Cold: Origins

di Giovievan
(/viewuser.php?uid=1063657)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sangue infetto ***
Capitolo 2: *** Indegno erede ***
Capitolo 3: *** Eterno legame ***
Capitolo 4: *** Il figlio che non è abbastanza ***
Capitolo 5: *** La nascita del prediletto ***
Capitolo 6: *** Sette giorni ***
Capitolo 7: *** Affronto ***
Capitolo 8: *** Imprevisti ***
Capitolo 9: *** Spin-off: Cooler, la crudeltà del nuovo nato ***
Capitolo 10: *** Una vita sprecata ***
Capitolo 11: *** Essere Perfetto ***
Capitolo 12: *** Spin-off: Freezer, il fervore dell'Essere Perfetto ***
Capitolo 13: *** Fuori controllo ***
Capitolo 14: *** Il peso del mondo ***
Capitolo 15: *** Spin-off: Cooler, il silenzio della bestia ***



Capitolo 1
*** Sangue infetto ***





 
1.
Sangue infetto


-
 
Il vento, stamattina, è più crudele del solito.
Il mio viso è schiaffeggiato da violente folate. Il corpo, reso quasi insensibile dal gelo, è fonte di sensazioni lontane: mi sento come se la mente fluttuasse libera tra le nevi, padrona di se stessa, intoccabile.
L’ululato della tempesta è distante quasi quanto la mia coscienza; il cielo, spruzzato qua e là di sbuffi bianchi, mi osserva sputandomi addosso i primi fiocchi di neve.
Per quanto questa sensazione possa essere meravigliosa, però, so che durerà poco. La serenità apparente che mi avvolge è una trappola che attende solo di schiacciarmi: questo vento non è nulla in confronto a ciò che si scatenerà tra poco, a considerare dalla neve e dalla cortina oscura che sta lentamente ricoprendo il cielo alle mie spalle.
Potrà prendere in giro chiunque altro ma Arcos non ingannerà mai me.
Un altro attimo, mi dico: ancora pochi secondi e poi sarò costretto a rientrare se non voglio che la bufera mi spazzi via per sempre.
Allento la presa della coda sullo sperone di roccia che finora è stato il mio trono. Lo è ogni mattina, in realtà: l’unico momento che mi è concesso per ritirarmi a meditare in solitudine. In solitudine e, soprattutto, fuori. Credo che perderei la testa se mi fosse tolta questa possibilità di liberarmi, anche se per poco, delle anguste pareti della città sotterranea.
C’è chi riesce a vivere nei tunnel senza mai vedere l’esterno; alcuni, i più piccoli, non hanno mai sentito sulla loro pelle la luce dell’Astro Ghiacciato, altri addirittura hanno sviluppato una vera e propria avversione per questo clima tempestoso e non mi seguirebbero fuori dalle gallerie nemmeno se tentassi di convincerli.
Per me è tutto molto diverso. Io non sono come loro: io ho bisogno di respirare aria pulita quando quella stagnante dei sotterranei inizia a pesarmi. Il chiacchiericcio sommesso di chi mi considera strano o addirittura pazzo non mi tocca più, ormai; io ho bisogno di venire qui per non impazzire sul serio.
Il vento sta iniziando ad alzarsi e da qui in poi continuerà senza più arrestarsi; le prime gocce di pioggia cristallizzano nell’aria e mi cadono addosso sotto forma di minuscoli diamanti gelidi. In lontananza la neve si solleva, turbina in una tromba d’aria in avvicinamento. Anche se a malincuore, è giunto il momento di rimettere piede nei tunnel.
Appena sono al coperto la neve accumulata sul mio corpo inizia a sciogliersi lasciandomi bagnato dalla testa ai piedi. La temperatura sale verso gli zero gradi man mano che mi inoltro nel lungo corridoio che collega l’esterno alla Piazza; a un certo punto la strada diventa verticale sotto i miei piedi, scivolando giù nelle profondità della città.
Mi lancio nel vuoto, levitando fino a terra e atterrando proprio al centro della Piazza: un ampio spazio circondato da pareti trasparenti scavate nel permafrost in cui penetra la luce soffusa dell’Astro. Sembra un piccolo acquario e noi siamo i pesci che vi sono intrappolati.
Ovviamente il mio rientro attira su di me gli sguardi di tutti coloro che sono nei dintorni, ma mi trovo nel mio quartiere: qui nessuno penserà male di me neanche se oso uscire all’esterno. Infatti appena metto piede a terra e inizio a camminare in molti chinano il capo, altri scuotono la mano nella mia direzione con caldi sorrisi. Tutti si portano la mano al cuore.
«Gran Cold» mi salutano quando passo loro accanto. Non posso fare a meno di ricambiare con un sorriso.
«Buongiorno a voi. Che sia una lieta giornata.»
La scena si ripete decine di volte mentre attraverso il mio quartiere. Gli arcosiani del mio clan mi adorano. Ho impiegato anni, da prima ancora di salire al potere, a conquistarmi il loro affetto e la loro benevolenza; loro e quelli degli altri Grandi, cosa che mi è riuscita piuttosto bene nonostante non lo diano a vedere.
«Gran Cold!» si inchina con foga un anziano stringendo tra le dita la vanga con cui, fino a pochi attimi prima, stava arando la sua piccola aiuola.
«Buongiorno e buon raccolto!»
Mi sento potente quando cammino per strada e tutti mi guardano come se fossi una divinità. Ricordo tutte le volte che passeggiando accanto a mio padre questi sguardi adoranti erano rivolti a lui: mi sembrava incredibile che un giorno l’onore sarebbe stato mio e allo stesso tempo non vedevo l’ora. Adesso, finalmente, posso dire di aver raggiunto l’obiettivo, anche se per arrivare dove sono ho dovuto perdere lui. Del resto un Clan non può avere due capoclan, questo è ovvio.
«Gran Cold» si inchina lievemente un ragazzo, intento a spazzare l’ingresso del suo giardino.
«Buongiorno a te.»
Attraverso il mio quartiere per intero e quando sto per uscire dal mio territorio guardo verso l’alto: dalla volta alta più di cinquanta metri, a tratti composta da roccia e a tratti ricoperta dal permafrost, penetra ancora la luce dell’Astro Ghiacciato come attraverso un’enorme finestra opaca, in una serie di fasci delicati che spaccano l’aria finendo a sfiorare il suolo.
Devo ammettere che è uno spettacolo meraviglioso. La Città Sotterranea non ha nulla da invidiare all’esterno, anzi, è il cuore pulsante di Arcos… eppure il desiderio di tornare là fuori è più forte di quanto io voglia, persino adesso che imperversa la bufera.
Lascio perdere questi pensieri e mi dirigo verso il Palazzo senza esitare: so già che a breve manderanno qualcuno a chiamarmi se non mi presento. Arrivo spesso in ritardo ma sarebbe la prima volta che succede: oggi è un giorno speciale, a quanto pare. Mi è stata richiesta massima serietà, come se di solito mi comportassi da idiota.
Quando metto piede nella Sala Oblunga tutti gli occhi si puntano su di me. Come credevo sono già tutti al tavolo; solo due sedie sono vuote, la mia e quella di Hailstone. Non che la cosa mi stupisca.
Mi accomodo alla mia seduta prendendo posto tra i due anziani capoclan Gust e Frostbite. Loro due mi osservano senza salutarmi, visibilmente in apprensione. Sanno bene come trascorro il tempo al mattino; mio padre dev’essersi lamentato di me molte volte quando era lui a sedere a questo tavolo.
«Uno di questi giorni sparirai nelle tempeste e dovremo venire a cercarti» mi rimprovera il capoclan Arctic, visibilmente seccato. «Hai idea di quanti di noi metteresti in pericolo in questo modo, Cold?»
Mi giro verso di lui mettendomi comodo a sedere. La sua paternale non mi tocca, anzi, sa bene che potrebbe risparmiarsela.
«In questo caso, se accadesse, non voglio che veniate a cercarmi.»
Tutti tacciono, solo Gust sbuffa.
«Non c’è alcuna necessità di rischiare tanto» mi rimprovera. «Dovresti smetterla e iniziare a prendere sul serio il tuo ruolo, Cold. Tuo padre non sarebbe fiero di te.»
Sorrido. Se crede di smuovere i miei sentimenti nominando mio padre sta compiendo un grave errore di valutazione.
«No, infatti. Te lo confermo. In realtà non lo era neanche da vivo.»
Gust si zittisce di colpo. Vorrei aggiungere altro ma mi costringo a trattenermi come ho sempre fatto, a tenere a bada il mio orgoglio. Non devo inimicarmi i capoclan, non devo gettare all’aria tutto ciò che abbiamo costruito in tanti anni al potere. Di questo sì che il Gran Snow non sarebbe affatto felice.
A volte il fatto di essere il più giovane a questo tavolo mi fa sentire estremamente fuori posto tra tutti questi anziani saggi e sono certo che anche loro pensino lo stesso di me, ma devo ricordare chi sono e di chi è il sangue che mi scorre nelle vene. Sempre.
Merito questo posto più di tutti loro messi insieme.
Per fortuna non posso rischiare di aggiungere altro. Dalla porta fa il suo ingresso l’ultimo all’appello: Hailstone, quell’idiota ritardatario. Appena vedono lui, io passo immediatamente in secondo piano.
Si accomoda senza una parola al suo posto, proprio di fronte a me. Mi lancia un’occhiata e io gli sorrido tra gli sguardi di disapprovazione degli altri Capoclan.
«Ed ecco l’altro immaturo irrispettoso» sputa fuori caustico Arctic. «Hai addirittura fatto presto, oggi.»
«Ho ritenuto che l’occasione speciale meritasse un trattamento speciale.»
Il suo tono arrogante fa sì che mi sfugga una risata che non passa inosservata a quel vecchio austero di Arctic. Tuttavia decide di lasciar perdere perché inspira profondamente si rimette in riga, schiarendosi la voce.
«Dunque, fratelli miei, sangue del mio sangue. Come vi ho anticipato ci riuniamo qui oggi per discutere di un avvenimento grave a cui va posta una soluzione.»
Presto ascolto, sinceramente interessato. Sì, ieri ci ha accennato qualcosa tramite un messaggero ma non è stato molto chiaro.
Arctic continua.
«Ieri, dopo il picco dell’Astro, nel mio quartiere è avvenuto un fatto increscioso. Uno dei miei fratelli, plasmato dal ghiaccio come tutti noi, ha attaccato un nostro simile accusandolo di avere sangue infetto.»
Il silenzio piomba sul tavolo come un macigno.
Sangue infetto…
«L’ha prima aggredito verbalmente, poi ha rischiato di arrivare alle mani» continua. «Per fortuna hanno fatto in tempo a chiamarmi e col mio arrivo la questione si è ridimensionata, ma il seme del sospetto è stato piantato e tra le mie strade ora c’è puzza di diffidenza.»
«Assurdo!» commenta l’anziano Frostbite. «Tutto questo per una stupida leggenda!»
«Assurdo ma vero» ribadisce Arctic con una punta di fastidio nella voce. «Ed è il terzo caso in pochi mesi. Fratelli, io devo dire ciò che penso: ho paura per me, per i miei figli e per tutti noi. Non temo le leggende, ma tremo al pensiero di ciò in cui la paura potrebbe trasformarci.»
Annuisco, lo fanno tutti. Sembrano molto preoccupati al pensiero che gli arcosiani, in preda al terrore, possano perdere la testa e iniziare a distruggersi a vicenda.
«Cosa dovremmo fare?» domanda Frostbite. «Le parole sembrano star lentamente perdendo la loro efficacia. A breve non potremo più sperare di placarli in questo modo.»
Tutti riflettono e nel silenzio Hailstone si rivolge ad Arctic.
«Per quale motivo il tuo uomo ha scatenato l’aggressione?»
«L’ha accusato di aver generato due figli in troppo poco tempo.»
«Ed è vero?»
«A quanto pare sì. Due figli in pochi mesi. Cosa che non sarebbe neanche vietata o condannabile.»
«Non in un mondo in cui c’è un rischio come il nostro» continua Gust. «Ormai chiunque generi un figlio è visto come un potenziale distruttore. La paura ci ha ridotti a questo: a guardare il nostro vicino e contare le probabilità che la sua prole nasca infetta.»
«La diffidenza è una piaga che va fermata» interviene Frostbite. «E io so come.»
Tutti lo guardano in silenzio e io mi accodo.
«Se il loro timore deriva dalle nascite, che si controllino le nascite.»
Il silenzio che segue è quello di chi sta vagliando una proposta. Attorno a me inizio a percepire l’assenso.
«E come?» chiedo. Frostbite mi guarda come se lo infastidisse che il poco che ho avuto da dire finora sia stato per mettere in dubbio le sue parole.
«Se ciò che temiamo è un mutante dai poteri abnormi, potremmo controllare che i nuovi nati non ne abbiano» propone. I tre vecchi annuiscono, Hailstone resta in silenzio.
«Sì, mi pare ragionevole. È un metodo non invasivo, non dà alcun fastidio e, male che vada, darà almeno una sensazione di protezione al popolo. Se siamo tutti d’accordo possiamo definire meglio questa possibilità.»
Frostbite e Gust annuiscono; Hailstone sembra ancora dubbioso, ma infine si stringe nelle spalle e accetta. Poi tutti si voltano verso di me e so che si aspettano il mio parere: sono anch’io uno di loro, del resto. Non posso esimermi dall’esprimere il mio giudizio in una votazione, a differenza dell’astenermi dal parlare durante le discussioni per la mia condizione di novizio. Cosa che, in ogni caso, non continuerà per sempre.
Faccio ad Arctic un cenno di assenso. Su due piedi non riesco a trovare obiezioni valide che possano permettermi di negare. Non mi sarei mai aspettato una proposta del genere, non senza alcun preavviso.
«Bene, allora così sia» conclude Arctic. «Ci rivedremo nel pomeriggio per discuterne. Ne faremo una legge, se il popolo vorrà. Siamo incaricati di riferire ai nostri clan la notizia.»
«Perfetto. Allora la seduta è conclusa» dice Gust alzandosi in piedi.
Tutti ci alziamo dopo di lui ma le sensazioni che proviamo sono molto differenti. Loro sono convinti di aver appena risolto il principale problema di Arcos, forse di aver salvato il Pianeta dalla distruzione di una guerra civile, oltre che dalla Leggenda. Per me, invece, è appena nato un problema insormontabile che non ho idea di come risolvere.
Perché non si tratta di una leggenda, ma della realtà, e il sangue infetto è il mio.

 
 
-

Prossimo capitolo:
-
7/02
 
 

Nota dell'autrice:
Salve!
Che voi siate qui per caso o siate già dei lettori della mia saga, siete i benvenuti in questa nuova storia. 
Lasciate che mi presenti.
Tre anni fa, in preda a un delirio nostalgico, ho iniziato a scrivere la mia prima fanfiction in assoluto su Lord Freezer dopo molti tentatiti infruttuosi nel ricercarne una che potesse soddisfarmi. Volevo leggere qualcosa di elaborato che raccontasse le origini di Freezer senza però distaccarsi dalla storia canonica; ecco come, una notte ormai lontana, nacque "Freezer: Origins", storia di cui tutt'ora vado estremamente fiera.
Dopo Freezer è stato il momento di Cooler e grazie a lui ho potuto ampliare la narrazione creando un vero e proprio universo in cui tutto si ricollega ed è coerente con la storia principale. Il mio scopo era soprattutto quello di analizzare Freezer e Cooler nella loro psicologia... cosa che mi ha portata, necessariamente, a introdurre nella storia anche il personaggio di Cold. Ed è qui che mi sono detta: perché no? In fondo neanche di lui sappiamo molto e dato che stiamo parlando delle cronache degli arcosiani, anche il padre degli dèi merita un posto d'onore.

Quindi ecco a voi "Cold: Origins"

Anche se questa storia è pensata come il terzo capitolo di una trilogia che parte da Freezer e continua con Cooler, in realtà può esser letta anche senza conoscere la storia precedente.
Spero che questa storia vi piaccia e vi tenga compagnia. Grazie per essere qui! 
Al prossimo capitolo!

- Gio

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Indegno erede ***


2.
Indegno erede


-
 
 
 Quando mi alzo dalla mia seduta ho soltanto voglia di tornare a casa e pensare al da farsi; è per questo che non mi fermo ad attendere e mi dirigo direttamente verso l’uscita della Sala Oblunga. Come credevo, però, non vado lontano prima che una mano mi si poggi sulla spalla con decisione.
«Dobbiamo parlare.»
«Non ora, Hailstone» gli sussurro sperando che capisca che non sono affatto dell’umore giusto.
«E quando?»
«Non ne ho idea.»
«Ti vedo preoccupato o sbaglio?»
Il cuore mi si inchioda nel petto. Sì, sono preoccupato, è ovvio, ma non devo dimenticare dove mi trovo e non devo permettere alle emozioni di sovrastarmi o qualcuno potrebbe accorgersi che non sono stato esattamente lieto della proposta dei Capoclan… e questo potrebbe sembrare sospetto.
«Mi vedi nervoso» lo correggo sperando di essere credibile. «Con questa riunione inutile ho perso del tempo che potevo trascorrere all’esterno.»
«Continui ad andarci?» mi chiede. Sembra che non mi conosca come le sue tasche. «Vuoi davvero farli impazzire.»
Il suo tono beffardo riesce a strapparmi un sorriso sincero.
«L’unico modo che hanno per impedirmelo è incatenarmi o tagliarmi le gambe.»
Adesso ride di gusto.
«Scommetto che alla fine opteranno per la prima, ma anche la seconda non è una cattiva idea.»
Poi sospira. Si guarda intorno rapidamente per accertarsi che nessuno sia nei paraggi; mi sembra incredibilmente più attento del solito.
«Ci vediamo all’alba al tunnel segreto? Ti devo parlare. Davvero.»
Non riesco a domare l’ansia che mi pervade al sentire le sue parole. Sembra si tratti di qualcosa di importante… forse non l’ho mai visto tanto serio in vita mia. E se mi ha proposto di incontrarci proprio lì…
«Così mi preoccupi. Di che si tratta?»
«Dell’argomento del giorno. Ma ho bisogno di essere da soli.»
Adesso l’ansia diventa davvero divorante e sento che non riuscirò ad attendere tanto a lungo, ma se parlassi potrei lasciarmi sfuggire qualcosa di avventato e sarebbe un’idiozia. No, devo tornare a casa, raffreddare il cervello e pensare, pensare, pensare!
«Allora a stasera. Ora devo andare, mio figlio mi sta aspettando.»
«D’accordo. Solita ora. Non tardare.»
Annuisco con un rapido cenno del capo, poi esco dalla sala più veloce che posso. Questa discussione mi ha messo addosso un’incredibile agitazione. Cosa vorrà mai dirmi di tanto urgente?
E… se avesse capito?
Dovrai ucciderlo, mi suggerisce quella che credo essere la coscienza… ma non lo è, no. Io non penserei mai una cosa del genere.
Rabbrividisco fin nelle ossa mentre mi impongo di non pensarci e di tirare dritto fino a casa. Nel percorrere a ritroso la strada del mio quartiere gli sguardi miti e i saluti della mia gente non hanno più lo stesso effetto che hanno avuto all’andata: adesso il mio umore è del tutto diverso, troppo per poter assecondare la loro gentilezza. Sono furioso, tanto che quasi potrei perdere il controllo di me. Ad ogni secondo che ci penso la situazione mi sembra sempre più pericolosa e priva di soluzione: se davvero iniziassero a controllare le nascite come potrei proteggere mio figlio? Dovrei tenerlo nascosto?
Mi sento in un vicolo cieco da cui non so come uscire: se solo riuscissi a distoglierli dall’idea di quella dannata legge… non ci voleva affatto, non adesso.
 
 
*  *  *
 
 
Casa mia si staglia dinnanzi ai miei occhi ben prima di arrivarci tanto è imponente. È una costruzione antica, scavata direttamente nella parete di roccia e rivestita di decorazioni ghiacciate. È stato mio nonno Cold, da cui prendo il nome, a farla costruire: voleva una residenza degna della sua importanza e infatti la nostra sembra più un palazzo reale che una semplice abitazione. Io, però, sono molto più umile di lui e tutte queste stanze cupe e prive di luce mi danno la nausea.
Se fosse per me adesso andrei all’esterno a meditare: in fondo l’Astro non è ancora calato, quindi sarei al sicuro ancora per un po’. Purtroppo, però, ho promesso a mio figlio che l’avrei aggiornato e non posso venir meno alla parola. Anche lui era molto curioso di cosa significasse questa chiamata speciale…
Quando metto piede in casa le guardie d’ingresso mi salutano portandosi la mano al petto e io ricambio il cenno. Avanzo nei corridoi fino a entrare nelle sue stanze: il silenzio è totale ma ciò non mi stupisce.
«Froze!» chiamo, ma mi risponde solo l’eco della mia voce che rimbalza sulle pareti di pietra.
Non mi aspettavo di trovarlo qui, in realtà. C’è un solo posto in cui potrebbe essere e infatti la mia meta si rivela quella corretta: Froze si trova all’esterno, sul retro del nostro palazzo, nell’ampio spazio tra l’edificio e la parete di roccia che con estrema fantasia chiamiamo giardino.
Sta volteggiando tanto rapidamente che fatico a seguirlo con gli occhi. Percepisco il suo spostamento a mezz’aria, le sue virate e soprattutto sento chiaramente il rumore delle braccia, delle gambe e della coda che si tendono in colpi devastanti che spaccano l’aria in due. Si sta allenando, noto, a un ritmo così elevato che temo possa farsi del male.
«Froze!» lo chiamo.
Appena mi sente interrompe la sua serie di pugni, ansimando dalla fatica. Il suo corpo è imperlato di sudore che già inizia a solidificarsi in minuscole goccioline sulla sua pelle e a cadere sul terreno.
«Padre» dice, discendendo fino a sfiorare il suolo per affiancarsi a me. «Credevo che avresti impiegato più tempo.»
«Per fortuna abbiamo fatto presto» gli faccio cenno di rientrare. Nessuno potrebbe mai sentirci qui dietro, dato che il giardino è proprietà privata di Froze e a nessuno è concesso mettervi piede, ma l’aria aperta mi dà sempre un senso di pericolo.
Lui deve aver colto l’urgenza nei miei occhi perché si acciglia e non esita a seguirmi senza fiatare, proprio come speravo.
Mi dirigo nel corridoio più profondo, quello delle nostre stanze private a cui la servitù non accede se non al primo mattino per riordinare e rassettare. Infatti, come pensavo, quest’ala è del tutto vuota.
Quando arriviamo nell’ultima sala del corridoio, una camera da letto inutilizzata, mi richiudo la porta alle spalle. Solo adesso mi sento abbastanza al sicuro e decido che è giunto il momento di parlare.
«Abbiamo un problema» gli svelo. Lui si fa attento.
«Avevo intuito. Cattive notizie dall’assemblea?»
Chissà quale pericolo starà immaginando: un’invasione aliena, una catastrofe imminente su Arcos… o forse ha un’idea di quanto grande sia il nostro reale problema?
«Pessime. Ieri nel quartiere di Arctic c’è stata un’altra aggressione.»
«Sta accadendo sempre più spesso.»
«Ed è per questo che vogliono trovare una soluzione.»
Mi guarda, interrogativo, ma a questo punto dovrebbe aver già capito dove voglio andare a parare. Incrocia le braccia nell’attesa che continui, cosa che faccio dopo un profondo respiro.
«Vogliono imporre una legge che controlli le nascite in modo da verificare il livello combattivo dei nuovi nati per valutare se siano mutanti.»
«E se lo fossero?»
La domanda ricade su di me come un macigno: era l’ultima cosa a cui volessi pensare. Perché la fine che farebbe il mutante, qualora nascesse, è ovvia. Fin troppo ovvia.
«Non è stato detto» taglio corto, anche se negare l’evidenza non ha senso. In fondo, però, non c’è neanche bisogno di precisarlo: Froze aveva capito prima ancora di pormi la domanda.
«Cos’hai in mente di fare?»
«Non lo so» gli svelo. «Devo pensare a un modo per impedirlo, a un’obiezione valida… se approveranno quella legge sarà finita.»
Lo vedo dubbioso ma so che, in realtà, la cosa non lo turba tanto quanto turba me. Infatti poco dopo mi sorride, come se volesse rassicurarmi.
«Non temere, padre. Troverai un modo e, se così non dovesse essere, non sarà finita. Hai già me. Mi sto impegnando giorno e notte per essere degno del tuo sangue.»
Annuisco e ricambio il sorriso, anche se con poca convinzione, ma non ribatto alle sue parole. Non posso essere sincero con lui: se gli dicessi ciò che penso in questo momento potrei ferirlo e non voglio che accada.
Allo stesso tempo, però, mi chiedo se sia giusto tenergli nascosta la verità in questo modo. Lui crede che da solo possa bastarmi ma in realtà non potrà mai farlo. Froze è un eccellente guerriero: in lui la mutazione si esprime con gran potenza, forse per più della metà, e con il suo duro allenamento arriverà di certo oltre il limite di ogni arcosiano conosciuto.
Ma non è l’Essere Perfetto.
So bene quanto sia pesante questa responsabilità: non voglio che Froze si senta sbagliato per qualcosa di cui non ha alcuna colpa. Allo stesso tempo però non posso fingere che lui possa bastarmi: io ho bisogno di altri figli. Devo ritentare: non posso accontentarmi di un mezzo mutante e della speranza che la sua prole sia Perfetta, sempre se un giorno decidesse di plasmarla… cosa che non mi pare per niente negli obiettivi di Froze, anche se è ancora troppo giovane per pensare a certe cose.
Un giorno affronterò con lui questo argomento ma non oggi: ho già tanto a cui pensare. La testa mi esplode. Non posso che cambiare discorso.
«Ti stavi allenando?» gli domando, anche se la risposta è ovvia. Lui mi fa un cenno affermativo col capo.
«Quando potremo lottare?»
«Domani» gli prometto. Gli avrei detto stasera, ma ho un altro impegno che sembra essere molto importante.
Lui mi prende sulla parola.
«Ti farò vedere quanto sono migliorato. Sarò il Capoclan più potente che questo pianeta abbia mai visto.»
«Riposati, allora» mi sforzo di sorridergli, ma dentro di me provo soltanto rassegnazione.
Ad ogni giorno che passa mi sento un po’ più lontano da mio figlio e questo mi distrugge. Se c’è una cosa che ho sempre desiderato, fin da bambino, è proprio di essere diverso da mio padre… e lo sono, posso giurarci. Ma diventa sempre più difficile per me creare un rapporto con Froze. I nostri obiettivi sono troppo diversi; lui non capisce, o fa finta di non capire, qual è il mio vero scopo.
L’Essere Perfetto non sarà mai Capoclan: lui sarà Re. Ecco perché Froze non è all’altezza di esserlo: non riesce a pensare in grande. Il suo obiettivo è dominare Arcos assieme ad altri quattro arcosiani… io, invece, voglio l’Universo.
Froze esce dalla stanza levitando e ritorna in giardino ad esercitarsi. Io, invece, sono costretto a tornare sui miei passi. A breve dovrò incontrare i membri del mio clan per riferire ciò che l’assemblea ha deciso e non potrei essere più di cattivo umore di così.
 
 
*  *  *
 
 
Anche trascorrendo tutto il giorno rinchiusi nella propria casa si potrebbe comprendere esattamente il momento in cui, dopo il lungo tramonto, l’ultimo briciolo della luce dell’Astro Ghiacciato svanisce dietro l’orizzonte. In quell’esatto momento il rombo delle tempeste sale, si accresce, inghiotte ogni cosa. Le bufere, al calar dell’Astro, diventano così violente che nelle uniche tre ore di notte di Arcos, prima che l’alba ritorni, l’esterno diventa un puro inferno. Chiunque abbia provato a esplorare non è mai tornato indietro.
Allo stesso modo è possibile orientarsi nel tempo in base all’urlo della notte e da sempre io ed Hailstone lo consideriamo come il segnale per muoverci. Anche stavolta sarà così: è proprio quando il boato che accompagna la notte cessa che decido di muovermi.
Ho detto a Froze che sarei andato a discutere con Hailstone: non voglio mentirgli, almeno su questo. Le bugie che gli racconto sono già troppo grandi perché io possa sopportare di aggiungerne altre.
Quando la notte cala su Arcos anche la città sotterranea cambia del tutto volto. La luce dell’Astro si spegne e vengono accese le lanterne; tutto diventa infinitamente più cupo ai miei occhi di quanto non sia già. Alle primissime luci dell’alba la situazione non cambia; questo contribuisce di certo al mio malumore.
Ma non è solo questo a turbarmi. Mentre mi dirigo verso il tunnel segreto la mia mente continua a vagare nei ricordi lontani che provo a ignorare. Ci sono riuscito per molto tempo, in realtà, ma dall’ultima riunione, da quando il pericolo si è fatto reale, non riesco più a tenerli lontani.
Se verrà il giorno in cui Hailstone scoprirà tutto, tu dovrai ucciderlo, mi dice una voce lontana nella testa. La voce di quel bastardo di mio padre…
 
*
 
«Dove stiamo andando?»
Non mi aspettavo davvero di ricevere una risposta e, infatti, non accade. Lui cammina dinnanzi a me senza nemmeno preoccuparsi che io riesca a tenere il passo; devo quasi correre per riuscire a stargli dietro, piccolo come sono rispetto a lui.
«Padre?»
«Taci, Cold. Ti ho portato con me per guardare, non per sentire il tuo chiacchiericcio.»
Non oso più aprire bocca. Mi limito a seguirlo lungo i corridoi del nostro palazzo chiedendomi cosa mai possa esser successo di tanto importante da spingerlo addirittura a convocarmi con lui.
Lo scopro soltanto quando apre la porta della sala principale. Trasalisco, l’orrore prende possesso di me, ma mi costringo a non darlo a vedere per non far innervosire il Gran Snow.
Al centro della sala, seduto, le mani strette da una corda e la bocca tappata da una stretta benda, c’è un arcosiano.
Appena sente il rumore della porta aprirsi sembra ravvivarsi ma e visibilmente terrorizzato alla vista di mio padre. I suoi occhi si fissano nei miei, imploranti, come se io potessi davvero fare la differenza in questa situazione. Riesco quasi a percepire la sua preghiera.
Salvami, ti prego, Cold. Salvami…
«Pa…» inizio a dire in un sussurro. Un suo sguardo rabbioso mi pietrifica in gola le parole, che ritornano sul fondo dello stomaco pesanti come un macigno.
«Taci» ripete, scandendo bene la parola. «E guarda.»
Avanza verso il prigioniero ma io non ho il coraggio di seguirlo. Resto sulla soglia, immobile.
«Lui fa parte del clan» dice. «Ma, per qualche motivo, ha deciso di non rispettarmi in quanto suo Capoclan. E so il perché: è convinto che il nostro sangue sia infetto.»
Il prigioniero scuote il capo con forza ma non può parlare. Sembra negare, ma a mio padre non interessa.
«Il suo piano era parlare con gli altri quattro per esprimere il dubbio» mi dice. «Ma suo figlio, fedele a me, lo ha denunciato. Sa che se dovesse spargersi la voce che nel nostro clan c’è sangue infetto saremmo tutti giustiziati… a differenza del padre, che a quanto pare ignorava tutto ciò.»
Il prigioniero continua a dibattersi. Mio padre lo guarda dritto negli occhi.
«Peccato che avesse ragione. Ed è proprio per questo che deve morire.»
Prima che possa accorgermene, Snow solleva il braccio e un raggio di energia si slancia dal suo indice trapassando da parte a parte il petto dell’arcosiano prigioniero. Che smette immediatamente di muoversi.
Vorrei urlare. Faccio un passo indietro verso la porta ma non avrei mai il coraggio di attraversarla e scappare; eppure mi sento come se fossi stato inghiottito da un buco nero che mi sta lentamente dilaniando.
Il sangue, il prezioso sangue che cola lungo le gambe del corpo seduto inizia a creare una pozza sul pavimento e il mio primo istinto è di scattare, raccoglierlo, conservarlo. Ma non servirebbe più a nulla, in ogni caso.
Abominio.
Quello che sto guardando è puro abominio.
«Hai capito, adesso?»
La voce di mio padre sembra galleggiare tutt’attorno a me. Il suo sguardo è così intenso che temo possa tagliarmi in due se dicessi una singola parola fuori posto.
«Hai visto cosa accade a chi viene a sapere troppo?»
«Padre, questo… questo non è giusto…»
«Tutto è giusto se il fine è giusto» sentenzia, gelido come le tempeste in superficie. «La vita di quest’essere non valeva quanto la nostra. Il rischio che correvamo a tenerlo vivo era troppo alto. Non c’era altra scelta. Tutto perché ha osato insinuare il dubbio.»
«Che ci faccio qui, padre?»
La mia voce è stata un sussurro ma lui l’ha udita ugualmente. Eppure è una domanda stupida: conosco bene il motivo di tutto questo. È molto chiaro. Ma lui me lo conferma.
«Sei qui perché dovevi vedere, Cold. Te l’ho già detto: non devi sottovalutare il nostro segreto e non devi sopravvalutare qualsiasi cosa tu creda che ti leghi a Hailstone. L’unico vero legame è quello della famiglia. Il nostro sangue è diverso dal loro.»
L’orrore si fa un po’ da parte lasciando spazio alla rabbia.
Vorrei ribattere, vorrei dirgli tante cose. Che non mi interessa, per cominciare: anche se il mio sangue è diverso dal suo, Hailstone è l’unico vero amico che io abbia mai avuto. L’unico di cui io mi fidi davvero, l’unico che mi faccia sentire bene; il mio unico appiglio nell’inferno in cui lui, il Gran Snow, mi ha gettato facendomi nascere così come sono.
Vorrei dirgli che no, in questo non seguirò mai il suo volere: non romperò i rapporti con Hailstone solo per paura che possa scoprire che noi siamo i mutanti. E anche se dovesse venirlo a sapere, io so che non mi tradirebbe mai.
Vorrei anche dirgli, urlandoglielo in faccia, che non sono uno stupido sprovveduto. Cosa crede, che possa spiattellare il nostro segreto ai quattro venti?
«Non hai il diritto di minacciarmi» è tutto ciò che riesco a sussurrare. Una risposta che ovviamente non gli piace.
La sua coda mi si infrange sulla guancia in uno schiaffo violento che mi fa sputare un fiotto di sangue.
«Non parlarmi così!» tuona, mentre la coda si contorce nell’aria alle sue spalle e un livido appare proprio nel punto in cui si è abbattuta su di me. «Io ho il diritto di fare ciò che voglio. E ti ho già detto che non voglio sentirti discutere. Ricorda questa scena, Cold, perché se verrà il giorno in cui Hailstone scoprirà tutto tu dovrai ucciderlo. Ora torniamo indietro.»
Si volta e si incammina senza nemmeno guardare il corpo. Qualcuna delle sue guardie di fiducia si occuperà di pulire senza fare troppe domande; tutti daranno per scontato che ci sia stato un ottimo motivo per questo assassinio. Nessuno oserà parlarne, nel clan, perché potrebbe accadere ancora a chiunque rischi di metterci tutti in pericolo.
Non voglio restare indietro. Mi incammino alle spalle di mio padre senza una parola, ma dentro di me sento qualcosa marcire.



-

Prossimo capitolo:
Eterno legame
7/02

Nota dell'autrice

Lo so... lo so! In teoria avrei dovuto pubblicare questo capitolo il 7, ma non ho proprio resistito anche perché la stesura sta procedendo abbastanza rapida. Spero che vi sia piaciuto! 

Al prossimo capitolo!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Eterno legame ***


3.
Eterno legame


-
 
Spostare il blocco di ghiaccio non mi richiede più neanche uno sforzo: il tunnel segreto si apre dinnanzi ai miei occhi uguale a com’è sempre stato in trent’anni.
Mi infilo nella strettoia con difficoltà; ormai sono cresciuto molto da quando, da bambino, riuscivo a passare senza alcun problema. Proseguo a capo chino con la certezza che durerà poco: infatti dopo nemmeno una manciata di metri il soffitto sale e pian piano si innalza fino a sfiorare i cinque metri e mutare da dura roccia a permafrost.
Anche le pareti si allargano e continuano a farlo sempre più finché non arrivo alla fine del tunnel e metto piede in una grotta nascosta, una piccola sacca scavata nella crosta arcosiana e collegata al resto della città dal sottile stelo che ho appena attraversato.
Il soffitto è translucido; la luce dell’alba, delicata e rosacea, penetra all’interno della cavità rendendola quasi fiabesca a vedersi. Mi sembra molto più piccola di quanto ricordassi.
Erano diversi anni che non venivo qui: da quando mio padre è peggiorato, e poi dalla sua morte, tutti gli occhi sono sempre stati puntati su di me e incontrarmi in segreto con Hailstone era troppo pericoloso. In fondo non ne avevamo nemmeno più bisogno: da un bel po’ di anni ho abbandonato tutti gli scrupoli inculcati da Snow nel mio cervello e ho iniziato a vivere la mia vita come desideravo, incontri con Hailstone compresi.
In ogni caso non volevo che questo posto venisse scoperto e col senno di poi so che è stata una buona scelta poiché qui mi sento incredibilmente al sicuro ed è davvero un luogo in cui possiamo essere soli. Proprio il posto ideale in cui parlare di argomenti scomodi.
O in cui nascondere un corpo…
Volto il capo verso il centro della grotta: Hailstone è già lì che mi attende.
«Vedo che agli appuntamenti importanti arrivi puntuale» mi prende in giro. Vorrei rispondere a tono ma l’ansia che mi divora è troppo forte per permettermelo e lui se ne accorge subito.
«Siediti, Cold.»
Faccio come mi dice. Avanzo fino a raggiungerlo e mi accomodo su uno degli speroni di roccia su cui sedevamo da bambini e iniziavamo a raccontarci storie su come saremmo stati da grandi. Ora che siamo grandi sul serio, invece, pagheremmo col sangue pur di tornare a quei tempi.
Lo guardo negli occhi e lui sembra prendere coraggio.
«Non voglio perdere altro tempo perché non ne abbiamo» mi dice. E, pian piano che prosegue, il sangue nelle mie vene si gela sempre di più. «Devi provarci adesso. Se non plasmi subito un figlio approveranno quella legge e diventerà tutto molto più difficile.»
«Cosa stai dicendo?»
Improvvisamente ho voglia di scappare ma non posso proprio andare da nessuna parte. Lo guardo dritto negli occhi, due pericolose perle rosse che scavano nel profondo dei miei.
«So tutto, Cold. So che sei tu il mutante.»
Se la grotta mi fosse crollata addosso sarebbe stato meno doloroso. Ho la sensazione che tutti i miei incubi si siano concretizzati; quella voce, quella dannata voce nella mia testa, adesso sta urlando.
Se verrà il giorno in cui Hailstone scoprirà tutto, tu dovrai ucciderlo!
No, no, no!
Faccio di tutto per mantenere un contegno; scuoto il capo con decisione.
«Non so perché tu ne sia così sicuro ma ti sbagli. Non so di cosa tu stia parlando.»
«E allora perché stai tremando?»
Stringo forte i pugni per placarmi ma non ci riesco in nessun modo.
Già, perché sto tremando?
Perché adesso dovrai morire.
«Perché se qualcuno ti sentisse potrebbe credere a queste stronzate e saremmo nei guai.»
«Ecco perché siamo in un luogo che solo io e te conosciamo e in cui nessun altro metterà piede» dice, allargando le braccia. Si alza in piedi. «È inutile continuare a mentirmi. Ci sono cose che un vero amico comprende anche senza che tu gliele dica, e tu sei praticamente sangue del mio sangue.»
L’unico vero legame è quello della famiglia. Il nostro sangue è diverso dal loro.
Scuoto il capo. Questi maledetti ricordi sono come degli spiriti maligni: più tento di scacciarli più infestano la mia mente senza che io possa contrastarli.
«Non ti sto mentendo. Non so di che parli» insisto, ma lui non demorde.
«Credi che me la beva, idiota? Ti conosco troppo bene! Tuo padre ti ha sempre odiato senza alcuna ragione valida e tu ti sei sempre sentito fuori posto ai suoi occhi nonostante fossi pienamente degno del suo sangue. Tu stesso mi hai raccontato tutto questo. Quale altro potrebbe essere il motivo? È tutto così ovvio: Snow è riuscito a malapena ad averti e non ti sei rivelato il mutante della leggenda. Dato che tuo padre non aveva la possibilità di ritentare, ha riversato su di te il suo rancore e il suo rimorso per tutta la sua vita. Sbaglio?»
Non sbaglia affatto: sono stato stupido a dargli così tanti dettagli in tutti questi anni… proprio come Snow mi ha sempre detto. Ha sempre avuto ragione lui. Ma posso davvero rimproverarmi di aver chiesto aiuto ad Hailstone? In fondo è grazie a lui se ho potuto sfogare tutta la mia rabbia, è grazie ai suoi consigli e alle sue consolazioni che oggi non sono uguale a mio padre.
Cosa sarei diventato se mi fossi lasciato avvelenare dall’odio?
In ogni caso non posso confermargli ciò che pensa. Devo pesare ogni parola da questo momento in poi.
«Sì, ti sbagli. Mio padre era semplicemente uno stronzo e io la sua vittima. Stai costruendo castelli sul nulla.»
Sbuffa, seccato; si volta dall’altra parte avvicinandosi alla parete nell’unico punto in cui la roccia lascia spazio a una lingua di permafrost, una finestra dai margini screziati che lascia intravedere l’esterno attraverso il suo vetro opaco e irregolare. Fuori l’alba sta iniziando a bruciare e continuerà così per molte ore, finché l’Astro Ghiacciato non sarà completamente sorto e le tempeste del tutto calate.
Poggia una mano sulla parete percorrendo il ghiaccio antico con le dita.
«Ho sempre temuto tutto questo. L’ho sempre immaginato come il momento della verità. Mi sono chiesto tante volte: cosa farà quando gli svelerò di sapere? Si fiderà abbastanza da confessare o continuerà a mentirmi? E in questo caso, come dovrei interpretarlo?» si volta verso di me; nei suoi occhi c’è una terribile tristezza. «Il nostro legame vale davvero così poco per te, Cold?»
Mi sento davvero uno schifo. Vorrei confessargli tutto, forse farlo mi libererebbe da un peso… ma d’altro canto la voce di mio padre, con tutte le sue paranoie, continua a ronzarmi nella testa.
E se fosse una trappola? Se Hailstone stesse cercando di carpirmi il segreto per conto degli altri Capoclan e, una volta confessato, mi consegnasse a loro? Come potrei compiere la mia missione a quel punto?
Se lo scoprirà, dovrai ucciderlo.
E sarebbe davvero la cosa giusta da fare…
«Perché stai dicendo tutto questo?» mi limito a rispondergli. «Sai quanto sei importante per me…»
«Lo credevo. Ma se non hai nemmeno il coraggio di dirmi la verità, chi ti aiuterà ora che la situazione si è fatta tanto pericolosa?»
«E tu potresti aiutarmi?»
Mi accorgo troppo tardi che con questa domanda potrei essermi tradito ma mi costringo a restare fermo. Lui annuisce.
«Sì. Ti dirò come solo dopo che mi avrai rivelato tutto.»
Mentre mi si avvicina e mi guarda negli occhi sento che mi sta leggendo l’anima come un libro aperto, e sono stato io a dargli tanto potere su di me.
Starai gongolando nella tua sporca tomba, vero, Snow?
«Io sono sempre stato al tuo fianco e continuerò a esserlo. Non devi dubitare di me.»
A questo punto negare non è più un’opzione e possono esserci solo due soluzioni: confessare e rischiare di essere tradito o chiudergli la bocca per sempre ed esser certo di essere al sicuro.
Del resto quell’arcosiano, quasi trent’anni fa, aveva fatto esattamente lo stesso. Aveva avuto il dubbio che mio padre fosse il mutante della leggenda; aveva riflettuto, fatto domande. Per questo motivo era morto in modo atroce. Oggi, dopo così tanto tempo, nonostante il trauma che quella morte mi ha lasciato addosso, so che quell’assassinio era necessario se volevamo mantenere il segreto.
Anche Hailstone sta avendo lo stesso dubbio e quindi, secondo la logica inoppugnabile di Snow, tutto è giusto se il fine è giusto. Se fossi come mio padre Hailstone morirebbe qui e ora. Se avessi in me anche solo un briciolo della sua fermezza e della determinazione a restare nell’ombra dei miei antenati non avrei alcun problema a trafiggere a morte il cuore di chiunque si parasse sulla mia strada.
Ma ci sono due problemi.
Il primo è che non si tratta di un arcosiano qualunque: si tratta di Hailstone. Mio padre non ha mai avuto legami del genere con nessuno: sarebbe stato così fermo anche se legato a quella sedia ci fosse stato un suo fratello?
Il secondo problema, forse il più importante, è che io ho sempre odiato quel bastardo di Snow.
Guardo Hailstone negli occhi e non ho il coraggio di parlare, ma il non negare è già una conferma. Sul suo volto si dipinge lentamente un’espressione sorpresa.
«Allora è vero» sussurra. «Sei sempre stato tu…»
«Ti sembro un mostro, adesso?»
Non mi risponde; ho l’impressione che stia riflettendo. Poi d’improvviso ribatte, senza smettere di sostenere il mio sguardo.
«Garantirò io per te» dice, fermo. «Dirò a tutti che mi avevi confessato da mesi di desiderare un secondo figlio. Non potranno negartelo né lo troveranno sospetto se saremo in due ad affermarlo. Ma devi farlo subito, Cold, prima che la legge venga approvata.»
Sentire queste parole mi lascia incredulo perché tutto ciò ha perfettamente senso. Dire di voler plasmare un figlio adesso sarebbe stato fin troppo sospetto e non avrei avuto altro modo per generarlo senza farlo sapere all’assemblea; ecco perché non era mai stata un’opzione, prima di adesso. In questo modo, però, con la parola di Hailstone, nessuno oserà accusarmi. O almeno lo spero.
Inoltre questa è una prova molto importante: in questo modo Hailstone si sta compromettendo per me. Mi sento davvero male. Il fatto di aver pensato di ucciderlo anche solo per un secondo mi porta immensa vergogna. Adesso sento di aver trovato un alleato… anche se, nel mio cuore, lo spirito maligno mi sussurra di non credergli.
Prima o poi ti tradirà.
Lo zittisco. Non lo lascerò vincere. Ho deciso di fidarmi e adesso lo farò fino in fondo.
Hailstone mi porge la mano e io, dopo un attimo di tentennamento, l’afferro stringendola forte nella mia. Appena lo faccio lui la porta al suo petto poggiandola dritta contro il suo cuore in segno di muta promessa ed eterno legame.
I suoi battiti sono accelerati tanto quanto i miei.
 
 
*  *  *
 
  
 
«I miei concittadini hanno accolto la proposta con estrema gioia» ci comunica il capoclan Gust allargando le braccia verso di noi. «Molti hanno addirittura richiesto che abbia effetto immediato, anche se non è ovviamente possibile. In ogni caso, ritengo che dovremmo farne una legge al più presto.»
«Sì, lo penso anch’io» annuisce Arctic. «Con il tuo, Gust, tutti i clan hanno dato il loro parere positivo. Non dubito che anche noi Capoclan saremo a favore, ma per correttezza devo indire una votazione ufficiale. Alzi la mano chi è a favore della Legge delle Nascite.»
Cinque mani si alzano nello stesso momento, compresa la mia. Non ho alcuna esitazione anche se sono molto agitato per ciò che a breve mi toccherà fare.
Hailstone, di fronte a me, non si volta a guardarmi per neanche un secondo. È molto bravo a fingere indifferenza.
«Bene. Allora in qualità di anziano elaborerò la bozza della legge e discuteremo tra tre giorni eventuali modifiche e correzioni» annuisce a se stesso, visibilmente compiaciuto. Giurerei che non veda l’ora di iniziare; pare che il passatempo preferito di quel vecchio di Arctic sia sempre stato scrivere a modo suo le nuove regole che tutti gli altri dovranno rispettare.
«C’è altro?»
È il mio momento.
Alzo la mano e tutti gli sguardi si puntano su di me all’unisono. Mi costringo a restare calmo: questo è il tempo della verità, tutto potrebbe andare storto da un momento all’altro se solo sbaglio le parole o esito più del dovuto.
«Dicci, Cold.»
«So che non è richiesto comunicare una cosa del genere, ma mi sento in dovere di riferirvelo perché questo potrebbe non sembrare il momento opportuno e voglio evitare fraintendimenti. Io desidero un figlio e lo plasmerò a breve.»
«Quanto a breve?» gracchia il vecchio Gust. Una domanda che mi infastidisce nel profondo.
«Domani. Oggi riposerò e parlerò a Froze, e domani nascerà.»
Gli anziani si scambiano sguardi dubbiosi ma non ostili. Sembrano semplicemente non comprendere.
«Proprio adesso?» domanda infatti Arctic. «Perché non aspettare che la Legge venga approvata?»
«Non sappiamo se ci vorranno tre giorni o tre anni per approvarla e io non posso più attendere» nego. «È da mesi che aspetto questo momento. Devo farlo ora che mi sento pronto ad affrontare la nascita, e voi sapete quanto la volontà sia importante per la riuscita del processo.»
È qui che, come aveva promesso, Hailstone alza la mano e interviene senza tentennare.
«Posso garantire, se la mia parola vale qualcosa. È da almeno sei mesi che Cold mi ha svelato di aspettare il momento giusto. Questa nascita era già in programma.»
Mi volto nuovamente verso i tre anziani. Arctic e Frostbite sembrano confusi ma convinti; Gust, invece, ha ancora delle riserve.
«Sono certo che una settimana basterà all’approvazione» dibatte ancora il vecchio Gust. «Abbi un po’ di pazienza.»
Mi volto verso di lui, accigliato.
«Ve lo sto comunicando, non vi sto chiedendo il permesso» nego. «Così mi offendete. State forse dubitando di me? Potrete comunque verificare la potenza di mio figlio appena la Legge sarà Legge.»
Così dovrebbe essere perfetto: un ideale specchietto per le allodole. Passati diversi giorni, dopo l’impatto iniziale con la vita, mio figlio imparerà a controllare il suo potere e sarà molto semplice tenerlo nascosto se dovessero osare accettare la mia proposta, cosa che nessuno avrà l’ardire di fare perché vorrebbe dire dubitare di me apertamente.
A questo punto nessuno osa più fiatare. Qualsiasi altra parola potrebbe essere una grave offesa verso di me, quindi si guardano bene dal ribattere ancora.
«E sia. Allora ti facciamo i nostri migliori auguri, Cold. Come lo chiamerai?»
«Cooler» rivelo. Anche per Hailstone questa è una sorpresa, infatti sgrana gli occhi e sorride.
«Come il padre di Hailstone. Un gradito omaggio, immagino» fa notare Arctic. «Conducilo all’assemblea appena sarà in grado di camminare, saremo lieti di fare la sua conoscenza.»
Sorrido. Mentre l’assemblea viene sciolta io sento di avere di nuovo il controllo della situazione e questo è solo grazie ad Hailstone. Gli sorrido e lui scuote il capo, incredulo.
Sì, Cooler sarà un ottimo nome per il sangue del mio sangue.



-

Prossimo capitolo:
Il figlio che non è abbastanza
14/02



Nota dell'autrice

Ciao ragazzi!
Sono finalmente scesa dalla giostra delle ultime due settimane e ho potuto continuare a scrivere questa storia, a cui mi appassiono sempre di più. Capitolo dopo capitolo emerge quanto Cold sia diverso da Freezer e Cooler, almeno in questa fase della sua esistenza, ancora non macchiata da alcun assassinio né dall'avidità di un potere che non possiede ancora. 
La situazione ancora "tranquilla" mi sta permettendo di sviluppare un po' il background, il pianeta Arcos (che immagino da anni senza aver avuto l'opportunità di descriverlo... non sapere che emozione poterlo fare!) e soprattutto la psicologia di Cold, strettamente legata a suo padre e alla sua influenza su di lui... e quanto ancora c'è da dire! Ma lo scopriremo presto. 
Intanto vi anticipo che dopo il prossimo capitolo, "Il figlio che non è abbastanza", potremo finalmente assistere al processo della nascita di Cooler, se avremo il coraggio di osservare...
Buona domenica a tutti!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il figlio che non è abbastanza ***


4.
Il figlio che non è abbastanza


-
 
Al mio ritorno a casa Froze è già pronto a lottare.
Credo stesse ascoltando le vibrazioni dell’aria per captare il cigolio della porta perché appena rimetto piede all’interno lui appare alla fine del corridoio e corre subito nella mia direzione, raggiante di gioia. Vorrei davvero che tanta felicità potesse contagiarmi, ma purtroppo ho fin troppi pensieri per la testa in questo momento.
Mi sono illuso per tutta la strada di ritorno dall’assemblea che a preoccuparmi fosse il pensiero di dover plasmare Cooler senza alcun preavviso. Ricordo bene com’è stata la mia prima volta, quando è nato Froze: se non ci fosse stato mio padre accanto a me probabilmente sarei morto dissanguato non appena mio figlio avesse aperto gli occhi. E allora, a differenza di adesso, avevo avuto molto tempo per prepararmi sia fisicamente che psicologicamente al processo: insomma, ero pronto.
Adesso, invece, la cosa è stata improvvisa. Dovrò prendermi tutto il riposo possibile da questa notte e tentare domani, completamente spaesato e totalmente solo. Hailstone si è offerto di aiutarmi ma ho rifiutato: se non sono capace di portare a termine una nascita non potrò mai essere fiero di me. E neanche Froze e Cooler potranno esserlo.
La realtà però non è solo questa. Posso evitare di dirlo ma non posso nasconderlo a me stesso: io sono terrorizzato al pensiero di fallire di nuovo. Se con questo tentativo non riuscissi a creare l’Essere Perfetto sarebbe finita: dovrei iniziare a sperare nei miei figli, proprio come mio padre Snow ha fatto con me tutti questi anni e come mio nonno Froze fece prima ancora di lui.
Sento il peso delle loro aspettative schiacciarmi al suolo: sono certo che un altro fallimento potrebbe davvero deprimermi… e inoltre non voglio un secondo figlio a cui debba pesare la propria imperfezione, che possa non sentirsi abbastanza.
È per questo che quando vedo Froze sento di dovergli dire tutto subito, per togliermi almeno questo peso.
«Padre!» urla, gioioso, fermandosi proprio dinnanzi ai miei piedi. Devo abbassare le testa per poterlo guardare negli occhi; un attimo dopo infatti mi inginocchio per essere all’altezza del suo sguardo. «Mi sono allenato per tutto il tempo in cui sei stato via. Ti farò vedere!»
«Scommetto che sei diventato bravissimo» gli dico forzando un sorriso. «Combatteremo tra un attimo. Prima devo parlarti.»
Il sorriso gli muore in viso, il suo entusiasmo si attenua. Sa che qualsiasi cosa io stia per dirgli riguarda il mio discorso con Hailstone di questa mattina e, forse, la discussione dell’assemblea che si è tenuta subito dopo. È preoccupato perché potrebbero aver approvato la legge o perché teme che io voglia infrangerla? Di certo non immagina del tutto ciò che sto per rivelargli, e ancor più di certo non gli piacerà.
Prendo un profondo respiro.
«Ho deciso di plasmare tuo fratello domani, in modo da precedere l’approvazione della Legge delle Nascite. Si chiamerà Cooler.»
Come credevo la notizia lo lascia di sasso e per nulla felice.
«L’hai detto ai Capoclan?»
«Sì, sanno tutto.»
«Sei molto sospetto così, padre.»
Come se non lo sapessi. Mi coglie un lampo di irritazione.
«Che scelta avrei, sentiamo? Hai consigli migliori?»
Si ritrae e non mi sfugge che mi stia guardando in modo ostile. Mi impongo di controllare la rabbia, non voglio rendere le cose ancora più complesse di così.
«Perdonami. Tutto questo è molto difficile per me.»
«Lo so. Infatti non dovresti farlo.»
Alzo lo sguardo con un muto interrogativo che lui coglie al volo.
«Non ti serve un altro figlio» dice. «Io non sono l’Essere Perfetto, ma quando sarò abbastanza grande lo genererò di persona. Ne sono certo. Tu, adesso, comportandoti in questo modo rovineresti tutto.»
Cos’è che rovinerei? Il tuo posto sul trono, se l’Essere Perfetto dovesse nascere?
Mi rimetto in piedi; sto cercando di mantenermi calmo ma il suo tono mi stizzisce. Non l’ho mai visto così indisponente nei miei confronti e la cosa non mi piace.
«Non posso aspettare» nego. «Non vedo perché dovrei cedere a te questo peso quando sono giovane e pienamente capace di plasmarti un fratello. Se non sarà l’Essere Perfetto, pazienza. Io lo desidero sul serio, a parte tutto.»
Sorride.
«No, padre, non è vero.»
«Non sai di cosa parli.»
«So bene di cosa parlo, invece. Io non sono ciò che desideravi ma almeno diventerò Capoclan. Se questo Cooler dovesse nascere imperfetto, come lo consoleresti? Che senso daresti alla sua vita?»
«Da quando in qua sei così materialista?» mi sorprendo. «Non hai nemmeno un anno e sembri fin troppo sicuro di te.»
«Sto forse mentendo? Non dovresti farlo nascere e basta.»
O forse sei geloso?, è la domanda che si aggiunge alla lista delle cose che non posso dire. Non credo di desiderare davvero una risposta, in ogni caso.
«Grazie per la tua opinione ma purtroppo non posso prenderne nota» dico. La rabbia e la frustrazione mi divorano perché la sua insinuazione è davvero pericolosa.
Che senso avrebbe la sua vita? Crescere con lo scopo di procreare nella cieca speranza di avere successo… come me?
Sento di dovermi sfogare in qualche modo e per fortuna Froze sembra offrirmi un’ottima occasione perché ha incrociato le braccia dinnanzi al petto.
«Sei arrabbiato? Bene, perché anche io lo sono. Hai ancora voglia di lottare? Potrei farti male.»
La provocazione riporta un flebile sorriso sul suo volto.
«Se vinco non plasmerai proprio nessuno per il resto della tua vita. Ci stai?»
Sorrido, divertito da questa scommessa, mentre gli faccio cenno di seguirmi all’esterno. Sa bene di non avere speranze ma la fiamma che gli arde dentro è fin troppo potente e non so fin quanto sia a causa dell’altruismo nei miei confronti.
Poco male. Di certo così combatterà al massimo delle sue forze… e voglio proprio vedere cosa sa fare.
Ci dirigiamo verso il giardino: so che vorrà lottare lì. Nonostante abbiamo delle ottime palestre fornite di tutto il necessario mio figlio continua a desiderare di allenarsi e di scontrarci all’esterno della casa; forse questo per lui è un luogo sicuro in cui sente di poter dare il meglio di sé.
Si mette in posizione e io faccio lo stesso. Gli sorrido. Un po’ di istigazione non fa mai male, soprattutto ora che lo voglio arrabbiato.
«Fammi vedere se sei degno del mio sangue, Froze.»
Non se lo fa ripetere due volte. Scatta nella mia direzione a incredibile velocità, lasciandosi dietro una scia di energia rovente. Mi scaglia un pugno ma io sono più rapido a pararlo con l’avambraccio: è facile dato che il mio solo muscolo è più grande della sua testa. Eppure non si arrende, anzi, si rimette subito in posizione e riparte all’attacco.
Sono un po’ arrugginito: è da quando mio padre è morto che non lottavo. Devo ammettere che l’adrenalina sta prendendo corpo in me molto rapidamente: ho voglia di scontrarmi con un degno avversario, proprio come ai vecchi tempi in cui era il mio maggior passatempo.
«Questo sarebbe tutto il tuo allenamento?» lo punzecchio.
So che ciò non può che animarlo ancora di più e infatti lo osservo richiamare a sé l’aura, che gli esplode attorno con incredibile potenza.
Infine ritorna all’attacco, sferrandomi un calcio che paro con la coda…
 
 *

…la sua coda scatta di lato. La evito appena in tempo spostandomi all’indietro.
«Ah! Mi hai quasi colto di sorpresa.»
«Ecco cosa ti meriti ad abbassare la guardia, idiota!»
«Ho detto quasi. Non esaltarti!»
Mi piego a metà, le braccia tese sulle ginocchia; solo ora che mi sono fermato mi accorgo di quanto poco fiato mi restasse. Hailstone arretra di qualche passo e mi sorride con un ghigno crudele.
«Sei già stanco? O forse non vedi l’ora di tornare dentro?»
«Taci» gli intimo.
Sì, sono stanco, ma recupererò in un attimo. Ciò che devo fare, invece, è calmare la mia esaltazione prima di perdere il controllo del mio potere e fargli del male sul serio. Non sarò Perfetto ma resto un mutante, dopotutto; la mia potenza è decine di volte superiore a quella di qualunque altro arcosiano, anche se non ho mai avuto modo di scoprire quanto e forse non lo avrò mai.
È da ore che lottiamo senza interruzioni; ormai lo conosco come le mie tasche, tanto che so persino quando e come sferrerà i suoi colpi, eppure non mi annoio mai a fronteggiarlo in battaglia. Ho voglia di ricominciare ma devo raffreddarmi, quindi prendo più tempo che posso.
Mi guardo attorno. L’aria è così fredda che la sento pungermi i polmoni come se si fosse cristallizzata mentre la inspiravo. Tutto è incredibilmente calmo nelle prime ore dopo l’alba; eppure so bene che la situazione potrebbe cambiare da un momento all’altro. Ecco perché non ci allontaniamo mai dall’ingresso dei tunnel che riportano in città.
Hailstone mi osserva in silenzio.
«Perché ti piace tanto stare qua fuori?»
Una bella domanda. Sono io a trascinarlo qui ogni mattina assieme a me: fosse per lui potremmo anche restarcene nel giardino di casa sua ad allenarci. Io però ho altre necessità e uscire all’esterno è una di queste.
«Perché laggiù mi sento in trappola» gli svelo. «Invece quando esco dai tunnel ritorno libero.»
«Perché ti senti in trappola?»
Lo guardo chiedendomi se sia davvero il caso di svelargli tutto questo. Non ne ho mai parlato con nessuno, in realtà: fino ad oggi mi sono sempre tenuto tutto dentro. Eppure ormai sono cinque anni che conosco Hailstone, esattamente da quando è nato e da quando io ne avevo due, e se ci fosse una sola persona su Arcos a cui vorrei aprire il mio cuore, questa sarebbe proprio lui.
Forse parlarne potrebbe addirittura farmi bene; è questo il pensiero che mi spinge a decidere.
«Mio padre» gli rivelo, ma non ho il coraggio di aggiungere altro.
«È per il fatto che sta male?»
Dovrebbe essere per questo, sì. La sua malattia è molto grave: è costantemente debole, spossato, e spesso sono costretto a prendermi cura di lui e delle sue faccende quando non riesce nemmeno a mettersi in piedi. Ovviamente la causa di questo è solo una: la mutazione, la stessa che porto anch’io, la stessa che ha reso la nostra famiglia grande e che promette di creare una leggenda. A quanto pare però per troppo tempo abbiamo dimenticato la verità: la mutazione è comunque una modifica del codice genetico ed ereditarla è una vera e propria lotteria che non sempre risulta vincente.
Snow è sempre stato un arcosiano debole nel fisico, anche se ferreo nella volontà, tanto da plasmarmi nonostante la sua debolezza per non interrompere per sempre la nostra eredità e con essa la leggenda. Ma da quando sono nato la sua situazione è incredibilmente peggiorata. In molti mi hanno raccontato che ha rischiato la propria vita pur di far sì che io vedessi la luce; un atteggiamento incredibilmente coraggioso, a detta di tutti. Nessuno conosce la verità fino in fondo. Nessuno tranne Hailstone, a cui sto per rivelarla.
«No. Sono stato una delusione per lui.»
«E perché?»
Perché? Anche questa è una bella domanda, ma non posso rispondergli sinceramente.
«Perché voleva un figlio forte e io non lo sono abbastanza.»
Il ricordo delle sue parole mi riempie gli occhi di lacrime.
“Sono quasi morto per te e non sei nemmeno ciò che volevo.”
Una mano mi si poggia sulla spalla.
«Allora devi allenarti e diventarlo» mi sorride Hailstone. «Posso aiutarti io. Del resto un giorno saremo entrambi Capoclan, no? Dobbiamo essere potenti.»
Annuisco.
«Se mai avrò un figlio, non sarò mai come lui» mi lascio sfuggire. Non sapevo neanche di pensare queste parole finché, dopo averle pronunciate, non mi sento libero. «Sarò il padre migliore che mio figlio possa mai desiderare.»
«E lo vuoi davvero?»
Questa non è una domanda che ho mai avuto il lusso di pormi. Se lo voglio o meno, non interessa: io devo averlo. È il mio dovere.
«Sì. Tu non lo vuoi?»
Mi sembra esitare.
«Se sarò Capoclan prima o poi dovrò per forza plasmare un erede… ma io non so se avrò mai il coraggio.»
«Sei un codardo, quindi.»
Mi guarda, accigliato.
«Bada a come parli.»
«Altrimenti?» lo sfido. «Mi prendi a calci? Ti consiglio di sbrigarti, se ci tieni. Tra poco torneranno le tempeste.»
«Se proprio insisti» sorride lui mettendosi in posizione.
Un attimo dopo scatta verso di me con un grido potente; la sua coda si infrange sul mio fianco e…
 
 *

…il dolore è bruciante, anche se non tale da turbarmi.
Afferro la stessa coda che mi ha colpito e Froze sembra colto di sorpresa. Si scaglia sul mio braccio con una ginocchiata ma è troppo debole per farmi male e non ha abbastanza spazio per caricare il colpo come si deve.
«Dannazione!» urla in preda alla collera.
Lo lascio andare ma lui non ritorna ad attaccare. Sa di aver perso questa battaglia ma se l’è giocata bene per avere solo un anno di vita. Nonostante sia un mezzo mutante ho l’impressione che sia ben più potente di me, o meglio, lo sarà quando raggiungerà la mia età.
«Sei bravo» lo lusingo per alleviare la sua umiliazione, ma lui non è soddisfatto della sua performance. Ringhia dalla rabbia, mi sembra davvero infuriato. Nel profondo del mio cuore so che non è tutta colpa della sconfitta.
«Non è giusto!» urla. «Non è giusto, padre!»
«Non hai alcuna speranza contro di me, non dimenticarlo. Non puoi fare paragoni.»
«Lo so» il suo tono si attenua, come se si fosse accorto di aver esagerato. «Non sto parlando di questo. Non è giusto che tu voglia un altro figlio!»
Le sue parole mi trafiggono come una lama. Questo è tutto ciò che ho sempre temuto… e solo adesso so che sono sempre stato un illuso se ho pensato di poterlo evitare.
«È per questo?» gli dico. «Di cosa hai paura, Froze? Non mi dimenticherò di te quando tuo fratello nascerà.»
Mi guarda con gli occhi colmi di lacrime amare. Sento che se potesse distruggerebbe tutto ciò che lo circonda in preda alla sua collera cieca, eppure parla a voce bassa, scandendo bene le parole.
«Io non sono abbastanza per te?»
Mi sembra di rivedermi bambino, seduto in un angolo di questo stesso giardino, a chiedermi lo stesso. Io non sono abbastanza per te, padre?
Non saprò mai come avrei reagito se Snow avesse potuto plasmarmi un fratello. Chissà, forse sarei stato furioso come Froze. So cosa prova e so di non poterlo consolare in alcun modo, ma devo almeno provarci.
«Neanche io ero abbastanza per mio padre, eppure sono qui, forte come mi vedi. A trent’anni tu sarai ancora più forte di me e so che hai davanti un futuro incredibile, Froze, ma non sei Perfetto. Non lo siamo. Prima riusciamo a farcene una ragione, meglio sarà per entrambi.»
Non mi risponde, non più. Si volta e fugge verso l’ingresso della casa perché le prime lacrime iniziano a rigargli il viso e non vuole che le veda.
Dovrei essere turbato da tutto ciò, ma la verità è che mi sento più leggero, libero da un peso.
Che Froze lo voglia o no, Cooler nascerà. E, perfetto o imperfetto che sia, non vedo l’ora di incontrarlo.
 
 
 



-

Prossimo capitolo:
La nascita del prediletto
21/02




Nota dell'autrice

Buonasera ragazzi! Scusate il ritardo ma è stata una giornata intensa, dato che ho finito di lavorare alle 7 (e sì... ho lavorato nel weekend). Il tempo di mangiare, rapida revisione e... eccoci qui.

Che bello poter finalmente iniziare a costruire il personaggio di Froze! Se mi seguite dalle altre storie avrete già un'idea di come sia fatto, ma è interessante poter raccontare com'è arrivato a essere ciò che sappiamo e, soprattutto, non vedo l'ora di approfondire il suo rapporto con i fratelli, in particolare con Cooler. Di certo più avanti ci sarà anche uno spin-off dal suo POV, anche se non so bene quando. 
A
llo stesso modo non vedo l'ora di vedere come Cold e Cooler interagiranno tra loro e creeranno il loro legame. Ormai, dopo aver conosciuto un po' Froze, è chiaro che lui e Cold siano un bel po' incompatibili... con Cooler tutto ciò sarà molto diverso. E con Freezer... be', siamo ancora lontani dalla sua nascita, ma sarà davvero fantastico scoprirlo.
I
l prossimo capitolo conterrà scene forti e tanto sangue, ovviamente, quindi avete una settimana per prepararvi psicologicamente. A partire da adesso!
Come al solito ho davvero poco tempo per rispondere alle recensioni e non voglio "arronzare", quindi recupero tutto appena avrò un giorno libero dal lavoro... spero presto.

Ciao!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La nascita del prediletto ***


5.
La nascita del prediletto


-
 
Mi è sempre piaciuto immaginare di plasmare i miei figli all’alba, all’esterno, quando le tempeste si placano e Arcos veglia sul silenzio di chi osa uscire.
Con Froze non ho potuto: mio padre me l’ha impedito dicendo che mi avrebbe lasciato da solo ad affrontare la nascita se avessi insistito. Lui, come tanti altri, ripudiava il pensiero di risalire e detestava che io lo facessi: quando qualcuno del clan andava a riferirgli di avermi visto uscire o rientrare mi puniva severamente, minacciandomi di rinchiudermi in casa se non avessi obbedito.
In realtà non ha mai potuto fare nulla di concreto per impedirmelo; ogni volta che mi sono guadagnato la libertà trasgredendo le sue regole ho immaginato di costruire un mio palazzo là fuori e poter finalmente sapere cosa accade al sollevarsi delle tempeste sulla superficie arcosiana, un mistero che mi ha tenuto sveglio per molte notti da ragazzino. Inoltre, per molte ore durante la mia meditazione giornaliera ho immaginato di plasmare mio figlio proprio lì, alla luce dell’Astro Ghiacciato.
Eppure, nonostante Snow sia morto e adesso sia io a comandare, non riesco a prendere la decisione di svolgere la nascita di Cooler fuori dalla città sotterranea. Il motivo è uno solo: sono terrorizzato. So che nessuno mi seguirà se vado fuori e, soprattutto, so che non posso restare da solo.
Dinnanzi a me, poggiata sul terreno, c’è la stalattite che ho rubato ai rami di uno degli alberi pietrificati dell’esterno. Non fa alcuna differenza da dove prendiamo il ghiaccio fintanto che è stato generato dal cuore gelido di Arcos, ma sono troppo legato alla superficie per plasmare un figlio con il ghiaccio impuro delle grotte sotterranee.
La lama sembra osservarmi e attendere. Sono scosso da un brivido: so cosa accadrà tra poco e mi basta questo per tremare.
L’ho già fatto, ripeto a me stesso. So cosa aspettarmi.
Ma è esattamente questo il problema.
Non riesco a togliermi dalla mente immagini già viste e sensazioni già provate. Sangue, ovunque, con il suo odore penetrante e il suo colore vivo; dolore lancinante che si espande in tutto il corpo, lambisce gli organi, ottenebra i sensi; gambe che si piegano lasciandomi crollare sul terreno, dita che si stringono attorno al piccolo corpo di un nuovo nato con il terrore di non riuscire a controllarsi, di schiacciarlo. Poi lo sguardo: il primo, intenso sguardo che crea il legame più forte che esista, quello tra padre e figlio, ovattato dalla mia perdita di coscienza. Infine il nulla. Persino il dolore si spense.
Mi guardo attorno osservando il giardino. Come credevo sono totalmente solo: Froze non si è più fatto vivo dopo la nostra discussione di ieri sera. Meglio così, mi dico; se deve stare qui a frignare tanto vale che se ne stia da parte.
Deglutisco un bolo acido. Sto prendendo tempo ma non posso più attendere: ogni attimo che passo ad esitare mi getta sempre più nel panico.
Afferro la stalattite tagliente; perfetta allo scopo e delle dimensioni giuste, infatti l’ho scelta con estrema cura. Osservo la luce rimbalzare sulla sua superficie lucida, limpida.
Il ghiaccio di Arcos.
Avvicino la punta al palmo della mano poggiandola proprio al centro. È così aguzza che riesco a graffiarmi la carne con una minima pressione; mi basterà poco a penetrarla.
Il sangue di Arcos.
Il sangue infetto del mutante.
Prendo un profondo respiro, scaccio ogni pensiero e chiudo gli occhi: adesso devo solo concentrarmi. È il momento.
Richiamo l’aura sul palmo della mano sinistra e impugno la stalattite con la destra, salda più che posso. Sento l’aura scorrere, arrampicarsi sul braccio, frizzare, far vibrare l’aria.
La vita che nasce dall’energia.
Tutto attorno a me viene rischiarato da una luce tenue che si fa sempre più potente man mano che l’aura si accumula sul palmo proprio dove la punta del ghiaccio di Arcos inizia a premere, timida, pronta ad affondare i suoi denti nella mia carne. Di nuovo.
Quando la mia mano si fa rovente e pulsante di energia e la luce inizia a riflettersi sulle mie palpebre chiuse, apro gli occhi.
Nasci perfetto, figlio mio.
La mia mano agisce come se appartenesse a un altro. Premo la lama a fondo: quella mi squarcia la carne con estrema facilità, facendosi strada dolorosamente tra i muscoli, i tendini, le ossa. La punta, però, non penetra dall’altra parte; il ghiaccio si scioglie a contatto con l’aura, ribolle sul palmo, si infiltra nelle mie vene. Diventa un tutt’uno con il sangue che sgorga dalla ferita, con l’energia accumulata sul palmo; d’un tratto sento il mio intero braccio andare in fiamme e tremare mentre il dolore si fa sempre più forte, troppo da sopportare. La mano tenta convulsamente di richiudersi ma lotto con tutto me stesso per tenerla aperta. Dinnanzi ai miei occhi tutto è sfocato: vedo soltanto ombre, ma sento che il processo è in corso e non posso arrendermi. Non adesso! Credo che verrò meno ma so che il peggio non è ancora arrivato.
Serve più sangue.
Stringo forte la lama tra le dita e, con un dolore lancinante che mi appanna la vista, trascino la sua punta verso il polso. Un vistoso taglio si apre man mano che procedo lungo il mio braccio.
Ho l’udito annebbiato ma sono certo di star urlando; il dolore inizia a espandersi oltre il braccio, a ghermire il petto e il cuore, a stringermi lo stomaco in una morsa, a pungermi il cervello nel cranio. Ma non mi fermo, non posso. Abbasso il braccio così che meno sangue possibile possa andar sprecato; tutto quello che ricade di lato finisce a macchiare di grandi gocce il terreno, ma quello che scorre verso il palmo, verso la sfera luminosa che stringo, inizia a gorgogliare, a concretizzarsi in una piccola, palpitante ombra. Più sangue assorbe, più il ghiaccio va a fondo nella mia carne, più l’energia si espande fino a pesarmi tra le dita.
Premo la stalattite ancora più a fondo, spingo verso l’incavo del gomito e un altro fiume cremisi scorre verso il basso: ci siamo quasi. Nella luce riesco a intravedere una forma muoversi, la sento sulla mia pelle…
Proprio quando sono a un passo dal perdere i sensi la figura si fa nitida e due piccoli piedi ghermiscono la mia carne con decisione, qualcosa mi si avvolge attorno al pollice.
Ce l’ho fatta.
È finita. Estraggo quel che resta del pezzo di ghiaccio dal mio braccio con un urlo e lo scaglio lontano; il sangue che sgorga dalla ferita mi sguscia tra le dita quando provo a tapparla con la mano e presto ricordo il mio errore della prima volta, ciò che costrinsi mio padre a fare pur di salvarmi la vita: cauterizzare. Bisogna chiudere la ferita o il sangue non si bloccherà mai e io morirò dissanguato prima ancora di accorgermene.
Non ho molto tempo: la luce sta svanendo, presto l’essere a cui ho dato la vita vedrà il mondo per la prima volta e la prima cosa che apparirà ai suoi occhi devo essere io.
Adesso è il palmo destro a bruciare di energia, la poca che mi resta. Stringo forte i denti mentre la carne mi sfrigola trascinandosi dietro altro dolore insopportabile, ma il risultato è quello che volevo; il sangue smette presto di scorrere.
Mi sento male, mi viene da vomitare. Attorno ai miei piedi c’è una pozza rossa, intensa, e il mio avambraccio è totalmente intriso del sangue che già inizia a seccarsi.
La mia mano, però, è uno spettacolo.
Dinnanzi a me c’è la magia della nascita. Osservo all’interno della luce, impaziente di cogliere i primi dettagli di mio figlio:  quella pian piano sfuma lasciandomi intravedere un esserino minuscolo che sembra incredibilmente fragile, dalla pelle di un viola intenso e con accenni di esoscheletro bianco sul petto e sul capo, dove una bioplacca trasparente inizia già a prender colore ora che il suo cuore sta cominciando a battere e il mio sangue inizia a scorrergli nelle vene.
È inginocchiato, le braccia tese in avanti, la testa bassa e la coda avvolta attorno al mio pollice, forse per sentirsi al sicuro e percepire il mio calore. Gli concedo tutto il tempo che gli occorre.
Il suo petto si gonfia e si sgonfia; sta iniziando a respirare. Il resto del suo corpo trema e io avrei voglia di aiutarlo, ma non intervengo: dev’essere lui a decidere quando è il momento. Trascorrono una manciata di minuti prima che sia pronto ad alzare lentamente la testa nella mia direzione.
I suoi occhi rossi sono esattamente uguali ai miei.
I nostri sguardi si incrociano e si allacciano. Ci guardiamo per qualche secondo che mi sembra infinito in cui dimentico del tutto il dolore, la paura, dimentico persino la leggenda. Non mi interessa di null’altro: adesso ci siamo solo io e lui, Cold e Cooler, sangue del mio sangue.
Ed è diverso dalla prima volta. Stavolta il primo sguardo con mio figlio è limpido, non turbato da nulla. Ho tutto il tempo per fare la sua conoscenza.
«Cooler.»
Mi guarda senza capire ma non stacca gli occhi dai miei neanche per un attimo, come se un istinto innato lo attraesse senza possibilità di fuga. Si mette seduto a fatica, barcollando, senza lasciarmi il pollice a cui continua a restare avvinghiato; quasi non sento il suo peso, tanto è leggero.
Avvicino l’indice della mano destra a lui e attendo. Come se sapesse, come se avesse compreso, lui apre la mano e poggia il palmo proprio contro il mio dito, delicato. Il tocco minuscolo di un minuscolo arcosiano.
«Cooler» ripeto, con le lacrime agli occhi. Mio padre mi avrebbe detto che sono un debole, ma come posso trattenere l’emozione?
Eppure mi sento mancare: la spossatezza inizia a chiedermi il conto di tutta la mia forzata resistenza. Sono costretto a mettermi in ginocchio prima di crollare ma faccio estrema attenzione a non fare del male a mio figlio. Anche una minima disattenzione potrebbe costargli la vita, adesso.
È ancora troppo piccolo per parlare ma di certo capisce, perché sembra preoccupato a vedermi in queste condizioni. Si mette in piedi, mi guarda senza sapere cosa fare; lo poggio sul terreno, ho bisogno dell’altra mano per potermi tenere dritto.
«Perdonami… io non riesco a…»
Non posso concludere la frase. Sento le braccia farsi molli e un attimo dopo crollo sul terriccio intriso di sangue perdendo finalmente i sensi. L’ultima cosa che vedo è un’ombra lontana che si avvicina, rapida, forse urlando il mio nome.
 
 
*  *  *
 
 
Quando riapro gli occhi vedo dinnanzi a me soltanto bianco.
Neve, è il primo pensiero che mi rapisce il cervello, ma mi basta un attimo a capire che è un’intuizione stupida oltre che sbagliata. Come potrebbe essere la neve se ciò che sento attorno a me è la morbidezza di un materasso e il calore di un letto?
Infatti appena mi guardo attorno capisco di essere in una delle mie stanze, all’interno di un letto a baldacchino che non uso mai. Abbasso gli occhi. Le lenzuola sono bianche e candide; il mio braccio sinistro, teso verso l’esterno, è stato ripulito dal sangue e la carne si è quasi del tutto rimarginata. Ciò che resta della nascita è una sottile linea che mi spacca l’avambraccio in due e termina esattamente al centro della mia mano.
Questo pensiero mi pietrifica.
La nascita!
Mi guardo attorno ma non mi occorre molto per tirare un sospiro di sollievo: al lato del letto, distesa sulle coperte accanto a me, c’è una minuscola macchia viola che tiene gli occhi chiusi. Eppure sembra percepire il movimento o forse il mio sguardo perché alza il capo all’istante e sgrana gli occhi nel vedermi sveglio.
«Papà!»
Si avvicina a me risalendo le coperte, incespicando nella sua stessa coda. Si è già quasi messo in piedi e parla. Quanto diamine ho dormito?
Sto per dire qualcosa ma una voce mi interrompe prima che possa aprire bocca.
«Si dice padre, non papà. Portagli rispetto.»
Sia io che Cooler ci voltiamo verso la voce: Froze è seduto su un altro letto, poco distante, a gambe e braccia incrociate. Non sembra contento di vedermi sveglio quanto dovrebbe.
«Non ha voluto andarsene» dice, riferendosi al fratello. «Non ti ha lasciato solo neanche per un attimo negli scorsi tre giorni.»
«Tre giorni?» dico, con la voce rotta di chi non parla da troppo tempo. Faccio per mettermi seduto: sono ancora debole ma mi sento rinato. La nascita di un figlio è una cosa assurda e incredibile: ti spinge fino al limite della morte e ti riporta indietro più forte di prima. Una catarsi.
«Hai dormito per tre giorni» conferma Froze. Gelido.
Tendo la mano aperta verso Cooler, che salta sul mio palmo crollando seduto. Non riesce ancora a mettersi in piedi, eppure mi è stato accanto con la consapevolezza di chi è già pienamente in grado di comprendere. Lo guardo negli occhi, lui guarda me: il cuore mi batte più forte di quanto dovrebbe.
Non è lo stesso che ho provato con Froze.
Guardo il mio primogenito. Non si muove, continua a tenere le braccia incrociate.
«Sei ancora arrabbiato con me?»
Non risponde.
«Eppure sei stato tu a soccorrermi. Non è vero?»
«Non desideravo che morissi» dice. «Ma il mio pensiero non cambia. Sei uno sconsiderato, padre. Potresti aver rovinato tutto, e per che cosa?»
Per che cosa?
Per ciò che tengo tra le dita, vorrei dirgli, ma qualcosa mi trattiene; forse voglio solo evitare di provocarlo. Non capirebbe, in ogni caso.
Non rispondo e lui non attende. Si alza ed esce dalla stanza senza aggiungere una parola, dandomi le spalle.
Cooler lo segue con lo sguardo e resta fermo a osservare la porta vuota anche quando Froze sparisce all’esterno. Non mi sfugge che i suoi occhi brillino di collera… e odio. Un odio così intenso che non dovrebbe essere parte di un arcosiano così piccolo.
Cosa ne sa dell’odio chi non ha neanche tre giorni di vita?
Eppure è inconfondibile, ma un attimo dopo si spegne quando torna a guardare me pieno di preoccupazione e apprensione.
«Padre» dice.
E io non posso che sorridergli e sospirare di sollievo.
È salvo, penso. E non potrei essere più in pace di così.



-

Prossimo capitolo:
-
28/02

Nota dell'autrice

Buongiorno!
Finalmente, dopo tanti anni, ho potuto raccontare la nascita di un arcosiano. Ho immaginato il processo per così tanto che "vederlo" mi ha davvero emozionata, nonostante sia davvero forte, forse anche più di una normale gravidanza umana.
Ciò che tenevo a sottolineare fin da subito, invece, è il legame tra Cold e Cooler, che a quanto pare è nato nel momento esatto del loro imprinting. Non vedo l'ora di poterlo descrivere ancora più a fondo... oltre ad approfondire quello tra Froze e Cooler, ovviamente. 
C'è così tanto da raccontare e così maledettamente poco tempo per farlo (infatti non ho ancora terminato il prossimo capitolo)...
Al prossimo capitolo, buona domenica!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sette giorni ***


6.
Sette giorni


-
 
Una delle cose che più mi sorprende della mia razza è la rapidità con cui gli arcosiani maturano dopo esser nati. Per quelli della mia famiglia, in particolare, la cosa è ancora più evidente.
Poco più di una settimana fa non avevo neanche idea che avrei avuto un figlio a breve. Oggi invece ho Cooler, già perfettamente in grado di muoversi e apprendere. Due giorni dopo la sua nascita, ben prima di quanto necessario a qualunque altro arcosiano, ha già iniziato a camminare, levitare e parlare, anche se ovviamente non conosceva ancora le parole da utilizzare.
Ho deciso di richiedere qualche giorno in più di assenza  dall’Assemblea con la scusa di potermi riprendere del tutto dopo la nascita di Cooler e di poter badare a lui nei primi giorni di vita. La realtà è che dopo il mio risveglio ero già perfettamente in grado di rialzarmi, anzi, mi sentivo totalmente in forze; allo stesso modo non ho avuto alcun bisogno di accudire Cooler, che bada fin troppo bene a se stesso fin da quando l’ho plasmato.
Questi giorni, tuttavia, mi sono stati indispensabili per due motivi: innanzitutto per tener d’occhio mio figlio e il suo potere, che non gli ho ancora chiesto di mostrare, e poi per insegnargli ciò che c’è da imparare.
Innanzitutto ho deciso di parlargli del nostro pianeta. Gli ho raccontato che la città sotterranea sia divisa in cinque quartieri, ognuno sotto il controllo di un clan, e che la pace regna su Arcos da tempo immemore. Gli ho anche detto che oltre questi tunnel c’è molto altro e che presto lo condurrò con me all’esterno per mostrarglielo, e mi è sembrato entusiasta. Ha imparato tutte le parole che ho utilizzato nei miei racconti e, anche se non sa ancora articolare le frasi alla perfezione, ha già iniziato a rispondermi e fare domande.
Tutto ciò, oltre a rendermi estremamente fiero di lui, mi rincuora: ormai è certo che sia un mutante, anche se non so ancora in che misura. Solo i mutanti possono crescere così in fretta.
L’unica cosa che ancora non sa è ciò che dovrò raccontargli oggi: la parte più importante del discorso, quella che lo riguarda in prima persona e che da domani, quando dopo i giorni di riposo che ho richiesto sarò costretto a lasciarlo solo, dovrà avere ben chiara in mente.
Lo vedo entrare nelle mie stanze dopo pochi minuti da quando l’ho fatto chiamare. Piccolo com’è dovrebbe sentirsi molto insicuro, eppure già levita con una fermezza invidiabile.
Quando mi vede seduto sul letto viene a poggiarsi proprio ai miei piedi, alzando il capo per guardarmi negli occhi.
«Mi volevi, padre?»
«Sì» annuisco. Poi sospiro. «Davvero, puoi chiamarmi papà. Non la considero una mancanza di rispetto.»
Scuote il capo con decisione.
«Ma di fatto lo è, e io non ti mancherò di rispetto in nessun caso, padre.»
Mi stringo nelle spalle. È la seconda volta che glielo ripeto e già ho voglia di arrendermi: non ho la forza di insistere, non adesso.
Gli faccio un cenno e lui capisce al volo. Si solleva, levitando nell’aria di fronte a me, e si poggia proprio nel palmo della mia mano sinistra, su cui ancora spicca la cicatrice da cui è nato. Torna a guardarmi negli occhi, in attesa; non lo lascerò aspettare a lungo.
«Ti avevo promesso che ti avrei introdotto al mondo con tutti gli onori, ma prima di farlo devo spiegarti tutto. Te la senti? Se vuoi possiamo rimandare di qualche altro giorno.»
«Padre, aspetto questo momento da quando sono nato» mi dice, impaziente. Mi lascio sfuggire un sorriso. Parla come se attendesse da decenni… sette giorni sembrano sempre un’eternità per chi non ha già vissuto trent’anni.
«Così sia, allora.»
Mi metto più comodo sul letto e anche lui si siede a gambe incrociate nel mio palmo. Potrei poggiarlo sul materasso ma non lo farò: mi piace questo contatto e anche lui sembra pensare lo stesso dato che non si è spostato di sua spontanea volontà.
È il momento. Prendo coraggio prima di iniziare.
«Come sai, siamo arcosiani. In particolare tu sei il figlio del Gran Cold, uno dei cinque Capoclan del pianeta Arcos, e fratello di Froze, il mio diretto successore.»
Non mi sfugge che il suo sguardo sprizzi una strana scintilla quando nomino suo fratello, ma non glielo faccio notare. Ciò che ho visto tra loro nei pochi giorni che hanno avuto per conoscersi non mi è affatto piaciuto: sarà un discorso da affrontare a tempo debito con entrambi.
«Questo ti rende potente» continuo. «Ma c’è altro. Io sono un mutante, così come lo era mio padre e come lo è stata la nostra intera famiglia. Anche tu lo sei, questo è certo, ma bisogna stabilire quanto. C’è la possibilità che tu possa essere il mutante supremo, l’Essere Perfetto di cui parla la leggenda. In quel caso, figliolo, diverrai il potente Imperatore di Arcos e dell’Universo intero.»
Mi osserva senza parlare, negli occhi una strana luce: sembra affascinato, ma non capisco se sia rapito da ciò che sto dicendo o da me e dal modo in cui narro. So solo che in questo momento mio figlio pende totalmente dalle mie labbra ed ho la sua completa attenzione: ottimo, perché sarà meglio che si stampi queste parole nel cervello.
«Devo avvertirti, Cooler: nessuno deve sapere tutto questo. Gli arcosiani provano terrore al pensiero di quanto siamo potenti noi mutanti e di come potremmo dominare Arcos, se solo lo volessimo. Quindi dobbiamo tenere nascosta la verità e limitare il nostro potere, così da non insospettirli. È chiaro?»
Annuisce, ma c’è qualcosa che lo rende dubbioso. Si prende qualche attimo per raccogliere le parole e formulare la domanda e mi pento presto di non averlo interrotto prima.
«Mi chiedo: se possiamo dominare Arcos, perché non lo facciamo?»
È una domanda che mi posi anch’io molti anni fa, quando Snow mi fece questo stesso discorso per spiegarmi l’importanza di restare nell’ombra, ma non ebbi mai il coraggio di esternarla a mio padre. Ho dovuto trovare da solo la risposta in tutti gli anni in cui ho potuto rifletterci: non saprò mai se Snow la pensasse come me e quale fosse la sua verità, ma la mia ormai è chiara.
«Perché gli arcosiani sono un popolo di stupidi testardi» rivelo a Cooler. «Quando avranno dinnanzi l’Essere Perfetto in tutta la sua potenza capiranno di non avere speranze e si arrenderanno senza lottare, ma contro dei semplici mutanti come noi possono sperare di vincere unendosi in un unico grande esercito. Non si piegheranno mai a noi se non abbiamo il potere dell’Essere Perfetto.»
«Ma siamo comunque potenti» ribatte lui. «Quindi potremmo… potremmo…»
Le sue piccole mani danzano nell’aria tentando di dare una forma ai pensieri, ma ci sono ancora tante parole che non ho potuto insegnargli in questi pochi giorni e quella che cerca dev’essere una di quelle che non ho mai pronunciato. Lotta strenuamente contro se stesso, incespica, ringhia dalla frustrazione. Gli concedo tutto il tempo che gli serve, non abbiamo fretta.
«Non so come dire» prova a spiegarsi. «Siamo più potenti, no? Quindi potremmo…»
Il cuore mi accelera quando intuisco cosa intende.
«Combattere?»
«Combattere, sì, prima. E poi…»
«Vincere e prendere ugualmente il potere.»
Annuisce, anche se non è esattamente ciò che intendeva; me ne accorgo subito quando continuo.
«Questo vorrebbe dire scatenare una guerra su Arcos e dover uccidere molti dei nostri simili.»
Questa frase lo anima d’un tratto di incredibile frenesia, come se avesse finalmente afferrato la parola che continuava a sfuggirgli tra le dita. Il cuore mi si inchioda in petto.
«Ucciderli! Ecco cosa volevo dire. Sì, potremmo uccidere tutti gli stupidi testardi. Siamo abbastanza potenti per farlo, vero?»
«Sì» sono costretto ad ammettere. «Ma io non voglio la guerra, Cooler. Il sangue di Arcos è prezioso e ogni goccia che va sprecata è un peccato mortale nei confronti del nostro pianeta. Inoltre non è così che si diventa davvero potenti, ma questo te lo spiegherò più avanti. Adesso devi solo dirmi che hai capito. Dobbiamo restare nascosti fino al momento opportuno.»
«Quindi non ho alcun potere, giusto?»
«Giusto, per adesso devi fingere di non averne» gli confermo. «Se pensi di riuscirci, domattina ti mostrerò l’esterno e poi ti porterò all’Assemblea del Ministero dei Clan. I Capoclan non vedono l’ora di conoscerti.»
«Sì, per favore!»
Sembra esaltato all’idea. Non vede davvero l’ora di uscire da queste quattro mura e non so davvero come biasimarlo.
«E allora va bene. Adesso vai a prepararti, tra poco iniziamo la nostra lezione.»
Si mette in piedi e abbassa leggermente la testa in segno di saluto, cosa che ha visto fare a Froze e che ha prontamente assimilato; poi si dirige verso la porta, rapido, pronto ad apprendere molte nuove cose sul mondo che lo circonda con tutta la sua curiosità da neonato.
Quello che non è altrettanto pronto, oggi, sono io. Sento il palmo della mano bruciare là dove Cooler era seduto e la testa inizia a giocarmi strani scherzi. Ucciderli, è la parola che continua a rimbombare tra le pareti della mia scatola cranica.
Non avrei voluto insegnargliela in questo modo. Il ricordo dell’arcosiano giustiziato da mio padre ritorna, prepotente; mai prima di allora avevo pensato alla morte come a una soluzione e, anzi, l’orrore che provai al suo cospetto mi ha irrimediabilmente segnato. Cooler, invece, è riuscito a concepire il concetto dell’assassinio ancor prima di saperlo esprimere.
Provo uno strano senso di inquietudine. Il legame che sento con lui è infinitamente più stretto di quello che ho mai provato per Froze e proprio per questo riesco a percepire qualcosa di strano in lui… qualcosa di oscuro che è nato assieme alla sua coscienza, mescolato all’energia che gli scorre nelle vene.
Che sia questa l’essenza dell’Essere Perfetto?
Mi passo una mano sul viso e sospiro: è inutile soffermarmi, adesso. Ha solo una settimana di vita, troppo poco per capire. Forse col tempo mi sarà tutto più chiaro.
 
 
*  *  *
 
 
Tutti, nel mio quartiere, sapevano che avrei dato vita a un figlio: ovviamente la voce è corsa rapidamente e il mio clan si aspetta di conoscerlo presto. È per questo che ho preparato Cooler alla possibilità di essere osservato da ogni angolo appena metterà piede fuori casa per la prima volta.
Ci avviciniamo alla porta, pronti ad andare, e io lo osservo nel tentativo di capire cosa prova. È in piedi sulla mia spalla, le dita nervosamente arpionate nella mia carne; tiene le braccia incrociate e ha il respiro accelerato. È teso e posso comprendere il motivo.
«Non fare nulla che non ti senti di fare. Ci penso io» lo rassicuro e lui mi guarda facendo un rapido cenno del capo.
Vorrei poter fare di più, ma purtroppo quella di essere il figlio del Capoclan è un’incombenza da cui non può sottrarsi e una scocciatura da cui non posso proteggerlo.
Usciamo di casa senza esitare troppo. Mi lancio nelle strade, raccogliendo i primi inchini e gli sguardi sorpresi di coloro che incontriamo quando mi accorgono che sulla mia spalla c’è qualcosa, anzi, qualcuno.
«Gran Cold.»
«Buona giornata a te.»
Tutti, senza eccezioni, lanciano un’occhiata in direzione di Cooler; quella di alcuni è breve ma la maggior parte di loro gli incolla gli occhi addosso senza staccarli. Li vedo curiosi e incantati come mai prima; sarà per lo strano colore di Cooler, molto diverso dalla pelle chiara di Froze comune a quasi tutti gli arcosiani, o forse perché il nuovo membro del clan è arrivato in modo tanto rapido e inatteso, chi può dirlo.
Alcuni forse discuteranno di quanto sia stata una coincidenza la mia scelta di plasmare un figlio proprio adesso, all’improvviso, alla vigilia della Legge delle Nascite. Finché la cosa non arriva alle mie orecchie sono liberi di sparlare quanto gli pare.
Mi volto a osservarlo: Cooler non sfugge agli sguardi dei cittadini, anzi li ricambia con occhiate nervose e accigliate, ostili. È palese che non sia per niente a proprio agio, per questo continuo per la mia strada senza fermarmi, tra i saluti della mia gente.
«Gran Cold, congratulazioni per la nascita del tuo potente figlio» si inchina un anziano. Gli sorrido.
«Il suo nome è Cooler. Purtroppo non posso presentarvelo ora, ma sarà lieto di fare la vostra conoscenza al più presto. Che sia una lieta giornata.»
Mi innalzo in direzione del tunnel che porta all’esterno; sono ancora lontano dalla piazza centrale ma voglio sfuggire ad altri commenti. Cooler ha afferrato la mia spalla in modo serrato; voglio evitargli ulteriori stress, almeno per adesso. Un giorno sarà pronto a introdursi al clan; ora che è così piccolo credo che il suo silenzio sia più che giustificato.
Non lo interpello finché non mettiamo piede nel tunnel e finalmente siamo soli. Inizio a salire sempre di più, seguendo il cunicolo; man mano che ci avviciniamo all’uscita la luce aumenta, mentre la temperatura cala. Ho visto questo spettacolo migliaia di volte ma l’emozione che provo nel mostrarlo a Cooler non è paragonabile a nessuna di queste, nemmeno a quando io stesso per la prima volta percorsi questa strada.
«Sei pronto? Sarà uno spettacolo incredibile.»
«Sì!»
Qualcosa turba la mia trepidazione: un ricordo nemmeno troppo lontano.
E se non gli piacesse?
Nulla che non abbia già affrontato, mi dico, ma c’è una differenza fondamentale: stavolta rispetto a Froze sento tutto amplificato. L’emozione di condividere con mio figlio la mia gioia più grande, la voglia di fargli scoprire il nostro mondo, la curiosità su cosa avverrà dopo che l’avrà conosciuto. Sono certo che sarebbe molto più forte anche la delusione, se Cooler dovesse rivelarsi poco entusiasta come lo fu Froze, ma mi sento fiducioso.
La bocca del tunnel inizia ad aprirsi proprio dinnanzi a noi, in lontananza. Mentre ci avviciniamo gli faccio cenno di saltare sulla mia mano e lui non se lo fa ripetere due volte; appena poggia i piedi serro le dita attorno al suo corpo per tenerlo forte pur lasciandogli le braccia libere di muoversi, facendo estrema attenzione a non fargli del male. Lui non si oppone, non mi chiede nemmeno il motivo; questa è solo l’ennesima conferma del fatto che Cooler si fidi di me ciecamente.
L’intensa luce dell’Astro Ghiacciato ci acceca per qualche attimo quando mi lancio attraverso la volta di permafrost mettendo piede all’esterno. Tutto ciò che avverto è una folata gelida e impetuosa che mi travolge: il benvenuto di Arcos al suo più assiduo visitatore.
I primi brividi mi corrono lungo la schiena proprio mentre la vista ritorna, adattandosi all’incredibile luce dell’Astro. La prima cosa che faccio è guardare Cooler: i suoi occhi sono delle piccole fessure attraverso cui le pupille sbirciano, curiose. Anche lui sembra aver sofferto la luce improvvisa ma pian piano si abituerà. Forse non può dire lo stesso del freddo e, soprattutto, del vento: motivo per cui lo tengo ben saldo, così da non costringerlo a sforzarsi nel tentativo di non essere spazzato via.
Non se ne lamenta. Si guarda attorno e, appena riesce, spalanca gli occhi dalla sorpresa; poi si volta verso di me.
Inizio ad avanzare verso un punto preciso: il mio sperone di roccia preferito, quello su cui siedo tutte le mattine. Ora che ho una mano fuori uso ho assolutamente bisogno della coda per tenermi in equilibrio, nel caso il vento si faccia troppo burrascoso.
«Questo è l’esterno» gli racconto. «Quello che ci illumina è l’Astro Ghiacciato: lo chiamiamo così perché la sua luce è gelida e i suoi raggi mantengono l’atmosfera di Arcos attorno ai cinquanta gradi sotto zero. Purtroppo le tempeste di neve sono così violente, soprattutto di notte, che la superficie è sempre stata impossibile da abitare per gli arcosiani. Per questo abbiamo costruito la città nel sottosuolo.»
Cooler ascolta con estremo interesse e appena finisco di parlare torna a guardarsi attorno, incredulo.
«Ti prego padre, lasciami andare. Voglio… voglio…»
Non sa neanche lui cosa vuole o non riesce a esprimersi? Non riesco a capirlo e, in fondo, è irrilevante. Non potrei mai lasciarlo libero di muoversi in questo inferno in tempesta.
«È pericoloso, sei ancora troppo piccolo» nego. «Il vento potrebbe alzarsi da un momento all’altro e trascinarti lontano tra le tempeste, e non me lo perdonerei mai.»
La delusione dipinta sul suo viso mi fa star male ma non ribatte: è abbastanza intelligente da sapere che ho ragione. In ogni caso mi sento in dovere di tirarlo su di morale.
«Ti prometto che verremo qui assieme tutti i giorni e appena diventerai un po’ più grande sarai libero di goderti il panorama quanto vuoi.»
Solo quando sono seduto, la coda ben stretta contro la roccia, riesco a concedere a Cooler una vista migliore su ciò che ci circonda. Lo osservo divorare con lo sguardo l’immensità di Arcos e provo una strana emozione: vengo qui ogni mattina, eppure mi sembra di vedere tutto questo per la prima volta. Né Hailstone né Froze, gli unici che prima di lui ho condotto all’esterno con me, sono mai stati tanto entusiasti di ciò che vedevano. Non ho mai potuto condividere appieno con nessuno la mia immensa passione per questo posto, ma adesso, con Cooler… con lui sarà tutto diverso.
Perfetto o imperfetto, sei la scelta migliore che abbia mai fatto, figlio mio.
Non si sforza nemmeno a parlare o commentare: per troppi motivi è improbabile che riesca a descrivere le sue sensazioni. Eppure è chiaro che sia estasiato e voglia vedere di più. Ottimo, perché da domani avremo infinite mattine da trascorrere assieme proprio in questo posto.
Il suo umore è totalmente diverso rispetto a quello di qualche minuto fa e quasi dimentico ciò che è accaduto tra le strade del mio quartiere, ma appena il pensiero mi si affaccia alla mente lo afferro per non dimenticarlo. Voglio davvero discuterne ora.
«Potresti aiutarmi a conoscerti meglio, Cooler?»
Si fa attento.
«Conoscermi?»
«Sì. Capire chi sei, cosa provi. Parlarmi di te.»
Sembra confuso. Capisco tardi che ciò che gli sto chiedendo debba essere molto complicato, dato che probabilmente neanche lui stesso si conosce ancora.
«Posso farti delle domande a cui rispondere» gli dico. «Ad esempio: cos’hai provato poco fa, quando eravamo tra la nostra gente?»
Abbassa lo sguardo.
«Io… avevo paura» ammette. «C’erano troppe persone a guardarmi.»
Come avevo immaginato.
«E poi non capivo» continua.
«Cosa non capivi?»
Fissa gli occhi nei miei e mi chiedo come sia possibile che un esserino così piccolo abbia così tanto potere su di me e sul mio umore. Provo una strana agitazione nel vederlo scuotere leggermente il capo, stringersi nelle spalle.
«Non capisco proprio perché sei così gentile con quegli esseri inferiori.»
Esseri inferiori. So che lo sono, ma non lo avevo mai visti sotto questa prospettiva… non ci avevo mai pensato per più di qualche secondo, ritenendolo un argomento di poco conto.
Perché Cooler continua a essere così… superbo? È la sua natura a renderlo così? Quell’oscurità impigliata a fondo nella sua anima, che emerge sempre più pian piano che mi svela i suoi sentimenti?
La domanda, comunque, richiede una risposta appropriata ed è il momento giusto per affrontare la questione; un’altra cosa fondamentale che mi preme insegnargli subito, l’ennesima risposta che io stesso mi sono dato col tempo.
«Ci sono due modi per comandare: con la brutalità o con la comprensione. Entrambi hanno lo stesso effetto: creano dei sottoposti. Ma ci sono due tipi anche di sottoposti: i servi sottomessi e i sudditi fedeli. La differenza è tutta qui. Un servo sottomesso con la forza proverà rancore e prima o poi ti si rivolterà contro. Un suddito fedele, invece, ti servirà con devozione fino alla fine dei suoi giorni. Ecco perché sono così gentile con loro ed ecco perché dovresti esserlo anche tu, Cooler.»
Spero davvero che abbia recepito il messaggio e che ricordi a lungo queste parole ma non posso esserne certo perché non ribatte, ma semplicemente si volta verso la fonte di un rumore improvviso. In lontananza si sta alzando un tornado; la colonna scura inizia a formarsi, inghiottendo i primi strati di neve e tingendosi lentamente di bianco. Mi sembra pensieroso ma, ancora una volta, non so se non riesca a rispondere per via dei suoi limiti o se non voglia farlo.
Mi sento di continuare.
«Tra poco, all’Assemblea, potrebbero farti delle domande o chiederti di usare l’energia. Se fossi un normale arcosiano saresti ancora troppo piccolo per farlo, quindi non dovrai cadere nella trappola. Per quanto riguarda le domande, so che risponderai come si addice a un essere intelligente come te.»
«Devo fingere» dice. Per un attimo ho la sensazione che questa risposta possa riferirsi al discorso precedente, alla gentilezza che gli ho chiesto di mostrare con i suoi sottoposti. Decido di dargli una risposta universale.
«Sì, devi imparare a fingere. Solo così potrai scegliere chi essere agli occhi del mondo, nonostante chi sei davvero.»
Annuisce, finalmente mi sorride. Forse ha capito.
«Anche tu puoi aiutarmi a conoscerti meglio, vero, padre?»
Percepisco questa domanda come invadente e la cosa mi rattrista. Vorrei essere più aperto almeno con Cooler ma ci sono alcune cose di cui non mi sento di parlare, con lui o con nessun altro; sentimenti oscuri che solo Hailstone conosce e solo perché me li ha tirati fuori con la forza. Forse col tempo gli racconterò tutto, chissà, ma dovrà darmi una buona motivazione per farlo.
Comunque la sua non è una domanda che prevede una risposta negativa, quindi ricambio il sorriso.
«Ma certo. Solo non adesso. Tra poco si alzerà la tempesta e l’Assemblea sta per iniziare. Domani avremo più tempo da trascorrere qui.»
«Torneremo anche domani?»
«Se vuoi seguirmi, perché no. Io vengo qui tutte le mattine.»
«Sì, padre, voglio seguirti» afferma con decisione. «Voglio conoscerti davvero. Poi ti racconterò di me, se lo vorrai. Voglio diventare proprio come te!»
«Diventerai anche meglio di me» lo rassicuro. Sciolgo lentamente la coda dalla roccia. «Adesso andiamo, ti aspetta la tua prima prova. Ricorderai ciò che ti ho detto?»
«Sì.»
Ritorniamo sui nostri passi e io mi accorgo di aver dimenticato la mia inquietudine in un attimo. Se anche Cooler avesse un lato oscuro non ne ha colpa e mi occuperò di questo a tempo debito; intanto bisogna porre le basi per tutto ciò che verrà dopo e presentare mio figlio ai Capoclan è il primo passo da compiere. In fondo non vedo l’ora che Hailstone lo conosca, sono certo che sarà un ottimo punto di riferimento per lui.
Eppure, mi ripeto mentre rientro nel tunnel, è assurdo come tutto sia cambiato in così poco tempo. Sette giorni: tanto è bastato a conquistarlo, e a lui a conquistare me.
 



-

Prossimo capitolo:
-
7/03




Nota dell'autrice:
Ciao ragazzi!
Ancora una volta in extremis (ma sempre in tempo, eheh!) ecco un capitolo appena sfornato per voi. 
So che la storia sta procedendo lentamente ma in questa fase mi preme davvero concentrarmi sulla psicologia dei personaggi e anche collegare la storia di Cold e quella di Cooler (qualcuno ha notato? 3:)
Il rapporto padre-figlio tra Cold e i suoi tre eredi sarà una delle colonne portanti di questa storia, quindi aspettatevi lo stesso approfondimento anche per il fratellino minore! Inoltre adoro il poter mostrare Cooler, che tanto ho descritto e approfondito nella sua storia dedicata, da un punto di vista diverso e soprattutto nei primi momenti della sua vita, così che si possa percepire la crescita che lo porterà a diventare ciò che abbiamo letto in "Cooler: Origins". 
Ovviamente mi manca un sacco scrivere dal suo POV, quindi vi anticipo che presto ci sarà uno spin-off dal punto di vista di un piccolissimo Cooler, e davvero non vedo l'ora di scoprire com'era da piccino e come è cambiato col tempo! Prevedo anche di scrivere altri due spin-off dai POV di Froze (che aspetto di scrivere da letteralmente ANNI) e, perché no, da quello di Freezer. Non vorremmo mai dimenticare da dove tutto è iniziato, vero?
Buona domenica (ormai agli sgoccioli), spero di poter pubblicare un po' prima la prossima settimana. In ogni caso non perdete la speranza: se pubblico così tardi è perché durante il resto del giorno lavoro come una pazza per scrivere/correggere pur di essere in tempo :')
A presto ragazzi!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Affronto ***


7.
Affronto


-
 
«Ricordi cosa ti ho detto, vero?»
«Sì, padre. Non devi dubitare di me.»
Vorrei dirgli che no, non ho dubbi sul fatto che sarà attento: ho solo il terrore che nella sua ingenuità possa sbagliare o, ancor peggio, sfidare i Capoclan di proposito se dovessero istigarlo. Non è un atteggiamento che mi pare appartenere a Cooler ma il rischio è troppo alto per correrlo.
Apro la grande porta e dinnanzi ai nostri occhi appare la Sala Oblunga: il luogo in cui da bambino, proprio come accadrà con Cooler adesso, fui presentato a questo stesso concilio di anziani. Fatta eccezione per uno solo tra loro.
Tutti si voltano verso di me appena sentono la porta aprirsi, Hailstone compreso. Non posso non sorridere al pensiero che proprio oggi sia stato puntuale.
«Benvenuto, Cold» mi saluta Arctic alzandosi dalla sedia. Un segno di rispetto che ho sempre apprezzato. «E benvenuto anche a te, Cooler. Siamo lieti di fare la tua conoscenza.»
Avanzo piegando il capo nella loro direzione e prendo posto alla mia seduta di fronte a Hailstone. Non mi sfugge che stia osservando mio figlio con un sorriso che non riesco a interpretare. È tenerezza? Negli occhi di quell’arrogante di Hailstone?
In effetti lui e Cooler andrebbero molto d’accordo.
Distendo la mano e Cooler salta dalla mia spalla al centro del mio palmo, esponendosi agli sguardi dei Capoclan con grande fierezza. Incrocia le braccia al petto, si guarda attorno senza parlare; nonostante sia nella stessa posizione di poche ore fa, quando abbiamo percorso le strade del nostro quartiere, il suo atteggiamento è molto diverso.
È il vecchio Gust il primo a prendere parola.
«Sai già camminare, vedo. Sai anche parlare?»
«Mio padre mi ha insegnato molto negli scorsi giorni.»
«Direi che è stato tempo ben speso» interviene Arctic e ho la netta impressione che voglia terminare il discorso e passare oltre. Gust tuttavia non pare dello stesso avviso, perché non stacca gli occhi da mio figlio e il suo cipiglio scontroso non mi lascia presagire nulla di buono.
«Già, ben speso» continua. «Cos’altro ti ha insegnato?»
Il silenzio cala sull’assemblea e sento un briciolo di panico iniziare a serpeggiare in me, perché non so quale sia la risposta giusta a questa domanda. Cosa può imparare un arcosiano appena nato in una settimana? Per cosa è ancora troppo piccolo? Non lo so, non ho mai avuto modo di chiederlo a nessuno dato che la cosa sarebbe stata fin troppo sospetta. L’unica cosa certa, che mio padre mi svelò prima che plasmassi Froze, fu che non avrei dovuto permettergli di usare l’energia fino ai dieci giorni di vita. Ma questo lo sa anche Cooler.
Il silenzio ha una fine solo quando Cooler si stringe nelle spalle. Solo io posso percepire quanto la sua coda tremi; se non fosse per questo penserei che sia del tutto sereno…
«Mi ha solo insegnato a parlare, nei limiti delle possibilità che sette giorni offrono. Cosa mi consigli di imparare, adesso?»
Sospirerei di sollievo se mi fosse concesso. Se possibile guarderei anche Hailstone dato che forse con un solo sguardo potrebbe suggerirmi cosa fare, ma non posso spostare gli occhi da Gust, che pare non aver ancora terminato il suo interrogatorio.
«Potrebbe insegnarti a usare l’energia» incalza, e quando il suo sguardo scivola da Cooler ai miei occhi sono certo che mi stia provocando. «Sai cos’è l’energia, vero Cooler?»
«Gust, smettila» interviene Arctic. Anche lui dev’essersi accorto del grande affronto che il Capoclan mi sta muovendo… perché il motivo non può essere nessun altro. Quella non è curiosità: sta testando mio figlio e la sua ingenuità tentando consapevolmente di coglierlo in fallo.
La rabbia mi infiamma le viscere come un incendio.
«Smettere cosa? Sono solo domande. Sto facendo la sua conoscenza.»
«Avremo tempo» taglia corto Arctic. «Adesso abbiamo una legge da approvare. Che ne pensi di procedere?»
«No.»
Mi sento parlare senza che nemmeno l’avessi preventivato. È stato il mio cervello a scattare in automatico: ora non posso più tirarmi indietro.
Cooler si volta a guardarmi come se volesse chiedermi cosa sto facendo. Non ricambio lo sguardo: i miei occhi sono fissi su Gust, colui che ha osato sfidarmi.
Come quell’arcosiano legato alla sedia…
«Gust mi sta mancando di rispetto» dico. «O forse sbaglio? A che scopo queste domande?»
«Ti senti chiamato in causa, quindi? Interessante» sorride lui, malevolo e sobillatore. Sento addosso lo sguardo di Hailstone ma non mi volterò a guardarlo: so bene cosa vuole dirmi e non mi interessa. Non ci passerò sopra, non adesso.
«Stai mettendo mio figlio in difficoltà, perlopiù instillando dei dubbi nei miei confronti, e l’hai già fatto prima ancora che Cooler nascesse.» Mi rivolgo direttamente ad Arctic. «Lo trovo inaccettabile. Non posso far finta di niente se il mio onore viene messo in discussione.»
Arctic sospira, esausto. Di certo ai suoi occhi dobbiamo sembrare dei bambini litigiosi, ma a me è stato insegnato a non farmi scorrere nulla addosso: più si accettano le provocazioni in silenzio, più ne arriveranno.
Qualcosa, in fondo, me l’hai lasciato sul serio.
«Gust, Cold ha ragione. Le tue insinuazioni sono offensive e inutili e il ragazzino non è qui per subire un interrogatorio.»
«Vorreste dirmi che soltanto io trovo strano tutto questo?» si anima d’improvviso Gust, lasciando libere tutte le parole che si teneva dentro da chissà quanto tempo. «Fare un figlio proprio una settimana prima dell’approvazione della Legge delle Nascite, subito dopo esserne venuto a conoscenza? Dopo solo un anno dal precedente? E perlopiù un secondo figlio, nemmeno destinato al potere! Mi state dicendo che soltanto a me tutto ciò risulta sospetto?»
Nemmeno destinato al potere…
«Non è un argomento da affrontare in questo modo» interviene Frostbite, che finora era stato in silenzio ad ascoltare. «Non puoi parlare così a un Capoclan.»
Gust sorride.
«Parlo come mi pare a questo moccioso.»
Ha sputato fuori queste parole quasi con disprezzo. Sgrano gli occhi dalla sorpresa, il respiro mi diventa pesante nel tentativo di trattenere la collera: non mi illudevo che mi considerasse suo pari, probabilmente non lo fanno neanche gli altri due anziani, ma con quanto ardore osa pronunciare certe parole proprio dinnanzi a me, proprio attorno a questo tavolo? Proprio in presenza di mio figlio?
La coda di Cooler mi si avvolge attorno al pollice e stringe con una potenza tale da fermarmi la circolazione. Lo avvicino di più al mio petto: vorrei tenerlo lontano da tutto questo, ora come non mai, ma non posso. Tutto ciò che posso fare adesso è farmi rispettare.
Ricorda di chi è il sangue che ti scorre nelle vene…
Scambio uno sguardo con Arctic e Frostbite. Entrambi si guardano allibiti, incerti su come procedere.
«Ritenete che questo sia accettabile in un’assemblea di governanti?»
Questa frase non è arrivata da nessuno di loro. Mi volto verso Hailstone, che si è alzato in piedi.
«Ritenete che costui possa insultarci solo perché siamo giovani e passarla liscia?»
Gust continua a sorridere; di certo si sente potente dietro la pesante muraglia della sua vecchiaia. Ma a parlare ora siamo in due, due contro tre. Mi sento già meno solo.
«Certo, come potevo pensare che tu non intervenissi a difenderlo?» sputa fuori Gust, sprezzante. «Amici per la pelle, no? Forse anche complici, chissà.»
«Gust, se non taci saremo costretti a sospendere l’assemblea e non potremo approvare la legge» interviene Frostbite. «Come lo spiegheresti al popolo?»
«Non c’è alcun problema. Non c’è niente da discutere» taglio corto. «Approvatela, vi do il mio benestare. Io, però, non resterò un attimo di più nella stessa stanza di quest’irrispettoso.»
«Cold, ti prego…» prova a fermarmi Arctic, ma io ho già preso la mia decisione: come sempre ci sono diversi modi per concludere questa storia e io sceglierò il più conveniente, anche se mi richiede estremo sforzo.
Ingoio tutte le parole non dette in un groppo rovente. Poi mi volto e mi dirigo verso l’uscita della stanza senza che nessuno possa fermarmi.
Alle mie spalle sento Gust ridere.
«Bravo, meglio così» dice. «Meglio che scappi. Tuo padre non l’avrebbe mai fatto: avrebbe risposto a parole, ma tu forse non ne sei capace.»
Dice qualcos’altro ma non riesco più a sentirlo quando volto l’angolo e percorro il lungo corridoio verso l’uscita.
Cooler, ancora fermo sul mio palmo, sembra non capire. Mi guarda, confuso, prima di tornare a osservare il vuoto perso nei suoi pensieri.
«Perché non hai risposto alla provocazione? Avresti potuto…»
«Avrei potuto fare tante cose» lo interrompo prima che possa dire qualcosa di sconveniente, e sono certo che lo farà. «Adesso taci o potrei perdere ogni briciolo di autocontrollo.»
Non aggiunge altro.
In tanti forse mi vedono quando, rapido e avvolto da un’energia rabbiosa, mi dirigo verso l’unico luogo al mondo che possa calmarmi e in cui posso essere solo: l’esterno. Forse molti si chiederanno se l’assemblea sia già finita in questo giorno così importante e perché io sembri così arrabbiato: è un bene, ovviamente. Desidero che si pongano domande e abbiano le giuste risposte.
La strada che mi separa dalle nevi mi sembra lunga mille anni; quando emergo dal tunnel e il vento mi sferza con inaudita violenza richiudo le mani su Cooler e solo ora mi accorgo che il suo corpo è rovente dalla rabbia.
Poggio i piedi tra la neve, poi le ginocchia, infine mi lascio andare disteso, a occhi chiusi, cullato dal vento e dal gelo. Ho bisogno di qualche attimo. Il mio animo si raffredda immediatamente e riesco a riflettere con più calma.
Mi congratulo con me stesso per come mi sono comportato. Non era difficile che potessi perdere la calma anche se ormai sono abituato a ingoiare gli insulti altrui e, forse, anche per questo dovrei ringraziare Snow. In fondo è anche merito suo e di quanto male mi ha sempre trattato se sono uscito totalmente vincitore da questa battaglia.
Su di me il cielo sembra un dipinto di nubi bianche che si incrociano, si abbracciano e poi spariscono; non è possibile osservarlo per più di un secondo senza che cambi irrimediabilmente, perdendo ogni traccia di ciò che era fino a un attimo prima. La mia mente fa lo stesso: si contorce tra i ricordi e i pensieri, muta e si trasmuta, vaga lontano finché, per un attimo, si perde nell’oscurità di una stanza remota dal pavimento ricoperto di sangue…
«Padre?»
Mi scuoto. Ho aperto le mani senza volerlo ma Cooler è rimasto lì dov’era, stretto al mio dito senza lasciarmi neanche per un attimo.
«Sì. Scusami, Cooler. Sono stato brusco.»
«Padre, quello che ti hanno detto non è accettabile.»
«Lo so.»
«Avresti dovuto replicare.»
Sì, forse avrei dovuto. Se fossi stato mio padre lo avrei fatto… o avrei fatto di peggio. In fondo è appena successo ciò che accadde a lui molti anni fa con quel cittadino, ma adesso al suo posto ci sono io. Come dovrei comportarmi? Cosa dovrei insegnare a mio figlio?
Domande retoriche. In fondo so bene cosa rispondergli.
«Qualsiasi altra reazione sarebbe stata sbagliata. Se fossi rimasto, accettando la provocazione, avrebbero pensato che fossi un debole o che non volessi aprire l’argomento. Se avessi risposto sarei stato insolente verso un anziano e avrebbero avuto un pretesto per attaccarmi. Così, invece, ho lasciato che se la sbrighino tra loro e ne sono uscito pulito.»
Mi chiedo se abbia capito perché non mi risponde. Quando lo guardo, però, mi accorgo che Cooler sta osservando con astio qualcosa alle mie spalle, che dalla mia posizione distesa non posso vedere.
Lo tengo in una mano sola e mi sollevo sui gomiti, allarmato, ma basta uno sguardo in quella direzione a capire che non c’è motivo di preoccuparsi. Avrei dovuto immaginare che mi avrebbe seguito.
«Pare che in fondo il piano non fosse così impeccabile» dice sedendosi nella neve al mio fianco. Sospiro lasciando andare un altro frammento della mia rabbia.
«È solo un imprevisto. Arctic e Frostbite faranno a Gust una bella paternale e ci pregheranno di accettare le sue scuse e ritornare nell’assemblea. Ciò che ha detto è stato davvero grave.»
«Sì, infatti l’ho presa sul personale. Se chiamano moccioso te… cosa possono pensare di me, che ho persino cinque anni in meno?»
Non aspetta una risposta: percepisco il suo sguardo cambiare obiettivo. Sono quasi certo che mi abbia seguito qui fuori solo per questo.
«Sai, piccino, ti chiami come mio padre. Cold ha voluto farmi questo regalo, dato che io non avrò mai figli.»
Cooler non risponde. In fondo non gli ho mai parlato di Hailstone, non ha idea se sia una minaccia o un amico, e anche se potrebbe averlo intuito dal mio atteggiamento sarà meglio che li presenti ufficialmente.
«Lui è Hailstone. È come un fratello per me.»
Mi accorgo troppo tardi che Cooler non può comprendere questa frase dato che non ha esattamente ottimi rapporti con il proprio. Sento di dovermi correggere.
«È come se fosse sangue del mio sangue. È l’unico che sa tutto. Con lui puoi parlare liberamente.»
Sembra convinto; l’essere intervenuto a mia difesa all’assemblea deve aver tolto ogni dubbio sul nostro legame. Infatti adesso è solo confuso e si rivolge direttamente a lui.
«Se dici che non avrai figli, come farai senza un erede?»
Un sorriso si dipinge sul volto di Hailstone.
«Il piccoletto è acuto, eh, Cold? Tutto suo padre. Il punto è che non mi interessano gli eredi. Ho altri piani.» Sott’occhio lo scorgo distendersi accanto a me. «Assieme al tuo papà faremo grandi cose.»
Non ho idea di cosa abbia in mente ma mi sento meno solo al pensiero che, qualsiasi cosa accada, lui sarà pronto ad aiutarmi. Me l’ha già dimostrato due volte mettendo a repentaglio la propria reputazione… eppure, da qualche parte nella mia testa, una voce maligna che non riesco a zittire continua a sussurrare, a suggerirmi terribili paranoie…
Ha fatto tutto questo solo perché puoi dargli potere…
No, non devo ascoltarla. Non può esser vero. Lui mi è stato sempre vicino, anche quando non sapeva del mio segreto.
«E perché mio padre dovrebbe volerti al suo fianco, se sei un semplice arcosiano?»
Resto impietrito da quella domanda. So che Hailstone non è il tipo da offendersi, ma in ogni caso mi sembra una gran mancanza di rispetto nei suoi confronti. Sto per rimproverare mio figlio quando lui scoppia in una risata divertita.
«Ha la lingua biforcuta» commenta Hailstone. Non sembra essersela presa. «Scoprirai presto che nulla è più forte di un vero legame. E inoltre ci sono molte cose possibili anche per noi semplici arcosiani… comunque, per quanto ne sai potresti esserlo anche tu. No?»
Cooler smania all’interno della mia stretta.
«No, io sono un mutante!»
«Devi ancora dimostrarmelo. Per adesso siamo uguali.»
Hailstone si mette seduto e io faccio lo stesso.
«Che ne dici se passo un po’ di tempo con il piccoletto, Cold? Potrei darti una mano ad allenarlo.»
«Solo se lui vorrà» mi limito a rispondere. Cooler non sembra molto felice della proposta ma presto scopro che è solo molto, molto arrabbiato.
«Non hai paura?» domanda mio figlio ad Hailstone.
«Paura di cosa? Di uno scricciolino come te?»
Cooler impazzisce del tutto. In un attimo sfugge alle mie dita, sgusciando via con tale rapidità che non riesco neanche a notarlo prima che sia troppo tardi per impedirglielo. Si scaglia verso Hailstone come una palla di fuoco, avvolto da un’energia furente che per un attimo mi spaventa.
Qualsiasi cosa volesse fare, però, è troppo piccolo per riuscirci. Hailstone tende una mano verso di lui e in un attimo Cooler è bloccato a mezz’aria, impossibilitato a muoversi, in trappola.
«La prima cosa che il tuo papà dovrebbe insegnarti è a non sottovalutare il nemico» dice avvicinandosi a lui. «Hai tanto da imparare.»
Cooler sprizza rabbia da tutti i pori, forse si sente umiliato oppure è proprio la mia presenza a bruciargli così tanto.
Hailstone mi fa un cenno e io comprendo al volo. Mi alzo e mi avvicino a mio figlio, afferrandolo di nuovo tra le mie mani. Solo adesso lui scioglie la sua psicocinesi e Cooler ritorna libero di muoversi proprio mentre Hailstone torna sui suoi passi verso il tunnel.
«Io rientro, questo posto mi ha già stancato. Ci vediamo domani, Cold?»
«Ti farò vedere!» urla Cooler prima che io possa rispondere. Hailstone lo ignora, ma sta ancora sorridendo.
«Porta anche Froze, se riesci.»
Poi salta nel tunnel e sparisce dalla nostra vista.
Solo adesso Cooler prende un profondo respiro e tenta di mantenere la calma. Sì, ci sono molte cose che dovrà ancora imparare… e inizieremo proprio domani.
 
 
*  *  *
 
 
Afferro il bordo del tavolo e mi costringo a non strappar via il legno a manciate. Mi viene voglia di distruggere qualsiasi cosa mi capiti sottomano ma devo trattenermi: innanzitutto devo capire.
«Chi te l’ha detto?»
«Le voci girano anche da clan a clan, anche se più lentamente.» Froze si stringe nelle spalle. Quantomeno mi sembra rassegnato, ormai. «Posso dire che te l’avevo detto, padre?»
Decido di sorvolare la sua arroganza; negli ultimi tempi ci sto quasi facendo l’abitudine.
«Come posso accettare una cosa simile?» dico, ma la domanda è rivolta a me stesso. Froze però non può saperlo e si sente chiamato in causa.
«Le strade sono due: affrontare la questione o far finta di nulla. Quale sceglierai?»
So già che se facessi finta di nulla le voci non potrebbero che espandersi agli altri clan e, forse, a un certo punto tutta Arcos finirebbe per crederci. Non posso ignorare questa notizia, ma ciò che mi ha riferito rende davvero la situazione più fastidiosa del previsto. Finché era solo Gust a pensare che io fossi un mutante bastava zittirlo… ma adesso è il suo intero clan a mormorare alle mie spalle e, cosa peggiore, alle spalle di Hailstone.
«Dev’essere davvero certo di ciò che dice, se ha osato parlarne nei suoi quartieri» ringhio. «Che sconsiderato… se non avesse ragione esporrebbe alla gogna un innocente.»
«Ma in ogni caso espone alla gogna te» aggiunge Froze, come se non lo sapessi.
«Già. Va eliminato.»
A parlare è stato Cooler, che finora aveva saggiamente scelto di non proferir parola in questioni di cui ancora sa molto poco. Stavolta, però, non riesco a dargli torto. Eppure…
«…se morisse tutti darebbero la colpa a me senza nemmeno pensarci due volte.»
Froze sembra dubbioso.
«Non è detto. Potrebbe essere stato qualcuno del suo clan, consapevole che queste maldicenze nei tuoi confronti possano portare scompiglio su Arcos o, ancor peggio, magari vogliano fare da capro espiatorio. O almeno questa è la voce che potremmo mettere in giro in seguito. In ogni caso non devi farlo tu, anzi, devi avere un alibi di ferro.»
«E… chi lo farebbe?»
Froze si stringe ancora nelle spalle, come se la risposta fosse ovvia.
«Lui ha proposto. Lui lo farà.»
Guardo Cooler senza riuscire a capire, aspettandomi una sua rimostranza. Al contrario, però, lui sembra esaltato al solo pensiero.
«Sì, lo farò io!»
«Ma che state dicendo?» provo a districarmi, ma mi sento stretto in una morsa. Per la prima volta li vedo interagire e addirittura fare squadra, ma non era così che avrei voluto iniziasse il loro rapporto…
«Padre, se Gust continua a vivere prima o poi fomenterà una rivoluzione» tenta di insistere Froze. «Inoltre nessuno sospetterebbe mai di lui. Guardalo, ha solo una settimana… non dovrebbe nemmeno essere in grado di sferrare un attacco.»
Non ci posso credere. I miei stessi figli mi stanno convincendo a fare qualcosa che io non farei mai. Come posso essere così smidollato?
Allo stesso tempo, però, il ricordo di come diventai dopo aver incontrato per la prima volta la morte mi blocca dal continuare. Non posso permettere che loro due vedano tanto orrore da così giovani… anche se, per qualche motivo, sono certo che per loro sarebbe diverso rispetto a com’è stato per me.
«No, devo farlo io. Non posso cedere a voi un compito del genere.»
«Non mi pare gli dispiacerebbe» dice Froze riferendosi a Cooler, ed ho anch’io la stessa impressione. Una motivazione in più per tenerlo lontano da certe cose.
«Lo farò io e questa è la mia ultima parola» dico. «Adesso andate nelle vostre stanze. Voglio stare da solo.»
Froze non se lo fa ripetere due volte. Cooler, d’altra parte, esita qualche secondo prima di voltarsi e seguirlo; forse spera che gli dica di poter restare, ma non stavolta. Deve imparare a stare da solo… e inoltre ho davvero bisogno di silenzio.
 
 



-

Prossimo capitolo:
-
14/03





Nota dell'autrice

Salve, ragazzi!
Come al solito a causa del poco tempo ho potuto scrivere soltanto oggi, ma il tempismo mi sembra migliore di quello di domenica scorsa, no? :P
In questa settimana super incasinata sono felice di aver potuto dedicare del tempo a Cold e, soprattutto, ad Arcos e ai primi brusii che si espandono nei tunnel che collegano i quartieri della città sotterranea. Prest Cold farà i suoi primi passi per diventare Re Cold... una trasformazione a cui voglio davvero assistere!
In molti state sollevando il problema di quanto lunga sarà questa storia. Chiaramente, facendo due conti, risulterà complesso farci "stare" tutto l'arco narrativo di Arcos, quello comprendente le long di Freezer e Cooler e anche il seguito collegato a Cooler: Origins... in ogni caso il mio piano è questo: coprire l'arco narrativo di Arcos con molto dettaglio, senza essere superficiale. Passare all'arco narrativo corrispondente alle altre long, che sarà più breve rispetto a quanto già letto nelle storie dei due fratelli, e concludere nello stesso punto di Cooler: Origins, o forse un po' prima. Il motivo è che da quel punto in poi potrei pensare di continuare con una quarta storia, se ho abbastanza materiale e fantasia... dovrò solo scegliere il POV. O forse alternare quello di padre e figli, perché no? :P
Solo il tempo ce lo dirà! Per adesso mi godo la storia di Cold che prende sempre più forma, settimana dopo settimana, quasi autonomamente dato che ho poche linee guida e gli aventi sembrano susseguirsi in modo del tutto naturale. Chissà cosa accadrà!
Buona domenica ragazzi, a presto!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Imprevisti ***


8.
Imprevisti


-
 
Gli scorsi tre giorni, densi e incredibilmente lenti, sono trascorsi trascinandosi dietro una scia di nervosismo e agitazione.
Da quando tutto è accaduto non mi sono più presentato all’Assemblea: ho preferito trascorrere il tempo all’esterno assieme a Cooler, allenandolo nell’unico luogo in cui posso testare il suo potere nella certezza che nessuno ci veda.
Sono occorsi due giorni a renderlo indipendente e, anche se la tempesta ancora lo mette in difficoltà, piccolo com’è, adesso riesce a tenersi sui suoi piedi nella neve, anche se non ancora a levitare. Grazie a ciò, finalmente ieri ho potuto raccontargli i rudimenti del combattimento e mostrargli come muoversi per lottare corpo a corpo. Sono certo che in qualche mese diverrà un combattente proprio come fu con Froze, anche se il suo allenamento si svolse nel nostro giardino dovemmo fare molta più attenzione a domare la nostra energia.
Ho deciso di non testare ancora il suo uso dell’aura: so che finché non lo farò sarà impossibile capire la vera potenza della mutazione, ma non sarebbe saggio affidargli il compito di governarla ora che non sa nemmeno muoversi con agilità nel vento. Aspetterò ancora qualche giorno.
Questa mattina però le cose sono andate in modo un po’ differente. Dopo il primo giorno di allenamento con Hailstone Cooler mi è sembrato abbastanza sereno e divertito: è stato proprio lui a chiedermi di allenarsi ancora con Hailstone, anche se stavolta ha voluto andare all’esterno e, contro ogni aspettativa, il suo desiderio è stato realizzato.
Non mi è dispiaciuto più di tanto: ho un piano da elaborare e preferisco farlo nel totale silenzio.
Decidere come eliminare Gust prima che la sua lingua lunga diventi troppo pericolosa è più complesso del previsto: nessuno dei miei piani sembra avere senso. Sono troppo conosciuto e riconoscibile qui attorno: se uscissi di casa chiunque potrebbe vedermi ed esser pronto a testimoniarlo. Potrei provarci di notte, quando tutti riposano, ma dovrei attrarlo con una scusa in un posto sicuro e non posso essere certo che non riferirà a nessuno di doversi incontrare proprio con me. Un appuntamento al buio potrebbe funzionare, ma come fare a comunicarglielo senza entrare nel suo quartiere e fuori dallo sguardo dell’Assemblea?
Sono particolarmente critico ma c’è molto di più, in fondo. Ciò che non voglio ammettere a me stesso è che sono felice di incontrare queste difficoltà: se non riesco a trovare un modo fattibile per uccidere Gust, probabilmente non dovrò farlo. Del resto non voglio: l’idea non è neanche stata mia. Ci dev’essere un altro modo per risolvere la faccenda…
Potrei chiedere aiuto a Hailstone.
Scarto con stizza questo pensiero: no, non posso. Cosa penserebbe di me se gli dicessi che pianifico di compiere una tale brutalità? Un conto è una mutazione che possiedo senza averne colpa, un altro è l’assassinio di un arcosiano…
La testa mi scoppia. Mi prendo il viso tra le mani strofinandomi gli occhi: sono esausto, mortalmente stanco. Basta una scelta sbagliata perché le cose mi sfuggano definitivamente di mano… e cosa farebbero ai miei figli se ci scoprissero?
Un rumore ritmico mi distoglie con violenza dai miei pensieri facendomi sobbalzare. Senza che abbia acconsentito la porta si apre e ne fa capolino l’unico che possa compiere un gesto del genere senza conseguenze.
«Padre?»
Noto subito di avere davvero poca voglia di vederlo: ormai tutto ciò che Froze mi trasmette è irrequietezza. Mi chiedo davvero cosa voglia da me, tanto da arrivare a disturbarmi mentre sono nelle mie stanze.
«Sì.»
«Cosa fai?»
Si richiude la porta alle spalle e avanza verso di me. Per un attimo spero di riuscire a provare qualche sensazione positiva ma la sua presenza qui è soltanto invadente.
«Penso» taglio corto. «Cosa ti serve?»
«Volevo solo sapere dov’è Cooler» dice. «A cosa pensi?»
A cosa potrò mai pensare?, mi verrebbe da chiedergli con sarcasmo, ma mi trattengo. Non voglio renderlo partecipe: quanto meno i miei figli potranno entrare in questa faccenda, tanto meglio sarà. Anche se sono stati loro stessi a suggerirmi tutto ciò.
«Cooler è fuori.»
«Fuori?»
«Si sta allenando con Hailstone» aggiungo. Lui sembra riflettere per qualche attimo.
«Capisco. Pensi che possa unirmi a loro?»
Soltanto adesso Froze ha davvero la mia attenzione. Resto spiazzato. Tre giorni fa, quando gli proposi per la prima volta di uscire con me e suo fratello per allenarsi, negò con la menzogna di avere altri piani. So bene che l’esterno lo mette a disagio e che non riuscirà mai a superare questo suo limite finché non ne ha alcuna voglia… ma allora perché questa richiesta?
Forse, mi dico, non ha capito bene cosa intendessi.
«Sono all’esterno» preciso aspettandomi una sua reazione dopo aver compreso il fraintendimento. Reazione che non arriva.
«Sì, padre, mi è chiaro. Posso andare?»
«D’accordo» acconsento, anche se titubante.
Un tarlo fastidioso inizia a rosicchiarmi il cervello. Perché con me ha negato e con Hailstone non si crea troppi scrupoli? Tento di trattenermi dal provare della gelosia al pensiero che lui potrà allenare i miei figli all’aria aperta, ma non ci riesco del tutto.
Froze però non pare voler tornare sui suoi passi. Resta fermo e mi osserva in attesa di parlare, forse in cerca del coraggio.
«Se sono stato irrispettoso mi dispiace» mi dice. «Non volevo.»
Sono in attesa di un suo “ma…” che però non arriva. Sono sorpreso: stavolta sembra davvero volersi scusare senza muovermi ulteriori accuse.
«Ti perdono» gli concedo. «Ma non comportarti più come hai fatto finora. Non è degno di un futuro Capoclan.»
Non me lo promette. Abbassa solo il capo in segno di saluto e, prima che possa pensare di aprire qualsiasi discorso, si volta ed esce dalla stanza diretto verso l’esterno, lasciandomi da solo in questi cunicoli oscuri.
 
 
*  *  *
 
 
Solo quando il cervello inizia a scoppiarmi decido che è il momento di uscire dalla mia stanza e pensare ad altro. Ho voglia di aria fresca, mi dico, e sono anche molto curioso di capire cosa Hailstone stia combinando assieme ai miei figli.
Mentre mi dirigo verso l’esterno e tutti i miei cittadini mi salutano penso che per me sia davvero impossibile passare inosservato in questa città. Metto da parte i miei pensieri man mano che mi avvicino al tunnel; eppure quando sono a poche centinaia di metri dall’ingresso mi fermo.
Una figura è appena rientrata nella città sotterranea dal tunnel del mio quartiere. Mi chiedo chi possa essere stato tanto coraggioso da uscire all’esterno da solo quando mi raggelo nel riconoscerlo. Non riesco a muovermi; aspetto che sia lui ad avvicinarsi.
«Cold! Che ci fai qui?» mi domanda quando arriva a pochi metri da me. In volto ha un sorriso che gli strapperei volentieri con le mie mani.
«Tu che ci fai qui, idiota! Dove sono i miei figli?»
Hailstone si acciglia, sembra risentito.
«Dove vuoi che siano? All’esterno.»
«Sei forse impazzito? Li hai lasciati da soli là fuori?»
«Cold, non li sottovalutare» dice tentando di calmarmi, ma io non riesco a immaginarli in balia della tempesta e il panico prende quasi il sopravvento su di me. Se non colpisco Hailstone è soltanto perché si affretta ad aggiungere degli importanti dettagli.
«Sono al sicuro. Li ho lasciati all’interno di una grotta solo per il tempo necessario a chiamarti. Volevano che fossi tu ad allenarli, adesso.»
Questo sembra calmarmi, anche se poco. Il pensiero che Cooler abbia chiesto di me non mi sorprende, ma il fatto che sia con Froze e che entrambi vogliano allenarsi assieme a me mi trasmette un senso di tenerezza che non provavo da quando Cooler ha visto la luce la prima volta.
Forse quei due riusciranno a volersi bene, dopotutto.
«Prima che tu vada, devo parlarti» dice. La sua mano mi si poggia sulla spalla. «Ho pensato molto a ciò che è successo all’Assemblea tre giorni fa. Ho atteso con pazienza una richiesta di scuse che non è mai arrivata, e mentre noi siamo qui con il broncio gli anziani continuano ad amministrare la città secondo il loro volere. Cold, è nostro diritto sedere a quel tavolo.»
«Quindi che consigli di fare?» lo affronto con un tono più brusco di quanto avrei voluto. «Presentarci come se nulla fosse accaduto? Puoi scordartelo.»
«No, non questo. Pensavo che dovremmo parlarne con Arctic e Frostbite. Sono gli unici che possono capire e consigliarci come agire.»
So che ha ragione e, anche se l’idea di chiedere consiglio come un ragazzino non mi entusiasma, credo che sia l’idea migliore. È vero: nell’Assemblea i Capoclan stanno continuando a discutere leggi, forse ad approvarle, e senza che io possa tenere sotto controllo la situazione potrebbero succedere molte cose spiacevoli per me e per la mia famiglia. È per questo che non nego, anzi, sospiro con un cenno d’assenso.
«Quando vorresti farlo?»
«Domani» dice. «Subito dopo l’Assemblea, magari. Che ne pensi?»
«D’accordo.»
La sua mano si distacca per un attimo e poi ritorna a stringermi la spalla in un gesto amichevole, un patto siglato.
«Allora a domani. Goditi il tempo con tuoi pargoli, ti divertirai.»
Non aggiunge altro: mi supera e si dirige verso il suo quartiere senza esitazione. Neanch’io ho tempo da perdere: mi lancio verso il tunnel alla massima velocità, con il cuore che mi esplode in petto. Non sottovalutarli, sono le parole che mi rimbombano in testa, ma sono così piccoli… come potrei non farlo?
Per la prima volta nella mia vita quando esco all’esterno il vento non mi sembra un benvenuto. Lo avverto come uno schiaffo fin troppo forte persino per me, figurarsi per due arcosiani l’uno di un anno e l’altro quasi neonato.
Mi guardo attorno ma so esattamente dove andare: conosco alla perfezione qualsiasi grotta sia qui nei dintorni e Hailstone non deve essersi allontanato troppo.
Mi scaglio verso la mia meta senza trattenermi: qui non ce ne sarebbe alcun bisogno in ogni caso. L’aura mi avvolge con una potenza inebriante che non provavo da anni, ormai; la neve si scioglie al mio passaggio lasciando alle mie spalle una scia acquosa. Se non fossi assolutamente terrorizzato forse riuscirei a godermi questa sensazione, ma mi calmo soltanto quando arrivo alla grotta e vi metto piede.
Mi concedo un enorme sospiro di sollievo.
Cooler e Froze sono seduti l’uno di fronte all’altro e, anche se quando entro si voltano entrambi verso di me, sono certo che fino a pochi attimi fa stessero parlando tra loro. Non solo la certezza che stiano bene ma anche questa loro intimità, che è quanto di più vicino a un rapporto fraterno io abbia mai visto finora, scioglie immediatamente la mia ansia.
Cooler si alza in piedi appena mi vede e mi corre incontro. Froze, invece, si prende il suo tempo per mettersi sulle sue gambe.
«Padre!» dice Cooler. «Che ti è successo?»
Mi rendo conto che devo sembrare molto scosso; prendo un profondo respiro prima di rispondere.
«Hailstone è stato un irresponsabile a lasciarvi qui da soli.»
«Stiamo bene» sbuffa Froze. Se poco tempo fa avevo sperato che quell’atteggiamento potesse avere una fine, adesso non ne sono più così certo.
Cooler si solleva fino a raggiungere l’altezza dei miei occhi.
«Ci alleniamo?» mi chiede, fremente.
«Sì, perché no. Vieni con noi, Froze?»
Non mi sembra entusiasta, eppure annuisce e mi segue quando mi dirigo verso l’uscita. Un giorno, mi dico, dovrò parlargli e capire cosa gli sta succedendo… prima che qualcosa che dice o che fa possa seriamente farmi saltare i nervi.
 
 
*  *  *
 
 
Come credevo Arctic e Frostbite hanno immediatamente accettato di incontrarci all’insaputa di Gust per discutere.
Terminata l’Assemblea attendiamo qualche minuto per esser certi che lui si sia allontanato, poi ci riuniamo in una delle tante sale del Ministero. Io e Hailstone ci sediamo a un capo del tavolo rettangolare che spacca la stanza in due e gli anziani si accomodano dal lato opposto. Non sembrano ostili, non lo sono mai stati. Si fidano di noi.
«Eccoci» dice Arctic mentre prende posto. «Diteci, dunque.»
«C’è un problema da risolvere» esordisce Hailstone. «Non torneremo all’Assemblea finché Gust non ci avrà porto le sue scuse. Allo stesso tempo, i nostri cittadini potrebbero irritarsi a non sentirsi rappresentati. Quindi speriamo che Gust prenda la giusta decisione al più presto.»
Frostbite sospira, stanco.
«Abbiamo parlato a lungo con Gust» svela. «Ha un caratteraccio, lo sapete. Ma non vi biasimo se vi ritenete offesi. Soprattutto tu, Cold.»
Annuisco.
«È così. Non accetto che mi vengano mosse delle accuse così gravi solo perché desideravo un figlio.»
«E non ne sentirai più» mi rassicura Arctic. «Parleremo ancora con lui e proveremo a convincerlo. Purtroppo non possiamo fare null’altro. Cosa farete voi, intanto?»
È una bella domanda a cui non so replicare. Guardo Hailstone sott’occhio: lui forse una risposta ce l’ha, anche se esita a darla.
O almeno così credevo finché non parla.
«Arctic, Frostbite, questo non è tutto ciò che vorrei dirvi. C’è qualcosa di molto più grave.»
Si mette seduto meglio sulla sedia, poi alza gli occhi in quelli dei due Capoclan anziani ignorando del tutto me. Cosa vorrà mai fare?
«Alcuni dei miei cittadini sono venuti a riferirmi di voci incresciose che corrono nel quartiere di Gust» dice, e mi trattengo dallo sgranare gli occhi dalla sorpresa. «Si vocifera che Gust abbia fatto delle dichiarazioni. A quanto pare è convinto che Cold abbia sangue infetto, tanto da discuterne con il popolo. Inoltre è convinto che io sia suo complice, cosa che i miei sono venuti a riferirmi appena l’hanno saputo.»
«Questo è… è inaccettabile» sussurra Frostbite scuotendo il capo.
«Assurdo» dice Arctic, scambiando uno sguardo con il secondo anziano. «Quello sciagurato potrebbe scatenare una guerra. E per cosa, poi? Per dei semplici sospetti?»
«C’è altro» aggiunge Hailstone. «Ieri sera uno dei miei uomini fidati mi ha riferito di una dissidenza interna. A molti dei cittadini di Gust questa dichiarazione non è andata giù: tutti sanno che queste accuse infondate, perlopiù rivolte a un Capoclan, possono mettere a repentaglio la pace di Arcos, e non tutti sono disposti ad accettarlo.» Fa una pausa, lascia che tutte le parole che non sta dicendo ci arrivino alle orecchie forti e chiare. Poi continua. «Arctic, Frostbite, voi dovete avvisarlo di fare attenzione. C’è chi ha detto di volerlo…»
Non riesce a concludere la frase. La porta della sala si apre di scatto, sbattendo contro la parete di pietra; un giovane trafelato fa irruzione nella stanza fermandosi dinnanzi al nostro tavolo con un goffo inchino.
«Signori, perdonatemi se vi interrompo con così poco ri… rispetto» dice tra una boccata d’aria e l’altra. «Ma è successa una tragedia… hanno trovato il Gran Gust… è… l’hanno…»
Non sa cosa dire ma la conclusione della frase sembra fin troppo chiara a tutti noi. Ci scambiamo un’occhiata sconvolta; Hailstone sembra non capire mentre i due anziani sono a bocca aperta, senza il coraggio di replicare.
«È morto» conclude infine il ragazzo. «Aveva appena messo piede nel suo quartiere, si trovava in una zona grigia. Nessuno ha notizie. Tutto ciò che hanno sentito è stato un enorme boato, poi l’hanno trovato con… con…»
«Basta così, giovanotto» lo interrompe Arctic alzandosi, provando a liberarlo dall’impaccio di quella notizia scomoda. «Grazie per la comunicazione. Torna pure a lavoro.»
Il consigliere si inchina ancora, poi fugge dalla stanza. Io mi volto a guardare Hailstone e anche Arctic e Frostbite fanno lo stesso. lui ha gli occhi sgranati che fissano il suolo.
«Non posso crederci…» sussurra con un filo di voce. «Avrei dovuto dirlo prima…»
Inizia a tremare tanto forte che mando al diavolo la dannata etichetta e mi avvicino a lui poggiandogli una mano sulla spalla per consolarlo. Nessuno osa richiamarmi, ovviamente.
«Non avresti potuto evitarlo» tenta di dire Frostbite. «È incredibile… un attentato a un Capoclan!»
«Dobbiamo andare sul posto» dichiara Arctic alzandosi in piedi. «Rincuorare la popolazione, aprire un’indagine. Queste sono le nostre priorità adesso. Andiamo.»
Ha ragione: è nei compiti dei Capoclan informarsi su quei pochi crimini che avvengono nella nostra società per poter giudicare i colpevoli come meritano.
Incito Hailstone ad alzarsi senza chiedergli come vada, semplicemente tenendogli la mano sulla spalla in segno di vicinanza; poi tutti e quattro ci avviamo verso l’uscita.
Forse loro tre sono sconvolti sul serio, soprattutto gli Anziani, ma io non posso dire lo stesso. Per quanto ciò che è accaduto sia una tragedia una cosa è certa: adesso nessuno oserà più mettere in giro certe voci senza averne le prove.
Ho sempre detestato il pensiero che un innocente potesse soffrire… ma Gust non era un innocente: era un maledetto bastardo impiccione, e il fatto che sia morto mi sconvolge soltanto perché non avrei mai creduto che potesse accadere sul serio senza il mio intervento.
Eppure qualcosa, nel profondo, mi turba. Io credevo di essere diverso, invece mi sento così strano… del sangue arcosiano è stato sparso, eppure il mio cuore è molto più leggero.



-

Prossimo capitolo:
Spin-off: Cooler, la crudeltà del favorito
21/03




-

Aggiornamento
:
Ciao ragazzi! Purtroppo devo avvisarvi che oggi non riuscirò ad aggiornare "Cold: Origins". Lo spin-off si è rivelato più impegnativo del previsto (avrete notato che di solito gli spin-off sono molto più lunghi dei normali capitoli) e, nonostante ci abbia lavorato tutto il giorno, sento che se lo concludessi adesso non sarebbe completo. Perdonatemi, giuro che mi rifarò la prossima settimana con un capitolo più lungo del solito!
Nuovo appuntamento: domenica 28.03.
Buonanotte a tutti!
- Gio


  
Nota dell'autrice

Ehilà!
Altra domenica, altro capitolo che ci avvicina a momenti sempre più importanti. Presto ci sarà un timeskip di qualche mese e credo proprio che assisteremo a un'altra nascita...
Ma manca un po' e ci saranno delle novità a rendere tutto più vario e completo. La prossima settimana infatti metterò Cold da parte per dare spazio al favorito: finalmente è il tempo di ritornare a scrivere dal POV di Cooler, in uno spin-off che non vedo l'ora leggiate. Sono curiosa di scoprire cosa passava per la testa del Primo Lord a una sola settimana di vita... anche perché finora ha dimostrato un bel po' di crudeltà innata. Curiosi?
Buona domenica, alla prossima!

- Gio

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Spin-off: Cooler, la crudeltà del nuovo nato ***


9.
Spin-off: Cooler, la crudeltà del nuovo nato


-
Dieci giorni fa non esistevo.
Non riesco a comprendere questo concetto nonostante ci stia riflettendo su da così tanto tempo che ne ho perso il conto. Sono immensamente frustrato perché non ricordo… non ricordo nulla. La prima immagine che ho in mente è il viso di mio padre emerso dalla luce e circondato da un mondo del tutto estraneo; prima di ciò, nulla. Ma è impossibile. Dove mi trovavo quando non avevo un corpo? Galleggiavo nell’etere o semplicemente non esistevo? E come ho fatto a esistere tutto d’un tratto?
Il cervello mi sta per esplodere. Mio padre mi ha raccontato della nascita nel dettaglio: del sangue, del ghiaccio, del dolore e della catarsi, e ci sono così tante cose stupefacenti in tutto ciò che persino io passo in secondo piano: la cosa più importante qui è lui, colui che mi ha dato la vita, il creatore della mia esistenza, che ha sofferto al limite della sopportazione e anche oltre pur di plasmarmi.
Ma dov’ero prima?
Su di me incombe un soffitto di pietra nera che ho la sensazione potrebbe crollare da un momento all’altro seppellendomi nelle profondità in cui gli arcosiani sono prigionieri. Provo a non pensarci; allargo braccia e gambe e distendo la coda, mettendomi comodo in questo letto assurdamente grande. O sono io a essere incredibilmente piccolo? Mio padre mi ha giurato che crescerò presto e io lo spero sul serio. Finché resterò così non farò paura a nessuno e ci sono così tante persone a cui vorrei incutere terrore…
Il silenzio è totale in queste stanze e il rumore dei miei pugni che si serrano risuona distinto nell’aria. Il ricordo di ciò che è accaduto all’Assemblea ieri mattina mi infiamma, ma non solo; fin troppe delle cose che ho visto in questi giorni mi fanno tremare dalla rabbia.
Cold ha paura di essere se stesso e io riesco a percepire ognuna delle sue preoccupazioni, soprattutto quelle che non mi racconta. Orde di esseri inferiori, irrilevanti, tengono sotto scacco l’infinito potere di mio padre… e adesso c’è anche chi osa sfidarlo apertamente. Questo non posso davvero sopportarlo.
Sono ancora perso nei miei pensieri quando qualcuno arriva a disturbarmi: la porta si sta aprendo ma non mi volto a guardare. Solo due persone potrebbero farne capolino e non mi va di vedere nessuna di queste. Mio padre è da escludere, dato che è di certo rinchiuso nelle sue stanze: ci ha comunicato di voler restare da solo a riflettere su quanto abbiamo saputo ieri sera e non ho intenzione di mancare di rispetto al suo volere.
Sott’occhio vedo un’ombra avanzare oltre la soglia; un’ombra alta, imponente. Come credevo.
«Sei pronto?»
Sospiro e mi metto a sedere mentre Hailstone avanza. Non ho idea di cosa voglia da me e del perché tenga tanto ad allenarmi ma sono certo che il fantomatico legame che ha con mio padre c’entri qualcosa. In ogni caso non credo di potermi sottrarre: mio padre ne sarebbe deluso, nel migliore dei casi, se davvero tiene tanto a quest’essere inutile.
Non so cosa provo nei suoi confronti. Credo che si tratti di odio, ma solo perché conosco ancora troppe poche parole per poter parlare liberamente dei miei sentimenti. Tutto ciò che so è che voglio andare fuori: una cosa che gioca nettamente a suo favore ora che mio padre non è disponibile a venire con me.
Hailstone si siede sul letto e io lo osservo senza aggiungere nulla. La sua presenza mi infastidisce profondamente. Stavo così bene da solo, disteso e perso nei miei pensieri…
«Ti va di allenarti, vero?»
«Sì» dico senza aggiungere altro. Lui sorride, non mi stacca gli occhi di dosso. Gli faccio ridere, forse?
«Sei così ostile nei miei confronti.»
Non so cosa rispondergli quindi mi limito a osservarlo senza aggiungere altro, cosa che pare divertirlo. Non lo capisco: è così calmo e rilassato nonostante i miei atteggiamenti dovrebbero quantomeno irritarlo…
«Devi smetterla di essere geloso. Possiamo entrambi avere un legame con tuo padre senza che una cosa escluda l’altra. Prima te ne fai una ragione, meglio è.»
Resto attonito. Vorrei negare ma non ci riesco. Mi limito ad attendere che continui.
«Comunque mi piaci, mocciosetto. Sono certo che sarai la soddisfazione di Cold, a differenza di quel capriccioso di tuo fratello.»
Con questa frase riesce a catturare la mia attenzione.
«Capriccioso?»
Forse si accorge di aver detto troppo perché non continua.
«Lascia perdere» taglia corto. «Forse stai perdendo tempo perché hai paura di tornare là fuori?»
Scatto in piedi in un attimo, animato da una strana foga.
«Non osare dirlo, io non ho paura di niente!»
«Allora sbrigati» dice lui, alzandosi e voltandosi. Ho l’impressione che avesse previsto esattamente la mia reazione ma non mi dà il tempo di ragionare: un attimo dopo esce dalla stanza e io, anche se non vorrei, sono costretto a seguirlo.
Forse per le dimensioni del mio corpo, forse perché volo più in alto possibile sotto la volta della città sotterranea, nessuno mi vede e io mi sento sollevato. Forse non stavo esitando per paura di uscire all’esterno: forse il problema era sottopormi agli sguardi di tutta questa gente, occhi fintamente adoranti, alcuni persino sfacciatamente falsi. Quanti di loro sparlano di mio padre? Quanti si credono al suo livello? E quanti hanno parlato male di me quando mi hanno visto?
Mentre osservo le loro insulse case sfilare sotto di me i palmi delle mani mi prudono dall’energia che si accumula. Da quest’altezza mi basterebbe un attimo a distruggere qualsiasi cosa e cancellare dalla faccia di Arcos questa inutile feccia… e quanto poco basterebbe a mio padre a diventare l’unico Re di questo posto!
Ma lui vuole sudditi fedeli…
Lancio uno sguardo in avanti: Hailstone procede dinnanzi a me di qualche metro. Lo seguo per tutta la strada e attraverso il tunnel, e quando esco all’esterno devo poggiare immediatamente i piedi tra la neve per restare saldo al mio posto e non essere spazzato via. Il gelo mi pizzica, percepisco i piedi e la coda sempre più flebilmente e il vento è tanto forte che temo possa vincere ogni mia resistenza, ma avanzo senza fermarmi, imperterrito.
Hailstone trova tutto molto più semplice. Cammina senza neanche voltarsi; sono felice che non mi consideri tanto inferiore da offrirmi un aiuto.
Solo dopo un po’ mi accorgo che non ha intenzione di restare all’aperto, anzi, si dirige verso un punto indefinito tra le nevi che presto vedo emergere dal terreno: una grotta.
Mi chiedo cos’abbia in mente quando entriamo e lui si siede su una roccia sporgente, attendendo che mi avvicini.
«Qui possiamo parlare con calma» dice. La sua voce rimbalza sulla volta, amplificata e quasi minacciosa. «E non devo temere che qualcuno possa sentirmi.»
«Che ci facciamo qui?» domando. Lui non ha intenzione di tenermi sulle spine perché prosegue subito.
«Volevo avere qualche attimo per parlare da solo con te, Cooler» dice. «Ho capito che io e te dobbiamo essere una squadra. Solo così possiamo salvare tuo padre.»
Salvare mio padre? Come può questo semplice arcosiano pensare di potersi paragonare al Grande Cold… di poterlo addirittura proteggere? Eppure la domanda più urgente, quella che precede qualsiasi discussione quest’essere voglia portare avanti, è un’altra.
«Come faccio a fidarmi di te?» gli ringhio contro. «Come posso sapere che non sei soltanto un dannato bugiardo che trama alle nostre spalle?»
Sorride, sembra trattenersi dal dire qualcosa di fin troppo offensivo. E infatti la sua risposta non mi piace affatto.
«Sono io che devo porti questa domanda, Cooler» risponde, secco. «Conosco tuo padre da quando ho aperto gli occhi quasi venticinque anni fa. È come se fossimo fratelli. Tu, piuttosto, puoi dimostrarmi di non essere un pericolo per Cold?»
«Come osi…»
La grotta si illumina di un’intensa luce dorata man mano che l’energia sui miei palmi si accumula e si espande. Mio padre mi ha vietato di usarla ma chi me lo impedisce, adesso? Potrei uccidere quest’insolente in un attimo; provo un cocente desiderio di vederlo soffrire e chiedermi pietà e scusarsi per aver avuto l'audacia di insinuare che potrei mai essere un pericolo… sono certo che lo farei se un pensiero improvviso non mi trattenesse: il pensiero di quanto mio padre soffrirebbe della sua mancanza. Una realtà che fa sì che Hailstone mi abbia in pugno.
Stringo le dita con stizza attorno all’energia condensata sul mio palmo, spegnendola del tutto. Eppure in tutto questo c’è una nota stonata: il fatto che lui non abbia fatto neanche una piega alla mia minaccia.
Prima o poi ti ridurrò in mille pezzi.
Ma c’è altro, un ulteriore pericoloso pensiero che questo bastardo ha portato alla luce: il fatto che mio padre possa pensare lo stesso e fidarsi più di lui che di me. Ma sono certo che questa sia solo una mia paranoia.
Hailstone sospira ma ha tutta l’aria di volermi prendere in giro.
«Anche oggi sono certo che non avere figli sia la scelta migliore» sorride, beffardo. Poi torna serio. «Dicevo, dobbiamo essere una squadra. Posso contare solo su di te dato che Froze non è affidabile. Credi di poter mettere da parte il tuo caratteraccio per il bene di tuo padre?»
Che domanda sarebbe? Certo che posso. Ma non gli darò la soddisfazione di dirglielo.
«Cosa vuoi da me?»
«Avrai sentito anche tu le voci.»
Le voci. So benissimo a cosa si riferisce.
«Sì.»
«Bene. Vorrei sapere come l’ha presa Cold.»
«Perché non lo chiedi direttamente a mio padre, dato il vostro gran legame?» gli domando sperando di far presa su di lui con il mio sarcasmo, ma fallisco: Hailstone sorride, ma stavolta c’è qualcosa di diverso sul suo volto. Per un attimo ho un brivido.
«A volte per proteggere chi ami sei costretto a tramare alle sue spalle. E questo è il nostro caso.»
Attende qualche attimo, come se stesse cercando le parole; poi ripete la domanda.
«Cos’ha pensato di fare?»
Non ho molta scelta: posso raccontargli tutto o mentire. Per un attimo sono certo che non mi convenga rivelare tutto a questo sconosciuto… ma l’attimo successivo ci ripenso. Hailstone è uno sconosciuto per me: mio padre in persona mi ha confermato del loro legame.
In ogni caso, però, quello che dovrei svelargli è troppo grande perché possa essere raccontato con tale leggerezza.
«Come vorresti proteggerlo?» gli domando per prender tempo.
«Impedendogli di fare idiozie» risponde lui. «Non ti fidi, vero? Allora ti dirò cosa ho pensato di fare io, piuttosto. La mia idea era minacciare Gust. Che ne dici?»
Questa proposta suona così pericolosa da mettermi in allarme.
«Sei pazzo? Come credi di convincerlo a tacere? Se lo minacci parlerà.»
«Quindi convieni con me che ci sia una sola soluzione.»
È la stessa cosa che ho pensato anch’io ieri sera, quando mio padre è apparso così disperato alla notizia delle voci che girano. Una sola soluzione: uccidere il bastardo. Froze, per quanto inutile sia, ha fornito più di una giustificazione accettabile per la sua morte… e inoltre io non vedo davvero l’ora di poter dimostrare a Gust di cos’è capace il figlio del moccioso.
Mio padre me l’ha vietato, forse non ha capito quanto intensamente io lo desideri e, in generale, non accetta il pensiero di uccidere. Ma se ne parlassi con Hailstone…
«Gliel’ho proposto» mi sento rivelare prima che possa ragionarci un attimo in più. Lui si fa attento, la bioplacca rossa sulla sua testa brilla come un rubino quando piega il capo.
«Tu?» domanda, incredulo.
«Sì, io. La cosa ti sorprende?»
«Fammi capire se ho compreso: tu hai proposto a tuo padre di uccidere Gust con le tue mani?»
Annuisco. Per qualche momento non ho idea di come interpretare la sua silenziosa riflessione… poi, lasciandomi del tutto senza parole, lui scoppia in una risata prorompente che rimbomba nella grotta.
«Mi rimangio tutto: potrei rivalutare l’idea di plasmare un erede, se venisse fuori come te» dice. «Solo un mutante può pensare una cosa del genere dopo dieci giorni di vita. Assurdo!»
«Stai iniziando a innervosirmi» lo avverto. «Cosa ti diverte tanto? Io voglio farlo sul serio.»
«Molto bene, perché è proprio ciò che succederà.»
Resto paralizzato. Quando per la prima volta ho pronunciato la parola uccidere dinnanzi a mio padre l’ho trovato spaventato dalla mia voglia di sangue. Stavolta, però, la reazione di Hailstone mi sembra fin troppo diversa.
«Cooler… io e te siamo molto simili ed è per questo che devo avvisarti di una cosa importante che neanche il tuo papà potrà insegnarti. A tutti piace la violenza, ma nessuno ha il coraggio di stare vicino a chi la mette in pratica. Mi capisci?»
Provo a seguire il suo discorso ma non capisco precisamente dove voglia andare a parare. Hailstone lo nota facilmente. Ecco perché si piega in avanti per giungere più vicino al mio viso e aggiunge delle parole che mi si scolpiscono nel cervello a fuoco, tanto che sento che non andranno mai più via.
«So che ti piacerebbe farmi a pezzi qui e ora… posso percepire la tua sete di violenza, la crudeltà che la tua aura emana. Sei un essere incredibile, Cooler, ma devi nascondere questo tuo lato oscuro così evidente, soprattutto a tuo padre. Lui è troppo buono per amare la violenza come fai tu e credimi… finirebbe col disprezzarti se scoprisse chi sei davvero.»
Ho un profondo brivido perché tutto questo è vero, così vero che sento le sue parole infilarsi sottopelle e trafiggermi il cervello. Ho visto con i miei occhi la preoccupazione di mio padre quando ho deciso di essere davvero me stesso… e anche quella domanda (potresti aiutarmi a conoscerti meglio, Cooler?) sembrava una trappola tesa a indagare nelle profondità della mia anima fino a tirar fuori la verità che non oso raccontare: quella che io non solo non avverto nulla di male nella violenza, ma che mi sembra anche una soluzione fin troppo semplice a problemi che altrimenti diventerebbero ben più complessi da risolvere.
Hailstone ha intuito tutto questo nel poco tempo avuto a disposizione per stare con me, ma non solo. Sembra quasi… capirmi.
Siamo molto simili, ha detto. Ma quanto simili?
«Pare che tu sappia fin troppo bene di cosa parli» lo provoco.
Un altro enigmatico sorriso. Si rimette a sedere dritto; una manciata di neve ci raggiunge all’interno della grotta, spinta dentro da una folata più forte delle altre. Per un attimo temo che resteremo bloccati qui se non ci sbrighiamo a rientrare, ma Hailstone mi appare troppo sereno perché possiamo essere in pericolo.
«Mi sembra un po’ troppo presto per svelarti tutti i miei segreti, non trovi?» dice. «Inoltre non mi apro con chi desidera tagliarmi la gola. Se vuoi davvero conoscermi è meglio che ti impegni a toglierti quello sguardo omicida dagli occhi. Ma adesso dobbiamo parlare di come fare a uccidere Gust.»
Il suo discorso mi ha del tutto convinto, ormai; inizio a provare un’attrazione che fino a poche ore fa non avrei mai creduto di poter sentire verso quest’arcosiano. C’è qualcosa di lui che mi intriga, anche se non so dire cosa sia.
Forse è il fatto che mi stia offrendo una reale opportunità di uccidere.
«Mio padre mi ha vietato di farlo e ha detto che se ne occuperà di persona.»
«Tipico di quell’idiota di Cold» dice, e l’insulto mi restituisce una fiammata di collera anche se non ribatto. «Si metterebbe in seri guai pur di non scegliere la via più semplice. Ecco cosa intendevo quando dicevo di aver bisogno di te. Froze lo sa?»
«Sì. Era con me ieri sera. È stato lui a riferire delle voci.»
«Ottimo. Ho un’idea, ma prima di potertene parlare ho bisogno di svolgere una faccenda. Che ne dici di incontrarci tra un paio di giorni? Per allora avrò una risposta e un piano.»
Annuisco anche se c’è qualcosa di strisciante che mi si contorce in petto e so riconoscerlo subito: è il fastidio di avere già fin troppi segreti da nascondere. Hailstone si accorge che qualcosa non va; un’ennesima conferma del suo occhio attento che riesce a captare ogni mio sentimento, persino quelli che credo essere i più nascosti. O forse sono io a essere un libro aperto?
«Cosa ti turba?»
«Mentirgli.»
Mi sorride, comprensivo.
«È meglio che inizi ad abituarti.»
Sì, anche mio padre me l’ha detto. Devi imparare a fingere. Solo così potrai scegliere chi essere agli occhi del mondo, nonostante chi sei davvero. Forse è semplicemente parte dell’esistenza, uno dei tanti compromessi che immagino dovrò fare per guadagnarmi il mio posto in questo mondo; eppure io odio questa sensazione e il fatto di non poter essere completamente sincero con l’unico al mondo che vorrei mi conoscesse.
Hailstone si alza in piedi e distende la coda, sgranchendosi le braccia.
«Allora, ti va di lottare?»
«Lottare?»
Ormai avevo dato talmente per scontato che fossimo qui solo per discutere da aver del tutto dimenticato la scusa dell’allenamento. A quanto pare non era così tanto una scusa.
«Siamo venuti qui ad allenarci, no? So che non vedi l’ora.»
Ha ragione. Scatto in piedi e lo seguo all’esterno. Le tempeste sembrano aumentare, ma lui non ha paura e mi costringo a non mostrare la mia.
Soltanto prima di uscire dalla grotta si ferma per un attimo. La sua voce è coperta dal rombo della bufera ma arriva distinta alle mie orecchie.
«Sono davvero felice che sia tu ad avere il nome di mio padre» dice.
Non aggiunge altro. Avanza, lanciandosi nel mondo, e io lo seguo senza esitare.
 
 
*  *  *
 
 
La grotta è esattamente la stessa di due giorni fa.
Sapevo che saremmo tornati qui: è davvero il posto giusto per parlare di come assassinare una delle più importanti personalità del pianeta.
Hailstone aspetta che io entri; sono rimasto indietro, rallentato dalle tempeste, ma mi sembra di essere già più capace di contrastarle. Almeno adesso riesco a tenere i piedi saldi a terra. Mi siedo proprio di fronte a lui, a gambe incrociate, attendendo che mi aggiorni. Mi ha detto che avrebbe avuto un piano e non mi aspetto nulla di meno da lui.
«Ti vedo più tranquillo» dice, e sono certo che stia per arrivare una delle sue provocazioni. Non mi delude. «Devi essere davvero curioso di sapere cosa mi passa per la testa. O forse ti ho spaventato?»
«Spero che tu abbia davvero un piano» taglio corto.
Lui annuisce.
«Vuoi andare al dunque, vedo. Bene. Il piano è questo: domani poterò Cold all’Assemblea per discutere con gli anziani del comportamento di Gust. Tu e Froze intanto verrete all’esterno ad allenarvi.»
Sembra accorgersi subito del mio fastidio al solo pronunciare il suo nome, non che avessi dubbi. Lo interrompo: non riesco a trattenermi.
«Vuoi coinvolgere anche Froze?»
«Sì. Hai obiezioni?»
«Io non voglio avere nulla a che fare con lui.»
«Non essere testardo. Tutti hanno la loro utilità a questo mondo e sarà meglio sfruttare quella di tuo fratello» dice. Una frase che mi disturba dato che, probabilmente, pensa lo stesso anche di me in questo momento. Ormai sono certo che mi stia usando per i suoi scopi, ma in fondo sono i nostri scopi. Finché è così posso accettarlo.
Non trovo un valido motivo per obiettare.
«Dicevo, verrete qui e vi assicurerete che il vostro intero quartiere vi veda uscire. Froze resterà fuori ad aspettare, tu invece tornerai all’interno e andrai dove ti indicherò. Sei piccino, non dovrebbe essere difficile per te passare inosservato.»
«Posso farlo senza problemi.»
«Bene» continua. «Attenderai il rientro di Gust, poi lo ucciderai come meglio credi. L’unico limite che ti pongo è di essere rapido, perché dovrai immediatamente fuggire e ritornare qui fuori. Froze sarà pronto a giurare che sei stato con lui per tutto il tempo mentre io e tuo padre saremo proprio dinnanzi agli occhi di Arctic e Frostbite quando tutto ciò accadrà. Alibi di ferro. Se sarai bravo e non ti farai beccare saremo tutti salvi e il problema sarà risolto. Che ne dici?»
«Dico che non vedo l’ora.»
Sorride, sembra fiero di me.
«Bravo, Cooler. Sapevo che avrei potuto fidarmi di te. Adesso aspettiamo tuo fratello, così potremo sapere anche la sua opinione.»
A questo pensiero mi infiammo di collera e non riesco a nasconderlo. Va bene collaborare per il bene superiore della riuscita del piano, ma adesso? Perché costringermi a restare con lui?
«Perché hai chiamato anche lui, maledizione?»
«Perché dobbiamo aggiornarlo, no?»
«Hailstone, ti avviso» gli dico. Vorrei mantenere la calma ma non ci riesco. «Basta con le iniziative. Non abbiamo concordato tutto questo.»
«È tuo fratello, non una mia iniziativa. Volente o nolente fa parte di ciò che dobbiamo considerare affinché tutto vada nel verso giusto…» si prende un attimo per assicurarsi che nessuno stia entrando nella grotta, poi continua. «…ma dato che siamo in vena di confidenze, ecco una cosa che ti suggerisco: non fidarti di lui, anzi tienilo d’occhio. Siete molto diversi su tante cose.»
Resto di sasso a questa sua affermazione. Se si è spinto a dire tanto vuol dire che non sono l’unico ad aver notato i suoi strani comportamenti, e se il fine di entrambi è tenere mio padre al sicuro… significa che la mia intuizione è corretta. Froze è una potenziale minaccia. L’ho sempre saputo, dal primo momento in cui l’ho visto, ma solo ora ne ho la conferma.
Mi trovo costretto ad annuire. Quest’essere non mi piace per niente, ma so di dovergli molto e che la sua presenza potrà essermi d’aiuto. Suppongo che dovrò farmene una ragione.
Froze arriva dopo poco, come previsto. Entra nella grotta a testa alta, squadrandomi da capo a piedi con uno sguardo ostile che ricambio volentieri. Hailstone si alza e allarga le braccia appena lo vede.
«Benvenuto nel nostro piccolo club dell’assassino» dice, e la sua presenza qui mi sembra forzata, assurda. Eppure mi accorgo di conoscerlo ancora troppo poco per poterne essere certo e il pensiero mi pietrifica. Quante cose ancora non so del mondo che mi circonda?
«Sei riuscito a parlare con Arctic?» domanda Froze come se già sapesse tutto, passandomi oltre e dandomi le spalle. Hailstone annuisce.
«Ci riceverà domani dopo l’Assemblea. Cooler avrà tutto il tempo che gli serve.»
«Gli hai già spiegato?»
«Fallo tu» dice Hailstone. «Così magari riuscirai ad accorgerti che è qui con noi.»
Sbuffa, si volta a guardarmi. Mi alzo immediatamente in piedi; provo un estremo fastidio ad essere osservato dall’alto al basso, ma almeno adesso che sono sulle mie gambe mi sento più sicuro di me.
«Ci sono diversi posti, in ogni quartiere, chiamate zone grigie. Si tratta del primo luogo che si incontra tra un quartiere e l’altro, molto vicino al tunnel per l’esterno, privo di case e di solito anche di controlli. Nessuno ha un vero motivo per metterci piede eccetto coloro che devono transitarvi per entrare o uscire. Ecco, dovrai aspettare Gust nella zona grigia all’inizio del suo quartiere e finirlo con un colpo solo. Poi tornerai qui immediatamente. È tutto chiaro?»
«Cristallino» dico con un tono beffardo di cui Froze si accorge. Mi punta contro un dito che mi trasmette un senso di accusa o forse di minaccia.
«Stampati in testa che non stiamo giocando» mi ringhia contro. «Un tuo errore e saremo tutti fottuti, in primis nostro padre. Quindi te lo ripeto, fratellino: è tutto chiaro?»
«Non chiamarmi in quel modo, bastardo!»
«Smettetela» sbuffa Hailstone con gli occhi al cielo. «Sapete che vostro padre non sarà contento di vedervi latrare l’uno contro l’altro, vero?»
«Sei stato tu a coinvolgerlo» lo accuso, e Froze stringe i pugni. Cosa prova? Semplice odio immotivato o forse è geloso del fatto che mio padre preferisca palesemente me a lui?
«Dannato pidocchio…» sussurra, ma Hailstone finge di non sentirlo e io non sono ancora tanto potente da potergli far rimangiare l’insulto… per adesso. Il solo pensiero che nelle sue vene scorra il sangue di mio padre fa ribollire il mio.
«Riuscite a non disintegrarvi per un quarto d’ora?» domanda Hailstone, avviandosi verso l’uscita. «Vado a chiamare vostro padre, così potrà uscire un po’ da quelle stanze.»
Si allontana senza aggiungere altro lasciandosi noi due alle spalle. Ha detto che avrebbe chiamato mio padre: questo vuol dire due cose. La prima è che devo fingere di apprezzare Froze, ma prima o poi dovrò imparare in ogni caso. La seconda è che almeno tra poco lo vedrò, e questo mi rende già più sereno.
Froze sbuffa, lo fa sempre quando ci sono io nei dintorni, e si dirige verso lo sperone di roccia su cui fino a poco fa era seduto Hailstone. In silenzio si accomoda e si volta dall’altra parte senza proferir parola, e forse continuerebbe a farlo per tutto il tempo se non lo provocassi. So che non dovrei farlo ma non so trattenermi.
«Un giorno ti farò rimangiare tutto» gli prometto in un sussurro che lui, però, sente fin troppo bene perché si volta a guardarmi come se desiderasse vedermi in cenere. Per sua sfortuna so che non mi toccherebbe mai.
«Voglio che sia chiaro» dice. I suoi occhi sono in fiamme. «Io sono il futuro Capoclan che siederà all’Assemblea e tu sei soltanto il secondogenito. Non farai nulla per infastidirmi o ne pagherai le conseguenze.»
Non ribatto, decido di tenermi per me ogni commento: innanzitutto sul fatto che ciò che dice stoni terribilmente con la storia che mi è stata raccontata da mio padre, e ciò può voler dire solo una cosa: Hailstone ha ragione, devo tenerlo d’occhio. Proverei anche ad avvicinarmi a lui e costruire un rapporto: sarebbe il metodo più semplice per entrare nella sua testa, ma non intravedo spiragli. Non gli piaccio e lui non piace a me, impossibile fingere il contrario.
Eppure non posso trattenermi dal provocarlo.
«Tieniti pure il tuo titolo da Capoclan» mi limito a dire. «Io sono l’Essere Perfetto. Mi basta questo.»
Sono certo che mi risponderebbe se in questo esatto momento nella grotta non mettesse piede mio padre, trafelato come se avesse corso più veloce del vento delle tempeste. Solo quando ci vede mi sembra sospirare di sollievo.
Scatto in piedi.
«Padre! Che ti è successo?»
«Hailstone è stato un irresponsabile a lasciarvi qui da soli» dice a fatica riprendendo fiato. Froze incrocia le braccia, un’ennesima insopportabile mancanza di rispetto.
«Stiamo bene» taglia corto, come se fosse ovvio.
Lo lascio perdere. Mi avvicino a mio padre, gli chiederò subito di allenarci: adesso l’unica cosa che voglio, in attesa di domani, è sfogare tutta la rabbia repressa che sto accumulando da quando ho a che fare con tutta questa inutile feccia arcosiana.
 
 
*  *  *
 
Il misto di sensazioni che provo è così sovrastante da lasciarmi confuso, tanto che devo respirare più volte e devo ripetermi di fare attenzione.
La zona grigia è più pericolosa del previsto: non è altro che un quartiere vuoto, senza case; una grotta dalle pareti alte in modo terrificante, che si collegano direttamente al tunnel che porta all’esterno, in un punto della crosta arcosiana lontano chilometri dalla grotta in cui tutto è iniziato. Tuttavia non ci sono molti posti in cui nascondersi se non poche insenature rocciose in cui, comunque, le mie dimensioni mi permettono di infilarmi. Forse essere molto piccoli non è del tutto inutile.
È proprio come pensavo: soltanto io posso portare a termine questo compito in modo sicuro. Chiunque altro correrebbe facilmente il rischio di essere visto da chiunque passasse da queste parti.
Io invece attendo proprio in una piccola conca rocciosa, seduto. Osservo il corridoio di roccia, ascolto l’aria; trascorre un tempo che mi pare infinito prima che dei passi risuonino sulla volta facendosi sempre più vicini.
Ma c’è qualcosa che non va: i passi non arrivano dall’esterno del quartiere, ma dall’interno.
Attendo, trattenendo il respiro e accorgendomi solo ora che i miei polmoni hanno la capacità di restare vuoti senza soffrirne. Scorgo con la coda dell’occhio una macchia bianca emergere in lontananza: un arcosiano sconosciuto, dalla spessa bioplacca nera, che tiene tra le mani un fagotto scuro stringendolo come se fosse un tesoro. Avanza fino a giungere proprio dove mi trovo io, in corrispondenza dell’ingresso al quartiere: poi si ferma poggiandosi con le spalle alla parete, in attesa esattamente come me. Ma di cosa? Di chi?
Soltanto dopo qualche minuto di pazienza riesco ad avere una risposta. Proprio come avevo previsto, Gust emerge oltre l’ingresso levitando, senza neanche un rumore; il solo vederlo risveglia in me tutta la frenesia di ciò che desidero compiere, ma c’è qualcos’altro che non avevo preventivato.
Gust si dirige verso l’arcosiano che attende. Potrei ucciderli entrambi in un attimo ma ci sono diverse cose che mi frenano: innanzitutto il fatto che non so se riuscirei ad averla vinta su ben due arcosiani adulti. Poi, ben più importante, l’assurda curiosità di capire cosa diamine stiano tramando quei due.
Mi limito a osservare.
«Sei stato preciso. Ce l’hai?» dice Gust. L’altro fa un cenno col capo.
«Come le avevo promesso, Gran Gust.»
Gli porge il fagotto nero come se fosse molto delicato e Gust lo afferra poggiandoselo sull’avambraccio per poter tirar via il telo che lo ricopre, anche se solo leggermente. Ciò che vedo emergere al di sotto mi lascia impietrito.
C’è un pezzo di ghiaccio tra le mani di Gust: una stalattite allungata, spessa e brillante. Ciò che mi colpisce, però, è il fatto che non termini in una punta ma in modo netto, come se fosse stata affettata con una lama affilatissima… o disciolta con dell’energia rovente. In più, e questo dettaglio mi inchioda il cuore in petto, è ricoperta di sangue scuro, ormai secco.
E io sono certo di aver già visto quella lama.
«L’ho avuta da un informatore» dice l’arcosiano sconosciuto. «L’ha ricevuta a sua volta da un amico fidato. Posso garantire che si tratti del sangue di Cold.»
Mi sento prender fuoco dalla furia, la testa mi esplode nel cranio. Tutto questo è incredibile, è inaccettabile: non riesco neanche a immaginare cosa significhi. Quanta gente starà tramando alle spalle di mio padre, su questo pianeta?
E tutto per colpa tua, bastardo…
«Ottimo. Portala subito agli scienziati. Quanto tempo impiegheranno ad avere delle risposte?»
«Non molti giorni. Il tempo di analizzare.»
Gust scuote il capo in cenno di assenso; è contento, questo è chiaro. La voglia di spegnere il suo dannato sorriso mi spinge ad alzarmi ma non devo. Non ancora.
«Ottimo, ottimo. Aggiornami appena avranno delle novità» sorride. «La verità su quel moccioso sta per venire finalmente a galla ed è solo merito tuo e dei tuoi informatori, Icepick.»
«Per Arcos» si inchina l’altro.
«Per Arcos, ora e sempre» risponde Gust.
Poi l’arcosiano riprende la stalattite insanguinata, si volta e si dirige verso l’interno del quartiere, levitando ben più rapido di com’era arrivato.
Il mio corpo si muove senza neanche chiedermi il permesso. Prima che possa ragionare mi ritrovo alle spalle di Gust; lui non mi vede neanche arrivare e ormai non può più scapparmi.
«Vorrei avere tutto il tempo per darti ciò che meriti, bastardo» gli dico. Lui si volta di scatto accorgendosi di me all’improvviso, confuso. «Ma non ne ho. Mi limiterò a farti un regalo e dirti che hai ragione… ma nessuno lo saprà mai.»
«Il figlio di… che stai dicendo?» balbetta lui arretrando di un passo.
L’espressione di puro terrore che gli si dipinge sul volto mi dà un profondo brivido di piacere. Vorrei poter prolungare questo momento all’infinito, ma purtroppo tutto ciò non potrà durare più di qualche secondo: so che da un momento all’altro fuggirà o chiamerà aiuto. Ecco perché l’energia sul mio palmo si accumula alla velocità della luce divenendo sottile come un disco. Un disco che scaglio con un urlo verso di lui, immaginando che si schianti esattamente tra capo e spalle, su quel maledetto collo che desidererei spezzare con le mie mani.
Ed è proprio ciò che accade. Mio padre mi impedisce di usare l’aura per paura che possa farmi del male ma manovrarla è così naturale per me, così semplice, che il disco fa esattamente ciò che desidero senza che neanche abbia bisogno di ripeterlo nella mia testa. Gust non può scappare; prova ad alzare le mani per bloccarla, ma la mia arma è letale e penetra la sua carne con tanta facilità da non lasciargli scampo.
Prima l’avambraccio teso dinnanzi al viso, poi la pelle, i muscoli, le ossa; quando la luce riemerge dall’altra parte e il corpo di Gust crolla in ginocchio, qualcos’altro scivola sul terreno con uno schianto e un fiume di sangue straripa tutto attorno finendo col macchiarmi le gambe e la coda.
Un’esplosione ci travolge quando l’energia va a schiantarsi sulla parete della grotta, spegnendosi per sempre, ma non mi fa sobbalzare: io sono fermo a osservare, estasiato alla visione di quel corpo che lentamente si spegne per sempre; un meccanismo rotto, fragile, che ho potuto domare in un solo attimo con il mio immenso potere. Resterei a osservare per ore, ma ho la sensazione che questa sia la parte più pericolosa: non posso godermi lo spettacolo, non ora. Non con lui.
Maledizione!
Con le gambe tremanti e roventi, su cui il sangue del bastardo inizia a seccarsi, mi innalzo in volo osservando i dintorni. Mi basta un attimo a individuare quello che il bastardo ha chiamato Icepick: come speravo deve aver sentito l’esplosione e si è fermato, ritornando sui suoi passi. Tra le mani ha ancora l’oggetto proibito che devo a tutti i costi distruggere.
Non mi ha visto, ero certo che non l’avrebbe fatto. Mi scaglio verso di lui e solo quando sono abbastanza in basso da sfuggire a occhi indesiderati tendo una mano in avanti senza fermarmi, accumulando tutta l’energia che mi resta sulla punta del dito indice; quando Icepick mi vede è già tardi, il raggio mortale ha già tagliato l’aria e spaccato il suo cuore esattamente a metà.
Le braccia gli si tendono, il prezioso cimelio scivola sul terreno. Resto a riflettere un solo attimo prima di capire che non ho il tempo di portarlo via: devo distruggerlo qui e ora.
Con la terribile sensazione che sarò sorpreso da un momento all’altro mi sollevo fino a raggiungere un luogo in cui  nascondermi, al sicuro. Da lontano vedo il panno nero scivolare via e il ghiaccio macchiato del mio sangue finire nella pozza scura di quello di Icepick.
È così che si scioglie, lentamente, lasciandosi dietro del leggero fumo bianco, senza nemmeno darmi il disturbo di dover pensare a come disintegrarlo.
Lo osservo finché non scompare del tutto dalla mia vista, poi mi guardo attorno. Icepick è morto sul colpo; su Gust non c’è davvero alcun dubbio.
Il mio lavoro qui è terminato. Mi scaglio verso il tunnel più veloce che posso, un’adrenalina mai provata prima che mi scorre nelle vene e mi rende invincibile; le mani che mi tremano, le gambe e la coda impregnate di vendetta.
L’unica cosa a cui riesco a pensare, oltre a quanto facilmente io abbia portato la morte, è che non sono soddisfatto. Sapevo che non lo sarei stato ma così è troppo: avverto un senso di incompletezza, come un lavoro lasciato a metà o concluso troppo in fretta. È stato tutto troppo rapido, troppo poco soddisfacente, e io ne voglio ancora, ancora, ancora!



-

Prossimo capitolo:
-
11/04




Nota dell'autrice:
Domani (per voi oggi!) scriverò più dettagli. Ora é l'una di notte, devo proprio andare a dormire :')

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Una vita sprecata ***


10.
Una vita sprecata


-
«Papà.»
Mi avvicino al letto arrancando, come se galleggiassi in qualche liquido viscoso. In realtà ho gli arti pesanti come macigni, tanto che le gambe a stento riescono a reggermi e trascino la coda come se non mi appartenesse.
«Quante volte devo dirtelo che…»
Snow si interrompe e tossisce così forte che credo possa sputar fuori entrambi i polmoni e forse non ho tutti i torti dato che le sue mani si macchiano di sangue.
“…che devi chiamarmi padre”, è ciò che non riesce a dire. Ha ragione, me lo ripete di continuo, ma non riesco a farci nulla: lo dimentico. L’ho dimenticato ancora.
O forse non l’ho dimenticato sul serio. Forse speravo che almeno sul letto di morte potesse addolcirsi. Perché di questo sono certo: sta morendo. Dentro di me so che questa è l’ultima volta che lo vedrò e ciò che provo mi turba e mi confonde. Dovrei essere sollevato, forse persino felice di liberarmi di lui, invece tutto ciò che provo è solo una profonda tristezza.
Sospiro.
«Come stai?»
Non risponde, non ci riesce, eppure ho l’impressione che mi insulterebbe se potesse. Gli occhi corrono dalla sua mano insanguinata a me in un’eloquente risposta.
«Sono stato all’Assemblea» gli racconto per spezzare il silenzio. «Il Gran Gust ti manda i suoi auguri di pronta guarigione.»
«Quell’idiota poteva anche risparmiarsi la presa per il culo» ribatte, la voce roca e il fiato corto.
Sì, la cosa è suonata strana anche a me e lì per lì avrei voluto replicare a tono ma non mi sembrava il caso di iniziare il nostro rapporto tra Capoclan con una provocazione, anche perché mi è sembrato un tipo fin troppo irritabile per i miei gusti a differenza dei Grandi Frostbite e Arctic.
In fondo mi sento fiero di com’è andato questo primo giorno, anche perché mi sono guadagnato un primato: quello di primo arcosiano a diventare Capoclan nonostante il padre sia ancora in vita. Il record di Capoclan più giovane di sempre, invece, mi è stato soffiato da Hailstone, che è già nell’Assemblea da quando tre anni fa il Gran Cooler è morto all’improvviso.
Mio padre tossisce ancora, anche se più debolmente, e sembra voler parlare. Attendo con pazienza che riesca a prendere fiato.
«Cold, ricorda il tuo compito. Devi portare in alto il nostro Clan» mi dice. «Devi creare l’Essere Perfetto a ogni costo o fare quanti più figli possibile che possano provarci. Se sei degno del mio sangue, lo porterai a termine.»
Stringo i pugni. So che ha ragione ma queste parole risvegliano qualcosa di sgradevole in me: la sensazione che mi stia suggerendo di generare un esercito di esseri infelici col solo compito di fare altrettanto finché la genetica e la fortuna non decideranno di concederci una mutazione perfetta, cosa che potrebbe non avvenire mai. L’unica fortuna di tutti i fratelli che non ho mai avuto è stata l’incapacità di Snow di generare altri figli senza rischiare la vita… o adesso sarei solo il primo tra tanti.
Mi chiedo se pronunciare o no queste parole dopo quasi trent’anni di repressione proprio dinnanzi al letto di morte di mio padre ma stavolta, per qualche motivo, mi sento incredibilmente coraggioso. La rabbia pian piano divampa in me.
«A differenza tua, padre, io non produrrò figli soltanto per rovinar loro la vita con questa dannata eredità.»
Snow ride, beffardo, e sento che non riuscirò mai più a togliermi dalla testa quella maledetta espressione sarcastica.
«E invece lo farai eccome» ribatte, e questa mi suona come una maledizione. «Ti ho plasmato esattamente per questo. Non perché ti desiderassi, non perché amassi infliggermi orribili ferite e dolore straziante: sei nato perché dovevi nascere, Cold. Perché l’avevo promesso a mio padre. E il tuo unico scopo in questa vita è generare l’Essere Perfetto… non dimenticarlo mai.»
Le unghie mi si conficcano nella carne a sangue proprio come queste parole nel cervello, ma non sento il dolore; quello fisico non è nulla a confronto di ciò che provo dentro. Mi sento così idiota, così debole, perché nonostante ciò che dice so che questa è l’ultima volta che lo vedrò e sono così devastato all’idea di perderlo per sempre…
Tu non sei triste all’idea di perdere me?
Eppure c’è qualcosa che prende il sopravvento sul dolore. Ho trascorso una vita intera a impegnarmi per non mostrarmi debole, soprattutto a lui, e non finirò di farlo proprio adesso. L’orgoglio, ciò che con lui ho sempre represso, sta tornando a galla tutto d’un tratto come un rigurgito acido.
«No» dico, e quando sul suo viso si dipinge la sorpresa provo uno strano, sadico piacere. «Ho già preso la mia decisione. Non plasmerò altri figli.»
«Li plasmerai.»
«Non lo farò.»
«Lo farai» insiste lui e sorride, sorride perché sa di aver ragione. «Credi che non mi accorga di come tratti il tuo primogenito? Lo farai perché hai il cuore tenero e li desideri. Degno di un essere imperfetto come te.»
«E invece non li plasmerò con il preciso scopo di fare un dispetto a te, dannato bastardo.»
Resto sorpreso e attonito dalle mie stesse parole. È la prima volta che mi rivolgo a lui in questo modo; immagino che vederlo così indifeso e impossibilitato a punirmi abbia giocato la sua parte. Il punto, però, è che non me ne pento affatto.
Attendo una sua reazione per poco. Mi aspettavo che avrebbe reagito con rabbia, invece, contro ogni mia previsione, ride.
«Può darsi che alla fine tu abbia tirato fuori un po’ di fegato. Peccato che non potrò godermelo per molto» dice. Sembra divertito. «Ti conosco troppo bene, Cold. Non puoi mentirmi e sperare che me la beva.»
Ha ragione, ha assolutamente ragione, ma non posso farglielo sapere.
«Non riserverei mai ai miei figli un destino del genere.»
«Lo hai fatto. Hai creato un essere imperfetto.»
«Sarà Capoclan. È destinato al potere. La sua imperfezione non gli peserà quanto peserebbe a un secondogenito.»
«Anche tu sei Capoclan, eppure parli come se ti avessi mai fatto mancare qualcosa.»
La sua capacità di irritarmi è davvero incredibile, penso mentre la voglia di distruggere il muro con un pugno si fa devastante. Eppure con uno sforzo incredibile mi costringo a sorridere, amaro.
«Ci sono molte altre cose che un padre può dare a un figlio oltre il potere, e tu non me ne hai mai data nessuna.»
«Te l’ho detto: hai il cuore troppo tenero. Cosa vuoi, una carezza?» ride, ma torna subito serio per affilare la lama che sta per piantarmi nel petto. «Sei la mia più grande delusione, Cold, e il mio maggior rimpianto. Sono quasi morto per te e non sei nemmeno ciò che volevo… una vita sprecata.»
La mia vita o la tua?
Sento che dovrei soffrire, forse piangere, e in effetti le lacrime iniziano ad appannarmi la vista ma non scivolano lungo le guance. Ho odiato Snow per una vita intera ma mai prima d’ora ho provato tanta voglia di vederlo morire.
«Scommetto che tuo padre direbbe lo stesso di te, Snow. O forse l’ha fatto? È per questo che vuoi farmi soffrire o è solo il tuo maldestro modo di convincermi a seguire la strada che ti aspetti io segua, instillandomi sensi di colpa?» la coda mi vibra in uno spasmo di collera. «Non ci riuscirai. Dici che io sono imperfetto ma tu stai morendo a nemmeno cinquant’anni per quanto sei debole. Sì, la tua è proprio una vita sprecata. Degno di un essere imperfetto come te.»
Ogni parola che sputo fuori mi alleggerisce il petto da un peso che, sommandosi, mi rende sempre più leggero. Il suo sguardo pieno d’odio mi ferisce ma non come avrei pensato quando, fino a pochi minuti fa, avevo ancora sperato in una sua redenzione. In un suo cenno d’affetto, forse. In un estremo incoraggiamento. E invece proprio lui, che mi ha gettato al mondo contro il mio volere e mi ha rovinato la vita con le sue aspettative irrealizzabili, adesso prova a darmi il colpo di grazia con tutta la crudeltà di cui è capace. Ma non mi lascerò abbattere.
La realtà è che Snow è irrecuperabile e prima o poi bisogna accettare di abbandonare chi ci fa soffrire e riappropriarci di noi stessi. Nel mio caso, però, è per sempre.
«Non farti più vedere.»
Il suo tono è risoluto, fermo e tremante dallo sdegno. Mi compiaccio di essere riuscito a scalfirlo, anche se non mi sta dando la giusta soddisfazione.
Ma non mi serve. Lo guardo negli occhi, l’ultimo sguardo che dedicherò mai a colui che mi ha donato il suo sangue, e sputo fuori gli ultimi pezzi del macigno che mi portavo dentro da trent’anni.
«Crepa in fretta, bastardo.»
Poi mi volto e, senza esitare, esco dalla stessa porta da cui sono entrato. Leggero come una piuma.
 
 
*  *  *
 
 
Riapro gli occhi con la sensazione di avere i polmoni accartocciati su se stessi, come se fossero vuoti da una notte intera.
Ogni tanto mi capita di sognarlo in uno qualsiasi dei vari momenti della sua vita. Oggi mi è capitato quello della sua morte, uno dei peggiori ricordi che ho di lui, e avrei preferito non rivivere tutte le sensazioni che provai quella notte, quando per l’ultima volta i nostri occhi si incontrarono.
Non farti più vedere, mi ringhiò contro, e così fu. L’ultimo ricordo che ho di mio padre è di lui disteso su un letto, logorato dalla malattia. Non ho voluto neanche essere presente al rito d’addio, quando il suo corpo è stato portato all’esterno e sepolto tra la neve, donato ad Arcos come se Snow avesse mai meritato di solcare il suolo del nostro pianeta con la sua empia presenza.
Eppure stavolta c’è un valido motivo per cui mio padre ha di nuovo preso possesso dei miei pensieri, anche se tento di non pensarci.
Mi metto seduto. Il rumore delle tempeste notturne è già cessato, quindi è di certo il momento di alzarmi, eppure quanto desidererei restare ancora un po’ in questo letto… l’unica cosa che riesce a mettermi in piedi è l’appuntamento che ho con mio figlio a breve.
Dopo pochi minuti esco dalle mie stanze e mi dirigo verso la camera di Cooler. La porta è socchiusa; come credevo mi sta aspettando con pazienza.
Mi affaccio oltre la soglia con timore di disturbarlo ma lui era pronto al mio arrivo. Lo vedo disteso a letto, le mani intrecciate a sorreggere il capo, una gamba incrociata sull’altra. Il suo sguardo pensieroso è puntato sul soffitto un attimo prima di spostarsi su di me. Le gambe si distendono, si mette in piedi in un attimo con un sorriso.
«Ci hai messo un po’. Poca voglia di uscire, oggi?»
«I miei sogni mi hanno preso in ostaggio» ricambio il suo sorriso mentre mi si avvicina.
«Cos’hai sognato?»
È una domanda che mi pone spesso ma non gli ho mai dato una risposta soddisfacente; forse è proprio per questo che non si arrende nel chiedermelo ogni volta. Purtroppo, però, a me non piace per niente parlare di mio padre. È bene che Snow venga dimenticato il prima possibile e che, soprattutto, nessuno possa accorgersi di quanto abbia sempre avuto ragione sul mio conto, una cosa che davvero non riesco ad accettare.
Scuoto il capo.
«Nulla che valga la pena raccontare.»
Mi volto e lui mi segue, pronto a trascorrere con me le prossime ore in meditazione, come ogni mattina prima dell’Assemblea. Non ci fermiamo neanche a mangiare qualcosa; usciamo direttamente di casa, lanciandoci nel nostro quartiere.
Come sempre gli sguardi di tutti si incollano su di noi e sia io che Cooler camminiamo tra i nostri cittadini a testa alta.
«Gran Cold, Gran Cooler» ci saluta qualunque arcosiano incrociamo. Cooler fa un cenno del capo o un cenno della mano, sorride, si inchina leggermente con fare aggraziato.
Per qualche motivo nel quartiere hanno iniziato ad appellarsi a lui come “Grande” nonostante non sia Capoclan né potrà mai esserlo. Non so se sia una questione di abitudine, dato che fino a qualche anno fa hanno chiamato in quel modo uno dei Capoclan, o se davvero vorrebbero che fosse lui a prendere il mio posto invece di Froze. Non mi sorprenderebbe: il fascino che Cooler emana ora che sta diventando adulto è davvero magnetico. Nessuno può resistergli.
Quando arriviamo all’esterno ci sediamo al solito posto, io sul mio sperone di roccia e lui a gambe incrociate nella neve. Il vento che ci sferza è glaciale come non lo è mai stato in tutta la mia vita; questo inverno è così rigido da far soffrire a tratti persino me, che sono abituato a restare in balia della bufera arcosiana.
Cooler chiude gli occhi, pare rilassarsi e io faccio lo stesso, ma ricordi inattesi mi inteneriscono. A volte quando lo guardo mi sembra ancora di vederlo minuscolo com’era tre anni fa, quando a stento si reggeva sulle proprie gambe.
«Quando eri bambino avevi un atteggiamento così diverso» mi sfugge. Lo vedo guardarmi sott’occhio. «Mi sembra ieri.»
«Non sarei durato tanto con quelle premesse» risponde. «Ho scoperto che un sorriso ha più potere di quanto credessi.»
«Te l’ha insegnato Hailstone?»
«Mi ha insegnato tante cose. Ma mai quante me ne hai insegnate tu.»
Annuisco, mi godo il vento che mi sferza. Mi chiedo se sia il momento giusto per parlargli; da quando ho preso la mia decisione non attendo che il momento opportuno, ma l’argomento è così spinoso che ho persino paura di affrontarlo con lui. Il suo giudizio è l’unica cosa di cui mi importi ma non potrà mai essere più forte del mio volere ed è proprio questo a devastarmi: la possibilità che lui non sia d’accordo con me.
Decido che prenderò coraggio, ma ho ancora bisogno di un po’ di tempo.
«Sai dov’è andato tuo fratello?»
Si stringe nelle spalle.
«Chi lo sa? Ma tornerà in tempo, ne sono certo.»
Trattengo tutte le parole che vorrei dirgli; in primis, che porterei volentieri lui all’Assemblea piuttosto che Froze, anche se è proprio Froze a dover essere introdotto tra i regnanti. Mi ripeto che non posso e non devo sparlare di Froze con Cooler: non voglio che il loro rapporto, che nei tre anni da cui sono fratelli si è basato perlopiù sull’ignorarsi a vicenda, sfoci nell’astio. Ho la sensazione che basti davvero poco a scatenare una guerra tra loro ed è l’ultima cosa che voglio.
«Credo sia geloso di me» dice Cooler, come se avesse ascoltato i miei pensieri. «Lo è da quando sono nato. Ma adesso che i cittadini iniziano a preferirmi a lui la cosa deve starlo turbando più del solito. Al mattino scappa letteralmente di casa pur di non vederci uscire assieme.»
«Se venisse qui con noi acclamerebbero anche lui come acclamano te» mi sento pronunciare. Cosa che a Cooler non fa piacere, a giudicare da come le sue labbra tremano dal fastidio.
«Non credo, padre. In pochi lo sopportano. Somiglia più a un ragazzino capriccioso che a un Capoclan, a differenza mia.»
Mi viene da sorridere.
«Ora sembra quasi che sia tu quello geloso.»
«Non insultarmi» ribatte lui. «Non ho motivo di desiderare di diventare Capoclan dato che nessuno di noi due lo sarà mai.»
Il cuore mi si inchioda in petto. Sì, è proprio arrivato il momento di parlarne, ma non qui.
Mi metto in piedi.
«Seguimi.»
Non fa domande quando lo conduco nella stessa grotta in cui spesso troviamo riparo durante gli allenamenti, la stessa in cui un lontano giorno di tre anni fa trovai lui e Froze dopo che Hailstone li aveva lasciati ad attendermi.
Appena mettiamo piede all’interno il silenzio cala attorno a noi e io sono davvero certo di esser solo. Qui nessuno potrà ascoltarci di nascosto come potrebbe capitare all’aria aperta.
«Ho la sensazione che tu stia per darmi cattive notizie.»
Mi stringo nelle spalle. Sì, anch’io ho la sensazione che per lui sarà una pessima novità, anche se io non provo lo stesso.
«E ho anche la sensazione di sapere quali.»
Non ne dubito, è sempre stato un tipo perspicace e forse si è sempre aspettato ciò che sto per dirgli. Prendo un profondo respiro, poi do finalmente voce ai miei pensieri.
«Ho atteso per tre anni» esordisco. L’espressione sul suo volto muta visibilmente da confusa a interdetta a spaventata.
«No, per favore…»
«Non posso più aspettare, Cooler.»
Il suo sguardo sfugge al mio e vaga tutt’attorno come alla ricerca di una frase giusta da dire per farmi cambiare idea. Ma non c’è nulla che possa distogliermi da questo pensiero.
Cooler sa di non essere Perfetto, ormai abbiamo testato questa possibilità un’infinità di volte negli scorsi anni, e sapeva dentro di sé che avrei voluto ritentare… ma la cosa dev’essere davvero spaventosa adesso che la possibilità è reale. E non ha idea di quanto lo diventerà alla fine di questa conversazione.
«So che temevi questo momento e posso giurarti sul nostro sangue che il nostro rapporto non cambierà di una virgola. Ma devo fare un altro tentativo. Ho atteso abbastanza.»
«Padre, lo sai che io e te da soli potremmo prendere il potere su Arcos in un attimo» dice, e so che è la verità, ma non suona abbastanza convincente alle mie orecchie. «Dimmi, che necessità c’è di plasmare un altro arcosiano?»
«C’è un motivo ancora più grande del mio istinto paterno. Nessuno dei nostri antenati ha mai atteso tanto a lungo prima di tentare» gli dico provando a contestualizzare il mio pensiero. «Erano impazienti. Mio nonno ha plasmato mio padre a soli vent’anni e così Snow ha fatto con me. Io, adesso, ne ho quasi trentaquattro… e potrebbe essere il momento perfetto. Il DNA è uno strumento malleabile; le mutazioni si creano, si accumulano, si sovrappongono man mano che le cellule si dividono e il tempo passa. Più tempo trascorro in vita, più il mio genoma diventa instabile, più alta è la probabilità che la mutazione si arricchisca e si trasmetta.»
«Nel bene e nel male» precisa lui. Il pensiero della malattia di Snow è solo un lampo che mi attraversa la mente prima di svanire ancora. «E cosa accadrà quando lo esamineranno? Ora le cose non stanno più come quando sono nato io. Se nasce un mutante se ne accorgeranno immediatamente con l’analisi del genoma.»
È vero: assieme all’approvazione della Legge delle Nascite è stato anche testato un nuovo modo per analizzare i nuovi nati. La nostra fortuna è stato il fatto che chiedere a noi adulti un campione di sangue da analizzare sarebbe stato un affronto incalcolabile, anche se non escludo che prima o poi possa accadere… ma tutti i neonati sono uguali agli occhi della Legge, e gli arcosiani si accorgerebbero in un attimo che la sequenza genica di mio figlio, anche se non fosse l’Essere Perfetto, sarebbe ben diversa da quella dei semplici arcosiani.
Ma ho la risposta anche a questo.
«C’è un solo modo per proteggere tuo fratello.»
Ecco il momento che temevo di più di tutti, quello che davvero cambierà tutto. Lui legge la mia esitazione come un libro aperto perché arretra d’un passo, terrorizzato.
«Cos’hai in mente?»
«Non dichiareremo la sua nascita.»
Cooler mi guarda per qualche attimo senza realizzare cosa ciò significhi, poi collega i pezzi del puzzle.
«Vuoi plasmarlo senza dichiararlo» ripete, come per fissare il concetto. «Ma l’unico modo sarebbe…»
«Farlo qui. Esatto.»
Lo vedo agitarsi, scuotere il capo con forza.
«Non posso accettarlo, padre. È troppo pericoloso. E come pensi di riuscire a tirar su un figlio all’esterno?»
«Lo farò per poco, solo finché sarà abbastanza grande da potersi unire a noi; poi prenderemo Arcos, che lui sia l’Essere Perfetto o meno. E non sarò da solo. Voi sarete dalla mia parte.»
«Froze non accetterà mai una cosa del genere.»
«Non m’importa nulla di Froze» mi lascio sfuggire in preda al fastidio. «L’unica cosa che mi interessa è che tu sia d’accordo, Cooler. Senza il tuo aiuto non potrò mai portare a termine tutto ciò.»
«Mi stai chiedendo di partecipare al metterti in pericolo. Te ne rendi conto?»
L’irritazione sfocia finalmente in rabbia. La coda batte contro il terreno così potente da sollevare una colonna di terriccio chiaro.
«Credi che non lo sappia? Mi ritieni tanto stupido?»
«No, ma…»
«Non sei stato tu stesso a dirmelo? Se possiamo dominare Arcos, perché non lo facciamo? Ecco, lo faremo presto. Abbiamo solo bisogno di un altro mutante che possa aiutarci.»
«Quella volta ti dissi anche che per farlo avremmo dovuto uccidere chi si opponeva e tu non fosti entusiasta al pensiero» controbatte. Stringo i pugni.
«Infatti non voglio la guerra» dico, ma non so cos’altro aggiungere. Sto facendo di tutto per convincerlo ma la realtà è un’altra: io voglio davvero fare un altro tentativo.
Ho impiegato molti anni e fin troppa sofferenza a farmene una ragione ma finalmente l’ho capito: il mio destino non è mai stato quello di essere Perfetto. Io sono nato per essere il padre degli dei. Il mio compito e il mio unico obiettivo è rendere reale la Leggenda, e ci proverò fino all’ultima goccia del mio sangue. È l’unico modo che ho trovato per dare un senso alla mia vita imperfetta e inutile.
Una vita sprecata.
«Non sono d’accordo.»
«Non m’importa» il mio tono lo pietrifica, non osa più obiettare. «Lo faremo appena mi dirai di sentirtela. Voglio che tu sia con me quando plasmerò tuo fratello, così potrai vedere come funziona la nascita.»
Eppure guardarlo così, remissivo e scontento, mi fa sentire davvero in colpa. Espiro via tutta la mia collera, mi addolcisco.
«Presto diventeremo potenti, Cooler, come mai lo siamo stati. Tu ed io saremo i padroni di Arcos e forse anche dei pianeti che lo circondano… ma non possiamo farcela da soli. Froze non sarà mai del tutto dalla nostra parte. Abbiamo bisogno di un altro alleato ed è per questo che nascerà Freezer.»
«Freezer.»
Pronuncia questo nome come se volesse già iniziare a familiarizzarci; forse in fondo sono riuscito a convincerlo. Poi alza gli occhi sui miei e adesso, più che paura, vi leggo solo sconforto e rassegnazione.
«So quanto ci tieni a plasmare l’Essere Perfetto» dice. «E se mi sono opposto è solo perché ho paura. Sei tutto per me, padre. Non posso sopportare l’idea di perderti.»
Mi si stringe il cuore a queste parole; mi sembra di rivedermi alla sua età, un minuscolo arcosiano che non avrebbe mai osato dire cose del genere al proprio padre.
Mi avvicino a lui, gli tendo la mano e lui l’afferra lasciando che porti la sua proprio contro il mio petto. Spero che senta quanto forte batte il mio cuore al solo pensiero di poterlo far soffrire.
«Ti prometto due cose, Cooler. La prima è che farò di tutto per restare al sicuro e tenere al sicuro voi. La seconda è che ti renderò grande, molto più grande di un Capoclan. Renderò la tua vita pienamente degna di essere vissuta e non dovrai mai rimpiangere l’esser venuto al mondo come ho fatto io per tanti anni. Tu mi prometti che mi starai accanto?»
«Sempre.»
Non aggiunge altro ma so che è sincero.
Ho il cuore tenero, è vero, ma non abbastanza tenero da essere debole. Ora so che se fosse necessaria una guerra l’affronterei pur di raggiungere i miei obiettivi e rendere felici i miei figli. Lo devo a Cooler… e anche a Freezer, chiunque egli si rivelerà essere.
 
 



-

Prossimo capitolo:
-
18/04






Nota dell'autrice

Ciao ragazzi!
Innanzitutto vi devo delle scuse per essere assente negli ultimi tempi ma è diventato davvero difficile trovare il tempo e la voglia di scrivere nelle ultime settimane. Spero che non possiate capirmi (vorrebbe dire che anche voi siete pieni di lavoro/studio fino alle orecchie), ma ci tenevo a dirvelo perché la storia potrebbe subire un rallentamento qua e là, quando sento di non riuscire ad aggiornare.
Ma, good news, a fine settimana tornerò in Italia (Lufthansa permettendo) e avrò un bel po' di tempo libero che spero di dedicare a Cold e soprattutto al mini-Freezer che sta per vedere la luce!
Devo ammettere che scrivere di questo parallelismo Snow-Cold e Cold-Cooler in quanto padri e figli è stato davvero interessante soprattutto per le contraddizioni interne di Cold, che sa bene che suo padre aveva ragione e in fondo fa esattamente ciò che lui gli ha sempre detto senza riuscire a distaccarsi dal suo volere nonostante l'odio viscerale che ha imparato a provare per lui. Non vedo l'ora di introdurre anche Freezer (sono due anni che non scrivo di lui... era proprio l'ora!) e di ritornare a scrivere dal suo pov, oltre che da quello di Froze e di Hailstone, che sono gli altri due spin-off previsti. Ma tempo al tempo...
La storia sta per prendere una piega molto diversa da com'è andata finora e chi è qui dalle storie precedenti sa già a grandi linee cosa accadrà, ma spero non crediate di conoscere già gli eventi... ci sono un po' di cose che potrebbero sorprendervi!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima settimana!

- Gio
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Essere Perfetto ***


11.
Essere Perfetto


-
 
Stavolta tutto è estremamente diverso dalla precedente.
Di nuovo provo un viscerale terrore e di nuovo stringo tra le dita la stalattite che brama il mio sangue, ma le somiglianze con le scorse nascite terminano qui. Tutto ciò che mi circonda adesso è cambiato.
Sono all’esterno, per iniziare, e plasmerò mio figlio proprio qui all’aria aperta, sferzato dal vento e dalla neve. Mi hanno proposto di entrare nella grotta, al sicuro da eventuali occhi indiscreti, ma ho rifiutato: ora che davvero ne ho l’opportunità nessuno mi impedirà di far nascere Freezer sulla superficie del pianeta, come ho sempre sognato.
Inoltre, cosa più importante, non sono da solo. È chiaro dalla sua posa rigida e dalle braccia conserte che Cooler non sia entusiasta di essere qui, eppure c’è e so che veglierà su di me fino alla fine. Mi rilasso al pensiero che se dovessi essere in difficoltà lui farebbe di tutto per aiutarmi.
Froze, invece, si è offerto di fare la guardia all’ingresso dei tunnel. Ho avuto l’impressione che non volesse in alcun modo assistere allo spargimento di sangue che mi aspetta e sono certo che anche alla nascita di Cooler abbia provato lo stesso… o forse è soltanto molto contrariato dato che, come credevo, non ha accettato di buon grado la notizia di avere un ennesimo fratello, per di più nato illegalmente.
Ma non m’importa di nulla finché Cooler è qui con me, anzi, la sua sola presenza riesce a darmi forza. Dovrò dare davvero il massimo e dimostrargli chi sono; non posso esser debole se c’è lui ad assistere.
Lo guardo negli occhi per rincuorarlo e vi leggo solo un’indicibile preoccupazione. Tutto mi lascia intendere che non riesca ad accettare in alcun modo la mia decisione e non riesco a scegliere quale dei mille possibili motivi possa essere quello giusto.
«Andrà bene. L’ho già fatto due volte.»
«La seconda ero presente» ribatte lui, la voce quasi del tutto coperta dal vento. «E non andò così bene.»
Sì, lo ricordo anch’io. Vorrei dirgli che ha ragione ad aver paura ma non ho scelta, non stavolta. Mi sforzo di sorridergli mentre il ghiaccio inizia a bruciarmi le dita.
«Te lo prometto, andrà bene. Devo iniziare.»
Sospira, cerca di lasciarsi convincere e io sento di non avere più tempo da perdere. M’impongo di lasciar fare al corpo, senza più pensare; porto la lama sul solito palmo, sfiorandolo con delicatezza in corrispondenza della cicatrice che ancora si estende nel centro. Tremo visibilmente. Non devo pensare, mi ripeto: non devo ricordare com’è stato le due volte precedenti. Stavolta sarà diverso.
Chiudo gli occhi e inspiro l’aria gelida sentendomi già rigenerato. Il ruggito della neve che si alza nei cicloni e si schianta in lontananza diventa ben presto una melodia a cui decido di abbandonarmi. Mi sento incredibilmente in pace, tanto che quando l’energia inizia a ribollirmi sul palmo e la punta della lama penetra la carne provo meno dolore del previsto.
Dolore che aumenta sempre più man mano che il tempo passa. Credevo di aver dimenticato quanto male facesse, forse addirittura di essermi abituato a sopportarlo, ma ora so che non ci si abitua mai a una cosa del genere. A questo punto sono certo che il dolore sia parte integrante del processo; senza sofferenza non può esserci la vita, una consapevolezza che la rende ancora più preziosa ai miei occhi.
Eppure non ho scelta: stringo i denti e vado avanti nel premere la punta a fondo. Sento il ghiaccio sciogliersi e diventare acqua gelida che si mescola al sangue e all’aura componendo muscoli, ossa, esoscheletro del piccolo corpo che inizio a percepire mio palmo… ma stavolta c’è davvero qualcosa di differente. Non ho neanche bisogno di procedere lungo il polso: il sangue sembra fluire via dalle mie vene come se fosse la cosa più naturale al mondo, così come l’energia che scorre, rapida, sfuggendo al mio controllo. Per qualche attimo credo di essere io ad esser migliorato ma presto capisco che non è così: è la sfera che si accresce tra le mie dita a richiamarli a sé, attraendoli come se fosse una calamita. Come se mi stesse risucchiando la vita per creare la sua.
Vedo sott’occhio Cooler arretrare; si è di certo accorto che qualcosa non va come dovrebbe ma qualsiasi cosa sia non posso distrarmi, non ora. Ho la sensazione che questa nascita sia speciale. Nel mio cuore si risveglia una sola, incredibile speranza che mi riprometto di scacciare.
«Padre, tutto bene?» mi sento domandare. Un attimo dopo mi accorgo di stringere il vuoto tra le dita che prima ghermivano la lama: il calore l’ha totalmente disciolta ben prima che potessi arrivare a usarla tutta.
«Cosa…» dico, ma non riesco a parlare. La sfera di luce inizia a farsi accecante e avverto il mio braccio tremare ma non so se è per lo sforzo, per l’energia che lo avvolge o per la paura. Mi afferro il polso con l’altra per tenerla ferma; il sangue che gocciola via dalla ferita mi scorre lungo le dita ma non è neanche lontanamente paragonabile alla quantità che ho perso per la nascita di Cooler e Froze.
Poi, d’un tratto, la terra sotto i miei piedi inizia a vibrare, minacciosa, e la bolla di luce si ingrandisce fino a inghiottirmi. Persino le tempeste si attenuano, non sento neanche più il rumore del vento o la neve cadermi addosso. Mi sembra che si stia espandendo attorno alla mia mano una capsula di energia vorace che mi ingloba senza possibilità di fuga.
«Stai indietro!» urlo a Cooler sperando che mi senta.
Resto così, una mano a pararmi gli occhi e l’altra tesa, illuminata da quella luce esplosiva, per tutto il tempo necessario. Mi sembrano passate ore intere quando il chiarore svanisce, riassorbito dal bianco della neve o dal mio stesso palmo, proprio lì al centro… lì dove una piccola figura inizia a delinearsi.
È uno spettacolo incredibilmente affascinante da cui non riesco a staccare gli occhi. L’aura sembra ribollire attorno a un minuscolo corpo che sento incredibilmente leggero, molto più di quanto lo fossero i suoi fratelli. Tuttavia c’è qualcos’altro di ben più spettacolare che lo rende diverso dai suoi fratelli.
Freezer è seduto a gambe incrociate proprio al centro della mia mano, esattamente sopra la ferita che non ho nemmeno avuto la necessità di cauterizzare. È lì, composto, come se fosse nato proprio in quella posizione; non confuso, non spaventato da ciò che sta accadendo ma fermo, immobile e calmo.
Lo osservo man mano che gli occhi si abituano e la luce si dirada: il suo corpo è esile, bianco come la neve che ci circonda; le bioplacche che gli si incastonano in molti punti sull’esoscheletro e sul cranio sono ancora trasparenti anche se so che presto si coloreranno a contatto con il sangue che già inizia a pompargli nelle vene.
Ciò che però mi sorprende e mi turba di più è il suo sguardo. Come accade sempre, la prima cosa che fa il figlio è alzare gli occhi per incontrare quelli del padre; questa volta, però, il figlio sembra pienamente consapevole della propria esistenza e il padre ha un profondo e incomprensibile brivido.
Non riesco a fare a meno di paragonare questa nascita a quella di Cooler. L’emozione che ho provato in quei momenti era unica, totalizzante; adesso invece sento un miscuglio di sensazioni, positive e negative, che mi bloccano il respiro. Una in particolare, quella dannata speranza, torna a stringermi il petto. Provo a dirle di smetterla ma non vuole saperne di andarsene. Le due parole che mi sussurra (Essere Perfetto) sono troppo affascinanti per scacciarle.
«Freezer» gli sussurro, ma il mio tono è meno caloroso e commosso di quanto avessi sperato.
«Freezer» ripete lui dopo un attimo di silenzio, come se stesse valutando il proprio nome.
Si esamina le mani con lentezza valutando il dorso, poi il palmo, richiudendole e riaprendole. Poi torna a guardarmi negli occhi. I suoi sono due perle sanguigne che sembrano brillare di luce propria al riflesso della neve candida.
«Freezer» ripete. «Cosa sono?»
Un brivido mi pugnala la schiena fino a raggiungere le ossa.
Questo… questo non è normale.
«Sai parlare?» gli chiedo, sconvolto. Lui sembra analizzare le mie parole, comprenderle, cercare il modo opportuno di rispondere.
«Sei sorpreso. Suppongo che non te lo aspettassi.»
Osservo mio figlio, Freezer, alzarsi in piedi utilizzando la coda per bilanciarsi alla perfezione, senza neanche l’ombra di un vacillamento nonostante il vento che ci colpisce. Se soltanto penso a Froze, a quanta difficoltà fece la prima volta che provò a mettersi sulle sue gambe il giorno dopo la nascita, o a Cooler, che sembrava incredibilmente goffo persino nel tentativo di sedersi…
Essere Perfetto, continua a sussurrare la mia mente, e faccio sempre più fatica a negare a me stesso l’evidenza.
Provo la strana necessità di rapportarmi a lui come se avesse già un anno, una sensazione assurda e paradossale.
«Sì. Di solito gli arcosiani impiegano giorni prima di parlare.»
«Arcosiano» ripete lui. «È questo che sono?»
Sei molto di più, vorrei dirgli, ma non ci riesco.
«Sì. Quello che vedi qui attorno è il pianeta Arcos.»
Lo osservo ruotare la minuscola testa tonda e guardare le tempeste per alcuni attimi, poi fissarli su qualcosa, anzi, su qualcuno alle mie spalle. Mi volto verso Cooler: i suoi occhi sono sgranati, sembra incredulo quanto me nel vedere di cosa sia già capace suo fratello. Poi gli occhi di Freezer, sottili come fessure, cambiano obiettivo e osservano tutto ciò che possono. Sono certo che stia apprendendo.
«Mi devi delle spiegazioni» dice. Poi, senza che me lo aspettassi, si solleva nell’aria e sgranchisce le gambe e la coda, perfettamente padrone del suo corpo. Non fa una piega neanche quando una folata più intensa delle altre ci colpisce con uno sbuffo di neve. Resto troppo basito persino per tentare di afferrarlo.
So che ha ragione ma non riesco a comprendere quanto in fretta sia accaduto tutto ciò. Mi aspettavo di dover raccontare la nostra storia a un essere ben più fragile di questo e invece ho la sensazione di essere di fronte a un arcosiano già adulto, forse persino mio pari. La cosa è così destabilizzante che non so se esserne felice o meno.
«Sì» dico solo. «Ti spiegherò tutto. Vieni con me.»
Si stringe nelle spalle come se si annoiasse a seguirmi ma non protesta quando mi dirigo verso la grotta. Mentre mi incammino analizzo la mia mano: perfettamente sana. Il dolore, tutto sommato, è stato minore del previsto, anche se compensato da un terrore primordiale che forse è stato anche un’esperienza peggiore del male fisico considerando che ancora ne sento lo strascico.
È stata una nascita davvero impeccabile, ma sono sempre meno certo che sia merito mio.
Freezer mi segue levitando alle mie spalle con invidiabile sicurezza e così fa anche Cooler. Entriamo nella grotta posizionandoci dove io e suo fratello abbiamo discusso proprio di lui. Freezer si guarda attorno con fare curioso ma mi sembra teso, ostile. Infatti a un certo punto si volta verso di me, impaziente.
«Ebbene?» dice per incitarmi a parlare.
«Cosa sai?» gli domando, questione che deve fargli esplodere il cervello considerando quanto intensamente pare rifletterci. Non trova una risposta, cosa che pare innervosirlo.
«Cosa dovrei sapere?» sbotta, irritato.
«Hai dei ricordi?» interviene Cooler, sinceramente curioso.
Freezer ci riflette per qualche attimo e sembra irritarsi sempre di più man mano che il tempo passa.
«So solo che sei stato tu a crearmi, perché l’ho visto con i miei occhi. Prima di questo, nulla. Il mio cervello sembra vuoto» dice, scuotendo il capo con stizza.
«Ma sai già comunicare. È assurdo.»
Pare che queste parole lo stuzzichino perché Freezer si volta verso Cooler e sul suo volto appare un accenno di sorriso.
«Assurdo, dici? Forse per te. Ti presenteresti?»
«Presentarmi?» ripete Cooler, visibilmente innervosito. «Cosa credi che ci faccia qui?»
«Spiegamelo tu. Non mi sei sembrato indispensabile nel processo.»
«Fermi» mi sento di intervenire nonostante lo stordimento di questa intera, surreale scena. Ho la sensazione che Cooler possa rispondere a Freezer con arroganza e non voglio vederli già litigare. «Lui è Cooler. È tuo fratello e dovrete fare squadra, quindi è meglio che andiate d’accordo.»
«È meglio per chi?» sorride Freezer, canzonatorio, e io capisco di dovermi far rispettare prima che questo neonato si convinca di potermi parlare con una tale arroganza.
«È meglio per te. Vuoi o non vuoi diventare il padrone di Arcos?»
La cosa sembra interessarlo. Si fa più attento.
Prendo un profondo respiro. Da ciò che sto per dire non si torna più indietro ma, anche se non posso negare che abbia qualcosa di speciale, non ho idea se lui sia davvero l’Essere Perfetto. È per questo che inizio a raccontare con cautela, senza sbilanciarmi.
«Ti spiegheremo tutto con calma» dico, rivolgendomi a Cooler. «O meglio, adesso lo farà tuo fratello. Io devo tornare all’Assemblea.»
Cooler annuisce, anche se in modo poco convinto. Sapeva già che avrebbe dovuto badare al nuovo nato in mia assenza ma sono certo che non si aspettasse un atteggiamento del genere, anzi, forse non credeva neanche che sarebbe riuscito a comunicare con suo fratello. La situazione è davvero fin troppo diversa da quanto avessimo preventivato.
«Oh, non vedo davvero l’ora di sentire questa storia» sorride Freezer, e il suo tono è fin troppo arrogante per i miei gusti e, sono certo, anche per quelli di Cooler. È per questo che gli faccio un cenno e lui annuisce, comunicandomi che riuscirà a gestire tutto al meglio. Me lo auguro davvero.
«A più tardi.»
Esco dalla grotta senza guardarmi indietro, con un terribile nodo allo stomaco. Avevo creduto che sarei stato traboccante di gioia eppure sento soltanto una divorante preoccupazione. Avevo anche creduto che dopo questa nascita avrei avuto un neonato da introdurre al mondo, cosa di cui non ho più nemmeno la certezza.
Un lato positivo di tutto ciò è che mi sento del tutto in forze, anzi sono sollevato al pensiero di non sentirmi stremato come avevo creduto. Quello dell’Assemblea era il maggior limite di questa follia… e per fortuna è un pericolo scampato.
Potrebbe esserci un altro pericolo, adesso… un pericolo che non mi sarei mai atteso. Spero di sbagliarmi ma ho l’impressione che Freezer potrebbe diventare più problematico del previsto.
Ma non voglio pensarci, non finché Cooler non mi riferirà come sono andate le prime ore di vita di Freezer… dell’Essere Perfetto.
Il cuore mi si stringe più forte in petto.
È il mio compito e io l’ho portato a termine. Devi essere fiero di me.



-

Prossimo capitolo:
Spin-off: Freezer, il fervore dell'Essere Perfetto
2/05




Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Spin-off: Freezer, il fervore dell'Essere Perfetto ***


12.
Spin-off: Freezer, il fervore dell'Essere Perfetto


-
«Quindi non ricordi nulla sul serio?»
La coda mi trema dalla stizza, ho voglia di sbatterla contro qualcosa. L’unico motivo per cui mi freno dal far esplodere in mille pezzi con un colpo solo la roccia su cui sono seduto è che mi annoia il pensiero di doverne cercare un’altra altrettanto comoda.
«Eppure mio padre ha detto che sono capace di comunicare» ribatto, osservandolo. «Forse sei tu a non comprendere il significato di “Non ricordo”? Mi sembrano parole semplici.»
Cooler, così mi pare si chiami, mi riserva uno sguardo feroce con cui vorrebbe palesemente incenerirmi. Il mio intuito mi suggerisce che io non debba ispirargli troppa simpatia, ma suppongo che avrò modo di confermarlo… temo che dovrò aver più contatto del previsto con quest’essere.
«Nostro padre ha detto che sei avanzato, sì. Ma resti comunque un neonato.»
Mi lascio scivolare addosso quell’ultima parola; dovrò valutare se prenderla come un insulto o come un complimento alle mie magnifiche ed evidentemente precoci capacità. Eppure non mi sfugge che abbia calcato di proposito il nostro. D’improvviso, da chissà quale recondito angolo della mia essenza, giunge una consapevolezza: ora so bene cosa sto guardando e la cosa mi strappa una risata che non so trattenere.
Da cui Cooler sembra infastidito.
«Che hai da ridere?»
«Oh, nulla» dico stringendomi nelle spalle. Mi godo la sua espressione che muta in peggio a ogni mia parola. «Solo, ho appena realizzato di aver a che fare con un mocciosetto geloso. Non preoccuparti, Cooler… nostro padre.»
Fastidio, collera, ma anche una spiazzante sorpresa: tutto ciò passa sul viso di mio fratello – immagino mi convenga accettare che lo sia – in un attimo. Lo leggo come un libro aperto.
Questa storia inizia a divertirmi; prendo in considerazione l’idea di continuare a tormentarlo, ma per adesso c’è qualcos’altro di più urgente che mi preme chiedergli.
«Ora smettila di perder tempo. Mio padre… oh, volevo dire nostro padre, mi ha promesso una storia grandiosa. Sono tutt’orecchie.»
Lo vedo concentrarsi come se stesse trattenendo la voglia di insultarmi; un vero peccato considerando quanto sarebbe divertente vederlo perdere le staffe. Credo che mi ci impegnerò a fondo appena avrò modo.
«La storia è questa» dice dopo aver preso un profondo respiro. «Io, tu e nostro fratello Froze…»
Sono così sorpreso che non riesco a trattenermi.
«Ce n’è un altro?»
Annuisce, evidentemente stizzito dall’interruzione.
«E perché non è qui?» sbuffo. Mi irrita il pensiero che questo Froze abbia preferito qualsiasi altra attività piuttosto che presenziare alla mia nascita. Spero proprio che abbia avuto le sue motivazioni e che la questione non sia ben diversa… del resto, se Cooler è geloso, nulla vieta a Froze di essere invidioso.
A essere sinceri, credo mi irriti ancora di più la sua sola esistenza. Vorrà dire un altro arcosiano con cui dover necessariamente collaborare…
ma collaborare a cosa?
«Continua» gli intimo, e lui si morde la lingua per non rispondermi in modo sgarbato.
«Dicevo, noi tre siamo i figli del Gran Cold, uno dei cinque Capoclan di Arcos. Siamo mutanti, ciò vuol dire che abbiamo una potenza superiore a quella dei normali arcosiani e che, dando vita a dei figli, possiamo spingere questa mutazione al massimo fino a ottenere… l’Essere Perfetto.»
Ha esitato prima di pronunciare quelle parole. Questo può voler dire una cosa sola.
«Sono io l’Essere Perfetto?»
«Sembra di sì.»
«Mh… capisco. Quanto superiore?»
«Cosa?»
«La nostra potenza. Quanto è superiore a quella dei comuni arcosiani?»
Esita ancora, sono certo che stia per mentirmi. Sembra un bel po’ preoccupato, ma da cosa? Da me? Dalle mie intenzioni? O forse dal fatto che se volessi potrei diventare il padrone di Arcos, proprio come ha detto Cold? Lo conosco ancora troppo poco per poter comprendere le sue emozioni fino in fondo. L’unica cosa di cui sono certo è che il mio dolce fratello non si fidi affatto di me.
«Molto» taglia corto, infatti. Una risposta che a suo modo mi soddisfa.
«Bene» dico senza trattenere un sorriso. «Non vedo l’ora di provare.»
Mi alzo in piedi e anche Cooler fa lo stesso, allarmato, anche se non credo abbia ancora realizzato cosa sto per fare. So bene che dovrò essere veloce o mi prenderà e non voglio affatto che accada… ma non accadrà, perché lo ha detto anche lui: sono molto, molto più potente di lui.
Vediamo quanto, fratello.
«Freezer» dice lui, un monco avvertimento perché prima che possa aggiungere altro io scatto verso l’uscita tanto veloce che persino le pareti di roccia della grotta si crepano al mio passaggio.
Tutto ciò che sento è il vento che inizia a colpirmi appena esco dalla bocca della caverna. È potente, a tratti mi trascina o mi contrasta nel mio volo, ma non può fermarmi.
Mentre sfreccio tagliando a metà la neve ai miei piedi sento l’aura crescere in me assieme al desiderio di utilizzarla. È un fiume in piena che non riesco ad arrestare… o non voglio farlo.
Ma cosa voglio?
Voglio verificare con i miei occhi di essere Perfetto, ad esempio. Voglio vedere quanto grande sia davvero la potenza che sento esplodermi dentro. Ma soprattutto voglio questo pianeta ai miei piedi.
Le parole di mio padre continuano a danzarmi in testa. Il padrone di Arcos, ha detto. Anche lui sa che con la mia infinita potenza potrò diventare il re di questo pianeta.
Il potere è un istinto fin troppo forte in me; dal primo momento in cui ho aperto gli occhi ho saputo di essere superiore a chiunque io avessi attorno. Il pensiero di essere superiore agli abitanti di un pianeta intero mi sconvolge… ma come posso dubitarne? Io sento l’energia bruciarmi dentro con una tale violenza che non so per quanto ancora riuscirò a trattenermi dall’assecondarla…
Rallento, prendo quota e mi guardo attorno: inizio ad avere una strana sensazione. Tutto ciò che vedo sono distese di neve, montagne aguzze, alberi scheletrici con i rami appesantiti da spesse stalattiti. Non so cosa dovrei aspettarmi da Arcos ma sono abbastanza intelligente da notare che, in ogni caso, da queste parti non ci sono arcosiani da governare. Decido che chiederò spiegazioni a mio padre.
Proprio mentre la noia sta per prendere il sopravvento e sto per innervosirmi irrimediabilmente qualcosa attira il mio sguardo come una calamita: una profonda macchia nera che si estende sul suolo, in lontananza.
In pochi attimi la raggiungo e resto a bocca aperta. In fondo questa stupida distesa bianca potrebbe avere qualche sorpresa in serbo per me.
Mi siedo su quello che è l’orlo di un crepaccio così profondo che non ne vedo la fine. Mi sporgo verso l’interno e mi coglie uno spietato senso di vertigine; so bene di non poter cadere, se lo facessi mi metterei in volo in un attimo evitando ogni rischio di sfracellarmi, eppure la profondità di questo buco mi lascia scosso per un attimo.
Mi metto a gambe incrociate. Il vento pare calmarsi, persino il rumore cala e solo adesso mi accorgo di quanto le mie orecchie si fossero abituate a quello sgradevole sottofondo. Iniziano a fischiare; forse è per questo che non avverto nessuno avvicinarsi e quando vedo le due figure è troppo tardi.
Cooler sembra trafelato, deve aver fatto un grande sforzo per starmi dietro… non che mi aspettassi diversamente. Accanto a lui c’è un altro arcosiano leggermente più alto e di certo più arrabbiato, a considerare da come mi guarda.
«Maledetto incosciente!» mi urla contro il mio nuovo interlocutore. «Sei forse impazzito? Cosa credevi di fare?»
«Mi pare che tu abbia saltato le presentazioni» dico con un sorriso che deve sembrargli davvero intollerabile, perché fa per scagliarsi verso di me e di certo mi aggredirebbe, chissà con che conseguenze, se Cooler non gli afferrasse il braccio con fermezza.
«Stai calmo» sembra avvertirlo. Potrebbe essere pericoloso, è il sottinteso seguito che non osa pronunciare. Se solo sapesse quanto ha ragione…
L’estraneo mi punta contro un dito minaccioso.
«Stammi a sentire, moccioso» ringhia con un tono che davvero non mi piace. «Non rovinerai tutto con la tua stupida imprudenza. Non siamo liberi di fare ciò che ci pare, quassù. Prima lo imparerai, meglio è.»
«Non ho ancora sentito il tuo nome.»
«Froze» interviene Cooler, consapevole che non gli lascerò pace finché non lo dirà. Gli è bastato poco per imparare a conoscermi, vedo.
«Ah, il famoso Froze. Che piacere conoscerti.»
«Smettila di prendermi in giro» ringhi lui, furente. «Hai capito cos’ho detto?»
Gli sorrido stringendomi nelle spalle con fare indifferente. Non gli darò la soddisfazione di annuire.
«Volevo soltanto esplorare un po’. Che cosa c’è di male?»
«C’è di male che non ti ho ancora raccontato l’intera storia» dice Cooler. «E, se vuoi un’anticipazione, la premessa fondamentale è che tu non esisti.»
«A me sembra di esistere eccome.»
«Non per Arcos. Come prevedi di arrivare ai tuoi scopi se tutti vorranno ucciderti? Per loro sei una minaccia leggendaria che temono da secoli.»
«Non ci riuscirebbero» sorrido, ma presto mi accorgo che non posso esserne certo fino in fondo. Del resto, cosa so di questo popolo? Potrebbero possedere qualche asso nella manica che metterebbe di certo in difficoltà un neonato…
«Gli arcosiani sono davvero potenti» continua lui, confermando i miei pensieri. «In gruppo potrebbero facilmente distruggerti, almeno per adesso. Quindi farai meglio a nasconderti, almeno finché nostro padre non capirà cosa fare.»
Non credo di avere altra scelta.
«D’accordo» dico, sforzandomi come se avessi appena fatto un patto contro la mia volontà. «Proverò a frenare la mia curiosità, se me lo chiedete così gentilmente.»
Finché non sarò tanto potente che neanche voi potrete fermarmi.
Froze aggiunge altro ma io smetto di ascoltarlo: non mi interessa ciò che ha da dire. Non mi interessa nemmeno cosa Cold deciderà di fare. Adesso ho solo un obiettivo: testare la mia potenza e coltivarla, perché una cosa mi è chiara: io sono una leggenda e tutti temono le leggende, soprattutto se queste possono spazzarli via in un attimo.
Guardo l’abisso dinnanzi a me e lo sguardo si perde nelle profondità. Inspiro l’aria gelida di questo pianeta ostile e rumoroso e mi accorgo che sì, la mia vita sarà grandiosa. È appena nato un sovrano e Arcos lo scoprirà molto, molto presto.
 
*  *  *






Nota dell'autrice

Salve, ragazzi. Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo, anche se è più breve di quanto avrei desiderato.
Scusate per l’assenza ma è stato un periodo davvero cruciale nella mia vita in cui dei grandi e definitivi cambiamenti sono stati protagonisti, assieme al lavoro che sta entrando nel vivo tenendomi impegnata anche nei fine settimana.
Nelle ultime settimane di pubblicazione avevo trovato il compromesso di scrivere l’intero capitolo il sabato e la domenica e pubblicarlo il giorno stesso, cosa purtroppo non sostenibile che mi impegnava oltre il limite consentito. In pratica, nel week-end non facevo altro che scrivere. Questo mi ha portato un po’ di stress e, purtroppo, una mancanza di motivazione e un insistente blocco. Purtroppo preferisco di gran lunga avere molti capitoli pronti e scrivere andando avanti che sentirmi “costretta” a produrre, soprattutto in un periodo della mia vita in cui per la prima volta ho iniziato a convivere con il mio (futuro, a breve) marito, trascorrendo con lui quasi tutto il mio tempo libero.
Insomma, mi fermo per un po’. Non so per quanto, suppongo che aspetterò che questa ennesima fase di stress e blocco passi e che la voglia di narrare ritorni, così da poter dare il massimo per rendere indimenticabile questa storia. Ho in mente dei grandi sviluppi… devo solo metterli nero su bianco. Con Cooler la pausa mi diede anche molti nuovi spunti, mi auguro sia lo stesso anche stavolta.
Sono ancora indecisa se pubblicare un capitolo ogni tanto, senza un ritmo preciso, appena è pronto, o se accumularne un po’ per poi riprendere a un ritmo regolare, cosa che ovviamente richiederà molto tempo. Tendo a preferire la seconda opzione, ma chissà…
Grazie come sempre per essere qui, ci sentiamo… spero presto.

- Gio

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Fuori controllo ***


13.
Fuori controllo


-
Avevo creduto che plasmare l’Essere Perfetto sarebbe stata l’unica difficoltà da affrontare. Di certo non avevo messo in conto che, una volta nato, potesse farmi dubitare di aver preso la scelta giusta. Eppure le cose si fanno ogni giorno più complicate e io sento di non avere alcun potere per impedirlo.
Ogni mattina da quasi una settimana apro gli occhi col terrore che qualcuno abbia scoperto dell’esistenza di Freezer, o peggio, che Freezer abbia scoperto la Città Sotterranea, e non so quale delle due opzioni sia più terrificante. Il cuore mi ritorna più leggero solo quando mi unisco all’Assemblea e mi accorgo che la vita di Arcos, nonostante le mie preoccupazioni, scorre come al solito. Ma non so quanto tempo potrò ancora resistere prima di perdere il controllo di mio figlio.
È solo grazie a Cooler che la situazione resta vagamente stabile. Ogni giorno, dopo il mio rientro dalla visita quotidiana all’esterno, lui resta assieme a Freezer nel tunnel di grotte in cui abbiamo deciso di stabilire la nostra nuova residenza in superficie. Quando rientra si accerta di apparire stanco come se non avesse fatto altro che allenarsi e, anche se questo non azzera la stranezza del suo comportamento, almeno ne dà una spiegazione plausibile. Di certo tutti, almeno nel Clan, si saranno accorti che mio figlio passa la maggior parte del suo tempo all’esterno, ma nessuno ha osato farmelo notare. Del resto, Cooler è il figlio del Gran Cold e può fare ciò che vuole con il mio benestare; come gradisca occupare il suo tempo libero non dev’essere affare di nessuno.
La faccenda più complessa è la seconda: tenere Freezer a bada. Già nei primi momenti dopo la sua nascita ci siamo accorti di quanto sia prematuro e prepotente. È già in grado di parlare e muoversi, cosa che lo rende incredibilmente pericoloso data la sua grande curiosità verso l’esterno.
«Mi hai promesso che governerò questo pianeta», mi ha detto il secondo giorno, quando gli ho chiesto per la terza volta di non uscire dai tunnel superficiali. «Prima di accettare devo almeno dare un’occhiata a cosa mi offri.»
Accettare. Non so se questo faccia parte del carattere del mio terzogenito o se sia parte integrante dell’essenza dell’Essere Perfetto, ma la sua superbia mi inquieta e a tratti mi intimorisce. Anche dopo il terzo richiamo, infatti, ha continuato a sfuggire al controllo di Cooler e a perdersi tra i venti di Arcos rientrando da solo dopo poche ore di osservazione in cui Cooler non ha potuto far altro che attendere. Provare a cercarlo è fuori discussione; il suo corpo bianco lo rende del tutto invisibile tra le nevi, oltre al fatto che è davvero minuscolo. Questo è l’unico sollievo che mi sento di avere, almeno per adesso: la probabilità che qualcuno sia all’esterno e che contemporaneamente riesca a vederlo è così bassa da essere quasi fuori discussione.
Sto ancora vagando tra i miei pensieri quando la voce di Hailstone mi trascina nel mondo reale.
«Ho fatto preparare una navicella nell’hangar del mio quartiere» mi sussurra per non lasciare che nessuno possa sentirci mentre avanziamo. «Passerò più inosservato che se dovessi farlo tu.»
«Devi smetterla di metterti in pericolo» lo rimprovero, ma lui non sembra minimamente preoccupato.
«Rilassati. Ho ancora diversi carichi di metalli da prelevare da Rotos. Una o due navi in più non desteranno sospetti.»
Sospiro. Gli devo davvero tanto; oltre ad aver dimostrato un grande attaccamento verso i miei figli, o meglio verso Cooler, dato che Froze continua ad evitarlo, continua a preoccuparsi di coprirci le spalle in caso la situazione degenerasse. La voce che mi sussurra di fare attenzione è sempre più flebile; ormai sono quasi del tutto convinto che Hailstone sia l’unico, assieme a Cooler, di cui davvero posso fidarmi.
«Quindi, la situazione è sotto controllo?»
Mi stringo nelle spalle.
«Burrascosa» dico, forse fin troppo enigmatico, ma non riesco a trovare un termine migliore per descriverla. «Vedrai tu stesso.»
Gli ho anticipato qualcosa al riguardo del nuovo nato ma non ho avuto modo di scendere nei dettagli. Peccato che la sorpresa non sarà positiva, e Hailstone inizia ad averne il dubbio appena messo piede all’esterno, quando richiudo alle nostre spalle l’ingresso per il tunnel da cui siamo riemersi sul suolo.
«Cosa significa?» mi dice, confuso, mentre spargo con la coda la neve sul masso piatto che utilizzo per l’occasione.
«Significa che Freezer non sa della Città Sotterranea» svelo, finalmente libero di parlare. «Ho nascosto i cinque ingressi in questo modo. Se tutti sono sempre stati sinceri quando mi criticavano perché mi vedevano uscire, non se ne accorgerà nessuno.»
«E come mai non lo sa?»
Bella domanda. Mi viene da sorridere, ma è un sorriso amaro.
«Come ti ho detto, è un po’… troppo indipendente, diciamo. Non so se si lancerebbe mai in un tunnel così buio, ma non escludo che potrebbe venirgli voglia di esplorare dove non deve assolutamente metter piede.»
«Non riesco a credere che sia già capace di andare in giro in questo inferno da solo» dice. Annuisco, lo comprendo bene.
«Non riesco a impedirglielo.»
Non aggiunge neanche una parola mentre levitiamo verso le grotte. Mi segue in religioso silenzio fino a quando rimettiamo piede nel sottosuolo; pochi minuti dopo siamo al cospetto di Cooler, che siede a terra da solo come mi aspettavo.
Hailstone si guarda attorno come se la piccola grotta in cui siamo potesse nascondere qualcosa. Mi sembra deluso e incredulo.
«Dov’è?»
«Spero nell’occhio di qualche tifone» sputa fuori mio figlio con stizza. «Forse così imparerebbe a starmi a sentire.»
Non mi sfugge lo sguardo che lancia verso di me. Non è un’accusa, somiglia più a frustrazione. Mi sento sopraffatto dal senso di colpa.
«Bisogna aspettare. Di solito ritorna» conclude Cooler. Dal suo tono si percepisce chiaramente la speranza che ciò non accada.
Hailstone si rivolge a me.
«Pensi che possa essere pericoloso?»
Anche Cooler si fa attento e la domanda mi mette in difficoltà. Vorrei riuscire a negare questa realtà, ma del resto con chi posso davvero aprirmi se non con loro due? Decido di essere del tutto sincero.
«Potrebbe esserlo» svelo. «Ho deciso di non dirgli della Città Sotterranea finché non lo capirò.»
«Non è una buona idea. Se dovesse scoprirlo da solo potrebbe accusarti di avergli mentito» interviene Cooler, ripetendo una frase che ha pronunciato ogni singola volta che abbiamo affrontato questo discorso finendo quasi per litigare.
«Sono d’accordo» si accoda Hailstone. Per un’ennesima volta provo un sottile moto di gelosia nel vederli complici contro di me, ma mi costringo ad ingoiarla prima che possa sentirne il sapore aspro.
«Ottimo, quindi cosa suggerite?» quasi sputo fuori, stizzito. Sento di dover respirare profondamente o potrei perdere la mia compostezza. «Cosa dovremmo fare? Mostrargli i tunnel e il popolo e dirgli “ecco, fanne ciò che vuoi”? Come potremmo impedirgli di farsi scoprire o peggio, di creare danni?»
«Non possiamo in ogni caso» precisa Cooler, una nota amara nella voce. «Se davvero è l’Essere Perfetto, come desideravi, devi fartene una ragione: siamo nelle sue mani.»
Sospiro, rassegnato e tremante. Mi viene voglia di gridare. La sensazione di aver compiuto un enorme errore ritorna a divorarmi e Cooler fa di tutto perché questa non si spenga. Non posso fare altro che tentare di sminuire il pericolo.
«Non abbiamo ancora visto il suo potere. Potrebbe non essere Perfetto come crediamo.»
«Se davvero la sua nascita è come l’hai descritta, la probabilità che sia il mutante perfetto è alta» dice Hailstone. «Ma hai ragione, dobbiamo testarlo. Che ne pensi di farlo subito?»
Ho un brivido al pensiero, ma non posso astenermi.
«Sì. Hai ragione.»
«Fare cosa?»
Ci voltiamo di scatto tutti e tre verso l’ingresso della grotta. Freezer è lì, una minuscola e minacciosa macchia bianca che avanza verso l’interno. Mi accorgo solo adesso che, per quanto ne so, potrebbe aver ascoltato l’intero discorso, compresi dettagli che non avrebbe dovuto scoprire. Mi sforzo a non pensarci.
«Testeremo il tuo potere per confermare la tua Perfezione» dico. «Poi potremo procedere con i nostri piani.»
Se collaborerai.
Freezer non fa una piega e non risponde; si stringe nelle spalle, come se questa fosse nulla più che una scocciatura per lui. Poi guarda Hailstone.
«Chi è lui?»
Hailstone si piega sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza, ma è comunque fin troppo alto per poterlo guardare negli occhi ed è costretto ad abbassare il viso per farlo. Freezer gli si avvicina, sostenendo il suo sguardo senza cenno di esitazione o paura; solo un’enorme curiosità verso il terzo arcosiano che abbia conosciuto finora.
«Il mio nome è Hailstone. Sono un vostro amico» dice lui.
Freezer annuisce.
«Dove ti nascondevi?»
Hailstone mi guarda, non sa cosa replicare per non rivelare più di quanto io desideri, e Freezer coglie questa esitazione.
«Intendo, dove siete tutti? È da giorni che esploro questo posto senza trovare niente. Inizio a pensare che ciò che so non sia tutto, o forse sbaglio, padre?»
Se mi avesse trafitto il cuore con un raggio di energia avrei provato meno dolore e disagio. Non so cosa replicare, almeno non finché non interviene Hailstone a salvarmi, come sempre.
«È come dici e ti chiediamo scusa. Ti parleremo di tutto a breve, dopo aver capito come muoverci.»
«Sarà meglio.»
Sembra soddisfatto dalla risposta di Hailstone; a quanto pare conviene assecondarlo. Io, invece, ancora una volta provo inaspettatamente sentimenti contrastanti verso Hailstone, sentimenti che non ho mai provato prima che nascessero i miei figli. Il più insistente continua a essere la gelosia. Sono geloso per quanto bene riesce a rapportarsi con i miei figli a differenza mia, senza neanche volerne di propri.
In ogni caso ora devo essergli grato, perché Freezer non insiste.
«Allora, andiamo?» domanda. Resto per un attimo interdetto prima di capire cosa intenda.
«Sì, andiamo» annuisco. Hailstone e Cooler si mettono in piedi e tutti e tre mi seguono all’esterno, tra le tempeste, verso le montagne lontane.
 
 
* * *
 
 
Mi sono allontanato il più possibile dagli ingressi della Città Sotterranea ed è la prima volta che lo faccio con i miei figli al seguito. Non potevo fare altrimenti, stavolta; l’unica idea che mi venga in mente per questa prova richiede che siamo il più distante possibile dagli ingressi dei tunnel. In tutto il resto della superficie la Città Sotterranea è così in basso nel ventre della terra che nessuno sentirà nulla di ciò che accade quassù.
Mi fermo quando vedo una roccia abbastanza grande a qualche centinaio di metri. Parlo direttamente a Freezer.
«Alla tua età dovresti a stento riuscire a stare in piedi senza barcollare; non dovresti poter utilizzare l’energia, e se pure la mutazione te lo consentisse, non riusciresti a produrne tanta da poter distruggere quella roccia a questa distanza. Né Cooler né Froze ci sono riusciti. Se tu avrai successo, vorrà dire che sei un essere fuori dal comune. L’Essere Perfetto.»
Mi aspettavo poche esitazioni, eppure Freezer sembra rifletterci e questo è anomalo. Forse non è convinto di poterci riuscire? No, non credo sia questo. Ho una strana sensazione mentre lo guardo, pensieroso, lanciare uno sguardo indagatore alla roccia lontana e poi tornare a me con un sorriso.
«Padre, mi offendi anche solo dubitandone. Posso distruggere qualsiasi stupida roccia io desideri.»
«Dimostramelo» dico facendomi da parte. Il suo sorriso si allarga, sembra sinceramente divertito.
«Come vuoi tu.»
Si alza in volo di qualche metro arrivando poco sopra la mia testa. Si muove con una fluidità e un’eleganza che quasi mi incantano; è un essere di un fascino incredibile, attraente, letale. Bianco come solo la superficie di Arcos può rendere il suo figlio più potente.
Solleva le braccia al cielo e presto queste si illuminano di un’energia violacea, a tratti nera per quanto è intensa. L’energia si accumula tra i suoi palmi in una piccola sfera della dimensione di un granello di grandine; più che sufficiente a mandare in frantumi quella roccia, considerando la potenza che emana.
Ma Freezer non la scaglia verso il bersaglio. La lascia lì dov’è, tra le sue dita, e quella continua a crescere piano ma costantemente fino a diventare grande quanto il suo palmo, poi come la bioplacca incastonata sul suo cranio. L’inquietudine dentro di me aumenta allo stesso ritmo.
Sott’occhio scorgo Cooler alla disperata ricerca del mio sguardo ma non ho il coraggio di voltarmi. Il cuore mi balza in gola.
«Freezer!» sputo fuori urlando. «Basta così! Non esagerare o potresti farti del male!»
«Mi hai detto di dimostrarti che posso distruggere qualsiasi roccia io desideri» risponde lui, mentre la sfera letale lo costringe ad allargare le braccia per quanto è cresciuta. Ride, inebriato dal potere e dall’energia. «A quanto pare amo le sfide!»
La sensazione di pericolo incombente si trasforma quasi in panico. Mi sollevo in volo per raggiungerlo; devo provare a fermarlo prima che… prima che…
Non ho neanche il tempo di avvicinarmi. Forse per impedirmi di intervenire, o forse perché anche la sua energia ha un limite, Freezer arretra di un passo e si volta dall’altra parte; poi il mio incubo si fa reale. Scaglia la sfera letale al suolo a una velocità inaudita.
La terra trema a contatto con quella bomba esplosiva. Un’onda anomala travolge qualsiasi cosa intorno al punto in cui l’energia inizia a fondersi con il terreno; scioglie strati di neve, poi di permafrost, infine incontra la dura roccia del sottosuolo e la spacca lentamente, di netto.
Il calore è così intenso che devo allontanarmi di corsa. Ho appena il tempo di afferrare Cooler per un braccio e trascinarlo via con me, ma non riesco a vedere Hailstone.
L’ultima cosa che scorgo prima di voltarmi è un’immensa crepa che si apre sulla superficie di Arcos. Dai suoi lati l’acqua scivola all’interno come una cascata infernale, evaporando un attimo dopo in una nuvola rovente che potrebbe ustionarmi se solo mi ci avvicinassi. Freezer è esattamente nel mezzo di quella nube e non so se essere preoccupato per lui o desiderare che non ne esca più.
Il panico ormai è puro terrore misto a disperazione. Ormai ne sono certo: è un mostro. Quest’essere a cui ho dato la vita è un autentico mostro.



-

Prossimo capitolo:

24/04





*  *  *
 


Nota dell'autrice

*respira, inspira*

Salve, giovanotti.

Spero abbiate passato una buona Pasqua che, come vedete, a me ha portato consiglio. 

Un anno fa vi lasciavo l'ultimo capitolo di Cold: Origins, e mettevo in pausa il progetto a tempo indeterminato. Una settimana fa ho iniziato a ripensarci e, complici le ferie, ho potuto lavorarci un po' e soprattutto rimettere a posto le idee... perché di cose da scrivere qui ce ne sono tante (proprio tante!) e non avrei mai voluto perdere di vista alcuni dei dettagli che mi fanno amare questa storia e che, spero, piaceranno anche a voi.

Finora, compreso questo, ho scritto tre capitoli di cui il terzo è uno spin-off dal POV del mio amato Cooler. Spero di riuscire a scrivere molto di più nei prossimi giorni, ma per le prossime 3 settimane avrete di certo qualcosa da leggere!

Come sempre, grazie di cuore a chi è rimasto e benvenuto a chi ha da poco scoperto il mio mondo. Non dimenticate di farmi sapere cosa pensate, le vostre teorie sono pura ispirazione!

A presto, ragazzi!

- Gio

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il peso del mondo ***


14.
Il peso del mondo


-
Non avevo mai provato in vita mia la necessità di scappare dalla superficie di Arcos, non finora. Adesso, però, sento che questo posto non è e non sarà mai più sicuro come prima; forse non sarò più libero di meditare tra le tempeste come facevo fino a pochi giorni fa. E chissà quante cose cambieranno da oggi in poi…
Ho un orribile groppo in gola mentre sfreccio tra la neve seguito da mio figlio; le mie preoccupazioni sovrastano persino quelle di finire catapultato in una tempesta improvvisa. Ciò che è appena accaduto è di una gravità immane ed è tutta colpa mia, una colpa a cui non potrò mai più porre rimedio.
Maledetto Freezer, maledetto Snow, maledetta la mia esistenza!
Spero che la Città Sotterranea non abbia subito danni, ma sono sollevato se penso a quanto sia stato previdente allontanarsi il più possibile da ogni area pericolosa. In ogni caso, però, nei tunnel devono aver sentito il terremoto. È impossibile che sia passato inosservato, dato che l’intero Pianeta ha tremato sotto quel colpo spaventoso.
Devo rientrare il prima possibile per capire l’entità del danno: questo è il mio unico pensiero quando sposto la pietra che ci riporterà nel tunnel, e vi metterei piede se qualcosa non mi si stringesse attorno al braccio con fermezza.
Mi volto. Cooler è lì, lo avevo quasi dimenticato. Sul suo volto c’è un miscuglio di sentimenti, decisamente più negativi che positivi, che non riesco a comprendere. Eppure mi poggia una mano sulla spalla, liberandomi il braccio dalla stretta della sua coda, e il suo calore mi trascina di nuovo con i piedi per terra.
«Padre, respira.»
Mi sforzo a farlo, anche se mi riesce difficile. Tra tutte le mie colpe, quella verso di lui è la più dolorosa: più lo guardo più penso che sono stato ingiusto nei suoi confronti. Eppure c’è una nota stonata in tutto questo. Perché continua a starmi vicino senza accusarmi? Come può non essere in collera con me?
«Qualsiasi cosa accada, troveremo una soluzione» mi dice. «Cosa vuoi fare?»
«Non lo so» sono costretto ad ammettere. «Devo… devo dar loro una spiegazione per evitare che si insospettiscano e decidano di indagare.»
«Perfetto. Allora preoccupati solo di questo. Al resto penso io.»
«A quale resto?» non riesco a trattenermi dal domandare. Se ha intenzione di mettersi in pericolo non glielo permetterò mai.
«Parlerò con Hailstone. Elaboreremo un piano d’azione. Respira, padre. Torno presto.»
Senza esitazioni torna indietro, lanciandosi nella neve nella stessa direzione da cui siamo arrivati. Non ho i riflessi abbastanza pronti da lanciarmi all’inseguimento; resto immobile, i piedi immersi nella neve che si accumula sulle mie spalle e sulla mia testa, i polmoni vuoti che riempio con una boccata gelida.
Respiro. Non so cosa Cooler abbia in mente, ma non ho altra scelta se non fidarmi di lui.
Quando rimetto piede nel mio quartiere tutti sono fuori casa e si guardano attorno, impauriti, senza sapere cosa fare. Appena mi vedono mi accerchiano in decine, forse curiosi, forse preoccupati per me dato che mi sapevano fuori fino a poco fa… e se c’è una cosa certa è che, qualsiasi fosse la fonte di quella scossa, deve aver colpito l’esterno. Non c’è dubbio.
«Gran Cold!» mi si avvicina l’anziano Raindrop, da tempo mediatore tra me e la popolazione. «Stai bene?»
«Sì, sto bene» annuisco. Centinaia di occhi curiosi e spaventati sono puntati su di me. L’unico mio sollievo è che in questo momento sono così sconvolto che nessuno potrebbe dubitare della mia innocenza.
«Abbiamo sentito un boato!» grida qualcuno in mezzo alla folla.
«Cosa è successo, Gran Cold?»
«Tremava tutto!»
«È stato terrificante!»
«Silenzio, per favore!» urla Raindrop, avvicinandosi a me di un altro passo. «Gran Cold, cosa è accaduto? Eri l’unico là fuori che potrebbe aver visto…»
Nella mia testa scorrono rapidi tutti i possibili scenari legati al modo in cui risponderò. Potrei dire di non aver visto nulla ma sarebbe la peggior scelta possibile: il Ministero dei Clan non potrebbe far altro che indagare, e anche se dubito che in genere si spingerebbe in superficie fin dove mi sono spinto io con Freezer, in questo caso potrebbe decidere di farlo. E di una cosa sono certo: i Clan non si fermeranno finché non avranno trovato una spiegazione. Hanno troppa paura di un attacco alieno per sottovalutare una cosa del genere. Ecco perché devo essere convincente.
Decido di giocarmi l’unica carta che ho davvero a disposizione.
«Ero a meditare, come al solito» dico, tentando di domare le emozioni «quando qualcosa è calato dal cielo lasciandosi dietro una scia. Credo fosse… una meteora, o un asteroide… credo si sia schiantata al suolo.»
Vedo la confusione attorno a me mutare in molte altre cose. Alcuni sospirano di sollievo; forse il solo aver ricevuto una spiegazione li rende più rilassati. Altri, però, non sembrano dello stesso avviso.
«E se fosse un’astronave?» chiede una voce al centro della mischia. Il nuovo, pericoloso dubbio inizia a rimbalzare da un cervello all’altro, incontrollabile. La folla si muove come un unico essere mostruoso in un vortice di assensi.
«No, non sembrava…» provo a intervenire, ma non mi ascolta nessuno. Ormai il dubbio ha iniziato ad avvelenare la mia gente e non andrà via.
«Devi convocare un’Assemblea straordinaria» mi suggerisce Raindrop, e io so che non posso negare. In effetti in ogni quartiere della Città Sotterranea starà risuonando questa stessa disperata richiesta, adesso.
Annuisco, non ho valide motivazioni per desistere.
«Così sia!» urlo, e tutti si zittiscono in un attimo. «Ne parleremo in Assemblea e decideremo cosa fare. Ma non c’è nessun pericolo, state sereni!»
«Lo speriamo, Gran Cold» si inchina dinnanzi a me il mio consigliere.
Inizio a camminare verso il palazzo del Ministero. La mia speranza di mettere a tacere questa faccenda è sfumata, ormai… ma posso provare a ridurre i danni. La mia testimonianza deve essere impeccabile.
Solo mentre mi avvio mi aggredisce una terribile consapevolezza. Hailstone e Cooler sono ancora là fuori, da qualche parte, e non so neanche se Freezer sia vivo. Che succederebbe se decidesse che una sola sfera letale non fosse abbastanza? Se provasse a scagliarne un’altra, o peggio, se facesse loro del male?
Non posso permettermi di sembrare così sconvolto. Chiudo gli occhi, muovo un passo dopo l’altro. Sento il peso del mondo sulle mie spalle.
Respira.
 
 
* * *
 
«Era un oggetto compatto, di medie dimensioni. Sembrava una meteora, anche dalla scia.»
Arctic e Frostbite annuiscono mentre Tempest ascolta con un pericoloso interesse.
«Da che direzione è arrivato?» mi chiede, e questa suona come una trappola in cui non devo cadere. Per mia fortuna sono abbastanza informato su come funzionino le faccende spaziali.
«Da nord-ovest. Anche per questo sono certo sia una meteora: arriva proprio dalla direzione del Grande Ammasso.»
«E si è schiantata al suolo?» incalza Tempest. «A che distanza da te?»
«Non so quantificare. Era abbastanza distante da non danneggiarmi, in ogni caso.»
«E come mai Hailstone non è qui?»
Ingoio un groppo rovente. L’ultima cosa che volevo era parlare di lui, dato che qualsiasi cosa diciamo potrebbe metterlo in pericolo, ma non ho scelta.
«Anche lui era all’esterno, ma non con me. Stava allenando mio figlio Cooler.»
«Capisco. Spero stiano bene. Quanto sei certo di ciò che dici, Cold? Saresti pronto a giurare che quella fosse una meteora?»
Un’altra potenziale trappola. Non so cos’hanno in mente, non so nemmeno se prevedono di portare avanti una ricognizione in ogni caso. Giurare vorrebbe dire mentire consapevolmente, e non è una scelta saggia.
«Non posso giurarlo. Ero troppo distante.»
«Ottimo. Allora non possiamo che procedere. Il pericolo di un attacco è troppo alto per restare con le mani in mano. Non possiamo permettercelo.»
Arctic e Frostbite si scambiano uno sguardo che non riesco a decifrare.
«Cosa suggerisci?» domanda Arctic. Tempest non esita neanche un attimo prima di rispondere.
«Dato che il mio Clan è responsabile dell’avanzamento scientifico, disponiamo delle navette più rapide di Arcos. Le utilizzeremo per setacciare il Pianeta alla ricerca della meteora. Se la troveremo non ci sarà bisogno di ulteriori ricerche.»
E se non la trovaste?
Il cuore mi martella in petto con una violenza inaudita. Respira, mi ripeto, ma non è mai stato più difficile di così.
«Sembra l’idea migliore» annuisce Frostbite.
«Ottimo, perché ho già dato l’ordine. Mi perdonerete per la mia iniziativa, ma l’urgenza della situazione richiedeva di essere rapidi ad agire.»
Tempest mi sorride e non ho abbastanza prontezza per fare altrettanto. Non mi sfugge che in quel sorriso non ci sia traccia di complicità o consolazione… sembra quasi che mi stia dicendo vediamo cosa farai adesso.
L’erede di Gust non ha mai provato simpatia nei miei confronti. Sono certo che il padre gli abbia lasciato in eredità un bel po’ di dubbi sul mio conto, anche se la lezione gli è servita, dato che non ha mai provato a esternarli negli ultimi tre anni. Eppure Tempest sa, e se non sa, sospetta. Ne sono sicuro.
«Certo, hai fatto la cosa giusta» dice Arctic. «Quando potrai darci risposte?»
«Appena i miei rientreranno. Entro sera.»
Mi sforzo ad annuire, una volta tanto. Non devo sembrare contrariato o sarà palese che sto fingendo.
«Non sei preoccupato per tuo figlio e il tuo amico, Cold? Non mi hai chiesto di cercarli.»
Sia Frostbite che Arctic si voltano verso di me, forse si stanno ponendo la stessa domanda o sono solo semplicemente curiosi. Io invece avrei voglia di schiaffeggiare questo ragazzino impudente che mi sta apertamente accusando, proprio come fece quel bastardo di suo padre prima di lui.
«Erano vicino all’ingresso e so dov’è caduta la meteora. Era troppo lontana perché potesse far loro del male. Rientreranno quando lo desiderano.»
«Oh, ma questa è un’ottima notizia! Se sai dov’è caduta, perché non ci conduci lì?»
Ancora quel sorriso, ancora quella sfida. D’improvviso ho la sensazione non solo che Tempest sospetti di me, ma anche che voglia tenermi d’occhio. In ogni caso, il non ritrovare quella dannata roccia spaziale non getterà su di me alcuna accusa immediata; l’unico problema è che ritarderà il mio incontro con Cooler ed Hailstone. Spero che, qualsiasi sia il loro piano, non sia immediato… e soprattutto che riescano a tenere a bada Freezer almeno per qualche ora.
«Certo. Posso guidarvi.»
«Ottimo! Andremo subito, se voialtri siete d’accordo.»
«Lo siamo. L’Assemblea è sciolta fino a nuove informazioni» sentenzia Arctic.
Sono libero, ma non mi sono mai sentito così in trappola. Tempest mi fa cenno di seguirlo e assieme ci dirigiamo all’esterno, verso il suo quartiere, verso dubbi a cui non so ancora dare risposta.
Finché non mi parla.
«Io so tutto» mi sussurra, assicurandosi che nessuno senta. «So che mio padre aveva ragione. So che sei stato tu a farlo ammazzare. So che non sei altro che una minaccia che Arcos deve eradicare, Cold, assieme a quel bugiardo di Hailstone.»
«Sei pazzo proprio come tuo padre» è l’unica risposta che riesco a dargli. E lui ride, proprio come poco fa in Assemblea. Un sorriso assurdamente pericoloso.
«Lo vedremo.»
Non aggiunge altro. Sfreccia davanti a me, costringendomi a stargli dietro aumentando l’andatura, ma il mio cuore è così pesante che sembra attrarmi al suolo.
Respira.



-

Prossimo capitolo:

1/05


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Spin-off: Cooler, il silenzio della bestia ***


15.
Spin-off: Cooler, il silenzio della bestia


-
 
«Cos’ha intenzione di fare?»
«Non lo so. Non so neanche se riuscirà a tenere a bada i Clan e cosa proporranno. Potrebbero addirittura non aver sentito nulla.»
Hailstone inspira forte, forse per placare i suoi mille pensieri. Posso capirlo; anche la mia testa sta per scoppiare, ma lui sembra molto più calmo di me.
Tiene ancora Freezer tra le dita, svenuto; il suo primo pensiero appena entrato qui è stato farmi quella domanda, prima ancora di occuparsi di lui. Mi sorprendo a desiderare ardentemente che quell’essere non si risvegli mai più. Forse adesso mio padre si è accorto di che errore sia stato il metterlo al mondo. Forse…
«Dovremmo ammazzarlo, finché è incosciente» dico senza pensarci. Con nessun altro se non con Hailstone sarei mai stato libero di pronunciare questa frase. «Potremmo dire a mio padre che è morto dopo l’attacco, che ha osato troppo. Non avrebbe motivo di dubitare…»
Ma Hailstone non concorda.
«Conosco Cold troppo bene» dice. «Se perdesse questo, proverebbe a creare un ennesimo Essere Perfetto. E sai bene che non sarebbe diverso.»
Non ribatto. Lo so eccome. Per quanto imperfetto, in me si esprime comunque parte della mutazione con i suoi effetti sia positivi, che mi donano un immenso potere, che negativi, che mi rendono terribilmente assetato di violenza.
Per un attimo mi pento della mia proposta e quasi empatizzo con quel corpicino addormentato. In fondo capisco mio fratello: se questa sorta di bestia che ho dentro di me dipende davvero dalla mutazione lui deve essere dominato da una anche maggiore ed è troppo piccolo perché possa provare a controllarla come faccio io. Forse un giorno potrò insegnarglielo.
Tuttavia non riesco a credere che mio padre potrebbe ritentare a cuor leggero dopo che il suo figlio Perfetto ha quasi fatto saltare in aria Arcos. Mentre Hailstone lo poggia a terra, io stringo i pugni.
«Come potrebbe essere così sconsiderato?» ringhio, quasi tra me e me. Hailstone, come sempre, ha una risposta alla mia domanda.
«Anche lui ha una bestia dentro di sé» mi dice, facendomi cenno di seguirlo all’esterno. Prima di andargli dietro mi guardo alle spalle per assicurarmi che Freezer resti fermo dov’è.
«Si chiama Snow» continua Hailstone appena mettiamo piede nella neve. «È come una maledizione. Non è mai riuscito a liberarsi di suo padre finché non ha svolto con successo il compito che gli ha affidato. Se perdesse Freezer, tornerebbe a essere suo ostaggio e non cambierebbe nulla, se non il nome del nuovo nato.» sospira. «Mi dispiace dirtelo, Cooler, perché so che non ti fa piacere sentirlo… ma se vuoi bene a Cold, devi accettare Freezer.»
È una verità troppo dolorosa perché io possa accettarla senza soffrire. Decido che ci penserò pian piano; mentre prendo tempo colgo un’occasione unica per fare una domanda a cui mio padre non ha mai voluto rispondere.
«Tu sai cos’è successo a Snow?»
Hailstone si ferma. Siamo abbastanza lontani dalle grotte, in un campo innevato in cui nessuno potrà spiarci o origliare. Forse è per questo che si sente libero di rispondere.
«È morto, come avrai intuito» dice lui. «Cold non ti ha mai raccontato?»
Scuoto il capo. Sul suo volto appare un lieve accenno di sorriso.
«Poco male, tanto la sua storia non sarebbe stata interessante quanto la mia. Sei curioso?»
La domanda non ammette altra risposta se non quella affermativa. Ci sediamo nella neve a gambe incrociate. Il vento inizia ad alzarsi, ma ormai non ho più paura della tempesta.
«Snow era un tipo violento» dice. «Ed era malato, un essere debole e indegno di definirsi arcosiano, eppure tuo padre non aveva il coraggio di ribellarsi a lui, anzi, ne era del tutto sottomesso. Snow lo aveva plasmato con tutte le sue forze sperando nell’Essere Perfetto, ma non aveva ottenuto ciò che voleva e questo lo aveva distrutto anche nello spirito, oltre che nel fisico. Non faceva che sfogare su tuo padre tutto il suo dolore, tutta la frustrazione di essere così debole per ritentare, tutto l’odio verso il suo corpo malato e tutta la delusione verso l’imperfezione della sua creatura. Lo aggrediva, ma la sua forza limitata non gli consentiva di farlo a lungo. Allora lo umiliava. Cold era alla continua ricerca della sua approvazione, ma Snow non faceva che respingerlo e questo lo ha segnato profondamente.»
Non riesco a credere in quanta sofferenza debba aver provato mio padre. Tremo al pensiero di come mi sentirei a essere io quello respinto… non credo resisterei a lungo prima di spezzarmi in due.
Ma Hailstone non ha terminato.
«Io e tuo padre ci siamo conosciuti da bambini. Per caso, almeno così credevo, il destino ha sigillato il nostro legame rendendolo indissolubile. Siamo divenuti i fratelli che non abbiamo mai avuto, lui per cause di forza maggiore, io per scelta di mio padre. E Snow, ovviamente, voleva dividerci. Aveva paura che tuo padre si lasciasse sfuggire i suoi segreti: quello della mutazione, ma anche quello di come lo trattava, perché in questo modo sia lui che Cold avrebbero perso prestigio agli occhi del loro Clan. Aveva ragione a temere quest’ultimo punto perché Cold aveva un disperato bisogno di sfogarsi e mi raccontò tutto del suo rapporto con Snow. Io riuscivo a calmarlo, a rincuorarlo e a dargli forza, e quindi lui si aprì con me sempre più spesso, e dentro di me qualcosa si incrinava sempre di più ad ogni racconto. Sentire come veniva trattato l’unico al mondo a cui davvero fossi legato mi faceva impazzire ogni volta di più finché, un giorno, non decisi che c’era solo un modo per risolvere il problema.»
Quest’ultima frase mi paralizza. Sgrano gli occhi e lui sorride, ma in modo stranamente inquietante. Ho i brividi.
«Il mio Clan ha sempre avuto rapporti privilegiati con il pianeta Rotos; sai che siamo coloro che si occupano del commercio dei metalli. Mio padre mi ha sempre istruito sulle proprietà di tutto ciò che importiamo. Tra i metalli ce ne sono alcuni che troveresti particolarmente interessanti, in particolare l’Aone, un metallo friabile da cui si ottiene una polvere con particolari effetti sulla salute di chi la ingerisce.»
«L’hai avvelenato tu?»
La mia irruenza lo sorprende. Si stringe nelle spalle.
«E chi avrebbe mai potuto intuirlo? Quel bastardo era già malato. Un improvviso aggravamento non ha fatto sospettare nessuno, nemmeno lui stesso, nemmeno Cold, che da quando si è liberato di quella palla al piede sembra rinato. È diventato Capoclan, ha avuto te, finalmente era felice. Prima di avere Freezer.»
Non mi lascia nemmeno processare l’assurda verità che mi ha appena rivelato. Continua.
«Quell’essere è una minaccia troppo grande per poterla tenere nascosta a lungo. Per questo dovreste fare come vi dico.»
«Mi fido di te» annuisco. Ed è vero. Dopo gli ultimi anni non potrei fare altrimenti. «Cosa suggerisci?»
«Dovete andar via da Arcos» dice. «Portare via Freezer. Conquistare o distruggere qualsiasi cosa sul vostro cammino, a patto che sia lontano da qui. La nostra razza non può sopravvivere senza il nostro pianeta e noi dobbiamo preservarla.»
Ha ragione, ma come fare? Deve avermi letto la domanda negli occhi perché continua con la risposta.
«C’è una nave pronta per imbarcarvi negli hangar del mio quartiere. Vi aspetterà qui in superficie appena mi direte che siete pronti.»
«Va bene» dico, confuso. Mi sento stordito da così tante informazioni e sentimenti contrastanti. «Ma mio padre non mi ascolterà mai se glielo dico io. Devi… devi parlargli tu.»
«D’accordo, se credi sia meglio lo farò.»
Il silenzio cala su di noi, ma dura poco. Dopo un profondo sospiro, Hailstone continua a parlare, come se fosse una vita intera che desiderasse farlo.
«Sono legato profondamente anche a te, Cooler. Hai avuto il nome di mio padre e, dato che non avrò mai figli miei, ti considero come una mia creatura. Per questo ho deciso di rivelarti il mio segreto, uno dei pochi di cui nessuno, nemmeno tuo padre, è a conoscenza. So che non mi deluderai… anche perché adesso siamo pari.»
Ho una fitta al petto al pensiero che è vero: finalmente posso abbandonare una delle mie più grandi paure, quella che potesse ricattarmi dicendo a tutti quanto io sia diverso da come appaio.
Sono stato tormentato da questa paranoia fin dalla prima volta che in una delle nostre sessioni di allenamento, qui all’esterno, lui mi portò uno dei suoi uomini per lasciare che sfogassi la mia sete di sangue.
Ricordo ancora quel giorno, il terrore negli occhi della mia vittima. Sapeva esattamente cosa stava per accadere; forse Hailstone glielo aveva detto, o forse lo aveva intuito dal fatto che si fosse risvegliato legato in una grotta. Ricordo anche il sorriso di Hailstone, le sue parole, aspetta che si risvegli, Cooler, è più soddisfacente quando vedi la vita spegnersi nei loro occhi.
Ricordo di essere stato scettico. Non lo avevo chiesto io, ma solo perché non ne avevo mai avuto il coraggio; dopo il mio primo omicidio, quello del Gran Gust, il mio desiderio di stillare ancora del sangue era divenuto davvero incontenibile. Ma non avevo avuto bisogno di chiedere: Hailstone sapeva. Mi capiva. Sembrava annusare la mia brama di morte come nessun altro, nemmeno mio padre, aveva mai saputo fare.
«Adesso divertiti» mi disse quella prima volta. «E goditi il momento, perché dopo dovrai tornare padrone di te stesso.»
«Non so se ci riesco» dissi, lanciando uno sguardo alla vittima. Quel corpo inerme, debole, era totalmente alla mia mercé; il solo pensiero mi faceva desiderare di farlo a pezzi, di vedere il suo sangue spargersi sul terreno scuro. Desideravo uccidere come mai avevo desiderato nulla al mondo, ma la prima volta era stato difficile disintossicarmi. Non volevo rivivere quella sensazione di ubriachezza da cui era un incubo risvegliarsi.
«Ci sono io con te. Non devi aver paura» mi rassicurò. «Non lo faccio per la gioia di vederti ammazzare, lo faccio perché devi imparare a controllarti… e non c’è modo migliore di gestire i propri istinti se non lasciandosi andare per un po’, ogni tanto. Con disciplina.»
Ricordo di essere stato confuso al punto di non sapere cosa rispondere; allo stesso tempo, però, mi fidavo di Hailstone ciecamente. Per questo decisi di ascoltarlo. Ma avevo ancora dei dubbi.
«Sai che per me è come una droga. Potrei decidere di fare del male anche a te.»
«Non ci riusciresti.»
«Non sottovalutarmi.»
«Ti prego, Gran Cooler…»
La voce supplicante di quell’arcosiano sembrò dar fuoco ai miei istinti più profondi. La voglia di dilaniare, strappare, distruggere crebbe in me così potente che seppi non avrei potuto ancora resistere a lungo. E anche Hailstone lo sapeva.
«Spegni questa vita, Cooler. E assicurati di divertirti, finché puoi.»
Così fu e, come avevo previsto, mi ci volle un po’ per riprendermi quando, ancora inebriato dal dolore del sangue, ne osservavo il colore sulle mie dita e ne desideravo ancora, e ancora, e ancora. La seconda volta andò meglio, ma soltanto dalla terza in poi iniziai a sentire di avere davvero un minimo controllo sulle mie sensazioni.
«Controllati» mi diceva Hailstone ogni volta che prendevo una nuova vita e le mani ancora mi tremavano, desiderose di fare a pezzi l’intera grotta in cui ci trovavamo.
Controllati, divenne il mio mantra.
L’addestramento speciale di Hailstone è andato avanti per due anni e ormai sento di aver acquisito il pieno controllo sui miei istinti mortali. Ogni tanto mi fornisce ancora qualche preda da sbranare, ma questi momenti si sono fatti sempre più rari. Ciò che è rimasto, forte più che mai, è la disciplina che mi ha impartito e la paura che, per qualche motivo, mio padre potesse scoprire tutto ciò. O che Hailstone potrebbe dirglielo.
Adesso, però, siamo pari.
A parte il suono della neve che turbina attorno a noi, siamo circondati dal totale silenzio. Non mi sono mai sentito così legato a lui nemmeno quando mi allenava. Mi sembra assurdo che non avrà mai figli.
«Saresti un buon padre» mi ascolto dire, senza pensarci.
Ride, divertito, ma nella sua risata si intuisce una certa amarezza. Ho la sensazione che non abbia mai pronunciato queste parole, data la difficoltà che gli richiede farlo.
«Sarei un padre perfetto» precisa. «Ma non è il mio destino.»
«E qual è il tuo destino?»
«Governare questo posto quando sarete andati via. E aspettare che Cold trovi la sua strada.»
Non capisco cosa intende e sto per chiedere qualcos’altro, ma non ne ho il tempo. Hailstone si mette in piedi di scatto, le orecchie tese. Percepisco anch’io il pericolo un attimo dopo.
«C’è qualcosa che non va» dice, ma non ce n’è bisogno. Riesco anch’io a vedere.
C’è un gruppo di arcosiani che si staglia nel cielo, squarciando una tempesta lontana e riemergendone evidente come delle rocce scure sulla neve. Non sembrano averci visti; avanzano verso un punto imprecisato. Un attimo dopo mi accorgo che stanno andando verso il punto in cui Freezer ha scagliato al suolo la sua sfera letale. Non ho bisogno di vederlo per capire che mio padre debba essere lì in mezzo.
«Merda. Quello lì è Tempest. L’Assemblea deve aver deciso di indagare sul terremoto, o qualsiasi cosa abbiano sentito da laggiù.»
«Cosa facciamo?» mi chiedo, cercando di evitare il panico.
«Non sai che bugia ha detto?»
«Non abbiamo avuto il tempo di parlarne…»
Lo vedo scervellarsi su tutte le possibilità che abbiamo; spero che ne abbia trovate di più di quelle a cui riesco a pensare io, perché la situazione non si metterà bene in tutti i casi.
L’unica cosa che so è che Hailstone ci serve, se vogliamo avere una possibilità di scappare.
«Qualsiasi cosa accada, non devi comprometterti» gli dico, sperando che mi ascolti. «Torna dentro. Prepara quella nave. Arriveremo appena possibile.»
«D’accordo» dice lui, anche se questa ammissione sembra costargli cara. «Tu vai da lui. Se le cose si mettono male… sai come aiutarlo.»
Sì, so cosa intende. Vorrei evitare di mostrare il frutto dei nostri allenamenti a mio padre, ma non esiterò a farlo per difenderlo.
«Corro da lui. Ci vediamo più tardi, tutti assieme.»
Annuisce con forza, sicuro di sé, poi si dirige verso gli ingressi alla città tentando di passare inosservato. Io, invece, con un nodo in gola mi guardo alle spalle.
Sono ancora in tempo per ucciderlo, mi ripeto. E sono certo che sarebbe la cosa giusta da fare. Forse Hailstone sbaglia: mio padre non avrebbe il coraggio di ritentare. E anche se avesse ragione, almeno per adesso risolveremmo un problema.
Sento già l’energia accumularsi sulla punta delle dita e il sapore dolciastro dell’acquolina in bocca, ma qualcosa dentro di me mi trattiene; quella parte razionale di Cooler, che Hailstone ha voluto creare con tutto se stesso. Quella di cui sapeva che avrei avuto bisogno.
Controllati, mi ripete.
Chiudo gli occhi e decido di ascoltarla.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3959784