Mercenari

di Eevaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loro ***
Capitolo 2: *** Lui ***
Capitolo 3: *** Pietà ***
Capitolo 4: *** Fobia ***
Capitolo 5: *** Buchi neri ***
Capitolo 6: *** Xandar ***
Capitolo 7: *** Vuoto ***
Capitolo 8: *** Verità ***
Capitolo 9: *** Giorni di sole ***



Capitolo 1
*** Loro ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
 
Avvertenze:
In questa storia sarà presente molta violenza fisica, lievissimi accenni di sesso non consensuale (non descrittivo), prostituzione, tematiche delicate, dramma, uso di alcol e stupefacenti, abbondante turpiloquio... insomma, un cocktail di schifezze! 
Buona lettura! *ride* 
 

- MERCENARI -

Capitolo 1
Loro


 
«Quindi... non abbiamo più una casa».
Era notte fonda su quel corpo celeste oramai inabitato. La purga planetaria aveva funzionato, tutto ciò che rimaneva a terra erano cadaveri e sangue.

Quel pomeriggio Nappa aveva portato loro la notizia che il pianeta Vegeta era stato colpito da un meteorite ed era andato in pezzi. Vegeta e Radish, però, non si erano scomposti. Avevano continuato a conquistare come gli era stato ordinato, avevano manifestato indifferenza.
Solo... in quel momento, in quella notte buia, il volto di Radish era molto più contratto, molto più cupo di ciò che aveva millantato il pomeriggio. Era un debole.
Vegeta soffiò e incrociò le braccia al petto. 
«Non mi importa. Te l'ho detto: l'unico motivo per cui me ne dispiaccio è che non potrò diventare re» borbottò.
Chissà come le sue parole uscirono meno indifferenti di ciò che avrebbe voluto. Non era debole come Radish, non doveva cedere a quella che era a tutti gli effetti una sorta di nostalgia. Dispiacere. 
Gli sarebbe mancato il suo palazzo, gli sarebbero mancate le notti stellate su Vegeta-Sei, i combattimenti sfrenati nella corte... lo sguardo fiero di suo padre, i preziosi insegnamenti di sua madre. 
Vegeta strinse i pugni e si voltò dall'altra parte. Non voleva essere debole come Radish.

«Tecnicamente lo sei. Ci sono ancora dei Saiyan in giro, tuo padre è morto, il Re sei tu» fece presente quest'ultimo. Un ottimo punto a favore, certo.
Eppure si sentiva tutto tranne che re. Non aveva più un popolo vero da governare, non avrebbe più avuto un castello, non avrebbe più avuto una stirpe. Non avrebbe avuto una cerimonia di incoronazione, non avrebbe avuto una folla ad attenderlo al ritorno dalle proprie missioni.
Non avrebbe più avuto un pianeta sul quale tornare.
Aveva sei anni, aveva appena perso tutto. E ancora non sapeva a che destino da schiavo sarebbe andato incontro.

«No. Rimarrò per sempre Principe» si impuntò duramente. La voce traballò fin troppo, gli occhi pizzicarono.
Avrebbe ucciso Radish se gli avesse dimostrato compassione, l'avrebbe fatto fuori seduta stante.
Invece Radish fece finta di niente. Forse non era così sciocco.

«Qualunque cosa, la nostra devozione verso di te rimarrà la stessa. Sei il maggiore esponente di ciò che resta di noi. Re o Principe, ti rispetterò e combatterò per te fino alla morte» disse.
Sicuramente Radish aveva capito cosa stesse succedendo, di certo aveva notato l'increspatura nel suo tono di voce, ma aveva fatto finta di niente e aveva optato per essere pragmatico.
Vegeta scrollò le spalle. Non avrebbe dimostrato gratitudine, ma si sentiva rinvigorito da quella devozione.
Soffiò annoiato, poi non ne parlarono più.




«Maestà, è ora di svegliarsi. Radish, alza il culo da lì».
Vegeta aprì un occhio, poi l'altro. Il cielo sopra di lui era un manto di velluto nero. Poche stelle, le lune lontane erano state sufficienti per trasformarsi e radere al suolo quello schifo di pianeta.
Che poi, cosa diavolo se ne sarebbe fatto Freezer di quella landa desolata? La vegetazione era scarsa, la fauna ancora peggio. Nel sottosuolo c'era forse qualche giacimento petrolifero? Magari ci avrebbe costruito un attracco portuale, qualche stazione spaziale di rifornimento.
«Yawn... ma io sono ancora stanco!»
La voce assonnata di Radish lo colpì alle spalle. Quando si voltò, lo vide rannicchiato contro una roccia con il volto compresso nella piega del gomito. Una posizione innaturale per il riposo, ma oramai Vegeta era più che abituato a vederlo dormire aggrovigliato nei posti più disparati. Beato lui.
Nappa alzò gli occhi al cielo e gli tirò un calcio negli stinchi, già esacerbato di prima mattina. Che poi era ancora notte fonda.
«Saranno qui a momenti, preferisci che ti svegli io con le buone, o preferisci che siano loro a svegliarti?»
«Sono sveglio, sono sveglio!» Radish si alzò in piedi con uno scatto, scrollandosi di dosso la sabbia cremisi di quel pianeta inospitale. «Kami, non c'è bisogno di essere così scortesi!»
«Ti faccio vedere come posso davvero diventare scortese, moccioso!»
Vegeta ignorò la diatriba e, con il naso volto all'insù, seguì la scia di un'astronave in lontananza. Tentò di ignorare il contorcimento di viscere ma strinse i pugni.
Loro erano arrivati.


Quando la navicella poggiò i sei piedi meccanici al suolo, i tre Saiyan avevano già riposto le loro provviste e smantellato il fuoco da campo. Li attesero lì, allineati e braccia conserte, mentre la passerella di atterraggio si apriva lenta con un ronzio metallico.
A Vegeta non sfuggì il tremore della coda di Nappa, al suo fianco. Rabbia. O paura? In fin dei conti sapevano tutti com'era andata a finire l'ultima volta.
Loro scesero lenti dalla piattaforma inclinata e, una volta poggiati i piedi a terra, si guardarono intorno. Entrambi col naso arricciato e gli occhi annoiati.
E, come protocollo prevedeva, i tre Saiyan chinarono leggermente il capo in segno di rispetto. Rispetto che era solo sdegno ben travestito. Vegeta digrignò i denti e si conficcò le unghie nei palmi delle mani, ancora incapace di tenere fede a quel protocollo senza sentirsi sull'orlo di una crisi di nervi.
Un principe non si dovrebbe inchinare a nessuno.
«Cielo, guarda guarda che disastro...» disse Zarbon, scrutando oltre l'orizzonte il fumo e le rovine di quella che era stata una città, fino alla sera precedente.
«Inutile: voi Saiyan non avete proprio idea di come si faccia un lavoro pulito» aggiunse Dodoria, ridacchiando mellifluo.
Vegeta assottigliò gli occhi.
«Gli ordini prevedevano di annientare questa razza nel giro di una notte, non c'era tempo per i convenevoli» disse. E mentalmente si chiese cosa diamine se ne sarebbe fatto Freezer di un lavoro pulito, se l'obiettivo era quello di radere comunque al suolo tutto per farci un attracco o cosa diavolo d'altro.
«Quello che ci aspettiamo da dei professionisti è che le risorse rimangano intatte» gracchiò Dodoria.
«Quali risorse? Le quattro mura di sabbia di quel villaggio?»
Nappa si irrigidì ancora di più al suo fianco. L'ultima volta che uno di loro aveva risposto male a Zarbon e Dororia, questi non si erano fatti remore a fare in modo che fosse l'ultima volta. E così era perito Biet, uno degli ultimi quattro Saiyan rimasti. Il quinto oltre a loro era morto durante una missione perché troppo debole. Patetico!
Il volto di Zarbon venne scosso da un brivido di disgusto, quindi fece un altro passo verso Vegeta, osservandolo dall'alto in basso.
Il Principe deglutì disprezzo ma non si scompose, e con la coda dell'occhio vide Radish e Nappa impallidire. Codardi.
Si limitò a sostenere lo sguardo giallastro di Zarbon e attese una mossa ma, come pronosticabile, non ce ne fu alcuna. Vegeta lo sapeva: lui era una pedina troppo importante, non l'avrebbero mai ucciso. Beh, non senza ordine di Freezer in persona.
Dopo la collisione dell'asteroide con Vegeta-Sei, l'esercito aveva perso gran parte della forza lavoro, non gli conveniva affatto lasciare che gli unici tre Saiyan rimasti morissero. Vegeta era un combattente troppo forte per avere solo otto anni e, malgrado ciò che avessero da dire Zarbon e Dodoria, i Saiyan facevano comodo per missioni come quelle.
«Chiedo venia, a volte tendiamo a dimenticare che voi scimmie siate tutto fuorché professionisti» sibilò Zarbon, infine, sollevando il mento.
Vegeta trattenne sulla punta della lingua l'urgenza di rispondergli di fare loro il lavoro sporco, la prossima volta.
Dodoria ridacchiò ed estrasse dal corpetto un fagotto di stoffa, lanciandolo con noncuranza tra le mani di Nappa. Questi l'apri e strinse le labbra.
«Ma... il compenso non è ciò che era stato pattuito» disse, contando gli Yēŏn – la valuta intergalattica.
«La penale per aver inflitto troppi danni» sogghignò Dodoria e, detto ciò, voltò le spalle insieme a Zarbon per tornare alla navicella.
Vegeta ringhiò. Penale un paio di palle, pensò. Quel sacchetto era già stato preparato in precedenza prima di vedere le condizioni del pianeta.
E, ovviamente, a Radish la cosa non sfuggì. Tutto si poteva dire, ma non che avesse poco senso per gli affari.
«Ehi, un mome-» si apprestò a ribattere questi, rosso di rabbia, ma non fece in tempo a terminare la protesta che si ritrovò il pugno di Zarbon proprio al centro dello stomaco.
Si piegò in avanti, tossendo saliva e sangue. Vegeta trasalì. Non di certo perché gli importasse qualcosa di Radish in particolare – o di Nappa, che in quel momento lo stava supplicando con lo sguardo di non fare niente – ma perché non poteva sopportare un affronto simile da parte di quei farabutti.
Vegeta odiava lavorare per Zarbon e Dodoria, ma era una vera fortuna che le loro missioni fossero affidate più che altro dalla Squadra Ginew – se di fortuna si potesse parlare. Quantomeno quei cinque imbecilli li pagavano profumatamente e non avevano mai attentato alla loro vita. Anche se dovevano sorbirsi quella buffonata di balletto ogni santissima volta.
Si trattenne a malapena, solo perché non vedeva l'ora che quella giornata di merda finisse.
«C'è altro?» sussurrò Zarbon all'orecchio di Radish. Questi non rispose e cadde in avanti, con gli occhi vitrei e un rivolo di saliva che gli colava giù per il mento.
Zarbon tornò in posizione austera e, voltando di nuovo i tacchi, riprese a camminare. «Qualsiasi reclamo... andate a farlo in faccia a Freezer» concluse. E, tra le risate disgustose di Dodoria, tornarono all'astronave partendo per il cosmo.


Quando Radish finì di vomitare sangue, ci pensò Nappa a rincarare la dose prendendolo per i capelli per sollevarlo.
«Quante volte ti dico che devi farti i cazzi tuoi, moccioso?!» gli sbraitò in faccia.
«Ci hanno fottuto i soldi!» gridò Radish, divincolandosi.
«E c'è mancato poco che ti fottessero anche la vita».
Nappa, che in passato era stato il capo della loro divisione, era oramai il loro assistente alla custodia da quasi due anni. Da quando Vegeta-Sei era esploso per colpa di quel meteorite.
Lui e Radish erano entrambi minorenni e quindi impossibilitati per le leggi della galassia a viaggiare in giro da soli anche se, di fatto, avrebbero potuto cavarsela benissimo.
E, per quanto i modi di Nappa con Radish fossero tutt'altro che accondiscendenti, si vedeva lontano un miglio che si preoccupasse per lui. Per entrambi loro. Patetico!
Vegeta non aveva bisogno di nessuno che si preoccupasse, non aveva bisogno di un padre. Anche quando era su Vegeta-Sei non ne aveva mai avuto davvero bisogno. Di sicuro non aveva avuto bisogno di un padre che lo vendesse a Freezer come soldato e mercenario per sigillare degli accordi di collaborazione. Anche se aveva modo di credere che se Freezer non avesse avuto alcun diritto su di lui, una volta esploso il pianeta l'avrebbe inseguito per tutto l'universo per accaparrarselo.
«Non mi ha fatto niente... era solo un pugno...» gracchiò Radish, stringendo i pugni e trattenendo altri conati di vomito. Se non altro quel deficiente aveva un po' di amor proprio e non frignava mai. «E comunque non capisco perché se Vegeta gli risponde male non gli fanno niente, gli dico qualcosa io e mi piegano in due!» aggiunse, frustrato.
«Perché a differenza di te io conto qualcosa per l'esercito. Ergo, se non vuoi morire male, chiudi quella boccaccia e fatti i cazzi tuoi» rispose Vegeta.
Non che Radish non fosse un guerriero forte, per la sua età. Ma non era il Principe dei Saiyan.
E a Freezer faceva comodo avere il Principe dei Saiyan assoggettato al suo fottuto esercito, sia da un punto di vista combattivo che politico.
I Saiyan erano stati temuti e rispettati in tutto l'universo, prima dell'esplosione del pianeta. Persino dopo la quasi totale estinzione della loro razza, molte potenze della galassia che avevano collaborato con Re Vegeta nutrivano un forte rispetto per loro. Alcuni accordi con queste potenze stavano in piedi solo per la presenza del Principe nell'Esercito, e a Freezer conveniva così.
Sarebbe stato dispendioso e poco proficuo dichiarare guerra ad alcuni pianeti cardini delle galassie, specialmente quelli che possedevano risorse tecnologiche e manovalanza internazionale.
Vegeta aveva più volte ponderato di ribellarsi in quei due anni e crearsi un proprio esercito, ma sarebbero stati comunque in inferiorità numerica rispetto ai Cold. Sarebbe stato solo un rischio inutile.
Quindi da due anni lavoravano – o meglio, venivano schiavizzati – per i Cold, senza alcuna possibilità di andarsene. Non per il momento.
Ma Vegeta se l'era ripromesso: una volta cresciuto, una volta diventato più forte le cose sarebbero cambiate. Avrebbe sconfitto l'Esercito di Freezer con le sue stesse mani. Iniziando da Zarbon e Dodoria.


Il suono di notifica dei loro Scouter li fece sussultare. Sapevano che una nuova missione sarebbe giunta presto, ma non così presto.
«Neanche il tempo di respirare, Kaioh maledetto!» inveì Nappa.
«Speriamo solo che non sia per conto di quei due. Non c'è niente peggio di quei due» borbottò Radish, aprendo il pannello delle notifiche.
Vegeta fece lo stesso, sperando con tutto il cuore di non vedere i brutti musi di Zarbon e Dodoria almeno per i successivi sei mesi.
Tuttavia forse sarebbe stato meglio, di gran lunga molto meglio di quello che invece lesse. Trattenne un conato di vomito lungo l'esofago, poi si voltò verso Radish con occhi dardeggianti.
«Niente di peggio, dicevi?» sibilò.
Radish impallidì e lesse un'altra volta il mansionario, poi cacciò la testa all'indietro.
«... che cazzo».


 
Continua...

Riferimenti:
-Il primissimo paragrafo (quello del ricordo della notte post-esplosione) è copiato e incollato da una scena presente nella mia storia "Across the unvierse". Questa storia, infatti, può essere benissimo intesa come un prequel di quella - e ci saranno tantissimi riferimenti a piccoli aneddoti raccontati lì, soprattutto riguardanti Radish. La caratterizzazione di questo personaggio si basa proprio su quello descritto in Across the universe. 
-Per quanto riguarda le età dei personaggi, faccio affidamento a quelle che consociamo dal film "DBS Broly", in cui Vegeta e Radish hanno poco più di un anno di differenza. In generale le informazioni che sappiamo sulla storia dei Saiyan le ho prese da quel film e da DB Super, non dagli OAV usciti negli anni 2000 che, per quanto mi fossero piaciuti, non sono purtroppo considerati canon.
-Per quanto riguarda gli altri due Saiyan sopravvissuti all'esplosione, mi riferisco a quelli che si vedono nella scena iniziale di DBS Broly. Il nome Biet me lo sono inventato, e l'ho preso da uno dei Saiyan di cui ho scritto nella mia storia "HAKAI". 
-Sempre da "HAKAI" ho voluto far fede alla tipica "sboccataggine Saiyan", che non è canonica in italiano... ma in giapponese un poco di più! :D 
-Rokk: oramai chi mi segue da un po' conosce bene questa bevanda inventata da me - uno dei superalcolici più schifosi di tutta la galassia. Giuro che prima o poi miscelerò davvero un cocktail che si chiama così. 
-Yēŏn: anche il nome della valuta intergalattica salta oramai fuori in tutte le mie storie. Anche questo inventato di sana pianta.
-Ci saranno alcuni piccoli riferimenti a ciò che Vegeta racconta nelle serie di DBZ e DBS, ma la maggior parte degli eventi che accadranno in questa storia sono missing moments totalmente inventati. 

ANGOLO DI EEVAA:
Ehilà, gente dallo spazio!
Ebbene sì, siamo tornati proprio nello spazio :D quanto mi mancava scrivere delle disavventure di Radish e Vegeta! (e anche Nappa, lo vedrete). Oramai è una delle mie BroTP preferite. 
Anche se Mr.Lopez, il mio beta reader nonché fidanzato, a un certo punto di questa storia ha iniziato a shipparli. Mannaggia a lui! Per una volta che voglio scrivere una storia senza gay mi mette strane idee in testa xD
Tornando a noi, spero davvero che questa storia possa piacervi. Nel corso dei capitoli forse Vegeta potrà apparirvi fin troppo strano e stronzo, ma a questi tempi non ha niente a che vedere con il Principe che conosciamo attualmente. Ricordatevi di com'era nelle sue prime apparizioni :D aiuto! Sono onesta: a volte ho fatto fatica a scrivere di lui in certi atteggiamenti orribili ma, beh, lo si ama anche per il suo passato burrascoso, no?
Niente, la smetto di blaterare e vi aspetto al prossimo capitolo!
Grazie di cuore a chi mi ha seguito fin qui, e benvenut* anche a chi mi legge per la prima volta! 
Un abbraccio,
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Hai per caso fretta di arrivare?» grugnì Nappa.
Radish fece spallucce. «Prima arriviamo, prima ce ne andiamo...»
Nappa alzò gli occhi al cielo. «Beato te che sei ancora certo che usciremo vivi di lì».
 

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Capitolo 2
*** Lui ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


- MERCENARI -

Capitolo 2
Lui



«Sono così felice di tornare, non vedo l'ora di poggiare le chiappe sul mio letto. Cosa farai quando rientrerai su Vegeta-Sei?»
Era la loro terza missione insieme, erano in giro per lo spazio da un mese. Vegeta aveva quattro anni. Radish cinque. Avevano appena disintegrato un'intera popolazione di alieni puriginosi senza riportare alcun danno e finalmente stavano viaggiando per tornare a casa.
Vegeta non aveva gioito la prima volta che un altro moccioso – per giunta di terza classe - era entrato nella sua squadra di élite, men che meno perché Nappa aveva deciso di portarlo subito con loro in missione. Tuttavia doveva ammettere che - per essere un soldo di cacio poco più alto di lui - Radish non era male. Sapeva combattere meglio di molti altri uomini di prima e seconda classe. Era ben lontano dall'essere forte come lui, ma apportava un buon contributo alla squadra.
Quel che Vegeta però stentava a sopportare era che continuasse imperterrito oramai da mesi a trattarlo come se fossero amici e cercare un dialogo e, diamine, il Principe odiava i dialoghi!
«Chiederò a mio padre di farti giustiziare!» rispose quindi, annoiato, masticando una barretta energetica che aveva trovato nella sacca del sedile.
«Geniale, così poi dovrai trovarti nuovi compagni in squadra da sopportare che magari saranno anche peggio di me!» rispose questi, irriverente.
Di tutti i soldati del pianeta – grandi e piccini – quel deficiente era l'unico che osava rispondere senza la dovuta riverenza al Principe. Eppure, nonostante tutto, era ancora in vita.

Forse perché Vegeta odiava l'ipocrisia: sapeva che tutti lo temessero e lo detestassero ma nessuno glielo diceva in faccia, mentre Radish... beh, non si faceva problemi a parlargli chiaro e tondo.
Odiava la sua mancanza di accondiscendenza, ma al contempo lo rispettava. Poco.
Ciononostante essere amico di qualcuno non era nei suoi piani, specialmente con un insopportabile terza classe.
«La vedo dura essere peggio di te» si limitò dunque a rispondere.
Radish ridacchiò e portò i piedi sul sedile di fronte, stiracchiandosi.

«Nah! Tra qualche mese nascerà il mio fratellino, scommetto che sarà mooolto peggio di me».
«Farò giustiziare anche lui. Che Kaioh me ne scampi di avere un'altra stupida terza classe in squadra!»

Ma Radish non lo prese sul serio. Ridacchiò ancora. Rideva sempre. Insopportabile.



A volte si pentiva di non aver fatto giustiziare davvero Radish.
«Mi fai guidare? Dai, Nappa, mi fai guidare? Per favooore!»
Quella era una di quelle volte.
«Se non la finisci ti sbatto nell'inceneritore di rifiuti» ringhiò Nappa, tirandogli una gomitata.
«Dove una terza classe come te dovrebbe stare» aggiunse Vegeta, iracondo.
Ma Radish rise e, senza perdersi d'animo, si avvicinò di nuovo a Nappa per controllare cosa stesse facendo.
Radish aveva una grande passione per le astronavi. Diceva sempre che appena avrebbe compiuto quindici anni se ne sarebbe comprata una tutta sua. Peccato che non avessero un soldo bucato e dovessero accontentarsi di ciò che forniva l'Esercito. Ma Radish aggiungeva sempre “e se non potrò comprarla, allora la ruberò”. Ed era già più credibile.
«Se attivi il salto iperspaziale adesso, giungeremo circa qui. E in queste zone ci sono attracchi per i rifornimenti, sai... se invece lo attivi troppo tardi, potremmo perdere la zona e poi dovremmo navigare fino a Kanassa – oops, Freezer n.79 – con carburante normale e-»
«Hai per caso fretta di arrivare?» grugnì Nappa.
«Prima arriviamo, prima ce ne andiamo...»
Nappa alzò gli occhi al cielo. «Beato te che sei ancora certo che usciremo vivi di lì».
Vegeta incrociò le braccia al petto e sbuffò. Non che avesse paura, ma sapeva bene che essere richiamati al nuovo pianeta base di Freezer non comportasse niente di buono.

L'unica volta che l'avevano incontrato era stato dopo l'esplosione di Vegeta-Sei, e questi ci aveva tenuto ad esprimere il suo sincero rammarico per la tragedia. Con un sorriso meschino sulla bocca. E con un nuovo contratto di schiavitù già pronto in mano che si erano ritrovati costretti a firmare senza clausole.
Vegeta aveva solo sei anni, la sua casa era appena esplosa e non conosceva niente dell'universo, non sapeva nulla dei pericoli del cosmo, se non per il poco che aveva visto nelle sei missioni compiute. Alla burocrazia ci aveva sempre pensato suo padre, il suo primo contratto di collaborazione con l'Impero l'aveva firmato lui facendone le veci.
In quegli ultimi due anni però aveva studiato, aveva appreso, aveva cospirato. Tornando indietro si sarebbe finto morto nell'esplosione e sarebbe andato in clandestinità piuttosto che poter essere schedato e assoggettato. L'universo era vasto, avrebbe trovato un pianeta florido in cui costruire un nuovo regime tutto suo. Tutto pur di non lavorare sottopagato per quel figlio di puttana e i suoi scagnozzi.
Ma non avrebbero potuto tornare indietro, non più. In quel momento avrebbero dovuto andare avanti e sperare che Freezer li avesse chiamati a sé per dar loro una promozione o qualche missione più proficua.
«Nah, Vegeta stesso l'ha detto: siamo troppo importanti per Freezer» fece presente Radish, tranquillo.
«Io. IO sono troppo importante per Freezer. Tu sei uno scarto e non si farà problemi a farti fuori» sbottò Vegeta. A volte l'incoscienza di quel demente raggiungeva livelli fuori dalla soglia di guardia.
«Scarto o no, siamo comunque molto forti e non gli conviene certo ucciderci» controbatté con un sorriso tutto denti. Radish era un Saiyan anomalo. I Saiyan non sorridevano quasi mai in quel modo, se non, beh... per sarcasmo o sadismo.
Vegeta alzò gli occhi al cielo e tornò a guardare fuori dall'oblò alla sua destra.
«Il tuo ottimismo ti ucciderà presto» lo redarguì Nappa.
Radish sogghignò. «Ma... appunto perché potrebbe essere l'ultima volta, mi fai guidare?»
Vegeta chiuse gli occhi, esasperato, pronto all'esplosione. Ogni giorno era la stessa storia.
«Porco Kaioh, Radish, tieni, fai il cazzo che vuoi!» sbraitò infatti Nappa, per poi alzarsi e dirigersi verso le cabine di servizio. «Io vado a farmi la doccia. Sei estenuante».
Il demente sorrise raggiante e alzò le braccia al cielo.
«YAY!»
Sarebbe stato un lungo viaggio.




Avrebbe preferito fosse stato molto più duraturo. A posteriori, avrebbe preferito che quel viaggio non fosse mai finito, e invece in due mesi e mezzo erano giunti a destinazione.
L'arrivo su Pianeta Freezer n.79 – ex pianeta Kanassa, prima della conquista – comportò una schedatura completa di livello alto: domande, interrogatori, messa in quarantena, doccia anti-germi spaziali. Dopo una prassi della durata di tre ore circa, erano stati scortati in tre stanze separate nel seminterrato e era stato intimato loro di non muoversi di lì perché Lord Freezer li avrebbe convocati non appena possibile. E quindi, naturalmente, Radish non aveva perso tempo a supplicare di poter andare a vedere in officina i nuovi modelli di astronave. E Nappa l'aveva preso a pugni sui denti pur di non farlo allontanare dalla propria stanza.
La convocazione era avvenuta prima di quanto immaginato e, anche in quell'occasione, Vegeta avrebbe preferito che non avvenisse mai.
Tuttavia solo lui era stato invitato. Nappa e Radish non erano stati chiamati e l'avevano guardato andare via a testa basta, entrambi con occhi preoccupati.
Forse avrebbe dovuto preoccuparsi anche lui, ma se ne rese conto solo quando, dopo tre minuti interi di silenzio, Freezer non aveva ancora detto una parola.
Sostava lì, gli dava le spalle seduto nel suo mezzo di trasporto fluttuante, tramite il grande oblò osservava le lande rocciose del fu pianeta Kanassa.
Vegeta ebbe come la malsana tentazione di tendergli un attacco alle spalle. E, cielo, gliene poteva importare ben poco che non fosse corretto. Se solo fosse stato abbastanza forte l'avrebbe fatto.
Il silenzio era ovattato, quasi la stanza fosse insonorizzata, distante da tutto il resto della base. Vegeta non ripudiava il silenzio – se solo in quegli anni ci fosse stata occasione di strappare via le corde vocali a Radish, l'avrebbe fatto – ma in quel momento avrebbe pagato fior di Yēŏn per trovarsi di nuovo sull'astronave con lui e Nappa a litigare per l'ultimo pacchetto di cibo liofilizzato.

Quando Freezer parlò, non fu però un gran sollievo.
«Sono trascorsi due anni e poco più dal nostro ultimo incontro, Principe Vegeta».
La sua voce era melliflua, pacata, ponderata.
Vegeta non rispose. Non trovava necessario il fatto di rimarcare l'ovvio in quel modo.
«Tu e la tua squadra avete portato un buon profitto all'Impero, non c'è che dire» continuò quindi Freezer. Quello che si domandò Vegeta era il perché avesse chiamato solo lui, visto che non era a capo della squadra e il suo tutore legale fosse Nappa.
«Ho sentito che avete subito delle perdite... sono desolato».
Desolato esattamente come quando Vegeta-Sei era andato in frantumi. Strano modo di mostrare desolazione, con quel sorriso perverso che Vegeta poteva intravedere nel vetro dell'oblò.
Avrebbe preferito vederlo solo di riflesso, invece Freezer voltò la navicella per guardarlo negli occhi.
Vegeta trattenne il respiro. Era ancor più ripugnante di come lo ricordava.
«Ma credo si tratti di selezione naturale... no?»
«Se per selezione naturale s'intende omicidio, allora sì. Uno dei due è morto per selezione naturale ingiustificata».
Non riuscì proprio a frenare la lingua. Non che gli fosse mai importato qualcosa di Biet, ma la sua morte aveva un significato. E il significato era che Zarbon e Dodoria avessero giocato sporco, con loro.
Vegeta riuscì a intravedere uno strano spasmo sulla guancia di Freezer, ma questi non perse il sorriso. Si spostò lentamente e, giunto davanti a un bar incastonato nella parete, balzò fuori dal suo mezzo di trasporto. Prese un calice di vino, lo fece roteare, poi ne bevve un sorso.
«Ti chiederei se ne vuoi, ma-»
«Sono troppo giovane» si affrettò a rispondere.
«Oh, cosa vuoi che importi?» ridacchiò. «Intendevo che questo vino è troppo pregiato. Non adatto ai pezzenti».
Gli occhi di Vegeta dardeggiarono. «Sul mio pianeta c'era vino di qualità migliore. Solo per me e la mia famiglia» controbatté.
Freezer ridacchiò, con quella orribile, orribile acuta rista.
«Un vero peccato non avere più occasione di assaggiarlo, vero?»
Farsi provocare sarebbe stato troppo facile. Cedere all'ira, alla rabbia... oh, gli sarebbe piaciuto. Sarebbe piaciuto anche a Freezer, lo sapeva. Non gli diede soddisfazione.
«Non ho mai detto che l'avremmo offerto» rispose invece, a tono.
E, proprio come immaginato, a Freezer non piacque per niente.

Ciò che non si era immaginato Vegeta, invece, è che sarebbe ricorso alla forza fisica con lui. Non per così poco.
Si ritrovò schiena a terra, coda arrotolata intorno al collo. Stringeva forte, con gli occhi rossi iniettati di sangue e una furia iraconda. Tentò di divincolarsi, ma lui era troppo forte.
Vegeta credette di morire lì, a otto anni. Forse aveva ragione Nappa quando diceva che non sarebbero usciti vivi da lì. Forse non era così importante per l'Esercito come aveva creduto.
Ma poi Freezer allentò la presa e lo scagliò con forza contro la parete, che s'incrinò. Poi gli fu di nuovo addosso, tenendolo immobilizzato con le mani gelide.
«Mi è giunta voce, Piccolo Principe, che durante questi due anni tu e la tua piccola squadra avete mostrato atteggiamenti troppo ribelli nei confronti dei vostri capi» sibilò, il tono della voce più acido, meno pacato. Sembrava quasi oltraggiato.
Vegeta dovette lottare per non mostrargli un sorriso beffardo. Se avesse voluto ucciderlo l'avrebbe fatto subito, no? Invece era lì ancora, nonostante l'avesse fatto incazzare.
«Se fossimo stati trattati con riguardo e pagati il giusto, non avremmo sporto alcuna lamentela» disse quindi, tra i gemiti di soffocamento.
Freezer divenne livido fino alla punta delle corna poi, così come lo scatto di furia era giunto, l'ira scemò. Tirò un sorriso perverso e si avvicinò di più, stringendo bene la presa sulla gola.
«Oh, vuoi essere pagato meglio? Allora ti posso dare qualche suggerimento per dei lavori extra» soffiò vicino al suo orecchio e, con la coda sudicia, iniziò a carezzarlo lungo le gambe. Vegeta rabbrividì con orrore. «Certo, non posso assicurare che vi trattino con riguardo, ma...»
«Non. Mi. Toccare» bofonchiò, faticando a respirare, poi avvertì la coda di quell'essere nauseabondo salire fino al fondoschiena. Iniziò a sperare di essere ucciso, di non essere importante per l'Esercito, di non essere risparmiato. Tutto, ma non quello.
Invece Freezer gli rise in faccia.
«Oh, no, non per me... ohohoh, non mi sporcherei le mani con una scimmia. Ma alcuni miei soldati gradirebbero parecchio carne così giovane».
Era disgustoso. Vegeta provò quasi del sollievo quando questi ritrasse la coda e gli sferrò una testata sul naso, fratturandoglielo. Meglio quel tipo di dolore, al solo pensiero di ricevere un diverso tipo di trattamento. Era solo un bambino, ma era già al corrente di come girasse il mondo dei bassi ranghi delle navi dell'Esercito, sapeva cosa accadesse ai bambini e le donne dei pianeti colonizzati, prima della morte.
Vegeta crollò contro la parete afferrandosi il collo dolente. Il sangue colò dal suo mento fino al terreno, mescolandosi al vino rovesciato poco prima. I vetri rotti del calice scricchiolarono sotto i piedi di Freezer.
«Ti tengo d'occhio, Piccolo Principe. A te e quel piccolo mentecatto che ti segue in giro dappertutto, così come al buzzurro che si prende cura di voi. Se ci tenete alla vostra incolumità... e alla vostra integrità fisica... niente più sceneggiate, niente ribellioni. Niente di niente» minacciò Freezer poi, in un lampo, il suo volto si fece di nuovo calmo, pacato. Il tono mellifluo, sul volto il sorrisetto travestito da cordialità.
«Riposatevi, ora. Riceverete una nuova missione in poche ore. E ricorda... la prossima volta potrei non essere così clemente, con te».



Si trascinò lungo il corridoio, appoggiandosi alla parete. Era stremato. Perdeva copioso sangue dal naso, gli mancava ancora il fiato per lo strangolamento, probabilmente aveva una costola rotta per l'impatto contro la parete. Ma quello non era niente, niente in confronto al pensiero che stessero lavorando per conto del peggior figlio di puttana del cosmo e che avrebbero dovuto contribuire all'espansione del suo Impero per chissà quanto tempo. Niente, nessun dolore poteva compararsi all'umiliazione che avvertiva in quel momento.
Umiliazione ancor più rincarata dagli sguardi di sgomento di Nappa e Radish, i quali lo stavano attendendo in corridoio.
«Che ti è successo? Cosa cazzo ti ha fatto?!» urlò Radish, furibondo, avvicinandosi di corsa.
«Non ti azzardare a toccarmi» ringhiò però Vegeta, quando questi provò a mettergli le mani in faccia.
Radish si morse il labbro e Nappa, accanto a lui, lo osservò con più attenzione e sbiancò.
«Vegeta... il tuo collo... Kaioh santissimo! Sei ridotto uno schifo. Dobbiamo trovare un'infermeria e-»
«BASTA! Andiamocene di qui. Subito. Non voglio rimanere qui un secondo di più» lo interruppe, stanco.
«Ma...»
Vegeta afferrò il corpetto di Nappa e, per quanto questi fosse alto almeno il triplo di lui, questi non riuscì a far fronte alla forza del Principe. «Ho detto: Via. Di. Qui» gli sibilò in faccia, poi si rivolse a Radish. «E non voglio sentire volare una mosca, sono stato chiaro?»
Gli altri due Saiyan si guardarono con occhi gravi, poi annuirono. Non avrebbe voluto attendere un secondo di più in quella piattaforma di merda. La notifica della missione gli sarebbe giunta anche se immersi nel cosmo. Non c'era motivo di attendere in quel posto e rischiare chissà quale schifezza da parte dei membri dell'esercito.
Lui non aveva paura di niente ma, a dirla tutta, il solo pensiero di quel tipo di abusi... gli faceva venire il voltastomaco.




Dopo sei ore dalla partenza dall'ex pianeta Kanassa, Vegeta non aveva chiuso occhio. Si era rinchiuso al buio della cuccetta di servizio – un buco di culo incastrato tra gli ingranaggi dell'astronave – nel tentativo di riordinare i pensieri, leccarsi le ferite e ricucire l'orgoglio smembrato.
Non ci stava riuscendo, neanche lontanamente. Forse il suo orgoglio non si sarebbe riparato mai, neanche nei centoquarant'anni circa che gli rimanevano da vivere. Sempre che fosse sopravvissuto tanto a lungo.
Quando la porta automatica della cuccetta si aprì, Vegeta provò l'irrefrenabile desiderio di uccidere chiunque si fosse affacciato. E invece si affacciò solo una mano con un vassoio di cibo preconfezionato.
«Ti ho portato qualcosa da mangiare» sussurrò la voce di Radish, dalla luce fievole e rossa del corridoio.
«Lascialo lì. Non ho fame» sbottò Vegeta, indicandogli una mensola appena sopra la branda incastrata a muro.
«Vegeta...»
Alzò gli occhi al cielo. Sapeva che quel demente non fosse lì solo per portargli delle sostanze nutrienti.
«Che cazzo vuoi, Radish? Vai fuori dalle palle».
«... lo uccideremo».
Vegeta trattenne il respiro e sollevò il busto quanto bastasse per osservarlo. Il volto di Radish era serio, molto più del solito. Niente sorrisi da Saiyan anomalo.
«Cosa?» sussurrò, inarcando un sopracciglio. E poi Radish iniziò il suo consueto sproloquio ricolmo di entusiasmo.
«Promessa solenne, Maestà: diventeremo grandi. E fortissimi. Diventeremo i migliori... cioè, tu il migliore, io dopo di te, ovvio. E lo sconfiggeremo, uccideremo quel bastardo nel peggiore dei modi. Ci prenderemo quello che ci spetta. Ti prenderai un esercito, un trono o un impero, quello che è. Io mi prenderò un saaacco di soldi e con quei soldi un saaacco di astronavi. Ok? Ci stai?»
Lo sproloquio di un bambino di nove anni che ancora non si è arreso, che ancora crede nel futuro. E se ci credeva quel deficiente... perché non avrebbe dovuto crederci lui? Lui che era forte, il più forte di tutti. Forse il suo orgoglio prima o poi si sarebbe rimarginato, se solo ci avesse creduto un poco di più.
«...»
Vegeta non disse nulla, si limitò a osservare il volto entusiasta del cretino, con un cipiglio meno duro, senza più la voglia di mettergli le mani al collo.
«Silenzio assenso. Buonanotte, capo!» trillò infine Radish, con il gesto di un saluto militare.
E la voglia di mettergli le mani al collo riaffiorò.
«Principe. Non capo, idiota!»
Radish ridacchiò, con quello stupido sorriso anomalo. «Ah, giusto. Il capo è Nappa. Fino a che non sarai legalmente adulto, intendo. Anche se lo sappiamo entrambi che qua comandi tu, insomma, è evident-»
«Radish, taci, o ti getto nell'inceneritore».


Continua...

Riferimenti:
-Il pianeta Kanassa è quello conquistato dalla squadra di Bardack nell'OAV "Le origini del mito".
-Nell'anime abbiamo visto che Nappa, Vegeta e Radish viaggiavano sulle astronavi monoposto con il sonno criogenico, lo so. Mi piace pensare che l'Esercito abbia dato in dotazione loro un'astronave più "scassona", per il primo periodo. Ci arriveremo.

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente dallo spazio!
Ecco qui il secondo capitolo di questo prequel e, come promesso, i dolori sono arrivati subito. Altro che promozione o missioni importanti! Freezer ha voluto fare lo stronzo - come al solito.
Chiedo perdono per la scena violenta sul piccolo Vegeta T__T mi ha nauseato persino scriverla ma, ehi, avevo avvisato.
Che dire, per fortuna l'entusiasmo di Radish è contagioso :D in molt* avete apprezzato la sua caratterizzazione (e ho ricevuto ulimatum di ship funeste, per quando saranno più grandi xD) ne sono contenta.
Grazie come sempre a tutt* per il supporto!
Eevaa



Nel prossimo capitolo!
Prese Radish per le spalle e lo sbatté contro il muro poi, prendendolo per i capelli, lo trascinò di nuovo indietro sulla soglia di quella casa.
«Uccidile».
«Ma-»
«UCCIDILE, CAZZO!» gli urlò in faccia.
Non poteva accettare una simile debolezza.
«Se non lo farai, sarò io a uccidere te. Hai capito? Non ho bisogno di un codardo nella mia fottuta squadra» gli soffiò nell'orecchio.


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Capitolo 3
*** Pietà ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 

- MERCENARI -

Capitolo 3
Pietà


 
«Vira, vira, vira, VIRA!»
Vegeta strizzò gli occhi e si irrigidì sul sedile, la pressione tutta sulla punta delle orecchie, vuoto d'aria spacca-polmoni.
L'asteroide gigante che stava per collidere con l'astronave passò a pochi centimetri dall'ala posteriore destra e, dopo un'altra brusca virata, tornarono in posizione naturale.
«WOO-HOO!» urlò Radish, vittorioso.
Nappa, sul sedile posteriore destro, era bianco come un cencio. Come biasimarlo.
«Kaioh santissimo!» esalò solamente.
Negli ultimi tre anni aveva perso tutti i capelli. Di solito i Saiyan non soffrono di calvizie. Forse era stato lo stress. No, non lo stress di essere sotto schiavitù dell'Impero... lo stress di avere a che fare costantemente con Radish.
Non era un pessimo pilota – tutt'altro, se proprio Vegeta doveva essere sincero - ma la sua inclinazione all'avventatezza li portava ogni giorno sempre più sulla soglia dell'omicidio.
«Oh, e andiamo! Avevo tutto sotto controllo».
«Tsk» soffiò Vegeta, sganciandosi finalmente la cintura di sicurezza. Dai radar si poteva scorgere che si fossero lasciati alle spalle la pioggia di meteoriti che li aveva colpiti alla sprovvista dopo un salto iperspaziale. Era sempre quello, il rischio di quei salti.
«Sento che morirò presto. E poi non lamentatevi se finirete venduti in qualche mercato nero al peggior offerente di tutte le galassie».
Radish ridacchiò.
«Resisti tre o quattro anni, Nappa. Manca poco alla nostra maggiore età! Poi potrai morire in santa pace».
«Chiamala santa pace...»
Vegeta ignorò il diverbio e si sporse verso il sedile del pilota, per poter osservare meglio il monitor. «Siamo arrivati o no?»
Radish armeggiò col computer di bordo e aprì le carte spaziali con le traiettorie. «Due ore e mezza al pianeta PK3.00».
Due ore e mezza alla loro futura missione: il genocidio di massa di una popolazione di basso livello combattivo, la quale unica sfiga era che avessero le chiappe poggiate sopra uno dei più vasti giacimenti d'oro di quel quadrante galattico.
E non lo sapevano, perché oltre a essere di basso livello combattivo, sembravano anche di scarso intelletto. Tanto meglio: avrebbero potuto farli fuori senza alcuna remora, in quanto esseri inutili al cosmo.
Non che di solito Vegeta avesse troppi sensi di colpa nello sterminare popolazioni. Negli anni aveva imparato a non provare pietà di fronte a niente e nessuno.
«Kaioh, non vedo l'ora di prendere aria. La pubertà Saiyan è insopportabile. Non ti offendere, Vegeta, ma il tuo odore è terribile. Anche se quello di Radish è peggio» sbuffò Nappa, cacciando l'aria viziata con la mano.
Sua Maestà strinse gli occhi. «Se non vuoi che la tua previsione sul morire presto si avveri, astieniti dai commenti». Sapeva benissimo che la sua coda puzzasse di ormoni anche senza che quel buzzurro glielo ricordasse. Non vedeva l'ora di avere quindici anni. Ne mancavano quattro.
Nappa si strinse nelle spalle. «Chiedo scusa, Altezza».
«Con me non ti scusi?» intervenne Radish, che per sicurezza empirica si era appena sventolato la coda sotto al naso.
«Crepa, Radish».


 
 


Su PK3.00 sarebbe stato senz'altro uno sterminio più veloce, se solo quegli alieni con le chiappe sopra l'oro non fossero stati di fattezze così tanto umanoidi. E, seppur vero che l'intelligenza non fosse loro prerogativa, potenzialmente sarebbero stati su una buona scala evolutiva per diventare una società moderna e tecnologica. Al momento vivevano in tribù di piccole dimensioni, possedevano armamentari rudimentali, e avevano la grande fortuna di poter controllare gli elementi come acqua, terra, fuoco e aria. Questo li rendeva avvantaggiati sull'approvvigionamento di cibo, e si nutrivano di allevamento e agricoltura. Primitivi, certo, ma pur sempre umani.
Tuttavia Vegeta aveva imparato a non provare compassione. Certo, di base aveva una certa tendenza autoritaria e meschina, ma non era sempre stato sprovvisto di pietà. L'aveva perduta durante il suo addestramento sulla nave di Freezer. Aveva tre anni.


«Uccidilo» l'ordine perentorio giunse da Zarbon.
Una donna si mise a urlare. «NO! NO!»
Il bambino, in piedi con la schiena contro la paratia, lo fissava con occhi grandi e sbarrati. Tremava. Doveva essere piccolo quanto lui, poco meno. Si erano allenati insieme sul ponte superiore, il pomeriggio precedente.
Vegeta strinse le labbra. Perché avrebbe dovuto farlo? Non capiva. «Ma...»

«Ho detto: uccidilo» sibilò di nuovo Zarbon, al suo orecchio, mentre quella che doveva essere la madre del bambino continuava a dimenarsi tra le braccia di Dodoria.
«Perché dovrei? Non è pericoloso» domandò Vegeta.
Suo padre e Freezer lo stavano osservando poco distanti. Freezer aveva un calice in mano, suo padre lo fissava con occhi incoraggianti. Annuì dalla lontananza.

«È una sorta di iniziazione per entrare in questo esercito. Il tuo addestramento» disse Re Vegeta.
Che razza di addestramento era, uccidere un altro bambino? Era una mezza calzetta!
«Se non lo farai, ci saranno gravi conseguenze per te e tutta la tua famiglia» gli sussurrò nell'orecchio Zarbon. «Per ordine dei Cold».
Vegeta spalancò gli occhi.
Non capiva molte cose, aveva tre anni. Ma le minacce suonavano chiare.
«No... n-no, Altezza, la prego... la scongiuro» continuò a frignare la madre del bambino. Le suppliche erano insopportabili.
Tuttavia Vegeta sapeva che anche sua madre – la Regina – avrebbe supplicato per non lasciar morire suo figlio. Era una cosa da madri.
E lui non voleva che anche sua madre dovesse supplicare in quel modo. Non voleva che nessuno della sua famiglia si trovasse il quella situazione. Quindi il messaggio gli giunse più che chiaro: sii quello che uccide, o sarai quello che verrà ucciso. La legge della Galassia.

Alzò il dito in direzione del bambino e fece fuoco, dritto verso la testa. Gli venne il vomito, ma tenne lo sguardo fisso su di lui mentre si accasciava e lasciava una striscia di sangue e cervella sulla paratia. Non riuscì a chiudere gli occhi.
Sentì degli applausi tutti intorno e la risata di Freezer provenire da poco distante, a malapena coperta dai gemiti disperati di quella madre che, finalmente, venne lasciata libera di andare a piangere sul corpo esanime.
«Uccidi anche me... uccidi anche me!» iniziò a gridare poi lei, prostrandosi alle sue caviglie.

Vegeta in quel momento poté chiaramente comprendere cosa fosse la disperazione, ma non fece in tempo a muoversi, Zarbon gli diede un nuovo ordine.
«Lasciala in vita. Così che possa soffrire e servirà come schiava su questa nave» disse, piatto.
Vegeta deglutì. Comprese che avrebbe tanto voluto uccidere anche lei, così che la sua disperazione cessasse, così che quella donna non dovesse sopportare quello che la aspettava. Voleva avere pietà di lei.
Tuttavia gli tornò in mente sua madre, i rischi, le conseguenze. Comprese inoltre che nella sua vita non ci sarebbe stato più spazio per la pietà. Mai, mai più.
Quel giorno scelse la sopravvivenza ma, per farlo, perse completamente la sua umanità.


Oltre a non avere più pietà per nessuno, aveva anche sviluppato una profonda rabbia nei confronti delle popolazioni che doveva sterminare. Una vendetta proiettata verso un capro espiatorio errato – di questo se ne rendeva conto – ma pur sempre una vendetta.
A lui era stato portato via tutto. Prima l'umanità, poi la libertà, poi la sua famiglia, la sua casa. Ogni cosa. Non aveva più niente se non il suo orgoglio.
Perché mai avrebbe dovuto mostrare compassione verso gli altri? Perché mai loro avrebbero dovuto avere il diritto di esistere in pace, quando lui non aveva più niente?
Si concentrava su quello mentre uccideva. Quel singolo pensiero. E più portava via vite e più gli sembrava di riempire la sua, una vita senza niente.


Radish non era come lui. Era un debole, di pietà ne aveva fin troppa, soprattutto se si trattava di donne e bambini. Si diceva in giro che anche suo padre fosse solito lasciare vivere anime pie, durante le purghe planetarie.
Per quel motivo sapevano che preferisse di gran lunga trasformarsi in Oozaru, durante le missioni: in quella forma era difficile udire le grida, guardare negli occhi le persone mentre le si uccideva. Si calpestava tutto e tutti senza badare a niente.
Ma per non rovinare la geologia del pianeta gli era stato dato ordine di non trasformarsi, quindi quel debole senza spina dorsale stava tentennando per l'ennesima volta di fronte a due piccolette strette l'un l'altra per la paura.
Urlavano, supplicavano in una lingua sconosciuta, e Radish fece finta di non vederle. Gettò uno sguardo dentro una casa, poi passò oltre, certo che qualcuno di loro due avrebbe fatto il lavoro al suo posto. A Vegeta non sfuggì. E quella volta non avrebbe accettato un simile affronto.
Vegeta si accese di rabbia. Prese Radish per le spalle e lo sbatté contro il muro poi, prendendolo per i capelli, lo trascinò di nuovo indietro sulla soglia di quella casa.
«Uccidile».
«Ma-»
«UCCIDILE, CAZZO!» gli urlò in faccia.
Non poteva accettare una simile debolezza.
«Se non lo farai, sarò io a uccidere te. Hai capito? Non ho bisogno di un codardo nella mia fottuta squadra» gli soffiò nell'orecchio, esattamente come Zarbon aveva sussurrato a lui otto anni prima. Era tempo che anche Radish comprendesse la legge della Galassia esattamente come l'aveva imparata lui.
Radish sospirò e poi, con noncuranza, aprì il palmo ed emanò un fascio di luce verso le due ragazzine. Le suppliche si estinsero, si udirono solo urla in lontananza e rombi di esplosioni causate da Nappa.
Radish fece per andarsene senza degnarsi nemmeno di uno sguardo, ma Vegeta fu più rapido. Lo afferrò per il bavero e, sollevandosi sulle punte dei piedi, gli ringhiò in faccia.
«Guardami negli occhi» lo minacciò. Sebbene fosse alto almeno venti centimetri in meno di Radish, sapeva come incutergli timore. «La prossima volta che ti becco a non portare a termine un lavoro, ti strappo la testa dal collo».
O saranno Zarbon e Dororia a strapparla a te, se dovessero esserci dei sopravvissuti, pensò. Ma quello se lo tenne per sé. Non voleva nemmeno lontanamente che quel deficiente pensasse che si stesse preoccupando per la sua incolumità.
Non voleva pensarlo nemmeno lui stesso, a dirla tutta. Si era sempre tenuto ben lontano da quei tipi di sentimentalismi. Non voleva avere legami, non voleva avere amici. Non voleva preoccuparsi per nessuno se non per se stesso.
E soprattutto non voleva che nella sua squadra ci fosse qualcuno che possedeva ancora umanità, qualcuno in grado di provare pietà. La pietà era pericolosa. L'aveva imparato quando aveva tre anni.
«Sì» disse Radish, lentamente. I suoi occhi non lasciarono trasparire niente.

Non era certo che Radish avesse perso davvero la sua umanità, quel giorno. Ma di sicuro aveva smesso di mostrarla, solo perché gliel'aveva ordinato Vegeta. Perché Radish era un buon soldato, oltre che un buon pilota. Ed era devoto, fin troppo devoto a lui.
A Vegeta faceva molta paura, perché le sue regole di non preoccuparsi con nessuno spesso vacillavano a causa sua.


 


Quando l'ammiraglia secondaria di Freezer era attraccata su PK3.00, loro avevano già finito il lavoro da un bel pezzo.
Popolazione sterminata al 90%, tutti, tranne alcuni giovani uomini e donne che – sotto ordine superiore – avevano dovuto lasciare in vita per donare ai soldati della schiavitù fresca per qualche nottata di soddisfazioni.
E, a giudicare da come quei buzzurri avevano iniziato ad approfittarsi pubblicamente dei nuovi schiavi, Radish era sembrato quasi sollevato di aver ucciso quelle due ragazzine. Meglio la morte, Vegeta ne era certo.
Quella nave ammiraglia apparteneva a uno squadrone di soldati particolarmente “vivaci”. Avevano già avuto modo di conoscere gli occupanti in diverse occasioni e, sebbene rispettassero sempre i patti di pagamento e offrissero loro vitto e alloggio per una notte all'interno nell'astronave in attracco, non erano affatto una compagnia piacevole.
Nappa aveva approfittato spesso della schiavitù offerta dai sicari. Lui e Radish, invece, erano sempre stati troppo giovani per accettare gli scarti dei soldati – e a Vegeta non attirava affatto la cosa.
Ma ora, loro malgrado, non erano più così piccoli. Erano due Saiyan in piena pubertà, e questo lo poteva percepire chiunque.


«Che c'è, ragazzino, vuoi partecipare?»
Vegeta aveva sentito quelle parole provenire dall'area toilette. Si spiaccicò contro la parete con la schiena e si affacciò di soppiatto dalla porta socchiusa. Là, accanto ai cubicoli malmessi dell'ammiraglia, un alieno dalla pelle verde e butterata stava approfittando di una giovane schiava priva di sensi. O forse morta.
Vegeta era abituato ad assistere alla necrofilia, quando lo sterminio delle popolazioni autoctone era al 100%. Uno schifo incommentabile.
Radish, entrato nei bagni qualche minuto prima di lui, se ne stava lì, in piedi come uno stoccafisso.
«No, grazie» rispose questi, con tanto di spallucce.
L'alieno verde si sollevò la parte inferiore della divisa e si alzò dal pavimento. Era alto, molto più alto e molto più grosso di Radish, ma quell'imbecille restituiva il suo sguardo con arroganza.
«Mammina non ti ha insegnato ad accettare la cortesia altrui?» gli soffiò in faccia il soldato.
Radish ghignò. «Spiacente, mammina è morta prima di darmi questi preziosi insegnamenti».
Vegeta si morse la lingua e alzò gli occhi al cielo di fronte all'arroganza di Radish. Stai zitto e vattene, idiota, avrebbe voluto urlargli, ma non lo fece. Forse perché anche lui avrebbe dato la stessa risposta. Ma lui, a differenza di Radish, aveva più forza, più potere e più fama. Il cretino di terza classe prima o poi sarebbe andato incontro a una fine molto dolorosa a causa di quell'arroganza.
Forse prima che poi.
«Allora è il caso che io ti insegni le buone maniere!» ringhiò il soldato e, con una mossa agile, lo fece schiantare contro la parete. Un colpo, due a tradimento.
Radish provò a difendersi, ma era un debole. «Argh!»
Vegeta accese lo Scouter: il livello combattivo del soldato dell'esercito era più alto di quello di Radish. Era più alto anche del suo, seppur non di molto. Sua Maestà era convinto che avrebbe saputo fare di meglio di Radish.
«Tsk!» sibilò Vegeta e, disgustato da tale inettitudine, non si mosse. Ben gli stava. Avrebbe imparato a tenere quella boccaccia chiusa, la prossima volta.
Cinque, sei colpi ben assestati sul naso, poi sulle tempie. Radish perse i sensi e si accasciò al suolo, tra le risate gutturali del suo aguzzino.
Vegeta scosse la testa e fece per andarsene ma, prima di muovere un solo passo, vide ciò che non avrebbe voluto vedere.

Il pervertito si calò di nuovo le braghe e, dopo essersi inginocchiato, tentò di abbassare anche quelle di Radish.
Uno, due, tre secondi. Quello fu il tempo che impiegò Vegeta per muoversi senza nemmeno pensare.
Aprì la porta con uno scatto e, puntato il dito contro il cranio del soldato, fece fuoco. Un colpo secco, alle spalle, con le difese abbassate. Il raggio trapassò la testa del bastardo senza alcuna difficoltà.
Cervella e sangue imbrattarono le pareti, prima che questi cadesse a peso morto sull'ignaro Radish svenuto.
Vegeta si bloccò di nuovo e impallidì.
Aveva ucciso un soldato dell'esercito di Freezer dell'ammiraglia secondaria. Un gesto simile prevedeva la condanna a morte.
Con il cuore a mille chiuse la porta del bagno a chiave, calciò via la carcassa del soldato dal corpo di Radish con sprezzo e la incenerì con un'esplosione controllata.
«Dannazione a te!» ringhiò a Radish, sebbene questi non potesse udirlo.
Prese i resti bruciacchiati dello Scouter e se li infilò nel corpetto della battle-suit, gettò le ceneri del soldato nel cesso e tirò l'acqua, poi pulì il sangue dalle pareti.
Si domandò come diavolo avrebbe fatto a uscire da quel cesso senza dare nell'occhio, ma avrebbe dovuto quantomeno provarci.
«Merda... merda!»
Si chinò per caricarsi di peso Radish sulle spalle, ma un rantolo lo colse alla sprovvista. Si voltò di scatto: la nativa del pianeta PK3.00, ricoperta di ecchimosi e sangue che le scorreva giù dalle cosce, si stava svegliando.
Vegeta deglutì quando gli occhi rossi di lei si posarono sui suoi. Erano spaventati, gonfi, pieni di lacrime.
Iniziò a balbettare qualcosa nella sua lingua e a indietreggiare contro la parete, mentre Vegeta si avvicinava a lei a passi lenti.
«NO, NO, P-EI-TÀ» provò a urlare lei in Standard Intergalattico. Pietà.
No, Vegeta non ne aveva.
Le saltò addosso e le mise le mani al collo. Lei si dimenò ma, dopo pochi secondi, le forze le vennero meno. Quindici, venti, trenta secondi.
Vegeta la uccise in modo che sembrasse un incidente durante un amplesso.
La uccise senza remore, senza pensarci due volte.

Si raccontò che fosse solo perché lo disgustava, solo perché una lurida schiava avesse osato rivolgere lui la parola. Perché a Vegeta piaceva tanto raccontarsi la storia della disumanità, che fosse privo di qualsiasi forma di compassione.
La verità è che lo fece per evitarle altre ore, giorni, settimane di sofferenze. Come avrebbe voluto evitarle a quella donna, a quella madre, otto anni prima.
Ma le bugie che si raccontava pur di rimanere disilluso, inumano, freddo e calcolatore erano tante. Tante quante bastavano per sopravvivere in quella giungla di Galassia. Tante quante ne avrebbe raccontate a Radish, una volta sveglio.
Non gli avrebbe mai detto di averlo salvato. Gli avrebbe riferito di averlo trovato in un bagno, privo di sensi, e che dopo averlo preso a calci ancora un poco per la sua inettitudine, l'aveva portato via di lì prima che qualcuno si accorgesse di avere un incompetente debole a portata di mano.
Tutto, pur di far finta di non preoccuparsi per lui, per nessuno.
Tutto, pur di rimanere disumano agli occhi di chiunque.
Tutto, pur di rimanere disumano agli occhi persino di se stesso.


 
Continua...

Riferimenti:
-Il fatto che i Saiyan diventino adulti (e quindi maggiorenni) all'età di quindici anni non è canonico, ma ne ho parlato nella mia storia "HAKAI". Per un popolo di combattenti che vengono mandati in giro a conquistare pianeti fin da piccoli, mi sembra un'età ragionevole per essere considerati adulti.
-[SPOILER AL MANGA, SAGA DI GRANOLA]: Il fatto che giri voce che Bardack lasci in vita persone innocenti è un chiaro riferimento a quello che è successo sul pianeta Cereal.

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiooooorno, gente dallo spazio!
Se devo essere onesta, scrivere questo capitolo è stato per me fonte di grande ansia. Come avrete notato, è abbastanza pesantino. C'è stato innanzittutto un salto temporale rispetto ai due precedenti, e vi avverto che ce ne saranno altri in futuro. Voglio trattare sia dell'infanzia, che della puberta, l'adolescenza e anche la fase un po' più adulta dei personaggi :)
Spero vi stia piacendo come sto andando a snocciolare le personalità dei nostri protagonisti. Vegeta è complesso da scrivere, perché è indubbiamente un grandissimo stronzo ma, visto che nella saga abbiamo visto come ci sia del buono in lui, mi piace pensare che questo buono non sia saltato fuori dopo aver conosciuto Goku e gli altri, ma che possedesse già delle caratteristiche di umanità da prima. Solo che siano andate perse a causa di tutti questi eventi.
Radish, invece... beh, per chi ha letto il manga nelle ultime saghe lo sa, mi piace pensare che sia come suo padre :) 
Che dire di Nappa? Beh, il suo rapporto con Radish mi piace troppo. Sono cane e gatto xD 
Spero che questa storia vi stia piacendo, grazie di cuore a tutt* <3
Eevaa

 

Nel prossimo capitolo!
Era riuscito a sopravvivere per quattordici anni sotto l'Impero di Freezer, all'estinzione della sua razza, a un'intera infanzia e adolescenza trascorsa a uccidere, a viaggiare tra i più vasti pericoli spaziali e a sfuggire ai peggiori aguzzini di tutte le galassie... e ora stava per morire a causa di un animale. Ilare, ironico. Troppo debole per sopravvivere alla natura.

 

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Capitolo 4
*** Fobia ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 

- MERCENARI -

Capitolo 4
Fobia


 
«Dannato figlio di puttana!»
Nappa gettò il mazzo di carte metalliche arrugginite sul tronco d'albero, con un verso di sprezzo.
La risata entusiasta di Radish risuonò come un eco nella landa desolata, mentre la luce del falò improvvisato frastagliava il suo volto soddisfatto.
«... e con questa sono cinque!» esultò, poi acchiappò il bottino di Yēŏn e lo infilò nel corpetto dell'armatura.
Nappa si sporse oltre il tronco e lo afferrò per il bavero. «Non è possibile! Tu stai barando!» ringhiò in faccia a Radish, il quale alzò le mani in segno di resa.
«Chi? Io? Sono solo molto bravo!»
Vegeta scosse la testa con disappunto e sistemò meglio la schiena contro il masso, giaciglio improvvisato per quella nottata sotto le stelle.
«Avete finito di urlare? Chiudete il becco, dannazione, io voglio dormire» berciò.
Non era mai stato interessato a giocare a Sabaq. Non perché non fosse bravo, semplicemente lo annoiava ed era un gioco per ceti sociali poveri, nonostante si basasse molto sulla bravura nel calcolo delle probabilità, oltre alla fortuna sfacciata.
Radish, che possedeva entrambe le doti sopracitate, montò un'espressione furbesca. «Certo, certo, abbiamo finito! Tanto oramai Nappa può scommettere solo i suoi vestiti!»
«Se scopro che stai facendo il furbo ti infilo le carte su per il culo!» sbottò quest'ultimo, lasciando cadere Radish sul terriccio di quel pianeta oramai deserto.
Avevano sterminato la popolazione in tre notti e, dopo aver riscosso il pagamento dall'Esercito di Freezer, si erano concessi una notte di riposo nel clima piacevole del pianeta 665 prima di partire alla volta dello spazio aperto.
Un vero peccato che il riposo di Vegeta fosse stato continuamente disturbato dalle scommesse di quelle due teste di cazzo.


E, quando finalmente calò il silenzio in quelle notte buia e tiepida, il sonno di Sua Maestà venne scosso da qualcosa di molto peggio che una partita rumorosa a Sabaq.
Tremò il terreno, traballarono le lingue del falò, una voragine si aprì sotto di lui. Complice il dormiveglia Vegeta non fece in tempo a muoversi, a balzare altrove: denti affilati come cime di montagna si chiusero attorno a lui, e tutto divenne ancora più buio.
«ARGH!» urlò, ma le sue urla suonarono ovattate dalle pareti di quel luogo. Avvertì qualcosa di molle sotto i piedi, ma non riuscì a vedere niente. Qualcosa che si muoveva, che lo spingeva verso il basso.
L'aria era irrespirabile, gli fece girare la testa, una nausea incontrollabile salì fino alla gola. Provò a opporre resistenza, ma sembrava come se i suoi muscoli fossero paralizzati, i suoi sensi messi alla prova da quell'odore acre e quella sostanza vischiosa che gli inzuppava vestiti e capelli.
Nelle orecchie solo un borbottio, un ringhio profondo e gutturale.
Non sapeva quale sottospecie di bestia stesse cercando di inghiottirlo e digerirlo, ma l'ultimo pensiero di Vegeta fu che il suo destino fosse particolarmente crudele.
Era riuscito a sopravvivere per quattordici anni sotto l'Impero di Freezer, all'estinzione della sua razza, a un'intera infanzia e adolescenza trascorsa a uccidere, a viaggiare tra i più vasti pericoli spaziali e a sfuggire ai peggiori aguzzini di tutte le galassie... e ora stava per morire a causa di un animale. Ilare, ironico. Troppo debole per sopravvivere alla natura.
Stava per perdere i sensi e arrendersi a quel destino bizzarro – e per un attimo si ritrovò persino a pensare che sarebbe stato più facile morire in quel modo – quando il rumore di una lacerazione profonda lo colse alle spalle.
Uno spiraglio, un forte ruzzolone, poi si ritrovò riverso al terreno, immerso in quella sostanza vischiosa e sangue di colore verdastro. Tremò e tentò di sollevarsi, di mettere a fuoco qualcosa nella luce fievole del falò, nonostante gli occhi e le orecchie appiccicose. Vicino a lui c'era la testa recisa di un enorme e mastodontico serpente grigio, grosso e lungo decine di metri.
Vegeta rabbrividì, la nausea si intensificò. Nappa, con i vestiti e le braccia imbrattate di sangue di quell'essere terribile, si voltò e gli urlò qualcosa, ma non udì niente. Si ritrovò a carponi a vomitare e, quando avvertì le mani di Radish tentare di afferrarlo, un alone nero gli circondò la vista. Si lasciò cadere faccia a terra, con la certezza che sarebbe morto lì.


 


«Oh, cosa abbiamo qui? Una scimmietta».
Mento in su, sguardo fiero, morire dentro era inevitabile, volto impassibile era obbligatorio.
Zarbon attivò lo Scouter per aggiornare alcuni dati, dopo la firma del nuovo contratto nell'Esercito di Freezer.

«Vegeta, quarto della dinastia Vegeta. Anni: sei. Statura: 102cm... forse è il caso di scrivere “scarsa”. Peso: 30,5 kg. Un po' sottopeso, per avere tutti quei muscoli. Livello di combattimento: 2004. Niente male per un piccolo principino».
Zarbon gli roteò intorno per completare l'osservazione, il suo ghigno così compiaciuto da causargli prurito alle mani.
«Posso andare?» domandò Vegeta, impaziente. Voleva uscire di lì. Voleva che gli fosse assegnata una nuova missione, tutto per allontanarsi da quella maledetta nave.
«Quanta fretta...» ridacchiò Zarbon e, inginocchiandosi di fronte a lui, gli scompigliò i capelli con un gesto viscido. Tre ciuffi gli caddero sulla fronte, quei tre ciuffi che ogni giorno tentava di tirare indietro per somigliare di più a un re, meno a un bambino. «Devo ancora testare la tua... resistenza!»
Con l'ultima parola giunse un pugno al centro dello stomaco. Forte, secco, che lo fece piegare in due.

Vegeta tossì. Sapeva che Zarbon fosse più forte di lui, molto più forte di quei Saibaman che sconfiggeva a mani nude. Si rimise in piedi e barcollò all'indietro, ma un altro pugno lo fece andare a sbattere contro la pulsantiera controlli.
Provò a contrattaccare, Zarbon gli assestò un calcio sotto al mento. Avvertì il sapore del sangue sulla lingua, ma Vegeta si rialzò di nuovo. Si sarebbe rialzato sempre, fino a che non avrebbe versato l'ultima goccia di sangue.
Zarbon ridacchiò, unghie in fuori e labbro stretto tra i denti. Doveva essere piacevole per lui, picchiarlo, umiliarlo. Lo si vedeva, si annusava dalla distanza l'odore di soddisfazione.

Vegeta indietreggiò in posizione di difesa, pronto a subire e limitare i danni.
«Dove scappi, piccolo Principe? Non ti faccio niente».

Mentiva.
Era una bugia, Vegeta lo sapeva.
Quel giorno incassò ogni tipo di dolore, ma non disse una sola parola, non si lamentò nemmeno una volta. Nemmeno quando la sua pelle di bambino venne scalfita e aperta in più punti, nemmeno quando le costole rotte gli impedirono di respirare. Fino a quando non si ritrovò costretto ad aggrapparsi ai muri per tenersi in piedi. Fino a quando non cadde per terra e Zarbon gli tenne un piede sulla schiena per non farlo rialzare.

«Tutto qui, piccolo Principe? È tutto quello che sai fare?»
Vegeta provò a forzare, ma non riusciva più a sollevarsi. «Ngh-gh!»

Sentì Zarbon scuotere la testa con disappunto. «Un vero peccato...»
Uno spostamento d'aria, poi un dolore acuto all'altezza del cranio.




«Ah!»
Vegeta si svegliò di soprassalto e provò a urlare, ma avvertì la gola bruciare, la lingua troppo secca contro il palato, le labbra così screpolate da spaccarsi in due.
Dolore ovunque, dappertutto, ogni singola cellula del suo corpo sembrava fremere per esplodere. Non era la prima volta. Ci era abituato. Era abituato alla sofferenza fisica sin da quando era piccolo. Fin da quando gli veniva detto “non ti faccio niente” ed era una bugia.
«Ehi, ehi, piano!»
Una voce roca lo fece sussultare.
«Santi gli Dei del cielo, sei vivo...» sentì sussurrare, poi finalmente mise a fuoco. La stanza era buia, da una piccola finestra penetrava luce giallastra.
«Ra-dish?»
Questi lo fissò con espressione sollevata, l'ombra del consueto sorriso impertinente disegnata sul volto.
«Ci siamo presi uno spavento di merda! Quando Nappa ti ha tirato fuori da quello schifo di rettile eravamo certi che ci fossi rimasto secco!»
Vegeta iniziò a ricordare. Il serpente. Quel maledetto essere nauseabondo che aveva attentato alla sua vita. Quanto tempo aveva dormito? Ma, soprattutto, dove diavolo si trovava?
Si guardò intorno. Impossibile che si trovassero ancora su 665: avevano distrutto tutto.
Quello invece era chiaramente l'interno di una stanza. Fatiscente, ma pur sempre dotata di letti e bagno.
«Do... argh
Vegeta provò a mettersi seduto, ma i muscoli sembravano tesi, dolenti, come atrofizzati.
«Piano, non ti sforzare. Abbiamo preso un campione di veleno: narcotico, necrotizzante, paralizzante. Diamine, sei fortunato che il tuo culo aristocratico sia ancora qui con noi!»
Preferì rimanere sdraiato piuttosto che accettare l'aiuto di Radish per mettersi a sedere. E, anche se avrebbe davvero tanto voluto tirargli un pugno in gola, lo invitò con lo sguardo a proseguire con delle spiegazioni appropriate.
Che, ovviamente, giunsero come un flusso di coscienza interminabile. Così tipico di Radish! Gli anni passavano, ma la sua insopportabile parlantina rimaneva sempre la stessa. Non proprio un toccasana, per la sua galoppante emicrania.
«Siamo partiti subito alla volta del pianeta più vicino sperando che possedessero degli antidoti decenti oltre ai blandi farmaci di cui disponevamo sull'astronave. E invece eccoci qui, in questo posto di miserabili che hanno provato a curarti solo con delle piante puzzolenti. Beh, almeno ha funzionato. Forse perché ho minacciato di ucciderli tutti, nel caso fossi schiattato...»
«Tsk...» Vegeta roteò gli occhi, il mal di testa si intensificò. Forse era proprio a causa di quell'odore terribile di piante che proveniva da sotto i suoi bendaggi e che poteva avvertire anche in bocca. «Quanto sono stato via?»
«Tre settimane. Sai, ti sei perso il mio passaggio di età, maledetto!» ridacchiò Radish, mettendosi ben comodo sullo sgabello di legno accanto al letto. Si allacciò le mani dietro al collo e sfoderò un ghigno compiaciuto.
Vegeta aggrottò faticosamente le sopracciglia: persino i muscoli facciali sembravano stanchi.
Lui e Radish avevano immaginato spesso il momento del loro passaggio di età ai quindici anni, quando erano piccoli. Il giorno in cui avrebbero potuto essere più indipendenti, non dover per forza essere costantemente sotto lo sguardo di Nappa, prendere delle decisioni autonome.
Beh, a lui mancava ancora poco più di un anno.
«Sei maggiorenne, quindi... buon per te» mormorò, sulla lingua una punta di invidia.
«Già. Non pensavo nemmeno di arrivarci, a quindici anni».
«Non pensavo che avrei resistito senza ammazzarti, fino a quindici anni» borbottò Vegeta di rimando.
E, come al solito, Radish rise.
«... ah, il veleno di serpente non è niente contro il tuo!»
Vegeta non sopportava le prese in giro, ma quello era più un dato di fatto. E, se proprio doveva dirla tutta, non sarebbe stata una sfuriata a far desistere Radish da quei commenti inappropriati - forse neanche la morte, sarebbe bastata.
Ciò che lo aveva infastidito per la maggiore, invece, era stato sentir parlare di quella bestia nauseabonda che l'aveva quasi spedito all'Altro Mondo. Il solo pensiero gli fece venire il voltastomaco.
«Taci. E non mi parlare mai più di serpenti o esseri striscianti. Non ne voglio più vedere in vita mia!»


 

 

«Ma dove cazzo... siamo finiti?»
La stradina che portava dalla loro stanza a centro di quella cittadina puzzava di piscio e animali morti, ma nulla di paragonabile a quell'accozzaglia di chincaglierie disposte in piccole baracche nella via principale. Un mercato con così tanti odori, suoni e colori che fece rimpiangere a Vegeta l'intenso profumo di erbe mediche.
Una baraccopoli disordinata e umida, il peggior porto spaziale su cui avessero mai messo piede in tutti quegli anni. Personaggi di tutti i tipi, alieni di ogni forma e colore, cibo dalla dubbia provenienza, attrezzi di ricambio per astronavi, vestiario, baracche di intrugli, cartomanti, recinti per combattimenti tra animali di diverse specie, gioco d'azzardo, vendita di schiavi, giri di prostituzione. Tutto collocato a caso sotto tendoni variopinti che riparavano da un sole cocente e per nulla piacevole, che con tutta probabilità era la causa della pelle più abbronzata di Radish e tutte quelle orrende lentiggini sulla punta del suo naso. Così tipiche della terza classe!
«Mercato Nero di Ikut: il buco del culo della Galassia dell'Ovest. Posto incantevole, mh?» trillò questi, mentre si muoveva baldanzoso tra la fauna variopinta frequentante il mercato.
Vegeta si ritrovò costretto a tapparsi il naso nel passare a fianco di una bancarella che vendeva cibo – se così si potesse chiamare. Il mercante urlò qualcosa in un Intergalattico Standard a malapena comprensibile, cosa che portò Sua Maestà sulla soglia dell'omicidio. Si era svegliato da poche ore e ancora avvertiva una forte emicrania e diverse mialgie, l'ultima cosa che avrebbe desiderato era sentirsi urlare nell'orecchio.
«Dove diavolo è Nappa?» grugnì quindi, fulminando con lo sguardo chiunque gli passasse troppo vicino.
Radish indicò una taverna diroccata all'ingresso di una via all'ombra. Insegna arrugginita, muri scrostati, un ubriacone riverso tra i secchi d'immondizia. «Oramai ha l'abbonamento laggiù».
Vegeta si pizzicò il ponte del naso e, dopo aver immagazzinato abbastanza coraggio, tirò una spallata a Radish e si avviò a passi spediti nella bettola.

Si pentì di aver preso quella decisione appena varcata la soglia d'ingresso, quando un campanaccio arrugginito trillò sopra la sua testa. L'intenso odore di fritto copriva persino quello di fumo, le risate dei commensali accompagnavano un quartetto di alieni che suonavano una musichetta allegra con degli strumenti a fiato. La clientela era quanto di meno raccomandabile e, sedute sugli sgabelli del bancone ovale al centro della stanza, si potevano intravedere prostitute in cerca di attenzioni. Agli angoli della stanza qualche sicario in attesa di uccidere – era evidente – mentre ai tavoli nella penombra la gente beveva, fumava e giocava a Sabaq.
E dove poteva trovarsi Nappa, se non a parlottare con una signorina affabile al bancone del bar? Non appena li vide, esplose in una risata gutturale.
«Maestà, che piacere riaverti tra noi!»
Il suo fiato puzzava di alcol e sigari già a distanza. Che fosse ubriaco, si poteva intravedere dall'occhio pigro.
«Non hai fatto altro che bere per tre settimane?» borbottò Vegeta, braccia conserte e sopracciglio alzato con disgusto.
«No, è anche andato a puttane» rispose Radish, prima che Nappa potesse aprire bocca. «Con i soldi che ho vinto io a Sabaq» aggiunse.
Nappa lanciò un'occhiata omicida a Radish, poi tornò con lo sguardo sul Principe. «A mia discolpa, non sono giunte nuove missioni. Non avrei potuto certo lasciarti solo qui per andare in ricognizione altrove».
Vegeta scrollò le spalle. «Radish è maggiorenne, avrebbe potuto rimanere lui con me». Non che avrebbe potuto biasimare Nappa se non si fosse fidato a lasciarlo solo con quel cretino in quel pianeta di gente discutibile.
«A tal proposito: ora che sono maggiorenne posso fare tutto ciò che mi pare! Voglio provare a bere qualcosa!» trillò Radish, entusiasta.
«Come se in questo posto chiedessero la scheda identificativa...» grugnì Nappa.
Non in tutti gli attracchi portuali vigevano le leggi del cosmo, ed era chiaro come il sole che su Ikut la Pattuglia Galattica non ci avesse mai messo piede.
«Bene, ottimo. Allora berrà anche Vegeta» asserì Radish. «Dobbiamo festeggiare la sua non dipartita, oltre che il mio passaggio d'età».
Vegeta si voltò di scatto. Che razza di idea idiota era, quella? Non avrebbe voluto ingerire proprio niente che avesse da offrire quell'orribile posto. Anche se l'idea di poter compiere qualcosa che andasse oltre la legge gli solleticava il palato.
«Ehi, un mome-»
«Ogni tanto hai delle buone idee!» lo interruppe Nappa, che poi si rivolse al cameriere. «Tu! Portaci altri tre di questi, datti una mossa!» ordinò e, barcollando, li accompagnò a sedersi a un tavolo libero a lato della stanza.

Le sedute appiccicavano di sporco e sudiciume, e gli schienali rivestiti avevano tutta l'aria di essere pieni di pulci. Vegeta si era oramai oltremodo abituato a non avere le comodità e gli agi del suo rango sociale.
Aveva imparato ad adattarsi, in tutti quegli anni di latitanza spaziale. Anche se aveva sempre preferito cacciare per nutrirsi e dormire all'addiaccio, piuttosto che trovarsi in postacci come quello.
E, soprattutto, avrebbe preferito dissetarsi d'acqua piovana piuttosto che ingurgitare quella robaccia che giunse sul loro tavolo qualche minuto più tardi.
«E questa porcheria cosa diavolo sarebbe?» sibilò Vegeta, nel guardare il bicchiere colmo di quel liquido bluastro dall'aria putrescente.
«Rokk: il miglior superalcolico di tutte le galassie!» spiegò Nappa. E di quello Vegeta ne dubitava altamente, a giudicare dall'alitosi che comportava.
Radish annusò il contenuto del bicchiere, con tutta l'aria di chi si fosse appena pentito di essere diventato abbastanza grande da bere quella roba.
«Puzza di merda!»
E non aveva tutti i torti.
«Anche tu puzzi di merda, Radish. Non fare in moccioso. Zitto e bevi!» lo esortò.
Vegeta e Radish si lanciarono un'occhiata schifata ma, chissà come, Sua Maestà sentiva che quello sarebbe stato senza dubbio un rito che prima o poi avrebbe dovuto compiere. E niente sarebbe potuto essere peggio di quel sapore orrendo di erbe che ancora avvertiva in bocca.
«Beh, buon passaggio me!» si arrese infine Radish.
Fecero tintinnare i tre bicchieri al centro del tavolo, poi Vegeta si scolò l'intero contenuto in un solo sorso.
Rimpianse le erbe curative almeno quanto rimpianse di non aver declinato quell'offerta di merda. Di una cosa era certo: non avrebbe mai più bevuto un goccio di quello schifo in vita sua.
«Argh! Che schifo, è disgustoso!» grugnì, sull'orlo di vomitare.
«Già...» concordò Radish, rabbrividendo dalla testa ai piedi. «Ne voglio un altro!» trillò poi, entusiasta.


 


Lasciò quella bettola tra borbottii di disgusto e l'intenso desiderio di far esplodere l'intero edificio, il mercato e forse anche il pianeta. Nappa e Radish compresi. Anzi, soprattutto Nappa e Radish, che non avevano fatto altro se non continuare a bere quel letame liquido dal colore improbabile.
Vegeta odiava le persone ubriache. Erano imprevedibili, stupide e persino puzzolenti.
E, contando che Radish fosse già di per sé imprevedibile e stupido – e talvolta anche puzzolente – non avrebbe potuto sopportare quella risata entusiasta e quell'ilarità un secondo di più.
Li lasciò a ubriacarsi al bar e si allontanò a piedi tra i vicoli meno affollati della baraccopoli, ben intento a starsene alla larga dal mercato.
Vegeta odiava il vociare umano. Lo trovava sopportabile solo quando quel vociare si trasformava in urla di terrore, di paura, voci che gridavano durante le esplosioni, le battaglie. Suoni che gli facevano capire che fosse ancora vivo, e che gli altri fossero al mondo solo per morire sotto la sua mano. Era diventato un mostro, negli anni.
Nonostante tutto, alle urla di disperazione preferiva il silenzio. No, non il silenzio di morte che si udiva dopo la guerra. Il silenzio della natura, della quiete, della notte sotto le stelle, con la schiena sull'erba umida e lo scorrere dell'acqua nei torrenti di pianeti freschi.
Da più piccolo aveva spesso sognato di poter ricostruire il proprio regno in un posto simile alla sua casa d'origine. Vegeta-Sei aveva fiumi, laghi, mari, distese erbose e montagne rocciose, deserti, tramonti, animali, stagioni calde e fredde. Un pianeta dove avrebbe potuto godere del silenzio, della quiete.
In tutti quegli anni di latitanza, non aveva ancora trovato un posto del genere. Si era promesso in passato che se fosse sopravvissuto, se prima o poi avesse ucciso Freezer, se avesse spodestato i Cold... avrebbe trovato un pianeta così per governare il suo nuovo esercito.
Sogni, solo sogni e speranze che nel corso degli anni si erano vanificate sempre di più. Perché le speranze facevano male, erano per i poveri illusi, per i reietti, per chi possiede un cuore. Lui un cuore non lo possedeva più, quindi la sua speranza era che presto avrebbe potuto godere delle urla della gente che muore. Quella era l'unica certezza che aveva. Di essere vivo per uccidere.


Si ritrovò in un vicolo che puzzava di fogna e vomito e si rese conto di essersi perso. Perso nei propri pensieri, perso e lievemente sbilanciato da quel bicchiere di superalcolico che non era mai stato abituato a bere. Si sentiva anestetizzato e ubriaco, ma il dolore ai muscoli e la debolezza dovuta agli strascichi del veleno di quello schifo ancora li avvertiva forti e chiari.
Fu solo questione di un secondo. Un momento di disattenzione mentre reinseriva nello Scouter le coordinate di Radish e Nappa. Quel secondo fu sufficiente.
Un dolore come una punta di spillo sotto la mandibola
«Che diavolo?!» esclamò Vegeta e, tastandosi il collo, trovò una piccola capsula con un ago inserito.
Si guardò intorno, ma la sensazione di ubriachezza si intensificò. Vertigini, sonnolenza. Comprese cosa fosse accaduto, ma non fece in tempo a reagire.
Un sonno profondo lo colse di sorpresa.


 
Continua...

Riferimenti:
-Il ricordo con Zarbon che dice "vieni qui, non ti faccio niente" era stato citato - ma non descritto - nella mia precedente storia, HAKAI
-L'aneddoto del serpente sul pianeta 665 invece era stato anch'esso citato da Radish - ma non descritto - in Across the universe. Ed ecco come Vegeta ha sviluppato la fobia dei serpenti, secondo la mia visione :D ecco, ne approfitto per ricordare a tutti che questi aneddoti sono tutti di mia fantasia, non c'è niente di canonico, qui.
-Qualcuno l'avrà notato, ma la taverna di Ikut è tutta ispirata alla celebre taverna su Tatooine in Star Wars, e anche la scena è ispirata a quella in cui in Episodio 4 arrivano alla taverna e c'è il famosissimo temino suonato dagli alieni musicisti. 
-E finalmente torna in scena anche il Rokk, oramai ne ho parlato in tutte le storie, ma qui si vede come nasce la passione di Radish per questa bevanda... particolare. 
-La descrizione geografica di Vegeta-Sei è ovviamente di mia fantasia, nel canone non si è visto molto, solo qualcosina nel film DBS Broly. Ne ho parlato più abbondantemente in "HAKAI". 

ANGOLO DI EEVAA:
Ed eccomi qui, gente dallo spazio!
Qualcuno mi ha chiesto qualche gioia in questo capitolo, e questo è il massimo che sono riuscita a fare xD farli alcolizzare. Stendiamo un velo pietoso, và!
Però finalmente sono riuscita a raccontare per bene aneddoti a malapena citati in altre storie, e di questo sono contenta. Spero che vi siano piaciute.
Mi si è un po' stretto il cuore nel descrivere il desiderio di Vegeta di trovare un pianeta dove "ripopolare" i Saiyan... beh, lui è ancora ignaro, ma prima o poi ce la farà T____T deve solo aspettare e mettere in saccoccia un quantitativo industriale di traumi, ancora.
Primo tra tutti, quello che succederà nel prossimo capitolo. SBRAM. Lo dico proprio così xD auguri. 
Niente, spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, ringrazio come sempre tutt* voi che mi seguite e mi supportate sempre. Un abbraccio,
Eevaa


 
Nel prossimo capitolo!
Faticò a riprendere coscienza, ma al contempo la consapevolezza di essere finito nei guai lo colse prima ancora di realizzare quanto fosse fottuto.
Ricordava una puntura di spillo, poi tutto nero. Mentre in quel momento... beh, decine e decine di colori apparvero ai suoi occhi come un caleidoscopio. Macchie indistinte che presero forma col passare dei secondi, così come le sagome che lo osservavano dall'altra parte delle sbarre.
Sbarre?

 

 

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Capitolo 5
*** Buchi neri ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 

- MERCENARI -

Capitolo 5
Buchi neri


 


«Guarda guarda... cosa abbiamo qui?»
Vegeta aprì un occhio, intontito. Il ronzio nelle orecchie venne riempito da vociare indistinto, prima lontano, poi sempre più intenso.
Faticava a riprendere coscienza, ma al contempo la consapevolezza di essere finito nei guai lo colse prima ancora di realizzare quanto fosse fottuto.
Ricordava una puntura di spillo, poi tutto nero. Mentre in quel momento... beh, decine e decine di colori apparvero ai suoi occhi come un caleidoscopio. Macchie indistinte che presero forma col passare dei secondi, così come le sagome che lo osservavano dall'altra parte delle sbarre.
Sbarre?
Vegeta ringhiò e provò a lanciarvisi contro, ma comprese di non riuscire a muoversi come avrebbe voluto. Dapprima pensò che il veleno di quel fottuto serpente fosse ancora in circolo, poi si accorse di un dettaglio non trascurabile: aveva le mani legate dietro la schiena e non riusciva a spezzare le catene ai suoi piedi. In una situazione normale sarebbe bastata un'esplosione di rabbia per riuscire a liberarsi, ma quella non era una situazione normale: la sua coda era intrappolata in ganci e giunture elettrificate.
«LIBERATEMI!» urlò, ma udì solo delle risatine in risposta.
Imprecò sottovoce, ben conscio che in quelle condizioni non avrebbe potuto fare un bel niente, nemmeno impegnandosi con tutte le sue forze.
La sua forza combattiva al momento era troppo debole per essere rivelata dagli Scouter, e il suo era sicuramente finito in qualche bancarella di rivendita tecnologica chissà dove.
E, come dimenticare, quei due imbecilli dei suoi compagni erano troppo impegnati a bere quello schifo di Rokk per andare a cercarlo. Oh, se solo fosse riuscito a sopravvivere li avrebbe uccisi.

«Quanto viene, questo qui?»
Due esseri con il corpo tentacolare e lunghe orecchie pelose lo stavano fissando a braccia conserte, leccandosi le labbra di tanto in tanto.
Vegeta realizzò di trovarsi al mercato nero, imprigionato in una gabbia vicino a tante altre, con altrettanti prigionieri al loro interno. Vendita di schiavi o combattenti.
«18722 Yēŏn. Un vero affare, per quello che vale». Una terza voce si aggiunse al dibattito, e Vegeta vide con la coda dell'occhio un terzo alieno, vestito con una mantella marrone e nastri verdi. Doveva essere il mercante.
«Troppo caro! Mica ce li ho tutti quei soldi! Un prezzo così alto per uno schiavetto così piccolo e mingherlino, poi!»
«... ma questo schiavetto è un Saiyan!»
Uno dei due esseri tentacolari spalancò gli occhi di sorpresa. «Un Saiyan? Wow... questa è una rarità. Non se ne vedono più molti in giro...»
«E ci credo... sono stati sterminati da un meteorite!» ridacchiò il suo amico. L'altro rise più forte e imitò il suono di un esplosione, gonfiando i grandi tentacoli che fungevano da braccia e gambe.
Vegeta strinse i pugni e iniziò a ringhiare, avvertendo la rabbia arrampicarsi lungo la colonna vertebrale. Cosa diavolo avevano da ridere, quei bastardi?
«Seh. Un meteorite... così lo chiamano!»
Vegeta strinse gli occhi. Cosa diavolo voleva dire, quella cosa? Aprì la bocca per replicare, ma uno dei due alieni con i tentacoli anticipò la domanda.
«In che senso?»
«Oh, suvvia... non crederete mica a quello che hanno riportato le notizie! Non vi sembra un tantino strano che Lord Freezer abbia fatto tornare quasi tutti i Saiyan al pianeta di origine proprio prima di una collisione con un meteorite del quale nessuno – nessunissimo abitante – si era accorto? I Saiyan possedevano una tecnologia all'avanguardia... si sarebbero accorti di un asteroide in rotta di collisione verso l'orbita... o no, piccolo Saiyan?»
Vegeta ringhiò. Il mercante aveva tutta l'aria di chi credeva di sapere tutto su tutto e tutti, e lui detestava quel tipo di persone – o meglio, detestava chiunque. Eppure l'argomento lo punse nei meandri più reconditi della sua mente, perché aveva un certo senso - sebbene si trattasse solo di una voce e una diceria di un vecchio strampalato che vendeva umani per vivere. Ci aveva pensato anche lui anni addietro, e per quel motivo aveva studiato, si era informato, aveva controllato.
«Quando si sono accorti del meteorite, i Saiyan hanno tentato di scappare, alcuni hanno cercato di distruggerlo. Ma era troppo tardi: l'esplosione ha coinvolto tutti coloro che si trovavano in quell'angolo di galassia, è stato tutto troppo repentino! È stato un buco nero ad aver causato lo spostamento improvviso di quel meteorite, le tracciature spaziali parlano chiaro! Ci sono delle carte consultabili del traffico interstellare che lo certificano!» gridò Vegeta tutto d'un fiato, sebbene le costrizioni alla coda gli impedissero qualsiasi movimento.
Il mercante ghignò. «Ah... sì... il buco nero del culo di Freezer!»
Mentre a Vegeta salì la bile fino al palato, gli altri due alieni risero a crepapelle,
«In effetti mi sembra piuttosto ovvio... li ha fatti fuori lui. Perché erano troppo forti, quei bastardi. Gli facevano paura!» intervenne uno dei due, e l'altro annuì, colto da un'improvvisa intuizione.
«E in effetti guarda caso Freezer si è recato subito alla conquista del pianeta Xandar, i quali abitanti hanno la fama di essere i migliori hacker del cosmo. Sembra ovvio che abbia messo mano ai tracciamenti spaziali e le carte del traffico interstellare».
Vegeta aprì la bocca, ma non uscì neanche un rantolo. Quella cospirazione stava iniziando a infastidirlo. O meglio, a mettergli più tarli in testa di quanti già non ne avesse avuti, con quella storia. Conosceva la fama degli Xandariani, ma non gli era affatto giunta la notizia che Freezer si fosse recato sul loro pianeta.
Il mercante infierì ulteriormente.
«E altro che esplosione incontrollata! Conosco persone che si trovavano proprio in quel quadrante di galassia, in quel momento. Non c'è stato alcun movimento anomalo, alcun buco nero segnalato dai computer di bordo e... fonti certe hanno riferito di aver visto l'ammiraglia di Freezer nel radar, da quelle parti».
«CAZZATE!» esplose Vegeta, tremante.
I due alieni e il mercante sghignazzarono di nuovo, poi i primi decisero che quello fosse il momento per levare le tende.
«Credi a quello che vuoi, piccoletto. Andiamo... tanto non abbiamo soldi per comprarlo».
Vegeta si ripromise che un giorno li avrebbe cercati e uccisi. Li avrebbe uccisi tutti, solo per aver osato prendersi gioco dei Saiyan.
Ma la furia cieca nei confronti di quei bastardi era niente paragonabile a ciò che provava per Freezer, per i Cold. Non voleva credere a quei complottismi, non voleva credere che Freezer avesse giocato così sporco. Tuttavia tutto lo portava a pensare che niente sarebbe stato più facile, per un farabutto come lui.
Promise a se stesso che avrebbe indagato. Promise a se stesso che sarebbe dovuto sopravvivere a quella prigionia solo per quello.


 
 
 


Si rivelò più dura del previsto. Soprattutto dopo un intero pomeriggio sotto quel sole ustionante, senza acqua, tra il puzzo di sudore e delle spezie delle bancarelle accanto, con i postumi del veleno di serpente in corpo e la coda costretta in quella maniera.
Stava iniziando ad arrendersi, quando una voce irritante e familiare lo colse di sorpresa.
«CAZZO DEGLI DEI! NAPPA, ECCOLO QUI!»
Passi concitati, ringhi furiosi, evidente segno di surriscaldamento di forze combattive.
«Vegeta!»
«Dannazione, Vegeta, ma cosa diavolo-»
«COSA DIAVOLO STAVATE ASPETTANDO A VENIRE?!» li interruppe, faticando a mettere a fuoco i loro volti nella luce rossa del tramonto. Non che fosse un problema non guardare bene in faccia quei due idioti ubriaconi.
«Ti abbiamo cercato ovunque, il tuo Scouter risultava inattivo, abbiamo cercato dappertutto!» tentò di giustificarsi Nappa.
«Evidentemente avete cercato male» sibilò Sua Maestà. «Forza, tiratemi fuori da q-»
Una voce più melliflua lo interruppe. Il mercante si posizionò accanto alla gabbia, con le mani incrociate l'un l'altra e un sorriso di falsa riverenza.
«Buonasera, signori. Siete interessati a questo schiavo?»
«SCHIAVO?!» ruggì Nappa e, all'ultimo, riuscì ad acchiappare Radish per un braccio prima che potesse partire alla carica senza alcun ordine superiore. A dirla tutta l'ordine implicito di Vegeta sarebbe stato davvero uccidere tutti e andarsene fuori dalle scatole.
«Lui è con noi. Liberalo, o ti taglio la gola». Nonostante la nebbia dovuta ai fumi dell'alcol, gli occhi di Radish si fecero più minacciosi che mai. La luce rossastra di un tramonto afoso colò sulle sua guance piene di efelidi e Vegeta, che l'aveva sempre considerato nient'altro che un buono a nulla, si rese conto di quanto potesse risultare inquietante visto da occhi esterni. Con quei capelli lunghi e crespi da criminale, le spalle larghe e l'altezza oramai pari a quella di Nappa... beh, a prima vista sembrava il classico tipo da cui tenersi alla larga. Un vero peccato che il suo potenziale combattivo fosse rimasto quello di una mezza calzetta, e oramai Vegeta lo raddoppiava.
Tuttavia quello il mercante non poteva saperlo ma, nonostante ciò, non sembrava affatto spaventato dalle minacce e dal brutto muso di quell'idiota.
«Sono spiacente ma... in quanto suoi tutori avreste dovuto stare più attenti: quando un minorenne si aggira da solo senza accompagnatori, qui, diventa di proprietà di chi lo trova. Ergo... non è più sotto vostra custodia».
Che su quel pianeta di merda vigesse la Legge del Niente, quello gli era stato ovvio fin dal primo secondo in cui aveva aperto gli occhi.
«Ok, lontano dalle sbarre, ti tiro fuori di lì» gli intimò Nappa, ignorando senza troppi complimenti le spiegazioni di quel vecchio pazzo. Vegeta cercò di trascinarsi all'opposto della gabbia quando Nappa puntò un dito contro essa ma, prima che potesse fare fuoco, un'altra voce più roca e profonda interruppe il tentativo.
«Fermi dove siete».

Uno, due, tre, quattro grossi alieni appartenenti all'Esercito di Freezer – o così sembrava, a giudicare dalle divise – si piazzarono proprio davanti al mercante e alla cella, tutti e quattro con le braccia conserte. Vegeta non riusciva a guardare le loro espressioni, ma era certo fossero ben più minacciosi di Radish.
«E voi chi diavolo sareste?» domandò quest'ultimo.
«Oh, pensate che un trafficante di combattenti non abbia una sorta di assicurazione sulla vita?» rispose il mercante.
Vegeta imprecò a denti stretti. Probabilmente quel bastardo si era comprato i soldati in cambio di qualche favore o scambio nei bordelli della città. Ai soldati di Freezer non era permesso servire terzi in cambio di profitto... ma il baratto, beh, quello non era rintracciabile.
E loro non potevano permettersi di uccidere o attaccare i membri dell'Esercito. In situazioni normali, ovviamente. In quel caso avrebbe dato volentieri l'ordine ai suoi sottoposti di far fuori quei quattro energumeni, se non fosse...
«Dannazione... sono troppo potenti per noi» borbottò Nappa, dopo aver controllato il loro livello combattivo con lo Scouter.
«ARGH! INUTILI!» abbaiò Vegeta, esasperato, dolorante, sfinito.
La sua pelle era scottata dal sole, i suoi muscoli atrofizzati, la coda oramai sul punto di rinsecchirsi. Se non avesse avuto le mani legate, se la sarebbe strappata con le ultime forze, a costo di rinunciare alla forma di Oozaru.
«Suvvia, se siete così interessati a riprenderlo, lo potete sempre comprare» propose quindi il mercante, dopo una flebile risata.
Quello era il colmo! Essere venduto come una puttana!
«... e quanto costa?»
«IO VI AMMAZZO!» ruggì di nuovo, oltraggiato. Ma, ovviamente, Radish e Nappa si ritrovarono costretti a ignorare le sue illazioni.
«18722 Yēŏn. Data la vostra maleducazione, 19000». Alla faccia di chi dice che nella grande legge del mercato si debba arrotondare per difetto.
Loro non avevano tutti quei soldi. Erano davvero troppi, troppi soldi – sebbene Vegeta fosse convinto che la sua esistenza non avesse un prezzo.
In tutti quegli anni erano stati pagati con gli scarti dell'Esercito e, sebbene era da un po' di tempo che non soffrivano più la fame, con i loro stipendi non riuscivano a raggiungere neanche la metà di quella cifra. Dopo quelle settimane di alcolismo forse neanche un terzo, scommetteva Vegeta.
I volti contratti di Nappa e Radish brillavano di sudore e frustrazione, mentre il sole rosso stava lentamente scomparendo dietro al tetto arrugginito di una baracca.
E fu in quell'istante che Vegeta iniziò a crogiolarsi nella completa impotenza della situazione: era circondato da idioti pezzenti che non potevano fisicamente aiutarlo a uscire di lì. Lui era impossibilitato al movimento. Avrebbe davvero dovuto aspettare che qualche schiavista – o peggio, magnaccia - lo comprasse? Quanto tempo sarebbe passato? Settimane, mesi? Beh, ci fossero voluti anni, lui avrebbe tramato vendetta e avrebbe ucciso tutti non appena gli avessero liberato la coda dalla costrizione. Sempre se non lo avessero lasciato morire di fame.

La frustrazione di Radish, però, tramutò come la marea in un ghigno furbo.
«Che ne dice di... giocarcelo?»
Vegeta non trattenne un altro urlo acuto. «STAI SCHERZANDO?!»
No, non scherzava.
Il mercante non sembrò affatto interessato alla proposta. «E cosa avreste da scommettere?» domandò annoiato, quasi canzonatorio.
«Tutto il nostro denaro – 8000 Yēŏn circa... più la nostra astronave».
Nappa arrossì e lo guardò con tanto d'occhi. Che idea delirante!
«Non me ne faccio niente di un astrona-» fece spallucce il mercante, ma Radish lo anticipò.
«Più...» alzò un dito e si leccò le labbra, poi si indicò il pulsante principale dello Scouter. «.. il non premere questo bottone di emergenza che attrarrà qui l'ammiraglia di Lord Freezer a comprarsi il ragazzino – che sì, è abbastanza importante per il suo esercito. E poi sarebbe un peccato se lei dovesse perdere la sua... assicurazione sulla vita?» domandò, sarcastico, mentre gli occhi dei quattro soldati e del mercante si spalancarono di sorpresa. «Oh, sì, i suoi soldati sarebbero costretti a disertare dal lavoretto illegale sottomano in cambio di prostitute gratis. Freezer non sarebbe felice di saperlo».
Il volto giallognolo del mercante divenne improvvisamente pallido, mentre i soldati iniziarono ad agitarsi e sudare con trepidazione al solo accenno di quel nome tanto temuto in tutto il cosmo.
Per un attimo Vegeta fu tentato di ridere in faccia a tutti loro, ma questo sarebbe equivalso a dare a Radish la conferma che, santissimi gli Dei del cielo, fosse il miglior figlio di puttana della galassia.
«Tutto questo – i nostri averi e il nostro silenzio - in cambio del ragazzo. Una giocata» concluse Radish, ammiccando con le sopracciglia.
Il mercante strinse gli occhi. «E cosa mi garantisce che se vinco non chiamerete qui lo stesso Lord Freezer?»
Non una domanda stupida, del resto, anche se dubitava che Lord Freezer sarebbe giunto davvero a salvare loro le natiche. Quello era solo un bluff bello e buono per farsi dare l'opportunità di giocare.
Tuttavia Radish aveva una risposta anche per quello. Camminò poco lontano e, dopo aver preso una botte e averla posizionata proprio davanti alla cella, svuotò le tasche di tutti i loro soldi, la chiave d'accesso all'astronave e, per ultimo, anche lo Scouter.
«Vi consegneremo anche i nostri Scouter. Sapete che non c'è altro modo di contattarlo».
E l'idea tornò a essere delirante.
«Un mom-» tentò di dissuaderlo Nappa, giustamente. Senza gli Scouter sarebbero stati più che fottuti.
«Abbiamo un accordo?» lo interruppe Radish, serio.
La tensione era così densa da poter essere affettata con un coltello. Tutto sarebbe potuto andare storto ma, come dimenticare, Radish era il miglior figlio di puttana del cosmo. E raramente falliva nelle sue trattative.
Il mercante alzò gli occhi al cielo, poi prese le chiavi della gabbia e le sbatté sulla botte rovesciata, mettendole in palio.
«Andata».



Vegeta avrebbe tanto, tanto voluto urlare di frustrazione. Essere oggetto di scommesse e di accordi finiva nella lista delle cose più umilianti che gli fossero accadute in vita sua.
E il fatto che quella particolare scommessa si stesse protraendo da oltre quaranta minuti, sicuro non aiutava a indorare la pillola.
Le partite di Sabaq erano spesso lunghe, quando si trattava di Radish. Era da poco diventato maggiorenne, e ciò gli conferiva da quel momento in poi di poter giocare non solo in privato, ma anche nelle peggiori bettole del cosmo. Conoscendolo, Radish avrebbe scommesso pure sua madre, se fosse stata ancora in vita.
Era però una fortuna per tutti loro che fosse un esperto, perché ciò dava loro speranza che quella partita potesse concludersi in positivo. Tuttavia ciò portava ulteriore acido in bocca a Sua Maestà, il quale non poteva accettare di sperare di essere “vinto” da qualcuno. Anche se quel qualcuno era il suo compagno di squadra.
«Sette e dieci» mormorò Radish, dopo aver studiato attentamente le carte arrugginite che teneva tra le mani.
Il mercante sbuffò. «Nove». Vegeta trattenne un sorriso di speranza. Punto per loro. «Tre e sei» disse poi l'avversario, poggiando le carte sulla botte.
Il volto di Radish s'incupì insieme al buio della sera che stava calando sul mercato di Ikut. «...sette».
Punto per gli avversari. «Sei e...undici» rilanciò infine, a denti stretti, consapevole della brutta giocata.
Vegeta si irrigidì e ringhiò tra i denti. Sei e undici!? Era davvero tutto ciò che rimaneva? Forse non esisteva mossa più rischiosa di quella.
«Radish. Porca puttana!» esplose infatti Nappa, che fremente stava osservando la partita appoggiato alla spalla del suo alleato. Con quel naso storto, sembrava uno di quegli uccelli dei pianeti tropicali. Brutto e tozzo.
«Ho tutto sotto controllo» sibilò tra i denti Radish, infastidito.
«Non mi pare».
«'sta un po' zitto» ruggì.
Nappa gli avrebbe fatto pagare quell'affronto. Beh, se non fosse stato per il volto contratto del mercante che, con esitazione, poggiò la carta arrugginita girata sopra le altre.
«... dodici» soffiò, arrendevole.
Nappa esultò con i pugni stretti verso il cielo. «HAH! LO SAPEVO!»
Radish lo guardò storto per qualche secondo, poi tornò a fissare il mercante con aria di sfida. «Ultima possibilità, vecchio. Gira il gettone» lo invitò, poi si morse il labbro inferiore e si sporse in avanti.
Nonostante la temperatura sul pianeta fosse calata drasticamente da quel torrido pomeriggio, una goccia di sudore colò dalla punta del naso di Vegeta. Se fosse uscito qualsiasi numero non compreso tra sei e undici, avrebbero vinto.
Il cuore martellante nel petto gli offuscò ancora di più la vista, mentre il mercante voltava il gettone color rame posizionato a inizio partita al centro del tavolo.
«Dannato cinque» sbuffò, lanciando poi il resto delle sue carte sulla botte con un tintinnio metallico.
Nappa e Radish si alzarono di scatto in piedi, gridando vittoria.
«URRÀ!»
«EVVIVA!»
Alcuni passanti sussultarono, altri scossero la testa con fare infastidito. Vegeta, invece, dovette trattenersi dal sorridere. Certo, era salvo, ma non c'era assolutamente nulla da festeggiare in quell'affronto.
Salvato dalle capacità nel gioco d'azzardo del suo sottoposto di terza classe! Ridicolo!
Tuttavia non aveva le forze né la voglia di contestare i modi, non in quel momento che finalmente Radish e Nappa aprirono la cella e gli liberarono coda e mani.

Una sensazione di tepore e sollievo lasciò spazio presto a infinita debolezza, quando si lasciò cadere a peso morto sulle ginocchia.
Radish si chinò per raccoglierlo, ma il suo orgoglio gli impedì di accettare ulteriore aiuto. Gli ringhiò in faccia e tentò di allontanarlo. Avrebbe solo voluto uscire da lì con le sue fottute gambe, ma la disidratazione era tale da consentirgli appena di strisciare come un verme.
«Non fare mosse avventate. Torneremo qui tra qualche mese e uccideremo tutti, ma non ora» gli sussurrò Radish nell'orecchio, mentre insieme a Nappa si premurava di rimetterlo in piedi.
«Non mi dare ordini» gli rispose, con le ginocchia che tremavano. La rabbia gli avrebbe consentito sicuro di fare fuoco e fiamme un'ultima volta, ma aveva troppe poche forze per distruggere davvero quel posto.
«Niente ordini. Solo consigli» sussurrò di nuovo Radish e, con un sorrisetto compiaciuto, aiutò Nappa a tirarlo fuori da quella gabbia, poi lanciò le chiavi per terra, ai piedi degli alieni. «Signori, è stato un piacere fare affari con voi» si congedò quindi dal mercante e i suoi quattro soldati che, con le pive nel sacco, se ne stavano ancora lì a fissare la botte oramai svuotata della posta in gioco.

 


Si lasciò trascinare con la coda tra le gambe – letteralmente – fino all'astronave, sulla quale ebbe l'opportunità di dissetarsi. L'acqua aveva un sapore così buono in confronto all'ultima cosa che aveva bevuto – quel dannato Rokk.
«La prima cosa che farò sarà mandare una segnalazione anonima per quei quattro stronzi» grugnì Nappa, concentrato sull'impostare la rotta di partenza sul computer di bordo.
Radish, nel frattempo, sistemava armi e bagagli nei vani portaoggetti in attesa di decollo.
«Come cazzo hai osato scommettere su di me! E se avessi perso?» ringhiò Vegeta, oltraggiato, mentre masticava una barretta energetica insieme a due pillole di antidolorifici.
Lui lo fissò di rimando e fece spallucce.
«Sapevo che non avrei perso».
«È un fottuto gioco d'azzardo, non si può sapere con certezza l'esito! A meno che...» s'interruppe, mentre nella mente iniziavano a rimbalzare immagini chiare di una nottata sotto le stelle non troppo lontana. Litigate, scommesse... Nappa che scommetteva persino i suoi vestiti. «A meno che non si trucchi il gioco?» azzardò, a occhi stretti.
Radish si passò una mano tra i capelli e poi allargò le braccia, senza dare alcuna risposta concreta.
«Un bravo giocatore non rivela mai le sue tecniche!» disse solo e, come pronosticabile, l'esplosione di rabbia giunse subito di seguito.
«DANNATO FIGLIO DI PUTTANA!» ruggì Nappa, prendendo Radish per le spalle e facendolo sbattere con violenza contro la pulsantiera controlli. «IO LO SAPEVO! LO SAPEVO CHE STAVI BARANDO! RIDAMMI I MIEI SOLDI!»
Il computer di bordo iniziò a emettere segnali acustici variopinti a ogni testata di Radish.
«Oh, suvvia!» si lagnò questi, nel tentativo di districarsi dalla presa violenta. «Non sai giocare, fattene una ragione» Radish sgattaiolò via balzando prima sul pavimento, riparandosi poi dietro i sedili. «E ricordatevi che anche barare è un'arte!»
«TI AMMAZZO, MOCCIOSO!» continuò a inseguirlo Nappa, furioso, mentre Sua Maestà sedeva annoiato sul sedile, con le braccia conserte e nessunissima voglia di dare importanza a quel teatrino ridicolo.
«E il fine giustifica i mezzi. Se non fosse stato per me...» soffiò Radish, riparandosi dai pugni dietro all'anta del cabinato del bagno. «Vegeta non sarebbe qui. Sbaglio?»
Il respiro affannoso e frustrato di Nappa scandì il lento ritorno alla calma.
«Prima o poi morirai, Radish, e quello sarà il giorno più bello della mia vita... forza, leviamoci dalle palle» concluse, lasciandosi poi cadere sul sedile del passeggero.
Oramai erano anni che Nappa non guidava più l'astronave, nonostante l'illegalità di far guidare un minorenne.

Radish balzò al sedile di guida, stiracchiandosi le braccia sopra la testa. «Dove stiamo andando? Non ci sono ancora arrivate nuove missioni».
Vegeta s'incupì. Il tarlo dentro il suo cranio non aveva ancora smesso di rosicchiare quell'idea, da quel pomeriggio. E c'era solo un modo – uno solo – per riuscire a metterlo a dormire.
Non sarebbe stato facile, non sarebbe nemmeno stato saggio, tantomeno procedere senza fornire dettagli ai suoi compagni di squadra... ma Vegeta doveva sapere.
«Imposta una nuova rotta» sussurrò, sporgendosi verso il sedile del pilota.
Radish e Nappa lo fissarono, confusi.
«Per dove?» domandò poi il pilota.
Vegeta scavò con le unghie nei palmi delle mani. Era il momento di scoprire la verità.
«Xandar».



 
Continua...

Riferimenti:
-La dinamica di gioco di Sabaq è simile a quella di Black Jack, ma con regole diverse. Le ho inventate sul momento, ovviamente. Alzi la mano chi ha capito come si gioca :D Voglio ricordarvi che il nome è ispirato al gioco "Sabacc" presente in Star Wars. 
-Xandar: se vi suona familiare, è perché avete visto i Guardiani della Galassia! Xandar è infatti uno dei pianeti ideati nell'universo Marvel.

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente!
Quanto continiuamo a volere bene a Radish da 1 a CALPESTAMI?
Ecco. Diciamo che Vegeta nello scorso capitolo è stato salvato da Nappa (che l'ha tirato fuori dal serpente) mentre qui è stato salvato da Radish, che a quanto pare ha capito come barare a Sabaq e soprattutto ha usato il cervello contro il mercante e le guardie.
Vegeta mostrerà mai gratitudine? GIAMMAI. Ma ci pensiamo noi ad amare Radish XD e anche un po' daddy Nappa, dai. 
... sì, sto tergiversando sul punto focale della questione: Vegeta è quasi sul punto di scoprire la verità. Troverà risposte su Xandar? O gli rimarrà in testa il tarlo insinuatogli dagli alieni pettegoli?
Grazie di cuore per il vostro costante supporto <3
Un abbraccio,
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Vuoi trovare tuo fratello?» domandò Nappa, mentre masticava un panino stoppo su un attracco portuale.
«Non di certo per chiedergli di unirsi a noi: era troppo debole e troppo pacifico per combattere. Voglio solo sapere la sua ubicazione, per qualsiasi evenienza» raccontò Vegeta.

Era una bugia.

 

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Capitolo 6
*** Xandar ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 

- MERCENARI -

Capitolo 6
Xandar


 
Per arrivarci c'era voluto più tempo del previsto. Due anni e mezzo, per la precisione.
Durante il viaggio erano subentrate nuove missioni, nuovi incarichi improrogabili. Molteplici nuove occasioni per farsi umiliare da Zarbon e Dodoria, nuove purghe planetarie per conto della molesta Squadra Ginew, persino un incontro spiacevole con Freezer in cui Vegeta era uscito tutt'altro che vittorioso. E, anzi, aveva avuto ancor più modo di fermentare odio, più desiderio di conoscenza, più sete di verità.
Più il tempo passava, più Vegeta si incattiviva, più si inaspriva.
Aveva imparato a non fidarsi di nessuno, a volte stentava persino a fidarsi della sua stessa squadra, sebbene non ce ne fosse alcun motivo reale. Non era più un moccioso per il cosmo, era cresciuto, era maggiorenne e il desiderio di indipendenza cresceva ogni anno in modo esponenziale. Più volte aveva pensato di liberarsi di loro, o anche solo di andare via e lasciarli perdere.
Si costringeva a non farlo solo perché Nappa e Radish gli erano utili, malgrado non fossero forti quanto lui. Nappa aveva un grande potenziale combattivo, e – anche a favore di età - era piuttosto rispettato all'interno dell'Esercito, e chissà come era sempre a conoscenza di alcuni pettegolezzi intergalattici che facevano sempre comodo. Una stupida guardia del corpo, in poche parole.
Radish invece era debole. Se quando erano bambini c'era stato un momento in cui la loro forza non differisse di molto, lo scarto aumentava sempre più col passare del tempo. No, non era per la forza combattiva che Vegeta non poteva uccidere Radish, ma per una lunga lista di buoni motivi che potevano essere riassunti col fatto che fosse il miglior figlio di puttana del cosmo. Scaltro, furbo, calcolatore e un ottimo pilota.
Vegeta li detestava entrambi, ma li detestava comunque meno rispetto a tutto il resto della popolazione intergalattica. Una volta maggiorenne, aveva assunto lui stesso il ruolo di “capo” all'interno della loro piccola divisione. Da quando comandava lui e non doveva più rendere conto a Nappa come tutore, si sentiva il Re dell'universo. La sua sete di potere era aumentata, così come aumentava sempre di più la voglia di sorpassare Freezer e non farsi più umiliare. Ma quel giorno era ancora lontano e, per il momento, poteva solo sperare di vederlo il meno possibile e di uscire dal suo cospetto senza ferite al limite del trapasso.
L'ultima volta era stata dura, non erano bastate tre ore nella vasca di rianimazione per uscirne tutto intero. Era stato una volta guarito, che aveva capito di non poter più aspettare. Missioni o non missioni, avrebbe dovuto conoscere la verità, anche se non avrebbe cambiato nulla. Lo doveva semplicemente a se stesso, a tutte le umiliazioni che subiva. Lui doveva sapere.
Aveva quindi iniziato a elaborare un piano piuttosto dettagliato su come agire per trovare le sue verità nascoste - mantenendo anche un mezzo segreto con i suoi sottoposti.



«Vuoi trovare tuo fratello?» domandò Nappa, mentre masticava un panino stoppo su un attracco portuale.
«Non di certo per chiedergli di unirsi a noi: era troppo debole e troppo pacifico per combattere. Voglio solo sapere la sua ubicazione, per qualsiasi evenienza» raccontò Vegeta.

Era una bugia. Non gli poteva importare un fico secco di dove si trovasse Tarble. Suo padre l'aveva esiliato appena nato per lo scarso potere combattivo, da allora non aveva avuto più sue notizie. E, a dirla tutta, dubitava persino che Freezer sapesse della sua esistenza, o l'avrebbe già schiavizzato. Era solo un bene per Tarble rimanere nell'ombra a vivere chissà dove.
Non che gli importasse della sua sorte.
«Pensi che si trovi su Xandar?» domandò Nappa.
Vegeta scosse il capo. Quel babbeo non aveva capito niente! «No, ovviamente».
«Su Xandar si trova qualsiasi cosa, Nappa! Se si cerca un'informazione, lì è possibile accedervi. Ci sono i sistemi di spionaggio più avanzati di tutte le Galassie!» intervenne Radish. Ovvio che invece quel babbeo avesse colto al volo. Cosa che lo infastidì parecchio, date le scarse capacità del Principe di manifestare compiacimento verso gli altri.
«Come dice lui» borbottò quindi Vegeta, annoiato. «Abbiamo solo un problema: Xandar è sorvegliata dall'Esercito di Freezer, e io non voglio che Freezer scopra che siamo lì, e di conseguenza che scopra dove si trovi quel buono a nulla di mio fratello» spiegò poi, trattenendo un sorrisetto. Aveva trovato la scusante perfetta per andare laggiù sotto copertura.

Lui e Radish erano abbastanza abili nell'hackerare i sistemi di sicurezza - avrebbero potuto facilmente accedere a quei sistemi una volta laggiù ma... rimaneva il problema di riuscire ad arrivarci senza farsi beccare. Se davvero Freezer aveva corrotto gli Xandariani per nascondere lo scandalo della distruzione di Vegeta-Sei, i Saiyan erano senz'altro una presenza poco gradita su quel pianeta. Tipo ricercati numero uno, o una cosa simile.
Radish fece spallucce. «Procurare schede identificative false? Un gioco da ragazzi!»
Vegeta strabuzzò gli occhi. A volte dimenticava che quel bastardo fosse il miglior figlio di puttana del cosmo. «Lo puoi fare?»
Aiutato da una lunga sorsata di Rokk, Radish ingurgitò i resti di quel panino orripilante. Era disgustoso! Vegeta, che non sapeva se in quel posto fosse peggio bere o mangiare, aveva saggiamente deciso di digiunare.
«Sì, conosco una tizia. Me le può inviare in un paio di settimane».

Nappa allargò le braccia, esterrefatto. «Dove diamine l'avresti conosciuta, moccioso?»
Non aveva mai smesso di chiamarlo così. Sebbene Radish avesse oramai quasi diciotto anni.

«Quinta ammiraglia dell'Esercito, in una missione sette mesi fa. Non avete idea di quanti bastardi sotto copertura ci siano in quel battaglione! Beh... la signorina mi deve un favore» ammiccò. «Due favori!» specificò poi.
Vegeta alzò gli occhi al cielo. «Siamo fottuti». Ultimamente Radish aveva quella fastidiosa abitudine di infilare l'arnese in qualsiasi essere vivente dotato di uno o più orifizi.
«E comunque non è un po' rischioso andare su Xandar con dei documenti falsi, contando i loro sistemi di spionaggio?» intervenne poi Nappa, puntualizzando l'ovvio.
«Si, lo è» grugnì Vegeta.
Molto, molto rischioso. Ma lui doveva sapere. Lui aveva sete di una verità che sapeva non avrebbe affatto dissetato. Avrebbe bruciato più che un disgustoso Rokk, ma lui la voleva lo stesso. Se ne sarebbe ubriacato, di quella verità. Perché oramai sapeva fosse tale, ne voleva solo una conferma.
«Sì, probabilità di fallimento intorno al 75%...» annuì Radish, mettendosi le mani dietro la testa con un gran sorriso giulivo. «Che cosa stiamo aspettando?»




Avevano impiegato diverse settimane per procurarsi delle false schede identificative e delle divise dell'esercito contraffatte, e altrettante settimane per giungere su Xandar nel completo anonimato, con un'astronave traballante presa in prestito – che nel linguaggio di Radish era sinonimo di “rubata” - da un vecchio imbecille su un pianeta mercantile.
Così, con le code schiacciate dentro quell'armatura di vecchia annata e le chiome da Saiyan – ovviamente non quella di Nappa – ben strette nei caschetti, erano riusciti a passare i primi controlli identificativi per l'attracco.
Xandar era un pianeta verdeggiante e ultra-tecnologico ai confini dell'estrema Galassia dell'Ovest, abitato da popolazione variopinta. Gli autoctoni erano alieni encefalo-sviluppati ma con un bassissimo livello di combattimento tuttavia, a quanto sentito dire, il pianeta si era ripopolato di forestieri dopo la conquista di Freezer.
Erano infatti state erte diverse basi dell'esercito, e la città principale pullulava di guardie.
Non fu difficile confondersi con esse agli occhi degli autoctoni, ma ogni passo compiuto lungo la navata verde centrale, alcuni soldati li avevano osservati come se stessero compiendo una sfilata. Qualche bisbiglio, qualche saluto tipico dell'Esercito, probabilmente da parte di qualche guardia che stava lì da molto tempo e quindi che sapeva riconoscere le facce nuove.
«Kaioh demonio, vorrei strapparmi la coda per quanto mi fa male» bisbigliò Radish, intento a deambulare come se avesse qualcosa di poco piacevole infilato su per lo sfintere anale.
«Smettila di lamentarti e cammina» sibilò Nappa, anch'egli persino più goffo del normale.
Sembravano due bestie da soma. Due bestie da soma molto brutte e grosse.
Al termine della lunga via centrale si ergeva un grosso edificio di vetri scuri, mastodontico, al limite dell'inquietante. Doveva essere il quartier generale dello spionaggio.
Giunti all'ingresso, il rischio di fallimento del loro piano gli si presentò sul conto: telecamere, ingressi presidiati, tutti quelli che entravano dovevano presentare un badge. Insomma, tutto tranne che semplice.
«Ok... quello che ci serve è qualcuno a cui rubare il badge» sussurrò Radish.
Nappa sbuffò. «Non conosci qualche prostituta anche qui che te ne può fare uno falso?»
«Ehi, Rakna non è una prostituta!» s'indispettì Radish. «E comunque no. A meno che vogliate darmi qualche giorno di tempo».
Qualche giorno era già un lasso di tempo troppo, troppo lungo, in un pianeta in cui non avrebbero dovuto nemmeno mettere piede. Vegeta si morse il labbro e spiò di nuovo l'ingresso principale della struttura. «Meno stiamo sopra questa palla di fango, meglio è. Troviamo un modo per procurarc-»
«Seguitemi» lo interruppe Nappa, incamminandosi dietro quattro personaggi che avevano l'aria di essere del posto.
Vegeta e Radish si lanciarono un'occhiata da sotto il casco, poi iniziarono a camminare dietro a quel grosso imbecille. Da quando Vegeta aveva acquisito potere completo all'interno del gruppo, detestava farsi dare ordini da qualcuno, ma era evidente che Nappa avesse in mente qualcosa per risolvere quel problema e, suo malgrado, avrebbe dovuto cogliere ogni occasione per uscire sano e salvo di lì – con le informazioni che gli servivano.

Proseguirono a pedinare i nativi oltre una piazza con delle fontane a forma di sfera, fino a giungere a palazzi e grattacieli più diroccati fuori dal centro.
«Ehi, voi!» gridò loro, una volta giunti nei pressi di un vicolo meno frequentato.
I quattro autoctoni si voltarono e, nel vedere i soldati dell'Esercito, si misero sull'attenti.
«C'è qualche problema, signore?» domandò uno di loro, quando Nappa gli si avvicinò.
«Sì. Dobbiamo operare dei controlli a tappeto, ci sono stati casi di intrusione».
«Ma noi sia-»
«Ordini di Re Cold» li interruppe, e loro si ammutolirono di nuovo per poi annuire. «Seguitemi» intimò infine, dirigendosi nel vicolo.
Non attese neanche di giungere in un posto dove non batteva la luce del sole. Uno, due, tre, quattro fasci di luce dritti al cranio. Le loro teste macrocefale esplosero come bolle di sapone, imbrattando le mura di un palazzo color antracite.
«CHE CAZZO?!» urlò Radish, esterrefatto.
«Shhht!» lo spintonò Nappa. «Vuoi farci scoprire?»
«IO?! Tu vai in giro a uccidere gente a caso e sono io quello che-»
«Li ho visti uscire dal palazzo principale, quindi sono in possesso di un badge» gli ringhiò in faccia.
Vegeta alzò gli occhi al cielo. I metodi rozzi di Nappa non erano i più saggi, ma sicuramente i più sbrigativi. E avevano anche un certo senso, contando che se avessero tentato di rubare i badge o uccidere qualcuno dell'Esercito di Freezer sarebbero stati perseguibili dall'Impero, mentre a uccidere nativi non avrebbero rischiato così grosso.
Così, sotto lo sguardo esterrefatto di Radish e quello fiero di Nappa, Vegeta si chinò su uno dei cadaveri e iniziò a frugare nelle tasche del mantello.
«Forza, cerchiamo questi badge e preghiamo i Kaioh che nessuno si accorga che non sono nostri».



Non se ne accorsero. Riuscirono a passare i controlli per miracolo divino, dopo aver stipulato un piano d'azione arrabattato e potenzialmente fatale. Una vera fortuna che Radish avesse imparato a scollegare gli Scouter dal server imperiale, così da poter comunicare in totale sicurezza.
La torre di spionaggio era grande, colma di uffici, di via vai di personale, di guardie, di postazioni disparate per il controllo delle comunicazioni radio intergalattiche, server di connessioni, programmazioni tecnologiche, tutte cose di cui Vegeta conosceva solo il nome.
«Scendete al piano -3» li guidò Nappa che, posizionato in uno degli uffici burocratici, aveva il compito di guidarli nella planimetria di quel luogo infernale.
Vegeta e Radish, schiacciati spalla a spalla nell'ascensore insieme ad alcuni nativi operai, rimasero in silenzio fino a fine corsa. Camminarono veloci secondo le indicazioni, fino a trovarsi completamente soli.
«Sinistra. Primo corridoio a destra. Radish, c'è un ufficio vuoto nella terza porta. Vegeta, prosegui dritto fino all'ascensore Y. L'Ufficio Archiviazioni è al -4».
Radish si voltò verso di lui, e da sotto il casco Vegeta poté intravedere uno sguardo divertito. «Ultime volontà, prima di venire catturati e giustiziati?» gli sussurrò, giusto perché serviva un po' di ottimismo in quella missione suicida.
Vegeta sbuffò. «Sì: che la tua morte sia lunga e dolorosa. Mi basterebbe questo per morire felice». Poi si rese conto che, con la fortuna che aveva, sarebbero finiti nello stesso girone dell'Inferno e Radish l'avrebbe infastidito per l'eternità. E quella era senza dubbio una buona motivazione per rimanere vivi più a lungo possibile e centellinare quel fastidio solo in alcuni momenti della giornata.
«Annotato, capo!» ridacchiò e fece un saluto militare, poi corse baldanzoso alla terza porta.


L'Ufficio Archiviazioni era una stanza buia, lunga e stretta, poco illuminata da qualche luce al neon verde e dagli schermi dei pochi computer accesi. C'erano solo sette postazioni occupate, quindi Vegeta decise di dirigersi in quella più lontana da occhi indiscreti. Nessuno sembrava averlo notato.
«Ventuno» sussurrò nello Scouter, attivando lo schermo. Ricercò in incognito i file sui Saiyan ma, naturalmente, risultavano criptati.
«Ok, dammi un minuto» rispose Radish, dopo qualche istante. «Non appena scollegherò il tuo computer dal server intergalattico, ti metterò in collegamento con una rete nascosta così che nessuno possa risalire alle nostre ricerche. Attendi il mio via libera, non appena avrò mandato in corto circuito le telecamere, avrai dai trenta secondi ai tre minuti prima che gli addetti alla sicurezza se ne accorgano, se non se ne accorgono, meglio ancora. Devi fare più in fretta che puoi. Nappa, tu sei pronto a distrarli?»
«Affermativo» rispose questi, pronto come da piani a entrare nell'Ufficio Controllo e Sicurezza per distrarre le guardie.
«... server scollegato... rete nascosta... attivata... e... telecamere... scollegate. Via libera!»
Trenta secondi circa.
Il cuore di Vegeta martellava all'impazzata. Non era mai stato così vicino alla verità come in quel momento.
I file che poco prima erano inaccessibili risultarono consultabili, ma erano miliardi, milioni. Le ricerche erano difficili. Una vera fortuna che in quegli anni avesse imparato a consultare i database intergalattici, per alcune missioni.
Trovare e trasferire nello Scouter i dati delle navicelle spedite altrove da Vegeta-Sei negli anni 737 e 738 fu più facile del previsto, veloce, indolore. Ma lui non era affatto lì per quello, ed era il suo segreto.
Trenta secondi erano già trascorsi, ma tutto taceva, a parte il battito del suo cuore che pulsava nelle orecchie. Iniziò la ricerca del traffico nel quadrante del pianeta, ma alcuni file sembravano corrotti.
«A che punto sei?»
Vegeta non rispose, continuò a digitare sulla tastiera criteri di ricerca, con la lingua tra i denti che oramai sanguinava.
«... capo?»
«Sta' zitto» sibilò Vegeta, con la vista oramai offuscata per tutti quei numeri che scorrevano sullo schermo, quei dati infiniti che sembravano muoversi tutti insieme senza un vero criterio. Provò a lanciare un download per decriptare, ma le tempistiche risultarono troppo lunghe.
Stava andando nel panico, e la voce di Radish che gli intimava di sbrigarsi non lo aiutava.
«Dovresti aver trovato già quello che cercavi, a quest'ora. C'è qualche problema?»
«I file sono criptati. Chiudi quella dannata bocca, ce la sto per fa-»
Allarme rosso.
Una sirena iniziò a suonare a volume alto nella stanza, probabilmente in tutta la struttura.
«Scusate, non avrei potuto intrattenerli oltre senza essere scoperto. Ci vediamo alla nave».
Vegeta ignorò la voce affannosa di Nappa che correva per qualche scala. I sette nativi che erano nella stanza con lui si guardarono intorno, lui fece lo stesso.
“Violazione di sistema. Possibili intrusi. Violazione di sistema. Possibili intrusi. Violazione di sistema. Possibili intrusi” ripeteva una voce pre-registrata dagli altoparlanti.
«Le telecamere sono ancora spente?» domandò Vegeta.
«Sì. Ma le stanno ripristinando. Missione interrotta, vieni via di lì».
«Ancora un minuto» ringhiò e, senza pensarci due volte, fece fuoco e fiamme nella stanza. Una vera fortuna che i nativi non avessero alcun potenziale combattivo. Perirono con un colpo secco, poi Vegeta distrusse le telecamere e si sedette di nuovo alla postazione ventuno.
«Si può sapere cosa-»
Ignorò la voce di Radish, ignorò l'allarme.
“Violazione di sistema. Possibili intrusi”.
«Forza» ruggì allo schermo, che da troppi secondi sostava al 99%. «FORZA!» urlò di nuovo, e finalmente la scritta “download completo” apparve in rosso. «Ce l'ho fatta!»
I movimenti nell'orbita di Vegeta-Sei quel giorno infernale di undici anni prima. Nessun buco nero. Nessun asteroide, nemmeno un fottuto minuscolo meteorite in quel quadrante di galassia nell'ora dell'impatto.
Solo l'ammiraglia di Freezer.


Era stata tutta una menzogna. Sempre. Freezer aveva mentito, li aveva attirati tutti sul pianeta per procedere al genocidio di massa.
Per tutti quegli anni aveva fatto lo schiavo di colui che aveva distrutto il suo regno.
La verità che aveva ricercato negli ultimi due anni e mezzo si rivelò più scottante, più amara di quello che avrebbe mai pensato. Ma il peso che avvertiva nel petto era niente, nulla in confronto alla rabbia, al prurito che percepiva sulla punta delle dita. La voglia di uccidere, di distruggere, di disintegrare e spezzettare e far patire a chiunque la stessa sorte.
Avrebbe voluto urlare, radere al suolo quel pianeta e tutti quelli che avrebbe incontrato di lì alla rotta verso l'infinito, sporcarsi le mani di sangue e leccarselo via con compiacimento. Avrebbe voluto ballare sui cadaveri di ogni soldato dell'Esercito e lasciare Freezer per ultimo, agonizzante, scorticarlo fino all'ultimo centimetro di pelle, fratturargli anche le ossa più piccole del suo corpo una ad una, lasciarlo agonizzante a farsi stuprare a turno da ogni figlio di puttana della galassia e ridere delle sue urla. E solo infine ucciderlo, quando sarebbe stato coperto solo da sangue e sperma e sputi e fango.
Quella sarebbe stata la sua nuova missione finale. Il suo obiettivo di vita. Avrebbe iniziato a contare i giorni in quell'attimo, il lasso di tempo che lo separava dal guardare quegli orribili occhietti rossi spegnersi.

Si alzò di scatto dalla postazione, distrusse tutti i computer e, dopo aver scavalcato uno a uno tutti i cadaveri, uscì dalla stanza. Camminò veloce, con i pugni stretti e il sangue che gli colava dalla bocca talmente si era morso la lingua. E fu lì che lo trovò: Radish, in mezzo a un corridoio, circondato da altrettanti cadaveri di guardie. Persino dell'Esercito di Freezer. Li aveva uccisi, pur sapendo che avrebbe rischiato la pena di morte per questo. Tutto per far sì che non li scoprissero con le mani nel sacco.
«Kaioh maledetto, ma dov'eri finito?!» gli urlò Radish, costernato. Vegeta non rispose, continuò a stringere i pugni. Non una parola uscì dalla sua bocca, nemmeno quando Radish lo afferrò per un braccio e lo trascinò dalla parte opposta del corridoio. Non oppose nemmeno resistenza, non lo uccise per l'affronto. Tutta la sua rabbia era proiettata altrove. «Vieni, c'è un'uscita secondaria, ho trovato il modo di disattivare tutte le telecamere ancora per qualche minuto. Dobbiamo muoverci».
Salirono per delle scale secondarie, il vociare e l'allarme si fece più intenso e, dopo aver spiato che nessuno stesse osservando la porta, uscirono e si unirono al flusso di gente che si stava dirigendo alle uscite di sicurezza.
Era fatta. Non erano stati visti.
Su Xandar erano sicuramente i migliori hacker della galassia, ma in quanto a sistemi di sicurezza, avevano ben da migliorare.
Per quanto potenzialmente fatale, il piano aveva funzionato. Un piano elaborato da due teste di cazzo, ma due teste di cazzo che gli erano devote ed erano disposte a uccidere e morire per lui.
In fin dei conti Radish avrebbe potuto lasciarlo lì, scappare. Invece aveva ucciso delle guardie pur di non farlo scoprire.
Per quanto doleva ammetterlo, si rese conto in quell'istante di non poter rinunciare alla sua presenza e a quella di Nappa, almeno per il momento.
Per quanto lui fosse potente, nello spazio c'era sempre qualcuno di più potente di lui, qualcuno pronto a volerlo fregare, raggirare, umiliare, o solo approfittare della sua posizione e della sua forza. Ci sarebbe stata sempre una missione con un'alta percentuale di fallimento, ma quella percentuale divisa per tre sarebbe stata più facile da affrontare.
Apprese in quell'istante che avrebbe dovuto mettere da parte il suo desiderio di indipendenza e venire a patti che non poteva agire da solo. Gli servivano alleati in quell'universo di nemici.
Alleati di cui avrebbe dovuto fidarsi almeno un poco, anche se non al cento per cento. Nessuno nello spazio è degno di totale fiducia, quando scopri che la tua vita negli ultimi undici anni è stata costruita sulla menzogna.


 


«L'hai trovato?»
Vegeta fissava il vuoto, mentre sul display del suo Scouter scorrevano dati e numeri che non stava nemmeno fissando. Non da qualche minuto, almeno. La sua testa era vuota, mentre il suo petto era colmo di rabbia.
«Vegeta?» domandò di nuovo Nappa.
«Cosa?» rispose, rude.
«Tarble!»
Ah, Tarble. Il finto motivo per il quale aveva spinto tutti e tre su Xandar per ricercare la verità.
«Sì...» rispose. Aveva capito dove si trovasse, i dati erano piuttosto inequivocabili, anche se la navicella spedita era anonima. Pianeta Tech Tech, dicevano i file. Un pianeta inutile, proprio come suo fratello.
Nappa ghignò. «Bene. Andremo da lui?»
«No» rispose, secco. «Assolutamente no. Non mi importa niente di lui».
Disse. Mentiva, mentiva anche a se stesso. Non voleva che Freezer scoprisse che avesse un fratello, non voleva che anche lui venisse schiavizzato, non voleva un altro Saiyan servo di un impero che li aveva sterminati.
Aveva deciso che Tarble sarebbe dovuto rimanere nell'ombra. Come aveva deciso che sarebbe rimasto segreto il reale motivo per cui era andato su Xandar. Non avrebbe detto niente a Nappa e Radish. Avrebbe tenuto la cosa per sé, convinto che sopportare quella rabbia da solo l'avrebbe fortificato. Quegli altri due imbecilli non se ne sarebbero fatti niente di quella rabbia.
«Sicuro che vada tutto bene? Hai una faccia!» gli sussurrò Radish, prima di impostare il pilota automatico per raggiungere l'attracco portuale dove avrebbero ritrovato la loro pulciosa astronave. Lo osservava sottecchi, ben attento a non farsi udire da Nappa che aveva già iniziato a russare.
Dannazione a lui, che sapeva leggere tra le righe dei suoi silenzi!
Vegeta mentiva a se stesso anche quando si raccontava che avrebbe potuto sostenere quel peso tutto da sé. Sapeva che almeno a Radish e Nappa avrebbe dovuto dirlo. Che avrebbe potuto dirlo senza alcuna conseguenza. Sapeva che sarebbe stato più semplice condividere tutto quello insieme, ma farlo avrebbe significato dare importanza a loro, a quei buzzurri che stentava spesso a sopportare.
«Se vuoi tenerti la tua di faccia, stai zitto» gli rispose, spegnendo la luce di cortesia. Si voltò verso l'oblò, a osservare il cosmo.
E Radish, come quella lontana notte quando il pianeta era esploso, fece esattamente quello che Vegeta avrebbe voluto da lui: fece finta di niente. Non forzò la mano.
Dannazione a lui.
Vegeta non voleva apparire debole. Lui non voleva apparire scosso, lui non voleva mostrarsi sconfitto. Vegeta IV non aveva amici. Aveva solo sottoposti, forse alleati.
Avrebbe portato quel peso per sé, gli fosse costata la sanità mentale.
Tutto, pur di non mostrarsi vulnerabile.
Tutto, pur di non dare mai più fiducia a nessuno.
Tutto, pur di continuare a mentire a se stesso.


Ma ogni tanto ancora peccava. Ogni tanto mentire a se stesso gli risultava ancora complesso – anche se si sarebbe allenato di più, negli anni.
E quella notte non riuscì a mentirsi, non quando decise di prendere in mano lo Scouter e mandare un messaggio anonimo alla navicella inviata su Tech Tech. Un atto di debolezza per cui si detestò, una falla nel suo sistema inespugnabile di menefreghismo. La prova che la sua umanità risiedesse ancora da qualche parte, in mezzo alla sua rabbia, alla sua cattiveria, alla sua sete di vendetta. Da qualche parte c'era, ma era solo uno dei suoi tanti segreti.

“Sono vivo. Un giorno sarò il più forte. Fino a quel giorno, rimani dove sei. Non cercarmi. -V”


 
 
Continua...

Riferimenti:
-Importante: alcuni di voi hanno puntualizzato che Vegeta scopre la verità su Namek per via di Dodoria. E nel manga è così, ma nell'anime è diverso: c'è una puntata, dopo Namek, in cui Vegeta ripercorre il suo passato ed è Nappa a rivelargli che Freezer ha distrutto il suo pianeta, ma Vegeta in quel momento dice che ne era già al corrente da un po' di tempo. È ovviamente una cosa in cui manga e anime differiscono, ma io mi sono basata sull'anime e quindi... beh, ecco perché Vegeta ne era al corrente. Ecco lo spezzone di quella puntata: https://www.youtube.com/watch?v=Rpbmlx_MO_0
-In Dragon Ball Super è stato confermato che sia canonica l'esistenza di Tarble, il fratello di Vegeta, che si è visto nel oav "Il ritorno di Goku e i suoi amici".

ANGOLO DI EEVAA:
Eeeehilà, gente spaziale! 
La missione dei nostri "eroi" è andata più liscia del previsto, stavolta... o almeno così pensano Nappa e Radish. Vegeta ha però scoperto tutto sull'esplosione del loro pianeta e, DANNAZIONE A LUI, non gli dice niente. 
Che dire... se già adesso il Pinrcipino è un dito nel retto di traverso, dopo questa presa di coscienza immaginatevi come diventerà. E poveri i suoi alleati, che dovranno sopportarlo.
Signori, mancano tre capitoli alla fine. Ancora non avete capito in che direzione andranno le cose? Oh, tranquilli, nell'ultimo capitolo sarà più chiaro qual è il mio intento, qui. Oltre a quello di dare uno scorcio su come Vegeta sia arrivato a essere il Vegeta che è giunto sulla Terra, la prima volta.
Nel frattempo vi giuro che nel prossimo capitolo avrete una gioia.
A presto e grazie di cuore per come sempre a chi continua a leggere!



 
Nel prossimo capitolo!
Lo afferrò con rabbia e lo spinse fuori da una porta di servizio, fuori, sotto una pioggia scrosciante.
Lo sollevò contro il muro e lo schiaffeggiò, furioso.
«Cosa cazzo hai fatto, Radish?» gli urlò Vegeta, dritto in faccia, ad un palmo di naso.


 

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Capitolo 7
*** Vuoto ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.

Attenzione: in questo capitolo ci saranno numerosi accenni all'abuso di alcol e droghe, e anche alla prostituzione.

 

- MERCENARI -

Capitolo 7
Vuoto




Gli anni passavano, il numero dei morti sotto le sue mani aumentava. L'odio verso Freezer cresceva, mentre il desiderio di vendetta strabordava.
Vegeta sempre più cattivo, Vegeta sempre più meschino. Taciturno lo era sempre stato, ma nelle notti trascorse a osservare la vastità del cosmo, i silenzi erano pieni di rumori. Di urla, di preghiere.
Si era convinto di essere sempre stato così, di non aver mai provato gioia nella sua vita se non quando uccideva. Aveva dimenticato.
Aveva dimenticato Vegeta-Sei, aveva dimenticato sua madre. Aveva dimenticato le prime missioni, le giornate di allenamento al tramonto. Aveva dimenticato che anche dopo la tragedia dell'estinzione della sua razza ci fossero state giornate illuminate dal sole. Poche, ma c'erano state. Ma lui le aveva dimenticate. Per lui esisteva solo la gloria, la sensazione di onnipotenza quando uccideva e si crogiolava in una vendetta indirizzata verso le persone sbagliate.
Ogni volta che recideva una vita, si immaginava il volto di Freezer. E invece c'erano occhi di bambini, di mamme, di fratelli e sorelle che lo osservavano nell'istante prima di morire. Lui non li vedeva. Lui vedeva solo Freezer.
Rideva, ma era una risata meschina. Non ricordava di aver mai riso per qualcos'altro. Aveva dimenticato anche quello, di quando era bambino.
Vegeta odiava e basta. E, mentre i suoi ridicoli sottoposti avevano imparato a godersi la vita per la merda che era, lui era concentrato solo nell'obiettivo di diventare più forte, più cattivo, più meschino per poter completare il suo obiettivo di vita: uccidere.


Era solo un ragazzo di ventitré anni, ma sulle spalle ne portava il triplo. Era già vecchio, un vecchio che si ubriacava di vendetta e di superalcolici che sapevano di benzina.
Non amava bere, ma spesso bere lo aiutava a lasciare andare il peso di quegli anni, a sopportare le nottate nelle taverne fumose di quegli attracchi portuali negli angoli remoti della galassia, mentre i suoi compagni ridevano e abbordavano prostitute con i soldi che Radish vinceva a Sabaq. Nappa non aveva mai imparato a giocare, e le loro finanze extra erano affidate a un disonesto pilota con la faccia da cazzo.
Radish era cresciuto ma non era cambiato molto: sotto sotto conservava l'entusiasmo di quel bambinetto spaccone, anche se talvolta si incupiva ed esagerava con l'alcol e le droghe che giravano ai mercati neri. La sua grande passione per le astronavi era stata lentamente surclassata da quella per le prostitute. Non solo, a dire il vero. A volte rimorchiava gente a caso in giro per il cosmo senza che dovesse sborsare un centesimo perché, a differenza di Nappa – che a volte pagava il sovrapprezzo per essere brutto come il peccato – Radish poteva essere considerato di aspetto gradevole. Vegeta aveva ben da ridire, ma si limitava a domandarsi cosa potesse spingere le persone a portarselo a letto.
Vegeta invece odiava le prostitute, ma a volte si era ritrovato costretto a cedere. Quando era più ubriaco, annoiato, quando sentiva di non aver proprio nulla da perdere e voleva riempire i suoi silenzi assordanti con ansiti e gemiti. Ma, al contrario di Radish che millantava di innamorarsi di ogni puttana che gli aprisse le gambe, lui era incapace anche solo di concepire un concetto così astratto come l'amore.
Vegeta odiava e basta. Non amava.
E quando si trovava con la bocca di qualche signorina compiacente sull'uccello, odiava uguale.



Neanche l'orgasmo servì a levargli la rabbia di dosso, mentre stringeva le cosce di quella ragazza con i capelli viola. Le lasciò i lividi sulla pelle color latte, ma era già tanto se non aveva deciso di ucciderla appena finito l'amplesso. Si lasciò cadere sul materasso puzzolente di quel bordello e le diede le spalle, col sudore che gli colava nel colletto dell'armatura. Lui non si spogliava mai più del dovuto.
Si sporse verso i pantaloni gettati a terra e prese una sigaretta. Se l'accese con distrazione, mentre il fumo gli bruciava la gola e gli ingialliva i calli sulle dita.
Quando lei provò a mettergli una mano tra i capelli, la schiaffeggiò.
«Non mi toccare» ordinò perentorio, e questa esplose in una risatina. Si sdraiò vicino a lui e si accese una sigaretta a sua volta.
«Quindi... mi dirai mai come ti chiami, bel ragazzino?» domandò lei, con quei grandi occhi rosa che la rendevano appetibile ma al contempo insopportabile.
«Non lo farò».
Non gli piaceva parlare con le prostitute. Nessun coinvolgimento emotivo, solo mera attrazione sessuale che si esauriva come la fiammella di una candela.
Anche se era già la terza volta che capitava tra le mani sapienti di quella puttana. Ogni volta che attraccavano lì, al porto mercantile di Aru, Vegeta cedeva alla sua bellezza eterea.

«Caspita, non ti sbottoni proprio» ridacchiò lei.
«Se non stai zitta ti taglio la gola».




Alla quarta volta la gola gliel'aveva tagliata davvero, quando aveva cercato di baciarlo. Lui non baciava, non abbracciava. Lui non dava affetto, nemmeno piacere.
Ma ora che erano al quinto attracco su Aru, un po' Vegeta si era pentito di averla uccisa. Non aveva trovato nessuna prostituta degna di nota - mentre quei due inetti dei suoi sottoposti si accontentavano sempre degli scarti della galassia di qualsiasi sesso e aspetto pur di scopare – e quindi si era dato all'alcol di bassa lega.
Solo, in quella taverna, con una sigaretta stropicciata in bocca e un vattelappesca servito in un bicchiere scheggiato. Ne aveva già bevuti abbastanza per avere il contro-effetto: non la testa più vuota, ma la testa più pesante e i pensieri intrusivi che galoppavano.
Il sapore di fumo gli riempì la bocca e non sapeva se essere più disgustato da quello, dall'alcol, dalla puzza di frittura scadente o il profumo dolciastro delle signorine che si approcciavano di tanto in tanto. Avvertiva il dolore ai muscoli di una purga planetaria recente, e la sola voglia di stringere tra le mani il collo di qualcuno e guardarlo soffrire, rivedere in costui gli occhi di Freezer.
Ne stava diventando ossessionato.
Aveva mal di testa e il sudore di quella notte torrida nelle pieghe della pelle. Si alzò con la sola intenzione di infilarsi nella stanza pulciosa di quell'alloggio e dormire ma, giunto nel corridoio, sobbalzò alla vista della carcassa di Radish riversa contro un angolo. Aveva del vomito che gli colava dalla bocca, e una confezione di pastiglie stretta tra le dita.
Vegeta ringhiò. Quella nuova droga che circolava era la peggiore schifezza galattica e, nonostante gliene fregasse poco o niente che Radish si rovinasse la salute con quella robaccia, avevano una fottuta dignità da mantenere quando erano in giro per gli attracchi.
Quanto ci avrebbero messo i soldati di Freezer a far girare la voce e rovinare la reputazione della squadra? E quanto ci avrebbero messo ad approfittarsene del corpo inerme di quel coglione?
Ingoiò il pensiero e lo nascose nell'angolo insieme all'empatia che non gli apparteneva più da tempo e, barcollando, lo afferrò con rabbia e lo spinse oltre una porta di servizio, fuori, sotto una pioggia scrosciante.
Lo sollevò contro il muro e lo schiaffeggiò, furioso.
Il contatto con l'acqua fresca e le percosse gli fecero aprire gli occhi, ancora troppo annebbiati, confusi.
«Cosa cazzo hai fatto, Radish?» gli urlò Vegeta, dritto in faccia, a un palmo di naso.
Radish sussultò, ma non sembrò nelle condizioni di ribattere.
«Riprenditi o ti giuro che ti ammazzo con le mie stesse mani» lo sbatté ancora più forte con la schiena contro il muro, mentre la pioggia inzuppava i loro vestiti e appiattiva i loro capelli.
Quei ciuffi che Vegeta aveva imparato a tenere a bada gli caddero sulla fronte, rendendolo il fantasma di un bambino che viveva nella bambagia di un mondo che credeva essere perfetto.
«Non voglio uccidere le puttane» biascicò Radish, stanco.
Vegeta inarcò un sopracciglio e mollò la presa sull'armatura, una volta che il coglione fu in grado di mantenersi in piedi da solo.
«Cosa?»
Radish si appoggiò con la testa contro il muro e si passò una mano sul volto.
«Nappa mi ha detto di ucciderle sempre tutti, dopo che finiamo di... io non ho mai voluto. Stavolta... non ho fatto apposta, ero incazzato e l'ho uccisa, l'ho strangolata».
E quindi aveva pensato bene di drogarsi per dimenticare di avere tolto una vita senza un perché. Che patetico, debole, idiota!
«Perché tu sei sempre il solito coglione che si lascia impietosire per niente. Ne abbiamo già discusso di questa cosa della pietà, pensavo che a ventiquattro anni suonati sapessi fare il tuo fottuto lavoro» gridò Vegeta, furioso e troppo ubriaco per trattenersi.
Forse quella sarebbe stata la volta buona che l'avrebbe ucciso, solo per essere così inutile, così emotivo. Non c'era spazio per le emozioni, nell'universo.

Quella volta però anche Radish era troppo ubriaco per trattenersi e incassare.
«So fare il mio lavoro. So uccidere se mi viene richiesto. Peccato che il mio lavoro non sia uccidere le puttane» ringhiò, frustrato, velenoso. Vegeta spalancò la bocca, non era tipico di Radish sputare veleno su qualcuno che non fosse Zarbon o Dodoria. Non era da lui mostrare frustrazione. Quando si incupiva e non si capiva il perché, lui beveva e collassava da qualche parte. Invece ora stava urlando sotto la pioggia, in faccia a Sua Maestà. «Il mio lavoro doveva essere conquistare i pianeti per un compenso decente e poi tornare a casa. Invece stiamo vagando a fare un cazzo per questo universo osceno, sottopagati! Trattati come pezze da culo, schiavizzati da uno stronzo! Mercenari alla stregua di un folle, senza riuscire a guadagnare un soldo bucato per comprare una monoposto a testa e costretti a viaggiare con quel merda di coso. Il mio lavoro non dovrebbe essere questo, eppure lo è! Ma almeno se io decido una – UNA FOTTUTISSIMA – cosa nella mia vita, che è quella di non uccidere la gente con cui vado a letto, lasciatemi cazzo fare-»
Vegeta gli sferrò un pugno sulla mandibola, e questi cadde a terra.
Non poteva sopportarlo. Non poteva ascoltare quelle cose, quei pensieri, perché erano i suoi. Perché quella frustrazione era anche la sua, e non poteva accettare che anche un cretino come Radish provasse lo stesso. Lui che era il moccioso che rideva sempre, che non pensava mai, che riusciva a godersi quella vita orribile e quindi Vegeta lo detestava anche per quello.
Odiava che Radish provasse la sua stessa frustrazione, e lo odiava anche di più perché in quel momento Vegeta era troppo poco lucido per poter controbattere. Si inginocchiò e lo afferrò di nuovo per il bavero, puntandogli un dito contro.
«Il tuo lavoro è fare quello che ti dico io, e quello che ti dico io adesso è di smetterla di autocommiserarti, cazzo! È già...» si interruppe proprio dove desiderava interrompersi. Non ci riuscì. «È GIA DIFFICILE COSÌ! Che cazzo... pensi che io... pensi che io ne sia contento? Eh?» ringhiò e provò a costringersi a trattenere tutto, ma non riuscì. Era troppo, troppo tempo che l'odio fermentava nelle sue viscere, troppo per non esplodere come un palloncino pieno di ira. «Eh? Pensi sia felice di stare a fare il servo di quello stronzo a farmi calpestare? Dopo che quel bastardo ha...» no, quello non avrebbe potuto dirlo. Se l'era ripromesso e sarebbe stato un segreto. Deglutì e guardò la pioggia lavare il sangue che usciva dal labbro di Radish, dopo il suo attacco. «Secondo te sono contento di condividere l'ossigeno mentre viaggio con voi due stronzi su quel trabiccolo infernale?! NO CHE NON LO SONO! Quindi smettila di rigirare il dito nella piaga! E smettila di drogarti di questa robaccia, sei già coglione di tuo!» gridò e, infine, mollò la presa e si lasciò cadere con la schiena contro il muro.

Fradicio, arrabbiato, con la dignità arricciata, la coda irta e le orecchie piene dello scrosciare della pioggia. L'alcol gli era salito alla testa, non riusciva più nemmeno a ragionare. Eppure si sentiva vuoto.
Era quella, la sensazione di perdere il controllo? Di mostrare di essere umani, di non essere granitici, di mostrarsi più deboli? La detestava, ma al contempo aveva la sensazione sulla pelle che avrebbe potuto dormire per sempre, dopo tutto ciò.
Radish lo fissò preoccupato, sconcertato – e come biasimarlo – da quell'improvvisa confessione.
«Vegeta...?»
«Vai a farti fottere, Radish» soffiò, stanco.
Il cretino si trascinò a fatica accanto a lui, spalmato con le spalle al muro, le gambe divaricate, e la postura di chi avesse deciso di lasciarsi andare.
«Spiacente: c'è già Nappa impegnato in tale attività con un tizio, lì dentro» sbuffò infine, lanciandogli un'occhiata smaliziata.
Vegeta gliela restituì e... a quel pensiero, gli sfuggì un sorrisetto.
Sghembo, storto, stupido. Sorridere? Sorridere divertito? Non ricordava di averlo mai fatto. Lui aveva dimenticato.
Radish strabuzzò gli occhi, con la faccia di chi avesse appena assistito all'apparizione di un Kaioh.
«Cosa diavolo hai bevuto?!»
Vegeta si portò una mano alla bocca per coprire quell'angoletto sollevato. Sì, decisamente aveva bevuto troppo. Era conciato da far schifo, e quindi decise di arrendersi a tutto ciò. Ci avrebbe pensato l'indomani a rialzarsi, a odiare, a uccidere, a essere un mercenario con troppa sete di potere e vendetta.
Quella sera voleva solo essere vuoto.
«Una sola parola su questo, e ti ammazzo» si raccomandò.
Radish ridacchiò, poi mimò una cerniera che gli chiudeva le labbra e serrò gli occhi.
Tutto traballò, le luci della taverna, le gocce di pioggia. Vegeta si lasciò trasportare dal vuoto che sentiva, e si addormentò.


 


«MA COSA...?!»
Il risveglio non fu dei migliori, quando le prime luci dell'alba baluginarono tra le ciglia, la pioggia aveva cessato di cadere. Ma avvertiva freddo, umido fin dentro le ossa.
Aprì gli occhi a fatica e Radish grugnì al suo fianco, quindi Vegeta si ricordò di quello che fosse successo. Il desiderio di ucciderlo e uccidere chiunque su quel pianeta venne però superato dalla tremenda sensazione di avere un piccone piantato nel lobo frontale.
Nappa, che aveva finito finalmente di farsi fottere da quel tizio con cui era sparito ore prima, sostava lì davanti a loro a braccia larghe.
«Cosa... cosa diamine ci fate qui fuori?! Non mi dite che avete dormito qua!» esalò, costernato.
«Nappa Nappa, Nappa, shhht... non urlare, mi rimbomba tutto» rispose Radish, con le dita schiacciate sulle tempie.
«Perché hai la testa vuota, razza di cretino! Alzati!» gli gridò, sferrandogli un calcio sugli stinchi. «Kaioh... siete grandi per queste stronzate. Mi sembra di essere tornato a quando eravate due mocciosi, quando dovevo rincorrervi quando vi perdevate in giro per gli attracchi, o vi nascondevate per combinare qualche guaio. Non ho più la forza per questo!» grugnì.
Vegeta avvertì il desiderio di omicidio più forte che mai. Anche perché ogni singola parola scandita con troppa forza spingeva quel piccone più a fondo nel suo cranio. Si alzò e gli si piantò davanti, minaccioso, con gli occhi rossi e tutti i capelli schiacciati dall'umidità.
Erano finiti i giorni in cui aveva bisogno di un tutore legale. Erano finiti i giorni in cui lui e Radish dovevano nascondersi o sfuggire a Nappa per compiere azioni illegali, non erano più due bambini. Vegeta era adulto, oramai. E come tale, aveva tutto il diritto di conciarsi da schifo e dormire per terra come un animale.
«Nappa, chiudi quella cazzo di bocca» ringhiò. «E non ti permettere mai più di trattarmi come un bambino, ricordati con chi stai parlando!»
Nappa si ammutolì e fece un mezzo inchino. «Chiedo perdono, Maestà».
Ma oramai Vegeta non lo stava più ascoltando, mentre camminava fiacco in quel vicolo stretto con la sola intenzione di farsi una doccia calda e continuare a dormire per tutta la dannata giornata.


 


Non aveva dormito un granché. Aveva perlopiù trascorso il tempo ad auto-fustigarsi per aver manifestato una qualsivoglia emozione, la notte prima. Ceduto di fronte a Radish, ceduto soprattutto con se stesso. Eppure ricordava con piacere quella sensazione di vuoto, di tensione sciolta, quindi si detestava di più.
Col passare delle ore il mal di testa si era attenuato, ma si era aggiunto quel prurito alle mani, condanna di ogni volta che riceveva sul proprio Scouter la notifica di una nuova missione. Un sopralluogo sul pianeta Shikk. Niente morti, solo ricognizione, raccolta dati.
Quando giunse all'astronave pronto per partire per il cosmo, però, trovò Nappa intento a scavare una fossa con i piedi nella fanghiglia, mentre camminava avanti e indietro.
«Quel moccioso è sparito di nuovo!» ringhiò, furibondo.
«Sparito?! In che senso sparito? Sarà a puttane!» sbuffò Vegeta.
«Non lo trovo da nessuna parte. Ha lo Scouter spento».
Non c'era niente che detestava di Nappa più della preoccupazione mascherata di rabbia quando si trattava di Radish, o di lui. Era sempre stato protettivo nei loro confronti, anche se lo aveva spesso manifestato con l'insofferenza di badare a due cuccioli di Saiyan.
«Se non arriva entro cinque minuti stavolta me ne vado senz-»
«Ehi, EHI!»
Radish spuntò da dietro l'angolo di una piattaforma meccanica, sbracciandosi baldanzoso. Vegeta lanciò un'occhiata torva a Nappa. Per fortuna l'aveva cercato dappertutto!
«Alla buon ora!» grugnì questi.
«Ragazzi... ho una sorpresa per voi!» annunciò il cretino, con un sorriso che gli tagliava il volto da orecchio a orecchio. Aveva ancora le occhiaie e gli occhi rossi dalla notte prima, ma il suo umore sembrava notevolmente migliorato. Sotto il labbro aveva ancora il segno del pugno incassato.
«Una sorpresa?» domandò Nappa.
«Ho già paura» aggiunse Vegeta.
Radish non perse la faccia strafottente e intimò loro di seguirlo oltre un paio di piattaforme di atterraggio. Il sole stava tramontando, in lontananza alcuni lampi di calore annunciavano una nuova tempesta. Quello era il pianeta più piovoso della Galassia dell'Est, il che rendeva sempre complesso atterraggio e decollo delle astronavi.

E, a tal proposito, giunsero in uno spiazzo dedicato alle monoposto, che sostavano mezze incassate in una pozza di melma fangosa. Si avvicinarono a un raggruppamento di tre navicelle, e fu lì che Radish allargò le braccia vittorioso.
«Ta-daa!»
Nappa e Vegeta si lanciarono uno sguardo stranito. Ta-daa?
«E queste di chi sarebbero?» chiese Nappa, allungando il collo verso quelle tre monoposto.
Radish estrasse dal corpetto della divisa tre pulsantiere quadrate in acciaio. Le chiavi di accesso.
Sua Maestà comprese, ma non poteva crederci.
«Nostre! Le nostre nuove astronavi» annunciò lui, vittorioso. «Ultimo modello, ragazzi! Hanno anche il sonno criogenico!»
Nappa strabuzzò gli occhi e lo scansò con una spallata, avvicinandosi a una di esse. «Non dire cazzate!» esalò, esterrefatto.
Quel tipo di navicelle costavano un occhio della testa, erano velocissime, operavano tramite sistemi avanzati di salti iper-spaziali automatici, permettevano un grosso risparmio di tempo, di noia. Il sonno criogenico permetteva di conservare le funzioni vitali tra uno spostamento e l'altro.
Su Vegeta-Sei erano utilizzatissime, ma allora i modelli erano vecchi e non possedevano il rilevamento automatico di piogge di meteoriti. Gli incidenti erano all'ordine del giorno, mentre in quel momento... beh, era merce rarissima. Ed erano oro, in confronto al rottame con cui si muovevano da decenni, lento e con i sistemi di difesa completamente rotti.
«Come diavolo hai fatto?» sussurrò Vegeta.
Radish gli lanciò un'occhiata furba.
«Ho fatto il mio lavoro» sussurrò, attento a non farsi sentire da Nappa. Un chiaro riferimento ai loro sproloqui della notte precedente. Vegeta strinse le labbra, ma poi Radish proseguì a voce più alta, decantando le proprie lodi con arroganza. «Ho rischiato giusto un pelo la vita – anzi, diciamo che sono vivo per miracolo - ma l'ho fatto! Del resto, ero sicuro di potercela fare. Sapete, gli ex proprietari sono degli strozzini molto, mooolto agguerriti. E poco raccomandabili. Uh, a proposito, meglio muoversi... prima che vedano il nostro vecchio rottame che gli ho ceduto e vengano a reclamarle di nuovo».
Nappa strinse gli occhi. «Le hai rubate?»
«No – e comunque lo sai, si dice “prese in prestito”» puntualizzò Radish, saccente. «Le ho vinte. A Sabaq».
«Barando» aggiunse Nappa, con le braccia incrociate al petto.
«Lo sai, si dice -»
«”Giocare con stile”» lo anticipò Vegeta, faticando a trattenere un certo compiacimento. Radish annuì con fierezza.
In fin dei conti Vegeta era un grande estimatore della filosofia “il fine giustifica i mezzi”.
«Moccioso, ogni tanto utilizzi quella grossa testa intelligente per fare qualcosa di utile» borbottò Nappa e, dopo avergli strappato una delle chiavi d'accesso dalle mani, si avviò a spiare l'interno di una delle astronavi.
Radish si voltò verso il Principe e si strinse nelle spalle.
«Almeno non dovrai più condividere l'ossigeno con noi due stronzi su quel trabiccolo infernale. Per tutto il resto... non ho potere» mormorò. Il sorriso si fece meno largo, meno menefreghista, forse un poco più umile. Radish non avrebbe potuto certo tirarli fuori dalla schiavitù, non avrebbe potuto fare niente contro Freezer, Dodoria, Zarbon, nessuno di loro. Tutto quello che poteva fare lo stava già facendo: offrire la sua conoscenza e il suo talento per i brutti affari per rendere il viaggio verso la conquista più comodo.
Va bene anche così, avrebbe voluto rispondergli. Vegeta avrebbe dovuto dirgli che aveva fatto un ottimo lavoro, ma non poteva. Non si era mai complimentato con nessuno dei suoi sottoposti, neanche quando era ovvio che stessero facendo bene. Perché ogni volta che facevano bene gli ricordavano quanto ancora non fosse in grado di cavarsela da solo. Lo viveva come un fallimento personale.
Quindi non c'era “grazie”, non c'era “ottimo lavoro”. Vegeta non ne era capace.
C'era il silenzio, e il silenzio era quanto di meglio Nappa e Radish potessero sperare, di solito.
Quel giorno, però, Vegeta riuscì a dire qualcosa. «Sei proprio un figlio di puttana».
E, beh... Radish comprese che nel gergo fosse quanto di più vicino a un complimento.
Ridacchiò e gonfiò il petto d'orgoglio.
«Il migliore della galassia!»



 
Continua...

Riferimenti:
-Pianeta Aru: non esiste nella saga, ma se non vi suona nuovo è perché l'avevo già inserito nella mia storia "HAKAI". 
-Le pillole che prende Radish, forse qualcuno se lo ricorderà, erano già state citate in "Across the universe", in un capitolo dice esplicitamente "le ho provate una volta sola e mi è bastato". Ecco, questa era quella volta :D
-Nella saga abbiamo visto che i Saiyan viaggiavano sulle monoposto, ma ai fini di questa storia ho voluto dare a loro tre fino a questo momento un'astronave in cui farli viaggiare insieme. La spiegazione che c'è in questo capitolo - ossia che al momento le monoposto siano tecnologicamente migliori del passato e siano merce rara - mi serviva prorpio per dare senso a tutto ciò che c'è stato fino a ora, oltre al fatto che prima fossero minorenni e quindi impossibilitati a viaggiare da soli. Ma, siccome questa storia è un prequel del canone, mi serviva riportarli a viaggiare con le monoposto :)

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente!
Avete visto? In questo capitolo c'è più di una gioia *-* ecco... la quiete prima della tempesta... ehm ehm! NIENTE! Non ho detto niente! xD
Che dire, so che molt* di voi shippano quei due e in questo capitolo è stato difficile non falri limonare duro sotto la pioggia, giuro. Prima o poi scriverò un universo alternativo in cui accade LOL.
Mancano solo due capitoli alla conclusione ma, gente... saranno due capitoli abbastanza tosti. Ma shhht, non dico null'altro.
Anzi, però vi anticipo una cosuccia: conclusa questa long pubblicherò finalmente anche l'ultima OS che darà conclusione alla saga di "Across the universe", e poi mi prenderò una pausa estiva fino a settembre.
Ma, nel caso doveste sentire la mia mancanza (LOL), sappiate che "Across the universe" può benissimo essere ricondotta anche a "Mercenari", quindi vi suggerisco quella lettura per completezza :D
Ora però bando alle ciance! Vi auguro buona domenica e a prestissimo!
Un abbraccio,
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
«Dimmi, Zarbon, quanto tempo ti ci sarebbe voluto per conquistare Shikk?» domandò.
Zarbon si leccò le labbra pallide e parlò con tono ruffiano. «Beh, un giorno sarebbe stato più che sufficiente».
«Ohohoh, sarebbe stato quindi un gioco da ragazzi...»
Vegeta tremò.

 

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Capitolo 8
*** Verità ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 


- MERCENARI -

Capitolo 8
Verità


 

C'erano voluti tre giorni per conquistare il pianeta Shikk. Dopo due anni e mezzo di trattative andate alla deriva. A Freezer interessava quel pianeta per le capacità telecinetiche degli abitanti, oltre che per il vasto giacimento di titanio nel sottosuolo delle grandi città.
La missione non era stata facile: il globo era vasto, gli Shikkiani numerosi e non così deboli da farsi distruggere nel corpo a corpo. Non avevano potuto trasformarsi in Oozaru, poiché almeno il trenta per cento dei nativi serviva in vita, e perché altrimenti avrebbero danneggiato troppo la geografia del pianeta.
Eppure c'erano voluti soli tre giorni, un risultato degno di nota, per una missione così difficile.
Avevano combattuto con le unghie e con i denti per portarli alla resa, e ne erano usciti esausti. Non indenni, certo: sia Nappa che Radish avevano dovuto usufruire della Vasca di Rianimazione.
Non Vegeta. Lui in quei due anni e mezzo era migliorato ancora. Sempre più forte, sempre più spietato, sempre più prestante, sebbene ancora lontano dall'essere pari a Freezer. O anche solo a Zarbon e Dodoria che, proprio in quel momento, li stavano fissando con sorrisi colmi di cinismo.

Vegeta si morse la lingua e li ignorò, così come ignorò la sensazione di voler vomitare sangue piuttosto che inginocchiarsi al suo cospetto. Freezer, che lo osservava con quegli occhietti rossi detestabili, il mento all'insù, le labbra strette in un ghigno malevolo.
L'ultima volta che Vegeta l'aveva incontrato, sei mesi prima, Freezer l'aveva deriso di fronte all'intera ammiraglia. L'aveva umiliato, e lui non aveva potuto fare niente. L'orgoglio bruciava ancora, ma si costrinse a deglutire il boccone amaro.
Si inginocchiò con svogliatezza sul pavimento gelido, lo stesso fecero i suoi sottoposti. C'era odore di disinfettante e incenso dolciastro, nella stanza dei ricevimenti su Kanassa. Quante percosse ricevute in quella stanza, quante umiliazioni! Soprattutto quando era un bambino.
«Grande Freezer, abbiamo compiuto la nostra missione sul pianeta Shikk. La popolazione si è arresa in soli tre giorni di combattimento» annunciò.
Dodoria, Zarbon e Freezer sostarono in silenzio qualche secondo, poi quest'ultimo parlò.
«Oh, ma dici davvero? Bravi... solo tre giorni per conquistare il pianeta!»
Vegeta strinse gli occhi. Per quanto il suo tono sembrasse indecifrabile, a lui sembrava solo canzonatorio.
«Come siete stati veloci!» ridacchiò Zarbon, dando conferma dell'ulteriore umiliazione.
Sua Maestà però non cedette alla provocazione. Rimase zitto, osservativo di quel sorrisetto impertinente. Poi però il sorrisetto si appiattì.
«Complimenti. Ora potete anche andarvene» sibilò Freezer, asciutto.
Vegeta sussultò, lo stesso fecero i suoi sottoposti. L'antifona era già parecchio chiara.
«Come sarebbe? E il nostro compenso?» grugnì Nappa e, senza chiedere alcun permesso, sciolse l'inchino e si alzò. Vegeta spalancò gli occhi.
Non era da Nappa prendere tali iniziative. E, ora che ci pensava, erano già parecchie settimane che Nappa si stava comportando in modo più strano del solito.
Tuttavia Freezer non si scompose per l'affronto.
«Dimmi, Zarbon, quanto tempo ti ci sarebbe voluto per conquistare Shikk?» domandò solo.
Zarbon si leccò le labbra pallide e parlò con tono ruffiano. «Beh, un giorno sarebbe stato più che sufficiente».
«Ohohoh, sarebbe stato quindi un gioco da ragazzi...»
Vegeta tremò.
Ingrato. Era solo un grandissimo ingrato. Perché diamine non ci aveva mandato Zarbon stesso, se gli serviva il pianeta in tempi stretti?
Quella era solo una scusa, l'ennesima per umiliare i Saiyan, per intaccare il loro orgoglio, per usarli come mercenari a suo piacimento e gettarli via come vecchi stracci.
«Avete altro da aggiungere? Sono molto occupato, tornate da dove siete venuti» soffiò Freezer annoiato, voltando loro le spalle.
Vegeta vide Radish tremare di fronte a sé, ma ciò che fece Nappa lo lasciò completamente esterrefatto.
«No che non ce ne andiamo!» urlò, poi si avviò a passo di carica verso di loro. Cosa diamine gli saltava in mente? Non aveva uno straccio di possibilità! L'avrebbero ucciso in meno di un secondo!
«No, fermati, Nappa!» urlò Vegeta, di riflesso incondizionato.
Nappa si arrestò a un metro da Zarbon e Dodoria, che lo fissarono con aria divertita.
Il silenzio che seguì fu come vento tagliente. Nappa se ne stava lì, bloccato, congelato, probabilmente resosi conto di quello che stava combinando.
«Grande Freezer, ti prego di scusarlo» aggiunse poi Sua Maestà, oramai incapace di frenare la sua lingua prima di domandarsi il perché gliene importasse così tanto della sorte di quell'incapace.
Non aveva mai perso tempo a difendere i suoi sottoposti per i loro errori del cazzo, ma quello era troppo. Affrontare Freezer avrebbe significato morte certa, non solo un viaggio andata e ritorno dalla Vasca di Rianimazione. E no, non era disposto a perdere Nappa per una cosa tanto stupida.

Ma, come pronosticabile, Freezer non lasciò correre.
«Oh, forse dovresti pregare più forte» sibilò e, in un battito di ciglia, si scagliò contro Nappa.
Lo prese per la gola e lo atterrò al suolo poi, dimenando la coda, colpì Radish e fece lo stesso.
Stramazzarono entrambi al suolo, gridando nel tentativo di liberarsi dalla costrizione, ma tutto fu inutile: la forza di Freezer era spaventosa.
Vegeta indietreggiò di un passo, con il cuore a mille l'innato istinto di combattere. Ma non poteva. Sapeva di non avere possibilità, e non era stupido come Nappa.
Zarbon e Dodoria, poco lontano, sghignazzarono nel vedere i due Saiyan stesi a terra, agonizzanti sotto i colpi precisi di Freezer. Li schiacciò, li torturò, li strozzò fino a farli diventare cianotici e sanguinanti. Non importava quanto si dimenassero, quanto tentassero di liberarsi.
«Quindi, mi supplicherai?» domandò Freezer. Strinse di più la coda al collo di Radish, passandosi la lingua sulle labbra.
Vegeta fissò i suoi sottoposti con orrore. Non importava quante volte aveva desiderato anch'egli ingiustificatamente la loro morte, non importava quanto stentasse a sopportarli o quanto si imponesse di odiarli. Non poteva accettare che altri due Saiyan venissero uccisi da Freezer.
Ma supplicare per le loro vite? Sarebbe riuscito ad arrivare a tanto?
«Supplica, Principino, o faccio saltare in aria le loro teste».
Nappa e Radish lo fissarono, con le lacrime agli occhi per la mancanza d'ossigeno, le labbra viola. Zarbon e Dodoria ridevano, le urla dentro la sua testa si intensificarono. Si sentì spezzato a metà, costretto a scegliere tra perdere l'orgoglio o perdere i suoi compagni. Che gli erano utili.
Sì, la scusa dell'utilità era la più semplice da perseguire.
Strizzò gli occhi, prese la sua dignità e l'appallottolò.
«Ti... supplico» esalò.
Freezer non mollò la presa, ma continuò a guardarlo divertito, compiaciuto, come se ne volesse ancora.
«L-lasciali andare. Me ne occuperò io personalmente di punirli» continuò quindi Vegeta, mentre cercava di tenere lo sguardo fisso su quel bastardo. Non aveva il coraggio di guardare Nappa e Radish negli occhi, non quando stava cercando di fare qualcosa per loro.
Ma Freezer scoppiò in una risata acuta, di scherno.
«Come se ne fossi capace...» sussurrò infine e, finalmente, mollò la presa sul collo di Nappa e gli tirò un calcio per farlo rotolare fino a suoi piedi.
Invece, usò la coda per scaraventargli Radish addosso. Malgrado fosse grosso e alto il doppio di lui, Vegeta lo acchiappò al volo e lo lasciò scivolare a terra con meno disgusto del previsto.
Entrambi tossirono e si portarono le mani al collo, sputando sangue e salvia.
«Che vergogna. Un Principe che implora per i suoi sudditi. Questa è proprio bella!» commentò infine Freezer, e fu come una stilettata tra le costole. Poi questi voltò le spalle e iniziò a camminare fuori dalla stanza, seguito dagli altri due stronzi. «Arrivederci, scimmioni».
Vegeta ringhiò e tentò di non urlare, di non scoppiare nell'ira più profonda della sua vita - dopo quel giorno su Xandar in cui aveva scoperto la verità.
Ci vide rosso, ma ingoiò un altro boccone amaro e si avviò dalla parte opposta, stanco, insudiciato nella dignità.



Giunse fuori dal palazzo base di Kanassa con la sola intenzione di andarsene da quel pianeta e smaltire l'umiliazione altrove - magari in sei mesi di sonno criogenico dritto verso l'orbita di un pianeta lontano – ma, quando Nappa e Radish lo raggiunsero, comprese di non riuscire a starsene zitto di fronte a cotanta idiozia.
«Quel maledetto bastardo...» borbottò Nappa, affaticato, tumefatto.
Vegeta si sollevò in volo e lo prese per il bavero, soffiandogli in faccia a un palmo di naso.
«Cosa cazzo ti è saltato in mente, Nappa? Volevi forse farti uccidere?»
«Rischiando anche di far uccidere me, oltretutto» si intromise Radish, tossendo e massaggiandosi il collo, che oramai era diventato viola e nero di lividi. Vegeta lo guardò storto e poi tornò a strattonare Nappa.
«Volevi farmi umiliare? EH?!»
«No... no, Maestà. Chiedo perdono. Non volevo che ti umiliasse. Io...» digrignò i denti ed evitò il suo contatto visivo, come se nascondesse qualcosa.
«Sei sempre tu quello che ci dice di mantenere la calma. Cosa cazzo ti succede in questi giorni?» intervenne di nuovo Radish.
Allora Vegeta non era stato l'unico ad accorgersene! C'era davvero qualcosa sotto!
Nappa fece un passo indietro e sospirò a occhi chiusi. «Ascoltate... io non ne sono sicuro, ma sospetto qualcosa di molto importante. Girano voci, ultimamente... che il pianeta Vegeta non sia stato distrutto da un meteorite» annunciò.
Una folata di vento freddo trasportò ceneri tra loro, e Vegeta rabbrividì.
Avrebbe dovuto saperlo, che prima o poi sarebbe saltato fuori. Avrebbe dovuto immaginare che prima o poi qualcun altro oltre a lui l'avrebbe scoperto, ma non aveva pensato che potesse accadere così presto.
«Cosa?» esalò Radish, senza fiato.
Nappa tremò dalla testa ai piedi dalla furia. Aveva un sopracciglio spaccato in due e vistosi graffi sul collo taurino. «Dicono... che sia stato tutto uno sporco piano di Freezer».
Sì, lo era stato. Vegeta lo sapeva bene. Aveva già passato mesi, anni a combattere contro quell'ira profonda che scuote le viscere e spezza le ossa.
Quello era il turno di Nappa e Radish. E quest'ultimo in particolare sembrava sull'orlo di un collasso.
«N-no... non è possibile!»
«Voleva farci fuori, aveva paura di noi. Ha ucciso il Re e ha ridotto in polvere il pianeta. Così dicono» concluse quindi Nappa, poi abbassò lo sguardo, colpevole. «Là dentro mi sono scaldato per questo...»
Ed era stata comunque una mossa cretina, a parere di Vegeta. Fisiologica, assolutamente condivisibile, ma cretina. Che non aveva portato altro che guai e ulteriori umiliazioni. Forse avrebbe davvero dovuto punirlo, per tanta sconsideratezza.
«Nappa... ne sei sicuro?» chiese conferma Radish, poi guardò Sua Maestà in cerca di conferme, di reazioni che però non arrivarono.
«No. Sono solo dicerie, ma le fonti mi sembrano sicure. Vegeta... mi stavi ascoltando? Hai capito quello che ho detto?» domandò quindi, ma Sua Maestà se ne stette lì per parecchi secondi, impassibile, con lo sguardo fisso di fonte a sé e l'aria imperscrutabile.
L'umiliazione che aveva subito dentro al palazzo di Kanassa bruciava ancora. Aveva dovuto dimostrare che in fin dei conti gli importasse di loro due, contro la sua volontà, dopo tutti gli sforzi che stava facendo per manifestarsi più cinico e menefreghista possibile.
Quindi quale migliore punizione se non dichiarare che li avesse tenuti deliberatamente all'oscuro?
«... lo sapevo già» annunciò, infine.

Calò un silenzio denso scandito solo dall'ululare di un vento pungente. La notte stava scendendo buia e fredda su Kanassa. Sopra di loro poche stelle, tante scie di astronavi che partivano e arrivavano.
Radish, accanto a lui, sembrò spogliarsi di ogni strato di rabbia. Rimase immobile, indecifrabile. Nessuna incredulità, solo un'annichilente presa di coscienza.
Nappa invece iniziò a balbettare e tremare. «C-come sarebbe a dire che lo sapevi già? Stai scherzando?»
Vegeta non rispose, scostò lo sguardo sui fitti boschi lontani per fingersi annoiato, ma nella sua vita non c'era spazio per la noia. Non quando uno dei suoi due sottoposti era Radish, troppo sveglio seppur troppo debole e stupido. «È stato quando siamo andati su Xandar, nove anni fa» esalò questi. Vegeta si voltò di scatto, Radish lo osservava con espressione vuota. «Lo sapevo... che era successo qualcosa. Sei stato diverso, da allora. Più incattivito, ancora più taciturno» nelle sue parole non c'era giudizio, né ira, né la buffonaggine che lo caratterizzava. Era freddo più del vento che gli pungeva le guance.
«E bravo!» Vegeta si sforzò di apparire beffardo, ma il volto di Radish lo inquietava. «Proprio lì».
«Quindi è vero? Ha distrutto il nostro pianeta?» ruggì Nappa, costringendoli a interrompere una battaglia fatta di occhiate taglienti. «E perché stiamo lavorando ancora per lui? Perché non abbiamo fatto perdere le nostre tracce e non abbiamo disertato?! Perché non-»
«Non mi interessa che abbia ucciso mio padre. Non mi interessa del pianeta» mentì Vegeta. Aveva sempre mentito, sin dalla notte in cui il pianeta era esploso. Non riusciva a fare altrimenti. «Quello che mi interessa è diventare forte, più forte di Freezer. E l'unico modo per farlo ora è lavorare per lui, acquisire potere e forza, ogni giorno di più. Al momento non ho possibilità di batterlo, ma un giorno sarò io a controllare l'intera galassia e governare al posto di Freezer». Quella, invece, non era affatto una bugia.
Il discorso era giunto al termine. Non avrebbe più accettato ingerenze, niente più balbettii e occhi svuotati. Niente di niente.
Si incamminò verso le navicelle senza guardarsi indietro, con la terribile sensazione di aver lasciato su quel pianeta una fetta della sua dignità, ma aver anche calpestato il proprio ruolo di sovrano. Una promessa solenne.
Ma, del resto, lui non sarebbe mai stato un vero sovrano.
Non doveva niente al suo popolo – tuttalpiù che il suo popolo fossero due persone soltanto - non doveva sincerità, non doveva assolutamente nulla. Non doveva lealtà a nessuno.
Ingoiò il sudiciume che avvertiva in gola e non ci pensò più. E anche quella era una bugia.

 



Un piccolo schiocco di energia lo colpì sul fianco. Non fece male, diede solo fastidio. Gli ricordò di dover stare più dritto, ma nel farlo il pesante libro che teneva in equilibrio sulla testa cadde a terra con un tonfo.
«Petto in fuori e mento alto, Vegeta. Ricordatelo» lo ammonì sua madre.
Vegeta ringhiò di frustrazione. «Queste cose sono noiose! Io voglio andare a combattere!»

La Regina scosse la testa con un sorriso beffardo. I suoi occhi neri riflettevano le luci calde della sala del consiglio reale, luogo di incontri privati per lo studio delle norme di comportamento.
«Se un giorno vorrai diventare un Re, non serve solo che tu sappia combattere. Anche l'immagine che dai al tuo popolo conta» spiegò lei, ma Vegeta era un bambino testardo. A quattro anni tutto ciò che aveva in mente era lottare nell'accademia della corte, compiere delle piccole missioni con la sua squadra di élite.
«Non me ne frega niente di quello che pensa la gente» ruggì, incrociando le braccia al petto.
Sua madre si avvicinò e raccolse il libro da terra, ma sostò inginocchiata per poterlo guardare dritto negli occhi.

«E in questo sbagli: è il popolo stesso che tiene in piedi un buon sovrano. E quindi non solo devi dimostrarti forte, caparbio, risoluto, austero. Ma devi essere ponderato, elegante, colto, devi dimostrarti degno di fiducia. Devi essere leale, se vuoi che la tua gente ti rispetti» disse, seria, con eleganza.
Vegeta inarcò un sopracciglio. Suo padre non gli aveva mai spiegato nulla del genere e, anzi, sembrava che quel pensiero andasse in netto contrasto con le politiche da lui operate. C'era anche da dire che il Re non fosse visto di buon occhio da tutti i Saiyan, ma Vegeta non pensava che fosse importante.

«Pensavo che essere temuto fosse più importante che essere rispettato» borbottò.
«Le due cose vanno di pari passo, Vegeta. Devi impegnarti, per essere un buon sovrano. L'impegno è tutto, in ogni ambito» spiegò lei e, dopo avergli passato una mano tra i capelli per mettere a posto quella frangia ribelle, posò di nuovo il libro sulla sua testa. «Anche se queste cose sono noiose» concluse con un ghigno, un angolo di labbro sollevato. Vegeta si sforzò di non farlo, ma rispose allo stesso modo.
Era un discorso sensato quello di sua madre, perché spesso lui la rispettava e la temeva molto di più di suo padre.

Vegeta voleva diventare come lei.
«Sì, madre» disse, solennemente. Petto in fuori e mento alto. Il libro non cadde. «Prometto che mi impegnerò».



Non era mai diventato come sua madre. Aveva imparato a stare nella posa conforme al decalogo del buon sovrano, era forte, caparbio, risoluto, austero, elegante. Ma non aveva mantenuto la promessa: non era mai stato leale.
Per quanto si sforzasse di credersi indifferente perché un popolo non ce l'aveva, infrangere quella promessa lo faceva sentire sporco.
Non era servito il sonno criogenico di tutti quei mesi, non era servito tentare di ignorare i suoi sottoposti, non era servito darsi delle giustificazioni.
E anche se Radish e Nappa non gli avevano voltato le spalle e non si erano mostrati meno fedeli rispetto al solito, Vegeta lo intravedeva: malcontento.
Non in Nappa, no. Lui era troppo poco profondo e troppo leccapiedi per mostrarsi contrariato.
In Radish invece lo vedeva con chiarezza nella sua mancanza di stupidità. Rideva di meno, si impensieriva di più. Si isolava più spesso, si infuriava. Non con lui, non si sarebbe mai permesso di fare una cosa simile. Ma era un fascio di nervi.
E se da un lato Vegeta era soddisfatto di vederlo uccidere e compiere efferatezze senza battere ciglio – e talvolta anche con più meschinità – dall'altro lato provava una sensazione di smarrimento nel vederlo così carico di odio.
Nei momenti morti se ne stava sempre lì, a rigirarsi lo Scouter tra le mani, ad ascoltare qualcosa tramite esso. Quasi sempre isolato, pensieroso. Niente più puttane a vorticargli intorno, niente più Sabaq, niente più ubriacature folli alle taverne.
A parere di Vegeta, insopportabile ancora di più di quando era insopportabile.


E così, otto mesi più tardi, Vegeta oltrepassò la soglia della sopportazione su un attracco ghiacciato. No, non gliene poteva fregare di meno che quel deficiente fosse pensieroso o arrabbiato – con lui, col mondo, chissenefrega! Gli dava fastidio quel costante ronzio proveniente dal suo Scouter, soprattutto quando stava cercando di mangiare il suo pesce in santa pace.
Vegeta gettò nel falò una lisca gigante e si avvicinò a Radish affondando nella neve compatta. «Si può sapere cosa diavolo ascolti tutto il giorno? Mi stai dando sui nervi!» ringhiò, stufo.
Nappa russò forte e si rigirò nel sacco a pelo.
Radish si sganciò lo Scouter dall'orecchio e se lo rigirò tra le mani per qualche secondo, ancora assorto nei propri pensieri.
Inaudito.
«E guardami in faccia quando ti parlo!» sbottò Vegeta, trattenendo a malapena l'istinto di sferrargli un pugno sul naso.
Radish eseguì subito l'ordine, senza remore, senza esitazione. Eppure continuava ad avere una faccia da cazzo diversa dal solito.
E c'era un motivo.
«Ci sarebbe una cosa... che vorrei che tu sentissi» disse infine.
Impossibile frenare la curiosità.
«Cosa sarebbe?»
Radish si alzò e con lo sguardo gli intimò di seguirlo più lontano, facendogli intendere che Nappa non avrebbe dovuto sentire.
Si incamminarono fuori dal bosco, tra i pini innevati, lontani dal falò. Era buio, ma la luna crescente illuminava lo spiazzo e si rifletteva sulle loro astronavi poco distanti, qualche animale selvatico tubava sui rami più alti.
Radish si fermò quando i loro stivali erano oramai zuppi di neve. Gli si posizionò davanti e, finalmente, attivò lo Scouter. Tra ronzii, e segnali acustici, una voce.
Era chiara, affannosa, accompagnata da urla di sottofondo. Era una donna.


Radish... Radish, sta succedendo... qualcosa. Sembra una palla di fuoco e... non ho molto tempo. Tuo padre... tuo padre l'aveva... Kaioh, lui aveva ragione... sono così grata che tu e Kakaroth siate lontani. Mi dispiace, mi dispiace, Radish, sii forte”.



 
Continua...

Riferimenti:
-Tutta la prima parte del capitolo è basata sull'episodio canonico di cui ho parlato qualche settimana fa. Ho modificato leggermente qualche dialogo e ho aggiunto la parte di Freezer che malmena Radish e Nappa, ma tutto il resto è abbastanza fedele.
-Nell'episodio, in Italiano, il pianeta Shikk è chiamato "Short" o qualcosa del genere. Ho preferito tenere la versione inglese. 
-Radish in DBS Broly dichiara di aver ricevuto un messaggio di sua madre, quando hanno annunciato l'esplosione del pianeta. Non è mai stato detto null'altro a riguardo, quindi mi sono presa la briga di inventarmi di sana pianta il messaggio.
-Non si è mai sentito parlare della madre di Vegeta nella serie, ma a me piace immaginarla. Nella mia testa si chiama Echalotte, e il bravissimo Giosuè Graci ha fatto una fanart su di lei per la mia storia "HAKAI". Eccola:


 

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente!
... ebbene, i nodi sono saltati al pettine - e sorprende che sia stato Nappa a tirarli fuori, visto che il pettine non lo usa (*badummm-chaaa*).
Il mio povero bimbo Radish T___T ci è rimasto malissimo che Vegeta non gli abbia detto niente T___T e piano piano sta cambiando anche lui, e anche lui ossessionato da Freezer e dal modo in cui ha distrutto il pianeta. Piccino, mi è venuto un po' da piangere a non fargli dire neanche una battuta scema, qui.
E, beh... manca solo un capitolo alla fine. Probabilmente qualcuno avrà capito dove voglio andare a parare. 
Spero davvero che possa piacervi. 
Grazie davvero a chi sta ancor aseguendo questa storia e in generale le mie pubblicazioni <3

Oggi voglio lasciarvi con una bellissima sorpresa! Crinns ha realizzato questa meravigliosa fanart ispirata al capitolo precedente:

 

... esatto, art ispirata alla litigata sotto la pioggia e a come la maggior parte di chi ha letto avrebbe voluto che si concludesse xD beh, beh, beh... dai, io non vi ho dato questa gioia, ma Crinns invece sì! Andate a seguirlə sulla sua pagina IG @crinns , perché realizza delle bellissime art :)
Grazie ancora di cuore, car
ə <3 la adoro troppo! 

Un abbraccio,
Eevaa



 
Nel prossimo capitolo!
Vegeta ci vide rosso.
«NON OSARE URLARMI IN FACCIA E RIBELLARTI A ME, INUTILE TERZA CLASS-»
«VOGLIO SOLO AIUTARTI!» l'urlo di Radish rimbombò per la radura innevata, fin sopra le cime degli alberi.
Uno stormo di volatili di medie dimensioni si librò in volo verso la luna crescente.
A dispetto di quello che avrebbe voluto fare, Vegeta si ammutolì.

 

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Capitolo 9
*** Giorni di sole ***


Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.


 


- MERCENARI -

Capitolo 9
Giorni di sole



Radish... Radish, sta succedendo... qualcosa. Sembra una palla di fuoco e... non ho molto tempo. Tuo padre... tuo padre l'aveva... Kaioh, lui aveva ragione... sono così grata che tu e Kakaroth siate lontani. Mi dispiace, mi dispiace, Radish, sii forte”.


L'esplosione che si avvertì subito dopo gli provocò la pelle d'oca. Non per il freddo di quel pianeta coperto di neve e ghiaccio, ma per aver udito per la prima volta con le proprie orecchie gli ultimi suoni del suo pianeta, le ultime voci, le ultime grida di battaglia.
Gli si mozzò il fiato, tradì ogni buon proposito di risultare indifferente mentre Radish lo fissava dritto negli occhi, a testa alta, senza distogliere lo sguardo.
Stettero in silenzio per qualche istante, mentre i ronzii dello Scouter si spegnevano e rimaneva solo il suono di alcuni animali notturni del pianeta.
«Mia madre. Questo è l'ultimo messaggio che mi ha inviato... non l'ho più ascoltato da quella notte, sai...» parlò Radish. «Non so come, mio padre lo sapeva. Beh, non avevo mai capito cosa mia madre volesse dirmi in quel momento. Ma ora lo so. So perché sono morti».
Il suo tono di voce era contaminato, diverso. Niente di simile all'allegria disarmante e insopportabile che l'aveva caratterizzato per anni.
Vegeta sostenne lo sguardo, ma se ne stette in silenzio.
«E so anche che mio fratello si trova là fuori da qualche parte. E forse... forse potrebbe unirsi a noi» aggiunse Radish.
«Tuo fratello?» Vegeta sollevò un sopracciglio. «Lui era un Saiyan di bassissimo livello».
«Anche io lo sono. Ma sono migliorato... e, anche se dovesse servire a poco, un altro Saiyan con noi potrebbe essere utile».
Aveva persino senso, quello che stava dicendo quell'idiota. Ricordava di aver visto il fratello di Radish appena nato e non sembrava per nulla forte. Ma era comunque più promettente di Tarble. E, soprattutto... non gliene fregava niente di quel Kokaroth, Kairoth o come diavolo si chiamava. Avrebbe potuto unirsi a loro per dare una mano e morire dopo due giorni, per quanto gli riguardava.
«... sai dove si trova?» domandò Vegeta.
«Sì, grazie ai file che hai raccolto su Xandar, mentre tu evidentemente non stavi solo cercando tuo fratello» borbottò Radish, e per la prima volta dall'inizio di quella conversazione distolse lo sguardo. Vegeta ebbe la tentazione di tirargli il collo, oppure fare fuoco e fiamme e sciogliere tutta la neve nei paraggi. Non lo fece. «Beh, ne ho approfittato per cercare il mio... ho letto di una navicella che è partita la notte prima dell'esplosione, diretta al Pianeta Verde 877. Probabilmente mio padre aveva sospettato che stesse per accadere qualcosa e l'ha mandato in missione. Ad ogni modo... posso andare lì, convincere Kakaroth a unirsi a noi, mentre voi continuate a lavorare».

Sarebbe stata una mossa però rischiosa, questo era chiaro per entrambi. Ai soldati membri dell'Esercito di Freezer non era consentito partire per missioni private senza consenso firmato. Se qualcuno si fosse accorto della mancanza di Radish avrebbero potuto fare questioni. Sia a lui che a loro, se l'avessero coperto.
«Dovrai stare via molti mesi». Vegeta ribadì l'ovvio, ma Radish non sembrò darsi per vinto.
«Se tanto mi dà tanto per qualche mese non avremo missioni per l'ammiraglia o con quei figli di puttana di Zarbon e Dodoria, ma per sicurezza toglierò la traccia alla mia nave, la hakererò, così che Freezer non veda dove sto andando. Ma se dovesse scoprirmi, beh... dite pure che ho disertato, me ne assumo le responsabilità».
Sua Maestà alzò gli occhi al cielo e allargò le braccia. Valeva davvero la pena rimetterci potenzialmente la pelle per andare a recuperare un inetto che non sapevano nemmeno se fosse in grado di combattere?
«Perché diavolo vuoi fare questa cosa?»
«Perché... voglio vendicarmi» mormorò Radish, stringendo tra le mani lo Scouter. Tremava, ma non per il freddo, Vegeta poteva scommetterci l'astronave. «Voglio avere ogni possibilità in più per poter sconfiggere quello stronzo che ha distrutto il nostro pianeta. Se avessi saputo prima questa cosa, forse-»
«Forse cosa, Radish?» lo interruppe, compiendo un passo in avanti. Lo fronteggiò a brutto muso, prendendolo per il bavero. «Ti saresti allenato di più? Non importa quanto ti alleni, rimarrai comunque un debole. Tu non riuscirai a farlo. Non sarai tu, e non sarà quel pezzo di merda di tuo fratello ad aiutarmi a sconfiggere Freezer. Sarò IO a ucciderlo» ribadì, violento, meschino. «Tu non hai possibilità. Neanche un-»
«LO SO, DANNAZIONE!» sbottò questi e, con uno scatto d'ira, gli strappò via la mano dall'armatura.
Vegeta ci vide rosso.
«NON OSARE URLARMI IN FACCIA E RIBELLARTI A ME, INUTILE TERZA CLASS-»
«VOGLIO SOLO AIUTARTI!» Il suo urlo rimbombò per la radura innevata, fin sopra le cime degli alberi. Uno stormo di volatili di medie dimensioni si librò in volo verso la luna crescente.
A dispetto di quello che avrebbe voluto fare, Vegeta si ammutolì. E fu come al solito Radish a blaterare, a dare l'ennesima fottuta dimostrazione di quanto fosse insopportabilmente leale. Molto più leale del suo sovrano.
«Te l'avevo detto, quando eravamo bambini... che un giorno l'avremmo sconfitto insieme. E ti avevo promesso anche che avrei combattuto per te fino alla morte, ed è quello che ho intenzione di fare, anche se ci fosse una sola piccola, piccolissima possibilità».


«Qualunque cosa, la nostra devozione verso di te rimarrà la stessa. Sei il maggiore esponente di ciò che resta di noi. Re o Principe, ti rispetterò e combatterò per te fino alla morte».


«Promessa solenne, Maestà: diventeremo grandi. E fortissimi. Diventeremo i migliori... cioè, tu il migliore, io dopo di te, ovvio. E lo sconfiggeremo, uccideremo quel bastardo nel peggiore dei modi. Ci prenderemo quello che ci spetta. Ti prenderai un esercito, un trono o un impero, quello che è. Io mi prenderò un saaacco di soldi e con quei soldi un saaacco di astronavi. Ok? Ci stai?»



Ricordi vividi di un'infanzia passata a fare i mercenari per uno stronzo. Un'infanzia in cui Vegeta era quello che taceva e Radish quello che parlava, parlava e blaterava in continuazione, mentre Nappa portava pazienza e si assicurava che non finissero nei guai. E non era cambiato niente, nulla da allora, se non che fossero cresciuti e portassero sulle spalle una verità scomoda, pesante, una vita passata fuori dalle orbite planetarie, con la testa tra le stelle e nel petto buchi neri.
Assassini, seppur in modo differente.
Vegeta aveva dubitato della lealtà dei suoi sottoposti tutta la vita, ma senza alcuna giustificazione. Fino a prova contraria era lui che quello che aveva voltato loro le spalle, era lui quello che teneva i segreti. Era lui che non era stato un bravo sovrano, e non loro che erano stati un “popolo” sleale.
Gli faceva male, non sopportava di caricarsi la spina dorsale di quella consapevolezza.
Si voltò e scosse il capo, scrutando l'orizzonte e la neve brillante.
«Mi dai il permesso di andare?» mormorò Radish.
Avrebbe dovuto dirgli di scordarselo, che non si fidava di lui abbastanza per mandarlo via per tutto quel tempo e così lontano. Ma era una bugia. Era purtroppo molto conscio del fatto che Radish sarebbe sempre tornato, con o senza suo fratello, e che non avrebbe mai disertato. Non avrebbe mai violato la sua promessa.
«Permesso accordato» mormorò quindi, tornando a fissarlo negli occhi. Si rese conto solo in quel momento che in ventisei anni di vita non si fosse mai allontanato da Radish e Nappa, ma si rifiutò di pensare a cosa implicasse. Si rifiutava di pensare che Nappa fosse una sorta di patrigno e Radish fosse quanto di più simile a un amico. Vegeta non aveva amici. Respingeva la sola idea. «Recupera quell'essere inutile, anche con la forza, se necessario. Minaccialo, fa' ciò che vuoi. Non accetterò un no da parte sua. Se opporrà troppa resistenza, uccidilo».

Radish annuì. «Sarà fatto. Tornerò il prima possibile». Nonostante tutto non sembrava così entusiasta. Erano mesi che non era più entusiasta e casinista.
Si fissarono per qualche secondo, poi il deficiente parlò di nuovo. «Vegeta, lo sai che devo chiedertelo».
«Che altro c'è?» grugnì. Sapeva cos'altro ci fosse, e non lo voleva affrontare.
«Perché non mi hai detto niente? Di Freezer».
Non lo sapeva affrontare. Non aveva le risorse emotive, non sapeva chiedere scusa, non sapeva ammettere nemmeno a se stesso che avesse commesso un errore.
Lui non sapeva fare altro che fare del male. Sapeva solo uccidere, sapeva solo tendere la mano per distruggere. E quindi distrusse.
«Da quando in qua sei tu che devi essere a conoscenza dei dettagli, Radish? Se non te l'ho detto vuol dire che non mi fregava assolutamente niente di quello che pensavi a riguardo. Come non me ne frega ora» sibilò.
Distrusse qualcosa e non se ne accorse, non subito. Non gliene fregava niente degli occhi di Radish che si incupivano ancora di più, più di quanto non avessero già fatto nei mesi precedenti.
«Solo... si trattava del nostro pianeta. Pensavo che mi fossi meritato di sapere la verità».
Il Principe sussultò. Il suo sottoposto parlava di merito. Aveva meritato la verità? La risposta affermativa però Vegeta la cacciò in un angoletto del cranio, affogata nel veleno che un bastardo come lui sapeva sputare. Era diventato come i serpenti che tanto odiava.
«Ora ti metterai a frignare come il debole che sei?» gli soffiò dritto in faccia, con un sorriso meschino, senza nemmeno comprendere che si stesse distruggendo da solo. «Smettila di perdere tempo e vattene».
Radish sostenne lo sguardo. Non c'era stata mai una volta in cui avesse smesso di affrontarlo. Testardo, orgoglioso lo era anche lui. E, anche se Vegeta nei suoi occhi poteva cogliere una crepa, lo vide sforzarsi di non tremare.
«Agli ordini, Maestà» mormorò, col mento alto, una riverenza che non gli apparteneva. Poi, dopo un accenno di inchino, si allontanò a passi ampi nella neve.
Qualcosa, una sensazione gli suggerì di inseguirlo, di fermarlo. Non si ascoltò.
Vegeta non si mosse, lo guardò sparire dietro il vetro rosso della navicella e salpare verso il firmamento, lontano, tra le stelle.
Rimase lì, con gli stivali zuppi di neve e il freddo nelle ossa, tra le macerie invisibili dell'ennesima cosa che aveva rotto, ignaro che sarebbero state macerie che si sarebbe portato dietro per anni a venire.


 
 


Il portellone della sala controlli si aprì, e Vegeta osservò Nappa entrare. Lanciò un'occhiata a chi ci fosse con lui e sollevò un sopracciglio. Cosa diavolo?
«Maestà, questo è il tuo nuovo compagno di squadra. Sì, è di Terza Classe, ma posso assicurarti che è forte più di altre inutilità, qui dentro» spiegò.
Un moccioso tutto capelli e niente muscoli alzò un braccio ed elargì un sorriso a trentadue denti.
«Ehi, Altezza!» lo salutò, con uno strano entusiasmo.
«?!» Vegeta sussultò e arricciò il naso. Un Saiyan che sorrideva in quel modo idiota?!

Nappa strabuzzò gli occhi e, dopo avergli afferrato quella testa piena di capelli, lo costrinse a un inchino violento.
«Inchinati, razza di deficiente!»
«Oh, sì, scusa, scusa, Altezza!» Il bambino – che non doveva avere più di un anno in più di lui – si divincolò e iniziò a trotterellare in giro per la sala controlli. «Ma che figata di posto è mai questo? Wow, non ero mai salito su un'astronave così grande! Ah, non vedo l'ora di andare a conquistare qualche pianeta, Altezza. Ehi, aspetta, posso chiamarti Vegeta, vero?» domandò, irruente.
Vegeta spalancò la bocca di fronte a tanta maleducazione, ma non ne uscì alcun suono. Più quel ragazzino parlava, più a lui si bloccava il fiato in gola. Non aveva mai visto nessun Saiyan così... idiota!

«...»
«PORTA RISPETTO, MOCCIOSO!» abbaiò Nappa, prendendolo per la collottola e ringhiandogli in faccia, prima di sbatterlo con violenza con il sedere a terra. Si rivolse poi al Principe con estrema riverenza. «Lo perdoni, Maestà. Io l'avevo detto al Capitano Bardack di insegnargli un po' di educazione... che famiglia di bifolchi!»
Vegeta incrociò le braccia al petto e osservò quello strano ragazzino iperattivo rialzarsi e scollarsi la polvere di dosso. Poi, come se si stesse rivolgendo all'ultimo dei soldati dei bassifondi, elargì un altro sorriso vergognosamente largo.

Nessuno prima di quel momento si era rivolto a lui in quel modo inappropriato. Eppure... non lo fece arrestare.
«Oh, che scemo, è vero: non mi sono presentato! Il mio nome è Radish!»



Un rumore sordo, soffocato. Un gemito, poi più nulla. Solo il segnale acustico dello Scouter che annunciava di essere stato scollegato dal proprietario.
Vegeta fissò il vuoto di fronte a sé, seduto su quel tronco, in una giungla torrida e inospitale. Gli mancò il respiro, ma non disse nulla. Il crepitio del falò l'unico suono che gli rimbombava nella mente, insieme alle ultime parole appena udite nel collegamento.
Non poteva credere che fosse successo.
Nappa, seduto accanto a lui, tremò abbastanza da far vibrare quel tronco. «Quell'incapace di Radish... è stato sconfitto» ruggì. Vegeta poteva sentire il suo sgomento, sebbene Nappa si sforzasse di non manifestare dispiacere. Lo si sentiva, che fosse scosso.
Ma lui voleva essere migliore di Nappa. Lui non voleva dare a vedere niente se non cinismo, freddezza, distacco. Sentiva qualcosa ardere dentro di sé, la rabbia, la furia. Decise di trasformarla in disprezzo.
«Che vergogna. Ucciso da combattenti così infimi!» riuscì solo a dire. Uscì un tono di voce che non sembrava neanche il suo.
Nappa scosse la testa e sospirò. Vegeta provò disgusto per lui, quando lesse tristezza nei suoi occhi.
«Possiamo farlo rivivere tramite quelle sfere magiche, no?»
Sì, almeno poi potrò rispedirlo all'Altro Mondo io, a calci, avrebbe voluto rispondere. Spinse quel desiderio giù per l'esofago. Spinse il pensiero di riportarlo in vita via dalla sua vista, sebbene volesse.
Rinunciò a farlo resuscitare solo per orgoglio, per dispetto. E si mise al primo posto, di nuovo. Mise la propria bramosia di potere di fronte a ogni cosa, com'era sempre stato abituato a fare.
«Dico, stai scherzando?! Userò quel drago per diventare il padrone indiscusso dell'universo e uccidere Freezer. Forza, spegni il fuoco e preparati» disse, alzandosi di scatto da quel tronco. Aveva bisogno di un momento per distendere i nervi, da solo. «Andiamo sulla Terra».


Qualcosa andò storto. In lui.
Qualcosa di inevitabile. Un'esplosione incontrollata. Una rabbia repressa con troppa forza che, dopo una lotta interiore sanguinosa, esce da ogni poro della pelle.
Il castello di carte crollò, lui si accartocciò su se stesso tra la vergogna per quello che gli stava accadendo e disperati vani tentativi di trattenersi.
«Ngh... gh» mugugnò, prendendosi la testa tra le mani. Non si era mai arreso in vita sua, quel giorno non riuscì. Si infiammò di luce incandescente, avvertì la pelle bruciare, gli occhi pesanti, lucidi, annebbiati. Non riuscì a trattenersi. «ARRRRGH!» urlò al cielo verdastro di quel pianeta. Le piante intorno a lui si infiammarono, i rami scossi da un forte vento. La rabbia uscì tutta insieme, forte, dirompente.
«Idiota. Inutile. Terza classe!» gridò, iniziando a prendere a pugni il terreno. «Stupido! STUPIDO!» urlò di nuovo, con gli occhi che pizzicavano. Aveva pianto una volta sola, in vita sua. Ed era stata quella lontana notte dell'esplosione.
Non voleva farlo di nuovo, non poteva permettersi di piangere. Non per così poco. Non perché quel cretino, imbecille, deficiente si era fatto ammazzare pur di compiere quella missione.

«Combatterò per te fino alla morte».

Vegeta si portò una mano alla bocca quando avvertì un conato salirgli lungo l'esofago, ma a nulla servì. Vomito saliva e bile. Vomitò rabbia.
Alla fine era accaduto sul serio. Radish era morto. Per servire lui, per aiutarlo a diventare più forte, per aggiungere alla squadra un nuovo membro per combattere.
«Stupido, debole, inetto! AVEVI DETTO CHE SARESTI TORNATO! NON SEI STATO NEMMENO IN GRADO DI TORNARE!» urlò di nuovo, come se Radish potesse sentirlo. Un vano tentativo di mascherare tutto con l'odio. «IMBECILLE!» gridò e si sentì imbecille anche lui a sentirsi in quel modo. A sentirsi male solo per la perdita di un sottoposto. A sentirsi in difetto per averlo mandato a morire vomitandogli addosso tutto il suo odio, per averlo umiliato. Perché le ultime parole che gli aveva detto erano state bugie.
Vegeta era sempre stato un bugiardo. E scelse di continuare, venendo meno alla promessa fatta a sua madre. Sleale fino in fondo, mostro, mercenario. Mai sovrano, solo un Principe senza regno e con un suddito in meno.
Pregò il cielo che Nappa non avesse sentito nulla di tutto ciò. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Si costrinse ad alzarsi, a trasformare il dolore che sentiva in qualcos'altro, a qualcosa che sapeva gestire molto meglio.
«Ucciderò tutti» ringhiò e strinse i pugni davanti a sé. Avrebbe ucciso quel namecciano, avrebbe ucciso il nipote di Radish e tutti gli altri Terrestri. E se avessero resuscitato anche Kakaroth, avrebbe ucciso anche lui. Era tutta colpa di quel maledetto stronzo che non aveva accettato di unirsi a loro. «Vi ucciderò tutti. Dal primo all'ultimo» promise a se stesso.
Solo a se stesso. No, non l'avrebbe fatto per vendicare Radish, neanche un po'.
Perché lui era Vegeta, ed era bravo a mentirsi.
Si ricompose con due profondi respiri. Aveva una missione da compiere: sterminare tutti i terrestri.



 
- Epilogo -



Il ronzio dell'astronave gli trapanava il lobo frontale. Grugnì e si rigirò per l'ennesima volta, fuori dall'oblò c'era solo pulviscolo cosmico e costellazioni lontane.
La sveglia al suo polso suonò, e lui trattenne una bestemmia tra i denti. Non aveva chiuso occhio.
Aveva passato tutta la notte col mal di spazio.
Vegeta non sopportava stare sulle astronavi. Gli faceva ricordare un conto in sospeso. Radish era il suo mal di spazio personale. Una delle tante persone con cui aveva sbagliato, nella vita. Una delle persone che gli pesavano sulla coscienza da quando aveva imparato a mentirsi di meno.
Fruscio di lenzuola. Dalla brandina più alta calò un sorriso a testa in giù, stropicciato. Su una guancia rosea il segno del cuscino.
«Buongiorno, Vegeta!» trillò il cretino, con un occhio mezzo chiuso e mezzo aperto e un mare di capelli neri scompigliati.
«Ehi» mugugnò in risposta, mettendosi a sedere.
Kakaroth balzò giù dal letto con una piroetta, ma perse l'equilibrio. Perché era un deficiente, e ancora non sapeva adattarsi ai viaggi in astronave.
Eppure, nonostante fosse scemo, non gli sfuggivano i dettagli.
«... non hai dormito neanche stanotte!» borbottò questi. I dettagli erano senza dubbio le sue occhiaie.
Vegeta non trovò il coraggio di riflettersi nello specchio, sapeva di avere una faccia da schifo.
«No. Lo sai che soffro di mal di spazio» ribadì per l'ennesima volta. Non era la prima volta che viaggiavano insieme in astronave, per recarsi in qualche pianeta lontano. Quando Whis non aveva voglia di accompagnarli perché preferiva rimanere sulla Terra a strafogarsi di cibo.
«Ok, ho già capito che mi aspetta una giornataccia. Sai, diventi giusto un poco intrattabile quando non dormi! Più del solito!» ridacchiò l'idiota, facendogli l'occhiolino.
Aveva la stessa risata asina di suo fratello.
Forse era quello il motivo per cui l'aveva tanto odiato. Uno dei tanti.
Oltre al fatto che l'avesse umiliato, superato, poi persino salvato. Tante cose. Una era la risata.
Kakaroth non somigliava quasi per niente a Radish, ma in quello sì.
L'aveva odiato anche perché pensava che Radish fosse morto per colpa sua, ma ancora faticava ad ammetterlo a se stesso.
Poi, beh, aveva capito che Radish non fosse solo un peso sulla sua coscienza, ma altro sangue sulle sue mani. L'aveva ucciso lui. Vegeta l'aveva mandato a morire e non l'aveva mai riportato indietro, pur avendone la possibilità.
Avrebbe potuto. Lo avrebbe meritato. Al contrario di tutte le bugie che gli aveva detto, Radish si sarebbe meritato molto meglio, molto di più di una fine del genere. Molto di più delle parole velenose che gli aveva vomitato addosso l'ultima volta che si erano visti.
Quell'ultima conversazione che avevano avuto era ciò che pesava di più sulle sue spalle, oltre al fatto di non aver detto a lui e a Nappa la verità sull'esplosione. Loro lo avrebbero meritato.
Anche Nappa avrebbe meritato un destino migliore, e invece era diventato il capro espiatorio della sua rabbia. L'aveva ammazzato solo perché si sentiva arrabbiato, frustrato, e se ne era pentito.
E Radish, beh... Vegeta oramai aveva fatto pace da diversi anni col fatto che fosse stato come un fratello per lui. Erano stati cresciuti insieme fin da mocciosi.
Era suo amico, mentre lui non lo era mai stato. Aveva sempre detto di non averne avuti di amici, prima della Terra. Non era vero. Era lui che non era mai stato amico di nessuno, ma amici ne aveva avuti. Due. Nappa e Radish. Ma, se proprio doveva essere sincero con se stesso – oramai aveva imparato – Radish lo era stato un po' di più.

«Vegeta? Non dirmi che ti sei offeso!» Kakaroth interruppe il vorticare dei suoi pensieri verso un passato troppo oscuro.
«No. Tu diventi intrattabile quando hai fame. Siamo pari» rispose, con un mal di testa oramai galoppante.
Kakaroth era suo amico. E per la prima volta lui aveva ricambiato quel sentimento, si era dovuto impegnare per farlo, era stato un lungo percorso, ma alla fine aveva ceduto. Aveva imparato a non mentirsi.
E aveva imparato a essere leale, proprio come aveva promesso a sua madre. Era temuto dai suoi nemici, rispettato dal suo popolo – dalla sua famiglia.
Era riuscito a coronare il suo sogno di quando era bambino: trovare un pianeta bello quanto Vegeta-Sei, con tanti laghi, il mare, le montagne, le stagioni, gli animali. Ma non un posto per fondare un regno, ma un posto in cui godersi la quiete e il silenzio. Niente più urla dei nemici, ma solo l'eco delle risate dei suoi figli e di chi amava.
Aveva sconfitto Freezer, si era divincolato dal suo gioco di oppressione, e avevano liberato lo spazio dal suo impero. Anche se sapeva fosse ancora in giro in qualche galassia lontana lontana per i suoi loschi affari.
Vegeta non sopportava che fosse ancora vivo, ma si era liberato da quel desiderio di vendetta da tempo. Aveva fatto pace con la maggior parte del suo passato. Non era più un mercenario.
Era diventato una persona migliore, nonostante l'enorme peso che avvertiva sulla coscienza.
Era partito per la Terra per ucciderli tutti, e invece i Terrestri avevano ucciso lui. Metaforicamente. Avevano ucciso lo spietato aguzzino, l'avevano corroso fino a lasciarlo nudo, scoperto.
Fino a quando si era accorto che una volta aveva conosciuto cosa fosse la pietà, cosa fosse la gioia. Che sotto i suoi strati di menzogne ci fosse un'altra persona. Vegeta IV, quello vero e migliore.
«A proposito, quando arriviamo? Io ho fame e mi sto annoiando a morte. Quanto manca a questo pianeta? Giuro che se non hanno qualcosa di decente da mangiare...» e una serie di bla bla bla che Vegeta non riuscì più nemmeno ad ascoltare. Forse anche in quello era simile a suo fratello. «... che poi, voglio dire, mai una volta che Whis si degni di trasportarci in questi posti dimenticati dagli Dei. Io mi annoio sulle astronavi, tu avrai anche mal di spazio, ma anche io non è che mi stia divertendo a mangiare solo carne liofilizzata e pesce in sacchetti metallici. Urcaaa, voglio sgranchirmi le gambe e-»
«Per l'amore dei Kaioh, chiudi quella bocca un secondo, Radish!» sbottò Vegeta.

Se ne accorse solo dopo aver sputato fuori quel nome, dell'errore commesso. Un lapsus. Aveva pensato troppo spesso a lui, in quelle notti. Lo faceva sempre, quando era tra le stelle. Un pensiero costante, una risata stupida in mezzo a tutte le urla nella sua testa.
Kakaroth spalancò gli occhi, esterrefatto. E finalmente chiuse il becco. Si sedette sulla brandina al suo fianco, continuando a fissarlo con quell'espressione da stoccafisso e niente più parole.
Vegeta si sentì osservato, in imbarazzo, stranito nel pronunciare quel nome per la prima volta dopo decenni. «Diamine, se avessi saputo prima che bastava chiamarti con il nome sbagliato per farti stare in silenzio...» borbottò, per stemperare la tensione.
Kakaroth si strinse nelle spalle e lo fissò sotto a quel ciuffo di capelli ridicoli. Forse erano più corti, ma anche in quello un poco gli somigliava. E anche quando si addormentava nei posti più disparati nelle situazioni più ridicole. In quanto all'intelligenza... beh, Bardack e Gine avevano finito i geni con il primogenito.
Vegeta però ringraziava il cielo che Kakaroth non avesse ereditato anche la passione per l'alcol e la prostituzione.
Trattenne un sorrisetto al pensiero, ma continuò a sostenere lo sguardo confuso del deficiente.
«Non mi hai mai raccontato nulla, di lui...» esalò Kakaroth, curioso.
«Questo perché non ho nulla da dirti». Mentiva, ma sapeva di mentire.
Kakaroth sorrise e scosse il capo.
«... sai, dopo tutto questo tempo credo di avere imparato a capire quando menti».
Vegeta strinse le labbra.
Sperava che anche Radish l'avesse capito. Che mentiva. Quando gli aveva detto che non valeva niente, che non era importante, che non gli importava nulla di lui e di quello che pensasse. Che fosse inutile, debole. Sperava che Radish l'avesse conosciuto abbastanza bene per smascherare le sue bugie.
Non avrebbe mai avuto occasione di saperlo, o anche solo di dirgli cosa pensasse veramente, ma quella storia gli aveva insegnato qualcosa, in fin dei conti.
A non ripetere gli stessi errori, ora che ne aveva occasione.
Il destino aveva voluto dargli una nuova possibilità di riscattarsi, essere migliore, almeno per l'altro fratello. Essere più grato. A essere un amico almeno per uno dei due.
Vegeta sorrise un poco. Aveva imparato a farlo. E, anche se la vita del mercenario era oramai lontana, sapeva che ci sarebbe stato sempre qualcosa, un ricordo, un profumo, un suono a ricordargli di quei momenti, a rammentargli che in mezzo a tutta la merda che aveva vissuto, c'erano stati anche giorni di sole.
«Visto che ti annoi... ti insegno a giocare a Sabaq».



 
𝐹𝒾𝓃𝑒.


Riferimenti:
-Il dialogo tra Vegeta e Nappa quando scoprono della morte di Radish è stato leggermente tagliato rispetto alla scena dell'anime.
-La scena finale con Kakaroth non è presa da nessuna saga in particolare di DBS, ma si è visto anche nella saga di Granolah che viaggino in astronave insieme.
-Beh, ovviamente avrete notato l'immensa differenza tra il Vegeta di questa storia rispetto all'ultima scena. Ho voluto inserirla appositamente per dare un grosso contrasto. Tutti conosciamo il suo percorso osservato in tanti anni di saghe canoniche :D

ANGOLO DI EEVAA:
Beh, beh, beh... siamo giunti proprio alla fine.
Quanto vi ha fatto strano leggere del Vegeta contemporaneo, dopo tutta la stronzaggine di questa storia? :D non vi dico scriverlo, l'effetto che fa!
Non un finale allegro, non per Radish almeno (anche Nappa, però...). Del resto lo sapevamo tutti che avesse fatto questa fine, ma... ecco, non mi immaginavo grossi abbracci e baci alla sua partenza per la Terra. Tutto il contrario, quindi... povero il mio patatone. 
Ma non temete, ho posto rimedio a tutta questa sofferenza in Across the universe!
E... a proposito di Across the universe...

State collegati, perché prima di salutarci per la pausa estiva domenica prossima pubblicherò l'ultima OS, il gran finale di tutta la saga! :D che, come da tradizione Beatlesiana, si intitolerà “I want to hold your hand”.
Vi aspetto :)


Grazie di cuore a chi ha letto questa storia, a chi mi ha lasciato anche un parere e anche solo chi è stato silenzioso dietro le quinte! Vi abbraccio tutti!
Eevaa


 

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