
“A proposito di cosa?”
Neit, che stava giocando a scacchi con Ezra – dopo che il cugino si era presentato alla loro porta affermando di essersi defilato da casa per una lite tra i suoi genitori che non aveva voglia di sentire – alzò lo sguardo sul fratello minore con sincera sorpresa: Egan gli era molto affezionato, ma crescendo le occasioni in cui gli aveva chiesto consiglio o aiuto si erano fatte sempre più sporadiche.
 
“A proposito di Riocard Saint-Clair.”
“Non nominarli, oggi ho portato Merlin dal veterinario e ovviamente ho dovuto farlo curare dal Saint-Clair con i capelli scuri!”
“Credo che si riferisca a Thomas… Egan, vai avanti.”
“Ricordi che quando eravamo piccoli a volte Riocard veniva qui? Ho chiesto alla nonna se era lei a portarselo dietro, visto che per qualche strano motivo gli è molto affezionata, e lei mi ha detto che devo chiederlo a papà. Tu ne sai qualcosa?”
“Beh, io da piccolo non uscivo molto a giocare all’aria aperta, Egan… ma davvero non ricordi?”
 
Neit guardò il fratello ancora più sorpreso, quasi non riuscisse a credere che gli avesse fatto una simile domanda mentre il minore, sbuffando, scuoteva il capo, sempre più impaziente:
 
“Che cosa, di grazia?”
“Beh… Riocard non veniva qui con la nonna. Veniva qui con suo padre.”
“Suo padre?! In che senso, scusa? Nostro padre non gli lanciava una maledizione sono vedendolo da lontano?”
 
“Non a quel tempo. Nostro padre e Rodulphus Saint-Clair erano amici, Egan. Grandi amici, prima che il nonno lasciasse a lui la carica.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buonasera!
Eccomi come promesso con il capitolo del mercoledì, grazie a tutte per le recensioni che avete lasciato a quello della scorsa settimana 😊
Mi sono resa conto che il capitolo è davvero bello lungo, spero che a nessuno dispiaccia – onestamente non lo condivido, ma una volta mi è arrivata una recensione piena di lamentele perché il capitolo era lungo, quindi chiedo perché non si mai – e che sia stato di vostro gradimento.
Ora, nel prossimo capitolo credo proprio che ci sarà una bella domanda per voi sulla questione coppie, quindi vi consiglio di cominciare a rifletterci (spero non sia troppo presto, ma onestamente i personaggi sono pochi, quindi non credo che sarà troppo difficile per voi individuare chi potrebbe stare bene con il vostro e chi invece no) mentre, per questa settimana, ho un altro quesito per voi:
  • Nella scheda vi ho chiesto che cosa pensasse il vostro OC della famiglia “avversaria”, ma si trattava ovviamente di una domanda abbastanza generica, considerando che ancora non c’erano gli OC. A questo punto, quindi, stabiliti i rapporti tra i personaggi all’interno della stessa famiglia, vi chiedo di dirmi che cosa potrebbe pensare il vostro personaggio nello specifico dei fanciulli dell’altra famiglia (ovviamente fatte le dovute esclusioni, per esempio abbiamo appurato che Egan ed Ezra detestano Ambrose e Riocard e viceversa), soprattutto quelli vicini per età e che quindi hanno frequentato insieme Hogwarts.
A presto e buona serata!
Signorina Granger

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 
 “Quando sarò grande voglio farò il tuo lavoro, zio!”
“Quindi vuoi fare il Ministro della Magia? Ma davvero?”
“Sì.”
 
Clara, i lunghi capelli castani tendenti al riccio raccolti in un delicato chignon sulla nuca e gli occhi scuri pieni di determinazione, annuì mentre si dondolava sulla sedia dello zio materno, che le sorrise e incrociò le braccia al petto standosene appoggiato alla robusta e antica scrivania di quercia che veniva utilizzata dal Ministro in carica da più di cinquant’anni.
 
“Tesoro, sai che dovrebbe diventarlo Riocard, vero? Anche se non metto in dubbio che saresti bravissima.”
“Mamma dice che non è giusto che solo i maschi possano fare i Ministri! Dice che le più grandi regine che l’Inghilterra abbia avuto sono state due donne, e che quindi anche una strega potrebbe fare la Ministra!”
“Ah davvero, la mamma dice così? Clara, sai perché la mamma pensa queste cose?”
Rodulphus si chinò leggermente verso la nipote, che scosse vigorosamente il capo senza smettere di ricambiare lo sguardo dello zio, che distese le labbra in un sorriso prima di darle un colpetto sul naso con un dito:
“Perché la tua mamma è come te, ossia molto intelligente.”
“Allora farai fare la Ministra a me, zio Rod?”
“Temo di non potertelo promettere, Clara. Ma sono sicuro che Ric, se diventerà Ministro, vorrà sempre averti al suo fianco. Vieni, è ora di andare.”
Rodulphus sorrise alla nipote, che sbuffò mentre si lasciava scivolare giù dalla sedia.
“L’anno prossimo andrò ad Hogwarts, non vedo l’ora! Ambrose, Thomas e Ric sanno fare un sacco di cose. Perché non sono potuta andare con Cassy e Lizzy quest’anno?”
“Perché non avevi ancora 11 anni, Clara. E poi cosa volevi fare, lasciare Cherry da sola prima del tempo e privarmi della mia piccola assistente?”
Clara assunse un’espressione pensierosa, quasi stesse sinceramente riflettendo sulla domanda dello zio, che roteò gli occhi mentre le metteva una mano sulla spalla, conducendola versi gli ascensori mentre maghi indaffarati sfrecciavano accanto a loro salutandolo fugacemente:
 
“Devo ricordarti che quando vieni il tuo adorato zio ti fa fare merenda con tutto quello che vuoi?”
Un sorriso furbo attraversò il viso della bambina, che ridacchiò prima di scorgere la madre avanzare verso di loro, sorridendole allegra:
“Ciao mamma!”
“Ciao tesoro.. hai disturbato abbastanza lo zio, oggi? E tu, smettila di darle tutte quelle caramelle, si rovinerà i denti!”
Clara lanciò un’occhiata preoccupata alla sua borsetta – l’ultimo regalo fattole dalla madre a Natale – e si affrettò a nascondere il gran numero di Cioccorane che ci aveva infilato dentro mentre Amethyst assestava un colpetto sulla spalla del fratello.
La ragazzina si voltò verso l’Auror vestito di nero che seguiva suo zio ovunque andasse e si chiese se per caso non avrebbe Schiantato sua madre, ma il mago non si mosse di un millimetro e restò impettito nel suo completo scuro con tanto di cappello in testa.
 
“E’ una bambina Amiee, devo ricordarti quante ne mangiavamo noi, da piccoli?”
“MAMMA, ma a noi dici sempre che la nonna non ti permetteva di mangiarle!”
Clara sgranò gli occhi castani e puntò un dito accusatorio contro la donna, che le ricordò quanto additare la gente in pubblico fosse sgarbato mentre Rod, ridacchiando, si chinava per dire qualcosa a bassa voce alla nipote sotto agli occhi scocciati della sorella minore:
“E infatti era così, ce le dava zia Gwen. Gli zii sono fantastici, non trovi Clara?”
“Sì zio. Ti viglio bene.”
Clara lo abbracciò per salutarlo e Rodulphus sorrise, asserendo che anche lui voleva bene alla sua futura assistente personale.
 
 
“Clara? Mi stai ascoltando?”
Clara, seduta su uno dei rossi divani foderati del salotto, sollevò di scatto la testa verso sua cugina Elizabeth prima di sforzarsi di sorridere, annuendo:
“Scusa Lizzy, mi sono distratta per un momento. Comunque grazie, ma oggi non credo di venire… Voi andate, però.”
“D’accordo… va tutto bene?”    Elizabeth inclinò leggermente la testa e rivolse un’occhiata dubbiosa alla cugina, che annuì senza smettere di sorridere:
“Certo, ero solo sovrappensiero… Salutami Ric, comunque.”
“Certo, e tu i tuoi fratelli.. Ambrose è al lavoro, ma Cassy e Cherry dove sono?”
“Sono uscite con la mamma, le hai mancate di poco.”
Clara si strinse debolmente nelle spalle e la cugina annuì, stringendosi il colletto del suo mantello – privo di maniche, ma dotato di due larghe fessure che le permettevano di muovere liberamente le braccia – prima di salutarla con un sorriso:
“Allora a presto, cugina… Non mangiarti tutte le Cioccorane!”
 
Elizabeth-Rose accennò con un sorriso divertito alle numerose confezioni dei noti dolcetti disseminati sul tavolino posto davanti a dov’era seduta Clara, che annuì con un debole cenno prima di abbassare lo sguardo su ciò che stringeva tra le mani: la figurina che aveva appena trovato.
Da piccoli lei, i suoi fratelli e i suoi cugini le collezionavano, barattandole tra loro per cercare di averne il più possibile. Quel giorno Clara ne aveva trovata una che non le capitava tra le mani da più di due anni.
 
Rodulphus Saint-Clair, Ministro della Magia
 
L’immagine dello zio le rivolse un sorriso, causandole un fastidioso nodo alla gola che non sarebbe riuscita a scacciare facilmente.
 
*
 
Gwendoline stava giocando a carte contro Egan e Neit – continuando a sottolineare come li avrebbe entrambi prosciugati dei loro averi se avessero fatto una partita mettendo del denaro in palio – mentre Clio, rannicchiata nell’angolo che in assoluto preferiva della casa nel Derbyshire della nonna, ossia la finestra per leggere adornata da morbidi cuscini bianchi e grigi a fiori, si dedicava alla scrittura.
 
La strega stava gettando una rapida occhiata fuori dalla finestra, in cerca di ispirazione per continuare, quando scorse qualcosa che la stupì non poco: due persone, entrambe a cavallo, si stavano avvicinando proprio all’antica casa di sua nonna, un grande cottage situato nel Derbyshire circondato da alberi, fiori e piante a cui Gwendoline era particolarmente affezionata e dove si “rifugiava” di frequente.
 La casa era sprovvista di una recinzione a delimitare i confini della proprietà, e malgrado suo padre ripetesse spesso a sua nonna che in quel modo chiunque poteva avvicinarsi alla casa e che quindi non fosse sicuro, Gwendoline si ostinava a lasciare tutto così com’era.
Scorgendo i volti dei due cavallerizzi, un debole sorriso amaro increspò e labbra di Clio: chissà, forse erano proprio quel genere di visite ad infastidire suo padre.
 
 
“Mi dispiace che Tommy non sia venuto con noi… Come sta?”
“Dispiace anche a lui, ma doveva lavorare… lo conosci, gli animali prima di tutto!”
“Che ti succede, comunque, cara Lizzy? Ti vedo un po’ lenta oggi.”
 
Un sorrisetto beffardo fece capolino sul bel volto di Riocard mentre, in sella alla sua cavalla dal manto nero, procedeva al passo in sincro con la cugina, disegnando una circonferenza in modo da parlarsi guardandosi in faccia e da far cadere sul prato un po’ di terra rimasta intrappolata negli zoccoli dei due cavalli.
Elizabeth per tutta risposta sorrise amabile, accennando col frustino al suo abbigliamento e poi al cugino:
 
“Ne riparleremo al prossima volta, Ric, quando anche tu cavalcherai all’amazzone e con un vestito del genere.”
“In effetti non capisco perché non cavalchi normalmente anche se porti la gonna, chi vuoi che ci veda qui? Ma, certo, ovviamente sei troppo elegante per farlo…”
“Di solito mi metto i pantaloni, ma non volevo presentarmi in disordine a casa della zia, anche lei ci tiene a queste cose.”
Elizabeth-Rose sbuffò e si spolverò distrattamente la gonna blu con minuscoli fiori bianchi ricamati mentre Riocard, dando delle leggere pacche sul collo nero e lucido della sua cavalla, sorrideva all’animale con affetto.
 
 
Egan stava protestando, accusando la nonna paterna di barare contando le carte mentre Clio, assorta, studiava Riocard e sua cugina scendere da cavallo.
 
“Egan, come ti permetti di insinuare che tua nonna bari a carte? Non ti ho insegnato ad essere irrispettoso!”
“Nonna, non prendi in giro nessuno, ti ha vista anche Neit. Diglielo, Neit!”
 
Clio Guardò Elizabeth-Rose Saint-Clair scivolare con grazia e disinvoltura dal garrese del suo magnifico cavallo baio, sicuramente un esemplare di razza pura, e rassettarsi distrattamente il mantello grigio-blu.
Sia lei che il cugino montavano come se non avessero fatto altro dalla nascita, sfoggiando un invidiabile galoppo seduto con testa alta e schiena perfettamente dritta, che disegnava con il garrese del cavallo un perfetto angolo retto.
Clio non potè fare a meno di osservare come i lunghi capelli castano chiaro della strega fossero ancora perfettamente in ordine e acconciati, e si chiese come facesse ad essere così composta ed elegante anche appena scesa da cavallo.
Riocard, le redini della sua cavalla nera in mano, si avvicinò alla cugina e le disse qualcosa che fece ridere la ragazza mentre consegnavano le redini dei cavalli ad un elfo per farli sistemare nella stalla. Riocard indossava pantaloni beige, stivali alti di cuoio e una giacca marrone scuro, e nel guardare i due Clio pensò a sua cugina Caroline e a come anche lei fosse sempre – apparentemente, almeno – a proprio agio, rilassata, in ordine e aggraziata.
Probabilmente, si ritrovò a pensare con amarezza, era quello il genere di figlia che tutti si aspettavano che lei fosse. Probabilmente era quello che la gente si sarebbe aspettata dalla figlia di una donna posata e magnifica, sempre a modo, come Estelle Cavendish.
 
 
“Clio, che cosa guardi?”
La voce di suo fratello la riportò improvvisamente al presente, e la bionda si rese conto di aver guardato fuori dalla finestra per parecchi minuti mentre si voltava di scatto verso i parenti, abbozzando un debole sorriso mentre Egan la guardava con un sopracciglio inarcato.
“Ecco… Nonna, credo che tu abbia visite.”
“Davvero? Che genere di visite?”
Gwendoline sorrise mentre mischiava le carta con la magia, apparentemente allegra all’idea di aver ricevuto altri ospiti. O almeno lo era finchè un Elfo Domestico non si Materializzò nella stanza per annunciare il Signor Riocard e la Signorina Elizabeth desideravano vederla.
 
“E’ uno scherzo? Che ci fa qui adesso? Da non credere…”
 
Egan si alzò in piedi e si diresse verso la porta della stanza a passo di marcia, le braccia rigide lungo i fianchi e le mani strette a pugno mentre Gwendoline si alzava con un sospiro, seguendolo.
“Pensi che dovremmo… andare anche noi?”
Clio rivolse un’occhiata dubbiosa al gemello, che alzò gli occhi al cielo mentre si alzava in piedi, rivolgendole un cenno:
“Forse è meglio, anche se non impazzisco dall’entusiasmo per questa visita. Vieni Clio.”
 
La ragazza esitò, ma lasciò il suo rotolo di pergamena e la penna sul divanetto creato a ridosso della finestra a bovindo e si alzò per seguire il fratello fuori dalla stanza, sperando vivamente che Egan e Riocard non finissero con lo sfidarsi a duello nel giardino di sua nonna.
 
*
 
“Si può sapere che ci fai qui? Sei venuto a chiedere a mia nonna di darti anche questa casa?”
 
Egan scese i pochi gradini del patio senza staccare gli occhi azzurri dalla figura di Riocard, ancora in piedi davanti alla casa insieme ad Elizabeth in attesa di essere fatti entrare.
Nemmeno il figlio di Rodulphus parve felice di vedere l’ex compagno di Casa, accennando una smorfia appena percettibile con le labbra mentre roteava agli occhi:
 
“Santo Godric, ci mancava questa adesso… No Cavendish, sono venuto qui per il tuo stesso motivo, immagino, ossia salutare Gwendoline, visto che l’unica cosa che tutti noi abbiamo in comune è che le vogliamo bene.”
Nessuno vi ha invitati.”
Gli occhi azzurri di Egan si ridussero a due fessure mentre scrutava il coetaneo, parlando a denti stretti mentre Clio, raggiungendolo a pochi metri dai due Saint-Clair, gli appoggiava una mano sulla spalla:
 
“Egan, non c’è niente di male…”
“Ti prego, probabilmente sapeva che eravamo qui ed è venuto per mettersi in mostra.”
Clio si voltò verso Neit, in cerca di supporto, ma il gemello non aprì bocca e si limitò ad osservare i due cugini a braccia conserte, forse, almeno in parte, d’accordo con il fratello minore.
 
Riocard stava per dire qualcos’latro, facendo un passo avanti, ma Elizabeth allungò una mano e lo prese per un braccio, interrompendolo senza smettere di scrutare con irritazione la figura di Egan:
 
“Mio cugino non ha intenzione di mettersi in mostra, e comunque non ne avrebbe bisogno. Siamo passati per salutare nostra zia e vedere come sta, visto che ha appena subito un lutto, e non ce ne andremo finchè non sarà la padrona di casa ad invitarci a farlo. Non certo per i tuoi capricci.”
“Non ti permettere…”
Egan strabuzzò gli occhi, sconcertato, ma venne interrotto dalla nonna, che raggiunse il nipote e gli mise con delicatezza una mano sul braccio destro – quasi temesse che potesse andare a finire nella tasca interna della giacca per prendere la bacchetta – e parlò con tono risoluto, senza sorridere come suo solito:
“Egan. Ci penso io. I miei nipoti sono sempre i benvenuti qui. TUTTI i miei nipoti. Ma di sicuro Elizabeth e Riocard converranno che questo non è il momento migliore. Sarò felice di vedervi domani, cari.”
 
L’anziana strega si rivolse a Riocard ed Elizabeth con uno sguardo eloquente, e Elizabeth mormorò che sarebbero tornati il giorno successivo senza smettere di tenere la mano sul braccio del cugino, che invece scrutava Egan di rimando.
“Ric… andiamo.”

Riocard sembrò esitare, ma alla fine diede ascolto alla cugina, dirigendosi insieme a lei verso la stalla per riprendere i cavalli dopo aver lanciato un'ultima occhiata in direzione dei Cavendish. 

“Non capisco perché tutti siate… fissati con quel tipo. E’ insopportabile.”
Egan si divincolò dalla presa della nonna, furente, e la strega scosse il capo con un debole cenno, sospirando:
“Egan, sai che non faccio preferenze tra voi e loro. Siete tutti miei nipoti.”
“Parlo anche del nonno. Passava tutto quel tempo con LUI, invece che con NOI. NOI eravamo i sui nipoti, NOI eravamo i suoi eredi, o almeno avremmo dovuto esserlo. NOI abbiamo il suo sangue nelle vene, non Riocard Saint-Clair.”
 
Il ragazzo si voltò, si infilò le mani nelle tasche e si incamminò a passo di marcia verso il bosco che costeggiava la casa della nonna, chiamando con un fischio la sua lupa dal lungo pelo color ebano, Herbst, che immediatamente comparve accanto al padrone seguendolo fedelmente trotterellandogli accanto.
Gwendoline sospirò e asserì che andava a far preparare il thè prima di tornare dentro casa mentre Clio, dubbiosa, si voltava verso il gemello:
 
“Ci parli tu?”
“No Clio, forse è meglio che lo faccia tu. Non ha tutti i torti, comunque. Il nonno adorava quel ragazzo. E credo che la cosa infastidisse molto anche nostro padre. Non è facile sapere che tuo padre prima ha preferito un Saint-Clair a te, e poi fa lo stesso anche con i suoi nipoti.”
“Il nonno ci voleva bene, Neit.”
Neit sorrise alla sorella e annuì, sollevando una mano per appoggiargliela sulla spalla mentre la guardava con affetto:
“Lo so Clio, certo che ci voleva bene. Ma non era la stessa cosa. Passava tanto tempo con lui, lo riceveva per ore nel suo studio, parlavano, parlavano e parlavano… Non ha mai fatto questo per me o Egan, e lo sai anche tu. Lo sa anche la nonna. E a volte fa un po’ male.”
Neit lanciò un’ultima occhiata in direzione del punto in cui il fratello era sparito dietro agli alberi prima di voltarsi e tornare a sua volta dentro casa.
Clio, invece, si volse verso la prateria, dove probabilmente Riocard ed Elizabeth-Rose stavano ancora cavalcando per tornare nelle rispettive dimore, prima di seguire il gemello, chiedendosi, in cuor suo, quale fosse la vera radice di tutti quelle diatribe.
 
*
 
“Oh no, ancora Ezra Cavendish, l’ho incontrato anche quando ho portato Ophelia e Klaus da Thomas…”
“Perché non ce l’hai detto, scusa? Se ti ha importunata come a scuola, dimmelo e lo affatturo!”
Cassiopea stava per prendere seriamente la bacchetta, ma Colleen, seduta accanto a lei ad un tavolo della storica gelateria Fortebraccio, la pregò con un sussurro di non fare pazzie: il suddetto Ezra, che stava facendo delle commissioni sotto minaccia della madre, che lo aveva spedito a Diagon Alley per ritirare degli acquisti, scelse esattamente quel momento per voltarsi verso le due, forse sentendosi osservato.
 
Una smorfia perfettamente visibile comparve sul bel volto del giovane mago, e Colleen arrossì, desiderando come non mai di sparire – avrebbe anche potuto Smaterializzarsi, in effetti, ma non ne aveva il coraggio – mentre Cassiopea, invece, rivolgeva un’occhiataccia all’ex compagno di Casa:
“Qualche problema, per caso?”
“Stavo per chiedere la stessa cosa. Parlavate di me, per caso?”
“Forse saperlo ti sconcerterà, Cavendish, ma non sei il centro dell’universo, anche se ad Hogwarts ti comportavi come se la Torre di Corvonero ti appartenesse.”
“Oh no, so benissimo che non mi apparteneva, mi domandavo solo come fosse possibile che certa gente ci abitasse.”
 
Un sorriso amabile increspò le labbra di Ezra mentre Cassiopea, punta sul vivo, riduceva gli occhi azzurri a due fessure: probabilmente si sarebbe alzata e l’avrebbe affatturato sul serio, se non si fossero trovati a Diagon Alley, con sua madre infondo alla strada e una discreta folla a fare da spettatrice.
“Sei per caso stato adottato, Cavendish? Mi domando come sia possibile che tu e tua sorella abbiate gli stessi geni, lei sembra una persona a modo e modesta.”
“Considerando che tu a tua sorella non sembrate somigliarvi affatto, potrei dire lo stesso. Come fa un simile agnellino ad essere tua parente, di preciso?”
 
“Cavendish, gira al largo da mia sorella. L’ultima volta in cui ti sei permesso di prenderla in giro mio fratello ti ha rotto il naso e sfidato a duello. Sarei ben felice di imitarlo, solo che questa volta il duello avrebbe luogo visto che non siamo a scuola, stanne certo.”
 
Colleen sospirò e ripensò con una stretta allo stomaco ad un pomeriggio di novembre del suo primo anno ad Hogwarts.
Erano passati dieci lunghi anni, eppure ricordava ancora molto chiaramente quando Ezra Cavendish, passandole accanto insieme a suo cugino, l’aveva urtata facendole cadere tutto ciò che reggeva tra le braccia. Non aveva mai saputo se l’avesse fatto apposta o meno, quello che sapeva per certo era che il ragazzo, che allora frequentava il quinto anno e le sembrava terribilmente più grande, era scoppiato a ridere asserendo che una ragazzina imbranata come lei fosse una perfetta Tassorosso.
 
Ambrose, che la stava aiutando a raccogliere le sue cose, gli era letteralmente saltato addosso.
Gli insegnanti li stavano dividendo urlando punizioni e sottraendo decine di punti a Corvonero e Serpeverde quando Colleen si era vista restituire un libro di Pozioni da una sorridente ragazza bionda che indossava la sua stessa divisa, solo molto più grande di lei:
“Sai, anche a me danno sempre dell’imbranata… Ma non fa niente. Tutti siamo un po’ imbranati in qualcosa. Persino i Corvonero, tra cui il mio adorabile cugino. Ignorali, quando ti parlano in quel modo.”
Clio Cavendish le aveva strizzato l’occhio e si era allontanata mentre Ezra veniva trascinato lontano da Ambrose da Neit, sbraitando insulti contro di lui e contro la sua famiglia.
 
 “Non duellerei contro una donna, sono pur sempre un gentiluomo. Ma puoi dire a tuo fratello che non mi tirerei indietro davanti ad un’altra sfida, proprio come non l’ho fatto ad Hogwarts. Buona giornata, signorine.”
 
Ezra si congedò con un sorrisetto beffardo, sparendo tra la folla mentre Colleen, aggrottando la fronte, mormorava di non riuscire proprio a capire quel ragazzo.
“Non c’è niente da capire Cherry, ci detesta e basta… Lascialo perdere e mangia il gelato, o te lo finirò io.”
 
*
 
“Ciao zia Estelle.”
Estelle abbassò lo sguardo e sorrise alla bambina bionda e dai grandi occhi azzurri adornati da lunghe ciglia scure che aveva davanti, guardandola con affetto:
“Ciao tesoro. Hai bisogno di qualcosa?”
“La mamma non vuole che esca a giocare con Ezra, Egan e Clio… Posso andare da Neit? Ho portato questo e voglio farglielo vedere!”
Caroline sollevò, tutta fiera, un’edizione illustrata nuova di zecca di “Le Fiabe di Beda il Bardo” e la zia sorrise, annuendo mentre le accarezzava una ciocca di capelli color grano con affetto:
“Ma certo, vai pure, sarà felice di vederti.”
 
Caroline sorrise e salì le scale in fretta per trotterellare fino alla camera del cugino, bussando prima di aprire la porta con aria allegra:
“Neit, sei sveglio? Posso entrare?”
Neit era a letto, seduto sul materasso appoggiandosi ai cuscini. Le tre finestre della stanza erano chiuse, temendo che l’aria fredda potesse aggravare le condizioni del bambino, che rivolse un’occhiata cupa alla bambina:
“Se stessi dormendo non potrei risponderti.”
“Non essere scorbutico, sono venuta a salutarti! Guarda, la mamma mi ha regalato questo ieri, volevo fartelo vedere.”
“Cosa vuol dire scorbutico?”
“L’ho imparato da poco, la mamma lo dice sempre a mio padre. Così prima ho chiesto a zio Edward cosa vuol dire, lui ha riso e ha detto che si addice benissimo a mio padre e che vuol dire “musone e poco socievole”.”
“Io non sono musone!”
Neit incrociò le braccia al petto, offeso, e Caroline sorrise mentre si sistemava sul bordo del grande letto a baldacchino del cugino, mostrandogli il libro:
“Guarda che bello, ci sono i disegni! Sono bellissimi.”
“Sì, carini.”
“Allora lo porto via, se non ti piace.”
Caroline chiuse il volume e fece per scendere dal letto, offesa  e col naso per aria, ma Neit si sporse verso di lei e la prese per un braccio, affrettandosi a scuotere il capo:
“No, no, voglio vederlo.”
Caroline sorrise, soddisfatta, e iniziò a sfogliare il libro insieme al cugino, con cui condivideva la passione per la parola scritta.
 
 
Neit stava leggendo, seduto con la caviglia sinistra appoggiata sul ginocchio destro – se si fosse seduto in quel modo in pubblico sua madre lo avrebbe diseredato, probabilmente, ma almeno in assenza di ospiti il ragazzo si permetteva di stare comodo – quando, all’improvviso, la sua vista si oscurò completamente.
Un paio di mani gli si erano poggiate sul viso, celandogli la vista, e il mago increspò le labbra in un debole sorriso mentre, lasciandosi il libro sulle gambe, tastava quelle mani con le sue.
“Mi chiedo di chi potranno mai essere queste mani così lisce, dalle unghie perfettamente curate… dita sottili e discretamente lunghe, tre anelli… Ciao Carol.”
Neit sorrise mentre le mani della cugina lasciavano il suo viso per poggiarglisi sulle spalle, e la strega sorrise prima di chinarsi sullo schienale del divano e dargli un lieve bacio sulla guancia:
“Ciao Neit. Ti disturbo? Mia madre e io siamo venute a salutare zia Estelle e lei mi ha detto che eri in casa.”
“Certo che non mi disturbi, sei la mia cugina preferita.”
Neit guardò la cugina con un debole sorriso, guardandola fare il giro del divano per sedersi accanto a lui.
“Nonché l’unica che hai, visto e considerato che i tuoi genitori sono entrambi figli unici… A meno che tu non consideri i Saint-Clair, certo. Meno male, preferisco di gran lunga stare con te che sorbirmi i discorsi delle nostre madri, non fanno che spettegolare sulle donne dell’alta società o parlare del Ministero e di Theseus.”
“Ti prego, non nominarli, giusto stamani abbiamo incontrato Riocard e una delle sue cugine a casa di mia nonna. Ti lascio immaginare, oserei dire che possiamo imputarli di pessimo tempismo, oltre a tutto il resto.”
“Sono davvero l’unica, qui, che non ha niente di particolare contro di loro? Penso sempre che infondo Riocard ha perso suo padre in modo orribile, credo che vada capito.”
“Purtroppo o per fortuna, tu non penseresti mai nulla di terribile su nessuno, Caroline. Ma è per questo che tu e Clio fate bene alla nostra famiglia.”
Neit sorrise alla cugina, e Caroline ricambiò prima di abbassare lo sguardo sul libro abbandonato sulle gambe del ragazzo, abbozzando un sorriso:
 
“Ti ricordi quando venivamo a trovarvi e Egan e Ezra giocavano sempre insieme? Beh, mia madre non voleva che io uscissi a rotolarmi sul prato insieme a loro, o mi sarei sporcata il vestito e le calze, così iniziai a venire con libri da leggere.”
“E quasi sempre venivi da me per farmelo vedere e leggere insieme. Sì, mi ricordo. Eri molto dolce. Anche Clio passava molto tempo in camera con me, visto che non potevo uscire molto.”
Il mago sfoggiò un sorriso amaro e Caroline gli mise una mano sul braccio, sorridendogli gentilmente:
“L’importante è averla superata, Neit.”
“Sì, certo. Però a volte penso a come l’infanzia non venga restituita a nessuno, e io la mia, in buona parte, l’ho persa in una stanza.”
L’espressione negli occhi del cugino le parve così malinconica che Caroline parlò senza riflettere, sorridendo mentre si alzava in piedi:
“Beh, allora mi sembra chiaro ciò che dobbiamo fare. Forza, usciamo. Prendi Sommer, facciamo una passeggiata, visto che oggi non sei al Ministero. Ti offrirò anche il thè o il caffè, se ti comporterai bene. Prendi il soprabito, io vado ad avvisare le nostre madri.”
 
“Sei sicura? Non hai niente di importante da fare?”
“Neit, sono una donna ricca che ha finito di studiare e in età da marito che però non è sposata… Secondo te che cos’ho di meglio da fare?”
 
*
 
“Beh, ciao papà.”
Riocard strinse il cappello tra le mani mentre teneva gli occhi azzurri fissi sulla lapide e sulla fotografia del padre, che come sempre si muoveva: Rodulphus sorrideva e salutava, gli occhi celesti luccicanti come sempre.
Il ragazzo sospirò e si chinò per sedersi accanto alla lapide di marmo posta all’interno del grande mausoleo, la tomba di famiglia. Da bambino odiava andare laggiù con i suoi genitori: la consapevolezza che un giorno anche il suo corpo sarebbe rimasto a marcire lì dentro lo terrorizzava.
Da due anni però, ci andava spesso, praticamente ogni settimana. Andava a trovare suo padre.
 
“Continuo a chiedermi che cosa faresti tu. Sembra che è ciò che tutti si aspettano da me, ora. Fare ciò che avresti fatto tu… Dicono tutti quanto ci somigliamo, ma io non mi sento così vicino a te, papà. Forse non ne sono in grado, a differenza tua. George ci ha provato, ma ora è morto e non so che cosa fare… Non m’importa di quella casa, papà. E non capisco perché quella gente mi odia solo perché ho il tuo cognome e sono tuo figlio.”
“Lo zio pensa che io sia pronto per prendere il tuo posto, e so che ti fidavi di lui come di nessuno, quindi lo farò anche io. So che questo vorrà dire avere molti nemici, e so che Edward Cavendish mi odierà come non mai… non so perché odiasse te in quel modo, non me l’hai mai voluto spiegare, e ora non ci sei più. Scoprirò se è stato lui, papà, e se è così se ne pentirà. Te lo prometto.”
 
*
 
“Mamma, perché non ti fai fare un vestito nuovo anche tu? AHI!”
“Scusi Signorina Bouchard, ecco, diciamo che dovrebbe… stare ferma.”
Cassiopea sbuffò, mormorando che era più semplice a dirsi che a farsi mentre, in piedi su uno sgabello nella più costosa sartoria di Diagon Alley, si faceva sistemare l’orlo di un abito blu notte.
 
“Lascio il divertimento a voi ragazze per oggi, del resto io ormai sono vecchia, nessuno nota dei bei vestiti addosso a me.”
Amethyst, seduta su una poltroncina foderata di velluto, sorrise mentre guardava la figlia maggiore, che roteò gli occhi chiari mentre Colleen, seduta accanto alla madre e impegnata a scegliere tra diverse stoffe, si voltava verso la donna con sincero stupore:
“Ma che dici mamma, sei sempre bellissima, tale e quale alle foto del matrimonio con papà.”
“Sei gentile tesoro, ti ringrazio. Queste sono esattamente le bugie che tutti vogliono sentirsi dire.”
“Sono sincera, e sono sicura che papà direbbe la medesima cosa, se glielo chiedessimo. Anche zia Gwendoline dice che sei sempre uguale, ho sentito zia Alexis chiedere a zio Theseus se per caso non bevi qualche pozione ringiovanente.”
“No, ma pagherò a peso d’oro chiunque la inventerà. Hai scelto la tua stoffa, tesoro?”
Amethyst sorrise alla figlia più piccola, che abbassò lo sguardo sui tessuti, profondamente indecisa come sempre quando si trattava di moda, prima che Cassiopea intervenisse in suo aiuto con un sorriso:
“Prendi quella rosso ciliegia, si addice al tuo soprannome!”
“Dici? Pensi che starebbe bene con il mio colore di capelli? Beh, tu e Lizzy di sicuro ne capite più di me, quindi mi fido sempre del vostro giudizio. Ok, mi farò fare un vestito con questa.”
 
Colleen sorrise e Cassiopea ricambiò, guardando la sorellina così come la guardavano Ambrose e Clara, ossia con uno smisurato affetto e sincero senso di protezione.
 
*
 
 
“Le piaci molto. Non fa così con tutti.”
Neit abbozzò un lieve sorriso mentre guardava Sommer, la sua lupa, con sincero affatto: stava passeggiando a Kensington con Caroline e aveva portato l’animale con sé, divertendosi nel guardarla spaventare le oche e farsi accarezzare docilmente dalla sua accompagnatrice.
 
“Mi fa piacere saperlo. E vorrei anche sapere perché tutti ci fissano. O forse è una mia impressione? Non può essere per Sommer, le hai fatto l’incantesimo, no?”
“Certo, o la gente starebbe già correndo via urlando. Non mi piace molto, ma è l’unico modo per portarla tra i Babbani.”
Neit rivolse un’occhiata quasi di scuse alla lupa, che trotterellava accanto a Caroline mentre la ragazza gli teneva il braccio, guardandosi attorno con la fronte aggrottata:
 
“E allora che cos’hanno da guardare?”
“Non saprei, ma ci ho fatto l’abitudine, oramai.”
Neit si strinse nelle spalle e Caroline si ripromise di chiedere un parere a Clio, quella sera, quando il cugino accennò ad una panchina e parlò di nuovo mentre sedevano:
 
“So che probabilmente non lo davo a vedere, ma ero felice quando venivi a trovarmi, Carol.”
“Mi dispiaceva saperti solo in quella stanza mentre noi giocavamo insieme. So che lo facevano per proteggerti, è ovvio, non posso neanche immaginare che cosa abbiano passato i tuoi genitori, ma mi dispiaceva molto per te. Quando siamo andati ad Hogwarts e finalmente stavi meglio ero davvero felice per te Neit.”
 
Il volto della strega si aprì grazie ad un sorriso luminoso che venne ricambiato dal cugino mentre osservava una coppia di coniugi passeggiare tenendo due bambini per mano e spingendo un passeggino.
“Per un paio d’anni credevo che tu e Clio ci sareste andate senza di me e io che sarei rimasto a studiare a casa… l’idea mi terrorizzava, da una parte, e dall’altra mi rendeva furioso. Ho rotto non so quanti vasi e cristalli, quando i medici accennavano l’idea a mia madre. Quando arrivò la lettera anche per me, oltre che per Clio, quasi non ci credevo. Dopo aver passato quasi tutta l’infanzia in casa, non sai che effetto mi fece partire per la Scozia, così lontano.”
 
“Sai, ci speravo tanto.”
“A cosa?”
“Che saremmo finiti nella stessa Casa. Mia madre diceva sempre io e Clio eravamo troppo diversi per finire insieme, probabilmente, che tu saresti stata senza dubbio una Corvonero, e che anche io avevo ottime probabilità. Ci ho sperato fino all’ultimo.”
 
 
“Che ne pensi di Serpeverde?”
“Perché Serpeverde?”
“Perché sei ambizioso, ragazzino, e molto determinato. L’idea non ti va?”
Neit esitò, incerto: il fatto di trovarsi davanti a tutte quelle persone lo metteva in seria soggezione, e ripensò a quando il Cappello aveva Smistato prima Caroline a Corvonero e poi sua sorella a Tassorosso.
Non voleva trovarsi solo, voleva stare con una delle due.
“Io… Io non lo so.”
“Beh, direi che anche Corvonero andrebbe benissimo per te, ragazzino. Sai, non impiego così tanto a Smistare chiunque.”

 
 
“Siamo insieme Neit! Sei felice?”
Caroline gli aveva sorriso e si era spostata, sulla banca, per permettere al cugino di sedersi accanto a lei mentre la tavolata applaudiva e fischiava, evidentemente felice di avere il nipote del Ministro della Magia nella loro Casa.
“Sì. Sono felice.”
 
 
“Anche se poi l’anno dopo arrivarono i nostri fratelli, certo, e passavamo metà del tempo a tirarli fuori dai guai.”
“Dove sarebbero quei due senza di noi?”
“Non lo so, ma di certo sei l’unica a cui Ezra dà retta, secondo la mia esperienza.”
 
“Non è cattivo. Ha un caratteraccio, lo ammetto, ma gli voglio bene. Gliene vorrò sempre, è il mio fratellino.”
Caroline sorrise e, seguendo lo sguardo del cugino, si ritrovò a sua volta ad osservare quella famiglia Babbana che, seppur portasse abiti modesti, le sembrò molto più felice di quando la sua non fosse mai stata.
“A te piacerebbe? Avere una famiglia tua?”
“Sì, credo. Ma non so se l’avrò. Di sicuro non so se mi innamorerò mai. A te?”
Neit si voltò verso la cugina, e Caroline si strinse nelle spalle sfoggiando un sorriso puramente malinconico:
“Sì, molto. Mi piacerebbe avere figli, ma chissà, forse ormai sto diventando vecchia per sperarci… E la consapevolezza che i miei genitori avrebbero potuto organizzarmi un fidanzamento forzato da un giorno all’altro mi ha sempre frenata nell’innamorarmi di qualcuno. Sommer, che hai trovato?”
 
La strega si alzò e si diresse verso la lupa, che stava rovistando tra delle foglie gialle e arancioni. Neit avrebbe voluto dirle che non era affatto tardi per sperare di avere una famiglia e che di sicuro sarebbe stata una madre meravigliosa.
Ma non lo fece.
 
*
 
“Com’è andata da Gwendoline?”
“Terribile, c’erano i tre moschettieri.”
 
Elizabeth sentì il fratello ridere alle sue spalle mentre sfiorava con le dita il collo ricoperto da lisce e lucide piume blu di Jeremy, l’Occamy di Thomas, che se ne stava appollaiato su uno dei suoi trespoli, nel salotto.
Thomas lasciò il mantello ad un Elfo, di ritorno dal lavoro, e sorrise alla sorella mentre le si avvicinava, mettendole un braccio intorno alle spalle:
“E vi siete sfidati a duello?”
“No, anche se non escludo che Riocard ed Egan avrebbero potuto finire col farlo… Per fortuna è intervenuta la zia. Jeremy è felice di vederti, direi.”  Elizabeth parlò piano, seria in volto, mentre guardava l’Occamy avvicinare la testa al padrone per beccargli affettuosamente un dito, facendolo sorridere:
 
“E’ ciò che chi non ama gli animali o non ne ha mai avuto uno non capirà mai: l’amore immenso che sanno darti, se ti prendi cura di loro.”
“Lo so. Sei molto bravo con ogni creatura che possa esistere… anche con le persone, direi. Tutti ti adorano.”
 
Elizabeth si voltò e raggiunse il divano per sedersi accanto al camino, pensierosa, sistemandosi distrattamente la gonna blu del vestito mentre Thomas si voltava verso la sorella, accigliato: Jeremy ne approfittò per salirgli su una spalla e il ragazzo, senza badarci, si affrettò a seguire la sorella.
“Va tutto bene, Lizzy?”
“Sì, certo. Stavo solo pensando a come la mamma ti permetta di tenere Jeremy ovunque, talvolta anche a tavola durante i ricevimenti…”
“Credo sia perché la gente adora Jeremy, di solito. Gli Occamy sono creature molto affascinanti agli occhi della gente, nonché molto rari.”
 
“… Sì, certo. Credo che andrò a prepararmi per la cena.”
Elizabeth gli sorrise e si alzò, facendo scivolare la mano dalla presa del fratello maggiore per uscire dalla stanza. Phobos le trotterellò al seguito come sempre, e Thomas rimase a guardarla con l’Occamy sulla spalla prima di mormorare qualcosa al fidato animale:
“Che cosa pensi che abbia per la testa, Jem?”
 
Elizabeth, seduta davanti alla toeletta, si stava spazzolando con cura i lunghi e ondulati capelli castano chiaro che le ricadevano in morbide onde sulle spalle. La strega osservava distrattamente il suo riflesso mentre ripeteva quell’azione ormai istintiva, ripensando all’unica volta in cui lei e Astrid avevano affrontato l’argomento, un anno prima:
 
“Elizabeth, stasera non voglio Phobos e Deimos a tavola, per favore.”
“Jeremy, che potrebbe diventare grande come tutta la sala da pranzo, può e una piccola volpe domestica no?”
“Sono animali selvatici, e chissà dove vanno per tutto il giorno, quando tu non ci sei.”
Non era riuscita a trattenersi, e mentre saliva le scale per andare a cambiarsi, dando le spalle alla madre, aveva riso amaramente, asserendo come fosse stupefacente il modo in faceva preferenze persino tra l’animale domestico del fratello e i suoi.
 
“Dovresti impegnarti di più, mamma, o tutti capiranno quale sia il tuo figlio prediletto.”
Astrid non aveva replicato. E Elizabeth non si era disturbata ad insistere: conosceva benissimo la risposta.
 
 
“Perché vuole più bene a Tommy? Faccio sempre come più le compiace… o almeno ci provo, ma è impossibile accontentarla.
“Tesoro, tua madre ti vuole bene, non farti questi pensieri.”
Amethyst l’aveva abbracciata con un caldo e affettuoso sorriso ed Elizabeth, gli occhi azzurri lucidi, aveva mormorato che sì, le voleva bene, ma per qualche motivo Astrid aveva sempre da ridire su quello che lei diceva, faceva o pensava, mentre Thomas riceveva solo parole di merito, sempre.
Affettuosa, ecco un aggettivo perfetto per descrivere Amethyst Saint-Clair. Elizabeth voleva molto bene alle sue cugine, ma a volte si ritrovava, suo malgrado, ad invidiarle: Astrid era lontana anni luce dall’attaccamento che Amethyst aveva nei confronti dei suoi figli.
“Secondo te è un figlio migliore di me, zia?”
“Certo che no tesoro! Thomas è un ragazzo meraviglioso, Lizzy, e tu non sei da meno. Ma sai, a volte le madri sono più severe con le figlie femmine e hanno un debole per i figli maschi… Ammetto che anche per me Ambrose è speciale. Un po’ come i padri che spesso adorano le proprie figlie, no?”
 
“Se lo dici tu…”
“Ma certo. Sono sicura che tuo padre ti direbbe la stessa cosa, e modestamente io lo conosco molto bene.”
 
 
Elizabeth appoggiò la spazzola di legno sul ripiano del mobile e si voltò per abbassare lo sguardo sulla volpe dagli arguti occhi ambrati e il manto nero striato d’argento che la guardava curiosa:
“Infondo non m’importa… Thomas è meraviglioso, io per prima non so come farei senza di lui. Immagino sia comprensibile, se preferisce lui a me. No? Ma non preoccuparti, io non preferirei mai Deimos a te!”
 
*
 
“Allora, com’è andata la vostra giornata? Oggi nulla di che, al giornale.”
Ambrose parlò mentre si serviva l’insalata, e John asserì che moglie e figlie avessero speso un capitale in vestiti mentre loro poveri uomini erano costretti a lavorare.
 
Amethyst sospirò alle parole del marito, e gli rivolse un’occhiata torva – quasi chiedendosi perché gli uomini non riflettessero prima di aprire bocca – mentre Clara si voltava verso il padre con lo stesso cipiglio della madre:
“Sai papà, a molte donne non dispiacerebbe fatto guadagnarsi da vivere.”
“Ne abbiamo già ampiamente discusso, Clara. Una ragazza nella tua posizione non lavora.”
“Come può essere uno smacco volersi impegnare in qualcosa? Una principessa può diventare Imperatrice in Inghilterra, e io non posso lavorare?”
“E’ molto diverso, Clara. Volevi studiare in Germania, l’hai fatto. Penso che ci siano poche streghe della tua età con il tuo stesso bagaglio culturale, e ancora non sei soddisfatta?”
“Non serve a molto, se non lo si concretizza in qualcosa.”
 
“John, per favore.”
“Sai a cosa dobbiamo queste idee, Amethyst? Al tuo caro fratello che se la portava sempre al lavoro.”
 
Cassiopea, Ambrose e Colleen si bloccarono, come cristallizzati, chi in procinto di bere, mangiare un boccone o pulirsi le labbra con il tovagliolo. Tutti e tre si ritrovarono a fissare il padre, sbalorditi da ciò che avevano appena udito.
Nessuno in famiglia parlava mai del loro defunto zio con quel tono. Tantomeno di fronte alla madre.
 
Clara ruppe il silenzio carico di tensione scostando rumorosamente la sedia sul parquet, gettando con un gesto brusco il tovagliolo sul tavolo prima di sibilare che le era passato l’appetito prima di alzarsi e lasciare la sala a passo di marcia.
Normalmente la madre l’avrebbe richiamata al suo posto, ma non quella sera: Cassiopea si voltò lentamente verso Amethyst – quasi temendo di vederla esplodere – che stava fissando il marito senza dire una parola. Per alcuni istanti nessuno disse nulla, poi la padrona di casa riprese a mangiare come se nulla fosse.
Colleen lanciò un’occhiata dubbiosa ad Ambrose, ma il maggiore, seduto di fronte a lei, inarcò entrambe le sopracciglia come a dire che non aveva idea di cosa fare. Cassiopea invece si schiarì la voce, parlando come se nulla fosse successo:
“Sai che cosa trovo assurdo, papà? I nostri padri ci vogliono agghindate come graziose bambole per fare colpo su dei buoni partiti, e i mariti per fare colpo sui loro soci in affari. Eppure, vi lamentate sempre delle spese per abiti nuovi. Dovreste fare un po’ di… ordine mentale, a mio dire.”
“Pensala come vuoi Cassy, in una famiglia che comprende 4 donne ho rinunciato molto tempo fa ad avere l’ultima parola su qualcosa.”
 
*
 
“Elizabeth pensa che io preferisca Thomas a lei. Non me lo dice apertamente, ma so che è così.”
“E perché me lo stai dicendo, esattamente? E’ così, forse?”
“Sai benissimo che non è così.”
 
Astrid scoccò un’occhiata velenosa alla cugina e Alexis, distesa su un divanetto napoleonico situato davanti al camino con un calice di vino rosso in mano e la vestaglia di seta addosso, si strinse debolmente nelle spalle:
“Beh, io ho un solo figlio, e lo amo più della mia stessa vita, quindi temo di non poterti aiutare, Astrid.”
“Anche io amo Elizabeth-Rose, Alexis.”
 
“Non lo metto in dubbio, ma se non glielo dimostri non è certo colpa mia.”
Astrid dovette trattenersi dal farle notare che era responsabile di molte cose, invece, ma la cugina si alzò con uno sbadiglio teatrale, stiracchiandosi con grazia prima di rivolgerle un amabile sorriso:
“Beh, sono davvero esausta, temo che dovremo riparlarne in un altro momento. Passa del tempo con tua figlia, Astrid. Merlino, io avrei così tanto voluto averne una, e tu non ti rendi conto della fortuna che hai! Certo, io ho sposato Rod, quindi si può dire che mi è andata meglio, ma tu hai due splendidi figli che chiunque ti invidierebbe.”
 
“Pensi ancora di poterti ritenere migliore di me perché nostro nonno scelse te come moglie per il primogenito di Riocard Saint-Clair?”
Astrid inarcò un sopracciglio curato alla perfezione, guardando con scetticismo la cugina: avrebbe persino potuto esserne sorpresa, se non l’avesse conosciuta tanto bene. Alexis, per tutta risposta, le sorrise, gli occhi azzurri luccicanti, quel sorriso che la cugina aveva imparato a detestare con tutta se stessa già quando erano bambine.
“Tesoro, era l’uomo più ricco del Paese… Solo il meglio, per il suo erede. Non fraintendermi, sai quanto adori Theseus, è un uomo intelligente e molto attraente, ma si sa che il meglio viene sempre lasciato per il primogenito. Buonanotte, tesoro.”
La strega fece per lasciare la stanza in un fruscio di seta, ma la cugina parlò un’ultima volta, e con un tono così serio da farla quasi raggelare:
“Potrei dire cose che farebbero rizzare i capelli in testa al tuo prezioso Riocard, Alexis. Non scordarlo mai.”
Astrid si era alzata in piedi, scrutando la cugina con un disprezzo malcelato, ma quando la padrona di casa si voltò per affrontarla la strega era già sparita.
 
*
 
“Ciao Clio. Ti dispiace sederti un po’ con me?”
“No, certo. Come stai papà?” 
 
Clio sorrise al padre mentre gli sedeva accanto, e Edward le mise un braccio attorno alle spalle prima di darle un bacio su una tempia, proprio come era solito fare con sua moglie ormai da anni.
 
“Sono stato meglio, ho molti pensieri, purtroppo… E Theseus Saint-Clair mi farà uscire di testa, di questi tempi. Ma non voglio parlare di questo con te, Clio. Ti vorrei parlare del testamento del nonno.”
“Ok.”
 
“Io conoscevo molto bene Rodulphus Saint-Clair. E l’ultima cosa che voglio al mondo è che suo figlio sposi la mia, se sono simili, e mi sembra che sia così.”
“Ma papà, voi una volta eravate…”
Clio non finì la frase, trattenendosi appena in tempo mentre il braccio di Edward si irrigidiva, così come la sua espressione: la ragazza si ricordò di come fare cenno all’argomento fosse una garanzia per farlo infuriare e tacque, mormorando delle scuse per lasciarlo continuare.
“Lo so Clio. Per questo dico che lo conoscevo bene. Non conosco altrettanto suo figlio, certo… Ma tu non lo sposerai, Clio.”
“Quindi la casa andrà alla nonna?”


“… No. Mi rifiuto di perdere i beni più preziosi della nostra famiglia, Clio.”
Clio esitò, in silenzio, prima che una terribile consapevolezza si facesse strada nella sua testa: la strega si alzò e guardò il padre con stupore, inorridendo.
“Vuoi dire che…”


 
 
“IDIOTA! Sopporto tutto, TUTTO, sempre, da quasi trent’anni, ma adesso hai superato il limite!”
“Penelope, non fare l’isterica.”
Robert ebbe appena il tempo di dirottare con la magia la tabacchiera dipinta a mano che la moglie gli lanciò contro, intimandogli di non osare chiamarla mai più in quel modo prima che un terzo piatto si infrangesse sul pavimento di legno.
 
“Penelope, è per il bene della famiglia.”
“VENDI NOSTRA FIGLIA AI SAINT-CLAIR, solo per una stupida casa che non ti serve, e mi dici di calmarmi? E’ la mia unica figlia, idiota che non sei altro!”
Penelope si diresse verso il marito a passo di marcia, puntandogli un dito contro aria minacciosa mentre lo scrutava con odio, gli occhi azzurri ridotti a due fessure:
 
“Acconsenti a farlo, e giuro che dirò tutto.”
L’espressione seria e sicura di Robert vacillò, e la moglie sfoggiò un sorriso compiaciuto mentre l’uomo scuoteva il capo e la guardava furente:
“Non oseresti.”
“Ma certo che lo farei, per i miei figli. Non hai neanche idea di cosa farei per Caroline e Ezra. Per te non muoverei un dito, ma per loro è diverso. Pensi davvero che Riocard Saint-Clair accetterebbe di sposare tua figlia – sempre che non rifiuti comunque, cosa molto probabile – se sapesse quello che potrei dirgli? Non lo farebbe neanche sotto tortura.”
 
“Penelope…”
“Non cambierò idea, Robert. Non lo farò mai. Azzardati solo a vendere mia figlia, ne pagherai le conseguenze.”
 
 
Ezra, in piedi accanto alla porta chiusa della camera da letto dei genitori con le braccia strette al petto e appoggiato alla parete, ascoltò in silenzio ogni singola parola.
Era passato davanti alla loro porta per andare a coricarsi, ma sentendo il nome della sorella non aveva potuto fare a meno di fermarsi ad origliare.
 
Suo padre voleva farle sposare Riocard. Saperlo lo rendeva tutto tranne felice, visto quello che pensava di quel ragazzo, e Caroline non meritava di essere venduta per una casa. Per quanto lo riguardava, Caroline era la persona migliore che conosceva.
Il ragazzo si allontanò silenziosamente per non rischiare di essere colto in flagrante dai genitori, chiedendosi sinceramente che cosa sapesse sua madre di così scottante.
Che la sua famiglia avesse dei segreti era chiaro come il sole, ma non aveva mai sentito suo padre reagire in quel modo.
 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Buonasera! (O qualunque cosa si debba dire per salutare a mezzanotte inoltrata)
Questa settimana sono costretta a pubblicare adesso il capitolo visto che da domani mattina fino a venerdì pomeriggio sarò fuori città, spero che costituirà una piacevole sorpresa per il vostro risveglio domani mattina, anche se personalmente non mi ritengo molto soddisfatta del risultato finale… Spero che a voi sia risultato gradito, purtroppo ho avuto una giornata tremenda e non sto molto bene fisicamente,sfortunatamente però dovevo finirlo stasera e oggi non sono riuscita a scrivere molto.
Detto ciò, grazie come sempre per le recensioni e per le risposte che mi avete mandato, nei prossimi giorni cercherò di essere presente e di rispondere a vostri eventuali quesiti anche se sarò fuori casa.
(A chi mi segue su Instagram sul profilo di Efp consiglio di contattarmi lì, visto che sarò più veloce e comoda per rispondervi)
Come avevo preannunciato, ecco la domanda della settimana, oserei dire una delle domande più fatidiche a cui rispondere:
  • Avete delle preferenze, idee o quant’altro per una relazione del vostro OC all’interno della storia?
Come sempre, so che è presto e che vi metto in crisi con questa domanda cruciale, ma i personaggi sono pochi, e considerando che tutti gli OC sono eterosessuali e dovendo fare le dovute esclusioni fratelli/sorelle tutte voi non rimarrete che con una manciata di OC tra cui scegliere, perciò confido in voi XD
Scherzi a parte, come sempre sarò felicissima di darvi una mano e di darvi la mia opinione visto che ho tutte le schede a disposizione. Non vi chiedo necessariamente di farmi un nome preciso, ma anche solo di distinguere tra chi non potreste ASSOLUTAMENTE vedere insieme al vostro OC e tra chi, invece, potrebbe fare al caso suo.
Per darvi una mano, piccola tabella riassuntiva (ovviamente è indicativa visto che includo anche i cugini, ma se qualcuna di voi è contraria basta dirlo per messaggio quando risponderete, sta a voi fare le vostre considerazioni):
  • Ambrose può “scegliere” tra: Caroline, Clio ed Elizabeth;
  • Thomas: Cassiopea, Clara, Colleen, Clio e Caroline
  • Neit: Caroline, Elizabeth, Cassiopea, Clara e Colleen
  • Egan: Caroline, Elizabeth, Cassiopea, Clara e Colleen
  • Ezra: Clio, Elizabeth, Cassiopea, Clara e Colleen
  • Cassiopea: Neit, Egan, Ezra, Thomas e Riocard
  • Clara: Neit, Egan, Ezra, Thomas e Riocard
  • Colleen: Neit, Egan, Ezra, Thomas e Riocard
  • Clio: Ezra, Thomas, Ambrose e Riocard
  • Caroline: Neit, Egan, Ambrose, Thomas e Riocard
 
Ci sentiamo per messaggio, buonanotte!
Signorina Granger

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Gwendoline Cavendish, nata Saint-Clair, osservava la sua serra stringendosi il colletto di pelliccia del mantello addosso. Era ottobre e il sole era sorto da appena un paio d’ore, tanto che il Derbyshire era ancora avvolto dal tipico freddo notturno autunnale che avvolgeva sempre le campagne.
 
“Signora…”
Gwendoline non diede segno di aver udito il mormorio dell’Elfo Domestico e si addentrò lentamente nella serra attraverso la porta di vetro socchiusa, facendo vagare lo sguardo tra i suoi bellissimi fiori. O su quello che ne rimaneva.
Non restava quasi nulla delle sue amate rose: ogni singola rosa rossa presente nella serra era stata bruciata. Gwendoline strinse le labbra, mormorando qualcosa prima di uscire dalla serra a passo di marcia:
“Vado a Londra. Devo parlare con mio figlio.”
La padrona di casa estrasse la bacchetta e sparì Smaterializzandosi prima ancora di fare il tempo al suo Elfo di chiederle quando sarebbe tornata.
 
*
 
“Qualcuno ha distrutto i tuoi fiori?”
“Le mie rose. Bruciate. Sai quanto ci tenga, ma non è questo il punto. Sai quanto me cosa significhi questo gesto… Non trasuda intenzioni particolarmente amichevoli.”
“Se me lo stai chiedendo per sapere se ne so qualcosa, mamma…”
“No, non è così. So che non sei stato tu Ed… Non ti prenderesti mai la briga di venire fino nel Derbyshire per bruciare qualche fiore.”
Gwendoline parlò con tono pacato, stringendo i braccioli foderati della sedia dove il figlio l’aveva fatta accomodare, nel suo studio, e Edward parve rilassarsi nell’udire quelle parole, abbozzando persino un accenno di sorriso con le labbra sottili prima di alzarsi e schiarirsi la voce:
 
“L’ultima cosa che voglio è che tu corra dei rischi, mamma, lo sai. Ora devo andare al Ministero, ma posso farti avere un Auror, se lo desideri.”
“Non voglio che tu lo dica a Theseus, Edward, ed è lui a gestire gli Auror. Si allarmerebbe per un nonnulla.”
“Beh, a me sembra una dichiarazione poco amichevole, come tu stessa hai sottolineato, mamma. Era casa tua. I tuoi fiori, con un chiaro messaggio alla tua famiglia di origine. Forse per una volta potrei persino trovarmi d’accordo con tuo nipote.”
 
Gwendoline stava per dire che n tal caso avrebbe fatto bruciare i suoi fiori più spesso, d’ora in avanti, ma venne interrotta dal minore dei suoi nipoti: Egan entrò nello studio spalancando la porta, affannato e incurante del fatto di aver appena interrotto una conversazione privata del padre.
 
“Nonna, la mamma mi ha appena raccontato… stai bene?”
“Buongiorno caro. Sto benissimo, non preoccuparti. Certo, dopo mesi di duro lavoro non potrei lo stesso sul responsabile di quello scempio, se dovessi mettergli le mani addosso…”
Gwendoline sbuffò, irritata, e Egan le si avvicinò per chinarsi e darle un bacio su una guancia prima di rivolgersi ad Edward, serio in volto:
“Penso che dovresti richiedere che le venga affidato un Auror, papà. Dubito che Theseus Saint-Clair rifiuterebbe.”
“E’ quello che ho detto anche io, ma tua nonna…”
 
“Via, via, quanto siete tragici, io sono solo furiosa per i miei poveri fiori. Qualcuno mi ha fatto un brutto scherzo e vorrei solo capire chi è stato. Tutto qui, non voglio allarmare nessuno.”
 
 
*
 
 
Caroline Penelope Cavendish sedeva, composta e con la schiena dritta come sua madre le aveva insegnato fin da bambina, al posto che era solita occupare nella grande sala da pranzo dove mangiava ogni giorno insieme alla sua famiglia e in compagnia dei loro ospiti nelle ricorrenze speciali.
Quel giorno aveva deciso di farsi servire lì il thè, e stava sorseggiando con calma la sua abituale tazza di Earl Grey senza latte e con poco zucchero, leggendo distrattamente alcuni fogli che aveva davanti a sé quando dalle porte aperte della stanza entrò suo fratello minore, visibilmente teso.
"Ciao Ezra. Che cosa c'è?"
"Carol, ieri sera ho sentito mamma e papà discutere in camera loro, la mamma era... furiosa."
"Hai origliato, Ezra?"   Caroline inarcò un sopracciglio, visibilmente scettica, ma Ezra non fece caso alla sua occhiata di disapprovazione mentre le sedeva di fronte, guardandola nervosamente:
"Non ha importanza. Ha importanza il motivo per cui stavano discutendo, invece. Papà... papà sembrava intenzionato a farti sposare Saint-Clair, Carol.
"Oh."
 
"La mamma... La mamma non era contenta, per niente. Credo si sia messa a lanciargli contro qualcosa. Comunque, lo ha minacciato di rivelare qualcosa che avrebbe di certo impedito a Riocard di sposarti. Non ha detto di cosa si trattasse."
"Non l'ha detto? E nostro padre?"
"Nostro padre mi è parso colto sul vivo. Credo che si tratti di qualcosa di importante, Carol. Ma finchè impedirà a nostro padre di costringerti a sposare Riocard Saint-Clair non m'importa quanto grave possa essere."
 
La mano di Ezra si allungò sul tavolo e Caroline, istintivamente, allungò la propria per stringerla.
Esitò, ma sorrise con affetto al fratello in risposta al suo sguardo visibilmente preoccupato:
 
"Andrà tutto bene Ezra, non preoccuparti per me."
 
Caroline non si era mai permessa di farsi vedere in difficoltà o preoccupata da suo fratello.
Lei era la sorella maggiore, lei si era sempre preoccupata per lui, consigliandolo e abbracciandolo
quando stava male. Non si sarebbe mai mostrata in difficoltà al suo amato fratellino.
 
*
 
“Non mi invita a sedermi?”
“La inviterei a fare ben altro, ma fortunatamente sono un gentiluomo. Che cosa vuole?”
Theseus, seduto dietro la scrivania che fino ad un paio d’anni prima era stata utilizzata da suo fratello maggiore con le mani giunte e i gomiti appoggiati ai braccioli della poltrona di pelle, riservò un’occhiata quasi truce al suo interlocutore: era estremamente raro che Robert Cavendish chiedesse di conferire con lui, e in quelle occasioni Theseus non mancava mai di trattarlo con tutta la diffidenza di cui era capace.
“Parlarle a proposito di suo nipote. Chiaramente sa a quale mi riferisco, non al figlio di sua sorella.”
“Che cosa vuole da Riocard?”
“Beh, Riocard non ha più un padre, perciò presumo di dovermi rivolgere a lei, anche visto e considerato che fino ad ora ha fatto le veci del ragazzo come Ministro… Vorrei parlarle a proposito di mia figlia.”
“Riocard è adulto, può benissimo parlare direttamente con mio nipote.”
Comprendendo a cosa si riferisse una smorfia perfettamente visibile increspò il volto di Theseus, e Robert annuì abbozzando un sorriso sghembo, guardandolo con gli occhi scuri quasi divertiti di fronte a quella reazione:

“Questo lo so. Ma è anche risaputo quanto il ragazzo abbia stima e si fidi di lei. Perciò chi meglio di suo zio potrebbe… persuaderlo a fare la scelta più vantaggiosa per tutti?”
“E’ qui per mettere in vendita la sua deliziosa figlia, Cavendish?”
“La prego, sa come funziona, ha una figlia anche lei. Le giovani, ricche fanciulle di buona famiglia sono merce di scambio da secoli. I matrimoni sono contratti, sono alleanze, noi lo sappiamo bene. Suo padre fece sposare a lei e a Rodulphus le uniche nipoti del secondo uomo più ricco del Paese dopo di lui, ne sapeva qualcosa. Siamo responsabili delle nostre figlie. Lei con la sua può fare ciò che vuole, io penso che se Caroline sposasse suo nipote tutti ne trarrebbero vantaggio. Riocard erediterebbe una bella casa e sposerebbe una strega altrettanto bella, mia figlia vivrebbe nella dimora di famiglia e niente andrebbe perduto.”
Robert si strinse nelle spalle e Theseus si sporse leggermente in avanti sulla sedia, verso di lui, inarcando un sopracciglio mentre lo squadrava con estrema cura:
 
“Perché tenete tanto a quella casa? Potete comprarvene altre, grazie ai soldi di mia zia.”
“I Cavendish in passato hanno già perso qualcosa di molto… importante per noi a favore dei Saint-Clair. Non vorremmo che ciò si ripetesse. Inoltre, questo matrimonio potrebbe placare le ostilità, come il mio compianto zio desiderava.”
“Nessuna ostilità verrà placata finchè non scoprirò chi ha ucciso mio fratello, Cavendish. Renderò nota la sua proposta a mio nipote, ma lo conosco bene e non penso che ne vorrà sapere nulla.”
 
“Forse è così, ma ribadisco che confido nel suo buonsenso e nella sua capacità di persuadere suo nipote a fare la cosa giusta. Stranamente, sposare mia figlia potrebbe essere utile sia alla sua famiglia che alla mia, tanto vale cogliere l’occasione, no?”
Robert rivolse un ultimo sorriso a Theseus prima di aprire la porta dell’ufficio e andarsene, lasciando il Ministro provvisorio ad un mesto, tetro sospiro.
Odiava ammetterlo con tutto se stesso, visto quanto lo disprezzava… ma forse Robert Cavendish non aveva tutti i torti.
 
*
 
“Bontà divina, cosa direbbe nostro padre se ti vedesse qui?”
“Nulla, visto che tu non glielo dirai! Egan, sto attraversando una terribile crisi.”
Clio si lasciò scivolare con un sospiro tragico su uno degli sgabelli posti davanti al bancone di legno tirato a lucido ed Egan, sorridendo, appoggiò i gomiti sulla superficie liscia proprio di fronte alla sorella maggiore:
“Che succede, Negan ha finito le idee?”
“Taci, non farti sentire!”
Clio colpì il fratello con un fazzolettino, e il minore roteò gli occhi prima di rimettersi dritto in piedi, indirizzando una bottiglia di Whiskey Incendiario verso un uomo seduto a due sgabelli di distanza dalla sorella:
“Va bene, va bene… blocco dello scrittore, comunque? Braxton Wild se la cava male?”
“Molto male, non so proprio come farlo uscire dal casino in cui l’ho infilato, povera creatura…”
 
“Beh, tu e io siamo esperti nel metterci nei pasticci, non credi? Come puoi non avere idea di come continuare?”
Egan sorrise alla sorella, che scosse il capo e appoggiò i gomiti sul bancone per prendersi la testa tra le mani, scura in volto mentre il fratello minore le versava dell’idromele:
 
“Non è solo questo… Ieri sera ho parlato con papà. Mi ha detto che zio Robert vuole far sposare Carol a Riocard.”
“CHE COSA?”
La Burrobirra strabordò dal boccale che Egan stava riempiendo, e il ragazzo imprecò a bassa voce prima di ripulire il bancone con un rapido Gratta e Netta non verbale, porgere con un sorriso di scuse il boccale al cliente e infine rivolgersi alla sorella maggiore con gli occhi azzurri spalancati dallo stupore:
 
“Mi prendi in giro? Lo zio ODIA i Saint-Clair. Ogni volta in cui vede Theseus Saint-Clair è un miracolo che non dia vita ad una rissa!”
“Lo so, ma a quanto pare è disposto a far sposare la sua unica figlia a suo nipote pur di tenere parzialmente le mani su casa del nonno. Povera Carol… Pensi che lo sappia? Ho paura di parlargliene, non voglio essere io a dirglielo, per Merlino!”
“Non ne ho idea, anche se penso che te l’avrebbe detto, no? E poi ieri è stata qualche ora con Neit, l’avrebbe detto anche a lui. No, penso che debbano ancora renderla partecipa della decisione.”
“E… a Neit? A lui dovremmo dirlo?
“… No. Per ora lascia stare. Adora Caroline, non penso che la prenderebbe molto bene. Non che io sia felice di saperlo…”
L’espressione seria di Egan all’improvviso mutò, e il ragazzo spalancò gli occhi azzurri esattamente come poco prima, come se avesse appena realizzato qualcosa:
“Porca Morgana, non oso pensare a come reagirà Ezra!”
 
*
 
Suo zio aveva chiesto di vederlo, e Riocard si stava accingendo a raggiungere l’ufficio del Ministro – e che a breve sarebbe divenuto suo a tutti gli effetti – quando scorse la figura di Ezra Cavendish camminare lungo il corridoio nella direzione opposta alla sua.
Il mago teneva dei rotoli di pergamena tra le mani, ma quando gli passò accanto si premurò di dargli una poderosa spallata senza neanche guardarlo in faccia, facendolo sbuffare con risentimento mentre si voltava verso il moro:
 
“Si può sapere qual è il tuo problema? Mi basta già tuo cugino, grazie.”
Riocard pensava che Ezra avrebbe proseguito dritto per la sua strada senza degnarlo di un’occhiata, ma così non fu: l’ex Corvonero si fermò di scatto e si voltò, muovendo un paio di passi verso di lui senza staccargli i gelidi occhi azzurri di dosso:
“Vuoi sapere qual è il mio problema, bellimbusto? Il mio problema è che se, disgraziatamente, tu dovessi sposare mia sorella, lei sprecherebbe la sua vita intrappolata in un matrimonio con TE. Vedo mia madre nella stessa situazione da tutta la vita, e l’ultima cosa che voglio è che mia sorella segua le sue orme.”
 
Riocard stava per informarlo con poco garbo che non aveva idea di che cosa stesse parlando e che non aveva nessuna intenzione di convolare a nozze con sua sorella maggiore, ma l’altro non gli diede il tempo di replicare, avvicinandoglisi ulteriormente con aria minacciosa:
“Ma se ciò dovesse realmente accadere ti giuro, te lo giuro Saint-Clair, permettiti di mancarle di rispetto o di maltrattarla e te la vedrai con me.”
 
Con quelle parole Ezra girà sui tacchi, lanciandogli un’ultima occhiata truce prima di allontanarsi a passo di marcia. Riocard era abituato ad incontrare lui o suo padre al Ministero, di tanto in tanto, ma di solito si ignoravano a vicenda, e fino a quel giorno gli era sempre andata bene.
Ora invece Ezra Cavendish lo accusava di voler mettere un anello al dito a Caroline Cavendish. Cosa di cui lui non sapeva assolutamente nulla.
All’improvviso l’ex Grifondoro comprese il motivo dell’urgenza con cui suo zio l’aveva convocato, e varcò la soglia dell’ufficio di Theseus senza neanche bussare, serio in volto:
“Si può sapere che diavolo sta succedendo, zio? Robert Cavendish vuole che sposi sua figlia? Perché suo figlio mi ha appena rivolto qualche parolina gentile.”
“Siediti Ric. Dobbiamo parlare.”
 
*
 
 
“Edward me l’ha detto. Di Caroline.”
Estelle parlò senza distogliere lo sguardo da Penelope, che tirò le labbra in una smorfia mentre la mano sinistra, poggiata sulla propria gamba, stringeva convulsamente il tessuto blu petrolio della gonna dell’abito fatto a mano che la strega indossava:
 
“Borioso, inutile idiota…”
“Penelope, posso immaginare come ti senti.”
“Non credo proprio Estelle. Per lo meno tuo marito non è arrivato a vendere la propria unica figlia al suo peggior nemico solo per tenersi… tenersi COSA? Una casa? Un ammasso di mobili costosi, gioielli, abiti, quadri… tutto questo vale più di sua figlia, per quell’emerito idiota. Merlino, sono felice di averlo sposato solo perché ho avuto Ezra e Caroline.”
Penelope si alzò di scatto, avvicinandosi alla finestra stringendo le braccia al petto. Estelle, alle spalle dell’amica, sospirò e appoggiò la tazza sul piattino prima di imitarla, avvicinandolesi per metterle una mano sulla spalla:
“Caroline è una ragazza meravigliosa, Penny. L’hai cresciuta nel miglior modo possibile… Chiunque la sposerà sarà fortunatissimo. Ma non è detto che Theseus e Riocard Saint-Clair accettino, non scordare che loro ci odiano tanto quanto noi odiamo loro.”
“Lo so. Quello che temo è che facciano lo stesso ragionamento meschino e materialista dei nostri mariti. Gwendoline è l’unica che potrebbe persuaderli a desistere, ma dubito che si opporrà, lei stravede per quel ragazzo. Non fraintendermi, non ho nulla di personale contro il figlio di Rodulphus, anche se sua madre… Beh, lasciamo perdere. Solo non sopporto che mia figlia funga da merce di scambio per una casa. Non perdonerò mai George Cavendish per questa stupida trovata sessista. Mai.”
“Lo dirai a Caroline?”
“Non subito. Ho detto a Robert che si sarebbe pentito di questa decisione, e intendo ricordarglielo. Forse crede che le mie minacce siano infondate, ma non lo sono.”
 
Estelle guardò l’amica senza dire nulla, chiedendosi che cosa sapesse sul conto del marito – anche se, conoscendo Robert, forse nemmeno voleva saperlo – e ripensando a tutte le frecciatine che suo suocero era solito lanciare su Edward quando era in vita, su qualcosa che il figlio aveva fatto e che George non gli aveva mai perdonato.
Ma dopo tutti quegli anni, lei ancora ignorava di che cosa si trattasse.
 
“Penny. Robert ti ha mai… accennato al motivo per cui George ce l’aveva tanto con Edward? E’ sempre stato così, da quando sono entrata nella famiglia. Ma nessuno ha mai voluto dirmelo.”
“No cara, mi dispiace. Gwendoline di certo lo saprà, puoi provare a corromperla.”
 
Estelle scosse il capo, certa che la donna non avrebbe mai tradito la volontà del defunto marito di non farlo sapere in giro: no, l’unico che avrebbe potuto dirglielo era Edward. Ma suo marito, per quanto l’amasse e le confidasse sempre tutto, per qualche motivo si era sempre rifiutato di aprirsi del tutto con lei.
 
Non capiresti
 
Questa era l’unica risposta che Estelle era riuscita a strappargli. Edward non aveva mai aggiunto nient’altro.
 
*
 
 
Quando scorse Penelope Cavendish da lontano, Alexis prese in seria considerazione l’idea di di Smaterializzarsi a casa e di rimandare gli acquisti che doveva fare, ma scacciò in fretta quei pensiero ripetendosi che non avrebbe sconvolto i suoi piani a causa di quella donna.
La strega procedette così a testa alta sulla strada lastricata, perfettamente consapevole dello sguardo gelido della donna su di sé: Penelope le si avvicinò senza preoccuparsi minimamente di fingere di non averla vista, parandolesi di fronte inarcando un sopracciglio perfettamente curato.
 
“Se non fossi assolutamente certa di aver sposato un idiota senza cervello, avrei quasi giurato che l’idea è stata tua.”
“Non so a cosa ti riferisci, ma ho altro da fare invece di perdere tempo con te, Penelope.”
“Vuoi dirmi che non ti è ancora arrivata la notizia? Robert vorrebbe far sposare mia figlia con tu figlio. Sarebbe un bel passo in avanti per te, no? Tuo figlio erediterebbe una gran bella casa e sposerebbe una ragazza splendida e ricca. Cosa chiedere di meglio per il proprio figlio?”
 
“TUA figlia sarebbe immensamente fortunata a sposare il MIO, tanto per essere chiari. Inoltre… Robert è tuo marito, cara. Se non sei in grado di controllarlo, beh, sono solo affari tuoi.”
Alexis piegò le labbra in un sorriso dolce e canzonatorio, lo stesso che rivolgeva a Rodulphus quando si faceva beffe di lui o ad Astrid quando, da bambine, otteneva il regalo più bello o la fetta di dolce più sostanziosa.
Penelope invece strinse le labbra – trattenendosi dall’affatturarla in piena Diagon Alley, ripetendosi che quella befana era la cognata dell’attuale Ministro e madre di quello futuro e che fosse una pessima idea trasformarla in uno spillo – e la guardò allontanarsi di qualche passo prima che la bionda, come ricordandosi di dover aggiungere qualcosa, si voltasse un’ultima volta verso di lei con lo stesso odioso sorriso:
 
“Quasi scordavo quanto ti si addice il tuo bel nome. Incredibile come un nome dal suono così sofisticato celi un significato volgare… Anatra. Cielo, come ti si addice, cara.”
“Avrei anche io un nome che ti starebbe d’incanto, cara, e se non fossi una signora lo direi anche ad alta voce.”
 
*
 
“Scusa se ci ho messo un po’, avevo uno Kneazle molto rognoso tra le mani…”
 
Thomas sfoggiò un sorriso di scuse mentre prendeva posto di fronte ad Ambrose, che aveva occupato un tavolo e aveva già un bicchiere di whiskey semi vuoto davanti.
“Non preoccuparti. Di che cosa volevi parlarmi?”
“Beh, di Ric. Quando è tornato a casa per il pranzo mio padre sembrava piuttosto teso. Credi che possa essere successo qualcosa riguardo al testamento?”
“Non ne ho idea, ma se così fosse non penso che QUESTO sia il luogo più adatto per parlarne, onestamente…”
 
Ambrose si gettò una rapida occhiata intorno e scorse Egan Cavendish in piedi dietro al bancone come sempre, uno strofinaccio appoggiato sulla spalla mentre parlava con aria concitata con un ragazzo dai capelli scuri seduto proprio di fronte a lui su uno sgabello. Ad Ambrose non ci volle molto per individuare Ezra Cavendish in quel suddetto ragazzo, anche se gli dava le spalle, e sbuffò piano mentre si portava il bicchiere alle labbra.
“Non preoccuparti, trovo che Egan Cavendish sul lavoro sia molto… professionale. Non mi sembra che abbia mai rifiutato di servirci, no?”
“No, anche se ho sempre qualche remora a bere quello che mi serve, non so se mi spiego.. Lizzy? Che ci fai qui?”
 
Ambrose sgranò gli occhi chiari con sincera sorpresa quando scorse l’inconfondibile figura, elegante ed aggraziata, di sua cugina procedere con disinvoltura tra i tavoli di legno del pub, sfilando tra i clienti – maghi o folletti che fossero – con addosso un accollato vestito bordeaux con guanti e cappellino coordinati.
“Tommy mi ha detto che dovevate vedervi e ho deciso di auto-invitarmi. Oh, c’è anche Cassy.”
Lizzy sedette tra fratello e cugino come se non si sentisse affatto fuori luogo e accennò con disinvoltura alla cugina, che si era fermata a chiacchierare con alcuni ragazzi, tutti con enormi boccali di Burrobirra in mano.
“E con chi sta parlando? Vado a prenderla… Nostro padre non sarebbe felice di saperla qui.”
“Sì, non è proprio posto da signorine, tesoro. Soprattutto per signorine come te.”
Thomas rivolse un sorriso affettuoso alla sorella, che però roteò gli occhi e accennò al completo sartoriale con cappotto abbinato del fratello mentre si sfilava i lunghi guanti con grazia:
“Essere persone eleganti non ci preclude di andare ovunque vogliamo, anche se sei una donna. E devo dire che è interessante vedere gli uomini sfoggiare la loro vera natura da selvaggi, in questi contesti. Beh, dove si ordina da bere? MERLINO, MA QUELLO È EGAN CAVENDISH?”
“Beh, in effetti il posto è suo. Non lo sapevi, Liz?”
“E come potrei, visto che “questi non sono posti da signorine”? beh, vado a ordinare per me e Cassy, sempre che lui ed Ezra non mi affatturino riconoscendomi.”
Elizabeth sbuffò e si alzò, dandosi coraggio con un sospiro prima di dirigersi con aria decisa verso il bancone.
“Chiedo scusa gentiluomini, dovrei passare… permesso… che nessuno osi toccarmi, grazie… Che orrore, è un sollievo essere nata donna… Buonasera. Potrei, per cortesia, avere due Burrobirre?”
 
Elizabeth si fermò proprio accanto ad Ezra, parlando tenendo gli occhi azzurri fissi sul proprietario e come se non lo conoscesse. Lo stesso però non si poté dire di Egan ed Ezra, che la guardarono entrambi con aria stralunata: Egan, che stava lucidando un bicchiere, guardò la strega aggrottando la fronte, chiedendosi se non si fosse persa o se invece fosse tutto parte di un piano per distruggergli il locale.
“… Salve. E’ sicura di trovarsi nel posto giusto?”
“Beh, dove altro dovrei ordinare, alla toilette?”
“Beh, no, solo che non l’ho mai vista qui… Certo, comunque. Arrivano subito.”
 
“Cavendish, perché mi guardi come se non avessi mai visto una signorina qui?”
“Beh… di signorine qui se ne vedono, ma le Saint-Clair sono una rarità.”
“Beh, c’è sempre una prima volta. Grazie. Come mai “alla Clio”, se posso permettermi?”
Egan borse due boccali alla strega, che li prese aggrottando la fronte e facendo sorridere appena il rosso con la sua domanda:
“Ci ho aggiunto i chiodi di garofano… piaceva a mia sorella, e così il nome. Spero che sia di suo gusto.”
“Oh, capisco. Beh… grazie ancora. Le metta sul conto di mio fratello.”
 
 
Elizabeth girò sui tacchi e si allontanò per raggiungere i cugini – mentre Ambrose faceva una ramanzina a Cassiopea, lei replicava a tono e Thomas si godeva la scena – sotto gli sguardi ancora perplessi dei due Cavendish, che rimasero in silenzio finchè Ezra non fece un’osservazione, quasi annoiato, mentre si portava il bicchiere alle labbra:
“Non si può negare che sia davvero molto graziosa. Peccato che si chiami Saint-Clair di cognome.”
“Già. Un vero peccato.”
 
 
“Eccomi qui, Cassy tieni la tua Burrobirra… Ambrose, smettila, Cassy è adulta e può andare dove le pare, anche se è una ragazza. E quanti whiskey hai bevuto? Ti tengo d’occhio. Allora… dicevamo su Riocard? Non penserete che accetterebbe di sposare Clio o Caroline Cavendish, vero ragazzi?”
Elizabeth prese nuovamente posto accanto al fratello e consegnò la Burrobirra a Cassy, che le sorrise con gratitudine prima di rivolgere un’occhiata soddisfatta ad Ambrose, che invece alzò gli occhi al cielo, sconfitto, mentre Thomas si stringeva nelle spalle, rigirandosi piano l’anello d’argento con la rosa incisa che portava sempre alla mano destra:
 
“Chiaramente no. A meno che non lo convincano in qualche maniera, certo.”
 


Colleen Bouchard Saint-Clair nei suoi 21 anni di vita era andata di rado in giro per Londra da sola: da perfetta ultimogenita i suoi genitori si erano sempre preoccupati per lei molto più che per i fratelli maggiori, e spesso avevano insistito perché Ambrose o Cassiopea la accompagnassero.
Quella sera, però, Colleen doveva raggiungere i fratelli, e aveva seguito l’indirizzo che le era stato dato da Cassiopea giungendo al celebre pub di Diagon Alley da sola.
 
Per un istante, dopo essere entrata, Colleen era rimasta affascinata dalla multitudine di colori, stili e dalla varietà della clientela o dal menù appeso dietro al bancone – non era mai entrata in un pub in vita sua, dopotutto – ma quella sensazione aveva avuto vita breve, visto che un attimo dopo aveva attirato la sgradita attenzione di un tavolo vicino:
 
“Tesoro, ti sei persa? Sei da sola?”
“Non… non chiamatemi così, per favore.”
“Che tenera, guardate com’è carina! Ci fai compagnia?”
 
Colleen si sentì strattonare e un braccio le cinse la vita, facendola sobbalzare e arrossire copiosamente:
“Non penso proprio. Mi stanno aspettando.”
 
“La signorina ha detto “no”, mi risulta.”
Sentendo una voce piacevolmente familiare Colleen si voltò, e un sorriso di puro sollievo le illuminò il volto quando scorse suo cugino, in piedi davanti a lei: Thomas aveva quasi sempre il sorriso sulle labbra e un’eterna espressione radiosa e cordiale, ma in quel momento doveva ammettere di averlo visto di rado tanto serio mentre scrutava lei e i tre maghi seduti al tavolo.
 
“Vieni, Colleen.”
Thomas la prese delicatamente per un braccio e l’attirò a sé, mormorando di seguirlo mentre la conduceva verso Ambrose, Cassiopea ed Elizabeth.
“Grazie Thomas.”
“Non mi devi ringraziare. Per fortuna ti ho vista entrare… Ecco perché le signorine non dovrebbero andarsene in giro da sole a Londra, dopo una certa ora.”
Thomas le rivolse un sorriso e Colleen annuì abbassano lo sguardo, imbarazzata per non essere riuscita a cavarsela da sola mentre Cassiopea, vedendola, le chiedeva il perché di quel muso lungo:
 
“Nulla Cassy, solo quei tre idioti che l’hanno importunata quando è entrata.”
“CHI E’ STATO? Ci penso io.”
Cassiopea fece per alzarsi e prendere la bacchetta, ma Ambrose scosse il capo e asserì che ci avrebbe pensato lui in quanto fratello maggiore: i due stavano quasi per iniziare a discutere su chi dovesse difendere la sorellina quando Elizabeth, alzando gli occhi al cielo e ringraziando la provvidenza per aver avuto un solo fratello, parlò con tono neutro dopo aver bevuto l’ultimo sorso di Burrobirra:
 
“Fatela finita, come vedete ci ha pensato Thomas, il mio meraviglioso e perfetto fratellone… che pagherà la mia Burrobirra, vero?”
“Qualsiasi cosa per la mia Lizzy.”
 
“Quello che volevo sentire. Forza Cherry, siediti e prendi qualcosa, stiamo discutendo a proposito del possibile matrimonio di Ric.”
 
 
*
 
“SEI UN IDIOTA! Mi vergogno, mi vergogno di te! Pensavo che fossi sulla buona strada per farmi da successore, pensavo che fossi intelligente, maturo, serio… Come hai potuto fare una cosa simile?”
“Siete voi che vi rifiutate di vedere, padre! Se solo mi ascoltaste, capireste!”
“No, non capisco. Hai fatto una scelta che disonora te e tutta la nostra famiglia. Non ti perdonerò mai, Edward, ma ormai non si può tornare indietro. Ma ti assicuro che te ne pentirai. Per tutta la vita.”
 
Edward non aveva mai scordato l’occhiata gelida che suo padre gli aveva lanciato prima di sbattergli la porta in faccia. George non aveva fatto false promesse, come sempre: si era premurato di ricordare al figlio il suo imperdonabile errore per i successivi 27 anni.
 
“Anche adesso che il nonno è morto non me lo dirai, non è così?”
“Di che cosa parli, Neit?”
“Del motivo per cui ce l’aveva tanto con te. Del motivo per cui ha scelto Rodulphus Saint-Clair.”
 
Neit, seduto su una poltrona nel salotto con un libro sulle ginocchia e la divisa blu da Indicibile ancora addosso dal suo ritorno dal Ministero, teneva il suo sguardo attento e indagatore fisso sul padre, padre che guardò il primogenito con un sorriso quasi triste sulle labbra. Il sorriso di chi ha accettato con rassegnazione la propria sorte:
 
“Sai Neit, molti pensano che fece quella scelta perché preferiva lui a me. E a volte lo penso anche io, ma si sbagliano. Non è questo il vero motivo. Mio padre fece quella scelta, quando andò in pensione, solo per punirmi.”
 “Punirti per cosa, papà? Sono adulto, tu alla mia età avevi già tre figli… Ancora ti ostini a non volerlo dire? Sono anni che cerco di capire.”
“Lo so, sei sempre stato fin troppo sveglio e curioso. Sei un vero Cavendish, Neit. Mi dispiace che per colpa mia, di tuo nonno e di Rodulphus Saint-Clair non avrai ciò che ti spettava di diritto.”
Neit avrebbe voluto dire al padre che di quelle tre persone due erano morte, ormai, e che l’unico a conoscere tutta la verità era lui – a parte sulla morte di Rodulphus. Neit sapeva che suo nonno aveva dubbi sul suo stesso figlio, ma Neit si era sempre rifiutato di prendere in considerazione quell’idea – ma Edward si alzò, mormorando che aveva intenzione di riposarsi un po’ prima di cena.
Stava per uscire dal salotto quando, improvvisamente, si fermò, come colto da un pensiero: si voltò appena verso il figlio, parlando con tono piatto e privo di qualsiasi emozione senza guardarlo direttamente in faccia:
“Non so se ne sei già al corrente, ma forse gradiresti saperlo e sentire come sta. E’ probabile che Caroline sposi Riocard Saint-Clair.”
 
*
 
 
“E’ in camera sua.”
Ezra non lo aveva neanche salutato, parlando con lo stesso tono che Edward aveva usato nel comunicare al figlio la notizia.
Neit, appena uscito dal camino di marmo grazie alla Metropolvere – di norma non era sua abitudine improvvisare a casa altrui senza preavviso o senza invito, ma quella sera non si era premurato di scrivere ai padroni di casa, preso da ben altri pensieri – non salutò nemmeno il cugino, superandolo in fretta e furia per dirigersi al piano superiore.
 
Salire le scale ricoperte dal morbido tappeto rosso gli fece pensare a qualcosa che ormai apparteneva ad un passato lontano, e per un istante tornò nella sua stanza nella casa dei genitori, a letto, un bambino fragile che ascoltava il silenzio rotto da passi leggeri sulle scale.
Un sorriso impercettibile attraversava il volto serio e malinconico di quel bambino quando la consapevolezza che Caroline o Clio stavano per bussare alla sua porta so faceva strada in lui.
Ora, per la prima volta, era lui a dover far visita a sua cugina per portarle un po’ di conforto.
 
Il mago si ritrovò ad indugiare davanti alla porta della camera da letto della cugina, ripetendosi quanto fosse sconveniente, ma udendo un singhiozzo soffocato si decise e bussò, attendendo un paio di istanti – durante i quali non ricevette alcuna risposta verbale – prima di aprirla piano:
“Carol? Posso entrare? Oh. Ciao.”
 
Il mago si ritrovò a guardare, sorpreso, proprio sua sorella gemella: Clio gli rivolse un debole sorriso mentre, seduta sul grande letto a baldacchino di Caroline, l’abbracciava e le accarezzava i capelli biondi mentre la cugina teneva il viso nascosto tra le braccia, poggiandosi sulle sue gambe.
“Caroline, c’è Neit… Ti lascio un po’ con lui.”
 
Clio si lasciò scivolare piano dalla cugina, che non si mosse finchè Neit, senza dire nulla, non prese il posto di Clio: il mago sedette sul bordo del letto e guardò la cugina sollevarsi per abbracciarlo, il volto dalla carnagione chiara e delicata rigato dalle lacrime e i lunghi capelli color grano di solito legati e acconciati sciolti sulla schiena in morbidi riccioli.
“Ciao Carol. Ho appena saputo… Non preoccuparti. Andrà tutto bene.”
“Non voglio sposare qualcuno che non conosco. Non voglio finire come Mary, Neit, o mia madre, sposata e costretta a convivere con qualcuno che detesto.”
Neit poggiò la mano destra sulla nuca di Caroline e le fece poggiare la testa sulla sua spalla mentre le cingeva la vita col braccio sinistro, abbracciandola. Si ritrovò con il capo contro il suo e a stringere delicatamente i suoi lunghi capelli biondi, mormorando che sarebbe andato tutto bene.
 
Neit non era felice, in quel momento, per nulla. Era a dir poco furioso con suo zio, e anche con suo padre per aver dato il suo benestare. Non voleva che quella sorte toccasse a sua sorella, che amava con tutto se stesso, ma nemmeno a Caroline.
Sì, Neit era furioso. Ma in quel momento cercò di non pensarci, mentre il piacevole profumo alla rosa di Caroline – o dei suoi capelli, difficile a dirsi – gli invadeva le narici.
 
 
Clio uscì dalla stanza senza far rumore, socchiudendosi silenziosamente la porta alle spalle con un debole sospiro: voleva terribilmente bene a Caroline, e anche se era certa che Riocard Saint-Clair non fosse un cattivo ragazzo, immaginava perfettamente come la cugina si sentisse. Dopotutto, lei non aveva avuto la sua stessa fortuna, di crescere con genitori che si amavano.
“Come sta?”
“L’ho lasciata con Neit. Tu come ti senti?”
Clio sorrise gentilmente ad Ezra, che si strinse nelle spalle senza guardarla e borbottò qualcosa di incomprensibile prima che la cugina lo abbracciasse, asserendo che lei lo conosceva bene e che non serviva fare l’orso in sua presenza.
 
*
 
 
“Tu che cosa vuoi fare?”
“Secondo te? Non mi interessa sposarla, e neanche la casa di George! Merlino, che situazione… e i Cavendish mi detestano, come se fosse stata una mia idea.”
“Beh, non sai quanto mi costa ammetterlo, sai che non lo sopporto, ma Ezra Cavendish non ha tutti i torti… io farei lo stesso se si trattasse delle mie sorelle. In più forse pensano che hai in qualche modo soggiogato George per convincerlo ad includerti nel testamento, chissà.”
 
Riocard sbuffò e lanciò un veemenza il sasso nel laghetto mentre Ambrose stava in piedi dietro di lui, le mani nelle tasche e una lanterna che galleggiava a mezz’aria loro accanto mentre guardava il cugino sfogarsi: era arrivato da loro dopo cena e con la visibile necessità di parlare con qualcuno, e come sempre Ambrose non si era tirato indietro se il cugino aveva bisogno di lui.
 
“Zio Theo cosa ne pensa?”
“E’ questo il punto. Mio padre si fidava ciecamente di lui, e mi è stato vicino tanto quanto George quando lui se n’è andato. Gli voglio bene e ho grande stima dello zio, e lui mi ha detto che forse dovrei… prenderlo in considerazione. Che potrebbe placare le acque, e in più mi avvicinerei ai Cavendish per poter scoprire qualcosa sulla morte di papà, facendo persino ulteriore rispetto prendendomi persino la casa di famiglia. Sulla carta ha ragione, me ne rendo conto, ma non lo so. Io non sono così, Ambrose.”
“Lo so Ric. Non sei tuo padre.”
“Già. Temo però che questa cosa non sia chiara a tutti. Non ne ho ancora parlato con mia madre, non ho idea di che cosa possa dirmi… Odia Robert Cavendish, quindi forse sarebbe contraria, ma da una parte potrebbe pensarla come lo zio, conoscendola.”
“Beh, sono sicuro che lei ti dirà di fare quello che è meglio per te, sai quanto ti vuole bene. Le mamme sono così.”
 
*
 
“Grazie per essere venuto. Mi serviva un po’ di supporto.”
“Beh, tu ci sei sempre stata per me da piccoli. Dovevo ricambiare il favore. Mi… mi dispiace Carol, so quanto hai sempre temuto questo momento. Non so se Riocard ti sposerà, anche se sarebbe uno stupido a rifiutare.”
“Stai dicendo che secondo te dovrebbe sposarmi?”
Caroline, seduta sul suo letto con la gonna turchese del suo vestito che le copriva le gambe mentre se le stringeva tra le braccia, rivolse un’occhiata perplessa a Neit mentre il cugino si rimetteva la giacca blu, guardandolo affrettarsi a scuotere il capo:
“Sì. Cioè, non sto dicendo che lo vorrei, dico che avrebbe senso. Ma io spero che non lo faccia, è chiaro. Beh, sarà meglio che vada, è tardi e ti ho disturbata abbastanza… Buonanotte Carol. Cerca di dormire, ok? Domani andrà meglio.”
 
Caroline annuì e lo salutò a bassa voce, guardandolo uscire dalla sua stanza e chiudersi la porta alle spalle prima di sospirare e nascondere la testa sulle proprie gambe, ripensando a ciò che era solita ripetere da anni quando la gente le chiedeva se avesse uno spasimante o un ragazzo che le piaceva.
 
Non mi sono mai permessa di innamorarmi, perché so che i miei genitori potrebbero organizzarmi un fidanzamento da un giorno all’altro.
Caroline era sempre stata perfettamente consapevole della veridicità di quelle parole, ma ora che quel momento era, forse, arrivato, stentava a crederci. Senza contare che forse, infondo, non era poi così sicura di dire la verità quando sosteneva di non essersi mai permessa di innamorarsi.
 

*
 
 
“Avanti.”
Clara chiuse il libro quando vide sua madre aprire la porta della sua camera e rivolgerle un sorriso, chiedendole se per caso non volesse il bacio della buonanotte come quando era bambina.
“Sono a posto grazie, anche se ammetto che a volte quando ero in Germania un po’ mi mancava… come mai questa visita? Devi sempre dirmi qualcosa che ti preme, quando vieni a quest’ora.”
Amethyst sedette di fronte alla figlia sul letto e le sorrise, accarezzandole la treccia di capelli castani con affetto:
“Non hai torto. Volevo parlarti a proposito di ieri sera. Mi dispiace se ci sei rimasta male. Tuo padre non è cattivo, è solo il risultato dell’educazione della sua famiglia, come tutti noi, e sai come la pensano i suoi genitori su certe questioni.”
“Anche troppo bene, visto che ogni volta in cui li vediamo la nonna si lamenta del fatto che nessuno di noi quattro è sposato…”
 
“Proprio così. Non penso che voglia offenderti quando dice certe cose, ti vuole bene ed è fiero di te, proprio come lo sono io… e come lo era lo zio Rod.”
Amethyst sorrise con calore alla figlia, e guardò gli occhi di Clara – gli occhi color cioccolato che lei e Colleen avevano ereditato dalla madre – farsi improvvisamente malinconici, quasi lucidi, prima che la ragazza mormorasse qualcosa a bassa voce:
“Mi manca molto.”
“Anche a me tesoro. Manca a tutti, ma ad alcuni di noi in particolare… e tu eri la sua nipote preferita, lo so per certo. Me l’ha detto lui quando sei partita per la Germania, sai?”


“Davvero?”
“Davvero. So quanto adoravi tuo zio, Clara, perché anche io lo amavo tantissimo. E so che sarà sempre fiero di te e della donna che diventerai, anche se non è più qui per dirtelo. Se ti può consolare, io lo penso e non smetterò mai di dirtelo.”
Clara sorrise e abbracciò la madre, ringraziandola con un mormorio mentre appoggiava la testa sulla spalla della donna, lasciandosi piacevolmente coccolare. Un abbraccio che a Jena le era mancato come l’aria in certe circostanze e che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, non sarebbe mai stata troppo grande per ricevere.
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Buonasera!
Al contrario della scorsa settimana, oggi mi ritrovo a pubblicare al termine della giornata, chiedo scusa a chi magari ha controllato spesso se avessi aggiornato durante il giorno, ma non sono proprio riuscita a finirlo prima.

Grazie come sempre per le recensioni super positive e super stimolanti, ma anche per le risposte che mi avete mandato.
Questa volta non ho quesiti per voi, per questa settimana vi lascio in pace, anche se ammetto di essere curiosa sulle vostre idee, QUINDI se avete teorie varie sulla trama e volete condividerle con me siete liberissime di farlo, le leggerò con estremo piacere.
Detto ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se l’ho scritto in tre ore scarse e non so come può essere venuto, buonanotte e a presto!
Signorina Granger

 
PS. Scusate se ci sono errori, domattina lo rileggo giuro, ma è tardi e non connetto più
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
 
“Alè.”
La voce di Elizabeth-Rose Saint-Clair risuonò forte e chiara all’interno del tondino*. La strega stava in piedi esattamente al centro della struttura circolare stringendo l’estremità di una spessa corda nera con le mani guantate, i lunghi capelli legati in una treccia e gli stivali di cuoio che affondavano della sabbia sottile mentre seguiva scrupolosamente e con sguardo attento i movimenti del cavallo dal manto grigio chiaro legato alla corda e che procedeva circolarmente attorno a lei.
Sentendo la voce della strega il cavallo cambiò andatura, passando dal passo al trotto senza smettere di disegnare solchi circolari sulla sabbia.
Un sorriso soddisfatto increspò il volto di Elizabeth, spezzando la sua espressione seria e concentrata mentre annuiva:
“Brava Nausicaa.”
Elizabeth tirò leggermente la corda verso di sé e la cavalla si fermò, permettendo alla ragazza di avvicinarlesi per darle una carezza sulla lunga criniera grigio antracite e tirare fuori una delle fettine di mela che si era portata appresso.
 
“Lo zio dice che se nostro nonno vedesse come li addestri avrebbe un mancamento.”
“Lo so, lo dice anche a me, ma se persino Senofonte, 2000 anni fa, diceva che un cavallo felice e non maltrattato è più efficiente, non vedo perché non dovremmo arrivarci noi nel 1912.”
 
Elizabeth diede una pacca affettuosa sul collo della giovane cavalla e si voltò verso il cugino, che la guardava con un sorriso sghembo, seduto sulla recinzione ma vestito di tutto punto come se dovesse andare in ufficio:
 
“Cosa ci fai qui?”
“Sono venuto per vedere tuo padre, ma ti ho vista qui e non ho potuto fare a meno di avvicinarmi…. Come procede con Nausicaa?”
“Bene, è docile e ascolta molto. E questo perché non la trattiamo con prepotenza per sottometterla, vero piccola? Continuiamo.”
Elizabeth sorrise alla cavalla prima di allontanarsi, tornando al centro della recinzione per farla ripartire con un lieve strattone alla corda.
 
“Davvero tuo padre lascia i cavalli a te?”
“A me e a Tommy, ma lui è spesso al lavoro, quindi di solito me ne occupo io… Ma non mi dispiace di certo. Si è arreso al fatto di non poter più fare a modo suo. Galop.”
 
Riocard sorrise debolmente mentre seguiva i movimenti della cavalla, guardandola partire al galoppo attorno alla cugina:
 
“Non ho mai capito questa scemenza del francese, sai?”
“Nemmeno io, ma zia Gwen dice che il francese è la lingua universale dell’equitazione, e di conseguenza lo dice anche mio padre… chi siamo noi per contraddirla?”
“Esattamente. Beh, ti lascio alle tue faccende Lizzy… bel completo però, che cosa ne pensa zia Astrid?”
 
Riocard ridacchiò mentre scendeva dalla staccionata, lanciando un’occhiata divertita alla mise della cugina che comprendeva stivali alti quasi fino al ginocchio, pantaloni beige e camicia bianca. Lizzy per tutta risposta roteò gli occhi azzurri, ripensando all’espressione quasi schifata che segnava il volto della madre ogni volta in cui vedeva la figlia uscire per addestrare i cavalli o fare una passeggiata con stivali e pantaloni.
“Se n’è fatta una ragione. Può dire quello che vuole, ma è una verità universalmente riconosciuta che cavalcare all’amazzone sia…”
 
*
 
 
“… la cosa più scomoda che esista al mondo! Merlino, ma perché gli uomini ci sottopongono ad infinite torture? Neit, tesoro, tienimi questo.”
 
Estelle fece il suo ingresso nell’atrio con un sospiro melodrammatico, mollando cappellino e frustino tra le braccia del figlio appena il ragazzo, con la divisa blu già addosso, le passò accanto:
“Ma io sto andando al lavoro…”
L’Indicibile aggrottò la fronte, perplesso, ma la donna liquidò il discorso con un gesto della mano e asserì che per aiutare sua madre poteva anche tardare cinque minuti, facendogli alzare gli occhi al cielo.
 
“Certo mamma, è che volevo passare a casa degli zii prima di andare al lavoro…”
“Per Caroline?”
 
Estelle si voltò verso il figlio mentre si sfilava l’elegante foularino che temeva legato al collo, e il ragazzo annuì con aria cupa, abbassando lo sguardo:
“Io e Clio non la vediamo da tre giorni. Volevo sapere se sta bene.”
“Tesoro, è molto dolce da parte tua, ma sono sicura che sta bene e che tua zia si sta prendendo cura di lei. Salutamela tanto, però, se vai a trovarla.”
Estelle rivolse al figlio un sorriso carico d’affetto, sollevando una mano per sfiorargli uno zigomo prima di asserire che avrebbe fatto un bel bagno caldo dopo la sua passeggiata mattutina: la donna girò sui tacchi per dirigersi verso le scale e raggiungere il piano superiore, e Neit stava per chiamare un Elfo che mettesse a posto le cose della madre quando la porta si aprì magicamente di nuovo e Gwendoline fece il suo ingresso, sfilandosi il cappellino e dirigendosi a passo di marcia verso la pesante porta vicino alle scale che portava allo studio del figlio:
 
“Devo parlare con Edward, è importante. Neit, caro, tienimi questo per favore.”
“Ma… Insomma!”
Gwendoline mollò senza tanto preamboli il cappello rosa antico in mano al nipote, che sgranò gli occhi e fece per ribadire che doveva andare al Ministero e che non ricopriva il ruolo di Elfo o di valletto, ma sua nonna non fece caso a lui e andò dritta verso lo studio del figlio senza premurarsi di farsi annunciare.
 
“Ieri ho sentito la mamma dire di dover comprare un nuovo appendiabiti, non pensavo che volesse fare economia e usare te.”
Egan, che si era goduto la scena dal piano superiore, scese allegramente le scale con una risatina, vestito di tutto punto per andare a sistemare il suo locale prima dell’apertura e incurante dell’occhiata torva che il maggiore gli rivolse:
“Non è divertente. Dove diavolo vanno questi cappellini?!”
“Ti sembro una signora, per caso? Non ne ho idea, sinceramente… Forse in quella stanza dove la mamma entra senza uscire per ore… da piccolo pensavo fosse un Armadio Svanitore…”
Egan aggrottò la fronte e accennò alla porta accanto all’ingresso, facendo sospirare stancamente il fratello maggiore:
 
Quello è il guardaroba per gli ospiti, idiota.”
 
*
 
“Girano voci su Caroline e Riocard, ma immagino che tu già lo sappia.”
“Perciò cosa sei venuta a dirmi, mamma? Le tue visite sono sempre molto gradite, ma sto lavorando.”
Edward aggrottò la fronte mentre osservava la donna seduta di fronte alla sua scrivania, le mani giunte con le dita intrecciate e appoggiate sui documenti che avrebbe dovuto leggere.
 
Gwendoline non si scompose, limitandosi a stringere le spalle:
“Voglio molto bene a Riocard, come ben sai, e Caroline è una ragazza adorabile… mi chiedo da 26 anni come sia possibile visto il carattere di suo padre, ma a parte il suo corredo genetico discutibile è davvero una ragazza deliziosa, oltre ad essere molto carina. Perciò, in linea teorica, non avrei niente contro questa unione.”
“Ovviamente c’è un “ma”, se sei venuta qui oggi. Che cosa ti disturba, mamma?”
“Non mi importa molto della casa, Ed. La casa nel Derbyshire che George comprò per me dopo le nozze, per farmi sentire un po’ più vicina alla mia famiglia… di quella mi importa molto, George lo sapeva e per questo me l’ha lasciata. Nella casa a Londra ho passato buona parte dei miei anni con tuo padre, e soprattutto ci ho cresciuto te, per molto tempo, ma non mi dispiacerebbe disfarmene.”
“Per quale motivo?”
 
“Mi ricorda troppo tuo padre, è doloroso vivere lì da sola, senza di lui. Se Riocard dovesse sposare Caroline e averla non avrei nulla in contrario. Ma non posso fare a meno di chiedermi perché Robert abbia preso una decisione simile… vendere sua figlia alla famiglia che più detesta. Per una casa che comunque non gli sarebbe mai appartenuta. Sembra disposto a fare molto, per quella casa.”
“Avrà le sue buone ragioni, mamma, come tutti noi nelle scelte che facciamo.”
“Già. Ma non posso fare a meno di chiedermi quali siano, queste ragioni, se vi spingono a cedere una Cavendish ai Saint-Clair, e insieme a lei la casa dove TU sei cresciuto. Preferisci vedere casa nostra in mano a Riocard Saint-Clair piuttosto che perdere ciò che contiene… buffo, un anno fa avrei pensato il contrario.”
Un sorriso dolce increspò le labbra dell’anziana donna, ma Edward non si scompose e ricambiò il suo guardo, inarcando un sopracciglio:
“Beh, qui si parla di Rob, non di me.”
“Già, certo… Sono solo riflessioni di una donna anziana che oramai nella vita non ha più molto da fare, abbi pazienza con tua madre. Buona giornata caro, ti lascio alle tue questioni.”
Gwendoline si alzò e Edward fece altrettanto, prendendole la mano per depositarci un lieve bacio sul dorso prima di guardarla uscire dalla stanza. L’uomo tornò a sedersi pochi istanti dopo un con sospiro amareggiato, certo che sua madre, che con la storia dell’anziana donna ingenua non la dava a bere a nessuno, avesse intuito tutto. O che quantomeno ci fosse vicina.
 
*
 
“Volevo venire a salutarti stamani, ma ho avuto dei contrattempi prima di andare al lavoro… Come stai?”
“Bene, a parte che tutti parlano del mio matrimonio o non matrimonio senza neanche degnarsi di parlare a bassa voce in mia presenza… Da questo punto di vista preferisco la Londra Babbana, almeno lì nessuno mi conosce.”
Caroline sbuffò piano mentre, camminando accanto a Neit, coglieva le numerose occhiate e i mormorii che i passanti per Diagon Alley le rivolgevano.
“A casa tua come va?”
“Oserei dire peggio del solito. Mia madre è a dir poco furiosa con mio padre per questa storia, sai… Ma alla fine lui farà quello che vuole, come sempre, e io non ho molta voce in capitolo, essendo una ragazza.”
Caroline si rabbuiò e Neit si fermò, abbozzando un sorriso mentre le prendeva delicatamente il mento con due dita, sollevandolo per far sì che la strega lo guardasse:
 
“Per stasera cercheremo di non fartici pensare, ok? E ho in mente un posto dove nessuno ci degnerà di molta attenzione…”
“E dove?”
Caroline guardò il cugino con una nota di stupore nella voce, ma Neit non rispose e si limitò a prenderla per un braccio, conducendola verso una meta a lui ormai piuttosto nota.
 
*
 
“Per la barba di Merlino, stasera ho una clientela d’eccezione, mi sento a dir poco lusingato. Ciao Neit, è da un po’ che non ti si vede qui.”
“Ho avuto da fare. Per me il solito ovviamente.”
Neit si sistemò sulla sedia, sfilandosi il mantello per appoggiarlo sullo schienale della sedia, tirando leggermente le maniche blu della giacca della divisa da Indicibile che ancora indossava. Il fratello, che li aveva raggiunto non appena visti entrare, si rivolse invece a Caroline con un sorriso, prendendole la mano pallida per baciarla:
 
“Ovviamente quando ho parlato di clientela d’eccezione mi riferivo a te, Caroline. È un vero onore averti qui stasera… Che cosa ti porto? Offre la casa ovviamente.”
“Ah, bravo, a me fai sempre pagare.”
“Dicasi essere un gentiluomo, Neit.”  Egan liquidò il discorso con un gesto della mano, parlando senza distogliere lo sguardo dalla cugina, che sorrise:
“Beh, non sono granché esperta, quindi credo che prenderò quello che prende Neit.”
 
“Carol, non so se è il caso… È una bevanda un po’ forte.”
Caroline guardò Neit e inarcò un sopracciglio, asserendo che poteva bere tranquillamente qualsiasi cosa bevesse lui, anche se era una signorina, prima di voltarsi verso Egan e ribadire che prendeva lo stesso del cugino.
“Beh, chi sono io per contraddire una delle fanciulle più graziose che abbia mai messo piede qui? Ve li porto subito.”
 
 
“Fa sempre così, vero?”
Caroline ridacchiò e Neit alzò gli occhi al cielo mentre appoggiava un gomito sul tavolo, reggendosi il capo con la mano:
 
“Sai com’è fatto, gli piace fare il seduttore…”
“Beh, in effetti da che ricordi le ragazze non gli sono mai mancate. Ovviamente è un bellissimo ragazzo, ma anche il modo di fare fa la sua parte.”
“Sì, Egan ha molto charme… Qualcosa che a me manca totalmente.”
 
Il tono quasi cupo on cui Neit parlò fece sorridere dolcemente la ragazza, che allungò una mano per prendere la sua sul tavolo rotondo:
“Siete molto diversi, Neit, e per questo avete fascini diversi… Ma non vuol dire che tu non ne abbia o che tu non piaccia alle ragazze. Quello di Egan è più dirompente, proprio come lo è lui, il tuo è un fascino più mite, forse che passa più inosservato, ma se ti si guarda bene non si può fare a meno di notarlo. E lo dico perché quando passeggiamo insieme o andiamo da qualche parte attiri un mucchio di sguardi femminili, sai? Ovviamente non si può piacere a tutti, ma sono certa che ci sono molte ragazze che preferirebbero te ad Egan, anche se tu probabilmente non la pensi così.”
“Potrei dire lo stesso di te.”
 
Caroline sorrise alle parole del cugino, e stava per chiedergli – imbarazzata – di non guardarla così intensamente quando la voce allegra di Egan riscosse entrambi, riportandoli alla realtà:
“Ecco qui, per il mio fratellone e la mia cugina preferita… due Whiskey Incendiari alla Neit.”
“Grazie Egan. Sicura di volerlo bere?”
Neit guardò Caroline inarcando un sopracciglio mentre Egan metteva i bicchieri pieni fino a metà di liquido ambrato sul tavolo, e la bionda ricambiò con una punta di perplessità:
“Beh, è Whiskey Incendiario, no? È forte, certo, ma ho già avuto occasione di berlo.”
 
“Sì, beh, diciamo che non è un semplice whiskey… Neit ci aggiungeva sempre del peperoncino, e così l’ho inserito nel menù in suo onore. Ammetto che pochi lo ordinano, ma per il mio fratellone non posso non servirlo. Buona serata ragazzi.”
Egan sorrise e si dileguò per andare a servire dietro al bancone mentre Neit prendeva il suo bicchiere, guardando la cugina con un piccolo sorriso:
 
“Sicura di volerlo provare, Carol?”
Non amando particolarmente il peperoncino Caroline non ne era poi così sicura, ma di fronte all’occhiata quasi di sfida che il cugino le rivolse decise che non si sarebbe tirata indietro nemmeno per un veliero pieno di Galeoni.
“Sicurissima. Alla tua, Neit.”
Caroline prese il bicchiere, lo sollevò per farlo tintinnare contro quello del cugino e poi bevve un sorso di whiskey sotto lo sguardo divertito – ma anche sorpreso – di Neit, che rise e porse un fazzoletto alla cugina quando Caroline tossicchiò, leggermente rossa in volto, e asserì che solo un pazzo poteva bere quella roba.
 
*
 
“Volevate vedermi?”
“Sì Riocard. So che hai già chi ti consiglia, e sai quanto voglia bene a tuo zio Theseus… Non so cosa ti abbia detto lui, ma io voglio comunque darti il mio parere personale.”
“Vi ascolto zia. Siete una delle persone più argute che conosca e il vostro parere conta molto per me.” Riocard, seduto su un divanetto foderato, guardò Gwendoline versare del latte nella tazza d thè nero prima di porgergliela e sedersi di fronte a lui sulla poltrona, seria in volto:
 
“Mio figlio e Robert vorrebbero che tu sposi Caroline. In un’altra situazione una simile unione potrebbe solo rendermi felice, sai quanta stima io abbia di te… Ma io ti consiglio di non farlo, Riocard.”
“Perché zia?”
“Perché se Robert e mio figlio sono disposti a fare in modo che la casa di famiglia finisca nelle mani dei Saint-Clair ci deve essere qualcosa sotto per forza. Non so cosa, Riocard… Ma qui si tratta di fare delle scelte. E non voglio che tu corra il rischio di finire come tuo padre.”
Il ragazzo s’irrigidì, tenendo la tazza in mano senza bere un solo sorso di thè, e guardò la donna con crescente attenzione:
“Che cosa intendete?”
“E’ solo una mia supposizione, naturalmente, e non vorrei insinuare nulla… Ma non sono riuscita a proteggere tuo padre, Riocard, anche se avevo promesso a mio fratello che l’avrei fatto, e non voglio ripetere questo errore con te. Se mio figlio e Robert sono disposti a prendere una decisione simile ci dev’essere qualcosa sotto, sono sicura che ne converrai. Se la casa non andrà a te resterà in mano mia, e poi ad Edward ovviamente in quanto mio unico figlio… ma tutto ciò che contiene finirebbe all’asta. E mio figlio sembra preferire che finisca in mano tua piuttosto che perdere definitivamente ciò che contiene.”
 
“Io ho pensato che sia una mossa per mantenere un quantomeno parziale controllo sulla casa, visto che ci vivrebbe anche Caroline… no?”
“Sì, naturalmente è plausibile, e mio figlio e Robert non faranno che ripeterlo all’infinito. Ma io li conosco molto bene, Riocard, e so che Edward venderebbe tutto piuttosto che darla a te. Se decide di non farlo, allora, evidentemente, c’è qualcosa che non può permettersi di perdere. Proprio qui, in questa casa.”
 
“Qualcosa legato a mio padre?”
“Sì, forse… quel che è certo è che dobbiamo scoprirlo. Se ho ragione Edward farà di tutto pur di non perdere tutto ciò che questa casa contiene. Quello che temo, Riocard, è che la casa finisca in mano tua e che possa succederti qualcosa.”
“Quindi sta insinuando che potrebbero aver ucciso loro mio padre?”
“Non lo posso escludere, anche considerando il loro recente comportamento. George mi ha chiesto di scoprirlo, Riocard, e io intendo farlo. Mi darai una mano?”
“Non chiedo di meglio, zia.”
 
“Sai tesoro, tutti pensano che la scelta di George di lasciare la casa a te sia stata dettata dall’affetto nei tuoi confronti, ma io conoscevo mio marito meglio di chiunque, e so che non è stato questo il motivo.”
 
“Teneva a te, naturalmente, ma sono certa che la postilla sul matrimonio sia stata inserita per un semplice motivo: aiutarmi a capire se sia stato effettivamente un Cavendish ad uccidere Rod. George non lasciava niente al caso.”
 
*
 
“Vieni Winter.”
Clio sorrise al lupo che la seguiva trotterellando sul marciapiede, diretti a casa della nonna della ragazza: non riuscendo a scrivere granché aveva deciso di prendere un po’ d’aria e cogliere l’occasione per andare a salutare Gwendoline, che dava sempre un caloroso benvenuto a qualsiasi parente bussasse alla sua porta. Senza contare che Gwendoline – l’unica insieme ai fratelli a conoscere il suo segreto – le ripeteva sempre che la biblioteca fosse sempre a sua disposizione, se aveva bisogno di tranquillità a silenzio per scrivere, senza che nessuno al disturbasse.
 
Era inusuale vedere case così grandi vicino al centro di Londra, e Clio aveva sempre adorato andare lì da quando era piccola, quando entrava di soppiatto nelle cucine per sgraffignare dei dolcetti insieme ad Egan o nello studio del nonno, sedendosi sulle sue ginocchia e implorandolo di non lavorare per giocare con lei.
 
Era quasi arrivata davanti al portico della grande casa dei nonni, bianca con terrazzi in pietra e marmo, un cancello di ferro battuto nero che portava ad un breve vialetto di ghiaia e alle scale ingrigite con cui si arrivava alla porta d’ingresso a doppia anta intagliata a mano, quando scorse qualcosa d’insolito: un cavallo nero dal manto liscissimo, sellato di tutto punto, era “parcheggiato” accanto al marciapiede mentre un valletto gli teneva le redini per impedire che potesse allontanarsi.
Nonostante non montasse più da anni Clio nutriva comunque una forte ammirazione per gli equini, e spinta dalla curiosità -chiedendosi a chi appartenesse quel magnifico animale – si fermò per abbozzare un sorriso e sollevare una mano, sfiorandogli il naso.
 
“Ciao… Come sei bello.”
Le redini erano di vero cuoio, e sia la sella che la sottocoperta avevano inserti dorati. Clio osservò brevemente il collo, la lunga criniera lucida e pettinata e il garrese perfettamente proporzionato in rapporto alle zampe lunghe e leggermente muscolose dell’animale, giungendo alla conclusione di avere di fronte un cavallo di razza pura, da corsa, e sicuramente molto costoso.
A giudicare, poi, dalla sella e il resto, di sicuro l’animale apparteneva a qualcuno di molto facoltoso.
Quando Clio notò un piccolo – ma molto significativo – dettaglio, era troppo tardi: la porta d’ingresso si aprì proprio mentre la strega notava l’inserto a forma di rosa esattamente al centro della sella, e un istante dopo la voce di Riocard giunse alle sue spalle:
 
“Salve.”
Clio si voltò di scatto e, imbarazzata, fece un passo indietro e abbozzò un sorriso al ragazzo, ricambiando il saluto:
“Sono venuta a salutare mia nonna, non credevo avesse già visite.”
“Io e Gwendoline abbiamo finito, io devo tornare al Ministero… Non pensavo le piacessero ancora i cavalli.”
“Come?”
 
Clio aggrottò la fronte mentre guardava Riocard scendere i gradini e attraversare il vialetto, ricambiando il suo sguardo e parlando con tono ovvio:
 
“Beh, non monta da molto, no? Non pensavo le piacessero ancora.”
“Sono animali meravigliosi.”
 
Per la prima volta Riocard annuì, e un sorriso sincero si fece largo sul suo volto mentre, infilandosi i guanti, osservava la giumenta con affetto:
“Sì, è vero. È una femmina, comunque.”
Il ragazzo sollevò una mano per accarezzare il collo della cavalla, che sembrò gradire e lo guardò con i grandi occhi castani mentre Clio la osservava a sua volta, curiosa:
“Come si chiama?”
 
Riocard, preso il frustino dalle mani del valletto, mise il piede sinistro nella staffa e montò in sella con un movimento fluido e naturale, sfiorando il collo della cavalla con la mano prima di parlare:
“Andromeda. Buona giornata, Signorina Cavendish.”
 
Clio avrebbe voluto ricambiare il saluto, ma Riocard fece partire Andromeda al trotto con un lieve colpo di talloni prima di darle il tempo di farlo, e alla strega non restò che guardarlo allontanarsi chiedendosi come facesse a sapere e a ricordare che non montava più a cavallo da quando era una ragazzina.
 
“Clio? Vieni, tesoro.”
Gwendoline, che doveva averla vista parlare con Riocard dalla finestra, era apparsa sulla soglia di casa, e fece cenno alla nipote di seguirla mentre Clio si voltava verso di lei, sobbalzando:
 
“Sì, arrivo nonna. Cosa ci faceva qui Riocard?”
“Volevo parlargli di una cosa… ma per favore, non dire a tuo padre che l’hai visto qui. Meglio evitare altre diatribe inutili, per ora.”
 
Clio annuì, ma mentre saliva i gradini che portavano alla porta d’ingresso insieme a Winter si voltò un’ultima volta verso il ragazzo giusto in tempo per vederlo svoltare a sinistra, diretto ad uno degli ingressi del Ministero.
 
*
 
“Si può sapere perché mi tieni il muso da giorni?”
“Credo che tu lo sappia.”
 
“Io sto facendo tutto questo per il meglio per la nostra famiglia. Non capisco perché nessuno se ne renda conto. Mi basta già tua madre a tenermi il muso, non ti ci mettere anche tu, Ezra.”
Robert, seduto alla sua scrivania, riprese a scrivere con la penna d’oca senza guardare il figlio, che esitò prima di parlare e dar voce a dei pensieri che lo perseguitavano da giorni:
 
“Che cos’è che la mamma sa?”
“Come?”
Robert alzò il capo di scatto, e nella fretta urtò il calamaio, finendo col versare una buona dose d’inchiostro su scrivania, lettere e documenti. L’uomo però non sembrò badarci, ricambiando lo sguardo del figlio mentre Ezra parlava senza scomporsi, serio in volto:
 
“Vi ho sentiti, l’altra sera. Quando avete discusso. La mamma era furiosa, e ha detto che avrebbe rivelato qualcosa sul tuo conto che di sicuro avrebbe fatto sì che Riocard non sposi Caroline. Di che si tratta?”
“Non ti riguarda.”
 
“Sì che mi riguarda, sono tuo figlio, e in famiglie come la nostra qualcosa che può mettere in cattiva luce uno di noi può metterci TUTTI in cattiva luce. Voglio saperlo.”
 “Ti ho detto che non ti riguarda, Ezra. Ti basti sapere che tua madre non dirà nulla proprio per non rischiare di danneggiare te e Caroline. La conosco, le sue sono minacce infondate. E ora lasciami solo.”
 
Di controvoglia Ezra si ritrovò ad obbedire, uscendo dall’ufficio sbuffando e sbattendosi la porta alle spalle.
Dire che Ezra detestasse suo padre era scorretto, anzi, da bambino provava per lui una sorta di ammirazione e un forte desiderio di essere accettato e di compiacerlo. Crescendo – e rendendosi conto di come si comportava con sua madre – quei sentimenti erano mutati, e ora che le scelte di suo padre minacciavano anche la felicità di sua sorella, Ezra era deciso ad impedirglielo: nessuno meglio di lui sapeva a cosa portasse un matrimonio infelice, e l’ultima cosa che voleva era vedere Caroline finire come sua madre.
 
*
 
“Cavendish? C’è bisogno di te.”
“Sì… arrivo.”
 
Neit parlò senza voltarsi, le mani sulla ringhiera di pietra che circondava la grande fontana che aveva davanti a sé. Il mago stava osservando il liquido dalla luminosità perlacea e che cambiava sfumature di colore in base al riflesso della luce che sgorgava dall’immensa e antica fontana posta al centro della stanza circolare in cui si trovava, mentre spirali di fumo si levavano nell’aria.
Un’infinità di maghi – e lui compreso, prima di diventare Indicibile – si chiedeva che cosa celasse la Stanza dell’Amore, tra tutte la più segreta dell’Ufficio Misteri. Lui stesso, quando aveva messo piede lì la prima volta qualche anno prima, era rimasto meravigliato di fronte all’enorme fontana che sgorgava Amortentia, illuminata da un grande lucernario che, grazie ad un incantesimo, dava l’illusione di trovarsi all’ultimo piano e di poter scorgere un cielo sereno, invece che l’oscurità tipica del nono livello.
 
Neit aveva avuto un primo approccio con l’Amortentia molti anni prima, quando era solo un bambino. Curioso, aveva annusato quella pozione luccicante ed insolita, stupendosi però nel non sentir alcun odore particolare.
Quella consapevolezza lo aveva perseguitato per anni, spingendolo a maturare una forte curiosità verso il sentimento di cui tutti parlavano ma che lui, sulla sua pelle, non aveva mai avuto il privilegio di provare. A volte si perdeva nel guardare i suoi genitori scambiarsi sorrisi, le loro mani che si sfioravano, e si rendeva conto di invidiare suo padre come non aveva mai invidiato nessuno.
 
Una volta aveva persino pensato di provare a bere un po’ di quel famoso filtro d’amore per cercare di capire che cosa si provasse, ma sentendo la sua idea Clio aveva riso, gli aveva preso una mano e gli aveva detto che non sarebbe servito a nulla, visto che persino il filtro d’amore più potente del mondo non sarebbe stato in grado di replicare un sentimento così puro.
“Crea assuefazione, Neit, una forte attrazione… ma non amore vero. Non può essere creato artificialmente. Ricordi? Ce l’hanno detto anche ad Hogwarts, a Pozioni.”
 
Neit ricordava, sì, e ricordava anche di aver preparato un’Amortentia perfetta al settimo anno, e anche ai M.A.G.O., un’Amortentia che gli era valsa una E più i complimenti di insegnante ed esaminatore… ma un filtro d’amore che, quando aveva provato ad annusare, a lui non aveva rivelato alcun aroma particolare.
Neit sapeva perfettamente come preparare un filtro d’amore perfetto, così come sapeva che se invecchiato era più efficace… eppure non era mai stato in grado di sentire nulla, nemmeno da qualcosa preparato dalle sue stesse mani, mentre chi l’annusava non faceva che snocciolare tutto ciò che sentiva.
 
Era passato diverso tempo dall’ultima volta in cui l’aveva fatto e Neit, dopo essersi guardato brevemente intorno per assicurarsi che nessuno facesse caso a lui, si sporse leggermente in avanti sulla ringhiera per verificare se sentiva o no qualcosa.
 
“Cavendish, vieni.”
“Arrivo subito.”
Neit si rimise dritto e si affrettò a girare sui tacchi, allontanandosi da qualcosa che lo attanagliava da tutta la vita e che nel suo posto di lavoro aveva di fronte ogni singolo giorno.
Non era riuscito ad avvicinarsi abbastanza da poter affermare di sentire qualcosa o meno… gli era arrivato, semplicemente, un vago profumo di petali di rosa che gli capitava di sentire spesso, negli ultimi tempi, quando si avvicinava leggermente alla pozione: conscio del fatto che proprio quei petali facevano parte della composizione dell’Amortentia si era consultato con un Pozionista esperto che gli aveva detto che, stando spesso a contatto con il filtro, era possibile che il suo naso si fosse ormai abituato, tanto da poter percepire lievemente il profumo di un ingrediente.
 
Mentre si allontanava, lo sguardo del ragazzo cadde sulla grande scritta incisa in stampatello proprio sopra l’ingresso della stanza, facendolo sorridere con amarezza:
 
AMOR EST VITAE ESSENTIA
 
Neit la vedeva ogni giorno, conscio del fatto che se quelle parole fossero state vere, lui avrebbe vissuto da 26 anni una vita non degna di essere vissuta.
 
*
 
 
“Starà bene, vero?”
“Ma certo, anche se sconsiglio di fargli ripetere l’esperienza.”
 
Thomas sorrise e si alzò dopo aver visitato Winter, che si era steso su una cuccia di considerevoli dimensioni dopo che la padrona lo aveva portato per un controllo. Clio sospirò e annuì, lanciando un’occhiata torva all’animale:
 
“Certo che no. Ero a casa di mia nonna e questo irresponsabile si è sbafato un vassoio intero di dolcetti al cioccolato!”
“Tranquilla, non è un cane, se la caverà, ha uno stomaco molto resistente. Mi chiedo sempre dove lo hai trovato, comunque, un simile animale.”
“Io e i miei fratelli abbiamo trovato Winter e le sue sorelle quando erano cuccioli, li abbiamo portati a casa e cresciuti noi. Di certo non sapevamo che sarebbero diventati così ingombranti, pensavamo fossero lupi normali.”
“Beh, decisamente non lo sono, hai detto che possono come Smaterializzarsi, no? Ma è sempre un piacere quando mi porti Winter, non avevo mai avuto a che fare con queste creature prima!”
 
Thomas sorrise con sincero entusiasmo e Winter si lasciò persino dare una carezza sulla testa mentre Clio ricambiava il sorriso del ragazzo, asserendo che non avrebbe mai potuto portare il suo adorato animale da nessun’altro:
“Ricordo ancora quando ad Hogwarts facevamo Cura delle Creature Magiche… nessuno ci sapeva fare quanto te con le creature. Era chiaro che saresti diventato bravo.”
“Grazie, lo apprezzo molto.”
 
“Beh, lo dicono anche i miei fratelli, e di controvoglia anche Ezra… e credimi, se lo dicono loro dev’essere vero per forza.”
Clio sorrise all’ex compagno di scuola e fece cenno a Winter di seguirla prima di tirare fuori un sacchetto dove teneva i galeoni, ma Thomas scosse la testa e sollevò una mano per farle cenno di lasciar perdere:
“Ma Thomas, hai perso tempo, ti devo pagare!”
“Non è necessario, più che come una vera visita vedila come… un favore per una vecchia amica.”
Clio esitò, ma alla fine si lasciò convincere e ripose il denaro nella tasca interna del mantello, rivolgendo al ragazzo un sorriso radioso:
“Grazie Thomas… Dovrebbero esserci più uomini come te, in giro. Mio padre dice sempre le peggiori cose del tuo, ma visto come sei e visto che ti ha cresciuto lui dubito che possa essere tanto male.”
“Posso dire la stessa cosa per te. Buona serata Clio.”
 
Thomas le aprì la porta con la sua solita galanteria e la strega asserì che chiunque sarebbe finista al suo fianco sarebbe stata una delle donne più fortunate di Londra.
Il mago accolse quel complimento con un sorriso – certo che Clio fosse sincera e che lo pensasse veramente – senza dire nulla, ma si domandò se fosse di quell’avviso anche un’altra sua ex compagna di Casa.
 
*
 
Elizabeth-Rose, seduta davanti al pianoforte che i genitori le avevano regalato quando si era diplomata ad Hogwarts, stava strimpellando una sonata di Mozart mentre Cassiopea, lamentandosi a voce alta della noia, sfogliava un libro stravaccata poco elegantemente sul divano e Colleen, tenendo Lady Ophelia tra le braccia, lanciava occhiate preoccupate in direzione di Phobos: Deimos si stava facendo coccolare da Clara, mentre la volpe nera, accucciata sotto allo sgabello dove sedeva Elizabeth, non toglieva gli occhi di dosso dalla coniglietta.
 
“Lizzy, sei sicura che Phobos non voglia mangiarsi Lady Ophelia, vero?”
“Addomesticato o no resta pur sempre una volpe… meglio portarlo fuori.”
Lizzy smise bruscamente di suonare, si alzò, prese in braccio Phobos e lo portò verso una delle due grandi porta-finestre del salottino, lasciando la volpe sulla ghiaia – e ignorando i suoi lamenti – prima di richiuderla e tornare al suo pianoforte stiracchiandosi pigramente.
Colleen, sollevata, mise Lady Ophelia nella sua gabbietta prima di alzarsi e avvicinarsi quasi timidamente al trespolo dal quale Jeremy, il magnifico Occamy di casa Saint-Clair, le studiava pigramente una ad una.
“Qualcuno mi spiega chi ha deciso che noi povere fanciulle dobbiamo dedicarci a scemenze come la musica, il disegno, lo studio, il ricamo e nient’altro? Io ODIO ricamare, è così inutile!”
 
Cassiopea sbuffò amaramente, e Clara asserì che per una volta era d’accordo con lei mentre Elizabeth, sedendo nuovamente sullo sgabellino posto davanti al pianoforte, inarcava un sopracciglio in un modo che ricordava molto l’espressione che la madre sfoggiava quando la rimproverava con sufficienza:
“Che domande sono, è ciò che ci si aspetta da una signorina di buona famiglia prima che trovi marito… Dite che i nostri genitori si vergognano del fatto che nessuna di noi sia ancora sposata?”
“Non penso, anche se un po’ mi fa strano pensarci… Insomma, ve lo immaginate Riocard sposato? O peggio, vi immaginate una di NOI sposata?”
Cassiopea sgranò gli occhi, quasi terrorizzata all’idea, e Clara alzò gli occhi scuri al cielo mentre Colleen, impegnata a sfiorare il collo ricoperto da magnifiche piume blu di Jeremy, fece spallucce:
“Io mi sento troppo giovane, non ci penso nemmeno.” 
“Ma tu sei la più piccola, io e Lizzy siamo le più grandi, quindi sarà a noi che penseranno, fidatevi.”
“Non penso che sia detto… se ci pensate, sia Caroline che Clio Cavendish non sono sposate, e sono entrambe più grandi di noi di alcuni anni.”
 
Clara, comodamente seduta sul divano con le braccia strette al petto, si strinse nelle spalle mentre Elizabeth si alzava con un sorriso, avvicinandosi a Cassiopea e tendendo le mani verso la cugina, che si lasciò aiutare ad alzarsi:
“Beh, io mi chiamo Elizabeth e vivo nel Derbyshire, direi che sono evidenti segni che finirò sposata con un Mr Darcy, come in Pride & Predice.”
Cassiopea rise quando la cugina le fece fare una giravolta, abbracciandola quasi come se dovessero ballare un valzer mentre Clara abbozzava un sorriso:
 
“Ah davvero? Ma Elizabeth Bennet viveva nel Devon, non del Derbyshire.”
“Certo, MA la casa di Mr Darcy, Pemberley, si trova proprio qui nel Derbyshire. Quindi io avrò un Mr Darcy, è evidente.”
“D’accordo… e noi con chi finiremo, allora?”
 
“Beh, Colleen è un amore come la sorella della protagonista, Jane, quindi può avere Mr Bingley.”
“E com’è questo Mr Bingley?”   Colleen si voltò verso la cugina, e la guardò con curiosità mentre sfiorava il collo di Jeremy con le dita pallide ed Elizabeth faceva fare un’altra giravolta a Cassiopea:
È bello, ricco e di buon cuore.”
“E io con chi finirò, Lizzy?”
Cassiopea si fermò, inclinò leggermente la testa e sorrise alla cugina mentre si metteva una mano sul fianco, guardando Elizabeth esitare prima di sfoggiare un sorrisetto:
“Beh… tu saresti Charlotte, la migliore amica della protagonista… Quindi finirai con Mr Collins.”
Clara scoppiò fragorosamente a ridere e Cassiopea aggrottò la fronte, guardando Elizabeth trattenere le risate a sua volta:
“E chi sarebbe?”
“Un prete brutto, basso, noioso e antipatico!”
 
Questa volta anche Colleen rise, ed Elizabeth non riuscì più a trattenersi mentre Cassiopea spalancava occhi e bocca scandalizzata, asserendo che fossero tutte e tre delle brutte fattucchiere.
 
 
 
“Beh, mi fa piacere che le ragazze si divertano, quantomeno.”
Amethyst sfoggiò un debole sorriso e Astrid annuì piano mentre si portava la tazza di thè alle labbra, mormorando che era meglio che lo facessero, finchè potevano.
 
“Tu che cosa ne pensi, Astrid? A proposito di Riocard.”
“Penso che non sia una buona idea, specie considerando chi è figlia quella ragazza… So che non dobbiamo far ricadere sui figli le colpe dei loro padri, ma non vorrei che Robert Cavendish arrivi a condizionare la vita di Riocard. Non mi è mai piaciuto.”
“Neanche a me, in effetti. I primi ricordi che ho di lui risalgono ad Hogwarts, lui era un paio di anni più avanti di me e Rod… diciamo che non era molto gentile con me, e Rod si infuriava sempre. Ambrose un po' me lo ricorda, a volte, quando fa lo stesso con le sue sorelle.”
Amethyst sorrise e Astrid guardò la cognata con sincera curiosità mentre appoggiava tazza e piattino sul lungo tavolo di legno della sala da pranzo dove si erano accomodate:
 
“Io sono figlia unica, e ammetto di aver sempre un po’ invidiato il rapporto tra te, Theseus e Rodulphus. Siete sempre stati così legati? Anche da piccoli?”
“Sì, da sempre. Theseus adorava Rod, era la sua ombra quando erano piccoli… ma anche io ero molto legata ad entrambi, eravamo inseparabili. Entrambi vollero approvare John quando mi fidanzai con lui, in effetti… e anche se, essendo rimasti orfani, era Rod ad avere la mia tutela, non si è mai comportato da tiranno o non mi ha mai obbligato a fare nulla.”
“Io avevo solo Alexis, visto che anche lei è figlia unica… beh, non serve che ti dica che da bambine non andavamo d’accordo affatto, anche se abbiamo praticamente la stessa età.”
 
Astrid roteò gli occhi e Amethyst sorrise, quasi divertita:
 
“Sì, posso immaginarlo. Beh, siete molto diverse, credo sia normale.”
“Senza alcun dubbio… diciamo che Alexis ha sempre avuto l’indole da First Lady, perciò faceva di tutto per primeggiare, ha sempre visto ogni cosa come una competizione tra di noi. Forse però erano i nostri genitori a sbagliare mettendoci a confronto, dopotutto…”
“Immagino capiti spesso con fratelli o cugini dello stesso sesso con età vicine… Io e John abbiamo sempre cercato di non farlo con le ragazze. Del resto, sarebbe difficile paragonarle, visto quanto poco si somigliano… e per questo voglio bene a tutte in egual misura, solo in modi diversi.”
“Elizabeth probabilmente non lo pensa, ma anche io voglio ugualmente bene a lei e a Thomas… Mi rendo conto di essere più dura con lei, ma è solo per prepararla al meglio ad un mondo che spesso ci tratta come pezze e dove se una donna non si sa vestire o comportare come si deve viene a stento considerata. Quando ero incinta di lei quasi speravo che non fosse femmina, sai? E quando è nata ho sperato che almeno diventasse bella. Per fortuna è stato così. Una donna ha molto più valore, se è di bell’aspetto. Mia madre lo diceva sempre, a me e ad Alexis.”
 
*
 
 
“Che cosa ti ha detto mia zia oggi?”
“Di non sposare Caroline Cavendish.”
“Per quale motivo?”
“Pensa che se lo facessi mi metterei in pericolo da solo, e conoscendo quella gente non posso darle tutti i torti. Se lei stessa parla così della sua famiglia non vedo perché non dovremmo ascoltarla, zio.”
 
Theseus si scansò appena in tempo per evitare che la punta del fioretto del nipote gli toccasse il petto, spostandosi una ciocca di capelli rossi dal viso con la mano sinistra mentre quella destra, guantata, reggeva l’impugnatura della lama:
“Tua zia è una donna molto sveglia, Riocard… Ma questa volta non mi sento di darle totalmente ragione. L’ultima cosa che voglio è che ti accada qualcosa, ma sposare Caroline e avere quella casa ci permetterebbe di mettere le mani sugli averi di quella famiglia, Riocard. Non ti darebbe soddisfazione, con tutto quello che hanno fatto?”
 
“Il matrimonio è un contratto, Riocard. Per le famiglie come la nostra si tratta di scelte politiche fin dall’alba dei tempi… È un’alleanza, e bisogna valutare quale alleanza possa darti i maggiori benefici.”
“E in questo caso quali sarebbero?”
Riocard fece un paio di passi indietro e parò il colpo dello zio, che si fermò e lo guardò con un sorriso e uno sguardo che il ragazzo conosceva bene, gli occhi azzurrissimi tipici della loro famiglia animati da un particolare luccichio: li aveva visto molte volte sul volto di suo padre.
“Prendere quello che hanno, toglierglielo, distruggerlo. Come loro hanno distrutto mio fratello.”
 
Riocard era sempre stato molto affezionato al suo padrino, anche a causa del forte legame che Theseus aveva con suo padre. Rodulphus era sempre stato animato da un particolare senso di protezione verso il fratello minore, e Theseus lo aveva ricambiato con una lealtà e un’ammirazione incondizionata.
Dopo la morte del primogenito, le cose si erano invertite: ora era Theseus a sentirsi in dovere di proteggere suo nipote, e Riocard provava per lui la stessa ammirazione che lo zio aveva sempre provato per suo padre.
Ma soprattutto, Riocard ne era sicuro, Theseus era l’unico che potesse capirlo veramente, l’unico a provare esattamente quello che provava lui.
 
“Ci penserai, Ric?”
“Sì zio, so che è una decisione importante. Ci penserò.”
 
“Bravo il mio ragazzo. Ora direi che può bastare per oggi, o tua madre e mia moglie ci sgrideranno perché tardiamo a cena. Non contraddire o contrariare una Silverstone, io e tuo padre l’abbiamo imparato a nostre spese.”
Theseus sorrise al nipote e si sfilò il guanto prima di superarlo, dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla.
 
Riocard si voltò e lo seguì brevemente con lo sguardo, immobile, senza togliersi il guanto della mano destra. Guardò suo zio allontanarsi e si domandò quanta rabbia celasse, proprio come lui, dietro il suo sorriso.
 
*
 
Thomas aveva appena messo piede nell’ingresso quando, senza nemmeno dargli il tempo di togliersi il mantello, sua sorella gli fu addosso e gli intimò di andare a cambiarsi per la cena, di mettere una cravatta adeguata e di pettinarsi i capelli.
 
“Buonasera anche a te Lizzy… Come mai ti importa tanto del mio abbigliamento per la cena, oggi?”
“Perché oggi sono venute a trovarci per il thè zia Amiee con le ragazze, e la mamma ha deciso di invitarle a restare per cena. QUINDI devi sistemarti come si deve.”
“Quando dici “ragazze” intendi tutte e quattro?”
 
Thomas deglutì e la sorella annuì mentre gli sfilava il mantello, indicando le scale e ordinandogli di andare e di muoversi:
“Una donna che si fa aspettare sta bene, ma se è un uomo a farlo fa cafone, zia Gwendoline lo dice sempre. Forza, vai a farti bello… e cerca di parlare, per una volta, Merlino solo sa perché in presenza di Colleen perdi la voce!”
Tu invece la tua non la perdi mai, vero Liz?”
“Non tergiversare e sbrigati, signorino.”
 
*
 
“Mi passeresti il sale, per favore?”
Thomas quasi sobbalzò quando Colleen – che Elizabeth-Rose aveva fatto in modo sedesse accanto a lui – gli rivolse quella domanda, e si ritrovò ad annuire e a mormorare un assenso prima di passarle la saliera.
“Grazie.”
Colleen ringraziò il cugino con un largo sorriso, e Thomas si sforzò di ricambiare prima che la giovane strega parlasse di nuovo mentre i due Elfi Domestici di famiglia facevano il giro del tavolo per servire i commensali con secondi e contorni.
 
“Volevo ringraziarti… sai, per l’altra sera. Sei stato molto gentile. Purtroppo, a volte non sono in grado di prendermi cura di me stessa come dovrei.”
“Non devi pensare che sia colpa tua, in giro ci sono un mucchio di idioti e di certo l’alcol non è mai d’aiuto. E poi non ho fatto nulla che chiunque altro non avrebbe fatto in quella situazione.”
Colleen annuì e gli rivolse un sorriso prima di chiedergli, mormorando e avvicinando leggermente la testa a quella del cugino, di non far parola alla madre del loro incontro al pub di Egan Cavendish. Thomas, per tutta risposta, le sorrise di rimando prima di lanciare un’occhiata al padre, che stava discutendo con Amethyst di qualcosa dall’altro capo del tavolo rettangolare:
 
“Non preoccuparti, se mio padre sapesse che vado lì di certo me ne direbbe quattro… è il piccolo – forse non tanto – segreto di noi cugini. L’unico che non ci mette mai piede è Ric, anche se visto quanto lui ed Egan non vanno d’accordo la cosa non può sorprendere.”
“Già.”
 
Colleen annuì e tornò a concentrarsi sull’arrosto mentre, a pochi posti di distanza, Elizabeth seguiva lo scambio di battute tra cugina e fratello con un lieve sorriso sulle labbra che non passò inosservato allo sguardo attento di Clara, che la guardò con curiosità e le domandò che cosa avesse notato.
 
“Oh, nulla di che, sono solo felice di vedere Tommy e Cherry chiacchierare… tutto qui.”
Clara inarcò un sopracciglio di fronte al sorriso allegro di Elizabeth, chiedendosi se non ci fosse qualcosa sotto mentre la cugina riprendeva a mangiare con particolare entusiasmo.
 
*
 
Caroline aprì la porta di servizio più piano che poté, e stava per sgattaiolare al piano di sopra grazie alle scale che usavano gli Elfi Domestici o i camerieri che sua madre assumeva nelle serate di gala quando una voce a lei molto nota giunse alle sue orecchie, facendola raggelare:
“CAROLINE PENELOPE CAVENDISH!”
 
La strega sospirò, ma sapendo di non avere scelta decise di voltarsi, trovando davanti a sé sua madre con la vestaglia rosa malva di seta legata in vita, le braccia conserte e i capelli legati per la notte e suo fratello minore, in piedi vicino al divano occupato dalla madre e le braccia strette al petto.
Benchè in pose diverse, madre e figlio avevano qualcosa in comune: la stavano entrambi guardando con l’aria più inquisitoria possibile.
 
“Si può sapere dove sei stata?”
“Già, dove sei stata?!”
“Quante volte ti ho detto di NON ANDARE in giro da sola di sera? Siamo a Londra, porca Priscilla e il suo dannato diadema, non in un villaggio del Devon! Ogni giorno si sentono storie raccapriccianti!”
“Esattamente! Non impari mai!”
 
Caroline aggrottò la fronte e rivolse un’occhiata perplessa al fratello, e stava per ricordargli che era lei la sorella maggiore e che era sempre stata lei a tirare fuori LUI dai guai quando sua madre, addolcendosi, si rivolse ad Ezra sfiorandogli il gomito con la mano:
“Ok tesoro, tranquillo, ci penso io… COMUNQUE sei un’irresponsabile! Anche considerando in che situazione ti trovi, dovresti evitare di dare ancor più adito alla gente di spettegolare!”
“Se le vostre signorie mi facessero parlare, forse capireste che NON ERO da sola. Sono uscita con Neit, oggi. Voleva sapere come stato. Mamma, pensi forse che Neit mi farebbe tornare a casa da sola senza accompagnarmi? Stava persino per accompagnarmi fino all’ultimo gradino temendo, non lo so, che ci fosse Jack lo Squartatore in un cespuglio.”
Sua madre impallidì e sibilò di non nominare quel pazzo – ringraziando il cielo che non ci fossero più state vittime da più di 20 anni – prima di alzare gli occhi azzurri al cielo, asserendo che lei non aveva idea del fatto che si trovasse in compagnia del cugino.
“E allora perché sei entrata dalla porta di servizio? È molto sospetto. Sicura che eri con Neit?”
“Sì Ezra, puoi chiederglielo tu stesso domani al Ministero, se lo vedi. E sono entrata da qui proprio sperando di evitare tutto questo… Ma visto che l’inquisizione è conclusa, io vado a dormire.”
 
“Aspetta, dove siete stati?”
“Dove lavora Egan.”
 
Caroline si voltò e quasi corse su per le scale, certa di come avrebbe reagito la madre, che infatti impallidì e si portò una mano sulla fronte con fare teatrale:
 
“Santa Priscilla, mia figlia in un pub… In che mondo siamo finiti.”
“Dai mamma, io ci vado sempre, è un bel posto. Puoi venirci anche tu una volta.”
Un sorriso sghembo increspò il bel volto di Ezra, che dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non scoppiare a ridere di fronte all’espressione sgomenta e sinceramente offesa che sua madre sfoggiò nel guardarlo:
IO? IN UN PUB? Sei uno screanzato, vai a dormire!”
“Non ho più dieci anni mamma…”
“Vacci lo stesso!”
 
*
 
 
“Oggi abbiamo parlato di matrimonio, sai? A come sarà strano quando uno di noi si sposerà.”
“Perché, hai qualche pretendente e non me lo dici?”
Ambrose simulò un’espressione sgomenta e Clara sbuffò con un piccolo sorriso, dandogli un colpetto sul braccio e scuotendo la testa:
“No, scemo, al momento a quelle cose non ci penso granché. No, abbiamo pensato a Ric. Inoltre… Hai mai notato una cosa? Da un paio d’anni a questa parte Tommy è un po’ strano con Cherry. Insomma, non sono mai stati particolarmente legati, anche perché hanno diversi anni di differenza, ma ho notato che con lei parla molto di rado.”
“Beh, Thomas è sempre molto educato… Per cosa pensi che sia?”
 
“Non saprei, sembra quasi che in sua presenza si trovi a disagio. Strano però. Insomma, parliamo di Cherry… esiste qualcuno al mondo più adorabile di lei?”
 
Clara si distese sul divano nel salotto ormai quasi buio, illuminato da un fuoco in procinto di spegnersi, e appoggiò la testa sulle gambe del fratello maggiore appena prima che una particolare consapevolezza si facesse strada nella sua testa. Ambrose scorse chiaramente gli occhi castani della sorella minore, ereditati dalla madre, illuminarsi e aggrottò la fronte, chiedendole che cosa stesse escogitando la sua perspicace testolina ma ottenendo come risposta solo il sorrisetto di chi la sa lunga:
 
“Penso che per ora terrò le mie supposizioni per me, fratellone. Buonanotte.”
Clara si tirò a sedere con un colpo di reni, abbracciò il fratello per dargli un bacio sulla guancia e poi si alzò senza dargli il tempo di obbiettare, intimandogli di non andare a dormire troppo tardi mentre usciva dalla stanza. Nel farlo quasi inciampò in Klaus, il Crup del fratello, e la strega imprecò a bassa voce mentre si chinava per accarezzare il cane, che guaì:
 
“Scusa piccolo, non ti ho visto… Vai a dormire anche tu, Klaus.”
Klaus
La strega si alzò con un sospiro e si diresse verso le scale, ripensando all’unica persona che avesse mai conosciuto con quel nome. Non ci pensava da qualche settimana, a lui, ma la domanda di Ambrose glielo aveva fatto tornare in mente.
Chissà come se la passava, in Germania, il suo primo grande amore.
 
*
 
“Voglio che tu faccia una cosa per me.”
“Qualsiasi cosa per te, zia.”
 
“Voglio che tu dia un occhio a Riocard, quando puoi. Non sono abbastanza in confidenza con sua madre per chiederglielo, e Theseus… sai quanto lo adori, ma credo che non sia del tutto lucido per poter prendere le decisioni migliori.”
Amethyst, in piedi accanto a Gwendoline con le braccia strette al petto, aggrottò la fronte e fece per chiedere alla donna di che cosa parlasse, ma l’anziana zia la precedette, distogliendo lo sguardo dalla finestra e voltandosi verso di lei con sguardo grave:
“Tuo fratello è arrabbiato, Amiee… E a volte il desiderio di vendetta ci fa fare scelte sbagliate. Il problema è che anche Riocard si sente così, penso che quel ragazzo covi dentro di sé così tanta rabbia che neanche possiamo immaginarla. E per quanto io gli voglia bene so che questo potrebbe condizionarlo negativamente. Dobbiamo fare in modo che non prenda decisioni sbagliate per se stesso e per la famiglia.”
“Pensi che non debba sposare Caroline, zia?”
“No. Penso che Robert e mio figlio vogliano usarlo per far sì che nulla di ciò che questa casa contiene vada perso. E non penso che sia una semplice avidità data dal valore economico di tutti i beni di George…”
 
“Papà diceva che è il denaro a muovere il mondo e le scelte di chi lo abita.”
Gwendoline si voltò verso la nipote con un sorriso carico di un affetto sincero rivolto in parte a lei e in parte a qualcuno che non era al suo fianco già da molto tempo, e annuì prima di allungare una mano e prendere quella di Amethyst con dolcezza:
“E tuo padre aveva ragione, tesoro. Ma tralasciando un dettaglio non proprio irrilevante: denaro e potere, Amiee. Ecco cosa muove il mondo.”
 
“E le tue rose? Hai idea di chi sia stato?”
“Potrebbe anche essere stato uno scherzo di cattivo gusto, se non fosse che le uniche rose che hanno bruciato sono quelle rosse… quelle bianche sono rimaste perfettamente illese. Non penso che debba spiegarti che cosa significa.”
“No, certo che no. Zia, non pensi che qualcuno della tua famiglia ti farebbe mai del male, vero?”
“Ne dubito, o almeno per ora. Quel che è certo è che qualcuno mi ha consigliato di tagliare i ponti con voi.”
 
 
 
 
 
 
*tondino: recinto circolare, coperto o meno, tipicamente dedito all'addestramento dei cavalli.  
 
 
 
 
………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Salve a tutte!
Chiedo scusa per il ritardo, purtroppo giovedì non sono riuscita a mettermi alla tastiera e ieri non ho fatto in tempo a finire il capitolo prima di sera. Avrei voluto pubblicarlo già all’ora di pranzo, ma la rete fa le bizze e non sono riuscita a connettere il PC prima di poco fa -.-
Detto questo, un enorme grazie come sempre per le recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo – chiedo scusa per non avervi risposto, ma sono stata abbastanza presa da altro – e per i feedback super positivi che date alla storia <3
Il prossimo arriverà mercoledì, come da manuale, spero sia di consolazione sapere che dovrete aspettare meno del solito per leggere il seguito XD
  • Domanda rapida della settimana per voi: come si comportano i vostri OC negli eventi sociali? (Vi scongiuro di rispondermi quanto più rapidamente possibile, se intendete farlo, perchè ho pochi giorni per scrivere il prossimo capitolo)
 
Buona serata e a presto!
Signorina Granger
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
“Tua zia è sicura di quello che fa? Non sono del tutto sicura che sia una buona idea…”
Astrid aggrottò la fronte mentre, appoggiata allo stipite della porta aperta, osservava il biglietto che le era appena stato recapitato dall’inconfondibile gufo reale di Gwendoline Cavendish, biglietto che invitava i Signori Theseus e Astrid Saint-Clair e figli al compleanno della suddetta strega.
 
“Mia zia sa sempre quello che sa e di solito ho piena fiducia nelle sue decisioni… anche se convengo con te e ammetto che questa volta sono un po’ dubbioso.”
“Pensi che non dovremmo andare?”
La strega inarcò un sopracciglio mentre sollevava lo sguardo sul marito, seduto dietro la sua scrivania, guardandolo scuotere il capo con decisione:
“Sia mai, vale lo stesso del funerale di George: non farò a meno di essere presente ad un evento importante per mia zia solo per non farmi vedere dai Cavendish. Io non me ne sto in un angolo con la coda tra le gambe, e sono certo che Amethyst sarà del mio stesso avviso.”
 
Astrid avrebbe voluto suggerire al marito che ogni tanto sarebbe stato saggio mettere l’orgoglio da parte, ma sapendo quanto l’uomo che aveva sposato fosse testardo decise di lasciar perdere in partenza, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo prima di asserire che l’avrebbe lasciato lavorare in pace e chiudersi la porta dello studio alle spalle.
Teneva ancora l’elegante biglietto color avorio, scritto con la stretta ma altrettanto chiara grafia di Gwendoline, in mano quando la familiare voce della figlia, carica di curiosità, giunse dalle scale sopra di lei:
 
“Ci hanno invitati da qualche parte?”
“Sì… come ben sai la prossima settimana è il compleanno di zia Gwendoline. Ha deciso di invitarci tuti da lei, sabato prossimo. Dì a tuo fratello di tenersi libero.”
“Oh, e ci andiamo anche in queste… emh… circostanze?”
 
“Così ha deciso tuo padre. Vieni tesoro, andiamo a decidere cosa indosserai, così facciamo lavare il vestito per sabato.”
 
 
*
 
 
Una settimana dopo
 
 
Caroline, seduta alla toeletta, si stava passando delicatamente il piumino sul viso, cospargendoselo di cipria mentre, in corridoio, sua madre informava con grazia suo padre che se l’avrebbe fatta sfigurare arrivando in ritardo avrebbe dormito gli avrebbe incenerito tutti i sigari.
 
“Come sto?”
Sentendo la ben più gradevole – e pacata – voce del fratello minore Caroline si voltò, abbozzando un sorriso alla vista del mago in smoking fermo sulla soglia della sua stanza:
“Benissimo, secondo il mio umile parere, anche se non penso che nostra madre sarebbe d’accordo. Perché non hai la livrea?”
“Temo di averle perse tutte. Non guardarmi così, capita!”
Caroline sorrise, divertita, e appoggiò la cipria sul tavolino per mettersi il profumo mentre sua madre, borbottando qualcosa contro l’inutilità del marito, entrava nella stanza a passo di marcia:
 
“I miei bellissimi figli sono pronti, almeno? EZRA, cosa ti sei messo? Dov’è la tua livrea?”
“Non è così terribile mamma, queste convenzioni sono sempre più inutili…”
“Sai chi si mette lo smoking, caro? I camerieri, ecco chi. E non cercare scuse, Appellala se necessario, ma mettiti una livrea.”
 
Ezra avrebbe voluto obbiettare, ma il tono della madre fu così fermo da suggerirgli di non provarci nemmeno, costringendolo a sospirare prima di tornare in camera propria per cambiarsi mentre la donna, soddisfatta, si avvicinava alla figlia.
“Faccio io cara.”
La strega prese delicatamente la collana di perle dalle mani della ragazza, allacciandogliela al posto suo mentre Caroline osservava pensierosa la propria immagine riflessa nello specchio ovale.
 
“A cosa stai pensando?”
“A quanto sarà strano vedere Riocard.”
“Te l’ho già detto, Caroline. Tu non lo sposerai.”
Penelope mise una mano guantata sulla spalla della figlia, e Caroline annuì mentre si voltava verso di lei: la donna le sorrise e l’aiutò ad alzarsi, porgendole i guanti di seta rosa antico prima di darle un bacio sulla guancia, promettendole che non avrebbe permesso a suo padre di decidere per lei per nulla al mondo.
 
*
 
 
“Nonna, perché devo farlo anche io…”
Clio sbuffò piano mentre, in piedi accanto alla nonna paterna, accoglieva gli ospiti cercando di simulare con altrettanta bravura i sorrisi di cortesia e i convenevoli mentre i poveri Elfi venivano riempiti dei regali di compleanno per l’anziana padrona di casa.
“Oh, grazie, ma non dovevate! Perché sei la mia adorata e unica nipote, tesoro.”
Gwendoline sorrise amabilmente mentre un pacco di dimensioni abnormi veniva lasciato in custodia ad uno elfo, e Clio rivolse un’occhiata di sbieco alla nonna prima di mormorare di non comprendere il perché di quelle frasi di rito quando tutti sapevano quanto la padrona di casa apprezzasse i regali.
“Si chiama fare falsa modestia, tesoro, credimi è un’arte molto utile da imparare… Oh, buonasera. Grazie per essere venuti.”
“Non saremmo mai mancati. Buonasera Clio.”
Penelope si sporse verso Gwendoline per darle un bacio su una guancia, sorridendo alla nipote prima di allontanarsi mentre la padrona di casa si rivolgeva a Clio e ad Ezra – che teneva la sorella a braccetto e indossava la livrea dopo le minacce della madre – con un caldo sorriso:
 
“Siete uno spettacolo per gli occhi. Clio, ora che sono arrivati i tuoi cugini ti libero dai tuoi obblighi, tieni pure compagnia a Caroline.”
“Oh, grazie nonna!”
 
Clio sorrise allegra e prese subito a braccetto la cugina, asserendo che fosse splendida come sempre e chiedendole di cercare i suoi fratelli che, come sempre, si erano dileguati alla velocità di una scopa da Quidditch quando la nonna aveva parlato di “accogliere gli ospiti”. Ezra si allontanò con un borbottio, asserendo di aver bisogno di bere qualcosa, e Caroline fu lieta più che mai di poter contare sulla compagnia della cugina: era certa che, da sola, non avrebbe retto il peso di tutti quegli sguardi su di sé.
 
*
 
Caroline aprì la portafinestra e respirò l’aria fredda a pieni polmoni, sospirando di sollievo. Aveva appena accostato la finestra alle sue spalle, lieta di allontanarsi brevemente dal rumore, quando una profonda voce maschile la fece sobbalzare:
 
“A quanto pare non sono l’unico ad aver avuto quest’idea.”
Caroline sollevò la testa di scatto e si ritrovò a guardare Riocard Saint-Clair seduto sulla ringhiera di pietra, le gambe che penzolavano nel vuoto, con un sigaro tra le labbra.
“Ah, è lei… mi ha fatto prendere un colpo.”
“Scusi, non era mia intenzione.”
 
Riocard si voltò, tornando a guardare con vago interesse Londra e le sue luci mentre la ragazza gli si avvicinava piano e quasi timidamente, le braccia strette al petto.
“Come mai è qui tutto solo?”
“Per lo stesso motivo per cui lei si trova qui. Mi dispiace di averle rovinato i piani con la mia presenza.”
 
Caroline abbozzò un sorriso, mormorando che non aveva importanza mentre il ragazzo si voltava nuovamente verso di lei, inarcando un sopracciglio:
“Perché suo padre vuole che la sposi? Odiava mio padre. Odia la mia famiglia in generale, e sono certo che a lei i pretendenti non mancano.”
“Non ne ho idea. Non conosco molto bene mio padre, se devo essere onesta. Agisce sempre per i suoi interessi e per avere un tornaconto, che in questo caso sarebbe poter mettere le mani su questa casa e ciò che contiene, immagino.”
“Mia zia dice che se la sposassi mi troverei in pericolo. Onestamente, pensa che suo padre sarebbe disposto a fare del male a qualcuno, per i suoi suddetti interessi?”
Caroline esitò, destabilizzata da quella domanda e dallo sguardo penetrante del ragazzo, che non la mollava neanche per un attimo.
“Io…”
 
Onestamente, Caroline non era certa della risposta. Ma si ritrovò a pensare, quasi con orrore, che non era certa di poter negare. Fu questo, forse a destabilizzarla maggiormente.
 
“Non lo so.”
Il sussurro della ragazza, che abbassò lo sguardo stringendosi le braccia al petto, destò un sorriso tetro sulle labbra del ragazzo, che annuì come se avesse acquisito una certezza:
“Direi che questo mi basta. Mi ha già risposto, Signorina Cavendish. Scusi se l’ho disturbata, dovrebbe tornare dai tanti ammiratori che di certo avrà.”
“Pensa che mio padre o mio zio abbiano ucciso il suo?”
“Sì, è quello che penso. E anche se nutro ben poca simpatia per suo fratello o i suoi cugini, lei mi sembra una creatura indifesa capitata nel posto sbagliato.”
“Mio fratello e i miei cugini sono brave persone. Non posso garantire per mio padre, ma per loro sì. So che vi detestate per questa… per questa stupida faida, ma sono brave persone come sono certa lo sia anche lei.”
Questa volta Caroline parlò con fermezza, a testa alta e gli occhi azzurri fissi sul ragazzo, sicura di quello che diceva, e Riocard non poté fare a meno di sorridere mentre si girava, rimettendo le gambe all’interno della terrazza prima di alzarsi e spolverarsi la giacca:
 
“Non metto in dubbio che la pensi così. Purtroppo però pensiamo sempre il meglio delle persone che amiamo. Buona serata.”
 
Caroline non si mosse mentre Riocard la superava, uscendo dalla terrazza per tornare nel salone.
Neit, che stava parlando con alcuni dei suoi superiori, lo vide rientrare nella sala e scorse, attraverso la finestra, la figura di Caroline grazie al vestito rosa chiaro della cugina, difficile da confondere in mezzo all’oscurità.
Senza rifletterci troppo il ragazzo si congedò rapidamente, attraversando la sala per raggiungere la finestra e Caroline, in piedi davanti alla ringhiera e le braccia strette al petto, apparentemente incurante del freddo.
 
“Carol, cosa ci fai qui, sei impazzita? Vieni dentro.”
Neit si avvicinò alla cugina, le mise una mano sulla spalla e l’altra sul gomito e la guardò alzare lo sguardo su di lui prima di mormorare di avere molti pensieri per la testa.
Sentendo quelle parole il ragazzo s’irrigidì, aggrottando la fronte:
“Saint-Clair ti ha dato fastidio?”
“Cosa? No, casomai il contrario. Penso che sia intenzionato a sposarmi meno di quanto io sia intenzionata a sposare lui.”
“Beh, lui avrebbe solo da guadagnarci. Questa casa… e sposato con te.”
 
“Pensi che sarebbe fortunato a sposarmi?”
“Sì, insomma, sei… di buona famiglia, e molto ricca. E indubbiamente fisicamente piacente.”
 
“Sono solo ricca e carina per te, Neit?”
Caroline spalancò gli occhi, mortificata, e le sue labbra quasi si piegarono all’ingiù per la delusione mentre il cugino, maledicendosi mentalmente, scuoteva la testa e la conduceva a forza verso la finestra per tornare dentro casa:
 
“No, certo che no. Dico dal suo punto di vista. Forza, fa freddo, vieni dentro, o tuo fratello se la prenderà con me per averti fatta ammalare.”
Caroline annuì e si lasciò condurre nuovamente dentro casa, mormorando qualcosa al cugino prima che Neit si allontanasse:
“Neit?”
“Sì?”
“So che probabilmente avrai di meglio con cui passare il tempo, ma… potresti non lasciarmi sola? Non trovo Clio, e Ezra è sempre impegnato a parlare con persone importanti, non lo voglio disturbare.”
 
Caroline chinò il capo, quasi imbarazzata per quella richiesta, ma il cipiglio serio di Neit si addolcì un poco – come quando tirava fuori la gemella dai guai – e annuì, abbozzando un debole sorriso:
 
“Ma certo. Facciamo una partita a carte nell’altra sala, visto che qui si danza? Se te la senti di sfidarmi, è chiaro.”
Caroline lo guardò con un’aria improvvisamente risoluta, annuendo e asserendo che non si sarebbe mai tirata indietro di fronte a nessuna sfida.
 
*
 
 
Cassiopea, seduta di fronte ad Elizabeth al tavolo quadrato da gioco, sbuffò sonoramente mentre studiava le carte che teneva in mano. La rossa sollevò brevemente lo sguardo sulla cugina, che le lanciò un’occhiata eloquente da sopra le carte prima che Clara, che giocava in coppia con Colleen, calasse.
“Lo sai che ci stanno battendo, vero Lizzy?”
“Se magari tu non avessi sprecato le tue carte, Cassy…”
“Io? Sei tu che non ti fai capire!”
 
Clara alzò gli occhi scuri al cielo, e Colleen ridacchiò mentre la cugina, sbuffando, pescava una carta.
 
“Buonasera fanciulle. Non deliziate nessuno dei gentili signori presenti con le vostre attenzioni e ve ne state qui a giocare per conto vostro?”
“Ambrose, non ci distrarre!”
Cassiopea rivolse un cenno al fratello maggiore, e Clara rivolse un sorriso mesto al ragazzo, che le aveva appoggiato una mano sulla spalla e teneva un bicchiere in mano.
 
“E poi la gente ancora stenta a credere che sia io quello maltrattato, in casa… Andrò a cercare Ric, è da un po’ che non lo vedo.”
Ambrose sospirò, serafico, e stava per andare a cercare il cugino nella stanza accanto quando una figura femminile a lui molto nota attirò la sua attenzione: una ragazza dai capelli scuri che lo guardava di rimando, in piedi dall’altra parte della sala.
 
Per un istante Ambrose si chiese sinceramente che cosa ci facesse Julie Anderson lì, ma poi si ricordò che il suo capo aveva incaricato la sua unica collega donna a presenziare alla serata, visto che lui non avrebbe potuto lavorare, quella sera.
Talvolta era un po’ strano vedere la sua ex fidanzata quasi ogni giorno in redazione, sebbene fossero rimasti in buoni rapporti, e vederla al compleanno di sua zia, in mezzo alla sua famiglia, lo era ancora di più.
 
Julie gli rivolse un sorriso mesto, e Ambrose ricambiò, esitando prima di dirigersi verso di lei: probabilmente ignorarla sarebbe stato maleducato, e di certo l’americana si sentiva tutto fuorché a proprio agio, in quella situazione.
 
“Merlino, c’è Julie Anderson, non l’avevo vista! Clara, hai visto?”
“Cassy, quando stavano insieme io ero in Germania, non la riconoscerei neanche trovandomela ad un palmo dal naso. Beh, è carina. Spero solo che Ambrose non ci stia ancora male.”
 
*
 
Riocard sorrise, soddisfatto, certo di essere finalmente riuscito a trovare un po’ di pace e stare da solo.
Finalmente avrebbe potuto godersi un po’ di tranquillità, lontano da sguardi e pettegolezzi, e stava per stappare la bottiglia di Burrobirra che aveva sgraffignato dalle cucine quando un urletto, seguito da un tonfo sordo, attirò la sua attenzione:
“AHIA!”
 
Riocard sospirò prima di accendere non verbalmente la punta della sua bacchetta, puntandola davanti a sé e chiedendosi che cosa avesse fatto di male per non meritarsi neanche un po’ di pace.
 
“Sa, mi chiedo dove io debba recarmi per avere un po’ di solitudine. Forse sul tetto? Devo ancora provare. Che ne pensa?”
 
Riocard inclinò leggermente la testa quando la luce emanata dalla sua bacchetta illuminò una ragazza bionda che si stava rialzando spolverandosi la gonna del vestito e che gli rivolse un sorriso colpevole:
“Non ho mai provato, ma vista la mia goffaggine penso che non sia consigliabile per me. Comunque non può accusarmi di averla disturbata, fino a prova contraria c’ero prima io!”
“Sì, me ne sono accorto. Tutto bene?”
 
“Oh, ho sentito dei passi e mi sono alzata, ma sono inciampata… stupida gonna.”
Clio sbuffò e lanciò un’occhiata torva alla gonna prima di tornare a sedersi sulla panchina, dove aveva lasciato il libro che stava leggendo.
“Leggeva?”
“Sì, mi porto sempre un libro da casa. Adoro mia nonna, ma questi eventi non fanno proprio per me.”
 
Clio fece spallucce e Riocard annuì, mormorando che non facevano neanche per lui prima di andare a sedersi sull’estremità opposta della panchina di pietra, distendendo le lunghe gambe fasciate dai pantaloni neri davanti a sé mentre apriva la bottiglia che teneva in mano.
 
“Vuole un sorso?”
“No, grazie.”
 
Clio avrebbe voluto chiedergli a bruciapelo se intendesse sposare sua cugina, ma non ne ebbe il coraggio: ancora una volta la sua timidezza la bloccò, e il fatto che il ragazzo la facesse sentire lievemente in soggezione non l’aiutò di certo.
Si sforzò così di tornare a leggere, non badando al mago che, seduto a mezzo metro da lei, sorseggiava la sua Burrobirra senza emettere un fiato, gli occhi chiari fissi sulla strada su cui la casa si affacciava.
Per un attimo, per la prima volta, Riocard si figurò a vivere in quel posto.
 
Una casa bellissima, senza dubbio. E Caroline Cavendish, a pelle, gli piaceva.
Ma ripensò alle parole di sua zia, quando Gwendoline gli aveva sconsigliato di prendere quella decisione e suggerendo che avrebbe potuto rivelarsi pericoloso per lui.
 
“Sa, sua nonna pensa che io non dovrei sposare sua cugina.”
“Davvero? Perché?”
“Pensa che ereditare questo posto sarebbe un’arma a doppio taglio, per me. E questo mi ricorda qualcosa che volevo fare stasera. E’ fortunata, le lascio la sua panchina.”
Riocard bevve un altro sorso di Burrobirra prima di alzarsi, allontanandosi con una mano nelle tasche mentre Clio lo seguiva con lo sguardo, più confusa che mai.
 
*
 
“Ancora mi chiedo perché gioco contro di te…”
Ezra sospirò e spinse il cumulo di Galeoni verso Neit, ma il cugino sorrise e scosse il capo, asserendo che poteva tenersi i soldi che aveva perso mentre un Egan molto allegro compariva alle spalle del cugino, dandogli una poderosa pacca sulla spalla:
“Dai Ezra, hai finito di fare il noioso? Vieni a divertirti con me!”
“Trovati una ragazza e non rompermi, Egan!”
“Beh, sei noioso, sappilo.”
“E tu un cretino. Per me basta per stasera… Carol, vuoi ballare?”
Ezra si alzò e porse una mano alla sorella maggiore, che sorrise e acconsentì prima di alzarsi e allontanarsi insieme a lui verso il centro della sala.
Egan prese il posto che fino a poco prima aveva occupato la cugina e sorrise al fratello maggiore, mettendogli una mano sulla spalla:
 
“Allora, ti diverti? E dov’è Clio? Non la vedo da un po’…”
“Rilassati, sarà in giardino a leggere come al solito. Sì, direi che non c’è male. Tu ti diverti, vedo.”
Neit si voltò verso il minore accennò al bicchiere vuoto del rosso, che però liquidò il discorso con un gesto della mano e gli assicurò di stare benissimo e di non preoccuparsi.
 
“Sai, quando ti vedo bere più del solito penso inevitabilmente a quella sera…”
“NON DIRLO! Finirete mai di torturarmi con quella storia?”
 
Egan sbuffò e Neit non riuscì a trattenere un sorrisetto mentre si voltava nuovamente, osservando i cugini ballare e guardando Caroline ridere quando Ezra l’afferrò per la vita e la sollevò leggermente.
 
“Quando smetterà di essere divertente, ossia finchè continuerai a reagire così. Ma come mai perdi tempo con me? Non hai uno stuolo di fanciulle ai tuoi piedi come al solito?”
“Certo, ma volevo anche assicurarmi che il mio fratellone se la passasse bene. Divertiti.”
Egan si alzò, assestò una pacca sulla spalla del fratello – che annuì e gli suggerì di non preoccuparsi – e si allontanò con disinvoltura, facendo scorrere lo sguardo all’interno della sala mentre il maggiore, dopo aver lanciato un’ultima breve occhiata in direzione di Ezra e Caroline, chiedeva ad un cameriere di passaggio di portargli del Whiskey Incendiario. Con peperoncino, ovviamente.
 
*
 
“Dimmi, tu sei favorevole alla cosa? Perché se non lo sei forse per una volta potremmo avere qualcosa in comune.”
Alexis inarcò un sopracciglio e rivolse un’occhiata scettica a Penelope mentre teneva il bicchiere in mano, studiandola con diffidenza:
“Ne dubito. Se ti riferisci al possibile fidanzamento tra i nostri figli, comunque, sappi che l’idea di imparentarmi con voi mi rende felice tanto quanto rende felice te, Penelope. L’unica su cui non posso esprimermi è tua figlia, se non sul suo aspetto indubbiamente grazioso.”
“Anche se fatico a sopportare la tua vista non so se tuo figlio abbia ereditato o no il tuo pessimo carattere, Alexis, ma a prescindere non voglio che mia figlia sia infelice. E soprattutto darla vinta all’uomo con cui sono sposata. Riflettici, Alexis, perché Robert dovrebbe voler vendere la sua unica, preziosa figlia alla tua famiglia? Caroline è molto ricca e di bell’aspetto, pensi che non sia pieno di famiglie che vorrebbero fidanzarla con i propri eredi? A Caroline i possibili pretendenti non mancano, eppure Robert insiste. Dovresti rifletterci. L’unico pregio che posso riconoscerti è che tieni a tuo figlio tanto quanto io tengo ai miei, quindi forse, per una volta, potremmo essere dalla stessa parte.”
 
“Mio cognato ha molto più ascendente su Riocard di quanto non ne abbia io, Penelope.”
“Forse, ma una madre resta sempre una madre. Puoi convincere tuo figlio a non sposare la mia rendendola eternamente infelice, oppure posso farlo io stessa. Posso dirgli che la sua cara mamma se la faceva con il padre della ragazza che dovrebbe sposare. Non solo non sposerebbe mai Caroline, ma penso che ti odierebbe. A te la scelta, cara.”
 
Penelope stirò le labbra in un sorriso amabile, godendosi la visione di Alexis impallidire con un luccichio negli occhi chiari. La strega tuttavia si riprese in fretta, guardandola freddamente e con l’aria di superiorità che la contraddistingueva:
“E ammetteresti pubblicamente qualcosa che getterebbe una simile onta sulla tua famiglia, Penelope?”
“Non farmi ridere, tutti sanno che Robert è tutto fuorché un marito fedele. Quello che la gente non si aspetta è che tra le sue amanti ci sia stata anche la moglie dello stimato e compianto ex Ministro. Un uomo così amato, Alexis… come ti vedrebbe la gente? Come una donna che non solo tradisce suo marito, ma lo fa anche con un uomo sposato… Sai di cosa parlo, Alexis, non prendiamoci in giro: in questi casi quella a uscirne nel modo peggiore è sempre la donna, lo sappiamo entrambe.”
 
Alexis non rispose e Penelope, ringraziandola per la piacevole chiacchierata con un sorriso, girò sui tacchi e uscì dal bagno con un’aria particolarmente allegra.
Estelle, vedendola sorridere in quel modo, fu certa che l’amica avesse combinato qualcosa, ma preferì non chiederlo: aveva imparato a sue spese che in quella famiglia a volte era meglio semplicemente non sapere.
 
*
 
 
Elizabeth, seduta su una delle sedie foderate addossate alla parete, sedeva con le gambe accavallate mentre osservava i suoi cugini: Clara, come da manuale, invece di ballare approfittava delle conoscenze della prozia per discutere con politici ed intellettuali, Cassiopea danzava con uno dei suoi tanti ammiratori e Colleen con Ambrose.
Quando una figura a lei molto nota le sedette accanto Elizabeth abbozzò un sorriso, parlando senza neanche voltarsi e studiando cugino e cugina ballare:
“Dovresti chiedere a Colleen di ballare, sai?”
“Non penso sia una buona idea.”
“Perché no? A Cherry ricevere attenzioni da sconosciuti mette a disagio, quando un ragazzo che conosce solo di vista le si avvicina quasi usa noi come scudi umani e mormora delle scuse… Però penso che se glielo chiedessi tu non avrebbe problemi, come non he a ballare con suo fratello. E poi non ti ho ancora visto farlo!”
 
“Nemmeno io ti ho vista ballare, Lizzy.”
La strega si strinse nelle spalle, asserendo di preferire di gran lunga intrattenersi a conversare o a giocare nella stanza accanto. Gli occhi azzurri della strega indugiarono sulla padrona di casa, guardandola muoversi con i suoi consueti modi impeccabili tra i suoi ospiti dispensando sorrisi cortesi, ed Elizabeth non poté fare a meno di pensare che, a prescindere che fosse o meno il suo compleanno, Gwendoline Cavendish sapeva sempre farsi notare ad ogni evento e far sì che tutti si ricordassero di lei.
 
“Credimi tesoro, lo dico sempre anche a tua madre. La vera classe consiste nel farsi ricordare, non nel farsi ammirare.”
 
“Facciamo un patto.”  Elizabeth si voltò verso il fratello e allungò una mano guantata verso di lui, sorridendogli:
“Tu chiederai di ballare a Cherry, e io…”
“Farai altrettanto con qualcuno?”
“Tommy, io non chiederò mai a nessuno di ballare. Devono essere gli altri a chiedermelo. Comunque, visto che neanche io l’ho ancora fatto, giuro che accetterò di ballare con chiunque dovesse chiedermelo.”
 
Thomas esitò, ma sapendo quanto la sorella fosse testarda – e sicuro che l’avrebbe perseguitato per tutta la sera se non avesse accettato – annuì e allungò una mano per stringere quella molto più piccola di Elizabeth:
“Va bene. Chiunque però, ci siamo capiti?”
“Chiunque.”
Elizabeth annuì e Thomas si voltò verso Colleen, sospirando prima di alzarsi: disgraziatamente si trovava a suo agio con ogni sorta di creatura, magica e non, mentre la più dolce che avesse mai incontrato riusciva a metterlo in difficoltà come mai nessuno aveva fatto.
 
Lizzy guardò il fratello allontanarsi con evidente soddisfazione, e stava per alzarsi per andare ad incipriarsi il naso quando qualcun altro sedette accanto a lei:
“Santo Godric, cosa ha detto a suo fratello? Ha l’aria di uno destinato al patibolo…”
“Sciocchezze, se la caverà. L’ho visto domare Ippogrifi e Demiguise, dubito che la mia adorabile cugina possa ferirlo più gravemente.”
Elizabeth parlò con tono neutro e senza battere ciglio, continuando a tenere gli occhi chiari fissi sul fratello mentre Egan, aggrottando la fronte, stringeva le braccia al petto:
“Non ne sarei così sicuro. Le persone che amiamo ci feriscono di più, a volte.”
 
Mio padre ne sa qualcosa
 
“Forse. Quanto deve aver bevuto per essersi seduto accanto a me?”
“Non troppo, semplicemente non rientra nella mia natura lasciare che una signorina non si goda una festa e che se ne resti da sola.”
“A me piace stare da sola. La solitudine è sottovalutata.”
 
Elizabeth non si scompose, continuando a parlare senza battere ciglio esattamente come vedeva sua madre fare da tutta la vita. Astrid non aveva mai insegnato alla figlia a comportarsi come lei, semplicemente Elizabeth lo aveva assimilato per osmosi, e doveva ammettere che mantenere una certa dose di distacco e non sbilanciarsi troppo in presenza di persone con cui non si era in confidenza le aveva sempre risparmiato ogni sorta di pessima figura.
Egan però sorrise, inarcando un sopracciglio mentre la guardava quasi con aria divertita:
 
“Allora non accetterebbe se la invitassi a ballare con me?”
A quella domanda Elizabeth si voltò per la prima volta verso di lui, guardando il ragazzo con scetticismo più che evidente mentre aggrottava la fronte:
“E’ consapevole che c’è la possibilità che mio padre possa affatturarla nel vedermi ballare con lei, vero?”
Egan rise – anche se perfettamente conscio che la ragazza fosse seria – e annuì mentre si alzava in piedi, allungando una mano verso di lei:
 
“Ma certo. Ma una vita senza rischi non è poi una vita così divertente, no?”
Elizabeth avrebbe voluto rispondere che non lo sapeva, visto che lei, nella sua vita, di rischi ne aveva corsi ben pochi. Indugiò per un istante su suo padre con lo sguardo, ma ripensò anche al patto che aveva fatto con Thomas, e vedendolo ballare con Colleen si costrinse ad annuire, alzandosi in piedi:
 
“Beh, d’accordo.”
Egan quasi si sorprese nel sentirla accettare il suo invito, anche se Elizabeth evitò accuratamente di prendere la sua mano e lo superò, dirigendosi con disinvoltura verso il centro della sala aspettando che la seguisse.
Per un istante il ragazzo rimase fermo a guardarla, decisamente poco abituato ad un comportamento simile e sorpreso, ma si riprese in fretta e trattenne una risata mentre la raggiungeva, dicendosi che forse erano gli effetti dell’alcol a parlare, ma che quella strega era decisamente divertente.
 
*
 
 
“Sta cercando qualcosa?”
 
Robert si voltò di scatto, irrigidendosi e lanciando un’occhiata velenosa a Riocard quando lo vide in piedi infondo al corridoio, le mani nelle tasche e l’aria rilassata e disinvolta tradita dall’espressione seria dei suoi occhi.
 
“Non sono affari tuoi.”
“Beh, questa però non è nemmeno casa sua.”
“E’ casa di mio zio, ragazzo, vengo qui da prima che tu nascessi, quindi sei pregato di levarti di torno e tenere il naso dove ti è consentito.”
 
Robert stava per girare sui tacchi e allontanarsi – aspettava l’occasione per salire al pieno di sopra da tutta la sera, e ora un ragazzino rischiava di mandare a monte ciò che lui ed Edward avevano pensato –, ma la voce di Riocard, pacata e quasi con una nota canzonatoria, lo fermò di nuovo:
 
“Tecnicamente ora è casa di mia zia. Se non dovessi ereditarla io, resterebbe sua. Pensa che sarebbe felice di saperla approfittare della confusione per curiosare in giro?”
“Sai, anche tuo padre aveva questa brutta abitudine. S’interessava sempre a faccende che non lo riguardavano. Peccato che non sia vissuto abbastanza per insegnarti a non fare i suoi stessi errori, evidentemente.”
Riocard s’irrigidì mentre Robert si voltava verso di lui, e probabilmente il ragazzo avrebbe preso la bacchetta per affatturarlo quando sentì una mano ornata di anelli poggiarglisi sulla spalla:
 
“Signori, cos’è questo trambusto?”
Robert imprecò mentalmente alla vista della padrona di casa, apparsa sulla soglia del corridoio accanto al pronipote, ma fece appello a tutto il suo autocontrollo e non si scompose, parlando con tono neutro mentre fulminava Riocard con lo sguardo:
“Suo nipote non sa che è bene non immischiarsi negli affari altrui, zia.”
“E l’altro suo nipote non sa che non è bene ficcanasare nelle case altrui.”
 
“Non che siano affari tuoi, ma è stato Edward a chiedermi di prendere una cosa per lui. Se volete scusarmi, zia…”
 
Robert era appena sparito, scendendo le scale con rabbia e maledicendo Rodulphus Saint-Clair e la sua progenie, quando Gwendoline si rivolse al pronipote, inarcando un sopracciglio rossiccio perfettamente curato:
 
“Che cosa ci fai qui, Ric?”
“Ho pensato a quello che mi avete detto, e sono venuto per tenere d’occhio lui e vostro figlio, quando l’ho visto salire le scale l’ho seguito. Penso che cercasse ciò di cui abbiamo parlato.”
“Non è da escludere… penso che dovrò mettermi personalmente a setacciare questa casa. Nel frattempo, farò in modo di tenere Robert ed Edward il più possibile lontani da qui. O almeno di non lasciarli mai da soli, stanne certo. Ora torniamo di sotto, prima che tutti si insospettiscano. Non dovrai accettare di sposare Caroline finchè questa storia non sarà risorta, Riocard, non m’importa di quel che dice Theseus.”
 
Riocard annuì e guardò la zia sospirare prima di mettergli nuovamente una mano sulla spalla, conducendolo gentilmente verso le scale e suggerendogli di cercare di godersi la serata, per quanto possibile.
 
*
 
Ezra stava discutendo con qualche collega del Ministero quando, per poco, la mascella non gli si snodò: che cosa ci faceva, esattamente, suo cugino impegnato a ballare con la figlia di Theseus Saint-Clair?
 
Suddetto padre che sembrò pensare lo stesso, a giudicare dalla sua espressione stravolta, mentre Edward aggrottava la fronte, confuso:
“Estelle, cosa mi sono perso?”
“Sai com’è fatto Egan, probabilmente l’ha vista sola e l’ha invitata a ballare. Non fare quella faccia, nn c’è nulla di male. E poi ad Egan piacciono le belle ragazze.”
Estelle sorrise, sfiorando il mento coperto dalla barba del marito, che ricambiò quasi con aria orgogliosa:
“Certo, tutto suo padre.”
“Carino da parte tua darmi della ragazza, Edward.”
“Eternamente la più bella di tutte.”
 
Estelle gli sorrise con calore, gli occhi azzurri carichi di affetto mentre il marito le depositava un bacio sulla mano.
A qualche metro di distanza, invece, Elizabeth-Rose soffocava una risata:
 
“Adoro mio padre, e penso di stargli per causare un infarto!”
“Sì, neanche il mio aveva l’aria allegra… Beh, pazienza, per un ballo non è mai morto nessuno. Sbaglio?”
“Ti prego Cavendish, ti vedevo a scuola con il tuo stuolo di ammiratrici… A me non sei mai piaciuto, comunque.”
“Il tuo cognome ha fatto sì che ti tenessi a distanza. Un vero peccato, in effetti, visto che tu e le tue cugine siete tutte molto attraenti.”
 
Elizabeth roteò gli occhi, poco colpita da quelle lusinghe mentre, a pochi metri di distanza, Colleen guardava i due spalancando i grandi occhi scuri:
 
“Perché Lizzy balla con lui?”
“A me non dispiace, non è un cattivo ragazzo.”
“Ma Thomas, a te piacciono sempre tutti!”
“Beh, forse un po’… Ma Lizzy dice che vale anche per te.”   Thomas si strinse nelle spalle, sfoggiando un sorriso colpevole che Colleen imitò, annuendo e mormorando che in effetti molto probabilmente era così.
 
*
 
 
“Allora, ci sei riuscito?”
“Non ne ho neanche avuto modo, visto che quel dannato ragazzo mi ha seguito! Merlino, è proprio come suo padre. Ed è anche apparsa tua madre.”
 
“Mia madre?”  Edward strabuzzò gli occhi azzurri e quasi impallidì, imprecando a bassa voce e rivolgendo una fugace occhiata alla madre mentre il cugino si scolava un bicchiere di Whiskey in un solo sorso.
“Mia madre deve insospettirsi il meno possibile, Rob.”
“Lo so, ma come diavolo facciamo a metterci le mani con lei intorno? Forse dovresti dirglielo.”
“Non voglio farlo, lo sai. E non penso che sarebbe d’accordo. Ascolta, l’idea che il figlio di Rodulphus sposi tua figlia non rende felice nessuno dei due, e l’unico modo per evitarlo è prendere ciò che ci spetta. Perciò dobbiamo riuscirci in qualche modo, o Caroline dovrà diventare una Saint-Clair.”
 
Il volto di Robert venne trasfigurato da una smorfia, rigettando la sola idea: contrariamente a ciò che sua moglie e i suoi figli pensavano quella prospettiva non lo allietava minimamente.
“Ti devo ricordare che è stata una TUA idea sigillarlo a questa casa, vero?”
Che diavolo ne sapevo che Rodulphus sarebbe morto? Avrebbe potuto tornare e prenderselo, no?”
Edward rivolse un’occhiata torva al cugino, che sbuffò piano mentre si guardava intorno per accertarsi che nessuno stesse ascoltando la loro conversazione, fermi in un angolo della sala.
Il minore, invece, ripensò ad una particolare sera risalente a due anni prima.
 
 
“Sapevo che era qui che lo teneva… maledetto stronzo.”
Edward sorrise vittorioso mentre estraeva uno scrigno di legno chiuso a chiave dalla cassaforte posta dietro al ritratto del suo bisnonno, che Robert aveva provveduto a Schiantare appena entrati per evitare che facesse parola con qualcuno della loro “visita” all’ufficio del Ministro.
 
“Va bene, muoviti ora, dobbiamo andarcene!”
Robert, in piedi accanto al camino con una manciata di Polvere Volante già stretta in mano, sbuffò con impazienza mentre il cugino richiudeva la cassaforte e rimetteva il ritratto a posto, scusandosi mentalmente col bisnonno ancora privo di sensi prima di raggiungere il cugino.
Stava per dire a Robert che era notte fonda e che di certo Rodulphus non sarebbe andato in ufficio a quell’ora quando dei rumori gli fecero morire le parole in gola: un inconfondibile suono di passi affrettati proveniva dal corridoio – che avrebbe dovuto essere deserto – e annunciavano una visita imminente.
 
Robert imprecò e quasi spinse il cugino all’interno del camino, seguendolo prima di gettare la Polvere Volante nel camino, sibilando la loro destinazione appena prima che la porta si aprisse con uno scatto.
Le consuete fiamme verdi li avevano presto avvolti, e l’ultima cosa che Edward era riuscito a scorgere prima di essere costretto a chiudere gli occhi fu la porta aprirsi.
Per tutta la notte fu certo di essere scampato per un pelo ad una visita notturna di Rodulphus nel suo ufficio, cosa che nei suoi anni di carica non aveva mai fatto, ma la prima pagina della Gazzetta del Profeta del giorno seguente gli fece cambiare idea.
 
Estelle non avrebbe mai dimenticato il pallore sul volto del marito, a colazione, quando Edward lesse il giornale, o di come se ne andò senza dire una parola.
 
Era certo di aver rischiato di essere scoperto dal suo ex migliore amico, ma non era così. Leggendo il giornale Edward apprese non solo che Rodulphus era morto, ma quando venne confermato che non si era trattato di un suicidio, il mago capì di non aver mancato per un pelo il suo assassino.
 
*
 
“Devi aiutarmi.”
“Non pensi che io abbia fatto già abbastanza per te, Alexis? E ancora arrivi con la tua arroganza avanzando pretese. Io non ti devo nulla.”
 
Astrid, le braccia strette al petto, parlò col tono più gelido che la cugina le avesse mai sentito usare. La strega però non si scoraggiò, raggiunse la cugina e la prese un gomito, costringendola a voltarsi verso di lei prima di parlare con tono concitato:
“Siamo una famiglia. Noi due per prime lo siamo, Astrid.”
“Per te la famiglia esiste quando ti fa comodo. E’ questo il problema delle bambine viziate, Alexis: restano tali per tutta la vita.”
L’ex Corvonero si divincolò dalla stretta della cugina, che sospirò e si passò una mano tra i capelli prima di parlare in un sussurro. Suo malgrado, Astrid dovette ammettere a se stessa di non vederla in quel stato da molto tempo: di solito la cugina manteneva un’impeccabile faccia di bronzo e un’espressione perennemente altezzosa, intoccabile. Quella sera, invece, le appariva molto più umana del solito.
 
“Penelope Cavendish mi ha detto di convincere Riocard a non sposare sua figlia, altrimenti gli dirà… gli dirà di me e Robert. Non posso permettere che accada, Astrid. Riocard mi odierebbe, anche se è successo prima che nascesse. E lui è tutto per me, lo sai bene.”
“E io che cosa c’entro con i tuoi errori del passato?”
 
“Perché Riocard ascolta tuo marito, Astrid. Perciò se tu convinci Theseus, lui lo farà con mio figlio. E’ tuo marito, non dirmi che non sei in grado di farlo.”
Astrid sospirò e distolse lo sguardo dall’espressione implorante della cugina, esitando per un istante prima di annuire piano:
“Ci proverò. Non prometto nulla, ma ci proverò. So che Gwendoline è contraria, quindi è comunque probabile che Riocard non accetti in ogni caso. Ma ricordati che tutto questo è solo a causa di scelte discutibili che hai fatto TU, Alexis. Buonanotte.”
 
Astrid si sistemò il mantello sulle spalle e si allontanò dalla cugina, raggiungendo marito e figli visto che la loro carrozza era arrivata.
Alexis sospirò, gli occhi chiari quasi lucidi mentre Riocard si avvicinava alla madre, guardandola con leggera preoccupazione:
 
“Mamma, va tutto bene?”
“Sì, certo, va tutto benissimo. Sono solo stanca tesoro… meglio andare a casa.”
Alexis rivolse un sorriso tirato al figlio, che la guardò poco convinto ma che allo stesso tempo evitò di insistere, annuendo prima di porgerle il braccio:
 
“D’accordo. Direi che anche per quest’anno il compleanno di zia Gwen si è rivelato una serata interessante.”
Alexis annuì appena prima di Smaterializzarsi, mormorando che il ragazzo non ne aveva idea, anche se Riocard non poté udirla.
 
*
 
“Non sono mai stata tanto fiera di me! Non ho fatto cadere nemmeno un vassoio e non mi sono rovesciata nulla addosso a cena, ma ci pensate?!”
“Mia dolce Clio, tutti noi siamo più che orgogliosi dei tuoi traguardi. Il nostro Neit, invece, è genio quanto babbeo.”
 
Egan circondò le spalle della sorella con un braccio e rivolse al maggiore un’occhiata di scherno che venne accolta con un’occhiataccia mentre Neit si sfilava il cappotto e lo lasciava ad un servizievole Elfo Domestico:
“Egan, di che parli?”
Clio spostò lo sguardo da un fratello all’altro, confusa, e il minore le si rivolse roteano platealmente gli occhi chiari, parlando con l’aria di chi la sa lunga:
 
“Pensati che non ha invitato Carol a ballare neanche una volta!”
“Neit, come hai potuto?!”
 
Clio spalancò gli occhi, parlando come se il gemello si fosse macchiato di un crimine indicibile mentre Neit, sospirando, faceva appello a tutta la sua pazienza:
 
“E su quali basi potete affermare, esattamente, che Caroline avrebbe voluto ballare con me?”
“Vedi Clio? E’ un babbeo. Dove abbiamo sbagliato con lui?”
“Stavolta devo convenire con Egan, Neit, non si fa così!”
Egan scosse il capo con disapprovazione mentre si allontanava insieme alla sorella, discutendo su come avrebbero potuto fare per rimediare a quell’errore imperdonabile.
“Ma si può sapere di cosa parlate? Mamma, mi spieghi?”
 
Neit si rivolse alla madre quasi con esasperazione, ma la donna si limitò a sorridergli e a lasciargli un bacio affettuoso sulla guancia:
“Lascia perdere tesoro… Ma davvero, perché non l’hai fatto?”
“Ballare non rientra tra i miei hobby, mamma. E ribadisco che non so se Caroline volesse ballare con me. Buonanotte.”
 
Estelle guardò il figlio salire le scale con un lieve sorriso sulle labbra, scuotendo la testa ma dicendosi che forse, prima o poi, ci sarebbe arrivato da solo. Del resto, una cosa sulla quale non aveva mai potuto dubitare era proprio l’intelletto del suo amato primogenito.
 
 
*
 
 
“Non ti senti giù per aver visto Julie, vero? Una volta partecipava a questi eventi nelle vesti di tua accompagnatrice, dopotutto…”
“Tranquilla Clara, è acqua passata. Julie ha idee molto diverse da quelle delle nostre famiglie, e va bene così, forse non eravamo fatti per stare insieme. Ti sarebbe piaciuta se l’avessi conosciuta bene, credimi.”
 
Ambrose sorrise alla sorella minore, che ricambiò e asserì che se era piaciuta a lui di certo sarebbe stato lo stesso anche per lei.
“Tu ci pensi mai, a Klaus?”
“Ogni tanto, sì… credo sia normale, no? Il primo amore. Forse una parte di noi resterà sempre innamorata del nostro primo amore, anche solo per quanto ha significato per noi e per quanto l’abbiamo idealizzato. Tra me e Klaus, poi, direi che è finita molto bruscamente. A volte mi chiedo se non abbia sbagliato, ma quando lo zio è morto l’unica cosa che volevo era tornare a casa, da voi. E’ stato difficile per me superarla.”
 
“Lo so. L’importante è non avere rimpianti.”
“Non ne ho, davvero. Mi è dispiaciuto averlo allontanato da me in quel modo, di certo gli avrò spezzato il cuore… ma la famiglia prima di tutto, no? Così ci hanno cresciuto. Buonanotte Ambrose.”
 
Clara sorrise al fratello prima di superarlo per andare in camera sua, e al maggiore non restò che seguirla brevemente con lo sguardo, chiedendosi se fosse sincera.
Infondo tutto ciò che voleva era che la sua sorellina preferita fosse felice, da sola o con chiunque.
A parte Ezra Cavendish, certo, piuttosto che avere lui come cognato si sarebbe auto-trasfigurato in una teiera sbeccata.
 
 
……………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Insomma, se fosse stato davvero Edward, o il caro cugino Robert che tutte voi amate, direi che sarebbe stato fin troppo scontato.
Detto ciò, buonasera!
Grazie per le recensioni come sempre (e anche per le tempestive risposte che molte di voi mi hanno mandato), e in particolare un grazie a Pulsatilla e ad Eleonora Black, che mi hanno recentemente inserita tra i loro Autori preferiti. Grazie ragazze <3
Questa volta non ho domande con cui tediarvi (ribadisco che chi volesse condividere le sue teorie con me è sempre ben accetto), anche se vi avviso già che il capitolo della prossima settimana arriverà martedì, molto probabilmente (mercoledì prossimo devo togliere il dannato ultimo dente del giudizio, mortacci sua, e tra anestesia e dolore non penso sarò molto in vena di scrivere dopo l’intervento T.T).
Buona serata,
Signorina Granger

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
 
“ARRRRH, CORPO DI MILLE BALENE! Ti condanno… oh no, Egan l’ho scordata!”
“Al palo Clio, al palo!”
 
“Ah, sì! Al palo!”    Clio si sistemò il berretto da pirata fatto con giornali vecchi in testa e puntò la spada di cartapesta contro Ezra, che sbuffò e sottolineò di come fosse stanco di fare il prigioniero e di voler fare il pirata anche lui.
“Taci prigioniero, arrr!”
 
“Posso muovermi adesso?”
“No Neit, tu sei l’altro prigioniero!”

 
Neit sbuffò, seduto sul pavimento della soffitta e costretto a non muoversi mentre Egan, che indossava un cappello di carta uguale a quello della sorella, si rivolgeva alla cugina mettendosi le mani sui fianchi:
 
“Caroline, sei un pirata, devi simulare un’espressione cattiva!”
“Ma non so come si fa!”
Caroline sospirò, sconsolata, e osservò con scetticismo la spada che teneva in mano mentre Neit, seduto sul pavimento appoggiandosi alla parete della mansarda e le mani dietro la schiena, alzava gli occhi al cielo:
 
“Egan, non penso che Carol sia molto adatta a fare il pirata.”
“Va bene, la prossima volta farà la principessa. Ezra, devi camminare sul palo come se fosse sospeso sull’Oceano!”
Ezra sbuffò e, le mani dietro la schiena fingendo che fossero legate, prese a camminare sull’asse di legno mentre Clio, che aveva l’aria di divertirsi parecchio, gli saltellava attorno chiedendo al fratello minore perché dovesse parlare in quel modo strano.
 
“Perché i pirati parlano così.”
“E tu che ne sai di pirati?!”
“L’ho letto in L’isola del Tesoro, sapientone!”
 
Egan fece la linguaccia al cugino mentre Caroline, senza farsi notare, sedeva accanto a Neit e gli proponeva in un sussurro di fare a cambio con i ruoli.
“Lascia stare, Egan non ce lo permetterà mai… ha una fantasia tutta sua per i ruoli, a me l’altra volta ha fatto fare la fata madrina…”
Caroline, immaginando il cugino con addosso un cappellino a punta rosa e un vestito pieno di lustrini, fece per scoppiare a ridere, ma si trattenne di fronte all’espressione seria di Neit.
 
Ezra si era appena accasciato teatralmente sul pavimento, asserendo di star per morire, quando la botola si aprì e il viso di Estelle comparve nella soffitta, sfoggiando la sua espressione più accigliata:
 
“Bambini, ma cosa state facendo?”
“Giochiamo ai pirati mamma, ARRRR!”
 
“Per la barba di Merlino… EDWARD, mentre le altre signorine imparano a ballare la nostra parla come un pirata, nel caso ti interessasse!”
“Poco male, se finiremo in bancarotta i nostri figli deprederanno i mari per noi, cara.”
 
*
 
 
“Io non voglio ballare con un maschio, che schifo!”
 
Clara incrociò le braccia al petto e pestò un piedino sul pavimento, reggendo lo sguardo della madre con aria risoluta mentre, alle sue spalle, Cassiopea tentava di non pestare i piedi a Thomas mentre muoveva passi incerti.
“Clara, devi imparare a ballare! Tutti devono, vedi, anche Thomas, Riocard ed Ambrose, non solo le signorine.”
 
“Non mi piace!.”
Riocard, in piedi dietro alla zia mentre aspettava pazientemente, alzò gli occhi azzurri al cielo tenendo le mani guantate di bianco dietro la schiena. Amethyst sospirò, chinandosi verso la figlia e parlandole con tono speranzoso:
“Non vuoi neanche provare?”
“No, solo con Ambrose!”
“Ma Ambrose sta già provando con Colleen tesoro, abbi pazienza.”
 
Clara asserì che avrebbe ballato solo e soltanto con il fratello maggiore e si allontanò col naso per aria, andando a sedersi su una delle sedie addossate alla parete – il salotto era stato completamente sgomberato per quel pomeriggio – mentre Amethyst si rivolgeva al nipote con un sospir rassegnato:
 
“Va bene tesoro, scusa, balla pure con Lizzy.”
“Va bene zia. Non sapevo che ballassi.”
Riocard si lasciò posizionare dalla zia e rivolse un sorriso malandrino alla cugina, che gli lanciò un’occhiataccia mentre Amethyst intrecciava a forza le loro mani.
 
“Non mi prendere in giro Ric.”
“Hai anche le calze bianche, sembri proprio una signorinella.”
 
Riocard ridacchiò, e per tutta risposta Elizabeth gli assestò un sonoro pestone sul piede che fece scoppiare a ridere sia Ambrose che Cassiopea.
 
 
Clara, muovendo le gambe seguendo il ritmo della musica prodotta dagli strumenti fatti apparire dalla madre, sedeva a braccia conserte e con gli occhi scuri fissi su fratelli e cugini, guardando Cassiopea ed Elizabeth inseguirsi dopo aver abbandonato i rispettivi partner a loro stessi.
 
“Com’è possibile che una signorina così graziosa non abbia un compagno per ballare? Lo trovo assolutamente inaudito.”
Clara si voltò di scatto, e un sorriso luminoso si fece largo sul suo viso nello scorgere lo zio materno, alzandosi per abbracciarlo:
 
“Ciao zio Rod!”
“Ciao tesoro… Sono venuto a prendere Riocard. Dimmi, come se la cava a ballare?”
“La mamma voleva che ballassi con lui, ma io non ho voluto. Non voglio ballare con i maschi!”
 
“E al tuo caro zio lo concederesti, un ballo?”
Rodulphus si chinò leggermente verso la nipote e, spalancando gli occhi azzurri e sfoggiando la sua espressione più implorante, guardò la bambina annuire prima di sorridergli, allungando le braccia verso di lui:
 
“Sì zio!”
Rodulphus sorrise, prese in braccio la nipote e le stampò un bacio sulla guancia mentre anche gli altri nipoti si accorgevano di lui, correndogli incontro in massa sotto lo sguardo divertito della sorella minore:
“Ehy, c’è lo zio!”
“Zio, balla anche con me dopo!”
“Prima io Lizzy, sono più grande!”

 
“Rod, dimmi, in questi momenti non rimpiangi di aver avuto un solo figlio, vero? Avrei proprio voluto vederti alle prese con 4…”
 
*
 
“Non dormi?”
Amethyst si voltò sentendo la voce del marito, che le mise al contempo una mano sulla spalla coperta dalla vestaglia azzurro cielo. La donna scosse la testa, abbozzando un sorriso mentre chinava lo sguardo sulla tazza piena di infuso che teneva in mano:
 
“A volte fatico a prendere sonno.”
“Ne abbiamo già parlato, potresti sempre prendere qualcosa.”
“Non importa. Sai, a volte faticavo a dormire anche dopo la morte dei miei genitori. Spesso andavo a disturbare Rod, svegliandolo per pregarlo di tenermi compagnia. Ripensandoci, avrebbe dovuto mandarmi al diavolo, ma non l’ha mai fatto. C’era sempre, per me.”
Amethyst abbozzò un sorriso e l’espressione del marito si addolcì, annuendo mentre sedeva accanto a lei sulla finestra a golfo.*
“Ti voleva bene, e si sentiva responsabile per te e Theo, anche se era solo un ragazzo anche lui.”
“Ha sempre avuto un innato senso di responsabilità, penso glie l’abbia inculcato mio padre con la storia del primogenito. Anche dopo la sua morte non dormivo molto, e a volte mi capita ancora. Passerà da sé, immagino.”
 
“Inizia a provarci, intanto.”
John si alzò, prese la tazza dalle mani della moglie e la appoggiò su una mensola prima di aiutarla ad alzarsi. Le prese la testa tra le mani e le lasciò un bacio sulla fronte, ricevendo in risposta uno degli inimitabili sorrisi luminosi della moglie che, molti anni prima, avevano inesorabilmente attirato la sua attenzione.
“Grazie John. So che non capivi tutto l’affetto che provavo per mio fratello, che tu non hai lo stesso rapporto con il tuo e che magari tu e Rod non sempre andavate d’accordo, ma grazie per il supporto.”
“Ero io a non piacergli molto, ho idea. Ma quello che contava per entrambi è che tu fossi felice, Amiee. Prima delle nozze Rodulphus mi disse che mi avrebbe perseguitato, se non l’avessi fatto.”
 
Amethyst si lasciò sfuggire una risata, e John preferì non informarla che non stava scherzando affatto.
 
*
 
Neit si mise a sedere di scatto sul letto, il respiro affannoso e la fronte madida di sudore. Come sempre in un paio di istanti si rese conto di essere nella sua stanza, a casa, e trasse un sospiro di sollievo mentre lanciava un’occhiata alla finestra: a giudicare dalla luce tenue doveva essere appena passata l’alba.
 
Il mago si rimise lentamente supino sul materasso, appoggiando il capo ai cuscini, e deglutì mentre ripensava al sogno che aveva appena fatto, un sogno ormai ricorrente che faceva da anni.
 
“Non hai dormito bene? Hai l’aria stanca, Neit. Ti dovresti riposare.”
“Non ho mai dormito molto, da quando ero piccolo. Ci sono abituato. E delle notti sono peggiori di altre.”
 
Caroline, sedendo di fronte a lui sul pouf posto davanti al divano, osservò il viso stanco del cugino con aria preoccupata, chiedendogli se non avesse bisogno di una pozione per dormire.
“Non è solo che non prendo sonno, Carol… a volte faccio strani sogni e mi sveglio di continuo. Ce n’è uno che faccio da anni, ormai.”
“E che cosa riguarda? Se posso chiederlo.”
 
Neit esitò, ripensando a quando, a 12 anni, in una notte d’estate trascorsa a casa dei nonni a causa di un viaggio dei genitori, era stato trovato da Gwendoline raggomitolato sul divano e aveva finito per raccontarle tutto. Non l’aveva mai più fatto da allora, e l’unica persona a cui l’aveva mai raccontato, a parte la nonna, era stata Clio.
 
“E’ un sogno strano. Non sono me stesso, è come se fossi un animale che va a caccia, di notte. E quando raggiungo ciò che cerco, mi accorgo che non è un altro animale, ma un fiore. Una rosa, che lacero e distruggo.”
“Una rosa?”
“Sì. Una rosa rossa, ma che diventa sempre più pallida fino a sbiancarsi completamente. A quel punto, di solito, mi sveglio.”
 
Caroline sbuffò prima di borbottare che la colpa era senza dubbio di quell’assurda faida che intercorreva tra la loro famiglia e i Saint-Clair da anni, e rivolse un sorriso gentile al cugino prima di prendergli una mano, ribadendo il suo consiglio di provare a prendere qualcosa per aiutarsi a dormire.
“Riposare è importante Neit… una mente riposata dà il meglio di sé, e la tua ha troppo potenziale perché vada sprecato perchè non dormi bene.”
 
Neit si sentiva tessere lodi per il suo intelletto fin dalla tenera età, da prima di andare ad Hogwarts, ma ricevere quel complimento da parte della cugina lo fece sorridere con leggero imbarazzo, ringraziandola con un lieve mormorio.
 
Talvolta Neit si era chiesto se quel sogno non avesse davvero a che fare con la sua famiglia e con i Saint-Clair, magari con la morte di Rodulphus stesso… ma ogni volta in ui quel pensiero lo sfiorava il mago lo scacciava, deciso a non pensarci.
 
*
 
L’orologio a pendolo segnò le 17.15 mentre Elizabeth-Rose, con una calma assoluta, si versava del thè nella tazza di porcellana con un motivo floreale dipintoci sopra. La strega guardò il liquido ambrato scivolare dalla teiera alla tazza sollevando del vapore caldo che le solleticò il naso, e sorrise mentre prendeva la tazza con delicatezza, come sua madre le aveva insegnato.
Avvicinò la preziosa stoviglia al viso, dandosi un istante per gustarsi il profumo della sua bevanda calda preferita, e stava per prendere un sorso di thè quando, all’improvviso, la calma si spezzò: all’improvviso la strega udì la voce di suo padre dalla stanza accanto, segno che Theseus si era notevolmente alterato, Phobos, acciambellato accanto a lei sul divanetto, si svegliò di scatto e così anche Jeremy dal suo trespolo, iniziando a gracchiare a più non posso.
 
“MA INSOMMA!”
Elizabeth abbassò la tazza di scatto, scocciata per aver visto il suo momento preferito della giornata andare in frantumi, e sospirò con impazienza quando il Crup e lo Kneazle che suo fratello aveva portato a casa per curare due giorni prima sfrecciarono nella stanza, agitati dal baccano che proveniva dalla stanza accanto.
“Chi osa disturbare il mio thè?! WINNIE!”
 
L’Elfa apparve nella stanza un attimo dopo, riservando alla padroncina un’occhiata adorante con gli enormi occhi verdi:
 
“Sì, Signorina?”
“Si può sapere con chi sta urlando mio padre, di grazia?”


“Col Signor Riocard, Miss.”
Elizabeth sbuffò, borbottando che gli uomini sapevano solo essere d’intralcio prima di alzarsi e informare l’Elfa che avrebbe preso il thè di sopra, in camera sua.
 
“Ma Miss, la Signora non gradirà!”
“Con la Signora ci parlerò io, mi basterà dirle quanto costa quel thè nero aromatizzato con arance italiane e cannella dello Sri Lanka e capirà. Phobos, vieni.”
 
La strega si alzò e fece un cenno alla volpe prima di lisciarsi la gonna del vestito grigio-azzurro che indossava, fare il giro del tavolino da caffè e dirigersi a passo di marcia verso la porta della stanza con Winnie e il vassoio con tazza, teiera e pasticcini al seguito.
 
La ragazza era quasi giunta al piano superiore quando la porta dello studio del padre si aprì con violenza, e la strega si fermò sul penultimo gradino, Winnie e Phobos al seguito, appena in tempo per guardare suo cugino attraversare l’atrio a passo di marcia mentre s’infilava il cappotto.
“Ric!”
Lo chiamò, ma Riocard non la sentì – o non volle farlo – e uscì senza voltarsi indietro, lasciandola più confusa che mai mentre si rivolgeva al padre, che era appena uscito dallo studio passandosi una mano tra i capelli rossi riccioluti:
 
“Papà, che cosa succede?”
“Niente Liz, sta tranquilla. Solo un diverbio tra me e tuo cugino.”
“Ma tu e Ric non litigate, mai.”
“Tutti discutono, Lizzy. Anche io e Rod non eravamo soliti litigare, ma ogni tanto capitava, è normale.”
 
Elizabeth avrebbe voluto ricordargli che l’ultima volta in cui lui e lo zio avevano discusso era stato due giorni prima che l’allora capofamiglia morisse, ma Theseus non gliene diede modo, tornando nel suo studio, dove lei non aveva mai il permesso di mettere piede.
“Sai Phobos, di questo passo penso proprio che tu, Deimos e Tommy resterete gli unici uomini della mia vita. Andiamo Winnie.”
 
*
 
“Bouchard-Saint-Clair, hai una visita.”
“Sono impegnato!”
 
Ambrose scosse il capo mentre sfogliava con impazienza dei fascicoli, cercando la vecchia intervista di cui aveva bisogno per completare il suo articolo, in piedi davanti alla sua scrivania.
Il suo superiore però, per una volta, parve quasi infastidito di vedere il ragazzo al lavoro, lisciandosi i baffi con un leggero sbuffo:
“Io non ho nessuna intenzione di contraddire il futuro Ministro della Magia, Ambrose, pensaci tu se vuoi.”
 
A quelle parole il rosso alzò lo sguardo di scatto, intenzionato a chiedere perché suo cugino fosse in redazione di sabato, ma il suo capo si era già allontanato senza fornirgli ulteriori spiegazioni, costringendolo ad abbandonare le sue ricerche.
Trovò Riocard in piedi nella sala d’attesa, e al giornalista ci volle un solo istante per capire che il cugino era irrequieto, a giudicare da come non riusciva a stare fermo e si toccava nervosamente i capelli rossi.
 
“Ric, che succede?”
“Ho discusso con lo zio, prima. Ho bisogno di un po’ di compagnia.”
“Mi piacerebbe, ma sto lavorando…”
 
Ambrose tentennò, combattuto tra il senso di responsabilità e quello di approfondire la questione col cugino, ma non fece in tempo a dire altro: Riocard gli mise una mano sulla spalla e si rivolse alla segretaria seduta alla scrivania davanti all’ufficio del capo redattore aggrottando la fronte:
 
“Ho bisogno di mio cugino per un po’, è un problema?”
“Non penso che il signor Burke gradirebbe, Signore…”
 
“Gli dica pure che riguarda il signor Ministro. Non penso che avrà da obbiettare. Vieni Ambrose.”
“Sei diabolico, lo sai?”
Nonostante tutto, Ambrose non riuscì a trattenere un sorriso mentre appellava cappotto e cappello e usciva dalla redazione insieme al cugino, che però si strinse nelle spalle, serafico:
“Il fatto che mio padre sia stato nominato Ministro al posto di Edward Cavendish mi ha provocato solo noie. Per una volta, tanto vale approfittarne.”
 
*
 
Clio sedeva al bancone su un alto sgabello rivestito di cuoio, e stava sorseggiando il secondo boccale di “Burrobirra alla Clio” mentre si dedicava alla scrittura.
“Non pensi di approfittare un po’ troppo della generosità e dell’affetto smisurato che tio fratello nutre per te, Clio?”
“Questa bevanda porta il mio nome, mi sembra più che opportuno che io non debba pagarla, visto che i guadagni che ci fai sono merito mio! Anzi, potrei anche chiederti una percentuale!”
Clio rivolse un sorriso allegro al fratello minore, ed Egan alzò gli occhi al cielo mentre faceva pulire i bicchieri da alcuni strofinacci incantati.
 
Il ragazzo stava versando dell’idromele quando, sulla soglia, scorse le ultime persone che si sarebbe mai sognato di vedere nel suo pub – dopo i suoi genitori, probabilmente –: Ambrose e Riocard Saint-Clair.
Lo stesso Riocard Saint-Clair che gli nascondeva i vestiti in dormitorio, quello con cui aveva sfiorato più di una rissa e che lo evitava il più possibile fin da quando si erano diplomati.
 
Che mi venga un colpo, che cosa ci fa LUI qui?”
Egan sgranò gli occhi azzurri, chiedendosi se non avesse bevuto qualcosa di strano e fosse nel bel mezzo di un’allucinazione, e Clio si voltò seguendo il suo sguardo, incuriosita:
“Di chi parli? Per la sottana di Tosca, cosa ci fa LUI qui?”
“Me lo sono appena chiesto anche io, come faccio a saperlo?!”
Egan scoccò un’occhiata eloquente alla sorella, che gli fece la linguaccia mentre Ambrose e Riocard, parlottando animatamente, prendevano posto ad un tavolo.
 
“In tutto questo tempo giuro che non ha mai messo piede qui, mai.”
“Beh, non mi sorprende. Anzi, mi sorprendo che tu non abbia appeso foto segnaletiche con la sua faccia all’entrata!”


“Ezra lo aveva suggerito, ma Caroline asserì che visto il suo bell’aspetto di certo un sacco di streghe sarebbero venute per curiosità, e non voglio fare guadagni grazie alla faccia di Riocard Saint-Clair!”
“Certo, potrebbe rubarti lo scettro di più bella del reame…”   Clio soffocò una risata bevendo un sorso di Burrobirra, guadagnandosi un’occhiata torva da parte del fratello minore.
 
 
 
“Non sono molto convinto sul venire qui, sai?”
“Falla finita, sono due anni che cerco di portartici. Fidati, la Burrobirra con i chiodi di garofano ti piacerà da morire, ti conosco.”
“Non metto in dubbio la qualità del servizio, temo solo di essere affatturato mentre vado in bagno. Oh, Cavendish… E sua sorella.”
 
Lo sguardo di Riocard indugiò, per un istante su Clio, e il viso della ragazza divenne improvvisamente di un colore molto simile all’enorme stendardo di Grifondoro appeso dietro il bancone prima che la giovane distogliesse lo sguardo, così come lo stesso Riocard.
Il tutto sotto lo sguardo attento del proprietario del pub, che inarcò un sopracciglio e lanciò un’occhiata scettica alla sorella maggiore:
 
“Come mai sei arrossita?”
“Fa caldo!”
“Siamo a novembre, signorinella. E a meno che tu non abbia raggiunto un certo stadio della condizione femminile molto precocemente…”
“EGAN, ma cosa dici?!”
 
Il volto di Clio si imporporì ancora di più, e stava per colpire affettuosamente il fratello quando qualcuno alle sue spalle si schiarì la voce, interrompendoli:
 
“Chiedo scusa. Potrei avere due Burrobirre alla Clio, per favore?”
“Certo.”
 
Egan annuì e si dimenticò momentaneamente della sorella per servire Ambrose mentre, a qualche metro di distanza, Riocard guardava scettico una lupa dal folto pelo castano muoversi tra i tavoli:
 
“Ambrose, è normale che ci sia un lupo in questo pub, vero?”
“Sì, è normalissimo. Grazie.”
 
Ambrose lasciò un paio di Galeoni sul bancone, prese i boccali e si allontanò dopo aver rivolto un breve cenno educato a Clio per raggiungere il cugino.
“Ecco qui la tua Burrobirra alla Clio. Offro io oggi.”
Ambrose appoggiò i boccali sul tavolo prima di sedersi di fronte a Riocard, che aggrottò la fronte con sincera perplessità:
 
“Perché “alla Clio”?”
“Non ne ho idea, probabilmente alla sorella di Cavendish piace berla così. C’è anche “Whiskey Incendiario alla Neit” nel menù. Ha il peperoncino dentro, se non erro.”
 
“Non ci tengo a provarlo, preferisco preservare le mie papille gustative… Lizzy?”
“Che c’entra Lizzy?”
“C’è Lizzy, ecco cosa! Ma che ci fa LEI qui?”
 
 
“Permesso, scusate, devo passare… Già ubriachi a quest’ora? Andiamo bene… Salve. Tanto per chiedere, le volpi qui sono ammesse?”
 
Elizabeth giunse al bancone sotto gli sguardi attoniti di Clio ed Egan – che si domandarono cosa stesse accadendo quel giorno – e appoggiò un fagotto di sciarpe sul bancone senza battere ciglio, gli occhi azzurri fissi sul proprietario.
 
“Non ne sono certo, non mi è mai capitato che una volpe mi chiedesse da bere. Perché questa domanda, Signorina?”
Il bel volto di Egan, coperto da un considerevole strato di barba color rame, venne attraversato da un sorrisi sghembo mentre il ragazzo, guardando la sua inaspettata cliente con curiosità, si appoggiava al bancone con un gomito, sporgendosi leggermente.
“Perché ne ho una proprio qui, e sembra che non siano ammesse in nessun locale magico di Diagon Alley, roba da non credere! Così ho deciso di provare qui.”
Elizabeth si tolse i guanti e fece spallucce mentre sedeva – con un po’ di difficoltà a causa del suo vestito – su uno sgabello, e il musetto di Phobos fece improvvisamente capolino da una specie di fagotto che la strega stringeva, guardandosi intorno e annusando l’aria con curiosità.
Clio si stava dedicando alle avventure del suo amato protagonista, ma la sua attenzione venne inevitabilmente attratta dall’animale, lasciandosi sfuggire un gridolino di sorpresa:
 
“Cielo, ma è carinissima! Posso accarezzarla?”
“Non è molto socievole, ma se glielo permette certo che sì. Posso avere la Burrobirra dell’altra volta, per cortesia?”
 
“Che ti dicevo sui guadagni che ti faccio fare? La Burrobirra con i chiodi di garofano è una mia idea.”
Clio si avvicinò ad Elizabeth-Rose e sorrise con orgoglio prima di allungare timidamente una mano verso Phobos, che l’annusò con attenzione ma non si scostò, permettendole di grattargli la testa.
 
“Che bella, come si chiama?”
“Phobos.”
“Ma è così carino, come mai questo nome?”
Clio guardò la più giovane con sincera perplessità, sgranando gli occhi chiari, e Egan inarcò un sopracciglio mentre riempiva un boccale di Burrobirra per la ragazza, annuendo:
“Sì, che nome insolito.”
“Beh, a me piaceva, mia cugina è appassionata della cultura greca e mi aveva appena raccontato di Phobos e Deimos, i figli di Ares e Afrodite… la mia altra volpe si chiama Deimos. Anche se l’ho chiamata così un po’ per via di mia madre, che quando la vide asserì che avrebbe portato solo devastazione in casa.”
Elizabeth si strinse nelle spalle e sfoderò un debole sorrisetto divertito nel ricordare la reazione della madre – che aveva inveito contro il marito per aver portato un’altra volpe in casa loro – mentre Clio ridacchiava, asserendo che casa sua doveva essere un posto pieno di quiete se paragonata alla loro, con tre lupi che ci vivevano.
 
 
“E se le dicessi che non sono ammesse le volpi?”
Egan sorrise, divertito, ma Elizabeth-Rose, serissima, aggrottò la fronte e sollevò una mano, indicando Herbst che stava annusando un bicchiere vuoto che si era rovesciato su un tavolo.
Chiedo scusa, quello per caso è un lupo?”
“Una specie.”
“Allora la mia piccola volpe è più che ammessa, direi. Le spiace se resto qui?”
 “Ma ci sono i suoi cugini…”
La strega si rivolse a Clio, seduta accanto a lei con i suoi appunti, e la bionda a quella domanda aggrottò la fronte e accennò a Riocard ed Ambrose, ma Elizabeth fece spallucce e sembrò non farci caso, liquidando il discorso con un semplice gesto della mano perfettamente curata:
 
“Li ho visti, ma staranno parlando di cose segrete di uomini, quei due hanno un rapporto troppo esclusivo per includere chiunque altro. Li saluterò dopo.”
 
 
 
“Tranquillo Ric, non penso che Egan Cavendish ucciderà nostra cugina, Liz sa cavarsela. Allora, mi vuoi dire che cosa è successo con lo zio?”
“Gli ho detto che non voglio sposare Caroline Cavendish. E lui non è d’accordo con me. Non era mai successo, credo…”
 
“Lo zio è testardo, ma capirà. È la tua vita, no?”
“La mia vita, ma che va ad influenzare tutta la famiglia… e qui si tratta sempre della famiglia, alla fine. Lo zio dice che potrebbe aiutarci a capire chi ha ucciso mio padre avvicinarci a quella famiglia, più darci la soddisfazione di toglierli anche la loro casa, oltre che la parte più importante della loro eredità. So che ha ragione. Ma non è quello che voglio io. Sarò un pessimo politico, non è vero?”
 
Riocard lanciò un’occhiata grave al cugino, che però scosse il capo e gli rivolse un sorriso incoraggiante:
“Sarai un politico eccezionale, con i mentori che hai avuto e il tuo cervello. Non ti preoccupare, Ric. Ma qui si parla anche della tua vita, è normale che tu sia indeciso.”
“Mi sento in colpa, perché voglio DAVVERO scoprire chi ha ucciso mio padre. Voglio davvero fargliela pagare, non sai quanto. E forse non sto facendo tutto il necessario perché ciò accada… avrei la possibilità di farlo, probabilmente, erediterei una casa enorme in piena Londra e sposerei una ragazza bellissima. Che cosa potrei volere di più, in teoria?”
 
“Ma c’è qualcosa che ti frena.”
“Già. E non si tratta solo del fatto di sposare una Cavendish, di legarmi a loro, e una ragazza che non amo, in ogni caso… zia Gwen mi ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere molto.”
“Che cosa?”
 
Ambrose aggrottò la fronte, curioso, ma Riocard scosse il capo con vigore, serio in volto, deciso a non farne parola con cugino:
 
“Meglio che lo sappiano il minor numero di persone possibile, Ambrose. Ti basti sapere che è qualcosa di importante. E ti prego, tieni il tuo naso da giornalista fuori da questa storia, l’ultima cosa che voglio è farti passare dei guai per i miei casini. Intesi?”
 
 
*
 
Ezra stava osservando il composto su cui stava lavorando con un’attenzione quasi chirurgica quando sentì un paio di braccia cingergli la vita, e un istante dopo una voce dolce, vellutata e piuttosto nota gli solleticò l’orecchio destro:
“A cosa lavori, Nicholas Flamel?”
“Tu ridi e scherzi, sorellina, ma un giorno potrei diventare bravo tanto quando lui.”
 
Ezra sorrise appena mentre appoggiava i suoi strumenti, e Caroline sorrise prima di dargli un bacio su una guancia e asserire di non nutrire alcun dubbio a riguardo.
“Tu e Neit siete le persone più brillanti che conosca. So che il mio fratellino farà molta strada, e nessuno sarà più orgoglioso di me.”
 
Caroline sorrise mentre faceva il giro del tavolo cosparso da libri e provette dove il fratello stava lavorando, osservando il tutto con curiosità.
Da anni ormai la biblioteca di casa era a particolare uso di Ezra e dei suoi esperimenti: il padre non era un gran lettore, e lei era sempre più che felice di leggere altrove per lasciarlo lavorare in pace, così come Penelope, che dopo aver fatto di tutto per dare ai suoi figli la migliore istruzione possibile era più che fiera dei risultati ottenuti dal suo unico figlio maschio.
 
“A cosa lavori? Qui vedo un tale mix di cose…”
“Beh, prima ho tradotto un paio di testi scritti in Rune, all’ufficio quando sono disperati chiedono a me. Non è propriamente il mio lavoro, ma sai che mi diverte. E una mente allenata è la mente più produttiva. E lì ho ultimato della Felix Felicis e dell’Amortentia, me l’hanno commissionata degli Indicibili.”
“Non sanno che al Ministero ci sono i Pozionisti per queste cose?”
“Chiaramente, ma sanno anche chi è il migliore.”
Ezra sorrise e si strinse debolmente nelle spalle con aria compiaciuta prima di tornare a ciò che stava facendo. Almeno finchè non si accorse, dopo un paio di istanti, che la sorella lo stava ancora osservando con un sorriso pieno d’affetto sulle labbra rosee.
 
“Che cosa c’è?”
Ezra inarcò un sopracciglio mentre abbassava la lente e sollevava di nuovo la testa, guardando la ragazza scuotere debolmente il capo senza smettere di sorridere:
“Niente. E’ solo che a volte ti guardo eccellere in tutto ciò che fai, e se da una parte mi sento piena di orgoglio, dall’altra a volte vorrei essere intelligente quanto lo sei tu.”
“Caroline, c’è qualcosa dove non potrò mai, mai superarti. Tu sai amare e farti amare in un modo che a me è totalmente sconosciuto. Io avrò molto cervello, certo… ma ogni cosa si può imparare. Avere tutto il cuore che hai tu, quello no, non si impara. Sei il genere di persona che prova pena per qualsiasi essere vivente soffra, non augureresti il peggio neanche al tuo peggior nemico. Tu passi parte del tuo tempo libero ad inventare storie che leggi a dei bambini. Non hai niente da invidiare a me, fidati.”
 
Caroline sorrise alle parole del fratello e di fronte ad una delle sue rare manifestazioni d’affetto, e annuì, rincuorata e grata per le sue parole, prima di prendere la fiala di Felix Felicis:
“Potrei anche approfittare del genio di mio fratello per farmene fare un po’, mi servirebbe un po’ di fortuna, di questi tempi. E questa cos’hai detto è, il filtro d’amore?”
“Sì, occhio con quella, è molto potente. Non vorrai mica innamorarti di tuo fratello per sbaglio, vero?”
Caroline appoggiò la fiala sul tavolo e prese l’altra, grande quasi quanto una bottiglia, con un sorriso, osservando il fratello con aria divertita prima di stapparla.
“L’amore non può essere creato, Ezra. Nemmeno il più grande Pozionista o Alchimista mai esistito ci riuscirà mai.”
“E’ una sfida, per caso?”
“Forse. La cena è alle sette, comunque, e nostra madre pretende puntualità. Ora ti lascio ai tuoi passatempi… Ma prima, ammetto di essere un po’ curiosa.”
La strega avvicinò leggermente il naso alla fiala per poi ritrarsi dopo un paio di istanti, sfoggiando una smorfia mentre si affrettava a richiuderla e a rimetterla al suo posto:
 
“Merlino, non capisco perché ha sempre quest’odore terribile… è troppo forte per i miei gusti, sei sicuro che sia preparata nel modo giusto?”
“Caroline Penelope Cavendish, hai idea di quanto questa domanda mi stia offendendo, vero?”
 
Caroline ridacchiò, mandò un bacio al fratello e lo superò per lasciarlo lavorare in pace, come sempre. Si era appena chiusa la porta della biblioteca alle spalle quando sospirò, rabbuiandosi leggermente: non nutriva alcun dubbio sul talento di Ezra, e sapeva che tutte le Pozioni che preparava erano sempre perfette. Così come sapeva quale fosse quell’odore che lei non poteva sopportare, ma che invece qualcun altro di sua conoscenza apprezzava particolarmente.
 
*
 
“Buonasera Signor Selwyn… per caso le è arrivato ciò che cerco?”
Colleen si piazzò davanti alla cassa del Ghirigoro sfoggiando il suo sorriso più smagliante, ricevendo un’occhiata quasi esasperata dall’anziano mago occhialuto in piedi dall’altra parte del bancone.
 
“Sì, Signorina Saint-Clair… Sa, lei è l’unica che mi costringe ad ordinare libri Babbani, qui. Perché non li acquista in librerie Babbane, se posso chiederglielo?”
“Lo farei con grande piacere, Signore, ma sa, non posso pagare i Babbani con galeoni o falci… e le signorine come me non sono ben viste alla Gringott per effettuare dei cambi di valuta, come saprà.”
 
Il sorriso adorabile di Colleen non vacillò, e il librario non poté far altro che alzare gli occhi al cielo prima di porgere alla strega un libro ancora incartato. La giovane aveva appena pagato, e stava per uscire dalla nota libreria di Diagon Alley quando, allontanandosi dalla cassa, un mago a lei noto entrò nel negozio facendo tintinnare il campanello.
Colleen si fermò d’istinto, il libro stretto al petto dalle mani guantate, e riservò un’occhiata sinceramente stupita al più grande tra i suoi cugini, in piedi proprio davanti a lei:
 
“Thomas! Buonasera… che cosa ci fai qui?”
“Buonasera Colleen… Mi hanno chiamato in clinica per un’emergenza, stavo tornando a casa e ti ho vista dalla vetrina. Ho pensato di venirti a salutare. Che cosa hai preso?”
“Sonetti. Shakespeare. Roba Babbana.”
 
Colleen parlò in un soffio, stringendo il libro e guardando il cugino abbozzare un sorriso, complimentandosi con lei per la scelta.
C’era una cosa che avrebbe voluto chiederle, ma esitò. Gli sembrò quasi di udire la voce della sorella minore suggerirgli che un’occasione del genere non gli sarebbe mai più capitata, molto probabilmente, e il mago si affrettò a schiarirsi la voce e a riprendere il discorso:
 
“Direi che non è il caso che tu torni a casa da sola, ti accompagno. Ma visto che non è ancora ora di cena… Posso offrirti una cioccolata calda?”
“Non direi mai di no alla cioccolata calda, Thomas. Grazie.”
 
Un caldo sorriso gentile incurvò le labbra della strega, e Thomas poté quasi sentire il suo stomaco capitombolare mentre, sorridendo, le porgeva il braccio.
“Seguimi, allora.”
 
Mentre uscivano ebbe come l’impressione che il librario gli avesse strizzato l’occhio e fatto un cenno d’incoraggiamento con la mano, ma non ne fu del tutto certo.
 
*
 
“Come mai se lo è portato dietro?”
“Non amo andare in giro da sola, e quando sono uscita di casa era già buio. Di norma avrei chiesto a mio fratello di accompagnarmi, ma era impegnato e non ho voluto disturbarlo. Lei perché tiene quel lupo mentre lavora?”
 
“Abbiamo un rapporto… simbiotico, si può dire. Herbst non sa stare senza di me a lungo e viceversa.”
Egan sorrise, e il suo sguardo indugiò, per un istante, sulla lupa mentre Elizabeth, seduta al bancone, accarezzava distrattamente il pelo nero di Phobos.
 
“Gli animali sono meravigliosi… danno un affetto smisurato. Più dei miei cugini, in effetti.”  La strega sbuffò piano mentre si voltava verso Ambrose e Riocard, ancora intenti a discutere.
Clio se n’era andata poco prima in compagnia di Neit, che era andato a prenderla, ed Egan si sfilò il grembiule color bronzo con una scrollata di spalle, pronto ad imitare la sorella:
“Se sta aspettando che finiscano per andare a casa con loro, penso che ne avranno ancora per parecchio.”
“Pazienza, aspetterò. Avevo voglia di uscire di casa, mio padre era intrattabile e mia madre anche di conseguenza, e visto che sono capitata nel loro stesso posto ne approfitterò per farmi accompagnare a casa. Tanto qui non chiude, no?”
 
“E’ sabato, staremo aperti ancora per diverse ore, non c’è pericolo. Io però oggi stacco prima, mia madre reclama la mia presenza per una cena di famiglia, temo.”
Egan stava per chiamare Herbst e accingersi a lasciare il Goblin Ubriaco prima del dovuto, suo malgrado, per andare a casa e cambiarsi prima della cena a casa degli zii, ma esitò e si voltò di nuovo verso la strega prima di farlo:
 
“Se non le va di aspettare oltre, posso farlo io.”
“Cosa, accompagnarmi a casa?”
Elizabeth strabuzzò gli occhi, più confusa e stupita che mai, ma il ragazzo annuì sfoderando un altro dei suoi sorrisi sghembi:
“Sì. A meno che suo padre non abbia disseminato trappole anti Cavendish in giardino, ovviamente.”
“Non che io sappia, no. Ha solo assolto dei cecchini, ma col buio non dovrebbero vederla… i capelli li tradiranno, passerà per uno dei miei cugini.”
La strega si strinse nelle spalle mentre i lasciava scivolare giù dallo sgabello, e gli occhi azzurri di Egan ebbero un guizzo divertito mentre degli strofinacci prendevano a lucidare il bancone di legno:
“Quindi è sicura che non rischierò la vita più io a scortarla fino a casa che lei a tornarci da sola?”
“Lo giuro sulla mia scorta di thè. E badi, io sul thè non scherzo mai.”
 
*
 
“Grazie per essere passato!”
“Non mi devi ringraziare, mia sorella non va in giro per Londra da sola col buio.”
Clio rivolse un sorriso allegro al gemello mentre camminava sul marciapiede accanto a lui, tenendolo a braccetto e dirigendosi insieme verso casa degli zii: solo pochi isolati separavano il Paiolo Magico dalla loro meta, e i due avevano deciso di fare una breve passeggiata invece di Smaterializzarsi.
 
“Come sei elegante! Sei felice di vedere gli zii, Ezra e Carol?”
“Certamente, per quasi tutti loro, anche se non posso dire di essere troppo entusiasta all’idea di vedere nostro zio.”
“Lo so… anche la mamma ce l’ha un po’ con lui per la storia di Caroline, ma papà dice che è la cosa migliore, e lei non si metterà mai contro di lui. Non ho più visto Caroline dal compleanno della nonna, e tu?”
“Nemmeno io. Non ho avuto molto tempo, questa settimana.”
 
Clio rivolse un’occhiata in tralice al fratello, dubbiosa e cogliendo un piccolo cambiamento nell’espressione del ragazzo. Si trattò solo di un misero istante, ma la strega lo conosceva fin troppo bene per farsi trarre in inganno.
“Non hai avuto tempo o non l’hai voluta vedere dopo la festa, per qualche motivo?”
“Non essere sciocca Clio, sai che le voglio bene e che sono sempre felice di vederla.”
 
Clio non replicò di fronte al tono pacato e inespressivo del fratello, ma non poté fare a meno di notare come Neit procedesse col suo solito passo calmo ed elegante, la schiena perfettamente dritta e un portamento che lei non avrebbe mai potuto vantare, ma senza guardarla.
“Se lo dici tu…”
 
Neit non rispose e non accennò ad abbassare lo sguardo, ma ripensò ancora una volta alle parole pronunciate dai fratelli dopo il compleanno della nonna, la settimana prima.
Avrebbe dovuto invitare sua cugina a ballare?
E perché non lo aveva fatto?
 
Ma soprattutto, temeva più di ogni altra cosa di averla offesa, non facendolo.
Non era sua abitudine offendere la gente, men che meno le persone a cui era affezionato. E l’idea di poter offendere proprio sua cugina, forse la persona più dolce che conoscesse dopo sua sorella, non lo faceva sentire affatto bene.
 
*
 
“Forse c’era DAVVERO qualcosa di strano nelle nostre Burrobirre, abbiamo davvero visto Elizabeth andarsene con Egan Cavendish?”
“Ambrose, via, smettila di dirlo, gli occhi hanno preso a sanguinarmi quando me ne sono accorto!”
 
“In effetti ha sempre avuto fiumi di ragazze attorno, anche a scuola… grazie al cielo mai le mie sorelle.”
Ambrose piegò le labbra in una smorfia, quasi rabbrividendo all’idea mentre Riocard sbuffava, camminando con le mani sprofondate nelle tasche e asserendo che di certo la loro comune cugina non si sarebbe mai interessata ad Egan Cavendish.
“Tu invece? Non ho potuto fare a meno di notare la reazione strana che ha avuto sua sorella, quando ti ha visto.”
“Non so di cosa parli, Ambrose. Al massimo sarà stata disgustata di vedermi, visto quanto la sua intera famiglia mi trova ripugnante.”
“Penso che nessuna donna al mondo potrebbe trovarti ripugnante. Mia madre lo dice sempre: tre cose sono di famiglia, i capelli rossi, la cocciutaggine, e il bell’aspetto. Noi non facciamo eccezione, modestamente.”
Ambrose diede una pacca sulla spalla al cugino e ridacchiò, strappando al coetaneo un debole sorriso prima che Riocard si schiarisse la voce, ringraziandolo per avergli tenuto compagnia ma ribadendo che non doveva fare la strada fino al cancello di casa insieme a lui per forza.
 
“Sei impazzito, Ric? Sei un carico prezioso, devi accompagnarti da bravo gentiluomo quale sono, in caso non lo facessi e dei malintenzionati ti attaccassero non me lo perdonerei mai.”
“Mi hai preso per una fanciulla, per caso? Idiota..”
 
*
 
“Bella casa.”
“Grazie. Purtroppo per volere degli Auror siamo pieni di incantesimi di protezione e non ci si può Materializzare a meno di 1 km dai confini della tenuta.”
Elizabeth sospirò stancamente mentre Phobos le trotterellava accanto ed Egan osservava il profilo dell’enorme residenza situata nel bel mezzo della campagna del Derbyshire con curiosità, rendendosi conto di non averla mai vista prima.
Doveva ammettere che, all’improvviso, le parole di suo nonno sul capitale economico dei Saint-Clair acquisivano un certo significato.
 
“Beh, grazie per avermi accompagnata. Arrivederci, Signor Cavendish.”
Elizabeth, giunta davanti ai cancelli in ferro battuto della tenuta, superò il ragazzo e si diresse verso l’ingresso con gli occhi di Egan puntati addosso. Occhi che si spalancarono quando il mago venne colto da un’improvvisa consapevolezza:
 
“Signorina, lei deve pagare!”
“Oh, davvero? Che sbadata sono… sarà per la prossima volta! Vieni, tesoro.”
Elizabeth rivolse un cenno a Phobos, che la seguì mentre la strega, senza voltarsi, sollevava una mano per rivolgere un saluto al mago, che la guardò oltrepassare il cancello – che si aprì grazie ad un suo incantesimo – finchè la sua figura esile non sparì in mezzo all’oscurità.
A quel punto Egan, le mani nelle tasche e Herbst accanto, sorrise e scosse il capo, divertito.
 
“E’ proprio un tipo strano, vero Herbst? Forza, se facciamo tardi dovrò sentire mia madre.”
Come sempre, l’enorme lupa rimase perfettamente immobile e permise al padrone di montarle in groppa, conducendolo rapidamente al confine delle barriere di protezione per Smaterializzarsi nuovamente a Londra.
 
*
 
“Neit, passami il sale, per favore.”
Sentendosi chiamare dalla voce di Robert Neit s’irrigidì, ma non si mosse e non alzò lo sguardo dal suo piatto di zuppa finchè la voce della madre non lo riportò alla realtà:
“Tesoro? Tuo zio ti ha chiesto di passargli il sale.”
Il mago strinse le labbra e annuì, prendendo la saliera e passandola a Robert con una mala grazia che non gli si addiceva per nulla. Estelle seguì la scena quasi stentando a chiedere ai suoi occhi, e stava per chiedere al figlio se ci fosse qualcosa che non andava prima di cogliere lo sguardo di Clio che, seduta di fronte a lei, le fece un chiaro cenno di diniego col capo, convincendola a desistere.
 
“Tesoro, come stai? Scusa se alla festa della nonna non ti sono stata di grande compagnia, ma sai che non mi sento molto a mio agio in quelle situazioni… tu te la sai cavare molto meglio di me.”
Clio sorrise alla cugina, che ricambiò e le assicurò di non preoccuparsi:
“Ero sicura che ti saresti portata un libro da casa… Ma non avere pena Clio, i nostri fratelli mi hanno tenuto compagnia.”
“Sì, anche se ho personalmente fatto una ramanzina a Neit per non averti invitata a ballare, quella sera!”
Clio sfoggiò un adorabile broncio, lo stesso che riusciva a sciogliere il suo inscalfibile padre come neve al sole fin dai tempi dell’infanzia, ma Caroline scosse il capo e sfoderò lo stesso, pacato, sorriso di sempre:
“Non devi, se non l’ha fatto è perché non ne aveva voglia.”
 
“Sono sicura che non è così, Carol.”
 
*
 
“Lizzy, dove sei stata oggi pomeriggio?”
“A Diagon Alley, ho fatto un giretto.”
“E sei tornata a casa da sola? Potevi chiamarmi, sarei venuto a tenerti compagnia.”
Thomas rivolse un’occhiata sinceramente dispiaciuta alla sorella, che però gli sorrise con affetto e gli assicurò che aveva avuto comunque compagnia, alzandosi dal divano prima di scoccargli un bacio su una guancia e allontanarsi con aria allegra.
 
“Liz, e con chi eri? LIZ! Non farmi fare il fratello maggiore geloso, sai che non mi riesce bene!”
“Allora non farlo! Buonanotte, ti voglio bene!”
Elizabeth gli rivolse un cenno della mano senza voltarsi e Thomas, aggrottando la fronte, si rivolse a Jeremy, appollaiato come sempre sulla sua spalla:
“Jem, che ne pensi? Non essere ridicolo, Lizzy non ha un ragazzo, me lo direbbe, lei mi dice sempre tutto! Ah, ma che ne vuoi sapere tu, sei un pennuto.”
 
 
*
 
 
“Sei arrabbiato con mio padre?”
“Ad essere sincero sì.”
 
Neit prese il mantello che l’Elfo Domestico gli porse e Caroline, che si stringeva uno scialle di cashmere rosa antico sulle spalle, lo guardò spalancando gli occhi azzurri:
“Problemi al Ministero?”
“No Carol, non riguarda il Ministero.”
“E allora che cosa?”
 
“Non mi ha reso felice la decisione che ha preso. E come si comporta nei tuoi confronti.”
Questa volta il mago si voltò e guardò la cugina dritto negli occhi, guardandola ammutolire più serio che mai.
“Oh. Beh… non rende felice nemmeno me, e nemmeno Riocard. Ma non c’è molto che io possa fare, penso.”
“Meriti di meglio che essere trattata come merce di scambio, Caroline. Da quando lo chiami “Riocard”?”
Il bel volto di Neit presentava spesso un’espressione accigliata, e in quel momento la fronte del mago si fece ancor più aggrottata del solito, guardando la cugina quasi con aria inquisitoria e rendendole molto difficile sostenere il suo sguardo.
“E’ il suo nome.”
“Già, certo. Buonanotte Caroline, spero di vederti presto.”   
 
Prima di darle il tempo di dire altro il ragazzo le prese una mano, ci depositò un rapido bacio sul dorso pe infine si voltò, seguendo Egan fuori dalla porta d’ingresso dopo aver rivolto un rapido saluto anche ad Ezra e a Penelope.
Caroline non si mosse, impietrita e leggermente sconcertata dalla rapidità con cui il cugino si era congedato, guardandolo uscire di casa senza riuscire a chiedergli di non farlo.
 
*
 
“Allora, dimmi, che cosa hai fatto oggi?”
Clara, stesa sul letto della sorella minore con un cuscino stretto tra le braccia e la camicia da notte già addosso, guardò Colleen infilarsi sotto le coperte dopo essersi accuratamente legata i capelli rossi in una treccia.
La minore delle sorelle Bouchard-Saint-Clair si strinse nelle spalle mentre si appoggiava comodamente ai cuscini del letto a baldacchino, asserendo di non aver fatto nulla di speciale.
 
“Beh, sei andata a trovare zia Gwen insieme alla mamma, no? Però lei è tornata senza di te, tu che cosa sei andata a fare?”
“Sono andata al Ritz con Helena e Margaret… e poi sono andata al Ghirigoro, niente di speciale. Come mai sei così curiosa?”
“Non saprei, forse sto diventando un vecchia zitella annoiata che si interessa alla vita altrui… Come stanno le ragazze?”
 
“Molto bene, ti salutano.”  Colleen sorrise, pensando con affetto alle sue ex compagne di Casa e migliori amiche mentre la maggiore aggrottava la fronte, perplessa:
“La mamma è tornata molto prima di te però… Quanto ci sei rimasta, al Ghirigoro?”
“Un po’, avevano un sacco di nuovi libri, ci dovresti andare. Ho incontrato Thomas e mi ha chiesto se poteva offrirmi una cioccolata calda, ecco perché ho tardato un po’…”
 
“CHERRY, ti rendi conto di aver omesso un dettaglio fondamentale, vero?! Beh, raccontami. Cioccolata calda, eh? Nostro cugino è proprio fantastico. Non trovi anche tu? E’ anche molto carino.”
Clara sorrise alla sorellina, gli occhi color cioccolato che condividevano luccicanti mentre Colleen, invece, arrossì e balbettò qualcosa:
“Ma è… ma è nostro cugino!” 
“E allora? L’imperatore Francesco Giuseppe sposò sua cugina Elisabetta. Per non parlare della Regina Vittoria, sai che suo marito era suo cugino di primo grado?”
“In effetti non lo sapevo… ma non è un po’ strano?”
“Forse un po’, ma la mamma dice che per noi inglesi queste cose sono pane quotidiano, quindi… Forza, raccontami.”
 
*
 
“Hai dormito bene?”
“Mai così bene.”
Sorrise, e quando la sua mano gli sfiorò il viso chiuse gli occhi, godendosi la delicatezza di quel tocco come meglio poteva.
 
“Te l’avevo detto, bastava prendere qualcosa. Non era difficile, ammettere di non avere sempre ragione.”
“Non ero in torto, e sai perché? Perché non ho preso nessuna pozione, quella di ieri era solo per alleviare il mal di testa. Sono certo di aver riposato bene per via della tua presenza.”
 
Neit aprì gli occhi, svegliandosi a causa di un movimento brusco fatto mentre dormiva. Per una volta però non si mise a sedere di scatto, e non aveva il respiro affannoso o la fronte sudata.
Intorpidito dal sonno e rilassato come lo era di rado quando gli capitava di svegliarsi, il mago si rigirò e affondò il viso nel cuscino, lasciandosi trasportare rapidamente di nuovo nel mondo dei sogni e desiderando ardentemente di tornarci al tempo stesso.
 
 
 
“Pensi che l’abbia capito? Mi sorprende, visto quanto è sveglio tuo figlio.”
“Di che cosa parli, Gwendoline?”
“Di Neit, cara Estelle. E del fatto che sia un veggente inconsapevole. Ne sono certa. E io non mi sbaglio mai.”
 
 
 
 
 
 
 
*finestra a golfo: la classica finestra per leggere che tutte noi vorremmo disperatamente a casa. E niente, ci ho messo interi anni di vita ma finalmente ho scoperto come si chiama.
 
 
 
 
………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Buonasera!
Perdonate immensamente la latitanza, ma questa settimana l’ispirazione è davvero mancata.
Questa volta non ho domande per voi, mi limito ad avvisarvi che il prossimo capitolo arriverà giovedì, visti i risultati di un sondaggio che ho messo su Instagram, così avrete un giorno in più per recensire, all'occorrenza… Nel frattempo, scusate ancora e buon inizio settimana, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci siano molti errori.
Signorina Granger

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Ricordi ***


Capitolo 9 – Ricordi
 
“Dove sei stata?”
Alexis sobbalzò udendo la voce del marito, e deglutì senza muovere un muscolo, in piedi davanti al camino del salotto di casa da cui era appena uscita grazie alla Metropolvere.
“Da Astrid, Rod. Che cosa fai qui?”
“Aspettavo che tornassi. Che cosa deve fare un marito quando sua moglie tarda a rincasare?”
Rodulphus si alzò lentamente dal divano, gli occhi azzurri fissi su di lei e più gelidi che mai, pronti a trapassarla da parte a parte.
Una lampada ad olio illuminava fiocamente parte del salotto e soprattutto la figura del padre di casa, che Alexis guardò avvicinarlesi senza che nessuna espressione particolare gli smuovesse il volto dai lineamenti marcati.
Un sorriso allegro, vivace, contagioso di solito lo illuminava, il sorriso che tutti amavano, che ispirava fiducia e affabilità. Ma in quel momento di quel sorriso non c’era traccia.
“Domani lo chiederò a Theo. Non prenderti gioco di me, Alexis. Mai.”
 
La donna non potè far altro che annuire, e lo guardò darle le spalle e allontanarsi senza emettere un fiato. Fu solo quando il marito ebbe lasciato la stanza che Alexis prese la lampada ad olio e la spense, facendosi luce con la bacchetta per andare in camera sua e coricarsi.
Si chiese per quanto tempo avrebbe pagato il prezzo dei suoi errori. Forse non avrebbe mai smesso di farlo.
 
*
 
Ancora a letto? Tesoro, forza, alzati!”
Alexis scostò le pesanti tende con un gesto deciso, scaturendo un sonoro sbuffo da parte del figlio, che si rigirò dall’altra parte borbottando qualcosa.
“Ric, ti aspetto per la colazione entro quindici minuti. Non fare tardi.”
“Perché le signore possono fare colazione a letto e gli uomini no, si può sapere?”
“Beh, voi avete il voto, noi la colazione a letto, mettila così.”


Alexis lasciò la stanza con un sorriso, e Riocard la seguì con lo sguardo senza imitarla, chiedendosi come facesse ad essere così serena mentre si metteva lentamente a sedere sul letto.
Il mago si voltò, guardando fuori dall’ampia finestra che occupava buona parte della parete della stanza, e un singolo sospiro lasciò le sue labbra.
E così quel giorno era arrivato. Di nuovo.
 
 
Un anno prima
 
“Come ti senti?”
“Secondo lei?”
Riocard parlò a bassa voce e senza guardare George negli occhi, George che sfoderò un sorriso bonario e gli mise una mano sulla spalla:
“So che giorno è, ragazzo. E credimi, il dolore non scemerà di anno in anno… però cambierà forma. Il dolore si può modellare, Riocard.”
 
“E come?”
“Puoi trasformarlo in qualcos’altro, qualcosa che vada a tuo vantaggio. Il dolore a volte si trasforma in desiderio di vendetta, in rabbia… in determinazione. Indirizzalo, sfruttalo. Tuo padre non tornerà da noi, Riocard, ma puoi fare in modo che il dolore che provi per la sua morte non sia vano.”
Riocard guadò l’anziano mago che aveva davanti e annuì, mormorando un assenso. Mai, in quel momento, seduto nel suo studio che ormai frequentava spesso, avrebbe immaginato che un anno dopo, a quell’ora, anche l’uomo che aveva di fronte non sarebbe più stato accanto a lui a guidarlo.
 
*
 
Per la prima volta, quella notte, la rosa non venne divorata.
Un solo, unico fiore svettava in mezzo alla brughiera deserta e buia, sotto al cielo stellato. Neit la raggiunse, e posò lo sguardo sullo splendido fiore che aveva davanti. Una bellissima, perfetta rosa bianca come non ne aveva mai viste prima, con il lungo gambo privo di spine.
Era così candida da dare la parvenza di brillare nel buio, ma quando le si avvicinò iniziò a mutare aspetto: senza che facesse alcunché, diversamente dal solito dove l’afferrava e la lacerava, i petali candidi del fiore iniziarono a tingersi di toni scarlatti finchè la rosa non divenne, da bianca che era, completamente rossa.
 
Neit si svegliò che era già mattina, con sua leggera sorpresa. Per un attimo ripensò al sogno che aveva fatto, stupendosi di come fosse mutato rispetto al solito. Si mise lentamente a sedere sul letto appena in tempo per udire sua madre bussare alla porta e informargli che la colazione stava per essere servita, ma il mago ci badò appena.
Non aveva mai cambiato sogno in quel modo, prima di allora, e si domandò che cosa potesse significare.
 
*
 
Edward stava in piedi, appoggiato alla sua scrivania, dando le spalle alla stanza e gli occhi fissi, invece, sulla finestra che aveva davanti, le man infilate nelle tasche dei pantaloni sartoriali che indossava.
Si era alzato e si era chiuso nel suo studio senza vedere nessuno, saltando la colazione e senza presentarsi al Ministero. Poco male, Theseus era solo felice di averlo intorno il meno possibile. E quello era un giorno particolare per entrambi.
La mano destra del mago si mosse quasi di propria volontà verso il terzo cassetto della scrivania, aprendolo e scostando lentamente tutto ciò che conteneva fino a raggiungere l’oggetto della sua ricerca. Un pezzo di carta ingiallito e piegato a metà che il mago prese e spiegò lentamente, ritrovandosi ad osservare una versione di se stesso più giovane di tre decadi e in compagnia di un sorridente ragazzo che gli teneva un braccio appoggiato sulle spalle.
 
“E così sono passati due anni, eh?”
Il mormorio di Edward ruppe il silenzio che era andato a crearsi nella stanza, e il mago ripensò al funerale del suo ex migliore amico, funerale a cui non aveva preso parte, considerato che tutta la famiglia de defunto Ministro lo riteneva responsabile dell’accaduto.
Edward avrebbe voluto urlare al mondo che non era stato lui, dire la verità, soprattutto a suo padre, che per quasi due anni lo aveva guardato dubbioso, forse chiedendosi se non fosse stato il suo stesso figlio ad uccidere il nipote acquisito.
Ma Edward non poteva dirla, la verità.
Ci aveva provato, qualche volta, prima della morte di Rodulphus, a dire la sua verità al padre, a spiegargli. Ma George non l’aveva mai voluto ascoltare.
 
Edward guardò il ragazzo che gli sorrideva, i capelli rossi – anche se dalla foto in bianco e nero non si potevano vedere – leggermente spettinati e l’aria spensierata. Guardò suo cugino, che per anni si era rifiutato di chiamare così, e il suo ex amico e si domandò quando aveva smesso di essere così. Quando era diventato molto diverso dal ragazzo sorridente che aveva di fronte.
 
“Suo padre vorrebbe che io sposassi Estelle Reynolds, sai? L’ha detto a tua madre ieri, e ha esteso la sua volontà anche a me, ieri.”
“Estelle?!”
Edward deglutì, stentando a credere alle sue orecchie, e guardò Rodulphus annuire mentre si versava del whiskey. Quando il cugino tornò a guardarlo, Rod sorrideva, un sorriso obliquo che Edward gli vedeva sempre più di frequente sul volto, negli ultimi tempi.
“Naturalmente non accetterò, sei mio cugino e so quanto Estelle ti piaccia…”
 
Il volto di Edward si rilassò, e il ragazzo distese le labbra in un sorriso: ma certo, per un attimo si era preoccupato per nulla. I Saint-Clair erano più ricchi, certo, ma se Rodulphus avesse declinato l’offerta di certo il padre di Estelle sarebbe stato ben felice di concedere la mano della figlia a lui.
 
“… a patto che tu faccia qualcosa per me, Ed.”
“Qualunque cosa per Estelle.”
 
Edward parlò senza esitazioni, e forse anche senza riflettere, e guardò il cugino fermare la mano che teneva il bicchiere a mezz’aria, esitando. Rodulphus lo guardò da sopra l’oggetto di vetro, e sorrise con un luccichio nelle iridi chiare.
“… Proprio qualunque?”
 
 
“Papà?”
La voce di Clio lo chiamò timidamente e l’uomo quasi sussultò, voltandosi verso la figlia:
“Sì, Clio?”
“La mamma vuole sapere se vuoi mangiare qualcosa, visto che non hai fatto colazione.”
“Sto bene, grazie.”
 
Edward tornò a guardare la foto che teneva in mano per un istante, poi la strappò a metà con un gesto deciso e ripose le due parti nel cassetto prima di chiamare la figlia, che stava per chiudere la porta:
 
“Clio? Vieni qui, per favore.”
La giovane sussultò ma obbedì, pregando di non aver fatto niente di sbagliato mentre raggiungeva il padre. Si fermò davanti alla scrivania, ma Edward scosse il capo e le fece cenno di avvicinarsi, così Clio aggirò il mobile e lo guardò, in attesa.
A quel punto, Edward fece l’ultima cosa che si era aspettata: allungò un braccio e l’attirò a sé, abbracciandola e appoggiando il mento sul suo capo.
Per un attimo la ragazza sentì il proprio corpo irrigidirsi, poco avvezza ad un gesto simile da parte di suo padre, ma ben presto si rilassò e si lasciò abbracciare, capendo che quell’abbraccio non era per lei, ma per lui.
 
*
 
“Portalo a tuo padre.”
Astrid consegnò alla figlia un vassoio con tazza, teiera piena di thè fumante, succo d’arancia appena spremuto, uova, bacon e un muffin ai mirtilli. Elizabeth lo prese aggrottando la fronte, e stava per chiedere alla madre se il padre non fosse malato (uniche occasioni in cui la moglie accettava che il marito facesse colazione in camera da letto) quando, all’improvviso, realizzò che giorno fosse.
La strega quindi si limitò ad annuire e a mormorare un assenso prima di dirigersi le scale con Phobos, Deimos e il vassoio preventivamente incantato al seguito. Le sembrò strano che Astrid avesse chiesto a lei di farlo, e non ad un elfo, ma si disse che magari la madre riteneva che il marito avrebbe avuto piacere nel vedere lei portargli la colazione.
“E’ permesso?”
Elizabeth bussò con delicatezza, e aprì una delle ante della doppia porta quando sentì la voce del padre invitarla ad entrare.
Le finestre erano chiuse, ma le tende erano già state tirate, e la stanza padronale era piena di luce. Da bambina Lizzy amava quella stanza e cercava sempre di intrufolarcisi per giocare o rotolarsi nell’enorme letto a baldacchino dei genitori, prima che la madre o una tata la cogliesse in flagrante e la portasse via prendendola per un orecchio.
“Ti ho portato la colazione.” Elizabeth, in piedi sulla soglia, sorrise al Ministro della Magia, e prese il vassoio prima di addentrarsi nell’ampia camera da letto. Phobos e Deimos la seguirono – di certo entrambi interessati al bacon –, ma Theseus non sembrò badarci e, ancora in pigiama e seduto contro la testata imbottita del letto, sorrise con affetto alla ragazza.
 
“Quale onore.”
“Così ha voluto la signora madre. Ecco.”   Lizzy appoggiò il vassoio davanti al padre prima di sedersi sul morbido materasso, intimando alle due volpi di non azzardarsi a saltare sul letto con un’occhiata severa per poi sorridere al padre:
 
“Come stai?”
“Considerando che la prima persona che vedo oggi è la mia splendida figlia che mi porta la colazione, direi che la giornata non poteva cominciare in modo migliore.”
Theseus si versò del thè nella tazza con un accenno di sorriso, evitando accuratamente di menzionare il fratello mentre Elizabeth lo guardava con leggera apprensione, chiedendogli se lui e Riocard avessero risolto.
“Tranquilla tesoro, niente di grave, oggi gli parlerò. Sai, sto pensando di ritirarmi. Questa vita non fa per me, e ricopro un ruolo che non mi spetta di diritto.”
“Pensi che Ric sia pronto, papà?”
“Certamente. Tuo cugino farà grandi cose Lizzy, ne sono sicuro.”


Elizabeth annuì e non rispose, osservando l’uomo che aveva davanti e pensando a quanto fosse cambiata la loro vita rispetto a due anni prima: suo padre si era ritrovato con la comunità magica inglese in mano da un giorno all’altro, con la morte del fratello da superare, una famiglia da portare avanti e un nipote da risollevare al tempo stesso.
La loro vita si era riempita di Auror, incantesimi di protezione, scorte e pattuglie nei confini della tenuta… ormai ci si era abituata anche lei, ma all’inizio era stata dura.
Elizabeth guardò suo padre, e l’impressione che ebbe fu che fosse davvero stanco.
 
“Lo penso anche io. Ti lascio fare colazione in pace… buona giornata papà.”
La strega si chinò in avanti per lasciare un bacio sulla guancia dell’uomo, e si alzò non prima di avergli rubato una fetta di bacon croccante, che addentò con un sorriso soddisfatto mentre Theseus, alle sue spalle, alzava gli occhi al cielo.
 
*
 
 
Avevano promesso che l’avrebbero accompagnata al cimitero, quel giorno, e Clara s’infilò i guanti neri sotto al mantello osservando la propria immagine rifletta nello specchio ripensando a quando, due anni prima, aveva appreso della morte di suo zio.
 
“Clara? Che cosa succede?”
Klaus si era sporto verso di lei, preoccupato nel non sentirle dire una parola da quando aveva letto la lettera arrivatale da casa. Clara aveva riconosciuto immediatamente la scrittura della madre e aveva rotto il sigillo con la rosa impressa serenamente, per poi perdere progressivamente colorito in volto man mano che approfondiva la lettura delle poche righe che Amethyst, in papabile stato di shock, le aveva scritto.
 
“Devo andare.”  La strega si alzò di scatto e con un mormorio, lasciando tutte le sue cose sul tavolo della Biblioteca prima di uscire di corsa dalla stanza, ignorando i richiami preoccupati del fidanzato.
Klaus non capì, ma l’avrebbe fatto la mattina dopo, quando ogni giornale magico di Jena avrebbe riportato, in prima pagina, la notizia dell’improvvisa dipartita del Ministro della Magia inglese.
 
Erano trascorsi esattamente due anni da quel giorno, ma a Clara non sembravano trascorsi che pochi istanti anche se, d’altra parte, la vita lì, a casa, senza suo zio, aveva assunto tutto un altro significato. Era stato strano, i primi tempi, non ricevere più le sue visite.
“Sei pronta? La mamma è di sotto.”
La voce di Colleen la raggiunse timidamente e Clara annuì, mormorando che lo era prima di prendere il cappellino e seguire la sorella minore fuori dalla stanza, prendendola a braccetto e dandole un rapido bacio su una guancia prima di mormorare che le voleva bene.
Colleen la guardò più sorpresa che mai, poco avvezza ai gesti d’affetto della sorella maggiore, ma Clara non disse nulla e proseguì verso le scale guardando dritto davanti a sé, pensierosa. 
Si era spesso chiesta come si erano dovuti sentire sua madre e suo zio quando avevano perso il loro adorato fratello. Dal canto suo, non era un’esperienza che aveva voglia di sperimentare presto.
 
*
 
“Quindi, mh, lei e George Cavendish in che rapporti siete?”
“Ambrose, per l’amor del cielo, smettila di darmi del lei. E poi che domande sono, lo sai bene questo!”
“Ma zio, te lo DEVO chiedere! Merlino, ma perché l’hanno dato a me, l’incarico…”


Ambrose sbuffò e scarabocchiò qualcosa sul rotolo di pergamena che teneva in mano mentre, seduto nell’ufficio dello zio, sedeva davanti al Ministro della Magia. Ministro che scoppiò a ridere e guardò il figlioccio con aria divertita, gli occhi azzurri luccicanti:
 
“Probabilmente perché il tuo capo sa che non avrei mai rifiutato un’intervista a mio nipote, di cui sono anche il padrino. Ma molte delle cose che devi chiedermi già le sai, ne sono certo.”
“Va bene, ma se dovesse chiedertelo dì a Burke che ti ho dato del lei, intesi? Mi ha minacciato.”
“Va bene, va bene, lo farò… adesso parliamo di cose più interessanti della mia vita privata, ti va? La gente pensa che siamo chissà chi, ma in realtà la mia vita non ha avuto nulla di straordinario. Prendi un bicchiere.”
Rodulphus si versò un po’ di Whiskey e fece altrettanto con un secondo bicchiere che planò letteralmente fino alla mano del nipote, che abbozzò un sorriso:
“E’ la mia bevanda preferita.”
“Lo so, sei mio nipote. Tu sai molte di cose di me e io di te, Ambrose, per questo dico che non hai bisogno di farmi molte di quelle domande. Ma ti avviso, fai mettere una mia bella foto!”
 
Ambrose rise e lo promise solennemente, mettendo da parte il rotolo di pergamena per iniziare a discutere di Quidditch con lo zio.
Quello fu, probabilmente, l’incarico più divertente della sua vita.
 
 
“Saint-Clair, hai mandato in stampa ciò che ti ho chiesto?”
Ambrose alzò lo sguardo sul direttore della Gazzetta del Profeta, la gola improvvisamente secca.
Gli era stato chiesto di scrivere qualche riga sull’anniversario della tragica morte di suo zio, ma la verità era che non ne era stato in grado. Ci aveva provato, il giorno prima, provato e riprovato. Ma non ne aveva cavato neanche una parola.
Semplicemente non poteva parlare della morte di suo zio come se per lui fosse stato solo il Ministro della Magia morto prematuramente e con la carica più breve di sempre. Era anche l’uomo che aveva portato lui e Riocard ad innumerevoli partite di Quidditch da bambini e che gli aveva regalato, per il suo diciottesimo compleanno, una costosissima macchina da scrivere quando il ragazzo aveva reso nota la sua volontà di diventare un giornalista.
 
“No, signore.”
“Come sarebbe a dire no?!”
“Non ci sono riuscito, signore. Non l’ho scritto. Lo chieda a qualcun altro, chiunque può scrivere un breve articolo di quel tipo.”
 
“Sei fortunato ad essere il nipote del Ministro per la seconda volta in vita tua, Saint-Clair. Davvero molto fortunato.”
Ambrose resse con aria mesta l’occhiata truce che Burke gli rivolse prima di girare sui tacchi e allontanarsi, su tutte le furie. Probabilmente in un’altra situazione Ambrose non avrebbe accettato di sentire qualcuno rivolgerglisi in quel modo, ma quel giorno non aveva né la voglia, né la forza di obbiettare su alcunché.
Perciò rimase seduto e in silenzio, e guardò la macchina da scrivere che aveva davanti con un grosso nodo alla gola che difficilmente si sarebbe sciolto.
 
*
 
 
“Tu non lo amavi, vero?”
Il mormorio di Riocard la spiazzò, ma Alexis non ebbe il coraggio di mentirgli. Non ora che suo padre non c’era più.
La donna sedette accanto al ragazzo, sul divano rosso foderato, e dopo un istante di esitazione scosse il capo senza riuscire a guardarlo, gli occhi azzurri fissi sulle proprie mani curate e piene di anelli.
“No. Ma questo non significa che non fosse una brava persona. Tutti gli volevano bene, lo sai bene. Il fatto che io non lo amassi non significa niente, tesoro.”
Riocard alzò lo sguardo, si voltò verso la donna che lo aveva cresciuto, e la guardò prima di parlare di nuovo, la voce più bassa del solito e leggermente incrinata:
 
“Lo so questo. E’ da quando è stato ucciso che vivo nel suo ricordo. Non fanno altro che paragonarmi a lui e a ricordarmi, fino allo sfinimento, quanto fosse meraviglioso, e forte, e un ottimo mago. Ma non era sempre così.”
“Tesoro, tuo padre ti amava moltissimo, è sempre stato molto fiero di te. Eri il suo unico figlio, e lo hai sempre riempito di orgoglio. Credimi.”
La mano sinistra di Alexis si mosse verso quella del figlio, stringendola mentre la madre si sforzava di sorridere. Riocard guardò le loro mani, esitante, e poi parlò di nuovo, pronunciando forse le ultime parole che la donna si sarebbe aspettata di sentirgli udire.
 
“Pensi che mi abbia perdonato, per quella sera?”
“Sì Ric. Certo che l’ha fatto. Avevi le migliori intenzioni del mondo, ma la colpa è stata solo mia. Non di tuo padre.”
 
 
“C’è una cosa che non ti ho mai detto.”
“Che cosa?”
“Ricordi quando andò al San Mungo pieno di lividi, un mese prima di… beh, hai capito. Non volle mai dire come si era conciato in quel modo, non lo disse neanche a mio zio. L’avevo ridotto io così.”
 
George, seduto accanto a lui, si voltò verso il ragazzo e lo guardò stentando a credere alle sue parole, ma Riocard non ricambiò lo sguardo dell’ex Ministro e continuò a fissare l’andirivieni di clienti del Paiolo Magico.
Non era sicuro di aver fatto la scelta migliore raccontandoglielo, ma doveva farlo. Era da più di un anno che si portava dentro quel rimpianto.
 
“Non so perché non l’abbia detto, che ero stato io. Ne avrebbe avute tutte le ragioni.”
“Riocard, posso sapere perché l’hai fatto?”
“Ero arrabbiato con lui da un po’ di tempo, era strano, sapevo che c’era qualcosa che non mi stava dicendo. Trascorreva sempre meno tempo a casa, e non si comportava affatto bene nei confronti di mia madre. Poi, una sera…”
 
 
Riocard non aveva mai visto dei maghi adulti venire alle mani in tutta la sua vita. Suo padre, poi, benchè avesse un carattere molto forte, era sempre educato, cordiale e posato. Un perfetto gentiluomo, così l’intera comunità magica appellava Rodulphus Saint-Clair.
 
Le liti tra lui e sua madre, però, non costituivano una rarità. Riocard aveva quasi imparato ad abituarcisi, attribuendone il merito ai caratteri forti che entrambi i genitori presentavano e sulla comune volontà di avere ragione, sempre e comunque.
Era entrato nella stanza per capire cosa stesse succedendo, quella sera, quando udì sua madre insultare suo padre e dargli uno schiaffo in pieno viso. Per un singolo, terribile istante, Riocard credette che l’uomo avrebbe ricambiato, ma il Ministro della Magia si limitò a portarsi una mano sul viso – mano dove scintillava, indelebile e beffarda, una fede nuziale –, a guardarla con disprezzo e a chiamarla in un modo che il figlio mai si sarebbe sognato di sentire uscire dalle sue labbra.
Riocard non conosceva le sue ragioni, e benchè sapesse che sua madre avesse sbagliato a colpire il padre, non potè fare a meno di prenderlo per le spalle, gettarlo sul pavimento e colpirlo in pieno volto dopo averlo sovrastato.
Le grida di sua madre, le sue preghiere di non farlo mentre cercava di allontanarlo dal padre, costituivano solo un vago ricordo. Quello che Riocard ricordava, però, era Rodulphus non avesse fatto niente per fermarlo o per colpirlo a sua volta. Lo aveva lasciato fare e basta.
 
 
“Perché si era rivolto a tua madre in quel modo?”
“Non lo so. Glielo chiesi, ma non me lo disse. Disse che niente di quello che era successo quella sera aveva importanza e di dimenticare, ma io non riesco a smettere di pensarci da quando è morto. Sono arrabbiato con chi l’ha ucciso, ma sono arrabbiato anche con me stesso, credo. Non era l’uomo perfetto come molti pensavano, ma non gli ho mai chiesto scusa come si deve.”
“Riocard, conoscevo tuo padre molto bene. Lui era… impulsivo. Molto impulsivo. Un vero Grifondoro. Sempre pronto a proteggere le persone che amava. Tu sei proprio come lui, Riocard. Vuoi bene a tua madre e non hai tollerato sentire proprio suo marito offenderla in quel modo, tutto qui. Sono sicuro che tuo padre sapeva di aver sbagliato, ecco perché non se l’è presa per l’accaduto.”
 
Riocard si rivolse al vecchio mago e lo guardò aggrottando la fronte, chiedendogli ancora una volta perché stesse facendo quelle cose per lui.
George, ancora una volta, gli sorrise e gli disse che aveva bisogno di una guida, come qualsiasi ragazzo della sua età prossimo a ricoprire un ruolo più grande di lui.
 
“E’ davvero solo questa, la ragione?”
Gwendoline lo domandò al marito una sera, a cena. George non ripose subito, guardando la fiamma di una candela tremolare prima di parlare, scuro in volto.
“Temo che la mia famiglia possa essere responsabile della morte di Rod, Gwen. Forse non sarebbe morto, se non lo avessi nominato mio successore. Forse quel ragazzo ha perso suo padre a causa di una mia decisione… è il minimo che possa fare.”

 
 
Alexis circondò le spalle del figlio con un braccio e lo strinse a sé come quando era bambino, facendogli appoggiare la testa sulla propria spalla e prendendo ad accarezzargli i capelli, mormorando che il suo unico grande amore sarebbe sempre stato lui e che l’unica cosa che le importava era che lui stesse bene.
 
*
 
“Fatto.”
Colleen sorrise debolmente mentre si rimetteva in piedi, osservando la corona di  rose rosse che aveva deposto delicatamente sulla tomba dello zio, dentro al mausoleo di famiglia.
Cassiopea stava in piedi accanto alla sorella minore stringendosi le braccia al petto, evitando accuratamente di guardarsi intorno – non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, ma quel posto le metteva i brividi fin da quando, da bambina, Ambrose e Riocard avevano sfidato lei e Lizzy ad entrarvisi di sera, col risultato che erano rimaste chiuse dentro e Thomas, appreso l’accaduto, era dovuto andare a recuperare le due bambine in lacrime – mentre Clara si limitava ad osservare la lapide tenendo la madre a braccetto.
 
“Perché Ambrose non è venuto?”
“Doveva lavorare tesoro… Lo sai che ha orari un po’ difficili.”  Amethyst abbozzò un sorriso, e l’ex Grifondoro annuì mentre una voce femminile nota a tutte le presenti le raggiungeva:
 
“Oh, buongiorno mie care.”
Amethyst si voltò e accolse la zia con un sorriso, guardando Gwendoline – impeccabile come sempre col suo cappotto nero bordato di pelliccia con inserti d’oro e cappellino abbinato  - raggiungerle con affetto:
 
“Buongiorno zia. Come stai?”
Cassiopea rivolse alla madre un’occhiata interrogativa, chiedendosi ancora una volta come riuscisse a darle del tu quando né suo padre né nessuno dei suoi fratelli o cugini si erano mai sognati di farlo.
“Ci sono giorni migliori cara, ma sto bene. Avrei voluto portare delle rose a mia volta, se qualcuno non le avesse distrutte.”


L’espressione della strega s’incupì, caricandosi di amarezza mentre estraeva la bacchetta. Le ci vollero solo un paio di movimenti per far apparire un mazzo di fiori che depositò accanto a quelli lasciati dalla pronipote, sospirando nel leggere le date sottostanti al nome del defunto.
“Povero caro, così giovane. Aveva ancora molto, da dare.”
“Sì. Aveva la mia età quando è morto. Mi fa pensare.”
 
“Anche vostro padre era molto giovane, quando se n’è andato. Non tutti sono fortunati da condurre una vita lunga come la mia.”
“Zia, tu hai ancora moltissimi anni davanti a te.”
Amethyst rivolse alla zia un’occhiata di avvertimento, come a minacciarla di andarsene prima che fossero trascorsi altri vent’anni mentre Colleen sorrideva, asserendo che la madre aveva ragione e che la prozia portava i suoi anni egregiamente.
“Grazie care, siete troppo gentili. Ne approfitterò per costringervi a pranzare da me, stare in quella grande casa da sola è una tortura inimmaginabile.”
Gwendoline sospirò e prese Colleen sottobraccio mentre Clara, sorridendo, si rivolgeva alla madre:
 
“Ti dispiace? Gli Elfi della zia preparano dolci squisiti…”
“No, direi di no, ho proprio bisogno di affogare un po’ di tristezza nel cibo, oggi. Andiamo ragazze, deve ancora nascere colui che contraddirà vostra zia.”
“Parole santa, cara Amiee.”
 
*

 
“Tuo padre è morto da due anni, Ric. Penso che sia il momento di farmi da parte.”
Theseus parlò con tono pacato, le mani giunte e appoggiate in grembo mentre guardava il nipote oltre la scrivania che, presto, sarebbe diventata sua.
“Ho pensato ad una cosa, zio.”
“Che cosa?”
“Non penso di essere tagliato per questo. Se mi… se mi facessi da parte a mia volta, e prendesse Edward Cavendish il posto di papà?”
 
“Che diavolo vai blaterando, Ric? Tu sei… tu sei il successore di tuo padre. Non Edward Cavendish. Vuoi che a prendere il suo posto sia una persona che lo odiava a morte?”
“George mi ha detto che erano molto amici, da ragazzi. Che cosa è successo dopo?”
“Niente che riguardi me o te, Riocard. È acqua passata ormai, e non ha importanza. So che può spaventare, ma pensi che IO fossi pronto, quando tuo padre è morto? Dissero che era troppo presto per te, e nel testamento tuo padre aveva indicato me come suo successore temporaneo, in caso fosse morto troppo prematuramente. Mi sono ritrovato a dover occupare questa sedia da un giorno all’altro. Puoi fare esattamente ciò che ho fatto io, Riocard.”
 
“Tu hai più esperienza, zio. Hai vent’anni più di me!”
“L’età è solo un numero. Ric, abbiamo avuto le nostre divergente, ma sai che ti voglio bene. Voglio il meglio per me, proprio come tuo padre. E ci sarò sempre per te, ti aiuterò ogni volta in cui ne avrai bisogno, se me lo permetterai.”
Riocard esitò, senza dire niente, e Theseus sorrise al nipote mentre si alzava, facendo il giro della scrivania per sedersi accanto a lui:
“Pensi che io non lo sappia, come sia, vivere nell’ombra di una persona eccezionale? Io vivo nell’ombra di tuo padre da molto prima di te, Ric. Forse non ci hai mai riflettuto, ma anche per me è così. Sono sempre stato il fratellino di Rodulphus, sempre. Per i nostri genitori, per la famiglia, a scuola, qui al Ministero… sempre. Hai paura del confronto che devi reggere? Allora fa del tuo meglio per essere all’altezza, per reggerlo, il confronto.”
Theseus mise una mano sulla spalla del nipote, che ricambiò il suo sguardo prima di annuire piano, asserendo che ci avrebbe provato.
Suo padre lo aveva sempre incoraggiato in tutto, ma da quando era morto si sentiva quasi perso, come se gli mancasse una direzione da seguire. Forse però, la sua direzione era prendere il suo posto.
 
*
 
“Buongiorno Signor Reed, come sta?”
Clio entrò nell’ufficio del suo editore con un sorriso allegro, sorriso che, al solito, l’anziano mago non ricambiò, limitandosi a rivolgerle un’occhiata scettica da sopra gli occhiali a mezzaluna che indossava, seduto alla sua scrivania:
 
“Buongiorno, Miss Cavendish. Non dovevamo vederci due settimane fa, noi due?”
“Beh, in teoria sì, in pratica ci ho messo più del dovuto, MA ho finalmente mezzo manoscritto pronto. Ecco, tenga.”
Clio porse all’uomo un plico di fogli di pergamena che il mago prese con un sospiro, asserendo che non era mai stato tanto indulgente con nessun cliente, prima di lei.
 
“Vero, ma ormai mi conosce, vero Signor Reed?”
Clio sorrise senza scomporsi, e il mago dovette ammettere a se stesso di non riuscire ad essere particolarmente duro con quella ragazza. In effetti gli aveva sempre fatto molta tenerezza, ma piuttosto che dirglielo avrebbe rinunciato alla sua lunga carriera di editore.
“Lasciamo perdere, l’importante è che abbia finito quel che le ho chiesto. Sa, Miss Cavendish, il pubblico si chiede quando Negan York tornerà sulle scene. Lo leggerò e le farò sapere presto.”
“Meraviglioso. Le ho portato dei muffins!”
 
Clio gli porse un cestino pieno di dolci – e Frederick si domandò dove diavolo lo avesse tenuto fino a quel momento – che il mago prese aggrottando la fronte, asserendo che i ruffiani non gli erano mai piaciuti ma che, per sua fortuna, i muffins ai mirtilli erano i suoi preferiti.
“E’ ancora decisa a non mettere il suo nome in copertina, vero Miss Clio?”
“Certo. I miei genitori ne morirebbero, specie mio padre, e lei sa cosa pensa la gente, ossia una donna non sappia scrivere bene quanto un uomo. I libri scritti da uomini vendono di più, statisticamente, no?”
“Sì, in effetti sì.”
 
“Gli unici a saperlo, a parte lei, sono i miie fratelli e mia nonna, e loro non ne parleranno mai. Per ora, preferisco che le cose continuino a stare così. Mio fratello gestisce un pub a Diagon Alley, sa? Mio padre ha avuto una mezza sincope, quando Egan gli ha detto che voleva aprirne uno.”
“E l’altro fratello?”
“Neit è un Indicibile, è l’orgoglio della famiglia, Egan la pecora nera e io… io sono la figlia maldestra.”
 
Clio abbozzò un debole sorriso che Frederick non ricambiò, continuando ad osservarla da sopra gli occhiali con i penetranti occhi grigi che tanto l’avevano messa in soggezione quando, anni prima, si erano conosciuti.
“Potrebbe essere molto di più, è una sua scelta, Miss. Adesso vada, devo leggere in fretta a causa del suo ritardo!”
“Ops… beh, si goda i muffins Signor Reed, a presto!”
Clio si alzò e uscì dall’ufficio con aria allegra, asserendo che sapeva di essergli mancata prima di chiudersi la porta alle spalle. Frederick alzò gli occhi al cielo, ricordando a se stesso quanto il suo lavoro fosse normale, a capo della più grande casa editrice magica della Gran Bretagna, prima di imbattersi in quella bizzarra strega piena di talento.
 
*
 
Caroline sorrise, divertita, mentre guardava due oche litigare e contendersi il pezzo di pane che la ragazza aveva appena lanciato ore.
I giardini di Kensington non erano molto affollati, quel pomeriggio, nonostante fosse domenica, e i prati e le sottili stradine erano ingombre di foglie secche dai caldi toni gialli e aranciati.
“Salve.”
La strega si voltò e si ritrovò a guardare con stupore l’ormai nota figura di un giovane dai capelli rossi con cui non aveva che scambiato qualche parola, prima di allora, ma che per un qualche scherzo del destino sembrava essere destinata a sposare. 
“Salve.”
 
Era alto, Riocard Saint-Clair, e di aspetto più che piacente. Aveva un anno in meno di lei, e Caroline ricordava bene i tempi in cui, circa dieci anni prima, quel giovane dagli occhi azzurri e i capelli rossi era oggetto dell’ammirazione di buona parte della popolazione femminile di Hogwarts e dell’alta società magica in generale.
Non lo conosceva troppo bene, ma aveva come l’impressione che non sorridesse spesso. Quell’aria seria e distaccata, tuttavia, non aveva fatto altro che alimentare l’attenzione del gentil sesso, nel tempo.
Un po’ come per qualcuno che lei conosceva molto bene, si ritrovò a considerare la strega con un debole sorriso mentre tornava a guardare le oche e il mago, invece, prendeva posto accanto a lei prima di parlare:
 
“Noi due abbiamo qualcosa in comune, Signorina Cavendish.”
“Intende un possibile contratto pre-matrimoniale?”
“No, intendo la reciproca volontà di non convolare a nozze l’uno con l’altro. Non mi fraintenda, lei è splendida e sono sicuro che sarei molto più fortunato di altri avendola accanto, ma vorrei un matrimonio diverso, se capisce cosa intendo.”
“Sì, certo.”
 
Caroline annuì, ripensando alla sua amica Mary, alla sua disperazione, alle lacrime versate alla vigilia nelle nozze, alla vita coniugale infelice che conduceva. Pensò ai suoi genitori e alle loro liti, e a tutte le sere trascorse nel tentativo di ignorarle per riuscire a dormire ripetendosi che non avrebbe avuto quella vita.
La strega non poteva immaginare che i trascorsi del suo interlocutore fossero molto simili, e Riocard annuì continuando a non guardarla, gli occhi fissi davanti a sé e le lunghe gambe accavallate mentre teneva entrambe le braccia appoggiate sullo schienale della panchina d’acciaio.
 
 
“Sommer, lascia stare le oche.”
Al pacato rimprovero del padrone la lupa obbedì seduta stante come suo solito, e Neit le diede una lieve pacca affettuosa senza smettere di camminare nel parco.
Quel giorno non lavorava e, su insistenza di madre e sorella, si era preso un giorno di riposo. Si era goduto la compagnia di Clio, aiutandola a scrivere mentre Egan lavorava al pub, e poi aveva portato Sommer a fare una passeggiata.
 
“Dopo andiamo a salutare Caroline, che ne pensi?”
Il mago parlò con un mormorio, camminando con le mani nelle tasche ma senza perdere la sua postura, quasi come se la lupa potesse rispondere alla sua domanda. Si era appena convinto che fosse una buona idea – forse il suo comportamento alla cena della sera prima non era stato del tutto esemplare, dopotutto – quando, all’improvviso, accadde qualcosa di inaspettato.
Stentò a crederci, Neit, ma nel suo campo visivo entrò proprio colei alla quale aveva appena smesso di pensare.
Caroline era lì, nei giardini di Kensington, a solo una quindicina di metri di distanza da lui e da Sommer, seduta su una panchina. Per un attimo, un misero istante, Neit fece per puntare dritto nella sua direzione d’istinto, ma si frenò quando si accorse che la strega non era sola.
Non si toccavano, non si sfioravano neppure, ma Riocard Saint-Clair era comunque seduto sulla sua stessa panchina, proprio accanto a lei. Neit non poteva sentire cosa si stessero dicendo, però stavano parlando.
Il mago si sentì raggelare, stentando a credere allo spettacolo che gli offrivano i suoi occhi, e Sommer sembrò percepire lo stato d’animo del suo padrone perché guaì piano e gli diede un colpetto sulla mano con il muso quasi a voler richiamare la sua attenzione.
All’improvviso, Neit realizzò appieno l’eventualità che sua cugina sposasse Riocard Saint-Clair. Certo, Caroline aveva 26 anni ed era implicito che si sarebbe sposata, prima o poi, ma si rese conto di non aver davvero mai considerato concretamente quell’evenienza, vedendola sempre come una possibilità remota e lontana.
All’improvviso, Neit pensò al sogno che aveva fatto. Una rosa bianca che diventava una rosa rossa.
 
 
“Bene. Allora, appurato che siamo d’accordo e che nessuno può costringermi a sposarla, direi che dovrò parlare con suo padre, se non ha niente in contrario.”
“Sa, penso che sia ammirevole.”
“Che cosa?”
“Il fatto che lei rinunci alla sua eredità. Non tutti sceglierebbero la possibilità di essere felici a discapito dei beni materiali.”
“Non posso sposare una Cavendish, Signorina. Non posso e basta. E poi sposandola suo fratello mi odierebbe più di quanto non faccia ora, e non ho bisogno di altri bersagli sopra la testa.”
Riocard parlò sfoggiando un debole sorriso e Caroline lo imitò, pur consapevole che il mago fosse perfettamente serio.
 
 
 
Per la prima volta in vita sua Neit Cavendish si diede mentalmente dello stupido, e guardò sua cugina alzarsi, rivolgere un candido sorriso al futuro Ministro della Magia e allontanarsi senza accorgersi della sua presenza. Avrebbe potuto seguirla, certo, ma non lo fece. Neit puntò invece dritto verso la panchina dove Riocard era ancora seduto, fermandoglisi accanto stringendo le mani lungo i fianchi.
 
Riocard che quasi sobbalzò trovandoselo accanto e che gli rivolse un’occhiata stralunata, chiedendosi sinceramente se volesse minacciarlo come aveva fatto Ezra Cavendish poco tempo prima. Neit però non gli diede il tempo di parlare, precedendolo con tono incerto:
“Ho una cosa da chiederle.”
“Che cosa?”
“La prego di trattare bene mia cugina, se dovesse sposarla. Caroline se lo merita.”
 
L’ex Grifondoro gli parve sorpreso – forse si era aspettato delle minacce e toni molto meno pacati – ma Neit non gli diede il tempo di rispondere, girando sui tacchi e allontanandosi nella direzione opposta presa da Caroline con Sommer al seguito.
Riocard, dal canto suo, non si mosse e si limitò a seguirlo con lo sguardo prima di voltarsi e osservare Caroline, la fronte aggrottata.
 
Certo la sua famiglia non era la più normale al mondo, ma doveva ammettere che i Cavendish erano proprio strani.
 
*
 
“Ahi!”
“Ti ho detto di non muoverti e ti sei mosso, non è colpa mia!”
Lizzy sbuffò mentre, seduta sul divano e con la mano stretta sul polso del fratello, teneva un batuffolo di cotone pieno di disinfettante nell’altra e lo passava delicatamente sui segni rossastri con cui Thomas era tornato a casa sulla mano, quella sera.
“Quel simpatico Kneazle di Ezra Cavendish mi ha morso. Ho il sospetto che lo abbia addestrato apposta, prima di portarmelo.”
Il volto di Thomas s’incupì un poco, ed Elizabeth affermò che se fosse ricapitato avrebbe aizzato sia Phobos che Deimos contro il suddetto mago mentre avvolgeva della garza intorno alla mano del fratello maggiore.
 
“Non sono un’infermiera, ma dovresti essere a posto. Per fortuna non ti ha morso un Schiopodo Sparacoda…”
“Sei stato morso da un Schiopodo Sparacoda?!”
 
Il tono allarmato di Astrid precedette la donna, che comparve sulla soglia del salotto guardando i figli con gli occhi azzurri fuori dalle orbite, prima che Thomas tranquillizzasse la madre con un sorriso:
“No, no mamma, solo uno Kneazle, stai tranquilla.”
Astrid parve tranquillizzarsi, asserendo di non gradire affatto quando il figlio aveva a che fare con creature potenzialmente pericolose prima di tornare in sala da pranzo dove ad aspettarla c’era la cugina, che le rivolse un’occhiata perplessa:
 
“Thomas sta male? E’ successo qualcosa?”
“No, a quanto pare nulla di grave… Chissà da dove lo ha preso, tutto il suo amore per gli animali.”
Astrid sedette a capo tavola accanto alla cugina, che aggrottò la fronte e fece per suggerire che, di certo, non lo aveva preso da lei, ma decise di astenersi e si schiarì la voce:
 
“Ricordi quello che ti ho detto su Penelope Cavendish? Riocard mi sembra molto deciso a non sposare Caroline, quindi penso che la questione sia risolta.”
“Lo spero per te, Alexis, perché onestamente parlando, non ho intenzione di coprirti ancora.”
 
*
 
 
“Siediti, Caroline.”
Caroline obbedì come suo solito, sedendo di fronte al padre davanti alla sua scrivania e aspettando pazientemente che Robert le spiegasse il motivo per cui l’aveva fatta chiamare.
L’uomo ricambiò lo sguardo della figlia e si schiarì la voce, intrecciando le dita della mani tra loro prima di parlare con tono neutro:
“Riocard Saint-Clair mi ha scritto, oggi. Mi comunica che intende… declinare gentilmente la mia offerta. E con quella, la possibilità di sposarti. Sembra che voglia rinunciare all’eredità, tutto sommato, perché non interessato ad un matrimonio combinato.”
“Oh. Capisco. Mi dispiace, so che avevate piani diversi per me.”
 
“Quella di sposarsi per amore è una fantasia tipica di quando si è giovani, Caroline, ma poi si viene a patti con la realtà. Sposare il futuro Ministro della Magia è la migliore delle possibilità, per te.”
“Ma lui non vuole sposarmi, padre.”
“Adesso no. Ma le cose possono cambiare… abbiamo tempo, no? Riocard Saint-Clair può cambiare idea.”
“E in che modo?”
Caroline inarcò un sopracciglio e Robert roteò gli occhi scuri, parlando con lieve esasperazione:
“Caroline, sei una gran bella ragazza, non penso che per te sia impossibile renderti desiderabile agli occhi di un uomo. Ho avuto anche io 25 anni, non sarà difficile.”
“Mi state chiedendo di sedurlo?”
 
Forse avrebbe dovuto aspettarselo, quando suo padre l’aveva convocata, ma Caroline non era preparata a quella richiesta, e strabuzzò gli occhi stentando a credere alle sue orecchie mentre Robert liquidava il discorso con un gesto della mano:
 
“Chiamalo come ti pare, Caroline, la questione è convincerlo a sposarti. Le donne lo fanno dalla notte dei tempi, non prendiamoci in giro, spesso le vere cospiratrici siete voi.”
“E se mi rifiutassi?”
“Non accetto un no come risposta, dovresti saperlo.”
“Posso sposare chiunque altro, perché è così importante?”
 
“Non devo darti spiegazioni sulle mie decisioni, Caroline. Sono tuo padre, e farai come dico io.”
“Dovrò ripetermi. E se mi rifiutassi?”
 
*
 
“Che ne dici?”
Egan guardò la sorella portarsi il cucchiaio di guacamole alle labbra, assaporare la salsa verde con aria meditabonda e poi, alla fine, sorridere:
 
“Buona! Ne posso dell’altra?”
“Va bene, ma non mangiartela tutta, lasciane anche agli altri.”
Clio fu ben felice di poter saggiare dell’altra salsa, seduta su uno sgabello nelle cucina dove entrambi, da piccoli, andavano a chiedere biscotti e dolciumi agli Elfi Domestici di casa.
Elfi Domestici che, al momento, preparavano la cena lanciando ai due maghi occhiate afflitte, poco felici di vedere “il Signorino Egan” ai fornelli. Le piccole creature avevano cercato di opporsi, all’inizio, ma Egan non aveva voluto sentire ragione e ogni tanto di divertiva a preparare cibi esotici per i suoi fratelli, cibi che i suoi genitori erano quasi sempre molto restii ad assaggiare.
 
Egan, conscio del fatto che sarebbe rimasto ben poco guacamole per la cena lasciandolo in balia della sorella, prese dell’altro avocado per farne ancora quando i due udirono dei passi scendere le scale.
“La mamma?”
Egan aggrottò la fronte mentre si rivolgeva alla sorella, che spalancò gli occhi come a dire che ne sapeva meno di lui: i loro genitori non mettevano mai piede in cucina, tanto che Egan sosteneva che probabilmente Edward nemmeno sapeva dove fossero.
 
“Ciao ragazzi… Vostra madre mi ha detto che eravate qui.”
Egan rischiò di affettarsi un dito quando Caroline entrò nell’ampia stanza, il mantello ancora addosso e un’espressione afflitta sul volto pallido.
Gli Elfi scattarono sull’attenti e corsero incontro alla “Signorina Caroline” per chiederle cosa desiderasse, ma la strega rifiutò con garbo le loro attenzioni per raggiungere i cugini e sedersi accanto a Clio con un sospiro stanco.
 
“Carol, cosa ci fai qui? Oh no, non dirmi che mi sono scordata che avevamo pianificato di vederci, stasera!”
Clio si portò le mani sul viso, mortificata, ma la cugina le sorrise e la rassicurò con gentilezza, asserendo che era stata una sua improvvisata mentre Egan, curioso, aggrottava la fronte:
 
“Che cosa ti porta qui, cuginetta?”
“Non ero in vena di restare a casa mia, stasera… Mia madre ha lanciato mezzo servizio buono di piatti addosso a mio padre, una scena terribile. Ho chiesto a vostra madre se potevate ospitarmi, spero che per voi non sia un problema.”
Clio, dal canto suo, esultò e si sporse verso la cugina per abbracciarla con gioia, asserendo che avrebbero fatto un pigiama party come quando erano piccole prima di avvicinare la ciotola del guacamole alla cugina:
 
“Tieni, prova la nuova salsa di Egan.”
“Non è nuova, è vecchia come il cucco, solo che qui non la si mangia! L’ho provata in Messico l’anno scorso, tieni Carol.”


Egan porse un cucchiaio alla cugina, e Caroline assaggiò la salsa con leggera titubanza – forse a causa del colore verde acceso – per poi sorridere, entusiasta.
“Egan, dovresti servirla al Goblin Ubriaco, sai? Ecco, vedi quante brillanti idee ti do? Dovresti proprio darmela, una percentuale…”
“Accontentati del guacamole gratis, per ora.”
 
*
 
“Clio, hai visto la mia…”
“NEIT!”
Quando aveva aperto la porta della camera della sorella, stanza dove non era solito bussare, Neit non avrebbe di certo immaginato di imbattersi in sua cugina. Sua cugina in sottoveste in procinto di cambiarsi per la cena.
Il mago la osservò per una frazione di secondo, poi ruotò semplicemente su se stesso di 180°, dandole le spalle mentre si schiariva la voce e la strega, rossa in volto, si affrettava ad afferrare la sua vestaglia di seta color malva.
 
“Chiedo scusa, non avevo idea che fossi qui. Posso?”
“Sì, certo.”
Caroline si annodò la vestaglia, più imbarazzata che mai, e tenne lo sguardo basso mentre il cugino si voltava nuovamente verso di lei, mettendo le mani dietro la schiena, guardandola con pacata curiosità.
 
“Clio non mi aveva detto che saresti venuta.”
“Non lo sapeva neanche lei, è stata un’improvvisata dell’ultimo minuto, in realtà. Sto abusando della sconfinata ospitalità di tua madre, temo.”
“Mia madre ti vuole bene, come tutti in questa casa, non abusi di nulla. Come stai?”
“Bene.”
 
“Dopo tutti questi anni pensi che non sappia quando menti, Caroline? E dire che sostieni di ritenermi intelligente.”
Caroline arrossì e, continuando a non guardarlo, mormorò che non era niente mentre il ragazzo le si avvicinava senza smettere di guardarla, ripensando al suo incontro con Riocard nel pomeriggio.
 
“Non può essere niente, se sei venuta qui. Tutti abbiamo un posto dove ci rifugiamo quando ci sentiamo in trappola, Carol. E tu quando ti senti così vieni sempre da Clio.”
“Vengo anche da te, se è per questo. E’ mio padre, comunque, ma nulla di grave.”
“Che cosa ha fatto?”
“Mi ha detto di… Merlino, mi vergogno a dirlo!”     Caroline sbuffò, le braccia strette al petto, maledicendo mentalmente il padre mentre Neit roteava gli occhi:
 
“Caroline, suvvia, ci conosciamo da tutta la vita, cosa sarà mai…”
 
“Mi ha detto di sedurre Riocard Saint-Clair per far sì che lui mi sposi. Al momento non intende farlo, ma mio padre vuole che cambi idea.”
Caroline parlò tutto d’un fiato, non osando guardare in faccia il cugino che, invece, rimase impassibile, le mani giunte dietro la schiena e le gambe leggermente divaricate in una posa che ricordava quasi quella militare. Neit non mosse un muscolo, ma se Caroline l’avesse guardato avrebbe notato un movimento appena percettibile delle sue labbra, che si strinsero leggermente:
 
“Ti ha detto di fare cosa?”
La voce di Neit le arrivò in poco più che un mormorio, ma il suo tono subì una leggera alterazione pronunciando l’ultima parola mentre Caroline, scuotendo la testa, sedeva sul bordo del letto della cugina.
“Non farmelo ripetere, ti prego.”
 
“Non può dire sul serio.”
“Temo che lo sia.”
 
“Caroline, tu non sei… non hai bisogno… non devi… Priscilla, non so che cosa dire.”
Neit si lasciò scivolare accanto alla cugina e scosse il capo, sconcertato, e suo malgrado Caroline si ritrovò a ridacchiare, asserendo che non avrebbe mai creduto che quel giorno sarebbe arrivato mentre il mago si voltava verso di lei, guardandola dritta negli occhi con quello sguardo che lei faticava a sostenere.
 
“Ti ho vista, oggi, ai giardini. Con Saint-Clair. Davvero non intende sposarti?”
“Così dice. Ma perché non mi hai salutata, se mi hai vista?”
“Non mi sembrava il caso, non volevo interrompervi.”
“Non avresti interrotto niente.”
Non seppe perché, ma Neit si sentì vagamente rincuorato sentendole pronunciare quelle parole, e abbozzò un lieve sorriso mentre dalla porta aperta entrava Clio, allegra e sorridente:
 
“Oh, Neit, hai visto, c’è Carol!”
“Clio, posso dormire in un’altra stanza, non devi per forza condividere la tua…”
“Ma che dici, faremo come da piccole, sarà divertentissimo!”
Clio sorrise, gli occhi azzurri luccicanti al ricordo di notti del passato trascorse a chiacchierare fino a tardi, mangiare caramelle e ridere sotto le coperte.
 
“Mi pare di capire che la mia presenza sia di troppo. Vi lascio alle vostre… cose da donne. Ci vediamo a cena.”  Neit si alzò, ma la sorella lo costrinse a fermarsi quando gli fu davanti, dicendo qualcosa con cipiglio divertito:
“OPPURE potremmo truccarti come quella volta a 10 anni!”
 
Un sorriso malizioso increspò le labbra di Clio, e Caroline soffocò una risatina mentre il volto di Neit, già serio, s’incupiva ancora di più, sibilando che certe cose andavano dimenticate per l’eternità prima di superare la sorella e congedarsi, lasciando la gemella a ridacchiare mentre prendeva il suo posto accanto alla cugina:
 
“Che cosa voleva, comunque?”
“Non ne ho idea, cercava te, ma penso si sia scordato… Clio, non immagini cosa mi ha detto mio padre stasera. E’ terribilmente imbarazzante.”
Clio le disse esattamente quello che le aveva detto Neit, ossia che si conoscevano da sempre e che non c’era bisogno di imbarazzarsi, ma ammutolì quando la cugina ebbe parlato, riflettendo per un attimo prima di esprimersi con una scrollata di spalle:
 
“Beh, per fortuna l’hanno detto a te e non a me. Mi ci vedi a sedurre qualcuno? Penso che farei la peggior figura del mondo… Di certo tu te la caverai meglio di me.”
“Ma io NON voglio farlo! A questo punto dovrò dire a Riocard di stare attento a cosa beve, di questo passo non mi stupirebbe se mio padre gli rifilasse dell’Amortentia di nascosto.”
 
*
 
“Che cos’è questa cosa verde? Mi ricorda qualcosa che una volta vidi sul volto di vostra madre, ma non la riconobbi e per poco non le lanciai una fattura…”
Edward osservò il guacamole come se potesse rivelarsi un’arma letale, ed Egan rischiò di strozzarsi con un pezzo di pane mentre Estelle, scandalizzata, si rivolgeva al marito con tono di rimprovero:
 
“EDWARD!”
“Che c’è? Era per dire… Ragazzi, fidatevi, le donne sono le creature più infide del mondo. Ti si presentano come creature leggiadre, perfette e meravigliose, e ti aspetti che siano sempre così finchè una mattina non ti ci svegli accanto…”
Estelle sospirò rumorosamente, promettendo silenziosamente vendetta al marito mentre beveva un sorso di vino e Clio, sbuffando, rivolgeva al padre un’occhiata torva mentre cercava di tagliare l’arrosto.
“Oh, grazie papà, in pratica stai insinuando che io e Caroline di prima mattina siamo dei mostri!”
 
“Mi permetto di dissentire, ho visto entrambe di prima mattina centinaia di volte, Clio a casa e Caroline ad Hogwarts, e non mi sono mai spaventato.”
Neit parlò con tutta la naturalezza possibile e senza smettere di mangiare con i suoi consueti modi impeccabili. Intercettò, per un istante, lo sguardo della cugina, seduta di fronte a lui, e i due si scambiarono un accenno di sorriso mentre Estelle, lanciando un’occhiata di rimprovero al marito, asseriva che fortunatamente c’era ancora un gentiluomo, seduto a quella tavola.
 
*
 
“Non te l’ho domandato… Com’è andata con Cherry?”
“Bene. E tu mi vuoi dire con chi sei tornata a casa, l’altra sera?”
Thomas appoggiò il mento sul proprio braccio, reggendosi al bracciolo del divano e guardando la sorella minore con i grandi occhi azzurri pieni di curiosità. In quella posa a Lizzy quasi ricordò di quando non erano che bambini, e sorrise al fratello con affetto mentre si sporgeva verso di lui con fare cospiratorio, proprio come quando, da piccoli, si confidavano quelli che allora reputavano terribili segreti:
 
“Prometti di non dirlo a papà.”
“Croce sul cuore.”
 
“D’accordo… ero andata al Goblin Ubriaco e mi ha accompagnata Egan Cavendish.”
“EH?!”
“Hai promesso di non dirlo!”
 
“Certo che non glielo dirò, questo è già un giorno difficile, per nostro padre, vuoi che gli venga un attacco cardiaco?”
“Suvvia, non è successo nulla di che. E poi scusa, Riocard può sposare Caroline Cavendish ma io non posso essere accompagnata a casa da uno di loro? Che discorso è?”
“A me non importa Liz, ma solo che mia sorella stia bene. Infatti quando lo vedrò lo ringrazierò.”
Il bel volto di Elizabeth-Rose si distese nel suo sorriso più dolce – riservato praticamente solo ai suoi familiari – e allungò una mano per sfiorare quello del fratello, che ricambiò il suo sguardo con affetto.
“Se solo fossero tutti come te, Tommy… Tu hai il cuore più grande del mondo.”
“Non esagerare, Liz.”
“Non esagero. Puoi chiederlo a chiunque ti conosca, sono certa che dirà lo stesso. Sono fortunata ad averti come fratello.”
Elizabeth gli sorrise prima di alzarsi e sospirare su quanta fame avesse, domandandosi a voce alta perché la cena non fosse ancora pronta prima di decidere di andare a chiedere alla madre se per caso gli Elfi non fossero andati in vacanza.
 
“Poverini, dovremmo avere più riguardo nei loro confronti, visto quanto ci sono utili…”
“Ecco, visto? Nessuno ha più cuore di te, c’è creatura al mondo che tu riesca a non amare?”
Elizabeth si allontanò con l’aria di chi sa di avere ragione, e Thomas si distese supino sul divano fissando lo sguardo sul soffitto della stanza.
Le parole della sorella gli scaldavano sempre il cuore, ma all’improvviso si domandò se per caso anche una delle sue cugine sarebbe stata d’accordo con lei.
 
 
*
 
 
“Dov’è Caroline?”
“Dai tuoi cugini, ha detto che preferiva passare la notte da loro. E sono d’accordo con lei, sono a tanto così da fare i bagagli e andarmene, parola mia!”
 
Ezra, in piedi sulla soglia della stanza della madre – che si rifiutava di dormire nella stessa stanza del marito fin da quando i figli erano bambini – la guardò pettinarsi i capelli con movimenti fin troppo energici e sorrise, divertito come sempre dalla teatralità innata di cui la donna era dotata:
“Mamma, via, sappiamo entrambi che per radunare tutti i tuoi vestiti ci metteresti una notte intera. Che cosa è successo con Carol?”
“Riocard Saint-Clair non vuole sposare tua sorella, ma quel barbagianni senza neuroni di tuo padre – Merlino, a volte mi domando da dove venga, tutto il tuo cervello – non demorde! Le ha detto di sedurlo, renditi conto! Mia figlia… Non farmici pensare, Ezra.”
 
“Mi prendi in giro?”
“Ho l’aria di una che ha voglia di prendere in giro qualcuno? Guardami, mi sto riempiendo di rughe, per colpa di tuo padre! Caroline si è rifiutata, e tuo padre le ha detto che se non farà come le dice le toglierà la dote. Sai cosa significa questo?”
 
“Che nessuno la sposerà mai. E Caroline non avrà un’eredità, passerà tutto a me…”    Il sussurro di Ezra non giunse alle orecchie della donna, che continuò ad inveire contro il marito e contro quello che gli avrebbe fatto passare. Il ragazzo invece lasciò la stanza per un istante e la sua mente vagò lontano, verso sua sorella, rammaricandosi del fatto che fosse lontana e di non poterle chiedere come stesse.
 
“Non ha nessuna importanza. Mi prenderò cura di lei in eterno, se necessario, e se mai volesse sposarsi pagherò io la sua dote. Non può farle questo.”
Ezra scosse il capo, parlando più a se stesso che alla madre, e uscì dalla stanza in fretta come vi era entrato. Per un istante la madre temette che sarebbe andato ad affrontare il padre, ma con suo sollievo Ezra scelse di non farlo, forse consapevole del fatto che non sarebbe valso a nulla.
 
*
 
“Ricordi l’ultima volta in cui lo zio è venuto a trovarci? Ci portò dei regali… un bellissimo vestito a testa.”
Colleen parlò in un sussurro mentre, stesa sul letto, teneva gli occhi castani fissi sul soffitto della propria camera. Cassiopea, stesa accanto a lei lasciando che Lady Ophelia, la coniglietta della sorella, zampettasse tra le loro gambe, annuì mentre Clara, seduta su una poltroncina, sospirava piano.
L’ultima volta in cui aveva visto lo zio risaliva a molto tempo prima, quando durante l’estate era tornata in Inghilterra per un paio di settimane. Aveva ricordi vaghi di quel giorno, e mai, quando si erano saluti, avrebbe immaginato che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrebbe visto.
Spesso si era detta che avrebbe voluto saperlo, per renderlo più speciale, per dirgli quanto bene gli volesse e quanto gli fosse grata per averla sempre sostenuta – era stato lui, di fatto, a convincere due restii John e Amethyst a lasciarla andare a Jena – .  Nonostante sapesse che lo zio fosse consapevole del suo affetto per lui, spesso Clara si pentiva di non aver agito in quel modo, in quel giorno estivo.
 
“La mamma era felicissima di vederti tornare, sai Clara? Penso che non avrebbe sopportato di averti lontana, dopo che lo zio era morto. Stava davvero malissimo.”
Il mormorio di Cassiopea la ridestò, e Clara annuì prima di mormorare che erano pur sempre una famiglia, e che dovevano sempre esserci gli uni per gli altri.
Qualsiasi cosa per la famiglia. Era il mantra dei Saint-Clair, e sebbene spesso Clara si sentisse distante da loro, per sua madre avrebbe effettivamente fatto qualsiasi cosa.
 
*
 
La mattina dopo Neit saltò la colazione e andò al Ministero subito dopo essersi vestito, approfittando del suo anticipo per prendere l’ascensore verso i piani più alti della struttura invece che scendere all’Ufficio Misteri. Stava lì, in attesa, dentro quella gabbia dorata, la divisa blu indossata impeccabilmente e o sguardo dritto davanti a sé, con le mani dietro la schiena.
Quando le porte dorate si aprirono il mago scattò in avanti, camminando con passo sicuro verso gli uffici più importanti di tutto il Ministero. Intercettò proprio suo cugino, che gli rivolse un’occhiata carica di curiosità mentre procedeva nella direzione inversa con le braccia piene di fascicoli:
“Salve Neit. Cosa ti porta qui?”
“Ciao Ezra… Cerco tuo padre, a dire il vero. E’ già arrivato?”
“Certo, lo trovi nel suo ufficio, arriva sempre all’alba… Io devo portare questi di sotto. Theseus Saint-Clair vuole lasciare il posto al nipote e siamo pieni di scartoffie.”
Ezra sbuffò piano, visibilmente poco grato di dover fare da facchino, e salutò il cugino prima di superarlo per dirigersi verso gli ascensori, chiedendosi quando suo padre avrebbe smesso di trattarlo come un assistente.
 
Neit si diresse invece verso l’ufficio che suo zio e suo padre condividevano, una stanza comune d’ingresso che si diramava in due stanze distinte. Erano molti poche, al Ministero, le persone che potevano vantare un ufficio privato, e i suoi familiari erano tra questi.
 
“Vorrei conferire con mio zio, se è possibile.”
Entrato nell’anticamera, Neit si rivolse placidamente alla giovane strega bionda dai capelli acconciati con mille forcine seduta alla scrivania, davanti ad una macchina da scrivere, strega che gli sorrise prima di dirgli che il Signor Cavendish era libero e che poteva riceverla.
“Grazie.”
Neit bussò alla porta, porta che aveva varcato solo un paio di volte in tutta la sua vita, e la aprì quando Robert glielo accordò.
L’uomo parve sorpreso di vederlo, inarcando un sopracciglio, e Neit parlò col tono più calmo possibile, chiedendogli se aveva un paio di minuti da dedicarli.
 
“Certo Neit… siediti pure.”
“Non ce ne sarà bisogno.”
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle e mosse un paio di passi in avanti, fermandosi dinanzi alla scrivania dello zio prima di parlare:
“Caroline ha dormito da noi, ieri.”
“Ne sono consapevole.”
“Mi è parsa molto turbata da una richiesta che le avete fatto, zio. E mi piacerebbe sapere con quale coraggio chiedete alla vostra unica figlia di fare ciò che le avete ordinato. Non mi sembra sia qualcosa che un uomo che si proclama rispettabile si sognerebbe di fare.”
Neit parlò senza muovere un muscolo e senza che nessuna emozione particolare trapelasse dal suo volto e dal suo tono di voce, e guardò lo zio spalancare gli occhi e fare per ribattere prima di precederlo, interrompendolo sul nascere:
“Forse non le volete bene, non lo so, di certo per trattarla in questo modo non ne avete una grande considerazione. Dovreste aprire gli occhi e vedere che figlia meravigliosa avete, zio. E trattarla con il riguardo che merita, come un gentiluomo.”
 
“Caroline è mia figlia, Neit. Mi fa piacere sapere che la sua sorte ti stia a cuore, ma sono suo padre, e sono io responsabile per lei.”
“Allora dovreste averne più cura, zio. Buona giornata.”
 
Neit girò sui tacchi e uscì dalla stanza senza aggiungere altro o dare all’uomo il tempo di ribattere, lasciando l’ufficio lanciando un’occhiata all’orologio d’oro che portava al polso, regalo dei nonni paterni per i suoi 21 anni.
Era in perfetto orario per il lavoro. Come sempre.
 
*
 
“Sono felice che tu mi abbia dato retta, caro.”
“C’è forse qualcuno al mondo che non vi dà retta, zia?”
“Vorrei poter dire di no, ma mentirei. Mio figlio spesso ha fatto di testa sua, nella sua vita.”
Gwendoline sospirò, e scosse il capo mentre un Elfo attizzava il fuoco nel caminetto e Riocard, seduto accanto a lei, osservava le fiamme, pensieroso.
“Mio zio vuole ritirarsi, sapete?”
“Me lo aspettavo. Ma George era sicuro che ce l’avresti fatta, e io non mi fidavo del giudizio di nessuno tanto quanto mi fidavo di quello di mio marito. Sono sicura che ce la farai, Ric. L’importante è non sposare Caroline… Avendo molto potere ti farai comunque molti nemici, Ric, meglio non gettare benzina sul fuoco.”
Riocard s’incupì, ringraziando mentalmente la zia per aver sottolineato che stava andando a cacciarsi in una situazione tutt’altro che sicura mentre la donna beveva un sorso di thè con calma, come se nulla fosse.
“Avete trovato qualcosa, qui in casa?”
“Non ancora, no. Quello a conoscerla fino in fondo era George, e sono certa che ci sono moltissimi nascondigli di cui non sono a conoscenza. Ma non temere, ci riuscirò, sono molto caparbia.”
Il volto di Riocard si distese in un sorriso, non nutrendo alcun dubbio sulla testardaggine della zia – aveva sentito spesso George sospirare che la testardaggine fosse un terribile effetto collaterale del fare “Saint-Clair” di cognome – mentre la donna gli strizzava l’occhio.
Non era molto felice della situazione in cui si trovava, ma almeno era molto sollevando per avere sua zia al suo fianco.
“Come stai caro, comunque? Ieri erano due anni. Sono andata in cimitero e ho trovato Amethyst con le ragazze… tu ci sei andato?”
“No. Mia madre me l’ha chiesto, ma non me la sono sentita, ieri.”            
 
*
 
La porta dell’Ufficio Misteri si aprì da sola e Neit l’attraversò con un sospiro carico di sollievo, felice che quel lunedì fosse giunto al termine.
Non ebbe il tempo, tuttavia, di raggiungere l’ascensore che l’avrebbe condotto all’Atrium: un suono di passi rapidi sul pavimento ricoperto da piastrelle nere e lucide, un fruscio, e Neit ebbe appena il tempo di identificare una figura familiare prima che questa lo raggiungesse e gli gettasse le braccia al collo.
 
“Grazie.”
Il mormorio di Caroline, che chiuse gli occhi e appoggiò il capo sul petto del ragazzo, lo riscosse, e da impietrito Neit mosse lentamente le braccia robuste per stringerla delicatamente per la vita, ignorando i commenti dei suoi colleghi che si stavano disperdendo nel corridoio, complimentandosi con lui per l’ottima conquista tra gomitate e risatine. 
 
“Non mi devi ringraziare, se tuo padre non ha cambiato idea.”
“Non ha importanza. Grazie comunque.”
Caroline lo strinse più forte, per quanto le era possibile, e Neit avrebbe voluto fare altrettanto, ma una parte di lui aveva quasi paura di spezzarla, così non lo fece.
La strega inclinò la testa per poterlo guardare, e gli rivolse il candido sorriso che Neit avrebbe voluto vederle sempre impresso sul volto. Non disse nulla, ma ricambiò il suo sguardo e si rese conto, destabilizzandosi, che mai nessuno l’aveva guardato in quel modo, prima d’ora.
 
 
 
 
 
 
 
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Angolo Autrice:
 
Questo capitolo è da denuncia, me ne rendo conto, ma io e questa storia abbiamo un problema, sembra che io non riesca a scrivere capitoli di lunghezza inferiore alle 14 pagine. Tuttavia nessuno si è ancora lamentato e non sono partite denunce, quindi non mi resta che sperare che i capitoli papiro che vi sforno ogni settimana continuino a farvi piacere, anche se devo ammettere che questo è davvero imbarazzante XD
Non ho domande per voi questa settimana, anche se avrei un piccolo appello da fare alle mie care lettrici che hanno aperto una pagina IG like me ma che, a differenza mia, sono persone dotate di competenze e che sono riuscite ad inserire il link della propria pagina di Efp nella Bio di Instagram.
Amiche, vi prego, aiutatemi, io ci ho provato, ma non ne vado fuori e non mi apre nessun collegamento XD Non sorprende che il voto più basso della mia carriera universitaria io lo abbia preso in Informatica…
A presto e grazie a tutte per le recensioni!
Signorina Granger

Ps. Ho risolto per il link, grazie Zoey. Penso che anche mia nipote di 7 anni sia più portata di me per la tecnologia.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
“Tommy, stai tranquillo, non c’è niente di aver paura.”
Theseus sorrise teneramente al figlio mentre, tenendolo sulle ginocchia, gli accarezzava i capelli scuri con dolcezza. Thomas però scosse vigorosamente la testa e, scosso di tanto in tanto da qualche flebile singhiozzo, continuò a tenere le manine premute contro le proprie orecchie.
La piccola Elizabeth-Rose, che aveva solo pochi mesi, era stata svegliata dal temporale proprio come il fratello maggiore, e ora piangeva nella stanza accanto mentre la tata si prendeva cura di lei e la cullava per farla smettere.
 
“Tommy, ascolta.”  Theseus prese delicatamente le piccole mani del figlio e le allontanò dal suo capo, costringendolo al alzare i grandi occhi azzurri velati di lacrime su di lui. Il mago distese le labbra in un sorriso rassicurante, appoggiandogli delicatamente una mano sulla testa prima di parlare:
“Adesso sei un fratello maggiore, no?”
“Sì papà.”
“Bene. Sai cosa vuol dire? Che dovrai essere d’esempio per tua sorella, e comportarti bene per entrambi. Sarai la sua guida, Tommy, come zio Rod era la mia. Capisci?”
Thomas tirò su col naso e annuì mentre Theseus, asciugandogli le lacrime, guardava il figlio con affetto:
 
“Perciò, devi far vedere a tua sorella che non c’è nulla da temere, quando c’è un temporale. L’estate è bellissima, e le tempeste fanno parte di lei… Ma non c’è niente di cui preoccuparsi, Thomas. Sarai coraggioso anche per Lizzy?”
“Ci proverò papà.”
Thomas annuì con una luce determinata nei grandi occhi chiari, e Theseus gli sorrise prima di abbracciarlo, facendogli appoggiare il capo sul suo petto e mormorando che gli voleva bene.
 
 
 
 
“Signor Cavendish?”
“Sì?”
 
Quando aveva aperto il pub, Egan aveva deciso di adottare una politica precisa: avrebbe servito chiunque. Anche chi faceva Saint-Clair di cognome.
La decisione non era piaciuta affatto a suo padre, e ne erano scaturite delle vere e proprie cene da incubo che ancora facevano sospirare sua madre e i suoi fratelli. Edward non voleva cedere, come sempre, così come il figlio, e alla fine la questione era stata semplicemente fatta cadere senza che più la si menzionasse.
Ogni volta in cui il pub veniva nominato Egan poteva scorgere un paio di rughe formarsi sulla fronte del padre, anche se Edward si sforzava di non battere ciglio. Egan lo vedeva, ma come lui faceva finta di nulla, evitando di raccontare al padre le sue giornate lavorative in un tacito accordo siglato tra i due.
 
Non stupiva che Egan pensasse sempre a come avrebbe reagito suo padre, quando trovava un membro di quella famiglia in procinto di ordinargli da bere. Quel giorno però, Egan accolse Thomas Saint-Clair con un sorriso benevolo: tra tutti, lui era di certo quello che preferiva servire, visto e considerato quanto fosse sempre stato gentile con sua sorella.
 
“Oh, salve Thomas. Cosa posso darti?”
“In realtà, sono venuto principalmente per ringraziarla per aver accompagnato mia sorella a casa, l’altra sera.”
Egan si strinse nelle spalle, asserendo che di certo lui avrebbe fatto lo stesso con la sua proprio mentre Clio, seduta ad tavolo e individuando l’ex compagno di Casa, sfoggiava un largo sorriso e si alzava per raggiungere lui e il fratello minore.
 
Clio non li aveva ancora raggiunti al bancone quando Thomas, piegando le labbra in un sorriso, si rivolse al rosso con lo stesso tono gentile e benevole, ma con una punta di avvertimento:
“Non posso dire di conoscerla molto bene, Signor Cavendish, ma io e lei abbiamo frequentato Hogwarts negli stessi anni, e come si suol dire, la sua reputazione la precede. La invito gentilmente a comportarsi bene, con mia sorella.”
“Mi aizzerebbe un Ippogrifo contro, in caso contrario?”   Egan rise mentre prendeva un boccale vuoto – più che certo che la sorella avrebbe ordinato un’altra Burrobirra – e Thomas si strinse nelle spalle, continuando a sorridergli con la sua consueta espressione cordiale:
Opterei per una Manticora, onestamente. Salve Clio, come stai?”
“Ciao Thomas, anche tu qui! Dai Egan, offrigli qualcosa.”
“Clio, sai che i tuoi amici sono i benvenuti qui, ma fosse per te dovrei offrire tutto a chiunque! Non funziona esattamente così, gestire un’attività.”
“Non c’è problema. Mia sorella prende lo stesso, comunque.”
Thomas depositò qualche moneta sul bancone e accennò alla Burrobirra con cui Egan servì Clio, guardando il ragazzo alzare lo sguardo di scatto verso di lui:
 
“Sua sorella è qui?”
“Sì, è in bagno ad… incipriarsi il naso o cose simili, e mi ha chiesto di ordinare per lei.”
Thomas si strinse nelle spalle, anche se né a lui né a Clio sfuggì il modo in cui Egan sollevò una mano per sistemarsi i capelli mentre lanciava un’occhiata alla porta della toilette.
“D’accordo. Lei prende lo stesso?”
“Sì, sono curioso di assaggiare questa famosa Burrobirra.
“Thomas, ma come, non hai assaggiato una bevanda che porta il mio nome?”
Clio guardò l’ex compagno di scuola con un che di scandalizzato sia nel tono di voce che nello sguardo, ma Thomas si scusò con il suo sorriso più irresistibile, asserendo che si sarebbe fatto perdonare.
 
“E come, sentiamo?”
“Mi è arrivata una cucciolata di Crup da vaccinare, ieri. Potrei dirti di venire e di giocarci, dopo.”


Egan alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a reprimere un sorriso quasi intenerito di fronte all’espressione concitata della sorella maggiore, che sorrise entusiasta e asserì che un branco di cuccioli le avrebbero fatto perdonare qualsiasi torto.
 
 
Elizabeth-Rose Saint-Clair non si era mai disturbata a sporcarsi le mani. Per quanto sua madre l’avesse cresciuta inculcandole le buone maniere per essere una nobildonna esemplare, aveva pur sempre trascorso tutta la sua vita in campagna, circondata da campi, alberi, cavalli e fango.
Occupandosi dei cavalli, aveva persino spalato così tanto letame da essere diventata insensibile all’odore. Eppure, c’era qualcosa che la strega non poteva tollerare: che le si sporcassero, rovinassero o anche solo toccassero i suoi amati vestiti.
 
Perciò, quando si diresse verso il bancone del pub per raggiungere il fratello maggiore e, strada facendo, si sentì tirare leggermente il retro della gonna del suo vestito viola, la strega si fermò di scatto.
Quelle che udì vennero da lei immediatamente catalogate come le risatine più idiote che avesse mai sentito, e si voltò inarcando un sopracciglio con studiato disgusto mentre prendeva la bacchetta in mano.
 
“Allora, vediamo, con quale dei presenti non cosiddetti gentiluomini devo prendermela per questo… gesto di cattivo gusto?”
“Attento Fred, la signorina ha tirato fuori la bacchetta, potrebbe trasformarti in un porta-cipria.”
 
“Thomas, dite che vostra sorella ha bisogno di una mano?”
“Oh no, se la sa cavare… stiamo a guardare.”
 
Gli occhi celesti della strega si ridussero a due fessure e, con un movimento appena percettibile e un incantesimo non verbale, guardò due paia di splendide corna ramificate iniziare a crescere sulle teste di entrambi i maghi, accompagnando il loro sgomento con un sorrisetto:
 
“Ne ho già a sufficienza, di porta-cipria. Ma vi consiglio di andare al San Mungo, cari, prima di diventare dei cervi.”
Elizabeth girò sui tacchi e si diresse con grazia verso il bancone mentre Thomas, appoggiandosi ad esso, la guardava scuotendo il capo e con rassegnazione mista a divertimento, Clio si nascondeva il viso tra le mani per nascondere le risate ed Egan neanche ci provava, riempiendo il locale con la sua risata.
 
“Posso chiedere perché dei cervi, Miss?”
Egan sorrise alla strega quando l’ebbe di fronte, affrettandosi a servirle la sua Burrobirra mentre Thomas, osservando la sorella con affetto, le domandava come mai non riuscisse a non farsi riconoscere ovunque andasse.
“Perché essere cornuti dalle loro signore – sembra che le abbiano, non ci giurerei – è ciò che meritano. Ho sempre voluto provarlo, quell’incantesimo! Thomas, suvvia, non è successo niente di grave, quei due sono usciti di corsa e si saranno già Materializzati nei pressi del San Mungo. Gli toglieranno le corna in un secondo. Molte grazie.”
Elizabeth accettò il boccale mentre Egan le sorrideva, più divertito che mai:
“A cosa dobbiamo l’onore per la sua presenza?”
“Thomas mi ha detto che sarebbe venuto prima di andare al lavoro e ho deciso di accodarmi, non avevo nulla da fare.”
“Come la capisco, noi povere ragazze siamo condannate a passare il nostro tempo in attività per lo più inutili e dove la maggior parte di noi non è affatto portata. Come ricamare, cantare, suonare, disegnare…”
“Io sono così stonata che se provassi ad emettere una nota romperei tutti i bicchieri del locale. Non so disegnare e odio ricamare, per fortuna me la cavo con il pianoforte, e ho una biblioteca piena di libri a casa, o sarei perduta.”
 
Elizabeth si strinse nelle spalle mentre si portava il bicchiere alle labbra e Clio sbuffò, borbottando con amarezza che lei non era in grado nemmeno di suonare, anche se per fortuna se la cavava col disegno. Egan rivolse un’occhiata eloquente alla sorella, ricordandole che un talento lo aveva eccome.
 
“E il suo talento qual è, Signor Cavendish?”
Elizabeth voltò la testa e si rivolse ad Egan, che esitò prima di risponderle con una scrollata di spalle.
“Io? Io sono bravo a cacciarmi nei guai e a combinare pasticci, Miss.”
 
*
 
 
“… A quel punto io e Neit lo trovammo. Noi avevamo tredici o quattordici anni, quindi Egan doveva aver finito il suo secondo anno ad Hogwarts, credo. Era nelle cantine della casa dei miei nonni nel Derbyshire, mio nonno collezionava alcolici oltre a libri e opere d’arte.”
Clio avrebbe voluto continuare il racconto, ma un attacco d’ilarità la sorprese – già pregustando il finale della storia – mentre Thomas ed Elizabeth, seduti insieme a lei allo stesso tavolo, ascoltavano rapiti e curiosi  mentre Egan, che si era preso una piccola pausa, sedeva con le braccia strette al petto e il capo chino, maledicendo mentalmente quella storia e la grande abilità della sorella nel raccontarle.
 
Avrebbe dovuto obliviare i suoi fratelli e fargli dimenticare l’accaduto anni prima. Perché non lo aveva fatto?
Quella era, purtroppo, di gran lunga l’aneddoto preferito dei suoi cari fratelli maggiori. Persino Neit si concedeva una risata, ricordandolo.
“Così, dopo ardue ricerche, io e Neit scoprimmo che il nostro caro fratellino aveva avuto la brillante e sana idea di provare ad assaggiare l’Acquaviola, la bevanda preferita di nostra madre. Fin qui tutto bene, quella roba è leggerissima, ma poi Egan trovò una bottiglia di  Whiskey Incendiario, e quando io e mio fratello lo trovammo se n’era bevuta metà. Una parecchio invecchiata, per giunta!”
 
“Che cosa devo dire, ho un buon gusto innato.”   Egan si strinse nelle spalle, cercando di mascherare il disagio che provava e la volontà di lanciare un “Silencio” sulla sorella per zittirla, ma ormai sapeva che il danno era fatto. Anzi, l’aveva saputo fin da quando Elizabeth aveva domandato perché il locale avesse un nome così insolito.
“Merlino, e in che stato era?”
Elizabeth sgranò gli occhi, in parte divertita e in parte quasi allarmata sentendo di un appena ragazzino imbottito di Whiskey Incendiario.
“Uno stato che definirei tragicomico. Delirava, farfugliava, e rideva come non l’ho mai sentito ridere. Chiaramente i nostri genitori lo avrebbero ucciso, quindi io e Neit abbiamo cercato di nascondere il fatto portandolo in camera sua e dicendo a tutti che stava male…. Sono sicura che nostro nonno abbia capito tutto, ma se così è stato ha fatto finta di nulla. Era davvero divertente, non avete idea… Alla fine Neit, esasperato, lo guardò e gli disse “Merlino Egan, ma sei un Goblin Ubriaco!” E anni dopo abbiamo scelto questo nome per il pub. Ci sembrava adatto, visto e considerato che riguarda il primo incontro di Egan con l’alcol.”
Clio rise divertita, e lanciò al fratello minore un’occhiata piena di affetto mentre Elizabeth scoppiava a ridere e Thomas quasi sputava parte della Burrobirra che stava bevendo. Egan avrebbe voluto sotterrarsi proprio lì, in quel punto esatto, e si ripromise di rendere presto pan per focaccia alla sorella raccontando qualcosa di imbarazzante su di lei in pubblico.
 
 
 
“Ma dovevi dirlo proprio davanti ad Elizabeth Saint-Clair, sorellina?”
“Perché, c’è qualche problema?”


Clio batté le ciglia con un fare e un tono innocente che non lo ingannarono affatto, borbottando che non ci poteva più fidare neanche dei Tassorosso.
 
 
*
 
“Beh, se non altro ora che uno dei più oscuri segreti sono stati svelati, non dovrò temere brutte sorprese o di fare pessime figure, in futuro.”
“E così Egan Cavendish ha degli oscuri segreti? Quale sarebbe l’altro?”
 
“L’altro è il mio secondo nome.”
“E quale sarebbe?”
“Non glielo dirò mai.”
 
“Pazienza, lo domanderò a sua nonna, che di certo me lo dirà.”  Elizabeth si strinse nelle spalle e rivolse un sorrisetto al ragazzo, che stava pulendo il tavolo dove la strega era seduta. Il mago sbuffò, certo che la ragazza aveva ragione e che sua nonna di certo glielo avrebbe detto, se glielo avessero chiesto.
“Suvvia, è così terribile?”
Elizabeth aggrottò la fronte, e il barista la guardò stringendosi nelle spalle, chiedendole se lei ne avesse uno.
“Un secondo nome? Merlino, no, i miei genitori hanno ritenuto sufficiente darmi un doppio nome, per fortuna. Elizabeth-Rose Saint-Clair è già abbastanza lungo, non crede? Se me ne avessero aggiunto uno avrei dovuto portarmi dietro un calamaio di riserva, per quando devo firmare qualcosa.”
La sua risposta lo fece sorridere, ma l’ex Grifondoro scosse il capo, specificando che non intendeva se la strega avesse un secondo nome:
 
“Intendo un oscuro segreto, Miss.”
“Tutti abbiamo dei segreti, credo, anche se non penso di aver mai fatto nulla di particolarmente scandaloso. Avanti, mi dica il nome. Lo scoprirò comunque, sono molto testarda.”
Elizabeth sorrise e si sporse leggermente verso di lui, appoggiando le braccia sul tavolo. Guardò il ragazzo sbuffare piano e guardarsi intorno – quasi a volersi assicurare che nessuno stesse ascoltando – prima di mormorare qualcosa di assolutamente incomprensibile.
 
“Che cosa ha detto? Per la barba di Serpeverde, parli più forte!”
“Egan Gwenddoleu ap Ceidio Cavendish, ecco il mio nome completo. È ancora convinta che il suo sia un nome lungo, Miss?”
Egan inarcò un sopracciglio mentre incrociava le braccia al patto, guardando la ragazza quasi sfidandola a ridere. Cosa che in effetti Elizabeth non fece, ma si limitò a riflettere per un istante prima di parlare, seria in volto:
“Lei deve aver fatto stare sua madre malissimo quando era incinta, Egan.”
“Chiaramente i miei fratelli si sono beccati secondi nomi normali come Estelle e George, mentre a me hanno voluto dare l’equivalente maschile del nome di mia nonna. Mia madre dice che se fosse stato maschio avrebbero pensato di darmi come secondo nome Edward, ma quando videro che avevo i capelli rossi e gli occhi azzurri come mia nonna vollero omaggiarla così.”
“E lei lo detesta?”
“Adoro mia nonna tanto quanto detesto questo nome. I miei fratelli mi chiamano così quando vogliono deridermi o sanno di volermi alterare. Sa, è una cosa che dico a poche persone.”
“Allora mi dovrò sentire onorata.”
“Sì, è obbligata.”
Elizabeth distese le labbra in un sorriso, ed Egan si rese conto che quella era la prima volta in cui la strega gli sorrideva apertamente mentre la guardava alzarsi e lisciarsi distrattamente le pieghe del vestito.
 
“Lo terrò a mente, ma direi che per oggi le ho fatto perdere abbastanza tempo… Ah, quasi scordavo.”
Si era appena infilata i lunghi guanti abbinati al vestito e il mantello quando, frugando nella borsetta di perline, estrasse delle monete che gli porse, sorridendo:
 
“Per l’altro giorno. Ripago sempre i miei debiti, vede?”
“Potrei aggiungerle gli interessi.”
“Faccia come meglio crede. Tenga il resto, allora. Buona giornata Signor Cavendish, io ho degli acquisti da fare.”
Egan lasciò che la strega lasciasse cadere le monete nella sua mano, e la salutò educatamente prima di guardarla uscire dal pub.
 
Non c’era alcun dubbio sul fatto che Elizabeth-Rose Saint-Clair fosse bizzarra tanto quanto attraente, ma prima di allora non aveva mai incontrato una strega della sua età così, e doveva ammettere che la cosa lo divertiva tanto quanto lo intrigava.
 
*
 
“Ah, eccoti, dove ti eri cacciata?”
“Scusate fanciulle, ero in un pub.”
“In un pub? TU?”
 
Cassiopea sgranò gli occhi azzurri, chiedendosi se qualcuno non avesse aggredito la cugina e preso le sue sembianze mentre Elizabeth, sorridendo, raggiungeva lei e le sue sorelle davanti alla vetrina del Ghirigoro.
“Già. Chiaramente siete invitate a non farne parola coi miei genitori, i capelli di mia madre sbiancherebbero all’istante. Avete svaligiato il negozio per caso?”
Elizabeth accennò alle borsette che le cugine tenevano, tutte piene di libri, e Colleen tentò di scusare il loro shopping asserendo che la conoscenza non aveva prezzo.
“Ben detto Cherry. È ciò che diremo a nostro padre quanto minaccerà di diseredarci. Nostra madre pensava che avere tre figlie avrebbe significato vedere centinaia di galeoni investiti in abiti e cappellini, e invece si è ritrovata con tre topi di biblioteca. Andiamo, mi servono delle penne nuove.”
Clara prese Elizabeth sottobraccio e la condusse verso la loro prossima meta con le sorelle al seguito, rivolgendo un sorrisetto complice alla cugina:
“Sbaglio o mi devi aggiornare su qualcosa, Lizzy?”
“Oh, ma certo piccola Clara. A quando il prossimo incontro casuale tra Cherry e mio fratello?”
“Dimmi i suoi orari, e io spedirò Colleen a Diagon Alley.”
Le due ridacchiarono – tanto che Cassy, alle loro spalle, aggrottò la fronte s i premurò di chiedere alla cugina cosa stessero architettando – e Lizzy asserì che fossero proprio terribili mentre Clara, stringendosi nelle spalle, attribuiva la colpa alla sua cattiva influenza da Serpe.
 
*
 
“Buongiorno Signora Cavendish, come state? Oh, avete portato i signorini, vedo.”
“Hanno l’ordine di comportarsi bene, vero ragazzi?”
 
Penelope abbassò lo sguardo sui figli, che si tenevano per mani, e Caroline annuì, asserendo che la madre non doveva preoccuparsi mentre la sarta, guardando lei e il fratello, sorrideva con calore, asserendo che la donna avesse i figli più belli ed educati che potessero esistere.
“Io volevo un libro nuovo, perché dobbiamo vedere i vestiti da femmina?!”
Ezra si arrampicò su una poltroncina mentre la madre veniva servita e riverita come solo le clienti d’alto rango venivano trattate in atelier di lusso come quello, e incrociò le braccia al petto mentre sfoggiava il suo broncio più adorabile. Caroline però non si fece abbattere dalla sua espressione corrucciata e gli sorrise, sedendo accanto a lui:
“La mamma ha detto che deve farti fare un vestito nuovo, Ezra, ma che dopo andremo al Ghirigoro, se ti comporterai bene.”
“Va bene… Che noia però!”
“Su testone, abbi pazienza!”
 
 
 
“Come sto?”
Ezra allargò leggermente le braccia, in piedi sulla pedana mentre teneva gli occhi azzurri fissi sulla sorella che, seduta su una poltroncina foderata di velluto, lo studiava con un sorriso affettuoso sulle labbra:
“Un figurino. Parola mia, ho il fratello più elegante e bello del mondo.”
“Ti piace blu?”
“Ma certo, riprende il colore dei tuoi occhi. Stai molto bene, Ezra. A cosa dobbiamo questo completo nuovo?”   Caroline si alzò per avvicinarsi al fratello minore tenendo le mani dietro la schiena, guardandolo abbozzare un sorrisetto – quello che il mago sfoggiava quando stava architettando qualcosa – con evidente curiosità.
“Ho una sorpresa per stasera.”
“Che cosa? Adoro le sorprese.”    Gli occhi chiari di Caroline vennero animati da un improvviso luccichio, ma Ezra scosse la testa e sorrise, soddisfatto di aver attirato la sua attenzione, con l’aria di chi la sa lunga mentre si sistemava il bavero della giacca guardandosi allo specchio.
“Se te lo dicessi che sorpresa sarebbe? Madama McClan, ha qualche bel vestito da far provare a mia sorella? Sono in vena di farle un regalo, oggi.”

Caroline fece per dirgli che non era necessario, ma una parte di lei le suggerì che un vestito nuovo, infondo, era proprio quello le ci voleva.
 
*
 
“OH NO!”
“Che succede?”
“Lady Ophelia sta MALISSIMO!”
Elizabeth irruppe nella stanza tenendo la coniglietta bianca di Colleen in braccio, dando fondo al suo miglior tono drammatico mentre Amethyst abbassava leggermente il Settimanale delle Streghe per lanciare un’occhiata incerta alla figlioccia.
“Lizzy, che succede?”
“Ne sono sicura zia Amiee, Lady Ophelia sta male, guarda come trema!”
La ragazza accennò alla coniglietta, che alla donna parve adorabile e tranquilla come sempre, ma prima che potesse dire qualcosa Clara affiancò la cugina, strabuzzando gli occhi scuri e parlando con un tono leggermente più alto del necessario:
 
“Merlino, è terribile! Penso che dovremmo portarla dal veterinario!”
“Come dici Clara? Qualcuno dovrebbe portarla dal ve-te-ri-na-rio?”
“Certo, peccato che io sia così impegnata e non possa farlo…”
 
Amethyst abbassò del tutto la rivista, e guardò figlia e figlioccia chiedendosi se non fossero sotto incantesimo o se non avessero assunto strane sostanze. Poi però, mentre Colleen chiedeva a gran voce dalla stanza accanto cosa avesse la sua amata coniglietta, Amethyst scorse chiaramente la nipote strizzare l’occhio alla cugina, che trattenne le risate tranquillizzando la madre: Amethyst alzò gli occhi al cielo e tornò a leggere le ultime tendenze in fatto di acconciature dicendosi che sicuramente le due ne stavano combinando un’altra delle loro.
 
“Ophelia, tesoro, stai male? Vieni dalla mamma.”
Colleen si avvicinò ad Elizabeth, visibilmente preoccupata, e le prese delicatamente la coniglietta dalle braccia per darle qualche carezza.
“Dite che sta male? A me sembra come al solito…”
L’ex Tassorosso aggrottò la fronte mentre osservava la coniglietta, dubbiosa, ma sorella e cugina si affrettarono a farle cambiare idea mentre la padrona di casa ascoltava con curiosità, ormai certa che Elizabeth e Clara volessero fare in modo che Colleen andasse da Thomas.
“No, no, Cherry, è evidente che stia soffrendo… insomma, io so di cosa parlo, mio fratello porta animali in casa da quando è alto un metro!”    Elizabeth annuì, seria in volto e parlando con l’aria di chi la sa lunga mentre Clara la imitava, sforzandosi di trovare una scusa vagamente credibile per essere appena diventata un’esperta di conigli:
“Già, e io… beh, io ho studiato a Jena, quindi chiaramente anche io so di cosa parlo.”
 
“Dite che dovrei chiedere un parere a Thomas?”
“Direi che è la cosa migliore, Cherry, sì, ottima idea.”
“Sono d’accordo… ma non cincischiare, vacci subito!”
In un attimo Clara aveva appellato cappotto e guanti della sorella, quasi infilandoglieli mentre Elizabeth, appellando la gabbietta di Lady Ophelia, la consegnava alla proprietaria con un sorrisetto:
“E già che ci sei, chiedigli di bere qualcosa durante la sua pausa per ringraziarlo!”
 
“D’accordo…”  Colleen annuì, un po’ dubbiosa, ma si lasciò convincere e poco dopo uscì di casa per Smaterializzarsi direttamente a Diagon Alley. La porta d’ingresso si era appena chiusa alle sue spalle quando Clara, rivolgendosi alla cugina, incrociava le braccia al petto:
 
“Quando hai detto che è, la pausa di Thomas?”
“Esattamente tra 15 minuti. Siamo delle vere maestre, cara cugina.”
Elizabeth diede un’occhiata all’orologio d’oro che portava al polso e sfoggiò un sorrisetto uguale a quello che le balenava sul volto quando, da bambina, mangiava più biscotti di quanti sua madre gliene concedesse.
“Dovremmo fare un corso di recitazione, siamo bravissime. Vero mamma?”
 
“Io vorrei sapere che diavolo state architettando, voi due signorine. Forza, ho voglia di sentire un po’ di pettegolezzi.”   Amethyst chiuse il Settimanale delle Streghe e fece cenno alle due di raggiungerla sul tavolo per farsi raccontare tutto tra un pasticcino e l’altro mentre Cassiopea entrava a sua volta nella stanza con le braccia strette al petto e l’aria inquisitoria:
“Vorrei tanto saperlo anche io. E come vi permettete di orchestrare piani del genere senza coinvolgermi?!”
 
*
 
“Sei sicuro che non abbia nulla che non va, vero?”
“Assolutamente. Ma se non confidi nelle mie abilità di magi-veterinario, puoi consultare un mio collega per essere sicura.”
Thomas parlò con il sorriso gentile che lo accompagnava sempre mentre le mani guantate accarezzavano il morbido pelo candido di Lady Ophelia, e Colleen si affrettò a scuotere il capo e a balbettare che ovviamente aveva il massimo rispetto e la massima fiducia nella sua competenza.
 
“Come mai ti sei preoccupata?”
“Non saprei, Elizabeth e Clara sembravano convinte che stesse male… mah, si saranno sbagliate, del resto un controllo non guasta mai. L’importante è che tu stia bene, vero piccola?”
Colleen si rivolse alla coniglietta con il tono più dolce di cui era capace, e Thomas fece rapidamente due più due mentre alzava gli occhi al cielo.
La ragazza lo udì vagamente borbottare qualcosa che suonò molto come “piccola serpe”, e alzò lo sguardo su di lui spalancando i grandi e dolci occhi color cioccolato:
“Qualcosa non va?”
“No, certo che no, non preoccuparti Colleen. Mi dispiace che tu ti sia disturbata per nulla.”
“Che dici, casomai sono io ad averti fatto perdere tempo… mi dispiace Thomas.”
L’espressione contrita della ragazza avrebbe potuto addolcire anche il più crudele dei Maghi Oscuri, e Thomas non poté fare a meno di sorridere e scuotere il capo, mettendole una mano sulla spalla e asserendo di non preoccuparsi e che era stato felice di vederla.
Si stava giusto domandando con quale coraggio la tremenda sorellina avesse potuto prendersi gioco di quella creatura semplicemente adorabile quando, all’improvviso, si ricordò di avere venti minuti di pausa da spendere, di lì a poco.
“Ecco, se non hai altro da fare, giusto per non essere uscita di casa per niente… Ti va di farmi compagnia, nella mia pausa?”
“Oh, ma certo! Se non ti disturbo, è chiaro. Posso offrirti qualcosa io, per ringraziarti?”
“Certo che no, un gentiluomo non fa pagare una signorina, mai. Mi tolgo il camice e arrivo.”
 
Mentre uscivano dalla clinica Colleen lo guardò e si chiese come riuscisse ad apparire sempre così distinto ed elegante, persino sotto agli abiti da lavoro. Di sicuro Thomas era molto diverso da lei, che invece si era sempre reputata un po’ goffa, e accettò il braccio che le porgeva con un sorriso.
Sì, non c’erano dubbi: il maggiore dei suoi cugini era davvero un perfetto gentiluomo.
 
*
 
Neit Cavendish saliva i gradini due alla volta, allacciandosi al contempo la cravatta a strisce blu mentre sbuffava come una ciminiera: era nel bel mezzo di un allenamento, giù al campo di Quidditch, quando uno ansante studente del primo anno lo aveva timidamente informato che la sua presenza era richiesta con urgenza in Sala Comune.
A quanto sembrava, aveva una punizione da dare.
Si stava giusto domandando chi mai si fosse cacciato nei guai con un tempismo così pessimo quando, una volta risolto rapidamente l’indovinello per accedere alla Sala, si trovò davanti suo cugino Ezra, seduto su una poltrona a capo chino e le braccia strette al petto.
 
“Ezra?! Mi spieghi che succede? È la seconda volta in un mese che usi la magia in corridoio, che diavolo ti è preso?”
“Non è stata… colpa mia.”
“E allora di chi?”
“Un demente di Serpeverde, quell’idiota di Nott… ha detto una cosa su Caroline.”
Sentendo nominare la cugina Neit si rilassò, sospirando mentre domandava al cugino che cosa avesse sentito da spingerlo a Schiantare un compagno di scuola. Ezra però avvampò e scosse la testa, borbottando che non aveva alcuna intenzione di dire quelle parole ad alta voce se rivolte a sua sorella.
All’improvviso Neit intuì che cosa potesse aver sentito il cugino – se non fosse arrossito in quel modo avrebbe pensato che il malcapitato avesse offeso Caroline, ma a giudicare dalla sua reazione l’origine delle sue parole doveva essere stata ben altra – e s’irrigidì, sentendo l’irritazione provata per l’allenamento interrotto svanire seduta stante. Si sarebbe anche complimentato con Ezra, se non avesse avuto una reputazione da Prefetto da difendere.
“Oh, capisco.” Neit esitò, e per un attimo fu quasi sul punto di complimentarsi col cugino, viste le sue motivazioni, ma si schiarì la gola e annuì, togliendo venti punti a Corvonero prima di borbottare che, per una volta, lo esentava da una punizione.
“Davvero?”
“Sì. Ma che non ricapiti più, intesi? Bene. Vado a farmi una doccia.”
 
Neit sparì dietro la porta del Dormitorio maschile così come era apparso, ed Ezra lo seguì con gli occhi azzurri spalancati e pieni di stupore, chiedendosi il perché di tanta fortuna.
 
 
“Mille grazie Ezra, mi hai davvero resa felicissima!”


Caroline prese posto sul palchetto laterale riservando il suo sorriso più luminoso al fratello minore, che prese posto accanto a lei sistemandosi la giacca e scrutando il palcoscenico del Royal Opera House.
“Non mi devi ringraziare Carol, sai che amo ogni forma d’arte, e il teatro è tra queste. E poi, il Barbiere di Siviglia è intramontabile.”

Ezra sorrise, compiaciuto, e porse alla sorella il binocolo da teatro della madre – che lo prestava sempre ai figli, quando andavano a teatro –, ripetendosi che la ragazza avesse decisamente bisogno di un po’ di svago. E anche lui, a dirla tutta.
Nel farlo, il mago osservò il prezioso, piccolo oggetto d’avorio con una punta di divertimento, ricordando una scena a cui aveva assistito qualche tempo prima.
 
Ezra aprì la porta della sua stanza con un sospiro, già pregustandosi il bel bagno caldo che lo attendeva prima della cena e di andare a teatro con la sorella. Il mago, tuttavia, si fermò sulla soglia della stanza spalancando gli occhi azzurri, osservando, interdetto, la ben nota figura femminile che si era appollaiata su una delle due finestre che circondavano il suo letto matrimoniale.
 
“Mamma? Che ci fai in camera mia?”
“Shh! Non vedi che sono impegnata?”
“Ma cosa diavolo… Mamma, quello è il tuo binocolo da teatro?”
 
“A te cosa sembra, caro?”
Penelope parlò senza scomporsi e continuando a non voltarsi verso il figlio, considerandolo appena mentre faceva ruotare una delle rotelle di cui il binocolo bianco con inserti d’oro era munito, mettendo a fuoco qualunque cosa stesse osservando.
“Ma perché lo stai usando? In camera mia?!”
Ezra si chiuse la porta alle spalle senza smettere di osservare la madre e chiedendosi, in cuor suo, se la donna non stesse iniziando a dare i numeri. Suo padre dava spesso alla moglie della squinternata, e il figlio non l’aveva mai preso sul serio, anche se trovandola ad usare un binocolo da teatro in casa forse poteva prendere in considerazione quella particolare evenienza.
“Tesoro, nel caso non lo sapessi la tua stanza ha la veduta migliore per la facciata di casa nostra. La uso quando spio i vicini e tu sei al lavoro…”
“E da quando?”

“Ma da sempre, che domande, ma ora non sto spiando i vicini, di norma non occuperei i tuoi spazi mentre sei a casa, caro, ma è una questione di vitale importanza. Sto guardando tua sorella e Neit.”
 
“Carol e Neit? Cosa c’è da guardare?”
“Io sono anni che sospetto che ci sia qualcosa sotto, ma Estelle non vuole darmi retta, dice che sono molto amici e basta… PF! Io non me la bevo!”
Ezra annullò la distanza che lo sperava dalla madre e dalla finestra con poche e generose falcate, piazzandosi alle spalle della donna e scrutando a propria volta fuori dalla finestra da sopra la sua chioma di capelli biondi, approfittando della propria figura alta e longilinea ereditata dal padre.
 
“Io non vedo niente di diverso dal solito.”
“Certo, ma credimi, c’è sotto qualcosa, io so di cosa parlo.”
 
“Mamma, secondo me tu leggi troppe riviste…”
Ezra scosse la testa, poco convinto, ma Penelope si allontanò il binocolo dal viso e sollevò la testa per rivolgergli la sua occhiata più gelida, invitandolo gentilmente a tacere come quando era bambino.
 
 
“Ezra?”
Il ragazzo, ridestandosi, si voltò di scatto verso la sorella, che lo stava osservando con la fronte leggermente aggrottata, quasi chiedendosi se stesse bene nel scorgerlo così assorto.
“Scusa, pensavo ad una cosa… Dicevi?”
“Ti ho chiesto se mi passi il libretto.”
“Oh, sì, certo. Io ormai la so a memoria, credo.”
 
Ezra passò alla sorella il libretto dell’opera con un debole sorriso, sorriso che la bionda ricambiò mentre allungava una mano per stringere brevemente la sua:
 
“Grazie Ezra.”
“Non mi devi ringraziare. Sei mia sorella. Tu faresti di tutto per me, ed io per te.”
“A volte vorrei che tu mostrassi un po’ di dolcezza in più anche al resto del mondo, mio caro fratello, in altre invece mi piace godermi egoisticamente il tuo affetto. Non importa cosa dicono gli altri, Ezra, non sei solo terribilmente brillante, sei anche una bella persona.”
Caroline gli rivolse il più dolce dei suoi sorrisi, sorriso che il fratello minore accolse di buon grado – ben lieto di vederla di umore migliore rispetto agli ultimi due giorni – anche se con lieve imbarazzo, poco avvezzo alle palesi dimostrazioni d’affetto e a ricevere complimenti che non riguardassero il suo aspetto, le sue doti o le sue vaste conoscenze.
 
Avrebbe voluto ringraziare Caroline, ma il buio calò sulla sala mentre il sipario si alzava, e la sorella gli fece cenno di godersi le scene. Ezra fu quasi grato al tempismo con cui l’opera iniziò, perfettamente conscio che anche con tutta la buona volontà di cui era capace non sarebbe riuscito a ringraziare dignitosamente la sorella per i suoi complimenti.
Sembrava che, alla nascita, i genitori avessero riposto nella loro primogenita tutta la capacità possibile di trasmettere affetto alle persone e di esternare i propri sentimenti, facendo sì che lui, nato un anno dopo, ne fosse quasi totalmente sprovvisto.
 
*
 
Elizabeth era tornata a casa dopo la giornata passata con le cugine a metà pomeriggio, e Astrid l’aveva vista attendere il ritorno dal lavoro del fratello con immensa impazienza.
Le aveva persino chiesto se avesse bisogno di qualcosa, ma la ragazza aveva risposto con un diniego, asserendo di essere solo impaziente di vedere Thomas per chiedergli una cosa.
 
Thomas che, quando tornò a casa quella sera, dopo il consueto benvenuto della madre – che lo accolse andandogli incontro per dargli un bacio su una guancia e prendergli il mantello – e delle volpi della sorella, che lo raggiunsero facendogli le feste, si fermò sulla soglia del salotto scorgendo la minore accomodata davanti al camino con un libro e un’espressione da angioletto innocente dipinta sul volto.
“Elizabeth-Rose Saint-Clair.”
“Mi dica, Thomas Saint-Clair.”
“Sei la peggior mente diabolica che io conosca.”
“Via via, non tediarmi, so benissimo che ti ha fatto piacere. Allora, com’è andata?”
 
Elizabeth chiuse il libro e si voltò verso di lui come se non avesse aspettato altro nelle ultime ore, ma il fratello sfoggiò un debole sorriso e asserì che non glielo avrebbe detto prima di dirigersi verso le scale per cambiarsi per la cena.
“Come sarebbe a dire? Tommy, non puoi farmi questo! Ti farò gli occhi dolci più tardi, e sappiamo tutti e due che cederai!”
 
*
 
Neit, seduto davanti alla scacchiera – dalla parte del nero – con i pezzi bianchi d’avorio che gli era stata regalata dal padre per il suo diploma, scrutava attentamente pezzi e caselle, muovendoli di tanto in tanto per poi cambiare idea mentre Clio gironzolava per casa con l’aria di chi non sa come passare il tempo.
 
Alla fine, la strega decise che avrebbe optato per quello che era da sempre uno dei suoi passatemi prediletti: disturbare il suo gemello.
 
“Cosa stai facendo?”
Neit sentì un paio di braccia sottili abbracciarlo circondandogli il collo, e la voce della gemella gli solleticò l’udito mentre Clio poggiava il mento sulla sua testa, sbirciando la partita in corso.
“Mi sembra evidente.”
“Sì, ma da quando si gioca a scacchi da soli?”
 
“E’ una simulazione, più che una vera partita. È utile per studiare nuove strategie.”
Neit si strinse nelle spalle, e Clio asserì che lei, negli scacchi, sarebbe sembra stata una frana su tutta la linea.
“Quando ero piccola a volte battevo il nonno. Ne ero felicissima e andavo a sbandierarlo ai quattro venti, ma poi ho capito che mi lasciava vincere…”
Neit abbozzò un sorriso nel ricordare tutte le partite a scacchi disputate contro il nonno, che gli aveva insegnato a giocare quando era solo un bambino. Ben presto però, George non aveva più dovuto farlo vincere di tanto in tanto: Neit aveva imparato molto presto a difendersi da solo.
 
“Tipico del nonno. Amava darti una lezione per poi ammorbidirsi e lasciarti vincere.”
“Già. Sai, oggi al pub ho incontrato Thomas ed Elizabeth Saint-Clair. Gli ho raccontato della storia del nome del pub e di come il nonno ci abbia coperti, anche se non ne ha mai parlato apertamente.”
Clio ridacchiò mentre si lasciava scivolare sul divano, e Neit aggrottò la fronte mentre muoveva un cavallo.
 
“Come mai?”
“Mi diverte metterlo in imbarazzo. Anche perché sospetto che lei gli piaccia, quindi è stato ancora più divertente.”
“Intendi Elizabeth-Rose?”
“Certo.”
 
“Papà ne sarà felice.”   Il tono ironico del gemello le fece alzare gli occhi al cielo, e Clio asserì che non era nulla di grave e che forse dovevano temere di più per le ire del Ministro della Magia nei confronti del fratello minore.
 
“Pensandoci, forse dovremmo ricordare ad Egan di comportarsi bene. Non si è mai interessato ad una di loro, prima.”
“Per fortuna no. Direi che al momento, con la storia di Caroline, ne abbiamo abbastanza, di questioni sentimentali aperte con quella famiglia.”
Clio guardò il fratello rabbuiarsi nel citare la cugina, ma per tutta risposta la bionda sfoggiò il suo sorriso migliore, pronta come sempre a rincuorarlo:
“Sono sicura che non si sposeranno. Riocard non vuole, no? Certo, il parere di Carol non conta, ma il suo sì.”
“Nostro zio non demorde, però. Cambiamo argomento, è meglio.”
Neit scosse il capo con vigore e quando, poco dopo, chiese ad un Elfo di portargli un bicchiere di Whiskey, Clio lo osservò chiedendosi sinceramente per quanto ancora lui e Caroline avrebbero tirato avanti quella commedia. Forse era arrivato il momento, dopo anni, di parlare a cuore aperto con sua cugina.
 
*
 
È stato bellissimo come sempre. Grazie.”
Caroline si alzò in punta di piedi e lasciò un bacio delicato sulla guancia del fratello, che sorrise con lieve imbarazzo mentre scendeva i gradini dell’ingresso del teatro più famoso di Londra tenendo la sorella a braccetto.
“Te l’ho già detto, non devi ringraziarmi, io amo il teatro, lo sai bene.”
“Sì, ma mi hai anche regalato questo, oggi. Credo che tu voglia tirarmi su il morale, e ci sei riuscito benissimo Ezra.”
La strega accennò al vestito che indossava sotto al soprabito mentre gli orecchini pendenti e il cerchietto ricoperto di perle brillavano sotto le luci poste all’esterno del teatro, sorridendo. Sorriso che il fratello ricambiò appena prima di scorgere, a pochi metri da loro, una figura nota che tremava dal freddo.
 
“Per la barba di Merlino… Clio? Cosa ci fai qui?”
Caroline, seguendo la direzione dello sguardo del fratello, scorse la cugina e reagì con la medesima sorpresa, andandole incontro mentre l’ex Tassorosso abbozzava un sorriso tenendo le mani sprofondate nelle tasche del cappotto:
“Sono venuta da voi, e vostra madre mi ha detto che eravate qui. Che freddo… Carol, avrei bisogno di parlarti… senza essere disturbate.”
“Vengo da te?”
“No, non voglio mio fratello tra i piedi. Possiamo andare da Egan, se vuoi. Ezra, vieni anche tu? Sarà felice di vederti.”
Clio si rivolse al cugino con un sorriso, che annuì con una debole scrollata di spalle:
 
“Va bene, del resto domani è sabato e non lavoro. Prego, signorine.”
 
Clio prese con un sorriso il braccio che il cugino le porgeva, e i tre si allontanarono dalla facciata del teatro piena di Babbani per Smaterializzarsi nei pressi del Paiolo Magico. Caroline, dal canto suo, non proferì parola lanciò un’occhiata dubbiosa alla cugina, che prese a chiacchierare allegramente con Ezra: il fatto che non gradisse la presenza di Neit era molto insolito, e non le faceva presagire nulla di buono.
 
*
 
“Cugino! Qual buon vento ti porta qui? Il solito?”
Ezra annuì mentre sedeva sull’unico sgabello rimasto libero davanti al bancone del pub, ed Egan appellò la bottiglia del suo whiskey preferito insieme ad un bicchiere.
“Io e Carol siamo stati a teatro, e uscendo ci siamo imbattuti in tua sorella. A quanto pare deve parlare con la mia di cose della massima segretezza… diciamo che era chiaro che la mia presenza non fosse gradita.”
 
Ezra accennò al tavolo che sorella e cugina avevano occupato, ed Egan lanciò un’occhiata dubbiosa alle due ragazze mentre lo serviva, borbottando che era meglio tenerle d’occhio visto e considerato che da quell’ora in poi molti clienti tendevano ad alzare il gomito.
“Non c’è bisogno di dirlo, chiaramente aspetterò che abbiano finito e me ne andrò con loro, non preoccuparti.”
Ezra stava per prendere il suo drink quando, all’improvviso, un commento che aveva molto poco di galante rivolto alla “strega col bel vestito blu” lo fece voltare di scatto e alterare tono di voce in un solo istante:
“EHY! E’ di MIA SORELLA che stai parlando! Prova a ripeterlo, se ne hai il coraggio, così ti faccio evanascere la lingua!”
 
 
 
“Cos’ha Ezra da sbraitare?”
“Lascia stare, fa il fratello orso… Allora, di cosa mi vuoi parlare con così tanta urgenza? Grazie Egan.”
Caroline rivolse un candido sorriso al cugino quando il ragazzo arrivò al tavolo con due Burrobirre, ricambiando e asserendo che era un piacere rivederla lì.
“Oh, sei già venuta? Quando?”
“Con Neit, qualche tempo fa. Ho provato quella roba che beve lui, porto ancora il trauma.”
Caroline rabbrividì sfoggiando una smorfia che fece ridacchiare il cugino, asserendo che pochi erano così coraggiosi da provare il Whiskey alla Neit. Clio avrebbe voluto far sentire in colpa la cugina per il suo tradimento nell’aver provato il pub di Egan per la prima volta con Neit invece che con lei, ma decise di lasciar correre quell’affronto giacché l’argomento “Neit” era stato tirato fuori: attese che il fratello minore se ne andasse e poi si sporse sul tavolo verso la cugina, guardandola con tutta la serietà di cui era capace.
 
“Sono anni che evito di parlarne per non mettere nessuno in imbarazzo, ma direi che stiamo superando il limite consentito. Caroline, so che sei innamorata di Neit.”
 
Caroline, che stava prendendo una sorsata di Burrobirra, dovette fare appello a tutto l’autocontrollo e a tutte le buone maniere che sua madre le aveva insegnato per non farsela andare di traverso, tossicchiando mentre appoggiava il bicchiere sul tavolo e Clio la guardava, impassibile.
“C-come lo sai?! Da quando?”
“Oh, andiamo… Settimo anno, Neit inizia a frequentare quella ragazza, la Lestrange, e due giorni dopo ti trovo in Biblioteca a piangere. E sei stata strana nei suoi confronti per giorni, fino alle vacanze di Natale. Non sarà una Corvonero cervellona come te, Neit o Ezra, ma so cogliere i segnali!”
 
“Clio… tu lo sai… da… da 8 anni?! E me lo dici ADESSO?”
“Non volevo essere inopportuna, o metterti in difficoltà. E onestamente pensavo che ti fosse passata, col tempo. E’ considerando gli eventi recenti che ho capito che non è così. Non eri così triste all’idea di sposare Riocard solo per la possibilità di un matrimonio senza amore, vero? Perché Riocard Saint-Clair non ha le corna e non sputa fuoco, tutta quella disperazione per sposare un bel ragazzo non mi tornava. Penso che solo se innamorati possiamo reagire così male all’idea di sposare un’altra persona.”
 
Clio si strinse debolmente nelle spalle e guardò la cugina sospirare prima di annuire, evitando accuratamente il suo sguardo. La Tassorosso però non si lasciò abbattere e allunò una mano per stringere quella della cugina sul tavolo, invitandola a confidarsi finalmente con lei sull’argomento.
 
“E’ così, sai? Quando andavamo a scuola mi dissi che era solo perché lo vedevo ogni giorno, per via di tutto il tempo che passavamo insieme. Sai, stessa Casa, stesse lezioni, stessa Sala Comune, stessi compiti… siamo stati persino Prefetti insieme. Andavo a vedere le… le stupide partite di Quidditch solo perché diceva che ci teneva che ci fossi.”
“E’ così. Lui ti adora, Caroline, è sempre stato così.”
“Ma pensavo che dopo un po’ di tempo, dopo il Diploma, sai, mi sarebbe passata, come hai detto tu. E dopo un anno è stato così, in effetti. Per un po’ ho smesso di pensare così tanto a lui, e ne ero felice, forse perché lui era impegnato negli studi per diventare Indicibile e ci vedevamo molto meno. E’ sempre stato così, in questi anni, sono passata da periodi in cui riuscivo ad allontanarmi da tuo fratello per poi cascarci sempre di nuovo, alla fine. E’ come una sorta di maledizione, per me.”
 
“Posso… posso chiederti perché non glie l’hai mai detto, in tutto questo tempo?”
“Perché ho passato gli ultimi 10 anni a sentirlo rimuginare sul fatto che non abbia mai provato amore, che non sappia cosa sia, e che forse non lo saprà mai. Dice sempre che non sente nulla nella sua Amortentia, che non ci ha mai sentito nulla. A che pro fargli capire cosa provo se non posso essere ricambiata? Voglio bene a tuo fratello, non voglio perdere il rapporto speciale che abbiamo.”
Caroline scosse il capo, gli occhi azzurri ormai lucidi mentre Clio, continuando a stringerle la mano, sorrideva:
“Non pensi che il vostro rapporto sia davvero… molto speciale?”
“In che senso?”
“So quello che pensa sull’amore e quello che dice. Ma penso anche che Neit per una volta possa non rendersi conto di qualcosa che ha sotto al naso da tutta la vita. Il rapporto che ha con te, Carol, non lo ha con nessuno di noi. Io e lui siamo gemelli, ci vogliamo bene e ci conosciamo meglio di chiunque, certo, lui c’è sempre per me, ma… la smania che ha di vederti sempre, quella particolare gentilezza che ha solo nei tuoi confronti... Forse si è convinto a tal punto di non aver mai provato un sentimento simile che non si rende neanche conto di ciò che sente nei tuoi confronti.”
 
Caroline si lasciò sfuggire un sospiro, quasi sollevata di esternare finalmente tutto ciò che si portava dentro da anni, prima di mormorare qualcosa che fece comparire un sorriso intenerito sul volto della cugina:
“Non è solo questo. Ho sempre detto che ho fatto di tutto per non innamorarmi di nessuno, e ovviamente ho fallito miseramente nel mio intento, perché ho sempre saputo che i miei genitori avrebbero potuto organizzare il mio fidanzamento con chiunque volessero. E in parte è la verità, ma se ho continuato a reprimere quello che provo per tuo fratello, oltre al fatto che so cosa lui pensi dell’amore, è anche perché… non lo so, a volte penso che comunque non sarei proprio alla sua altezza.”
Caroline finì di parlare rabbuiandosi ancora di più, e Clio avrebbe voluto vuotarle il boccale di Burrobirra addosso pur di farle rimangiare ciò che aveva appena udito:
“MA CHE FROTTOLE VAI DICENDO?! TU non meritare mio fratello? Per la sottana di Tosca, Caroline, penso che tu saresti la persona che più al mondo vorrei vedere accanto a Neit, e lo dico con tutto l’affetto smisurato che provo nei suoi confronti. Neit ha un disperato bisogno di sentirsi amato, Carol, perché è questa la verità, e a giudicare da com’è quando siete insieme o da quanto è di buon umore dopo averti vista, penso che nessuno potrebbe dargliele quanto te.”
 
 
 
“Caroline mi sembra turbata, di cosa staranno parlando?!”
“Non so, ma credimi, è meglio non metterci in mezzo quando le ragazze parlando delle loro questioni top secret.”
Egan, appoggiato al bancone con le braccia, aggrottò la fronte mentre osservava sorella e cugina con la medesima espressione dubbiosa di Ezra, ma nessuno dei due osò avvicinare le due streghe, temendo di disturbarle e di ricevere una fattura.
 
“Oggi ho visto Thomas Saint-Clair e sua sorella, sai?”
“Davvero? La scorsa settimana Merlin lo ha morso. L’ho rimproverato, ma in parte la cosa un po’ mi ha divertito.”
Ezra ridacchiò, ed Egan alzò gli occhi chiari al cielo prima che il cugino gli domandasse perché fosse venuto con la sorella minore.
 
“E’ venuto per ringraziarmi per averla accompagnata a casa qualche tempo fa. Lei probabilmente è caduta preda del mio irresistibile fascino, che vuoi che ti dica.”
“Tu… tu hai riaccompagnato a casa Elizabeth-Rose Saint-Clair? La figlia del Ministro? La figlia dell’uomo che tuo padre detesta di più al mondo?”
“Sembra di sì.”
Egan inarcò un sopracciglio, guardando il cugino domandandosi il perché di quel tono divertito, come se Ezra si stesse trattenendo dal scoppiare a ridere. L’ex Corvonero gli diede una sonora pacca sulla spalla, asserendo che forse era lui ad essere caduto preda del fascino di quella graziosa fanciulla, e scoppiò a ridere quando il cugino reagì di scatto, negando su tutta la linea.
 
“Merlino, tra mia sorella che dovrebbe sposare un Saint-Clair e tu che ti prendi una cotta per una di loro…”
“NON E’ VERO! Oggettivamente non posso negare che sia bella, ma non ho nessuna cotta.”
“… il mondo sta andando alla rovescia! Manca solo che io e Ambrose Saint-Clair diventiamo migliori amici.”
“Mi hai ascoltato, zuccone?”
“Sì, ho ascoltato, ma il mio cervello archivia solo le cose importanti, quindi la tua panzana l’ho già dimenticata. Portami un altro whiskey, già che ci sei, ti ringrazio.”
 
*
 
“Ambrose, Clara e Lizzy mi hanno messo la pulce nell’orecchio. Secondo te Timmy ha un debole per Cherry?”
Ambrose sospirò rumorosamente mentre Cassiopea, marciando avanti e indietro nella sua camera con le mani dietro la schiena, non la finiva di fare riflessioni ad alta voce sulla sorella e sul cugino ignorando il fatto che lui stesse cercando di lavorare:
“Non ne ho la minima idea, ma se anche fosse non avrei nulla in contrario. Thomas è la persona più a modo che conosca, e sono certo che tratterebbe nostra sorella con la delicatezza che Colleen merita.”
“Ma è nsotro cugino, non ti fa strano?”
“L’importante è che l’uomo che sposerà ciascuna delle mie sorelle sia una brava persona, Cassy. E che non sia Ezra Cavendish.”
“Peccato, Clara a cena diceva giusto che è proprio attraente…”
Un sorrisetto increspò le labbra della Corvonero, e i suoi occhi chiari scintillarono maliziosi mentre Ambrose, dimenticandosi finalmente dell’articolo che doveva finire entro la mattina seguente, quasi sobbalzava sulla sedia e si voltava verso di lei con uno scatto fulmineo:
“COSA?”
“Rilassati fratellone, era uno scherzo per vedere se prestavi attenzione. Comunque sarebbe solo la pura verità. Peccato sia insopportabile… e un Cavendish, soprattutto. Ma si può sapere perché vi odiate tanto? Non sono una sua fan, ma la cosa mi incuriosisce, onestamente.”
 
Ambrose sbuffò, tornando a rivolgersi alla sua macchina da scrivere borbottando che era una storia vecchia.
“Dai Ambrose, sono curiosa! Per favore!”
 
“Ti ricordi quando Cavendish schernì Cherry davanti a tutti, a scuola? Lei era al primo anno, io e lui al quinto.”
“Certo, tu gli hai rotto il naso.”
“Esattamente, ma non è tutto. Andai in Infermeria e lo… beh, l’ho sfidato a duello.”
“NO!”
Cassiopea sgranò gli occhi, sbigottita, e il fratello annuì senza celare un po’ di divertimento:
“Proprio così. E l’avremmo anche disputato, ma Caroline Cavendish lo scoprì e giunse sulla scena del crimine prendendo il fratello per un orecchio, togliendo punti sia a Corvonero che a Serpeverde. Devo dire che la delusione mi è passata in fretta, assistendo a quella scena. Perdere quei dieci punti ne è valsa la pena.”


Lo sguardo del ragazzo si fece quasi sognante, e Cassy ridacchiò di gusto, asserendo che avrebbe proprio voluto assistere a sua volta:
“Caroline Cavendish era tre anni più avanti di me, ma ricordo che era sempre gentile con tutti, me inclusa. E comunque, era l’unica capace di zittire suo fratello. Confesso che l’adoravo, per questo.”
 
*
 
“Dov’eri finita? Mi ero preoccupato.”
“Sono stata da Egan con Ezra e Caroline, volevo parlare con lei di una cosa… Non temere, Ezra e Carol mi hanno accompagnata prima di andare a casa, non sono tornata da sola.”
Clio sorrise al gemello, che aveva già alzato la testa per rimproverarla, e andò a sedersi sull’ottomana posta ai piedi del suo letto mentre Neit, già in vestaglia, sfogliava distrattamente un libro.
“Come sta Ezra? E Carol?”
“Bene, Ezra ti saluta.”
 
Clio osservò il gemello e colse distintamente l’esitazione appena percettibile delle sue dita nel girare pagina, sentendo che per un istante avrebbe voluto chiederle se anche la cugina lo salutava. Neit però non lo fece, e si limitò a chiederle con finto tono disinvolto di cosa avesse parlato con Caroline.
“Vorrei dirtelo, ma è un segreto.”
Clio sorrise, parlando con l’aria di chi la sa lunga mentre Neit annuiva continuando a non alzare gli occhi dal libro:
Va bene.”
“Un segreto segretissimo.”
“Ho capito, Clio.”

“Una cosa che Caroline assolutamente non vuole che ti dica.”
Clio si mise carponi sul letto e raggiunse il gemello, stendendosi accanto a lui come faceva, talvolta, quando erano piccoli. Nel farlo non lo perse di vista neanche per un attimo, e lo guardò esitare e aggrottare la fronte con enorme soddisfazione.
“E perché mai? Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“No, no, nulla del genere… Insomma, non ti fa un po’ strano che una ragazza carina e dolce come nostra cugina non abbia mai avuto un ragazzo?”
“Caroline è liberissima di non rivelarci aspetti della sua vita privata, Clio, per quel ne so potrebbe benissimo averne avuti.”
Neit tornò a chinare il capo, anche se l’espressione accigliata non lasciò il suo viso, come se l’idea un po’ lo infastidisse, e Clio sorrise prima di annuire, parlando mentre si rigirava una ciocca di capelli biondi attorno al dito:
 
“Ti assicuro di no… anche se chissà, adesso potrebbe averlo, un innamorato.”
 
“Sono felice per lei. Buonanotte Clio.”
Neit parlò con un tono quasi gelido e chiuse il libro di scatto, appoggiandolo sul comodino mentre Clio, sentendosi un po’ in colpa ma anche fiera di se stessa, si alzava e gli rivolgeva un sorriso:
“Buonanotte Neit. Sogni d’oro.”
 
La strega asciò la stanza con un sorriso soddisfatto, sperando vivamente che il fratello riflettesse su in che modo quell’eventualità lo facesse sentire mentre Neit, rigirandosi nervosamente tra le coperte, si domandava che razza di faccia avesse, il fantomatico innamorato di sua cugina.
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Il capitolo è molto più soft di quello precedente, e anche più corto, ma ho pensato di “mollare un po’ la presa” questa volta. Nel prossimo mi concentrerò di più sulla trama, qui sicuramente ho dato spazio alle nostre adorabili coppiette u.u
Buona serata e a presto!
Signorina Granger

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
“A cosa stai pensando, tesoro?”
Clio volse lo sguardo sulla nonna e ricambiò con calore il sorriso che l’anziana strega le stava donando, prendendo un macaron dal piattino che Gwendoline le porgeva.
Winter, accovacciato sul pavimento, osservò i dolcetti con vivido interesse, ma la padrona gli intimò di non provarci neanche prima di tornare a rivolgersi alla nonna con un piccolo sospiro:
 
“Al nonno, a dire il vero. Sai, è stato tutto così strano di recente che a volte quasi mi dimentico di sentire la sua mancanza.”
“Tesoro, non rimproverarti. Anzi, sono felice di sapere che tu non stia soffrendo troppo per la sua morte.”
 
“Non è che non mi manchi, mi manca. E’ solo che a volte quasi non ci penso. Dovrei sentirmi in colpa, secondo te?”
“No tesoro. Il nonno odiava le persone che si piangono addosso, lo sai bene… Penso che sarebbe felice di sapere che sentiamo la sua mancanza in silenzio. So che non è mai stato troppo affettuoso nei vostri confronti, ma vi amava molto. Tuo padre lo sa bene, manifestare affetto non era nelle sue corde.”
 
Gwendoline sfoderò un debole sorriso prima di bere un sorso di thè, e Clio annuì ripensando alle rare occasioni in cui aveva sentito il padre parlare di suo nonno. Di sicuro Edward non avrebbe mai e poi definito George Cavendish “affettuoso”.
“Dopo pensavo di fare una passeggiata a cavallo, visto che sono qui. Mi accompagni?”
“Scusa nonna, mi piacerebbe ma… ancora non monto.”


Il volto della giovane strega si rabbuiò un poco, e Gwendoline sospirò prima di allungare una mano per stringere la sua:
“Tesoro, amavi tanto cavalcare… sei sicura di non volerci riprovare?”
“Sì nonna, scusami. Ma so che i Saint-Clair sono quasi tutti cavallerizzi provetti, dovresti chiedere a loro.”
 
“Noi abbiamo sempre amato i cavalli. Mio fratello era eccezionale, avrebbe anche potuto gareggiare come professione, ma nostro padre si oppose severamente, naturalmente.”   
Gwendoline si strinse nelle spalle e Clio abbassò lo sguardo su Sommer, dandogli una carezza mentre ripensava all’ultima volta in cui era montata a cavallo.
 
 
Clio singhiozzava rumorosamente, distesa sul prato e incapace di rialzarsi. Sunny, la sua palomina, si era improvvisamente spaventata – forse a causa di un serpente – e impennandosi aveva sbalzato la bambina che la montava dalla sella, facendola capitombolare a terra.
 
“Ferma, ferma!”
Un bambino dai capelli color rame tendenti al riccio stava cercando di calmare la cavalla, tenendola per le redini mentre cercava di ammansirla accarezzandole piano il naso. Alla fine Sunny parve calmarsi e si fece addolcire dalle carezze e dalle parole del bambino, che non appena fu riuscito nel suo intento corse verso Clio:
“Miss Clio, si è fatta molto male?”
“Non riesco a muovere le gambe.”
Clio singhiozzò e tentò di mettersi seduta, ma un forte dolore al petto la costrinse a desistere, tornando supina tra un singhiozzo e l’altro.
 
“Devo andare a chiamare la zia. Torno subito Miss Clio!”
Il piccolo Riocard corse via con aria risoluta, affrettandosi a raggiungere l’ingresso della casa di campagna di sua zia.
Quel giorno la madre l’aveva portato da lei, e lì il bambino aveva trovato anche Egan e Clio, due dei nipoti di sua zia. Raccomandandogli di comportarsi bene Alexis se n’era andata, e Gwendoline dopo la loro determinata insistenza aveva acconsentito che Riocard e Clio potessero fare una passeggiata a cavallo, raccomandando però di limitarsi ad andare al passo e di non allontanarsi.
 
Fortunatamente Gwendoline non era in casa, ma stava facendo vedere ad Egan come dare da mangiare alle oche sul piazzale di ghiaia che precedeva l’ingresso.
 
“Ma nonna, prima una voleva beccarmi! Brutta!”
Il bambino fece la linguaccia all’oca e si nascose dietro le gambe della nonna, guardando malamente l’animale. Gwendoline invece rise, gli accarezzò teneramente i capelli rossi e gli disse che doveva solo essere più silenzioso e calmo nel rapportarsi a quegli animali quando la voce allarmata di Riocard giunse alle sue orecchie:
 
“Zia, zia! Miss Clio è caduta!”
“Caduta? Vi avevo detto di andare al passo e basta, Ric!”   Gwendoline si irrigidì e si voltò immediatamente verso il nipote, assumendo l’espressione accigliata e severa che riusciva a mettere in riga – con sommo stupore del piccolo Egan – non solo i bambini, ma anche suo padre e suo nonno George.
“Ma l’abbiamo fatto, è solo che la sua pony si è spaventata… Non so cos’è successo.”
 
Il bambino di otto anni si fermò davanti alla donna e chinò il capo, dispiaciuto e pronto a ricevere la sua ramanzina mentre Gwendoline, sospirando, gli ordinava di portarlo dalla nipote.
 
Clio ormai non singhiozzava più, ma le sue guance erano comunque umide di lacrime quando sua nonna la raggiunse, affrettandosi a prenderla in braccio delicatamente e ad accarezzarle i lunghi capelli biondi:
“Piccola mia, cos’è successo?”
“Non lo so, sono caduta. Ho male dappertutto.”
“Adesso chiamiamo il dottore, non preoccuparti. Voi due, con me, ai cavalli penserà un Elfo.”
 
Gwendoline fece un cenno perentorio ai due bambini di seguirla e mentre tornavano verso casa Egan, dopo aver chiesto in continuazione cosa avesse la sorella maggiore, incrociò le braccia al petto e rivolse un’occhiataccia al cugino:
 
“E’ colpa tua se è caduta!”
“Ma non ho fatto niente io!”

“E’ colpa tua comunque!”
 
 
“Povero Ricard, venne da me con quell’aria colpevole come fosse stata colpa sua… Non ti dico quanto si preoccuparono i tuoi genitori. Sono sempre stati molto suscettibili sulla vostra salute, per via di Neit.”
Clio annuì, mormorando che se lo ricordava benissimo: suo padre era entrato quasi staccando la porta dai cardini, chiedendo che diavolo fosse successo mentre il medico asseriva che difficilmente la bambina sarebbe riuscita a muoversi senza problemi prima di un paio di mesi a causa delle numerose fratture e slogature.
 
“Sai, penso che una parte di Egan abbia sempre associato Riocard alla tua caduta… forse è anche per questo che non si sono mai piaciuti.”
“Forse, anche se da bambini era di certo perché era molto geloso di te.”
Clio scoccò un’occhiata divertita alla nonna, ricordando chiaramente come Egan fosse il suo cocco e il modo in cui il fratellino amava farsi coccolare da lei.
 
“Io non ho un nipote preferito Clio, lo sai bene.”
“E’ quello che dicono tutti, e nessuno ci crede mai, nonna.”
 
*
 
Egan, approfittando del suo giorno libero, si stava rilassando sul divano di un salottino al secondo piano – sua madre aveva invitato un’orda di amiche a casa per il thè, e nessun degli uomini che abitavano quella casa avevano il coraggio di avvicinarsi ad un salotto pieno di streghe in vena di pettegolezzi – con un libro in mano, quando Edward entrò sbuffando e si lasciò sprofondare su una poltrona.
“E’ mai possibile venire cacciati da una stanza di casa propria?”
“Hai provato ad imporre i tuoi diritti alla mamma e lei li ha bellamente ignorati?”
 
Egan celò un sorrisetto dietro al libro mentre Edward, borbottando qualcosa di incomprensibile, accendeva il camino con un colpo di bacchetta e appellava uno dei bicchieri di cristallo appoggiati su un vassoio d’argento sul tavolino accanto al camino.
“Tieni.”
Egan porse al padre la bottiglia di cristallo piena di whiskey al padre, che la prese e se ne versò un paio di dita mentre Neit entrava nella stanza scuro in volto e con la sua scacchiera sottobraccio.
 
“La mamma mi ha cacciato dal salotto principale.”
“Benvenuto nel club fratellone, beviti un whiskey.”



Egan sorrise divertito mentre Edward appellava un secondo bicchiere per il primogenito e gli versava un po’ di whiskey. Neit appoggiò la scacchiera sull’ottomana che aveva di fronte e iniziò a disporre i pezzi d’avorio accettando il bicchiere che il padre gli porgeva, accennando un debole sorriso.
Sommer entrò scodinolando – probabilmente bandita a sua volta – e si accciambellò ai piedi del padrone mentre Herbst si avvicinava ad Edward con aria speranzosa.
“No Herbst, non posso giocare con te ora. Sto leggendo il giornale.”
 
“Neit, anche tu trovi questa frase estremamente familiare?”
“Vagamente, sì.”
 
“Egan, finiscila, o ti bandisco da questa stanza come ha fatto tua madre.”
“Baggianate, solo la mamma ha questo potere. Anche se forse, se indossassimo una gonna, ci permetterebbe di restare.”
 
Edward alzò gli occhi al cielo, per nulla allettato dall’idea di indossare una gonna, ma allungò una mano per dare una grattatina alle orecchie della lupa, che gradì e gli strofinò il muso su una gamba prima di tornare da Egan, leccandogli una mano per reclamare la sua attenzione.
 
“Sai papà, ho un dubbio che mi attanaglia da tempo.”
Edward alzò lo sguardo sul figlio minore aggrottando la fronte e invitandolo a proseguire mentre un sorriso sempre più largo si faceva strada sul volto del ragazzo. Neit lanciò un’occhiata in tralice al fratello, pregandolo silenziosamente di non dire nulla che potesse alterare il padrone di casa: chissà perché, quando Egan sorrideva in quel modo aveva sempre quell’impressione.
 
“Considerando che non approvi per nulla che i Saint-Clair vengano nel mio locale o anche solo vengano nominati in questa casa… Mi chiedo se quando leggi il giornale leggi gli articoli scritti da Ambrose Saint-Clair, il figlio di tua cug- di Amethyst Saint-Clair.”
“Sì, li leggo, ma non mi soffermo sul nome dell’autore. Spero di aver chiarito i tuoi dubbi, Egan.”


Edward tornò a leggere e Neit fu pervaso da una forte sensazione di sollievo, ringraziando la sua buona stella mentre iniziava a giocare ed Egan, ridacchiando, tornava a leggere il suo libro di storia.
 
*
 
 
“Zia Carol, pecchè non sei ancora sposata?”
Caroline, tenendo la piccola Abigail – che stava divorando un gelato Fortebraccio più grande di lei – per mano mentre attraversava la strada principale di Diagon Alley, aggrottò la fronte e cercò la risposta migliore da dare alla figlioccia:
“Beh, perché… Non tutti si sposano giovanissimi come la tua mamma, sai. Per me non è ancora arrivato il momento.”
“E pecchè?”
“Perché non ho trovato la persona giusta per me.”
“Io mi sposerò zia?”
“Ma certo, sei bellissima e intelligente!”  Caroline sorrise alla bambina e le diede un pizzicotto su una guancia mentre Helen, la sorella maggiore della bimba, correva verso la vetrina piena di bambole di un negozio di giocattoli:
“Che belle! Zia, possiamo entrare? Ti prego!”
 
“Tu vai dentro Helen, io aspetto qui fuori che tua sorella finisca il gelato. Tesoro, forse non dovevi prendere quattro palline…”
“No, ce la faccio!”
Abigail sfoderò la sua espressione più risoluta e iniziò a ingurgitare gelato sotto gli occhi divertiti della madrina, che l’ammonì di non mangiarlo troppo in fretta per non farsi venire mal di pancia.
 
 
Neit guardò sbuffando la lista che sua madre gli aveva consegnato prima di spedirlo fuori di casa: mentre lui, padre e fratello si rilassavano Estelle era entrata nella stanza e, con la sua tipica leggiadra e perfetta educazione, aveva domandato quale dei tre gentiluomini si rendeva disponibile a fare delle commissioni per lei.
 
Edward era stato colpito da un improvviso malessere ed Egan si era dileguato dalla stanza così in fretta che Neit si era chiesto se non si fosse Smaterializzato, e lui di fronte allo sguardo di sua madre non era riuscito, come al solito, a negare la sua disponibilità.
Di certo non immaginava quanto lunga fosse la lista della madre, che voleva persino un capellino nuovo color malva.
Neit non aveva sinceramente idea di cosa fosse, il malva.
 
“Un set nuovo di porcellane… ma ne ha già quattro!”
Neit guardò sbigottito il foglietto di pergamena, e stava per considerare di tornare dalla madre a mani vuote, ammettendo la sua totale incompetenza in quel genere di acquisti, quando il suo sguardo si soffermò su una strega a lui molto nota che, inginocchiata sul marciapiede davanti ad un negozio di giocattoli, sorrideva ad una bambina bionda mentre le puliva il visino sporco di gelato.
 
Caroline
Caroline di certo sapeva cosa fosse il malva
 
“Caroline!”
Il mago puntò dritto verso la cugina, che sentendosi chiamare si voltò e gli rivolse un sorriso mentre si rialzava, sistemandosi la gonna del vestito.
“Ciao Neit. Come mai qui?”
“Sarebbe il mio giorno libero, ma mia madre mi ha mandato a fare spese… Ti dispiacerebbe aiutarmi? Con certe cose non so proprio come cavarmela. Buongiorno signorina.”
“Ciao!”


Abigail gli sorrise allegra e Caroline, dandole una carezza sulla testa, annuì:
“Volentieri, ma prima devo portare le bambine a casa.”
“Dobbiamo vedere le bambole zia!”
Caroline alzò gli occhi al cielo, annuendo mentre la bambina sorrideva, vittoriosa:
“Va bene, allora vedremo le bambole e poi vi porto a casa, ok? Aspetta qui, torno subito.”
 
Caroline prese Abigail per mano e sparì dentro al negozio, uscendone poco dopo con una bambola a testa per ciascuna bambina.
“Neit, tu sei sposato?”
La minore stava stringendo la sua bambola nuova al petto quando alzò lo sguardo sul mago, curiosa, e Caroline si affrettò a rimproverarla con una risata:
“Abby, non si chiedono queste cose agli estranei! Scusala, oggi è fissata col matrimonio.”
 
“La mamma dice che è strano che tu non sia sposata zia!”
“Ah sì? E che altro dice vostra madre?”
Helen esitò, pensierosa, mentre Abigail bombardava Neit di domande e Caroline inarcava un sopracciglio, chiedendosi per quale motivo tutti fossero così interessanti alla sua vita privata.
 
“Perché sei dolce, bella e intelligente.”
“Zia, se ti sposi non ti dimentichi di me, vero?”
Abigail, dopo aver cercato invano di capire che lavoro facesse Neit, si voltò verso la strega e la guardò con gli occhi castani spalancati, improvvisamente preoccupata.
“Ma certo che no, voi siete i miei tesori!”
 
Caroline le diede una carezza sul viso, e la bimba parve soddisfatta della risposta mentre Neit, abbozzando un lieve sorriso, non poteva che concordare silenziosamente con le parole di Helen.
 
*
 
“Direi che abbiamo preso tutto. Mi dispiace che tu abbia dovuto perdere tempo così.”
Neit rivolse un’occhiata dispiaciuta alla cugina, che sorrise mentre lo prendeva sottobraccio uscendo dalla farmacia dove la madre lo aveva incaricato di comprare litri di pozione ringiovanente per la pelle.
“Non preoccuparti, mi piace fare shopping, e sono abituata con mia madre. Anche lei mi manda spesso a fare commissioni. Oggi non è venuta a casa vostra?”
“Già, e hanno bandito noi uomini dal loro punto di ritrovo, lasciamo perdere…”
Neit alzò gli occhi al cielo e Caroline scoppiò a ridere, immaginando il cugino più contrariato che mai costretto a levare le tende dal salotto.
 
“Non c’è nulla di divertente, Caroline.” Neit la guardò, accigliato, e Caroline si affrettò a schiarirsi la voce, smettendo di ridacchiare.
“Scusa.” Caroline strinse le labbra, cercando di non ridere, ma fallì miseramente nel suo intento e poco dopo rideva di nuovo, la testa appoggiata sulla spalla del cugino che sospirò, arrendendosi.

"Comunque, devo chiederti di non fare cenno a tua madre della pozione ringiovanente per la pelle. La zia cerca di far ammettere a mia madre di usarla da quasi in decennio e lei si ostina a negare."
 "Stia tranquillo, Mr Indicibile, i suoi segreti sono al sicuro con me."


*
 
 
“Scommetto che lui l’ha tradita, solo questo può far arrabbiare così tanto una donna! Oppure le ha rotto un paio di scarpe, non c’è altra spiegazione possibile.”


“Mamma, penso che dovresti trovarti un altro hobby.”
Ezra, seduto al suo scrittoio, stava cercando di leggere un libro in pace, ma l’intento gli era reso molto difficile dalla madre, che poco prima aveva fatto irruzione in camera sua dopo essere tornata da casa dei parenti, strillando di aver visto i vicini litigare tornando a casa e di dover assolutamente approfondire la cosa.
 
Adesso Penelope, appollaiata sulla finestra a destra del suo letto e col binocolo da teatro in mano, gli stava esponendo le sue teorie come se si trattasse di un affare di stato.
“Vorrai scherzare, quella vecchia megera della Signora Wilkes mi ha sempre guardata con quell’aria beffarda perché perfettamente consapevole dello stato del mio matrimonio. Ora che lei e il marito non fanno che litigare devo assolutamente approfittarne! Ohhh, gli ha lanciato contro una fattura, interessante.”
Penelope girò la rotellina al centro del binocolo per mettere a fuoco la finestra dei vicini quando, all’improvviso, il suono metallico del cancello che si apriva e chiudeva attirò la sua attenzione: la strega si voltò istintivamente verso l’ingresso, e un sorriso vittorioso le increspò le labbra quando scorse sua figlia di ritorno a casa in compagnia.
 
“Tua sorella è uscita per badare alle figlie di Mary e torna con Neit… Pensi ancora che tua madre abbia le visioni, caro?”
Penelope puntò il piccolo binocolo su figlia e nipote mentre Ezra, sbuffando, si alzava per raggiungerla. Lanciò una rapida occhiata alla sorella e al cugino, che le stava dicendo qualcosa appoggiandosi al cancello chiuso mentre Caroline, in piedi sul vialetto di ghiaia, sorrideva.
 
“A me sembrano tali e quali al solito.”
"È chiaro, ma tu per queste cose hai l’acume di un porcospino. Guarda come lo guarda tua sorella, l’hai mai vista guardare qualcuno così?”


Penelope alzò lo sguardo sul figlio minore, che aggrottò la fronte mentre osservava la sorella. Non aveva mai sentito Caroline parlare in un certo modo su alcun ragazzo, ma aveva sempre pensato che semplicemente preferisse non confidare quel genere di cose a lui.
“Suvvia caro, sei così sveglio… Mi sorprendi, così.”
 
*
 
Il soffitto della Sala Grande raffigurava la consueta notte stellata che accompagnava ogni banchetto di Hogwarts, e centinaia di candele fluttuavano sopra le teste degli studenti in trepidante attesa di poter cenare.
Ambrose Bouchard-Saint-Clair non faceva eccezione, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia di assistere allo Smistamento: quel giorno iniziava il suo terzo anno ad Hogwarts, così come suo cugino Riocard, e sua sorella Cassiopea – insieme ad Elizabeth-Rose – era appena giunta al castello per la prima volta.
Lui, Riocard, Thomas, Cassiopea e Lizzy parlavano di quale sarebbe stata la loro Casa da tutta l’estate, e finalmente l’attesa era finita.
L’apertura della doppia porta della Sala Grande fece calare improvvisamente il silenzio nell’ampia stanza e tutti scrutarono il Vicepreside e la fila di ragazzini al seguito, tutti più meno incuriositi e intimoriti mentre osservavano la moltitudine di studenti più grandi e indicavano il soffitto con aria meravigliata, sfilare nello spazio tra i tavoli di Tassorosso e Corvonero.
Ambrose scrutò i giovani maghi e, grazie ai suoi capelli, non gli fu affatto difficile scorgere la sorella minore: Cassiopea procedeva tenendo Elizabeth per mano, e anche lei si stava guardando attorno per cercarlo con lo sguardo. Gli sorrise quando l’ebbe individuato, e il fratello maggiore rivolse un cenno di saluto a lei e alla cugina mentre anche Thomas, dal suo tavolo, sorrideva incoraggiante alla sorella minore, visibilmente nervosa.
 
“Dobbiamo farlo davanti a tutti? Che imbarazzo! E se sbaglio tavolo?!”
Il sussurro di Elizabeth fece sorridere la cugina, continuando a tenerla per mano mentre il Vicepreside spiegava ai ragazzini lo svolgimento della procedura di Smistamento:
“Tranquilla, Ambrose dice che quando qualcuno viene Smistato tutti applaudono, vai a sederti al tavolo che applaude e non puoi sbagliare.  E poi, ci sono Ric, Tommy e Ambrose. Se vieni smistata in una delle loro Case vai a sederti vicino a loro.”
“Ok.”
Elizabeth annuì, leggermente rincuorata mentre il primo studente – David Abbott – veniva chiamato ad indossare il Cappello Parlante.
“La prossima potrei essere io!”   Cassiopea sorrise, fremendo di curiosità mentre il ragazzino veniva rapidamente Smistato a Grifondoro. E infatti, subito dopo venne chiamata proprio “Bouchard-Saint-Clair Cassiopea”.
La ragazzina lasciò la mano della cugina e si diresse, emozionata e curiosa, verso lo sgabello dove avrebbe dovuto sedersi. Sentì tutti gli occhi su di lei mentre indossava il Cappello, conscia di quanto il cognome che portava richiamasse l’attenzione, ed Ambrose si ritrovò ad attendere quasi col fiato sospeso.
 
“Corvonero!”
Cassiopea si sfilò il Cappello, lo diede al Vicepreside e corse verso il tavolo in preda agli applausi con un sorriso sulle labbra. Sedette lanciando un’occhiata al fratello maggiore e sfoggiando un sorriso quasi di scuse, in parte dispiaciuta di non essere nella sua stessa Casa, ma Ambrose non ci badò a lungo, visto che un terribile pensiero gli invase la mente:
“Oh no!”
“Che c’è Ambrose?”
“Mia sorella è nella stessa Casa di quel beota di Cavendish!”
 
“Evviva, abbiamo una Saint-Clair in dormitorio…”
“Ezra, non la conosci, non essere sgarbato e sii gentile!”
Caroline, seduta di fronte a lui, gli lanciò un’occhiata di rimprovero, e il fratello asserì che diventata ogni giorno più simile alla madre mentre Neit, il mento appoggiato su una mano, roteava gli occhi.
“Beh, speriamo sia più simpatica del fratello maggiore… e che si sbrighino, ho fame!”
Ezra sbuffò spazientito, consigliando vivamente al Cappello di muoversi mentre Caroline sospirava, scuotendo il capo:
“Ma ti sei mangiato mezzo carrello dei dolci, in treno!”
 
 
“Quest’anno c’è la tua sorellina?”
Clio si rivolse a Thomas con un sorriso mentre Edith Rowle si univa al loro tavolo, e il ragazzo annuì, allegro:
“Sì, penso che tra poco toccherà a lei… Impossibile che venga Smistata a Tassorosso, ma sono comunque felice di averla qui.”
“Lo credo bene, a me è mancato moltissimo Egan, al primo anno, e abbiamo solo un anno di differenza… dev’essere stata dura stare tanto separati per tre anni. Come mai escludi con tanta enfasi che possa essere una nostra compagna, comunque?”
Clio inarcò un sopracciglio, perplessa, e Thomas si limitò a sorridere con l’aria di chi la sa lunga prima di asserire che di certo, se l’avesse conosciuta, avrebbe capito le sue ragioni.
 
“Saint-Clair, Elizabeth-Rose.”
Non erano rimasti molti ragazzini quando Elizabeth venne chiamata, e la piccola strega prese posto sullo sgabello cercando di non pensare alla gran quantità di paia d’occhi che la stavano osservando. Forse fu una fortuna che il Cappello, troppo grande per lei, le scivolasse sulla testa celandole la vista.
 
Cassiopea guardò la cugina speranzosa, incrociando le dita, e anche la stessa Elizabeth per un istante sperò di finire nella sua stessa Casa. Il Cappello, però, le era stato calato sulla testa da solo un paio di istanti quando rese nota la sua decisione di mettere la ragazzina tra i Serpeverde.
Ambrose sorrise e applaudì con vigore mentre Thomas, dal suo tavolo, faceva altrettanto. Cassiopea venne colta da un moto di delusione, e guardò la cugina trotterellare verso il tavolo dei Serpeverde e abbracciare il fratello maggiore con aria poco molto poco allegra.
 
“Riocard, ma si può sapere quanti siete? Hai un milione di cugini!”
Al tavolo dei Grifondoro, Riocard fece spallucce mentre giocherellava con la sua coppa d’oro, asserendo che aveva altre due cugine più piccole che sarebbero giunte ad Hogwarts negli anni seguenti.
“Beh, speriamo che siano carine come queste!”
Il ragazzino fulminò il compagno di Casa con lo sguardo mentre Egan, seduto a pochi posti di distanza, si limitava ad osservare prima Cassiopea, la nuova compagna di Casa di suo fratello e dei suoi cugini, e poi il nuovo acquisto dei Serpeverde, guardando Elizabeth-Rose seduta vicino al cugino e impegnata a sorridergli mentre gli diceva qualcosa.
Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, e di certo non di fronte a Riocard, ma effettivamente le sue cugine erano due ragazzine molto carine.
 
 
 
“Ehi Cavendish!”
“Che vuoi Saint-Clair, ti sono mancato? È la prima sera e già mi cerchi.”
“No, volevo solo dirti di non infastidire mia sorella, se non vuoi che ti rompa il naso!”


Ezra stava per informare Ambrose che doveva solo provarci, ma Caroline lo prese sottobraccio e gli intimò di stare zitto e di seguirla verso le scale mentre i Serpeverde, invece, si dirigevano verso i Sotterranei.
“Ma non è giusto, perché siamo qui sotto? Fa freddo!”
Elizabeth si guardò attorno mentre, camminando accanto al cugino, si dirigeva verso la loro Sala Comune iniziando già a tremare dal freddo. Ambrose però sorrise, asserendo che di certo l’interno della Sala le sarebbe piaciuto di più prima di farle promettere solennemente di non rivolare mai le loro parole d’ordine a nessuno, nemmeno a Cassy.
 
“Perché Ambrose?”
“Qui funziona così, Lizzy. Senza contare che non vorrei che Cavendish la scoprisse e venisse a mettermi un ragno gigante nel letto.”
 
*
 
 
“Devi sporgerti di più, Lizzy!”


“Questo lo so, ma non voglio spalmarmi al suolo e farmi calpestare da Enea!”
Elizabeth sbuffò mentre tirava le redini di cuoio del suo cavallo, costringendolo a rallentare il galoppo fino a trottare mentre si dirigeva verso Cassiopea, in piedi vicino al recinto che delimitava la proprietà dei suoi genitori.
“E’ lo sport più assurdo del mondo, peggio del Quidditch! Ma dico, quale babbeo ha pensato di combinare il croquet e l’equitazione?”
Elizabeth si fermò accanto alla cugina, che sorrise e diede una carezza sul collo del cavallo baio mentre l’ex Serpeverde guardava con disprezzo la stecca di bambù che teneva in mano.
“Finirò per uccidermi.”
“Non dire sciocchezze, sei un’amazzone spettacolare. Se c’è qualcuno che può farlo, è mia cugina. E poi non dovrai giocare, è solo una tradizione!”
 
“Sì, lo so… meno male, non invidio affatto i giocatori, io avrei seriamente paura di rompermi l’osso del collo. Ci riprovo.”
Elizabeth sospirò e diede un leggero colpo di talloni ai fianchi del cavallo, che partì subito al trotto mentre la padrona lo indirizzava verso la stupida palla di cuoio, così da lei definita, che avrebbe dovuto colpire.
 
“D’accordo tesoro, cerchiamo di non far ammazzare la mamma, ok? E di non farle fare una figuraccia davanti a tutti, domenica…”
Elizabeth sbuffò piano mentre si rivolgeva al cavallo, pensando con stizza alla partita di polo che avrebbe avuto luogo quel finesettimana. La tradizione prevedeva che il colpo d’inizio alla palla venisse dato da una donna come segno di buon auspicio, e quell’anno suo padre aveva pensato bene di proporre proprio la figlia ai suoi amici. Il polo era un noto sport d’élite Babbano, ma da un paio di decenni anche i maghi Purosangue avevano iniziato a praticarlo, trovando quello strano gioco curioso, divertente ed una perfetta scusa per organizzare eventi mondani.
 
Ad Elizabeth l’idea non allettava per niente, ma non potendo esentarsi impugnò la stecca di bambù con la man guantata e le redini con l’altra, quasi appiattendosi sul collo del cavallo che ormai stava galoppando mentre teneva gli occhi azzurri fissi sulla palla.
Dopo tre tentativi fallimentari, finalmente l’estremità metallica della sua stecca colpì la palla, facendole disegnare un arco in aria mentre Cassiopea, alle sue spalle, applaudiva con una risata:
“Così si fa! Gliela farai vedere agli uomini, domenica.”
“Oppure cadrò da cavallo, chi lo sa!”
Elizabeth sorrise mentre tornava verso la cugina, sollevata. Diede una sonora pacca sul collo di Enea, asserendo che rimaneva sempre e comunque il suo “bravo ragazzo”.
 
*
 
Sua zia gli aveva detto che avrebbe trascorso la giornata nel Derbyshire, ma gli aveva accordato il permesso di andare comunque a casa sua.
Theseus lo avrebbe ucciso per tutte le assenze che stava collezionando al Ministero, Riocard ne era perfettamente consapevole, ma quel pomeriggio si avviò comunque verso la casa dove George e Gwendoline Cavendish avevano trascorso buona parte dei loro anni di matrimonio.
 
Il giovane bussò e l’Elfo Domestico, riconoscendolo, fu ben lieto di farlo entrare, anche se lo informò che la signora non fosse in casa.
Riocard asserì che lo sapeva, ma che aveva il permesso della zia per “cercare una cosa”, così di diresse a passo di marcia al piano superiore per continuare le sue ricerche.
 
C’era qualcosa, da qualche parte in quella casa, che i Cavendish volevano. Doveva soltanto arrivarci prima che fossero loro a farlo.
 
 
Clio aveva un enorme sorriso stampato sul volto mentre camminava insieme a Winter sul marciapiede che l’avrebbe portata a casa di sua nonna: le aveva fatto visita per pranzo, e la donna aveva asserito che poteva benissimo usare casa sua se le fosse servito un luogo tranquillo per scrivere senza essere disturbata.
La ragazza non se l’era fatto ripetere due volte, e aveva accettato l’invito con immensa gioia: adorava quella casa, e in più un po’ di tempo passato a scrivere in santa pace era proprio quello che le serviva.
Si era congedata da Gwendoline poco prima ed era tornata a Londra insieme a Winter, e Clio, penna, calamaio e pergamena in una borsa, si diresse verso la porta d’ingresso prima di colpirla leggermente con il pesante battente, attendendo che un Elfo le aprisse.
“Miss Clio, buongiorno! La signora non c’è, mi dispiace.”
“Lo so, ma ha detto che posso stare qui, non preoccuparti! Vieni Winter.”
 
L’Elfo Domestico fece un balzo indietro alla vista del lupo, al quale Clio intimò di lasciarlo in pace prima di chiudersi la porta alle spalle.

“Vado di sopra, d’accordo?”
“Vuole qualcosa, Miss?”
“Magari dopo, grazie!”
 
Clio sorrise mentre si dirigeva verso le scale – infondo saccheggiare la dispensa di sua nonna avrebbe reso quel pomeriggio ancora più gradevole – ma si ritrovò ad aggrottare la fronte, perplessa, quando udì dei rumori al piano superiore.
Dicendosi che gli Elfi di certo non potevano aver fatto entrare un estraneo, la strega finì di salire le scale dicendosi che forse avrebbe incontrato Egan, o Neit o suo padre.
Una delle porte del corridoio del primo piano era aperta, e la strega udì distintamente una voce maschile borbottare e imprecare qualcosa a mezza voce mentre Winter la seguiva, guardingo.
 
“Ehm… salve?”
Clio si avvicinò alla stanza – che identificò come quella che, a detta della nonna, era stata per anni la camera di suo padre – e quasi trasalì quando un giovane dai capelli rossi fece capolino sulla soglia, guardandola con la sua stessa espressione sbigottita:
“Che ci fa lei qui?”
Riocard aggrottò la fronte, parlando all’unisono con la strega prima di rispondersi reciprocamente, sempre in contemporanea:
“Mia zia mi ha dato il permesso.”
“Mia nonna mi ha dato il permesso.”
 
“Va bene, abbiamo capito che ognuno di noi è qui per un motivo preciso, ma se mia zia mi avesse informato della sua presenza non sarei venuto.”
“D’accordo ma… perché sta distruggendo la casa, esattamente?”
Clio, curiosa, si avvicinò alla porta aperta della camera, osservando il disordine che regnava sovrano tra armadi aperti e cassetti ribaltati. Riocard però si limitò a stringersi nelle spalle, serafico, asserendo di avere una cosa da cercare.
 
“Ohh! Adoro queste cose! Cosa sta cercando? Cosa? Me lo dica, per favore!”
“No, no e no. Chiedo scusa.”  Riocard girò sui tacchi e fece per tornare alle sue ricerche, ma Clio non si fece abbattere e lo seguì, gli occhi azzurri luccicanti:
“Perché no? Potrei aiutarla, sa? Sono brava!”
 
L’ex Grifondoro sospirò, passandosi una mano tra i capelli: non conosceva quella strega molto bene, ma aveva la netta sensazione che levarsela di torno sarebbe stato estremamente difficoltoso.
 
“E va bene, se ci tiene può aiutarmi.”
“Evviva! Cosa stiamo cercando?”
“Prima di tutto non c’è nessun “noi”, Signorina, e in secondo luogo… non lo so.”
“Non lo sa?!”
“No, non lo so.”

“Ma mi prende in giro? Come fa a non sapere cosa cerca?”
“Non lo so e basta, ma sono certo che quando troverò quello che cerco lo saprò… insomma, ha capito che intendo. Mi aiuti a sollevarlo.”
 
Riocard si avvicinò al letto facendole cenno di seguirlo, e Clio lo aiutò a sollevare il materasso per controllare che non ci fosse qualcosa tra esso e la rete del letto con un’espressione sempre più scettica dipinta in volto:
“Sa, questa era la stanza di mio padre.”
“Motivo in più per iniziare da qui.”
“Ah, ma allora c’entra con mio padre! Confessi! Non le darò pace finchè non parlerà, glielo assicuro.”


Clio incrociò le braccia al petto e sedette sul letto con aria risoluta, e il ragazzo sospirò, maledicendo mentalmente sua zia per il tempismo con cui aveva mandato laggiù sia lui che la nipote, prima di sedersi accanto a lei:
 
“Va bene, va bene… Ma deve promettere che non ne farà parola con nessuno, chiaro? Altrimenti dovrò obliviarla.”
“Lo prometto. Forza, mi dica.”
“Sto cercando il motivo per cui suo padre e suo zio vogliono così ardentemente che io sposi Caroline… perché si oppongono così fermamente al fatto che tutto ciò che la casa contiene venga messo all’asta.”
 
“Pensa che abbiano nascosto qualcosa qui? A casa del nonno? Impossibile! Mio padre, anche se fosse, l’avrebbe nascosto a casa nostra, perché farlo qui?”
“Forse voleva assicurarsi che suo nonno non trovasse ciò che sto cercando. E quale posto migliore, se non nasconderlo sotto al suo naso?”
 
*
 
Colleen si stava dedicando alla lettura dei sonetti Shakespeariani quando Cassiopea, di ritorno dalla sua visita ad Elizabeth – e dopo aver aiutato la cugina a prepararsi per la gara di polo del finesettimana seguente – aveva fatto irruzione nella sua stanza con la sua Puffola Pigmea color crema, Shedir, appollaiata sulla sua spalla.
“Di solito quando ho bisogno di parlare con qualcuno uso Shedir come cavia, MA questa volta devo parlare con la mia adorata e dolcissima sorellina prediletta.”
Colleen, colta di sorpresa, ripose il suo ultimo acquisto fatto al Ghirigoro e rivolse la sua massima attenzione alla sorella, che sedette sul letto davanti a lei e assunse il suo solito tono da “sorella maggiore”:
 
“Allora, vuoi parlarmi di qualcosa, Cherry?”
“Ma non hai detto di dovermi parlare?”
 
“Beh, sì, ma volevo darti l’occasione di farlo da te… Beh, non fa nulla. Allora, dimmi, come va con i ragazzi?”
“Cassy, sono anni che mi fai questa domanda… ad Hogwarts era papà che ti ordinava di chiedermelo di tanto in tanto, ammettilo.”
“Ogni tanto era anche Ambrose, a dire il vero… Abbi pazienza ha quattro anni più di te, sei e sarai sempre la sua piccolina.”
 
Cassiopea sorrise con affetto alla sorella, che sospirò e scosse la testa, in parte lusingata e in parte contrariata per tutto quell’interessamento alla sua vita privata.
“In ogni caso ti rispondo come al solito, Cassy. Non ho nulla da dirti.”
“Oh insomma, sono una Corvonero, non prendermi per il naso! Sono settimane che Elizabeth e Clara complottano per far incontrare te e Thomas di continuo!”
 
“CHE COSA?”
La minore spalancò gli occhi castani, sbigottita, e la sua reazione genuina sorprese non poco la maggiore, che la guardò aggrottando la fronte:
“Cherry, ma davvero non te n’eri accorta? Pensavo che ormai un sospetto lo avessi avuto… Merlino, sei troppo buona per questo mondo crudele.”
Cassiopea scosse il capo e mise un braccio sulle spalle della sorellina, sedendosi accanto a lei sul materasso prima di sorriderle gentilmente:
 
“Ricordi qualche tempo fa, quando mi domandasti perché, secondo me, Thomas non ti rivolgeva mai la parola?”
“Certo, ma da qualche tempo lo fa, a dire il vero!”
“Ecco Cherry, penso che tu abbia bisogno di una spinta, quindi penso che te la darò dicendoti che penso proprio che tu abbia iniziato a piacergli, col tempo. Sicuramente fino a qualche anno fa ti vedeva come la sua piccola cuginetta, ma sei diventata così bella crescendo, e sei la persona più adorabile del mondo.”
 
Esattamente come Cassiopea si aspettava la sorella divenne dello stesso colore dei capelli rossi che entrambe avevano ereditato dalla madre, scuotendo il capo mentre si prendeva il viso tra le mani:
“No, non ci credo! Merlino, che imbarazzo!”
“Via, non c’è nulla di male, e poi Tommy è meraviglioso, ti è andata bene!”
 
“Che vergogna, come farò ora?!”
“Cherry, non è una tragedia, devi solo chiederti che cosa provi tu a riguardo.”
Cassiopea sospirò e si rivolse alla sua Puffola Pigmea, dicendo a Shedir che forse avrebbe fatto meglio a continuare a sfruttare lui come cavia quando aveva bisogno di parlare con qualcuno.
 
*


“Sei ancora così ostinato sul non volermene parlare?”
“Di che cosa parli, Neit?”


“Del nonno. Lo sai di cosa.”


Edward sollevò lo sguardo sul figlio, seduto sul capo opposto del divano dopo essere tornato dalle sue commissioni per Estelle, che aveva finalmente concesso magnanimamente a marito e figlio di tornare ad occupare il salone principale della residenza.
 
“Perché siete tutti così ossessionati dai motivi legati alle discussioni tra me e mio padre? Anche tua madre non fa altro che chiedermelo.”
“Forse perché è una situazione assurda. Il nonno ti ha estromesso dalla sua eredità più importante, non ti ha nominato suo successore quando è andato in pensione… Era arrabbiato con te per qualcosa, voleva punirti, vero? Che cosa hai fatto per farlo arrabbiare così?”
 
“Ti dirò quello che ho sempre detto a tua madre, Neit: non capiresti. Neanche mio padre l’avrebbe fatto, probabilmente.”
“Puoi mettermi alla prova, no?”
 
Neit aggrottò la fronte, stanco di non sapere e non capire, e guardò il padre sorridergli con una vena d’affetto mentre lo guardava quasi divertito:
“Non perché tu non sia abbastanza sveglio, Neit, sei anche fin troppo brillante. Non è questo. Io e tuo nonno non siamo mai andati troppo d’accordo, a dire il vero, lo conosci, lui era molto severo, e poco affettuoso. Pretendeva moltissimo da me, così come pretendeva moltissimo anche da voi, i suoi unici nipoti. Probabilmente avrebbe voluto un figlio diverso rispetto a quello che gli è capitato, chissà. Comunque, hai ragione: tuo nonno ha voluto punirmi, quando ha fatto quella scelta, non l’ha presa perché non mi riteneva degno di ricoprire la carica di Ministro.”
 
“E che cosa hai fatto per meritarti una punizione simile?”
“Qualcosa che secondo lui è stato folle, e forse in parte è stato così. Però ti assicuro che non me ne sono mai pentito, neanche una volta.”


Edward si alzò e, dandogli una pacca sulla spalla, superò il primogenito per uscire dalla stanza e chiedere alla moglie a che ora sarebbe stata servita la cena.
Neit rimase così solo, con Sommer che mordicchiava un osso sul tappeto, osservando meditabondo le braci ardere nel camino di marmo.
 
*
 
“Clara, ma ti stai ancora arrovellando su quella roba? Smettila…”
Ambrose si avvicinò alla sorella minore e le mise una mano sulla spalla, scrutando il gran numero di fogli, tra cui lettere e documenti, sparsi sul tavolo della sala da pranzo. Clara però scosse il capo, mormorando che prima o poi avrebbe capito, avrebbe trovato anche solo qualcosa che potesse dare un senso alla morte dello zio.
Aveva chiesto alla madre di darle la corrispondenza delle ultime settimane di vita dello zio e anche alcuni dei documenti di cui si stava occupando. Li aveva letti e riletti decine di volte, e non aveva mai trovato nulla di anche solo vagamente sospetto, riponendoli gelosamente nella valigetta di cuoi che Rod stesso le aveva donato qualche anno prima, quando stava per partire per la Germania.
 
“Clara, se ci fosse stato qualcosa in quelle lettere, lo avresti capito… e prima di te le ha lette anche zio Theo, pensi che lui non avrebbe capito qualcosa? So che ti manca molto lo zio, manca anche a me, ma smettila. Per favore.”
Ambrose si chinò sulla sorella e la cinse in un abbraccio che stranamente Clara non rifiutò, facendogli capire quanto la ragazza avesse bisogno di un po’ di conforto. Le diede un bacio tra i capelli asserendo che non era colpa sua, se quando lo zio era morto era in Germania e di conseguenza non aveva potuto fare nulla.
“Lo so. È solo che sono passati già due anni.. com’è possibile che ancora non sappiamo chi sia stato? A volte penso che non lo scopriremo mai, ma non voglio tenermi a vita questo dubbio, capisci?”
 
“Certo che capisco, anche la mamma si sente così, e anche Ric, e lo zio Theo, e zia Gwen. Manca a tutti noi, Clara.”
 
*
 
 
Clara aveva insistito per poter vedere le ultime lettere ricevute da Rodulphus e alla fine Amethyst l’aveva accontentata, forse non avendo nemmeno la forza di volontà per intavolare una discussione con la figlia.
Ora tutte quelle lettere giacevano lì, sul tavolo, in attesa di essere prese e lette dalla giovane strega appena tornata dalla Germania per un paio di giorni per assistere al funerale dello zio.
Passandoci accanto, proprio durante la veglia funebre, non poté fare a meno di notare una busta diversa dalle altre. Priva di indirizzo e di un qualsiasi sigillo, riportava solo un nome sul retro scritto nell’inconfondibile grafia del defunto.
 
Theseus
 
Quella non era una lettera arrivata a Rodulphus. Quella era una lettera che lo stesso ex Ministro aveva scritto di suo pugno e che non aveva mai consegnato al mittente. Forse non ne aveva avuto il tempo.
Senza riflettere troppo la prese, approfittando dell’assenza di sguardi indiscreti, temendone il potenziale contenuto, prima di tornare nella sala dei ricevimenti dagli ospiti della veglia.
 
*
 
“PER LA SOTTANA DI TOSCA!”
“Ha trovato qualcosa?”
 
Riocard attraversò la stanza e in un baleno fu accanto a Clio dopo averla udita strillare, impegnata a sfogliare le pagine di un vecchio libro e con quelle che avevano tutta l’aria di essere delle lettere in mano.
“Oh, no, scusi… ho trovato della vecchia corrispondenza dei miei genitori dimenticata da chissà quanto, ma non penso che le interessi.”
 
Riocard alzò gli occhi al cielo, scosse il capo e tornò a controllare le librerie con la bacchetta, cercando di capire se qualche incantesimo fosse stato lanciato su di esse mentre Clio, ridacchiando, dava una sbirciata alle lettere:
“Chi avrebbe mai pensato che un giorno avrei trovato vecchie lettere d’amore dei miei genitori? Cielo, mio padre era proprio innamorato perso, che sviolinate!”
 
“Dovrebbe esserne felice, del matrimonio dei suoi genitori. Non capita a tutti, di questi tempi.”
Clio volse lo sguardo sul ragazzo, che stava scrutando e tastando il fondo di una libreria mentre si faceva luce con la bacchetta.
Sua madre una volta le aveva accennato di quanto persino le vecchie armature sapessero che Alexis Saint-Clair non amava suo marito più di quanto suo zio Robert non amasse la moglie. Pensando alle voci che giravano su suo zio, voci che Caroline aveva sempre ignorato stoicamente fin dai tempi in cui andavano ad Hogwarts, Clio si domandò se anche il ragazzo che aveva davanti avesse subito una situazione simile, all’interno delle mura domestiche.
 
“Non conosci veramente qualcuno finchè non lo vedi dentro la propria casa” ripeteva sempre saggiamente Gwendoline. E Clio, con un padre malvisto da molti ma che lei vedeva abbracciare a baciare la propria moglie ogni mattina e ogni sera, non poteva che darle ragione.
 
*
 
Quando era tornato a casa dal lavoro e aveva salutato sua madre, Astrid aveva riferito a Thomas che avrebbero avuto Alexis come ospite a cena, quella sera.
Il mago si era quindi soffermato brevemente in soggiorno per salutare la zia con un sorriso, chiedendole a cosa dovessero il piacere di quella visita:
“Niente di particolare caro, è che Riocard passa molto tempo fuori e a volte mi sento sola. Per fortuna tua madre è sempre fin troppo gentile, con me.”
“So che sembra dura, ma so che ti vuole bene, zia.”   Thomas sorrise gentilmente alla donna, ripensando a come Astrid fosse spesso severa e poco affettuosa persino con lui ed Elizabeth, da bambini, ma non per questo si era mai ritrovato a dubitare del suo affetto nei loro confronti.
“Ho imparato come prendere tua madre molto tempo fa.”
“Allora ti prego zia Alexis, dimmi i tuoi segreti!”
Elizabeth parlò con un sospiro, roteando gli occhi chiari mentre la donna rideva scuotendo la testa:
 
“Via, Lizzy, sai che tua madre ti adora. È solo che vuole il meglio per te, come ogni madre per sua figlia.”
“Non hai mai pensato di avere una bambina, zia?”
Elizabeth si appoggiò allo schienale del divano con un braccio e guardò la donna con curiosità, ma Alexis si limitò a stringersi nelle spalle e a sfoderare un debole sorriso quasi malinconico:
“Tuo avrebbe tanto voluto avere una femmina, dopo Ric, ma non era destino, evidentemente.”


Thomas sedette su una poltrona accanto al camino, lasciando che Jeremy gli si appollaiasse sulla spalla destra mentre anche Theseus, di ritorno dal ministero, giungeva a grandi passi nella stanza, serio in volto:
 
“Buonasera Alexis. Sai dirmi dov’è tuo figlio, per caso?”


“Non è al Ministero?”
“No, il ragazzo oggi si è dato alla macchia… Merlino, è come avere un terzo figlio. Vado a cambiarmi prima di cena, scusatemi.”
Theseus uscì dalla stanza con un sospiro e passandosi stancamente la mano sul viso sotto gli occhi preoccupati della figlia, che si rivolse al fratello maggiore con un mormorio:
 
“Non ti sembra davvero provato, di recente? Sono un po’ preoccupata per lui… Forse il lavoro gli pesa troppo.”
“Digli di prendersi una pausa, a te dà ascolto.”
Thomas sorrise alla sorella come a volerle assicurare che andava tutto bene mentre Alexis, invece, si domandava con un sospiro dove si fosse cacciato il figlio.
Per quanto lo amasse, quel ragazzo e il suo caratterino l’avevano sempre messa a dir poco alla prova, in quei 25 anni.
 
*
 
 
“Neit….”
“Mh?”
“Mi annoio.”
“Beh, coltivati un hobby.”

“Non so cosa fare. Ci pensi? Sto così tanto al pub che quando lo chiudo quasi non so cosa fare! È assurdo.”
Egan aggrottò la fronte, pensieroso, mentre Neit cercava di leggere in pace. Stavano aspettando che Clio tornasse a casa per cenare, e il minore dei fratelli Cavendish aveva deciso che uno dei nuovi – o forse non tanto – hobby poteva benissimo essere infastidire il suo fratellone.
 
“Allora… Come va al Ministero?”
“Bene.”
“E nella stanza super to secret dell’Amore?”
“Non posso parlarti del mio lavoro Egan, lo sai bene.”
“Che barba, che divertimento c’è a sapere tutte quelle cose segrete se non puoi condividerle con nessuno?”
Egan sbuffò, contrariato, mentre invece il maggiore aggrottava la fronte, guardandolo perplesso:
“Beh… questo perché sono segrete, no?”
 
“Ok, lasciamo perdere… Com’è andata oggi con Carol? Hai detto che l’hai incontrata a Diagon Alley.”
“Bene, se non fosse stato per lei penso che avrei preso un mucchio di cose sbagliate, e nostra madre si sarebbe a dir poco infuriata.”
Neit si strinse nelle spalle e il minore, osservandolo, decise di indagare. Del resto si stava annoiando, e quello zuccone di Ezra aveva declinato il suo invito per bersi qualcosa perché doveva lavorare.
Il solito secchione.
 
“Passate molto tempo insieme.”
“Mh.”
“L’altra sera lei e Clio sono venute da me insieme ad Ezra… Caroline mi sembrava molto giù, poverina. Stavo per andare ad offrirle conforto, ma Clio mi ha cacciato asserendo che stavano parlando di “cose personali”. Ma pensa, uno cerca di fare il galante e viene cacciato in malo modo.”
Egan sbuffò, contrariato, mentre Neit smetteva improvvisamente di leggere e si concentrata sulle parole del fratello, ricordando allo stesso tempo quando, qualche giorno prima, Clio lo aveva informato di aver parlato con la cugina a proposito di qualcosa che non poteva rivelargli.
 
“Quindi non sai di cosa stessero parlando?”
“Proprio no. Anche se penso ci sia un ragazzo di mezzo, la mia esperienza dice che quando una ragazza sembra stare in quel modo è quasi sempre per problemi di cuore.”


“Non vedo perché Caroline non dovrebbe dirmelo, se stesse male per qualcosa del genere. Oggi stava benissimo.”
Neit sbuffò debolmente, seccato. Perché tutti sembravano convinti che sua cugina avesse un uomo in testa? A lui non ne aveva mai parlato, e a lui diceva sempre tutto.
“Ma perché tu sei tu, Neit! Caroline ti adora e avete un legame strettissimo, è ovvio, ma non mi sorprende che come… ascoltatrice per certe cose preferisca nostra sorella. Non te la prendere.”


Tra i due calò qualche istante di silenzio, mentre Neit si arrovellava sulla questione ed Egan lo osservava di sfuggita, compiaciuto, prima di dire qualcosa con tono cantilenante:
 
“Comunque, giacché mi consigli di trovarmi un hobby, potrei sempre tornare a farvi inscenare spettacolini…”
Il bel volto di Egan venne attraversato sa un sorrisetto che Neit gelò immediatamente con un’occhiata quasi truce, parlando con un che di velatamente minaccioso:
“Sono un Indicibile, Egan. So e ho visto cose che neanche immagini. Non ti sognare neanche di farmi fare di nuovo la fata madrina, la principessa o qualcosa del genere.”
 
*
 
“Non sai cosa ho fatto oggi, tesoro.”
“Zia, ne hai combinata una delle tue? Mi sembra di avere a che fare con le ragazze…”
 
Amethyst alzò gli occhi al cielo mentre Gwendoline ridacchiava compiaciuta, asserendo di essere un vero genio mentre si sistemava i capelli guardandosi nel suo specchietto da borsetta.
 
“Ho mandato Ric a casa mia per fare tu-sai-cosa, e ci ho mandato anche Clio, mia nipote. Ovviamente si sono incontrati, e la mia Clio è così testarda che lo avrà convinto a farsi aiutare. Ric è sempre restio ad accettare una mano dalle persone, penso che dovrebbe iniziare a fidarsi di più del prossimo.” 
Gwendoline ridacchiò soddisfatta, reputandosi un vero e proprio genio del complotto mentre la nipote roteava gli occhi, ormai abituata a quel genere di trovate:
“Senza offesa zia, ma suo padre è stato ucciso da due anni, e gli Auror non hanno cavato un ragno dal buco. Non sorprende se è un ragazzo diffidente.”

"È chiaro, e infatti sono più che felice di aiutarlo. Ma mi rattrista che i miei nipoti non vadano d’accordo… chissà, magari adesso si avvicineranno un po’!”
 
Amethyst guardò la donna sorridere compiaciuta e pensò alle macchinazioni di Clara ed Elizabeth per far incontrare Colleen e Thomas e sospirò, dicendosi che, matrimonio o non matrimonio con un Cavendish, sua zia era e sarebbe sempre rimasta una vera Saint-Clair a tutti gli effetti.
 
*
 
“Beh, non abbiamo trovato niente, ma non si disperi, sono sicura che andrà fino in fondo a questa storia!”
“Se lo dice lei… vorrei avere il suo stesso entusiasmo, sa?”


Riocard lanciò un’occhiata di sbieco alla strega mentre usciva di casa insieme a lei, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni mentre Winter, dopo un pomeriggio passato a terrorizzare i poveri Elfi, seguiva docilmente la padrona.
“Me lo dicono spesso, chissà perché. Beh, arrivederci!”
Clio sorrise al mago e fece per Smaterializzarsi insieme al lupo quando, inavvertitamente, la voce di Riocard giunse incuriosita alle sue orecchie:
 
“Ora che ci penso… che cosa ci era venuta a fare, lei, a casa di sua nonna?”
“Mi dispiace, ma è un segreto. Le auguro una buona serata.”
 
Clio sparì nell’oscurità con un ultimo sorriso, e Riocard, rimasto solo, non poté far altro che scuotere il capo prima di imitarla, dicendosi che quella ragazza fosse proprio strana.
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Per il rotto della cuffia, ma ci sono!
Chiedo scusa per il ritardo, il capitolo l’ho dovuto scrivere interamente oggi e tra lezioni e dentista non è stato affatto facile.
Spero che vi sia piaciuto anche se l’ho scritto molto, molto di fretta e non sono molto convinta del risultato… domattina lo rileggerò, se qualcuno dovesse leggerlo nel mentre e trovare valanghe di errori vi prego in anticipo di scusarmi, ma sono troppo stanca per controllarlo tutto ora.
 
E adesso, la domanda della settimana da un milione di galeoni:
  • Chi pensate che sia, l’assassino di Rodulphus? U.U
 
Buonanotte e a presto!
Signorina Granger

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - La Rose Rouge ***


Capitolo 12 – La Rose Rouge
 
Dicembre 1872, Londra
 
Gwendoline, seduta davanti al camino acceso, aveva quattro paia d’occhi carichi di curiosità infantile puntati addosso quando, una sera di Dicembre, aveva deciso di tenere buoni i bambini raccontando loro una storia diversa dal solito.
 
Vi racconterò la storia della mia nostra famiglia
 
Le sue parole erano bastate per assicurarsi la totale attenzione del suo unico figlio e dei nipoti, tutti seduti o distesi più o meno composti sul tappeto davanti a lei.
 
 
Parigi, 1740

Deirdre

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Deirdre sedeva immobile sul bordo del letto, ma ciò non impediva al suo cuore di martellarle nel petto. Guardò il marito senza ascoltare ciò che Claude stava dicendo, deglutendo a fatica un po’ di saliva quando vide l’uomo prendere il bicchierino di cristallo dove, ogni sera, beveva il suo sorso di distillato prima di coricarsi.
 
Non avrebbe avuto altre possibilità, se il suo lavoro avesse fallito anche solo parzialmente. Suo marito faceva sempre assaggiare da altri il suo cibo, e Deirdre aveva escluso da tempo la possibilità di avvelenarlo per forma orale. Quella mattina, però, aveva versato qualche goccia del suo recente tentativo – forse, finalmente, quello definitivo – nel composto che Claude utilizzava ogni mattina e ogni sera per sistemarsi i capelli.
Non poteva far altro che sperare che, lentamente, il veleno avesse fatto effetto.
 
 
“Il primo Saint-Clair collegato alla magia a cui riusciamo a risalire si chiamava Claude, e morì a Parigi quando aveva circa la mia età, nel 1740.”
“Ma zia, tu dici che la nostra famiglia viene dall’Irlanda!”
Theseus, seduto a gambe incrociate sul tappeto filato a mano, aggrottò la piccola fronte mentre la donna, sorridendo con affetto al più giovane dei suoi nipoti, asseriva che infatti era proprio così.”


“Zitto Theo, voglio sentire!”
Rodulphus diede una gomitata al fratello minore, che gli fece la linguaccia indispettito mentre Edward se ne stava disteso con i gomiti piantati sul pavimento, reggendosi la testa con la manine e gli occhi azzurri fissi sulla madre.
 
“Rod, fai il bravo con tuo fratello. Dicevo, il nostro cognome viene dalla Francia, ma Claude sposò una donna irlandese che si chiamava Deirdre, giunta a Parigi dopo i suoi anni ad Hogwarts per motivi a noi sconosciuti. Si dice, comunque, che fosse una strega bellissima e affascinante, con lunghi capelli rossi, e Claude decise di sposarla anche se la ragazza era povera e parlava una lingua difficile da comprendere. I francesi la chiamavano “la Rose Rouge”, la Rosa Rossa, parlavano di lei nei loro salotti e per questo Claude fece modificare lo stemma della sua famiglia, che era nobile e molto ricca, in una rosa rossa e le insegnò la sua lingua.”
 
 
Quando Claude iniziò a tossire e afferrò il bordo della credenza, la moglie non si mosse. Lo guardò accartocciarsi su se stesso sul pavimento stringendo convulsamente il lenzuolo del letto, e deglutì quando gli occhi cerulei del marito indugiarono su di lei un attimo prima di perdere la vita che li animava.
 
“Sorcière.”
“Strega”, ecco l’ultima parola che il marito le rivolse, in un ultimo rantolo pieno di disprezzo. Ma a Deirdre non importò e un paio di istanti dopo si gettò, le mani tremanti, a frugare tra i suoi indumenti per cercare ciò che le apparteneva e che le era stato tolto molto tempo prima.
 
Per poco non si lasciò sfuggire un grido di gioia quando tastò qualcosa di sottile e rigido che riconobbe subito come la sua bacchetta, la sua più vecchia amica e compagna. Deirdre sorrise, gli occhi verdi lucidi, e la strinse al petto come un quarto figlio prima di alzarsi e puntarla contro il corpo inerme del marito.
 
Doveva fare in fretta.
 
“E poi cosa è successo?”   Amethyst, seduta composta sul tappeto con un abitino rosa addosso e le calze bianche a coprirle le gambe, guardava rapita la zia mentre un uomo dai capelli rossi sedeva in un angolo della stanza e seguiva la scena divertito.
 
“Claude era un Babbano, e ben presto si rese conto che Deirdre sapeva fare cose straordinarie. In particolare, quando imparò il francese, Deirdre iniziò a seguire gli studi di Nicholas Flamel, che viveva nella sua stessa città. Penso che lo abbia anche incontrato, ad un certo punto, e si dice che fosse un’alchimista fenomenale. A Parigi c’è un istituto magico di Alchimia che porta il nome di Flamel e dentro, in Biblioteca, c’è un quadro la raffigura, io l’ho visto. Deirdre quando lasciò la Francia lasciò anche innumerevoli scritti dei suoi lavori, che sono conservati lì.
 
 
Fece planare il corpo del marito sul letto e poi, sbottonatagli giacca e camicia, prese la bacchetta e  ne premette con vigore la punta sul petto, al centro del costato. Ne fuoriuscì un rivolo di sangue mentre la strega mormorava l’incantesimo a bassa voce, e mosse la punta della bacchetta per qualche centimetro, creando una ferita. Dopodiché aprì il cassetto del comò del marito, dove sapeva tenere il suo coltello d’argento preferito, e lo conficcò con forza nella ferita.
“Diffindo”. La strega ridusse a brandelli le tende della finestra e quelle del baldacchino, ribaltando i cassetti con la magia prima di chinarsi e strappare l’estremità della gonna del vestito che indossava, lasciando il pezzo di tessuto sul pavimento prima di uscire per l’ultima volta dalla camera da letto.
 



“Anche io voglio vederlo!”
“Anche io!”
 
“Va bene, magari vi ci porterò quando sarete più grandi, ma comunque… Claude iniziò a maltrattare la moglie, spaventato da lei, e allo stesso tempo a sfruttare le sue capacità per i suoi comodi. Ad un certo punto, quando lei cercò di ribellarsi, la chiuse in casa temendo che il fatto di aver sposato una strega diventasse di dominio pubblico. Sapete che cosa ci facevano, molto tempo fa, vero?”
I bambini annuirono, spaventati, e Gwendoline, sempre più seria per dare maggiore suspence alla storia, riprese a parlare:
 
“Bene. Deirdre non si ribellava perché il marito la privava della sua bacchetta, a meno che non li servisse che lei usasse la magia, e la teneva lontana dai suoi bambini, così sottostava al volere del marito perchè lui non facesse loro del male. Ad un certo punto però, si dice che iniziò a dedicarsi a qualcosa che le avrebbe permesso di liberarsi di lui. E infatti, tempo dopo, lo uccise.”
 
“FORTE!”
Rod sorrise, affascinato, mentre Amethyst si portava una mano davanti alla bocca e Edward, il più piccolo del gruppo, si faceva quasi tentato di andare a nascondersi da qualche parte. Però non poteva fare la figura del fifone davanti ai cugini, così si impose di non muoversi dal pavimento.
 
 
Il cuore in tumulto, Deirdre uscì piano dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle prima di muoversi silenziosamente verso l’ala opposta della casa. Quella dove vivevano i suoi figli.
“Devo vedere i bambini.”
Il servitore impomatato le rivolse un’occhiata scettica, ma la faccia di bronzo della donna non vacillò, assumendo il suo tono più perentorio: Claude non le faceva vedere quasi mai i bambini in sua assenza.
“Il signore vuole che glieli porti un momento. Vuoi farlo aspettare, per caso?”


L’uomo ammutolì e, di controvoglia, la fece passare. Deirdre salì le scale di corsa e giunta alla porta giusta, la aprì senza esitazioni.
 
 
“E come ha fatto zia?”
“Beh, si dice che abbia elaborato una sorta di veleno inodore e incolore che non lasciava traccia, ma la formula non è mai stata trovata, forse la distrusse per cancellare le prove. Prese i suoi figli, Brogan, Raigan e Saoirse e tornò in Gran Bretagna facendo perdere le sue tracce ai parenti del marito. E qui siamo rimasti, anche se il nostro cognome viene dal Continente. Credo che Deirdre abbia insegnato Alchimia ad Hogwarts per alcuni anni, dopo questi eventi.”
 
“Maman!”
Saoirse, la figlia di tre anni, pigolò meravigliata e corse da lei con la camiciola da notte addosso e i lunghi capelli rossi sciolti sulle spalle, abbracciandole le gambe.
Raigan, il primogenito, era seduto sul suo letto e abbassò il libro che teneva in mano per rivolgere un’occhiata perplessa alla madre, sorpreso di vederla in camera loro senza il padre e a quell’ora:
 
“Maman, qu'est-ce qui se passe? »
« Dovete venire con me… Metteteveli, adesso.”
Deirdre appellò i mantelli da viaggio dei bambini, e Brogan chiese dove dovessero andare mentre la madre aiutava la figlia ad indossare il suo.
“Statemi a sentire. Da adesso, dimenticatevi il francese, dimenticatevi di Parigi e di vostro padre. Ce ne andiamo, solo noi quattro. Parleremo la lingua della mamma adesso. Raigan, mettiti il tuo.”
Saoirse, che ancora non parlava bene la lingua della madre, balbettò che non voleva andarsene mentre il fratello maggiore s’infilava il mantello e Brogan domandava se poteva portare qualcosa con sé.
“No, non prendete nulla, non abbiamo tempo… Andrà tutto bene, ma dovete fare come vi dico. Intesi? Vieni tesoro.”
Deirdre prese Saoirse in braccio e uscì dalla stanza prima di agitare la bacchetta: il suo mantello e una borsa di cuoio giunsero da lei in un batter d’occhio, e obliviò il servitore prima di dargli il tempo di muovere un passo verso di loro.
 
 
“Che storia triste!”
“Lo dici perché a te piacciono solo storie di innamorati, Amiee!”
“Non è vero, sta’ zitto Rod.”
 
 
“Direi che per questa sera la zia vi ha suggestionato abbastanza, con le avventure di Deirdre… E’ ora di andare a casa.”
 
Riocard si alzò, raggiunse i figli e, inginocchiandosi sul pavimento, sollevò di peso Theseus issandoselo su una spalla facendo ridere il figlio minore mentre la sorella scoccava al gemello un’occhiata torva:
“Io ci credo fermamente, a queste storie, ed è giusto che le sappiano. Tanto voi siete bambini coraggiosi e non avete paura di nulla, no?”
 
 
“Maman, dove andiamo?”
“A casa della mamma, andrà tutto bene.”
Deidre, il cappuccio calato sul volto, camminava a passo svelto nell’oscurità tenendo Brogan per mano e stringendo Saoirse, che tramava un poco, mentre Raigan stringeva l’altra mano del fratello minore.
 
Non erano neanche arrivati infondo alla via quando la strega s’imbatté nel suo “appuntamento”, ossia un uomo che l’aspettava stringendo qualcosa in mano.
“Ci avete messo parecchio.”
“Chiedo scusa… Ce l’avete?”
Il mago annuì e, togliendosi il cappuccio, fece rabbrividire Brogan di paura mentre Saoirse, invece, nascondeva il visino nel collo della madre cacciando un urletto spaventato.
Era un uomo anziano, molto più anziano di quando ci si potesse mai aspettare da un essere umano, la pelle raggrinzita e pallida che dava l’idea di poter essere polverizzata solo sfiorandola e i capelli bianchi radi.
 
Il mago però non sembrò farci caso, ormai abituato a reazioni simili dopo una vita lunga come la sua, e porse alla strega un vecchio stivale:
“Tre minuti, Deirdre.”
“Grazie Maestro… tenete. E’ tutto quello che ho. Se qualcuno può farci qualcosa, quello siete voi. E’ stato un onore conoscervi. Bambini, quando Maman ve lo dice toccate quella scarpa, ok? Ci porterà lontano.”
 
Deirdre porse dei rotoli di pergamena al mago, che li prese curioso mentre Raigan e Brogan si inginocchiavano ubbidienti accanto allo stivale e Saoirse restava ancorata al collo della madre.
“Che cosa sono?”
“I miei studi, ho avuto molto… tempo libero, negli ultimi anni. Grazie per quello che mi avete insegnato, Maestro. Saoirse, toccalo.”
La bambina scostò di poco il viso e allungò una manina mentre Deirdre si inginocchiava, morendo dalla voglia di tornare a casa, finalmente.
Era andata a Parigi per studiare e si era trovata intrappolata per quasi un decennio.
 
“Sono sicuro che sentirò ancora parlare di voi. Buona fortuna.”  
L’uomo le sorrise prima che la Passaporta si azionasse, portando i Saint-Clair via con sé, verso la Gran Bretagna.
Rimasto solo, Nicolas guardò ciò che la strega gli aveva lasciato prima di Smaterializzarsi, chiedendosi sinceramente quale destino attendesse lei e la sua famiglia.
 
 
“Io non ho paura di niente.”    Rodulphus si strinse nelle spalle, il naso per aria, e Amethyst lo imitò mentre Edward, alzatosi in piedi, raggiungeva mesto la madre per abbracciarla e nascondere il viso contro il suo petto.
“Gwen, penso proprio che il piccolo Ed si sia un po’ spaventato.”


“Non sono piccolo!”
Il bambino di cinque anni sollevò la testa di scatto e rivolse un’occhiata di sfida allo zio, che scoppiò a ridere mentre prendeva Amethyst per mano.
“Scusa Ed, hai ragione, non mi permetterò più. Salutate la zia, signorini.”
 
Rod si alzò, raggiunse la zia e l’abbracciò con un sorriso prima di correre dietro al padre, chiedendogli di giocare alla guerra una volta tornati a casa.
 
“Mamma, tu non vuoi uccidere papà, vero?”
“Ed, ma che domande fai?! Certo che non voglio ucciderlo… Vieni, andiamo a disturbarlo mentre lavora.”
 
La strega si alzò, prese per mano il figlio e si diresse insieme a lui verso lo studio dove il marito si era rinchiuso ore prima, lasciandola sola ad intrattenere quattro bambini fin troppo svegli in un colpo solo.
 
*
 
1881
 
Rodulphus si teneva in piedi stringendo le man a pugno, gli occhi azzurri fissi sulle bare di legno scuro dove erano state sistemate delle enormi corone di rose scarlatte. Pioveva a dirotto, e accanto a lui Amethyst singhiozzava tra le braccia di Theseus mentre un ombrello li riparava dalla pioggia reggendosi da sé.
Il labbro inferiore del ragazzo prese a tremare mentre la bara che conteneva la salma di suo padre veniva portata dentro alla tomba di famiglia e depositata al suo interno, seguita da quella della moglie.
Una mano curata e piena di anelli gli strinse una spalla, e il ragazzo non ebbe bisogno di voltarsi per riconoscere la stretta di sua zia, che stava osservando la scena a sua volta.
 
“Andrà tutto bene, Rod.”
Rodulphus non seppe se poterle credere, quel giorno, al funerale dei suoi genitori, ma si conficcò le unghie nei palmi così ferocemente da farli sanguinare mentre, riducendo gli occhi a due fessure, faceva vagare lo sguardo sulla famiglia di Gwendoline.
 
Erano stati loro, sapeva che era così.
Quel giorno, Rodulphus promise a se stesso che prima o poi si sarebbe vendicato a dovere dei Cavendish.
Non era triste, e non pianse. Era soltanto furioso.
 
*
 
1883, Parigi, Istituto d’Alchimia Nicolas Flamel
 
 
Il rumore provocato dall’impatto dei tacchi bassi delle sue Mary Jane sul pavimento lastricato di marmo echeggiava nella grande sala dalle pareti bianche e levigate: Amethyst di certo si sarebbe guardata attorno meravigliata e avrebbe faticato di fronte alla tentazione di toccare con mano quei muri antichi e meravigliosi se non fosse stata impegnata a cercare qualcosa di ben preciso con lo sguardo.
Attorno a lei, i visitatori e gli studenti si scansavano per farla passare, osservando la strega dai lunghi capelli rossi legati in una treccia e bisbigliando qualcosa a cui la ragazza, giunta da poco a Parigi, non prestò particolare attenzione.
Gli occhi color cioccolato di Amethyst, distanti anni luce dalle iridi cerulee tipiche della sua famiglia, ebbero un fremito quando, finalmente, ebbero individuato ciò che stava cercando.
 
Quasi non ci credette quando, finalmente, si trovò in prossimità di un quadro dalla cornice d’oro che raffigurava una donna dai lunghi capelli rossi e che indossava una semplice veste verde scuro. Aveva la pelle levigata quasi fosse di porcellana e occhi verdi dal taglio sottile, dotati di uno sguardo particolarmente intelligente.
La giovane si fermò, deglutendo, di fronte al ritratto senza aver bisogno di leggere la targhetta riportata alla sua base, e guardò la donna sorriderle mentre appoggiava il mento sul palmo della propria mano per osservarla attentamente:
 
“Era ora, mi chiedevo quando qualcun altro sarebbe venuto a farmi visita… Un’altra ragazza è venuta qui, anni fa. Aveva tantissime domande. Tua madre?”


“M-mia zia. Mi chiamo Amethyst.”
“Amethyst. Bel nome. Da chi discendi?”
 
“Da Brogan.”
“Beh, certo… Raigan è morto prima di me. Molti uomini della nostra famiglia muoiono prematuri, sai? Mia figlia Saoirse disse era una maledizione dovuta a ciò che ho fatto.”
Il volto della bella strega venne deformato per un istante da un sorriso triste che provocò una stretta allo stomaco della giovane, pensando a come suo padre avesse patito la stessa sorte solo due anni prima.
“Che cosa ti porta qui, Amethyst Saint-Clair?”
“Studierò qui per sei mesi.”
Deirdre sollevò entrambe le sopracciglia, evidentemente sorpresa dalla risposta della ragazza, e le sorrise quasi con soddisfazione:
“Ma davvero? Beh, finalmente qualcuno che segue le mie orme. Rendimi fiera di te, Amethyst Saint-Clair. »
 
 
 
Amethyst faceva spesso visita al ritratto della sua antenata, ma quel giorno trovò Deirdre addormentata.
Stava studiando il suo profilo, riflettendo sulla vita straordinaria che quella strega straordinaria aveva avuto, quando una voce maschile la sorprese:
 
“Ho notato che viene qui spesso.”
La ragazza sobbalzò e, voltandosi, si trovò davanti un ragazzo dai capelli scuri, gli occhi blu e un sorriso cordiale sulle labbra.
Un ragazzo che aveva già visto, in effetti.
 
“John Bouchard. Amethyst Saint-Clair, vero?”
“Sì. Eri dell’anno di mio fratello, per caso?”
 
“Rodulphus? Sì. Non andavamo molto d’accordo. Che cosa ci fai qui?”
“Ci studio, qui. Pare che io abbia molto talento per l’Alchimia, e mia zia ha insistito.”
Amethyst si strinse nelle spalle e il ragazzo, così come aveva fatto Deirdre, sollevò sorpreso le sopracciglia. Non si vedevano molte streghe, all’Istituto.
 
“Tu studi qui?”
“Cosa? Oh no, non ne capisco nulla di Alchimia. Ma ho molti parenti qui a Parigi e la mia famiglia mi ha spedito qui per qualche mese per imparare la lingua. Ero venuto a vedere la biblioteca quando ti ho vista la prima volta.”
John sorrise e Amethyst, aggrottando la fronte, gli chiese perché ci fosse tornato tante volte. Il ragazzo asserì che l’aveva fatto, naturalmente, per sperare di rivederla finchè non aveva trovato il coraggio di rivolgerle la parola.
Amethyst arrossì un poco, imbarazzata, ma sorrise comunque e strinse la mano che il ragazzo le porgeva.
 
*
 
1900
 
“SONO TUO AMICO! SONO TUO CUGINO!”
 
Edward scese le scale così di corsa che rischiò di scivolare sulla ghiaia, ma non se ne curò così come non si curò della pioggia che cadeva a capofitto su tutta Londra, quel giorno. Gli importava solo di seguire il cugino e di riversare tutta il rancore che serbava nei suoi confronti ormai da anni.
Rodulphus stava per uscire dal cancello, ma si fermò e si voltò a guardarlo, entrambi in piedi sotto il diluvio mentre i loro vestiti s’inzuppavano d’acqua. Edward deglutì, il respiro affannoso mentre fissava l’uomo che aveva davanti, uomo che gli riservò l’occhiata più gelida che gli avesse mai visto sul volto prima di Smaterializzarsi:
 
“Ma sei anche un Cavendish, Edward.”
Rod sparì prima di dargli il tempo di dire altro, e il mago si ritrovò a guardare, impietrito, il punto in cui fino a poco prima si trovava il cugino quando, dalla porta d’ingresso aperta, uscì Estelle:
 
“Edward, cosa stai facendo? Vieni dentro, per l’amor del cielo!”
La moglie lo raggiunse sollevandosi la gonna del vestito per far sì che non si infangasse, e lo prese per un braccio prima di strattonarlo e riportarlo in casa. Edward la lasciò fare come in stato di trance, e l’unica cosa che proferì, poco dopo, fu che suo padre aveva deciso di nominare suo successore Rod, invece che lui.
E che non avrebbe mai più voluto vedere suo cugino in tutta la sua vita.
 
*
 
 
In piedi davanti allo specchi, si abbottonò con cura la camicia bianca prima di infilarsela con precisione quasi chirurgica all’interno dei pantaloni dello stesso colore. Dopodiché, la strega prese la sottile cravatta beige e se la allacciò sopra il colletto della camicia con movimenti quasi istintivi: non era un indumento che indossava di frequente, ma guardava suo fratello e suo padre compiere quegli stessi gesti da così tanto tempo da averli appresi.
 
 
“Buongiorno Nonna. Come stai?”
Egan sorrise mentre Gwendoline, un cappellino color crema poggiato con cura sui capelli rossi abbinato ai guanti e al cappotto, giungeva al loro tavolo circolare posto sotto al tendone bianco con la sua consueta aria composta facendo alzare dai rispettivi posti tutti gli uomini.
 
“Al solito, ma sono impaziente di vedere la partita. E di come se la caverà mia nipote. Seduti, per favore.”
Gwendoline mosse la mano in un pigro cenno mentre prendeva posto scrutando il campo da polo con gli occhi chiari, e Robert roteò gli occhi scuri prima di borbottare qualcosa a mezza voce:
 
“Ah, sì, quest’anno c’è la figlia di Theseus.”
“Attento padre, parlate della figlia del Ministro della Magia.”
Ezra parlò versando del vino bianco per sé e per Caroline mentre il padre sbuffava, borbottando che non gliene importava granché, e Gwendoline rivolgeva all’uomo il suo sguardo più tagliente:
“E di mia nipote, Robert.”
 
Nemmeno Robert osava controbattere a sua madre, ed Edward quasi rise prima di cogliere l’occhiata d’ammonimento che la moglie gli rivolse, suggerendogli di stare zitto mentre Clio, seduta accanto al fratello minore, domandava ad Egan cosa stesse cercando con lo sguardo:
 
“Mh, niente, come dice la nonna aspetto la partita. Mamma, mi spieghi perché mi sono dovuto vestire così? Sembro un gelataio…”
Egan accennò al suo completo color crema con un’espressione visibilmente contrariata dipinta sul volto, ma Estelle lo rimbeccò ricordandogli che alle corse dei cavalli e alle gare di polo vestirsi con quei toni fosse d’obbligo.
 
“Se donassero a tutti, questi colori, sarebbe meglio…”
“Tranquillo Gwenddoleu ap Ceidio, sei sempre e comunque il più bello del reame.”


Neit sorrise al fratello minore, che l’avrebbe minacciato volentieri con un coltello da burro se non fosse stato per la presenza della nonna, che finse bellamente di non sentire mentre Ezra ridacchiava.
 
*
 
“Bisogno di una mano?”
Cassiopea si fermò sulla soglia della stanza, i capelli color rame acconciati sulla nuca e un vestito chiaro addosso mentre guardava la cugina indossare un blazer dello stesso colore abbinato ai pantaloni e allacciarselo, i capelli biondo scuro legati in una treccia che le ricadeva sulla schiena.
 
“Sono a posto, grazie. C’è molta gente?”
“Sì, come ogni anno… E un sacco di bei ragazzi.”
 
Cassiopea sorrise, strizzandole l’occhio, e la cugina rise mentre, appoggiando il piede destro su una sedia, si allacciava gli alti stivali da equitazione. L’ex Corvonero la guardò finire di prepararsi prima di prendere il Cap nero appoggiato su una sedia e porgerglielo con un sorriso incoraggiante, asserendo che di certo avrebbe fatto un figurone.
 
“Ho idea che quello che più conti è la figura che farò fare alla famiglia e a mio padre. Non vedo l’ora di gettarmi sul rinfresco come ricompensa!”
“Terrò in salvo delle tartine al salmone per te, mia prodiga cugina. Forza, andiamo, zio Theo ti sta aspettando per dare inizio alla partita.”
 
Elizabeth strinse elegantemente il cap tra il gomito e la vita mentre Cassy la prendeva a braccetto, asserendo che indossava il completo da equitazione meglio di molti uomini mentre lasciavano insieme la stanza con l’eco della risata lusingata della Serpeverde.
 
*
 
“Ecco Lizzy.”   Thomas sorrise mentre accennava alla sorella minore stringendo le redini del suo cavallo, carezzando affettuosamente il collo dell’equino. Theseus, che stava dando al cavallo un pezzo di pane da mangiare, si voltò e sorrise a sua volta a figlia e nipote, guardando la secondogenita infilarsi il Cap:
 
“Buongiorno signorine. Sei pronta tesoro?”
“Beh, non ho molta scelta, no? In caso mi spezzassi il collo, lascio a Cassy tutti i miei vestiti.”
“Merlino non voglia, ma grazie per il pensiero.”


Cassiopea sorrise alla cugina, che infilò il piede destro nella staffa e, afferrate le estremità della sella all’inglese di cuoio, montò in groppa senza richiedere l’aiuto del padre o del fratello, che le sorrise quasi con orgoglio mentre le passava la stecca di bambù:
 
“Va’ a rendici tutti fieri Lizzy. Soprattutto me!”
“Qualsiasi cosa per rendere fiero il mio fratellone.”  Elizabeth gli sorrise con un calore che riservava sempre e solo a lui, e mandò un bacio aereo a Cassy quando la cugina le rinnovò i suoi auguri.
 
“Signor Ministro? Tocca a lei.”
Theseus prese la palla di cuoio che l’arbitro gli porgeva e, lanciata un’ultima occhiata alla figlia prima di dirigersi verso il campo, depositando la palla sul prato sotto lo sguardo di tutti i presenti.
 
Elizabeth carezzò dolcemente il collo di Enea prima di infilarsi i guanti color crema, e si raddrizzò la cravatta senza distogliere lo sguardo dal padre, aspettando che si spostasse e che le facesse cenno di poter avanzare.
 
“Odio essere sotto gli occhi di tutti.” La strega fece vagare brevemente lo sguardo sul numeroso pubblico disseminato sotto il tendone bianco posto accanto al campo, cogliendo più di una chioma di capelli rossi. Per un istante si chiese se tra loro ci fosse anche il figlio dell’uomo più odiato da suo padre, ma scosse la testa e si ordinò mentalmente di non pensarci mentre il fratello, ancora in piedi accanto al cavallo, si stringeva nelle spalle senza mostrare la benchè minima preoccupazione:
“Rilassati, ti riesce bene stare al centro dell’attenzione.”
Elizabeth sbuffò, borbottando che anche se non lo dava a vedere la cosa la metteva comunque a disagio, e quando vide suo padre farle un cenno strinse l’impugnatura della stecca con un sospiro:
 
“Ci vediamo dopo Tommy.”
Elizabeth diede un poderoso colpo di talloni sui fianchi del cavallo, partendo al trotto e poi al galoppo verso la palla mentre i giocatori, tutti a cavallo, aspettavano che la strega la colpisse.
 
Thomas non si mosse, ma guardò la sorella esattamente come tutti i presenti, e un largo sorriso gli illuminò il volto quando Elizabeth colpì la palla con veemenza, facendole disegnare un arco in aria di diversi metri mentre il pubblico applaudiva e i cavalli dei giocatori venivano fatti partire.
Al solito, la sua sorellina non aveva affatto deluso le sue aspettative.
 
 
*
 
 
Cassiopea e Clara, pur avendo un solo di differenza, non erano mai andate molto d’accordo e avevano sempre preferito la compagnia di Colleen o di Ambrose a quella reciproca. Entrambe additivano la colpa della loro scarsa sintonia alla loro diversità, ma quel giorno le due sorelle sapevano di avere un obbiettivo comune.
 
“Lo sta evitando su tutti i fronti.”
“Senza alcun dubbio. Cosa facciamo?”
 
“Trascinala al bar. Io prendo Thomas e ce lo porto, poi ce ne andiamo lasciandoli lì.”
Cassiopea annuì e si diresse a passo di marcia verso Colleen, che stava chiacchierando amorevolmente con le sue due migliori amiche, entrambe ex compagne di scuola.
 
“Buongiorno ragazze… scusate, ma devo rubarvi mia sorella per un po’.”  Cassiopea rivolse un sorriso a Margaret e ad Helena mentre prendeva la sorella minore sottobraccio, trascinandola verso il bar:
 
“Vieni Cherry, accompagnami a bere un succo di zucca.”
“Va bene, ma perché tanta fretta?”
“Ho molta sete.”


 
“Tommy, vieni al bar con me, ho sete.”
Thomas, che stava chiacchierando con Riocard ed Ambrose vicino al recinto che delimitava il campo da polo, provò a far notare che lui un bicchiere in mano già lo aveva, a differenza dei cugini, ma Clara lo ignorò bellamente e lo prese comunque per un braccio:
 
“Ho bisogno di te. E poi credo che anche Colleen stia andando lì, sai?”


L’ex Grifondoro sorrise quando il cugino smise improvvisamente di opporre resistenza, asserendo che un altro bicchiere non gli avrebbe di certo fatto male mentre, alle loro spalle, Ambrose e Riocard li seguivano con lo sguardo:
 
“Cosa stanno architettando le tue sorelle, si può sapere?”
“Non lo voglio sapere, onestamente.”


*
 
Elizabeth-Rose, dopo essersi goduta il suo breve momento di gloria – dove sua zia Gwendoline si era complimentata con lei con un orgoglio paragonabile a chi ha visto il proprio nipote vincere le Olimpiadi – era stata spedita a “mettersi abiti consoni” dalla madre, e al solito l’ex Serpeverde si era affrettata ad ubbidire senza fiatare.
Certo, camminare sul prato con i tacchi era una tortura e tenere gli stivali sarebbe stato molto meglio, ma piuttosto che contraddire Astrid – che quel giorno era persino di cattivo umore – avrebbe anche corso la maratona, con quelle scarpe.
 
La strega dispensò l’ennesimo sorriso di fronte all’ennesimo complimento quando, all’improvviso, le sue iridi celesti indugiarono su un mago dai capelli rossi e che indossava un completo color crema. Non fosse stato per la sfumatura appena appena più scura e per i capelli tendenti al liscio, molto diversi da quelli quasi ricci dei suoi cugini, Elizabeth avrebbe rischiato di scambiarlo per uno di loro. Invece, si rese conto per presto di avere davanti agli occhi il proprietario del più improbabile Pub di Diagon Alley.
 
Stava quasi per andare a salutarlo quando si rese conto che Egan, appoggiato alla staccionata bianca, era impegnato a chiacchierare amabilmente con quella che riconobbe come Astrid Yaxley.
 
Sbuffando debolmente, Elizabeth-Rose pensò alla fama da Don Giovanni che il ragazzo si era costruito ad Hogwarts, e non solo, e girò sui tacchi dandosi mentalmente della stupida.
Forse suo padre aveva ragione, quando diceva di stare alla larga dai Cavendish.
 
 
“Ti ho visto molto interessato all’inizio della partita, prima, Eganuccio.”
“Certo, sai che sono un grande fan del polo.”
 
“E allora come mai non hai degnato la partita della stessa attenzione che hai dedicato alla bellissima Elizabeth-Rose Saint-Clair?”   Astrid rise e gli diede un colpetto affettuoso sul gomito, guardando l’amico sorridere e stringersi debolmente nelle spalle:
“Forse perdo tempo ed è una cattiva idea, visto come ci chiamiamo di cognome.”
“Non dire così, tua nonna era una Saint-Clair e ha sposato un Cavendish, no? Nulla è impossibile. Ora, non che io stia insinuando nulla, so che la parola “matrimonio” ti fa fuggire alla velocità della luce, ma è per rendere l’idea.”
“Il tuo fidanzamento invece, come procede?”
“Bene, direi. Non vedo l’ora di tornare in Romania e vedere Mihai, mi manca, ma mia madre insiste affinché torni a casa, di tanto in tanto.”
 
La strega sorrise e l’amico ricambiò prima di sfoggiare una studiata espressione ferita, asserendo che tutti i suoi amici si sposavano abbandonandolo a se stesso.
“In realtà speravo che ti saresti messa con Jacob, prima o poi, anche se una parte di me ha sempre pensato che avessi un debole per mio fratello.”
“Beh, forse lo avevo, ma Neit è… inavvicinabile. Mi ha sempre dato l’idea di non avere occhi per nessuna.”


Astrid si strinse debolmente nelle spalle e l’amico, abbozzando un sorriso, volse lo sguardo sul fratello maggiore che, seduto su una panchina bianca posta sotto un grande salice, stava coccolando la sua Sommer.
 
“O forse per qualcuna sì, io un’idea ce l’avrei.”
“Sarò curiosa di ascoltare le tue macchinazioni davanti ad un drink, detective Cavendish.”
 
*
 
 
“Basta, sono ESAUSTA! Al diavolo l’etichetta, non ne posso più!”
 
Caroline sedette sulla panchina con un sospiro, esasperata, e Neit guardò la cugina sfilarsi le scarpe bianche trattenendo a stento una risata, gli occhi azzurri spalancati:
“Mai avrei pensato di sentirti dire una cosa simile, Carol.”
“Se mia madre mi vedesse mi ucciderebbe, posso solo sperare che sia impegnata in altro. Tu non hai mai portato queste scarpe, non puoi capire.”


La strega scosse il capo, rassegnata, e appoggiò le scarpe accanto a sé prima di rivolgersi con un sorriso a Sommer, allungando una mano pallida verso di lei:
“Buongiorno bellissima, come stai?”  
La lupa le leccò affettuosamente una mano mentre Neit la guardava con un sorriso, grattandole piano le orecchie:
 
“Ancora non mi capacito di come si comporti bene con te, non lo fa praticamente con nessuno, sai?”
“Dubitavi del mio essere adorabile agli occhi di chiunque? Sommer, Neit non pensa che tu possa volermi bene, è un bruto.”
Caroline prese il muso della lupa tra le mani e lo scosse leggermente sfoggiando la sua miglior espressione da cucciolo ferito mentre Neit, mortificato, si affrettava ad assicurarle che non era così.
La cugina però lo sorprese scoppiando a ridere, guardandolo con affetto smisurato mentre allungava una mano per prendere la sua:
“Oh Neit, sei l’essere più adorabile del mondo. Non fanno che dirmi quanto io sia dolce e non vedono quanto tu lo sia, invece.”


L’Indicibile quasi si ritrovò ad arrossire – i complimenti da parte della cugina lo imbarazzavano in particolar modo fin da quando erano ragazzini – e ciò non fece che confermare ciò che Caroline pensava.
Avrebbe solo voluto che il cugino capisse realmente quanto fosse legata a lui.
 
*
 
“Buongiorno Miss. Bel lancio.”
“Grazie.”
“Posso?”
Egan indicò la sedia lasciata libera da Thomas ed Elizabeth, dopo un istante di esitazione, non potè far altro che annuire. Era tornata a sedersi al tavolo dove lei e la famiglia avevano pranzato – come sempre, circondati da Auror, funzionari del Ministero e giornalisti – per riposare un po’ i piedi, e per un attimo si domandò se suo padre, scorgendola in compagnia del ragazzo, non avrebbe lanciato un “allarme rosso”.
 
 
“Come mai si è cambiata?”
“Così vuole l’etichetta. E mia madre. Pare che a noi sia concesso portare i pantaloni solo se dobbiamo andare a cavallo.”
Elizabeth si strinse nelle spalle continuando a non guardarlo, ma a tenere gli occhi fissi davanti a sé, scrutando maghi e streghe ridere, passeggiare, mangiare e chiacchierare. Il ragazzo invece, abbozzando un sorrisetto, asserì che fosse un peccato:
“Sa, stava quasi meglio com’era prima. Senza offesa per il suo bel vestito, ovviamente.”


“Questa sta scritta nel manuale del Don Giovanni, suppongo.”
L’ex Serpeverde si voltò verso il mago sfoggiando il suo tono più sarcastico, e Egan le domandò di cosa stesse parlando prima che la ragazza sbuffando debolmente, si alzava:
“Di nulla. Solo, visti e considerati i rapporti tra le nostre famiglie, se i suoi complimenti sono tentativi di prendersi gioco della sottoscritta, può anche scordarselo.”
“Ma non la sto prendendo in giro… Miss Saint-Clair?!”
 
Egan la guardò allontanarsi con gli occhi fuori dalle orbite, più confuso che mai, e si voltò verso Ezra con sguardo omicida quando il cugino, un bicchiere di champagne in mano, gli battè ridacchiando una mano sulla spalla:
 
“Una bella fanciulla che fugge dal mio cuginetto, starai forse perdendo lo smalto? Non dicevi di attirarle come calamite?”
“Attento Ezra, o il tuo bel vestito farà una bruttissima fine, sei avvisato.”
 
*
 
Riocard era sparito da qualche parte ed Ambrose, scorgendo Thomas e Colleen chiacchierare, stava per raggiungerli per unirsi a loro, un immancabile bicchiere di whiskey in mano, quando Clara e Cassiopea lo raggiunsero e lo presero ognuna per un braccio senza battere ciglio, trascinandolo nella direzione opposta:
 
“Eh no, tu vieni con noi.”
“Ma che diavolo state combinando?”


“Scagliamo le frecce di Cupido, mi sembra ovvio. Cosa che non avrà successo, se tu vai ad intrometterti, zucca vuota!”
Cassiopea scosse la testa con disapprovazione – chiedendosi come facesse il fratello a non pensare a certe cose – e gli diede una leggera gomitata mentre Ambrose, voltandosi leggermente, lanciava un’occhiata malinconica alla sua sorellina: era sempre stato molto protettivo con lei, la sorellina così dolce da chiedere sempre la sua approvazione e un suo consiglio in tutto, colei che aveva pianto fiumi di lacrime ogni volta in cui lo aveva visto partire per Hogwarts senza di lei. Eppure, sua madre per prima non faceva che ripetergli, già da anni, che ormai Colleen era cresciuta e che poteva badare a se stessa da sola. E probabilmente, si disse l’ex Serpeverde, la donna aveva ragione.
 
Del resto, trattandosi di suo cugino, era sicuro che non avrebbe potuto lasciare la sua Cherry in mani migliori.
 
*
 
“Quindi ancora non monta, dopo tutto questo tempo?”
Clio stava accarezzando il naso di un cavallo dal magnifico mantello grigio pomellato, e sentendo una profonda voce maschile quasi sobbalzò mentre si voltava di scatto, rilassandosi leggermente quando vide Riocard sulla soglia della scuderia, le mani nelle tasche.
 
“Temo proprio di no.”
“Mi ricordo di quel giorno. Mi sentii molto in colpa, all’epoca.”
“In buona parte l’ho rimosso, ma so che mia nonna non fece montare più nessuno di noi senza seguirci da vicino, si spaventarono tutti moltissimo per la mia rovinosa caduta. Comunque al massimo è stata colpa mia, non certo sua.”


 
“Dovrebbe riprovarci. E’ un peccato mandare a rotoli certe passioni solo per un singolo momento. Ciao bel ragazzo.”
Riocard si avvicinò al cavallo e sollevò una mano per dargli qualche carezza sul collo che il cavallo sembrò gradire, guardandolo muovendo le orecchie con curiosità mentre Clio si stringeva nelle spalle, abbozzando un sorriso lievemente imbarazzato:
 
“Lo dice anche mia nonna, e anche se adoro i cavalli non ne ho mai avuto il coraggio. Immagino di non essermi mai sbloccata.”
“Un peccato, come ho detto.”
 
“Ha trovato ciò che stava cercando, comunque?”
“No, dovrò tornare a casa della zia a breve, temo. Mi faccia indovinare, la troverò per ficcanasare, vero?”
“Chiaramente, mi sono divertita molto l’altro giorno, sa? Non era esattamente ciò che avevo in programma, ma direi che è stata una valida alternativa.”


La strega sorrise, gli occhi azzurri luccicanti mentre il rosso, aggrottando la fronte, la studiava con curiosità: stava quasi per chiederle nuovamente cosa fosse andata a fare a casa della nonna quando Clio, conscia di aver parlato troppo, si ricordò di avere qualcuno da salutare urgentemente e girò sui tacchi dopo avergli rivolto un ultimo sorriso allegro.
 
Riocard, dal canto suo, la guardò con sguardo curioso prima di voltarsi verso il cavallo e scuotere il capo, riprendendo ad accarezzarlo:
Merlino, quanto era strana quella strega. Forse suo padre aveva ragione: capire i cavalli era molto più semplice che capire una donna.
 
 
 
 
 
…………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Lo so che mi state venendo a cercare armate di torce e forconi alla contadini di Shrek, ma è stata una giornata pienissima e  non ho avuto molto tempo per scrivere, chiedo venia T.T Quindi tempo proprio che questo capitolo più che agli OC sia dedicato alla cornica della storia, la trama vera e propria e soprattutto i loro genitori/nonni/zii.
Ma badate bene, perché si tratta di un capitolo molto importante, come penso abbiate intuito.
Scusate ancora, mi rifarò, promesso. A mercoledì prossimo, e grazie mille a chi si è iscritto alla mia nuova storia! <3
Signorina Granger
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
Londra, 1865
 
Riocard Saint-Clair attraversò il corridoio dove da bambini lui e sua sorella giocavano sistemandosi la cravatta blu notte finemente e precisamente annodata. Il mago si diresse verso quella che, almeno fino a quel giorno, era sempre stata la camera della gemella senza incontrare nessuno, ma udendo un crescente vociare femminile proveniente dalla suddetta stanza.
Per l’ultima volta, Riocard indugiò di fronte alla porta e bussò brevemente per poter vedere la sorella, aprendola dopo aver ricevuto il suo invito.
Non ebbe neanche il tempo di entrare che il mago venne assalito da un miscuglio di voci scandalizzate che gli intimarono di sparire e che gli uomini non erano ben accetti nella stanza, ma la ragazza vestita di bianco che si stava mettendo un paio di orecchino dandogli le spalle rise, parlando con tono divertito:
 
“Per l’amor del cielo, è mio fratello. Riocard, puoi entrare.”
“Gradirei parlarti in privato, se non ti dispiace. E col vostro permesso.”
Pur mantenendo i modi impeccabilmente educati, gli occhi azzurri di Riocard indugiarono quasi velenosi sulle amiche della sorella, che si voltò con un sorriso radioso e invitò le tre ragazze a lasciarli soli.
“Ci vediamo di sotto, sono quasi pronta dopotutto.”
Mary, Edith e Sybil uscirono senza osare contraddire la sposa, ma lanciarono tre occhiate torve in direzione del mago che, invece, non si mosse e non proferì parola finchè non sentì la porta chiudersi alle sue spalle.
 
“Che cosa vuoi dirmi, Ric? Mi pregherai di fuggire con te per non sposare George?”
Gwendoline si sistemò distrattamente i capelli rossi guardandosi allo specchio della toeletta mentre Riocard la raggiungeva attraversando la stanza con poche falcate, fermandosi accanto alla gemella prima di scuotere il capo:
 
“L’idea che nostro padre abbia venduto la sua unica figlia e la mia unica sorella ai Cavendish non mi rallegra, ma so che non c’è molto che possa fare a riguardo.”
“George è una brava persona, Ric.”

“Forse, ma non si tratta solo di lui, dopotutto. Ho un regalo per te. Volevo dartelo senza nessuno attorno.”
La strega, che quando lo aveva visto entrare si era aspettata una scenata sul suo imminente matrimonio, si voltò verso il gemello con sincera perplessità, guardandolo porgerle un scatola quadrata foderata di velluto senza aggiungere altro.
La sposa guardò la scatolina blu per un istante prima di prenderla e, con le mani guantate di bianco, aprirla delicatamente. I suoi occhi chiari indugiarono su un orologio d’oro bianco, ma non ebbe il tempo di voltarsi verso il fratello per ingraziarlo, perché il mago la precedette mettendole una mano sulla spalla:
 
“In caso dovesse servirti.”
Gwendoline lo guardò aggrottando appena la fronte, vagamente perplessa, ma Riocard le sembrò più serio che mai. Così serio che non poté far altro che annuire, anche se le ci sarebbero voluti molti anni per comprendere il significato delle sue parole.
 
*
 
“Penny, non vorrei contraddire i tuoi… metodi, ma non pensi che vestita in quel modo attiri solo ancora più attenzione?”
Estelle, seduta accanto all’amica ad un tavolo all’interno della gelateria Fortebraccio con un bicchiere di cioccolata calda ormai vuoto davanti, le rivolse un’occhiata di sbieco mentre l’altra, con addosso un impermeabile che doveva aver rubato dall’armadio del marito e un basco nero in testa, teneva il suo minuscolo binocolo da teatro puntato oltre il vetro della finestra, dritto sui loro figli che stavano passeggiando tenendosi a braccetto lungo la strada principale.
“Shh! Estelle, ti ho detto di non chiamarmi per nome, siamo in incognito!”
“E come diavolo devo chiamarti?! Senza contare che ci riconoscono tutti, ma quale incognito…”
“Non so, come vuoi. Presto, seguiamoli, stanno per svoltare a destra! Dorian, metti sul mio conto, non ho tempo per pagare!”
 
“Certo Signora Cavendish!”


Il gelataio le sorrise affabile, ma la donna gli lanciò uno sguardo omicida, sibilando di non chiamarla per nome mentre si sistemava il bavero dell’impermeabile e usciva dalla gelateria guardandosi attorno furtivamente, Estelle al seguito.
Come avesse fatto l’amica a trascinarla in quella follia, non ne aveva proprio idea. Sicuramente Penelope era la persona più testarda e determinata che aveva mai avuto modo di incontrare, e quando l’aveva vista alla sua porta vestita in quel modo non aveva potuto far altro che seguirla.
Aveva anche riso, in effetti, ma l’occhiata minacciosa dell’amica le aveva tolto il sorriso molto in fretta.
 
“D’accordo… allora cosa facciamo, li seguiamo a distanza?”
“Merlino Estelle, sei proprio una principiante. Certo che no, se restiamo sulla loro stessa strada rischiamo di farci scoprire, prenderemo i vicoli secondari. Certo che potevi anche indossare qualcosa di meno vistoso, per Priscilla!”
Estelle alzò gli occhi al cielo mentre seguiva l’amica, consigliandole di leggere meno romanzi gialli e asserendo che il suo vestito non avesse nulla che non andasse.
 
“A proposito, come sei diventata esperta di spionaggio?”
Pedinando Robert per scoprire dove vivessero le sue amanti per gettare il Malocchio sulle loro abitazioni, mi sembra evidente.”
 
 
 
“Guarda, le tiene la porta aperta!”
Penelope guardò Neit aprire la porta per far passare Caroline mentre i due entravano in libreria, ma Estelle liquidò il discorso con un noncurante gesto della mano:
“Certo, perché l’ho cresciuto bene.”
“Santa Morgana, sei proprio dura di comprendonio, Estelle…”
 
 
 
“Neit, sei proprio testardo, ti ho detto che non serviva farmi un regalo!”
“E’ per ringraziarti per il tuo aiuto dell’altro giorno… Via, è solo un libro.”
 
 
 
“AH! Vedi, le ha regalato qualcosa!”
Penelope sorrise vittoriosa mentre indicava i figli all’amica, che però si strinse nelle spalle e parlò senza battere ciglio:
“E allora? Il mio Neit è un gentiluomo!”
 “Ma insomma Estelle, cosa devo fare per fartelo capire, metterli sotto il vischio?”
 
All’improvviso il volto di Penelope si illuminò, e un sorrisetto che Estelle conosceva molto bene le incurvò le labbra mentre la donna sfoderava la bacchetta.
 
 
Carol alzò lo sguardo sulla pianta di vischio che pendeva sopra la sua testa e le lanciò un’occhiata interrogativa, chiedendosi da dove uscissero tutte quelle piante.
“Neit, secondo te perché all’improvviso è pieno di vischio ovunque?”
“Non saprei, manca ancora parecchio a Natale!”
 
“Certo che per essere tanto svegli sono anche un po’ tonti, non c’è che dire…”
“Penny, non mi sembra che stia funzionando… ops!”
 
Estelle urtò un bidone, che cadde al suolo con un sonoro tonfo che fece voltare nella loro direzione diversi passanti, tra cui i loro figli, diversi metri più in là, mentre le due si appiattivano dietro un angolo.
“Cos’è stato?”
“Sarò stato un topo, andiamo. Ti va qualcosa di caldo?”
“Certo!”
 
“Estelle, stavi per farci scoprire! Fa’ attenzione!”
Penelope si mise le mani sui fianchi e parlò all’amica con tono di rimprovero mentre una coppia di passaggio rivolgeva all’improbabile duo un’occhiata stralunata – forse chiedendosi perché Penelope indossasse un impermeabile maschile –.

“Scusa Penny… Neit mi ha appena paragonata ad un ratto, se non fossimo in incognito andrei a prenderlo per un orecchio!”
Estelle, dopo essersi rassettata il soprabito blu notte, si mise le mani sui fianchi e lanciò un’occhiata torva in direzione del primogenito, ma Penelope la ignorò e si affrettò a seguire figlia e nipote, asserendo che non avevano ancora finito di pedinarli.
 
 
“E’ da quando siamo qui che ho la strana sensazione di essere osservata… mah, sarà solo un’impressione.”
Caroline, mescolando la sua cioccolata calda con la fronte leggermente aggrottata, si strinse nelle spalle e morse un biscottino al burro mentre Neit versava un po’ di Whiskey Incendiario nella sua, chiedendole con un debole sorriso chi mai dovesse seguirla:
“Non saprei proprio. Anche se quando usciamo insieme la gente ci fissa spesso, chissà perché.”
La strega, reggendosi il capo con una mano, arricciò leggermente le labbra pensierosa mentre poteva quasi sentire la voce esasperata di Clio suggerirle che probabilmente succedeva perché la gente insieme li trovava bellissimi, ma decise di non darci troppo peso e tornò alla sua cioccolata calda fumante.
Neit, invece, sentì uno strano fruscio sopra la sua testa e, alzato lo sguardo, aggrottò le sopracciglia vedendo del vischio crescere dal nulla, chiedendosi che razza di scherzo fosse mentre, a pochi metri di distanza, Penelope rideva sotto lo sguardo rassegnato di Estelle:
 
“Non penso che si baceranno solo a causa del vischio, Penny.”
“Lo so, ma è troppo divertente vedere le loro facce… Mi sto divertendo tantissimo oggi, dovremmo farlo più spesso!”
“Cosa, seguire i nostri figli?!”
 
*
 
 
“Perché vuoi sempre pagare tu Neit, non è giusto…”
“Non farmi ridere, tu sei una signorina, e io lavoro, a differenza tua.”
 
Caroline sbuffò piano, borbottando che a volte le ricordava terribilmente Ezra, che la trattava come una bambola di porcellana da non rovinare o guastare.
“E’ solo perché ti vuole molto bene. Come tutti noi.”   Neit sfoderò il suo raro sorriso e Caroline non potè far altro che ricambiare, addolcendosi nell’esatto istante in cui udì quelle parole.
Grazie.”
“Con tuo padre come va?”
“Non ci parliamo molto, sai com’è… credo che sia furioso con me, in effetti, ma non me e faccio un cruccio. Non mi stupirebbe se ora andassero da tua sorella per chiederle cosa ne pensa lei, di sposarsi Riocard Saint-Clair.”
Caroline si strinse nelle spalle mentre lo stomaco di Neit quasi si contorceva: non sapeva proprio dire quale delle due alternative fosse più terribile, ai suoi occhi, se un matrimonio forzato con un Saint-Clair per sua cugina o per la gemella.
 
“Mio padre non lo farà, ne sono certo.”
“Lo spero per Clio. Sicuramente vostro padre tiene a lei più di quanto il mio non tenga a me.”
L’espressione della strega si rabbuiò un poco mentre giocherellava distrattamente con la chiusura della sua borsetta, e Neit la guardò, sinceramente dispiaciuto, prima di dire qualcosa con uno dei toni più gelidi che la cugina gli avesse mai sentito addosso:
 
“In tal caso è lui a rimetterci. Ma non… non pensarci. Scusa, non dovevo chiedertelo.”
“Non importa.”
Caroline gli rivolse uno dei suoi dolci sorrisi, e l’Indicibile si sforzò di ricambiare prima di accennare alla borsetta della cugina:
“Ti porti dietro sempre l’impossibile come tuo solito?”
“Non l’impossibile, solo carta e penna!”
 
“Mia madre dice che ogni donna tiene i suoi più oscuri segreti in queste graziose borsette e che per conoscerne davvero una bisogna guardare cosa si porta sempre appresso.”
“Oh beh, da me nulla di interessante. Solo scarabocchi.”
Caroline fece spallucce sotto lo sguardo quasi divertito del cugino, che in parte dubitò fortemente delle sue parole.
 
“Davvero! Guarda.”
La strega l’aprì e gli mostrò la piuma e i fogli sparsi di pergamena, molti del quali piegati o accartocciati.
 
“Non mi farai mai leggere niente, vero?”
“Temo proprio di vergognarmi troppo.” Caroline abbozzò un sorriso quasi di scuse, rimettendo il contenuto della borsa al suo interno mentre un piccolo pezzo di pergamena sfuggiva alla sua presa, scivolando sul pavimento.
Istintivamente Neit si chinò per raccoglierlo, imitato dalla cugina, e il ragazzo si ritrovò ad aggrottare la fronte quando scorse una parola scritta nell’ormai inconfondibile grafia della cugina in cima al foglio.
Le dita di Neit lo presero appena un istante prima di lei, che quasi imprecò mentalmente contro la sua sbadataggine e la sua sfortuna mentre lo guardava rimettersi dritto senza muovere un muscolo, come pietrificata.
“Carol, che cosa…”
“Devo andare. Scusami.”
Ripresasi dal mezzo shock, Caroline si alzò di scatto e prese il foglio dalle mani del cugino senza dargli il tempo di reagire, gli occhi azzurri fissi su di lei e carichi di smarrimento.
Le chiese di aspettare, ma la strega non lo ascoltò e lo superò in fretta mentre le sue gote si tingevano di rosso.
 
“Che diamine è successo? Perché sta andando via così?! Merlino, che rabbia non aver potuto sentire nulla…”
Penelope sbuffò, contrariata, e guardò la figlia incamminarsi sul marciapiede allacciandosi il mantello mentre Estelle, accanto a lei, accennava invece al figlio, che dopo qualche istante di esitazione si alzò, girò sui tacchi e seguì la cugina a passo di marcia.
“Neit la sta seguendo, direi.”
“Vorrei tanto fare lo stesso, ma a giudicare da ciò che abbiamo visto forse è meglio lasciargli un po’ di privacy. Andiamo.”
Penelope rivolse un cenno all’amica, prendendola a braccetto asserendo che potevano approfittarne per fare un po’ di shopping. Estelle, dal canto suo, seguì il figlio con lo sguardo per pochi istanti, indecisa sul da farsi, ma alla fine si lasciò convincere e si lasciò guidare dall’amica, dicendosi che probabilmente era la soluzione migliore.
 
*
 
“Saint-Clair, abbiamo queste foto sull’evento dell’altro giorno… voglio che ci scrivi su qualcosa, visto che eri presente.”
Ambrose passò in rassegna le fotografie in bianco e nero che si muovevano e, con orrore, si ritrovò a guardare non poche immagini che ritraevano sua cugina in compagnia di Egan Cavendish. Elizabeth e lui seduti allo stesso tavolo che parlavano, lei a cavallo.. ce n’erano persino che ritraevano la cugina che usciva dal suo locale.
 
“Ma… ma lei fa pedinare mia cugina, per caso?!”    L’ex Serpeverde sgranò gli occhi chiari, e dovette ricordarsi che quello era il suo capo e che ne andava della sua carriera per non rivolgergli qualche parolina gentile.
“E’ la figlia del Ministro, è giovane e carina… alla gente piacciono queste cose, e tutti adorano i drammi. Le dinamiche tra le vostre famiglie ne sono un chiaro esempio.”
“Non scriverò questa roba, mi rifiuto! Pensa che mio zio ne sarà felice?!”
 
Ambrose gettò le foto sulla scrivania e incrociò le braccia al petto in una stretta serrata, ma Burke si strinse nelle spalle con nonchalance prima di dargli le spalle:
 
“Noi non prendiamo ordini da tuo zio, Ambrose.”
“Non c’è niente tra mia cugina e Cavendish!”
 
Vedendo che le sue obiezioni non erano servite a nulla Ambrose sbuffò, costretto a lasciar perdere, anche se si ritrovò sinceramente impegnato a riflettere sulle sue stesse parole: a sentire le sue sorelle, aveva l’acume di un bradipo per certe questioni. Ma sicuramente non poteva sbagliarsi su una cosa simile.
Lizzy ed Egan Cavendish, che tremenda sciocchezza!
 
*
 
“Cassy, mi spieghi dove stiamo andando?”
“Smettila di blaterare, mi hai promesso che mi avresti accompagnata a fare spese, oggi. E ora ho voglia di una pausa.”
Cassiopea parlò senza smettere di camminare con passo deciso, trascinandosi Elizabeth e le sue numerose borsette appresso. La cugina, confusa, le rinnovò i suoi dubbi chiedendole dove diavolo la stesse portando finchè, all’improvviso, non scorse l’insegna di un luogo che ormai le era divenuto piuttosto noto.
Il tutto mentre la sua “guardia del corpo”, un giovane Auror di solo qualche anno più di lei, seguiva le due esasperato e chiedendosi, probabilmente, perché gli fosse stato assegnato proprio quell’incarico.
“Non pensarci nemmeno!”  La bionda inchiodò di scatto e scoccò un’occhiata velenosa alla cugina prediletta, che però sorrise e la spinse verso l’ingresso del pub sogghignando:
“Tu e Clara non siete le uniche portate per i complotti, cara cugina. Su, muoviti, ti ho vista alla gara, la settimana scorsa… penso che tu debba chiarire qualcosa.”
“Non ho niente da chiarire con nessuno, vacci tu da Cavendish, se ci tieni!”
“Lo farei, credimi, ma mi pare ovvio che gli piaccia tu, non io… e non farei mai nulla di simile alla mia cuginetta adorata.”
 
Elizabeth sbuffò, asserendo che ne dubitava fortemente e che, in caso, non le importava neanche un po’ di Egan Cavendish.
“E’ tutto tuo se vuoi, io ho già pianificato di finire i miei giorni circondata da amabili volpi.”
“Ma non farmi ridere, piccola serpe… Au revoir!”
 
Cassiopea quasi la spinse fino alla porta d’ingresso, ma Elizabeth non ebbe la possibilità di voltarsi per riversare su di lei qualche elegante epiteto, perché la cugina si Smaterializzò con una risata, portando con sé i suoi numerosi acquisti del giorno.
“E poi sarei io, la serpe di famiglia… Devi seguirmi anche dentro Peter?” Elizabeth sbuffò mentre si rivolgeva al ragazzo, che annuì e la guardò sospirare prima di entrare, seguendola a ruota libera.
 
*
 
Riocard stava controllando il contenuto di un vecchio baule in soffitta quando dal piano di sotto udì una serie prolungata di tonfi, accompagnati da strilli acuti. Il ragazzo sospirò stancamente, voltandosi verso lo stretto ingresso della soffitta mentre la voce di Clio – leggermente soffocata, come se la strega si trovasse sotto a qualcosa – giungeva alle sue orecchie:
“Sto bene, sto bene… non si dia pena.”
“A questo punto mi sembra lei, quella incline a distruggere la casa…”
Il mago uscì dalla soffitta, scendendo la ripida scala di legno fino a trovarsi in corridoio, trattenendo a stento una risatina mentre guardava Clio Cavendish scostarsi vestiti, cappotti e scatoloni di dosso, stesa sul pavimento davanti ad un armadio a muro aperto.
“Tutto bene?”
“Mi sono appena rovesciata un armadio addosso ma sì, sto bene.”
Riocard le si avvicinò e, sorridendo divertito, le scostò una pesante pelliccia di dosso prima di porgerle una mano e aiutarla ad alzarsi, notando l’occhiata sorpresa che lei gli rivolse:
 
“Sta ridendo di me?”
“Non mi permetterei mai.”
“Secondo me lo sta facendo, invece.”
Riocard fece spallucce, asserendo che la strega avesse le traveggole mentre rimetteva a posto il contenuto dell’armadio con un colpo di bacchetta e sua zia spuntava infondo al corridoio con un vassoio in mano, domandando allegra ai due nipoti come stesse proseguendo la loro ricerca e se gradivano una tazza d thè.
 
“Se ci sono i dolcetti al burro certo che sì!”
Clio sorrise allegra alla nonna prima di voltarsi verso Riocard, ma il ragazzo declinò gentilmente l’offerta della zia e tornò in soffitta senza aggiungere altro, sotto lo sguardo perplesso della bionda.
“E’ sempre stato così… sulle sue? Ad Hogwarts non ci avevo molto a che fare, visti i rapporti tra le nostre famiglie…”
“Da bambino era vivace. Sempre stato molto educato, ma era molto più loquace. Crescendo si è fatto più silenzioso, ma fino a qualche anno fa non era così… beh, perdere un padre così cambia chiunque. Vieni tesoro.”


Clio esitò ma alla fine annuì, seguendo la nonna verso il salottino mentre Riocard, sopra di loro, proseguiva imperterrito le sue ricerche.
 
*
 
Caroline era appena uscita dal Paiolo Magico quando si Smaterializzò, ignorando i richiami di Neit alle sue spalle.
Il ragazzo spalancò la porta quando la strega era sparita solo da pochi istanti, e si guardò attorno cercandone la figura prima di convincersi che doveva essersi Smaterializzata.
Ma se pensava che non l’avrebbe seguita, Caroline si sbagliava di grosso.
 
*
 
“Miss, non penso che dovrebbe prendere niente da bere.”
“Peter, non penso che Edward Cavendish abbia ordinato a suo figlio di avvelenarmi!”
 
Egan, aggrottando la fronte, guardò Elizabeth-Rose battibeccare al bancone con un ragazzo moro che indossava la divisa scura da Auror. Doveva avere un paio d’anni in più dei suoi fratelli e si domandò cosa ci facesse con la strega, ma scosse il capo con decisione dicendosi che non erano affari suoi mentre si avvicinava ai due, gli occhi chiari fissi su Elizabeth:
“Buonasera. Non mi aspettavo di vederla.”
“Neanche io mi aspettavo di trovarmi qui. Peter, prenditi una pausa.”
“Non prendo ordini da lei, Miss.”
Peter parlò senza scomporsi o battere ciglio, guardandosi attorno con attenzione mentre la strega, sospirando, si passava le mani nei capelli. Entro la fine della giornata avrebbe di certo strozzato qualcuno.
“Lui è… la mia guardia del corpo, diciamo. Mi può portare la solita cosa? Peter, vuoi qualcosa?”
“Non bevo quando lavoro, Miss.”
Il mago si strinse nelle spalle, facendole alzare gli occhi al cielo mentre Egan, sempre più perplesso, si limitava ad annuire.
“Certo.”
 
Poco dopo, quando tornò con la Burrobirra e la mise davanti alla strega, l’Auror fece per prendere il bicchiere ed esaminarlo, ma Elizabeth lo anticipò e glielo prese dalle mani con uno sbuffo:
“Ti ho detto che nessuno vuole avvelenarmi!”
“Ma è il mio lavoro!”
“Egan, per caso mi vuole avvelenare?”
La strega si voltò spazientita verso il rosso, che si strinse nelle spalle e parlò con la sua massima nonchalance possibile, quasi ridendo di fronte all’espressione che le sue parole scaturirono sul volto dell’Auro:
“Non stasera, Miss.”
“Bene. Pet, toccami il bicchiere e ti aizzo tutti gli animali di Thomas contro, sei avvisato.”
 
Che cosa ci faceva Elizabeth-Rose lì dopo quello che gli aveva detto, non ne aveva idea. Però doveva ammettere che averla lì rendeva il lavoro sempre molto più divertente.
 
*
 
Era stato l’emblema della galanteria e dell’educazione più assoluta per tutti i suoi 26 anni di vita, ma quel pomeriggio mandò quei principi a quel paese, mentre bussava con decisione alla porta della casa dei suoi zii, sbatacchiando il battente nero con ben poca creanza.
Nel frattempo tre poveri Elfi Domestici bisbigliavano intimoriti, non sapendo cosa fare mentre Neit ordinava di farlo entrare dall’altro lato della porta.
 
“Che cosa facciamo?”
“Miss Caroline ha detto di non far entrare nessuno!”
“Ma a noi piace il Signor Neit!”
 
“Lo so che siete lì, fatemi entrare!”
Neit sbuffò, spazientito, arrovellandosi su come convincere gli Elfi ad aprirgli la porta prima di riprendere a bussare con persino maggior vigore rispetto a prima:
“Se non mi fate entrare dirò al Signor Ezra di darvi dei vestiti, vi avviso!”
 
Gli Elfi squittirono spaventati e corsero ad aprire la porta, riservando al ragazzo innumerevoli e profondi inchini mentre lo imploravano di non liberarli.
L’Indicibile fece lo slalom tra le creaturine imploranti e, assicurando loro che non l’avrebbe fatto, si fece dire con impazienza dove fosse la cugina prima di correre verso le scale, raggiungendo di filata il piano superiore prima di dirigersi a passo di marcia verso la biblioteca, dove entrò aprendo la porta con decisione, senza prendersi la briga di bussare.
Trovò la cugina seduta pensierosa su un divanetto, e Caroline spalancò gli occhi azzurri nella sua direzione quando lo vide entrare e chiudersi la porta alle spalle:
 
“Come hai fatto ad entrare?!”
“Gli Elfi Domestici possono essere le creature più leali di questo mondo, ma temo di aver dovuto giocare sporco. Gradirei avere una spiegazione.”
“Non c’è nulla da spiegare.”
Caroline volse lo sguardo sulla finestra, evitando quello del cugino mentre Neit le si avvicinava camminando tenendo le mani allacciate dietro la schiena, gli occhi azzurri fissi su di lei:
“Ah no?”
La bionda non rispose e Neit, sospirando, le si fermò accanto, guardandola con gli occhi traboccanti di curiosità e desiderio di avere qualche risposta.
“Perché hai scritto… una poesia intitolata col mio nome?”
Caroline non rispose, limitandosi a guardare i comignoli delle abituazioni londinesi mentre un lieve sorriso le incurvava le labbra: non era stata la prima e neanche l’ultima, quella su cui lo sguardo di Neit si era posato, ma chiaramente non glielo rese noto.
“Non ne ho letto che una piccola parte, ma mi sembrava… Caroline?”
Neit la guardò, speranzoso e con la voce impastata, non osando continuare mentre la strega si voltava piano verso di lui. Con sua somma sorpresa la strega abbozzò un sorriso, guardandolo con affetto e un velo di malinconia sulle iridi celesti:
“Sei la persona più brillante che io conosca, lo sai? Forse persino più di mio fratello. Sono anni, però, che mi chiedo come tu possa essere tanto stupido da pensare che nessuno possa amarti. Beh, immagino che doveva venire fuori, prima o poi. Spero di non aver compromesso il nostro rapporto però, ci tengo terribilmente in ogni caso.”
Caroline appoggiò lentamente i piedi – coperti solo dalle calze, visto che si era sfilata le scarpe – sul pavimento e si alzò, facendo per superare il cugino che, invece, pareva come pietrificato e osservava sconcertato il punto dove fino a poco prima di trovava il viso della ragazza.
La strega aveva però mosso solo pochi passi quando sentì la mano di Neit afferrare la sua, costringendola a voltarsi e a rivolgergli un’occhiata perplessa, in attesa che dicesse qualcosa.
Per qualche istante nessuno dei due proferì parola, limitandosi a guardarsi a vicenda, mentre l’orologio a pendolo che scandiva i secondi che passavano rappresentava l’unica fonte di rumore presente nell’ampia stanza.
Neit, dopo averla osservata per qualche istante percorrendo con lo sguardo i deliziosi lineamenti del suo viso, dagli occhi dotati di lunghe ciglia scure alle labbra rosee, l’attirò leggermente a sé facendo leva sul proprio braccio: un attimo dopo Caroline si ritrovò stretta dalle braccia robuste del cugino di terzo grado, che chinandosi per sopperire alla differenza d’altezza che li divideva la baciò dolcemente.
Si staccò dalle sue labbra dopo pochi secondi, osservandola mentre Caroline, le mani pallide strette sulle sua spalle, lo guardava di rimando senza osare dire niente. Neit pensò a ciò che aveva appena sentito e a come mai, baciando una ragazza, si fosse sentito in quel modo.
La strega, più confusa che mai, stava per chiedergli a cosa stesse pensando quando lo vide sorridere come mai prima d’ora e, infine, baciarla di nuovo con trasporto.
 
*
 
“Devo ammettere di essere sorpreso. Non pensavo che l’avrei vista dopo l’altro giorno.”
“Sì, mi… mi dispiace, credo. Avevo una brutta giornata e in effetti lei ha una certa fama, ma immagino di non dover giudicare. Infondo può fare ciò che vuole.”


La strega fece spallucce mentre giocherellava col suo bicchiere vuoto, e Egan non riuscì a trattenere un sorrisetto:
“Mi ha visto con Astrid Yaxley? E’ una mia amica. Da anni. Ed è anche fidanzata, in caso non ne fosse a conoscenza.”
“No, non lo sapevo. Buon per lei.”


Elizabeth parlò senza scomporsi, anche se si diede mentalmente della stupida e mai come in quel momento provò il forte desiderio di essere inghiottita da una voragine.
Merlino, che figuraccia.
 
“Già. Però la posso capire.”
“Ovvero?”
L’ex Serpeverde lo guardò aggrottando la fronte, perplessa, mentre guardava il Grifondoro prendere il bicchiere che aveva vuotato per pulirlo e strizzarle l’occhio:
 
“So che è dura vedermi con altre ragazze, disgraziatamente sono dotato di un fascino irresistibile, stando a quanto dicono.”
“Ma davvero? Perché a me sembra un po’ troppo pieno di sé, Signor Cavendish.”
“Prima mi ha chiamato Egan, non può chiamarmi così, Miss?”


“Come le fa piacere. Adesso vado, o la mia guardia del corpo mi stresserà…”
Elizabeth scese dallo sgabello con un sospiro e fece per prendere qualche moneta, ma Egan scosse la testa e la fermò allungando una mano, asserendo che per quella sera offriva la casa.
 
“Scommetto che lo fa a tutte le belle ragazze.”
“Forse. Perché, si considera tale?”

 
“Sono una persona modesta, Egan Cavendish. Ma non cieca.”


 
*
 
 
“Oh, ciao. Che fine avevi fatto?”
Ambrose alzò lo sguardo su Cassiopea quando vide la sorella entrare nella stanza e sorridergli, lasciandosi scivolare sul divano accanto a lui mentre Colleen, seduta sul pavimento, giocava con Klaus, il Crup del fratello, e Clara leggeva un libro stesa sul divano opposto.
“Ero con Lizzy, ma l’ho lasciata in un certo posto. Certe cose riescono bene anche a me, a quanto sembra.”
L’ex Corvonero sfoggiò un sorrisetto soddisfatto mentre intercettava lo sguardo di Clara, che ricambiò prima di tornare al suo libro mentre Colleen arrossiva e sbuffava, intimando alle sorelle di non immischiarsi nella sua vita privata.
“Ma piccola, lo facciamo per il tuo bene, senza di noi tu non combineresti nulla!”
“Sono d’accordo con Cassiopea, per una volta.”
 
Clara annuì distrattamente e la minore, rassegnata, scosse la testa e tornò a coccolare Klaus mentre Ambrose, voltatosi verso Cassy, la guardava aggrottando la fronte:
“Dove hai lasciato Lizzy?”
“Mh, da Egan Cavendish.”
“E perché mai?!”
“Merlino Ambrose, ti vogliamo bene, ma su certe cose sei proprio un cieco!”
“Volete dire che… Porco Salazar, allo zio verrà un infarto! E io che ne ho anche scritto…”
 
Ambrose si portò le mani sui riccioli ramati mentre le tre sorelle si voltavano in sincro verso di lui, gli occhi spalancati e colmi d’orrore:
 
“Che COSA hai scritto, esattamente?”   Clara chiuse il libro e lo guardò allarmata, preparandosi al peggio e già immaginando lo zio dare di matto. Theseus era conosciuto universalmente come un uomo calmo, pacato e molto ragionevole, fatta eccezione per quando si accennava all’argomento “Edward Cavendish”.
 
“Non volevo, mi hanno costretto!”
 
*
 
“Come sta il mio Signor Ministro?”
Elizabeth sedette sul letto e rivolse un sorriso affettuoso a Theseus, che ricambiò mentre chiudeva il libro che teneva in mano.
“Meglio, grazie tesoro. Purtroppo sono incline alle influenze… tu come stai? Cosa hai fatto oggi?”
“Sono stata a Diagon Alley con Cassy, ho salutato Tommy… e sì, tranquillo. Peter non mi ha mollata un istante. Tu lavori troppo comunque, sono felice di vederti riposare."
La strega parlò lanciando un'occhiata apprensiva al padre che, invece, sorrise quasi soddisfatto:
“Bene, mi fa piacere che Peter lo faccia. So che non ne sei felice, ma sei la figlia del Ministro. È per la tua sicurezza. E non preoccuparti per me, non è necessario.”
“Penso che nessuno si interessi a me, papà. Beh, ti lascio riposare… ceni qui da solo, dopo?”
“Se la Signora Madre me lo permetterà sì.”
Theseus alzò gli occhi al cielo nello stesso modo della figlia, che ridacchiò prima di dargli un bacio sulla fronte e alzarsi, asserendo che quasi quasi lo invidiava: fare colazione o cenare a letto era il suo più grande sogno da sempre, ma sua madre non faceva che ribadire che solo una donna sposata poteva prendersi quel lusso.
“Vieni Deimos.”
Il volpacchiotto dal pelo bianco come la neve che l’aveva seguita nella stanza trotterellò dietro alla padrona, che stava per uscire dalla stanza quando la voce del padre richiamò un’ultima volta la sua attenzione:
“Peter mi ha detto dove sei stata oggi. Penso che non sia posto adatto a te, il pub di un Cavendish.”
“… Certo papà.”
 
Elizabeth, abbozzato un sorriso in direzione di Theseus, che ricambiò con un’occhiata più seria che mai, uscì dalla stanza e si chiuse piano la porta alle spalle prima di allontanarsi, sospirando, verso la propria camera per prepararsi per la cena.
 
*
 
“Mi dispiace che non abbiamo trovato nulla, ma abbia fede, sono sicura che ne verrà a capo in qualche modo.”
“Oh, avendo lei ad aiutarmi e a rovesciarsi addosso le cose, non ne dubito…”


Clio sbuffò mentre usciva di casa insieme a Riocard, attraversando il vialetto che portava al cancello mentre Gwendoline li osservava divertita da una finestra.
“Le ho detto che è stato un incidente, la smetta di prendermi in giro!”
“Le capitano spesso questi incidenti?”
“Mh, a volte. … per la verità, sempre, ma sto cercando di migliorare!”
 
Clio gli rivolse un sorriso allegro che Riocard potè solo cercare di emulare, quasi ridendo al pensiero di come suo zio era solito definire i Cavendish e mettendo quelle parole a confronto con la strega che aveva affianco.
Quella strega era senza dubbio anni luce distante dal modo in cui sentiva spesso la gente rivolgersi alla sua famiglia.
 
Erano appena usciti dal cancello quando Riocard, prese le briglie della sua cavalla, udì la strega salutarlo. Frastornato, si voltò verso di lei, chiedendole se avesse intenzione di tornare a casa piedi prima di guardarla annuire e stringersi nelle spalle:
“Mi piace camminare, e casa nostra non è molto distante.”
“Non sia ridicola, venga con me.”
Riocard allungò una mano verso di lei con fare perentorio, ma Clio fece saettare lo sguardo sull’alta figura di Andromeda prima di deglutire e scuotere la testa con vigore:
“Non penso sia il caso, io non monto più.”
“Siamo in città, non potrei galoppare neanche volendo. E non dovrebbe fare niente, solo tenersi. Avanti, è solo una breve passeggiata.”
Clio, impegnata a balbettare scuse, lo guardò avvicinarlesi di un passo, trascinarla verso Andromeda e infine, implorandolo di non farlo con voce quasi lacrimosa, prenderla per la vita e sollevarla per metterla sulla sella. Clio serrò gli occhi azzurri di scatto, avvinghiandosi d’istinto al collo nero della cavalla mentre Riocard montava in sella dietro di lei, sbuffando piano:
 
“Signorina, le giuro che non la farò cadere. Anche perché sono certo che questa volta suo fratello mi ucciderebbe.”


Riocard prese le redini mentre Clio, ripetendosi di non guardare a terra, si sistemava meglio che poteva sulla sella, seduta all’amazzone.
“Forza.”
Un colpo di talloni fece partire la cavalla al passo, e Clio si domandò quanto tempo fosse passato dall’ultima volta in cui aveva provato quella sensazione mentre Riocard stringeva le redini davanti a lei, circondandola con le braccia, e guardava avanti da sopra la sua spalla destra.
“Pensa di sopravvivere fino a casa?”
“Se non mi farà cadere, penso di sì.”
 
Clio abbozzò un sorriso, dicendosi che forse non era poi così male e conscia che infondo stare in sella le era mancato molto. Senza contare che la presenza di Riocard, per quanto silenziosa fosse, aveva un che di estremamente rassicurante.
 
*
 
“Sono tornato… Oh, buonasera mamma. Sono felice di vedere che non stai occupando la mia stanza per spiare i vicini.”
Ezra sorrise alla madre, sollevato nel vederla in salotto e non appollaiata sulla finestra della sua camera. Penelope in effetti sembrava di ottimo umore, e gli si avvicinò con un sorriso prima di stampargli un bacio su una guancia e asserire di aver già esaurito la sua dose giornaliera di affari altrui.
 
“Tua sorella è di sopra. Sai, quando sono tornata da una… passeggiata con Estelle, l’ho trovata seduta qui a tubare con Neit. Ah, che bellezza, tua zia mi deve 20 galeoni!”
“Di che parli, mamma?”
“Chiedilo a tua sorella o a tuo cugino, caro.”
 
Penelope si allontanò ridacchiando, visibilmente compiaciuta, e il figlio seguì la donna con sguardo rassegnato, domandandosi che cosa avesse architettato quella mente diabolica e a che cosa si riferisse.
 
*
 
Era entrato nella Stanza dell’Amore dando poco peso agli sguardi perplessi dei suoi colleghi, che gli chiesero cosa ci facesse al Ministero a quell’ora durante il suo giorno libero. Neit li ignorò, gli occhi chiari fissi sulla grande fontana di marmo bianco che luccicava sotto la luce di un Sole fittizio attraverso il lucernario posto sopra di essa.
Percorse in pochi passi i metri che lo dividevano dalla struttura e, appoggiate entrambe le mani sulla ringhiera, chiuse gli occhi e si sporse leggermente in avanti, permettendo alle spirali di vapore di solleticargli l’olfatto.
Non era la prima volta in cui sentiva un lieve profumo di rose, ma solo in quel momento lo ricollegò al profumo che sentiva ogni volta in cui stringeva Caroline, e gli sembrò che l’aroma fosse più forte e deciso che mai nelle sue narici.
Neit aprì gli occhi chiari, e un debole sorriso gli increspò le labbra mentre il cuore gli palpitava nel petto.
 
*
 
“Sono a casa! Oh… ciao papà.”
Clio sorrise al padre, in piedi sulla soglia del salotto vestito di tutto punto, con la camicia, la cravatta e il panciotto grigio addosso. Doveva essere tornato dal Ministero da poco, ma non ricambiò il sorriso della figlia mentre la studiava con attenzione, le mani nelle tasche:
“Ti ho vista tornare con suo figlio.”
“Ero dalla nonna e c’era anche lui e mi ha… accompagnata. Non è mai successo, prima.”
“Bene.”


Edward non aggiunse altro, limitandosi ad annuire serio in volto, e Clio ne approfittò per superarlo e dirigersi verso le scale, mormorando che sarebbe andata a cambiarsi prima di cena.
“Tesoro?”
“Sì?”
Clio si fermò e si voltò col cuore in gola, temendo una sfuriata da parte del padre che però non arrivò: Edward si limitò ad alzare lo sguardo su di lei, guardandola con un velo di tristezza:
“Sai che suo padre mi ha fatto soffrire come mai nessun altro, vero? Non voglio che succeda anche a te.”
“… Non accadrà mai, papà. Non preoccuparti.”


*
 
“Oh, bentornato. Come sta Gwendoline?”
“Bene… scusa se ho fatto tardi, ho accompagnato Clio Cavendish a casa sua.”
 
“Sei sempre il mio gentiluomo perfetto, persino con la figlia di Edward Cavendish.”
Alexis abbozzò un sorriso carico d’affetto, riservando un’occhiata adorante al figlio mentre Riocard prendeva posto a capo del tavolo, dove una volta sedeva suo padre, senza dire nulla.
“Mamma… tu pensi che sia stato lui ad uccidere papà?”
“Beh, è sempre stata la teoria più accreditata, ma io non lo conosco molto bene. Di certo avrebbe avuto le motivazioni per farlo.”


Riocard annuì piano, il capo chino, e prese la forchetta per iniziare a mangiare quando sua madre appoggiò una mano sulla sua, parlandogli dolcemente:
“Tesoro… cerca solo di non affezionarti a sua figlia, ok? Non volendo sposare sua cugina penso che tu te li sia solo inimicati ancora di più. E non voglio che ti accada nulla.”
“Sì mamma.”
 
 
 
Quanto a Theseus, il mattino seguente il Ministro della Magia stava per fare colazione a letto quando aprì la Gazzetta del Profeta e trovò un’intera pagina piena di foto che ritraevano sua figlia – la sua unica, preziosissima e adorata figlia – in compagnia di un Cavendish dalla chioma ramata e indomita.
Il suo peggiore incubo, in poche parole.
Chiudendolo di scatto, urlò alla moglie di chiamare il dottore, visto che già poteva sentire un lancinante dolore al petto e al braccio sinistro.
 
*
 
Egan stava andando al lavoro fischiettando, ma era appena uscito dal cancello di casa quando s’imbattè in suo cugino, che teneva un giornale stretto sotto al braccio.
Zuccone, buongiorno! Che ci fai da queste parti? Ti mancavo?”
Il rosso rivolse ad Ezra un gran sorriso sornione, e il moro sospirò prima di scuotere la testa, lanciandogli un’occhiata che traboccava esasperazione da tutte le parti:
“Falla finita di chiamarmi così, demente. Ho appena letto il giornale. Dobbiamo parlare.”
“Oh no, Ezra… sei geloso di Miss Elizabeth e vuoi dichiararmi il tuo amore per me? Ammetto che lo sospettavo da tempo, ma non avevo prove concrete. Sappi che ti vorrò bene per sempre!”
 
Egan, dando sfoggio della sua espressione più addolorata, lo guardò sospirare prima di afferrarlo per un braccio, intimandogli con un borbottio di smetterla di fare l’idiota e di accompagnarlo verso il Ministero, giacché voleva parlargli.
“A proposito, mia sorella ieri era incredibilmente di buon umore quando sono tornato a casa… credo che abbia visto Neit, e mia madre aveva l’aira di chi la sa lunga, ma non mi ha detto nulla. Tu ne sai qualcosa?”
“No, non ne so nulla, ma ora che me l’hai detto provvederò a ficcanasare in giro, non temere.”
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
Lo so, non ci credete. Non ci credo neanche io. Sto aggiornando prima delle 23, ebbene sì.
Ah, ho anche fatto dare una smossa a quei testoni dolciosi di Caroline e Neit *.* Chi saranno i prossimi? Elizabeth e Phobos, ovviamente.
Ci sentiamo la prossima settimana, buona serata!
Signorina Granger

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
“Neit? Vieni qui.”
Il ragazzino, appollaiato vicino ad una finestra del salotto, quasi sobbalzò nel sentirsi chiamare dalla voce profonda del nonno, sempre pacata ma velata da una leggera perentorietà che rendeva chiunque succube delle volontà del suo proprietario.

 
Neit, che fino a quel momento aveva osservato malinconico i fratelli giocare in guardino con sua nonna, si alzò ubbidientemente e raggiunse il nonno paterno con lieve timore, lanciandogli un’occhiata dubbiosa mentre il Ministro accennava alla scacchiera che aveva davanti:
“Sai giocare?”
“No, papà non ha mai tempo per insegnarmi, e la mamma non sa giocare.”
 
“Bene, direi che è il momento di rimediare. Ho insegnato io a tuo padre, dopotutto. Siediti.”
George aveva appena finito di parlare quando un piccolo pouf apparve davanti al tavolino dove giaceva una meravigliosa scacchiera con pezzi di giada, e Neit prese posto guardandola affascinato, carezzando i pezzi di cui conosceva solo i nomi con le iridi chiare.
 
“Sai come si muovono?”
“In teoria sì, ho letto un libro qualche tempo fa. Ma non l’ho mai fatto.”

“Allora inizio io, vediamo le aperture. Ma sei un ragazzino sveglio, sono sicuro che imparerai in fretta. E probabilmente diventerai più bravo di tuo padre, Neit.”
Il ragazzino annuì e abbozzò un sorriso, lieto di aver ricevuto un complimento da suo nonno prima di guardarlo muovere un alfiere bianco.
 
Era raro che un adulto gli dedicasse del tempo, e l’ammirazione che provava per il nonno era pari solo alla soggezione che George Cavendish gli incuteva, complice il modo in cui vedeva suo padre rapportarglisi da che ne aveva memoria.
 
“Nonno?”
“Sì?”
“Perchè tu e mio padre andate poco d’accordo?”
“Te lo dirò quando sarai grande, Neit.”
 
Il ragazzino si sentiva ormai saturo di quella risposta, usata dagli adulti della sua famiglia come carta vincente ogni qualvolta in cui veniva presentata loro una domanda scomoda, ma di fronte al cipiglio serio dell’uomo più potente della comunità magica inglese non osò obbiettare, annuendo con obbedienza prima di muovere un pezzo con titubanza.
Ci avrebbe messo qualche anno, ma un giorno sarebbe riuscito a vincere quasi ogni partita contro suo nonno.
 
*
 
“C’è qualcosa che devi dirmi?”
“Come?”
 
Neit si stava allacciando distrattamente la cravatta, gli occhi fissi sulla scacchiera di giada appoggiata sullo scrittoio che conservava come una reliquia, quando volse lo sguardo sulla sorella: Clio sedeva sul bordo del letto del gemello e lo guardava con un sorriso sulle labbra, visibilmente divertita quasi come sapesse qualcosa che lui ignorava.
 
“Ti ho chiesto se devi dirmi qualcosa. Ti vedo un po’ distratto da un paio di giorni, sai?”
“Non penso che “distratto” possa considerarsi un termine adatto per definirmi, Clio.”
 
“Di norma no, ma di recente… E’ successo qualcosa con Caroline?”
Gli stava passando la giacca blu della divisa quando lo vide esitare per una frazione di secondo, e l’ex Tassorosso dovette trattenersi dal ridacchiare quando il gemello scosse il capo, serio in volto:
 
“Perché tutte queste domande?”
“Che vuoi farci, sono solo una povera fanciulla annoiata. Buon lavoro, fratellino.”
“Grazie. Tu continuerai le tue… mh, ricerche? Stai attenta, con Saint-Clair. »
 
“Non penso voglia rinchiudermi in un baule, tranquillo. Anzi, è più alto il rischio che mi ci chiuda dentro da sola, fidati.”
 
Neit aggrottò la fronte, poco convinto nonostante la veridicità dell’immagine propostagli dalla sorella, quando Egan fece il suo ingresso con un largo sorriso sulle labbra e già vestito di tutto punto:
“Buongiorno… Di cosa proferite?”
“Mh, nulla, volevo solo chiedere a Neit come stesse. Vai a trovare la nonna, oggi?”
“Sì, vuoi venire?”
 
“Mi ha promesso l’accesso alla casa di Londra… sai, ne approfitto per scrivere un po’.”
Clio sorriso amabilmente al fratello minore ignorando al contempo l’occhiata di sbieco che Neit le rivolse – forse suggerendole di informare anche il fratello del tempo che, ultimamente, trascorreva in compagnia di Riocard – prima di borbottare di dover andare al Ministero.
Era appena uscito dalla stanza assorto nei suoi pensieri quando Egan, ridacchiando, sedette accanto alla sorella con un sorrisetto:
 
“Lo ha ammesso?”
“Di Carol? Merlino, no. Non sa che Carol mi ha detto tutto e che lo sappiamo entrambi… lo talloneremo per un po’, poi ammetteremo la verità. Dici che siamo cattivi fratelli?”
“No, solo fratelli normali.”


*
 
 
Dopo essere stato convocato con urgenza dal Preside, Rodulphus aveva abbandonato di malavoglia il suo allenamento con la squadra di Grifondoro e si era affrettato a raggiungere l’ufficio con la divisa scarlatta ancora addosso.
 
Chiedendosi che cosa potesse volere il vecchio da lui, il ragazzo di 17 anni aveva recitato la parola d’ordine al Gargoyle e poi si era affrettato a salire la scala a chiocciola di pietra, bussando con impazienza prima di entrare.
 
“Voleva vedermi, Preside?”
 
Il giovane mago aprì la porta con una buona dose di scetticismo, cercando di ricordare se avesse fatto qualcosa di male, ma quel sentimento svanì quando si rese conto che qualcuno era arrivato prima di lui: il Preside non era solo, ma seduti davanti alla sua scrivania c’erano i suoi fratelli minori.
 
Amethyst aveva il viso nascosto tra le mani e singhiozzava, mentre Theo, dandogli le spalle, sembrava immobile e a capo chino.
 
“Va… va tutto bene?”
Gli occhi azzurri del ragazzo saettarono dai fratelli al Preside, improvvisamente preoccupato mentre la porta si chiudeva alle sue spalle. L’anziano mago, seduto con le mani giunte e appoggiate alla scrivania, gli fece cenno di prendere posto sulla terza sedia con un cenno, serio in volto e con l’aria affranta mentre passava u fazzoletto ad Amethyst.
 
“Signor Saint-Clair, l’ho già detto ai suoi fratelli. Mi è arrivato un gufo da Londra poco fa, da sua zia.”
“Sta bene, vero?”
Rodulphus si affrettò a sedersi e, col cuore in gola, spalancò gli occhi prima di lanciare una rapida occhiata al fratello, che però, non si mosse e continuò a tenere gli occhi fissi sulle proprie ginocchia.
“Sì, sua zia sta benissimo. Riguarda i suoi genitori. Come saprà stavano tornando a Londra, ma sembra che ci sia stato un… incidente di percorso. La loro carrozza era guasta e si è staccata dagli altri uscendo dai binari. Mi dispiace, Signor Saint-Clair.”
 
Rodulphus non proferì parola per alcuni istanti, cercando di elaborare ciò che aveva appena udito prima di alzarsi, ringraziare il Preside con un mormorio e ordinare ai fratelli di seguirlo.
Prese Amethyst per mano e la condusse fuori dalla stanza senza aver bisogno di dire nulla: i tre si diressero in silenzio verso la Sala Comune di Grifondoro, dove Amethyst li seguì in lacrime. Nemmeno la Signora Grassa obbiettò per la presenza di una Tassorosso vedendo la giovane in quello stato, e il primogenito passò le ore seguenti ad abbracciare la ragazza su un divano mentre Theo studiava le fiamme in silenzio, seduto su una poltrona sfondata. Nessun Grifondoro rivolse loro la parola, limitandosi a guardare i discendenti della famiglia magica più ricca del Paese con curiosità.
Il giorno seguente, quando la Gazzetta del Profeta avrebbe riportato la tragica dipartita dei loro genitori in prima pagine, tutti avrebbero capito.
 
“Che cosa succederà adesso?”
 
Il mormorio del più giovane quasi sorprese Rod, che non lo sentiva parlare da ore, ma alzò comunque lo sguardo sul fratello e si ritrovò i suoi occhi azzurri puntati addosso mentre accarezzava distrattamente i capelli di Amethyst, che ormai non aveva quasi più lacrime da versare.
 
“Non lo so, Theo. Ma andrà tutto bene, sono sicuro che la zia penserà a noi. E io sono già maggiorenne, tra qualche mese mi diplomo… penserò io a voi. Ve lo prometto.”
 
Theseus non rispose, limitandosi ad annuire prima di riprendere a fissare le fiamme in silenzio.
Ci sarebbero voluti più di due giorni affinché qualcuno lo sentisse parlare di nuovo. E sarebbero passati anni prima di riuscire a nominare i suoi genitori ancora una volta.
 
 
 
“Theo? Mi stai ascoltando?”
Theseus alzò lo sguardo dalla foto che teneva in mano, in piedi davanti alla sua scrivania, alla moglie in piedi sulla soglia della stanza.
 
“Scusami cara, pensavo ad altro. Dicevi?”
“Thomas è al lavoro, Lizzy deve ancora scendere… Tu ti senti bene?”
“Benissimo.”
 
Il Ministro appoggiò la fotografia che lo ritraeva il giorno del Diploma insieme ai fratelli e a Gwendoline, con l’assenza dei genitori impossibile da dimenticare o da non notare, di nuovo al suo posto. Gli occhi azzurri di Astrid saettarono sulla foto mentre si avvicinava al marito, abbozzando uno dei suoi rari sorrisi mentre gli sistemava il colletto della camicia:
 
“Mi fa piacere sentirlo. Vuoi parlare con Lizzy a proposito… dei giornali?”
“Meglio se lo fai tu… sei una donna, forse ti ascolterà di più. Io andrò ad uccidere Ambrose.”
“Non essere severo, è il suo lavoro, e gli vuoi bene.”
“Allora mi limiterò a cruciarlo. Buona giornata Astrid.”
La donna alzò gli occhi al cielo, ma sorrise quando il marito le diede un bacio su una guancia.
La strega esitò, gli occhi fissi sulla foto, ma quando Theseus stava per uscire dallo studio si voltò, chiamandolo di nuovo:
 
“Sarebbero fieri di te tanto lo sarebbero stati di tuo fratello, lo sai vero?”
“Non lo so. Io sono solo la brutta copia. Ci vediamo stasera.”


“Non dire così…”  La donna fece per muovere un passo nella direzione del marito, ma Theseus non gliene diede l’occasione, uscendo rapidamente senza voltarsi e lasciandola sola.
 
*
 
“C’è qualcosa che devi dirmi, caro? Conosco quella faccia, e anche quel sorrisetto. Li hai presi da me.”
“Mi conosci troppo bene, nonna. Non riesco mai a nasconderti nulla.”
 
Egan sorrise mentre guardava la nonna paterna annaffiare le rose – che con l’aiuto di un po’ di magia stavano fiorendo di nuovo – nell’enorme serra fatta di vetro che costeggiava la casa fatta di pietra di Gwendoline nel Derbyshire, a detta della donna il luogo che preferiva al mondo.
 
“Allora, di che si tratta? Cosa hai combinato? Riguarda una delle mie nipoti dai lunghi capelli e grandi occhi azzurri?”
La donna si voltò verso il ragazzo sfoderando un sorrisetto mellifluo che Egan non solo conosceva bene, ma che lo costrinse a distogliere lo sguardo rapidamente:
“Come? No! Nonna, perché me lo domandi?”
“Guarda che li leggo, i giornali! E vi ho visti, alla gara di polo. Sono anziana, ma il mio cervello funziona benissimo, caro mio.”
 
Il giovane alzò gli occhi al cielo mentre Gwendoline, al contrario, sembrava gongolare più che mai:
 
“Sì, li ho letti anche io… ma non c’è niente tra me ed Elizabeth-Rose, credimi. No, a dire il vero riguarda Neit.”
“Neit? Che succede a tuo fratello?”
 
Felice di aver spostato la conversazione sul fratello maggiore, il ragazzo approfittò della curiosità della nonna per sorridere ammiccante, gli occhi chiari luccicanti di divertimento:
“Forse siamo finalmente riusciti a sistemarlo!”
“E con chi?! Anzi, no, non voglio saperlo, me lo dirà lui quando se la sentirà. Quanto a te, caro mio, non cercare di fregarmi. Hai ben 25 anni, quando pensi di mettere la testa a posto e trovarti una ragazza come si deve?!”
“Nonna, ti prego, non cominciare a dirmi che alla mia età stavi per fidanzarti con il nonno, per favore… Erano altri tempi, quelli!”
 
L’ex Grifondoro capì di aver scelto le parole sbagliate quando vide la donna irrigidirsi e voltarsi lentamente verso di lui, gli occhi ridotti a due fessure e le cesoie più minacciose che mai:
“Stai dicendo che tua nonna è decrepita, per caso?”
“N-no, non oserei mai, sei una nonna giovane, che dici!”
“Sarà meglio per te, caro mio. E sappi che non mi puoi distrarre palando dei tuoi fratelli. So che dei giornali non bisogna sempre fidarsi… ma io del mio istinto mi fido eccome, e so cosa suggerisce. Insomma, ti sono sempre piaciute le belle ragazze, ed penso che neanche tuo padre possa negare che Elizabeth lo sia.”
 
“Certo nonna, ma è… complicato.”
Contro ogni sua aspettativa questa volta la nonna gli rivolse un sorriso, sfiorandogli il braccio con affetto con la mano guantata:
“Lo so, caro. Ma pensi che non lo fosse, quando ho sposato tuo nonno? Niente è impossibile.”
 
“Se lo dici tu… hai idea di chi le avesse bruciate, comunque? Continuo ad essere fortemente contrario al fatto che tu passi molto tempo qui da sola, nonna.”
“Non è successo nulla, Egan. Solo uno scherzo di cattivo gusto, niente di più. Ora accompagnami, prendiamo un thè.”
 
*
 
 
Ambrose Bouchard-Saint-Clair aveva fatto colazione, era arrivato in redazione in perfetto orario e aveva cominciato una normalissima mattinata lavorativa seduto alla scrivania e con la sua fidata macchina da scrivere davanti a sé.
Stava giusto sistemando un articolo sul campionato di Quidditch quando la pace era andata in frantumi: era bastato un secondo. Una sola, singola voce femminile che aveva udito chiedere di lui alla reception.
 
“Miss Saint-Clair, non può entrare senza permesso!”
“Farò in fretta, devo solo trovare uno dei caporedattori e lanciargli contro una maledizione.”
 
Ambrose si era sentito raggelare, ma non era stato in grado di fare o dire nulla: aveva atteso il suo destino immobile sulla sedia, pregando in un miracolo e che la cugina non riuscisse ad entrare.
Disgraziatamente però, Elizabeth otteneva sempre quello che voleva.
 
La strega non giocava mai la carta di essere la figlia del Ministro, ma quel giorno si vide costretta a farlo: un attimo dopo l’ex Serpeverde spalancò la porta di vetro dell’ufficio dei redattori e fece saettare lo sguardo sulle scrivanie cercando traccia del cugino.
 
“Ambrose, dove diavolo sei?!”
Impeccabile nel suo cappotto blu notte con cappellino e guanti abbinati, Elizabeth-Rose apparve ai suoi occhi più minacciosa che mai.
 
“L-Lizzy, lascia che ti spieghi, non è stata una mia…”
“BRUTTO AVVINCINO CHE NON SEI ALTRO, COME TI PERMETTI DI SCRIVERE SULLA MIA VITA PRIVATA?!”
 
Ambrose si alzò scattando come una molla e, correndo verso il bagno per mettersi al riparo, implorò perdono spiegando alla cugina che era stato costretto e che non doveva prendersela con lui. I suoi colleghi, intanto, assistevano ammutoliti – alcuni nascondendosi dietro la scrivania quando la strega sfoderò la bacchetta.
“POTEVI ALMENO AVVISARMI, MIO PADRE STAVA PER AVERE UN INFARTO!”
 
Fu con enorme sollievo che Ambrose si chiuse nel bagno degli uomini, certo che la cugina non avrebbe mai osato entrare lì dentro, ma la sentì comunque bussare alla porta con insistenza, intimandogli di uscire e di fare l’uomo.
“Non puoi stare in bagno per sempre, e io non ho niente da fare, quindi aspetterò qui.”
La strega incrociò le braccia al petto, decisa a non schiodarsi da lì, mentre Ambrose sospirava e malediceva mentalmente il suo capo. Cosa dovesse avergli fatto per farsi detestare a tal punto, non ne aveva idea.  
 
Per fortuna Egan Cavendish non aveva reagito male come sua cugina, aveva quasi temuto di finire avvelenato da una Burrobirra al suo pub, la sera prima.
 
“Si può sapere cosa sta facendo qui, signorina?”
Sentendosi chiamare – da una voce pregna di cocente irritazione – Elizabeth si era voltata, lanciando un’occhiata puramente annoiata all’uomo che aveva davanti e che riconobbe immediatamente come direttore della Gazzetta:
“Oh, bene, lei è l’invertebrato.”
“Come prego?!”
“Sì, l’invertebrato per cui quell’idiota adorabile di mio cugino lavora. Sono Elizabeth-Rose Saint-Clair, sa, quella che ha messo in prima pagina l’altro giorno per vendere copie a scapito della sua vita privata.”
Fu con un adorabile sorriso che la giovane allungò una mano guantata all’uomo, che la guardò con gli occhi fuori dalle orbite senza stringerla, deglutendo.
 
“Che cosa ci fa qui, Signorina?”
“Sono venuta a dire a mio cugino e a lei che se dovessi vedere altre schifezze sul mio conto la farò mandare personalmente a casa. Mio padre è una persona adorabile, ma non mi è parso molto contento, e sono sicura che non esiterebbe a fare ciò che la sua adorata unica figlia dovesse chiedergli per difendersi la reputazione.”
 
Il sorriso di Elizabeth non vacillò mentre, dal bagno, Ambrose ascoltava ogni parola premendosi la mano sulle labbra, cercando a fatica di soffocare le risate.
Sua cugina era appena diventata il suo più grande idolo.
 
*
 
Edward teneva le mani sprofondate nelle tasche del cappotto, il cappello di feltro in testa e gli occhi fissi sulla lapide che riportava il nome di suo padre.
George Wilfred Cavendish III
 
“Abbiamo un piccolo problema.”
“Ossia?”
“Mia madre passa molto tempo fuori casa, ultimante. Il problema è che quando non c’è ci va suo figlio.”
 
“E perché?”
“Mia madre lo adora, penso che le ricordi mio zio. Ma di certo finchè c’è il ragazzo noi non possiamo andare a prendere ciò che ci serve.”
“Di che ti preoccupi? Solo uno di noi può prenderlo. Neanche tua madre può, non è una Cavendish.”
 
Robert aggrottò la fronte mentre sistemava una corona di fiori sulla lapide dello zio, e fu allora che il cugino scosse la testa, parlando a denti stretti:
“Clio è spesso lì. Non vorrei che avesse un debole per suo figlio. Se lo trovano, lei può prenderlo.”
 
“Bene, questo è un problema. Dì a tua figlia di non andare più da tua madre se lei non c’è. Buffo, no? Cerchiamo di farlo sposare con mia figlia e poi viene fuori che forse è la tua ad avere un debole per lui.”
Robert ridacchiò, ma Edward gli rivolse un’occhiataccia – come a volergli suggerire che non ci trovava nulla di divertente – prima di lanciare una rapida occhiata alla tomba del padre e spostarsi verso destra, raggiungendo quella dello zio paterno.
 
“A proposito. Sai nulla di Neit e Caroline? Estelle dice che passano molto tempo insieme, e Clio è strana a riguardo.”
“Penelope fa un sacco di commenti e sorrisetti da qualche tempo, ma è una pettegola, non farei grande affidamento su di lei.”
 
Robert si strinse nelle spalle mentre scrutava la tomba del padre, morto diversi anni prima di George nonostante avesse qualche anno di meno.
 
“Ti manca?”
“Chi, mio padre? A volte, ma non mi amava molto, dopotutto. Amava più Rodulphus.”
“Non penso fosse così. Solo, si rifiutava di vedere, come molti altri.”
 
Robert gli diede una leggera pacca sulla spalla, e il cugino annuì abbozzandogli un sorriso grato.
“Neanche mio padre era perfetto, anzi, era un grandissimo stronzo, ad essere onesti. A volte però mi manca, devo dire.”


Il maggiore si strinse nelle spalle e il cugino rise, annuendo prima di lanciare un’ultima occhiata alla lapide dello zio.
 
“Chissà cosa direbbero di noi adesso.”
“Non lo so, e neanche voglio saperlo. Forza, andiamo al Ministero, altrimenti sua altezza reale Theseus Saint-Clair ci farà la predica. A proposito, ho riso per ore leggendo il giornale, l’altro giorno. Gli sarà venuto un colpo, al nostro Ministro.”
“Perché, a me no?! Mi manca solo che un altro dei miei figli si prenda una cotta per una Saint-Clair! Chiaramente la colpa è di mia madre. Che inguaribile pettegola…”
 
*
 
“Mamma, volevo dirti una cosa.”
“Dimmi tutto, cara.”
Penelope sfoderò un enorme sorriso, febbricitante mentre Caroline, seduta accanto a lei, si torturava le mani a capo chino, leggermente rossa in volto.
 
“Ecco, mi imbarazza un po’, ma sei mia madre… Vedi, io e Neit…”
“LO SAPEVO! Aspettavo questo momento da giorni, settimane, mesi! Sono molto felice per te, piccola mia.”
 
Caroline spalancò gli occhi chiari – era stato più breve e semplice del previsto – prima di ritrovarsi stretta dalla morsa della donna, che sorrideva allegra asserendo che ormai quella incompetente della sua migliore amica avrebbe dovuto convincersi delle sue parole.
“Ma… mamma… lo sapevi?!”
 
“Tesoro, lo sapevano tutti, a parte tuo padre, Ezra, Neit… insomma, a parte gli uomini, ma loro sono una causa persa. Lo sanno anche gli Elfi Domestici e i quadri, sai.”
“Ma come?!”
“Tesoro, sei proprio tenera, ma tua madre la vede e la sa lunga. Dobbiamo festeggiare, questa sera tacchino ripieno!”
 
Caroline guardò stralunata la madre alzarsi e correre in cucina, ma infine sorrise, divertita e sollevata, mentre Ezra scendeva le scale:
“Che cosa succede? Perché è così felice? … Merlino, non avrà ucciso nostro padre, vero?”
“No Ezra, le ho solo detto di… beh, una cosa su me e Neit.”
 
“Oh, lo so già, me l’ha detto l’altra sera. Beh, credo di essere felice per voi. Insomma, voglio bene a Neit, e tu sei la mia sorellina… Se proprio devo vederti con qualcuno, almeno sarà una persona che mi piace e che stimo. Meglio così, sì. Purtroppo però non posso minacciarlo, è di famiglia, questo è un problema…”
Ezra, accigliato e impegnato nel suo monologo, attraversò l’ingresso per andare al lavoro accarezzandosi il mento con aria pensierosa sotto gli occhi esterrefatti di Caroline, chiedendosi se davvero non lo avessero saputo tutti, tranne Neit stesso.
 
A preoccuparla di più, ovviamente, era la reazione di suo padre.
 
*
 
“Come sei carino.”
Alexis sorrise mentre teneva Thomas in braccio, il primo piccolo Saint-Clair arrivato in famiglia, anche se presto si sarebbero uniti a lui due cuginetti, visti e considerati gli stati avanzati della gravidanza sua e di quella di Amethyst, che attendeva felice ed emozionata l’arrivo del suo primo figlio.
 
Thomas la guardava con i suoi grandi occhi azzurri, e la bionda sfiorò con un sorriso la guancia paffuta del bambino di nove mesi prima di udire, alle sue spalle, la voce della cugina:
“Cosa stai facendo?!”
 
Alexis, in piedi nella cameretta del nipote, si voltò verso Astrid appena in tempo per vedere la ragazza sulla soglia della stanza.
“Stavo solo…”
Astrid però non la lasciò finire, raggiungendola in paio di falcate e prendendole il bambino dalle braccia con un’occhiata torva:
 
“Te l’ho già detto, non voglio che tu stia da sola col bambino, Alexis. E ora deve dormire.”
“Lo stavo solo tenendo in braccio!”
“Sono sua madre, e starà con chi deciderò io, Alexis.”
 
Alexis non rispose di fronte al tono gelido della cugina e la guardò mettere il bambino nel suo lettino di legno senza permettersi di contraddirla, lasciando che Astrid la portasse fuori dalla stanza in silenzio, sfiorandosi il pancione e pensando al bimbo che stava per nascere.
 
*
 
“Adesso starà benissimo zia, non preoccuparti. Tienila solo a dieta per un po’, è meglio.”
Fu con sorriso che Thomas restituì Cloud, la gatta bianca che teneva in braccio, ad Alexis, che prese la micia con un sorriso carico di sollievo:
 
“Grazie caro, ero molto preoccupata, stava male da alcuni giorni. Dico sempre a Riocard di non darle da mangiare tutto ciò che ha tra le mani, ma tuo cugino è più testardo di un mulo a volte.”
“Sì, ho una vaga idea a riguardo. Ti vuole molto bene, però.”
 
Thomas sorrise cordialmente alla zia, che annuì con un piccolo sorriso mentre sfiorava le orecchie della gatta con le dita:
“E io a lui, ovviamente. Ora, quanto devo darti? Non iniziare a dirmi che non serve, Thomas, non puoi fare sempre così.”
La donna lanciò un’occhiata eloquente al nipote, che sfoderò un sorriso di scuse prima di permettere alla zia di pagarlo. Alexis che, guardandolo con affetto, parlò con un sorriso:
 
“Tua madre è molto fortunata ad avere un figlio come te, Thomas.”
“Dico sempre che è merito dei miei genitori, che evidentemente mi hanno cresciuto bene.”

“Lo hanno fatto di certo. Adesso vado, fuori c’è Cherry e non voglio farla aspettare.”
“C’è Cherry?”
“Già.”  Alexis annuì e guardò, divertita, il nipote sistemarsi capelli e camice quasi senza pensarci:
 
“Beh, è un tesoro, non mi stupisce.”
“Che cosa?”
“Oh, nulla. Buona giornata Thomas caro.”
 
La donna si congedò con l’aria di chi la sa lunga, e Thomas la guardò domandandosi perché fosse così palese a tutta la famiglia mentre Colleen entrava nella stanza dopo aver salutato allegramente la zia:
 
“Ciao Thomas!”
“Buongiorno Colleen… Ophelia sta di nuovo male? Un altro falso allarme?”
 
Non lo avrebbe sorpreso, in effetti, vedere sua sorella pronta a trascinarla di nuovo da lui con l’inganno, anche se da qualche giorno era di pessimo umore e impegnata a maledire Ambrose e chiunque facesse commenti sarcastici su di lei e un certo Cavendish dai capelli ramati.
 
“No, in realtà sono venuta a salutarti. Ma ho portato Ophelia per non far pensare che fossi venuta a farti perdere tempo!”
Colleen mostrò la gabbietta della coniglietta bianca con un sorriso soddisfatto come se fosse fiera di sè, e il cugino la guardò con sincera perplessità, sorpreso più che mai:
 
“Colleen, la nostra famiglia ti sta influenzando terribilmente, lo sai vero?”
“Perché? Me l’ha data Cassy l’idea!”
Colleen sorrise allegra, e Thomas sospirò prima di farle cenno di sedersi su una delle due poltroncine:
“Ecco, appunto… Però sono felice di vederti, non fraintendermi.”
Thomas le sorrise con un che di adorante mentre sedeva accanto a lei, e la cugina annuì prima di mormorare che anche lei era felice di vederlo, lasciando che Thomas le sfiorasse una mano con delicatezza quasi senza rendersene conto.
 
*
 
 
“Cosa ci fai qui?”
“Dici sempre che il mercoledì esci dal lavoro senza la Metropolvere, dall’uscita per i visitatori per camminare fino a casa… Volevo salutarti. Come stai?”
Caroline gli sorrise con calore mentre Neit, ricambiando debolmente, le si avvicinava in pochi passi, facendole delicatamente il baciamano prima di abbracciarla:
 
“Adesso molto meglio.”
Caroline sorrise contro la sua spalla, prendendolo a braccetto quando il cugino sciolse l’abbraccio per incamminarsi insieme a lui in una Londra ormai avvolta nell’oscurità:
 
“Mia madre era molto felice, sai? E anche Ezra, per quanto gli è possibile, direi che l’ha presa bene. Mai quanto Clio, certo, ma me lo aspettavo…”
“Come? Clio? Clio… glielo hai detto?!”
 
L’Indicibile si fermò di colpo, costringendo la strega a fare altrettanto mentre Caroline lo guardava, confusa:
 
“Sì… perché? Ti dispiace?”
“No, non mi dispiace, solo che… Merlino, sono due inguaribili idioti.”
 
Neit si passò una mano sul viso scuotendo la testa, e quando la cugina gli domandò di chi stesse parlando rispose con un sospiro cupo, immaginando due persone di sua conoscenza impegnate a ridacchiare alle sue spalle:
 
“I miei fratelli, ovviamente.”
 
*
 
“Cosa ne pensi?”
“Di che cosa?”
“Dei nostri ragazzi, ovviamente.”
 
Estelle, seduta sul letto, guardò il marito appena rientrato a casa dal Ministero sfilarsi la cravatta scura con uno sbuffo, scuotendo il capo:
“Non è la prima volta in cui Egan ci dà grattacapi, quando esordì di voler aprire un pub nessuno di noi ne era felice, ti ricordo.”
“Sì, ma questo è diverso. Si tratta di lui e… di una Saint-Clair.”
“Lo so. Ma Egan ha sempre avuto molte ragazze attorno, probabilmente gli passerà presto. Che mi dici di Clio?”
 
“Clio?”
“Sì, Clio. So che passa del tempo con suo figlio, a casa di mia madre.”


“Tesoro… Volevate che Caroline sposasse quel ragazzo per via della casa, no? Insomma, se Clio dovesse farlo per te e Robert andrebbe bene, no?”
Estelle parlò col tono più dolce di cui era capace, ma sobbalzò quando il marito si voltò di scatto e gettò la cravatta sul pavimento, furioso:
“Non che non andrebbe bene! Ti devo ricordare cosa mi ha fatto su padre? E’ colpa sua se mio padre mi detestava!”
“Lo so… lo so. Ma non è suo padre. Non è Rodulphus, Ed.”
“Non dire quel nome. Non lo sopporto.”
“D’accordo. D’accordo. Ma guarda il lato positivo, se anche… se anche fosse vero ciò che pensi.”


Estelle si alzò e, raggiunto il marito, gli prese il viso tra le mani per costringerlo a guardarla. Edward annuì piano, scuro in volto, e borbottò che la colpa era tutta di quella ficcanaso inguaribile di sua madre.
 
“Ci fosse una volta in cui quella donna non mette il naso dove non la riguarda… Me la figuro perfettamente a cercare di avvicinare i nostri figli con i suoi nipoti.”
 
*


 
“E così lo sapete, eh?”
“Sappiamo cosa?”
“Cosa dovremmo sapere, fratellone?”
 
Neit alzò gli occhi al cielo mentre Egan e Clio, seduti sul divano con dei libri in mano, sorridevano angelici di rimando, Winter e Herbst attorno a loro come sempre.
 
“Clio, so che Caroline te l’ha detto. E ovviamente tu lo avrai detto ad Egan.”
“Non sappiamo di cosa parli, noi non sappiamo nulla. Tu sai qualcosa, Clio?”
Non so di cosa parla, Egan.”
 
“Falla finita, Gwenddoleu ap Ceidio… Tu fai gli occhi dolci ad Elizabeth-Rose Saint-Clair. E a TE.”
 
Neit indicò perentorio la gemella, che sgranò gli occhi mentre Egan apriva la bocca, scandalizzato:
 
“A te piace Riocard Saint-Clair!”
 
«Non è vero !
« Che cosa vai dicendo?! E non chiamarmi così!”
 
Ignorando le sonore proteste dei fratelli, che si affrettarono a contestare le parole del Corvonero, Neit girò sui tacchi e si allontanò, un sorrisetto soddisfatto appena percettibile sulle labbra.
 
 
“Perché tutti pensino che mi piaccia Elizabeth-Rose?”
“Perché è ovvio, ma perché tutti pensando che a me piaccia Riocard?!”
 
“Un momento… ti piace LUI?”
 
Egan, realizzando improvvisamente le parole del fratello maggiore, si voltò verso la sorella e la guardò affrettarsi a scuotere il capo inorridito, cogliendo con allarmismo il lieve rossore sulle guance di Clio:
“No, no, assolutamente no!”
 
“Clio, vuoi uccidere tuo fratello? Non posso reggere questo colpo prima di andare al pub!”
 
*
 
“Lo zio non ti ha ancora acciuffato, vedo.”
“No, anche se sospetto che a breve ci sarà una grossa taglia per la mia testa affissa in tutto il Ministero.”
Ambrose parlò con un sospiro cupo mentre studiava il proprio bicchiere di whiskey ormai vuoto, ma Riocard ridacchiò divertito e annuì:
 
“Probabile, ma ti assicuro che se e quando diventerò Ministro provvederò a revocarla. Non posso fare questo al mio cuginetto preferito!”
“Grazie tante, sono commosso da tanta bontà. A proposito, a quando il passaggio di testimone?”
“Lo zio vuole dimettersi alla fine dell’anno, quindi ho ancora un mese scarso di libertà.”
 
“Hai pensato alla possibilità di rinunciare, vero?” 
“Certo che ci ho pensato, ma poi sarebbe sulla mia testa, la taglia. Mio padre si rivolterebbe nella tomba, e tutta la famiglia mi odierebbe se restituissi la carica ai Cavendish. Infondo era ciò che voleva George, che la carica andasse a mio padre, quindi forse è giusto che lo segua io… Tu ti proponi, per caso?”
Riocard roteò gli occhi mentre il cugino sorridendo, scuoteva la testa:
“No, grazie, mi limiterò a scrivere del Ministro della Magia più amato dalla fauna femminile magica di tutti i tempi, anche se già zio Theo ha stabilito un record.”
 
“Per favore, è imbarazzante. A proposito, hai idea del perché Egan Cavendish mi stia guardando così male?”
“Intendo peggio del solito? In effetti non saprei… cosa gli hai fatto?”
“Io? Niente! Già mi odiano tutti in quella famiglia, secondo te vado a mettere il dito nella piaga?”
 
Ambrose fece cenno al cugino di tacere visto che il suddetto barista si stava avvicinando, il grembiule color bronzo addosso e un’espressione poco allegra sul volto mentre domandava ai due, borbottando, se poteva portargli qualcos’altro.
 
“Due Whiskey, grazie.”
Ambrose sorrise gentilmente ed Egan annuì, scoccando un’occhiata torva a Riocard prima di girare sui tacchi e allontanarsi.
 
“Davvero, cosa gli hai fatto?!”
“Niente ti dico! Sei tu che hai scritto di lui e Lizzy, dovrebbe guardare male te, non me! Senza offesa.”
 
“Nessuna offesa, Lizzy è già venuta a dichiararmi personalmente guerra, tranquillo… Potrebbe aver a che fare con sua sorella?”
“Come se le avessi mai torto un solo capello. No, ci pensa già da sola, a rischiare la vita.”
 
*
 
“Oh, ma che tempismo, caro cugino. Hai perso il tuo caro amico rosso di capelli solo per pochi minuti.”
 
Ezra sbuffò mentre sedeva al bancone, appoggiandoci sopra la valigetta prima di borbottare di non essere dell’umore per gli scherzi, quella sera.
“Ah, vero, perché di solito sei un simpaticone… Ahi! Manesco.”
Egan gli lanciò un’occhiata offesa quando il cugino lo colpì sul braccio, asserendo che quella sera non gli avrebbe offerto un bel niente.
“Poco male, portami un whiskey. Quanto viene?”
“8 galeoni.”
“Cosa? Così tanto? Sono tuo cugino!”
“Appunto, di norma verrebbe 6, per te faccio 8.”
 
“Come mai così spilorcio? Problemi con la fidanzatina? Chi l’avrebbe detto, il mio cuginetto Don Giovanni che si invaghisce per la figlia dell’uomo più odiato da suo padre.”
Ezra ridacchiò ed Egan, fulminandolo con lo sguardo, sibilò che quella sera, solo per lui, il Whiskey veniva 10 Galeoni a bicchiere.
 
 
“Battutine a parte… Sii sincero. Mi rendo conto che sia molto attraente, ma… a parte questo, davvero ti piace? Non lo dico per i giornali, so benissimo che ciò che viene scritto va preso alla leggera. Lo dico perché anche se sei un imbecille, sei uno dei miei migliori amici.”
 
“Ho sempre saputo che questo momento sarebbe giunto. Anche io ti voglio bene, zuccone!”
Egan si sporse sul bancone per abbracciarlo e fingere di baciarlo, ignorando le sonore lamentele del cugino e il suo ribadire quanto idiota fosse.
 
“Non me lo scordo che viti accuratamente le mie domande, sai? Fa nulla, anche così mi dai una risposta.”
 
*
 
“Farai finta di nulla ancora per molto?”
“Non so di cosa parli, Rod.”
“Certo che lo sia, non trattarmi da stupido. Non sono più un ragazzino, zia!”
 
Gwendoline, seduta sul divano con un vestito rosso bordeaux addosso e una tazza stretta tra le mani curate, lanciò un’occhiata torva al nipote mentre Rodulphus, il cappotto ancora addosso, la guardava stringendo lo schienale del divano di fronte a quello che lei aveva occupato:
“Questo lo so, Rod.”
“E allora non trattarmi come se lo fossi. Sono passati… quindici anni. E’ inutile negare, lo so io e lo sai anche tu!”
 
“Pensi che la morte dei tuoi genitori non abbia fatto soffrire anche me, Rod? Sai quanto amassi tuo padre, per anni è stato la persona più importante per me, prima che nascesse Edward. Avrei fatto qualsiasi cosa per lui.”
 
Rodulphus fece il giro del divano e sedette accanto alla zia, guardandola dritto negli occhi e con una particolare determinazione nello sguardo:
 
“E allora fallo, zia.”
 
 
Seduta sul divano, Gwendoline chiacchierava con Amethyst sfiorandosi l’orologio d’oro che portava al polso, con Clara che studiava la libreria e Cassiopea che giocava con i levrieri irlandesi dal lungo pelo grigio sul tappeto.
 
“Zia, di chi sono tutti questi libri? Tuoi?”
“Erano di mio fratello, leggeva molto. E parlava quattro lingue, quindi potresti trovare un po’ di tutto, su quegli scaffali. Passavamo le estati qui, con i miei genitori, questa casa era sua prima che la lasciasse a me nel testamento.”
 
“Non l’ha lasciata allo zio Rod? Perché?”
Clara si voltò verso la zia e la guardò con sincera perplessità, ma Gwendoline non si scompose e si limitò a stringersi nelle spalle con un debole sorriso:
“Forse voleva farmi un ultimo regalo, sapeva quanto ci tenessi.”
“Tuo nonno era molto affezionato alla zia, tesoro. Era meraviglioso, rimpiango ogni giorno che non abbiate potuto conoscerlo.”


Amethyst parlò sfoderando un debole sorriso malinconico, e la zia allungò una mano per appoggiarla sulla sua mentre Cassiopea, alzando lo sguardo, rivolgeva alle due un’occhiata dubbiosa:
 
“Come sono morti lui e la nonna? Nessuno ce ne parla mai.”
“Un brutto incidente in treno, io e gli zii andavamo ancora a scuola all’ora. Per fortuna c’è stata la zia Gwen a darci una mano. Ci siamo ritrovati giovanissimi e pieni di denaro, e senza di lei e lo zio George non avremmo sicuramente saputo come gestirlo.”
 
La donna rivolse un sorriso colmo di gratitudine alla zia, che però liquidò il discorso con un gesto della mano e asserì che chiunque avrebbe fatto lo stesso, al suo posto.
“La nostra famiglia è ricchissima da generazioni e generazioni, e il denaro se mal amministrato può essere fonte di molti guai. E’ da qui che viene la rivalità tra noi e i Cavendish… noi avevamo il denaro, loro il potere. Entrambe cose che ognuno voleva dall’altro.”
 
*
 
“Cosa ci fa qui a quest’ora?! E’ impazzita, per caso?”
Egan stava chiudendo il Goblin Ubriaco quando si era voltato e si era trovato davanti una giovane strega avvolta in un mantello, guardandola con gli occhi fuori dalle orbite: era piuttosto tardi, per andare a fare una passeggiata a Diagon Alley.
“Non mi guardi in quel modo, sono dovuta uscire dalla finestra per poter venire senza Peter… Mio padre è un po’ apprensivo da quando mio zio… beh, lo sa.”
 
Elizabeth strinse le braccia al petto, esitando brevemente mentre distoglieva lo sguardo dal volto del ragazzo per qualche istante, dopodiché si riscosse e riprese a parlare con lo stesso tono pacato di poco prima:
 
“In ogni caso, sono venuta a chiederle una cosa. Mi sono già arrivate decine di gufi che mi chiedono di smentire o confermare ciò che è stato letto sulla Gazzetta del Profeta, ma non prenderanno mai sul serio le parole di una ragazza. Potrebbe smentire lei, per cortesia?”
“Smentire che ci sia qualcosa tra di noi?”
“Cos’altro, se no?”    Elizabeth lo guardò aggrottando la fronte, inarcando un sopracciglio con evidente scetticismo mentre l’ex Grifondoro, stringendosi nelle spalle, le si avvicinava guardandola quasi divertito:
 
“Se pensa che ci sia da smentire lo farò.”
“E perché non dovrebbe esserci?!”
Egan non rispose, ma sorrise e fece spallucce, parlando con nonchalance prima di superarla:
“Come vuole, Miss Elizabeth. Vada a casa adesso, è meglio. L’accompagnerei, ma penso che ci siano giornalisti appostati vicino a casa sua e penso che non sia il caso.”
 
“Perché non dovrebbe smentire?!”
“Ho detto che lo farò, Miss. Non sono sicuro che corrisponda al vero, ma lo farò. Non vogliamo che ai nostri padri venga un attacco di cuore, dopotutto. Buonanotte.”
 
Egan rivolse un cenno ad Herbst, che lo seguì trotterellando lungo la via principale di Diagon Alley ormai avvolta quasi completamente nell’oscurità. Elizabeth invece non si mosse per qualche istante, gli occhi fissi su di lui e più confusa che mai.
 
 
 
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
Ed è cospargendomi il capo di cenere che giungo con un giorno di ritardo con questo capitolo. Chiedo venia, ieri non sono riuscita a finirlo.
Detto questo spero che quantomeno lo abbiate gradito… Non ho domande per voi questa settimana, e anche se non so di preciso quanti capitoli manchino alla fine della storia penso che non ci vorrà ancora moltissimo.
Ci vediamo con la parte successiva 😊
Buona serata!
Signorina Granger

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
Alexis e Astrid passeggiavano nell’enorme giardino che circondava la residenza dove la minore delle due Silverstone viveva con marito e figli.
Thomas e Riocard, di quattro e tre anni, precedevano le madri di un paio di metri, camminando sulla stradina di ghiaia con i loro completini da piccoli gentiluomini scambiandosi sussurri e mormorii e indicando animaletti di passaggio, trattenendosi dall’inseguire lucertole e scoiattoli solo per via delle ammonizioni delle loro madri di non allontanarsi mentre costeggiavano il limitare del boschetto compreso dai confini della grande proprietà.
Era una bella giornata di maggio, il sole splendeva scaldando piacevolmente i loro volti, ma mentre Astrid camminava spingendo delicatamente il passeggino nero dove sonnecchiava la piccola Elizabeth, di appena un anno e mezzo, la cugina sembrava nervosa: Alexis, gli occhi celesti fissi sul figlio senza davvero vederlo, si rigirava distrattamente l’impugnatura del suo ombrellino parasole color crema e ricco di merletti tra le dita.
 
“Che cosa succede?”
A spezzare il silenzio che si era creato tra loro fu Astrid, che parlò senza guardarla e con lo stesso tono pacato, all’apparenza quasi disinteressato, che usava sempre. Con la differenza che Alexis, dopo essere cresciute insieme quasi come due sorelle, essendo entrambe figlie uniche, la conosceva meglio di chiunque altro e riuscì a cogliere l’appena percettibile nota d’impazienza nella voce della cugina.

 
“So benissimo che mi hai chiesto di fare una passeggiata per allontanarci da Rod e Theo… Di che si tratta?”
“E’ Rod. Vuole… vuole un altro figlio. Smania per avere una bambina.”
 
Alexis si ritrovò quasi senza volerlo a lanciare un’occhiata cupa, forse malinconica, al passeggino dove Elizabeth-Rose sonnecchiava. Thomas indicò quella che, secondo lui, era sicuramente la tana di un coniglio e corse a vedere insieme a Riocard, dando alla madre la possibilità di fermarsi per voltarsi verso la cugina e parlare in un sussurro irritato:
“E quindi?”
“E quindi non può succedere, come ben sai!”
“E tu diglielo. Dì che… che non vuoi un altro figlio, che ti basta Ric.”
 
Astrid non si scompose, osservando Thomas e Riocard cercare tracce del coniglietto scomparso mentre Alexis, sbuffando spazientita, sibilava qualcosa a denti stretti, gli occhi fissi sul volto della cugina:
“E pensi che mi ascolterà?! Sai quanto è testardo. Basta guardare come gioca con Lizzy e Cassy, non vuole altro che una bambina.”
Il tono della strega mutò e, per un attimo, la sua voce s’incrinò. Avrebbe voluto accontentarlo con tutta se stessa, anche perché l’idea di avere una bambina non le dispiaceva affatto.
Ma non poteva, semplicemente non poteva, per lei e per il suo piccolo  Riocard.
 
“Allora prendi un Medimago, pagalo. Fa’ passare un po’ di tempo, poi fatti visitare e fa’ in modo che Rod pensi che non puoi più avere figli dopo Ric per qualche… complicanza durante il parto. E’ un uomo, che vuoi che ne sappia.”
“Sai bene che non è uno stupido.”
“Certo che non lo è. Sei TU ad aver fatto le scelte che hai fatto, Alexis. E io non potrò tenderti la mano in eterno… Arriva per tutti il momento di pagare il peso delle proprie azioni.”
 Astrid liquidò il discorso con un gesto spazientito della mano e, chiamati a sé Riocard e Thomas, riprese a spingere il passeggino di Elizabeth con noncuranza.
Alexis invece esitò, lasciando che Thomas le passasse accanto pregando la madre di poter avere un coniglietto mentre Riocard, fermandosi accanto a lei, la guardava curioso:
 
“Che cos’hai, mamma?”
“Niente tesoro… Andiamo, e quanto torniamo a casa della zia facciamo merenda in giardino con Tommy, ok?”
La strega chinò lo sguardo sul figlio con un sorriso carico d’affetto e guardò il bel bambino annuire mentre gli accarezzava i riccioli color rame prima che Riocard corresse dietro al cugino, costringendola a seguirli con un sospiro tetro e chiedendosi se un giorno avrebbe riavuto il rapporto di un tempo con la sua unica cugina.
Anche se, probabilmente, era ormai perduto per sempre.
 
*
 
“Theo, buongiorno! Che cosa ti porta qui? Riocard è al Ministero, pensavo che lo sapessi.”


Alexis, scendendo la rampa di scale sfiorando con la mano sinistra il corrimano tirato a lucido e tenendosi, con la destra, un lembo del morbido vestito color lavanda che indossava, accolse l’uomo che l’attendeva in piedi nell’atrio con un sorriso benevolo.
“Buongiorno Alexis. In realtà, è con te che volevo parlare, se non ti è di disturbo.”
 
Theseus, un completo di tweed con tanto di panciotto addosso sotto al cappotto nero e un cappello in mano, non ricambiò il sorriso della cognata, guardandola serio in volto e con due leggere occhiaie ad oscurargli il bel volto dalla carnagione pallida.
“No, certo. Vieni, accomodati.”


La strega, per quanto inizialmente stupida, annuì e gli fece cenno di seguirla affrettandosi a sfoggiare un sorriso cortese, conducendolo verso il salotto prima di sedere, come sempre, sulla poltrona foderata accanto al caminetto acceso.
“Gradisci qualcosa?”
“No, grazie, non voglio disturbare. Volevo chiederti… una cosa riguardo Rod.”
Theseus prese posto accanto a lei, oltre al tavolino da caffè, e pronunciò il nome del fratello quasi con titubanza, gli occhi fissi su un punto indefinito del lussuoso tappeto ai suoi piedi.
Non ne parlava molto di frequente, tantomeno con la cognata, ma Alexis restava praticamente l’unica a cui potesse rivolgersi per avere la risposta che cercava.
 
“Ovvero?”
Alexis, le mani in grembo e seduta con la medesima raffinata compostezza di sempre, con la schiena dritta e la ginocchia unite, non battè ciglio e guardò il cognato in attesa, chiedendosi sinceramente che cosa volesse sapere da lei.
 
“Presumo che ricordi dell’ultimo breve viaggio che ha fatto, solo pochi giorni prima di.. beh, lo sai.”
“Ma certo, andò a Parigi per vedere il Ministro francese.”
“Precisamente. Ovviamente l’ho già contattato poche settimane dopo la sua morte, e non ho scoperto niente di particolare… un semplice incontro diplomatico, diciamo. Il punto è che Rod è stato a Parigi per un paio di giorni, se ben ricordi… e non ho idea di che cosa abbia fatto durante il suo ultimo giorno di permenza lì, ci ho pensato solo poco tempo fa. Ha pranzato con il Ministro e poi si è come dissolto nell’aria, non ho trovato niente. Ma Riocard ricorda di non averlo visto a casa per tutto il giorno, quindi tornò tardi, dico bene?”
“Presumo di sì, ma io quel giorno l’ho visto a malapena, a dire il vero. Tornò, mollò i bagagli e uscì di nuovo. Lo dissi anche agli Auror al tempo… non l’ho più visto, da quando è uscito da quella porta, e non mi disse granché, una volta tornato… era tardi, io e Ric avevamo già cenato e io stavo per salire.”
Alexis parlò senza scomporsi, gli occhi cerulei fissi sulle fiamme che ardevano nel grande camino di marmo mentre Theo, davanti a lei, annuiva con un lieve sospiro.
 
“Speravo che tu ne sapessi più di me.”
“Purtroppo no, non ho davvero avuto il tempo di chiedergli nulla del suo viaggio, mi dispiace. Amethyst non sa nulla? Tua zia? Hai provato con Gwendoline?”
“Certo, e nemmeno lei lo vide da prima di partire, come me e mia sorella. Beh, grazie Alexis, scusa per il disturbo… sarà meglio che me ne torni al Ministero adesso.”
 
Theseus si alzò e Alexis con lui, guardando il cognato con una nota di preoccupazione nella voce:
 
“Theo? Davvero vuoi dimetterti con il nuovo anno?”
“So per certo che Riocard è più che in grado di prendere il mio posto, altrimenti non lo farei… ho occupato la sua sedia per due anni, ma comincia… ad essere troppo.”
Il Ministro parlò senza guardarla in faccia, superandola con un cenno educato che la donna ricambiò prima di guardarlo andarsene. Attraverso la finestra lo vide uscire di casa, scendere i gradini del portico e salire nella lussuosa auto nera che lo aspettava sul piazzale coperto di ghiaia affiancato da un paio di Auror in divisa scura.
 
Rimasta sola, Alexis sospirò, le braccia strette al petto: la carica di Ministro non aveva giovato per nulla al defunto marito. Sperava solo che il destino di suo figlio potesse essere il più diverso possibile.
 
*
 
 
Riocard stava in piedi, le mani nelle tasche dei pantaloni del completo di tweed blu scuro che indossava, mentre faceva vagare lo sguardo sul grande ufficio circolare dello zio. Ufficio che fino a pochi anni prima era stato di suo padre e che presto sarebbe stato suo, anche se non era poi così certo di volerlo.
Aveva solo 14 anni quando suo padre era diventato Ministro, e Rodulphus ce lo aveva portato più di una volta, in quella stanza, chiedendogli se fosse fiero di suo padre e di ciò che un giorno anche lui sarebbe diventato.
Ovviamente il ragazzino che era stato aveva sempre risposto affermativamente e con un sorriso, guadagnandosi un buffetto affettuoso dal padre, non sapendo che, col tempo, quel ruolo e tutto ciò che l’uomo si portava dentro da anni avrebbero finito per cambiarlo.
 
Riocard aveva amato immensamente suo padre, ma a volte si chiedeva se l’uomo che aveva amato era anche lo stesso che era morto due anni prima.
Non facevano che dirgli che era come lui e che avrebbe dovuto esserlo, ma non era poi così certo di voler seguire le sue orme in tutto e per tutto.
 
Il giovane fece lentamente il giro della robusta e antica scrivania carezzandone la superficie con lo sguardo, sfiorando il ripiano lucido e levigato molto tempo prima con due dita prima di accarezzare le grossa poltrona di pelle.
Ne strinse lo schienale mentre il suo sguardo scivolava sulle fotografie che Theseus aveva posto, incorniciate, sul mobile: una lo raffigurava, giovanissimo e affascinante, probabilmente appena diplomato ad Hogwarts, con sua zia il giorno delle nozze. C’era una fotografia che ritraeva Thomas ed Elizabeth sorridenti e abbracciati e, infine, una terza che vedeva il Ministro accanto a suo padre: Rodulphus teneva le braccia attorno ai fratelli minori, gli occhi azzurri sorridenti e lo sguardo fiero fissi sull’obbiettivo.
Lentamente, Riocard scostò la sedia e sedette con un debole sospiro, chiedendosi che razza di Ministro avrebbe mai potuto essere, ma il flusso dei suoi pensieri venne interrotto bruscamente quando udì bussare delicatamente alla porta.
L’ex Grifondoro alzò lo sguardo di scatto e deglutì, conscio che quello non era il suo ufficio, anche se tutti lo trattavano con estremo riguardo e di certo nessuno avrebbe osato rimproverarlo, se non suo zio, prima di mormorare un invito ad entrare.
Si era appena alzato in piedi quando, dalla porta, spuntò il volto sorridente e noto di una delle sue cugine, facendogli trarre un sospiro di sollievo:
 
“Oh, ciao Clara.”
“Ciao Ric… ti disturbo? Ti eri scordato, per caso? E’ stato un inferno arrivare qui, davvero, ho dovuto giurare a chiunque che mi stavi aspettando per una questione urgente di famiglia.”
La giovane strega si chiuse la porta alle spalle con uno sbuffo e il cugino, sforzandosi di sorriderle, scosse il capo mentre si allontanava dalla scrivania:
 
“No, certo che no… ti avevo assicurato che lo zio non ci sarebbe stato, e infatti è così. Per quel che mi riguarda, fruga quanto ti pare.”
“Grazie, sono due anni che voglio venire qui a cercare qualcosa sullo zio. Beh, al lavoro, finchè lo zio Theo non torna.”
 
*
 
 
Thomas, in piedi davanti al lungo tavolo rettangolare posto al centro della grande serra coperta da piante praticamente su ogni superficie, stava dando una controllata alle sue Mandragole con le mani coperte da spessi guanti di cuoio quando udì la porta della serra aprirsi.
 
“Sì?”
Il giovane alzò la testa con sincera perplessità, la fronte aggrottata: era raro che qualcuno lo raggiungesse lì. Sua madre non ci metteva piede quasi mai, per non parlare di suo padre o della sorella minore.
Anzi, Astrid aveva accolto la sua passione per le piante e l’Erbologia con scarsa gioia, ma aveva acconsentito, qualche anno prima, a lasciargli costruire una serra tutta sua che col tempo aveva finito con l’ampliarsi progressivamente.
 
Un debole sorriso increspò le labbra del giovane quando, un istante dopo, udì chiaramente la voce della sorella minore – seppur lievemente soffocata – imprecare tra sé e sé mentre si faceva largo tra piante, fiori e arbusti che pendevano anche dal soffitto.
“Porca Morgana, che razza di posto… Odio questa giungla! Ah, Tommy, eccoti, la mamma mi ha detto che eri qui.”
 
Elizabeth emerse da dietro un vaso appeso al soffitto – rischiando di prenderlo in pieno con la fronte, scansandosi appena in tempo – e rivolse un sorriso compiaciuto al fratello maggiore, sistemandosi distrattamente il gilet grigio abbinato alla gonna che copriva, parzialmente, la camicetta di seta azzurra dalle maniche a sbuffo e chiusa sul davanti da un fiocco che la strega indossava.
 
“Buongiorno sorellina amatissima… che cosa ti conduce qui? Dev’essere una questione urgente, non ti vedo qui da secoli.”
“Vorrei vedere, questo luogo è un attentato per i miei vestiti! Merlino, non ho insetti nei capelli, vero?”
 
La strega sgranò gli occhi, improvvisamente allarmata mentre si portava entrambe le mani sulla nuca, ma Thomas ridacchiò e le assicurò che i suoi bei capelli raccolti in uno chignon alla base del collo fossero salvi.
“Beh, meno male. Ad ogni modo, Tommy, sono venuta a chiederti come vanno le cose con nostra cugina. E anche se sono l’unica a pensare che nostro padre non stia molto bene, negli ultimi tempi.”
“Devo ammettere di vederlo davvero stanco, di recente. Penso che il lavoro cominci a pensargli molto, del resto non lo voleva e non fa che ricordargli lo zio, ovviamente… Nostra madre dice che si sente all’ombra dello zio da sempre e di sicuro ricoprire il suo stesso ruolo come successore momentaneo non aiuta a spegnere il paragone tra loro.”
 
 
“Lo immagino… spero davvero che Riocard accetti di prendere il suo posto, o ci penserò IO a fargli cambiare idea. Sono stanca di vedere papà così.”   Elizabeth strinse le braccia esili sotto al seno, rabbuiandosi momentaneamente mentre i lontani ricordi di un Theseus più felice e sereno, risalenti a prima della morte dello zio, l’assillavano.
 
“Ovviamente non hai risposto alla mia altra domanda, fratellone. Suvvia, non tenermi sulle spine, sono la vostra più grande sostenitrice!”
“La mamma dice che i pettegolezzi fanno cafona, cara Lizzy, non vorrai mica macchiare la tua reputazione di perfetta Lady educata?!”
 
Thomas la guardò con un sorrisetto divertito e strafottente che la fece sbuffare, guardandolo torva prima di rispondergli per le rime:
 
“CERTO CHE SONO UNA LADY EDUCATA, IO, ma voglio anche sapere se il mio fratellone adorato è felice. Per favore…”
“Ma perché lo chiedi a me, chiedilo a Colleen, tra donne non parlate di queste cose?”
“Certo, ma Cherry è Cherry, si imbarazza troppo… ma io e Cassy vogliamo sapere, quindi sono venuta da te.”
 
“Ti dirò solo se tu mi spieghi cosa c’è tra te e il fratello di Clio.”
 
Thomas mise da parte le peonie che stava curando – e destinate ad una certa signorina dai lunghi capelli rossi – mentre Lizzy, sbuffando, scuoteva la testa con teatrale sconsiderazione:
“Ah, sei diventato terribile. Che ne è del mio dolce fratello, chi ti ha ridotto così?!”
 
“Probabilmente tu, cara sorellina.”
 
*
 
“Si può sapere che diavolo ti prende? Non è da te comportarti così, e esigo una spiegazione per tanta maleducazione.”
Gwendoline, in piedi accanto al fratello gemello con cui aveva sempre condiviso ogni gioco e ogni segreto, persino la casa ad Hogwarts, guardò Riocard scolarsi il contenuto del bicchiere di cristallo prima di riempirselo nuovamente, livido e le labbra tremanti di collera.
 
“La tua famiglia, ecco cosa c’è. Dannati, stupidi Cavendish…”
“La mia famiglia sei prima di ogni altra cosa tu, Riocard. Quindi falla finita e parla, per Morgana. Comincio a scocciarmi.”
La strega prese la bottiglia di cristallo dalle mani del gemello e la rimise sul vassoio con un gesto secco e deciso, scoccandogli al contempo un’occhiata torva mentre Riocard, sbuffando, le si rivolgeva quasi con astio:
“Amethyst, ecco cosa. Vuole Amethyst per suo figlio.”
“Di chi diavolo parli, Ric?”
“Di tuo cognato, ecco di chi… Non ho intenzione di vendere la mia unica figlia ai Cavendish, già nostro padre l’ha fatto, io non ripeterò lo stesso errore con lei.”
 
Gwendoline, fingendo elegantemente di non cogliere l’allusione a lei e al suo matrimonio – sereno, in realtà, malgrado le cattive premesse – con George, incrociò le braccia sotto al seno e guardò il gemello con attenzione, scrutandolo con i penetranti occhi azzurri che condividevano:
“Perché vuole Amethyst per Robert? Ci odia a morte. A malapena sopporta me, e sono sua cognata.”
“Per lo stesso motivo per cui tuo suocero ha convinto nostro padre a cedere la tua mano a George. Merlino Gwen, sono i soldi, gira sempre tutto attorno al denaro, il nostro denaro.”
“Immagino che tu abbia rifiutato.”
“Certo che ho rifiutato, gliele ho cantate per bene, e me ne frego se l’ha presa male. Mi detestava già prima, quella palla al piede di Louis Cavendish.”
Riocard sbuffò, portandosi il becchiere alle labbra mentre la sorella alzava gli occhi al cielo:
“Beh, non piace neanche a me, ad essere del tutto onesta… Ma George è diverso, davvero.”
“Sì, certo…”
Riocard le lanciò un’occhiata di sbieco, poco convinto, ma Gwendoline decise di lasciar perdere e lo guardò scuotere la testa senza dare troppo peso alla sua considerazione su suo marito:
 
“Cosa pensi di fare con Amiee, allora?”
“Non lo so, ma capitali come i nostri vanno gestiti con attenzione… non ho intenzione di dilaniare tutto con matrimoni sbagliati. E mai, mai, parola mia, i nostri soldi finiranno ancora in mano ai Cavendish. Dovranno trovare un altro modo per estorcerceli, oltre ad un matrimonio con mia figlia.”
 
 
 
 
“Riocard ha trovato niente?”
“No, e nemmeno io… Merlino solo sa che diavolo ha nascosto mio figlio in casa nostra. Se non fosse adulto ormai andrei a prenderlo per un orecchio.”
 
Gwendoline, seduta su una panchina mentre lanciava distrattamente pezzetti di pane vecchio a delle oche, sbuffò con tanta irritazione da far sorridere la donna che le sedeva accanto, lo sguardo fisso davanti a sé sulle coppie, famiglie e tate con bambini che passeggiavano nel parco.
“Posso immaginarlo. Sono un po’ preoccupata anche per Theo, ad essere onesta. La situazione gli pesa molto, zia.”
“Come ad ognuno di noi… ma malgrado le apparenze, tuo fratello è sempre stato il più sensibile tra voi.”
 
Gwendoline parlò con un debole sospiro, e il suo sguardo assunse improvvisamente una nota malinconica nel ricordare il ragazzino di 15 anni che aveva stretto al funerale di suo fratello e di sua cognata e che aveva visto farsi molto più silenzioso e introverso dopo la perdita dei genitori.
 
 “Lo so. Mi ha chiesto se avessi un’idea di che cosa abbia fatto Rod a Parigi, prima di tornare qui. Pare che fino ad ora nessuno sia stato in grado di capire dove sia stato, dopo aver incontrato il Ministro. Che cosa posso dirgli?”
“Se qui nessuno è riuscito a dargli le rispose che cerca, forse dovrebbe andare a cercarle più a fondo. E ammetto di avere una vaga idea su chi potrebbe aver visto Rod, quel giorno… ma lascia stare, Amiee. Con tuo fratello parlerò io.”
 
“Come desideri, zia.”
Gwendoline si voltò verso la nipote e le sorrise con affetto smisurato, guardandola quasi con gratitudine negli occhi celesti che ispiravano affabilità tanto quanto freddezza a seconda dei casi:
 
“Non so come farei senza di te. Mi fido di te come di nessuna altro, tesoro.”
“E io continuo a domandarmene il motivo, zia.”
“Te l’ho detto tante volte… perché tu sei come me.”
 
*
 
Neit adorava i paesaggi lacustri da tutta la vita, e immerso in quella sorta di paradiso era per lui impossibile esimersi dal guardarsi attorno con occhi pieni di meraviglia.
Da bambino, spesso costretto a letto, aveva temuto di non avere mai la possibilità di vedere il mondo. Era quasi surreale, in quel momento, trovarsi su quella piccola imbarcazione di legno, su un vasto lago circondato da fitta vegetazione e racchiuso da verdi montagne.
“Vuoi che sia io a remare?”
La voce dolce e quasi divertita della cugina lo riportò improvvisamente alla realtà, costringendolo a scuotere la testa e quasi ad arrossire mentre mormorava delle scuse: Caroline sedeva di fronte a lui sul capo opposto della barca, un libro sulle ginocchia e un delicato vestito azzurro addosso. La maggior parte dei lunghi capelli color grano della strega le ricadevano sulle spalle, e solo le ciocche davanti erano state tirate indietro sulla nuca con un nastro bianco, lasciandole il viso ingombro.
 
“Scusa, mi ero distratto un momento… certo che no, ci mancherebbe.”
“Tranquillo, scherzavo. Ma cosa stanno facendo i nostri fratelli?”

 
Mentre Neit prendeva a remare – dopo anni e anni di allenamenti e di partite di Quidditch come Battitore, le sue braccia robuste non subirono il minimo sforzo – entrambi volsero lo sguardo sulle altre due imbarcazioni – identiche alla loro – che solcavano le acque cristalline del lago: Egan e Clio su una, Ezra sull’altra, i loro fratelli minori avevano intrapreso una sorta di gara per arrivare alla sponda opposta del lago, con una Clio più divertita che mai e impegnata a fare il tifo.
 
“I soliti… spero solo che Clio non cada in acqua.”
Un’espressione quasi afflitta oltrepassò il volto del ragazzo, e Caroline scoppiò a ridere facendolo sorridere un poco di rimando. Non erano poi molte le persone che riuscivano in quell’intento, ma sua cugina riusciva sempre a strappargli un sorriso, in qualche modo.

 
“Carol?”
“Sì?”

“Sei bellissima quando ridi, comunque.”


Caroline arrossì, mormorando un ringraziamento mentre, anche se Neit quasi non se ne accorse per controllare d’istinto che Clio non cadesse nel lago, il libro quasi le scivolava in acqua per l’emozione.
 
 
 
“A che cosa pensi?”


Neit si riscosse all’improvviso e alzò lo sguardo su Caroline quasi di scatto, incontrando i gentili e grandi occhi azzurri della ragazza mentre lo guardava sorridendo dolcemente.
“Ecco…”
“No, non dirmelo. Indovino io.”
Neit tacque alle parole della strega, guardandola mettersi comoda sulla coperta stesa sul prato stringendosi le gambe e senza smettere di sorridergli:
“Ti stai arrovellando su qualche inspiegabile e vitale domanda esistenziale. Forse su tuo padre e tuo nonno? Ho indovinato?”
 
Sapeva che Caroline, conoscendolo a fondo, era certa di essere nel giusto, e fu con un debole sorriso che Neit scosse la testa, trovandosi costretto a contraddirla dolcemente:
 
“No.”
“E a cosa, allora? Vorresti essere da qualche altra parte, per caso?”
Caroline lo guardò inclinando leggermente la testa e con un poco di tenera delusione nello sguardo, ma il cugino scosse la testa e allungò una mano per prendere la sua mentre Sommer, poco più in là, inseguiva un povero scoiattolo che trovò provvidenzialmente rifugio su un albero.
“Pensavo alla nostra vacanza di famiglia al lago, quattro anni fa. Ricordi?”
“Certo che ricordo. A te piaceva molto, quel posto.”
Caroline sorrise e il ragazzo ricambiò, annuendo mentre la guardava senza che i suoi occhi lasciassero quelli della strega:
“E’ vero. Ma penso che al momento non vorrei essere da nessun’altra parte al mondo.”
 
 
Caroline esitò, ma la sua sorpresa ebbe vita breve: un nuovo sorriso tornò presto ad inclinarle graziosamente le labbra carnose, e la strega si sporse per abbracciarlo senza rifletterci due volte, mandandolo dritto disteso sulla coperta posta sotto alcuni alberi dei Kensington Gardens con una debole risata:
“Via, Miss Cavendish, siamo in un luogo pubblico!”
Caroline però non gli diede retta, abbracciandolo e appoggiando il capo sul suo petto chiudendogli occhi e mormorando qualcosa a bassa voce:
“Stai zitto Neit, per una volta.”
 
*
 
 
Riocard bussò alla porta assorto nei suoi pensieri, riflettendo sulle ricerche che aveva condotto insieme a Clara senza però ottenere grandi risultati.
Per fortuna sua cugina era testarda e determinata tanto quanto lui – non per niente avevano condiviso la medesima Casa ad Hogwarts – e Clara gli aveva assicurato che prima o poi avrebbe trovato qualcosa.
 
“C’è qualcosa che manca. So che è così, e io non sbaglio mai. Ho letto tutte quelle lettere tante volte, ma so che c’è qualcosa che mi sfugge.”
Così aveva detto la giovane strega prima di salutarlo, e se c’era qualcosa dove Riocard riponeva estrema fiducia, quella era l’acume della sua brillante cugina.
 
“Oh, salve!”
“Salve Miss Cavendish.”
Clio gli sorrise, allegra, e il mago si ritrovò suo malgrado a ricambiare, seppur non con il medesimo entusiasmo della strega, che si spostò dall’uscio per farlo entrare.
 
“Sa, penso che ormai potremmo anche chiamarci per nome, se non le dispiace.”
“Come preferisce Miss… Clio.”
Riocard entrò, superandola e sfilandosi il cappotto prima di lasciarlo ad un Elfo Domestico mentre Clio, chiudendo la porta, sorrideva scuotendo la testa:
“Solo Clio per favore, Miss Clio è come mi chiamano sempre gli Elfi! Su, non faccia quella faccia triste, sono certa che presto troveremo ciò che sta cercando.”
 
“E’ quello che spero, anche se sarebbe meglio farlo prima che suo padre o suo zio possano precederci… Scriveva?”
Gli occhi azzurri di Riocard saettarono sul rotolo di pergamena, con la piuma di un falco poggiataci sopra insieme ad un calamaio ricco d’inchiostro, poggiato su un tavolino mentre Clio annuiva, sfoggiando al contempo un debole sorriso:
 
“Diciamo di sì.”
“Che cosa scrive?”
“Oh, nulla… solo sciocchezze, non ha importanza. Forza, non troverà nulla stando qui a farmi domande.”
 
Desiderosa di allontanarlo dalla questione Clio prese il ragazzo sottobraccio, conducendolo allegramente verso il piano superiore – inciampando e rischiando di finire dritta contro un gradino con la faccia, se Riocard non l’avesse sorretta provvidenzialmente – tra una chiacchiera e l’altra, riuscendo persino a fargli dimenticare brevemente tutti i suoi pensieri.
 
*
 
 
Gwendoline aveva pianto la morte del fratello da dieci anni quando, dopo un’accesa discussione con il maggiore dei suoi nipoti, qualcosa riaffiorò nella sua memoria.
Un ricordo, un frammento, un dettaglio di una giornata ormai lontana e così intensa da averlo quasi rimosso. Dimenticato.
 
In caso dovesse servirti
 
Negli ultimi tempi aveva smesso di portare l’orologio che Riocard le aveva donato il giorno delle sue nozze. Portarlo perennemente non faceva che intensificare la mancanza del gemello, una delle persone che più aveva amato in tutta la sua vita.
Mai nessuno l’aveva capita e ascoltata come aveva fatto Riocard.
Recuperandone la custodia di velluto dal fondo del cassetto del suo comodino, Gwendoline sedette sul suo lato del letto matrimoniale e sollevò il coperchio della scalinata col cuore in gola, deglutendo a fatica.
 
Forse era semplicemente paranoica, ma possibile che Riocard non le avesse fatto solo un semplice regalo, quel giorno?
 
La strega prese l’orologio che per anni aveva portato al polso ogni giorno e, puntataci contro la bacchetta, mormorò un semplice incantesimo che le avrebbe dimostrato se aveva ragione o se invece si sbagliava.
 
“Revelio.”
 
La donna sobbalzò e quasi non credette ai propri occhi quando vide il quadrante dell’orologio ruotare lentamente fino a sollevarsi a mezz’aria, lentamente, seguito dai pezzi centrali del gioiello. Continuandolo a tenendo il cinturino d’oro in mano, Gwendoline guardò, tra gli ingranaggi che si stavano separando dall’orologio, qualcosa di anomalo.
Qualcosa che di certo non si trovava comunemente dentro un oggetto simile, prendendolo con mani tremanti.
 
 
 
 
 
“Tieni caro, lo dico sempre che un thè è in grado di risolvere quasi ogni cosa.”
“Grazie zia… allora immagino che sia stata tu ad insegnare a mia figlia la sua ossessione per questa bevanda. Volevi vedermi?”
 
Theseus accettò la tazza che la zia paterna gli porgeva con un sorriso sincero, per quanto stanco. Gwendoline annuì e, sedutagli accanto, lo guardò con affetto prima di allungare una mano su quella del nipote più giovane:
“So che cerchi di capire che cosa abbia fatto Rod a Parigi e se è collegato con la sua morte in qualche modo.”
“Ne sai qualcosa, per caso?”
“Non esattamente, no… ma forse potrei avere un suggerimento su dove cercare. A volte le risposte si trovano proprio dove tutto ha inizio, Theo. Credo che dovresti andare a Parigi a cercare ciò che desideri trovare.”
 
“Ma dove, se non so…”
“Ti dirò ciò che dissi a tuo fratello due anni, Theo. Va’ da lei. Ha più risposte di quanto pensi… e credo che sia giunto il momento che anche tu faccia la sua conoscenza.”
 
*
 
 
“Ma dov’è finita mia nonna? E’ strano che ancora non ci sia…”
“Credo volesse vedere mio zio, onestamente. Beh, meglio quando è in casa non fa che offrirci biscotti e mi distrae… Miss… Clio, faccia attenzione.”
Riocard prese un vaso dall’aria molto antica e molto preziosa dalle mani sbadate della strega, che sorrise colpevole mentre guardava il ragazzo metterlo a posto su una mensola.
 
“La mia fama di disastro ambulante mi precede, temo.”
“Non ne avevo sentito parlare, a dire il vero, ma dopo averla vista tirarsi un armadio addosso sono pronto ad ogni evenienza.”
Riocard si chinò per aprire una cassapanca mentre Clio, sospirando, mormorava che era strano il suo non aver mai sentito nulla riguardo alla sua goffaggine:
 
“Il mio… ex fidanzato ha gentilmente provveduto a dipingermi al mondo intero come una stupida oca imbranata.”
“Oh, sì… ho un vago ricordo. Che fine ha fatto? Non che siano affari miei, ma mi chiedevo perché avete rotto il fidanzamento.”
 
Riocard parlò senza guardare la strega, frugando tra pizzi, merletti, portagioie, vecchie foto e carillon, ma Clio nel stringersi nelle spalle non colse un istante di esitazione nella sua voce.


“Oh, l’ha rotto lui in realtà, ma sospetto che i miei fratelli lo abbiano convinto a suon di minacce. Non gli piacevo molto… e neanche a me, a dire il vero. Era solo per il mio cognome e per la dote.”
“Mi dispiace. Beh, è un bene che sia andata così allora, no? Peggio per lui.”
Riocard sollevò la testa e abbozzò un sorriso in direzione della strega, che si ritrovò a ricambiare quasi senza rendersene conto: era uno dei primi sorrisi che quel ragazzo le concedeva, se non il primo in assoluto, e si sentì troppo euforica per analizzare a fondo le sue parole, mentre immaginava Egan e suo padre svenire dal dolore mentre sua madre sventolava uno e Neit cercava di far rinvenire l’altro.
 
“Ancora nulla? Che peccato… eppure dev’esserci qualcosa, da qualche parte.”
“Beh, è suo padre. Non le viene in mente nulla?”
Riocard chiuse la cassapanca, sedendosi sul mobile incrociando al petto le braccia coperte dalle maniche della camicia arrotolate fino al gomito. Clio, distogliendo rapidamente lo sguardo dagli avambracci del ragazzo fino al suo viso, scosse la testa, desolata:
“Non ho molte idee, davvero… Mi dispiace. Vorrei essere più di aiuto.”
“Non dica sciocchezze, non è neanche tenuta ad aiutarmi. Onestamente non ho nemmeno ben compreso perché lo stia facendo.”
 
“Diciamo che la mia componente più curiosa vuole sapere tanto quanto lei… io e i miei fratelli ci chiediamo da sempre perché mio nonno nutrisse tutto quel rancore verso mio padre. So quello che pensa su di lui, ma le assicuro che non se lo merita. Non è una cattiva persona.”


Clio chinò il capo, rabbuiandosi un poco mentre si tormentava le mani. Voleva bene a suo padre, anche se Edward non era il padre più affettuoso del mondo. E di certo non voleva credere che meritasse tutto il rancore che suo nonno gli aveva serbato per buona parte della vita, fino alla morte.
“Forse suo nonno sapeva qualcosa su suo padre che lei ignora. Crediamo di conoscere i nostri genitori, ma a volte non è proprio così.”
“No, conosco mio padre, per questo non capisco che cosa abbia potuto fare per turbare tanto il nonno… non ce l’hanno mai voluto dire, nessuno dei due, almeno una cosa in comune l’avevano. Del resto papà diceva sempre che era impossibile nascondere qualcosa al nonno.”


Clio si strinse nelle spalle, pensierosa, finchè la sua espressione all’improvviso non mutò.
Irrigidendosi, la giovane esitò prima di superare Riocard e uscire in silenzio dalla stanza sotto lo sguardo attonito del ragazzo, che la guardò senza capire cosa avesse intenzione di fare: di certo sapeva che quella strega era un pericolo pubblico e per se stessa, così decise di seguirla.
 
“Che cos’ha? Le è venuto in mente qualcosa?”
“Porca Tosca… Mio padre diceva sempre una cosa!”
Clio salì le scale che portavano all’ultimo piano quasi di corsa, con un Riocard sempre più confuso al seguito e che incespicava sui gradini per starle dietro:
“Ovvero?”
“Che l’unico modo per nascondere qualcosa a mio nonno era nasconderglielo letteralmente sotto al naso.”
 
Clio attraversò di corsa il corridoio e spalancò la porta della camera da letto che per anni i suoi nonni avevano condiviso. Non era mai entrata laggiù senza sua nonna, ma in quel momento mandò la privacy e le buone maniere al diavolo.
 
“Beh, ma lo ha fatto, no? L’ha messo qui, in casa sua, di qualsiasi cosa si tratti…”
Riocard si fermò sulla soglia, la mano sullo stipite della porta e la fronte aggrottata. Clio però scosse la testa, in piedi vicino al letto mentre si guardava attorno con attenzione.
“Sì, ma… forse lo ha messo ancora più vicino a lui, dove non avrebbe mai guardato. Sono sicura che non avrebbe mai avuto il minimo dubbio sulla sua stessa camera da letto. Cerchi ovunque, sono certa che sia qui.”
 
Mentre Riocard si avvicinava ad una libreria, gli occhi azzurri di Clio indugiarono su qualcosa posto esattamente sopra al letto a baldacchino dei suoi nonni. Al centro, sulla parete di pietra, c’era una sorta di piccolo scudo bronzeo incastonato nel muro e che raffigurava il simbolo della loro famiglia, una rosa.
Quasi senza riflettere e con uno strano sesto senso a convincerla che fosse la scelta giusta, Clio si avvicinò al letto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Con quale faccia mi presento in ritardo di tre giorni e per di più con un capitolo più breve del solito e con molti personaggi che neanche appaiono?
Con nessuna, infatti mi sto nascondendo pregando di non venire linciata.
Ragazze, scusate, vi chiedo perdono, ma purtroppo siamo quasi alle battute d’arresto e devo chiudere tutto ciò che c’è da chiudere, dando un filino di importanza in più agli “adulti” e ai flashback di quanto non abbia fatto fino ad ora.
Infine, spero che abbiate passato buone feste ovviamente 😊
A mercoledì col prossimo capitolo, buonanotte!
Signorina Granger

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
 
Estate 1912
 
Sua moglie, seduta alla sua destra come ogni mattina da più di quarant’anni, gli stava raccontando qualcosa mentre imburrava una fetta di pane tostato, forse un pettegolezzo particolarmente succulento.
George, però, non la stava a sentire: seduto a capo del lungo tavolo rettangolare della sala da pranzo apparecchiato solo per due, teneva gli occhi cerulei fissi sul proprio piatto senza aver quasi toccato cibo. La voce della moglie appariva al suo udito quasi ovattata, come avesse avuto qualcosa a coprirgli le orecchie.
Ben presto però Gwendoline sembrò accorgersi della distrazione del marito, perché la donna aggrottò leggermente la fronte – guardandolo con una vena di rimprovero – e gli domandò che cosa avesse.
“George, sai come la penso, se non ti va di ascoltarmi almeno sforzati e fingi, mi darai quantomeno un briciolo di soddisfazione!”
“Scusa mia cara. Per una volta temo di essere io ad avere qualcosa da dirti, oggi.”

 
George sollevò lo sguardo sulla moglie con un accenno di sorriso sulle labbra, allungando al contempo la mano pallida e segnata dagli anni di età del suo proprietario verso quella della donna, che lo guardò ancor più seria: era raro che il marito si concedesse un’intera conversazione di prima mattina, quindi doveva per forza trattarsi di qualcosa di importante.
“Che cosa, George?”
“Io… temo di non stare più molto bene, Wendy. I medici non sono molto ottimisti.”
Il volto dell’ex Ministro venne rasserenato da un sorriso affettuoso mentre pronunciava quelle parole cautamente, guardando la donna irrigidirsi per un istante. Eppure Gwen, pur udendo quel particolare soprannome che il marito usava per rivolgerlesi quando erano soli, non battè ciglio, limitandosi a chiedere quanto grave fosse.
 
“Qualche mese, non pensano che arriverò al prossimo inverno. Ma so che lascio tutto e tutti in buone mani, con te al mio fianco.”
La donna annuì e abbozzò un sorriso, sforzandosi di non lasciarsi sopraffare dalle emozioni – una parte di lei era certa che il marito non avrebbe gradito, nemmeno in quella circostanza – prima di chiedergli con un mormorio quando intendeva dirlo ad Edward.
“Il più tardi possibile, non voglio allarmismi e finire i miei giorni con sguardi carichi di pietà e compassione, trattato come un moribondo… Ti chiedo di mantenere il massimo riserbo, è uno degli ultimi favori che ti chiedo.”
“… Come desideri caro.”
 
 
 
 
“Per la sottana di Tosca… non ci posso credere!”
Clio teneva gli occhi chiari fissi sul piccolo scrigno che aveva appena estratto da una cavità della parete posta sopra al letto dei suoi nonni, dietro lo scudo bronzeo con lo stemma di famiglia. Poggiatolo sul letto, ora stava in piedi accanto a Riocard, e nessuno dei due sembrava avere il coraggio di aprirlo.
 
“Sembra che l’abbia trovato. Forse sarò costretto a rivalutare le sue doti da detective.”
Nonostante la tensione il mago le si rivolse con un accenno di sorriso, scatenando un’espressione quasi offesa sul bel volto della ragazza, che incrociò le braccia al petto:
“Glie l’avevo detto! Sarò anche imbranata, ma non sciocca.”
“Mai insinuato il contrario, anche se probabilmente come Auror tenderebbe a farsi scoprire da ogni criminale da acciuffare…”
“Non penso proprio, se vuole la prossima volta invece di cercare cimeli di famiglia segreti pedineremo qualcuno e le farò vedere che sbaglia.”
 
“Bene, ma nel frattempo… direi che dobbiamo scoprire a cosa è dovuto questo trambusto. C’è una chiave, lì dentro?”
Clio scosse la testa mentre Riocard sfiorava lo scrigno e la sua serratura, cercando di aprirlo ma senza successo.
“Grandioso, suo padre deve aver tenuto la chiave… Beh, c’era da aspettarselo.”
Riocard sbuffò sonoramente mentre si metteva le mani sui fianchi, guardando l’oggetto di legno con cipiglio torvo mentre Clio, aggrottando la fronte, lo sfiorava a sua volta.
“Ma se ha la chiave, perché non ha preso con sé anche questo?”
“Non ne ho idea, ma forse è arrivato il momento di affrontare con lui la questione a viso aperto… Come ha fatto?!”
 
Clio sollevò il coperchio con una facilità disarmante, come fosse stato fatto di piume, e la ragazza ricambiò lo sguardo stralunato del giovane con un’espressione alquanto perplessa sul volto:
“Niente, non era chiuso a chiave.”
“Come sarebbe a dire, ha visto che con me non si apriva!”
“Forse neanche lei è un Auror nato, allora, se non apre neanche uno scrigno!”


Riocard alzò gli occhi al cielo, ma decise che al mistero dello scrigno ci avrebbe pensato più tardi: la cosa importante era che fossero riusciti ad aprirlo, in qualche modo.
Entrambi abbassarono lo sguardo, simultaneamente, su ciò che Edward Cavendish aveva sottratto a Rodulphus Saint-Clair e che tanto si era dato pena di celare alla sua stessa famiglia.
Qualcosa di sorprendentemente piccolo, in effetti, che fece aggrottare la fronte ad entrambi i giovani maghi:
 
“Tutto qui?!”
“Come minimo mi aspettavo… non lo so, un tesoro preziosissimo. Ha idea di che cosa sia?”
“Mmh, no, e lei?”
“Tantomeno. Beh, ci resta una sola cosa da fare. Andare da suo padre e chiederglielo, al diavolo. Voglio capire di che si tratta… se ha davvero ucciso lui mio padre, è probabile che sia per questo.”


Clio sbuffò e, voltandosi verso Riocard, asserì che suo padre non aveva ucciso proprio nessuno. Certo il suo comportamento degli ultimi tempi era stato alquanto sospetto, ma mai avrebbe potuto togliere la vita a qualcuno di proposito, ne era più che certa.
Il ragazzo non battè ciglio, ma si strinse nelle spalle con noncuranza e, chiuso lo scrigno, se lo mise sottobraccio prima di rivolgersi alla giovane con tono neutro, come se le stesse chiedendo di andare a fare una passeggiata al parco:
“Beh, andiamo a scoprirlo. Mi faccia strada, penso che mi autoinviterò a casa sua.”
“Non so se è una buona idea, sa… mio padre, i miei fratelli…”
“Al diavolo. Mio padre è morto, Clio. Sono stanco di non capire.”


 
*
 
Imbecille.”
“GEORGE!”
 
Lo schiaffò poderoso del padre lo colpì in pieno viso, costringendolo a voltarsi, ma l’umiliazione fu molto più dolorosa. Edward strinse i denti mentre Gwendoline, alzandosi dal divano, guardava scandalizzata il marito e gli ordinava di non colpire il ragazzo e George lo fissava con evidente delusione.
 
“Hai venduto… la nostra cosa più preziosa. E proprio ai Saint-Clair. Quanti soldi ti ha offerto Rodulphus, eh?!”
“Non l’ho fatto per i soldi.”
“Non ritirare fuori quella stupidaggine di Estelle, non ci credo che l’hai fatto solo perché lui non la sposasse! Non puoi essere stato così sciocco, Edward!”

 
Edward chinò il capo, non osando guardare il padre in faccia, tenendo le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani strette a pugno, sibilando che se non capiva era lui, nella stanza, l’unico sciocco, e che per di più non aveva mai amato davvero nessuno.
 
Probabilmente George lo avrebbe colpito di nuovo se la madre non si fosse messa in mezzo, ordinandogli di andarsene in camera sua per riparlarne con più lucidità.
Edward obbedì, ma la verità era che non si sentiva affatto pentito. Aveva fatto la sua scelta, e anche se suo padre non la comprendeva e sbraitava che non gli avrebbe mai perdonato quel gesto, sentiva che avrebbe potuto renderlo molto più felice di quanto quell’anello avrebbe mai potuto.
 
 
Rodulphus sorrise soddisfatto, gli occhi azzurri luccicanti mentre si rigirava quel piccolo e prezioso oggetto tra le mani. Stando a ciò che aveva sentito, non era un anello comune, e aveva tutta l’intenzione di provarlo.
Lo intascò con soddisfazione girò sui tacchi, allontanandosi dopo aver assistito dalla finestra alla lite. George sembrava ancora furioso, e di certo non gli sarebbe passata in fretta.
Infondo era quella, la cosa più importante, dividerli tanto quanto loro avevano fatto con la sua famiglia. Era una fortuna che suo cugino gli avesse parlato di quel prezioso cimelio, era stata l’occasione perfetta.
 
 
Quando Clio si era presentata sulla soglia di casa insieme a Riocard Saint-Clair, Estelle aveva creduto di avere le allucinazioni. Stava già per correre a chiamare il medico quando Neit, che stava uscendo dal salotto, si pietrificò e guardò la sorella con gli occhi spalancati:
 
“Clio, che cosa diavolo…”
“Non ho tempo di dare spiegazioni, ma dobbiamo parlare con papà, dov’è?”
Dobbiamo? Tu e LUI? Merlino, grazie al cielo Egan è al lavoro…”

Clio alzò gli occhi al cielo, fece cenno a Riocard di seguirla e si diresse a passo di marcia verso la porta dello studio del padre con Neit al seguitò, che asserì di voler sapere che cosa stesse succedendo.
 
“Papà! Papà, abbiamo delle domande da farti.”
 
“Tu e chi?”
Clio entrò nella stanza, ed Edward fece appena in tempo ad alzare lo sguardo per vedere il figlio di Rodulphus varcare la soglia del suo studio con un Neit perplesso e corrucciato al seguito.
“CLIO, che diavolo ci fa LUI qui?”
“E’ quello che vorrei capire anche io!”


“Finitela, sarò io a fare le domande, per una volta. Oh, che bello, quasi non mi sembra vero, in genere sono l’imbranata della famiglia…”
 
Clio sorrise, allegra, ma si costrinse a tornare seria quando intercettò lo sguardo cupo di Riocard, affrettandosi a schiarirsi la gola mentre Neit chiudeva la porta e la sorella prendeva lo scrigno di legno dalle mani del giovane per portarlo sulla scrivania del padre.
 
Edward guardò il familiare oggetto e sospirò, appoggiando la piuma e mettendo da parte la lettera che stava scrivendo per dedicare tutte le sue attenzioni ai suoi inaspettati ospiti.
“E così lo avete trovato, alla fine. Beh, sedetevi. Che cosa volete sapere?”
“Che cosa vogliamo sapere? Perché tanto trambusto per uno stupido anello, ecco cosa. C’entra con la morte di mio padre?”
 
“Anello? Che anello?”
“Neit, sh!”
“Non farmi sh!”
 
*
 
 
“Riocard, io non ho ucciso tuo padre, te lo posso assicurare. Non eravamo di certo in buoni rapporti quando è morto, lo sanno tutti, ma non sono stato io… Mio cugino te lo può provare, perché quella notte io e Robert andammo al Ministero per sottrargli ciò che avete trovato.”
“Papà, ti sei dato ai furti?!”
Clio spalancò gli occhi, scandalizzata, mentre Neit alzava gli occhi al cielo e il padre sospirava, lanciando un’occhiata cupa alla figlia mentre teneva le mani poggiate sulla scrivania, le dita intrecciate tra loro.
 
“No tesoro. Questo anello appartiene ai Cavendish da innumerevoli generazioni, è stato forgiato dai Folletti, si dice che lo abbiano donato al nostro primo Ministro, e ha proprietà magiche. Si dice che il diadema di Priscilla Corvonero rendesse più saggi, mentre chi indossa questo anello ha la possibilità di… esaudire delle richieste.”
“Caspita!”


Clio guardò lo scrigno con improvvisa curiosità, e stava quasi per chiedere se poteva provarlo quando colse l’occhiata torva che Neit le rivolse, vietandole silenziosamente di interrompere il padre mentre lo ascoltava a braccia conserte.
 
“E perché lo aveva mio padre, se è vostro?”  
Riocard, seduto accanto a Clio davanti alla scrivania, guardò il padrone di casa aggrottando la fronte, senza capire. Senza contare che non aveva mai visto quell’oggetto prima di quella sera, anche se era stato di suo padre.
“Glie l’ho venduto, diciamo. Diversi anni fa. E’ per questo che vostro nonno ce l’ha avuta con me per anni… Rodulphus avrebbe dovuto sposare Estelle, ma io… io non potevo accettarlo. Lui mi disse che avrebbe rifiutato la sua mano, se io gli avessi dato l’anello. E l’ho fatto, per sposare Estelle. Ma vostro nonno non mi ha perdonato, l’ha visto come un affronto terribile… si rifiutò di vedere che io ero solo un ragazzino ingenuo e che Rodulphus approfittò del mio debole per vostra madre per estorcermelo.”
 
Clio aprì la bocca, senza parole, mentre Neit non si mosse, apparentemente impassibile anche se la sua mente era in subbuglio. Riocard, invece, si mise dritto sulla sedia e replicò senza esitare, visibilmente irritato dal ritratto appena fatto da Edward del defunto padre.
“Mio padre non era un mostro. Convengo che non è stato un bel gesto, ma avrà avuto i suoi motivi!”
“Riocard, all’epoca tuo padre e io eravamo molto legati. Non so perché abbia voluto farmi questo, non l’ho mai capito. Ho fatto finta di niente per anni, dicendomi che non contava, mentre mio padre continuava a disprezzarmi. La cosa buffa è che non se la prese con Rodulphus, ma con me, asserendo che ero stato io l’idiota e lui un semplice “uomo d’affari”. Gli offrì la carica di Ministro solo per punirmi, non perché non mi riteneva degno di ricoprire quel ruolo… Rod si era preso il nostro cimelio più antico e più prezioso per colpa mia, e mio padre decise di punirmi ulteriormente affibbiandomi pubblicamente la colpa di aver tolto ai Cavendish la nostra carica.”
 
“Ma non ha senso, perché il nonno l’ha fatto?”
Neit guardò il padre aggrottando la fronte, confuso e quasi rifiutandosi di credere alle sue parole mentre Clio non emetteva un fiato e Riocard, livido, stava a capo chino.

“Evidentemente era disposto a togliere anche il Ministero alla famiglia, pur di punirmi. Riocard, ho odiato tuo padre per anni, ma non pensare che fosse un mostro, non lo era. Da una parte continuo a sperare che abbia avuto un motivo per farmi ciò che ha fatto, anche se lo ignoro. Non volevo che nessuno lo trovasse perché era di tuo padre quando morì, e l’avrebbero presa come una prova della mia colpevolezza. Così l’ho nascosto e ho fatto in modo che solo un Cavendish potesse aprire lo scrigno, ma non avevo fatto i conti con la mia curiosa e testarda figlia.”



 
 
 
“Credi che mio padre abbia ucciso il tuo?”
“No, gli credo, immagino. Non lo conosco bene, ma è sembrato sincero.”
Riocard si strinse nelle spalle, le mani nelle tasche mentre usciva da casa Cavendish con una Clio quasi preoccupata al seguito. All’improvviso però il giovane si voltò verso di lei, abbozzando un debole sorriso:
 
“Mi ha dato del tu?”
“Oh, scusami… cioè…”
“Non fa niente, va bene. Mi chiedo solo… chi possa essere stato, allora. Forse non lo capirò mai.”
Il mago alzò lo sguardo sul cielo stellato che sovrastava Londra mentre Clio scuoteva la testa con decisione, assicurandogli che di certo ne sarebbe venuto a capo, prima o poi.
 
“Lo spero. Nel mentre grazie per il tuo aiuto, e chiedi scusa a tua madre per… l’improvvisata. Meno male che non c’era Egan, non è un mio fan. Buonanotte Clio.”
Clio guardò il ragazzo farle il baciamano e si ritrovò malauguratamente ad arrossire copiosamente, mormorando un “Buonanotte” sommesso a sua volta prima di guardarlo scendere i gradini, attraversare il vialetto e uscire dal cancello prima di Smaterializzarsi.
Non aveva l’anello con sé, non gli importava: lo aveva lasciato ad Edward mormorando che era di nuovo della sua famiglia, per quanto lo riguardava.
 
 
“Eri disposto a fargli sposare Caroline pur di non farlo trovare?”
“Quando il contenuto di una casa viene dato in beneficenza, gli Auror la controllano da cima a fondo temendo che gli eredi possano giocare scherzi… con gli incantesimi giusti lo avrebbero trovato, Neit. E indovina chi sarebbe stato processato per omicidio? Per fortuna due anni fa non avevano prove, visto che ero il sospettato numero uno.”
Edward sbuffò mentre si rigirava il bicchiere di Whiskey tra le mani, e Neit annuì con un debole sorriso, mormorando che aveva ragione.
 
“Me lo chiedevo da sempre, perché il nonno ti disprezzasse. Mi dispiace. Non ne aveva motivi, per quello che vale penso che tu abbia fatto una scelta meravigliosa e molto coraggiosa.”
 
“... Grazie Neit.”
“A tal proposito, c’è una cosa che riguarda Carol che gradirei dirti…”


 
*
 
Il giorno seguente
 
 
“Ah, eccoti. Volevo informarti che stasera abbiamo tuo cugino e famiglia a cena.”
“Gentile da parte tua rendermelo noto il giorno stesso Penelope, ti ringrazio sentitamente.”
 
Robert alzò gli occhi al cielo mentre, tornato brevemente a casa per pranzare prima di tornare al Ministero, lasciava valigetta e sciarpa sul divano. Penelope, seduta con grazia e gli occhi fissi su di lui, abbozzò un sorriso eloquente mentre guardava il marito sfilarsi il cappotto.
“Beh, del resto sarebbe più facile avvertirti per tempo se non passassi molte sere a settimana fuori casa. Ma del resto l’hai sempre fatto anche quando i ragazzi erano piccoli, perché sperare in un cambiamento?”
“Penelope, ti prego, a volte a stento mi sopporti, lo dici tu stessa. Talvolta penso persino di farti un favore, non facendomi vedere!”
 
“Certo, emerito troll, come se me ne fosse mai importato di te… Il punto è che abbiamo due figli, ma hanno entrambi superato il quarto di secolo conoscendo a stento il loro padre. E dire che almeno Ezra ti vede al lavoro, tutto sommato è fortunato.”
 
Penelope finì di parlare con amarezza, lanciando un’occhiata torva al marito mentre guardava Robert girare sui tacchi con un sospiro esasperato e dirigersi verso la sala da pranzo. La strega stava tornando a concentrarsi sulla sua copia del Settimanale delle Streghe quando udì nuovamente il marito parlare, ormai fuori dalla stanza:
“Ti rendi conto di averli sempre messi contro di me, vero Pen?”              
“Ci hai pensato da solo, a metterti in cattiva luce. Avessi abbracciato una sola volta tua figlia da quando non è più una bambina…”
 
Robert non replicò e si allontanò facendo finta di nulla, ma Penelope seppe che aveva udito chiaramente le sue parole. E se avesse potuto guardarlo, forse avrebbe colto una debole nota di malinconia nello sguardo cinico del marito.
 
                                                                                             *
 
Ambrose Bouchard-Saint-Clair era cresciuto con ben tre sorelle minori a carico. Sorelle molto diverse tra loro ma che disgraziatamente condividevano tutte una cosa: una spiccata testardaggine.
Ambrose era un fratello maggiore da ormai 23 anni, da quando era nata Cassiopea. In tutti quegli anni aveva imparato, quando sentiva urla, strilli e liti furiose, a non osare avvicinarsi e a farsi gli affari propri (una volta era stato quasi colpito da una fattura entrando nella stanza di Cassiopea, e da allora preferiva stare alla larga dai battibecchi delle sorelle), ma quel giorno non poté esimersi: tornato brevemente a casa per pranzo, stava rovistando in camera sua per cercare dei rotoli di pergamena bianchi quando lo starnazzare infondo al corridoio divenne insopportabile.
 
“Si può sapere che diavolo state combinando, voi tre?!”
Il mago aprì la porta della stanza di Colleen quasi aspettandosi di trovare le tre con le bacchette sfoderate, ma si trovò, invece, a guardare la sorella minore seduta alla toeletta con le maggiori in piedi alle sue spalle con spazzole, forcine e orecchini in mano.
 
“Ambrose, che ti prende?”
“Cosa mi prende? Urlate così forte che vi si sente in Cornovaglia!”
“Non essere ridicolo, stiamo aiutando Cherry a prepararsi, ovviamente, da brave sorelle maggiori quali siamo.”
 
Ambrose aggrottò la fronte, spostando lo sguardo da una all’altra mentre Lady Ophelia saltellava sul pavimento annusando il parquet.
Se Cassiopea e Clara avevano unito le forze, doveva essere qualcosa di importante. O di molto grave.
 
“Che cosa devi fare, Cherry?”
“Che domande, deve vedere Thomas, quindi la facciamo carina. Non che tu di solito non lo sia, è ovvio.”
Cassy rivolse un sorriso carico d’affetto alla sorellina, che ricambiò mentre Clara sbuffava, asserendo che dovevano darsi una mossa, se non volevano far aspettare il cugino in eterno.
 
In un batter d’occhio le tre avevano ripreso a discutere su quali guanti, orecchini, collana e profumo mettere, e Ambrose decise saggiamente di battere in ritirata affrettandosi ad uscire dalla stanza: si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, scuotendo il capo e facendo i suoi migliori auguri ai poveretti che avrebbero dovuto sorbirsi le sue sorelle come consorti.
 
*
 
“Stamani mia madre ha detto che siete a cena da noi questa sera.”
“Veramente? Perché diamine non ne sapevo niente?”
 
“Non saprei, ma se ti consola io stesso l’ho saputo solo stamattina.”
 
Ezra si strinse nelle spalle mentre Neit, seduto di fronte a lui ad un tavolino del caffè interno al Ministero, alzava gli occhi al cielo. Il cugino lo guardò in tralice e gli domandò, tra un boccone e l’altro, se per caso intendesse dare una certa notizia alla famiglia, quella sera.
“Alla famiglia… parola grossa, Ezra. C’è forse qualcuno che non ne sia al corrente, tuo padre e mia madre?”
Neit inarcò un sopracciglio, scettico, e il cugino ed ex compagno di Casa sorrise, quasi divertito:

“Neit, ti illudi che tua madre non lo sappia? Lei e la mia sono amiche molto intime, secondo te Penelope Cavendish non è corsa a dirglielo? Figuriamoci, ha evitato di appendere dei manifesti in casa solo per via di mio padre.”
“Hai ragione, scordavo quanto quelle due siano pettegole. Ma cosa c’è di così divertente, nel fare pettegolezzi… non lo comprenderò mai.”
“Mia madre sostiene imperterrita che si tratti di una nobile arta compresa solo dalle più fini menti… Valla a capire. Se non fosse una donna di spicco avrebbe già fondato un giornale scandalistico, fidati. Ad ogni modo, ci ho riflettuto appieno e sono giunto alla conclusione che tu e Caroline avete la mia benedizione.”
“Quale onore… il fratello minore più protettivo che io abbia mai conosciuto. Anzi, mi correggo, tu ed Egan fate a gara.”
Neit abbozzò un sorriso mentre guardava, divertito, il cugino pulirsi le labbra con eleganza e infine stringersi nelle spalle, il gomito destro poggiato sullo schienale della sedia mentre gli si rivolgeva con tono neutro:
 
“Non serve che ti dica quanto mia sorella sia importante per me. Ed è la persona più dolce e di buon cuore che io abbia mai conosciuto… Non ho mai voluto che qualcuno la ferisse, tutto qui. Si merita tutto l’affetto che è in grado di dare.”
“Lo so.”
“Sì, so che lo sai, e so anche che siamo i più svegli della famiglia, quindi sarò franco: sei mio cugino, ti voglio bene e ti stimo molto, ma se vedo mia sorella versare mezza lacrima per te le mie abili mani nell’arte delle Pozioni e dei veleni potrebbero scivolare su un tuo bicchiere di Whiskey.”
“Prometto solennemente che non ce ne sarà bisogno.”


Neit sorrise e, preso il suo bicchiere piantando il gomito fasciato dalla giacca blu sul tavolo, lo inclinò verso il cugino. Ezra esitò ma dopo un paio di istanti lo imitò, facendo tintinnare i bicchieri con un sorriso:
“Beh, alla nostra stramba famiglia allargata. E ora, per onorare le nostre madri, passiamo ai pettegolezzi. Dimmi, come se la passa il nostro Egan con la Saint-Clair?”
“Tragedia, Ezra. Tragedia. Ho la preoccupante sensazione che questa volta non sia solo per via del bel visino della signorina…”
“E se gli piacesse veramente? Insomma, i vostri padri si odiano.”
“Oh, lo so. Penso che sia la volta buona in cui mio fratello farà finire papà al San Mungo…”
 
*
 
Elizabeth stava strigliando il manto baio del suo cavallo con inesorabile lentezza, quel pomeriggio: lei e Cassiopea avevano in programma una passeggiata, ma l’ex Serpeverde – già vestita di tutto punto per montare – aveva la testa altrove e ci stava mettendo più tempo del dovuto per preparare Enea.
Continuava a pensare a suo padre, e a come la sera prima avesse annunciato una rapida visita in Francia programmata per il giorno successivo. Persino sua madre lo aveva guardato con la fronte aggrottata, visibilmente scettica, ma Theseus non si era dilungato in molte spiegazioni e aveva assicurato che sarebbe stato via solo per qualche ora.
Di tanto in tanto le capitava anche di pensare ad un giovane avvenente e dai capelli rossi, ma continuava a scacciarsi quell’immagine dalla mente con testardaggine inesorabile.
 
“Papà, se proprio devi prenderti un giorno lontano dal Ministero forse sarebbe meglio che tu ti riposassi..”
“Lizzy, tornerò entro la fine della giornata con una Passaporta, non è nulla di che. Non preoccuparti.”

 
Il Ministro le aveva sorriso rassicurante, ma Elizabeth lo aveva guardato ritirarsi poco dopo aver cenato con una buona dose di scetticismo. Aveva persino condiviso i suoi dubbi con la madre, ma al solito Astrid aveva liquidato il discorso in fretta assicurandole che suo padre sapeva cosa faceva, e che di certo doveva trattarsi di qualcosa di importante, se lasciava il Paese così di punto in bianco.
 
 
“A chi sta pensando, Miss Elizabeth? Al tuo cavaliere dagli occhi lucenti?”
“Non mi risulta di conoscerne, di cavalieri dagli occhi lucenti. E soprattutto… non ne ho bisogno.”
Elizabeth lanciò un’occhiata eloquente alla cugina, che la raggiunse sorridendo divertita e con le braccia esili strette al petto. Cassiopea, a sua volta pronta per salire a cavallo, attraversò la stalla e si fermò accanto ad Enea, carezzandone il muso striato di bianco prima di rivolgersi di nuovo alla cugina:
 
“No, sul serio, a cosa stai pensando? In genere prepari Enea in un lampo, e devi ancora mettergli le briglie!”
“Lo so, scusa, mio padre è andato a Parigi oggi, e mi chiedo perché.”
“Non pensarci, sarà roba da politici… come se a noi povere figlie femmine raccontassero qualcosa di affari, figuriamoci!”
“Non sono sicura fosse per lavoro, ad essere onesta. Tua madre ne sa nulla?”
“Non credo, o almeno a noi non ne ha fatto cenno. Anche lei però è un po’ preoccupata per lui, sai, lo vede molto stressato per il lavoro e per… beh, insomma, lo sai.”


Cassy esitò, evitando di menzionare la misteriosa morte dello zio che stava lentamente logorando Theseus mentre Elizabeth, annuendo, poggiava la striglia marrone per prendere il nettapiedi*. Chinandosi leggermente, la strega picchiettò con delicatezza il retro del ginocchio anteriore sinistro del cavallo, invitandolo a sollevare lo zoccolo.
“Ti dispiace darmi una mano? Così finisco prima.”
“No, certo. Prendo la sottocoperta e la sella.”
 
*
 
 
“Oh, per chi sono quei bei fiori?”
Thomas ricambiò il sorriso della madre, guardando Astrid avvicinarsi a lui e al mazzo di peonie rosa che teneva in mano.
“Credo che tu già lo sappia mamma, sei una donna molto sveglia.”
“Ti ringrazio caro… Ma se pensi di uscire di casa con tutti questi peli sui vestiti in mia presenza, ti sbagli.”
 
Thomas roteò gli occhi chiari ma non osò muoversi, lasciando che la madre pulisse magicamente il suo bel completo elegante ma pieno, come sempre, di peli di animali qua e là, tra cui le amabili volpi della sorella minore che adoravano accoccolarglisi in grembo.
 
“Oh, non fare quella faccia Thomas, lo faccio per te! Vuoi andare a portare dei fiori ad una signorina ricoperto da peli e piume?”
“Onestamente non so quanto Colleen ci farebbe caso… Ad ogni modo, grazie per la premura. Ci vediamo più tardi.”
 
Thomas sorrise e si chinò per darle un leggero bacio su una guancia, guardandola sorridergli con affetto prima di augurargli un buon pomeriggio.
“Thomas? Ti voglio bene, lo sai vero?”
“Certo mamma. Forse dovresti solo… dirlo un po’ più spesso a Lizzy, però.”
 
Thomas, ormai in piedi sulla porta d’ingresso, abbozzò un sorriso in direzione della madre e la guardò annuire, quasi cupa, prima di voltarsi e uscire definitamente di casa.
 
*
 
 
Parigi, Istituto d’Alchimia Nicolas Flamel
 
La sala era vuota, e i suoi passi echeggiarono sul pavimento lastricato di marmo bianco mentre, sfilandosi il cappello nero, si avvicinava al grande quadro dalla cornice d’oro che raffigurava una giovane donna dai lunghi capelli rossi e una veste verde bosco addosso.
Una donna che ricambiava il suo sguardo, studiandolo avvicinarlesi affiancato da due Auror.
Deirdre aveva già visto una scena molto simile, in effetti.
Esattamente due anni prima.
 
 
1810
 
“Salve.”
“Oh, salve. Nessuno di voi mi ha fatto visita per anni e adesso due di voi nell’arco di meno di un decennio… mi sento lusingata.”
Diedre gli sorrise e Rodulphus, le mani nelle tasche del lungo cappotto nero, ricambiò il suo sguardo con vivo interesse, studiando il bellissimo volto della strega di cui aveva sentito tanto parlare da sua zia, anni prima.
 
“So che hai conosciuto mia sorella Amethyst.”
“Sì, ma non mi riferivo a lei. Tu perché sei qui?”
“Mia zia ci ha parlato moltissimo di te, e già che ero a Parigi non sono riuscito a tenere a freno la curiosità.”
 
 
“Salve Deirdre… Sono Theseus Saint-Clair.”
La strega, che nel ritratto dimostrava circa dieci anni in meno di lui, gli sorrise quasi fosse felice di avere visite e di conoscerlo, studiandolo con uno sguardo intelligente e fatto di puro magnetismo.
“Sei il fratello di quell’altro? Rodulphus?”
 
Theseus deglutì e annuì piano con un tuffo al cuore, quasi sorpreso di aver dubitato di sua zia quando Gwendoline gli aveva suggerito che il fratello potesse aver fatto visita alla loro antenata. Del resto, quella donna non sbagliava quasi mai.
 
“Sì. In effetti sono qui per chiederti perchè è venuto da te, due anni fa. E’ morto subito dopo essere tornato da Parigi, quella stessa notte.”
“Oh. Mi dispiace.”


Il sorriso svanì dal volto pallido e levigato, come porcellana, della strega, ma Deirdre si riprese in fretta e inclinò la testa, guardandolo con viva curiosità:
 
“Aveva un paio di domande da farmi, come tutti voi del resto.”
 
 
“Hai davvero ucciso tuo marito?”
“Sì. E’ solo questo che volevi chiedermi?”
 
“Mio padre… diceva che in parte erano solo storie, mi sono sempre chiesto se fosse accaduto realmente.”
“Certo che è accaduto realmente. In effetti è ironico che questo ritratto si trovi a Parigi, dal momento che per anni è stata la mia prigione… Ma Nicolas ci teneva.”
 
Deirdre si strinse nelle spalle e Rodulphus, studiandola con attenzione, le fece un’altra domanda:
 
“Mia sorella diceva che quando ti conobbe e ti disse della morte dei nostri genitori, tu le dissi che molti uomini della nostra famiglia sono morti prematuramente.”
“E’ così, il mio primogenito è morto ad appena trent’anni, si ammalò gravemente.”

 
“Mio padre non ha avuto un incidente, però. Sono sicuro che sia stato ucciso.”
“Su questo non ti posso aiutare, Rodulphus. Certo è che col tempo siete diventati una famiglia molto influente, e il denaro e il potere attirano guai, è inevitabile.”



Deirdre parlò senza battere ciglio e l’uomo sospirò, chinando il capo mentre stringeva il cappello di feltro che teneva in mano.
 
“Ma se vuoi saperne di più sulla famiglia, posso dirti dove devi guardare, Rodulphus.”

 
 
“Mio fratello è stato ucciso, non è stato un incidente.”
“Disse che anche per vostro padre è stato così.”
 
Le parole della strega sembrarono colpire l’uomo nel vivo, perché Theseus deglutì e distolse in fretta lo sguardo, parlando a mezza voce mentre stringeva il cappello tra le mani.
Guardandolo, Deirdre non poté fare a meno di pensare al suo defunto fratello maggiore.
“Io… io non ne ho idea. Le cause dell’incidente sono rimaste poco chiare.”
“Tuo fratello sembrava interessato al fatto che molti uomini della nostra famiglia muoiano prematuramente, in un modo o nell’altro. In effetti, è stato così anche per lui e per vostro padre, stando a quanto mi dici. Io gli dissi che per saperne di più poteva consultare l’unico nostro albero genealogico completo e assolutamente affidabile.”
 
“E dove si trova? Non ne ho mai sentito parlare.”
Le labbra di Deirdre di distesero in un dolce sorriso, e la strega annuì mentre lo guardava quasi divertita:
 
“Si trova qui a Parigi, perciò penso che tuo fratello sia andato a cercarlo, dopo aver parlato con me. Al Ministero, nell’archivio delle famiglie magiche francesi.”
“Ma sei stata tu a portare la magia nella famiglia, e non sei… non eri francese.”
“Ma i miei figli legalmente lo sono stati, e sono stati loro i primi veri Saint-Clair maghi, per questo si trova qui. Non ne sono sicura, ma forse consultarlo ti aiuterà a capire qualcosa di più su tuo fratello, Theseus.”

 
*
 
Esattamente come si conveniva ad un giovane della sua posizione, Ezra sedette solo dopo aver scostato la sedia della sorella, seduta di fronte a lui. Poi fece il giro del tavolo e prese posto accanto a Neit, ignorando deliberatamente il sorriso che lui e Caroline si scambiarono.
Sedette, si sistemò il tovagliolo di lino sulle ginocchia, e solo allora posò lo sguardo sui piatti che aveva dinanzi.
 
Un’ombra di terrore oltrepassò il bel volto del giovane mago, che deglutì e sollevò di scatto lo sguardo sulla sorella maggiore, chiedendosi se anche lei fosse stata colta dallo stesso pensiero.
“Ezruccio, che hai?”
 
Il ragazzo ignorò il commento cantilenante di Egan, mandandolo mentalmente al diavolo prima di voltarsi di scatto verso sua madre, che stava chiacchierando amabilmente con Estelle.
Edward non sembrava avere molta voglia di conversare e fissava il suo bicchiere ancora vuoto tamburellando e dita sulla tovaglia bianca, forse desiderando che si riempisse da solo magicamente.
Robert, invece, sembrò avere lo stesso pensiero del figlio, perché sfoggiò una smorfia e poi lanciò un’occhiata preoccupata in direzione della moglie.
 
“Ezra, che ti prende?”
Alla domanda di un Neit sempre più perplesso Ezra deglutì, voltandosi verso il cugino prima di sibilare qualcosa a mezza voce:
“I piatti! Non è… non è il servizio buono!”
“E quindi?! Da quando ti intendi di piatti, scusa?”
“Da mai, ma questo… questo servizio è un dono nuziale da parte della prozia di mio padre. Mia madre la odiava, diceva che era una vecchia ficcanaso, e muore dalla voglia di liberarsi di questo servizio di piatti da anni.”
 
Neit, dal canto suo, continuava a non capire cosa ci fosse di così preoccupante, mentre Ezra e Caroline invece osservavano intimoriti la madre.
“Carol, mi dici che succede?”
Il giovane, sportosi verso la cugina, parlò con la fronte notevolmente aggrottata mentre Egan addentava un grissino sotto gli occhi fiammeggianti della madre, che gli intimarono di essere educato mentre Clio, come il padre, appariva più assente che mai.

“Beh, ecco… quando mia madre serve con dei piatti che detesta, c’è sempre il rischio che progetti di lanciarli contro mio padre, ad essere del tutto onesti.”
 
Neit, accigliato, guardò lo zio. Per lo meno ora si spiegava la sua espressione intimorita e il suo progressivo spostarsi cautamente dalla moglie di qualche centimetro.
 
*
 
“Scusa papà, vorrei… parlare qualche minuto con lo zio, se non ti dispiace.”


Edward e Robert erano coinvolti in una fittissima discussione a mezza voce, seduti su due poltrone vicine ed entrambi con un sigaro fumante in mano.
I due cugini alzarono simultaneamente lo sguardo su Neit, smettendo improvvisamente di parlare, ed Edward esitò prima di annuire e alzarsi. Spense il sigaro premendolo sul posacenere di cristallo e, dopo essersi rassettato la giacca, mormorò al cugino che avrebbero ripreso il loro discorso più tardi prima di superare il figlio e uscire dalla stanza.
Edward si era appena chiuso la porta dello studio alle spalle quando Robert, seduto con le gambe accavallate e il sigaro ancora in mano, rivolse un lieve cenno del capo al nipote guardandolo con curiosità:
 
“Prego, siediti Neit.”
L’Indicibile obbedì e prese il posto lasciato vuoto dal padre sulla poltrona di pelle, rifiutando con un cenno il sigaro che lo zio mentre accavallava le lunghe gambe a sua volta, intrecciando le dita delle mani in grembo con i gomiti poggiati sui braccioli.
“Di che cosa vuoi parlarmi?”
“Di Caroline.”
 
“Chissà perché lo immaginavo. Beh, ti ascolto.”


*
 
 
“Cassy?”
“Dopo pranzo è andata dagli zii, e mi ha mandato un gufo per dirmi che si fermava a cena da loro. Colleen è con Thomas.”
“Sì, me l’aveva detto. Sembra che i nostri sforzi non siano stati vani… che cosa ne pensi, a proposito?”
 
Clara sedette accanto alla madre sul divanetto di vimini posto sotto al portico di casa, e guardò Amethyst allungarle la coperta sulle ginocchia mentre delle lanterne magiche illuminavano il giardino già buio a causa dell’inverno imminente librandosi a mezz’aria.
“Voglio bene a Thomas, è un ragazzo meraviglioso. Se a tua sorella piace non posso che rallegrarmene, ovviamente.”
“Confesso che all’inizio il fatto che siamo cugini mi faceva un po’ strano… la sola idea di pensare a Riocard in quel senso mi fa rabbrividire!”
Amethyst ridacchiò di fronte alla smorfia della figlia, sorridendole divertita prima di ricordarle che il cugino fosse uno “scapolo molto ambito”.
“Me ne rendo conto, ma siamo cresciuti insieme, eravamo anche compagni di Casa ad Hogwarts… quando lo zio veniva se lo portava sempre dietro, e io mi infuriavo con lui ed Ambrose perché volevo giocare insieme a loro.”
“Me lo ricordo molto bene, eri già testarda come un mulo all’epoca. Non sai le battaglie mie e delle tate per costringerti a mettere quei bellissimi abitini…”
La donna alzò gli occhi al cielo mentre la figlia, al contrario, sfoggiò una smorfia quasi disgustata.
 
“Sai perché ho sempre adorato lo zio Rod? Giocava sempre con noi, e non si può dire che siano molti, gli uomini a farlo, in famiglie come le nostre. E non mi trattava come una bambolina da esposizione.”
“Lo zio vi adorava, anche se ovviamente tu eri la sua preferita… Voleva tanto avere una bambina dopo Ric, sai? Ma Alexis non è più rimasta incinta. Credo che lei non lo volesse, ed è stato un forte punto di rottura tra di loro, immagino.”
 
“Perché non ha voluto?”
Clara aggrottò la fronte, perplessa, e guardò la madre sorriderle quasi divertita, asserendo che ne avrebbero riparlato dopo averla vista partorire.
“Con calma mamma, con calma. E se anche fosse, non penso proprio di avere intenzione di sfornare quattro marmocchi come hai fatto tu.”
“E’ stato un vero inferno crescervi tutti con così pochi anni di differenza, ma anche la miglior esperienza della mia vita. L’eterno dilemma di essere madre, immagino.”
 
*
 
 
“Di che parlerà Neit con tuo padre?”
Quando Egan, sedendo accanto al cugino, si premurò di scompigliarli completamente i capelli scuri tendenti al riccio Ezra alzò lo sguardo dal suo libro per scoccargli un’occhiata di fuoco, scostandogli la mano con stizza:
“E poi sarei io, lo zuccone… gli starà dicendo di lui e mia sorella, no?”
“Scusa tanto, Mr Simpatia… Le signore giocano a carte, su, raccontami qualcosa.”
 
 
Estelle, Merlino quanto sei scarsa! Alla prossima facciamo madre e figlia, così forse smetterò di perdere.”
Penelope, seduta insieme a figlia, nipote e amica al tavolo quadrato da Bridge, scoccò un’occhiata torva alla donna che le stava di fronte mentre Caroline abbozzava un sorriso, celando una risata.
Edward, intanto, aveva lasciato Neit e Robert soli e, assorto, era in piedi accanto al camino. Di tanto in tanto Clio distoglieva lo sguardo dalle carte per lanciargli un’occhiata, guardando la figura del padre stagliarsi contro le fiamme.
“Attribuire sempre agli altri la colpa di un tuo fallimento è davvero da te, Penny… lo facevi anche ad Hogwarts quando giocavamo a Gobbiglie, se non erro.”  
“Non nominare quel gioco, sono ancora furiosa con quel bigotto del Preside!”
 
Penelope sbuffò, stizzita, e l’ex Tassorosso le si rivolse con sincera curiosità, spalancando gli occhi azzurri:
“Perché zia?”
“Perché non mi ha permesso di entrare nel dannato Club! Le donne non sono ammesse, vecchio rimbambito…”
 
 
“Sì, la zia Penny non era molto felice del fatto che noi non potessimo far parte di nessuna associazione… Avrebbe anche voluto scrivere sul giornalino, ma probabilmente non te lo permisero non perché eri una ragazza, ma perché avresti distrutto chiunque con la tua lingua tagliente.”
Estelle sorrise dietro alle carte, e Clio e Caroline ridacchiarono mentre Penelope alzava il mento con aria di superiorità, asserendo che sarebbe stata senza dubbio una giornalista eccezionale. Era solo nata nell’epoca sbagliata.
 
 

“Ezruccio, che ne pensi di giocare a carte?”
“No grazie, detesto i giochi di carte.”
“Li detesti o non ci giochi perché sono una delle poche cose in cui non eccelli, oltre allo sport? Persino una ragazzina del secondo anno di Hogwarts ti batterebbe a carte.”


Egan sghignazzò divertito, ma le sue risa ebbero vita breve: un attimo dopo il cugino lo colpì sulla spalla con la spessa copertina di pelle del suo libro “La Politica francese del 700”, generando sonore lamentele.
 
“E smettila di chiamarmi Ezruccio! Ho una dignità, io. Hai più visto la tua ultima conquista più improbabile, comunq-“
L’ex Corvonero non finì la frase, perché Egan gli tappò provvidenzialmente la bocca con una mano, scoccandogli un’occhiataccia prima di lanciare uno sguardo al padre, che però sembrava essersi estraniato completamente dal contesto e probabilmente non lo aveva sentito.
“Parla piano, per Merlino! E comunque no. Forse è meglio così.”


“Forse, ma in genere perdi rapidamente interesse, specie se non vedi la signorina in questione per un po’… strano che questa volta sia diverso, no?”
Le labbra di Ezra si incurvarono in un debole sorriso che il cugino non ricambiò, lanciandogli un’occhiata tetra prima di sbuffare torvo.
Odiava dare ragione ad Ezra.
 
*
 
 
“Tutto bene? Sei distratto.”
Edward si voltò e si ritrovò a sorridere immediatamente alla moglie, annuendo mentre Estelle gli accarezzava il braccio con affetto.
 
“Certo. Pensavo solo a mio padre.”
“A tuo padre? Perché?”
Estelle aggrottò la fronte, perplessa nel sentirgli anche solo menzionare George, ma Edward sorrise e tornò a guardare le fiamme senza battere ciglio.
 
“Niente di particolare. Domani vado a trovare mia madre, non vorrei che si sentisse troppo sola.”
“Vengo con te, se vuoi. Povera Gwendoline… non so come farei, se dovessi trovarmi senza di te.”
Estelle appoggiò la testa sulla sua spalla e sospirò piano, facendo sorridere il marito mentre le sfiorava distrattamente i capelli.
 
 
“Clio, a cosa pensi?”
“Mh? Scusa, oggi ho parlato con mio padre di una cosa che mi ha fatto un po’ riflettere. A volte scordo quanto siano fortunati i miei genitori.”
“Io paragonandoli ai miei non lo potrei mai dimenticare.”


Caroline abbozzò un sorriso malinconico, anche se il pensiero di Neit riuscì a rincuorarla mentre la cugina le sorrideva con affetto e le sfiorava il braccio coperto dal lungo guanto color perla:
 
“Sarai più fortunata. Forse quanto lo sono stati i miei genitori.”


Andava ripetendolo da tutta la vita, Clio Cavendish, che i suoi genitori erano stati fortunati. Quel giorno però, la giovane aveva compreso che non si era affatto trattato di fortuna. L’ex Tassorosso guardò il padre e la madre sorridersi davanti al camino mentre Ezra ed Egan battibeccavano e Penelope minacciava di metterli in castigo come da bambini, e realizzò che era tutto merito di suo padre. Non si era affatto trattato di fortuna, ma solo di una scelta che Edward aveva preso solo per amore di Estelle.
 
 
“Perché non glielo dici? Dovrebbe sapere. L’hai fatto solo per lei. Per sposarla. Ne sarebbe felice, è la più grande prova d’amore di cui io abbia mai sentito.”
Clio guardava suo padre senza comprenderlo, rimasti soli nel suo studio. 

Edward però scosse il capo e le rivolse un debole sorriso, stringendosi nelle spalle:
 
“A cosa servirebbe dirglielo? Non me ne pento, è chiaro, ma ciò che ho fatto ha tolto alla nostra famiglia ciò di quanto più prezioso avevamo… e non parlo solo del Ministero. Mio padre mi disprezzò per questo, e non l’ho mai rivelato a nessuno per paura che altri l’avrebbero pensata allo stesso modo.”


“Se il nonno ti ha davvero disprezzato solo per questo, allora era… mi dispiace, ma per quanto mi riguarda è lui ad aver sbagliato, a non aver capito. Ti ha punito solo perché amavi la mamma, come si può punire qualcuno così a lungo solo per amore?”
“Ho provato a dirglielo, a fargli capire, ma tuo nonno non voleva vedere. I suoi vedevano solo una cosa: io avevo venduto il nostro cimelio più prezioso ai Saint-Clair. Gli dissi che l’avevo fatto per Estelle, ma penso che abbia sempre creduto che io gli stessi mentendo e che in realtà Rodulphus mi avesse offerto un’ingente somma di denaro. Chiaramente non è così, non mi diede e non gli chiesi un centesimo.”


“Ma papà… Rodulphus non voleva sposare la mamma, no? Insomma, non gli importava, era una ragazza come un’altra per lui, no? Perché ti ha sottoposto ad una richiesta simile?”
Edward le sorrise e allungò una mano per prendere quella della figlia, rivolgendole un’occhiata colma d’affetto:
“Tesoro, tu sei dolcissima… Ma Rodulphus sapeva benissimo quello che faceva. Facendomi quella richiesta, o meglio sottoponendomi a quella sorta di ricatto, sapeva che se avessi acconsentito mio padre mi avrebbe disprezzato. Col tempo ho realizzato che non gli importava davvero dell’anello… Voleva solo allontanarmi da mio padre, per un motivo che non ho mai compreso.”
“Ma non eravate grandi amici, prima?”
“Lo eravamo, e lo siamo rimasti. Ci siamo allontanati del tutto solo quando lui ha accettato di diventare il successore del nonno… Per molti anni ho cercato di perdonarlo dicendomi che infondo avevo sposato Estelle e che la cosa più importante era quella. Ho cercato di non vedere, come ha fatto il nonno, ma quando ha accettato la sua proposta è stato impossibile. E a quel punto non ho davvero potuto perdonarlo.”



“Ma perché tanto risentimento se eravate amici? Insomma, eravate anche cugini di primo grado. Una famiglia.”
“Onestamente no ne ho idea, da ragazzini eravamo molto legati… ma devo ammettere che cambiò molto, quando i suoi genitori morirono. Anche nei miei stessi confronti.”

 
 
“Oh, eccoti. Allora?”
 
Clio si ridestò e si voltò a sua volta quando udì Caroline rivolgersi a suo fratello gemello quasi con leggera apprensione, guardando Neit raggiungerle sistemandosi la giacca prima di abbozzare un sorriso alla ragazza e sedere accanto a lei.
“Non ha fatto salti di gioia, non che me lo aspettassi, ma non ha reagito male.”
“Ha borbottato che tutto sommato gli è andata bene?”
“In effetti sì.”
“Beh, allora possiamo considerarlo un grande traguardo. Sono felicissima per voi! Zia Penny, dobbiamo festeggiare!”
“Il barbagianni ha mosso qualche protesta?”
Penelope, che stava rimescolando magicamente le carte per sfidare Estelle e dimostrarle di essere più abile di lei, aggrottò la fronte e si fece improvvisamente seria, osservando Clio, Neit e Caroline con attenzione mentre la figlia, sfiorando la mano del ragazzo, abbozzava un sorriso:
“No mamma.”
“Sarà meglio per lui, l’antifona dei piatti ha funzionato, evidentemente… Ah, come sono contenta, ora non mi resta che sistemare Ezra. Tesoro mio, quando mi presenti una ragazza?”
 
 “Mamma, per portare una ragazza in questo covo di pazzi dovrei quantomeno odiarla e desiderare di farla fuggire.”


*
 
Rodulphus aveva ordinato agli Auror che lo avevano accompagnato di aspettarlo fuori, ed era entrato da solo nell’archivio. Aveva lasciato che un anziano mago dai capelli candidi come la neve prendesse un grosso libro dalla copertina di pelle rilegata a mano per depositarlo su un leggio dopo averlo aperto
Alla fine l’uomo si era congedato con un cenno educato, uscendo dalla stanza e chiudendosi la pesante porta alle spalle.
 
Rodulphus per qualche istante non si mosse, osservando accuratamente le pagine intonse – anche se ingiallite dal tempo – prima di versare un po’ di ceralacca rossastra in alto a sinistra della prima pagina dal contenitore d’oro che gli era stato lasciato. Il Ministro allungò la mano destra e la ruotò, premendo la superficie del suo anello, donatogli dal padre quando aveva compiuto 17 anni come da tradizione, sulla ceralacca.
 
 
“Merci.”
 Theseus abbozzò un sorriso grato all’anziano mago dopo che il francese ebbe tirato fuori per lui il libro giusto, posizionandolo su un alto leggio di legno posto al centro della stanza per poi lasciargli un contenitore d’oro a forma di lampada ad olio.
Gli Auror che lo avevano accompagnato erano fermi e in silenzio alle sue spalle, e Theseus guardò il libro stringendo la lampada in mano prima di versare un po’ di ceralacca in una angolo della pagina.
Il Ministro guardò l’anello che portava al dito ogni giorno da trent’anni, un anello d’oro con lo stemma di famiglia che suo padre non aveva avuto il tempo di far creare per lui: era stata sua zia a donarglielo, invece, quando aveva compiuto 17 anni.
 
Cercando di non pensare al padre, Theseus premette la superficie levigata e incisa del gioiello sulla ceralacca, e fu con un debole sorriso meravigliato che vide, poco dopo, delle particolari figure tridimensionali prendere forma sulla carta.
 
 
Ogni membro della famiglia appariva sottoforma di una rosa rossa, sotto alla quale si attorcigliava un nome, seguito da delle date che ne segnavano la nascita e la morte. Le persone rappresentate dall’albero genealogico che non erano più in vita apparivano come delle rose appassite, quasi annerite.
Rodulphus guardò, affascinato, delle sottili linee nere allungarsi dai nomi dei figli di Deirdre – Raigan, Brogan e Saoirse – andando a disegnare un’intera dinastia.
Fu con un sorriso che guardò i nomi di suo padre e di sua zia prendere vita. E poi quello di Riocard Saint-Clair legarsi ad Iphigenia Rowle, creando altre tre rose – rosse e vive, a differenza di quelle dei suoi genitori – che andarono a riportare il suo nome e quello dei suoi fratelli.
 
Guardando le date, in effetti, erano molti gli uomini ad essere morti prima del dovuto. Ma ben presto Rodulphus – che da anni quasi viveva nel terrore di patire quella stessa sorte – fu costretto a catalizzare l’attenzione su un altro particolare.
Dalle tre rose se ne stavano creando altre, disegnando i figli che lui, Theseus e Amethyst avevano avuto.
 
La lampada d’oro cadde dalle mani del Ministro provocando un tonfo metallico che echeggio nella stanza vuota, ma Rod non ci badò. Afferrati i bordi del libro boccheggiò, gli occhi azzurri spalancati, stentando a credere alla sua stessa vista.
No. Non poteva essere.
 
 
“Non… non è possibile…”  Theseus deglutì a fatica, quasi non sentendo la lampada cadergli dalle mani e provocare un gran fracasso, tanto che entrambi gli Auror che lo affiancavano gli domandarono, preoccupati, se si stesse sentendo male.
Ma Theseus non rispose, gli occhi quasi lucidi fissi sul più grande errore su cui avesse mai posato lo sguardo.
Perché doveva esserlo per forza, anche se una parte di lui sapeva che il libro non poteva sbagliare.
 
 
 
“PUTTANA!”


In un impeto di rabbia Rodulphus chiuse il libro e lo scagliò sul pavimento di pietra dell’antica sala, poi si voltò e quasi corse fuori dalla stanza, seguito dagli Auror che gli domandarono invano cosa stesse succedendo.
“Torniamo in Inghilterra. ADESSO!”
 
 
*
 
Deirdre sospirò, annoiata, mentre guardava attraverso la finestra a lei più vicina della biblioteca. Pioveva a dirotto, era davvero una terribile giornata, e nessuno aveva voglia di intrattenersi a chiacchierare con lei.
 
O almeno finchè un particolare suono non attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi: una donna vestita elegantemente procedeva verso di lei a passo sicuro, con il bastone da passeggio – puramente ad uso estetico, visto che la strega dai capelli ramati di certo non era abbastanza anziana da averne bisogno – che provocava tonfi sordi e perfettamente cadenzati sul pavimento lucido.
All’improvviso Deirdre sorrise, divertita, e focalizzò su di lei tutta la sua attenzione: finalmente qualcosa di interessante in una giornata tanto tediosa. Senza contare che era da parecchio che un parente non le faceva visita.
 
“Salve Deirdre. Ti ricordi di me?”
“Come dimenticare. Sei più vecchia, ma mi ricordo benissimo di te. Come posso aiutarti, Gwendoline Saint-Clair?”
 
Gwendoline si fermò davanti a lei, le mani guantate fisse sull’impugnatura del bastone e l’elegante cappellino color crema sul capo. Le due si scrutarono per qualche istante e alla fine Gwendoline parlò, senza alcuna esitazione:
“Ho delle altre domande da farti. Sul veleno che uccise tuo marito.”
 
*
 
 
La porta si aprì con un leggero cigolio, e Theseus entrò nella casa già quasi del tutto buia senza far rumore. Si sfilò il cappello e lo lasciò ad un Elfo senza dire una parola, dirigendosi con sguardo vitreo verso le scale  mentre la figlia lo raggiungeva di corsa dal salotto, l’unica stanza ancora illuminata, con un largo sorriso sul volto:
 
“Papà, sei tornato! Come stai? Vuoi che ti faccia preparare qualcosa? Thomas già è salito, ma io volevo aspettare che tornassi.”
“Non ora, Elizabeth. Sono stanco.”
 
“D’accordo…”
La giovane si fermò di colpo, leggermente ferita e sorpresa dal tono con cui il pane le si era rivolto, liquidandola senza neanche guardarla. Tuttavia non osò seguirlo, restando ferma nell’atrio e guardandolo salire le scale prima di voltarsi e, amareggiata, tornare a leggere alla luce delle candele insieme a Phobos e a Deimos.
Forse in quella casa le sue volpi erano le uniche a prestarle davvero attenzione, dopotutto.
 
*
 
 
I loro ospiti erano andati via da poco e Caroline, dopo aver chiacchierato un po’ con Ezra, stava per andare a cambiarsi per la notte quando venne intercettata da un richiamo di suo padre.
“Caroline?”
“Sì?”


La strega, in piedi e a metà della rampa di scale, si fermò con una mano sul corrimano e l’altra impegnata a tenere un lembo del suo vestito abbastanza sollevato da non pestarne la gonna di raso. Caroline abbassò lo sguardo sul padrone di casa, guardandolo in piedi quasi sotto di lei con le mani nelle tasche dei pantaloni e gli occhi scuri fissi nei suoi.
 
“Immagino che te l’abbia detto, ma Neit… mi ha parlato, ecco. E… suppongo che vada bene.”
Caroline esitò, sinceramente sorpresa nell’udire quelle parole, ma si riprese in fretta e annuì, abbozzando un sorriso in direzione del padre:
“D’accordo. Grazie. Buonanotte papà.”


La strega riprese a salire le scale un po’ più allegra di quanto non lo fosse stata fino a poco prima, e Robert la guardò finchè non sparì dal suo campo visivo prima di voltarsi e tornare nel suo studio.
 
*
 
Theseus salì le scale lentamente, accarezzando il corrimano con le dita pallide mentre raggiungeva quasi senza riflettere la propria camera da letto.
Quando varcò la soglia della stanza – quasi buia, a parte per due candele accese sul comodino suo e quello della moglie – il Ministro si sfilò il cappotto, lo lanciò sul letto e chiuse la porta.
“Ciao caro, arrivo subito!”
La voce di Astrid giunse alle sue orecchie dal bagno privato, ma Theseus non rispose, limitandosi a chiudere la porta con giro di chiave prima di avvicinarsi lentamente al proprio letto.
 
 
Quando Astrid giunse sulla soglia della stanza in camicia da notte e vestaglia si fermò, sorpresa nel vederlo steso sul letto perfettamente vestito, poggiato contro lo schienale del baldacchino e con occhi e bacchetta puntati su di lei, mortalmente serio.
 
“Ciao Astrid. Penso che sia il momento di parlare.”
 
 
 
 
 
 
 
 
*nettapiedi: “raschietto” a forma di uncino che viene usato per pulire gli zoccoli dei cavalli.
 
 
 
 
…………………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
Buonasera!
Come al solito arrivo un po’ all’ultimo (ma non a mezzanotte, sto facendo progressi), speravo di giungere prima ma è stato davvero un capitolo lungo da scrivere.

Comunque sia spero che vi sia piaciuto, vi do appuntamento a mercoledì prossimo con l’ultimo capitolo prima dell’Epilogo e vi rammento che NON E’ FINITA. Ma se volete riempirmi delle idee che avete, fate pure.
Buona serata!
Signorina Granger

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Famiglia ***


Capitolo 17 – Famiglia
 

 
Diagon Alley, 1740
 
“Vieni, mon chère.”


Raigan si affrettò ad allungare il passo per non perdere di vista la madre, che lo guidava camminando con grazia a disinvoltura su una strada lastricata gremita di uomini e donne vestiti nei modi più bizzarri che il ragazzino avesse mai visto.
Uomini e donne che lanciavano occhiate incuriosite a lui e a Deirdre, ma sua madre sembrava non farci caso e continuava imperterrita a guardare dritto davanti a sé, i lunghi capelli rossi acconciati alla base del collo e un semplice vestito rosso carminio dalla gonna fluttuante addosso.
Sua madre era sempre stata molto diversa dalle donne altolocate che Raigan vedeva a Parigi. Non indossava quei vestiti sfarzosi e pesantissimi, pieni di pizzi e merletti, non si metteva piume nei capelli e non li acconciava in quei modi bizzarri che tanto avevano fatto ridacchiare lui e suo fratello Brogan.
Per quanto le persone che circolavano tra le botteghe fossero strane, il ragazzino dovette ammettere che erano molto più simili alla madre di quanto non lo fosse stata la gente di Parigi.
 
Il giovane mago aggrottò la fronte e si portò una mano sopra agli occhi per celarli dalla luce del sole e poter scorgere meglio l’edificio infondo alla via dove sua madre sembrava diretta: era il più bizzarro che avesse mai visto, ma da quando aveva lasciato Parigi Raigan ne aveva viste molte, di cose bizzarre. Specie ciò che sua madre riusciva a fare con un sottile bastoncino.
Bianco ed immacolato, troneggiava sui negozi e sulle botteghe circostanti, ma era tutto fuorché dritto o simmetrico: sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro, tanto che il ragazzino si sentì invadere dal timore di finire schiacciato dalle macerie quando sua madre lo condusse sui gradini di marmo e attraverso un’alta doppia porta bronzea.
“Oh!”
Raigan sgranò gli occhi azzurri, unica cosa ad aver ereditato dal padre oltre al cognome, e improvvisamente si dimenticò della stabilità apparentemente precaria dell’edificio: quando lui e la madre oltrepassarono una seconda porta d’argento il ragazzino deglutì meravigliato, ignorando l’occhiata divertita che Deirdre gli rivolse con una carezza sulla testa.
Il pavimento era tutto di marmo, e degli alti banconi di legno si ergevano su tutta la lunghezza dell’enorme stanza illuminata da giganteschi e splendidi lampadari di cristallo. Era forse la stanza più grande che Raigan avesse mai scorto e visitato, ma ben presto scorse qualcosa che lo fece arretrare e prendere istintivamente la mano della madre.
I banconi non erano occupati da uomini come a Parigi: al loro posto c’erano degli strani esseri che non dovevano essere più alti di lui, con piccoli e freddi occhi neri pronti a scrutarlo, lunghe orecchie a punta e nasi aquilini.
“C-cosa sono, Maman?!”
“Folletti, tesoro. Stammi vicino, e non parlare a meno che non te lo dica io.”
Raigan annuì senza emettere un fiato, lanciando occhiate intimorite ai Folletti mentre camminava accanto alla madre stringendole la mano.
Deirdre, a differenza sua, non sembrò scomporsi minimamente e attraversò l’atrio con estrema calma e disinvoltura, giungendo allo scranno più alto prima di rivolgersi – schiarendosi educatamente la gola – al Folletto più vecchio – e brutto, secondo il parere di Raigan –.
“Sì?”
“Desidero accedere alla mia camera blindata.”
Raigan guardò sua madre sorridere dolcemente, quel sorriso che sapeva piegare chiunque alla sua volontà. Il Folletto esitò e le chiese la chiave prima di sporgersi e lanciare un’occhiata obliqua a Raigan, che trattenne l’impulso di nascondersi dietro la gonna della madre, chiedendosi come facesse la donna a non aver paura di quei cosi.

Ah, certo, sua madre non aveva paura di niente, dopotutto.
 
La strega estrasse qualcosa, una chiave vecchia e annerita, e al porse al Folletto, che la esaminò prima di fare un cenno ad un Folletto poco distante.
“Bene. Faccia in modo che il ragazzino non tocchi niente. Non è posto per bambini, questo.”
“Raigan è grande abbastanza per vedere ciò che gli appartiene. Vieni, mon chère.”
 
 
Accompagnati da un Folletto più giovane e meno spaventoso, Raigan seguì Deirdre attraverso una seconda porta d’argento. Giunsero davanti ad una sorta di galleria buia, e il bambino rabbrividì quando dovette montare insieme alla madre su un carrello dall’aria molto poco sicura.
“Tieniti, tesoro.”
Raigan si strinse istintivamente alla madre, che lo circondò con un braccio con il suo solito fare rassicurante. Un piccolo urletto echeggiò nella galleria quando il carrello partì e iniziò a scendere giù, sempre più giù, fin troppo rapidamente.

“MAMAN, UN DRAGO!”
Sbalordito, il bambino indicò l’immagina fugace di un drago bianco ingabbiato che gli si presentò davanti, e udì la madre ridere divertita quando, continuando a scendere, passarono sotto una cascata.

“Tranquillo mon chère, poi ti asciugo.”
Deirdre sorrise mentre il figlio si scostava i capelli bagnati dal viso, mormorando che quel posto non gli piaceva neanche un po’.

Continuarono a scendere sempre più nell’oscurità e Raigan, stretto alla madre, le domandò se davvero non avesse paura di nulla.
“Certo che no, sciocchino. Tutti hanno paura di qualcosa, prima lo capirai e meglio sarà. Oh, siamo arrivati.”
Il figlio stava per chiederle di che cosa avesse paura, ma quando il carrello si fermò la madre lo invitò a scendere prima di asciugarlo con la bacchetta, facendo uscire del vapore caldo dalla punta del sottile bastoncino.
“Camera blindata 978.”
Deirdre consegnò la chiave al Folletto, che la inserì nell’antica e annerita serratura prima di farla girare con uno scatto. La porta però non si aprì, e Raigan guardò il Folletto appoggiare una mano sulla pesante porta piena di incisioni bizzarre prima che questa potesse aprirsi.
“Forza tesoro… Va’ a vedere.”


Deirdre sorrise al figlio, che annuì e mosse qualche passo dopo un istante di esitazione. Il ragazzino sbirciò la stanza e spalancò nuovamente gli occhi cerulei, colpito e affascinato al tempo stesso: si trovava in una stanza grande, enorme, sembrava quasi una specie di grotta.
Una grotta piena, ricoperta di cose luccicante. Monete d’oro grandi come il palmo della sua mano, lingotti e gioielli di ogni tipo.
Il ragazzino si voltò, sorpreso, verso la madre che lo guardava con un sorriso divertito. Una volta aveva udito suo padre dirle, sprezzante, che senza di lui non era niente. Solo una poveretta ricoperta di stracci che aveva avuto la fortunata di nascere disperatamente bella.
 
“Non abbiamo bisogno di tuo padre, mon chère. Tantomeno del suo denaro.”
 
*
 
1886
 
“Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.”
“Qualsiasi cosa per te, zia.”
 
Pronunciare quelle parole ancor prima di udire ogni richiesta della donna era ormai un rito, per Amethyst. La strega sedeva sull’estremità destra del divano, davanti al camino acceso, e teneva gli occhi color cioccolato che aveva ereditato dalla defunta madre fissi sulla donna che aveva davanti, in attesa di udirla parlare nuovamente.
Lei però, la donna che in pratica le aveva fatto da seconda madre e alla quale sia lei che i suoi fratelli dovevano moltissimo, non proferì parola: si limitò, dopo qualche istante di esitazione, ad allungarle qualcosa con la mano guantata. Qualcosa che custodiva da anni.
 
Amethyst prese il piccolo biglietto arrotolato con la fronte aggrottata mentre la zia, evitando di guardarla, posava lo sguardo sul camino acceso e sulle fiamme che scoppiettando riempivano il salottino di calore.
“Che cosa… Di che si tratta, zia?”
“Temo di non potermi rivolgere a nessun altro, tesoro. Ho terribilmente bisogno di questo favore da parte tua.”
“Ma zia…”
Amethyst quasi non ebbe modo di iniziare la frase, perché Gwendoline si voltò nuovamente verso di lei e la guardò, più seria che mai:
“Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa, no? E non è solo per me, è per noi.”
 
*
 
Riocard sedeva sul divano, gli occhi azzurri fissi sul camino acceso mentre si rigirava distrattamente l’anello che suo padre gli aveva regalato al suo diciassettesimo compleanno, quando era diventato maggiorenne.
Si era tolto la giaccia blu notte, che ora giaceva abbandonata sullo schienale, e sua madre la raccolse silenziosamente – chiedendosi con lieve apprensione a cosa stesse pensando il figlio – prima che Riocard parlasse con voce piatta, sovrappensiero e senza voltarsi verso di lei:
 
“Hai mai visto papà indossare un anello d’oro? Con delle incisioni? Non… non quello di famiglia, un altro intendo.”
“Non mi risulta di avergli mai visto altri anelli a parte quello a cui ti riferisci o la fede nuziale. Perché?”
Alexis inarcò un sopracciglio, curiosa, ma il figlio sospirò e scosse la testa prima di alzarsi, mormorando che sarebbe andato a dormire.
 
“Così presto?”
“Sì, ho mal di testa, sono stanco. Buonanotte mamma.”


Riocard le si avvicinò, le lasciò un rapido bacio su una guancia e infine si voltò per uscire dalla stanza e salire al piano superiore.
Era piuttosto sicuro che avrebbe dormito ben poco, ma almeno rigirandosi nel letto avrebbe avuto modo di riflettere sulla valanga di informazioni che l’aveva assalito in un colpo solo.
 
*
 
 
“Theseus, non so che cosa tu abbia visto, ma…”
“Vuoi sapere che cosa ho visto? A Parigi ho consultato il nostro albero genealogico, così come ha fatto Rod due anni fa. Guarda caso, dopo aver scoperto ciò che ho scoperto anche IO, torna a casa e muore. Una coincidenza, forse?”
Theseus inarcò un sopracciglio prima di farle cenno di avvicinarsi, e Astrid obbedì con un sospiro, sedendo sul bordo del letto sotto lo sguardo gelido del marito.
“Non ho ucciso Rod, se è questo che pensi.”
“E ti aspetti che ti creda? Dopo 26 anni di bugie, ti aspetti davvero che ti creda? Voglio che mi spieghi. Tutto, dall’inizio.”
 
La donna lo guardò, e inspiegabilmente Astrid sorrise: un debole sorriso quasi stanco le incurvò le labbra, mormorando che, in tal caso, avrebbe potuto metterci un po’.
 
*
 
Era rimasto a rimuginare a lungo, Neit, steso supino sul suo letto a baldacchino e gli occhi chiari persi a contemplare l’oscurità che lo circondava.
Aveva ripensato alle parole di Clio, e soprattutto a quelle di suo padre riguardo al defunto nonno.
George Cavendish aveva l’innata capacità di suscitare una sorta di rispetto in chiunque avesse a che fare con lui. Era un uomo arguto, ricco di acume ed eclettico, ma soprattutto era dotato di un carisma non indifferente.
Neit per primo si era sempre rapportato al nonno con un approccio molto diverso rispetto a come faceva con sua nonna. George era meno affabile, meno affettuoso, per certi versi lo si poteva definire quasi distaccato. Voleva bene ai suoi nipoti, lo sapeva lui come lo sapevano i suoi fratelli, ma questa consapevolezza non aveva impedito a Neit di esserne, almeno da bambino, affascinato tanto quanto intimorito.
Non gli era mai importato granché, di dover un giorno diventare a sua volta Ministro della Magia e quindi suo successore, ma lo aveva sempre guardato comunque con un particolare occhio di riguardo. E infondo lo stesso Neit sapeva di essere stato a sua volta il suo nipote prediletto.
 
Si era sempre chiesto però perché suo nonno trattasse il padre con tanta freddezza. Una parte di lui si era sempre chiesto che cosa mai Edward avesse potuto fare di tanto terribile per scatenare un simile rancore, ma ora che finalmente lo sapeva, dopo anni di domande, forse si ritrovava costretto a rivalutare il suo stesso padre e il suo stesso nonno.
 
I suoi sogni quella notte non furono migliori rispetto al solito, ma visti tutti i pensieri che gli affollavano la mente Neit non si stupì quando, verso l’alba, aprì gli occhi senza più riuscire a prendere sonno.
Di nuovo, una bellissima rosa bianca che aveva iniziato a tingersi di rosso aveva occupato buona parte dei suoi sogni.
 
*
 
Una settimana dopo



Edward Cavendish sedeva su una panchina bianca in stile vittoriano, il cappello calato sul capo e il cappotto a doppio petto nero chiuso sopra al completo color cachi che indossava.
Non sapeva di preciso perché si trovasse nel parco, quel pomeriggio: aveva ricevuto l’invito più inaspettato e bizzarro di tutta la sua vita, ma per qualche motivo non era riuscito a rifiutarlo.
Stava osservando pigramente le anatre sguazzare nel laghetto, arrovellandosi su ciò che il suo “appuntamento” potesse volergli dire, quando udì un suono di passi alle sue spalle: si voltò, giusto in tempo per scorgere un ragazzo alto ed elegantemente vestito avvicinarglisi, serio in volto tanto quanto lo era lui.
 
“Salve Signor Cavendish.”
“Salve.”
“Posso sedermi?”
“Considerando che ha insistito per dirmi chissà che cosa, deve.”


Riocard non disse nulla ma obbedì, sedendo accanto a lui sulla panchina verniciata di bianco. Per qualche istante nessuno dei due parlò, gli sguardi di entrambi distanti dall’altro e fissi dinanzi a sé, finchè Edward non gli chiese perché avesse voluto vederlo in quelle circostanze.
“Pensa che un nostro incontro al Ministero passerebbe inosservato?”
Riocard gli rivolse un’occhiata obliqua ed Edward, suo malgrado, si ritrovò a concordare silenziosamente prima di chiedergli di cosa volesse parlargli.
“Ci ho riflettuto a lungo, Signor Cavendish. E’ liberissimo di rifiutare, ma ho una proposta da farle.”


*
 
Astrid Silverstone aveva solo 17 anni quando la sua vita cambiò radicalmente.
Era una giovane strega come tante: si era appena diplomata ad Hogwarts, anche se i suoi studi non le sarebbero mai serviti a molto, dal momento che non avrebbe mai lavorato in vita sua.
Sua madre, una volta, aveva riso quando si era sentita chiedere perché istruissero le ragazze, se poi non dovevano fare niente dal mattino alla sera. Le aveva risposto, sorridendo, che Hogwarts rappresentava un’ottima possibilità per ampliare le proprie conoscenze e trovare marito.
Era intelligente, graziosa e piena di bei vestiti. Aveva persino un bellissimo e ricco promesso sposo che era persino gentile con lei. In pratica viveva il sogno di molte sue coetanee.
 
Quel pomeriggio Astrid aveva visto la carrozza arrivare dalla finestra della sua camera. L’aveva riconosciuta immediatamente, e quando aveva visto sua zia e sua cugina Alexis dirigersi verso la porta d’ingresso si era chiesta perché sua madre non l’aveva avvisata: di controvoglia, visto che avrebbe preferito di gran lunga leggere un libro piuttosto che dover prendere il thè in compagnia.
Eppure, quando giunse al piano inferiore, Astrid intuì che quella visita era stata inaspettata anche per sua madre: dalla porta del salottino aperta, la giovane scorse Alexis seduta sul divano a capo chino, il volto rigato dalle lacrime mentre le loro madri discutevano animatamente, dandole della stupida senza preoccuparsi della sua presenza.
 
“Madre, che cosa succede?”
Astrid entrò nella stanza facendo zittire entrambe le donne, che si voltarono di scatto verso di lei prima di sussurrarsi qualcosa.

La ragazza fece vagare lo sguardo dalle due fino alla cugina senza capire, ma cogliendo l’occhiata quasi mortificata che Alexis, senza il coraggio di dire nulla, le rivolse.
Un’occhiata quasi di scuse.
 
*
 
 
Quella mattina Egan si era svegliato con una particolare voglia di fare acquisti, ma nessuno si era degnato di accompagnarlo: suo padre era al lavoro, così come Neit ed Ezra – mphf, noiosi – e Clio era sepolta sono pagine e pagine arretrate da consegnare al signor Reed, strillando in preda al panico che l’editore l’avrebbe definitivamente uccisa. La colpa era tutta di Riocard Saint-Clair e delle loro ricerche, se era rimasta indietro col lavoro, ma di certo non avrebbe potuto spiegare al suo editore che la causa di tutto erano un bel ragazzo e folti capelli rossi.
Così, il ragazzo era uscito solo: sua madre si era proposta di accompagnarlo con fin troppo entusiasmo, ed Egan sapeva fin troppo bene che fare acquisti con Estelle poteva rivelarsi una trappola. Di certo la donna avrebbe finito col trascinarlo per boutique tutto il giorno, usandolo come appendiabiti umano.
 
Stava attraversando la strada principale di Diagon Alley, diretto alla Gringott – detestava i Folletti con tutto se stesso, ma disgraziatamente aveva bisogno di prelevare del denaro – quando una figura familiare gli saltò all’occhio: su una panchina sedeva, sola, Elizabeth-Rose Saint-Clair. O forse non del tutto sola, a giudicare dal piccolo animale bianco che la strega teneva tra le braccia, stretto tra le maniche bordate di pelliccia della sua mantella blu polvere.
Per un istante si disse di fingere di non averla notata e di tirare dritto. Forse era la cosa migliore da fare, dopotutto.
D’altro canto però, era impossibile non notare l’espressione afflitta che oscurava il visino delizioso della giovane strega, che accarezzava la sua volpe con gesti distratti, come se la sua mente fosse affollata da altri pensieri.
In fin dei conti, si disse il mago mentre puntava verso la panchina posta davanti al negozio di Madama McClan, chi era lui per ignorare una signorina lasciandola di umore tetro?
“Buongiorno.”
Elizabeth alzò lo sguardo e gli lanciò un’occhiata sorpresa, quasi trovando bizzarro il vederlo senza il suo solito grembiule color bronzo addosso.
“Salve.”
Non le chiese il permesso di sedersi: lo fece e basta, occupando il posto lasciato libero sulla panchina mentre la piccola volpe bianca lo guardava con curiosità.
“Che fine ha fatto quella nera?”
“Ne ho due. Lui è Deimos. E la sua lupa?”
“Beh, sa, non è poi l’ideale portarsela appresso quando si deve andare per negozi, a differenza delle sue volpi io non posso tenere Herbst in braccio.”


Egan parlò sfoderando un sorriso che la ragazza non ricambiò, limitandosi ad annuire mentre chinava lo sguardo sull’animaletto che si stava godendo le sue attenzioni.
 
“Non ho mai visto volpi domestiche. Allora deve averlo davvero, un bel caratterino, per essere riuscita ad addomesticarle.”
“Beh, lei ha addomesticato un lupo, quindi…”
Le labbra di Lizzy si incurvarono in un debole sorriso che il ragazzo ricambiò, quasi soddisfatto di essere riuscito a strappargliene uno.
“Come mai è qui da sola? E perché quell’aria triste, soprattutto?”
“Non la facevo un pettegolo, Egan.”
“Non sono pettegolo, semplicemente intristire questo viso è un crimine contro l’umanità. Che cosa la turba?”
“E’ solo… i miei genitori. A stento si rivolgono la parola da una settimana, è strano. Non li ho mai visti così. So che è stato un matrimonio programmato, il loro, ma li ho sempre visti rapportarsi tra loro con affetto. E mio padre ignora anche me e mio fratello, non capisco per cosa possa essersi arrabbiato… cerco sempre di compiacerli in tutto.”


L’espressione della strega si rabbuiò, ed Egan esitò prima di sorriderle, rassicurante:
“I miei genitori si adorano, ma ogni tanto litigano, è normale. Magari hanno solo avuto una discussione, capita a qualsiasi coppia, credo.”
“Crede?”
“Sì, non sono molto esperto, a dire il vero, non ho mai avuto una vera e proprio fidanzata… Ma sì, penso che sia normale, lo dice anche mia nonna.”
Questa volta anche Elizabeth sorrise, annuendo divertita mentre Deimos annusava guardingo il cappotto del mago e tutti gli aromi che Egan si portava appresso:
 
“E ciò che dice Gwendoline Saint-Clair è legge, dopotutto.”
“Cavendish” , la corresse Egan aggrottando la fronte, ma la ragazza sorrise stringendosi nelle spalle, asserendo che non importasse.
 
“Strano vero? Lei è l’unica che si comporta come se le differenze tra le nostre famiglie non esistessero.”
“Era sposata con un Cavendish dopotutto, ma penso che sia stato difficile all’inizio, anche se voleva bene a mio nonno. Non saprei, non ne parla spesso, dell’inizio del loro matrimonio.”
Il mago aggrottò la fronte, rendendosi conto solo in quell’istante di saperne molto poco, di come i suoi nonni si fossero avvicinati. Si appuntò mentalmente di chiederglielo quando Elizabeth mormorò, pensierosa, di ritenerlo fortunato dal momento che lei non aveva mai conosciuto i suoi nonni paterni.
 
“Mia nonna dice che suo nonno era un grand’uomo, e lei non mente mai.”
“Le vuole bene, vero?”
“Certo che sì. Guardandola dovrebbe ricordare a tutti noi che dopotutto i Saint-Clair possono non essere poi tanto male.”
Un sorrisetto incurvò le labbra del ragazzo mentre un’espressione offesa si faceva largo sul viso della ragazza, che inarcò un sopracciglio prima di chiedergli perché stesse perdendo tempo a parlare con una di loro, in tal caso.
 
“Non lo so proprio. Forse lei è speciale come mia nonna, dopotutto.”
Aveva sperato di farla sorridere, e ci era riuscito. Sperare di lasciarla senza parole o di farla arrossire sarebbe stato troppo, per Egan.
Eppure ci era appena riuscito, e scoppiò a ridere mentre Elizabeth si alzava in piedi, asserendo che fosse un bambino infantile prima di allontanarsi a passo di marcia:
“E non mi guardi con quegli occhi da pesce lesso, non funziona con me!”
“Ah davvero Miss? La vedremo.”
 
*
 
Aveva nevicato tutta la notte, e l’enorme parco che circondava la tenuta era ricoperto da una soffice coperta di neve candida. Deimos ci si tuffava confondendocisi, mentre Phobos trotterellava nelle neve con curiosità, spiccando come una goccia d’inchiostro su un foglio bianco.
Elizabeth attraversava il viale con calma, gli occhi chini sulla ghiaia quasi ghiacciata mentre teneva le mani al caldo nel suo manicotto candido come la neve.
Ripensava non solo alla sua conversazione con Egan Cavendish, ma anche e soprattutto al comportamento strano dei suoi genitori degli ultimi giorni, quasi avessero alzato un muro nei suoi confronti. Se un leggero distacco da parte della madre era ormai per lei l’abitudine, vedere il padre tenerla distante era molto più difficile. Senza contare che i due si parlavano a malapena, e a questo di certo la giovane non era abituata.
 
“Lizzy!”
Elizabeth-Rose sollevò il capo al richiamo del fratello maggiore, e le sue labbra si inclinarono in un sorriso spontaneo quando scorse Thomas avvicinarlesi: era uscito per far fare un giretto a Jeremy, che si librava felice sopra le loro teste.
“Ciao Tommy.”
“Sono ore che voglio parlarti, dov’eri? Oh, non importa, devo assolutamente raccontarti una cosa. Io e Colleen…”
 
Sentendo nominare la cugina Elizabeth si riscosse, e sorrise al fratello con gli occhi azzurri luccicanti. Liberò il braccio sinistro dal manicotto e strinse il gomito di Thomas, ordinandogli seduta stante di dirle tutto senza indugi.
 
*
 
“Io… io non capisco. Com’è possibile?”
Astrid, seduta sul divano, deglutì a fatica mentre guardava sua madre camminare avanti a indietro borbottando qualcosa. Sua zia, in piedi accanto ad Alexis, scoccò un’occhiata velenosa alla figlia prima di rispondere, sibilando qualcosa a denti stretti:
“Questa stupida di tua cugina ha pensato bene di farsi mettere incinta, non v‘è molto da spiegare.”
“No, insomma… lo so come… avviene. Ma non capisco perché tutto questo? Che cosa c’entriamo noi, madre?”
Astrid cercò lo sguardo della donna, che si fermò accanto al camino prima di sospirare e, stringendo le braccia al petto, rivolgersi all’unica figlia:
 
“Tua cugina è fidanzata e prossima alle nozze con Rodulphus Saint-Clair, come ben sai. Se questo fatto lascerà queste mura, la nostra famiglia verrà ricoperta dall’onta della sua sconsideratezza e di certo il matrimonio non avrà luogo.”
“Ma il bambino non è… oh.”
 
Non era figlio di Rodulphus, Astrid lo comprese prima di finire la frase, mentre Alexis si guardava la punta dei piedi e la madre, sbuffando, le dava uno scappellotto sulla spalla:
“Stupida. Ecco a cosa è servito, darti tutto ciò che volevi! E non vuole nemmeno dire il nome del padre, questa sconsiderata! La fidanziamo al primogenito dell’uomo più ricco del paese, che ne ha ereditato la maggior parte del denaro, nipote del Ministro della Magia e questo è il ringraziamento.”
 
“Continuo a non comprendere, se devo essere sincera.”
“Non si deve sapere. E’ una cosa che resterà tra noi, solo tra noi quattro, intesi? Astrid, tu… possiamo fingere che il bambino sia tuo.”
“… Cosa? Ma io… Non sono sposata neanche io, e si capirebbe!”
“Non per forza. C’è un modo… si può fare solo se c’è stretta consanguineità, e voi siete cugine di primo grado, figlie di due coppie di fratelli.”
Questa volta sua madre si rivolse alla sorella, che annuì prima di mormorare che si poteva fare, quindi.
 
“Ma io… Anche io sono fidanzata, vi rammento! Theseus non mi sposerà così come Rodulphus non sposerà Alexis, non ha alcun senso!”
“Sì se fingeremo che il bambino sia suo, Astrid. Il matrimonio verrà affrettato, ovviamente, pensi che sia la prima volta? Queste cose capitano spesso.”
Sua madre liquidò il discorso con un gesto della mano, guardando la figlia deglutire a fatica prima di mormorare qualcosa, rossa in viso e le labbra tremanti:
“Ma io non ho mai… non abbiamo…”
 
“Certo che no, TU non sei sconsiderata come tua cugina, qui!”
Sua zia lanciò una seconda occhiata d fuoco alla figlia, che desiderò ancora di più di sprofondare mentre la madre le si avvicinava, guardandola senza battere ciglio:
 
“Allora temo proprio che dovrai porvi rimedio, Astrid. Il tuo matrimonio è programmato prima rispetto a quello di tua cugina, e Theseus non è il primogenito… devi farlo tu, nessuno dubiterà mai di te, sei così giovane e innocente.”
“Ma il mio onore vale di meno, perché devo essere io quella che fornica prima del matrimonio e rimane incinta.”
 
Lo schiaffo la colpì in pieno volto, ma Astrid non ci badò. Ne valse comunque la pena.
Si alzò, lanciò un’occhiata carica di disprezzo ad Alexis e poi uscì dalla stanza a passo di marcia, ignorando i richiami della madre mentre correva a chiudersi in camera sua.
 
*
 
Theseus sedeva alla sua scrivania in silenzio, i gomiti poggiati sul ripiano di legno e la punta delle dita giunte appoggiate sulle labbra. Aveva appena mandato un gufo al nipote e a sua zia per chiedergli di poter parlare, e stava rimuginando – gli occhi fissi, malinconici, sulla fotografia che ritraeva Elizabeth e Thomas, i bambini che aveva cresciuto e guardato diventare adulti, i suoi ragazzi – quando un Elfo, aprendo timidamente la porta dello studio, lo informò che il Signor Riocard voleva vederlo.
 
Di già? Oh, certo, fallo entrare.”
Sbigottito, Theseus si mise a sedere dritto sulla sedia e poggiò le mani in grembo mentre Riocard entrava nello studio togliendosi il cappello e rivolgendogli un cenno.
“Scusa l’intrusione zio, ma avrei una molto urgente di cui parlarti.”
“Beh, capiti a proposito, ti sei giusto perso il biglietto che ti avevo mandato… Siediti pure. Anche io necessito di parlarti, Riocard.”
 
“Davvero? A proposito di cosa? Hai scelto… la data? Perché è di questo, che volevo parlarti.”
Riocard sedette senza distogliere lo sguardo dallo zio, che si schiarì la voce e scosse la testa senza guardare negli occhi il ragazzo:
“Non esattamente, anche se sai che ho deciso. Mancano due giorni a Natale, e intendo dimettermi all’inizio del nuovo anno, quindi entro una decina di giorni.”
“Capisco. Zio, so che non sarà facile per te, ma devo… dirti una cosa su papà. E su una cosa che ho deciso di fare.”


Una ruga fece capolino sulla fronte del Ministro, che guardò il nipote stringersi nervosamente il cappello di feltro tra le mani chiedendosi di cosa volesse parlargli. Di certo non poteva essere peggio rispetto a ciò che lui intendeva dirgli.
“Ti ascolto, Riocard.”
 
*
 
 
Prima di andare alla festa, quella sera, Astrid sapeva che cosa doveva fare. Non seppe con quale coraggio si guardò allo specchio prima di uscire, ignorando le parole della madre mentre finiva di prepararsi.
Tutto ciò che riusciva a pensare era che, agli occhi della sua stessa famiglia, lei valeva meno di sua cugina. Era lei quella sacrificabile, lei quella che avrebbe dovuto avere un “matrimonio riparatore” e crescere un figlio che non era suo.
 
La colpa era tutta di Alexis. Di Alexis e di sua madre, che aveva accettato di venderla in quel modo.
Non avrebbe mai potuto perdonarle, nessuna delle due. Così come non avrebbe mai potuto perdonare se stessa per aver ingannato un ragazzo dolce come Theseus.
 
*
 
Theseus lo aveva ascoltato senza emettere un fiato, limitandosi ad osservarlo; poi, quando aveva finito di spiegargli le sue motivazioni, lo zio aveva aperto un cassetto e gli aveva porto una lettera.
 
“Ma è…”   Riocard deglutì a fatica, quasi impallidendo nel stringere la lettera che riportava il nome dello zio sul retro scritto nella grafia di suo padre.
“Sì, l’ha scritta tuo padre prima di morire. Io l’ho potuta leggere solo pochi giorni fa. Ci ho pensato a lungo, se fartela avere o meno, Riocard… Quello che leggerai sarà molto difficile, ma voglio anche che tu sappia.”


Riocard esitò, spostando lo sguardo dalla busta allo zio prima di chiedere con un mormorio se ciò che avrebbe letto riguardava la morte del padre.
“Diciamo di sì.”
“Zio… tu lo conoscevi meglio di chiunque altro. Perché ha fatto quelle cose ai Cavendish? Lui ed Edward erano molto, legati, no?”
“Edward è più vicino di età a me, ma è sempre stato molto più legato a Rod… Fin da piccoli, non so spiegare il motivo. Del resto tutti adoravano tuo padre, aveva l’innata capacità di farsi amare.”
 
Eccetto che dalla sua stessa moglie
 
Theseus abbozzò un sorriso malinconico nel ricordare il fratello maggiore, astenendosi dal pronunciare quelle spinose parole prima di riprendere, gli occhi chiari del nipote fissi su di lui.
“Quando i nostri genitori morirono… fu difficile, eravamo tutti molto giovani, solo dei ragazzini. Gwendoline si prese molte responsabilità, ma tuo padre era di fatto maggiorenne e sentì di averci a carico. Credeva che fossero stati i Cavendish a causare l’incidente del treno dove viaggiavano.”
“Per quale motivo?”
“Non te lo so dire, ma ne era davvero convinto. Il fratello di George voleva che Robert sposasse Amethyst, nostro padre rifiutò umiliandolo pubblicamente e le tensioni placate tornarono a galla. Non faceva che ripeterlo, anche a nostra zia… anni dopo ha anche fatto svolgere delle indagini. La morte dei tuoi nonni è rimasta avvolta da un alone di mistero, Ric, ma tuo padre riuscì a portare alla luce qualcosa che dimostrava che aveva ragione, o almeno credo. So che sai cosa significa perdere un genitore.”
Lo stomaco del ragazzo si contrasse mentre Theseus gli sorrideva debolmente, gli occhi cerulei velati di immensa tristezza e di ricordi.
“Ma noi eravamo molto più giovani di te, e tuo padre… lo cambiò molto. Pensavamo che dovesse solo elaborare il lutto, ma il tempo passava e lui continuava a sostenere la sua tesi. Tutto l’odio che c’era stato tra le nostre famiglie prima del matrimonio tra nostra zia e George si riversò su Rod con una violenza che non immagini, Voleva bene ad Edward, so che è così, lo reputava una sorta di terzo fratello minore. Ma era così furioso con la sua famiglia che smise di vederlo con suo amico, come suo cugino. Solo come un Cavendish.”


Theseus tacque mentre Riocard apriva lentamente la busta, e all’improvviso le parole di Astrid gli tornarono in mente con violenza. Forse, dopotutto, nonostante i suoi errori la moglie non si sbagliava.
Il Ministro si alzò, fece il giro della scrivania e sedette sul bordo del mobile per mettere una mano sulla spalla del nipote, che ricambiò il suo sguardo con gli occhi velati di lacrime.
“Tuo padre non era perfetto. Lo abbiamo sempre idolatrato, lui era così… carismatico. E’ stato l’eroe di tutti noi, Riocard, non solo tuo, anche il mio eroe, di Amethyst e di zia Gwen, che rivedeva in lui come rivede in te un fratello che amava con tutta se stessa e che ha perso troppo presto. Per me ed Amiee è stato il fratello che ci ha fatto andare avanti dopo una tragedia, e per te è stato un ottimo padre. Ma viene il momento di scontrarsi con la realtà de fatti, e mio fratello non era un eroe.”
“Non è così che lo voglio ricordare. Con quello che ha fatto al Signor Cavendish…”
 
Riocard, stringendo convulsamente la busta tra le mani, chinò lo sguardo per celare gli occhi lucidi alla vista dello zio, parlando con voce rotta mentre Theseus abbozzava un sorriso carico di comprensione nello sporgersi verso il nipote:
 
“Ric. Tuo padre ha peccato come amico e come marito, ma non è stato lui a dire a George Cavendish di serbare rancore a suo figlio per tutti questi anni. E’ stata una sua scelta, così come Edward ha fatto la sua. Rod ha sbagliato, ma era un ragazzo… e non era perfetto, nessuno di noi lo è. Non lo devi ricordare per questo, devi ricordarlo come il padre che è stato per te. Così come io lo ricordo e lo ricorderò sempre come mio fratello maggiore.”
 
Theseus allungò una mano fino alla nuca del nipote, esercitando pressione affinché Riocard poggiasse la testa sul suo petto. Il ragazzo, di contro, non oppose alcuna resistenza, chiudendo gli occhi e lasciandosi abbracciare per la prima volta dopo troppo tempo.
 
*
 
“Vuoi dirmi… Vuoi dirmi che Alexis rimase incinta e fecero in modo… che lo portassi in grembo tu?”
Theseus la guardò con l’espressione più inorridita che la moglie gli avesse mai visto sul volto, annuendo prima di mormorare che sì, era andata così.
“Ma come è possibile? Io… io c’ero. Non è possibile, io l’ho visto, ti ho vista partorire Thomas, per l’amor del cielo!”
“E infatti è stato così, l’ho messo al mondo io. Mia zia… appena prima di sposarci portò me e Alexis in un sobborgo di Londra. C’era un medico che era stato radiato dall’albo per i suoi esperimenti, e conosceva una sorta di incantesimo, piuttosto rischioso, tra l’altro, che si può fare solo tra persone che hanno uno stretto legame di parentela. In pratica si traspone l’embrione in un altro corpo. Fortunatamente ha funzionato, ma per Alexis ci sono state ripercussioni. Per lei sarebbe stato estremamente rischioso avere un altro figlio, ed è per questo che non ha mai voluto averne altri, dopo Riocard. Sapeva che, con ogni probabilità, non sarebbe sopravvissuta.”
 
Theseus si alzò, incapace di credere alle parole della moglie mentre si passava le mani nei capelli rossi, incredulo. Eppure sapeva che Astrid non mentiva. Non poteva farlo, perché sapeva ciò che aveva visto e un albero genealogico magico non mentiva: nella sua discendenza compariva solo ed esclusivamente Elizabeth-Rose.
Era il nome di Riocard ad essere legato a quello di Thomas, non quello di Elizabeth. E il nome di Thomas, suo figlio, non era raffigurato da nessuna rosa.
 
“Chi è il padre?”
Il sussurro di Theseus, che parlò voltandosi lentamente verso di lei, la costrinse a chinare lo sguardo. Era riuscita ad estorcerlo alla cugina quando stava per dare alla luce Thomas – che aveva finito con l’amare fin dal primo momento, reputandolo suo figlio a tutti gli effetti, col tempo –, ma non era sicura di volerlo rivelare al marito.
“Astrid, dimmelo. Esigo di sapere, quantomeno me lo dovete, tu e quella…”


Theseus non finì la frase, liquidandola con un gesto mentre si ripeteva di mantenere la calma, per quanto possibile. Guardò la donna sospirare e, alla fine, mormorare un nome che lo fece raggelare.
“Cavendish.”
 
Ne aveva sentito parlare, ovviamente, di qualche scappatella tra lui e Alexis. Non ci aveva mai dato molto peso, ma in quel momento sentì come se il soffitto gli stesse crollando addosso. La guardò, immobile e desiderando più che mai che fosse tutto un terribile scherzo.
 
“Vuoi forse dirmi… che per 26 anni… io ho… amato e cresciuto il figlio di Robert Cavendish?”


*
 
Elizabeth-Rose singhiozzava, seduta sul prato con la gonna del vestitino lacerata sull’orlo e le calze bianche smagliate.
“Lizzy… ti sei fatta male?”
Thomas, sorridendole rassicurante, si mise le mani sulle ginocchia coperte dai calzoncini per guardarla più da vicino: la sorellina annuì, puntando i grandi occhi azzurri dalle lunghe ciglia su di lui prima di allungare le braccine in direzione del maggiore, che l0aiutò a rialzarsi.
“Mi sono rovinata il vestito, la mamma si arrabbierà tanto!”


La bambina di cinque anni singhiozzò mentre si asciugava le guance piene di lacrime, ma Thomas le sorrise mentre la circondava con un braccio, fiducioso:
“Ma no, le dirò che è stata colpa mia, che sei caduta perché ti ho spinto per sbaglio. Va bene? Su, torniamo a casa. Sono solo ginocchia sbucciate, passa subito.”
“Va bene…”
La bimba prese la mano che il fratello le porgeva prima di incamminarsi insieme a lui, i lunghi capelli biondo cenere legati da un nastrino bianco.
“Sei il mio fratello preferito, Tommy.”
“Grazie, ma sono l’unico che hai!”
 
*
 
Astrid stringeva Elizabeth tra le braccia, gli occhi fissi sulla tomba della madre che era appena stata seppellita nella sua bara. Theseus, in piedi accanto a lei e reggendo un ombrello affinché non si bagnassero, le mise una mano sulla spalla mentre Thomas stringeva la gamba del padre, le guance pallide rigate dalle lacrime.
 
“Mi dispiace tesoro.”
A lei dispiaceva?
Stringendo la figlia di sei anni, che mormorò di avere freddo e di voler andare a casa, Astrid guardò la lapide e riuscì solo a rammentare di come quella donna l’avesse trattata. Thomas le aveva dato gioia e amore inimmaginabili, ma non avrebbe mai potuto perdonare sua madre.
Poteva solo sperare di essere un genitore migliore di quanto non lo fosse stata lei.
 
*


 
“Quindi è per questo? Rod ha capito, è tornato… e lo avete ucciso?”
“Theseus, è stato un incidente. Alexis non voleva, devi credermi.”
 
Astrid si alzò lentamente e, raggiunta la cassettiera, ne aprì l’ultimo cassetto prima di tirare fuori qualcosa di sottile dal fondo: una lettera che porse in silenzio al marito, lasciando che Theseus posasse lo sguardo sulla grafia del fratello che ci aveva scarabocchiato sopra il suo nome.
 
 
Quando aveva ricevuto il gufo della cugina a quell’ora tarda, Astrid non aveva potuto far altro che rispondere alla sua chiamata, affrettandosi a raggiungerla con la Polvere Volante approfittando del fatto che tutti stessero già dormendo.
Si era aspettata di tutto, del resto era abituata a risolvere i guai della maggiore, ma ciò che le si presentò alla vista superò ogni sua aspettativa.
 
Alexis sedeva sull’ultimo gradino della scalinata d’ingresso, in lacrime. Vicino a lei, ai piedi della rampa, giaceva Rodulphus. Immobile, gli occhi azzurri spalancati nell’oscurità, il corpo piegato in una posizione innaturale, così come il suo collo.
 
“Porca Morgana Alexis… che cosa diavolo hai fatto?!”
Astrid si era avvicinata al cognato di corsa, inginocchiandosi accanto a lui mentre Alexis, in lacrime, mormorava che era stato solo un incidente.
“Non volevo farlo cadere, lo giuro! Ero solo furiosa, voleva… voleva dire tutto a Ric, Astrid!”
“Tutto? Tutto cosa, esattamente?”
“Tutto! Ciò che abbiamo fatto, di Thomas, di me e te! Non l’avrebbe mai detto pubblicamente, tutta la famiglia ne avrebbe risentito, ma Riocard mi avrebbe odiata… non posso permettere che mio figlio mi odi, Astrid, è tutto quello che ho!”
Alexis la guardò con gli occhi chiari colmi di lacrime e di disperazione, e la cugina sospirò piano mentre, alzandosi, scrutava il corpo del cognato che doveva essersi rotto il collo durante la colluttazione.
 
“Bene, allora. Dobbiamo portarlo via da qui. Riocard l’ha visto? Sai se ha visto qualcuno da quando è tornato?”
“No, non credo, è tornato tardi da Parigi… non so come l’abbia scoperto, era impossibile! Lo sappiamo solo noi!”
“Beh, in qualche modo è successo, ma ormai non importa più. Forse te la puoi cavare, se nessuno l’ha visto. Riocard dorme?”
Alexis annuì mentre si alzava e Astrid faceva il giro attorno al cadavere del cognato, seria in volto e con la stessa luce determinata nello sguardo della sera in cui, molti anni prima, era stata costretta a sedurre il futuro marito che si era ritrovata quasi ad amare, col tempo.
 
“Il Wizengamot non avrà pietà… una donna che uccide il marito, il Ministro, per di più adultera. Ti sbatteranno ad Azkaban, se lo scoprono. Dobbiamo… portarlo al Ministero. Nel suo ufficio. Rod era pieno di nemici, non penseranno a te, se facciamo le cose per bene.”
Le due si guardarono, una disperata e l’altra mortalmente seria, rendendosi conto che infondo, alla fine, quella ad avere più fortuna era stata quella più sottovalutata dalle loro stesse famiglie solo perché più giovane e meno attraente.
Del resto, Alexis stessa era consapevole che la cugina l’aveva tirata fuori da un enorme ed irreparabile guaio già una volta. Quella notte, Astrid lo avrebbe fatto di nuovo.
“Astrid? Perché lo fai?”
La cugina stava portando il corpo di Rodulphus verso il camino facendolo fluttuare a mezz’aria quando si voltò verso di lei, accigliandosi prima di risponderle, seria in volto come suo solito:
 
“Se Riocard sapesse ti odierebbe. Così come Thomas odierebbe me. E come te non posso permettere di perdere l’amore di mio figlio.”
 
 
 
Edward e Robert erano appena spariti, inghiottiti dalle fiamme verdi del caminetto, quando la porta si aprì permettendo ad Alexis di entrare, la punta della bacchetta accesa e Astrid al seguito mentre manteneva il corpo del cognato a mezz’aria dietro di loro.
“Hai confuso e obliviato tutti quelli che ti hanno vista mentre mi precedevi?”
“Certo, nessuno saprà che siamo state qui. Come… come lo mettiamo?”
 
Deglutendo a fatica, Alexis accennò al marito senza avere il coraggio di guardarlo, e Astrid studiò il lampadario sopra la scrivania della stanza circolare per un istante prima di indicarlo:
“Fa’ comparire una corda. Simuleremo un suicidio.”
“Ma… penso che capiranno che la frattura del collo è differente…”
“Certo, è solo per sviarli inizialmente, sciocca! L’importante è che nessuno arrivi mai a noi. Forza, forma un cappio e legalo al lampadario, dobbiamo fare in fretta.”
 
*
 
“Datti un contegno, ricordati che sei una vedova addolorata. Manifesta un po’ più di tristezza, più che disperata sembri terrorizzata!”
Astrid prese la cugina sottobraccio – entrambe vestite interamente di nero – sibilando quelle parole a denti stretti, guidando Alexis verso la tomba della famiglia Saint-Clair dispensando cenni e saluti ai numerosi presenti che si rivolgevano alle due facendo le loro condoglianze.

 
“Come posso non esserlo, dopo ciò che abbiamo fatto?”
Il bisbiglio tremolante fece quasi sbuffare la minore, che rivolse un’occhiata di sbieco alla cugina prima di sussurrarle di stare tranquilla:
“Nessuno sospetterà mai di te, se ti comporti come si deve. La nota positiva di aver ucciso il Ministro della Magia è che molte persone avrebbero avuto interesse nel vederlo fuori dai giochi… Penseranno subito ai Cavendish, e noi per prime suggeriremo agli Auror di fare altrettanto. Intesi? Con un po’ di fortuna la verità non verrà mai a galla.”
“Come fai ad esserne così sicura?”


Alexis guardò la cugina con sincera perplessità, colpita dalla calma che Astrid aveva dimostrato fin da quando, due giorni prima, era entrata in casa sua in piena notte e l’aveva trovata accanto al cadavere del marito ai piedi delle scale.
“Perché nessuno pensa mai alle donne, sciocca. Quanto al perché ti abbia sempre aiutata e protetta, è perché volente o nolente sei mia cugina. Sei tu la mia famiglia, prima di tutto, prima dei Saint-Clair, e purtroppo mi hanno insegnato ad essere fedele al nome che porto.”
 
 
 
Astrid finì il suo racconto guardando Theseus, che invece era in piedi e le dava le spalle.
Per qualche istante nessuno dei due parlò o mosse un muscolo, finchè la voce bassa, ferita del marito non le solleticò l’udito:
“Mi serve tempo. Per… elaborare.”
Astrid avrebbe voluto trattenerlo, ma sentì che era giusto lasciargli spazio e tempo e s’impose di non farlo, restando seduta dov’era mentre udiva la porta chiudersi. Solo allora, rimasta sola, si permise di sospirare e di prendersi la testa tra le mani.
 
*
 
La mattina dopo la sala riunioni del primo livello era gremita e in subbuglio. Theseus sedeva a capo del lungo tavolo rettangolare, in silenzio e assorto nei suoi pensieri, con Riocard accanto e un gran numero di Magiavvocati che circondandoli parlottavano tra loro leggendo carte e documenti.
Il Ministro era stato estremamente chiaro quando li aveva convocati, e sebbene fossero a dir poco perplessi, non avevano potuto far altro che rispondere alla chiamata del Ministro e preparare le carte necessarie.
I due Saint-Clair stavano in attesa senza parlare, ma entrambi alzarono lo sguardo sulla soglia della stanza quando la porta a doppia anta si aprì, permettendo ad Edward e a Robert Cavendish di entrare, il secondo con una cartellina sottobraccio e l’aria di chi non crede a ciò che sta per fare.
 
“Buongiorno, signori.”
Theseus non rispose al saluto del cugino, limitandosi ad un cenno del capo prima di suggerire ai due di sedersi. Edward prese posto alla sua sinistra di fronte a Riocard, con Robert accanto, lasciando che quest’ultimo gli passasse la cartella lanciandogli un’occhiata scettica: quando la sera prima gli aveva chiesto di parlare con urgenza, di certo non avrebbe mai creduto di sentire ciò che Edward gli aveva spiegato.
 
“Signor Ministro, è tutto pronto, se vuole possiamo procedere.”
Theseus non rispose all’avvocato, ma si limitò a voltarsi verso il nipote per chiedergli, con voce calma e controllata, se fosse sicuro della sua decisione.
Riocard però annuì senza alcuna esitazione, guardando Edward:
“Lo prenda come un risarcimento per ciò che le ha fatto mio padre, Signor Cavendish.”


Theseus esitò, ma sapendo di non poter far cambiare idea al nipote – e forse, infondo, trovandosi persino d’accordo con lui dopo ciò che gli aveva raccontato – rivolse un cenno agli avvocati che passarono dei documenti a Riocard e ad Edward.
Presa la meravigliosa piuma di pavone che lo zio gli porse, Riocard firmò senza preamboli, così come Edward, prima che i due si scambiassero i fogli.
“Questo è per assicurarci che non cambi idea. Firmando lì rinuncia del tutto al suo diritto.”


Riocard esitò prima di prendere il foglio di pergamena che Robert gli porse, osservandolo pensieroso mentre stringeva la piuma tra le dita. Ormai sotto gli occhi di tutti i presenti, il giovane sollevò lo sguardo sull’uomo che aveva di fronte e poi, invece di firmare, parlò:
 
“Ho una condizione.”
“Quale?”   Edward inarcò un sopracciglio, osservando il giovane di rimando mentre Robert, accanto a lui, roteava gli occhi: c’era d’aspettarselo, si disse. Era troppo semplice per essere reale.
Theseus, dal canto suo, si limitò a guardare il nipote con sincera curiosità mentre si sfiorava la barba color rame, chiedendosi cosa avesse in mente dal momento che a lui non aveva fatto cenno ad alcuna condizione.
“… Mia cugina. Se firmo, rinuncio a tutto, ma voglio che lei prenda a lavorare nel suo ufficio Clara Bouchard-Saint-Clair.”
“Una ragazza?! Come diavolo dovrebbe…”
 
Robert però, che aveva strabuzzato gli occhi come se Riocard avesse pronunciato una bestemmia, non finì la frase: Edward lo interruppe sollevando una mano, gli occhi azzurri fissi con insistenza in quelli altrettanto risoluti del ragazzo.
Riocard si sarebbe aspettato qualsiasi risposta, ma ciò che l’uomo fece riuscì a sorprenderlo: un debole, appena percettibile ed inspiegabile sorriso incurvò le labbra di Edward, che lo guardò quasi con un luccichio divertito nelle iridi celesti.
“Sei davvero suo figlio, dopotutto. Beh, immagino che possa andare bene, se tua cugina sa il fatto suo.”
“Oh, lo sa benissimo, mi creda.”
Riocard abbozzò un sorriso prima di firmare, porgendo il foglio a Robert per poi allungare una mano in direzione di Edward, inspiegabilmente più leggero rispetto a poche ore prima.
 
Dopo un istante di esitazione, l’uomo la strinse, e Theseus sospirò prima di alzarsi e abbottonarsi la giacca nera con disinvoltura:
 
“Bene signori, sembra che tra una settimana avremo di nuovo un Cavendish a guida del Ministero. Suppongo di doverti fare le congratulazioni.”
Gli occhi chiari di Theseus si scontrarono con quelli del suo successore per una manciata di secondi, e i due si studiarono brevemente prima che l’uomo distogliesse lo sguardo per rivolgere un cenno al nipote, che lo imitò alzandosi in piedi:
“Ora, se volete scusarci, io e mio nipote abbiamo una questione di famiglia urgente da rivolvere. Vieni, Ric.”


Riocard lo seguì fuori dalla stanza dopo aver rivolto un’ultima occhiata in direzione di Edward, che li guardò uscire mentre Robert gli assestava una poderosa pacca sulla spalla:
“Alla fine ce l’hai fatta, piccolo stronzetto!”
“Rob, ti pare il modo di rivolgerti al tuo futuro Ministro? Bada bene, o ti metto l’ufficio nel ripostiglio.”
“Ma falla finita, se non avessi me a pararti il posteriore da tutta la vita non so dove saresti, adesso…”
 
*
 
Quando aveva messo piede a casa di cognato e cugina, Alexis non sapeva cosa aspettarsi.
Lasciati sciarpa, cappotto e guanti ad un Elfo, aveva attraversato l’atrio per raggiungere lo studio del cognato incrociando lo sguardo di Astrid, che la studiava dai piedi delle scale.
Aveva cercato di chiederle perché si trovasse lì, ma la cugina non aveva proferito parola, limitandosi a stringere le braccia al petto scuotendo la testa, mormorando che le dispiaceva.
 
La strega aveva bussato e aperto la porta della stanza con angoscia, il cuore in tumulto. E si era sentita quasi sprofondare quando, sulla soglia della stanza, i suoi occhi avevano indugiato sulle tre persone che la stavano scrutando.
Non c’era Theseus, dietro l’antica scrivania, ma suo figlio. Riocard che la studiava, quasi la scrutava, mortalmente serio e senza alcuna traccia del solito affetto ad addolcirgli lo sguardo. Alle sue spalle, alla destra del camino acceso, Theseus stava in piedi con le mani nelle tasche dei pantaloni dal taglio sartoriale. A sinistra, Gwendoline la osservava con la stessa espressione dipinta sul volto di Riocard, la giacca bordata di pelliccia addosso e l’impugnatura d’oro del bastone da passeggio stretta tra le mani guantate.
 
“Ric, che cosa significa?”
“Sappiamo tutto, Alexis. Ogni cosa.”
 
L’occhiata gelida che Gwendoline le lanciò la trapassò da parte a parte, e la donna deglutì prima di cercare lo sguardo del figlio, avvicinandosi alla scrivania senza sedersi:
“Riocard, ti prego…”
Le mani tremanti di Alexis si allungarono sul mobile per cercare quelle del ragazzo, che però le ritrasse senza scomporsi, evitando di guardarla in faccia prima di dire qualcosa a denti stretti:
 
“Zia Astrid ha detto tutto allo zio, so di Thomas, so di papà. So che è stato un incidente, ma ciò non toglie che gli hai mentito per 26 anni. Hai mentito a me.”
“Non eravamo sposati, Ric, solo fidanzati!”
“Non è questo il punto. Hai tradito tutti noi, mamma.”
 
Riocard parlò continuando a non guardare la madre, che soffocò un singhiozzo con una mano prima che Gwendoline s’intromettesse, parlando col tono più gelido e tagliente che i presenti le avessero mai sentito usare:
“Non ti manderemo ad Azkaban, se è questo che temi. Io e Theo abbiamo voluto che fosse Riocard a decidere sulla tua sorte, e tuo figlio, quello legittimo almeno, non vuole che tu paghi la pena che dovrebbe spettarti. Insabbieremo la cosa, nessuno parlerà più della morte di Rodulphus… ma te ne devi andare, Alexis.”
“Riocard, per favore, lascia che ti spieghi…”
 
“Non c’è niente da spiegare. Sei mia madre e ti voglio bene, quindi non andrai ad Azkaban, nessuno saprà che l’hai ucciso tu. Ma non… non ti voglio più vedere.”


Riocard deglutì, pronunciando quelle ultime parole quasi con difficoltà mentre la madre lo guardava con gli occhi pieni di lacrime.
“Nessuno saprà mai niente, al di fuori dei presenti. Continuerai a fare ciò che hai fatto per 26 anni, Alexis. Thomas agli occhi del mondo è un Saint-Clair e continuerà ad esserlo, suo padre è Theseus… Lui non dovrà mai saperlo. Elizabeth-Rose non dovrà mai saperlo. Stiamo riflettendo se dirlo ad Amiee, ma tu non dovrai farne parola ad anima viva. In cambio, le indagini verranno ufficialmente chiuse, e noi continueremo generosamente a mantenerti. Tuo figlio ti ama molto, sei fortunata.”
Gwendoline strinse la spalla del nipote con la mano guantata, osservando Alexis tenere gli occhi fissi sul ragazzo mentre Theseus faceva lo stesso, in silenzio.
 
“L’ho fatto per te. Solo per te, per tutti questi anni… se la verità fosse venuta a galla, la famiglia sarebbe stata rovinata. E’ per te che ho tenuto il segreto… Tuo padre voleva un altro figlio, mi sono opposta perché sarebbe stato troppo rischioso azzardare un’altra gravidanza dopo ciò che avevamo fatto, e non volevo che restassi senza madre!”
“In compenso Thomas è stato cresciuto in mezzo alle bugie, e non saprà mai chi sia la sua vera madre. Hai preferito la tua reputazione a tuo figlio, e sappiamo entrambi che non hai detto la verità per te stessa, non certo per me.”
Questa volta anche Riocard la guardò, e la delusione nel suo sguardo fu peggio di qualsiasi processo e di qualsiasi pena ad Azkaban.
La mano di Alexis si allontanò lentamente, scivolando sulla liscia superficie di legno finchè la donna, guardando la cosa che più amava al mondo, non l’ebbe ritratta del tutto.
 
Era questa, dunque, la sua pena da scontare per le bugie e per aver ucciso suo marito? Essere ripudiata dal suo stesso figlio?
 
“Bene, allora. Quando volete che me ne vada?”
“Appena possibile. Trovati una bella casa da qualche parte nell’Inghilterra, ti faremo avere tutto il necessario… ma sta lontana dal Derbyshire e da Londra, Alexis.”
 
 
Uscendo dalla stanza, mentre Gwendoline si chinava per abbracciare Riocard e dirgli, rassicurante, che aveva preso la miglior decisione possibile, gli occhi pieni di lacrime di Alexis incrociarono quelli della cugina.
Senza dire nulla, la strega l’abbracciò, lasciando Astrid a dir poco sorpresa prima di udire il mormorio della cugina:
“Grazie.”
“Per che cosa?”
“Per tutto. E per Thomas. Sei una madre migliore di me, dopotutto. E migliore delle nostre.”
 
*
 
“Tutto secondo i piani.”
“Ha funzionato?”
“Ovviamente. Non che avessi dubbi a riguardo, conosco le tue capacità.”
Gwendoline lasciò scivolare la fialetta di cristallo vuota nella tasca della pelliccia bianca prima di stringere il gomito di Amethyst, che le camminava accanto lungo il viale – allontanandosi dalla grande casa dopo aver aspettato la zia all’uscita di servizio –. Le due procedettero in silenzio per qualche metro, senza guardarsi, finchè la nipote non si rivolse alla più anziana ritrovandosi, forse per la prima volta, a dubitare di lei:
“Come fai ad essere sicura che non risaliranno mai a noi?”
“Perché nessuno pensa mai alle donne. So quel che faccio, Amethyst. Non temere.”


*
 
“So di averti mentito. So di aver sbagliato, e mi dispiace. Forse non mi crederai mai, ma ho solo cercato di fare la cosa migliore, di tenere uniti i pezzi. Non l’ho fatto per me, Theo.”
Theseus si era alzato, e Astrid lo guardava darle le spalle, in piedi davanti alla finestra che dava sul cortile innevato. Gli occhi del mago saettarono su Thomas ed Elizabeth, e guardando il ragazzo sentì di nuovo qualcosa incrinarsi dentro di lui.
Il bambino che aveva cullato, coccolato, rassicurato, con cui aveva giocato. Il ragazzino che aveva accompagnato a King’s Cross per sette anni, il ragazzo di cui aveva atteso le lettere, di cui aveva applaudito i traguardi.
L’uomo che era diventato e di cui era così fiero.
 
Ed era stata tutta una bugia. Perché non era davvero figlio suo, e non lo sarebbe mai stato.
 
“E per cosa l’avresti fatto, allora?”
Theseus parlò in un sussurro mentre sentiva la moglie alzarsi, raggiungerlo e poggiargli una mano sulla spalla, guardandolo scrutare i loro figli, o almeno quelli che aveva cresciuto come tali.
 
“Pensi che questo renda Thomas meno nostro figlio? Theseus, Thomas è nostro figlio. È tuo figlio. Non importa… non importa da chi sia stato concepito. Un vero genitore lo si vede nel momento in cui lo cresce, un bambino. E noi l’abbiamo fatto, TU l’hai fatto. Sei il padre migliore che potesse avere.
Guardalo.”
 
 
Gwendoline, in piedi accanto al camino, lasciò che le fiamme inghiottissero il piccolo pezzo di pergamena che aveva trovato arrotolato dentro al suo orologio ormai cinque anni prima. Amethyst sedeva alle sue spalle, inquieta e con la tazza d thè tra le mani, mentre in tutta Londra impazzava la notizia della morte di Louis Cavendish, fratello minore del Ministro della Magia.
 
 
“Funzionerà?”
“Certo che sì, se preparato a dovere. Puoi farlo?”
“Non io, ma conosco qualcuno che ne ha le capacità… mia nipote ha studiato qui, l’hai conosciuta.”
“E’ qualcosa che è meglio fare da soli, Gwendoline.”
La strega, in piedi davanti al ritratto, aggrottò la fronte mentre scrutava la propria antenata, asserendo di avere massima e completa fiducia nella nipote: Amethyst non l’avrebbe mai tradita. Mai.
“Non lo dico per questo. Ma certi pesi… è meglio portarli da soli. Estirpare una vita è qualcosa che non tutti sono pronti a fare e a sopportare. Tu puoi farlo, ma tua nipote?”
 
 
Non l’avrebbero mai scoperto, mai. Louis Cavendish aveva pensato bene di insabbiare l’”incidente” che aveva commissionato a suo fratello e a sua cognata. Gli unici ad averlo scoperto erano stati lei e Rod dopo anni di ricerche.
Il suo movente non esisteva. Così come il veleno che aveva usato, la cui unica formula esistente era appena stata distrutta. Un veleno inodore e insapore che non lasciava traccia… l’arma perfetta. Il delitto perfetto.
Voltandosi, gli occhi di Gwendoline indugiarono sulla nipote, e le parole di Deirdre le tornarono in mente con violenza.
Certi pesi è meglio portarli da soli
 
La donna guardò la nipote – verso la quale nutriva un affetto smisurato e più che sincero, Amethyst era per lei era la figlia che non aveva avuto – stringere la tazza con dita quasi tremanti, trovandosi ad estrarre la bacchetta quasi senza volerlo mentre le si avvicinava. Non le capitava spesso di pentirsi delle sue decisioni, ma in quel momento provò quasi un moto di senso di colpa nei confronti della nipote.
“Mi dispiace tesoro. Non ti avrei trascinata in questa storia, ma avevo bisogno di te.”
Gwendoline le sedette accanto mettendole una mano sulla spalla, sorridendo comprensiva, e la nipote la guardò prima di abbassare lo sguardo sulla sua bacchetta, la fronte aggrottata nel tentativo di capire:
“Zia, cosa…”
“Certi pesi è meglio portarli da soli, aveva ragione. Scusa cara...”
 
L’incantesimo non verbale la colpì, e la tazza scivolò dalle mani di Amethyst riversando del liquido ambrato sul tappeto mentre i suoi occhi si facevano vacui e i ricordi di quel giorno svanivano dalla sua memoria.
 
 
 
Astrid gli strinse la spalla con maggior vigore e gli indicò il ragazzo. Theseus, deglutendo a fatica, lo guardò passeggiare sul prato innevato insieme alla sorella, sorridenti e uniti come li aveva sempre visti.
“E’ il ragazzo più meraviglioso che io abbia mai conosciuto. Vedi forse qualcosa di Robert Cavendish, in lui? No. E nessuno, nessuno avrebbe potuto crescerlo meglio di quanto abbiamo fatto noi. Basta guardarlo, Theo. E’ tuo figlio, l’affetto che provate l’uno per l’altro, che prova ed Elizabeth e per me… niente di tutto questo è mai stato una bugia. Lo amo davvero come se fosse mio figlio, e per me lo è sempre stato, fin da quando è nato. C’è tanto di te in lui, la tua dolcezza, la tua sensibilità.”
 “Non devi smettere di amarlo, Theo. Smetti di amare me, se vuoi, ti darò tutto il tempo che ti serve, ma non tuo figlio.”
 
 
“Louis Cavendish è morto.”
“Così ho sentito.”
Rod guardò la zia, che ricambiò senza far trapelare alcuna emozione mentre una bottiglia di cristallo li serviva magicamente da sola, versando del liquore ambrato nei bicchieri di entrambi.
Un debole sorriso incurvò le labbra dell’uomo, che guardò la zia quasi con soddisfazione:
“Ti sei decisa, alla fine, a darmi ragione. Se non l’avessi fatto tu l’avrei fatto io, dopotutto.”
“Non so di che parli, Rod.”
 
Gwendoline si portò il bicchiere alle labbra dopo averlo proteso verso quello del nipote, che allargò il suo sorriso prima di imitarla, brindando silenziosamente alla memoria di padre e fratello defunti.
 
“Voglio che tu sappia che ho distrutto l’unica formula che ne era rimasta, o almeno così pare. Nessun altro morirà più per colpa di quel veleno.”
“Non posso fare a meno di chiedermi come lo hai preparato, zia.”
“E’ un segreto che mi porterò nella tomba.”
 
I due, così simili e al tempo stesso così diversi, si scrutarono prima che Rodulphus sorridesse, guardando la zia quasi con un luccichio divertito negli occhi chiari che condividevano:
“Cinque anni. Ci ho messo cinque anni a convincerti, da quando hai capito cosa ti avesse lasciato papà. L’ho sempre saputo, che c’erano loro dietro… solo per i nostri soldi, alla fine. Soldi che alla morte di papà sarebbero andati a te, in parte, che eri sposata con un Cavendish.”
“George non ne sapeva nulla, è stata tutta una macchinazione di suo fratello. Quando ho capito cosa mi avesse lasciato tuo padre, ero certa che mai l’avrei usato…. Ma l’ho fatto per lui. Per noi.”
 
 
Theseus esitò prima di voltarsi lentamente verso la moglie, mormorando qualcosa mentre Astrid sollevava una mano per sfiorargli una guancia.
“Elizabeth… lei non dovrà mai saperlo. L’ho detto anche a Riocard. Si vogliono troppo bene, non voglio rovinare il rapporto che hanno.”
“D’accordo. Theo, devi credermi, dal primo giorno fino ad oggi…”
 
“Tutto ciò che ho fatto….”
 
“… è stato per salvaguardare e tenere unita…”
 
“… la famiglia.”
 
 
 
 
 
“Scopri chi ha ucciso Rod, Gwen. E soprattutto, non fidarti di nessuno. Sono le nostre famiglie, e sappiamo di che cosa sono capaci.”
Non furono poi davvero queste, dopotutto, le ultime parole che George Cavendish pronunciò.
Le aveva chiesto di lasciarlo solo, e Gwendoline stava per chiudere la porta di quella che era stata la loro camera per quarant’anni quando sentì il marito chiamarla un’ultima volta.
Wendy?


Senza esitare, la strega si voltò e posò lo sguardo sul volto stanco e pallido del marito, che ricambiò l’occhiata di mormorare qualcosa che Gwendoline non avrebbe mai dimenticato:
“Voglio che tu sappia… che ti perdono, per ciò che hai fatto.”
 
 
 
 
L’impugnatura del bastone stretta in una mano e l’altra a cingere il braccio di Theseus, Gwendoline uscì di casa osservando, come il nipote, Elizabeth e Thomas lasciare le scuderie in sella ai loro cavalli, trottando in mezzo alla neve tra sorrisi e risate.
“Che cosa pensi di fare con Astrid?”
“Onestamente non lo so. Credo che mi servi tempo.”
“Più che comprensibile. E con i ragazzi?”
“Non lo sapranno mai. Pensi che sia egoista da parte mia, non dire a Thomas chi siano i suoi veri genitori?”
 
Theseus abbassò lo sguardo sulla zia, che era sempre stata il suo più grande punto di riferimento da quando aveva perso  genitori, insieme a Rodulphus. Gwendoline però gli sorrise con la medesima dolcezza che gli riserbava sin da quando era bambino, e scosse il capo prima di indicare il ragazzo in sella al cavallo nero:
“No. Anzi, gli risparmierai solo delle sofferenze, così facendo. E poi io, guardandolo, non vedo altro che tuo figlio. Ti somiglia molto.”
Theseus abbozzò un debole sorriso, annuendo mentre accompagnava la zia, guidandola giù per i gradini resi scivolosi dal ghiaccio.
“Le famiglie come le nostre hanno segreti, Theo, è la prassi. Sarebbe irrealistico sperare nel contrario. Ciò che conta è restare uniti e amarsi. Tutto ciò che facciamo, tuo padre, io, tuo fratello, è per la famiglia, sempre, ricordatelo.”
 
*
 
Riocard sedeva sul muretto di pietra al quale i passanti si appoggiavano per rimirare il Tamigi, il Big Ben e il Parlamento, le gambe penzolanti nel vuoto e qualcosa di sottile stretto tra le dita.
 
 
“Estelle!”
La porta si era appena chiusa alle spalle di Edward quando il mago, chiamando la moglie a gran voce e con impazienza, corse verso le scale senza neanche sfilarsi il cappotto o il cappello.
“Estelle!”
 
“Che cosa c’è? E’ successo qualcosa?”
La moglie, seduta alla toeletta nella loro camera da letto, si voltò verso di lui con la spazzola ancora stretta in una mano, gli occhi chiari pronti a cercare tracce di brutte notizie sul volto del marito.
 
 
 
Scrutava la fotografia da minuti e minuti, o almeno così gli sembrava.
Un accenno di sorriso incurvò le labbra del giovane mentre osservava il ritratto della famiglia perfetta in cui era cresciuto. O almeno all’apparenza, con coniugi che non si amavano e non si fidavano l’uno dell’altra e un incolmabile, terribile segreto a separarli fin dall’inizio. Prima ancora che lui nascesse.
La verità era che non aveva idea di che cosa avrebbe fatto. Era ben felice della decisione che aveva preso riguardo ad Edward Cavendish, ma per il resto… che cosa avrebbe fatto a Londra? Che ne sarebbe stato, d’ora in avanti, della sua vita, dopo ciò che aveva scoperto?
Avrebbe dovuto continuare a fare finta di nulla?


Riocard non ne aveva idea, ma ricordando le parole di suo zio strappò la fotografia a metà con un debole sospiro prima di alzare lo sguardo sulla scia luminosa che si rifletteva sulle acque del Tamigi, l’aria fredda di fine dicembre che gli invadeva i polmoni.
 
 
“Ti ha… ti ha ceduto il diritto di successione?”
“Sì, ha rinunciato a tutti gli effetti!”
Un sorriso balenò sul volto di Estelle mentre la donna, alzatasi in piedi, correva ad abbracciare il marito gettandogli le braccia al collo.
“Oh Ed… non sai quanto sono felice per te. E’ giusto così, quel posto è tuo. Vorrei solo che tuo padre…”
“Non m’importa di mio padre, Estelle. Mi importa solo di te. Se tu sei fiera di me, non c’è altro che possa volere.”
Edward le sorrise, riservandole una carezza sul viso prima di abbracciarla nuovamente, al settimo cielo. Pensò a suo padre, alla scelta che aveva fatto e che George non aveva mai compreso, e all’anello che Riocard gli aveva restituito e che ora giaceva chiuso a chiave nella sua scrivania. E lì probabilmente sarebbe rimasto per molto tempo, visto che non aveva bisogno di nient’altro: suo padre lo usava spesso, quel particolare cimelio, per ottenere ciò che desiderava.  
Denaro, una particolare sequenza di fortunate coincidenze che permettevano che qualcosa che desiderava si avverasse, tesori… qualsiasi cosa. A lui, però, per il momento non interessava.
Era sicuro di avere qualcosa che suo padre non aveva mai posseduto. Nemmeno grazie a quell’anello.
 
 
 
Neit, che stava attraversando il corridoio proprio in quel momento, lanciò un’occhiata ai due attraverso la porta spalancata prima di accennare un sorriso. Non gli interruppe e non palesò la sua presenza, ma proseguì dritto per la sua strada chiamando la sorella a gran voce. Quando udì dei tonfi sordi seguiti da delle imprecazioni, il giovane sospirò e affrettò il passo, deciso a scoprire come fosse caduta Clio questa volta.
 
 
 
“Gli eroi non esistono.”
Con quel mormorio Riocard lasciò che i due frammenti gli scivolassero dalle dita, galleggiando sempre più lontano, sospinti dall’aria gelida fino alle acque del fiume.
Il giovane si voltò e scivolò dal muretto fino a toccare nuovamente il marciapiede, allontanandosi stringendosi nel cappotto mentre si diceva che, infondo, a cosa avrebbe fatto il giorno seguente ci avrebbe pensato quando sarebbe stato necessario.
 
 
 
 
Gwendoline sorrise, sollevando una mano per rispondere al saluto che Elizabeth e Thomas le rivolsero quando le passarono accanto trottando sulla distesa d’erba che confinava con il viale che la donna stava attraversando.
Guardandoli, per un attimo la donna ebbe l’impressione di scorgere immagini sbiadite che la ritraevano giovane come loro a cavallo insieme a Riocard, sfidandosi in gare di velocità. Oppure di rivedere, passeggiando col fratello ormai cresciuti, i loro figli giocare sull’erba.
 
Le sembrò quasi di rivedere Rod e Theo montare per le prime volte da bambini, e quasi non poté credere di essere riuscita, finalmente, a sapere com’erano andate le cose, come il suo amato nipote fosse morto.
L’anziana strega sospirò mentre riportava lo sguardo davanti a sé, sentendo il sollievo pervaderla. Ora tutto quel ciclo di vendette, odio e segreti poteva concludersi, forse.
Poteva riavere la sua famiglia, e godersela fino al suo ultimo istante di vita.
L’odio non faceva parte di lei da molto tempo, da quando si era liberata dell’uomo che le aveva tolto suo fratello.  Per quanto potesse averlo amato, Gwendoline a differenza di suo nipote non avrebbe permesso che quel sentimento la corrodesse fino alla fine.
 
 
 
 
 
 
 
 
……………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:
 
E… sipario!
Che dire, vi risparmio le terribili battute sull’epifania (non sono l’unica che li riceve ogni anno da qualche parente simpaticissimo, vero?) e spero che abbiate gradito questo ultimo capitolo, così come spero che tutto risulti chiaro… Il capitolo è un gigantesco ammasso di flashback, molti connessi tra loro, in caso delle cose non fossero chiare fatemelo sapere, ecco. So che ho parlato poco e niente degli OC, ma avevo troppe cose da dire e più di così la mia mente non è riuscita a produrre… le coppie sono lasciate aperte, ma ovviamente chiuderò tutti tra l’Epilogo e le OS, non temete ;D
Ovviamente l’incantesimo che ha dato vita a tutto non viene menzionato nel mondo di HP, è tutta una macchinazione mia e dell’autrice di Thomas, che ringrazio moltissimo, anche se come avrà notato ho cambiato delle cose e Penelope non è coinvolta in alcun modo. Perché she is our queen e non potevo toccarla, ecco.
Sono molto impaziente di sapere le vostre opinioni a riguardo, ma per ora vi saluto e ci sentiamo prestissimo con l’Epilogo <3
Buona serata,
Signorina Granger
 
 

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Capitolo 19
*** Epilogo ***


 
Wars of the Roses 



Epilogo
 

Epilogue



3 anni dopo, 20 giugno 1915
 
Derbyshire

 
“Io mi domando, ci sarà mai una volta, UNA, in cui la nostra famiglia non arriverà in ritardo ad un evento?!”
“Amiee, avresti dovuto arrenderti quando hai partorito la terza femmina, secondo il mio umile parere…”
 
John, in piedi vicino alla porta e pronto per uscire, stava giocherellando con i suoi gemelli d’oro mentre la moglie, in piedi davanti alle scale e con addosso un vestito da cerimonia verde chiaro abbinato ai guanti lunghi fin sopra i gomiti, si torturava la lunga collana di perle mentre.
“Ragazze, sbrigatevi, dobbiamo andare! ADESSO!”
“Ma mamma, Lady Ophelia è scappata e non riusciamo a trovarla!”
 
Il viso pallido e delicatamente truccato di Colleen fece capolino in cima alle scale sfoggiando un’espressione sinceramente preoccupata che non impressionò la madre: anzi, Amethyst sbuffò e, ricordando alle figlie di essere delle streghe adulte e capaci, ordinò loro di Appellarla, se necessario.
 
“Chi ha lasciato la sua gabbietta aperta?! E se Klaus se la mangia? Irresponsabili!”
“Ma se Klaus un altro po’ è più piccolo di lei! E comunque è stata Cherry.”
Non è affatto vero! Ecco, mettiamola dentro.”
Colleen, dopo aver appellato la coniglietta, ordinò a Clara di tenere la gabbietta aperta prima di infilarcela con estrema soddisfazione. La giovane si diede una sistemata ai guanti rosa pallido e poi, sorridendo entusiasta, asserì di non veder l’ora di assistere alla cerimonia.
 
“Non ci sarà nessuna cerimonia a cui assistere se non vi muovete! … E dove diavolo è finito Ambrose?!”
 
 
*
 
Londra
 
 
“Qualcuno ha visto la mia cravatta?”
Non si poteva dire che la sua famiglia fosse propriamente normale, ma quel giorno l’assurdità dei Cavendish stava toccando vette che mai si sarebbe sognato di poter contemplare.
Edward, uscito in corridoio per chiedere ad un elfo di cercargli la cravatta, venne quasi investito dalla sua stessa figlia quando Clio lo superò di corsa e tenendo un appendiabiti tra le braccia.
 
“MAMMA, è arrivato il vestito dalla lavanderia!”
“Portamelo, sbrigati! E qualcuno trovi la cravatta di papà! Egan, dove pensi di andare, vai subito a pettinarti! Dove diavolo è zia Penny quando ho bisogno di lei?!”
 
 
 
“Mamma, ma non hai detto che venivi a dare una mano?”
Ezra, in piedi accanto al camino insieme al padre e con un calice di champagne in mano approfittando di essere praticamente l’unico pronto per uscire, lanciò un’occhiata di sbieco alla madre, che se ne stava comodamente seduta sul divano sorseggiando un bicchiere di tè freddo mentre un Elfo le faceva aria con un ventaglio bianco e rosa.
 
“Ebbene sì caro, ma poi mi sono resa conto che c’era già abbastanza trambusto senza che ci mettessi il naso anche io… Dunque sono giunta alla conclusione che standomene qui in panciolle farò un favore a tutti.”
“Questo è esattamente il tipo di ragionamento che solo tua madre può fare, Ezra.”
 
Penelope lanciò un’occhiata torva al marito da sopra il bicchiere prima di prendere un altro sorso di tè, ed Ezra si ritrovò a sospirare piano mentre alzava gli occhi al cielo:
“Cercate di comportarvi normalmente oggi, per favore… E’ un matrimonio di un certo livello, e sarà pieno zeppo di giornalisti.”
“Ezra, non ho certo bisogno che tu mi dica queste baggianate. Chi pensi che abbia insegnato a TE e a Carol a comportarvi impeccabilmente? A proposito, ma quando arriva il mio dolce tesoro?”
 
 
 
Caroline, in piedi accanto a Neit, osservò la facciata bianca dell’enorme casa dove il cugino era cresciuto prima di voltarsi verso di lui con un debole sorriso, proponendo al marito di entrare.
“Non sono sicuro di voler sapere cosa troverò quando aprirò la porta… sai, siamo ancora in tempo per andare direttamente al matrimonio senza passare per questo manicomio…”
“Non dire così, abbiamo promesso che saremmo passati, ricordi? Facciamolo per loro.”
 
Il sorriso della strega si allargò mentre stringeva delicatamente il braccio di Neit, che sospirò piano e annuì prima di superare il cancello di ferro battuto – che si aprì da solo per farli passare – e borbottare qualcosa a mezza voce:
 
“Va bene… Ma non dire che non ti avevo avvisata.”
 
*
 
 
Gwendoline Cavendish attraversò il lungo viale camminando con calma sotto ad un limpido cielo azzurro, aiutandosi col bastone da passeggio che mai avrebbe ammesso di usare solo per scopo estetico e per, come asseriva sempre il più sfacciato dei suoi nipoti – nonché il suo prediletto – “fare scena”.
L’anziana strega osservò brevemente la facciata del maniero fatto di pietra che conosceva molto bene senza trovare alcuna differenza rispetto al solito. Fu quando volse lo sguardo sul parco a circondarla che sorrise, osservando l’enorme tendone bianco, l’infinita serie di tavolini circolari disposti sotto di esso e l’enorme quantità di fiori, di rose per l’esattezza, che occupava ogni tavolo e ogni lanterna appesa al soffitto della tenda candida.
Era una splendida giornata, si disse la strega mentre raggiungeva quasi l’ingresso della villa, e lo sarebbe stata ancora di più visto l’evento che avrebbe avuto inizio di lì a breve.
 
 
“Buongiorno Signora Cavendish!”
Entrata in casa, Gwendoline salutò con un sorriso l’Elfo che la accolse, prese ben volentieri una coppa di champagne dal vassoio d’argento che la creatura le porgeva e infine volse lo sguardo su Amethyst quando la nipote la raggiunse con un largo sorriso ad illuminarle il volto:
“Buongiorno zia, come stai?”
“Come potrei stare tesoro? Magnificamente. Sarà una giornata meravigliosa.”
“Una giornata che aspetti da tempo, ho idea.”
Dopo averle dato un bacio su una guancia Amethyst rivolse alla zia uno sguardo divertito e carico d’affetto al tempo stesso, guardando la donna prendere con nonchalance un sorso di champagne per celare il suo consueto sorrisetto beffardo.
 
“Da cosa lo deduci, tesoro?”
“Zia, la messa in scena di anziana innocente non inganna più nessuno da anni, lo sanno tutti che ne sai una più del diavolo.”
“Fingerò di non aver sentito la parte in cui mi definisci “anziana”, o potrei prenderti per un orecchio come quando avevi sei anni, tesoro. Credi che possa andare di sopra?”
 
“Ma certo, le ragazze ti hanno già preceduta. Theseus… beh, credo proprio che dovrò andare a consolarlo con del vino.”
 
*
 
 
“Come sei bella!”
“Sì, sei bellissima! Anche io vorrei un vestito come il tuo!”
 
Un sospiro carico di ammirazione lasciò le labbra di Colleen mentre la giovane strega sfiorava con le dita le maniche ricamate pizzo del vestito della cugina, che sorrise divertita e le promise che ne avrebbe avuto uno ancora più bello prima di abbracciala.
“E speriamo di vederlo presto, vero?”
Colleen annuì con un sorriso, gli occhi color cioccolato carichi di emozione mentre Clara, seduta sulla poltroncina posta accanto al camino della stanza della cugina, teneva Deimos tra le braccia per impedirgli di andare a riempire di peli la padrona.
 
“Sì, la mamma ha detto che avremmo iniziato ad organizzare dopo che ti fossi sposata tu… sai, per lasciarti il tuo gran giorno.”
“Per quanto mi riguarda tu e Tommy potete convolare a nozze quando volete, non m’importa. So solo che non vedo l’ora.”
Elizabeth guardò la cugina con un sorriso, gli occhi azzurri luccicanti mentre Phobos, acciambellato sul letto, guardava la padrona con leggera confusione, come chiedendosi cosa stesse succedendo, perché tutti le stessero attorno e, soprattutto, perché non avesse tempo per coccolarlo.
 
Quando la porta si aprì piano tutte e quattro le cugine si voltarono verso la soglia, e due sorrisi identici incurvarono le labbra di Elizabeth e di Colleen alla vista di Thomas, che si fermò sulla soglia con il completo nero addosso – per una volta completamente privo di piume o peli grazie all’intervento di Astrid – e i capelli scuri straordinariamente in ordine:
 
“So che gli uomini non sono graditi in questa stanza, ma mi chiedevo se al fratello della sposa è concesso darle un saluto prima che sia troppo impegnata a trovarsi al centro dell’attenzione.”
“All’adorato fratello della sposa tutto è concesso, Tommy. A proposito di fratelli… dove diavolo è Ambrose?!”


“Andava a prendere Riocard, ma direi che sono inequivocabilmente in ritardo, a questo punto.”
 
*
 
 
“Porco Merlino… Ric, ci sono già i Cavendish, mia madre ci ucciderà!”
“Conviene muoversi allora, se pensi di poter smettere di fare la lumaca.”
 
Riocard scoccò un’occhiata beffarda al cugino prima di puntellare il collo di Andromeda col frustino, facendola galoppare più velocemente mentre Ambrose, in sella a sua volta ad uno stallone grigio pomellato, alzava gli occhi al cielo:
 
“Sai, non è sempre tutta una gara, Ric. Su certe cose sei proprio rimasto un marmocchio.”
“Se si è in sella è sempre una gara cuginetto… Chi arriva ultimo paga da bere la prossima volta.”
“Peccato che tu abbia un cavallo da corsa e io no, ipocrita!”


L’ex Grifondoro ridacchiò e, superando il cugino, diresse Andromeda attraverso il parco della tenuta dello zio, verso il patio dove parte dei Cavendish si stava attardando prima di entrare in casa e raggiungere il giardino sul retro dove avebbe avvuto luogo la cerimonia.
 
“C’è Riocard!”
Alla vista del giovane il volto di Clio si illuminò, sfoderando un largo sorriso mentre si allontanava di qualche passo dalla madre per andare incontro al fidanzato, che rallentò progressivamente al trotto fino a costringere l’alta cavalla nera al passo mentre si avvicinava, seguito dal cugino a soli pochi metri di distanza.
 
Caroline alzò lo sguardo su Neit quando udì il marito emettere una specie di basso grugnito, assestandogli un colpetto di rimprovero affettuoso sul braccio senza però riuscire a non sorridergli dolcemente:
“Sii gentile tesoro, Clio è felice e quindi noi siamo di conseguenza felici per lei, ricordi?”
“Sì, sì, va bene…”
 
Neit non si scompose, continuando a tenere gli occhi fissi sui due mentre Riocard smontava agilmente da cavallo e, rassettandosi la giacca del vestito, sorrideva a Clio che nel mentre l’aveva raggiunto.
“Ciao. Sei bellissima. Emozionata?”
Il volto di Riocard, di solito piuttosto serio, si addolcì in un sorriso mentre prendeva delicatamente le mani della bionda, che annuì con i lunghi capelli biondi elegantemente acconciati sulla nuca e gli occhi chiari luccicanti:
“Da morire! Spero solo di non inciampare e fare brutte figure, non voglio sfigurare al matrimonio di Egan, già a quello di Neit e Caroline sono quasi finita sulla torta e non me lo perdonerò mai… Sei molto elegante! Ma perché siete venuti a cavallo?”
“Oh, beh, ci andava di fare una cavalcata, e visto che casa mia non è molto lontana… Temo solo che qualcuno possa non prenderla troppo bene.”
Il ragazzo sfoderò un sorrisetto colpevole proprio mentre Ambrose smontava da cavallo e, lasciandolo alle cure di uno stalliere, stava per accusare il cugino di essere sleale quando una voce a lui molto nota e poco benevola giunse alle sue orecchie, facendolo raggelare.
 
“VOI DUE!”
“Cavolo… Tu e le tue pessime idee!”
Ambrose scoccò un’occhiata torva al cugino, che sorrise colpevole mentre Amethyst, uscita di casa, superava i Cavendish a passo di marcia per piazzarsi davanti ai due con gli occhi scuri di solito gentili fiammeggianti:
“Vostra cugina si sposa e voi pensate bene di farvi una passeggiatina a cavallo? E’ il primo matrimonio dei Saint-Clair della vostra generazione e ci fate fare queste figure?! E’ pieno di ospiti che stanno chiedendo di voi due babbei!”
 
“Uh-uh, questa non me la perdo!”
Ezra sghignazzò di gusto, pronto a godersi la scena. Purtroppo per lui però Caroline, dopo aver rivolto anche al fratellino un buffetto di rimprovero, intimò a lui e a Neit di seguirla dentro per raggiungere Edward e Robert, che poco prima avevano affermato di aver bisogno di bere per superare quella giornata.
Ambrose e Riocard, intanto, si erano fatti piccoli piccoli di fronte al tono estremamente scocciato di Amethyst, affrettandosi a sfoggiare adorabili sorrisi angelici nella speranza di non essere bacchettati come quando erano piccoli e venivano sorpresi a saccheggiare le scorte di dolci delle cucine.
“S-scusa mamma, ci siamo attardati a bere qualcosa e poi abbiamo pensato di venire a cavallo…”
“Sì zia Amiee, scusaci tanto…”
 
“Quelle belle facce non vi salveranno in eterno, lo sapete? Ora andate, su, o dovrete affrontare l’ira di vostra cugina, e sapete bene che sarà molto peggio della mia. Buongiorno Miss Cavendish.”
Il consueto sorriso della donna tornò ad illuminarle il volto quando si rivolse brevemnete a Clio, che ricambiò prima di prendere il braccio che Riocard le porgeva e, insieme a lui e ad Ambrose, si affrettava a seguirla fin dentro casa.
 
Penelope ed Estelle, invece, erano già sul retro, passeggiando a braccetto lungo la navata per prendere posto in prima fila nella colonna di sedie bianche adibite alla famiglia dello sposo.
 
“Siamo fortunati, è proprio una bella giornata.”
“Già. Dove ti eri cacciata prima, quando in casa regnava il caos assoluto? Merlino, sono felice che questo giorno sia arrivato, l’organizzazione è stata folle.”
“Beh, con oggi sei a quota due figli sposati tesoro, ora manca solo la nostra dolce Clio. Edward dovrà fare i conti con un altro matrimonio Cavendish-Saint-Clair, ho idea. Comunque, stavo risolvendo una questione di massima importanza, è ovvio, altrimenti sarei venuta ad aiutarti!”
“E io dovrei crederci, dopo 40 anni di amicizia?”
 
 
“Edward.”
“Theseus.”
 
Theseus, sprofondato su una poltrona davanti al camino spento in attesa che la figlia scendesse e con un bicchiere in mano, lanciò un’occhiata cupa al cugino mentre Edward lo imitava, una mano in tasca e l’altra stretta su un calice di cristallo.
 
“Spero che Egan sia pronto, perché Elizabeth scenderà a momenti… ah, tesoro, eccoti qui.”
Gwendoline scelse quell’esatto momento per entrare in soggiorno, e rivolse un sorriso allegro al figlio – che le diede un bacio su una guancia quando la madre l’ebbe raggiunto – prima di rivolgersi al nipote e alzare gli occhi al cielo con un sospiro:
 
“Per l’amor del cielo, fatela finita con queste scenate. Ed, Theseus è tuo cugino tanto quanto lo è Robert, non scordarlo. E da oggi fino alla fine dei vostri giorni sarete anche consuoceri, quindi vi sarà impossibile non avere a che fare l’uno con l’altro. Perciò, e sono certa che se fossero qui sia George, sia Rod mi darebbero ragione, smettetela di fare i bambini.”
 
Gwendoline finì di parlare con un sorriso estremamente soddisfatto, fiera del suo discorso mentre figlio e nipote borbottavano qualcosa di indistinto, entrambi a capo chino.
“Bene. E ora Edward vedi di muoverti a prendere posto in giardino, a breve iniziamo. E sorridi, oggi tuo figlio si sposa, per l’amor del cielo! Già che ci sei controlla anche Egan, che non faccia stupidaggini proprio oggi.”
“Mamma, ha 28 anni, non è più un bambino!”
Lo so bene, ma dobbiamo farlo per l’ultima volta, da oggi in poi ci penserà sua moglie.”
 
 
 
“Ah, ecco le mie damigelle. Siete proprio carine!”
Egan, in piedi davanti ad un enorme arco coperto da rose di tutte le sfumature del rose, rivolse un sorrisino ad Ezra e Neit, che con due rose appuntate al petto ricambiarono con due occhiatacce identiche mentre Clio, seduta in prima fila accanto tra la madre e Caroline, iniziava a tirare fuori una gran quantità di fazzolettini dalla sua borsetta magicamente ampliata.
“Ecco perché stamani non ne trovavo nessuno… Clio, hai saccheggiato casa nostra?!”
“Mamma, al matrimonio di Neit ero impreparata e ho fatto un disastro con il trucco, ma questa volta ho abbastanza fazzolettini per tutto il Ministero della Magia, quindi nulla mi spaventa.”
In effetti credo che tra gli invitati ci sia pressoché tutto il Ministero…”
 
Caroline, accigliata, guardò l’enorme quantità di persone che continuava ad arrivare e a sedersi sulle sedie sistemate sul prato, divise da un tappeto bianco coperto ai lati da alcuni petali.
 
 
“Pf, vi sorprende? E’ il matrimonio dell’anno, questo. Un Cavendish e una Saint-Clair non si sposavano da quando ci siamo sposati io e George.”
“Ciao nonna!”
Clio sorrise a Gwendoline quando la nonna le raggiunse, ma prima di sedersi la strega, dopo aver sorriso a lei e a Caroline, si diresse brevemente verso lo sposo.
“Buongiorno tesoro, volevo farti un rapido saluto prima che tu sia troppo preso dal resto per badare alla tua anziana nonna.”
“Non sarò mai troppo preso da qualcosa per non badare a te, nonna. Sbaglio o ti sei appena definita “anziana”?”
 
Egan la guardò strabuzzando gli occhi azzurri, e la donna rise prima di costringerlo a chinarsi per abbracciarla.
“Solo per oggi, perché un giorno speciale. Molto speciale. Sono felice per te caro… e anche per Lizzy, ovviamente. Sono sicura che sarete molto felici insieme.”
Egan annuì con un lieve cenno e ricambiò il sorriso della nonna, guardandola con affetto e con gli occhi chiari che da lei aveva ereditato carichi di gioia.
“Anche io. Quanto te e il nonno?”
“Tesoro, anche di più. Stanne certo.”


 
 
“Ragazze, dobbiamo cercare di NON piangere. Altrimenti poi saremo orribili. Intesi?”
“Cassy, rassegnati, Colleen si sta per commuovere da quando Elizabeth si è messa il velo.”
 
Clara, in piedi vicino all’enorme porta a vetri che dava sul retro – pronta insieme alle sorelle a precedere Elizabeth lungo la navata – alzò gli occhi al cielo e accennò alla minore che, in effetti, teneva gli occhi spalancati e si faceva aria per cacciare indietro le lacrime.
Cherry, ti prego, aspetta almeno le promesse!”
“Ma è tutto troppo bello, come si fa a non piangere ai matrimoni…”
“Oh Merlino, per quando si sposerà lei dobbiamo farle un incantesimo, o non riuscirà nemmeno a dire “Lo voglio”.”
 
*
 
Theseus aspettava nell’ingresso, ai piedi delle scale, e nonostante tutto non potè trattenere un enorme sorriso quando vide Lizzy scendere le scale accompagnata da Thomas, che le teneva una mano per farle avere più stabilità.
“Sei meravigliosa, tesoro.”
 
Astrid, in piedi accanto a lui, rivolse un raro sorriso tenero alla figlia, che ricambiò quasi arrossendo, imbarazzata, mentre Deimos e Phobos scendevano di corsa i gradini accanto a lei.
“Grazie mamma.”
 
“Sì Lizzy, sei bellissima.”   Theseus annuì, imitandosi il sorriso della moglie mentre guardava la figlia con affetto smisurato. Thomas, dopo un’ultima occhiata quasi orgogliosa alla sorellina, le fece gli auguri e le diede un ultimo bacio su una guancia, asserendo che per lui era arrivato il momento di andare a sedersi.
“Vieni mamma?”
Il mago porse il braccio alla madre, che dopo un’ultima occhiata alla figlia – e alla sua amata e splendida famiglia, che da quel giorno non sarebbe più stata riunita sotto lo stesso tetto – annuì e lo strinse, seguendolo fuori per prendere posto insieme agli altri ospiti.
 
“Sei pronta piccola mia?”
Theseus le sistemò il sottile velo di tulle davanti al viso con delicatezza e la guardò annuire, il bouquet stretto tra le mani e gli occhi azzurri dei Saint-Clair carichi d’emozione.
“Penso di sì. Grazie per non esserti opposto, comunque.”
“Ammetto che non mi riempie di entusiasmo, ma sei la mia unica figlia e voglio che tu sia felice, prima di ogni altra cosa. Se non altro, sposando Egan avremo sicuramente dei piccoli Cavendish rossi di capelli, e la cosa mi riempie di soddisfazione.”
 
Elizabeth rise mentre prendeva il braccio del padre, asserendo che almeno, in questo modo, avrebbe sopperito alla sua grave mancanza di essere una Saint-Clair priva di capelli ramati.
“Io e Thomas eravamo ossessionati da questa cosa da piccoli, ci sentivamo meno parte della famiglia. Era stupido?”
“Tesoro, tu e Thomas siete e sarete sempre parte della famiglia. Anche se da oggi diventi una Cavendish, sarai sempre una di noi.”
 
*
 
Quando Gwendoline Saint-Clair attraversò la navata, era piena di emozioni contrastanti. Era felice, impaziente di iniziare quel nuovo capitolo della sua vita. Eppure era anche triste di lasciare la casa dov’era cresciuta, e un po’ intimorita dalla prospettiva di quel matrimonio “atipico”, dalla prospettiva di entrare a far parte della famiglia che da sempre odiava la sua e viceversa.
Stretta al braccio di suo padre, la giovane strega dai lunghi capelli rossi guardò George che l’attendeva davanti all’altare, alto ed elegante come sempre, i capelli biondi pettinati con cura e gli occhi azzurri fissi su di lei.
Un giorno sarebbe diventata la moglie del Ministro della Magia. Talvolta si era chiesta se sarebbe stata in grado di reggere quella vita, ma Riocard le diceva sempre era destinata a grandi cose. E che se lo stesso George l’aveva scelta, un motivo doveva esserci.
 
 
Seduta in prima fila, accanto al figlio, Gwendoline Cavendish guardava, come tutti i presenti, la sposa avanzare verso suo nipote, stretta al braccio di Theseus.
Sorridendo appena percettibilmente, la donna guardò il nipote toglierle il velo dal viso e darle un bacio sulla fronte prima di affidarla ad Egan, che le prese la mano con un sorriso sul bel volto.
Elizabeth lasciò il bouquet nelle mani di Cassiopea e alzò lo sguardo sul – a breve – marito ricambiando il sorriso prima di voltarsi quasi senza volerlo verso Thomas, seduto in prima fila accanto ad Astrid. Astrid che mosse una mano per stringere quella del marito non appena Theseus si sedette: l’uomo abbassò lo sguardo sulla propria mano, poggiata sulla coscia, dove brillava la fede d’oro e ora coperta da quella più piccola della moglie. Alzato lo sguardo sulla donna ricambiò il sorriso che Astrid gli rivolgeva, e lasciò la mano esattamente dov’era.
 
Thomas, dal canto suo, rivolse un  largo sorriso incoraggiante alla sorellina, guardandola con occhi pieni d’affetto mentre, dietro di loro, Riocard e Ambrose seguivano la scena seduti accanto ai genitori di quest’ultimo.
 
 
Raggiunto George, Gwendoline si voltò quasi senza volerlo verso Riocard, seduto in prima fila accanto ai loro genitori. Riocard che la guardava di rimando con attenzione, le braccia strette al petto e serio in volto. Si limitò a rivolgerle un cenno, annuendo proprio come fece suo padre quando Gwen posò lo sguardo anche su di lui.
Infine, alla strega non restò che rivolgersi all’imminente marito, carica di emozioni che non era certa di saper gestire.
 
 
 
Osservandosi attorno, Gwendoline non poté che fare a meno di pensare all’ultima volta in cui le sue due famiglie si erano trovate tutte assieme nello stesso luogo: il funerale di George.  Non poté fare a meno di dispiacersi per la sua assenza, per l’impossibilità del marito di vedere i nipoti sposarsi. E di chiedersi che cosa ne avrebbe pensato.
Sorridendo debolmente e conscia che non avrebbe mai potuto saperlo con certezza, la donna osservò l’enorme quantità di rose rosa che la circondavano e che adornavano praticamente ogni cosa.
Ricordando il suo matrimonio, la prima cosa che le venivano in mente erano le rose bianche che avevano riempito ogni angolo, ogni dettaglio delle sue nozze. Come a voler rimarcare, da parte dei Cavendish, che sarebbe diventata una di loro, che di fatto l’avevano comprata.
 
Guardando Egan ed Elizabeth-Rose, le loro mani strette delicatamente mentre si guardavano sorridendo, Gwendoline sorrise e sentì un moto di gioia pervaderla. le sue due magnifiche, seppur non perfette famiglie, finalmente si univano di nuovo. E per quanto avrebbe sempre ricordato George e il loro matrimonio con affetto e malinconia, era sicura che quell’unione sarebbe stata molto diversa fin dal principio.
 
 
 
 
“Nonna?”
“Sì tesoro?”

“C’è una cosa che non ti ho mai chiesto… hai mai scoperto chi le aveva bruciate, poi, le tue rose?”


Gwen quasi non udì la domanda del nipote, rigirandosi un magnifico bocciolo rosa tra le dita mentre guardava tutti festeggiare, da Riocard e Ambrose che brindavano a Clio che, seduta sulle ginocchia di Neit, gli arruffava ridendo i capelli.
La donna accennò un sorriso e, tornando a guardare il bocciolo, mormorò che ormai non importava più, suggerendogli di non preoccuparsi per lei.
Rammentò con un luccichio quella sera di tre anni prima, quando pur di scoprire qualcosa sul mistero della morte di Rod aveva dato fuoco alle sue stesse, amate rose rosse, chiedendosi se qualcuno avrebbe fatto un passo falso. Anche se così non era stato, era riuscita a venire a capo di quella tragedia e a mettersi l’animo in pace già da tempo, ed era quella la cosa più importante.
“Caro, penso che sia ora di tagliare la torta, e in quanto nonna dello sposo e prozia della sposa, mi aspetto una fetta enorme.”
Egan rise, ma la prese sottobraccio e acconsentì ad accompagnarla, dirigendosi insieme a lei verso la loro nuova, grande famiglia.

 
 
 
 
 
 
 
 
………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
 
Una piccola, ultima premessa: questo Epilogo è ambientato nel 1915, ma facciamo finta che per i maghi la Grande Guerra per il momento non esista, vi va? Di solito sono molto pignola con la storia, ma volevo davvero scrivere una conclusione allegra e spensierata.
Che dire, non è la prima storia di questo genere che concludo e non sarà nemmeno l’ultima, ma anche se passano gli anni è sempre una grande soddisfazione mista a molta malinconia, soprattutto se si riesce e portare avanti una storia senza fare stragi e tutto sommato tutto fila liscio. Cosa posso fare se non ringraziare tutte voi per aver partecipato a questa storia, per avermi mandato personaggi meravigliosi che ho adorato e che mi hanno divertita immensamente? Grazie anche per il coinvolgimento, in generale devo dire che la storia ha avuto un seguito e una partecipazione sempre piuttosto solidi, puntuali e presenti, quindi in generale sono davvero felice e soddisfatta di come sia andata.
Spero ovviamente che vi sia piaciuta, che vi siate divertite quanto mi sono divertita io e che i vostri personaggi per ora vi abbiano soddisfatto. Sì, per ora perché scriverò ancora di loro, e anche parecchio: come ho detto ad una di voi qualche giorno fa, il potenziale materiale che questa storia offre è enorme, quindi sì, ovviamente ci sarà la raccolta di OS su coppiette e non, ma penso che poi vi stupirò con altri effetti speciali. Alla fine non ne potrete più della sottoscritta <3
A questo punto, quindi, mi ritrovo con un’ultima domanda per voi: che ne facciamo dei vostri OC? Dal punto di vista lavorativo, affettivo ecc
Vi prego di pensarci e di rispondermi il prima possibile per discuterne insieme, perché senza tutto questo io le OS non le posso scrivere… per chi mi segue su Instagram ovviamente ci sentiamo lì, che è molto più comodo e veloce.
Le OS cercherò di farvele avere presto, promesso, anche se la sessione incombe e il periodo non è dei migliori per scrivere… la prima potrebbe (e sottolineo il condizionale) arrivare nel weekend, ma non prometto niente, sta anche a voi mandarmi ciò che mi serve. Quindi via con le preferenze per numero di marmocchi e nomi, dobbiamo popolare il Regno Unito di tanti piccoli Cavendish e tanti piccoli Saint-Clair.
 
Infine, so che far sposare proprio Egan e Lizzy nell’Epilogo è azzardato visto che non avevo dato loro una vera e propria “conclusione” nella storia, ma ci tenevo a rappresentare il “cerchio che si chiude” con il paragone del matrimonio tra Gwen e George, che ha dato inizio a tutto.
Senza contare che la Guerra delle Due Rose, che mi ha dato l’ispirazione, storicamente si è conclusa con il matrimonio di Elisabetta di York sposa Enrico VII discendente dei Lancaster, quindi…
 
Grazie ancora a tutte, un abbraccio e a presto spero!  <3
Signorina Granger
 
 
 
 
 
 

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