Slices of life di Desma (/viewuser.php?uid=1021746)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wearing other's clothes ***
Capitolo 2: *** Holding hands ***
Capitolo 3: *** Washing other's hair ***
Capitolo 4: *** Falling asleep in other's lap ***
Capitolo 5: *** Cuddling in a fort of blankets ***
Capitolo 6: *** Sharing a bed (pt.1/4) ***
Capitolo 7: *** Head scratches (pt.2/4) ***
Capitolo 8: *** Sharing a dessert (pt.3/4) ***
Capitolo 9: *** Patching up wounds (pt.4/4) ***
Capitolo 10: *** Shoulder rubs ***
Capitolo 11: *** Reading a book together ***
Capitolo 12: *** Caring while ill ***
Capitolo 13: *** Taking a bath together ***
Capitolo 1 *** Wearing other's clothes ***
La
pioggia battente gocciolava dal suo
copricapo come un ruscello e i suoi vestiti erano zuppi, ma il samurai
abituato
a climi ben più ostili a malapena se ne accorgeva. Non si
era nemmeno reso
conto del riscaldamento all'interno del museo, dove era andato a fare
un
sopralluogo vestito da turista.
Non
amava travestirsi e ancora meno
indossare gli abiti occidentali che Lupin sceglieva per lui, ma se si
trattava
di lavoro era disposto ad accettarlo.
Ora
però che i vestiti occidentali erano
riposti in uno zaino e che Zantetsuke era tornata ad oscillare
docilmente al
suo fianco a ritmo dei suoi passi, Goemon Ishikawa XIII si sentiva
decisamente
più a suo agio.
Lavorare
con Lupin lo aveva portato ad
apprendere capacità che il suo addestramento da samurai non
avrebbe potuto
insegnare, come tracciare la mappa del sistema di sorveglianza a
circuito
chiuso di un edificio soltanto guardando e memorizzando le telecamere
all'interno, oppure identificare il tipo di sistema di allarme
all'interno
delle vetrine espositive.
In
quanto incarnazione vivente del
concetto di tradizione, Goemon non avrebbe nemmeno
potuto immaginare che
un giorno sarebbe stato in grado di fare tutto ciò e quello
era uno degli
aspetti che prediligeva nel lavorare con il ladro gentiluomo.
La
pioggia non aveva smesso un attimo di
cadere per tutto il percorso che dal museo conduceva al loro
nascondiglio e
quando Goemon ebbe aperto la porta dell'appartamento ai suoi piedi si
formò una
pozza d'acqua.
Rimase
in ascolto per qualche istante dei
rumori della casa: durante tutto il suo addestramento, gli era stato
insegnato
a percepire la presenza di potenziali avversari ben prima che i suoi
occhi
potessero notarli.
Non
che si aspettasse che qualcuno avesse
trovato il loro nascondiglio, ultimo tra tutti Zenigata, che era il
loro
inseguitore più ostinato, ma era un'abitudine che gli aveva
sempre fatto comodo
in passato.
Non
percepì l'odore della colonia di Lupin
e nemmeno quello delle sigarette di Jigen, che solitamente erano
sufficienti ad
annunciargli la presenza dei suoi soci, e nessun suono, oltre al
ticchettio
della pioggia sui vetri, gli arrivò alle orecchie.
Le
spalle gli si rilassarono, mentre la
sua mente lo rassicurava che fosse l'unico presente
nell'appartamento.
Decise
così di concedersi una doccia calda
per togliersi di dosso l'umidità dell'esterno in attesa che
i suoi colleghi
terminassero le rispettive mansioni e lo raggiungessero al
nascondiglio.
Mentre
faceva scorrere l'acqua dal moderno
soffione, Goemon sospirò ripensando alle acque termali delle
sorgenti tra i
monti in cui si era immerso solo qualche settimana prima. La
modernità non
poteva certo offrire nulla di paragonabile alla sensazione di essere
circondato
dall'acqua sulfurea e dai vapori rigeneranti tra i paesaggi delle
montagne
giapponesi.
Fu
una doccia rapida, giusto il tempo
necessario a lavarsi la pelle e i capelli, e il samurai
uscì, avvolgendosi la
vita con un asciugamano. Solo allora si accorse che uno degli
asciugamani che
erano stati appesi all'ingresso del bagno mancava all'appello e i suoi
nervi si
irrigidirono: qualcuno era entrato nell'appartamento.
Afferrò
la fedele Zantetsuke che aveva
accomodato appena fuori dalla doccia e in punta di piedi
uscì dal bagno a
ispezionare la casa.
Notò
quasi subito che la porta della
cucina era socchiusa e si diede dell'idiota per non averla controllata
prima.
Snudò
la lama, che brillò fredda come un
fulmine che preannuncia un temporale estivo, e si preparò
all'attacco.
Prese
un lungo respiro ed aprì la porta
della cucina con un calcio, pronto a ingaggiare la lotta, ma quello che
vide lo
lasciò di sale.
Seduta
al tavolo della cucina, intenta a
leggere una rivista e a sorseggiare un thé caldo, c'era
Fujiko.
I due
si fissarono per qualche istante
nella sorpresa di quell'incontro inaspettato, ma poi Goemon si rese
conto di
indossare unicamente un asciugamano davanti a una donna e la mano
libera dalla
spada corse a sorreggere quell'unica stoffa.
Fujiko
notò il suo imbarazzo e ridacchiò:
-Non ti devi vergognare!- lo esortò, tornando a bere il suo
thé -Io di certo mi
sto godendo la vista.
A
quelle parole il samurai sentì il viso e
le orecchie andargli a fuoco e uscì di corsa fuori dalla
cucina alla ricerca dei
suoi vestiti, mentre la donna continuava a leggere come se niente fosse.
Qualche
istante più tardi Goemon tornò in
cucina, resosi presentabile con un cambio di kimono e hakama, ad
affrontare
Fujiko.
La
trovò dove l'aveva lasciata: -Cosa ci
fai qui?- domandò.
-Sono
stata sorpresa dalla pioggia- spiegò
la donna, girando una pagina della sua rivista con le dita lunghe e
dalle
unghie perfettamente curate -E dato il vostro nascondiglio era sulla
strada ho
pensato di darmi una rinfrescata.
Goemon
la squadrò da capo a piede per un
istante, notando il turbante realizzato con l'asciugamano mancante che
le
avvolgeva i capelli e la vestaglia bianca che le copriva il
corpo.
A una
seconda occhiata, però quella
vestaglia gli sembrò molto familiare: -È un mio
kimono quello?- chiese il
samurai indicando il capo di abbigliamento in questione.
-Questo
dici?- disse Fujiko allargando i
lembi della vestaglia e mostrando così qualche centimetro in
più della generosa
scollatura.
Goemon
si sentì di nuovo avvampare ma si
costrinse a mantenere lo sguardo e a non dare la soddisfazione alla
donna di
vederlo cedere: -Sì- annuì alla fine.
-È
solo una cosuccia che ho preso in
prestito- rispose la ladra, accomodando meglio le lunghe gambe
affusolate sulla
sedia così che il kimono coprisse giusto lo stretto
necessario e le lasciasse
in vista -Hai sempre avuto così buon gusto nel vestire! Non
potevo certo
prendere una delle camicie di Jigen, ti pare?
-Che
fine hanno fatto i tuoi vestiti?- la
incalzò Goemon, sentendosi tuttavia lusingato dal commento
sul suo buon gusto:
tutti gli abiti che portava erano fatti su misura da una sarta che
aveva
confezionato vestiti per suo padre e andava fiero di ciò che
indossava.
Ovviamente
non disse nulla di tutto ciò a
Fujiko.
-Non
ti agitare- gli sorrise la ladra,
provocando volutamente l'effetto opposto -Si stanno asciugando in
salotto
davanti al deumidificatore. Tra qualche minuto saranno pronti.
Il
samurai annuì leggermente con il capo,
ma la sua assertività era solo apparente: anni di lavoro ed
esperienza lo
avevano reso diffidente davanti alla presenza di Fujiko e se quella
donna si
trovava nel loro nascondiglio non poteva essere stato solo per il
sopraggiungere della pioggia.
-A
cosa stai puntando?- le domandò calmo.
-Mi
sembra di sentire Jigen e, mio caro
Goemon, ti assicuro che non è un complimento- Fujiko
cercò di divagare, ma
davanti alla determinazione del samurai, apparentemente impassibile di
fronte
al suo fascino, dovette vuotare il sacco -Pensavate davvero di
imbarcarvi nel
progetto del furto della collezione dei gioielli di Maria Luigia senza
coinvolgermi?- sul suo viso si aprì un ampio sorriso
malizioso -Lupin dovrà
darmi delle spiegazioni per avermi estromessa dal piano e,
naturalmente, voglio
una fetta del bottino.
Il
samurai sorrise: -Insomma, la solita
visita di cortesia.
Quel
commento lasciò Fujiko senza parole:
-Era una battuta quella?- domandò spiazzata, ma il samurai
era già sparito
dalla cucina.
Le
arrivò alle orecchie la sua voce dalla
stanza a fianco: -Fai in modo di farti trovare da Lupin con i tuoi
vestiti
addosso o si farà un'idea sbagliata e dei gioielli di Maria
Luigia non vedremo
un frammento né te, né io.
Note
dell'autrice: Ciao
a tutt* e grazie per essere arrivat*
in fondo a questo capitolo a tema Lupin III. Il progetto che ho in
mente è
quello di realizzare una raccolta di 20 oneshots in questo fandom
basate su una
lista di prompts per le otp. Premettendo che per il Fandom Lupin III
non ho una
vera e propria otp, ho deciso di realizzare la raccolta ricreando dei
momenti
di vita del gruppo che solitamente non vengono raccontati e facendo
interagire
sempre almeno due dei personaggi.
Sperando
di essere prolifica e all'altezza
della situazione, così da offrire un lavoro di
qualità, vi auguro buon tutto e
a presto!
Desma
Ps. Il prossimo
capitolo si intitolerà Holding
hands,
ci vediamo là!
|
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Capitolo 2 *** Holding hands ***
Lo specchio a figura intera nella camera d’albergo, che avevano preso come rifugio per quel colpo, restituiva all’uomo l’immagine di un cameriere con la barba insolitamente incolta e un cappello borsalino scuro calato sugli occhi.
Si aggiustò il cravattino sopra la camicia bianca e si chiuse i polsini della giacca nera con dei gemelli d’argento dalla linea semplice. Le scarpe ai suoi piedi erano state accuratamente lucidate e l’unica imperfezione del suo travestimento era il bozzo appena accennato all’altezza del petto, dove Jigen aveva riposto in una tasca interna il pacchetto di sigarette e l’accendino.
L’abitudine di nascondere la .357 Combact Magnum nei pantaloni sotto la giacca era talmente forte e consolidata che nessuno, nemmeno un combattente esperto, sarebbe stata in grado di individuarla.
Daisuke Jigen, che faceva dell’eleganza il proprio marchio di fabbrica, era abituato a vestirsi bene, ma quel completo a coda di rondine e il papillon lo facevano sentire davvero un pinguino.
Si diede un’ultima occhiata allo specchio e decise che per il ruolo di cameriere di un importante e sfarzoso evento mondano quel abbigliamento era più che sufficiente.
-Lupin sei pronto?- chiamò il pistolero accendendosi una sigaretta e avviandola con una boccata.
-Ci sono quasi- sentì il socio rispondere dall’altra stanza -Dammi ancora un istante.
-Che c’è?- lo schernì Jigen, lasciandosi cadere sulla poltrona -Non ti ricordi più come si fa il nodo al cravattino?
-Quale cravattino?- chiese Lupin affacciandosi alla porta della stanza e a Jigen, fumatore accanito, andò il fumo di traverso.
Nella stanza aveva fatto il suo ingresso una donna in un raffinato abito scuro tempestato di brillanti sulle cui spalle avevano attaccato la faccia da scimmia di Lupin.
-Ma che diavolo…?- esclamò il pistolero, gesticolando animatamente nell’impossibilità di trovare le parole per descrivere quella che ai suoi occhi era una strana chimera.
-Quante storie che fai!- sbuffò il ladro gentiluomo posizionandosi davanti allo specchio e aggiustandosi le protesi che simulavano i seni del suo personaggio -Come se non mi avessi mai visto nei panni di una signora!
Lupin ridacchiò al proprio doppio senso e fece un giro su se stesso per controllare il retro del suo travestimento: -Mi sembra che funzioni…- borbottò tra sé e sé.
-Vuoi spiegarmi?- lo incalzò Jigen, aspirando con forza la sua sigaretta fino a consumarla quasi del tutto.
-Ma come? Non te l’avevo detto?- ribattè Lupin e a Jigen si chiuse una vena all’altezza della tempia: quello era il tipico tono che il ladro utilizzava quando gli ometteva volontariamente qualche dettaglio del colpo per indurlo a fare cose che altrimenti non avrebbe fatto.
Inutile dire che Jigen odiava quel tono di voce come un cane odia che gli si pesti la coda.
-L’unico modo per aver accesso al rubino di Cupido- iniziò a spiegare Lupin mentre sceglieva una parrucca dall’armadio -È fare parte del galà della famiglia DeGorgette che si tiene una volta ogni cinque anni e che è dedicato alle coppie promesse in matrimonio.
-Questo me lo hai già detto- lo interruppe Jigen, spazientito -Ma perché ti sei vestito da donna?
-Ma perché noi abbiamo ricevuto un invito, sciocchino- gli rispose il ladro gentiluomo in falsetto, facendogli sventolare una busta di carta bordeaux sotto al naso.
-Invito?- esclamò sorpreso Jigen, afferrando la busta ed esaminando il contenuto mentre Lupin continuava a parlare.
-Ma naturalmente, mon ami! Ricorderai che i DeGorgette indicono questi galà allo scopo di dare la benedizione del rubino di Cupido alle coppie pronte all’altare e di guadagnarci anche una discreta sommetta dato il costo che ha ottenere quel pezzo di carta che hai tra le mani.
-Lo so benissimo- abbaiò Jigen, infilandosi istintivamente l’invito nella tasca della giacca -Ed è la ragione per cui mi sono vestito da pinguino: interpretare uno dei camerieri al servizio dei DeGorgette.
-Oh no!- Lupin scosse la testa, facendo oscillare i nuovi boccoli castani che gli cadevano sulle spalle -I DeGorgette scelgono con estrema cura il loro personale, non ti avrebbero mai fatto entrare, anche perché dispongono di uno scanner di sicurezza che oltrepassa le maschere, quindi l’opzione camerieri è completamente da scartare.
-E quindi entriamo come invitati?
-Esattamente!- il ladro gentiluomo sottolineò quell’espressione schioccando le dita -Hai di fronte a te Marie Luprette Troix, la tua fidanzata a cui hai chiesto la mano lo scorso dicembre alla notte di Natale.
Jigen lo osservò incredulo per qualche istante, cercando nel suo volto e nel linguaggio del corpo un segnale che gli rivelasse che l’amico lo stesse prendendo in giro o che fosse ammattito.
-Non ci sto- decretò infine -Vacci con qualcun altro, perché io non intendo interpretare il ruolo di qualcuno fidanzato con una brutta faccia da scimmia come la tua!
-Quanto sei villano!- lo rimproverò Lupin facendogli una smorfia -E comunque non c’è più tempo: il galà è solo tra un’ora e non ho nessun altro che possa accompagnarmi… Oppure vuoi che lo chieda a Fujiko e che sia lei a recuperare il rubino di Cupido?
Alla prospettiva del coinvolgimento di Fujiko la mente di Jigen si placò e il suo carattere, sebbene ancora parecchio irritato, divenne improvvisamente più malleabile.
Rimase così ad ascoltare la variazione del piano che Lupin aveva da esporgli, interrompendolo di tanto in tanto per farsi spiegare meglio qualche dettaglio, poi quand’ebbe finito, il pistolero acconsentì a partecipare, pur con una malcelata diffidenza.
Salirono infine in macchina e Jigen ebbe il tempo dell’attraversata, passata alla guida, per patteggiare internamente con il ruolo che avrebbe dovuto ricoprire e ripassare mentalmente le fasi del piano.
La villa dei DeGorgette era un’enorme edificio neoclassico nella cornice della rustica campagna provenzale e dall’ingresso si estendeva una fila di coppie in sfavillanti abiti da sera che mostravano il loro invito e si facevano annunciare.
Al loro turno, il paggio avvisò la sala dell’arrivo di monsieur Magnum e mademoiselle Troix. La padrona di casa, una donna robusta di mezza età con al collo una accecante collana di zaffiri, venne ad accoglierli, indicando dove si sarebbe svolta la cena, dove si sarebbero seduti e, dettaglio più interessante per i loro scopi, dove e quando si sarebbe tenuta la benedizione del rubino di Cupido.
Qualche minuto più tardi, in cui venne servito l’aperitivo, vennero fatti accomodare nella sala da pranzo, dove camerieri dalle divise inamidate e fiori rossi appuntati al petto servirono pietanze squisite da bagnare con vini pregiati.
-Visto che non è così male interpretare il ruolo del mio fidanzato?- gli sussurrò Lupin approfittando del fatto che il suo socio aveva la bocca impegnata a masticare -Io li tratto sempre bene i miei appuntamenti!
-Strozzati con il pollo e stai zitto- gli rispose seccamente il pistolero, deglutendo il boccone con un sorso di vino -Piuttosto, dobbiamo aspettare tutta la serata per poter prendere il rubino? Non sarebbe più comodo farlo ora che sono distratti?
-Non avere fretta, mio caro, il momento giusto arriverà! Nel frattempo godiamoci questa cena deliziosa. Mi passeresti la salsa?
A cena conclusa, gli ospiti vennero spostati nella sala da ballo, dove sotto candelabri di cristallo era stata predisposta una scalinata di legno con balaustra dorata in cima alla quale l’enorme e famigerato rubino di Cupido riluceva dei riflessi delle candele.
Monsieur DeGorgette prese parola: -Miei cari amici, spero che la cena sia stata di vostro gradimento e che i vostri palati siano stati appagati. Come sapete, ora giunge il momento tanto atteso della serata: la benedizione del vostro amore da parte del rubino di Cupido! Si dice che questo bellissimo rubino, unico al mondo per purezza e dimensioni, si sia formato dalle gocce di sangue scaturite dal dito di Cupido quando si punse con una delle sue stesse frecce, che danno l’innamoramento. In esso racchiude l’essenza stessa dell’amore romantico e le coppie che ne chiedono la benedizione prima del matrimonio avranno una vita coniugale felice e ricca di prole!
-Quanti figli vuoi, mio caro?- sussurrò Lupin all’orecchio del pistolero, ridacchiando.
-Falla finita!- lo ammonì Jigen con un ringhio.
-Ora le coppie verranno chiamate una ad una- continuò DeGorgette -E dovranno percorrere la scalinata mano nella mano, raggiungere il rubino e invocare la sua benevolenza, poi potranno ridiscendere e verranno accompagnati nella stanza accanto dove la festa continua.
Si iniziò a chiamare gli ospiti e Jigen osservò le varie coppiette emozionate salire la scalinata quasi di corsa e riversare il loro amore su una pietra fredda e sorda, buona solo a riempire la loro collezione di preziosi. Ogni tanto tra le coppie scattava un bacio appassionato davanti al rubino e Jigen era certo che non sarebbe stato in grado di trattenersi dall’estrarre la pistola se Lupin avesse anche solo provato ad avvicinarsi a lui più del necessario.
Vennero chiamati il signor Magnum e la sua incantevole dama la signorina Troix e Jigen si incamminò verso la scalinata ma qualcosa lo afferrò per il gomito: -Non dimentichi nulla, mon chére?- lo richiamò Lupin.
-Che cosa?- domandò Jigen, ma la mano tesa e inanellata del socio gli bastò a capire -Non fare il bambino!- lo rimproverò Lupin, percependo la sua ritrosia -Non vorrai che queste simpatiche persone si insospettiscano?
Jigen si diede una veloce occhiata intorno e tanto bastò a fargli notare che tutti gli occhi degli invitati (e della sicurezza!) erano puntati su di loro.
Alla fine dovette cedere e, commentando “Ma guarda te cosa mi tocca fare!”, prese la mano di Lupin nella sua, trascinandolo quasi di peso per la scalinata.
Quando furono in cima, su di un piedistallo ornato da un cuscino di seta bianca svettava il meraviglioso rubino e Jigen riusciva a intravedere la scintilla di bramosia che brillava dietro le pupille di Lupin.
Lo osservò allungare la mano sul rubino, come a volerne evocare la benedizione, mentre l’altra estraeva dalla scollatura un piccolo telecomando: -Sei pronto all’azione, Jigen?
-Non aspettavo altro.
Il buio scese d’improvviso nella sala, illuminata per brevi istanti dal fuoco delle bocche delle pistole, i cui boati facevano oscillare gli imponenti lampadari.
Finalmente Jigen aveva iniziato a divertirsi.
Nota dell’autrice: salve a tutt* e benvenut* alla fine del secondo capitolo della mia raccolta di oneshots tema Lupin III. Vorrei ringraziare di cuore Fujikofran per aver recensito il primo capitolo e aver inserito la storia tra le seguite! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vorrete lasciare un commento per farmi sapere cosa ne pensate. .
Questa volta come avete visto il pairing è stato il classico Lupin/Jigen ma con il prossimo capitolo voglio osare di più! Ci vediamo con la terza oneshot che si intitolerà Washing other’s hair.
A presto,
Desma |
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Capitolo 3 *** Washing other's hair ***
Nel
corridoio di cemento
vuoto e ostile della prigione sotterranea i suoi passi rimbombavano di
un’eco
inquietante. Abituato com’era a lavorare all’aperto
e sempre in movimento,
Zenigata non si sentiva a proprio agio nel camminare in un tunnel
sottoterra
dove venivano rinchiusi e custoditi i peggiori criminali viventi, in
attesa
dell’attuazione della condanna definitiva.
Da
qualche parte, dietro
una delle porte blindate di spesso metallo, la sedia elettrica
aspettava
paziente il prossimo condannato su cui sfogare tutta la sua forza
distruttiva.
C’era
stato un tempo in
cui i suoi sogni notturni (in quelle poche notti che dedicava al
riposo) erano
colmi dell’immagine di Arsene Lupin che si contorceva sotto
le scariche
elettriche, mentre lui lo osservava nella soddisfazione di averlo
infine
catturato, ma ormai, dopo tanti e lunghi anni di inseguimento, si era
ritrovato
a desiderare di sbatterlo in prigione e potergli fare visita con
regolarità,
per poi invitarlo a bere una volta che avesse scontato il suo debito
con la
giustizia.
Non
desiderava la morte
di Lupin più di quanto non desiderasse la propria e Koichi
Zenigata era un uomo
fortemente attaccato alla propria vita, votata alla cattura del ladro
più
scaltro e pericoloso del mondo.
Non
la desiderava
nemmeno per i complici di Lupin, che, al contrario, aveva imparato ad
ammirare
(segretamente) per la fedeltà al ladro gentiluomo e per le
loro straordinarie capacità,
ma oramai il giudice si era espresso e per Goemon Ishikawa, catturato
in
flagranza di reato, il destino era stato scritto nei cavi che
alimentavano la
sedia elettrica.
Aveva
fatto del proprio
meglio, questo Zenigata lo sapeva, nel cercare di usare la sua
autorità
nell’ICPO e la sua competenza per convincere il giudice
Gaiman a ritirare la
condanna e a lasciare che fosse la giustizia giapponese a farsi carico
del caso
del samurai. Il gruppo di ladri, però, era stato colto a
mettere le mani sulla collezione
d’arte del governatore dello stato e, date la loro
pericolosità e la lista
infinita di reati clamorosi di cui si erano macchiati, la vittima del
furto
voleva farsi fregio della condanna di almeno uno dei famosi criminali
internazionali.
Così
Goemon Ishikawa,
catturato dopo essere stato ferito a un braccio dal fucile dello stesso
governatore, era stato giudicato colpevole e condannato alla morte con
rito
abbreviato e rinchiuso in quella tetra prigione fino al giorno
dell'esecuzione.
L’unica
cosa che
l’ispettore dell’Interpol aveva potuto ottenere era
stata la cura esclusiva del
condannato e la custodia della sua arma, così da prevenire
eventuali tentativi
di evasione. Tentativi che non c’erano stati, né
da parte del condannato, né da
parte dei suoi complici, che sembravano essere svaniti nel nulla.
Zenigata
si era scoperto
ad ammirare la dignità e la compostezza del samurai davanti
alla reclusione e
alla condanna a morte e a provare un’incontenibile rabbia nei
confronti di
Lupin e Jigen, che sembravano essersi dimenticati del loro complice il
cui
orologio della vita stava per battere l’ultima ora.
L’ispettore
si
identificò alla guardia messa alla sorveglianza della cella
del samurai e
attese che gli venisse aperta la porta, poi entrò in un
altro corridoio, in
fondo al quale Goemon sedeva in meditazione dietro un muro di sbarre di
metallo.
-Ti
ho portato la cena-
annunciò l’ispettore, senza però
aspettarsi una risposta. In un angolo della
cella vi erano i vassoi e i contenitori intatti dei pasti che aveva
portato al
samurai nei giorni precedenti e che lui non aveva nemmeno toccato -Da
queste
parti non è facile trovare del buon sushi- riprese -Ma ho
fatto del mio meglio.
Ho immaginato che non avresti voluto un hamburger come tuo ultimo pasto.
La
parola ultimo gli
uscì dalle labbra con l’amarezza di un veleno e ne
sentì il sapore in bocca
anche quando, aperta la guardiola, fece scivolare la confezione di
sushi
all’interno della cella.
Goemon
non mosse un
muscolo, anzi, sembrava proprio che non si fosse accorto nemmeno della
sua
presenza, ma Zenigata non era un ingenuo e sapeva molto bene che a
quell’uomo
silenzioso nulla sfuggiva, nemmeno mentre dormiva.
-Ho
preso io in custodia
la tua spada- continuò Zenigata -Ho ottenuto che venga
riportata in Giappone
dopo l’esecuzione. Sarò io stesso ad occuparmi del
suo trasporto. Dove vuoi che
la porti?
Attese
qualche istante
che il samurai gli rispondesse. Sperando
ardentemente che il samurai gli
rispondesse, ma dopo l’ennesimo interminabile silenzio,
girò i tacchi e si
diresse all’uscita, sconfitto.
-Zantetsuke
è stata
tramandata nella mia famiglia per generazioni- sentì dire
alle sue spalle e si
voltò di scatto verso il samurai con una nuova ondata di
energia in corpo -Io
non ho eredi, ma sono certo che al tempio dove mi hanno addestrato
sapranno
formare un nuovo samurai degno della sua lama. Portala lì,
Zenigata. Zantetsuke
non merita di essere lasciata ad arrugginire in un museo o in qualche
archivio
della polizia.
Il
suo nome pronunciato
dalla bocca di un condannato a morte ebbe l’effetto di
scuoterlo e dovette fare
appello a tutta la sua forza interiore per non mostrare sul viso le
emozioni
che lo pervadevano in quel momento.
Annuì
con il capo e
attese che Goemon gli fornisse ulteriori indicazioni, ma ciò
non accadde e alla
fine fu lui a parlare: -So che non lo farai- esordì
l’ispettore sorprendendosi
del proprio tono di voce quasi paterno -Ma è mio dovere
dirtelo: se mi dirai
dove si nascondono Lupin e Jigen, potrò dichiarare la tua
collaborazione al
giudice e avere una base su cui lavorare per farti concedere il
rimpatrio.
E
salvarti dalla sedia
elettrica,
pensò, ma si tenne
quelle parole per sé.
-Ti
sei già risposto-
furono le parole del samurai e Zenigata dovette accettarle, pur a
malincuore.
Si disse che era un’ingiustizia che un suo connazionale
venisse condannato a
morte in terra straniera, ma la verità era che Goemon era
giovane e pieno di
vita, nonostante i giorni di digiuno, e l’ispettore odiava
che un uomo del
calibro del samurai, seppure un criminale, venisse spento con quella
brutalità
nel fiore degli anni.
Non
aveva neppure
fiatato quando l’infermiere della prigione, un uomo rozzo e
sadico, gli aveva
estratto la pallottola dal braccio senza anestesia e gli aveva
applicato il
bendaggio alla bell’e meglio.
Zenigata
aveva assistito
personalmente a quell’operazione e si era dovuto mordere
più volte la lingua
per impedirsi di intervenire. In Giappone una crudeltà del
genere non sarebbe
stata tollerata.
-Hai
un ultimo
desiderio?- gli domandò infine l’ispettore.
-Arriva
il giorno in cui
ogni uomo deve affrontare la propria morte e fare i conti con la
propria
coscienza- disse il samurai, aprendo gli occhi e puntandoli
direttamente in
quelli grandi e tondi di Zenigata -Vorrei fronteggiare la mia con
dignità,
anche nell’aspetto.
L’ispettore
annuì e
disse che avrebbe predisposto personalmente il necessario per
accontentarlo.
Uscì
dal corridoio e
fece ritorno dopo circa un’ora con una borsa tra le mani. Un
comando elettrico
fece scattare la porta della cella e Zenigata entrò:
-Inutile che ti dica che
le telecamere ci tengono d’occhio e che se cercherai di
aggredirmi avrai
addosso un centinaio di secondini nel tempo di un paio di minuti.
-Lo
so molto bene-
confermò il samurai e lasciò che
l’ispettore riponesse le vecchie confezioni di
cibo in un sacco della spazzatura e sistemasse la borsa in un angolo
pulito
della cella.
-Ti
ho portato gli abiti
con cui sei stato arrestato- spiegò l’ispettore
aprendo la borsa e svuotandola
del contenuto -Per ragioni di sicurezza dovrai cambiarti in mia
presenza e se
il braccio ti fa male, ti darò una mano. Ho portato il
necessario per farti la
barba e lavarti i capelli. Non ti darò in mano un rasoio,
pertanto mi occuperò
io di queste mansioni.
-Va
bene- acconsentì il
samurai -Ti ringrazio per la tua gentilezza.
-A un
condannato a morte
non si nega mai l’ultimo desiderio.
Si
avvicinarono al
lavello della cella e Zenigata gli dispose un piccolo asciugamano a
protezione
della divisa da carcerato che Goemon indossava, poi gli
applicò la schiuma da
barba e con attenzione iniziò a tagliare quella peluria
scura che era cresciuta
nei giorni in cella.
Goemon
si arrese alle
cure dell’ispettore senza fiatare né fare
resistenza e un silenzio strano ma
confortevole li avvolse. Zenigata per un attimo dimenticò di
essere in una
prigione e di essere davanti a uno dei criminali più
pericolosi al mondo, ed
ebbe la sensazione di trovarsi in compagnia di un vecchio amico, di
quelli con
cui non serve parlare per intendersi.
Quand’ebbe
finito con la
barba e il volto del samurai fu tornato liscio, gli fece cenno di
girarsi e
azionò l’acqua calda. Quando il getto ebbe
raggiunto la temperatura idonea,
Zenigata si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti
e spostò i capelli
neri dell’uomo sotto l’acqua.
Li
bagnò e li frizionò
con cura con uno shampoo per pulirli dalla polvere e al sudiciume della
cella,
poi li risciacquò abbondantemente e li strizzò
con delicatezza.
Usò
l’asciugamano che
aveva disposto sulla divisa da carcerato del samurai per sfregare i
capelli ed
asciugarli. Fu un’operazione piuttosto lunga, data
l’umidità della stanza, e
l’ispettore non faticava ad immaginare le guardie che li
osservavano sui
monitor ridere a crepapelle davanti a quello spettacolo, ma non se ne
curò.
Quegli uomini non erano in grado di capire il rispetto che un
giapponese prova
nei confronti di un valoroso avversario, soprattutto nel momento della
sconfitta, e nulla sarebbe stato più disonorevole e
irrispettoso del negare a
Goemon Ishikawa la dignità che meritava di fronte al suo
boia.
Conclusa
quell’operazione, l’ispettore lasciò che
Goemon indossasse i suoi abiti e non
fu necessario il suo intervento.
Soddisfatto,
Goemon
ringraziò l’ispettore con un cenno del capo, che
Zenigata ricambiò e i due si
separarono, in attesa di ritrovarsi il giorno dopo nella stanza
dell’esecuzione.
A una
notte insonne
seguì una mattina inquieta per l’ispettore
Zenigata, sul cui viso si leggeva la
disapprovazione per la condanna mentre veniva scortato nella sala
dell’esecuzione.
Ad
assistere all’ultimo
atto della vita di Goemon Ishikawa vi erano il governatore, il giudice
Gaiman,
una mezza dozzina di ufficiali militari, un medico e, naturalmente, il
boia.
Lo
stomaco gli si
attorcigliò quando vide il condannato venire condotto nella
stanza e fatto
sedere sulla sedia elettrica, mentre il giudice Gaiman leggeva da un
foglio di
carta la condanna che aveva emesso poco più di una
settimana prima.
Gli
occhi di Zenigata
incrociarono quelli del samurai e non videro nemmeno l’ombra
della paura, al
contrario gli parve di vedere la fiamma dell’orgoglio
e… dell’attesa?
Qualcosa
dentro di lui
lo mise in allarme e il suo istinto di poliziotto iniziò a
fremere: il medico
che stava esaminando lo stato di salute del samurai non aveva forse
qualcosa di
familiare? Quei lineamenti simili a quelli di una scimmia e le folte
basette ai
lati della mascella non somigliavano forse a quelli di qualcuno di sua
conoscenza?
E non
aveva forse già
visto la barba nera e pettinata in avanti del boia, sui cui occhi era
calato un
cappello a nasconderne l’espressione?
Guardò
di nuovo il
samurai, che non aveva smesso per un istante di osservarlo, e vide che
sul suo
viso si era aperto un accenno appena percettibile di sorriso davanti
alla sua
realizzazione.
Zenigata
capì e quando
venne azionata la sedia elettrica e al posto della corrente venne
emessa una
spessa coltre di fumo che invase la stanza, iniziò a ridere
di gusto.
Nota
dell’autrice:
Ciao a tutt* e benvenut* alla fine del
terzo capitolo di questa raccolta. Grazie mille a Fujikofran per la sua
recensione del capitolo precedente!
Devo
ammettere che
questa oneshot mi ha reso piuttosto emotiva nello scriverla e spero
davvero che
vi sia piaciuta. Non capita spesso di vedere Goemon e Zenigata
interagire tra
loro e ho immaginato che in una situazione come quella che ho
descritto,
l’ispettore avrebbe mostrato un lato quasi paterno. Cosa ne
pensate? Credete
che le cose sarebbero andate diversamente?
Fatemelo
sapere, se
vorrete, in una piccola recensione, che farà la gioia del
mio cuore.
Il
prossimo capitolo si
intitolerà Falling asleep in other’s lap
e non vedo l’ora di ritrovarvi
lì!
A
presto,
Desma
|
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Capitolo 4 *** Falling asleep in other's lap ***
La
cena era stata semplicemente deliziosa,
ma questo non la sorprendeva: dopo tanti anni di "collaborazione"
(sicuramente
più di quanti le piacesse ammettere) Lupin aveva imparato a
conoscere i suoi
gusti e il ristorante dove l'aveva portata rientrava appieno nei suoi
standard.
Il
cibo era stato raffinato e delicato e
lo champagne aveva riempito le loro coppe con generosità,
soprattutto quella di
Lupin che era decisamente alticcio.
In
un'altra circostanza Fujiko avrebbe
trovato quella situazione una caduta di stile da parte del ladro,
soprattutto
perché Lupin tendeva ad allungare le mani quando beveva
troppo, ma quella volta
aveva assunto un comportamento pacato e persino malinconico.
Rientrati
in albergo, Lupin aveva
insistito per rimanere a chiacchierare nel salotto, cosa piuttosto
insolita
dato che dopo una cena l'uomo solitamente premeva perché
andassero in camera da
letto. Così erano rimasti nel salottino
dell’anticamera e Fujiko si era
ritrovata la testa di Lupin sul ventre mentre se ne stavano sul divano.
Giocò
con i capelli dell'uomo mentre lui,
in uno slancio di tenerezza la guardava come se fosse stata una stella
cadente
e lui un bambino che voleva acchiapparla con un retino per farfalle.
-Non
ti capita mai?- le domandò ad un
certo punto.
-Che
cosa?
-Di
immaginare come sarebbe stata la tua
vita se le premesse fossero state diverse.
Fujiko
rimase per un istante ad analizzare
la domanda, cercando di capire cosa intendesse Lupin per "premesse",
ma lui l'anticipò, vagamente indispettito per quel silenzio:
-Ma sì, le
premesse! Se fossi nata in una famiglia diversa, se non avessi avuto
addosso
certe aspettative, se avessi incontrato persone differenti... Insomma,
le
premesse!
A
quel punto la donna capì dove il ladro
voleva andare a parare e, soprattutto, che quella domanda inizialmente
rivolta
a lei nascondeva in realtà ben altro.
-No-
rispose alla fine -Tu ci pensi?
-Ogni
tanto- ammise Lupin, chiudendo gli
occhi per godersi le attenzioni che Fujiko stava dedicando ai suoi
capelli
-Insomma, diciamo che, come esercizio mentale, provo ad immaginarmi
come
sarebbe stata la mia vita con premesse diverse, appunto. Per esempio se
fossi
nato da una famiglia diversa e non portassi il nome Lupin, chi sarebbe
stato
Arsène? Che tipo di uomo sarei stato? Quali ambizioni avrei
avuto e quali
percorsi di vita mi sarei scelto se non avessi avuto alle
spalle una
tradizione familiare così… importante?
-Sono
un sacco di pensieri- ammise la
donna, accarezzandogli il viso, quasi commossa dalla
fragilità con cui le si
stava presentando in quel momento.
-Non
mi fraintendere- continuò il ladro
-Sono fiero di quello che faccio e naturalmente sono consapevole di
essere il
migliore, ma se ad un tratto perdessi la memoria e tutto quello che
sono oggi
scomparisse dalla mia mente, cosa diventerei?
-Sicuramente
rimarresti un gran
donnaiolo!- scherzò Fujiko, strappando a quel insolito Lupin
un sorriso.
-Probabilmente
sì- ammise il ladro,
prendendo la mano di Fujiko e baciandone delicatamente il palmo -Ma
credo che
cercherei di avventurarmi in una relazione stabile.
-Non
ti ci vedrei proprio- commentò
Fujiko, ritraendo la mano: la sola idea di un rapporto fisso le faceva
venire
l’orticaria.
Lupin
annuì con il capo, per nulla offeso
dalla reazione della donna: -Oh lo so bene, ma ricorda che quello
sarebbe un
altro Arsène. Sono convinto che quel Arsène
avrebbe coltivato la passione per
le auto da corsa e sarebbe diventato un pilota, avrebbe conosciuto una
bella e
dolce ragazza.
-E
paziente- intervenne Fujiko -Stiamo
sempre parlando di te.
-Come
darti torto?- sorrise Lupin -Una
donna bella, dolce e paziente, forse di nome Kasumi
o Claire e si
sarebbero sposati, avrebbero comprato una bella casa in campagna dove
far
scorrazzare i loro figli.
-Figli?-
sobbalzò Fujiko, incredula.
Qualcosa in Lupin non tornava: non era la prima volta che si comportava
in modo
insolito (a dirla tutta, per lui essere strano era la
normalità), ma mai in
quella maniera.
Fujiko
era l’unica donna al mondo che
poteva affermare di aver visto il ladro gentiluomo nei suoi momenti di
maggiore
vulnerabilità e intimità: non solo aveva
conosciuto il Lupin ubriaco o scosso
dal piacere, ma anche il Lupin triste e sconfitto, soprattutto nei
primi anni,
quando ancora non era diventato l’uomo sicuro e spavaldo che
era ora. Tuttavia
il Lupin malinconico era un’assoluta novità e
Fujiko non era certa che le
piacesse, ma soprattutto era intenzionata a capire da quale oscuro
meandro
della brillante mente del ladro fosse scaturito.
-...li
avrebbe portati a pesca la domenica
e a vedere le corse quando si fossero fatti abbastanza grandi per
apprezzarle-
Lupin nel frattempo non aveva smesso un momento di parlare e Fujiko,
immersa
nei suoi pensieri, aveva perso alcuni passaggi di quel monologo.
-Cherié-
lo
interruppe -Perché mi dici queste cose?
Cosa sta succedendo nel tuo cuore che ti spinge a pensare a tutto
questo?
Lupin
ammutolì e Fujiko seppe di aver
colto nel segno. Attese con pazienza che l’uomo riordinasse i
suoi pensieri e
trovasse le parole più corrette per esprimerli, senza fargli
pressione o
mettergli fretta e alla fine la sua attesa venne ripagata.
-Oggi
ho visto nascere un amore eterno-
confessò il ladro -Oggi, nell’anniversario della
morte di mio padre, un ragazzo
e una ragazza si sono innamorati perdutamente l’uno
dell’altra. Forse non lo
sanno ancora, ma io ho visto subito che sarebbero stati insieme per
sempre.
È
successo un’ora prima del nostro
appuntamento. Stava calando la sera e si era alzato un gran vento. Mi
è passata
davanti una ragazza con una cartella, di quelle in cui si trasportano i
disegni, indossava un cappotto rosso e si stringeva intorno al collo
una
sciarpa, che però non era lunga abbastanza da avvolgerla per
bene. Un colpo di
vento più forte degli altri le ha fatto volare via la
sciarpa e io ho fatto per
prenderla al volo, ma qualcuno mi ha anticipato. Un ragazzo di circa la
sua
stessa età, alto e bello e le sorrideva mentre gliela
restituiva. Lei lo ha
ringraziato e ha ricambiato il sorriso, poi qualcosa è
scattato tra di loro e
nei loro occhi è stato come se avessero visto la luce per la
prima volta.
Lui
si è offerto di accompagnarla per un
tratto di strada e si sono allontanati chiacchierando. Sono sicuro che
loro non
se ne siano resi conto, ma io l’ho capito ed era chiaro come
il sole che si
riflette sui tuoi bei capelli. Quei due erano destinati a stare
assieme, a
condividere una vita lunga e felice, anche se difficile certe volte, a
svegliarsi ogni mattina l’uno accanto all’altra e a
pianificare le vacanze
assieme.
È
stato uno spettacolo commovente e anche
pensarci adesso devo ammettere che mi si bagnano un po’ gli
occhi. Né mio padre
e né mio nonno sono morti nel loro letto accanto alla donna
che amavano e
questi due sconosciuti hanno appena iniziato la loro vita assieme.-
Fujiko
si passò velocemente le dita sul
viso per asciugarsi gli occhi, facendo in modo di non sbavare il trucco
su cui
aveva tanto lavorato prima di uscire, e tornò ad accarezzare
il viso di Lupin.
-Cherié-
sospirò
il ladro -Lo so bene che non avrò
un epilogo diverso da quello di mio nonno e di mio padre e mi sta bene,
ma
certe volte mi ritrovo a pensare a come sarebbe stata la mia vita e a
come si
potrebbe concludere, se le mie premesse fossero state differenti. Ma
forse mi
sto solo rammollendo con l’età e Jigen mi
prenderebbe in giro se mi sentisse in
questo momento.
Fujiko
attese per un istante che
aggiungesse altro e quando fu certa che non avesse più nulla
da dire, rispose:
-Forse hai ragione tu, Lupin. Forse stai invecchiando e più
ti avvicini all’età
in cui tuo padre è scomparso, più hai paura di
fare la sua stessa fine. Oppure,
semplicemente, la tua mente straordinaria, annoiata dai soliti schemi
che
dirigono la tua vita, cerca nuovi stimoli in qualcosa che non ha mai
conosciuto, come la normalità di una vita ordinaria. In
entrambi i casi, sono
convinta che non si tratti di debolezza, ma di umanità. Per
quanto tu sia
incredibile, cherié, sei un essere umano
e hai bisogno di ciò di cui
tutti necessitano, ossia sicurezza e stabilità. Siamo ladri
e queste due cose
ci vengono negate per definizione nella loro forma tradizionale. Le
cerchiamo
nell’adrenalina e nell’emozione dei colpi che
mettiamo a segno, ma essendo
sensazioni effimere, non possiamo fare altro che cercarle ancora e
ancora nella
speranza che non ci creino assuefazione.
Hai
ragione ad aver paura che quello che è
accaduto a tuo padre possa succedere anche a te, perché
è un’eventualità
verosimile, ed è giusto che tu ne abbia. Quella paura ti
tiene vigile e ti dà
la possibilità di cercare un’alternativa. Per
questa ragione sono certa che non
lascerai che succeda e che avrai una vita lunga e felice, alla fine. Lo
so
perché, a differenza di tuo padre e di tuo nonno, tu hai la
capacità di creare
relazioni al di fuori dell’interesse lavorativo e, anche se
quei due zucconi di
Jigen e Goemon non lo ammetterebbero mai, ti sei circondato di persone
che ti
stimano e ti vogliono bene.
Non
temere una fine infelice, mio caro
Lupin, perché sono certa che non è ciò
che il destino ha in serbo per te.-
Un
grugnito interruppe il filo dei suoi
pensieri e Fujiko abbassò lo sguardo sul viso
dell’uomo. Lupin, che fino a un
attimo prima aveva parlato senza mostrare alcun segno di stanchezza,
stava
dormendo grandiosamente, addirittura russando.
La
donna emise un sospiro, ripensando a
quello che stava dicendo e alla vulnerabilità a cui quella
conversazione l’aveva
condotta. L’indomani, quando Lupin si sarebbe svegliato,
probabilmente i
pensieri fatti riaffiorare dallo champagne sarebbero stati ricacciati
nelle
oscurità del suo inconscio e sarebbe tornato ad essere
l’affascinante e
spavaldo ladro gentiluomo di sempre. Tuttavia, Fujiko non
poté fare a meno di
percepire un senso di gratitudine per la fiducia che, seppur
nell’incoscienza
dell’alcool, Lupin le aveva dimostrato aprendole il suo cuore
a quel modo.
L’aveva
resa depositaria del contenuto del
suo animo e lei ne sarebbe stata una custode, pronta ad affrontare di
nuovo
quella questione quando Lupin se la sarebbe sentita.
Sarebbe
stata solo questione di attendere
il momento giusto, ma non c’era fretta: per quella sera
Fujiko avrebbe vegliato
sul sonno di Lupin e qualunque cosa il domani avrebbe portato, lo
avrebbero
affrontato assieme.
Nota
dell’autrice: Ciao
a tutt* e bentrovat* alla fine del
quarto capitolo della raccolta Slices of life!
Grazie mille a Fujikofran
che omaggia sempre i miei capitoli con una recensione ed è
una gioia ritrovare
le sue parole dopo la pubblicazione di un nuovo capitolo!
Mi
rendo conto di aver schiacciato
parecchio sul pedale della malinconia in questa one shot (e di essere
probabilmente uscita dal personaggio di Lupin), perciò nella
prossima,
intitolata Cuddling under a fort of blankets cercherò
di alleggerire i
toni. Nel frattempo spero che vorrete farmi sapere cosa pensate di
questo
capitolo e che ci rivedremo presto.
Un
abbraccio,
Desma
|
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Capitolo 5 *** Cuddling in a fort of blankets ***
La
tormenta di neve era
decisamente una grossa scocciatura. Lo aveva detto a Lupin che il cielo
aveva
un brutto colore e che il bollettino meteo riportava dati poco
incoraggianti,
ma no! Lui doveva a tutti costi trascinarli in mezzo alle montagne a
cercare un
reperto archeologico di inestimabile valore chiamato “il
piede dello Yeti” che
un tal professore aveva trovato cinquant’anni prima e che
aveva smarrito nella
neve dopo essere stato attaccato dai lupi!
Si
strinse nel piumino
più che poté, mentre i suoi piedi affondavano
nella neve fresca e i fiocchi
gelati gli intorpidivano i muscoli del volto.
-Etciù!-
starnutì Fujiko
che camminava a pochi passi dietro di lui, cercando di proteggersi dal
vento e
dalla neve -Dobbiamo trovare un riparo!- esclamò la donna,
urlando per
sovrastare il boato del vento.
-Lo
so!- ribatté Jigen
cercando con lo sguardo qualcosa che non fosse un sasso coperto di
neve, o un
albero coperto di neve, o neve coperta di altra neve: -Maledetta neve!-
ringhiò
il pistolero, calandosi di più il cappello sulle orecchie
per proteggersi dal
freddo.
Di
tutti i membri del
gruppo, Fujiko era decisamente l’ultima persona con cui Jigen
avrebbe voluto
perdersi in una tormenta. Erano stati separati da Lupin e Goemon mentre
attraversavano un ponte tibetano, che era stato spezzato dalla forza
del vento,
e lui, che aveva iniziato la traversata per primo, aveva dovuto
afferrare la
donna al volo per impedire che precipitasse nel vuoto.
Sull’altra
metà del
ponte di corda, che ondeggiava pericolosamente sulla parete rocciosa,
Lupin e
Goemon stringevano saldamente i brandelli di fune, urlandogli che si
sarebbero
incontrati nel punto del ritrovamento del piede dello Yeti quando la
tempesta
sarebbe passata.
Si
erano arrampicati
sulla nuda roccia fino a raggiungere l’altra sponda del
dirupo e avevano
iniziato la camminata nella tormenta.
Ogni
volta che un soffio
di vento gli sputava in faccia un grumo di neve, Jigen ringhiava il
nome di
Lupin, pregustando il momento in cui lo avrebbe avuto di nuovo tra le
mani e
allora gli avrebbe fatto pentire di aver ignorato il bollettino meteo.
-Jigen!-
lo chiamò
Fujiko alle sue spalle e il pistolero si voltò a guardarla,
ma il vento era
così forte da fargli fischiare le orecchie e dovette
chiedere alla donna di
ripetere quello che gli aveva detto.
-Guarda
là!- urlò
Fujiko, indicando un punto alla sua destra e Jigen orientò
il suo sguardo in
quella direzione.
Dovette
strizzare gli
occhi e sforzare la vista per capire a cosa si riferisse, ma alla fine
lo vide:
nascosto tra le rocce e una macchia di alberi, un piccolo rifugio di
legno
faceva capolino tra i tronchi.
-Andiamo
lì!- gesticolò
l'uomo e Fujiko annuì, facendo strada.
Quando
arrivarono alla
casupola, Jigen le fece cenno di farlo passare ed estratta la .357
Magnum,
controllò l'interno dalla finestra, resa opaca dalla
polvere.
Mise
mano alla porta e
spinse fino a farla ruotare sui suoi cardini abbastanza da poter
guardare
all'interno.
-Per
l'amor di Dio, Jigen!
Sto gelando!- sbottò Fujiko, calciando la porta e
infilandosi nel rifugio,
mentre Jigen si massaggiava la sella del naso per la frustrazione e
riponeva la
Magnum nei pantaloni.
Il
rifugio era buio e
polveroso, ma a parte un leggero odore di muffa e un vago sentore di
umidità
sembrava usufruibile e privo di animali.
Nel
frattempo Fujiko
aveva messo mano a un gruppo di casse ammassate in un angolo alla
ricerca di
qualcosa di utile.
-Guarda!-
esclamò
trionfante agitando un barattolo -È combustibile per
accendere il fuoco e lì
c'è un camino- disse indicando la parete alla sua destra
-Pensi anche tu quello
che penso io?
-Speriamo
che non sia
intasato- sospirò il pistolero e accese la fiamma del suo
zippo per esaminare
la cappa.
-Sembrerebbe
di no- ammise
Jigen -Proviamo ad accenderlo.
Nel
frattempo Fujiko
aveva già assemblato una piccola piramide di pezzi di legno
con estrema
maestria e aveva sparso il combustibile. Jigen dovette ammettere di
trovarsi
sorpreso di fronte a quella inaspettata abilità e non
poté fare a meno di
sorridere quando il fuoco fece presa e un piacevole calore gli avvolse
il
viso.
-Così
va meglio!-
esclamò soddisfatta Fujiko -E ora vediamo se riusciamo a
trovare anche qualcosa
da mangiare.
Si
misero a frugare
nelle casse e nello spartano arredamento del rifugio e alla fine
racimolarono
un discreto bottino, fatto di carne in scatola, bottiglie d'acqua
minerale e
alcune coperte.
-Come
mai c'è tutta
questa roba in un rifugio nel mezzo del nulla?- domandò
Jigen aprendosi una
delle scatolette di carne.
-C'è
un percorso
escursionistico non molto lontano da qui- rispose Fujiko per poi
prendere un
lungo sorso da una bottiglia -Avevo detto a Lupin che potevamo
sfruttare quello
per poi cambiare direzione quando sarebbe stato necessario, ma lui
è uno
zuccone e non ha voluto sentire ragioni. Aveva paura che ci
riconoscessero. Non
mi ha dato retta nemmeno quando gli ho detto che il bollettino meteo
dava
brutto tempo!
Per
poco Jigen non si
strozzò con il boccone a quelle parole: -Gliel'ho detto
anche io!- esclamò,
agitando la scatoletta di carne nella foga -Ma non ha nemmeno fatto
finta di
ascoltarmi.
-E
ora guarda in che
situazione ci troviamo per colpa della sua testardaggine!
Con
un’occhiata i due
intesero che non avrebbero lasciato che Lupin la facesse franca per
tutti i
disagi che gli stava facendo passare e si scambiarono un sorriso di
complicità,
poi lo sguardo di Jigen cadde sulla finestra, oltre la quale la
tempesta
continuava a infuriare e non accennava a volersi placare: -Speriamo che
Lupin e
Goemon siano stati altrettanto fortunati.
-Se
riescono a trovare
un passaggio per oltrepassare il crepaccio- commentò la
donna -Il fumo del
camino li guiderà da noi. Sono due ossi duri, vedrai che ci
ritroveremo.
Il
pistolero annuì e si
lasciò cadere per terra, appoggiando la schiena e la testa
su una parete:
-Questa passeggiata nella bufera mi ha spossato- disse, frugando nella
tasca
del piumino -E quella dannata neve ha perfino bagnato le mie sigarette!
Scagliò
con rabbia il
pacchetto fradicio contro la parete opposta e si strinse nella giacca,
borbottando qualcosa che Fujiko non comprese.
La
donna sorrise nel
vedere quell’uomo grande e grosso fare i capricci come un
bambino e cercò nella
propria giacca: -Tieni- disse, offrendogli il proprio pacchetto di
sigarette
-Non sono le tue Marlboro, ma sempre meglio di niente!
Jigen
accettò il
pacchetto e Fujiko lesse nei suoi occhi una critica inespressa davanti
alle sue
sigarette sottili e aromatizzate, ma alla fine il pistolero ne fece
scivolare
una fuori dal pacchetto, la mise in bocca e l’accese.
Fumarono
in silenzio
l’una accanto all’altro, osservando le fiamme del
camino giocare nell’oscurità
della cappa e buttando un ciocco di tanto in tanto quando il fuoco
iniziava a
indebolirsi.
-La
legna non basterà
per tutta la notte- osservò Jigen con lo stesso tono di voce
piatto e distante
con cui avrebbe commentato l’annuvolarsi del cielo dopo una
giornata limpida.
-Abbiamo
le coperte-
ribatté a tono Fujiko -Dovremo farcele bastare.
La
notte calò su di loro
silenziosa e discreta come una madre che controlla i figli nel loro
sonno e i
due ladri, avvolti rispettivamente in una coperta, si addormentarono
mentre il
fuoco nel camino pian piano moriva.
Fu un
rumore sordo,
forse un cumulo di neve caduto dal ramo di un albero o il passaggio nei
pressi
del rifugio di un grosso animale, a destare Jigen e a metterlo in
allerta.
La
mano destra era
scattata istintivamente alla rivoltella, ma dopo qualche istante di
assoluto
silenzio, il pistolero trasse un sospiro, ritenendo che si fosse
trattato di un
falso allarme.
La
bocca del camino era
diventata fredda e l’oscurità rendeva quasi
impossibile distinguere l’ambiente
attorno a lui, ma Jigen riusciva a capire esattamente dove si trovasse
Fujiko,
sia perché ricordava dove si fosse distesa, sia
perché poteva udire i suoi
denti battere per il freddo.
Si
alzò in piedi,
raccolse la propria coperta e, cercando di non far rumore, si
avvicinò alla
donna, dispiegando il telo sul suo corpo.
Poi
tornò nel punto che
aveva scelto per la notte e provò a riprendere sonno, ma
dopo nemmeno cinque
minuti sentì Fujiko alzarsi e raggiungerlo. Nel buio
sentì il peso delle
coperte che venivano accomodate su di lui e la donna distendersi al suo
fianco
e avvolgergli la schiena in un abbraccio.
-Che
stai facendo?- le
chiese, mentre i muscoli, allertati da quel contatto inaspettato, si
irrigidivano.
-Nessuno
più di me
apprezza la galanteria- rispose la donna, la cui voce era un poco
impastata dal
sonno -Ma la tua è stupidità. Se non ti copri a
dovere, morirai assiderato e
poi toccherà a me spiegare a Lupin come il suo caro socio
sia passato a miglior
vita nel tentativo di comportarsi da cavaliere.
-Non
c’è bisogno che mi
stai addosso- protestò l’uomo, ma Fujiko lo
zittì.
-Dormi
e goditi un po’
di contatto umano, razza di orso che non sei altro! Probabilmente non
ricordi
nemmeno l’ultima volta che una donna ti ha abbracciato.
Jigen
rimase in silenzio
e Fujiko ne capì la ragione: -Come si chiama?
-Chi?-
chiese il
pistolero.
-Non
fare il furbo con
me. Come si chiama l’ultima donna che ti ha abbracciato
così?
Fujiko
dovette attendere
qualche istante prima che l’uomo le desse una risposta, ma
alla fine Jigen
parlò: -Anna.
-È
bella?
-Per
me sì.
Qualche
istante di
silenzio, interrotto dal fruscio del vento tra le fronde degli alberi.
-La
rivedrai?- chiese
Fujiko.
-No,
non credo.
-Parlami
di lei.
Non
era una domanda. Il
tono che la donna aveva usato era inequivocabile, ma Jigen non lo
percepì come
invadente, piuttosto sinceramente interessato come quello che avrebbe
usato una
madre che chiede al figlio di raccontarle della sua giornata a scuola.
Alla
fine cedette: -È la
commessa di un negozio di alimentari vicino all'ultimo nascondiglio che
Lupin e
io abbiamo usato, quello per il colpo alla collezione Pratchett. Andavo
da lei
a fare la spesa e lei mi sorrideva ogni volta che mi vedeva. Ho sempre
attribuito la cosa alla cortesia del commerciante, ma mi faceva
piacere. Non
credo avesse nemmeno 30 anni.
Una
sera ero sceso al
negozio per comprare le sigarette e un pivello con la calzamaglia in
testa ha
tentato di rapinare la cassa. Quando l’ha minacciata con un
coltello, sono
intervenuto e l’ho rimandato a casa con un braccio rotto e la
coda tra le
gambe. Anna era spaventata e tremava come una foglia. L’ho
presa tra le braccia
e l’ho rassicurata. Qualche minuto più tardi ci
stavamo baciando. Mi ha
accompagnato al suo appartamento e abbiamo fatto l’amore.
Quando abbiamo
finito, sembrava un’altra donna. Era radiosa e la paura di
prima era
completamente svanita. Abbiamo passato il resto della notte abbracciati
al
buio.
Jigen
si interruppe e
Fujiko stava per chiedergli se qualcosa non andasse, quando riprese a
parlare:
-La mattina dopo mi sono svegliato presto, mi sono rivestito e me ne
sono
andato senza dirle una parola o lasciarle un biglietto. Sono pessimo
con gli
addii.
Fujiko
attese che Jigen
aggiungesse altro, poi intervenne: -È una bella storia.
-È
triste- ribatté
l’uomo.
-Come
tutte le belle
storie.
Rimasero
in silenzio per
qualche istante, al punto che Jigen immaginò che Fujiko si
fosse addormentata,
ma poi la donna gli sussurrò: -Se vuoi puoi immaginare che
sia lei, mentre ti
abbraccio.
-È
questo che fai con
gli uomini?- le chiese il pistolero -Interpreti il ruolo delle amanti a
cui si
è detto addio?
-Qualche
volta- ammise
Fujiko -Altre volte sono la supereoina dei fumetti su cui si
masturbavano da
piccoli, altre ancora sono la padrona che non hanno mai osato avere.
Dipende.
Molto spesso, semplicemente, pensano a qualcun’altra e io per
qualche tempo
sono il volto, la voce e il corpo di quella persona che desiderano ma
che non
hanno. Sarei contenta se la mia presenza ti aiutasse a rievocare la tua
Anna,
anche se solo in un abbraccio.
Jigen
scosse il capo ed
emise uno sbuffo: -Con me non funziona così. Io non riesco a
pensare a
qualcun’altra mentre sono con una donna. Per me ora ci sei tu
e nessun’altra.
Fujiko
rimase di stucco,
contenta che Jigen non vedesse la sua espressione esterrefatta, mentre
si
chiedeva se il pistolero avesse avuto l’intenzione o meno di
dirle una cosa
carina (fatto assolutamente nuovo), oppure se semplicemente stesse
presentando
un fatto a cui lei aveva aggiunto un significato più
profondo.
Decise
di rimandare quei
pensieri a un secondo momento e di concentrarsi su quello che stava
facendo,
ovvero tenere al caldo il corpo di un uomo che, in un momento di
stupida
gentilezza, era stato disposto a patire il freddo perché lei
smettesse di
battere i denti.
Nota
dell’autrice: Ciao
a tutt* e benvenut* alla fine del
quinto (di già? :D) capitolo della mia raccolta di one shot Slices
of life!
Ho completato il primo quarto di questa serie con una storia dedicata a
un
pairing che mi piace molto, ovvero Jigen e Fujiko. Ho sempre trovato il
loro
rapporto di odio e amore divertente e stimolante, anche se praticamente
sempre
giustificato con il comune obiettivo di aiutare Lupin. Ho pensato,
dunque, di
farli interagire solo tra di loro e dato che, come avrete capito,
questa serie
è dedicata alle manifestazioni di affetto (più o
meno intenzionali), ho pensato
che sarebbe stato interessante rompere le loro barriere fisiche e
costringerli
al contatto.
Che
ne pensate? Dite che
si sarebbero comportati diversamente in una situazione simile?
Fatemelo
sapere in una
recensione e io sarò più che felice di
rispondervi! Come sempre, grazie
infinite a Fujikofran che omaggia i miei capitoli con le sue recensioni!
Ci
vediamo al prossimo
capitolo, che sarà intitolato Sharing a bed.
A
presto!
Desma
|
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Capitolo 6 *** Sharing a bed (pt.1/4) ***
Quando
il giovane
scienziato del dipartimento Ricerca e Sviluppo di una nota ditta che
fabbricava
armi, presso cui la divisione giapponese dell'ICPO faceva rifornimento,
gli
aveva mostrato quel nuovo modello di manette, Zenigata si era ritrovato
a
storcere il naso.
Un
uomo della vecchia
scuola come lui non poteva accogliere con entusiasmo una
novità come quella,
sebbene fosse stata creata appositamente per la cattura di Lupin. Anzi,
per
dirla nelle parole del giovane scienziato (Zenigata gli dava a malapena
30
anni), per massimizzare le probabilità di coercizione del
target.
L'ispettore
emise un
lungo sospiro al pensiero di quel ragazzo: era quella la direzione che
il mondo
stava imboccando? L'uso della tecnologia più moderna era
sempre stato, in un
modo o nell'altro, dirottato verso l'industria bellica, ma Zenigata non
riusciva a vedere un futuro brillante per l'umanità in quel
momento.
Non
con le premesse che
il mondo della digitalizzazione e della tecnologia stava
creando.
Osservò
il piccolo
oggetto di metallo che gli era stato consegnato: era grande
più o meno quanto
il bottone di un cappotto, su un lato c'era un piccolo sportellino
sigillato,
in cui era stato inserito il materiale necessario al funzionamento di
quelle
"manette", dall'altro il pulsante di attivazione.
Lo
fece scorrere tra le
dita, come una moneta in un gioco di prestigio, e ne valutò
il peso e la
consistenza della superficie.
-Possibile
che questo
aggeggio possa davvero aiutarmi a catturare Lupin?- si chiese a voce
alta, così
concentrato sui propri pensieri da non notare che una signora,
spaventata da
quello strano individuo che parlava da solo, aveva allontanato il
figlio e lo
teneva stretto per una mano.
L'ispettore
osservò
ancora per qualche istante il piccolo oggetto, poi il suo telefono
cellulare
ricevette una chiamata.
-Pronto?-
rispose.
-Salve,
sto parlando con
l'ispettore Zenigata?- chiese la voce di un anziano signore dagli
altoparlanti
dell'apparecchio.
-Sono
io. Lei chi
è?
-Mi
chiamo Tanaka e le
telefono da Nagoya. Ho ricevuto un messaggio del famoso ladro Lupin III
in cui
mi avvisa che ruberà l'incasso del mio casinò
domenica prossima alle 3 del
mattino. Mi è stato detto che lei è il maggiore
esperto in fatto di questo
Lupin e avrei urgentemente bisogno della sua esperienza.
-Non
si preoccupi signor
Tanaka!- esclamò con fervore l'uomo -Mi occuperò
personalmente del caso!
Si
accordarono sul loro
incontro, poi Zenigata chiuse la chiamata. Finalmente,
pensò, avrò occasione di
provare il nuovo giocattolo.
*
Il
viaggio in treno non
lo aveva minimamente stancato, anzi, la sola idea di poter rivedere e
rincorrere Lupin gli dava scariche di adrenalina degne di un
paracadutista in
volo.
Aveva
predisposto con
cura i numerosi agenti in borghese per tutti i piani del
casinò e per il
giardino, li aveva istruiti nel meeting che aveva indetto qualche ora
prima e
aveva richiesto (e ottenuto) perfino dei cecchini sul tetto.
Ogni
possibile via di
fuga era stata messa sotto sorveglianza, ma il suo istinto, affinato da
anni di
esperienza, gli diceva che non era ancora abbastanza. Che Lupin era
sicuramente
già dentro al casinò e che di certo sarebbe stato
in grado di uscirne
nonostante i suoi sforzi.
L'ispettore
cercò il
nuovo modello di manette nella tasca dell'impermeabile e lo
rigirò tra le dita,
concentrandosi sugli schermi del sistema di sorveglianza a circuito
chiuso del
casinò.
Cercò
Lupin in ogni
volto che le decine di schermi gli presentavano, sia che fossero
uomini, sia
che fossero donne. Con Lupin non si può mai sapere.
Quando
l'allarme della
violazione della cassaforte suonò, Zenigata non fu per nulla
sorpreso di vedere
che la telecamera puntata sulla cassaforte non mostrava l'immagine del
portellone aperto. I trucchi, pensò Zenigata, in fondo sono
sempre gli
stessi.
Come
aveva immaginato, a
nulla servirono tutti gli agenti che aveva addestrato e nemmeno i
cecchini,
Lupin e il suo complice Jigen erano riusciti a fare manbassa del
contenuto
della cassaforte e a darsi alla fuga con il bottino.
L'ispettore
provò un
senso di dejavu durante l'inseguimento della 500 gialla per le strade
di
Nagoya, zigzagando tra le macchine in coda ai semafori, schivando
ignari pedoni
e sfrecciando su ponti e cavalcavia.
L'inseguimento
li portò
sul molo del porto commerciale e Zenigata dovette più volte
evitare all'ultimo
container di merci che venivano sollevate dalle gru e caricate sulle
navi
cargo.
Per
un istante, nella
confusione, Zenigata perse di vista la 500, ma questa ricompare da
dietro un
container e l'ispettore schiacciò a tavoletta
sull'acceleratore per recuperare
terreno.
Tuttavia,
mentre
oltrepassava il container da cui era sbucata la 500, Zenigata vide con
la coda
dell'occhio una seconda macchina identica e allora
capì.
Fece
un'inversione a U e
diresse la volante verso la nave cargo su cui era stato disposto il
container.
Diede gas fino a quando fu sul punto di credere che il motore sarebbe
esploso e
si diede a un inseguimento disperato.
Le
gomme dei pneumatici
stridettero sul cemento umido e qualcuno gli urlò contro, ma
il cervello
dell'ispettore era sintonizzato su un solo pensiero: inseguire
Lupin.
Quasi
non si accorse che
la macchina si era staccata dal suolo, mentre con uno slancio apriva la
portiera e si gettava sul ponte della nave, che ormai si stava
allontanando dal
molo.
Atterrò
con un tonfo sul
parapetto e si aggrappò giusto in tempo per impedirsi di
cadere. Alle sue
spalle, tra le urla del personale del porto, la sua macchina veniva
inghiottita
dai flutti.
Facendosi
luce con una
torcia elettrica, l'ispettore andò alla ricerca di quello
specifico container
in cui aveva visto la 500 gialla di Lupin, facendo attenzione a non
essere
notato dall'equipaggio. Tuttavia, la ricerca su quella nave enorme e
colma di container
tutti uguali tra loro si protrasse per ore e il porto di Nagoya era
sparito da
un pezzo dall'orizzonte.
Alla
fine, proprio
quando Zenigata stava iniziando ad accarezzare l'idea di aver preso un
clamoroso granchio, la risata beota del ladro gentiluomo gli
arrivò alle
orecchie da dietro il metallo di un container. L'ispettore si
lanciò su quel
container e incollò l'orecchio sulla parete, in
ascolto.
Sentì
i rumori di un
apparecchio televisivo e di nuovo quell'insopportabile risata e allora
non ebbe
più dubbi.
Scalzò
il chiavistello
che chiudeva la porta del container e la spalancò: -Lupin!-
chiamò a pieni
polmoni -Ti ho trovato!
All'interno
dell'enorme
scatola di metallo arredata come una camera d'albergo con
letto
matrimoniale, comodino con abat-jour, cassettiera con televisore a
schermo
piatto, frigorifero e bollitore elettrico, Lupin lo fissava con occhi
sgranati
dalla sorpresa, intento a mangiare dei ramen in scatola vestito solo
con un
paio di boxer a righe. In un angolo del container erano stati
accumulati i
sacchi pieni della refurtiva.
-Ti
ho beccato,
finalmente!- esultò Zenigata, fuori di sé
dall'euforia. Estrasse dalla tasca il
congegno dalle dimensioni di un bottone, lo innescò con il
pulsante e lo
scagliò in direzione del ladro.
Lupin
non ebbe nemmeno
il tempo di dire "Ciao paparino" che un fascio di luce venne
sprigionato
dal congegno e le sue mani vennero avvolte in un fascio di energia
bluastro.
-Che
diavoleria è
questa?- esclamò il ladro sconcertato. Cercò di
muovere le dita e di
distanziare le mani, ma tutto quello che ottenne fu una scossa
elettrica che lo
percorse da capo a piede e lo fece saltare.
Ci
provò di nuovo, ma il
risultato non cambiò, anzi ottenne solo di incrementare
l'ilarità di Zenigata,
che rideva a crepapelle.
-Prova
pure quanto vuoi-
lo schernì l'ispettore, chiudendosi la porta alle spalle e
avvicinandosi a lui
-Tanto non ti servirà a liberarti.
-Mi
hai proprio preso,
Paparino!- sorrise sornione Lupin, lasciando Zenigata interdetto.
-Che
hai da ridere?- gli
chiese brusco.
-Oh,
nulla!- ridacchiò
il ladro -Ma perché non provi ad aprire la porta?
Zenigata
si voltò verso
la parete di metallo alle sue spalle e iniziò a tirare la
porta per la
maniglia, ma quella non si mosse di un millimetro pur usando tutta la
sua
forza.
Spingere
non cambiò il
risultato e l'ispettore stava iniziando a innervosirsi.
-Prova
invece a chiamare
i rinforzi- gli suggerì Lupin, che intanto si era accomodato
meglio sul letto
ed era tornato a guardare la TV.
Zenigata
mise mano al
cellulare, ma non aveva campo ed era un oggetto inutile.
-Maledizione!-
imprecò,
suscitando una nuova risata da parte del ladro.
-Mi
spiace di averti
rovinato il momento di gloria, Paparino, ma questo container si
può aprire solo
dall'esterno e Jigen mi sta aspettando al porto commerciale di San
Diego per
spartirci il bottino. Perché adesso non mi togli questi
affari e ci mangiamo un
bel piatto di ramen? Offro io!
-Scordatelo!-
abbaiò
l'ispettore, lasciandosi cadere sul letto accanto al ladro. Era sfinito
per lo
sforzo e per lo sconforto.
-Quando
saremo arrivati
a San Diego ti porterò alla prima stazione di polizia. Si
tratta solo di
posticipare l'inevitabile.
-Se
lo dici tu… -
commentò vago Lupin, prendendo la confezione iniziata di
ramen e iniziando a
berne il contenuto rumorosamente.
Zenigata
lo osservò
mangiare per qualche istante: -Quanto tempo hai impiegato per
pianificare quest'ultimo
colpo?
-Vuoi
una confessione?-
chiese Lupin, aspirando uno spaghetto.
-No,
vorrei una
sigaretta- rispose Zenigata e agli occhi del ladro, non abituato a
vederlo così
calmo, sembrò improvvisamente vecchio e stanco -E fare un
po' di conversazione.
Mi sembra di capire che prima di domani non avremo contatti con
l'esterno.
Lupin
annuì: -Una
settimana, circa- rispose -Ma i contatti al porto ce li ho da parecchio
tempo e
questo ha aiutato.
-Capisco-
rispose
Zenigata, togliendosi il cappello e passandosi la grossa mano tra i
capelli
neri.
Alla
luce dell'abatjour
Lupin vide brillare qualche filo argentato in quella massa di capelli
accuratamente tagliati.
-E tu
invece che mi dici
di queste, Zazà?- chiese, alzando le mani per mostrare le
manette ultra
moderne.
Zenigata
squadrò le mani
le ladro, avvolte da un fascio di energia azzurrognola, che di tanto in
tanto
scoppiettava minacciosa.
-È
una diavoleria che mi
hanno dato a lavoro- spiegò infine -L'hanno progettata
apposta per te. Sono
delle manette a riconoscimento del DNA. Hanno preso dei campioni
dall'archivio,
capelli mi sembra, e l'hanno tarato sulla tua brutta faccia. Se
l'avessi
lanciata contro un'altra persona non si sarebbe attivata.
-Manette
al DNA?- chiese
Lupin sorpreso, osservando il congegno ai suoi polsi sotto una nuova
luce -Non
credevo che la polizia facesse ricorso a una cosa così
subdola. Non víola
qualche diritto umano?
-Probabilmente
sì e non
vado fiero della piega che questo mondo sta prendendo. Ad ogni modo, te
le
toglierò quando sarai dietro alle sbarre, quindi cerca di
collaborare.
Zenigata
si sdraiò sul letto
con le mani incrociate dietro la testa e si coprì il volto
con il cappello per
proteggere gli occhi dalla luce.
-Lo
dici come se non mi
conoscessi- ridacchiò Lupin, sentendosi più calmo
nel vedere che l'ispettore,
sua vecchia nemesi, gli rispondeva con un sorriso da sotto la
tesa.
Si
sdraiò accanto a lui
e si mise comodo: -Comunque- riprese il ladro -Se ci tenevi
così tanto ad
ammanettarmi al letto, bastava dirlo, Paparino. La prossima volta usa
delle
manette tradizionali, che mi piacciono di più.
-Taci,
pervertito- lo
ammoní l'ispettore, senza tuttavia riuscire a nascondere del
tutto una
risata.
Funzionava
così tra di
loro: una continua provocazione l'uno dei confronti dell'altro, fatta
di
inseguimenti, colpi messi a segno, idee sempre nuove per raggiungere i
propri
scopi e, naturalmente, diatribe verbali.
Faceva
parte del gioco a
cui aveva preso parte diversi anni fa e oramai aveva iniziato a
coglierne gli
aspetti ironici e divertenti.
Si
addormentarono
cullati dalle onde dell'oceano pacifico, russando entrambi come delle
segherie,
ma senza infastidirsi tra loro. Almeno per il momento.
La
mattina dopo,
Zenigata si svegliò con uno strano intorpidimento al braccio
e al polso. Alzò
lo sguardo verso la testiera del letto e vide di essere stato
ammanettato ad
essa con un paio di tradizionali manette di metallo, mentre di Lupin
non c'era
più traccia!
-LUPIN!!-
chiamò
l'ispettore a pieni polmoni, invano, mentre oltre la porta aperta del
container
i gabbiani stridevano e il personale portuale si occupava dello scarico
delle
merci.
Zenigata
agitò il
braccio nel tentativo di liberarsi e notò che sul comodino
era stato lasciato
un biglietto, accuratamente appoggiato sulla lampada
affinché potesse leggerlo
comodamente.
"Dormivi
così bene
che mi dispiaceva svegliarti" c'era scritto "Andrà meglio la
prossima
volta! Fossi in te chiederei un rimborso per le manette ultra moderne:
non è
stato poi così difficile liberarmi. A presto
Paparino!"
Quand'ebbe
finito di
leggere il biglietto, sebbene fosse colmo di rabbia per la sconfitta e
la beffa
subite, Zenigata non poté fare a meno di trovare comica la
situazione in cui si
era ritrovato al suo risveglio.
"Poco
male"
rifletté "Andrà meglio la prossima volta".
Note
dell’autrice: Ciao
a tutt* e grazie per aver letto il
sesto capitolo della serie Slices of Life! Come
sempre, un grosso
abbraccio e un grosso grazie vanno a Fujikofran che ha recensito il
capitolo
precedente! Vorrei ringraziare anche Shadow506 per aver aggiunto la
storia alle
preferite!!!
Come
avrete notato, il
titolo di questo capitolo è segnato come “parte
1di 4”, infatti le prossime tre
one shot faranno parte, assieme a questa, a una stessa successione di
eventi
consecutivi e legati tra loro. Spero che questa idea vi possa piacere e
altrettanto per questo capitolo.
A
presto,
Desma
|
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Capitolo 7 *** Head scratches (pt.2/4) ***
I
numeri digitali correvano sullo schermo
come tante formiche impazzite ed era l'anticipazione prima della
decodifica
della combinazione a scongiurare il mal di testa che lo scorrere
frenetico di
quei segni luminosi avrebbe potuto provocare.
-Papà
Zenigata certe volte fa proprio
tenerezza- esclamò ad alta voce Lupin mentre, assieme al suo
socio Jigen,
attendeva che il loro congegno facesse il suo mestiere.
-Che
intendi dire?- domandò il pistolero,
appoggiato con la schiena alla parete di metallo del caveau
nell'attesa. Il
cappello borsalino gli proiettata una lunga ombra scura sul viso sotto
la luce
al neon.
-Sono
anni che ci dà la caccia- spiegò il
ladro -E ancora non ha capito che non basta mettere poliziotti e
cecchini sulla
mia strada per fermarmi. Alle volte penso che sarebbe meglio per lui se
se ne
andasse in pensione e passasse il suo tempo a dare da mangiare alle
anatre al
parco.
-Non
lo farebbe mai- commentò asciutto il
pistolero -Ti inseguirà fino al suo ultimo respiro, per poi
riprendere da capo
all'inferno.
Lupin
rise: -Non si può certo dire che sia
una persona noiosa!
Un bip
metallico annunciò il
completamento dell'operazione e la serratura della cassaforte
scattò.
-Voici,
mon cher ami!- annunciò il
ladro con un inchino, mentre spalancava la pesante porta blindata della
cassaforte, mostrandone il ricco contenuto.
-Guarda
un po'- esclamò Jigen rovistando
tra le pile di banconote accuratamente riposte in blocchetti suddivisi
per
valuta -Tutto sommato questo casinò non è poi
così prestigioso: ci sono delle
cambiali tra il denaro.
-Solo
per i clienti più affezionati-
spiegò Lupin, iniziando a riempire un grosso sacco con i
blocchi di banconote
-C'è crisi anche per i ricchi con il vizio del gioco.
Lasciale pure qua, è
improbabile che dopo la notizia del colpo sarà possibile
riscuoterle.
Si
misero all'opera e, quando anche
l'ultima banconota venne chiusa in un sacco, imboccarono il tunnel per
il
complicato impianto elettrico che avevano usato per entrare
indisturbati.
Dopo
una camminata dolcemente appesantita
dal cospicuo bottino, i due riemersero dal sottosuolo, mentre nel
casinò era
scattato l'allarme antifurto.
-Che
bisogno c'era di attivarlo?- chiese
Jigen accendendo la 500 e dando gas.
-Ora
comincia il divertimento- ridacchiò il
ladro gentiluomo -Direzione: il porto!
*
Guardando
attraverso lo specchietto
retrovisore, Jigen notò che la volante che un attimo prima
lo stava inseguendo
era scomparsa.
-Strano-
pensò ad alta voce il pistolero,
rallentando l'auto entro i limiti di velocità, ma mantenendo
comunque la
massima attenzione -Di solito Zenigata non si arrende così
facilmente.
Fece
fare alla macchina qualche giro a
vuoto tra le strade della periferia e, quando fu certo di non essere
seguito,
diresse l'auto fuori dalla città in direzione
dell'aeroporto.
L'indomani
avrebbe dovuto andare a
prendere Lupin al porto commerciale di San Diego e il suo biglietto
aereo
faceva capolino dalla tasca della giacca.
-Finalmente
sei arrivato- lo accolse
Goemon all'ingresso dell'aeroporto con un vago tono di rimprovero -Il
volo
parte tra mezz'ora.
-Ho
dovuto accertarmi di non essere
seguito- tagliò corto il pistolero -Hai già fatto
il check in?
Il
samurai annuì con un cenno del capo e i
due attraversarono l'ampio ambiente moderno di Chūbu-Centrair fino a
raggiungere il loro gate, dove una cordiale signorina in divisa, dopo
aver
verificato documenti e titoli di viaggio, li accompagnò in
prima classe, dove
li attendevano i loro posti.
Prima
di congedarsi, la donna lanciò una
lunga occhiata incuriosita al samurai, che rispose alzando, un
sopracciglio.
Accortasi di essere stata beccata a fissare l'uomo, la hostess fece un
veloce
inchino e svanì dietro la porta che separava la prima classe
dal resto
dell'aereo.
-Te
lo dico tutte le sante volte- commentò
Jigen mentre si sedeva sulla comoda poltrona di ecopelle blu e si
allacciata la
cintura -Dovresti vestirti in abiti civili almeno quando viaggi. Il tuo
abbigliamento è troppo vistoso e riconoscibile.
-Non
c'è niente che non va nel mio
abbigliamento!- rispose il samurai con un'irritazione che inizialmente
Jigen
non capì, dato che Goemon era abituato ad essere osservato
con insistenza per
il suo modo di vestire, ma poi gli si accese una lampadina.
-Sei
nervoso perché la tua spada è stata
impacchettata e messa nella stiva con un sigillo?- chiese allora e il
silenzio
imbronciato del samurai fu una risposta sufficiente.
Aprí
una piccola brochure che era stata
riposta accanto al suo sedile a disposizione dei viaggiatori e ne
scorse
velocemente i caratteri: -Ma tu guarda!- esclamò con
studiata sorpresa, quanto
bastava per attirare l'attenzione dell'amico -Su questo aereo hanno una
vasta
selezione di sake.
Goemon
aprì una piccola breccia nella sua
espressione dura e sbirciò con lo sguardo in direzione della
brochure.
-Prenderò
il Junmai Daiginjo- dichiarò il
samurai.
Jigen
annuì soddisfatto: -Ottima scelta.
Io invece penso che prenderò del Knob Creek.
Non
appena l'aereo si fu stabilizzato e la
spia delle cinture si fu spenta, una hostess passò a
chiedere se desideravano
bere qualcosa e i due uomini fecero la loro ordinazione.
Brindarono
al successo dell'ultimo colpo,
sebbene Goemon non avesse potuto parteciparvi per via di alcune
faccende che
doveva sbrigare, e presto l'umore di quest'ultimo
migliorò.
Arrivò
persino a ridere quando Jigen gli
descrisse la faccia di Zenigata mentre li inseguiva.
-Allora
Lupin si è infilato dentro al
container e abbiamo dovuto scaricare la macchina dai sacchi
più in fretta della
luce- stava raccontando il pistolero, mentre il samurai, rapito dal
racconto,
sorseggiava il suo raffinato sake, ma ad un tratto una scossa di dolore
pungente gli avvolse il viso.
-Maledizione!-
imprecò, portandosi una
mano al lato della faccia.
-Che
succede?- chiese con apprensione
Goemon -Che hai?
Il
pistolero si massaggiò la guancia nel
tentativo di placare quelle scosse improvvise, ma invano: -Mi fa male
un dente-
spiegò alla fine -Mi era saltata un'otturazione qualche
tempo fa e la carie che
c'era sotto deve essersi estesa. Che male!- si
lamentò.
Chiamò
una delle hostess e chiese di poter
avere un antidolorifico, ma la donna scosse il capo e spiegò
che il personale
della compagnia di volo non era autorizzata a dare medicinali ai
passeggeri.
Jigen
provò a insistere, cercando di farle
capire a quale dolore atroce era sottoposto, ma la donna non aveva
voluto
sentire ragioni e gli aveva consigliato di farsi un pisolino,
offrendosi di
preparargli una camomilla e di portargli un cuscino e una
coperta.
Il
pistolero aveva declinato l'offerta,
chiedendo che il suo bicchiere gli venisse riempito di nuovo e
l'hostess
l'accontentò.
-Non
credo dovresti bere se ti fa male il
dente- disse Goemon atono, ma Jigen non gli diede retta e
svuotò anche il
secondo bicchiere.
-Se
bevo abbastanza- spiegò appoggiando il
bicchiere vuoto sul tavolino -Smetterò di sentire dolore.
Goemon
scosse la testa: -Sciocchezze!
Finirai solo per stare peggio e questo ti renderà inadatto a
compiere il tuo
lavoro.
-Per
tua informazione- ribatté stizzito il
pistolero -Ho sempre portato a termine il mio lavoro, anche con del
piombo in
corpo!
-Questo
è vero- annuì Goemon -Ma quando
hai il mal di denti diventi intrattabile e più lento a fare
anche le cose più
semplici.
Jigen
stava per rispondergli per le rime,
ma all'ultimo si trattenne: riusciva a leggere fin troppo chiaramente
negli
occhi del samurai che, se gli avesse risposto a male parole, gli
avrebbe dato
implicitamente ragione.
Tornò
dunque a preoccuparsi del proprio
mal di denti, cercando di distrarre la mente dal dolore che gli
infuocava la
bocca e il viso. Ripercorse mentalmente i passaggi per smontare,
pulire,
lubrificare e rimontare la sua Magnum, chiamando ogni pezzo, che
maneggiava
nella sua immaginazione, con il suo nome.
"Mirino…
canna… asse del tamburo…
molla di richiamo dell'estrattore… tamburo…
estrattore… piastra di chiusura…
guancetta…"
Una
nuova scossa di dolore gli strappò un
gemito e le gambe si agitarono involontariamente in uno
spasmo.
-Maledetto
dente!- sibilò - Maledetta
compagnia aerea che non dà gli antidolorifici ai passeggeri
in difficoltà!-
Provò
allora a distrarsi guardando il
cielo e le nuvole attraverso il finestrino, ma ormai la luce del giorno
si era
esaurita e tutto quello che riusciva a vedere era il proprio riflesso
nell'oblò.
Sul
vetro del finestrino vide che alle sue
spalle Goemon si stava rimboccando le maniche del kimono e si stava
scrocchiando le dita.
-Togli
il cappello- ordinò il
samurai.
-Perché?-
chiese il pistolero, voltandosi
per fronteggiare l'uomo -Vuoi darmi una botta in testa per farmi
dormire?-
aggiunse poi, cercando di apparire disinvolto, ma riuscendo a celare
ben poco
del suo nervosismo.
Anche
senza la spada, Goemon Ishikawa era
un combattente formidabile, dotato di una forza fisica straordinaria.
In
passato era già capitato che i due si fronteggiassero in una
scazzottata e
Jigen era sempre riuscito a restituire quello che aveva ricevuto, ma
non era
del tutto certo che il samurai, in virtù della loro
amicizia, non si fosse
trattenuto durante quei confronti.
-Non
ho intenzione di picchiarti- spiegò
il samurai, vagamente irritato che il pistolero avesse messo in dubbio
la bontà
delle sue intenzioni -Tempo fa ho appreso una tecnica di
digitopressione per
attenuare il dolore dopo i combattimenti. Voglio provare ad applicarla
su di te
per renderti il mal di denti più sopportabile. E ora togliti
il cappello.
Ancora
un po' riluttante, Jigen obbedì e
rispose il cappello sulle proprie ginocchia mentre Goemon affondava le
dita tra
i suoi capelli, raggiungendo lo scalpo.
Il
pistolero si preparò ad accogliere
delle sensazioni spiacevoli, se non addirittura dolorose, dato che la
digitopressione richiedeva una certa dose di forza per riuscire a
stimolare le
terminazioni nervose sottocutanee. Invece il tocco di Goemon, sebbene
deciso,
risultò delicato e Jigen trovò quel trattamento
quasi rilassante.
-Se
ci vedesse qualcuno in questo momento,
potrebbe farsi un'idea sbagliata- disse il pistolero quasi
sottovoce.
-Ho
quasi finito- lo rassicurò Goemon -Ma
se preferisci tenerti il mal di denti…
-No,
no- intervenne Jigen -Finisci il
trattamento.
Qualche
istante più tardi, il samurai
dichiarò la fine del suo operato e chiese al paziente come
si sentisse. Jigen
si esaminò con la lingua il punto in cui c'era il dente
cariato, aspettandosi
nuove fitte di dolore che, però, non arrivarono.
-È
passato!- esclamò trionfante.
-Ovviamente-
fu il commento di Goemon, che
tornò a concentrarsi sul suo sake come se l'episodio del
dente non fosse mai
avvenuto.
Trascorsero
il resto del viaggio a
chiacchierare finché il sonno non li colse e li
accompagnò per le ore di volo
mancanti.
Atterrati
a San Diego noleggiarono un'auto
e partirono alla volta del porto commerciale.
Il
mal di denti era diventato un brutto
ricordo dai contorni sfuocati.
Note
dell’autrice: Ciao
a tutt* e grazie per aver letto il
settimo capitolo della serie Slices of Life!
Scusate se ci ho messo
tanto a pubblicare questo capitolo, ma ho avuto un periodo piuttosto
intenso e
non sono riuscita a risolverlo prima. Un grosso abbraccio a Fujikofran
che ha
recensito il capitolo precedente!
Ci
vediamo al prossimo capitolo,
intitolato Sharing a dessert.
A
presto,
Desma
|
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Capitolo 8 *** Sharing a dessert (pt.3/4) ***
Se
avesse potuto farne a meno, Lupin non
avrebbe mai cucinato un solo pasto nella sua vita, ma quella mattina si
era
alzato davvero di buon umore e aprendo gli occhi il suo primo pensiero
era
stato “Pancakes!”.
Nulla
metteva allegria al ladro gentiluomo
come un colpo ben riuscito e, dopo tutto, si trovavano negli Stati
Uniti,
pertanto fare una colazione a base di quelle squisite torte basse e
spugnose
sarebbe stato perfettamente in tema.
Si
era, dunque, alzato senza fare rumore,
aveva preso gli ingredienti, preparato l’impasto e, una volta
scaldata la
padella, aveva dato inizio alla produzione.
Nel
giro di pochi minuti la cucina si era
riempita del favoloso profumo dei dolci appena fatti, che, uno dopo
l’altro,
erano stati impilati su un piatto in attesa di essere mangiati.
Per
fare una sorpresa ai suoi soci, il
ladro gentiluomo aveva persino apparecchiato la tavola per tre,
disponendo
appositamente per Goemon un paio di bacchette di legno.
Mentre
la macchina del caffè aveva
iniziato a ribollire, Lupin andò a chiamare gli altri due
uomini e ricevette
diversi improperi per averli svegliati a quell’ora della
mattina, ma quando il
profumo della colazione li ebbe raggiunti, le loro proteste cessarono e
si
sedettero a tavola.
-Dobbiamo
fidarci?- chiese scettico Jigen,
studiando i pancakes che Lupin gli stava porgendo su un piatto.
-Perché?
Pensi che possa avvelenarvi?-
domandò Lupin con irritazione malcelata da un tono
forzatamente scherzoso.
-Tu
non cucini mai- sentenziò Goemon,
condividendo i sospetti di Jigen -Questo rende assai probabile che
questi dolci
siano immangiabili.
Lupin
fece una smorfia, offeso da quelle
insinuazioni: -Quanto siete ingrati voi due! Invece di ringraziarmi
perché vi
ho preparato la colazione, ve ne state lì a criticarmi! Per
vostra informazione,
sono un cuoco eccellente. Ho cucinato per moltissime donne e nessuna di
loro si
è mai lamentata!
-Forse
perché, dopo aver mangiato quello
che avevi cucinato tu, non è sopravvissuta abbastanza a
lungo da poterlo fare-
commentò Jigen con un ghigno.
-Oppure
perché ti sei sempre fatto portare
la cena a casa da un ristorante, spacciandola per tua- intervenne
Goemon -Non
ti ho mai visto nemmeno lavare un piatto.
Jigen
ci rifletté per qualche istante e
poi annuì: -In effetti nemmeno io, anzi, non ti ho mai visto
entrare in una
cucina se non per mangiare.
A
quel punto Lupin sbottò: -Begli amici
che siete! Vi prometto che quando avremo finito pulirò tutto
da cima a fondo,
ma almeno sarebbe carino se poteste assaggiare i miei pancakes e
chiudere le
vostre brutte boccacce.
I due
uomini si scambiarono un’occhiata
divertita e attaccarono i pancake, sotto lo sguardo attento di Lupin,
pronto a
cogliere la minima variazione di espressione e carpire il loro giudizio.
Dopo
qualche istante di silenzio in cui i
tre uomini si presero il tempo di assaggiare con la dovuta calma i
dolci ancora
fumanti (Goemon ci impiegò qualche secondo in più
per la difficoltà di tagliare
i pancakes con le bacchette), il giudizio finale venne espresso.
-Passabili-
fu il commento di Jigen, che
aggiunse dello sciroppo d’acero per insaporirli.
-Sono
d’accordo- convenne Goemon -E
comunque sono meglio i dorayaki.
-Ma
se sono praticamente la stessa cosa!-
esclamò Lupin, battendo le mani sul tavolo, indispettito dal
rigido giudizio
dei suoi compagni di avventure.
-I
dorayaki sono ripieni- continuò Goemon
senza fare una piega davanti alla reazione dell’amico -E la
marmellata di
fagioli azuki è decisamente più gustosa di questo
sciroppo ipercalorico.
-E da
quando ti preoccupi delle calorie?-
ribatté il ladro gentiluomo al limite
dell’esasperazione -Fai allenamenti
estenuanti un giorno sì e l’altro pure e ti
preoccupi se per una volta mangi un
po’ di sciroppo d’acero?
-Il
corpo è il tempio dell’anima- recitò
il samurai -E come tale deve essere custodito. Introdurre un cibo
così pieno di
zuccheri nel proprio stomaco è come passeggiare per il Kondō
con i sandali
sporchi di fango.
Lupin
rimase a fissare
il samurai per qualche istante incredulo, cercando di capire se sotto
la sua
espressione apparentemente imperturbabile si celasse un intento
canzonatorio.
-Io
invece credo ci
avrei messo meno burro- intervenne Jigen, che nel frattempo aveva
continuato ad
esaminare la sua porzione -Un po’ più di farina e
una spolverata di cannella.
Lupin
lanciò
un’occhiata di fuoco al pistolero: -Sono tutti bravi a
criticare- sibilò
indispettito -Se pensi di poter fare dei pancakes migliori dei miei,
allora
perché non lo dimostri?
-Attento
a quello che
chiedi- lo ammonì il pistolero -Potresti restarci male!
-Prima
devi battermi!-
lo sfidò Lupin, gli occhi ardenti di determinazione.
-Molto
bene, allora-
rispose Jigen rimboccandosi le maniche e prendendo un grembiule da uno
dei
cassetti della cucina -Ma poi non dire che non ti avevo avvertito.
Il
pistolero prese
posto davanti ai fornelli e iniziò a trafficare sotto gli
sguardi incuriositi
degli altri due uomini. Quando Lupin tentò di sabotare la
sua opera invertendo
il barattolo dello zucchero con quello del sale, Jigen se ne accorse
immediatamente
e allontanò la mano molesta del ladro dal barattolo con una
cucchiaiata secca
sulle nocche.
Lupin
si ritirò con la
coda tra le gambe e attese al suo posto che Jigen finisse.
Quando
l’impasto color
crema toccò la superficie calda della padella, un delizioso
aroma di cannella e
scorza di limone invase l’aria e Lupin dovette fare appello a
tutto il suo
autocontrollo per mascherare l’ipersalivazione che quel
invitante profumino gli
aveva provocato.
I
pancakes di Jigen,
una volta riposti con cura sul piatto di presentazione, risultavano
tutti
uguali sia per diametro che per spessore e perfettamente dorati su
entrambi i
lati, a differenza di quelli di Lupin che, invece, avevano dimensioni
diverse
(soprattutto i primi) e alcuni erano leggermente sbruciacchiati.
-Assaggia
e piangi- lo
sfidò il pistolero, porgendogli il piatto e una forchetta
pulita.
Diede
un piatto
identico anche a Goemon, chiedendogli di giudicare obiettivamente.
Assunta
un’espressione studiatamente
diffidente, Lupin prese un boccone e lo portò alla bocca, ma
quando il suo
palato incontrò quel frammento soffice e fragrante, venne
invaso da un’ondata
di dolcezza avvolgente e bilanciata dal sapore speziato della cannella.
I
pugni del ladro si
strinsero attorno alle posate, mentre la sua mente cercava di
comprendere se
fosse più estasiato da quel singolo pezzetto di pancake o
più irritato per la
consapevolezza di aver subito una sconfitta schiacciante.
-I
miei sono più
casalinghi- dovette dire infine, dato che Jigen lo fissava con
insistenza in
attesa -C’è chi lo apprezza!- continuò
in risposta all’espressione di
sufficienza che aveva assunto il volto dell’amico.
Jigen
fece spallucce,
intuendo che Lupin non avrebbe mai ammesso la sconfitta, e si rivolse
al
samurai: -Tu cosa ne pensi, Goemon?
Il
samurai si prese il
suo tempo per gustare il dolce di Jigen, assaporarne il gusto e
valutarne tutte
le sfumature, poi, dopo un attimo di silenzio, sentenziò:
-Non sono male, ma i
dorayaki sono meglio.
A
quel commento, Lupin
dovette lanciarsi su Jigen per impedirgli di saltare al collo di Goemon
e dare
inizio a una rissa che di certo non sarebbe stata gradita al padrone di
casa
che gli affittava l’appartamento.
-Perché
allora non ci
fai vedere di cosa sei capace tu?- lo provocò il pistolero,
cercando di
liberarsi dalla presa di Lupin.
Il
samurai accolse la
sfida senza proferire verbo. Si alzò in piedi, si
rimboccò le maniche del
kimono legandole dietro alla schiena e uscì dalla stanza,
lasciando Jigen e
Lupin senza parole.
Tornò
qualche istante
più tardi con un barattolo pieno di gelatina rossastra:
-Marmellata azuki,
direttamente dal Giappone- annunciò con orgoglio, svitando
il tappo del
barattolo e avvicinandolo al naso per sentirne l’aroma.
-Tu
viaggi con un
barattolo di anko in valigia?- chiese Lupin esterrefatto, lasciando la
presa su
Jigen che sembrava essersi calmato davanti a quell’insolito
spettacolo.
Il
samurai finse di non
cogliere lo scherno che si celava dietro quella domanda e
attraversò la cucina
senza aggiungere una parola, costringendo gli altri due a scansarsi al
suo
passaggio.
Preparò
i dorayaki in
religioso silenzio, eseguendo ogni passaggio con la
solennità di un rito sotto
lo sguardo ammirato dei soci.
Scelse
dei piatti
rettangolari per presentare la sua opera e li decorò con
delle spatolate di
marmellata, che risaltava scura sulla superficie chiara e lucida della
ceramica.
-A
voi- annunciò con
solennità e rimase ad osservare i suoi amici prendere i
piccoli dolci ripieni e
addentarli.
Ne
seguì un istante di
silenzio, in cui il ladro e il pistolero si scambiarono
un’occhiata carica di
significato, sancendo un muto patto tra loro.
-Allora?-
chiese Goemon
impaziente, incrociando le braccia -Cosa ne dite?
-Niente
di eccezionale-
risposero all’unisono, ma non appena il samurai fece per
estrarre la spada con
un lampo di irritazione negli occhi iniziarono a declamare i pregi dei
suoi
dolci e a chiedere perdono per le loro parole sconsiderate.
Quando
si furono tutti
calmati e la pace venne ristabilita nella stanza, il trio rimase in
contemplazione del caos che avevano creato in cucina: il lavandino
traboccava
piatti, scodelle, mestoli e padelle sporchi, la tavola era interamente
occupata
da decine di pancakes, ormai freddi, di tutte le dimensioni e i
fornelli erano
impiastricciati di impasto, sciroppo d'acero e marmellata.
Jigen
allungò le
braccia e stiracchiò la schiena con uno sbadiglio: -Ho delle
faccende da
sbrigare a Tokyo- annunciò -Vado a preparare la valigia e
prenoto il primo
biglietto per tornare in Giappone.
-Anche
io sono
impegnato- fece eco Goemon -Sono venuto con voi in California solo per
poter
raggiungere l’Arizona più comodamente: ho saputo
che sul Grand Canyon sta in
eremitaggio un grande maestro dell’arte della meditazione e
ho intenzione di
chiedergli di farmi fare un apprendistato.
Ciò
detto i due
uscirono dalla stanza, lasciando a Lupin, confuso ed esterrefatto, il
compito
di rassettarla.
A
nulla valsero le sue
proteste: ormai Jigen e Goemon se n’erano
andati.
Non
vedendo alternativa, Lupin infilò i guanti per i piatti e
iniziò a raccogliere
le stoviglie sporche, dopotutto aveva promesso che se ne sarebbe
occupato.
Nota
dell’autrice:
Salve a tutt* e ben
ritrovat* a quest’ultimo capitolo della serie Slices
of Life! Vorrei ringraziare Fujikofran che incoraggia la mia
scrittura con le sue recensioni a fine capitolo e Gella che ha inserito
la
raccolta tra le storie seguite! Thank you!
Dunque,
oggi a Bake Off Japan per voi… Lupin III, Jigen Daisuke e
Goemon Ishikawa XIII!
Mi sono divertita molto a immaginare questo scenario e spero di avervi
strappato un sorriso. Siamo quasi arrivati alla fine di questa mini
raccolta
nella raccolta e, dopo questa pausa un po’ lunga che mi sono
presa, cercherò di
essere più presente e di pubblicare con maggiore costanza.
Il prossimo capitolo si intitolerà Patching up a wound,
ci vediamo lì!
Grazie
della vostra lettura e spero che vogliate farmi sapere cosa pensate del
mio
lavoro lasciando un piccolo commento nello spazio dedicato alle
recensioni!
Alla
prossima,
Desma
|
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Capitolo 9 *** Patching up wounds (pt.4/4) ***
Warning:
questa one shot
ha un rating arancione per la descrizione di atti di violenza
Le
era sempre piaciuto
ridere, ma soprattutto le piaceva quando gli altri pensavano che la sua
risata
fosse suscitata da una loro battuta. E invece, molto più
frequentemente, era
dovuta al pensiero dell'ingenuità dei suoi
interlocutori.
Così
era stato per
Sosuke Watanabe, giovane medico in una clinica privata e ricco
ereditiere della
famiglia Watanabe, famosa per la fortuna accumulata per il brevetto, la
produzione e la vendita di diverse attrezzature mediche.
Fujiko
camminava a
braccetto con il giovane Watanabe, ascoltando con attenzione quello che
aveva
da dire e ridendo al momento opportuno.
Insomma,
l'ordinaria
amministrazione di una ladra che sa sfruttare il suo fascino a proprio
vantaggio.
I
lampioni lungo la riva
pedonale del fiume Tama illuminavano praticamente a giorno la sera
limpida e
impreziosita dalle stelle, ma gli occhi di Watanabe erano solo per lei,
unica
stella che camminava per le strade di Tokyo.
Fujiko
era perfettamente
consapevole delle attenzioni del medico e ogni sfumatura del suo
atteggiamento
era volta a convincerlo del suo interesse nei confronti delle sue
parole e
della sua persona.
Atteggiamento
nemmeno
troppo forzato, dato che il giovane uomo, rispetto allo standard degli
uomini
avidi, egocentrici e pieni di boria con cui Fujiko aveva normalmente a
che
fare, era una compagnia piuttosto piacevole.
Stava
ridendo a un
evento buffo che Watanabe aveva raccontato e che era successo nella sua
clinica, quando la vista periferica della ladra colse qualcosa che la
mise in
allerta.
Voltò
la testa di scatto
per vedere meglio quello che stava emergendo dal Tama e pochi istanti
le
bastarono per capire due cose: 1. Che la figura nera e allungata che si
stava
trascinando a fatica fuori dal letto del fiume era nient'altro che
Daisuke
Jigen; 2. Che i rantoli che produceva e la visibile fatica che gli
richiedeva
muoversi erano i segnali che era ferito e anche piuttosto
gravemente.
Senza
pensarci due
volte, Fujiko si lanciò nella discesa oltre il parapetto che
definiva il
confine della strada pedonale e poi giù verso il letto del
fiume, ignorando il
fango che le inzaccherava le prestigiose scarpe di Dior e i richiami di
Watanabe.
Quando
ebbe raggiunto
l'uomo, Fujiko notò le estese macchie di sangue che gli
imporporavano gli abiti
ed ebbe un tuffo al cuore.
-Sosuke!-
chiamò a gran
voce -Vieni a darmi una mano!
Mentre
il medico la
raggiungeva, Fujiko tirò il pistolero fuori dall'acqua e gli
prese il viso tra
le mani per capire se fosse ancora cosciente.
Gli
occhi di Jigen erano
pesti e gonfi, ma uno era ancora abbastanza aperto da poter vedere il
mondo e
la sua iride scura agganciò quella castana di
Fujiko.
-Fu…
ji… ko…- scandì a
fatica il pistolero.
-Tranquillo,
Jigen- lo
rassicurò lei, rincuorata dal fatto che l'uomo fosse ancora
abbastanza cosciente
da riconoscerla -Mi occuperò io di te, è tutto
finito.
-No!-
disse Jigen con
maggiore foga, usando quello che rimaneva delle sue forze per
afferrarle il
braccio -Ta… na… ka!
Negli
occhi del
pistolero, mentre pronunciava quel nome, la ladra lesse un miscuglio
inquietante di emozioni, che comprendevano furia, odio e
paura.
Capì
allora che, in
qualunque brutta storia si fosse cacciato Jigen, non era ancora
finita.
*
Lo
spostamento del corpo
inerme di Jigen era stata una fatica degna di Ercole, soprattutto per
via
dell’insistenza di Watanabe nel volerlo portare in ospedale.
Alla fine, dopo
interminabili (e inutili) discussioni, il medico aveva acconsentito ad
aiutarla
a portare Jigen nella sua camera d’albergo e a prendersi cura
di lui.
Gli
ci erano volute
quasi due ore e diversi asciugamani puliti per arginare le emorragie,
ma al
termine di un tempo che per Fujiko, costretta ad osservare senza poter
fare
poco o niente, era stato un’agonia, Watanabe aveva estratto
due proiettili,
chiuso cinque tagli da arma bianca e medicato
un’infinità di contusioni.
Per
fortuna, aveva
dichiarato il giovane medico, non sembravano esserci particolari danni
agli
organi interni, sebbene il paziente avesse perso molto sangue.
-Avrà
sicuramente
bisogno di una trasfusione- aveva commentato Watanabe, prendendo il
polso
debole, ma costante, e osservando il pallore quasi cadaverico della sua
carnagione.
-B
negativo.
-Come?-
chiese il
medico.
-Il
suo gruppo sanguigno
è B negativo- aveva risposto Fujiko, sul cui volto erano
improvvisamente
apparse delle piccole rughe sulla fronte e attorno agli occhi che
Watanabe non
aveva notato.
-Molto
bene- sospirò
Watanabe -Dato che per qualche ragione non si può portare
quest’uomo in
ospedale, farò qualche telefonata e mi farò
portare il necessario per la
trasfusione.
Il
sorriso sul volto di
Fujiko a quella notizia, pensò il medico, avrebbe potuto
sciogliere anche il
più imponente degli iceberg e si sentì quasi in
imbarazzo: -Grazie Sosuke-
rispose la donna -Sei un brav’uomo.
Assicuratasi
che il
pistolero fosse in buone mani, la donna uscì dalla stanza,
adducendo la scusa
di avere bisogno del bagno, e cercò il cellulare nella
borsetta.
Trovatolo,
digitò un numero
di telefono e attese che la persona dall’altra parte
rispondesse: -Chérie!-
sentì chiamare dopo un paio di squilli a vuoto.
-Ciao
Lupin!- cinguettò
lei, sfoderando la sua voce da seduttrice -Come stai? Mi manchi tanto!
-Anche
tu mi manchi,
chérie!- rispose Lupin con trasporto.
-Dove
sei, mio caro?
-In
questo momento mi
trovo a San Diego. Vuoi venire a farmi una visitina?
-Oh,
magari, tesoro!
Magari!- esclamò Fujiko, riuscendo a immaginare con
facilità il sorriso rapito
che il ladro doveva avere in quel momento sul volto -Sai, ti stavo
pensando e
mi sono chiesta: chissà se Lupin ha fatto qualche bel lavoro
interessante di
recente? Senza di te è una noia mortale!
-Mia
cara Fujiko, anche
per me è lo stesso! Nemmeno io ho fatto granché
ultimamente, giusto un colpetto
qualche settimana fa a Nagoya, ma niente di che.
-Cosa
ci sei andato a
fare a Nagoya?- lo incalzò Fujiko, nascondendo dietro il
miele della sua voce
l'impazienza che provava.
-Io e
Jigen abbiamo
alleggerito le casse di un casinò, poi siamo venuti in
California per
rilassarci un po’, ma lui ha preferito tornare in Giappone
dopo qualche giorno
e ora sono solo soletto. Che casinò era? Il Tanaka.
A
quel nome la schiena
di Fujiko venne percorsa da un brivido e la sua mente le
restituì l’immagine del
volto di Jigen, tumefatto e coperto di sangue, contratto nel tentativo
di
parlarle.
Chiuse
le telefonata
promettendo a Lupin che sarebbe andata a trovarlo a San Diego, ma la
sua mente
non registrò i calorosi saluti e i baci che l’uomo
le aveva mandato attraverso
la cornetta: il suo cervello, infatti, aveva iniziato a mettere insieme
i pezzi
e a creare collegamenti tra i fatti.
La
conclusione era una
soltanto: qualcuno avrebbe pagato per quello che era stato fatto a
Jigen.
Si
assicurò che Watanabe
si occupasse del suo amico, poi andò nella sua stanza da
letto e si sfilò
l'abito griffato che aveva indossato per l'appuntamento della serata,
sostituendolo con una tuta da combattimento nera. Le scarpe con il
tacco
vennero rimpiazzate con quelle tattiche e i capelli vennero raccolti in
una
pratica coda.
Uscì
con il casco
sottobraccio e la pistola assicurata al suo fianco.
Watanabe
non fece
domande e Fujiko gliene fu grata.
*
La
corsa in motocicletta
da Tokyo a Nagoya fu veloce e frenetica, nella totale indifferenza nei
confronti delle regole stradali, ma la donna non era nuova a questo
tipo di
guida e a nulla valsero gli inseguimenti di una volante della polizia.
In un
battito di ciglia, Fujiko era sparita alla vista.
Arrivò
nei pressi del
casinò che era l'alba e si soffermò a studiare
l'edificio: le luci al neon
intermittenti, seducenti e multicolore come sirene silenziose, erano
accese e
invitavano la clientela ad entrare in quella bolgia senza orologi, dove
le slot
machine e i croupier lavorano 24/7.
Non
aveva tempo di
mescolarsi tra la folla dei clienti, doveva assolutamente trovare il
proprietario. Parcheggiò la moto tra un gruppo di cespugli
del giardino, dove
avrebbe potuto prenderla senza farsi notare, e aggirò
l'edificio.
Dopo
la rapina di Lupin,
che aveva completamente svuotato le casse del casinò
lasciando ad eventuali i
altri ladri solo le briciole, la sorveglianza si era ridotta parecchio
e Fujiko
aveva potuto salire le scale anti incendio senza difficoltà.
Sbirciando
attraverso le finestre identificò degli uffici all'ultimo
piano e, facendo leva
sul telaio di una di esse con un coltello, entrò.
La
stanza era buia e
vuota e la donna si mise in ascolto: se faceva attenzione riusciva a
percepire
i rumori e le risate delle sale da gioco ai piani inferiori, il
tintinnio dei
bicchieri e delle bottiglie al piano bar e qualcuno parlottare nella
stanza a fianco.
"Bingo!"
pensò
la donna e con passo felpato si appoggiò alla parete con
l'orecchio schiacciato
contro il muro.
-Mi
dispiace, illustre
Mishimoto, mi perdoni!- stava piagnucolando un uomo, probabilmente al
telefono
dato che Fujiko non riuscì a percepire la presenza di altre
persone nella
stanza.
-Sì
ho fatto uccidere
uno dei ladri, il suo sicario di fiducia è stato molto in
gamba!- continuò
l'uomo che Fujiko ritenne essere Tanaka -No sono desolato, non ha detto
dove si
trovano i soldi… Ho usato le maniere forti, anche se non
sono a mio agio con la
tortura…. Se n'è occupato il suo giovane sicario.
Non c'è traccia del secondo
uomo… Li troveremo, signore, troveremo i suoi soldi.
Sì, avrò buone notizie la
prossima volta. Arrivederci.
La
telefonata venne
conclusa e a Fujiko non servì un secondo segnale per
intervenire. Uscì
cautamente nel corridoio, assicurandosi che non ci fosse nessuno ad
osservarla,
e aprì la porta della stanza a fianco.
-Ho
detto che non voglio
essere disturbato!- abbaiò rabbioso Tanaka, ma l'uomo si
ammutolì di colpo
quando vide la canna della pistola puntata contro di lui da una donna
di
ineffabile bellezza, che gli faceva gesti con un dito di
tacere.
-Ora
noi due faremo una
chiacchierata e poi farai una telefonata per me.
*
Izumo
era stanco e in
quanto tale era anche nervoso: aveva concluso un lavoro con successo,
pur non
riuscendo ad ottenere le informazioni che il capo desiderava, e tutto
ciò che
voleva era mangiare, trovare un po' di compagnia femminile a buon
prezzo e
andare a dormire.
Era
riuscito a malapena
a consumare un pasto quando il suo cellulare di lavoro aveva iniziato a
suonare
e sullo schermo era apparso il nome del proprietario del
casinò. Gli disse di
volerlo premiare personalmente per l'ottimo lavoro svolto e a nulla era
valso
ripetergli di trasferire la cifra sul suo conto in banca: il vecchio
Tanaka
aveva voluto incontrarlo.
In
una circostanza
diversa avrebbe diffidato da un simile invito, ma Tanaka era un uomo
anziano e
debole, sia di corpo che di spirito, spaventato persino dalla propria
ombra e
che si era indebitato con la criminalità organizzata nella
speranza di
mantenere aperto il suo casinò.
Izumo
ridacchiò al
pensiero della faccia terrorizzata del vecchio quando l'aveva visto
entrare nel
suo ufficio, convinto che Mishimoto, il suo capo e creditore del signor
Tanaka,
l'avesse mandato per lui.
Arrivò
davanti alla
porta dell’ufficio e bussò.
-Avanti-
chiamarono
dall’altra parte della porta e Izumo entrò. La
stanza era completamente al buio
e a malapena riusciva a distinguere la sagoma dell’uomo nella
poca luce che
filtrava dalla finestra.
-Tanaka,
ti hanno già
tagliato la luce?- chiese il sicario con una punta di cattiveria nella
voce, ma
ebbe un sussulto quando sentì la porta chiudersi alle sue
spalle.
Le
luci si accesero e
gli occhi del sicario impiegarono qualche istante per abituarsi alla
nuova
condizione di luce, ma quando le pupille gli si furono ristrette
riuscì a
distinguere più nitidamente l’anziano uomo alla
scrivania.
Il
suo corpo era
accomodato sulla sedia dietro alla scrivania, ma la sua testa era
innaturalmente reclinata all’indietro e sulla tempia destra
scorreva un rivolo
rosso, mentre il pavimento alla sua sinistra era inzaccherato di sangue
e
cervella.
Istintivamente
Izumo
girò i tacchi e fece per andarsene, ma la canna di una
pistola puntata alla
fronte lo costrinse a fermarsi.
-Izumo
Nakamura- la
donna che impugnava la pistola era la creatura più
affascinante su cui gli
occhi del sicario si erano mai posati e sentire il suo nome venire
pronunciato
dalla voce soave di quell’angelo gli provocò un
mix di emozioni contrastanti.
-Tu
sei il sicario che
Tanaka ha assoldato per torturare ed eliminare Jigen Daisuke-
continuò quella
donna meravigliosa e Izumo non fu certo se gli avesse posto una domanda
o se
avesse semplicemente annunciato un fatto.
-Chi
vuole saperlo?-
chiese alla fine il sicario, cercando di mostrarsi indifferente davanti
alla
bocca scura della pistola puntata su di lui.
-Mi
chiamo Fujiko Mine e
sarò l’ultimo volto che vedrai- rispose la donna e
nei suoi profondi e sensuali
occhi scuri Izumo vide una furia bruciante che diede conferma delle sue
parole.
-Quanto
sforzo per un
avanzo di fogna come quel Jigen- commentò il sicario,
indicando con il pollice
il cadavere di Tanaka alle sue spalle -Mishimoto verrà a
sapere di tutta questa
storia, ti troverà e ucciderà prima te e poi il
tuo caro Jigen.
Il
disprezzo con cui il
sicario aveva pronunciato quella parola le fece salire il sapore della
bile
alla gola e dovette trattenersi dallo svuotare il caricatore della
pistola
contro la sua testa.
No,
non doveva
permettergli di farle perdere la concentrazione.
Fujiko
conosceva la fama
di Mishimoto e sapeva che Izumo aveva ragione: se avesse commesso un
passo
falso, sarebbero stati perseguitati a vita dalla sanguinaria banda del
boss e
nulla di quello che aveva fatto sarebbe servito.
Doveva
rimanere
concentrata.
-Non
ti preoccupare di
questo- Fujiko sfoggiò il un sorriso ferino e Izumo
sentì una goccia gelata
scorrere lungo la linea della sua colonna vertebrale -Piuttosto,
spiegami una
cosa. Tanaka mi ha raccontato di come hai torturato Jigen e di come gli
hai sparato,
per poi gettarlo nel Tama come un sacco di immondizia. Quello che non
capisco è
come sia stato possibile che un pivello imberbe come te abbia potuto
mettere
nel sacco un pistolero esperto del calibro di Jigen.
La
pistola era
perfettamente immobile nella mano della donna e Izumo, che riusciva a
prevedere
con facilità che non sarebbe vissuto abbastanza da vedere il
nuovo giorno,
pensò che non ci sarebbe stato modo di cambiare il suo
destino e decise di
accontentarla: -Ho pagato una prostituta perché recitasse il
ruolo della povera
ragazza indifesa che chiedeva aiuto per salvare un’amica in
difficoltà.
Conoscendo la fama di Jigen, mi ha sorpreso che ci sia cascato tanto
facilmente. Sentirlo grugnire come un maiale ogni volta che lo colpivo
è stato
un piacere impagabile.
Lo
sta facendo di nuovo,
pensò Fujiko, vuole provocarmi perché sa che
morirà e spera di farmi distrarre
per crearsi una via di fuga.
-Un
maiale che non ti ha
dato comunque quello che desideravi- ribatté Fujiko, il cui
sorriso si era
fatto più affilato.
-Gliene
rendo atto-
ammise Izumo -Ma sta invecchiando. Si è fatto lento. E
morbido.
-Può
darsi- concesse
Fujiko, pensando a come il pistolero si fosse lasciato ingannare da
quel
pivello -Ma tu non avrai l’occasione di vederlo
morire.
Quelle
parole lasciarono
Izumo perplesso: -Jigen Daisuke è morto- disse -L'ho ucciso
personalmente.
-No-
ribatté Fujiko in
un sibilo che la fece assomigliare a un gatto infuriato -È
sopravvissuto e
questo ti dimostra l'abisso che vi separa: un vero professionista non
avrebbe
mai considerato eliminato un obiettivo senza essersene accertato
personalmente,
lasciando che la propria arroganza lo rendesse superficiale. Inoltre-
continuò
la donna, compiendo un arco attorno all'uomo fino a frapporsi tra lui e
Tanaka
-Se tu l'avessi ucciso davvero, non ti avrei lasciato tutti questi
minuti di
vita.
Le
bastò premere il
grilletto una volta sola per centrare l'obiettivo e il corpo di Izumo
Nakamura
cadde senza vita sul pavimento, mentre il suo sangue si mescolava a
quello del
proprietario del casinò.
Fuori
dall'ufficio
iniziò a crearsi del trambusto. Era ora di andare.
Fujiko
pose la pistola,
che aveva maneggiato per tutto il tempo con i guanti, nella mano destra
di
Tanaka e fuggì dalla finestra, facendola scattare dietro si
sé non appena fu
fuori.
Si
lanciò nel giardino e
svanì nella mattina appena sorta a cavallo della sua moto,
mentre nel casinò
qualcuno urlava a gran voce che si chiamasse un'ambulanza.
*
Vedere
Jigen lucido e
sveglio, sebbene avvolto di bende come una mummia, bastò a
farle passare la
stanchezza di quella notte.
-Non
mi è piaciuto il
modo in cui quel medico mi esaminava- le disse il pistolero, prendendo
una
sigaretta dal pacchetto che Fujiko, seduta sul letto accanto a lui, gli
offriva
-Ti eri messa d'accordo con lui per vendergli i miei organi?
-Quali?-
domandò la
ladra, aspirando il fumo della sigaretta accesa e rilasciandolo con
eleganza
dalle labbra carnose -I polmoni o il fegato?
Jigen
sorrise e nel
silenzio che si creò ascoltò la televisione
accesa sul telegiornale.
-Sono
stati trovati,
nelle prime ore del giorno- stava annunciando il giornalista -Due
cadaveri nel
casinò Tanaka di Nagoya. Uno di questi è il
proprietario del casinò, mentre il
secondo non è stato ancora identificato. Dalle prime
indiscrezioni, sembrerebbe
che il proprietario del casinò abbia sparato alla vittima,
per poi rivolgere
l'arma contro di sé per via di debiti di grosse somme di
denaro, che stavano
portando il casinò al fallimento.
-Tu
non ne sai niente,
vero?- domandò Jigen, mentre il giornalista rimandava a
ulteriori chiarimenti
quando la polizia avrebbe potuto svolgere indagini più
approfondite.
Fujiko
lanciò
un'occhiata distratta al televisore per poi prendere il telecomando e
spegnerla: -È perché dovrei?- rispose, spegnendo
la sigaretta nel posacenere
-Che vantaggio ne avrei tratto?
Jigen
parve riflettere
sulle sue parole per qualche istante, per poi accettarle: -Beh,
qualunque cosa
sia successa- disse il pistolero -Quel maledetto bastardo se
l'è
meritata.
Buttò
la sigaretta nel
posacenere e si lasciò cadere sul cuscino emettendo un lungo
sospiro,
interrotto da un ringhio di dolore quando la schiena toccò
il materasso.
Fujiko
lo studiò per
qualche istante, tornando con la memoria al momento in cui aveva
premuto il
grilletto contro il sicario e il proprietario del casinò
ogni volta che il suo
sguardo incontrava un ematoma o una ferita.
Il
suo viso, sebbene
gonfio e segnato dalle botte, aveva un aspetto calmo e rilassato e,
dopo
qualche minuto di silenzio, Fujiko ritenne che si fosse addormentato,
così fece
per alzarsi, ma il pistolero la trattenne afferrandola per un
polso.
La
donna si bloccò,
sorpresa dal tocco delicato e gentile che l'uomo le stava riservando,
disegnando con il pollice dei piccoli cerchi sulla pelle del suo
polso.
-Grazie,
Fujiko.
Le
sue parole furono
poco più di un sussurro, ma alle orecchie della donna
suonarono quasi come un
grido e ne fu spiazzata.
-Non
devi ringraziarmi-
rispose -Non saresti molto utile da morto.
Jigen
annuì con il capo
e la lasciò andare, ma appena prima che Fujiko potesse
uscire dalla camera
esclamò: -Quel giovane medico con cui eri ieri sera ha
lasciato un biglietto
per te sul comò. Magari la mia "visita a sorpresa" non ha
rovinato
del tutto i tuoi piani.
Fujiko
guardò dove le
veniva indicato e trovò un biglietto di spessa carta
filigranata con impresso
lo stemma della catena di alberghi.
Watanabe
vi aveva
scritto sopra con un'elegante calligrafia: "Mi sono occupato del tuo
amico
come meglio ho potuto. È un uomo straordinariamente coriaceo
e si riprenderà.
Conoscerti è stata una delle esperienze più
piacevoli e intense della mia vita,
che porterò sempre con me (che mi piaccia o meno), ma so
riconoscere quando
vengo sconfitto e spero che quest'uomo misterioso sia in grado di darti
ciò di
cui hai bisogno. Stammi bene, Sosuke".
-Cattive
notizie?-
chiese Jigen, che la osservava leggere.
-Niente
da fare con il
medico- ammise la ladra - Peccato, perché la sua famiglia
è diventata
milionaria con la produzione di presidi medici.
-Ce
ne saranno altri-
commentò il pistolero, aggiustandosi a fatica sul
materasso.
-Senza
dubbio. Ma ora
riposati. Puoi stare qui tutto il tempo che ti serve.
Lasciò
la stanza
affinché l'uomo potesse riposare, ma prima di chiudere la
porta dietro di sé e
andare a farsi una doccia, indugiò a guardare la figura del
pistolero sul letto
ancora per un istante.
Nota
dell’autrice: Ciao a tutt* e
grazie per aver letto
questo capitolo di Slices of Life!
Siamo arrivat* all’ultima parte, di quattro, di questa
raccolta nella raccolta
e abbiamo visto Fujiko all’opera. Cosa ne pensate? Come
sempre, un grosso
abbraccio va a Fujikofran che mi omaggia dei suoi commenti a fine
capitolo e
anche in quello scorso non si è fatta attendere. Grazie di
cuore!
Ci
vediamo con il prossimo capitolo che si intitolerà Shoulder rubs!
A
presto,
Desma
|
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Capitolo 10 *** Shoulder rubs ***
Warning:
questa one shot contiene spoilers importanti sul film La cospirazione dei Fuma (1987)
Andare
al
kabuki era sempre un'esperienza molto intensa per Goemon, non solo
perché per
lui non c'era una forma d'arte paragonabile al teatro per esprimere le
sfumature delle emozioni dell'animo umano, ma anche perché
in quelle
rappresentazioni riusciva sempre a trovare qualcosa che lo riportasse
ai tempi
in cui sua madre gli raccontava le leggende e i miti tradizionali,
spesso
legati alla storia della loro famiglia.
Ce
n'erano
alcune, in particolare, che lo commuovevano al punto da fargli versare
qualche lacrima.
Certe volte più di qualcuna.
Lo
spettacolo a cui era andato ad assistere quella sera raccontava le
avventure di
Momotaro, il bambino pesca, e mentre gli attori dai volti dipinti e dai
costumi
sgargianti si muovevano sul palco, il samurai si ritrovò a
pensare ai pomeriggi
di primavera della sua infanzia più tenera, trascorsi ad
ascoltare le favole
della madre, mentre lei faceva il bucato o sgravana i piselli.
Immerso
nei
suoi pensieri, Goemon non diede inizialmente importanza alla figura che
la sua
vista periferica aveva percepito e fu quando la donna gli si sedette a
fianco e
gli sorrise che lui ne registrò davvero la
presenza.
-È
bello
rivederti di persona, Goemon- gli sussurrò la donna
all'orecchio per non
disturbare gli altri spettatori.
Quella
voce
ebbe il potere di fargli rizzare i peli delle braccia e il samurai le
nascose
prontamente sotto al kimono.
-Murasaki?-
chiese lui, riconoscendo nella donna al suo fianco i lineamenti della
fanciulla
che, diversi anni prima, aveva accompagnato all'altare.
Lei
gli
sorrise di nuovo e il cuore del samurai accelerò nella
realizzazione di avere
davanti a sé la sua promessa sposa e che la ragazza appena
uscita dal liceo che
ricordava era divenuta una donna bella e radiosa.
Lei
si
avvicinò di nuovo al suo orecchio: -Dopo lo spettacolo non
scappare, vorrei
parlarti.
Lui
annuì
con il capo e tornò a rivolgere la sua concentrazione sul
palcoscenico anche se
ormai i suoi pensieri erano proiettati su altro.
Ripensò
al
rapimento della ragazza da parte dei ninja del clan dei Fuma,
all'interpretazione dei segni sul vaso della famiglia Suminawa e alla
battaglia
contro i Fuma nel complicato e pericoloso labirinto del tesoro dei
Suminawa.
La
sua
mente toccò persino il ricordo della loro separazione e
della promessa di
tornare quando i suoi allenamenti lo avrebbero reso degno di
proteggerla, cosa
che non era riuscito a fare quando era stata rapita.
Sembrava
che fossero stati eventi di un'altra vita, soprattutto
perché, tempo dopo,
Goemon era venuto a sapere che la famiglia Suminawa aveva combinato un
altro
matrimonio per la loro giovane ereditiera e da allora aveva smesso di
pensare
alla piccola Murasaki.
Non
si era
sentito particolarmente triste o arrabbiato alla notizia del matrimonio
della
sua promessa sposa, quanto piuttosto sorpreso e irritato che la
famiglia
Suminawa avesse preso una simile decisione senza comunicarglielo almeno
con una
lettera, ma come poteva biasimarli? Lui era introvabile e non poteva
certo
pretendere che una fanciulla giovane e ricca sprecasse gli anni
migliori della
sua vita ad aspettarlo.
Era
stato
perfino contento per lei, che nei loro discorsi gli aveva confidato il
desiderio di crearsi una famiglia e di ritrovarsi poi in vecchiaia
circondata
dall'amore di figli e nipoti.
All'epoca
persino lui si era lasciato sedurre da quella prospettiva, resa
sicuramente più
concreta dall'enorme fortuna che la ragazza avrebbe ereditato dalla sua
famiglia, ma poi davanti alla comprensione e alla tenerezza che
Murasaki gli
aveva rivolto dopo che lui, nel delirio dei fumi allucinogeni, l'aveva
ferita
con la sua spada, il suo cuore aveva compreso di non poterle offrire
altrettanto. E aveva dovuto andarsene. O meglio fuggire.
La
facilità
con cui aveva smesso di pensare a lei gli aveva poi confermato di aver
preso la
scelta migliore per entrambi. Ora però che l'aveva al suo
fianco il suo cuore
non la smetteva di battere forte e la sua mente di mostrargli i momenti
passati
assieme, come flashback di uno di quegli assurdi film occidentali che
ogni
tanto Lupin guardava alla televisione.
Cosa
poteva
mai volere Murasaki da un uomo che l'aveva abbandonata, negandole il
futuro che
lei desiderava per sé?
Goemon
provò a immaginare i sentimenti che dovevano celarsi dietro
quella facciata
sorridente ed educata.
Immaginò
il
rancore che Murasaki doveva provare nei suoi confronti e la rabbia di
essere
stata ingannata da una persona di cui si fidava e per cui aveva provato
dei
sentimenti.
Non
provava
vergogna per quello che aveva fatto ma era consapevole che, nonostante
le sue
azioni fossero state volte al bene di entrambi, non aveva agito in
maniera
corretta e rispettosa ed era pronto ad affrontare i giusti rimproveri
che gli
sarebbero stati rivolti.
Lo
spettacolo continuò e si concluse senza che lui, immerso
nelle sue elucubrazioni,
quasi se ne accorgesse e furono le luci accese del teatro a fine
rappresentazione a riportarlo alla realtà.
-Andiamo,
Goemon?- lo invitò Murasaki e lui la seguì fuori
dal teatro senza fiatare.
Fuori
l'aria era fredda e il fiato si condensava in dense nuvole di vapore
che si
disperdevano nell'oscurità della sera.
Su
di loro
un cielo carico di spesse nuvole prometteva una nevicata come non se ne
vedevano da anni.
All'uscita
Murasaki lo prese per mano e lo condusse attraverso il flusso di
persone che
uscivano dal teatro fino a quando non riuscirono a camminare senza
urtare
nessuno.
-Hai
fame?-
gli chiese la ragazza, sul cui volto Goemon cercava sentimenti di odio
dietro
il sorriso dolce e gli occhi scuri -Io muoio di fame! Vieni, conosco un
chiosco
che fa degli okonomiyaki spettacolari!
Il
samurai
si lasciò condurre nel dedalo di strade senza proferire
verbo, cercando di
capire in che modo la donna avrebbe affrontato l'argomento e l'attesa
del
rimprovero cominciò a renderlo impaziente.
Che
Murasaki volesse farsi beffe di lui e tenerlo sulle spine? Non sembrava
un
comportamento degno della ragazza spontanea che aveva conosciuto, ma il
tempo
cambia le persone e lui di certo non meritava di essere trattato con i
guanti.
Raggiunsero
il chiosco e Murasaki comprò un okonomiyaki a testa,
offrendone uno al samurai,
che accettò educatamente.
Lo
prese a
braccetto e insieme iniziarono a passeggiare per la città,
mangiando la
focaccia mentre camminavano.
-Sono
davvero contenta di averti ritrovato, Goemon- iniziò lei,
masticando il suo
okonomiyaki -Non avrei mai pensato di rivederti ancora, di certo non
dopo il
mio matrimonio.
-Non
ho
avuto modo di farti le mie congratulazioni- intervenne il samurai
-Felicitazioni. Spero che avrete una lunga vita felice
assieme.
-Ti
ringrazio- sorrise la ragazza -Devo ammettere che sto molto bene con
lui e,
anche se non siamo proprio d'accordo su tutto, è una persona
comprensiva e
paziente.
-Sono
felice per te.
Camminarono
in silenzio per qualche istante, ammirando le luci artificiali di bar e
negozi
lungo la via.
Alla
fine
il samurai decise di prendere il toro per le corna e andare al punto:
-Mi
dispiace per come mi sono comportato con te. Da quando me ne sono
andato non ti
ho mai dato notizie e non ti biasimo se sei arrabbiata.
A
quelle
parole lei sgranò i grossi occhi scuri e lo
osservò con un'espressione stupita:
-Arrabbiata?- chiese -Io non sono arrabbiata con te! Certo, non ero
felice
quando te ne sei andato per allenarti e nemmeno quando sei sparito per
mesi e
mesi senza farti più vedere né sentire, ma la
vita è andata avanti. Come avrei
potuto avere un matrimonio felice se fossi stata arrabbiata con
te?
Lui
ascoltò
in silenzio percependo l'onestà nella voce della ragazza, ma
non si sentì
comunque appagato da quella spiegazione.
-Ma
tu eri
innamorata di me e io ti ho abbandonata, come puoi essere
così gentile e serena
con me?
Lei
sorrise
e Goemon si sentì avvampare: -Non abbiamo mai usato quella
parola quando
stavamo insieme- disse Murasaki -Deve essere davvero passato molto
tempo se
riesci a pronunciarla con tanta disinvoltura. È vero, ero
giovane e innamorata,
ma alla fine le cose trovano sempre un modo per aggiustarsi e anche il
mio
cuore si è rimesso in sesto. Sapevo che non eri un uomo come
gli altri ed era
anche questo ad attrarmi, ma con il tempo ho capito di aver bisogno di
qualcuno
che avrei ritrovato a casa dopo il lavoro ogni giorno e con cui mi
sarei
risvegliata ogni mattina. E tu questo non avresti potuto garantirmelo.
Quando
l'ho capito, sono stata pronta ad accogliere mio marito nel mio cuore e
ora,
tornando indietro, rifarei ogni cosa.
Il
samurai
annuì in silenzio e in cuor suo si sentì
più sollevato: aveva voluto bene alla
ragazza e sapere di non essere odiato da lei, seppure ne avesse avute
tutte le
ragioni, lo faceva sentire più leggero.
-Come
hai
fatto a trovarmi?- chiese il samurai.
-Al
teatro?
La ragazza che lavora alla biglietteria è una mia cara amica
e ti ha
riconosciuto dai miei racconti. Mi ha avvertito lei. Dopo tutto non ci
sono più
molti samurai in giro, non potevi essere che te. Non hai idea di quanto
fossi
emozionata al pensiero di rivederti! Sono felice!
Goemon
non
riuscì a trattenere un sorriso e per un attimo ebbe
l'impressione di tornare
indietro nel tempo a quando erano fidanzati e lei si divertiva a dirgli
tenerezze per farlo arrossire. Anche se era diventata una donna fatta e
finita,
Murasaki non era poi tanto diversa dalla ragazza dolce ed esuberante
che aveva
conosciuto allora.
-Ah,
sono
stanca- esclamò Murasaki -Sediamoci per un istante, ti va?
Trovarono
una panchina libera qualche metro più in là e si
accomodarono. Fu quando si
piegarono per sedersi e il largo cappotto di Murasaki si
aprì sul davanti che
Goemon vide il rigonfiamento sull'addome della donna.
-Murasaki,
tu sei…
-Incinta-
concluse per lui la ragazza, accarezzando il ventre che fino a un
attimo prima
era stato abilmente nascosto dal cappotto -Hai visto quanto sono
grossa? Questo
bambino sarà delle dimensioni di un vitello!
Murasaki
rise e questa volta Goemon sentì una risata nuova, che non
aveva mai udito
uscire dalle labbra della sua ex fidanzata. Era la risata di una
persona
all'apice della sua felicità.
-A
quando
la nascita?- chiese il samurai.
-Dovrebbe
nascere in febbraio, ma il medico dice che è pieno di vita e
potrebbe anche
decidere di venire al mondo un po' prima. È un
maschio!
-Sapete
già
come lo chiamerete?
-Sì!-
esclamò Murasaki, ammicandogli con
complicità -Si chiamerà Goemon.
Il
samurai
elaborò quelle parole per un istante, cercando di capire se
non avesse sentito
male o se fosse una sorta di battuta, ma Murasaki continuò:
-Ho pensato che
sarebbe stato beneaugurante dare al bambino il nome di un uomo forte e
coraggioso e anche mio marito è d'accordo. Inoltre trovo
molto appropriato che
il mio primo amore e quello più grande della mia vita si
chiamino allo stesso
modo.
Parlò
senza
guardarlo, accarezzandosi la pancia come immersa nei propri pensieri e
Goemon
pensò di non averla mai vista così
bella.
-Sono
davvero contenta di averti rivisto, Goemon- ripeté Murasaki
-Desideravo tanto
di poterti parlare di nuovo e mostrarti la mia vita com'è
ora. E tu? Sei
felice?
Quella
domanda lo lasciò spiazzato: il cammino che aveva intrapreso
nella sua vita era
volto alla ricerca dell'illuminazione spirituale e non si era mai posto
la
questione se ciò coincidesse con la felicità.
Aveva sempre dato per scontato
che, una volta che il suo spirito si fosse elevato al punto di massima
consapevolezza e liberato da ogni vincolo terreno, non avrebbe mai
più avuto
bisogno d'altro. Questo includeva anche, naturalmente, ogni sorta di
sentimento
umano, compresa la felicità.
Tuttavia,
guardando la gioia che illuminava il volto della donna al suo fianco,
si
domandò se avesse mai provato qualcosa di
paragonabile.
-Ahia!-
si
lamentò Murasaki, portandosi le mani alla schiena -Questa
pancia mi distrugge
la schiena!
-Girati-
le
disse il samurai -Ti massaggio le spalle.
Lei
annuì e
fece come le era stato detto, così l'uomo iniziò
a manipolarle i muscoli
attraverso lo spessore dei vestiti.
Murasaki
chiuse gli occhi e lasciò che il samurai lavorasse sulle sue
tensioni.
Qualche
minuto più tardi, Murasaki annunciò di doversi
congedare e i due si salutarono.
La donna abbracciò il samurai, facendosi promettere che
sarebbe venuto a
trovarla, soprattutto quando il bambino sarebbe nato, e gli diede un
biglietto con
il suo numero di telefono e l'indirizzo di casa.
La
neve
cominciò a fioccare mentre Murasaki si allontanava e Goemon
la osservò sparire
nella notte, circondata dalla luce e dai fiocchi di neve.
Note
dell’autrice: Ciao a tutt* e
benvenut* al decimo
capitolo di Slices of Life! Siamo a
metà del percorso!!
Grazie per
essere arrivat* fino alla fine del capitolo! Ci vediamo al prossimo che
si
intitolerà Reading a book together.
A presto,
Desma
|
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Capitolo 11 *** Reading a book together ***
Rilassarsi in presenza di Lupin era una vera impresa. Quando non attuava un colpo o ne programmava uno, il ladro gentiluomo trovava sempre il modo di tenersi impegnato, meglio ancora se in maniera rumorosa.
Mentre il pistolero cercava di fare un riposino sul divano dopo un’estenuante nottata di lavoro, Lupin era impegnato ad armeggiare con un nuovo congegno che, a detta sua, una volta finito gli avrebbe permesso di controllare le telecamere di sorveglianza di qualunque edificio da remoto senza collegarsi a internet, cosa che avrebbe reso le loro mosse meno rintracciabili.
“Almeno non è con una donna” pensò Jigen, girandosi di lato e coprendosi le orecchie con le mani. Lupin non era esattamente un tipo discreto e quando portava nel loro nascondiglio una delle sue conquiste femminili, gli piaceva metterlo a disagio con effusioni e corteggiamenti in sua presenza, fino a quando il pistolero, esaurita la pazienza, non se ne andava di propria volontà.
Un preoccupante odore di fumo costrinse Jigen a riportare la sua attenzione sull’amico e lo vide armeggiare con la penna saldatrice. Lo tenne d’occhio per qualche istante, pronto a scattare per prendere l’estintore in caso di necessità. Non era la prima volta che il ladro gentiluomo provocava un incendio durante i suoi esperimenti.
-Ti ci vorrà ancora molto?- chiese Jigen con una punta di fastidio nella voce.
Lupin alzò lo sguardo dal tavolo e alzò le lenti oscuranti che usava per proteggersi gli occhi: -Non si mette fretta all’arte!- esclamò con tono solenne -Pensi che Michelangelo avrebbe dipinto la Cappella Sistina con tanta maestria se gli avessero messo fretta?
Il pistolero storse la bocca davanti a una simile spacconata. Cosa doveva fare un uomo per godersi un po’ di meritato riposo in quella casa?
Lupin riprese a lavorare e nuove scintille scaturirono dal tavolo; ormai Jigen, impensierito dal rischio di un incendio, si era svegliato del tutto e si stava annoiando.
Si alzò dal divano e si stiracchiò la schiena e le braccia, poi passeggiò per la stanza, curiosando fuori dalla finestra e aggirando il tavolo per tenere meglio d’occhio l’operato di Lupin.
Compiuto il giro del tavolo, si ritrovò davanti alla libreria e si mise a spulciare tra i titoli dei libri, più per noia che per reale interesse. Sugli scaffali c’erano diversi manuali, soprattutto di meccanica e di elettronica, qualche romanzo straniero e delle guide turistiche di alcune delle località in cui avevano compiuto dei colpi in passato.
Erano tutti libri moderni e con le copertine colorate, anche se consunte, e per questo il vecchio volume con la rilegatura in cuoio e fibbie di bronzo risaltò così evidente al suo sguardo, come una zebra in una stalla.
Passò le dita sul dorso, studiando la consistenza del cuoio levigato e inciso con decorazioni floreali a lamina d'oro. Il titolo era scritto con caratteri occidentali e il pistolero lesse Mémoires de la vie du gentleman et voleur Lupin.
Incuriosito da quel titolo, Jigen sfilò il volume dalla sua sede con attenzione e iniziò a sfogliarlo, avendo cura di non spezzare o piegare le delicate pagine ingiallite dal tempo.
Ogni riga era stata scritta a mano con una calligrafia complessa e raffinata, inclinata verso destra e molto fitta. Alcune delle pagine erano state persino illustrare con accurati disegni fatti a mano e inchiostrati e rappresentavano macchinari, gioielli e persino ritratti di favolose fanciulle. Non c'era bisogno di tradurre il titolo per comprendere che quel volume era il diario del nonno di Lupin.
-Hey- chiamò il pistolero -Sapevi che questo era qui?
Lupin spense la penna saldatrice e alzò le lenti: -Che cos'è?- chiese e quando Jigen gli mostrò il volume che aveva in mano gli si aprì un largo sorriso in volto -Il diario del nonno!- esclamò emozionato -Che nostalgia!
Abbandonò per il momento il suo nuovo giocattolo e concentrò tutta la sua attenzione sul vecchio manoscritto: -Me l'aveva dato mio padre in persona dopo la morte del nonno. Mi ha detto "Studia questo, ragazzo, e forse diventerai un quarto dell'uomo che era tuo nonno". All'epoca non poteva immaginare che sarei diventato migliore di loro due messi assieme.
Continuò a sfogliare il libro con gli occhi che gli brillavano come quelli di un bambino il giorno di Natale, soffermandosi di tanto in tanto sull'immagine di una delle invenzioni del nonno o di una delle sue fiamme.
-Sono tutte molto belle- ridacchiò -Ma Fujiko è mille volte meglio!
-Se lo dici tu- commentò aspro il pistolero, sollevato dal fatto che, almeno, Lupin aveva smesso di giocare all’aspirante piromane.
-Ho studiato tutti i suoi colpi- raccontò il ladro -Da piccolo passavo le notti a leggere questo libro per ore e ore sotto le coperte, facendomi luce con una torcia elettrica. Sognavo il giorno in cui avrei iniziato la mia personale carriera di ladro, accumulando tesori persino più ricchi di quelli rubati da lui e vivendo avventure ancora più memorabili.
L'istinto di autoconservazione di Jigen si attivò quando le sue narici percepirono di nuovo puzza di bruciato e questa volta era un odore intenso. Si voltò di scatto e vide che sulla scrivania alle sue spalle stava divampando un piccolo incendio provocato dalla penna saldatrice surriscaldata.
Corse a prendere l'estintore, mentre Lupin correva a spegnere la saldatrice e ad allontanare dal fuoco tutto il materiale infiammabile che avrebbe potuto venire coinvolto nell'incendio.
Jigen arrivò di corsa brandendo l'estintore e lo attivò in una nuvola di schiuma bianca che soffocò le fiamme e ricoprì interamente la scrivania, da cui aveva iniziato ad alzarsi un fumo nero.
Tra le imprecazioni, le finestre della stanza vennero aperte per far cambiare l'aria e, recuperato il materiale per la pulizia, i due uomini si diedero da fare per ripristinare l'ordine.
Mentre Lupin sistemava e puliva la scrivania, Jigen si occupò del pavimento, rimuovendo la schiuma e pulendo le assi del parquet con lo straccio.
Stava strizzando lo straccio nel secchio quando udì Lupin esclamare disperato: -Oh no! Il diario di mio nonno è bruciato!!!
Il pistolero alzò lo sguardo sull'amico e lo vide tenere il mano il volume, di cui alcune delle preziose pagine erano bruciacchiate.
-Ma com'è possibile?- chiese Jigen -Ce l'avevi in mano fino a un attimo fa!
-Devo averlo tenuto troppo vicino alle fiamme prima che potessi spegnerle. Dannazione!
Sfogliò il libro per verificare quante e quali pagine erano state danneggiate, cercando di valutare i danni e le perdite.
Maneggiava il volume con agitazione sempre crescente, compiendo gesti nervosi e rapidi, e quando Jigen lo sentì ridere pensò che avesse perso il lume della ragione.
-Quel vecchio ne sapeva davvero una più del diavolo!- esclamò tra le risate.
-Stai bene, Lupin?- chiese Jigen preoccupato per la salute mentale dell'amico, ma quello gli rispose con un sorriso sornione e gli consegnò il libro
-Osserva bene- disse il ladro -Non vedi nulla di strano?
Jigen prese il volume e lo studiò nei punti che Lupin gli aveva indicato. Non gli ci volle molto per capire a cosa si riferisse l'amico: là dove le fiamme avevano lambito la pagina, l'inchiostro era svanito e al suo posto erano apparse nuove parole e nuovi disegni, prima invisibili.
-Inchiostro simpatico?- chiese Jigen.
-Esattamente, probabilmente succo di limone. L'intero volume deve essere pieno di messaggi segreti! Mio nonno era davvero un genio!
Ciò detto, il ladro corse a cercare una candela e quando la trovò, infilò la mano nella tasca interna della giacca di Jigen, estraendone lo zippo.
Accese la candela e iniziò a passare le pagine del diario accanto alla fiamma, rivelando le scritte nascoste.
Gli ci volle quasi un'ora buona per quell'operazione, ma alla fine passò in rassegna tutto il manoscritto.
-Fantastico!- lo sentì di tanto in tanto esclamare il pistolero, che nel frattempo se n'era tornato sul divano, nella speranza di poter finalmente schiacciare un pisolino -Incredibile! Buon sangue non mente!
Nella mezz'ora di lettura che ne seguì, il pistolero non riuscì a chiudere occhio, disturbato dalle continue esclamazioni ammirate di Lupin davanti alla sua scoperta.
-Jigen! Jigen!- lo chiamò Lupin, scuotendolo per un braccio -Devi assolutamente vedere quello che ho scoperto!
-Quale colpa sto espiando per avere a che fare con te?- chiese il pistolero in un sospiro, sollevandosi dal divano e facendosi trascinare alla scrivania.
-Io sono la benedizione dopo una vita di buona condotta- ammiccò il ladro, facendolo sedere alla scrivania, dove aveva predisposto una lampada con lente d'ingrandimento incorporata.
-Osserva- continuò il ladro puntando il dito sulle pagine -Questi sono tesori su cui mio nonno aveva progettato di mettere le mani ma senza riuscirci per una ragione o per l’altra. Ci sono coordinate, descrizioni, progetti! Materiale che abbiamo sempre avuto tra le mani ma che non potevamo vedere! Nuovi tesori ci aspettano, nuove avventure sui passi di mio nonno!
Jigen studiò per qualche minuto il volume, poi questo venne chiuso e ripreso da Lupin, che nell'entusiasmo della scoperta aveva iniziato a progettare ad alta voce i loro prossimi viaggi.
-In primo luogo dovremo andare in Perù, scalando le Ande fino a incontrare i resti di questa città Incas dove è custodito un idolo fatto di oro e zaffiri che mio nonno descrive qui, poi scenderemo alla Terra del Fuoco, dove nel 1922 è affondata una nave da crociera piena zeppa dei gioielli dei ricchi villeggianti, e poi…
Non fece in tempo a concludere la frase perché Jigen, esasperato dal suo ennesimo picco di energia, lo aveva accompagnato fuori dalla porta, chiudendola alle sue spalle con un tonfo secco.
-E poi raccontamelo dopo che avrò dormito!- concluse il pistolero a voce abbastanza alta da farsi sentire e ignorando le proteste dell’amico provenire da corridoio.
Si lasciò cadere sul divano, distese le gambe e incrociò le braccia dietro la testa, in attesa che Lupin si stancasse di dargli noia attraverso la porta e di poter finalmente dormire in santa pace.
Dopo qualche minuto, il ladro si arrese e andò alla ricerca di Goemon per illustrargli le nuove, favolose avventure che li attendevano.
Nel silenzio che era calato attorno a lui, Jigen si lasciò trasportare dal sonno tra le braccia di Morfeo.
Note dell'autrice: Ciao a tutt* e benvenut* alla fine del l'undicesimo capitolo di Slices of Life. Questa volta abbiamo visto un momento di iperattività di Lupin, bilanciato dalla preoccupazione di Jigen ed è scoppiato un incendio. Insomma, un normale mercoledì pomeriggio! XD
Vorrei ringraziare Fujikofran per la costanza delle sue recensioni, che sono sempre una bellissima sorpresa, e tutt* coloro che passano a dare anche solo una sbirciata al mio lavoro.
Ci vediamo con il capitolo 12 che si intitolerà Caring while ill.
Un abbraccio!
Desma |
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Capitolo 12 *** Caring while ill ***
Il
vapore si sollevava dalla superficie umida delle rocce attorno
a lui creando densi banchi di nebbia nell’aria fredda
dell’inverno.
Ad
ogni
respiro ne seguiva il flusso attraverso le narici, giù per
la gola ed infine
nel petto, dove si scaldava e da cui risaliva, uscendo dalla sua bocca
e
mescolandosi all’aria calda della sorgente termale.
Attorno
a
lui l’unico rumore che le sue orecchie percepivano era quello
dello scrosciare
allegro dell’acqua, che zampillava dalla cascata sotto cui si
era messo in
meditazione.
Goemon
era
immerso nel liquido caldo e sulfureo fino alla vita e lasciava che
fosse la
cascata, la cui acqua gli scorreva lungo le spalle e la schiena, a
scaldargli
la parte superiore del corpo.
“Nota
ogni
pensiero, senza giudicarlo, e lascialo andare” era stato il
primo insegnamento
ricevuto sul tema della meditazione e il samurai era fedele a quel
precetto
ogni volta vi si dedicava.
Per
aiutarsi ad entrare nello stato meditativo, solitamente, prestava
attenzione
alle sensazioni fisiche: al contatto del suo sedere sul pavimento, alla
leggera
pressione delle mani posate sulle ginocchia, alla ruvidezza del kimono
sulla
sua pelle.
Con
gli
anni e la pratica aveva scoperto che la sensazione dello scorrere
dell’acqua
sulla sua pelle nuda era quanto di meglio potesse esserci per
allontanare
qualunque pensiero indesiderato e aiutarlo a concentrarsi a fondo nella
meditazione.
Le
sue migliori
sessioni, in particolare, erano state condotte proprio sotto quella
cascatella.
Certo, quando doveva allenarsi per rafforzare il suo fisico e
prepararsi a uno
scontro, l’acqua gelida e appesantita dalla caduta di una
cascata di grosse
dimensioni in mezzo ai monti era più indicata, ma quel
giorno il samurai non
cercava altro che la pace interiore e il rilassamento.
E
cosa
avrebbe potuto essere più rilassante di un viaggetto alle
terme?
Era
stato
Lupin a suggerire un giorno di pausa dopo un lungo periodo di intenso
lavoro e
sia Goemon che Jigen avevano accolto la proposta con entusiasmo, ma con
la
differenza che il pistolero, da buon intenditore di alcolici, aveva
preferito
trascorrere il suo giorno libero in visita a una rinomata cantina del
posto,
lasciando agli altri due i bagni alle terme.
Lupin,
dal
canto suo, si era immediatamente messo alla ricerca di una
massaggiatrice
carina a cui affidare la tensione dei suoi muscoli e Goemon, trovatosi
da solo,
aveva deciso di fare pratica sotto il getto d’acqua calda.
Quel
viaggio era capitato proprio nel momento migliore: diversi pensieri
intrusivi
invadevano la sua mente e il samurai era ansioso di liberarsene nella
maniera
più efficace che conosceva.
Ripensò
alla propria tecnica con la spada e, sebbene fosse consapevole di non
padroneggiarla perfettamente, non riusciva a non provare un bruciante
senso di orgoglio per
le sue capacità. Non era perfetto, ma era certo di essere il
migliore e di
possedere la spada più potente ed affilata sul globo.
Analizzò
quel pensiero, riconoscendone la pericolosità: il guerriero
arrogante che si
fosse creduto superiore a tutti gli altri, avrebbe inevitabilmente
incontrato
la propria fine, sottovalutando il nemico e smettendo di cercare la
perfezione.
Immaginò
di
trovarsi di fronte a un torrente e di affidare quel pensiero a una
barchetta di
carta. Osservò con la mente la barchetta scivolare sulla
superficie dell’acqua
e di svanire all’orizzonte.
A
quel
punto la sua mente gli mostrò la sua immagine riflessa in
uno specchio ed egli
la studiò. Vide i lunghi capelli lisci e corvini che
incorniciavano il viso
proporzionato e dai lineamenti eleganti, il naso dritto, gli zigomi
alti, gli
occhi a mandorla scuri e intensi, il mento virile. Scese con lo sguardo
lungo
il collo sottile, ma muscoloso, le spalle larghe ed atletiche, il petto
solido
e gonfio dei pettorali allenati da anni di fatica e disciplina.
L’addome,
lungo cui scendevano braccia forti e affusolate, era piatto e delineato
dalla
forma della muscolatura addominale, che si alzava ed abbassava alla
cadenza di
ogni suo respiro.
Le
gambe
lunghe, toniche e robuste gli conferivano un’altezza che era
rara tra i suoi
connazionali e un’eleganza nel portamento che Lupin e Jigen
non sarebbero mai
stati in grado di padroneggiare.
In
quell’immagine
il samurai vide la sua vanità
e
l’analizzò: il guerriero che si concentrava su
concetti effimeri come la gioventù e la bellezza perdeva di
vista il proprio
obiettivo, anteponendo il perseguimento di aspetti della sua persona
che sono
soggettivi e destinati a perire con il passare del tempo. Dedicare
tempo ed
energie ad aspetti così inconsistenti della propria vita
significava sottrarli
al cammino della perfezione.
Affidò
quel
pensiero ad un’altra barchetta e la osservò
allontanarsi nella corrente.
Labbra
carnose si aprirono in un sorriso sensuale davanti agli occhi della sua
immaginazione e il samurai strinse istintivamente le mani a pugno.
Una
vaporosa chioma castana scendeva lungo la voluttuosa linea di una
schiena nuda,
in fondo al quale si allargavano natiche tonde, sode e generose.
Gambe
sottili ed eleganti si incrociarono davanti a lui, nascondendo quasi
con pudore
il centro di quel corpo meraviglioso. Un volto dolce e predatorio lo
guardò con
tenera bramosia, mostrandogli i seni morbidi e dalla forma
perfetta.
-Goemon-
lo
chiamò una voce attraverso le labbra rosse e di denti
bianchi. Lo invocò una
seconda volta nel gemito di un desiderio che brama la soddisfazione.
Il
samurai
riusciva quasi a sentire sotto i polpastrelli delle sue dita la
consistenza e
il calore di quelle carni bianche. Riusciva a immaginare quale
sensazione
avrebbe potuto provare passando la lingua lungo la linea della colonna
vertebrale, affondando i denti nelle natiche rotonde ed esplorando la
forma dei
seni con i palmi e le dita.
Non
fu
facile uscire dal vortice di quel pensiero e studiarlo con distanziata
obiettività, ma alla fine Goemon vi riuscì: la lussuria era
un sentimento che non si addiceva alla condotta di un guerriero. Oltre
ad
essere una distrazione che con il tempo diveniva un desiderio
inappagabile (e
Lupin ne era la prova vivente), rischiava di creare coinvolgimenti che
sarebbero stati incompatibili con lo stile di vita del guerriero, che
si
sarebbe ritrovato, presto o tardi, a compiere una scelta.
Il
samurai
prese atto di quella verità e depose la barca del suo
pensiero alla corrente
del fiume, lasciando che la trasportasse lontano.
Mentre
la
guardava allontanarsi, Goemon sapeva che avrebbe dovuto tornare ad
confrontarsi
con quel pensiero. Non era la prima volta che la lussuria gli
sussurrava
all’orecchio le sue tentazioni sensuali e quella non sarebbe
stata di certo
l’ultima.
-Etciù!
Uno
starnuto lo destò dal suo stato meditativo e un brivido gli
percorse la
schiena, nonostante il tepore dell’acqua termale.
Il
samurai
aprì gli occhi e vide che sulle braccia e sul petto esposti
all’aria i peli si
erano rizzati e gli era venuta la pelle d’oca.
Decise
che
era venuto il momento di porre fine a quella sessione e tornare al
chiuso: pur
essendo abituato a temperature assai meno ospitali, il samurai
percepiva un
gran freddo e il suo corpo era divenuto preda di brividi incontrollati.
Riemerse
dall’acqua, affondando le mani e i piedi nella neve fresca
che si era
depositata sulle rocce, e si avvolse la vita con
l’asciugamano, cercando di
calmare gli spasmi da freddo.
Il
percorso
fino alla sua stanza venne a malapena registrato dalla sua memoria e in
un
tempo che non riusciva a definire si ritrovò nel proprio
letto, avvolto dalle
coperte e in preda ai brividi.
-Dannazione!-
imprecò il samurai tra uno starnuto e l’altro.
Com’era possibile che un
semplice sbalzo termico potesse provocare a lui
una reazione così
forte e fastidiosa?
Lui
che era
stato addestrato a resistere sotto al sole torrido del deserto e ai
venti
gelati dei ghiacciai!
Per
un
attimo pensò che si trattasse della punizione divina per
aver indugiato su
pensieri sconci, ma decise di non soffermarsi su quel pensiero.
Chiuse
gli
occhi e provò a rilassarsi, ma proprio in quel momento
sentì bussare alla porta
e chiamare il suo nome.
Lo
ignorò e
aspettò che, chiunque fosse dall’altra parte della
porta, si stancasse e
rinunciasse.
Tuttavia
ciò non accadde e i rintocchi delle bussate erano
così forti alle sue orecchie
da fargli rimbombare il cervello.
-Avanti-
rispose alla fine e, con suo enorme sollievo, i rimbombi cessarono.
-Goemon?-
sentì chiamare Lupin -Ci sei? Non andiamo a cena?
Il
samurai
non aveva la forza di rispondere, ma riuscì a percepire
nettamente la presenza
del ladro nella stanza e gli si stava avvicinando.
-Stai
bene?- gli domandò e, non ottenendo risposta, gli pose una
mano sulla fronte,
ritraendola in un lampo -Diamine se scotti, Goemon! Cosa cavolo hai
combinato
per ridurti in questo stato?
Di
nuovo il
samurai non rispose e Lupin sospirò: -Va bene, ho capito. Ci
penso io a te, non
ti preoccupare. Sei abbastanza al caldo o vuoi un’altra
coperta?
Non
ottenendo di nuovo una risposta coerente, Lupin prese
dall’armadio un’altra
coperta e la mise accanto al samurai, così che potesse
prenderla se ne avesse
avuto bisogno, poi uscì dalla stanza promettendo che avrebbe
fatto presto
ritorno.
Goemon
non
seppe quanto tempo passò, anche perché ad un
certo punto si appisolò, ma quando
Lupin arrivò lo sentì armeggiare con un sacchetto
di plastica e delle
confezioni che aveva iniziato a disporre sul comodino.
-Babbo
Natale ti ha portato quello che hai chiesto, mio caro bambino-
scherzò il
ladro, aprendo una confezione di antipiretico e offrendogli un paio di
compresse assieme a un bel bicchiere d’acqua.
-Tieni-
gli
disse, mettendogli in mano la medicina -Questo ti calmerà la
febbre. Poi ti ho
preso dei sandwich che devi sforzarti di mangiare, che non ti fa bene
assumere
delle medicine a stomaco vuoto.
Goemon
obbedì senza protestare. Mandò giù le
compresse con l’acqua e mangiò uno dei
panini che gli veniva offerto.
Dopo
qualche minuto iniziò già a sentirsi meglio e
Lupin ne fu compiaciuto. Prese
una sedia e si accomodò accanto al letto, prendendo dalla
borsa un thermos
pieno di thé caldo e offrendone una tazza al suo paziente,
che accettò di buon
grado.
Sotto
le
cure dell’amico, il samurai iniziò a recuperare le
forze e riprese la capacità
della parola: -Grazie Lupin.
-Figurati-
sorrise il ladro -Non potrei mai lasciare il mio samurai preferito in
preda alla
febbre. Si può sapere però come diamine hai fatto
ad ammalarti? Di solito non
hai problemi con il freddo.
Quella
domanda riportò la mente di Goemon ai pensieri intrusivi di
cui stava cercando
di liberarsi e sentì le guance accaldarsi. E non per la
febbre.
-C’entra
una donna, non è vero?- sorrise sornione Lupin di fronte a
quella reazione -Ah,
come ti conosco, mio caro!- aggiunse poi, leggendo nel suo silenzio una
risposta affermativa -Che problema c’è a cedere,
una volta tanto, alle lusinghe
della carne? Si è giovani e vivi solo una volta, caro il mio
samurai.
Goemon
si
sentiva ancora la faccia scottare, ma la sua mente, addestrata ad avere
una
posizione molto ferma sull’argomento, era lucida: -Non mi
aspetto che tu
capisca- sospirò -Proveniamo da contesti molto diversi e non
ti giudico per
quello che fai, ma non puoi aspettarti che faccia altrettanto.
Lupin
lo
osservò per qualche istante, soppesando le sue parole e
valutando il suo tono
di voce: -Fa’ pure come ritieni più giusto, amico
mio. Nel frattempo vedi di
riprenderti, che ho in mente grandi progetti per il futuro!
Goemon
annuì e si sdraiò, chiedendo di essere lasciato
solo a riposare. Lupin lo
accontentò, ricordandogli di prendere un altro paio di
compresse tra quattro
ore, e lo salutò augurandogli un buon riposo.
Mentre
scivolava nell’oblio del sonno, il samurai rivide quella
bocca maliziosa
sorridergli beffarda e desiderosa e sperò di sognarla.
Note
dell’autrice:
Ciao
a tutt* e benvenut* al dodicesimo capitolo della serie Slices
of Life, che questa volta ha
visto interagire Lupin e Goemon, che in undici capitoli non avevano
ancora
avuto un momento tutto per loro.
Grazie
per aver letto il capitolo e se vorrete farmi sapere cosa
ne pensate, sarò ben lieta di rispondervi.
Ci
vediamo al prossimo capitolo, che si intitolerà Taking a bath together. Stay tuned!
A
presto,
Desma
|
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Capitolo 13 *** Taking a bath together ***
Warning:
questa one shot
contiene riferimenti alla serie La donna chiamata Fujiko Mine
Lo
stridio dei gabbiani
faceva da sottofondo a una bellissima giornata di sole, la cui luce
veniva
filtrata dalle lenti scure dei suoi occhiali da sole.
Prese
dal tavolino il
bicchiere con il suo drink analcolico (non poteva certo bere in
servizio) e ne
fece tintinnare i cubetti di ghiaccio al suo interno prima di prenderne
un
sorso dalla cannuccia colorata.
Abbassò
la montatura
degli occhiali per lanciare una lunga occhiata sulla piscina davanti a
lui,
dove bambini in costume da bagno scorrazzavano e schizzavano acqua da
tutte le
parti, signore in minuscoli costumi da bagno prendevano il sole e
leggevano
riviste di gossip e uomini in boxer giocavano a racchettoni o
chiacchieravano
animatamente.
Dal
canto suo, Oscar non
aveva occhi che per lui, il suo ispettore, che seduto a un tavolino del
bar
sotto un ombrellone a righe, beveva una tazza di caffè
bollente con 40° ti
temperatura atmosferica e leggeva il giornale.
Oscar
sapeva molto bene
che in realtà la sua attenzione era concentrata sui
movimenti all’interno della
suite reale del resort, da cui si poteva vedere l’interno
dalla sua posizione.
Avevano
seguito i
movimenti di Jotaro Maeda ininterrottamente per mesi e si stavano
preparando a
raccogliere le ultime prove per mandarlo in galera per associazione
mafiosa,
omicidio plurimo di primo grado, corruzione e concussione di cariche
istituzionali, furto aggravato, ricettazione, spaccio di
droga… Insomma, un curriculum
vitae criminale di tutto rispetto e quella era stata una loro
missione.
A
ripensarci, Oscar si
rattristava un po' al pensiero che quel caso sarebbe stato chiuso a
breve e che
lui e il suo ispettore non avrebbero passato più giorni e
notti insieme ininterrottamente
a lavorarci.
Osservava
a distanza la
figura forte e solida del suo superiore, avvolta in bermuda e camicia a
fiori
su suo suggerimento: avrebbe attirato troppe attenzioni su di
sé se si fosse
fatto vedere con la sua solita tenuta in un villaggio
turistico.
Vederlo
uscire dalla
stanza con gli abiti che aveva scelto per lui aveva scosso il corpo del
tenente
con ondate di emozione: l'azzurro della camicia esaltava
meravigliosamente la
pelle dell'ispettore abbronzata dal sole estivo e i bermuda mostravano
centimetri e centimetri delle sue gambe lunghe e solide che altrimenti
gli
sarebbero state completamente nascoste.
Oscar
aveva dovuto
tornare in sé alla svelta, dato che l'ispettore era una
macchina da guerra e
non poteva certo permettersi di perdere tempo in frivolezze come
l'abbigliamento.
A
distanza, nella
postazione dove la cimice che avevano piazzato nella suite di Maeda
dava una
migliore ricezione, Oscar ascoltava con attenzione quello che accadeva
nella
stanza e si concedeva il lusso di ammirare l'ispettore Zenigata in
tutto il suo
splendore.
Di
tanto in tanto,
quando una donna si avvicinava eccessivamente, per i suoi gusti,
all’ispettore,
il giovane tenente sentiva una scossa di ira attraversargli le braccia
e le
mani, fino a serrarle involontariamente in pugni così
stretti da far
impallidire le nocche delle dita.
Quando
accadeva e Oscar
se ne rendeva conto, si imponeva di rilassarsi e di concentrarsi sul
lavoro:
non poteva permettere che la sua gelosia mettesse a repentaglio il
lavoro di
mesi!
Dal
canto suo Zenigata,
concentrato come era sulla sua mansione, sembrava essere del tutto
cieco alle
occhiate maliziose e infuocate delle bagnanti intorno a lui e del suo
stacanovismo Oscar era grato.
Lui,
in quanto suo
sottoposto, era nella privilegiata posizione di potergli stare a fianco
durante
il lavoro, che per Zenigata rappresentava praticamente tutta la sua
giornata, e
Oscar non avrebbe fatto nient’altro che lavorare fianco a
fianco del suo
ispettore nelle ore più buie della notte come in quelle
più luminose del
giorno.
Il
tenente ammirava
profondamente la determinazione e la passione che Zenigata riversava
nel
cercare prove, analizzare fatti, scoprire e scoperchiare torbidi
misteri,
inseguire e arrestare i criminali. Per lui Zenigata, suo maestro e
protettore,
era un modello irraggiungibile di vita, nonché, aveva
scoperto con il passare
degli anni, destinatario ignaro dei suoi sentimenti più
dolci e al tempo stesso
più furiosi.
C’erano
notti in cui non
riusciva a prendere sonno al solo pensiero di un suo commento sul suo
modo di
stilare rapporti o su un indizio ben analizzato. Nella sua testa le
parole
dell’ispettore, spesso poche e prive di enfasi, rimbombavano
per ore ed ore
fino a mutare e diventare ambigue dichiarazioni d’amore,
messaggi in codice,
timidezze inespresse.
Alla
mattina, quando il
sole sorgeva e si faceva il tempo di tornare al lavoro, la magia di
quell’eco
svaniva alla luce dell’alba come neve ai primi raggi della
primavera e Oscar si
rimproverava per la facilità con cui era caduto, di nuovo,
nell’illusione di un
sentimento ricambiato.
La
verità agli occhi di
Oscar era evidente e dolorosa: per quanto sapesse di essergli caro,
come un
pupillo o addirittura un figlio, l’ispettore non provava e
non sarebbe mai
stato in grado di provare sentimenti romantici nei suoi confronti.
L’amore
impetuoso e devoto del tenente sarebbe rimasto una nave in balia delle
onde
nella stolida attesa della luce di un faro che non si sarebbe mai
accesa.
Quella
consapevolezza lo
feriva come filo spinato e ad ogni battito le spine arrugginite scavano
la
carne del suo cuore.
Allo
stesso tempo, però,
per lui era un sollievo sapere che quel suo amore impetuoso e celato
non
avrebbe mai conosciuto alla luce del sole: con il tempo era riuscito a
crearsi
una propria dimensione interiore in cui riusciva a conciliare i suoi
sentimenti
con il lavoro senza che gli uni intaccassero l’altro. Sapeva
che se avesse
avuto anche solo il sospetto di essere ricambiato, quel fragile
equilibrio
sarebbe stato spezzato e avrebbe potuto dire addio alla sua carriera in
polizia.
E lui
aveva bisogno del
suo lavoro, non solo perché era quello che sapeva fare
meglio e ne traeva
orgoglio, ma anche perché si trattava del solo mezzo per
poter essere visibile
agli occhi di Zenigata, per cui tutto ciò che stava al mondo
veniva filtrato
tra le maglie di ciò che era nelle competenze di un
ispettore di polizia.
Tutto
il resto scivolava
via come aria in una rete e svaniva inosservato.
Oscar
non avrebbe potuto
sopravvivere all’idea di diventare invisibile agli occhi di
Zenigata e, di
conseguenza, doveva rimanere concentrato sul suo lavoro, farlo bene e
stare al
passo. Così come lui gli aveva insegnato.
Sentendosi
osservato con
insistenza, l’ispettore rivolse lo sguardo verso di lui e
Oscar per un attimo
si sentì colto in flagrante, ma Zenigata non parve
attribuire al suo sguardo
significati sentimentali, quanto piuttosto di tipo lavorativo e
portò l’indice
all’orecchio, come a voler chiedere se avesse sentito
qualcosa di particolare,
ma Osca scosse leggermente il capo in segno negativo e Zenigata
tornò ad
osservare l’interno della suite, fingendo di leggere il
giornale.
Il
tenente emise un
lungo sospiro e tornò a sua volta a occuparsi della sua
mansione.
La
giornata passò lenta
e quando finalmente Zenigata si alzò dalla sua postazione,
decretando la fine
della giornata, Oscar fu felice di togliersi gli auricolari dalle
orecchie e
tornare a sentire il mondo esterno.
Secondo
i loro accordi
avrebbero confrontato i dati ottenuti durante la giornata a tarda
notte, quando
il personale del resort sarebbe stato dimezzato e i villeggianti
sarebbero
stati impegnati o a dormire o a fare festa nei locali del paese,
pertanto avrebbe
avuto tutto il tempo di riposarsi e farsi una nuotata in solitaria
nella
piscina.
Quando
riemerse dalla
sua stanza il buio era calato sul resort e la piscina era chiusa al
pubblico,
ma un ragazzo agile come lui non ebbe problemi a scavalcare la
recinzione.
Infilò
dapprima i piedi
nell’acqua fredda e attese di adattarsi alla temperatura, poi
si gettò e si
immerse con tutta la testa.
In
poche bracciate la
sua mente era già più leggera e il suo corpo
più rilassato. L’acqua era sempre
stato il suo elemento, amava sentirsi immerso in quel liquido fresco e
rinvigorente, mentre i suoi muscoli si gonfiavano e si flettevano nello
sforzo.
Arrivò
in fondo alla
vasca, disegnò una capriola nell’acqua e riprese a
nuotare. Mentre i suoi
polmoni si svuotavano dell’aria, la sua testa si svuotava dai
pensieri.
L’acqua
scura scorreva
sul suo volto e con essa l’immagine di Zenigata in bermuda,
le bollicine che si
formavano dalla sua bocca gli accarezzavano il collo e le spalle e la
voce
dell’ispettore smise di sussurrargli all’orecchio,
le gambe si agitavano con
ritmo perfetto e l’odore di caffè e sigaretta che
Zenigata aveva addosso ogni
mattina svanì dalle sue narici.
Un'altra
capriola a fine
vasca e un nuovo giro, mentre il suo corpo prendeva il ritmo. Fece
diverse
vasche, senza contarle, fino a che non raggiunse uno stato di quiete
interiore
e di stanchezza fisica. Si abbandonò alle acque a braccia e
gambe aperte per
osservare il cielo stellato, cercando di identificare qualche
costellazione, ma
inutilmente. Le luci del resort e dei locali nei paesi vicini era
troppo forte
per permettergli di vedere alcunché.
Decise
allora di farsi
immergere di nuovo dall'oscurità, visto che le luci che
avrebbe voluto vedere
gli erano nascoste. Prese un lungo respiro e si lasciò
sprofondare nella
piscina. Tenne gli occhi aperti, ignorando il bruciore provocato dal
cloro, per
ammirare i giochi di luci e ombre che i flutti creavano sopra di
lui.
All'improvviso
una
grossa ombra scura comparve nel suo campo visivo e la quiete dell'acqua
venne
spezzata da un grosso tonfo.
Oscar
vide l'ombra
avvicinarsi a lui, facendosi sempre più grossa e…
familiare, poi si sentì
afferrare per un braccio e sorreggere per il busto e le gambe.
La
stranezza di quella
situazione lo trattenne dal reagire. Sembrava di vivere un'esperienza
onirica e
Oscar, capace di difendersi in qualunque momento, era curioso di
scoprire cosa
sarebbe successo.
Venne
sollevato fuori
dal pelo dell'acqua, stretto nell'abbraccio (o nella morsa) di
quell'ombra
scura e la sentì parlare: - Oscar, stai bene?
Il
tenente sentì il
proprio cuore fermarsi e per un attimo pensò di morire,
credendo che non
avrebbe più ripreso a battere, ma poi i suoi polmoni si
riempirono d’aria e il
battito continuò a farsi sentire nel suo petto.
-Ispettore?-
chiamò
Oscar, quasi sottovoce per paura di spezzare quell'incantesimo
insperato.
Sentiva le mani del suo amato Zenigata sul suo corpo e la pelle, pur
nella
fredda aria della sera e nell’umidità della
piscina, bruciava al suo tocco. Lo
teneva come un marito sorregge la sposa sulla soglia di casa e Oscar
era ebbro
di quella sensazione. Sentiva la muscolatura del suo torace affiorare
dal
tessuto bagnato della sua camicia (si era gettato in acqua con tutti i
vestiti
addosso per andare da lui!) e avvicinando l’orecchio al suo
petto percepiva i
battiti forsennati del suo cuore da toro.
Il
tenente, in una
frazione di secondo, fece appello a tutta la sua lucidità
per immagazzinare
nella memoria quelle prodigiose sensazioni e custodirle per sempre
nella loro
rarità.
-Per
la miseria,
ragazzo!- esclamò Zenigata -Mi hai fatto prendere un colpo!
Riesci a muoverti?
Oscar
dovette annuire
con il capo e la separazione dal corpo e dalle mani del suo ispettore
fu un
dolore che dovette incassare a denti stretti.
Camminarono
nell’acqua
fino alla scaletta ed uscirono dalla vasca, gocciolando e formando
ampie pozze
sulle piastrelle del bordo.
-Cosa
ti è saltato in
mente?- gli domandò rabbioso l’ispettore quando
furono fuori. L’acqua gli
incollava i vestiti addosso, disegnando le forme del suo corpo
attraverso la
fantasia a fiori della camicia, e ciò che permise ad Oscar
di rimanere presente
e concentrato era il tono furibondo della sua voce.
-Ti
ho visto nuotare,
per poi fermarti di botto e finire a fondo come un sasso!-
continuò Zenigata
-Pensavo ti fosse venuto un crampo o una congestione! Come ti viene in
mente di
metterti a nuotare a quest’ora?
Sentendo
quella
ramanzina, Oscar desiderò di sprofondare nella terra e
svanire per non udire
più le parole di rimprovero che il suo amato ispettore gli
stava rivolgendo.
L’incanto
di un attimo
prima era andato in frantumi, sostituito dalla vergogna e
dall’imbarazzo. Gli
era stato concesso per un istante di sfiorare il cielo, ma ora doveva
pagare ed
espiare quel lusso.
-Sono
mortificato,
signore- riuscì a dire il ragazzo, incapace di sostenere lo
sguardo infuocato
del suo superiore -Avevo pensato di ingannare l’attesa del
suo arrivo con una
nuotata, non era mia intenzione farla preoccupare.
-Ci
puoi scommettere che
mi sono preoccupato!- ribatté Zenigata, un po’
più calmo di fronte alla
contrizione del suo giovane tenente -Sei il mio uomo migliore e non
posso
permettermi di perderti.
Quelle
parole
attraversarono il cervello di Oscar come una freccia che fende
l’aria e lo
lasciarono spiazzato ad osservare l’ispettore mentre si
strizzava la camicia e
borbottava tra sé e sé.
Solo
in quel momento
realizzò davvero quanto era accaduto: l’ispettore,
il suo ispettore, lo
aveva creduto in difficoltà e si era gettato in acqua per
salvarlo senza
pensarci due volte.
Oscar
conosceva molto
bene lo spirito di sacrificio e l’incauto altruismo che
Zenigata era capace di
dimostrare nelle situazioni di emergenza, caratteristiche che ai suoi
occhi lo
elevavano al grado di un eroe quasi leggendario, ma mai e poi mai
avrebbe
potuto immaginare che un giorno le avrebbe rivolte alla sua persona.
Zenigata
lo considerava
“il migliore” e nelle sue orecchie quella parola
rimbombava con la stessa forza
di una campana suonata la notte di capodanno.
Stava
di nuovo toccando
il cielo e si domandò come avrebbe pagato quella nuova
ondata di felicità, ma
prima lui e il suo ispettore avevano un compito da svolgere e Oscar,
offrendo a
Zenigata l’asciugamano che si era portato, gli propose di
discutere i dati
della giornata davanti a una tazza di thè caldo.
Era
tornato al fianco
del suo eroe e, per il momento, null’altro aveva importanza.
Note
dell’autrice: Ciao a tutt* e
bentrovat* alla fine del
capitolo n° 13 della raccolta Slices
of
Life!
Vorrei
innanzitutto scusarmi per le lunghe tempistiche di pubblicazione, ma
tra
lavoro, feste e un trasloco in corso, in questo periodo la mia vita
è particolarmente
frenetica!
Ringrazio
di cuore Fujikofran per le sue recensioni e fravi per seguire la mia
storia e
averla addirittura aggiunta alle sue preferite! Grazie di cuore!
Spero
di riuscire a pubblicare presto, nel frattempo vi mando un abbraccio,
Desma
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