Cose Dimenticate

di Luschek
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dottore ***
Capitolo 2: *** Fratellanza ***
Capitolo 3: *** Ficcanaso ***



Capitolo 1
*** Dottore ***


Dottore



Prompt: Things you said when you were scared / Le cose che hai detto quando avevi paura 

 

I muri della stanza sono bianchi come la neve. Le camicie da notte che indossano sono dello stesso colore. Persino i letti su cui sono seduti a coppia sono candidi. Pare che non esista altro colore, se non quello. 

Gli stessi uomini che indossano i camici hanno capelli canuti e pelle altrettanto pallida. Che siano vietati gli altri colori in quella stanza? 

Bertolt deglutisce, quando un uomo in camice bianco gli si avvicina. L’uomo si sistema gli occhiali sul naso e strizza gli occhi a mandorla. Lo fissa senza battere le ciglia e Bertolt trattiene il fiato, come se temesse di sbagliare qualcosa. Perché lo guarda così intensamente? 

Con la coda dell’occhio, Bertolt spia la sua destra, dove si trova Reiner, uno dei bambini che prima si trovavano nell’ambulanza. L’altro ha grosse gocce di sudore che gli scendono dalla fronte e, al minimo movimento che compie, tira la camicia fino alle ginocchia. Forse si vergogna che gli altri vedano le sue gambe, ma Bertolt non comprende il motivo di quell’imbarazzo.  

 Anche di fronte Reiner si trova un uomo in camice bianco, che lo osserva e scribacchia sul taccuino.  

Mentre lo osserva, il bambino si volta verso Bertolt e lui legge negli occhi colore ambra dell’altro il suo stesso disagio.  

«Dottor Ksaver, cominciamo oggi con i prelievi?» 

La domanda che ha fatto l’uomo dinanzi Bertolt incuriosisce tutti i bambini, che si voltano ad osservare l’uomo. 

«Sì, cominciamo oggi. Non sappiamo quanto potremmo rimanere qui» risponde il dottor Ksaver.  

Quest’ultimo passeggia tra i lettini, affiancato da Ezekiel, e di tanto in tanto affonda il naso in uno dei taccuini degli uomini in camice bianco, annuendo. Pare che sia contento di ciò che legga, dato che gli sfugge un sorriso quando si piazza di fronte Bertolt e legge il taccuino su cui ha scritto fino adesso il suo collaboratore. 

«Cos’è un prelievo?» chiede Porco a Marcel, seduti sul lettino alla sinistra di Bertolt e Reiner. 

«Un prelievo… è quando ti fanno una puntura, credo» spiega Marcel. 

Porco mostra i denti e aggrotta le sopracciglia. La risposta non gli è piaciuta, così come non è piaciuta a Bertolt, il cui cuore ha cominciato a galoppare quando ha sentito la parola puntura.  

«Io ho paura degli aghi…» mormora Bertolt, ma soltanto Reiner e il dottor Ksaver si voltano verso di lui. 

Nessuno dice nulla, quindi suppone che la sua paura non gli impedirà di essere punto. Percepisce le guance bagnarsi a causa delle lacrime e, per tentare di trattenerle, serra le palpebre.  

«Dottor Yamashita, mi occuperò io del soggetto B96H. Mi passi una delle iniezioni.» 

La voce del dottor Ksaver sembra gentile, ma dopo quello che è successo a casa sua, Bertolt non si fida affatto dell’uomo. Non si fida più di suo padre. Non si fida più di nessuno.  

«B96H» chiama il dottore.  

Bertolt non ha idea di cosa significhino quei numeri e quelle lettere, ma il tono perentorio con cui vengono pronunciate lo fa esplodere in una cascata di singhiozzi.  

«Ha ricominciato di nuovo, dottore. È sicuro di volerlo sottoporre a questa terapia? È troppo debole.» 

Terapia? La bile con cui Ezekiel impregna ogni parola lo fa sentire peggio. Si prende la testa tra le mani, mentre le spalle sussultano a causa del pianto.  

«Ezekiel, la personalità di un individuo non ha nulla a che vedere con le prestazioni del suo fisico. Finché non avremo i dati sulla sua anatomia, non possiamo predire il risultato finale» spiega il dottor Ksaver.  

Ezekiel sbuffa e incrocia le braccia al petto, mentre il dottor Ksaver si china dinanzi a Bertolt. O almeno, Bertolt crede che sia lui, perché con la vista offuscata dalle lacrime non distingue bene i contorni delle figure. Si sforza di tenere aperti gli occhi, nonostante le lacrime continuino a scendergli sulle guance, e nota che il dottore gli sta porgendo un fazzoletto.  

Rantola mentre lo afferra, poi si tampona gli occhi e deglutisce. 

«Ascoltami» la voce del dottor Ksaver è decisa, ma non è severa, «io sono il miglior dottore in questa stanza. Sarò io a farti il prelievo, così non sentirai nulla. Tu, però, devi essere forte e smettere di piangere. Se vuoi, puoi stringere la mano al tuo compagno.» 

Ezekiel schiocca la lingua contro il palato e infila le mani nelle tasche del camice. Reiner deglutisce, poi allunga piano una mano verso di lui e, senza pensarci due volte, Bertolt gliela stringe, mentre porge l’altro braccio al dottore. Il cuore gli galoppa nel petto e si volta verso l’altro bambino, così l’ago enorme dell’iniezione è fuori dalla sua visuale.  

«Andrà tutto bene» mormora Reiner e intreccia le dita con quelle di Bertolt. Gli è grato per quel gesto, lo tranquillizza un po’ e gli sembra di respirare meglio.  

Lo schiocco della plastica contro la pelle lo ammutolisce, poi ascolta ciò che accade intorno a lui: il mormorio dei bambini, la confezione della puntura che viene scartata, il fruscio del laccio emostatico attorno al suo braccio.  

«Bertolt, quanti anni hai?» domanda il dottor Ksaver.  

«Io... Io ho otto anni.» 

«Dove abiti?» 

«Abito... Abito nel South Side, nella Saint Ingleside...» 

Bertolt si interrompe, deglutisce, poi stringe i denti quando l’ago pizzica il suo avambraccio e vi affonda dentro. Gli occhi gli si riempiono di lacrime ed è pronto a piangere di nuovo, quando Reiner gli schiocca le dita dinanzi al viso e lo fa sobbalzare. 

«È finita. Non voltarti, però» lo ammonisce l’altro bambino e Bertolt segue il suo consiglio. 

«Sei stato molto bravo, Bertolt» lo loda il dottor Ksaver alle sue spalle. 

Bertolt chiude le palpebre e prende un respiro profondo. Non è stato affatto bravo. È stato soltanto ubbidiente.  

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Capitolo 2
*** Fratellanza ***


Fratellanza 

 

Prompt: 70. Arrampicarsi su un albero 

 

L’albero è alto. Altissimo. È così alto che, per sfiorare il ramo più basso, Bertolt deve alzarsi sulle punte dei piedi e allungare le braccia finché i muscoli delle spalle non pulsano.  

Nonostante ciò, Reiner, Marcel e Porco penzolano come scimmie dai rami dell’albero, incuranti che, se cadessero, potrebbero spiaccicarsi sul suolo. 

«Dai, Bertolt! Vieni anche tu, ce la puoi fare!» grida Marcel, mentre è appeso ad un ramo, che tiene stretto tra le ginocchia per non cadere.  

L’amico è a testa sotto e Bertolt si chiede da dove tragga il coraggio per dondolarsi in quel modo. Se dovesse farlo lui, sverrebbe prima di prendere quella posizione. 

Porco è seduto accanto al fratello e fissa i rami più alti, le mani poggiate sui fianchi. Pare che stia riflettendo, visto come ha corrugato le sopracciglia.  

«Vuoi arrivare fin lassù?» gli domanda Reiner, seduto su un ramo più basso. L’amico ha una mano poggiata al fusto della pianta, cosicché non perda l’equilibrio. 

Porco gli lancia un’occhiata, poi rotea gli occhi e si tira in piedi. Tasta la corteccia dell’albero, forse per capire quanto sia fattibile arrampicarsi.  

«Sì. Ma tu non ci pensare nemmeno, Braun. Sei così pesante che spezzeresti i rami.» 

La frase di Porco fa accigliare Reiner, che arriccia le labbra in un ringhio e si mette in piedi sull’albero. Non soffre di vertigini? 

«Sta’ zitto, Porc-hetta! Se volessi, potrei arrivare più in alto di te!» esclama Reiner, il volto paonazzo a causa della rabbia. 

«Chi hai chiamato porchetta, eh?!»  

Marcel sospira e lascia che litighino, dopodiché riporta l’attenzione su Bertolt, il quale non si è ancora avvicinato all’albero. L’altro bambino gli regala un sorriso e, sovrastando gli insulti che Reiner e Porco si rivolgono, domanda: 

«Vuoi che ti aiuti a salire?» 

Bertolt non vuole aiuto. Vorrebbe la metà del coraggio di Marcel: gli basterebbe per tutta la vita. Il bambino fa un sospiro, poi asciuga i palmi umidi sui pantaloni e si avvicina all’albero. Prima di qualsiasi tentativo, Bertolt tasta la corteccia ruvida e rabbrividisce quando sfiora una zona in cui l’albero secerne una sostanza appiccicosa. Sfrega le mani sulla maglietta, ma la sensazione fastidiosa delle dita che si attaccano tra loro non scompare. Ci vorrà un bel po’ di sapone per lavare via quello schifo. 

«Segui i solchi che ci sono sull’albero. Se metti bene le mani e i piedi, sarà semplice» gli spiega Marcel, che adesso è seduto sul ramo sopra la testa di Bertolt.  

«Raggiungimi e poi andiamo da quei due testoni. Sono arrivati quasi in cima!» 

Annuisce, poi incastra le dita della mano sinistra lì dove la corteccia si piega verso l’esterno – dovrebbe essere quello il solco di cui parla Marcel. Fa lo stesso con la mano destra, dopodiché si issa su e cerca un terzo appiglio a tastoni. 

«Alla tua destra, Bertl! Se allunghi il braccio ci arrivi!» 

Bertolt deglutisce e, quando trova l’appiglio, vi si aggrappa. Con le scarpe appoggiate al tronco, si spinge verso l’alto e, dopo che ha ripetuto altre due volte quei gesti, raggiunge l’albero su cui è seduto Marcel.  

Una volta vicino, le dita di Marcel gli si avvinghiano ai polsi e lo issano su come se fosse fatto di carta. Adesso Bertolt può osservare l’altro dritto negli occhi, senza quella fastidiosa sensazione di sentirsi piccolo – insignificante, inferiore – e solleva un angolo della bocca all’insù.  

«Ce l’ho fatta...» sussurra incredulo, poi abbassa lo sguardo per accertarsene.  

Il terreno sottostante pare vacillare e il mondo viene invaso da puntini neri, che costringono Bertolt a sollevare lo sguardo e stringere gli occhi. Una lieve nausea gli punzecchia lo stomaco, ma viene distratto dalle fitte che attraversano le sue nocche, quando una mano stritola la sua. 

«Bertolt, stai bene?» domanda Marcel e Bertolt scuote la testa per negare. 

«Ho le vertigini...» 

La mano di Marcel non abbandona la sua. 

«È per questo che non volevi salire?» 

Bertolt annuisce e sospira, ma ancora la mano dell’altro non si allontana.  

«Capisco. Apri gli occhi, Bertolt» gli ordina l’altro bambino e lui fa come gli viene chiesto. 

Gli occhi nocciola di Marcel sembrano enormi castagne, visti così da vicino. Il pensiero lo farebbe divertire, se l’ansia di cadere e spaccarsi la testa non gli pesasse sul cuore. Le mani di Marcel si posano sulle sue guance e il proprietario di esse sorride. Oltre al coraggio di Marcel, pensa Bertolt, vorrebbe avere anche il suo ottimismo. 

«Sei stato coraggioso, Bertl. Hai vinto una tua paura. Bravo!» esclama il bambino e Bertolt quasi crede a quelle parole. Se è davvero un bravo bambino, si merita quello a cui suo padre l’ha condannato?  

Da sopra le loro teste giunge il vociare di Porco e Reiner e, al pensiero di dover salire più in alto, il labbro inferiore di Bertolt è attraversato da un fremito. 

«Non c’è bisogno di raggiungere quei due. Possiamo restare qui, se vuoi.» Marcel gli ha letto nel pensiero? 

«Va bene.» 

Bertolt sospira, rincuorato, e Marcel gli toglie le mani dal volto, poi si mette a cavalcioni del ramo. Il sorriso è ancora lì sul suo volto. 

«La prossima volta arriverai più in alto. Te lo prometto!» 

Mentre Marcel solleva lo sguardo verso gli altri due monelli, Bertolt lo osserva di sottecchi. Ammira molto l’altro bambino e un po’ lo invidia, perché vorrebbe emanare la sua stessa aura di sicurezza. Quando Marcel è nei dintorni tutti, compreso lui, sono rilassati.  

Oggi grazie all’altro ha persino scalato un albero e Bertolt non l’avrebbe mai creduto possibile, data la fifa che ha delle altezze.   

Tutto il male non viene per nuocere si dice Bertolt, ripensando al modo in cui lui e Marcel si sono conosciuti.  

«Grazie» mormora Bertolt, ma Marcel non replica.  

Forse non l’ha sentito, oppure sa esattamente a cosa si riferisce: in ogni caso, crede che sia meglio così.





Note dell'Autore

Questa OS partecipa alla challenge "Our Summer - If we're together, feel like summer" indetta dal forum Torre di Carta!

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Capitolo 3
*** Ficcanaso ***


Ficcanaso

 



Prompt: Things you said that I wasn't meant to hear / Le cose che hai detto e che non avrei dovuto sentire 

 

 

Esistono segreti che è meglio restino tali. Ce ne sono altri, invece, a cui bisogna dare tempo affinché essi si rivelino da soli.  

Porco si è sempre vantato di non avere segreti con suo fratello Marcel.  

«Ci diciamo tutto, non è vero?» è la domanda retorica che gli pone ogni volta che quell’argomento viene fuori.  

Marcel gli ha sempre risposto con il suo sorriso ampio, che mette in mostra due fila di denti bianchissimi e dritti. Le fossette che spuntano ai lati della bocca, poi, aumentano il senso di sicurezza che quel piccolo gesto è in grado di infondergli.  

Oggi Porco ha scoperto di essersi sempre sbagliato.  

Se non fosse stata per una sfortunata coincidenza del destino, probabilmente non avrebbe mai scoperto la menzogna – anzi, l’omissione – che il fratello gli ha rifilato. Sarà la prima di molte altre? 

Cammina in punta di piedi verso la stanza del fratello, cosicché nessuno lo senta, e si maledice che essa si trovi in fondo al corridoio, dalla parte opposta rispetto l’inizio del pianerottolo. Nella mano sinistra stringe le Nike Air Max rosse e nell’altra giacca di pelle. Quando raggiunge la sua meta, posa entrambi gli oggetti sulla moquette e appoggia l’orecchio sulla superficie della porta.  

Dalla stanza di Marcel riecheggiano ansimi e mugolii che, associati al cigolio del materasso, lasciano intuire a Porco cosa stia succedendo nella stanza. Non è sorpreso che suo fratello sia con una ragazza, tuttavia si domanda perché Marcel non gli abbia detto nulla a riguardo. Adesso Porco comprende perché quella sera non è andato con lui e Reiner in discoteca: aveva ben altro da fare. Perché non dirgli nulla riguardo questa ragazza, però? 

Rimane ad ascoltare, in attesa che un dettaglio possa tradire i due amanti e svelargli l’identità della ragazza, ammesso che Porco la conosca.  

«Cazzo!» esclama Marcel ad un tratto e Porco preme con più forza il viso sulla porta. È impossibile che sia riferito a lui, perché non ha emesso alcun rumore. Deve essere successo qualcosa tra i due. 

L’altra persona nella stanza mormora qualcosa, ma lui non riesce a capire cosa dica.  

Entrambi tacciono e l’unico suono che spezza il silenzio è il cigolio del letto, a cui poi si aggiungono una serie di tonfi sordi sul muro. Ci sta proprio andando alla grande.  

Ad un tratto, ogni rumore viene sovrastato dal principio di un grido che viene smorzato subito dopo. A giudicare dal timbro della voce, deve essere stato Marcel. Porco l’avrebbe preso in giro a vita dopo questa.  

Arriccia le labbra in un sorrisetto, ma si trattiene dal ridere e rimane immobile. La sua missione non è ancora completa, deve scoprire chi altro c’è nella stanza oltre a Marcel.  

Attende ancora qualche minuto, prima che risenta la voce di suo fratello: 

«Ti amo, Annie.»  

Porco percepisce la bocca asciugarsi completamente quando ascolta quel nome. Deglutisce, si stacca dalla porta e distoglie lo sguardo da essa, volgendolo altrove. Crede di aver sentito male, ma non può mentire a sé stesso: Marcel ha appena pronunciato il nome di Annie. La ragazza che c’è lì dentro è proprio Annie, la stessa Annie che scazzotta Porco, Marcel e Reiner come fossero dei sacchi da box, quella con cui trascorrono i turni alla clinica. La stessa Annie di cui quel coglione di Bertolt è innamorato.  

All’improvviso il motivo per cui Marcel gli ha nascosto la verità diviene chiarissimo a Porco.  

Senza temporeggiare ancora, Porco raccoglie le sue cose e sguscia in camera sua, poco prima che la serratura della porta di Marcel scatti.  

Stavolta, Porco appoggia l’orecchio sulla porta chiusa della propria camera per ascoltare ciò che avviene all’esterno di essa: dei passi leggeri riecheggiano nel corridoio, poi fanno cigolare le scale di legno e scemano fino a sparire. L’unico rumore che sente dopo è lo schiocco della porta d’ingresso. Annie se ne è andata.  

Porco si stacca dalla porta e s’infila una mano tra i capelli, aggiustandoli. Suo fratello si è proprio messo in un bel guaio. Porco sa quanto Marcel, Reiner e Bertolt siano uniti, di conseguenza è consapevole cosa comporti una relazione tra Annie e Marcel: distruggerebbe Bertolt e, con molte probabilità, allontanerebbe quell’allocco di Reiner, dato che i due sono culo e camicia. Il gruppo verrebbe disintegrato.  

Nonostante non sia più in allerta, Porco sente benissimo i passi pesanti che percorrono il corridoio e si piazzano di fronte la porta della propria stanza. È impossibile che sia suo padre, perché persino dalla sua stanza sente l’uomo russare come un trattore.  

«Porco?» 

Il suo cuore perde un battito quando riconosce quella voce. È Marcel. 

«Porco, sei sveglio?» 

«Sì. Puoi entrare.» 

Quando Marcel apre la porta, non sembra stupito di ritrovarlo seduto sul pavimento della stanza. D’altra parte, neanche Porco si mostra perplesso nell’osservare l’altro in boxer.  

Si studiano in silenzio qualche minuto, Marcel che osserva dall’altro Porco e viceversa. È quest’ultimo ad interrompere la pausa, affermando: 

«Non dirò nulla a nessuno. Nemmeno a Pieck.» 

Marcel sospira, si gratta la nuca e annuisce. La piega delle sue labbra è incurvata verso il basso. Sebbene il fratello non glielo faccia notare, Porco intuisce che qualcosa non va. 

«Grazie, Pock.»  

«Posso darti solo un consiglio?» 

Il fratello annuisce tramite il capo e Porco, prima di riprendere parola, distoglie lo sguardo dal viso dell’altro. 

«Se non vuoi essere un amico di merda, dovresti dirglielo. Così peggiori le cose e basta.» 

Dalle labbra di Marcel sfugge un altro sospiro, questa volta più profondo del primo, e Porco non lo biasima. Non vorrebbe mai essere nella sua posizione. 

«Lo so… Aspetto il momento giusto per farlo» sussurra il fratello.  

«Capisco. Ti guardo io le spalle, intanto.» 

Dopo che Porco dice quella frase, Marcel sorride appena, quanto basta perché le fossette spicchino agli angoli della sua bocca.  

Non si diranno tutto quanto, però una cosa è certa: i fratelli Galliard possono sempre contare l’uno sull’altro. 

 
 

Note dell’Autrice 

Allora! Siccome mi piace scrivere su quest’AU da morire, ho deciso che non bastavano i sequel dei Ratti, ma che la storia (serie?) aveva bisogno anche di una raccolta di missing moments! 

Sicuramente l’ordine delle OS cambierà, perché – ahimè – non seguo un ordine cronologico durante la stesura, bensì la mia voglia di scrivere! In ogni caso, quando pubblicherò anche le altre storie inserirò un indice che più o meno vi aiuterà nel collocare le storie nel tempo! 

 Ci tengo a sottolineare che parecchie delle storie sono scritte seguendo i prompt della Things you said - challenge, indetta da Juriaka sul forum di Efp!

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