Il mistero del “Mariposas” – quando le farfalle prendono il volo di Ivy001 (/viewuser.php?uid=1071053)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 5: *** 4 Capitolo ***
Capitolo 6: *** 5 Capitolo ***
Capitolo 7: *** 6 Capitolo ***
Capitolo 8: *** 7 Capitolo ***
Capitolo 9: *** 8 Capitolo ***
Capitolo 10: *** 9 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 10 Capitolo ***
Capitolo 12: *** 11 Capitolo ***
Capitolo 13: *** 12 Capitolo ***
Capitolo 14: *** 13 Capitolo ***
Capitolo 15: *** 14 Capitolo ***
Capitolo 16: *** 15 Capitolo ***
Capitolo 17: *** 16 Capitolo ***
Capitolo 18: *** 17 Capitolo ***
Capitolo 19: *** 18 Capitolo ***
Capitolo 20: *** 19 Capitolo ***
Capitolo 21: *** 20 Capitolo ***
Capitolo 22: *** 21 Capitolo ***
Capitolo 23: *** 22 Capitolo ***
Capitolo 24: *** 23 Capitolo ***
Capitolo 25: *** 24 Capitolo ***
Capitolo 26: *** 25 Capitolo ***
Capitolo 27: *** 26 Capitolo ***
Capitolo 28: *** 27 Capitolo ***
Capitolo 29: *** 28 Capitolo ***
Capitolo 30: *** 29 Capitolo ***
Capitolo 31: *** 30 Capitolo ***
Capitolo 32: *** 31 Capitolo ***
Capitolo 33: *** 32 Capitolo ***
Capitolo 34: *** 33 Capitolo ***
Capitolo 35: *** 34 Capitolo ***
Capitolo 36: *** 35 Capitolo ***
Capitolo 37: *** 36 Capitolo ***
Capitolo 38: *** 37 Capitolo ***
Capitolo 39: *** 38 Capitolo ***
Capitolo 40: *** THE END ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
CIAO
A TUTTI, RIECCOMI CON UNA NUOVA FANFICTION, STAVOLTA DAI
TRATTI DI UN VERO E PROPRIO GIALLO, CON LA SPARIZIONE DI UNA DONNA E LE
INDAGINI
CONDOTTE DA ISPETTORI CHE ERAVAMO ABITUATI A CONOSCERE CON I PANNI DI
RAPINATORI.
SPERO
VI PIACCIA.
BUONA
LETTURA… ATTENDO DI SAPERE COSA NE PENSATE PERCHE’
QUESTO
MONDO CHE RACCONTO NON HA NULLA A CHE VEDERE CON LA TRAMA DE
“LA CASA DI CARTA”
BESITOS
A TODOS
Prologo
2.00
a.m.
Madrid, 3 settembre
È
notte fonda quando il cellulare dell’ispettore Santiago Lopez
vibra con insistenza,
costringendolo a mettersi in piedi.
Un
uomo sui quaranta, alto e di importante stazza, indossa le sue babbucce
e, borbottando
qualcosa di poco comprensibile, afferra l’IPhone posto sulla
scrivania, collegato
ad un caricabatterie.
Ad
occhi ancora assonnati, cerca di mettere a fuoco il nome del
disturbatore che
manderebbe volentieri a fanculo.
Non
appena appura di chi si tratta, inizia a pentirsi di aver sperato in un
comune
sconosciuto. Se così fosse stato, avrebbe semplicemente
riattaccato per poi
tornare a letto.
Però
quella persona richiama all’ordine e la sua insistenza
è una chiara urgenza di
lavoro.
Augustin
Ramos.
“Commissario,
mi dica!” – risponde, cercando di mostrarsi quanto
più sveglio possibile.
La
voce scattante dell’uomo dall’altro lato della
cornetta è quella di chi ha
bevuto dieci tazze di caffè per evitare al sonno di
dominarlo - “Lopez, ti
voglio al commissariato quanto prima!”
“Di
cosa si tratta?” – domanda Santiago, preparandosi
psicologicamente alla nuova
missione.
“Vanno
condotte indagini sulla scomparsa di una donna! Ho appena contattato
mio figlio
Daniel. Affido a voi due la risoluzione del caso! Fa’ presto,
così ti spiego
nei dettagli, di persona”
Con
quell’ordine, l’uomo riaggancia, costringendo
Santiago a svegliarsi in fretta e
dire addio alle ore di riposo.
***************************************
“Ecco
qui… trattasi della signorina Raquel Murillo, abbiamo alcune
sue immagini!” –
Augustin mostra ai due incaricati del caso quanto raccolto a poche ore
dalla
denuncia.
“Insomma,
diceva che a denunciarne la scomparsa è stato il
proprietario del Night Club?”
“Esattamente.
L’uomo è Martin Berrotti ha telefonato intorno
alle 2.00, poco prima che
contattassi te, Lopez! Raccontava che una delle sue spogliarelliste era
scomparsa
nel nulla. Al momento si trova qui in Commissariato, è lui
ad avermi consegnato
queste foto!”
“Papà,
come mai non sapevo nulla di questo posto? Noto con piacere che
c’è un gran bel
vedere” – commenta Daniel, ricevendo subito dopo
una sberla sulla nuca dal
genitore.
“Bene,
direi che è bene capirci di più su questo Night
Club…” – interviene nuovamente
Santiago – “ Come hai detto che si chiama quel
posto?”
“E’
il “Mariposas””
“Che
cazzo di nome è?” – impossibile non
commentare per Daniel che, a quel punto,
viene rimproverato dal genitore.
“Un
po' di concentrazione, santo cielo! Stiamo parlando di qualcuno che
può essere
stato addirittura sequestrato”
“Stavo
scherzando, era per sdrammatizzare un po'”
“Idiota,
la faccenda è seria. Ti pare il caso di fare
dell’ironia?”
Colto
il messaggio forte e chiaro, il ragazzo si ammutolisce e si limita ad
eseguire gli
ordini paterni.
“Forza,
mettetevi al lavoro. Perdiamo poco tempo e chiudiamo la faccenda quanto
prima”
Invitando
i due a dare il via all’indagine, Augustin li saluta
intenzionato a restare da
solo.
Infatti,
senza nessun disturbo, allunga le sue gambe sulla sua scrivania,
tornando ad
osservare quelle fotografie, con attenzione, come a cercare anche un
minimo
dettaglio che potesse essere utile.
Eppure
cosa può pretendere?! Quelli sono degli scatti banali di
pubblicità del locale.
Deve
sperare solo che Santiago e Daniel trovassero quanti più
indizi possibile.
In
quel preciso istante, preso dai suoi pensieri, il Commissario viene
disturbato
da qualcuno che bussa alla porta. Sbruffando per
l’interruzione non prevista, si
ricompone e dà l’ok all’ingresso.
“Scusi,
sono ancora io, Martin Berrotti! Vorrei sapere se posso andare o serve
altro”
“Si,
certo può andare, i miei uomini stanno recandosi nel suo
Night Club, hanno
bisogno di fare domande anche alle sue ragazze. Si tenga a
disposizione, mi
raccomando”
“Assolutamente.
Vi supplico di fare di tutto per riportare Raquel tra noi!”
“Stia
tranquillo. Non permetterò che un’altra donna,
l’ennesima, si dissolvi nel nulla…
la riporteremo a casa!”
“Le
mie farfalle sono la mia casa e non posso perdere nessuna di
loro… NESSUNA!”
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Capitolo 2 *** 1 Capitolo ***
E’
circa un’ora che i due
ispettori, incaricati del caso del Mariposas, girano in lungo e in
largo, nei
quartieri meno noti di Madrid, per trovare la destinazione corretta.
“Sicuro
che questo, finalmente, sia
l’indirizzo giusto?” – chiede Santiago,
esausto e demoralizzato, al collega che
continua, imperterrito, a seguire le indicazioni fuorvianti di un
pessimo navigatore
digitale.
“Ora
ci siamo, amico. La mia app
dice che la strada da percorrere in auto termina qui. Adesso ci tocca
camminare
per alcuni metri” – spiega, constatando lo
sfinimento di Santiago.
“Fortuna
che quel dannato TomTom è
una fottuta app dello smartphone, perché se fosse stata una
persona in carne ed
ossa, le avrebbe prese…” – si sfoga il
più adulto.
Parcheggiata
la vettura nell’area
dedicata, i colleghi si incamminano in un vicoletto poco illuminato e
fin
troppo silenzioso.
“Qualcosa
mi dice che stiamo
sbagliando strada…di nuovo!”
- commenta
Lopez.
“No,
siamo fiduciosi. A breve
troveremo il Night Club” – lo stesso Ramos
è poco convinto di quelle parole, ma
cedere al pessimismo non è la soluzione migliore.
“In
una stradina, isolata, dispersa
nella grande Madrid, dove non c’è neppure un gatto
in circolazione… beh,
permettimi di essere negativo!?”
Entrambi
sfiduciati, continuano a
camminare fino a che perfino il trentenne perde le speranze –
“Ok, confesso che
hai ragione. Probabilmente questo cazzo di navigatore ci sta prendendo
per il
culo. Ormai sono passate le 4, siamo stanchi, io consiglio di andare a
riposare
in macchina, e all’alba torniamo nella zona”
“Pigrone,
se lo sapesse il Commissario…”
– Santiago lo prende teneramente in giro, dandogli una pacca
dietro la nuca – “Cammina,
sfaticato. Vediamo se troviamo qualcosa imboccando questo strano
percorso” – è proprio
il maggiore a porsi, in quell’istante, da TomTom e cambia la
loro rotta.
E
mentre perdono totalmente il
senso dell’orientamento, si lasciano andare a momenti di
chiacchiere.
“Ecco
perché nessuno conosce questo
locale…” – commenta il ragazzo,
raggiungendo la meta di una lunga e stretta
scalinata in pietra – “…chi verrebbe mai
da queste parti, è da perderci la
salute!”
“Io,
invece, credo sia il luogo
migliore per godersi nottate alternative, senza essere a rischio
esposizione!”
– commenta il più adulto tra i due –
“Pensaci, se un uomo volesse divertirsi, e
tenere amici e parenti all’oscuro del suo modo particolare di
intendere lo
svago, andrebbe dove c’è possibilità di
essere beccati, o in posti ben
nascosti?
La
seconda opzione è logica e
difatti Ramos, dopo aver riflettuto due secondi, capisce che
l’amico ha ragione
– “Già… e probabilmente io
sarei venuto fin qui, ogni fine settimana, per
ubriacarmi…e per scopare”
Ridacchiando
sotti baffi, Santiago
commenta – “Dubito che tuo padre ti avrebbe
permesso di farlo”
“Già!”
– brontola Ramos – “Il buon
nome della famiglia prima di tutto” – imita la voce
di Augustin, aggiungendo un
deciso – “Ma vaffanculo!”
Lopez
gli dà una pacca sulla spalla
– “Fossi in te, eviterei di rodermi il fegato per
le parole di tuo padre. Ovviamente
lui è un genitore e agisce da tale. Tu, però, hai
trent’anni, goditi la vita
come meglio credi…però, sempre, nel rispetto del
distintivo che indossi” – la
raccomandazione di Santiago è fortemente sentita, ed
è la stessa che ha rivolto
a se stesso tempo addietro, e che continua a fare ancora oggi.
Dopo
un lungo cammino, anche
difficoltoso a causa di pessimi vicoli in salita, finalmente qualcosa
sembra scuoterli.
“Senti
anche tu quello che sento
io?” – domanda, speranzoso, Daniel.
“Musica!”
– esclama, sorridente,
Santiago.
Affrettano
il passo seguendo la
fonte sonora il più possibile e allora, solo allora, notano
un luogo totalmente
estraneo a quello dove si sono trovati fin a qualche minuto prima.
C’è
movimento, musica, e vita!
Quella che credevano mancasse da quelle parti.
Il
loro occhio cade,
inevitabilmente, sull’insegna dalla caratteristica forma di
una farfalla, posta
in bella vista al di sopra dell’abbagliante vetrata
d’ingresso, illuminata di
rosa.
“Scommetto
che questo color Barbie
è frutto di luci psichedeliche utilizzate
all’interno!” – commenta Daniel, provando
fastidio agli occhi per il colore fluorescente che riflette, perfino,
sui
ciottoli della strada.
Posti
a guardia, ci sono due uomini,
di grossa stazza, con indosso pantalone e canottiera nera. Strappano
biglietti,
fanno controlli minuziosi, e i loro visi sono decisamente poco
rassicuranti.
Mentre
Daniel si lascia andare a
commenti circa i buttafuori poco pacati, Santiago getta
l’occhio sulla farfalla
che domina la scena.
Quell’immagine
schiavizza la sua
mente per alcuni secondi.
E’
proprio il collega a riportarlo,
immediatamente, alla realtà – “Ehi, ci
sei? Mi stai ascoltando?”
“Eh?
Dimmi…”
“Come
la mettiamo con quei due tizi?
Io sono uno che nelle risse ne esce sempre vittorioso, ma contro due
omoni di
quella stazza, dubito di sopravvivere anche dopo un pugno!”
Lopez
ha pronta la risposta –
“Tieni pronto il distintivo, di fronte a quello non potranno
dirci no”
Percorrendo,
uno di fianco
all’altro, il breve tratto di strada rimasto che li separa
dal Mariposas, gli
ispettori si trovano faccia a faccia con il primo ostacolo
all’accesso al Night
Club.
“Siamo
qui per la scomparsa di
Raquel Murillo” – sostiene Lopez mostrando,
immediatamente, il suo segno di
riconoscimento.
Poi
fa cenno al collega di fare lo
stesso e Daniel replica l’azione.
Non
ricevono una risposta
immediata, piuttosto, cominciano a parlottare tra loro in una lingua
sconosciuta.
“Ehm,
scusate, voi non siete di
Madrid?” – chiede il trentenne, sorpreso.
È
uno dei due il solo a parlare - “Siamo
serbi. Mio cugino non parla spagnolo, ma io capisco
abbastanza!”
“Bene,
allora capirà che è urgente
farci entrare, ne va’ della salvezza della spogliarellista
che lavora qui!”
“Spogliarellista?
No, qui le
chiamiamo farfalle”
“Ok,
ok, farfalle, spogliarelliste,
come volete. Però possiamo entrare ora? Stiamo perdendo del
tempo prezioso” –
Daniel si spazientisce, ignorando che l’appellativo farfalla
ha estraniato il
collega, per la seconda volta.
E
mentre tra il buttafuori e Ramos
segue una breve conversazione, Santiago vaga con la mente tra dei frame
confusi,
frame che hanno come unica immagine dominante quella di una donna dal
viso sfocato,
di cui la sua memoria ha volutamente rimosso i dettagli, una donna la
cui voce scandisce
bene la parola “FARFALLA”
“Amico,
diglielo anche tu che siamo
ispettori. Questo tipo non cede neppure di fronte al distintivo,
cazzo” – solo
allora il ragazzo si accorge del distacco del compagno di missione
– “Lopez, ma
stai bene?” – parlargli, adagiando una mano sulla
sua spalla, desta il
quarantenne dalla sua apatia, e gli restituisce chiara visione della
realtà.
Due
volte nel giro di pochi minuti…
e questo preoccupa lo stesso Santiago, mai trovatosi di fronte a
momenti come
quello.
O
almeno…erano anni che non gli
capitava!
“Scusami”
– giustifica quello che
apparentemente può essere un delegare il lavoro ad altri,
lavandosene le mani,
e torna alla missione.
“Cosa
ti prende?” – il ragazzo resta
davvero straniato dal comportamento così atipico da parte
del collega.
“Nulla,
tranquillo!” – intenzionato
a non subire interrogatori, e tantomeno a dover parlare di qualcosa che
intimorisce lui in primis, l’uomo torna a discutere con il
serbo - “Il signor
Berrotti ha denunciato la sparizione. Siamo qui e lui ci ha dato il
permesso, perciò
è ordine del Commissariato, se non volete che lo stesso
Berrotti abbia delle
ripercussioni con chiusure del locale, ci lasciate passare
ADESSO!”
Di
fronte al nome del proprietario,
e alla estrema determinazione dell’ispettore, il buttafuori
lascia libero il
passaggio. E poi, mai avrebbe messo nei casini il suo boss.
Però precisa - “Io
vengo con voi” – riferendo, nella sua lingua, al
cugino di restare fisso al
posto, fa’ loro strada.
“Guardi
che non siamo mica qui per
rubare. Vogliamo solo interrogare le ragazze, lei sembra spaventato se
noi
giriamo da queste parti senza il suo vigile controllo”
– spiega Ramos.
“E’
compito mio vigilare e non c’è capo,
quindi io agisco per lui! Ora aspettare qui, seduti e io chiamo
farfalle” –
costringendoli a prendere posto in un bizzarro privè,
nascosti dal resto del
locale tramite un enorme tendone rosso, i due ispettori attendono di
conoscere
le testimoni del caso.
Approfittando
della solitudine, Daniel
domanda all’amico - “Cosa ti succede, Santiago? Ho
visto che qualcosa ti ha
turbato poco fa”
Lopez
scuote il capo – “Sto bene,
smettiamola con le domande inquisitorie, ok?”
La
sua reazione spiazza il giovane
che ha la prova che davvero qualcosa ha toccato nel profondo un
omaccione
grande e grosso come Lopez. Perciò decide di non toccare
più la questione per
evitare discussioni tra loro.
Rimangono
in silenzio, fissi ad
osservare ogni angolo del privé, attendendo
l’arrivo delle testimoni.
Questione
di pochi minuti ed ecco
il buttafuori seguito da alcune giovani bellissime donne.
Da
questo momento hanno inizio le
indagini.
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Capitolo 3 *** 2 Capitolo ***
Di
fronte agli occhi di Santiago Lopez e Daniel Ramos si presentano tre
giovani
donne, vestite in maniere simile, ma con atteggiamenti e sguardi
totalmente
diversi.
“Salve,
io sono Manila, come possiamo aiutarvi?” – rompe il
ghiaccio la prima di loro,
una giovane all’incirca sui 30, dai capelli castani, di media
lunghezza, che
tiene stretta la mano della bionda riccia, al suo fianco, che si
presume abbia
la stessa età.
“Siamo
qui per interrogarvi sulla scomparsa di Raquel Murillo”
– spiega Lopez, tornato
a concentrarsi sull’indagine, mettendo da parte i suoi strani
pensieri.
“Noi?
Cosa cazzo c’entriamo in questa storia?”
– interviene la moretta alle spalle
delle altre due, facendo un passo avanti – “Pensate
che possiamo averla fatta
sparire, razza di bastardi?” – rispetto al tono
pacato della prima giovane
donna, quest’ultima sembra piuttosto incazzata e non si
risparmia neppure
nell’uso di espressioni poco garbate.
“Tokyo,
per favore, tieni a freno la lingua” – la
rimprovera Manila, conoscendo quanto
la collega e amica sia una bomba ad orologeria.
Di
fronte all’appellativo “Tokyo”, i due
ispettori si rivolgono uno sguardo
confuso.
“Come
l’hai chiamata?” – domanda Daniel,
inarcando il sopracciglio.
“Non
sono cazzi tuoi” – replica ancora la tipa
irascibile.
“Piantala,
possibile che non riesci a conversare senza attaccare
qualcuno?” – perfino la
biondina, rimasta in silenzio fino a poco prima, sbotta. E la sua voce,
così
dolce e materna, in contrasto con tutto quel mondo a cui lei sembra
appartenere, colpisce Ramos che la osserva compiaciuto –
“Lei potrebbe essere
la testimone più utile” – sussurra poi a
Santiago, riferendosi al carattere
docile della riccia.
“Mhmm”
– commenta Lopez, pensieroso – “Direi di
interrogarle una alla volta, adesso! E
lo faremo insieme perché, ti conosco, ti lasceresti andare
agli ormoni e la
biondina diventerebbe un tuo passatempo e non la testimone di una
scomparsa” –
così dicendo, chiude la conversazione e si rivolge alle
donne, premettendo –
“Non stiamo accusando nessuna, ma è bene ascoltare
tutte voi perché, lavorando
qui, potreste aver colto qualche dettaglio che aiuterebbe le
ricerche!”
“Siamo
a disposizione, signore” – risponde gentilmente la
bionda – “Vogliamo
riabbracciare la nostra amica quanto prima”
La
sola che sembra contraria alla collaborazione è la giovane
ribelle.
“Siete
solo voi tre che lavorate al Mariposas?” – domanda
Santiago, colpito dal numero
esiguo di spogliarelliste.
“In
realtà, fino a ieri, eravamo in cinque”
– spiega Manila.
“Inclusa
la Murillo, immagino!” – riflette il quarantenne,
facendo i suoi calcoli – “Ne
manca una. Dov’è la quarta?”
“Impegnata
con qualche cliente, per ora ci siamo noi. Se lo faccia andar
bene…SIGNORE”
“Tokyo
ora basta!” – il rimprovero finale viene
addirittura dal buttafuori, rimasto a
vigilare davanti il tendone, ma attento ad ascoltare ogni parola.
“Helsinki,
adesso ti ci metti anche tu?” – borbotta la donna.
Perfino il tizio addetto
all’ingresso ha un nome in codice.
“Ma
qui vi chiamate tutti come città?” –
esclama Daniel, grattandosi la testa,
confuso.
E
la sua affermazione trova replica in un agghiacciante sguardo di Tokyo.
“Direi
di cominciare, stiamo perdendo tempo prezioso!” –
interviene Lopez, per evitare
ulteriori discussioni.
Invita
quello che ha scoperto chiamarsi Helsinki a condurre fuori due donne,
per
concentrarsi sulla prima.
“Cominceremo
con la più pacata…la signorina Manila”
Accertatisi
che gli altri sono ben distanti dal privé, i due ispettori
danno inizio
all’interrogatorio.
*********************************************
“Tokyo,
devi smetterla di mostrarti arrabbiata, creerai sospetti
inutili!”
“Non
mi frega un cazzo, sapete che rapporti ho con questa gentaglia, non mi
piace collaborare
con loro”
“Ma
lo facciamo per Lisbona!” – insiste Stoccolma.
“Potevamo
pensarci prima…prima che accadesse quanto è
accaduto!” – tuona la mora,
camminando, nervosamente, avanti e indietro nell’atrio
principale.
Mentre
le due discutono, vengono raggiunte da Helsinki, allontanatosi per
serrare il
locale, insieme all’altro buttafuori.
“Io
e Oslo abbiamo chiuso tutto!”
“Bene,
mi domando solo dove sia Nairobi!” – precisa la
bionda, preoccupata,
guardandosi attorno.
“La
nostra gitana starà facendo quello che avremmo dovuto fare
noi, anziché
sprecare tempo a giocare con i poliziotti!” –
replica la mora, afferrando una
delle pellicce nere dall’attaccapanni, di quelle utilizzate
durante la serata.
“Dove
stai andando adesso?” – la rimprovera Helsinki.
“Dalla
mia migliore amica” – specifica, riferendosi alla
zingara, unica assente del
gruppo.
“Non
sappiamo dove sia, e poi quegli uomini devono interrogarci! Dobbiamo
aspettare
qui”
“Non fare casini, per favore” – precisa
il serbo – “O io costretto a mettere
tutto in regola!”
neppure tali affermazioni, di chi è disposto a usare le
maniere forti per
frenarla, toccano minimamente Tokyo che, per giunta, ne ride di gusto.
“Salutatemi
gli sfigati…anzi, ditegli anche da parte mia di girare a
largo perché al
Mariposas è meglio non mettere piede. Non conviene a nessuno
di loro…”
E
proprio quando è prossima a filarsela, sopraggiunge qualcuno
da un accesso
secondario.
“Eccoti
finalmente, ma che fine avevi fatto?” – il richiamo
di Stoccolma è rivolto all’arrivo
di una donna dai capelli neri come la pece e la carnagione olivastra. I
tratti
del viso molto pronunciati, gli zigomi alti, gli occhi grandi e scuri,
il naso
aquilino, danno la chiara immagine di una personalità
dominante. Esattamente
quella che caratterizza la persona in questione.
Accortasi
della presenza della migliore amica, Tokyo la raggiunge e
l’abbraccia, rivelandole
lo scoop della nottata – “Nairo, hai saputo!? A
quanto pare dobbiamo
collaborare con la polizia!”
“Sul
serio? Non ci penso proprio!” – esclama,
disgustata, la gitana.
“Ragazze
ma siete impazzite. Ne va della salvezza di Lisbona. Mettete da parte
rancori
passati” – aggiunge Stoccolma.
“Facile
parlare se non hai avuto problemi in passato con loro!”
– sottolinea la
neoarrivata, mentre stringe al petto la esile e bassina amica, che
considera
una sorella minore da proteggere.
“Andiamocene,
Nairo!” – le propone Tokyo, prendendole una mano e
tirandola verso l’uscita.
“Non
fate cazzate, rimanete qui!” – insiste Helsinki.
“Altrimenti?”
– con aria di sfida, la donna dai capelli corti e scuri, si
pone di fronte al
serbo, intenzionata a non darla vinta alle sue pressioni, fatte solo di
minacce
e forza fisica.
“Credi
che solo perché siamo donne dobbiamo sottostare?”
– aggiunge poi.
La
situazione ingestibile viene interrotta dal rientro al Night Club di
Martin Berrotti.
“Grazie
a Dio, sei arrivato al momento perfetto!” – la
riccia tira un sospiro di
sollievo – “Cerca di farle ragionare, per
favore”
“Stoccolma,
le compagne vanno difese, e non date in pasto ai leoni!”
– commenta Nairobi,
riferendosi al comportamento troppo accondiscendente della biondina,
sempre
pronta a raccontare al capo ogni minimo fatto, mettendole nei casini
ogni volta.
“Nessuno
qui fa la spia!” – prende parola il proprietario
del Mariposas, ringraziando
con un compiaciuto sorriso la sua fedele farfalla.
“Non
collaborano!” – aggiunge Helsinki, dando conferma
alle affermazioni della
riccia.
“Ah
si?”
“Avevi
qualche dubbio? Ci
conosci, sai come
siamo fatte!” – puntualizza la gitana.
“Ammetto
che ci avrei scommesso. A voi frega poco perfino della salvezza di una
vostra
collega”
“Questo
non è vero, avremmo potuto agire prima, e
invece?!” – interviene Tokyo, non
toccando nei dettagli la questione.
“Io
vi dico solo questo: se ci tenete al posto, siete pregate di portare il
vostro
sedere su quelle sedie lì, e attendere il turno per
l’interrogatorio”
Le
due amiche si guardano, disposte perfino a lasciare il locale e cercare
altro.
Ma
c’è qualcosa che glielo impedisce.
“Nairobi,
ti consiglio di pensare bene al tuo bambino. Fossi in te, eviterei
danni che
potrebbero risultarti permanenti”
“Bastardo” – grugnisce la donna,
stringendo i pugni, trattenendo la rabbia.
Il
punto debole di lei porta il nome di Axel e Martin lo sa bene. Berrotti
conosce
il passato della zingarella e di suo figlio e sfrutta, quando gli
conviene, quell’argomento
per gestire le sue alzate di testa.
Udendo
quella sorta di ricatto, Nairo china il capo e si accinge ad eseguire
quanto ordinato:
sedersi al posto ed attendere. E Tokyo, per il bene immenso che nutre
nei suoi
riguardi, la segue e le stringe una mano.
“Bene,
vedo che state iniziando a ragionare come si deve. Ogni tanto bisogna
anche
abbassare le proprie ali e capire le priorità. Dico bene,
Stoccolma e Helsinki?”
– l’uomo torna così ad avere controllo
sulla situazione. Occupando la seduta di
fronte alle due, accavalla le gambe e, a braccia incrociate, le fissa
come
quando si controlla una persona in punizione.
“Mi
auguro che non ci siano più ribellioni, o dovrò
comportarmi di conseguenza”
“Nessun’alzata
di testa, signore” – con un filo di voce,
trattenuta nel suo esplodere, la
gitana avverte l’ennesima coltellata al cuore. Ormai dovrebbe
essere abituata,
e invece ogni volta che viene fatto il nome di Axel, la ferita si
riapre,
diventando sempre più profonda, e una ferita profonda
è di quelle che persistono
e corrodono fino a condurre alla distruzione.
“Quanto
a te, Tokyo, non permetterti di disobbedire mai più. Abbiamo
fatto un patto,
anni fa, quando venisti qui. Perciò, mi devi rispetto.
Chiaro?”
La
donna replicherebbe volentieri, ma è l’amica di
fianco a frenarla.
“Come
dici tu” – risponde, di malavoglia.
Da
quel momento cala il silenzio.
Nessuno
si pronuncia, a parte lo stesso Berrotti che si complimenta con chi
come
Stoccolma e Helsinki seguono fedelmente le regole.
**********************************
Nel
frattempo, Manila, alle prese con l’interrogatorio, racconta
quel poco che sa
sulla vicenda di Raquel. E non soltanto quello. Rivelare, in totale
naturalezza, di essere una transgender, così come i dettagli
del suo
cambiamento sessuale, riferendo perfino il passato e
l’attuale nome con cui si
identifica, convince i due ispettori della sua totale
sincerità.
“Ci
stai dicendo che con Raquel non esisteva un’amicizia,
giusto?” – annota
Santiago, totalmente certo delle sue parole.
“Siamo
colleghe, tutto qui, ripeto… io e Raquel non abbiamo mai
allacciato un legame
forte da confidarci dei nostri rispettivi problemi. Io sono
più legata a
Stoccolma. Lei, invece, era solita isolarsi e tenersi tutto
dentro”
“Quindi
non si relazionava con nessuna di voi?”
“Beh,
direi quel poco che bastava per una convivenza civile! Poi lei
è qui da molto
meno tempo!” – puntualizza la ragazza.
“Da
quanto, di preciso?”
“Non
ricordo, un anno o poco meno. È arrivata in una notte molto
affollata. Perciò non
so dirti di preciso chi l’ha condotta qui e come mai. Si
è solo presentata a
fine serata, a noi altre, come Lisbona”
“Lisbona”
– ripete Santiago, cercando di comprendere come mai usassero
appellativi di
città e il perché di quella scelta.
“Bene,
penso possa bastare!” – aggiunge Daniel.
Manila,
dopotutto, non ha molto da riportare di utile ai fini delle ricerche,
se non della
totale forma di isolamento che viveva la Murillo rispetto al gruppo.
“Prima
di andare, siccome ho totale fiducia in ciò che mi
racconti…” – le sussurra
Lopez – “Come mai la scelta di utilizzare nomi di
città?”
“Beh…signore,
noi qui siamo alle dipendenze di chi ci ha aiutate a uscire da periodi
o
circostanze scomode. Non amiamo che le nostre identità siano
sulla bocca di
tutti, ed è stato il capo a chiederci di scegliere questa
tipologia di codice segreto”
“Quindi
serve come copertura!”
“Esatto,
nessuna di loro vi dirà mai il suo reale nome. Vi prego di
accettarlo senza
indagare; qui ognuna ha una privacy da tutelare” –
così dicendo si alza e fa
per uscire, non prima di aver ringraziato –
“Ammetto che mai avrei immaginato
di parlare con due ispettori di polizia come voi e trovarmi a mio agio.
Non mi
avete giudicata nonostante prima mi chiamassi Juan e questo vi fa
onore” –
sorride loro e va via.
“Possiamo
essere totalmente sicuri?” – chiede Ramos a
Santiago.
“Quella
persona è vera, più di tante maschere che ho
conosciuto nella mia vita. Non
dubiterei di quanto ha rivelato. Chi forse potrebbe ingannarci
è la miss Tokyo.
Direi di invitare proprio lei adesso”
“Vado
a chiamarla” – dice il trentenne, avviandosi
all’ingresso, dove nota
immediatamente l’arrivo non solo di Martin, che veglia sulle
sue protette come fosse
un cane da guardia, ma anche quello di Nairobi.
“E’
lei la quarta farfalla? È tornata nel suo
habitat?” – ridacchia il ragazzo,
sdrammatizzando una situazione di cui percepisce tensione fin alla
punta dei
capelli.
Poi
lancia uno sguardo sdolcinato a Stoccolma che, di contro, arrossisce e
abbassa
il capo.
“Blee”
– il verso di disgusto di Tokyo viene ignorato da tutti,
eccetto Nairobi che condivide
la medesima reazione.
“Anziché
beffeggiare gli altri, si accomodi miss Giappone, tocca a
lei” – l’ispettore,
prendendola in giro, le fa segno, con una sorta di piccolo inchino, di
avviarsi
al privé.
La
giovane, alzando gli occhi al cielo, si mette in piedi e, schifata da
quanto è
costretta ad eseguire, cerca negli occhi della migliore amica un
sostegno.
Lei
le fa intendere di stare tranquilla e di agire come meglio crede.
“Sii
te stessa!” – le dice prima di vederla andare via.
Su
quel “sii te stessa”, Martin coglie un bel
“Agisci come ti pare e piace” e cede
alla rabbia.
“Voi
due fareste perdere la pazienza a un Santo! Possibile che non capiate
quanto
sia necessario collaborare? Neppure la faccenda di Axel ti fa pensare
di stare
al tuo posto?”
“Piantala,
Palermo! Ti erigi a boss assoluto, senza esserlo davvero”
“Certo
che lo sono. Sono il proprietario del locale e tuo superiore, mi devi
rispetto.
E non permetterti
di chiamarmi Palermo!”
– il tono alto, seppure controllato, da inizio ad una delle
solite litigate tra
i due.
“Perché?
Tu ne dai a me? E poi, non vedo perché tu puoi chiamarmi
Nairobi e io non posso
chiamarti con il tuo di nome in codice!” – tuona la
gitana.
“Ehm…possiamo
evitare di litigare, di nuovo?” – interviene
Stoccolma, mentre Helsinki si
interpone tra i due.
“Nairobi,
stai al tuo posto” – le dice il serbo.
“Tranquilli!
Non farò scenate, stavolta. Ho abbassato la cresta poco fa
soltanto per placare
Tokyo. Lei non merita di pagare se io comincio una guerra,
perché sarei certa
che combatterebbe al mio fianco e rischierebbe grosso”
“Wow, che grande donna che sei, complimenti!”
– Martin, cerca di umiliarla,
beffeggiandola, nonostante l’astio che nutre verso chi
è in grado di tenergli
testa, permettendosi perfino di usare l’appellativo Palermo.
“Sempre
meglio di un omuncolo come te!”
“Nairo”
– è Manila, appena arrivata dopo una breve tappa
alla toilette, ad accorgersi
dell’ennesima litigata e ad intervenire –
“Cosa state facendo? Lisbona scompare
e voi discutete? Quando la finirete di attaccarvi?”
“Quando
miss zingarella capirà i ruoli”
“Oh
certo che li ho chiari, Palermo, certo… e voglio ricordarti
che hai un nome di
città anche tu, come noi. Questo significa una sola
cosa”
“Che?”
“Che
non sei il mio capo. E conosci le ragioni che mi tengono costretta a
spogliarmi
per degli sconosciuti, a farmi palpare il culo, a fare la lap-dance,
nonostante
io odi tutto ciò. Lo sai bene, e ne stai sfruttando a tuo
vantaggio il motivo.
Cosa posso mai pensare di chiarire, se tu mi minacci con la storia di
Axel?”
Di
fronte a delle lacrime e alla rabbia e il dolore che Nairobi gli sta
sputando
in faccia, l’uomo si ammutolisce.
“Potete
abbassare l’ascia di guerra, almeno per adesso?”
– li prega Manila.
Dopo
un breve silenzio che sembra acconsentire alla richiesta, Nairobi
conclude - “Se
il Mariposas cade nel burrone, mi frega poco. E forse sarebbe anche ora
che
saltassero a galla i misteri di questo posto, perché lo sai
anche tu… la
sparizione di Raquel è solo uno dei buchi neri del tuo Night
Club!” – così dicendo,
torna a sedersi, afferrando un bicchiere dal tavolino in vetro di
fronte ai
suoi piedi. Si versa del vino, aperto dallo stesso Palermo pochi minuti
prima,
e lo sorseggia, cercando di affogare in tal modo quella opprimente e
pesante
amarezza.
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Capitolo 4 *** 3 Capitolo ***
Tokyo
raggiunge il privé, scortata da Daniel Ramos, che, nel
frattempo, fatica a
distogliere lo sguardo dal prorompente fondoschiena della donna.
“Siete
tutti uguali!” – commenta lei, una volta sola con i
due ispettori.
“A
cosa ti riferisci?” – chiede, confuso, Lopez.
“Il
tuo caro collega mi fissa il culo, evidentemente va in calore come i
gatti” -
puntualizza, accortasi degli occhi pesanti di lui sul suo corpo.
“Sarà
la primavera” – ridacchia il trentenne, invitandola
a sedersi, prendendo poi
posto di fianco all’amico.
“So
io cosa farei ai tuoi preziosi gioielli di famiglia, altro che
primavera!”
Di
fronte al tono feroce della giovane donna, i due si ammutoliscono.
È
un colpetto di tosse di Santiago, che mostra un certo imbarazzo, a
riprendere
la questione.
Ma
ciò non prima di aver espresso il suo parere
sull’atteggiamento maschilista del
collega - “Ti sembra questo il modo giusto di comportarti con
una donna?”
“Dai,
amico, si scherza!”
“Abbiamo
modi di scherzare diversi, ragazzino” – replica la
farfalla del Mariposas,
fulminandolo all’istante.
“Ehi,
ma siamo in un Night Club, cazzo! Gli uomini glielo avranno palpato
chissà
quante volte, e ora fa la santarella se io ammiro il suo lato
B?” – si difende
Ramos.
E
quel punto riceve la risposta di Tokyo – “Tu prova
solo a sfiorarlo e ti stacco
il braccio a morsi!”
Gli
occhi fiammanti di lei, puntati fissi contro il figlio del Commissario,
costringono il ragazzo ad abbassare la cresta e chiudere la discussione.
“Questa
qui fa quasi paura” – sussurra poi al collega, che,
al contrario, è
piacevolmente colpito che una donna abbia saputo tener testa ad un gran
latin
lover.
“Bene,
bando alle ciance. Direi di iniziare. Vorrei interrogarla quanto prima,
visto
che dobbiamo ancora farlo con la sua collega, il buttafuori e il
proprietario”
“A
proposito, Santiago, è arrivata anche un’altra
bella moretta, la quarta
farfalla dispersa”
“Bene,
più testimoni più informazioni per
l’indagine”
“Finiamo
quanto prima questo calvario, così potrò andare a
dormire?” – Tokyo richiama l’attenzione,
notando scarsa considerazione. Poi accavalla le gambe, incrocia le
braccia al
petto, e, borbottando sottovoce qualcosa, si accinge a fare la sua
parte.
Sii
te stessa, le ha detto Nairobi. E lei avrebbe fatto esattamente quello.
Sarebbe
stata la persona che è solita essere: litigiosa, a tratti
volgare, e senza peli
sulla lingua.
La
polizia le fa schifo, ma ha poche scelte. Racconterà e
saluterà tutti il prima
possibile, con la speranza di vederli uscire dal Mariposas con le
informazioni
necessarie per non rimettervi più piede.
“Come
mai si trova qui?” – è la prima domanda
che pone Santiago.
Seppure
spiazzata da una questione piuttosto personale, la giovane risponde a
suo modo
– “Perché sognavo nella vita di fare la
spogliarellista, di sculettare tra
uomini arrapati, e farmi palpare ovunque durante le mie
esibizioni!” -
il sarcasmo di lei, rende più complicato il
confronto.
“Se
non prendi le cose con serietà, faticheremo ad andare avanti
e perderemo altro
tempo. Quindi, se hai fretta di chiudere la faccenda, ti invito ad
essere meno
spiritosa” – spiega Daniel.
“E
allora come mai chiedete dettagli del mio privato, se la persona
scomparsa è
un’altra?”
Effettivamente
la logica di Tokyo ha senso.
“Beh,
noi…” – cerca di spiegarsi Lopez, le cui
intenzioni erano partire dall’intimo
di ciascuna delle donne per arrivare a quello di Raquel.
Eppure
non tutte le Farfalle sono intenzionate a rivelare dettagli del
passato,
proprio come aveva sostenuto Manila.
Ed
è Daniel a riprendere subito la parola e accendere la
discussione - “Stai
sindacalizzando sulle nostre procedure di lavoro? La signorina Manila,
contrariamente a te, è stata chiara e limpida. Non ha
polemizzato su niente e
nessuno. A te costa tanto fare lo stesso?”
“Io
resto fedele a me stessa, e mi
chiamo
Tokyo…quindi sono diversa dall’altra
ragazza!” – bofonchia la giovane donna,
alzando gli occhi al cielo.
“Lo
dicevo io che avremmo fatto meglio ad interrogare prima la
biondina!” –
riflette Ramos ad alta voce.
E
quell’affermazione è udita dalla mora che,
così, sbrocca.
“Prego,
interrogate miss perfettina. Lei farà quello che
è abituata a fare da anni, ovvero
la bocca aperta! Su di me, so cosa pensate. Quello che pensa il mondo
intero
appena mi vede la prima volta: la classica stronza su cui non si
può contare, Tokyo,
la ribelle dalla scarsa voglia di collaborare, per…per
capriccio! La rompipalle
da evitare, magari solo a cui guardare il culo, le cui parole valgono
zero o addirittura
meno…”
Mentre
la ragazza si sfoga, nella maniera migliore che conosce, gridando la
sua
rabbia, i due ispettori la guardano in silenzio, cogliendo nel suo modo
di fare
qualcosa che, contrariamente a quanto pensavano all’inizio,
sarebbe potuta diventare
la più naturale e spontanea testimonianza raccolta. Questo
perché…? Perché
Tokyo sputandogli in faccia ciò che ha dentro,
inevitabilmente potrebbe lasciar
emergere dell’altro.
E
intanto lei continua a parlare – “Sono stanca di
essere considerata la mignotta
di turno! Come mi definiva mio padre, e così mia madre!
Tutti lo credono!
Nessuno immagina che ho dovuto indossare queste vesti e auto
considerarmi una
poco di buono, per sopravvivenza. Perché nessuno ha mai
guardato dentro di me e
capito cosa davvero sentivo? Tutti pronti a giudicare, proprio come voi
due!
Con quest’aria da superiori. Cosa credete? Che solo
perché indossate il
distintivo, avete diritto di trattarmi come la spazzatura della
società? Sì, lo
sarò probabilmente… ma sono anche tanto altro! Ho
patito nella vita per colpa
di chi si definiva a favore della legge, ho pagato e sto continuando a
farlo. Non
immaginate quanto sia difficile dover allearmi con la
Polizia…”
“Non so le ragioni di questo astio, non pretendo di saperle.
Voglio però
assicurarti che noi non pensiamo le cose che hai detto. Per me e per il
mio
collega, tu sei una donna, dal nome ignoto, che può aiutarci
nel caso da
risolvere. Tutto qui.” – interviene finalmente
Santiago.
E
la risposta di Tokyo non tarda ad arrivare…una risposta
riassunta in una
fragorosa risata nervosa – “Menzogne! Siete tutti
uguali, mi fate credere una
cosa, per farne un’altra”
“Non
so il male che la polizia può averti causato, ma non
è nelle nostre
intenzioni…” – aggiunge anche Daniel,
cambiando tono e atteggiamento con quella
che prima fronteggiava come nemica.
Nascondendo
alcune lacrime, scivolate senza poterle controllare, la giovane scuote
il capo,
poco convinta delle buone intenzioni degli ispettori.
Preda
di una sensibilità che non è solito manifestare,
Santiago si alza dalla sua
postazione, prendendo posto di fianco alla giovane donna.
Lei,
spiazzata, indietreggia, non immaginando cosa avrebbe visto da
lì ai minuti
successivi.
“Santiago,
cosa fai?” – esclama, confuso, il collega.
Di
fronte alla ragazza, Lopez tira fuori il distintivo dalla tasca dei
suoi jeans
e non esita un solo istante a gettarlo sul pavimento.
“Piacere,
mi chiamo Santiago Lopez, ho quarantadue anni e una famiglia
inesistente. Non
ti parlerò del mio passato, così come del mio
presente, e non voglio che tu faccia
lo stesso. Ti dirò invece cosa cerco: notizie su Raquel
Murillo, e sento che tu
potrai essere essenziale. Mi aiuteresti?”
La
ragazza guarda, silenziosa, l’uomo come se lo analizzasse.
Non
avrebbe mai scommesso su un gesto simile. Buttare a terra qualcosa che
lo
denota nella sua figura istituzionale, è impensabile. E
difatti Ramos è scioccato
da un’azione che sembra quasi sputare in faccia alla Polizia,
piuttosto che
vantarsi di farne parte.
E
Santiago mantiene nel viso i tratti di una persona gentile, affidabile
e convincente.
Proprio
per tali ragioni, alcuni secondi dopo, la ragazza racconta quanto sa,
riuscendo
ad abbattere parti di quel muro alzato contro “il
nemico”.
“Lisbona
con me non ha mai parlato. Riteneva me e Nairobi le due meno vicine al
suo modo
di essere. Piuttosto ci schivava”
“Nairobi
è l’altra farfalla?”
“Esatto,
la mia migliore amica. La sola che ha saputo vedere il meglio di me,
senza
giudicarmi, la sorella che non ho mai avuto” –
confessa, arrossendo, emozionata
al pensiero della donna che sente un pezzo importante della sua vita.
“Hai
visto qualcosa di strano nelle ultime ore che possa essere utile per
ritrovare
la Murillo?” – chiede Lopez, constatando che
è riuscito nell’impresa ed aver ottenuto
un pizzico di fiducia dalla giovane lì accanto.
“Io
ero impegnata, in realtà, quando Martin ci ha avvertite
della scomparsa di
Lisbona…” – spiega, facendo ben intuire
in cosa fosse occupata.
“Ehm…ok,
sai dirmi almeno se conosci le ragioni del suo arrivo qui?”
“Quella
sera mi ricordo di un dettaglio, probabilmente
insignificante…”
“Nulla
è insignificante, fidati!” – commenta
Ramos.
“Io
ero accerchiata da due tizi e ballavamo, ma ero anche posizionata in un
punto
preciso da cui è ben visibile l’ingresso del Night
Club. Ricordo bene che un
tizio incappucciato entrò, l’ho notato proprio per
quel suo look ambiguo!”
“Incappucciato?”
“Già,
lei era di fianco a lui, e pareva avere lo sguardo di chi ne ha passate
tante.
Lo sconosciuto ha parlato con Berrotti, poi ha condotto Raquel
nell’accesso secondario
al locale. Non so dove l’hanno condotta, probabilmente hanno
stipulato qualcosa
sulla sua permanenza qui. Dopodiché, quando Helsinki e Oslo
hanno serrato il
Night Club, siamo state radunate tutte all’ingresso,
lì dove sono gli altri,
adesso, in attesa dell’interrogatorio. “Lei
è Lisbona, un’altra farfalla,
trattatela come una delle vostre. Da stasera lo
è”, questo ci venne detto. Io
lessi benissimo negli occhi di quella donna un dolore paragonabile al
mio,
nascondeva qualcosa e sapeva come custodirlo”
“E
come si comportò lei in veste di farfalla? Intendo dire,
lavorava come voi?”
“Il
suo essere “bruco”, prima di diventare farfalla, la
controllava, impedendole di
aprire le ali, come avrebbe potuto fare. Era chiaro come il sole che
non
apparteneva al nostro mondo”
“Ehi,
amico, e se fosse scappata perché non amava ciò
che era diventata?” – ipotizza
Daniel.
“Vi
assicuro che se arrivi a chiedere protezione al Mariposas, è
perché lì fuori,
da sola, non puoi resistere” – spiega Tokyo in
totale schiettezza.
“Però
hai detto che è stata condotta qui da qualcuno, forse quel
qualcuno l’ha
forzata a venire!” – sostiene ancora Ramos.
“Voi
non immaginate, noi qui abbiamo un “contratto”. Se
lei ha firmato, non può
scappare via. Quindi, fidatevi… c’è
dell’altro”
“Un
contratto?” – esclama, confuso, Santiago
– “Come se fosse un contratto di
lavoro?”
“Mmm…
con clausole da rispettare. Posso dire solo questo”
“Ma
lei non si intratteneva con uomini?” – domanda il
trentenne, annotando quanto
di più utile su un’agenda.
“A
dire il vero, non era solita farlo. Anche se…ora che ci
penso… l’ho beccata un
paio di volte con un tizio. Però non saprei dirvi chi sia.
Era un tipo carino,
moro, anzi, direi che aveva l’aria da sfigatello”
“E
quale sarebbe l’aria da sfigatello, se si può
sapere?” – perfino Lopez si incuriosisce
di quale è l’aspetto considerato dalle donne come
sfigato.
“Beh,
vestiva male, era impacciato anche nel camminare. Aveva un paio di
occhiali,
questo lo ricordo! Ma niente di più” –
spiega Tokyo, dando così un’idea del soggetto
in questione.
“Avete
dei dati sui clienti che si recano qui?”
“Questo
dovrete chiederlo a Martin. Lui gestisce le pratiche”
– precisa la giovane.
“Grazie,
Tokyo. Per ora ci basta quello che hai raccontato. Sei stata coraggiosa
e molto
sincera, l’ho letto nel tuo sguardo. Temevo potessi mentire,
invece sei stata
fedele a te stessa”
“Ve l’avevo detto. L’ho promesso alla mia
migliore amica di essere me stessa
sempre. E lo sono stata anche ora” – precisa,
mettendosi in piedi.
Poi
accingendosi ad uscire dal privé, si volta lentamente verso
gli ispettori,
accenna un sorriso che li spiazza definitivamente.
Ci
china a terra, raccoglie il distintivo e lo restituisce a Santiago.
“Ognuno
al suo posto, è bene che anche questo torni al
suo” – sostiene, cedendoglielo.
Dopo
un mezzo sguardo tra i due, fatto di molta complicità, i due
si separano.
“Amico,
ma ci stavi provando con la moretta?” – lo prende
in giro Ramos.
“Assolutamente
no, è una ragazza che ho sentito molto vicino, come se fosse
una sorella da
proteggere. È qualcosa che difficilmente si prova, se quando
si vede una bella
donna le si fissa solo il lato b!” – dopo avergli
lanciato una chiara
frecciatina, lo invita a chiamare la prossima testimone.
“Avanti
la prossima!!” – dice poi, sistemando la sua roba
nella tasca, fiero di averlo
utilizzato come si deve per la missione che è chiamato a
compiere.
***********************************
“Amica
mia, com’è andata?” – chiede
Nairobi, correndo incontro a Tokyo di ritorno.
Le
due si abbracciano. Poi la più giovane risponde –
“Pensavo peggio, l’ispettore
è un brav’uomo. Niente a che vedere con la
gentaglia a cui siamo abituate noi”
“Beh…
deve ancora nascere il poliziotto che mi farà cambiare
idea” – puntualizza la
gitana.
“Fidati,
Nairo! Quell’uomo ha un tatto particolare, sono sicura che
saprà scavare anche dentro
di te, e lo farà con una delicatezza tale che non ti
renderai neppure conto di
esserti lasciata andare”
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Capitolo 5 *** 4 Capitolo ***
4
Capitolo
“Signorina,
la sua testimonianza sarà sicuramente preziosa, contiamo su
di lei” – il primo
a pronunciarsi, una volta sedutasi la successiva testimone,
è Daniel Ramos.
Osserva,
estasiato, una meravigliosa creatura dai capelli ricci e biondi,
così delicata ed
elegante per essere una spogliarellista.
“Non
dubitate di me, signori. Sono una che non esita a raccontare e vi
dirò tutto
ciò che serve. È nella mia natura farlo, sempre e
comunque. Le mie compagne
sono restie nel seguire le regole. Sanno solo cacciarsi nei guai, e
sono io
quella che tenta di impedirlo, a volte comportandomi di
conseguenza” – spiega,
lasciando intuire il suo modus operandi, ovvero quello del fare la spia.
Infatti,
quella rivelazione colpisce Santiago che mai avrebbe scommesso sulla
doppia
faccia della mansueta Stoccolma.
Ed
è sempre lei, a sua discolpa, a precisare –
“Non fraintendetemi, non faccio ciò
che faccio per tradire le mie compagne. Lo faccio, unicamente, per
placare le
loro ribellioni. Qui abbiamo un codice e va rispettato. Se loro cercano
di
alzare la cresta, generano guai per cui potremmo pagarne il prezzo
tutti quanti.
Per tale ragione, mi espongo ed intervengo”
“Quindi
lo fa per il bene collettivo?” – domanda Daniel,
ben predisposto verso la
giovane donna.
“Ovviamente
sì” – risponde la bionda, senza alcuna
esitazione.
Ma
a Santiago non sono mai piaciute le persone di quel tipo, pronte a
spifferare
tutto alla prima occasione, magari per guadagnarne favori.
“Bene,
allora…visto che non hai problemi a fare ciò che
ti viene chiesto, mi dici come
mai ti trovi qui?” – la mette alla prova.
Visto
che Stoccolma sostiene di essere sempre pronta a rispettare e far
rispettare le
regole, si presume che, essendo addestrata ai comportamenti corretti,
non si
tirerà indietro neppure di fronte alle loro domande
“scomode”.
“Ehi,
amico, avevamo deciso che…” – interviene
il trentenne, intuendo il gesto del
collega, senza coglierne il vero senso.
“Shh”
– lo zittisce l’altro, ponendosi
all’ascolto della imminente risposta della
testimone.
“Ehm…volete
sapere di me? Signori, io non sono qui per la mia persona, ma per
Lisbona” –
sottolinea la riccia, agitandosi immediatamente.
Lei,
come Tokyo dieci minuti prima, sembra non amare parlare della sua
vita… perciò,
e Santiago ne ottiene conferma, Stoccolma è sì
come le altre farfalle su quel
punto di vista, ma è anche pronta a pugnalare le amiche alle
spalle in nome del
cosiddetto protocollo.
“Infatti,
scusalo, a volte supera i limiti” – aggiunge Ramos,
pronto a salvare la dama in
pericolo. Vedere la dolce ragazza agitarsi, per chissà quale
idea del suo
socio, lo ha spinto ad intervenire.
E
quella sorta di accusa contro la sua persona, spiazza totalmente il
quarantaduenne che, inarcando il sopracciglio, si volta verso
l’amico e,
polemico, gli dice – “Sul serio, sarei io quello
che supera i limiti?”
“La
stai mettendo in difficoltà, non posso
permetterlo” – segretamente il figlio
del Commissario cerca di far colpo sulla ragazza, e quale migliore modo
se non
quello di difenderla a spada tratta?!
“A
che gioco stai giocando?” – afferrandolo ad un
braccio, tirandolo a sé,
l’adulto cerca spiegazioni.
“Fidati,
non serve scavare a fondo. Non l’abbiamo fatto con Tokyo, non
vedo perché farlo
con Stoccolma” – gli risponde, a bassa voce.
“Non
eri tu a dire che sarebbe stata la testimone più
utile?” – continua il
maggiore.
“Già,
però mi riferivo alla faccenda della Murillo. Tu stai
indagando oltre, non
capisco la ragione. L’hai fatto con Manila, poi con Tokyo,
decidendo di
cambiare atteggiamento vista la sua reazione, e adesso con Stoccolma.
Amico, che
intenzioni hai, di fondo?” – lo mette di fronte al
comportamento che ritiene
ambiguo.
Questo
frena Lopez dall’approfondire la questione, e dà
carta bianca al collega di
seguire lui in primis l’interrogatorio della donna.
Il
maggiore tra i due si mette in disparte e osserva. In realtà
segue poco quello
che la riccia racconta, preso dalla riflessione sul suo stesso agire.
Cosa
sta realmente cercando? Informazioni su Raquel Murillo, o sulle
farfalle in
generale?
“Ora
dove vai?” – domanda Daniel vedendolo allontanarsi.
“Continua,
arrivo subito”
Uscendo
dal privé, scorge in lontananza l’ingresso dove
alcune persone, i prossimi
all’interrogatorio, sono radunati.
Ha
bisogno di silenzio e di solitudine per cercare di trovare una risposta
che possa
convincere il collega e se stesso della sua buona fede nel porre
domande
private che hanno nulla a che fare con la scomparsa della donna.
Questo
gli risulta difficile, in quanto nota la presenza di Berrotti, seduto
sul
divanetto, che confabula qualcosa con i due serbi, Tokyo che
è in piedi,
alquanto assonnata, e che cammina avanti e indietro per mantenersi
sveglia.
Evidentemente
non le è stato concesso l’ok per andare a dormire
come avrebbe desiderato.
O
ha scelto lei di non farlo, per stare assieme a quella che considera
sua
sorella.
E
poi c’è proprio quest’ultima.
La
farfalla che Santiago ancora non ha il piacere di incontrare.
Da
lontano distingue una folta chioma nera e una pelle ambrata che suscita
inevitabilmente il suo interesse.
Per
volontà di un bizzarro destino, gli occhi dei due si
incrociano per un istante.
Lo sguardo di un’amazzone, lo fa sussultare.
Non
sa conteggiare il tempo trascorso a fissarla, sentendo le gambe
faticare a
tenersi in piedi, come se la donna con il solo sguardo lo avesse
indebolito nel
fisico.
È
la voce improvvisa, alle sue spalle, di Daniel Ramos a richiamarlo alla
realtà.
“Amico,
vieni immediatamente qui! Devi ascoltare Stoccolma, SUBITO”
– lo tira a sé,
riconducendolo nel privé.
La
bionda, in attesa di farsi ascoltare, riprende la sua testimonianza.
“Cosa
puoi raccontarci di importante per le ricerche?” –
chiede Lopez, cercando di
recuperare la concentrazione.
E
precisamente le parole successive di Stoccolma danno modo
all’uomo di restituire
importanza alla missione.
“Io
ho visto in faccia qualcuno con cui Lisbona litigò qualche
settimana fa!”
“Dicci
tutto!” -
esclama, entusiasta, Santiago.
“Ascoltala
bene, perché forse abbiamo in mano un possibile
testimone” – aggiunge Daniel,
rivolgendosi al collega.
“Dieci
giorni fa, ricordo che eravamo prossime all’apertura del
Mariposas. Alle prese,
ciascuna, con il proprio look della nottata, lei mi chiese di aiutarla
con il
suo abito. Le domandai come procedeva la sua vita, se avesse bisogno di
un’amica con cui parlare. Lei ovviamente non
sembrò disposta ad avermi come
confidente, perciò chiusi subito la questione. Ma era
turbata, molto turbata,
più del solito”
“Aveva
litigato con questo uomo?”
“Non
so dare conferma del fatto, però le assicuro che quella
stessa notte, la vidi
allontanarsi con una persona. O meglio, io ero appena uscita dal bagno,
mi ero
sentita poco bene, e fu allora che li vidi. I due erano nei corridoi,
isolati
da tutti, convinti di essere soli, ovviamente. Non ho capito
granché, se non un
nome in particolare”
“Quale
nome?” – la faccenda si fa intrigante e Santiago
annota ogni dettaglio del
racconto.
“Alberto!
Probabilmente un suo cliente, non ho mai avuto conferma”
“Non
sarà mica il nome dell’uomo con cui
discuteva?”
“No, signore. Io conosco il nome della persona con cui
discuteva bruscamente”
“E
chi è?”
“Si
chiama Anibal Cortes, è un giovane del quartiere.
L’ho visto spesso aggirarsi
da queste parti”
“Potremmo
interrogarlo. Raccoglieremo informazioni su di lui e agiremo di
conseguenza” –
con nuove informazioni in tasca, Lopez saluta la donna, cercando di
mettere
insieme le varie testimonianze.
“Allora,
Raquel non ha amici, è sempre sola; viene condotta qui da un
uomo incappucciato;
dieci giorni fa litigò con una persona… la
situazione è confusionaria. Forse
questo Anibal può essere la chiave di svolta, tu che ne
pensi Dani?” – riflette
ad alta voce, coinvolgendo il collega.
Però
Ramos è totalmente preso da Stoccolma, non riuscendo a non
pedinarla con lo
sguardo mentre si dirigeva dagli altri.
“Ehi,
mi ascolti?”
“Eh?
Si certo, scusami, vado a chiamare l’ultima
farfalla”
Ricordandosi
che c’è ancora una pedina importante da
interrogare, Santiago sa di chi si
tratta…dell’amazzone e avverte una strana
sensazione.
In
silenzio, attende l’arrivo di lei, e sente il cuore
sobbalzare mentre il
tacchettio degli stivali della donna percorrono i metri che la
conducono a lui.
Mantiene
lo sguardo basso, fin quando Daniel la presenta –
“Lei è Nairobi”
Lentamente,
Santiago solleva gli occhi, puntandoli sulla persona in questione.
Man
mano studia il suo corpo, dalla punta dei piedi fino ad arrivare a
quegli occhi
che, minuti prima, riuscirono ad annientarlo.
Deglutisce
rumorosamente quando la mette a fuoco in tutto il suo splendore.
Pensieri
poco puliti si fecero spazio nella sua mente, costringendolo ad evitare
di
guardarla.
Ma
la gitana si accorge delle stranezze dell’ispettore e
intuisce lo stato di
eccitazione che ha suscitato.
Perciò
ha già chiara in mente la sua mossa successiva.
Provocatoriamente,
accavalla le gambe, e comincia a giocare con l’erotismo.
Gioca
con gli orecchini, sposta i capelli all’indietro, si
mordicchia il labbro
inferiore…si accarezza perfino il decolté
mettendolo in bella vista.
Non
ama la polizia, non ha intenzione di accontentarli tanto facilmente.
Decide di
giovarsi del fascino che esercita e opta per la soluzione
più divertente:
portarlo allo sfinimento e all’apice della pazzia, arrivando
a dominare gli
impulsi di chi, stando ai fatti, dovrebbe esercitare su di lei il
controllo.
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Capitolo 6 *** 5 Capitolo ***
“Santiago,
ti senti bene?” – chiede Daniel al collega, notando
uno strano silenzio – “Oggi
non sembri tu. Che ti prende? Qualcosa di questo posto, e di questa
gente, ti
crea sensazioni particolari?”
Nairobi,
seduta di fronte all’ispettore, continua a fissarlo, ben
cosciente di quanto il
suo solo sguardo pesa sulla concentrazione dell’uomo.
Il
quarantaduenne si impappina facilmente, non mostrandosi risoluto, come
lo fu
con Manila, Tokyo e Stoccolma.
Qualcosa
nella affascinante zingara lo confonde mentalmente.
“Ragazzino,
sembri non conoscere il tuo socio. Io ho capito cosa gli
succede” – prende
parola la gitana, divertendosi della situazione.
“Cioè?”
– risponde il ragazzo, non dandole peso, impegnato nello
scuotere il compagno
di lavoro.
“Se
andassi via, sarebbe meglio” – replica Nairobi.
“Non
capisco!” – afferma, confuso, Ramos.
“Sto
bene, riprendiamo dove ci eravamo interrotti… ”
– Santiago tenta di riprendere
l’autorità che sembra essersi perduta con
l’arrivo della moretta.
“A
dire il vero, ancora non iniziamo” – ridacchia la
donna, mentre continua a
giocare con i numerosi anelli alle dita delle mani.
“Ehm…vediamo…cosa
dobbiamo chiederle… mi sto perdendo” –
nervoso, Lopez manifesta il classico
panico da persona che affronta una circostanza per la prima volta.
Il
tutto sotto lo sguardo, scioccato, di Daniel.
“Cazzo”
– commenta il giovane, non riconoscendolo –
“Hai detto a me di frenare
l’ormone, però amico… a me sembri un
cocainomane che ha davanti a sé la droga
più pura e costosa e deve trattenersi…”
“La
verità è il tuo caro socio mi vorrebbe scopare,
ma sa che io non gliela darei
mai nella vita” – le provocazioni di Nairobi non
trovano fine, e superano i
limiti, anche del parlato civile, ricordando lo stile tipico di Tokyo.
L’ispettore,
udendola, non alza lo sguardo, ma la spia con la coda
dell’occhio.
“Cosa
cazzo mi succede?” – pensa tra
sé e sé, non riuscendo a trovare risposta.
Ramos,
nel mentre, comincia a divertirsi e risponde alle parole della gitana
con un
suono che ricorda vagamente una risata.
“Cos’era
quello che hai appena fatto?” – domanda Nairobi,
stranita dal ridere del
giovanotto.
Daniel
fa spallucce, tornando, subito dopo, all’amico, rimasto in
silenzio, con gli
occhi puntati sulle annotazioni prese durante i primi tre interrogatori.
“Allora,
sei in condizione di andare avanti o procedo io con la
ragazza?” – gli sussurra
il trentenne, sentendosi perfino gratificato di essere capo di un
lavoro per la
prima volta.
“No,
no ci sono! Scusami, non è da me…”
“Eh,
ho notato”
Nairobi,
intanto, si mette in piedi, camminando avanti e indietro, mostrandosi
annoiata
dall’attesa, e lo fa ancheggiando i fianchi, come
è sua abitudine, per
ammaliare i clienti, attirando anche l’attenzione di Daniel,
per un momento.
“Quanto
dovrò aspettare ancora?” – si pronuncia,
alzandosi la folta chioma nera per
raccoglierla in una coda.
“Ci
siamo, ecco! Siediti, però” – la
supplica Santiago, lasciando intuire un “Ti
prego siediti perché se continui a provocare non mi dai modo
di farti domande”
Così,
la donna si accomoda, di nuovo, accavalla le gambe e, soddisfatta di
aver
generato il panico voluto, si appresta a fare il suo dovere.
“Adoro
giocare con voi!”
“Con
noi due? E perché?” – le chiede Daniel,
a tratti timoroso della risposta.
“Non
voi nello specifico, ma gli uomini in generale. Siete così
superficiali che vi
basta un culo e delle tette per andare fuori di testa!”
“Non
ti permettere, siamo persone serie, con tanto di distintivo”
– precisa Daniel
vantandosi del suo titolo, seppure cosciente che, un pizzico di
verità, nel
discorso di Nairobi c’è.
“Si,
come no!” – commenta lei, borbottando qualcosa di
difficile comprensione.
“Bando
alle ciance, parlaci di Raquel Murillo, cosa sai di lei?”
– a quel punto,
Santiago, controllandosi il più possibile, dà
inizio alle danze.
“Nulla,
so quello che sanno le altre. E direi che, rispetto a me o Tokyo, aveva
un modo
di fare più puritano, non so se mi spiego”
– commenta, con un occhiolino che la
dice lunga.
“Ehm,
chiarissimo” – di nuovo la deglutizione di Lopez si
fa ben udibile.
E
dopo l’ennesimo scambio di sguardo tra i due, è
l’ispettore più giovane a
continuare – “Hai visto qualcosa di strano negli
ultimi giorni o nelle ultime
ore?”
“Non
so niente. Io ho la mia gente, Lisbona aveva la sua”
“Tu,
come le altre, quindi, non hai mai stretto una grande amicizia con
lei?”
“Nessun’amicizia,
precisamente. Certo, esiste un codice da rispettare che ci impone un
comportamento
civile le une con le altre, però niente di
più”
“Di
cosa si tratta? Cioè non capisco cosa intendete dire voi
farfalle quando
parlate di regole che dovete seguire” – interviene
Daniel, incuriosito da tale
dettaglio.
“Voi
non seguite un protocollo?”
“Abbiamo
un modo di operare che…”
“Esattamente,
ragazzino! Per noi è lo stesso, come voi, abbiamo un certo
modo di comportarci,
voluto…diciamo…dall’alto”
– spiega Nairobi, alludendo a chi è a capo di
tutto.
“Ci
hanno raccontato, poco fa, che la Murillo è stata beccata a
discutere con un
ragazzo. Ne sai qualcosa?” – interviene il maggiore.
“Sinceramente
so solo che si intratteneva con un uomo, alquanto affascinante,
dall’aria molto
seria, ma assai eccitante. Una volta mi proposi e lui, garbatamente, mi
diede
un due di picche”
“Sul serio? Come si fa a darti un due di picche?”
– Santiago, scioccato, si
espone lasciando intendere che al posto di quello sconosciuto lui
avrebbe
ceduto immediatamente.
E
mentre la gitana sorride, compiaciuta, si lascia scrutare dagli occhi
del
quarantaduenne che sembra alternare momenti di lucidità a
momenti di totale estasi.
Comportamento
non tipico per Santiago Lopez, eppure sperimentato, per la prima volta,
alla
sola vista e presenza di una moretta dal carattere poco docile, pronta
a
tenergli testa come una vera Amazzone.
“Ricordi
il nome di questo uomo con cui Raquel si intratteneva?”
– domanda Daniel.
“Non
siamo tenute a fornire informazioni di questo tipo, mi dispiace. Se
volete
notizie su Lisbona, eccomi qui. Ciò che riguarda la
realtà fuori da queste
mura, non è di mia competenza” – alza le
mani la donna, che sa il nome dell’uomo
ma non può rivelarlo per questioni di privacy.
A
quel punto, dopo aver udito informazioni già acquisite dai
precedenti interrogatori,
i due ispettori puntano ad altro.
Ed
è proprio l’adulto a sollevare la questione
– “Sai qualcosa di un certo Anibal
Cortes?”
Sentire
quel nome fa sobbalzare la gitana che, sbattendo, rapida, le lunghe
ciglia
folte e cariche di mascara, non si pronuncia.
“Dalla
tua faccia scioccata, direi che lo conosci! Come mai era in rapporti
con Raquel
Murillo? Lui è un cliente assiduo del Mariposas?”
– domanda ancora Ramos.
“Assolutamente
no, non vedo perché immischiare quel povero ragazzo in
questa vicenda! Abita nella
zona del Night Club e spesso ci viene a far visita”
– spiega, alquanto
esterrefatta. Le basta poco ad intuire chi delle sue colleghe
può averlo tirato
in ballo – “Anibal che discute con Lisbona?! Ma se
a stento si conoscevano!” – brontola
ancora, infastidita – “Va beh…abbiamo
finito?” – il suo umore è mutato.
Nairobi
adesso è visibilmente irritata e prossima ad esplodere in
una accesa
discussione.
“In
realtà no, però…diciamo che, per il
momento, puoi andare ”-
la congeda Daniel, non prima di aver ricevuto
anche l’ok del collega.
Santiago,
infatti, rimasto in silenzio, stavolta non per gli ormoni, ma per
studiare le
reazioni della donna, ha carpito che la questione Anibal Cortes
l’ha toccata
particolarmente.
Ignora
la ragione, però ha voglia di capirne di più.
E
proprio quando è Martin Berrotti ad entrare nel
privé, prossimo a dare la sua
testimonianza, Lopez affida l’interrogatorio al socio.
“Utilizza
il registratore così potrò ascoltare anche io
cosa racconterà; ho altro di cui
occuparmi”
“La
moretta?” – lo stuzzica Ramos –
“Hai intenzione di scopartela mentre io sono qui
a faticare?” – alla presa in giro, il
quarantaduenne gli risponde con una sberla
sulla nuca.
“A
dopo, signor Berrotti”
“Va
via?” – chiede, con garbo, il proprietario del
Night Club.
“No,
però vorrei concludere un confronto importante, quanto
prima!”
Così
dicendo, l’uomo si allontana.
All’ingresso
sono rimasti solo i serbi, Manila e Stoccolma.
Di
Tokyo e Nairobi neppure l’ombra.
Strano.
Che siano andate a dormire?!
A
quel punto, non rimane che girovagare per il Mariposas alla ricerca di
indizi.
Nel
frattempo, le due migliori amiche sono ben nascoste e si confrontano su
una
faccenda di rilevanza notevole.
“Davvero
hanno tirato in ballo Anibal?”
“Esatto,
proprio lui. Ti giuro che stavo per prendere a calci le pareti, ti
rendi conto
che quella puttana di Stoccolma ha messo in mezzo un
innocente?”
“Questa
me la paga”
“No,
Toky, evitiamo ulteriori discussioni adesso che
c’è di mezzo l’indagine, Martin
si infurierebbe”
“E che facciamo? Ce ne restiamo con le mani in mano mentre la
polizia punta il
dito contro il mio ragazzo?”
“Bisogna
avvisarlo di fare attenzione. A quanto chi sappiamo, vuole metterlo in
mezzo a
una situazione scomoda, e si serve del cagnolino fidato,
cioè Stoccolma!”
“Non posso permetterlo! Come ci comportiamo, amica
mia?”
“Non
ci si può fidare della Polizia. Loro sono solo alla ricerca
di una donna che
credono nelle mani di chissà chi. Nessuno sa cosa realmente
sia accaduto, però
si deduce, senza prove, che Lisbona sia stata portata via. E sono
convinta che
non appena hanno un nome su cui puntare, l’indiziato numero
uno sarà proprio
quello. Se non salta fuori qualcun altro, il tuo Rio potrebbe diventare
il
presunto colpevole della scomparsa di Raquel Murillo”
“Povero
amore mio” – abbattuta, la più giovane
delle due si stringe all’altra, sfogando
la sua amarezza.
“Non
permetteremo che accada nulla. E forse quel tale Santiago Lopez
può essere utile..”
************************************
Proprio
Santiago vaga senza meta per svariati minuti, fin quando delle voci in
lontananza
lo costringono a fermarsi. Verso di lui avanzano due donne, prese dalla
loro
conversazione.
“Nairobi,
Tokyo, eccovi” – corre loro incontro.
“Cosa
c’è?” – risponde, brusca, la
prima.
“Dovrei
parlarti, per favore, solo io e te”
“Uhhhh
la mia amica ti ha già strappato il cuore dal
petto?” – ridacchia l’altra,
dando un colpetto al braccio dell’uomo e successivamente
anche a quello della
gitana.
La
reazione di lei è insolita.
Arrossendo,
la manda a quel paese teneramente, e accetta di isolarsi con il
poliziotto.
“Vieni,
nella mia camera nessuno potrà sentirci”
– propone, spiazzando l’ispettore.
“Non
abbiamo un posto meno…intimo?”
Lei
finge di non sentirlo, e una volta dentro, gira il chiavistello, sotto
lo
sguardo imbarazzato dell’uomo.
“Prego”
– dice lei invitandolo a sedersi sul letto, unico posto
disponibile.
“Non
ci sono tavolini e sedie, quindi non hai scelta” –
gli sorride, sapendolo
agitato per la circostanza alquanto bizzarra.
“Wow,
questa camera è bellissima” – commenta
Lopez, accortosi di una suite a 5
stelle, con aggiunta di bagno con vasca ad idromassaggio.
“Noi
qui ospitiamo spesso i clienti, non penserai che li facciamo riposare
in stanze
misere e strette?”
“Ehm…già!”
– commenta lui, intuendo i motivi di tanto lusso.
“Allora?
Cosa volevi chiedermi?” – Nairobi apre la
conversazione sul tema centrale, e
nel farlo…. - “Non ti scandalizzerai se mi cambio
qui!?”
“Cambiarti? Scusa ma non potresti usare il bagno
per…” – non fa in tempo a
finire la frase che la gitana si sveste senza attendere neppure la sua
risposta.
Lopez
non resiste, non può chiudere gli occhi di fronte a tanta
bellezza.
La
osserva, fingendo disinteresse, mentre si libera di tutti i vestiti,
eccetto l’intimo
di pizzo che è in perfetto pendant con una sottoveste nera
indossata a gran velocità.
Controllando
i bollenti spiriti, l’ispettore dimentica perfino la ragione
per cui decise,
minuti prima, di confrontarsi di nuovo con la zingara.
“Ecco,
dimmi tutto” - dice
lei, sbadigliando subito
dopo, sedutagli di fronte, e prossima a cedere al sonno.
“Sei
esausta? Scusami, ti sto trattenendo dal riposare!”
“Lavorare
di notte ha molti lati negativi, sai?”
“Capisco
benissimo, sono stanchissimo anche io”
A
quel punto, sorprendentemente, la donna fa posto all’uomo
proprio al lato
destro del letto.
“C’è
posto”
“No,
non posso. Il mio collega sta interrogando gli altri, io sarei uno
stronzo se
mi addormentassi..”
In
tale momento, accade l’impensabile.
Nairobi
accenna una risata più che beffarda, si direbbe assai
maliziosa.
La
gitana si avvicina a lui e si posiziona a carponi sulle sue gambe.
“Se
ti dicessi invece di non dormire?” – e di fronte ad
una evidente proposta hot, il
quarantaduenne non tiene più a freno l’eccitazione.
La
fissa per appena due secondi, e gli basta guardare come lei appoggia
fisicamente
il seno al suo petto, per cedere completamente.
Si
fionda sulle labbra di lei, mentre senza contegno le palpa ogni parte
del
corpo.
Con
foga i due si ritrovando uno sopra l’altra, travolti da una
passione animalesca,
travolgente, che Santiago non riusciva più a contenere.
Sono
minuti brevi ma molto intensi, di una goduria tale da replicare fino
allo
stremo delle forze.
Mai
in vita sua ha vissuto una situazione simile: vede una donna, gli fa
sangue,
cede alle sue provocazioni, e fanno sesso dopo mezz’ora.
Tutto
irreale, tutto così dannatamente piacevole…
È
solo la chiamata di Daniel Ramos a ricordare al socio di tornare al
dovere.
“Torni
dal tuo amico?” – chiede la zingara, sistemandosi
sotto le lenzuola, mentre lo
guarda rivestirsi.
“Ho
un lavoro da portare a termine e mi sono approfittato di Ramos per
troppo
tempo!” – chiusa la zip dei pantaloni, afferra le
scarpe, le indossa al volo e
si appresta a lasciare la camera.
In
maniera spontanea, le si avvicina, cercando un bacio…bacio
che, ovviamente, non
riceve. Ricorda solo allora che tra loro è stato solo sesso.
Niente baci né abbracci.
Nairobi
è abituata a quel modo di fare ed è precisamente
lei a negare il gesto tenero
all’amante.
E
mentre si avvia alla porta, Nairobi gli dice, fingendo un tono
scherzoso – “Guai
a voi se mettete nei casini Anibal Cortes”
Di
nuovo quel nome.
Di
nuovo la difesa del ragazzo di Tokyo.
Santiago
non sa perché la gitana tiene tanto a quella persona,
però non risponde alla battuta
della donna. Presa tutta la sua roba, lascia la stanza.
Una
volta da sola, la gitana afferra un telefono, posto sul comodino di
fianco al
suo letto e chiama la stanza di fianco.
“Toky,
sono io!”
“Te
lo sei scopata per salvare il mio Rio? Nairo, non dovevi”
“Tranquilla, il tuo fidanzato non si tocca. Io per voi due
farei di tutto,
siete la mia famiglia, perciò… vedrai,
riuscirò a convincere il signor Lopez e
lo porterò dalla nostra parte. A quel punto, nessuno,
neppure Palermo, potrà impedirci
di essere ciò che siamo”
|
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Capitolo 7 *** 6 Capitolo ***
Santiago
Lopez non è mai stato il classico uomo amante di relazioni
stabili. Il suo
passato la dice lunga…numerose relazioni, tutte finite male.
Ha
grosse difficoltà a fidarsi di questo sentimento.
Attribuisce la responsabilità
ai problemi vissuti, a sua volta, dalla madre nel campo amoroso. Donna
tradita
e abbandonata dal marito, che, seppure poco fiduciosa nei confronti
degli
uomini, cercò, invano, di sistemarsi per garantire al suo
piccolo Santi un
futuro migliore.
E
così Lopez si trovò in casa, non uno, ma ben
cinque sconosciuti che avrebbero
dovuto rivestire quel ruolo.
Tutti
inadeguati e perfino incapaci di dargli dell’affetto.
Ad
oggi, l’ispettore è sempre più convinto
di essere stato lui, in primis, a
schivarli ed evitare di costruire un legame.
Proprio
per tale ragione ha faticato, poi, a trovare la partner per la vita.
Chissà…magari
è destino che rimanga single, o che si diverta con varie
donne per qualche
notte, per non guastare l’immagine che la gente ha di lui. Al
commissariato lo
chiamano “Il Dongiovanni” …e, proprio
come se fosse una profezia che si
autoavvera, Santiago si comporta davvero da playboy per non deludere le
aspettative e le idee di nessuno.
La
beffa più grande del destino?! Lui che si ripromise di non
mettere su famiglia
per evitare ai figli un padre assente e un dolore inevitabile, ne ebbe
addirittura sette.
Sette
amanti differenti gli hanno dato sette bambini di cui custodisce,
gelosamente,
delle fotografie, nel portafogli: Emilio, Julian, Eric, Ana, Yaris,
Drazen, e
Ivana.
Tale
circostanza ha alimentato le voci sul suo conto…quelle voci
riguardanti un uomo
non voglioso di impegnarsi, ma dedito esclusivamente a scopare,
divertirsi e
poi, in caso di bebè, mandare l’assegno di
mantenimento ogni mese, senza
assumersi ulteriori responsabilità genitoriali.
Essendo
quello il suo comportamento standard, Lopez non è abituato a
pensare e
ripensare alle passioni consumate con varie donne, eppure…
Eppure,
Nairobi ha risvegliato qualcosa in lui… e non si tratta solo
di ormoni.
Quel
posto, quelle strane sensazioni provate appena arrivò al
Mariposas, che lo
estraniarono, e ciò che accadde con la gitana, iniziano a
fargli pensare che
non deve solo scovare il passato e il presente di Raquel Murillo, ma
anche il proprio.
C’è
qualcosa, di cui ignara le ragioni, che la memoria ha messo in un
cassetto. Un
cassetto che necessita, per essere sbloccato, di una particolare chiave.
Che
sia proprio Nairobi la chiave giusta?
*******************************************
“Che
cazzo di fine hai fatto?” – il rimprovero di Daniel
giunge forte e chiaro al
frastornato Santiago.
“Scusami,
come procede qui?” – chiede sedendosi sul divanetto
che ha ospitato i vari testimoni.
“Procede
che ho finito. Sono stati interrogati tutti”
“Seriamente?”
– incredibile quanto tempo sia trascorso da quando si
è allontanato…incredibile
quanto tempo abbia passato assieme a Nairobi.
“Non
voglio sapere cosa hai fatto nel frattempo, anche se posso dedurlo
dalla tua
attuale faccia e dai succhiotti che hai sul
collo…” – Ramos seppure abbastanza
infastidito, non indaga oltre, ma si concentra sul caso –
“Ciò di cui vai messo
a conoscenza è che Martin Berrotti ha confermato la
conoscenza tra Cortes e la
Murillo. Racconta di averli visti insieme, davanti al Night Club,
qualche sera
fa, e confabulavano qualcosa”
Lopez
non risponde, si limita ad ascoltare, convincendosi sempre di
più della
necessità di interrogare anche il ragazzo che Nairobi sembra
a tutti i costi
voler proteggere.
“E
inoltre...” – puntualizza Ramos –
“Berrotti smentisce l’esistenza di un amante
segreto della Murillo”
“Ti
riferisci all’uomo con cui Nairobi diceva di volersi
intrattenere e che le ha
rifilato un due di picche?”
“Precisamente!
Ho chiesto se Raquel aveva legami particolari con dei clienti, ma il
proprietario ha affermato che non lavorava come le altre. Non si
concedeva a
nessuno”
“Le
cose non tornano, però. Perché Nairobi avrebbe
dovuto inventare una storia con
una persona che non esiste?”
“Per
coprire un’altra, semplice” – afferma
convinto Daniel.
“Credi
che lei stia tutelando Cortes, vero? Sei convinto che lui possa avere
un ruolo
in questa storia?”
“Beh,
amico… rifletti, è stato nominato non solo dal
proprietario ma anche da
Stoccolma. Hanno detto di averlo visto discutere o parlottare con la
donna
scomparsa. Su di lui, abbiamo la certezza di una persona in carne ed
ossa. Lo
dimostra il fatto che Nairobi lo ha difeso subito, senza negare di
conoscerlo. Anibal
Cortes esiste, invece, ciò che non sembra essere reale
è l’altra figura con
cui, a detta della gitana, si intratteneva Lisbona”
“Quindi,
a tuo dire, quella che mente è lei? Perché
farlo?”
“Pensaci…sia
la zingarella che Tokyo hanno confermato di non essere mai state amiche
di
Raquel. Probabilmente nascondono entrambe altri dettagli. E se fosse
una
competizione tra donne, finita male?”
Tale
ipotesi non convince affatto Santiago –
“Seh…” – esclama il suo
disaccordo – “E
poi? La avrebbero eliminata per gelosia? Difficile
immaginarlo!”
“Un
fatto è certo. Qui qualcuno sta spudoratamente
mentendo!”
E
dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali nei loro cervelli si
accavallano
svariate idee, a tratti surreali, è il maggiore dei due a
proporre -
“Andiamocene, torniamo al commissariato. Il lavoro qui
è momentaneamente
terminato. A proposito, i due serbi li hai interrogati?”
“Si,
ma hanno parlato poco e nulla. Quell’Oslo non spiaccica
parola, non conoscendo
lo spagnolo, e l’altro, Helsinki, ha l’aria di un
cagnolino fedele al padrone.
Insomma, entrambi hanno raccontato di cose inutili, ai fini delle
ricerche” –
spiega il trentenne, indossando la sua giacca nera di pelle, pronto
all’uscita.
Quando
i due ispettori raggiungono l’ingresso, dalla vetrata
è visibile la luce del
giorno.
“E’
mattino, cazzo! Quante ore abbiamo trascorso chiusi qui?!”
– brontola il figlio
del commissario, sbadigliando subito dopo.
“Signori,
spero abbiate raccolto le informazioni necessarie a dare il via alle
indagini”
- vengono raggiunti da Martin, seguito a sua volta dai buttafuori,
Stoccolma e
Manila.
Sorprende
la fedeltà dei quattro al loro Boss, contrariamente alle
altre due Farfalle,
non presenti.
“Abituatevi
a vederci spesso da queste parti” – puntualizza
Santiago, scrutando i visi di
tutti, una volta pronunciata quella frase.
Ciò
che nota è un estremo controllo, aggiunto al sorriso
tranquillo di Berrotti,
che si mostra quasi felice di questo – “Vi
aspettiamo, calorosamente!” - poi fa
cenno a una delle due donne, che carpisce il messaggio. A scattare
è, infatti,
la riccia – “Vi accompagno
all’uscita”
“Alla
prossima” – li saluta, guardando con occhi da
cerbiatta, Daniel, il quale,
stregato da tanta bellezza, risponde con un cenno della mano e un
sorriso da
ebete.
La
porta si chiude e le luci che nella notte davano colore alle stradine
deserte
della zona, sono sostituite dal sole accecante.
È
come se, con l’alba di un nuovo giorno, quelle viuzze
avessero preso vita.
Ritrovare
il parcheggio della loro vettura è un’impresa meno
faticosa adesso. E non
appena a bordo, i due possono finalmente rilassarsi.
In
quel locale si sentivano come spiati, e ora possono ritenersi liberi di
parlare
delle loro impressioni.
Peccato
che, una volta a bordo, Ramos tira fuori un argomento che non
è affatto di primaria
importanza.
“Allora…
dovrei rimproverarti, come tu fai con me, ma confesso di essere
piuttosto invidioso”
“Che
cazzo dici?” – chiede, confuso, mentre ingrana la
terza marcia.
“Non
fare il finto tonto, sai a cosa mi riferisco. Tu a scopare e io a
sgobbare,
sappilo che me lo segno sulla rubrica. La prossima volta tocca a
me” – lo
prende in giro, ridacchiando.
“Che
cretino che sei” – scuote il capo, non trattenendo
una risatina imbarazzata – “Piuttosto,
dobbiamo parlare di cose serie. Devi farmi ascoltare la registrazione
degli
interrogatori…”
“E
questo di cui stiamo conversando non lo ritieni importante!? Insomma,
hai fatto
sesso con una testimone, subito dopo averla interrogata. Che cosa
trasgressiva.
Come ti senti?”
“Ma
cosa dici?”
“Dai,
è come se…non so…ad esempio, un ladro
rapinasse una banca e scopasse con un
ostaggio!”
Quel
paragone spiazza Santiago che non sa se ridere di gusto o mandarlo a
quel
paese.
Evita
di replicare, e così Daniel continua - “Se fossi
stato in te, mi sarei inserito
nella lista dei clienti di quella moretta… anzi, quasi quasi
ci penso anche io a
…”
“Non se ne parla proprio!” – la risposta
secca dell’adulto sottende un “NON PROVARE
A TOCCARLA”.
“Ehi,
adesso siamo anche gelosi?” – punzecchiare il
collega lo diverte, e così il
trentenne prosegue per tutto il tragitto.
L’ispettore
alla guida non può far altro che rassegnarsi a mille
domande, battutine audaci,
il tutto amplificato anche dalla sua stessa memoria che gli regala, di
tanto in
tanto, alcuni flash dell’ora di passione trascorsa con
Nairobi.
Le
gote si tingono di rosso acceso e perfino la sudorazione aumenta, al
ricordo
della nudità della gitana.
“E’
uno spettacolo della natura! Non credevo potesse esistere qualcosa del
genere”
– pensa e nel farlo, si pronuncia ad alta voce,
inconsapevolmente, spiazzando
il giovane di fianco.
“Cazzo, sei proprio cotto! Ma cos’è
stato? Un colpo di fulmine?”
“Ehm…no, dimentica cosa hai appena sentito. Stavo
scherzando…” – Santiago cerca
di uscire dall’impaccio, ma è inutile di fronte a
un macho man come Daniel
Ramos che, piuttosto, si complimenta.
“Basta
idiozie, Dani! Siamo arrivati, metti a tacere la tua indole da
consigliere
amoroso e sessuale... e andiamo da tuo padre. Personalmente sono
esausto,
vorrei andare a riposare perciò prima riferiamo, prima
rincasiamo” - scende
dall’auto, non prima dell’ennesima battutina del
collega.
“Dormire
da solo o in compagnia?”
Lo
ignora, e varca l’uscio d’ingresso del
Commissariato.
Augustin
Ramos non li riceve subito, impegnato con una persona, nel suo ufficio.
Ciò
esaspera Lopez, stanco morto, che deve sopportare ancora e ancora i
punzecchiamenti dell’amico.
Come
se non bastasse, a provocare arriva anche un viceispettore, noto ai
più per la
sua superbia e scarsa galanteria.
“Ecco
i grandi geni delle investigazioni fai da te”
Voce
riconoscibile, alle spalle dei due, che mette un punto alle battutine
simpatiche, aprendo un capitolo tutt’altro che spiritoso.
“Cesar
Gandia… sempre simpatico come la forfora che ti porti in
testa… ah, giusto,
scusami, dimenticavo… tu non potresti mai avere della
forfora…” – la frase
tagliente di Daniel crea ilarità generale, perfino tra i
vari poliziotti
presenti.
Il
magrolino e calvo uomo, dallo sguardo inquisitore, si avvicina, con
aria di sfida,
pronunciandosi come è solito fare - “Ragazzino,
ritieniti fortunato ad essere il
figlio del Commissario, o avresti già scontato la pena per
questa tua
impertinenza”
Irritato
dalla sfacciataggine del trentenne, il viceispettore afferra la sua
tazza di
caffè, preparatagli da una delle colleghe, e si allontana,
lamentandosi di
dover sottostare a due pagliacci indegni del distintivo che vantano
come
trofeo.
“Quanto
lo detesto” – commenta Lopez, guardandolo
allontanarsi.
“A
chi lo dici! Mi domando come mai mio padre non lo spedisca
altrove”
Santiago
fa spallucce, non trovando spiegazione a ciò.
Il
solo lato positivo dell’arrivo di Gandia è la
distrazione di Daniel, che smette
finalmente di scherzare sulla faccenda di Nairobi.
Qualche
minuto dopo, Augustin, liberatosi dal lavoro, chiama i due a rapporto.
“Allora,
prima che voi mi facciate un report sugli interrogatori, voglio
avvisarvi di
novità” – dice, invitandoli a sedersi.
“Ovvero?”
– chiede il ragazzo.
“La
persona che è uscita pochi secondi fa era una donna di mezza
età”
“Si,
l’abbiamo vista. Avrà su per giù
l’età della mamma” – precisa
il giovane.
“Esatto,
si tratta di una governante che collaborò per anni in casa
di un illustre imprenditore...
ha appena testimoniato di conoscere Raquel Murillo”
|
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Capitolo 8 *** 7 Capitolo ***
7
CAPITOLO
“Lavorava
per chi?” – domanda Santiago al Commissario,
riferendosi alla governante appena
interrogata.
“Per
la famiglia Vicuña. Lei stessa ha raccontato di conoscere
Raquel, e sapete
perché la conosce?”
I
due fanno spallucce, attendendo la risposta.
“perché
moglie di Alberto Vicuña, un imprenditore di
Madrid!”
“Aspetta,
se la donna è sposata, perché si trovava al
Mariposas?” – domanda lecita di
Daniel.
“La
questione è complicata. La governante è corsa qui
appena ha saputo della
sparizione della Murillo. Non vi anticipo nulla, ascoltate con le
vostre
orecchie” - dice il Commissario, dando modo agli incaricati
del caso di udire
le parole registrate durante l’interrogatorio, con il
consenso, ovviamente,
della testimone.
*********************************
“Mi
dica pure, signora Sanchez”
“Il
mio nome è Francisca, ma tutti mi conoscono semplicemente
come Paquita”
“Va
bene, allora la chiamerò così anche io. E se mi
permette le darò del tu…”
“Volentieri,
signor Commissario”
“E
lei faccia lo stesso, mi raccomando”
Rotto
il ghiaccio, sciolte le varie tensioni, la signora dai capelli neri,
raccolti
in una alta coda, con gli occhi lucidi e le mani tremanti, comincia la
sua
testimonianza.
“Ho
lavorato per la famiglia Vicuña per quasi dieci anni, prima
che il signor
Alberto e la sua fidanzata si sposassero”
“Raccontami
della vita matrimoniale dei due”
“Molto
affiatati, dopo un solo mese dalle nozze, la signora Raquel mi
raccontò di
essere incinta”
Quel
dettaglio spiazza Augustin – “Quindi hanno un
figlio?”
Una
bambina, la piccola Paula. Adesso ha quasi nove anni. Ad oggi vive con
sua
nonna”
“Come
mai non è con suo padre?”
A
quel punto, Paquita trattenendo un imminente pianto, confessa
– “Alberto Vicuña
ha lasciato la villa un anno fa, e da allora non vi ha più
rimesso piede”
“Che
fine ha fatto?”
“Arrivo
al nocciolo della questione, Commissario. Io sono corsa qui per una
ragione
primaria. Sono svenuta appena ho saputo che la mia ex datrice di lavoro
era
scomparsa…però non è stata la sua
scomparsa a scioccarmi”
“E cosa di preciso?” – chiede,
sospettoso, Ramos, fissando ogni espressione
facciale della donna.
“Nel
quartiere la si dava per morta già da tempo!”
“Morta?”
– ripete, confuso, l’uomo.
“Era
il 23 agosto dello scorso anno. Io mi recai a lavoro, dopo un paio di
giorni di
ferie. Ma quando arrivai, mi accorsi di un silenzio sospetto. Il mio
signore
lasciò un biglietto sul frigorifero, come era solito fare
per avvisi urgenti.
Ricordo come fosse ieri, lo lessi senza darvi peso, abituata a viaggi
di lavoro
lunghi e improvvisi. Infatti, mi informava proprio di questo
“Sarò via per
qualche settimana, ti affido la casa e la mia famiglia!” -
lui si fidava molto
di me” – i singhiozzi di Paquita cominciano a
rendere meno fluida la conversazione,
così da richiedere un bicchiere d’acqua.
Augustin
sovraffollato di dubbi, le dà modo di ritrovare
tranquillità, per poi
riprendere – “Cosa ti ha fatto pensare che Raquel
Murillo fosse morta? Te la
senti di raccontarlo?”
“Certo, sono qui per questo” – poi
respirando profondamente, si riappropria
della lucidità necessaria a testimoniare –
“Stavo dicendo…quella mattina non
trovai nessuno in casa. Neanche Paula. Ma tutto era nella norma. Nulla
avrebbe
mai fatto intuire qualcosa di tragico. Impegnai l’intera
mattinata nelle
pulizie varie, mi intrattenni in piena serenità. E
così passò una settimana,
durante la quale non ricevetti notizie di nessuno. Neppure di Paula,
che ero
certa si fosse recata da qualche parte con Raquel. Eppure, dopo ben
sette giorni
di assenza da scuola, fu la preside a telefonare. Risposi e mi
crollò la terra
sotto i piedi. La bambina era scomparsa nel nulla, e, come lei, anche i
suoi
genitori”
“Quindi
il viaggio del signor Vicuña si trasformò in
altro?”
“Una
tragedia dietro l’altra. Contattai la madre di Raquel,
speranzosa che la donna
fosse lì. Parlai con una persona fredda, che non
sembrò rattristirsi di quella
sparizione strana. Ma potei tirare un sospiro di sollievo, sapendo
Paula
insieme alla signora Fuentes, sua nonna!”
“Mhmm” – pensa Augustin, annotando la sua
immediata ipotesi: bambina condotta dalla
nonna dai genitori che da quel momento in poi decisero di sparire, o
sparirono
per cause di forza maggiore. Poi prosegue con
l’interrogatorio – “Continua
pure! Come hai saputo della presunta morte della Murillo?”
“Dopo
la chiamata fredda avuta con Marivi Fuentes, fu proprio lei a mettersi
di nuovo
in contatto con me, l’indomani, piangendo disperata. Mi
informò della morte di
Raquel. A quanto pare, per un incidente stradale”
“Come
mai non sapevamo questo dettaglio?” – si chiede,
confuso, Ramos.
“Perché
ciò accadde a Lisbona”
“Come
mai si trovava in Portogallo?”
“Perché
Marivi viveva e vive ancora oggi lì, assieme alla
nipote”
***************************************
L’audio
viene forzatamente interrotto dall’esclamazione di Lopez che,
guardandosi con
il collega più giovane – “Hai sentito
anche tu?”
“Si,
… Lisbona”
“Cosa
state blaterando?”
“Papà,
devi sapere che in quel Mariposas, le spogliarelliste e i buttafuori
hanno nomi
in codice…nomi di città. E anche la Murillo
ovviamente”
“E
si chiamerebbe…?”
“Lisbona!”
– risponde Santiago.
“Forse
dovremmo cercare risposte anche lì” –
suppone Daniel.
“Aspetta,
continuiamo ad ascoltare Paquita” – aggiunge il
quarantaduenne, chiedendo al
Commissario di far ripartire la registrazione.
****************************************
“Ammetto,
signore, che la confessione della Fuentes mi colpì. Mi sono
domandata, come mai
24ore prima ha mostrato distacco nel parlare di sua figlia, per poi
raccontarmi
della sua morte, disperata?”
“E
quale risposta ti sei data?”
“Mi
sono ricordata subito della malattia della donna, quindi non mi ha
più stupita
tale comportamento”
“Quale
malattia?”
“Soffre
di Alzheimer” – spiega Paquita, amareggiata.
“Mi
stai dicendo che una bambina di nove anni è sola con una
nonna che dimentica le
cose?” – esclama, spiazzato, il Commissario.
“No,
c’è altra gente insieme a loro. Sulla sicurezza di
Paula si può stare
tranquilli” – lo rasserena la Sanchez.
E
dopo aver tirato, momentaneamente, un sospiro di sollievo,
l’interrogatorio riprende.
“Quindi
Raquel era data per morta, ma in realtà non lo è.
C’è da indagare sul perché si
è finta una morte irreale”
“Non
so dirtelo. Sono corsa qui, appositamente, affinché si
trovino risposte e si
riporti Raquel a casa. Perché…sono seriamente
terrorizzata dall’idea che
possano averle fatto del male”
Di
fronte ad altre lacrime, incontrollabili, Augustin Ramos non
può che zittirsi.
È
Paquita stessa a ricominciare, spostando l’argomento sul
signor Vicuña.
“Per
quanto riguarda Alberto, con lui è stata una tragedia nella
tragedia. Marivi mi
informò che a Lisbona fu trovato un cadavere in mare. A
detta della donna, l’uomo
si tolse la vita una volta saputo della morte della consorte.
È come se in quei
due giorni di mia assenza dalla villa, fosse precipitata
l’immagine della
famiglia perfetta”
“Sei
sicura che fosse così perfetta?” – il
commissario riflette ad alta voce,
cercando di far ragionare anche la donna.
In
fondo, è un classico nascondere gli scheletri
nell’armadio dei propri Boss, e
Paquita sembra esattamente la tipica lavoratrice che tace per evitare
problemi.
“Li
ho sentiti litigare qualche volta, però capita, quando si
è sposati, di
bisticciare… direi, perfetti no, ma normali”
Ferma
su quelle convinzioni, la governante chiude l’interrogatorio
– “Sono venuta qui
perché sapere che Raquel è stata viva tutto
questo tempo, ha alimentato in me
la speranza di riabbracciarla e dare modo soprattutto a sua figlia di
farlo”
********************************
Santiago
e Daniel restano senza parole di fronte alla confessione della
governante.
La
Murillo, per quanto ne sapevano parenti e amici, era morta da un anno,
così
come suo marito.
E
invece?
Invece
no! La donna si trovava al Mariposas, sotto la tutela di Martin
Berrotti, il
quale, durante l’interrogatorio, non aveva minimamente fatto
cenno a tale
dettaglio.
“Adesso
è bene che sappiate cosa ha testimoniato il proprietario del
Night Club” –
afferma il giovane Ramos.
“Qualcosa
che possa aiutarci a trovare soluzioni?” – domanda
il padre.
“No,
lui non ha detto assolutamente niente! Perciò, penso che il
nostro lavoro al
Mariposas debba riprendere immediatamente!” – e
così dicendo, il trentenne
ispettore sposta lo sguardo sul collega che, senza alcuna esitazione,
annuisce.
A
quel punto, Daniel posiziona il cellulare sulla scrivania e clicca il
Play alla
registrazione.
In
tale istante seguono alcuni minuti di silenzio e di concentrazione.
Ogni parola
dell’interrogato può essere un segnale o un aiuto
alle ricerche.
|
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Capitolo 9 *** 8 Capitolo ***
Dopo
una rigenerante dormita, Martin Berrotti è pronto a
cominciare una nuova
giornata. Sono all’incirca le 13 quando si mette in piedi.
Una doccia veloce,
il cambio d’abito, e due gocce del suo profumo preferito, e,
come ogni dì, è
prossimo a convocare i dipendenti nell’atrio del Mariposas.
Afferrata la
cornetta di un vecchio telefono, la cui copia è presente in
ciascuna stanza del
Night Club, sollecita il risveglio dei suoi collaboratori. È
quello il segnale
della riunione mattutina.
Il
pranzo, consegnato da gente fidata del quartiere, è stato
appena all’ingresso, a
Helsinki e Oslo.
Una
solita routine a cui tutti sono ormai abituati.
Berrotti
ignora, però, che la polizia è prossima, con un
mandato di perquisizione, a
controllare ogni angolo del suo locale.
“Adesso
andate a riposare un po', nel pomeriggio vi recherete sul posto con
alcuni
uomini e setaccerete tutto” – è
l’ordine che il Commissario dà agli ispettori.
E
così, esausti, ma al contempo vogliosi di mettersi al
lavoro, i due rincasano.
Un
breve ristoro e tutto sarebbe ricominciato da capo.
Sono
le 13.30 quando Santiago si butta sul letto, deciso a chiudere gli
occhi per
almeno un paio d’ore.
Quanto
accaduto quella notte è rimasto impresso nella sua mente e
domina perfino i
suoi sogni.
Quello
che l’inconscio gli mostra ha a che vedere solo ed
esclusivamente con Nairobi.
Qualcosa in quella gitana l’ha mandato totalmente fuori
controllo. E domande
sul perché ciò è accaduto non sembrano
dargli pace.
“AIUTOOOO!!!”
“Lasciatela
stare, bastardi”
“Un
coglione che salva una farfalla indifesa, sei patetico”
Delle
voci e dei flash poco chiari si fanno strada nella mente di Lopez,
invadendo un
sogno che inizialmente aveva i contorni di qualcosa di assai erotico.
Poi,
alle 17 in punto, la sveglia suona e gli ricorda che la missione
riparte.
Frastornato,
confuso da quanto rimastogli in memoria, l’ispettore si mette
in piedi, deciso
più che mai ad andare avanti con le ricerche.
Qualcosa
del suo passato, probabilmente, cerca di tornare a galla
perché potrebbe avere
a che fare con gente coinvolta nel giro delle farfalle.
Un
passato che, Santiago sa bene, il suo cervello ha nascosto in seguito
ad un
avvenimento di cui neppure lui in primis ha ricordi dettagliati.
*******************************************
Invece,
al Mariposas, la giornata comincia diversamente dal solito, con una
forte
tensione nell’aria, dovuta anche all’assenza di
Lisbona e alla collaborazione
avuta, ore prima, con la Polizia.
Pronti
a consumare il pranzo, boss e dipendenti sono radunati nella sala
principale.
Nairobi
e Tokyo, mano nella mano, sono in disparte e conversano tenendo fuori
Stoccolma
che, invece, cerca di intuire i messaggi che le due si scambiano.
Seduto
sul divanetto, Berrotti con il registro degli incassi, si appresta, di
fronte a
un fumante piatto di paella, a conteggiare le entrate della serata
precedente.
“Ci
è costata tanto la scomparsa di Lisbona. Abbiamo dovuto
chiudere ben tre ore
prima del previsto…” – riflette Martin,
constatando un minore guadagno rispetto
al solito.
“Come
ci muoviamo adesso che c’è in corso
un’indagine?” – domanda Manila al capo.
“Siamo
costretti alla chiusura, almeno per qualche giorno. Vedrete che appena
si
calmeranno le acque, potremo tornare a lavorare!”
“Lavorare”
– borbotta Tokyo, decisamente in disaccordo nel definire
lavoro ciò che è
costretta a fare.
L’uomo,
però, non intenzionato ad accendere l’ennesima
discussione, la ignora.
“Quindi
siamo in ferie?” – chiede Nairobi, ritenendosi
libera per qualche sera.
“Diciamo
di sì, però sapete bene, da regolamento, che da
qui non può uscire nessuna di
voi. Non si supera la linea di confine”
“Assolutamente”
– risponde Helsinki, mai disposto a disobbedire.
La
gitana guarda il serbo e in quel momento, scuotendo il capo, si lascia
sfuggire
un commentino poco gradevole – “E pensare che
volevo dargliela… a saperlo così
cagnolino avrei evitato una proposta che non meritava!”
Sentendola
dire quelle parole, Tokyo ridacchia, non trattenendosi, ma è
Martin a rimetterle
in riga entrambe.
“Siete
le solite indisciplinate, piantatela. Una buona volta, comportatevi da
persone
civili”
“Scusaci...è
che siamo nate in zone poco raffinate” – replica la
zingara, polemizzando,
ingoiando un boccone della sua pietanza.
“E
allora cerca di imparare le buone maniere”
Il
silenzio che segue è accompagnato solo dal masticare e
ingoiare cibo, dal tocco
delle posate sui piatti, e dal versare da bere nei bicchieri. Ma
soprattutto
dagli sguardi severi che Martin e Nairobi si lanciano, di tanto in
tanto.
Nessuno
si pronuncia più da lì ai minuti seguenti.
*******************************
“Ci
siamo, ecco è quello il Night Club” –
comunica Daniel ad alcuni poliziotti,
indicandogli l’ingresso.
Sono
ormai di fronte al locale, e Santiago avverte una sensazione strana,
mai
provata in vita sua.
“Che
succede?” – gli chiede Ramos.
“Nulla”
– finge, eppure in cuor suo sta provando una cosa particolare.
E
al trentenne basta quella bugia palese per intuire lo stato
d’animo del
collega.
“Se
è ciò che penso, sappi che per me vale lo
stesso… ma con la biondina dai
capelli ricci” – sospirando all’idea di
rivederla, il giovane colpisce nel
segno. È esattamente questo ciò che avverte
Lopez… anche lui, stranamente, non
vede l’ora di trovarsi faccia a faccia con Nairobi.
Non
replicando di fronte all’amico che lo ha decisamente sgamato,
cambia discorso,
rivolgendosi agli uomini dietro di loro, invitandoli a dare il via al
lavoro.
Come
previsto, bussano al portone d’entrata, con insistenza.
Martin
Berrotti, rimasto il solo nel salone principale, dopo il pranzo, si
accorge dei
rumori e corre a controllare.
Scorge
da una finestra laterale, la massiccia presenza di poliziotti.
“Cazzo”
– esclama, spiazzato dall’arrivo inatteso.
Non
sa cosa vogliono esattamente, forse devono continuare gli
interrogatori, pensa
tra se e se. Per tale ragione, sistematosi al meglio, in pochi secondi,
si
appresta ad aprirgli la porta.
“Salve,
ci rincontriamo!” – lo saluta freddamente Daniel.
“Cosa
vi serve, signori?” – chiede, confuso, il
proprietario del Mariposas.
“Abbiamo
un mandato di perquisizione. Dovrà lasciarci controllare
ogni angolo del suo
Night Club” – spiega Lopez.
Spalancato
l’uscio, tramite la forza di uno dei poliziotti, gli sbirri
di Augustin Ramos
si addentrano nel locale.
“Ehm,
certo…aspettate che contatto i miei dipendenti”
“No,
non c’è bisogno. Saremo rapidi e poi…
anche se fossero impegnati in loro
affari, non ci scandalizziamo di questo” – precisa
Santiago, sospettoso che
Martin volesse, in qualche modo, mandare messaggi ai suoi lavoratori
per
metterli in guardia dell’arrivo della Polizia.
“Io
resto qui con lei, signor Berrotti!” – spiega il
trentenne, sorridendo soddisfatto
di averlo messo in una situazione poco gestibile.
“Voi
venite con me” – ordina Santiago ad altri cinque
agenti.
Percorrono
rapidi le scale per trovarsi in pochi secondi al piano superiore.
L’immenso
corridoio, coperto da un lungo tappeto rosso, fa da spartiacque tra le
varie
stanze, tutte chiuse.
“Qui
lavorano al momento quattro donne e due uomini. Ognuno
controllerà una camera.
Terminato il giro, ci ritroveremo all’ingresso, dove abbiamo
lasciato Ramos,
tutto chiaro?” – dice il quarantaduenne agli altri,
che annuiscono e si
separano.
Santiago
ricorda bene quale di quelle porte apre alla stanza di Nairobi, e
mostra
l’intento di essere lui ad incaricarsi di setacciare tale
luogo in questione.
Si
avvicina, cercando di calmare una strana ansia, e un batticuore che gli
rende
difficile perfino respirare.
È
prossimo a colpire l’uscio, quando la voce della gitana lo
paralizza.
Sta
cantando qualcosa e lo fa divinamente, lasciandolo in uno stato di
totale
estasi.
A
quel punto, pensa bene di non bussare ma di entrare direttamente.
Fortuna
vuole che la zingara non abbia serrato la camera; quindi, Lopez varca
la soglia
e si chiude la porta alle spalle.
I
suoi occhi cadono rapidi sul letto, tenuto in perfetto ordine,
ricordando cosa
accadde ore prima tra quelle lenzuola.
Cerca
di capire dove si trova Nairobi girando ogni angolo di quello che
sembra essere
un bilocale. E finalmente la vede.
È
davanti lo specchio. Indossa un lungo abito rosso, attillatissimo, con
una coda
e delle balze; sulle spalle ha uno scialle che mette in risalto le sue
origini
gitane; un fiore le adorna la capigliatura e delle scarpe con il tacco
rendono
ancora più sensuale i suoi movimenti.
Balla,
canta e si dimena come fosse una professionista di flamenco.
Lopez
resta incantato nel vederla, sentendosi uno spettatore a teatro che
assiste e
gode di puro talento.
Mantenendosi
in un angolo, non fa altro che spiarla, non riuscendo a staccarle gli
occhi di
dosso, non operando come invece avrebbe dovuto, ovvero controllando
quell’ambiente,
magari approfittando delle distrazioni della Farfalla.
La
gitana continua, e continua, canta, batte le mani a tempo, ancheggia
sinuosamente,
senza accorgersi di trovarsi un ispettore alle spalle.
E
presa da quella danza, a lei così familiare e di casa,
Nairobi si rivolge a se
stessa. Nel farlo, però, pronuncia il suo reale nome.
“Agata?”
– sente dire Santiago, ripetendolo ad alta voce.
Esattamente
quel momento fa sobbalzare la donna che, furiosa, gli si scaglia contro.
“Cosa
cazzo stai facendo qui? Come ti permetti di entrare senza
consenso?”
“Ti
chiami Agata, è così? Dimmelo, ti prego”
“Vattene
via”
“No,
aspetta io sono qui per altro…”
“Per scopare di nuovo? Io con te non scopo più,
sappilo”
“Perché sei sempre così aggressiva?
Cosa ti ha fatto tanto male nella vita da
renderti rabbiosa?”
“HO
DETTO VATTENE” – con tutto il fiato rimastole,
Nairobi grida all’uomo di
lasciare la camera.
Lopez
la guarda dritta negli occhi, leggendovi un animo buono soppresso da un
altro
prepotente. Come se la vera Nairobi, quell’Agata che si
è appena messa a nudo,
fosse intrappolata in un corpo di donna feroce, da cui vorrebbe ma non
riesce a
fuggire.
“Posso
aiutarti, se ti fiderai di me. Ti porterò via da
qui” – la proposta dell’ispettore
pietrifica totalmente la gitana.
“Mi
stai prendendo in giro, lo so”
“Non è così! Hai paura di fidarti delle
persone, l’ho capito questo”
“E
così adesso sei anche psicologo?”
“Sono
solo un uomo che ti offre la libertà”
Di
fronte a tale affermazione, la zingara sente di poter crollare
emotivamente. Nessuno
le ha mai rivolto, con un garbo simile, nonostante la sua poca eleganza
espressiva, tale opzione di salvezza, quella di farla uscire da un buco
infernale.
Placate
le acque, Nairobi si siede sul letto, cedendo al suo vero Io.
In
presenza dell’ispettore, dal quale sentiva di doversi
difendere e che
considerava una minaccia, scoppia a piangere.
“Io
sono qui per salvarti, se tu mi dai modo di farlo”
“Chi
mi garantisce che la tua non sia una tattica messa in atto per le
indagini in
corso?” – l’idea che balena nella mente
della Farfalla del Night Club è proprio
questa.
A
quel punto, Santiago le mostra le sue reali intenzioni.
“Adesso,
scenderemo insieme giù, dove sono radunati tutti gli altri.
Dirò a Berrotti che
tu verrai via con me”
“Cosa?”
“Hai
capito bene, non ti lascerò qui”
Incredula,
Nairobi guarda l’uomo cercando nel suo sguardo la
sincerità assoluta.
“Lui
non mi permetterà mai di andare via”
“Si, se sono io e la Polizia a richiederlo per le indagini.
Fingerò che tu sia
importante ai fini delle ricerche”
Ma
tale escamotage non è accettabile e la stessa Nairobi sente
di non poter
fuggire.
“No!”
– esclama subito.
“Perché
no?”
“Meglio che tu vada via, ora” – rialzate
le barriere di fronte al presunto
nemico, Nairobi si rimette in piedi e gli volta le spalle, cercando di
contenersi
il più possibile.
“Ti
prego, Agata!”
Sentirsi
riconosciuta così, tocca il cuore della zingara –
“Non chiamarmi in questo modo,
ti supplico”
Lopez però non si arrende. Le si avvicina e le sfiora un
braccio, notando la
pelle d’oca sullo stesso.
“Sei
una ballerina di flamenco? Ti ho vista poco fa, il tuo talento
è innegabile. Cosa
ti ha costretta a chiuderti qui?”
“Non
posso dire niente di me, lo capisci? Sapere il mio nome è
già tanto…”
Lopez
non sa cosa potrebbe far cambiare idea ad Agata in merito ad una
presunta
collaborazione.
Poi,
d’improvviso, gli si accende una lampadina.
“Se
ti promettessi di tenere al sicuro Anibal Cortes?”
Sentire
il nome del ragazzo della sua migliore amica, lascia Nairobi di sasso.
Lentamente
si volta verso il quarantaduenne –
“Menti?”
“Vieni
via con me e ti dimostrerò che io non dico bugie”
Le
porge le mani in attesa di una risposta positiva.
E
mentre nei corridoi, ogni polizotto ha condotto al meglio le ricerche,
e
ciascun dipendente del Mariposas ha raggiunto Daniel
all’ingresso, i due sono
ancora fissi, l’uno di fronte all’altra, prossimi a
dare una svolta decisiva o
meno al caso.
“Allora?”
– chiede di nuovo l’uomo.
“Tokyo
viene via con me. Non la lascio qui”
“Non
posso portarvi via entrambe, sarebbe troppo sospetto”
– la richiesta della
gitana è eccessiva, perfino per il ruolo che riveste Lopez.
“Allora prendi lei, io posso resistere”
“No!”
– Santiago non resiste più. La afferra per un
braccio e la tira a sé.
Le
avvolge la vita, sentendola appiccicarsi al suo petto.
“E’
da te che non riesco a stare lontano!” –
così dicendo, le sfiora una guancia e
le regala un bacio di quelli che neppure la stessa risoluta Nairobi
avrebbe mai
sognato, in vita, di ricevere.
ANGOLO
AUTRICE:
La canzone che ho immaginato che Nairobi canta davanti lo specchio
è una canzone di Lola Flores (nonna di Alba Flores) e per
chi è interessato ad ascoltarla, vi lascio qui il link.
https://www.youtube.com/watch?v=JF-dTBA3ywY
Besitos a todos
|
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Capitolo 10 *** 9 Capitolo ***
Daniel
Ramos, fisso con lo sguardo sul proprietario del Mariposas, attende il
ritorno
del collega. Anche se la presenza di Stoccolma lo destabilizza, cerca
di fare
l’uomo forte e poco interessato. Ma gli occhi di lei pesano
ed evitarla diventa
il problema più insormontabile al mondo.
Assurdo
quanto una donna, per di più, conosciuta da meno di 24 ore,
possa esercitare,
su di lui, un controllo simile.
All’esatta
maniera di Nairobi con Santiago, la biondina esercita un vero e proprio
gioco
di seduzione.
Quelle
Farfalle sembrano dotate di poteri inibitori, di cui il giovane
ispettore è
cosciente ma a cui soccombe piacevolmente.
Innegabile
che la riccia stia servendosi del sex appeal per cercare le attenzioni
di
Ramos.
“Cosa
volete da noi?” – giocando con uno dei suoi
numerosi boccoli d’oro, la giovane
si avvicina al trentenne e gli sussurra tali parole
all’orecchio. Non c’è
rabbia nel suo tono di voce, né provocazione, ma soltanto
della tenerezza.
E
così cade vittima dei suoi sguardi, dimenticandosi, per
qualche secondi, della
faccenda di Martin Berrotti.
“Da
voi niente, cerchiamo Lisbona, ricordi?” – le
risponde, fingendo un disinteresse
per l donna.
Gli
costa fatica, dato il suo lato da macho.
Intanto
Stoccolma continua – “Non direi. Ero sdraiata sul
letto, stavo finalmente
godendo del riposo che meritavo da settimane, quando un poliziotto ha
spalancato
la mia porta, riferendomi di uscire. Ha messo a soqquadro
tutto…ci state
trattando come scarti della società, non lo siamo!”
Alle
ultime parole, fa seguito un inizio di pianto per una condizione non
cercata né
sognata, ma necessaria.
“È
solo per sicurezza che facciamo queste ricerche, però, puoi
star serena, so per
certo che sei buona. Non faresti del male a una mosca”
– istintivamente le
accarezza il viso, volendola rassicurare.
La
donna accenna un sorriso e delicatamente adagia la sua mano su quella
che
l’uomo tiene ferma sulla sua guancia.
Si
fissano per alcuni secondi, fin quando l’arrivo di tutti i
poliziotti al
completo richiama Daniel alle sue priorità.
“Ehm…capo…
ci siamo! Manca solo Lopez” – spiega un agente.
“Che
fine avrà fatto?” – chiede, confuso, un
altro sbirro.
“Andiamo
a cercarlo” – aggiunge l’uomo che ha con
sé Manila.
Ma
Ramos sospetta già la ragione di quel ritardo.
“Tranquilli,
ci raggiungerà quanto prima. Fidatevi” –
scuotendo il capo, si rassegna di
fronte a un Santiago ormai schiavo del fascino di Nairobi. È
convinto sia
ancora con lei, intento a fare chissà cosa.
Dovrebbe
spifferare al padre il cattivo comportamento del collega, poco serio
sul
lavoro, ma gli vuole troppo bene per tradirlo alle spalle.
Così lo copre come
meglio può. Si concentra sulle indagini, domandando ai suoi
uomini – “Avete
trovato qualcosa di utile?”
“No,
niente”
“Assolutamente
nulla”
“Un
buco nell’acqua, signore”
“Solo
foto, cartoline, immagini della Serbia”
“Io
molto legato a mia terra” – spiega Helsinki,
giustificando la presenza di
ricordi legato a quel Paese – “E mio cugino Oslo,
come me”
Qualcosa
in tutta quella vicenda sembra stonare con le idee che gli ispettori
avevano
ipotizzato ascoltando Paquita.
“Ascoltate,
non mi piace girarci attorno. Vado diretto al sodo. Raquel Murillo,
quando
giunse qui, vi raccontò del motivo per cui dovette
nascondersi?” – forte di
essere osservato da Stoccolma, mostra il suo lato da leader e prende il
comando
della situazione.
“Io
ho spiegato nell’interrogatorio che la mia dipendente
necessitava di un lavoro”
– interviene Martin, dando una risposta a tale quesito.
“Si,
però hai sorvolato su alcuni dettagli!”
– batte un pugno sulla scrivania,
dietro la quale è posizionato Berrotti.
“Quali?
Di cosa sta parlando, ispettore?” – domanda,
confuso, il gestore del locale.
Ramos
avrebbe voluto sputargli in faccia la verità, poi ripensa
però alla segretezza
di alcune informazioni e non risponde, tornando ad assumere
atteggiamenti
consoni al ruolo.
“Direi
che potremmo andarcene, per il momento” – comunica
ai poliziotti, dando loro
l’ordine di rientrare in Commissariato.
“E
Lopez?” – viene ricordato da qualcuno.
“Ah,
già!” – esclama il giovane,
rammentandosi della sua mancanza – “Altri due
minuti,
dopo andremo via!”
Si
infastidisce di tale atteggiamento che, a suo dire, era più
giustificata in un trentenne
con gli ormoni ancora alle stelle, e non a un uomo adulto di oltre
quarant’anni.
Però decide di dargli ancora tempo, poi lo avrebbe raggiunto
e portato via da
lì.
Così,
mentre all’ingresso del Mariposas si sono radunati ormai
tutti quanti, quello
che accade nel durante sembra caratterizzare un mondo a parte: Santiago
e Agata
non hanno fatto altro che baciarsi tutto il tempo, lasciando la
realtà fuori
dalla porta della camera.
Sfiorarsi,
annusarsi, accarezzarsi, scoprirsi pian pianino, come se quello
accaduto la
notte prima tra loro fosse stato inesistente.
“Hai
un buon profumo, sai?” – sussurra la gitana
all’orecchio dell’ispettore.
Nella
sua voce non c’è più malizia,
né tantomeno aggressività. I toni pacati la
rendono finalmente la donna dolce che è in natura.
“Non
mi è mai capitata una cosa simile” –
confessa l’uomo.
“A
cosa ti riferisci?” – chiede, abbassando
decisamente la guardia, accovacciandosi
al petto dell’ispettore, sentendosi protetta tra le sue
braccia.
Socchiude
gli occhi, cullata dal battito accelerato del cuore di una persona che
conosce
appena ma che inizia ad apprezzare.
“Mi
riferisco a te. Sei unica, Agata!”
Tale
lusinga imbarazza la gitana che sorride timidamente, coprendosi subito
il viso
con una mano.
“Dico
sul serio. So che è prematuro dire una cosa del genere
però…”
“Dilla!”
– forse sentire parole che la stessa Nairobi immagina,
possono farle bene al
cuore.
“Mai
nessuna come te mi ha fatto perdere la testa in questo modo!”
Una
dichiarazione particolare, a tratti irreale, vista la conoscenza breve
dei due.
Eppure quella è la conferma dell’esistenza del
colpo di fulmine.
“Ok,
all’inizio ero estremamente attratto da te, confesso.
Però dopo che abbiamo…
ehm…hai capito, dopo questa notte… io ho
continuato ad averti in testa”
“Sei
un latin lover, l’ho intuito sin da subito”
– rivela la donna – “Ne ho
approfittato, perdonami. Però adesso sto scoprendo il tuo
vero essere. Tokyo aveva
ragione!”
“Perché
cosa ti ha detto la tua compagna?”
“Che
sei diverso dagli altri!” – timidamente solleva lo
sguardo, unendolo a quello
di Lopez, in una scoperta reciproca senza filtri.
“Vorrei
che tu ti fidassi di me, non farei mai nulla che potrebbe recarti
dolore”
Incredibile
ma vero, esiste un uomo che potrebbe davvero darle amore senza volere
nulla in
cambio, pensa tra se e se Agata.
In
tale istante, percepita la reale sincerità
dell’ispettore, la gitana tira fuori
un argomento importante, rimasto in sospeso – “Hai
promesso che Anibal Cortes
sarebbe stato al sicuro”
“Sarà
così, conta su di me” - a tal proposito, Lopez
speranzoso su un cambio idea
della donna, torna sulla questione centrale –
“Allora? Accetterai la mia
proposta? Verrai via con me?”
E
in pochi secondi, Nairobi torna ad irrigidirsi. È
combattuta. Una parte di se
scapperebbe a gambe levate, l’altra è consapevole
di un vincolo che la tiene
ferma al Mariposas.
Un
patto che ha i toni della minaccia e che riguarda qualcuno di
fondamentale per
la donna.
Axel.
La
sola ragione di vita che la costringe a fare ciò che fa.
Basta
ricordare quel bambino per rialzare le barriere contro il mondo intero.
E
infatti… - “No, non posso. Non insistere
più, ti prego” – si slega
dall’abbraccio dell’uomo e indietreggia.
Il
viso, che attimi prima si era sciolto da ogni tensione, la voce calda e
dolce,
sono di nuovo preda della Farfalla del Mariposas.
L’amorevole
Agata è tornata a cedere il passo a Nairobi la mangiauomini.
“Controlla
ciò che vuoi, perlustra ogni angolo. Poi vattene, per
favore” – mentre dice
ciò, si reca in bagno, liberandosi non solo
dell’abito di flamenco che ha
indosso, ma anche di un senso di frustrazione e oppressione che le
invade mente
e corpo.
Trattiene
il pianto, ma le risulta difficile farlo.
“Cazzo,
cosa ti prende? Torna in te! Cazzo, cazzo…”
– batte un pugno alla parete,
ignorando anche il successivo dolore –
“… non avrei dovuto mai abbassare la
guardia con lui! Adesso sarà più dura tornare a
calzare i panni del personaggio
che mi sono voluta costruire” – rimprovera se
stessa e lo fa duramente,
fissandosi allo specchio con disgusto. Il trucco sbavato le scivola
sulle
guance, i capelli spettinati…questo rimane della femmina che
Berrotti vuole che
lei sia; perché è questo ciò che
Martin pretende dalle sue dipendenti: che
siamo femmine, prima che donne.
Quanto
vorrebbe farla scontare a chi detiene il potere; il pensiero
però del suo
bambino è ciò che lo frena dall’agire.
Se
solo Santiago scoprisse…
Mentre
la gitana è alle prese con la chiusura in se stessa e il
ritorno ai vecchi
stracci da spogliarellista, Santiago fissa, immobile, la porta di
quella
toilette.
Nairobi
pone resistenza per motivi segreti e lui DEVE scoprirlo, solo
superandolo può
liberarsi dal senso di dovere che nutre verso la vita che conduce.
Approfitta
di quei minuti per ispezionare la stanza.
È
convintissimo di non trovare niente di utile, avendo ottenuto un ok
troppo
facile dalla gitana.
Se
lei nascondesse qualcosa, difficilmente gli avrebbe dato il consenso
senza
ribellarsi prima.
E
invece… qualcosa di interessante c’è,
eppure non riguarda la Murillo.
“Chi
è questo bambino?” – chiede alla gitana,
fissando una fotografia.
Agata,
appena uscita dal bagno, con in mano il vestito rosso, sospira e, come
a non
voler dar peso a quanto scoperto dall’ispettore, risponde
– “Mio figlio”
Rigida
e distaccata, ignora la confusione sul viso di Lopez e si accinge a
ripiegare
l’abito e custodirlo, segretamente, in uno scatolone, posto
sotto il suo stesso
letto.
“Nulla
di questa faccenda deve venire fuori” – precisa lei
– “Né del flamenco, né di
questa foto”
“Hai
un bambino e non puoi vederlo, vero? Ti minaccia qualcuno per questa
faccenda?”
“Basta
Santiago”
Chiamandolo
addirittura per nome, Agata gli strappa l’immagine dalle mani
– “Io non ti ho
detto niente. Hai scoperto tutto da solo. Quindi, ora sta a
te!”
Il
quarantaduenne intuisce in quelle affermazioni una sorta di messaggio
in
codice.
Percepisce
che la Mariposa si sente spiata in ogni mossa che fa. Perciò
ipotizza che lei lo
abbia lasciato libero di scoprire un dettaglio del suo passato, senza
confessarlo in prima persona, senza dare l’impressione di
aver aiutato
volutamente la polizia.
E
così, avvicinandosi al suo orecchio, le sussurra –
“Tuo figlio tornerà da te,
fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia”
Con
tali promesse, Lopez la saluta con un ultimo bacio, stavolta sulla
fronte e va
via.
Ad
Agata non sembra vero che qualcuno le dica una cosa del genere.
Che
sensazione meravigliosa le invade il petto, adesso! È come
se la speranza che
l’ha abbandonato per anni, sia tornata a bussare alla sua
porta.
Combattuta
da mille paure, cerca dentro di se la forza per vincere le voci che le
ronzano
nella testa e le ricordano il protocollo.
“Me
ne fotto” – esclama poi ad alta voce, rivolgendosi
al DOVERE a cui è vincolata.
Mandando
tutto a fanculo, corre verso Santiago, che si trova ancora nei
corridoi, e lo
chiama.
L’ispettore,
spiazzato, la vede in lontananza avanzare a passo veloce.
Si
ferma ad attenderla e una volta una di fronte all’altro, la
donna afferma – “Mi
fido di te” – lo prende per mano, lasciandosi
accompagnare fino all’ingresso –
“Promettimi
che nessuno si farà male”
**********************
Daniel
Ramos e la sua squadra sono prossimi ad andar via quando, finalmente,
scorgono
il collega arrivare.
“Finalmente”
– esclama, tirando un sospiro di sollievo. Non conosceva
più scuse per giustificare
i suoi ritardi.
Constatando,
piacevolmente, che il maggiore ha con sé Nairobi, lo
accoglie sereno, mettendo
da parte i nervi che ha accumulato poco prima.
“Ci
sono novità?” – chiede Lopez
all’amico.
“No,
nessuna. Tu?”
A
quel punto, Santiago si volge verso Martin e gli comunica –
“La donna viene via
con me”
“Come?
Non se ne parla” – pone resistenza lui.
“E’
una testimone utile ai fini delle indagini. Non le conviene
intralciarci,
signor Berrotti”
Il proprietario, furioso, fissa la sua farfalla, dicendole –
“Tradirai così la
tua famiglia?”
“Non
osi minacciarla con quei toni” – si infervora
Lopez, in difesa della donna.
“Non
minaccio nessuno. Nairobi è sotto la mia tutela. Sono io a
dare o meno il
consenso”
“Verrà
pagato profumatamente, non si preoccupi” –
puntualizza Daniel.
Ma
al Capo del locale i soldi non interessano.
Così
si appella, per far leva sui sensi di colpa della zingara, al legame
con Tokyo.
“La
tua amica la lasci così?”
A
quel punto è proprio quest’ultima ad intervenire.
“Nairo,
cosa fai? Mi lasci qui da sola?” – Tokyo,
sconvolta, sente tale fuga come una
forma di tradimento.
“Amica
mia, no, non è come credi”
“Mi
stai abbandonando, non è così? Ci eravamo
ripromesse che nessuno ci avrebbe mai
separate” – gli occhi carichi di lacrime della mora
diventano il macigno uno
dei più grandi che Nairobi ha dovuto sopportare nella vita.
“Si tratta di poco, tornerò il prima
possibile” – cerca di spiegarsi, e di
abbracciarla, ma l’altra, delusa, indietreggia –
“Semmai tornerai, dubito che
mi troverai dalla tua parte”
Nairobi
sente tali parole come fossero una pugnalata al cuore e,
istintivamente, opta
per la soluzione migliore.
Lascia,
a malincuore, la mano di Lopez e rinuncia alla libertà.
Quella è la mossa
adatta per evitare casini agli altri, a se stessa, e non perdere
ciò che le
rimane di importante: Tokyo.
“Mi
dispiace, ispettore. Rimarrò qui, è questo il mio
posto”
“Cosa?”
“Hai capito bene, io resto al Mariposas”
Abbracciando
la migliore amica, le sussurra un amareggiato Scusa, ottenendo in
cambio un
immediato – “Non lasciarmi mai”
“Non
lo farò, te lo prometto”
Di
fronte alla rinuncia alla sua felicità, Nairobi guarda
Santiago andare via.
Ora
sì che nel suo cuore qualcosa comincia a mutarsi nei
confronti dell’ispettore.
Sente
di aver appena mandato a puttane il suo sogno di felicità. E
quel sogno di
felicità comincia a definirsi chiaramente nella sua testa:
quel sogno porta il
nome di Santiago Lopez.
********************************
“La
stronza ti ha fatto credere che collaborava per poi smerdarti di fronte
a
quell’idiota del proprietario, che ha vinto di nuovo,
bastardo” – si infuria
Daniel nel rientro al Commissariato.
“Il
legame con Tokyo è troppo forte per lei, non ha saputo dirle
no” – la
giustifica il quarantaduenne.
“Ora
che si fa? Avevi detto che era una testimone essenziale”
“Adesso
andremo a Lisbona e cercheremo indizi lì”
Vedere tanto afflitto il collega, fa intuire a Ramos che
c’è di mezzo un sentimento
forte.
“Ti
sei innamorato di lei, vero?”
“No,
io non mi innamoro mai” – mente il maggiore dei due.
“Baggianate,
capita a tutti prima o poi. E tu hai trovato la tua seconda
metà. Dovresti
lottare per prendertela”
“Nairobi
non è una donna semplice. Deve aver sofferto talmente tanto
in vita sua che
difficilmente lascia uno spiraglio all’amore. Come hai visto,
ha rinunciato
alla libertà per stare accanto alla migliore amica”
“Santiago,
forse è bene per entrambi aver chiuso con quel Mariposas. Io
ho perso la testa
per Stoccolma e non è ottimale condurre indagini se sono
coinvolte attrazioni o
sentimenti. Chiederemo a papà di affidare ulteriori ricerche
sul Night Club ad
altri. Noi, sai che ti dico, andremo a Lisbona. Indagheremo
lì…così svagheremo
la mente e ci dimenticheremo delle nostre Farfalle, che ne
pensi?”
Anche
se Santiago sente che sarà difficile dimenticarsi in poco
tempo della sua
Agata, deve almeno tentare.
Però,
qualcosa non vuole dargli pace.
Lei
ha un bambino e lui le ha fatto una promessa.
“Prima
di dirle addio, vorrei risolvere una questione delicata. Solo allora,
avrò la
coscienza a posto e potrò cercare di cancellarla dalla mia
vita”
“Cioè?”
“Devo assolutamente restituirle una parte di vita che le
è stata tolta”
*********************************
Cosa
accade al Mariposas, invece, nei minuti successivi all’uscita
della Polizia?
Martin
si scaglia violentemente contro Nairobi.
“Puttana,
cosa cazzo credevi di fare?” – parte la prima
sberla in pieno viso.
Ma
la donna non risponde. Abbassa lo sguardo, mostrandosi a tutti, per la
prima
volta, debole e fragile.
Il
che porta Tokyo ad intervenire per aiutarla.
“Maledetto
non la toccare! Come osi!” – si dimena per
salvarla, ma sono i due serbi ad
afferrarla e tenerla buona.
Manila
e Stoccolma assistono, inermi, ad una scena umiliante per una persona.
“Andate tutti in camera e lasciateci soli”
“Come?
No” – grida Tokyo.
“Fa’
come ti ha detto, Toky” – le dice Nairobi, cercando
di rassicurarla.
“Ma…”
“Vai”
- ripete la gitana.
Solo
allora, la ragazza si rende conto di quanto sia stata egoista ad aver
messo Nairobi
nella condizione di scegliere. Se fosse andata via, ora sarebbe libera.
Invece
il suo “ricatto” l’ha costretta a restare
e pagarne le conseguenze.
“E’
tutta colpa mia” – singhiozza, una volta sola nella
sua stanza, chiusa a chiave
dall’esterno da Helsinki, il quale immaginava ipotetiche
uscite da parte della
collega, fuori di testa.
Quanto
ad Agata, viene condotta in un’ala secondaria, scortata da
Martin. Percorrono una
sorta di passaggio segreto, poco illuminato, che culmina in una ala
molto
grande e dispersiva, da cui la sola luce sono delle lampade poste ai
vari
angoli che rendono l’idea della grandezza dello spazio.
Non
è mai stata lì né sapeva
l’esistenza di posti così tetri
all’interno del
Mariposas.
Cerca
di mantenere la calma, seppure terrorizzata dall’idea di cosa
le può accadere
da adesso in poi.
Minuti
di agonia psicologica che portano Nairobi a pensare al suo intimo: a
suo
figlio, al suo amato flamenco, e anche a lui… Santiago!
Chi
l’avrebbe mai detto! Non ci avrebbe mai scommesso
eppure… adesso è lei a non
riuscire a toglierselo dalla testa… che ne sia innamorata?
I
pensieri cessano dal rumore di passi lenti e pesanti, di scarponi
maschili, che
le fanno sussultare il cuore. Sa di chi si tratta.
“Zingarella
mia, quando imparerai che qui comandano gli uomini?”
– le dice una voce austera,
che riecheggia tra quelle quattro mura.
Una
figura con il viso coperto da una maschera bianca, si siede di fronte a
lei.
“Grazie,
Palermo. Puoi andare via” – dice la persona senza
volto, lasciando da soli i
due.
“Come
pensi di punirmi?” – chiede, tremante, la donna.
“Quando
sei arrivata al Mariposas, hai giurato fedeltà. Da qui non
si esce, e lo sai
bene”
“Lisbona
l’ha fatto”
Una risata malefica rimbomba e frastorna Agata, sempre più
timorosa per la sua
incolumità – “Se non vuoi sparire nel
nulla come lei, ti consiglio di non
metterti mai più contro di me”
Nairobi
annuisce, per sobbalzare subito dopo, quando una mano nascosta da un
guanto di
pelle nero, le si posiziona violento sul petto.
Quella
voce le sussurra – “Avrei in mente molte cose per
farti scontare la pena” –
provoca, adagiando una mano su un seno della gitana che deglutisce
rumorosamente.
La
persona continua a toccare, palpare, maliziare, con una veemenza tale
da
distruggere emotivamente la gitana.
Lei
non sa di chi si tratta, ma lo vede giocare con il suo corpo che, nel
frattempo, è rigido come una corda di violino.
“Sto
per morire” – commenta Agata, chiudendo gli occhi.
Tutto
le si offusca e in un battibaleno lo shock prende il
sopravvento… si accascia
priva di sensi.
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Capitolo 11 *** 10 Capitolo ***
Nessuno
più di Tokyo teme per l’incolumità di
Nairobi.
Ovviamente
sa che la sua migliore amica è una che non si fa di certo
piegare da una sberla
o dall’ennesimo rimprovero di Martin.
Ciò
di cui invece ha paura è che le venga inflitta una punizione
da chi si trova
più in alto dello stesso Berrotti.
Precisamente
per evitare che la moretta ribelle possa creare problemi, i due
buttafuori del
Mariposas hanno l’ordine di chiuderla a chiave nella sua
camera. Ed è ciò che
fanno, mentre lei, a squarciagola grida di voler essere liberata.
“Basta
con queste urla, Tokyo. Noi essere stanchi di tue isterie”
– la rimprovera Helsinki.
“Isterie?
Cosa cazzo dici? Ti rendi conto che Nairo potrebbe aver bisogno di
aiuto,
quella è gente pericolosa”
“Silenzio”
– ripete, ignorandola.
Ma
alla donna ribolle il sangue nelle vene sapendo che i colleghi
preferiscono sottostare,
piuttosto che intervenire.
“Devo
fare qualcosa” – cerca di pensare in maniera
lucida, camminando avanti e
indietro, nella stanza, però l’agitazione
è troppa e le impedisce di trovare
una soluzione immediata.
Se
fingesse un malore, idea che le frulla in mente, non le crederebbe
nessuno,
avendo già sperimentato tempo addietro una scenetta simile
con scarsi risultati.
Anche
se non si direbbe, i serbi sono piuttosto svegli quando si tratta di
sgamare gli
inganni.
“Avete
dei cuori di ghiaccio. Siete degni cagnolini di Palermo”
A
quel punto, la sola modalità che conosce e che sa attuare
è offenderli e
cantargliene quattro, sputandogli in faccia il suo disprezzo.
I
due, infastiditi, decidono di non replicare, allontanandosi dal
corridoio.
Borbottano
qualcosa nella loro lingua, riferendosi al cattivo comportamento di
Tokyo. A detta
di Oslo, meritava la stessa punizione di Nairobi.
“Tempo
al tempo, amici miei” – una voce alle loro spalle,
si fa ben udire.
“Capo,
sei tu” – esclama Helsinki, ricomponendosi dopo il
nervosismo alle stelle di
pochi istanti prima.
“Immagino
vi stiate lamentando di Tokyo, tranquilli. A lei penserò io,
così non avrà
ulteriori alzate di testa. Ho fatto il buono per troppo tempo, ora
basta”
Congedandoli,
sgombrato il corridoio da possibili disturbi al suo operato, Martin si
incammina
verso la meta.
Pochi
passi lo separano dalla porta della camera della giovane donna.
Prima
di raggiungerla, però, si attrezza di qualcosa utile ai suoi
scopi.
Aperta
una cassaforte, nascosta da un vecchio dipinto, afferra un oggetto,
sistemandolo in pochi minuti; lo nasconde nella manica della sua giacca
e, attento
ad ogni movimento che dovrà compiere da lì ai
minuti successivi, si dirige definitivamente
verso la stanza della ribelle Farfalla.
La
stessa, udito il rumore di scarpe, si pone in posizione di fuga, non
appena la
porta verrà spalancata.
“Finalmente
vi siete decisi, razza di merde umane” – commenta a
bassa voce, riferendosi
alla sicura presenza dei due buttafuori.
Ma
la trentenne ha fatto male i suoi conti.
Girato
il chiavistello, a varcare l’uscio è Martin.
“Dove
pensi di andare? Ferma lì” – blocca le
intenzioni della Farfalla e, a braccia
incrociate al petto, con aria di superiorità, intende
rimetterla in riga.
“Figlio
di puttana, fammi passare, devo andare dalla mia amica”
– e ovviamente Tokyo
non si risparmia nel solito gergo che la contraddistingue, fregandosene
del
ruolo che quel tipo ha al Night Club.
“Inutile
che cerchi, non la troverai” – con lo scopo di
ferirla e ammansirla per bene, l’uomo
le scaglia contro terribili verità.
“Co.…cosa?”
– balbetta, confusa.
“Hai
sentito bene, non c’è. Tornerà quando
lo deciderò io”
“Tu?”
– ripete Tokyo, inarcando il sopracciglio –
“Permettimi di dubitare che tu
possa avere le capacità di scegliere qualcosa sul
Mariposas”
Berrotti
grugnisce i denti, irritato.
E
la giovane continua – “Palermo, ora ho il coraggio
di chiamarti anche io con il
nome in codice, non mi fai paura. Se è questo il modo che
hai di punirci,
nascondendoci chissà dove, sappi che i giochetti finiscono
prima o poi”
La
risposta del proprietario del locale non si fa attendere -
“Senti, ragazzina,
io ti ho accolta qui, quando nessuno voleva averti tra i piedi, neppure
i tuoi
genitori. Eri un intralcio e lo sei ancora. Quindi ritieniti fortunata
a vivere
nel lusso del Mariposas, chiaro?” – quale arma
migliore se non annientarla
emotivamente appellandosi ad un affetto familiare inesistente!?
Un
colpo basso a cui la mora reagisce, con mani tremanti e rossore sul
viso - “Me
ne fotto, sarei pronta anche a vivere per strada, sotto i ponti. Se
devo
restare qui a vita, solo perché mi avete illusa di avere
un’occasione di riscatto
dalla vita, vi sbagliate di grosso. Mi sono rotta il cazzo di vendermi
per
farvi arricchire. Non sono la tua fedele Stoccolma, e neppure Manila.
Io so
dire basta quando la circostanza non mi conviene” –
la forza e la
determinazione, che tanto la rendono simile a Nairobi, sono
apprezzabili, se
non fosse che tale atteggiamento viene utilizzato contro Palermo stesso.
“Non
ti ho cacciata di qui e avrei potuto farlo, solo perché
questo carisma che sia
tu che Nairobi avete è la vostra carta vincente. Mi avete
fatto guadagnare
soldoni profumati perché i clienti preferiscono voi due,
alle altre”
“E
se noi ce ne andassimo? Sarebbe per te la sconfitta peggiore della
vita”
“Precisamente
per questo non vi verrà mai permesso di lasciare il
Mariposas” – e con un
sorrisetto malefico stampato in pieno viso, l’uomo si prepara
alla mossa
decisiva.
“Figlio
di…”
“Sei
solo una donnaccia, un’irriconoscente. Ma ti avviso subito,
fossi in te terrei
a bada quella lingua. Potresti trovarti come la tua cara
socia” – riprende le
accuse.
“Cosa
le è stato fatto, maledetto?” – a quel
punto la giovane donna impallidisce, temendo
seriamente il peggio.
“È
stata punita per la sua impudenza e per aver disobbedito al
protocollo”
“Vi ammazzo tutti, hai capito lurido pezzo di
merda?” – la giovane gli si
avventa contro, cercando di colpirlo in qualche modo.
Poco
le importa se verrà punita anche lei, desidera soltanto
sapere della gitana e
rivederla.
Mai
avrebbe immaginato che a metterla k.o. sarebbe stato proprio il suo
nemico.
Approfittando
del corpo di lei piuttosto vicino al suo, Martin estrae una piccola
siringa e
inietta del sedativo nelle vene della donna.
“Maledetto”
– sono le sole parole che lei pronuncia, prima di accasciarsi
sul pavimento.
Farle
perdere la coscienza, così da liberarsi delle sue alzate di
testa, è la
soluzione più rapida e decisamente vincente che opta di
mettere in atto.
“Fai
una bella dormita. Più avrai gli occhi chiusi,
più eviterai di crearci casini” –
ripulendosi di ogni traccia e ogni “arma”, per non
destare sospetti alcuni,
solleva il corpo di Tokyo e lo adagia sul letto. La copre con una
coperta,
riposta su una sedia e, fiero della buona riuscita del piano, lascia la
stanza,
chiudendosi la porta alle spalle.
Percorre
le scale che lo conducono al secondo piano, fischiettando, sereno e
sollevato.
Si appresta a raggiungere la sua camera, certo di trovarvi qualcuno in
particolare. Lì, infatti, lo attende una bella visitina.
“Grassone,
vedo che sei già pronto!” – afferma
notando Helsinki sdraiato sul suo letto, desideroso
di regalargli divertimento e piacere.
Ciò
che nessuno sa del proprietario del Mariposas è che
è solito intrattenersi con
uno dei due buttafuori.
Ed
ecco spiegato il motivo dell’estrema venerazione di Helsinki
verso Berrotti.
In
cuor suo, il serbo fa ciò che gli viene ordinato per amore
di chi, invece, non
ha intenzione alcuna di ricambiare quei sentimenti.
******************************
Quella
notte è difficile per tutti, non solo per i dipendenti del
Night Club sotto
indagine.
Santiago
Lopez fatica a trovare sonno. Si gira e rigira nel letto, schiavo di
pensieri
negativi.
Ha
trascorso le ore precedenti a studiare ogni minimo dettaglio della foto
sul
bambino di Nairobi.
Prima
di lasciare la stanza di Agata, infatti, ha scattato un flash
all’immagine,
così da averla a portata di mano, in ogni momento, sullo
schermo del suo
cellulare.
Ma
zoomare i vari lati della fotografia, scrutarne i dettagli, non porta a
nessuna
soluzione.
Il
solo dettaglio scoperto è il nome del piccolo.
Axel.
Il
suo IPhone, con una fotocamera di eccellente qualità,
è riuscito a carpire
perfino scritture incise su un biberon su cui, evidentemente,
realizzate dalla
zingara.
“Axel,
dove sei?” – pensa tra sé e
sé, l’ispettore, cominciando a familiarizzare
anche
con l’appellativo del bambino. Ed è uno dei tanti
dubbi che si arrovellano
nella sua mente impedendogli di cedere alla stanchezza.
A
parte la rivelazione sul nome del piccolo, una cosa certa è
la palese
somiglianza madre-figlio.
“Assurdo
come questi due siano uno la fotocopia dell’altra”
I
capelli nero corvino, la carnagione olivastra, due occhi grandi scuri e
penetranti.
Lo
scatto rappresenta proprio la gitana, poco più che
vent’enne, sorridente e
felice, con in braccio il suo tesoro più grande,
all’incirca di due anni. Nel
suo sguardo non c’è paura, né
resistenza alla vita e alla felicità. Si
percepisce il suo essere una mamma fiera e libera.
È
proprio questo quello che manca alla zingara di cui Santiago si
è innamorato:
la maternità e la libertà.
“Ti
restituirò ciò di cui ti hanno privata, lo
giuro” – nonostante si fosse
ripromesso di dimenticarla, non riesce a non mantenere fede alla parola
data.
E
inevitabilmente il pensiero vola ai suoi di eredi, di cui sa poco e
nulla.
“Lei
per Axel farebbe tutto, e io…? Per i miei
sette…” -
sospira, amareggiato.
Una
donna come Agata ha risvegliato in lui anche quell’istinto
paterno mai posseduto.
Restituire
il piccolo gitano alla sua mamma significa riscattare il suo pessimo
comportamento
di genitore irresponsabile. In fondo, non ha mai sentito appartenergli
il ruolo
di padre. Era una prigione a cui non avrebbe voluto né
potuto abituarsi. Ed
ecco spiegato il perché di vari pargoli messi al mondo in
diverse parti del
mondo, quando un giovanissimo Santiago, preda di ormoni e divertimenti
notturni, si allietava con donne per una notte.
“Chissà
se uno di loro è come me…” –
è l’ultimo pensiero che gli invade la mente poco
prima che il messaggio di Daniel Ramos giunge a ricordargli di
addormentarsi
quanto prima.
“Ricorda
che domani abbiamo il volo per Lisbona, fra’, cerca di
recuperare le energie.”
Bevuta
l’ennesima tisana rilassante, per giunta non di suo gusto,
imposta la sveglia e
chiude gli occhi.
Basta
ripensamenti sulla vita! Mettendo in standby il suo inconscio. Santiago
cede
alle braccia di Morfeo.
*******************************************
È
tarda mattinata quando i due ispettori, assieme a Paquita, offertasi di
accompagnarli
ai fini delle indagini, raggiungono la città di Lisbona.
Stabilito
di interrogare chi vicino alla Fuentes, gli ispettori lasciano, nel
mentre, al
Commissario la scelta di un sostituto nelle ricerche al Mariposas.
“Eccoci,
la casa è laggiù” – comunica
la governante dei Vicuña, scendendo dal taxi. Indica
una piccola villetta circondata dal verde, poco distante dalla fermata
a cui
sono scesi.
Con
un borsone in spalla, contenente l’indispensabile per quei
pochi giorni di
pernottamento, i tre raggiungono l’abitazione della signora
Marivi.
Suonano
il citofono senza ricevere immediata risposta.
Infatti,
subito dopo, è un uomo a raggiungerli.
La
sua tenuta da giardiniere fa intendere che lavora presso quella
famiglia.
“Voi
chi siete?” – chiede ai tre.
“Jacov,
non mi riconosci? Sono Francisca…Paquita”
– lo saluta la donna, a braccia aperte.
Lopez
e Ramos intuiscono immediatamente che l’accento di quel tipo
non è portoghese,
tantomeno spagnolo. E anche il suo nome.
Lo
sconosciuto, con dei buffi baffi, accenna un sorriso quando finalmente
capisce
che si tratta di gente di cui fidarsi.
Dopo
un abbraccio a Paquita, e una stretta di mano agli ispettori,
è proprio lui a
condurre i tre all’interno dell’abitazione.
“Chi
sarebbe costui?” – domanda Daniel alla signora.
A
rispondere è il diretto interessato –
“Mi chiamo Jacov Marković, sono nato in
Croazia. Abito nella villa qui accanto, e presto anche servizio alla
signora Fuentes,
di tanto in tanto”
“Mi
stai dicendo che saresti una specie di domestico?”
– chiede Santiago, piacevolmente
colpito.
“Giardiniere,
per la precisione!” – spiega il croato, invitandoli
a sedersi sul divano in
soggiorno.
La
casa è bella, accogliente, con numerose foto incorniciate,
poste sulla parete.
“Questa
bambina è Paula, immagino” – constata
Daniel.
“Si,
un vero tesoro” – aggiunge Paquita –
“ed è molto somigliante a sua nonna,
sapete? Quando vedrete Marivi e sua nipote, assieme, vi
sbalordirete”
Quello
che colpisce Santiago è, invece, una fotografia delle tre
donne assieme: Raquel
Murillo con sua madre e sua figlia.
L’immagine
della serenità.
“Il
signor Vicuña non lo vedo in nessuno scatto, hai notato
anche tu?” – sussurra Lopez
al collega.
“Già,
forse non erano in buoni rapporti” – ipotizza
Daniel, spiegando le sue idee all’amico.
“Mhmm…bisogna
indagare su questo! Direi di interrogare il giardiniere!”
– sostiene il quarantaduenne.
“Qualcosa
non va?” – domanda Jacov agli ispettori, accortosi
del loro confabulare.
“Ehm,
no no, è che ci spiazza vedere, per la prima volta, la vera
Raquel Murillo. Purtroppo,
le immagini che ci sono state consegnate per le indagini, la ritraggono
in
altre vesti” – aggiunge il figlio del Commissario.
“Beh,
la signora Murillo è una donna dolce, semplice e amorevole.
Guardate che
sorriso ha!” – precisa Paquita, emozionandosi
pensandola chissà dove e con
chissà chi.
“Non
so cosa è accaduto a Raquel, prego che la riportiate qui il
prima possibile. Lei
non appartiene al mondo notturno. Lei è una persona che
aveva tutto nella vita”
– afferma, dispiaciuto, il croato.
“Probabilmente
le mancava la felicità. È questo che accomuna le
varie donne che lavorano lì” –
spiega Santiago, ricordandosi di Nairobi e della sua esperienza.
Il
silenzio di Marković non fa che alimentare alcuni dubbi nei due
spagnoli.
“Potremmo
farle qualche domanda in merito?”
È
Jacov a rivelare, subito, un importante dettaglio - “Io non
conosco bene i Vicuña,
però l’unica cosa che posso dire è di
aver sentito spesso Raquel lamentarsi di
suo marito, a telefono”
“A
telefono? E con chi?” – domanda Paquita,
partecipando nel formulare domande che
le sorgono spontanee.
“Non
lo so. Io l’ho vista tre volte qui a Lisbona. E tutte e tre
le volte lei era
sempre con il cellulare in mano, e molto nervosa… parlava di
Alberto”
“La
questione diventa spinosa” – aggiunge Daniel.
“Se
il signor Vicuña è morto, a chi si può
estrapolare informazioni sulla loro
relazione matrimoniale?” – chiede Francisca ai due
ispettori, intenzionata,
anch’essa a darsi da fare per dare una mano.
“Alla
sola persona che li viveva tutti i giorni…”
– risponde Jacov senza giri di
parole – “A Paula!”
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Capitolo 12 *** 11 Capitolo ***
Paula
Vicuña Murillo, figlia di Raquel e Alberto, ha quasi dieci
anni quando, per la
prima volta nella sua giovane vita, diventa testimone di
un’indagine in corso
di rilevante importanza. Trattasi non di un caso qualsiasi, di banale
conto,
bensì fondamentale avendo come vittima proprio sua madre.
Tornata
a casa, dopo una giornata di intenso studio, presso la dimora della sua
docente
privata, quel dì impossibilitata a raggiungere la villa
della Fuentes, la
bambina trova di fronte a sé gente sconosciuta, decisa a
porle delle domande
che, lei stessa, considera alquanto invadenti…che sfiorano,
anzi, penetrano, il
suo privato, un privato che la piccola non ama condividere con
facilità.
“Fidati,
tesoro, è brava gente. Ci aiuteranno a riportare qui la tua
mamma” – Paquita le
tiene la mano durante l’interrogatorio, cercando di placare
la sua evidente
tensione fisica.
“Raccontaci
un po', piccolina. Come era vivere con i tuoi genitori?”
– prima questione
posta da Daniel che, contrariamente all’immagine
istituzionale che avrebbe
dovuto manifestare, si propone e le parla come fosse un amico.
“Ehm…cosa
devo dire? Vivevamo insieme, serenamente. Loro si volevano bene, e me
ne
volevano tanto” – racconta la Vicuña.
“Non
litigavano mai?”
“Si,
li sentivo bisticciare, però finiva subito. Quando arrivavo
io, mamma e papà
smettevano”
Come
è logico che fosse, la coppia non preferiva discutere di
fronte alla minore.
Perciò
tale dettaglio diventa poco rilevante.
“Ti
ricordi il giorno che sei giunta qui a Lisbona?” –
adesso è Santiago a prendere
parola.
E
sembra cogliere nel segno. Il viso della bambina si incupisce.
Si
limita ad annuire, mentre nella sua mente i ricordi riaffiorano
prepotentemente.
“Mi
ha portata qui la mamma. Siamo venute assieme”
“Ok,
e poi lei è andata via?”
“No,
abbiamo trascorso dei giorni assieme alla nonna. Poi
c’è stato l’incidente e
sono rimasta orfana” – racconta, trattenendo le
lacrime. È forte Paula, e non
intende mostrare la fragilità che qualsiasi bambina
proverebbe davanti ad una
vicenda così dura e dolorosa.
“Ci
vuoi raccontare come hai saputo che Raquel…?”
– insiste Lopez, ricevendo però
l’occhiataccia di Paquita.
“Ispettore,
non mi sembra il caso di scavare troppo in profondità.
È pur sempre una bambina
di dieci anni” – interviene la governante.
Ma
è Paula stessa a rispondere all’uomo –
“Era mezzanotte quando ho sentito delle
strane voci provenire dal soggiorno. Ho pensato fosse la nonna. Lei
è solita
alzarsi dal letto e camminare senza meta in tutta casa. Poi ricordo del
suono insistente
del telefono, che mi ha infastidita. Così mi alzai per
rispondere, visto che
nessuno, che abita sotto questo tetto, era intenzionato a
farlo”
“Nessuno
chi? La signora Marivi?” – chiede Daniel.
“No,
con noi abita anche una mia cugina, si chiama Alison, è
inglese” – spiega, poi
riprende – “Mi sono alzata dal letto, diretta al
soggiorno ma prima di arrivare
lì, lo squillo si è interrotto. Non ho capito
granché, in quel momento. Ho
esitato a proseguire, per alcuni minuti. Però poi ho pensato
di recarmi in
cucina per bere dell’acqua…è
lì che ho trovato la nonna a terra, priva di
sensi”
“Cosa
le è accaduto?”
“Non
lo so, lei non ricorda nulla, ovviamente. Solo che mi è
bastato uno dei suoi
post-it per intuirlo. Teneva tra le mani il bigliettino e la
penna”
“Scrive
delle note?” – domanda, interessato, Santiago.
“Sì,
per timore di rimuovere ogni ricordo, lo fa spesso. Venite, vi mostro
il
frigorifero” – conduce, sempre mano nella mano con
Paquita, i due ispettori in
cucina.
Un
gran numero di foglietti colorati riempie il ripiano superiore del
frigo.
Proprio
in tale istante, sotto lo sguardo attento degli uomini che
l’hanno seguita,
Paula rimuove uno in particolare e lo porge loro.
“Incidente…Raquel
è morta…”
Di
fronte a una verità dura e cruda come quella, comunicata
tramite telefono e
annotata su un pezzo di carta, Ramos e Lopez non riescono ad immaginare
il
dolore che Marivi Fuentes possa aver provato in tale istante. La forza
di
mettere per iscritto una cosa del genere è
incredibile…e la freddezza con cui
viene fatto è terrificante.
Probabilmente
averlo rimosso poco dopo dalla mente è stato più
positivo che mai.
“Se
posso permettermi, piccola… per fortuna la realtà
che credevate non è quella
vera. Troveremo tua madre e ti restituiremo un anno di vita che hai
perduto
senza di lei, te lo assicuro” – a parlare
è Santiago, colpito nel profondo
dalla vicenda della bambina.
Il
quarantaduenne guarda le lacrime che rigano le gote della
Vicuña, avvertendo
una fitta al cuore al solo pensiero di quanto, invece, i suoi di figli
possano
aver sofferto la sua assenza.
E
mentre la osserva stropicciarsi gli occhi, ma mantenere forte la sua
posizione
di roccia, il maggiore degli ispettori le porge, istintivamente, una
mano.
Paula
solleva lo sguardo e scruta quello della persona che ha di fronte.
I
lineamenti del viso dell’ispettore con la folta barba le
trasmettono una strana
fiducia che non credeva possibile.
Resta
in silenzio mentre trova in lui cose che desidererebbe rivedere di suo
padre.
“Posso
abbracciarti?” – domanda poi, spiazzando tutti.
Lopez
non esita a dirle di sì e accoglie quell’esile
corpicino tra le sue grosse
braccia.
La
piccola Vicuña sente un forte senso di protezione e ne gode
il più possibile. Sono
dodici mesi che non avverte quel calore umano.
“Va
tutto bene, tesoro?” – chiede Paquita, avendo
assistito, commossa, al momento.
“Si”
– annuisce, poi si rivolge di nuovo all’adulto
–“Scusami ispettore, ho sentito
il bisogno di farlo”
“Tranquilla,
Paula. Sappi che puoi contare su di me, e anche su Daniel. Siamo qui
per
trovare risposte alla sparizione di tua madre, e se tu ci aiuterai,
dicendoci
tutto ciò che sai, torneremo a Madrid con maggiori dettagli
alla mano e più
speranza di giungere, in poco tempo, alla risoluzione del
caso” – le spiega il
quarantaduenne, spostandole un ciuffo dietro l’orecchio.
Chi
l’avrebbe mai detto che il lato paterno si sarebbe
risvegliato così,
all’improvviso?
“Ti
va di parlarci anche di tuo padre?” – interviene
Ramos, pronto ad annotare
qualsiasi cosa detta dalla bambina.
La
questione Alberto è delicata e tocca profondamente la
piccola.
“Mio
padre è morto, hanno trovato il suo cadavere in mare due
giorni dopo che
abbiamo saputo della mamma” - racconta la minore.
“Una
tragedia dopo l’altra” – commenta Jacov,
rimasto in silenzio fino a poco prima.
“Io
di lui sapevo che era partito per un viaggio di lavoro, e mia madre,
per non
tenermi a casa in quei giorni, aveva proposto di venire a Lisbona.
Papà ogni
tanto mandava qualche messaggio, per sapere come stavo. Io gli
rispondevo
sempre che mi mancava molto”
“Come
stai vivendo questa vita qui, assieme alla nonna?”
– altra domanda posta da
Dani.
“Mi
sono abituata. In fondo, sono cresciuta avendola vicino sempre. Per di
più, sto
studiando il portoghese, grazie alla signorina Colmenar,
un’insegnante privata.
Mi tengo impegnata tanto”
“Hai
degli amici qui?”
“Per
ora ne ho due” – racconta Paula, poi si volta verso
Marković e lo indica – “E
sono i suoi figli”
“I
miei bambini le vogliono molto bene. Parlano anche spagnolo, quindi
è facile
comunicare” – spiega Jacov, entusiasta.
“E’
una fortuna avere qualcuno con cui condividere tutto!”
– sostiene Santiago,
riconoscendo all’amicizia un ruolo determinante nel benessere
vitale della
gente.
“Già,
se volete ve li presento!” – aggiunge il croato,
fiero della sua prole ben
educata e generosa.
“Volentieri,
appena avremo finito qui” – risponde
l’ispettore maggiore.
Dopo
una serie di domande legate alla vita nella cittadina portoghese, Lopez
e Ramos
decidono di congedarsi, per il momento. Ciò,
però, non prima di tranquillizzare
la bambina - “Piccola, sappi che rimarremo in zona per almeno
altri due giorni.
Per qualsiasi cosa, ti lascio il mio numero” –
detto questo, il quarantaduenne
estrae un bigliettino dalla tasca dei suoi jeans scuri e glielo porge.
“Non
volete controllare le varie stanze? Magari trovate qualcosa di
utile” – Paula
stessa, sostituitasi alla nonna nel ruolo di padrona di casa, avanza
quella
proposta, come se volesse trattenerli il più possibile
lì con lei.
“Mi
sembra ottimo. Guidaci, come fossi Cicerone” –
afferma Daniel, colpito che sia
stata la bambina a considerare l’opzione di perlustrazione
della dimora.
Così,
nei minuti successivi, i due spagnoli controllano ogni angolo della
villa,
imbattendosi in continui post-it di Marivi, in fotografie custodite in
vecchi
album, in scatole di farmaci, in abiti di ogni tipo conservati per
essere donati
in beneficienza. Di tutto e di più, eccetto indizi necessari
al caso.
“Questa
camera di chi è?” – chiede Ramos alla
minore, constatandone una, con un enorme cartellone
su cui è stampato il “DO NOT DISTURB”.
“Della cugina inglese, Alison! A dire il vero, lei
è una tipa strana, e ci
tiene alla sua privacy” – sottolinea Paula.
Però, se ne infischia e spalanca l’uscio
agli uomini – “Prego, controllate pure”
“Non
credo sia carino entrare lì dentro” –
interviene Jacov, serrando la porta subito
dopo, impedendo l’accesso.
“Perché?
Alison neanche c’è!” –
commenta la bambina.
“Ehm…l’ho
vista dalla finestra e sono corso qui!” – spiega il
croato.
Neanche
il tempo di allontanarsi di qualche metro dal posto, che un rumore dei
passi si
fa sempre più vicino, e in un battibaleno, alle loro spalle,
compare proprio la
straniera.
“Cosa
state combinando qui?” -
una giovane
sedicenne, di bellezza innegabile, con uno zaino in spalla, e
l’aria altamente
irritata, rimprovera i presenti - “Voi chi siete?”
– aggiunge ancora, notando
delle figure a lei sconosciute.
Santiago
e il suo collega sono più che certi della riluttanza da
parte della anglosassone
a collaborare.
E
invece, sbalorditi, la sentono decisamente pronta a testimoniare non
appena
rivelano le loro identità.
“Riportate
qui mia zia, il prima possibile. Io, se volete, posso raccontare quanto
so”
L’interrogatorio
viene condotto nella camera della stessa adolescente, con la porta ben
serrata,
così come le finestre.
Paquita
rimasta in soggiorno con Paula e Jacov, cerca di distrarre la bambina
proponendosi come aiutante nello svolgimento dei compiti scolastici.
Il
croato, invece, resta in silenzio a fissare le scale che conducono al
primo
piano, lì dove Alison è prossima ad esporsi.
“Cosa
ti prende, caro?” – chiede la Sanchez
all’uomo, notandolo alquanto estraniato.
“Nulla,
spero che la Parker non inventi cose, come è solita fare, ed
intralci il caso
dei due ispettori”
“Perché
dovrebbe farlo?” – aggiunge la governante dei
Vicuña, confusa.
“Perché
è una tipa strana” – ribadisce Paula,
intenta a risolvere degli esercizi sul
suo quaderno, mostrando lo scarso legame affettivo con la parente.
Udendo
tali dubbi circa l’autenticità della ragazza
inglese, Paquita si demoralizza
circa la risoluzione del caso in tempi brevi.
Torna
a dedicarsi alla bambina, distogliendo i pensieri da quanto, in
realtà, accade in
quella stanza da letto.
“Allora,
presentati e raccontaci di te” – a parlare per
primo, dando il via alla testimonianza,
è Daniel.
“Mi
chiamo Alison Parker, sono inglese ma vivo qui da circa un anno. Sono
giunta
per un progetto con la scuola, ma ho deciso, poi, di
trasferirmi”
“Come
mai questa decisione?”
“Perché
con i miei non vado d’accordo, mentre zia Marivi ha bisogno
di supporto e
aiuto. Sono qui anche per lei”
“Hai
trascorso del tempo con Raquel?”
“Si,
e le voglio bene, vorrei contribuire per aiutarvi a ritrovarla sana e
salva”
La
tensione che si respira nell’ambiente è segno di
quanto, ciò che la Parker, è
prossima a raccontare, è di notevole importanza.
“Però
giuratemi che ciò che dirò rimarrà
segreto”
“Ti
tuteliamo, stai tranquilla” – la rasserena
Santiago.
E
così, dopo un lungo e intenso respiro, Alison dà
il via alla testimonianza.
“È
capitato spesso che i miei genitori mi portassero in Spagna. Quando ero
bambina
trascorrevo l’estate intera in casa Fuentes. Quindi ricordo
bene com’era zia Raquel
prima del matrimonio, così come è diventata
durante e anche negli ultimi tempi.
Una trasformazione incredibile”
“Quando
parli di trasformazione, ti riferisci al suo stato emotivo?”
“Esattamente.
Era una donna energica, fiera, una forza della natura. Si
fidanzò con Alberto,
e le cose iniziarono a cambiare, soprattutto in prossimità
del matrimonio” – si
interrompe, deglutisce rumorosamente, afferrando subito dopo una
bottiglia d’acqua
posta sulla scrivania. Bevuto un sorso, riprende –
“Ho visto cosa quell’uomo le
ha fatto negli anni”
“La
maltrattava?” – l’ipotesi peggiore a cui
pensa Lopez è quella, e la espone.
“No,
o meglio, io non ho mai assistito a scene simili. Però
è riuscito ad annientare
la sua grinta, la sua vitalità, il suo essere donna. A
pranzo, un giorno, la schiavizzò,
mentre flirtava, palesemente, con una collega che invitò per
un’occasione
importante di lavoro”
“Quindi la tradiva!” – commenta Daniel,
scuotendo il capo, disgustato.
La
sedicenne fa spallucce non potendo confermare al cento per cento il
fatto. Poi
prosegue - “La sera prima del presunto incidente, quando ci
comunicarono la sua
morte, io non riuscivo a dormire. Ero tesa per colpa di un compito di
matematica.
E così, l’ho sentita parlare a telefono con
qualcuno. Essendo notte fonda,
evidentemente, credeva di non essere udita da nessuno. Ma io
l’ho sentita
ripetere cose strane su un luogo dove andare, un posto dove si balla,
non ci
capii granché…”
Santiago
e Daniel si scambiano uno sguardo, ipotizzando, in contemporanea, che
tale sito
potesse essere il Mariposas.
“Hai mai capito con chi stesse conversando?”
– domanda il quarantaduenne, per
trovare conferma alla prima ipotesi saltatale in testa, ovvero Berrotti.
“Solo
un nome ho potuto ben intendere, perché lo ripeteva ogni due
per tre”
“Quale?”
– chiede ancora Lopez, attendendo esattamente quello di
Martin.
“Il
nome di un certo Sergio, e posso assicurare che, dal tono di voce che
aveva,
era molto agitata, impaurita. Se fosse stato questo Sergio a portarla
via?”
Chi
è Sergio?
Perché
conosceva Raquel?
Che
possa esserci lui dietro tutta questa storia?
Sono
tanti i dilemmi da risolvere, e forse, recarsi a Lisbona non ha portato
ad
altro se non a confondere ancora di più le idee dei due
ispettori.
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Capitolo 13 *** 12 Capitolo ***
12
Capitolo
Marivi
Fuentes rincasa nel tardo pomeriggio, accompagnata dalla moglie di
Jacov
Marković, che, di tanto in tanto, si offre di assisterla.
I
due ispettori, terminato l’interrogatorio di Alison Parker,
si apprestano a
lasciare la casa.
Ma
l’arrivo della signora cambia i piani.
“Chi
è questa gente?” – chiede, intimorita.
La progressione della malattia la rende
una bambina a tutti gli effetti, tanto da mostrarsi spaventata per la
presenza
di sconosciuti.
“Ciao,
amica mia! Sono Paquita” – la governante le si
avvicina e con estremo tatto e
garbo, riesce, come ormai è abituata a fare, ogni qualvolta
la incontra, a
instaurare un rapporto di fiducia.
La
sola persona che l’anziana sembra non cancellare dai ricordi
è proprio la
nipote britannica. Nessuno sa dare una spiegazione a tutto
ciò, eppure
l’Alzheimer, come è ben noto, è una
malattia in cui la logica è carente.
“Riconosce
solo lei!” – commenta Paula agli uomini di fianco,
manifestando un profondo
dispiacere – “Io per ricordarle di me devo sempre
mostrarle vecchie foto”
Coscienti
che presentarsi è inutile, perché a breve la
Fuentes dimenticherà tutto,
Santiago e Daniel decidono, ugualmente, di farsi avanti.
Il
maggiore dei due mostra il distintivo – “Siamo
della Polizia, cerchiamo sua
figlia Raquel!”
“Mia
figlia Raquel?! Perché? Cosa le è accaduto? Ha
problemi con la giustizia?
Quando torna a casa, mi sente”
Le
parole di Marivi spiazzano gli ispettori, mentre sembrano la
normalità per
tutti gli altri.
“Ehm,
in realtà…” – cerca di
spiegare Ramos.
È
il collega a fargli segno di lasciar stare.
“Dirglielo
significherebbe farle rivivere quel dolore, per l’ennesima
volta!” – precisa
all’orecchio del socio.
“Non
si preoccupi, un piccolo problemino risolvibile, nulla di
allarmante” – mente
il quarantaduenne.
È
il croato a ringraziare per quella bugia a fin di bene, con un sorriso
complice.
Di
fianco a lui si è posizionata una donna di indubbia
bellezza, dai capelli neri
come la pece e la carnagione olivastra, con indosso una lunga gonna, e
ai polsi
vari braccialetti alquanto rumorosi, assieme ad anelli e due pendenti
grandi a
forma di cerchio.
Chiunque
avrebbe pensato ad una zingara, guardandola attentamente.
Una
gitana, con precisione. Ed è proprio ciò che la
straniera è in realtà, proprio
Nairobi.
Incuriosito
dalle origini di lei, un mondo ormai entrato nel cuore di Santiago,
quest’ultimo le si avvicina, con la banale scusa della
presentazione.
“Lei
è la moglie del signor Marković?”
“Si,
signore, piacere mi chiamo Dolores, per gli amici Lolita!”
– spiega, stringendogli
la mano.
Lo
stesso fa anche con Ramos, lì accanto.
“Vi
conviene andare via, almeno diamo modo a Marivi di rilassarsi. Io
rimarrò qui,
ci sentiamo in serata, ok?” – Paquita chiede loro
di congedarsi, con
educazione, e il gruppetto lascia la villa.
Non
prima, però, di aver salutato due preziosi tasselli delle
loro ricerche: un
saluto cordiale ad Alison, in costante ansia per la sparizione
dell’adorata
zia, e un bacio tenero e paterno a Paula, avvinghiatasi al maggiore
degli
ispettori, come a voler cercare in lui la protezione che, poco prima,
gli ha
ricordato quanto fosse piccola in quel mondo di grandi.
Jacov
invita gli spagnoli nella sua dimora, intenzionato ad offrire la sua
totale
disponibilità sull’indagine.
La
sua consorte, solare e amichevole, gli spalanca le porte di casa sua,
offrendogli addirittura delle camere dove pernottare.
“Sentitevi i
benvenuti” – esclama, facendogli
segno di sedersi sul divano, porgendogli poi un vassoio con spuntini
vari e due
birre.
“Avete
racimolato informazioni utili?” – domanda il tipo
baffuto.
“Speravamo
di trovarne di più, ma, per il momento, ci faremo bastare
questi”
“Dovete
setacciare altre zone?” – aggiunge, ancora, il
croato.
“Vorremmo
recarci al Commissariato di Lisbona per chiedere dettagli raccolti dai
colleghi
portoghesi in questo ultimo anno” – spiega Daniel,
sorseggiando dalla bottiglia
la sua Estrella.
“Posso
accompagnarvi io, se vi fa piacere” – Jacov
è estremamente disponibile, tanto
da insospettire Lopez che, andando contro l’ok del socio,
rifiuta l’offerta.
E
mentre le conversazioni, sul più e il meno, continuano, il
quarantaduenne
scruta, silenzioso, il padrone di casa, cominciando a temere di
trovarsi nella
tana del lupo e di non saperlo.
Forse
sono solo sue paranoie, che, però, rimangono impresse come
macigni nella sua
mente per svariati minuti.
Il
tempo di consumare quella sorta di merenda salata e filare via.
“Aspettate,
vorrei conosceste i nostri figli” – esclama
Marković, quando gli ispettori sono
prossimi a lasciare l’abitazione.
“Siamo
in ritardo, dovremmo fare un check-in entro le 19, nell’hotel
prenotato!” –
spiega Santiago, voglioso di esporre le sue ipotesi all’amico
il prima
possibile.
“Eccoli”
– aggiunge Lolita, indicando due bambini che hanno appena
oltrepassato il
giardino adiacente.
Un
maschio e una femmina, decisamente gitani, e poco croati, nei tratti e
nei
colori.
Si
tengono per mano; il primo sembra essere più grandicello di
un paio di anni
rispetto alla piccola.
“Bambini,
vi presento due signori spagnoli che sono qui per trovare la vostra
adorata zia
Raquel”
Anche
loro definivano la Murillo come zia.
“Come
vedete abbiamo un legame fortissimo, ci consideriamo un’unica
famiglia!” –
puntualizza Jacov, fiero.
“Piacere”
– dice il trentenne figlio di Augustin Ramos –
“Io mi chiamo Daniel, e lui è
Santiago”
“Piacere
nostro, io mi chiamo Victoria” – la piccina sembra
l’esatta copia di sua madre,
anche caratterialmente.
Il
moretto, di fianco a lei, non sembra aver ereditato la parlantina dei
genitori,
né l’entusiasmo nel conoscere quelle persone.
E
mentre baby Vicky, così dice di farsi chiamare dalle
amichette di scuola, dà
mostra delle sue doti logorroiche, Lopez fissa, pensieroso, il
fratellino
maggiore.
C’è
qualcosa in lui che non lo convince.
“Tu
come ti chiami, ragazzo?” – chiede, incuriosito e,
al contempo, sospettoso.
“Perché
lo vuoi sapere? Cosa ti interessa?” – replica
l’altro, ricevendo l’immediato
rimprovero dei genitori.
Lolita
lo afferra per un braccio, trascinandolo dentro casa –
“Scusatelo, è davvero un
ribelle. Non vuole imparare le buone maniere” – per
allontanarsi con il figlio,
la gitana si congeda, lasciando suo marito e la piccola Victoria
assieme agli
ispettori.
“Perdonatelo”
“Figurati,
è un bambino. È comprensibile”
– lo giustifica il maggiore degli ispettori.
“E’
sempre il solito” – brontola la bambina, alzando
gli occhi al cielo, con fare
quasi da adulta, che fa sorridere gli uomini.
“Sembra
una piccola boss, immaginala a capo di un’impresa”
– ridacchia Daniel, sussurrandolo
al socio.
Santiago
accenna un sorriso, eppure qualcosa della figura del ragazzino sembra
averlo
toccato.
“In
lui c’è qualcosa di familiare…di molto
familiare” - precisa, prima di uscire
dal cancello dell’abitazione.
Il
cellulare in tasca comincia a vibrare costringendolo a tirarlo fuori.
“Paquita,
dimmi”
“Appena
arrivate all’albergo avvisatemi, non fatemi stare in
pena” – con fare materno,
la governante dei Vicuña ha telefonato per sapere notizie
dei due.
“Una
donna così tenera non l’avevamo mai
conosciuta” – puntualizza il trentenne,
colpito piacevolmente.
In
quel preciso istante, però, l’IPhone di Lopez lo
porta, forse per errore, forse
per destino, sulla galleria delle fotografie.
E
di fronte agli occhi di Santiago si palesa la ragione dei suoi dubbi.
“Cazzo”
– esclama, impallidendo.
“Che
succede?”
“Guarda
tu stesso” – gli porge l’apparecchio, e
Ramos fissa l’immagine ingrandita.
“Chi
è?”
“Il
figlio di Nairobi”
Il
giovane sospira, intuendo che la cotta per la gitana non è
ancora superata, e non
coglie il filo del discorso – “Amico mio, tu devi
andare avanti, possibile che
pensi sempre a lei…”
“No, no, devi osservare bene! Non sto tirando in ballo lei,
tanto per! Questo
bambino non ti ricorda quello che abbiamo appena conosciuto?”
“Chi?
Il figlio del croato?” – chiede, confuso, il
ragazzo – “Come spiegheresti
razionalmente come mai quel gitanito è
assieme a questi due, in
Portogallo per giunta?”
“Adottato,
forse” – trova la giusta motivazione e poi continua
- “Se così fosse, sarebbe
un vero e proprio fatalità!”
“Non
sappiamo neppure come si chiama!”
“Motivo
in più per scoprirlo. Preparati, mio caro socio,
perché stiamo per tornare di
nuovo in quella casa!” – lo prende sottobraccio,
ripercorrendo i metri appena
superati.
“Uffa,
sopportare di nuovo la loro parlantina è qualcosa che sfida
la pazienza di
chiunque, anche di un santo” – borbotta Ramos.
“Se
è lui, io la mia sfida con la vita l’ho
parzialmente vinta!”
“Mi
devi un favore” - commenta il trentenne, una volta di fronte
a quella porta,
per la seconda volta.
“Anche
più di uno!” – certo delle sue ipotesi,
Santiago bussa deciso all’uscio, mentre
gli frulla in testa una banale scusa che giustifichi ciò che
sta per fare e
dire.
Mentre
a Lisbona le cose circa la sparizione di Raquel non trovano un pieno
risvolto,
ma qualcos’altro sembra smuoversi in direzioni sperate, a
Madrid, precisamente
al Mariposas, la situazione sembra stabilizzarsi, a netto favore di chi
ha il potere.
“Hai
sistemato la donna al suo posto, Palermo?” – viene
chiesto a Martin, tramite
una sorta di walkietalkie e un auricolare.
“Si,
è qui di fronte a me, sul letto! L’ho anche ben
coperta” – spiega Berrotti alla
persona dall’altro lato, quella con la maschera che la gitana
incontrò ore
prima.
“Perfetto”
“Possiamo
stare tranquilli?”
“Ha
imparato la lezione, non si azzarderà più a
lasciare il Club, fidati!”
“Bene”
– sorridente e soddisfatto, il proprietario del locale,
chiude la conversazione
qualche secondo dopo, sollevato come non gli capitava da tempo.
Abbandonata
la camera di Agata, il proprietario del Night Club viene richiamato
all’ordine da
un’improvvisa telefonata.
“Pronto?
Si, sono io… sul serio?... bene….grazie”
Breve
ma intensa comunicazione che rallegra, se possibile, ancor di
più di quanto già
fosse, la sua giornata.
Percorre,
saltellante, i corridoi del primo piano, avvisando, uno ad uno, i suoi
dipendenti della decisione presa all’ultimo secondo.
“Che
succede, capo?” – chiede Manila, trovandosi Martin
in camera, improvvisamente,
mentre era dedita ad una seduta di yoga personalizzata.
“Stanotte
si torna a lavorare” – comunica, entusiasta
– “Smetti di fare queste stronzate
che servono a poco, e preparati”
Questa
è la novità che dà a chiunque vive
sotto il suo stesso tetto.
Le
sole escluse sono Nairobi e Tokyo, prive di coscienze e sconnesse dalla
realtà.
“Cosa
è cambiato nel giro di ventiquattro ore?”
– domanda Stoccolma all’amica,
quando, ormai pronte ad accogliere nuovi clienti, si scambiano battute
su
quanto accaduto.
“Non
saprei, e a dire il vero sono preoccupata per le altre”
“Chi?
Per quelle due ribelli? Meglio che non ci siano stanotte, altrimenti
dovremmo
scontrarci sicuramente sull’ennesime loro alzate di
testa” – commenta la
bionda, sistemandosi uno scollatissimo top rosso.
Manila,
però, sente che l’assenza di Tokyo e Nairobi
è alquanto fuori dal comune. In
fondo, è cosciente che se il Mariposas ha successo
è dovuto, in parte, anche
alle due Farfalle più grintose.
Così,
agitata, chiama in disparte Martin – “Che fine
hanno fatto le nostre amiche?”
“Adesso
le consideri amiche?” – ridacchia Berrotti
– “Lascia perdere, domani le
rivedrai. Per oggi le ho tenute in punizione”
“Punizione?
Cosa…? Non siamo mica in un carcere” –
sostiene.
“Cara
ragazza, ti ho appena detto di lasciar perdere. Ora va’, e
guai a te se decidi
di imitare le altre sciagurate… piuttosto, segui le orme di
Stoccolma. Lei sì
che è una rispettosa delle regole” –
ignorando gli sguardi scioccati della
ragazza, Palermo si appresta ad aprire il portone ed accendere
l’insegna
esterna.
E’
allora che Manila nota sul bancone, all’ingresso, un fax
fresco di stampa.
“Le
indagini sul locale sono state archiviate. Non è stato
riscontrato nulla che
possa impedire il vostro operato. Potete riaprire immediatamente.
C.G.”
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Capitolo 14 *** 13 Capitolo ***
Chi
si nasconde dietro le iniziali C.G., è un dubbio che
infastidisce Manila
durante l’intera nottata. Seppure, alle prese con nuovi e
numerosi clienti, la
ragazza ha la mente occupata e non trova una soluzione che possa
mettere a
tacere tanti pensieri.
È
quasi l’alba quando ogni dipendente del Mariposas rientra
nella rispettiva
stanza.
Esauste,
le due spogliarelliste operative in quella serata, percorrono assieme
il
corridoio che separa la camera di una da quella dell’altra.
Stoccolma
non è visibilmente in forma, il che sembra mettere da parte
le intenzioni di
Manila di indagare circa la persona del fax, e focalizzarsi sullo stato
di
salute della collega.
“Sei
pallidissima, cos’hai?”
“Sto
benissimo, tranquilla” – risponde la bionda,
seppure traballante.
“Sicura
di non aver bisogno di aiuto? Non vorrei che tu avessi disobbedito al
protocollo bevendo qualcosa offerto da un cliente! Sai bene che non
possiamo
farlo” – precisa la mora.
“Vuoi
ricordarmi le regole? Dimentichi che stai parlando con me? Non mi
chiamo mica
Tokyo o Nairobi. So cosa va e cosa non va fatto” –
alquanto altezzosa, rammenta
di essere la sola che non disobbedisce mai, quindi interpreta la
preoccupazione
di Manila come un attacco alla sua perfezione comportamentale
– “Non farmi
ramanzine, sai che non sono io quella che le merita!
Buonanotte” – così
dicendo, lascia il braccio della collega, a cui si era sorretta fino a
qualche
istante prima, e si avvia verso il proprio uscio.
Manila
sa quanto Stoccolma sia fedele a Berrotti ed è cosciente che
non riceverà mai
risposte da lei. Eppure, il pensiero dell’ignoto C.G. torna
ad insospettirla.
“Chi
cazzo ha ordinato la riapertura del Mariposas, nonostante
l’ordinanza della
Polizia?”
Non
le converrebbe immischiarsi, né tantomeno porre domande in
giro, visto l’ordine
ricevuto da Martin, ma è proprio uno strano suono,
proveniente da una stanza
poco distante dal punto in cui è ferma da alcuni minuti, ad
attirare la sua
attenzione.
Più
che un suono sembra un lamento.
Combattuta
se seguire l’istinto o rispettare quanto impostole, la
ragazza esita.
In
tutta quella faccenda qualcosa comincia a puzzarle, seriamente. Se
prima ha
finto o ha chiuso non solo un occhio ma entrambi, per un protocollo che
ha
firmato quando, tempo addietro, mise piede per la prima volta al
Mariposas, la
sparizione di Lisbona, le indagini, gli ultimi bizzarri comportamenti
del
proprietario del Night Club, e perfino la
“punizione” che quest’ultimo ha detto
di aver fatto scontare a Tokyo e Nairobi, iniziano a crearle dei dubbi
su cui
non può più sorvolare.
Guardandosi
attorno, come a volersi sincerare dell’assenza di possibili
spioni, in primis
la stessa Stoccolma, nota per la fama di cagnolino del boss, Manila a
passo
affrettato raggiunge il luogo da cui proviene il gemito.
Riconosce
subito che quella è la stanza di Nairobi, sparita nel nulla
da ormai 24ore.
Allora,
decisa a capirne di più, bussa.
Nessuna
risposta, se non un continuo lamentarsi.
Per
sua fortuna, l’uscio è aperto, così da
permetterle di varcarlo e constatare che
la collega è stesa sul letto, sotto delle pesanti coperte.
Però
dorme.
Un
sonno disturbato.
“Nairobi”
– la chiama, sperando in un suo risveglio.
Il
contorcersi della gitana, infatti, è inquietante.
È
come se Agata si ribellasse ad un incubo piuttosto reale.
“Apri
gli occhi, per favore. Mi stai spaventando” –
ripete. A quel punto, le siede
vicino e la scuote.
Ma
la zingara non ha reazioni, se non un improvviso e raggelante grido di
terrore.
Di
fronte a tale urlo, Manila si alza in piedi e si allontana, agitata.
“Cosa
ti succede? Che ti hanno fatto?” – domanda, temendo
il peggio.
Le
idee che le balenano in mente sono molte; tante perfino senza logica.
Setaccia
la stanza, cercando delle tracce. Chissà…pensa
Manila…magari ha assunto
farmaci, o droghe… anche se è espressamente
vietato farlo su ordine del
Mariposas.
Non
trova nulla di tutto ciò, il che è maggiormente
preoccupante, in quanto la
presenza di qualche prova avrebbe giustificato tali gemiti. Invece non
esiste
niente che possa dare risposta alla condizione di Nairobi.
L’ultima
possibilità di ricerca della verità è
verificare lo stato fisico della gitana.
Così, raccolto il coraggio e la forza, la ragazza solleva la
coperta nella
quale è ben celata Agata.
“Cazzo”
– esclama, sconvolta, quando ciò che vede
dà prova alle sue preoccupazioni.
Ciò
accade proprio quando il sole è alto in cielo e Madrid si
appresta ad
accogliere un nuovo giorno.
Ma
cosa è invece accaduto a Lisbona, alcune ore prima?
Già…perché
Santiago è fermamente deciso a scoprire
l’identità del figlio di Jacov.
“Avete
dimenticato qualcosa?” – chiede Dolores, aprendogli
la porta, dopo appena
cinque minuti dai saluti.
Daniel
si appella alla recitazione del socio, non avendo trovato il tempo
necessario
ad elaborare una bugia adeguata alle circostanze. Lo osserva,
limitandosi al
silenzio.
“Scusateci,
siccome l’Hotel è alquanto distante da qui, mica
potremmo utilizzare la
toilette”
“Ehm,
certo, prego, entrate” – la donna li invita
all’interno, accompagnandoli, uno
alla volta in bagno.
“Vai
prima tu, forza” – sussurra Lopez
all’amico, approfittando del fatto che il
presunto Axel è seduto proprio in salone, concentrato nel
gioco della Play.
E
Ramos esegue la performance richiestagli.
Ciò
che si presenta al maggiore degli ispettori è una situazione
favorevole al suo
intento. Approfittando del videogioco può, infatti,
attaccare bottone con il
ragazzino.
“Wow,
e così ti piace cucinare. Io ci provo ma sono una frana.
Riesco solo nel
barbecue, quello mi viene divinamente”
Il
ricciolino dai capelli neri non risponde, si limita a tenere fissi gli
occhi
sullo schermo del televisore.
“Conosco
una donna di nome Agata che è bravissima ai
fornelli” – aggiunge, inventando
storie su Nairobi, con l’intento di suscitare nel bambino una
reazione udendo
il nome della presunta madre.
Invece
nulla.
Il
figlio del croato non batte ciglio.
“Va
tutto bene qui?” – chiede Jacov, unendosi ai due.
“Si,
notavo che a tuo figlio piacciono i giochi di cucina. Giuro che non ne
avevo
mai visto uno di questo tipo, per la Play”
“Forse
perché sei abbastanza vecchio…”
– commenta il minore, ricevendo l’immediato
richiamo paterno.
Ma
è Santiago stesso a far cenno al capofamiglia di star
tranquillo perché non si
è offeso.
“Si,
hai ragione, giovanotto. Sono un po' over per queste cose,
forse…ma non mi hai
mai visto giocare a Wrestling nelle vecchie Play” –
sostiene Lopez, mostrandosi
orgoglioso dei suoi successi in giovane età.
“Ah
si? Beh allora… ” – a quel punto il
gitano, mantenendo la sua fierezza e la sua
freddezza con l’ospite, lo mette alla prova –
“… fammi vedere di cosa sei
capace!”
Ecco
finalmente l’occasione per relazionarsi al moretto e indagare
a fondo le sue
origini.
“Certo!
Non dirmi che hai anche questa tipologia di videogiochi?”
– gli domanda,
lasciandosi trasportare dal momento di gioco.
“Ovviamente
sì” – si mette in piedi, tirando fuori,
da una vecchia scatola, quanto
necessario.
Daniel,
nel mentre, rientrato dalla toilette, non sa più come
guadagnare tempo. Chiede
dell’acqua, cerca di allungare il brodo quanto
può. Tutto ciò accade mentre
Lopez e il piccolo sconosciuto danno il via allo scontro virtuale.
“Bisogna
inserire i nostri nomi per giocare. Allora… metto subito il
mio” – ecco cosa
cerca davvero Santiago. Opta per la sola Play, di cui andava
ricordandosi, che richiede
l’inserimento di un nome di ciascun giocatore. Entusiasta, si
affretta a
scrivere il proprio, attendendo, ansioso, quello del gitano.
“Ora
tocca a te” – gli dice.
È
quello il momento tanto atteso.
“Beh,
io mi limito a Giocatore2”
“E
perché?” – richiesta lecita da parte di
Santiago, deluso.
I
due si guardano per qualche istante, in silenzio.
Ma
è la piccola Victoria, comparsa all’improvviso,
con la sua bambola nuova tra le
braccia, a rivelare – “Alek, sbrigati! Mi avevi
promesso che avrei potuto
guardare in santa pace il mio cartone animato preferito. È
quasi ora!”
“Alek?
È così che ti chiami?” – la
domanda dell’ispettore, accompagnata da uno sguardo
incredulo, giunge immediata.
“Aleksandar,
per la precisione” – spiega Dolores, unitasi al
gruppo, per avvisarli che la
cena è pronta.
“Ah…”
– commento amaro del quarantaduenne.
È
Ramos, a quel punto, a prendere in mano le redini della situazione.
“Beh,
grazie della toilette. Noi ora andiamo, si è fatto davvero
tardi. Buona cena,
signori” – preso sottobraccio il socio, lo trascina
fuori dalla villa.
Accusato
il colpo, Santiago si ammutolisce, cercando di fabbricare idee nella
sua testa
che diano spiegazioni logiche all’accaduto.
“Siamo
quasi arrivati. È mezzora che non apri bocca. Amico, so che
sei deluso. È stato
un buco nell’acqua, però, l’importante
è non averci sperato troppo ed essere
giunti alla verità il prima possibile” –
sostiene Daniel.
“No”
– risponde l’altro.
“No,
cosa?”
“È
strano, non trovi?”
“Che?
A me sembra tutto più che trasparente. Lo zingarello croato
è figlio dei
signori Marković”
“Mmh… però il nome Alek non ricorda
vagamente Axel?”
Il
trentenne solleva un sopracciglio, spiazzato da una constatazione ai
limiti del
paradossale.
“E
io mi chiamo Dani, però è simile anche a David.
Potrei scoprire di essere un
certo David e di essere stato adottato!” –
banalizza la situazione, giocandoci
sopra – “Dai, siamo seri. Quel bambino non
è Axel. Punto”
Giunti
in hotel, dopo una abbondante cena, i due si ritirano, esausti dalla
giornataccia, ciascuno nella propria stanza.
Dopo
un bagno caldo, Santiago cerca di rilassarsi più che
può, mettendo da parte la
vicenda di Axel.
In
fondo, la priorità è Raquel Murillo.
E
invece…fatica a concentrarsi. Pensa e ripensa a Nairobi, e
non sa darsi pace. È
come se sentisse un filo che la tiene legato a quella donna.
Una
volta a letto, coperto da morbide e profumate lenzuola bianche, Lopez
chiude
gli occhi cercando di affidarsi a Morfeo per staccare dalla
realtà.
È
passata l’alba quando il suo dormire viene disturbato dalla
vibrazione del
cellulare.
Lo
ignora.
Ma
il cellulare continua. Poi si interrompe. Poi riprende.
Un
susseguirsi di chiamate che iniziano a preoccuparlo.
Rassegnato
al destino da ispettore sempre rintracciabile e mai in riposo, nota che
a
contattarlo con insistenza è un numero sconosciuto.
“Sì?
Chi è?” – la sua risposta.
La
voce dall’altro lato non è alquanto rassicurante.
“Ispettore
Lopez…”
“Con
chi parlo?”
“Sono
Manila, del Mariposas! Non ho molto tempo, potrebbero scoprire che ho
preso un
cellulare”
“Che
succede?”
“Perché
avete riaperto il locale?”
“Cosa?
Noi non abbiamo riaperto nulla!”
“E invece sì”
“Mi sembra molto strano, a meno che il nostro sostituto non
abbia…” – poi si
zittisce, pensando proprio a quella opzione.
“Avete
affidato il caso ad altri?” – esclama, incredula,
lei.
“Ora
ci troviamo altrove, però stiamo ancora investigando sulla
Murillo”
“Penso
che in gioco ci sia qualcosa di troppo grosso e che non abbia a che
fare sono
con Lisbona” – confessa, con voce tremante.
“Non
capisco”
“Non ci giro intorno… sono stata nella camera di
Nairobi e…”
“E?”
– sentirla pronunciare il nome della gitana, allerta Santiago
che teme il
peggio.
“Ho
intuito che tra voi c’è stato qualcosa, non sono
cieca. Proprio per questo ti
ho telefonato… non sta bene”
“Cosa
vuoi dire? Ha avuto qualche malore?” – dimenticando
il riposo, il sonno, e quant’altro,
istintivamente Lopez si alza dal letto accingendosi ad indossare
perfino le
scarpe.
“Accadono
fatti strani…e ho appena visto cosa ha sul corpo”
Quell’affermazione
fa sussultare Santiago che terrorizzato, si immobilizza –
“Sul corpo? Cazzo,
Manila! Cosa mi stai cercando di dire?” – ripete
spaventato.
Trattenendo
il pianto, ormai prossimo ad esplodere, la giovane rivela -
“Temo l’abbiano torturata!”
|
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Capitolo 15 *** 14 Capitolo ***
"Torturata”
… “l’hanno torturata”
… “forse l’hanno torturata”
Le
parole di Manila rimbombano violentemente nella mente di Santiago che
si
scollega, per quei secondi, dalla realtà.
E
mentre la ragazza parla, singhiozza la sua paura, e lascia trasparire
la
gravità della situazione, Lopez non riesce che a pensare a
Nairobi, a una donna
dalla tempra d’acciaio, piegata in due da qualcosa
più grande di lei.
Qualcosa
che, oggi più che mai, l’ispettore sente di dover
svelare, per epurare tutto lo
schifo che si nasconde tra le pareti del Mariposas.
Perché
ormai ne è certissimo… il locale è
permeato di malvagità. Altro che regole da
rispettare e protocolli dei buoni comportamenti…
lì ogni dettaglio è studiato a
tavolino per rendere la vita di povere donne un vero e proprio inferno.
Manila
nel frattempo, si zittisce, appena avverte dei passi sospetti.
“Devo
lasciarti! Potrebbero scoprirmi…” –
chiude in tutta fretta, lasciando Santiago
preda di una crisi interiore e di una rabbia accecante che sfoga
gettando a
terra tutto quanto ha di fronte.
E
quando molta della roba contro cui si è scagliato
è sul pavimento, osserva il
casino fatto e cerca di calmarsi, respirando profondamente. Lo fa una,
due, tre
volte…inutilmente.
“Li
ammazzo” – ripete, conscio di non sapere neppure
chi possa aver recato male ad
Agata.
Solo
una cosa è per lui certezza assoluta. Il Mariposas
chiuderà i battenti. È una
promessa che fa a se stesso.
“Li
rovino! Li mando tutti in galera, quei figli di puttana!”
Con
ancora indosso il pantalone di una vecchia tuta, che utilizza a modi
pigiama,
corre nella camera di fianco.
Daniel
Ramos dorme profondamente, ignaro di quanto appena accaduto.
Santiago
non si fa scrupoli a bussare con forza pur di svegliarlo; piuttosto lo
chiama
anche a gran voce, causando lamentele giustificate di altri clienti
dell’Hotel.
“Ehi,
amico, che cazzo gridi così? Che succede?”
– il trentenne, con l’aria di uno
zombie, gli apre la porta, ben dieci minuti dopo, borbottando.
“Finalmente!”
– esclama, alquanto seccato, il maggiore dei due.
“Sembri
agitato…”
“Agitato
è dir poco. Io torno a Madrid”
“Che? Ma bisogna terminare le indagini qui”
“Tornerò
appena possibile”
“Cioè
mi lasci da solo?” – di fronte all’idea
dell’amico, Ramos sembra salutare il
sonno e caricarsi di adrenalina.
“Te
la senti di farlo? Si tratta di un altro giorno, dopotutto”
“Scusa,
puoi raccontarmi come mai hai deciso questo? Prima sei venuto per
risolvere il
caso Murillo, poi ti dedichi esclusivamente alla faccenda del bambino
da
ritrovare, e adesso opti per il rientro in Spagna. Non sto capendo
più nulla…”
– sostiene, alquanto confuso, il ragazzo.
“Hai
ragione. È che si tratta di Nairobi e…”
“Ancora
lei? Santiago, ma non ti sarai seriamente innamorato? Non ti
è mai capitato di
prendere a cuore una storia e soprattutto una testimone di
un’indagine”
Ma
Lopez non replica, piuttosto sposta il discorso sulle ore precedenti.
“Ho sentito Manila, stanotte. Mi ha telefonato”
“La
farfalla del Mariposas?”
“Sì,
ha detto che… hanno fatto del male alla sua
collega”
“Porca
puttana, che vuol dire le hanno fatto del male?” –
spiazzato, Daniel ha
un’immediata reazione di shock. Infatti, la sua mente si
focalizza su
Stoccolma. Teme che possano aver recato danno anche alla biondina.
“Allora
torno con te”
“No,
ascoltami. Ci penso io, per il momento. Inoltre, Manila mi ha detto che
il
locale è stato riaperto. Questo significa che il nostro
sostituto ha dato l’ok”
“Cazzo,
ora mio padre mi sentirà. Lo telefono e gli faccio una bella
predica. Vediamo
chi tra noi è quello più indisciplinato. Accusava
me di poco cervello e poi lui
cosa fa? Affida l’incarico a qualcuno che manda a fanculo
tutto il nostro operato?”
Senza
esitare afferra il cellulare e contatta il genitore.
Ciò
accade mentre Santiago prenota un volo in mattinata diretto proprio
nella
capitale spagnola.
***************************************************
Manila,
dopo la telefonata con l’ispettore, decide di avvertire anche
Tokyo in merito
alla faccenda della gitana.
Fortuna
vuole che la stanza della ribelle del gruppo non sia chiusa a chiave,
esattamente come non lo era quella di Nairobi.
Berrotti
ha sorvolato su quel dettaglio, avendo piena fiducia delle Mariposas
rimastegli
fedeli, le quali mai avrebbero disobbedito e interferito in faccende a
loro
estranee.
E
invece…
“Tokyo,
sono io! Svegliati, dobbiamo parlare di una cosa importante”
– le siede
accanto, certa che la collega stia dormendo beata, approfittando delle
ore di
libertà concessele dal capo.
Non
riceve alcuna risposta, tanto da allarmarsi che possa esserle accaduto
lo
stesso della zingara.
Spaventata,
va’ in paranoia cominciando a sentirsi osservata da ogni
angolo, percependo,
forse per la prima volta, la stessa mancanza di libertà
delle due Farfalle
anticonformiste del gruppo.
“Avevate
ragione voi” – commenta, abbassando lo sguardo,
amareggiata. Posa gli occhi
sulla dormiente, appurando che respira e ha un sonno tranquillo. Niente
a che
vedere con quello di Nairobi. Ciò, parzialmente, la
rasserena.
Pensa
a come agire nei minuti successivi, avvertendo la necessità
di spalleggiare le
colleghe nel loro muoversi contro l’intero sistema. E lo fa
lasciando alla
collega un bigliettino, precisamente poco prima di udire, nei corridoi,
la voce
di Martin.
Questa
è la ragione che la costringe a darsela a gambe,
raggiungendo in tutta fretta
la sua di stanza.
È
allora che becca, di sfuggita, lo stesso Berrotti entrare nella camera
da letto
di Stoccolma.
Manila
è nel panico, cominciando a temere per
l’incolumità di tutte le Farfalle,
perfino della fidata biondina.
Decide
di origliare, scegliendo di intervenire semmai sentisse liti o grida
dell’amica.
“Cosa
succede Palermo?” – domanda la bionda al Boss,
chiamandolo con il nome in
codice.
Questa
modalità di approccio indica, in teoria, una certa
complicità e confidenza tra il
datore e la dipendente. E Manila sa bene che Martin pretende dalle sue
lavoratrici il massimo del rispetto. Solo Nairobi ha sempre avuto la
sfacciataggine di rivolgersi a quell’uomo con
l’appellativo di città, a
ricordargli di essere uno di loro e non al di sopra.
Adesso
è Stoccolma a parlargli con fare informale, tanto da
alimentare i dubbi della
collega intenta a spiare.
“Niente,
sono venuto qui per dirti di badare anche alla tua amichetta. Temo che
l’alzata
di testa della gitana, possa aver condizionato, automaticamente, anche
lei”
“Manila
è una ragazza seria, fidati. Non è come quelle
due casiniste”
“Controllala,
e continua a tenerla dalla tua parte”
La
riccia annuisce, succube delle pretese dell’uomo. Poi,
però, manifesta la sua
preoccupazione circa le condizioni della gitana.
“Cosa
hai fatto a…?” – domanda, non
pronunciando il nome, ma lasciando intuire che si
trattasse di Agata.
“Ha
avuto la punizione che meritava, vedrai che non si ribellerà
più. Ha osato
sfidarci, ed eccone le conseguenze. Ho sopportato anche troppo la sua
spavalderia, adesso basta.”
“Mi
chiedo come possa avere la faccia tosta di ribellarsi, sapendo che suo
figlio
Axel è nelle vostre mani”
“E’
proprio per questo che lei provoca, lo rivuole indietro”
“Glielo
restituirete?”
Quella
domanda fa ridere Berrotti che ovviamente risponde –
“Certo che no! Ce ne siamo
sbarazzati da tempo ormai. Lei crede sia con noi, però
liberarci del bambino ci
ha ripagati con un bel gruzzoletto, non immagini quanto
consistente” – spiega,
estasiato al ricordo di denaro in abbondanza.
“L’avete
illusa?” – esclama la donna, avvertendo
immediatamente pena per quella mamma.
“Beh,
cosa pretendeva? Ha accettato le condizioni imposte dal Mariposas
quando è
arrivata qui. E sapeva benissimo che non sono accolti minori. Di
qualsiasi età
e sesso”
“Quindi,
semmai una di noi rimanesse incinta…?” –
chiede Stoccolma, alquanto tesa.
“Ovviamente
non succederà. Avete l’obbligo di prendere le
pillole, altrimenti noi non ve le
regaleremmo tanto facilmente, no?”
“Già”
– risponde la bionda, incupendosi.
Eppure,
del suo improvviso cambio d’umore, Palermo non si accorge e
continua a vantarsi
di aver piegato la grintosa gitana.
“Sta
di fatto che ho pensato bene di placare anche Tokyo. Dormirà
un po', ma quando
riaprirà gli occhi, troverà la sua migliore amica
che le dirà di non ribellarsi
mai più, di tapparsi la bocca e limitarsi a
lavorare”
“Si
può sapere cosa è capitato a Nairobi?”
– insiste la riccia.
“Ascolta,
Monica, sei alquanto intelligente da capire a cosa posso riferirmi
quando parlo
di punizione” – il boss la chiama addirittura per
nome, lasciando trasparire il
paradossale legame instauratosi.
“Non sarà mica corporea? L’avete
torturata?” – seppure da sempre fedele alleata
dei padroni, la giovane intuisce che si è superato il limite
umano e
impallidisce.
“Beh,
se l’è cercata, non trovi?” –
afferma, rilassato, Berrotti, non dando peso al
volto incupito di Stoccolma.
“Non
capiterà più come per Lisbona, fidati!”
– aggiunge poi.
“Invece
non comprendo cosa sia successo a lei. È sparita nel nulla,
ma… non mi pare vi
disobbedisse”
“Questo
non sei tenuta a saperlo, mia cara! Piuttosto, sono venuto qui anche
per darti
la tua parte!” – rivela, tirando fuori dalla tasca
una mazzetta di banconote.
La
bionda, impassibile di fronte a tanto denaro, per la prima volta da
quando ne
riceve, lo fissa alquanto disturbata e amareggiata.
“Ora
riposa!” – la saluta, sorridente, avviandosi
all’uscita, giusto il tempo, per
Manila, di nascondersi dietro una parete, controllando poi il suo passo
lento e
fiero percorrere i restanti metri che lo conducono alle scale.
Scioccata
da quanto udito, trattiene la rabbia, che preferirebbe scagliare contro
una
traditrice pronta a vendere le socie per soldi.
“Stronza”
– commenta, riferendosi a Stoccolma –
“Avrà sicuramente raccontato qualcosa
contro Nairobi ed ecco spiegato come mai è ridotta
così…”
Batte
un pugno alla parete, rendendosi conto di avere sempre sostenuto una
compagna
falsa e ingannatrice.
“Cosa
ci fai tu qui?” – è proprio la riccia,
udito un rumore, ad aver aperto la porta
e riconosciuto la ragazza.
Manila,
di spalle a lei, non si volta. Avrebbe voglia di gridarle lo schifo che
sente,
ma gioca sporco, esattamente come la collega –
“Stavo tornando nella mia
stanza! Ciao…”
La
freddezza della Farfalla è colta al volo da Stoccolma che si
pone in allerta.
“Cosa
nascondi?”
La
mora stringe i pugni, mantenendosi calma, e replica –
“Nulla, cosa dovrei mai
nascondere… io! Andiamo a dormire, sono le sette del mattino
ormai, e sono
esausta!”
Non
dà modo alla bionda di controbattere o indagare,
perché usa al meglio le
proprie carte, mostrandosi pacata, come suo solito. Ora sa che
Stoccolma
potrebbe parlare e raccontare cose a Martin, quindi è bene
per Manila
tutelarsi.
Chiusasi
in camera, si stende sul letto, cercando di trovare pace. Eppure,
fatica a
farlo. L’immagine di Nairobi, vittima di cattiveria umana, la
scuote dentro.
Però
ha poche scelte. Non può agire da sola. Sa che contattare
Santiago Lopez è
stata una mossa positiva; non le resta che attendere il suo arrivo.
************************************************
È
tardo pomeriggio quando Tokyo si risveglia da un lungo sonno, di cui
è poco
conscia.
“Cosa
mi è successo?” – si solleva dal letto,
avvertendo una strana pesantezza alla
testa.
Confusa,
la giovane donna cerca di ricordare le ultime ore.
Le
basta poco.
“Bastardo,
mi ha sedata!” – esclama, rammentando Martin e la
loro discussione.
Si
mette in piedi, seppure ancora fiacca, e si avvia all’uscio.
Nessuno
può permettersi di controllarla come ha fatto il suo capo
mettendola k.o.
Però,
appena si avvicina alla porta, pronta ad uscire per fronteggiare il
nemico,
nota un biglietto sul tappeto e lo legge.
“Nairobi
ha bisogno d’aiuto. Ho chiamato Santiago Lopez.
Arriverà a breve. Perdonami se
non ti ho mai appoggiata. Ora sono una di voi… M.”
Sorvolando
su chi potesse essere il mittente, la giovane si fionda nella camera
della sua
migliore amica, mettendo da parte Berrotti e la vendetta contro di lui.
La
sua priorità adesso è lei: Agata!
Getta
a terra il foglio di carta e si allontana, arrivando, in pochi minuti,
alla
porta di quella stanza e a pochi passi dalla
verità… una verità che le frantuma
il cuore e lo carica di sensi di colpa: Nairobi, inerme, stesa sul
letto, con
abiti strappati e lividi ben evidenti sono la prova di un dramma,
l’ennesimo,
vissuto dalla gitana.
“Amica
mia, che cazzo ti hanno fatto?!” – con voce
tremante, Tokyo avanza verso di
lei.
Disperata,
frustrata, arrabbiata con il mondo intero, si inginocchia di fronte
all’amica,
le sfiora i capelli morbidi e le sussurra – “La
pagheranno, fosse l’ultima cosa
che faccio in vita mia!”
Poi,
afferrata una cassetta medica, di cui ciascuna Farfalla dispone nella
propria
camera, si appresta a curarla, covando un odio profondo nei confronti
di chi è
responsabile di tutto quel dolore, in nome del quale sarebbe disposta a
uccidere.
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Capitolo 16 *** 15 Capitolo ***
Santiago
è appena arrivato all’aeroporto di Madrid quando
riceve un sms da Daniel.
“Non
potrai mai immaginare chi ha scelto mio padre come nostro sostituto
nelle
indagini al Mariposas”
Due
secondi dopo…
“César
Gandia!”
Lopez,
disturbato al solo pensiero di vedersi superato da un uomo di cui non
tollera
neppure la presenza, decide di agire di conseguenza.
L’anonimato…ecco cosa farà
adesso! Non avviserà il Commissario Augustin del suo rientro
anticipato; opererà
da solo per portare via Nairobi da quell’inferno, senza
sentirsi forzato a
collaborare con un socio di bassa qualità qual è
Gandia.
È
tramontato il sole quando l’ispettore arriva alla stradina
che conduce al Night
Club.
Come
ormai sa, la zona è poco trafficata, specialmente in quelle
ore. Gli toccherà
attendere finché il locale non venga aperto e si affolli.
Nel
mentre, scruta le poche facce di persone che passano di lì,
di tanto in tanto.
Lui
si limita a mantenere un basso profilo, sedutosi su una panchina prima,
su un
marciapiede poi.
L’aria
deserta non è sicuramente tranquillizzante, ma non ha altra
scelta.
Nel
perlustrare l’area, si accorge di un ingresso secondario al
Mariposas, mai
visto prima.
Una
porticina coperta da una fitta aiuola, illuminata, momentaneamente
dalla luce
di alcune finestre al primo piano.
Finestre
delle camere delle ragazze, ne è sicuro al cento per cento.
Le
ore seguenti lo vedono preso dall’elaborazione di un modo per
entrarvi, con
conseguenti ipotesi su ogni possibile problema che potrebbe sorgere
qualora
riuscisse nell’impresa. Peccato che ogni idea comporta fin
troppi rischi di
esposizione.
Guarda
l’orologio al polso quando si accorge che alcune persone
cominciano ad
affollare l’ingresso principale. Sono in attesa di entrare,
perdendo tempo chi
a fumare, chi a dialogare, chi perfino a sniffare.
Lopez,
sorvola su quei particolari, concentrandosi sulla ricerca di un
complice momentaneo.
È questa la sola genialata che gli passa per la mente in
tale istante: ha bisogno
di qualcuno che contatti Manila per dirle che sono giunti i soccorsi.
È
il passaggio di un ragazzo, su per giù venticinquenne, con
l’aria piuttosto
goffa, due occhiali da intellettuale e il passo svelto, ad attirare la
sua
attenzione.
“Ehi”
– gli corre incontro.
“Cosa
vuole?” – risponde, spaventato, il giovane.
“Calma,
calma! Non ti farò del male. Da queste parti siete abituati
a furfanti di ogni
tipo, immagino”
“Eh
signore, scusi devo andare…” – taglia
corto, visibilmente agitato.
“Ti
va di ricevere dei soldi per un piccolissimo favore?”
“Non
mi drogo” – replica, trovandosi di fronte, una
seconda volta, l’omone grande e
grosso.
E
Santiago, di fronte a tale risposta, tossisce il fumo del suo sigaro,
per una
risata che difficilmente riesce a trattenere.
“Sono
della polizia!” – a quel punto, per
tranquillizzarlo, mostra, segretamente, il
distintivo.
“Siete
qui per arrestare questa gente?”
“No,
ma ho solo bisogno che qualcuno entri lì dentro e consegni
un messaggio a una
persona!”
“Io?
No, signor poliziotto. Non è per me. Io sono un informatico,
non sono capace di
fingere e recitare”
“Prima
cosa, sono un ispettore…però va beh…
ti pago l’ingresso, e ti offro soldi per
questo favore..”
“No, non mi faccio coinvolgere!” –
ribadisce il tipo, riprendendo il cammino,
pentitosi sempre più di aver scelto di percorrere quel
viale, usandolo come
scorciatoia per rincasare.
“Ne
va’ della vita di alcune donne…è per
loro che sono venuto!” – insiste Lopez,
rivelando la giusta causa.
Quelle
parole bastano per fermare il passo dello sconosciuto che, combattendo
il suo
nervosismo e l’agitazione che lo perseguitano da tutta una
vita, si volta verso
il quarantaduenne e dice – “Cosa devo
fare?”
***************************************
Helsinki
e Oslo aprono il Mariposas con dieci minuti di anticipo. È
fondamentale per Martin
Berrotti annotare i nomi di qualsiasi cliente, nuovo o abituale.
Come
gli è stato ordinato, è necessario seguire quel
regolamento per prevenire volti
noti o sospetti che possano creare disordine.
Così,
mentre una persona alla volta, fa il suo ingresso, sistemandosi nelle
varie
sale, Manila e Stoccolma, prossime a comparire con il loro consueto
show, si
incontrano nel corridoio del primo piano.
La
mora cerca di ignorarla, preoccupata, invece, per Nairobi e Tokyo che
non si
sono ancora fatte vive.
“Come
mai sei così distante?” – chiede la
riccia.
“Stavo
pensando alle altre! Anche stanotte saremo solo io e te?”
– finge.
“Abbiamo
poche scelte. Fin quando Martin non assumerà nuove
Farfalle…” – un giramento di
testa la costringe a fermarsi ed appoggiarsi alla parete,
interrompendole il
discorso.
“Che
ti prende ora?” – le domanda, sospettosa, Manila.
“Nulla,
sono solo stanca”
“Stanca?
Non hai riposato abbastanza stamane?” – la
punzecchia, conscia dell’incontro
tra Stoccolma e Palermo che ha sottratto sonno alla bionda.
Ricomponendosi
come meglio le riesce, Monica (questo il nome reale della giovane) si
appresta
a scendere le scale.
Rimasta
qualche metro indietro, Manila approfitta della solitudine per
controllare le
condizioni di Agata.
Entra
nella sua camera e si pietrifica, trovandovi Tokyo.
“Che
vuoi?” – le domanda la ribelle.
“Come
sta?” – chiede l’altra, preoccupata per
Nairobi.
“L’hanno
distrutta, dentro e fuori” – commenta, impassibile,
la giovane seduta sul
letto.
“Non
so se hai letto il mio biglietto, voglio dirti che sono dalla vostra
parte”
La
rivelazione di Manila spiazza Tokyo che si limita ad accennare un
timido
sorriso.
Ha
tanta di quella disperazione dentro di sé che non ha le
forze né per parlare, né
per discutere né per ringraziare…non ha forze di
far nulla.
“Ci
conviene andare giù, altrimenti Martin si
insospettirà” – spiega la ex socia di
Stoccolma.
“Va’
pure. Io da qui non mi muovo, finché non appuro che lei sta
bene”
“Si
riprenderà. E comunque…” – le
si avvicina sussurrandole all’orecchio –
“Santiago
Lopez ci darà una mano. Ho capito che tra loro
c’è del tenero. E lui non
permetterà che Nairobi rimanga qui”
“Già!
Forse se fosse andata via con lui…” –
commenta, amareggiata, Tokyo, sentendosi
in colpa per averlo impedito.
“Niente
se e niente ma, l’importante è che si riprenda e
che presto sarà in buone mani”
“Me
lo auguro”
Le
due si guardano, trovando complicità e alleanza, in uno
sguardo. Uno sguardo,
finalmente, sincero e fidato.
È
la ribelle a porgerle una mano – “Pace?”
“Pace”
****************************************
Intanto,
lo sconosciuto assunto temporaneamente da Santiago, ha fatto il suo
ingresso
nel locale. Il suo nome è Miguel Fernandez.
Spaesato
e anche agitato, cerca di mostrarsi spavaldo, con scarsi risultati.
Se
i suoi sapessero che si trova dentro quel marciume, lo caccerebbero di
casa.
“Manila…devo
trovare Manila…darle questo…filare
via!” – continua a ripetersi, come se quelle
fossero le varie fasi di risoluzione di un problema al computer.
E
lui da buon informatico deve attuarle tutte, in ordine, per giungere al
traguardo.
Scruta
la scena davanti a sé. Tanti uomini, alcuni anche ubriachi,
che si muovono confusamente
nel Night Club.
Sul
palco spicca una bionda dal fisico alquanto esile, che dà
prova delle sue doti
seduttive.
“Non
distrarti, Miguel! Non distrarti! A te serve la mora Manila”
– dice, seppure
interessato alla bella visione.
“Non
sarà difficile! Sono tutti
maschi…troverò facilmente una donna,
no?”
Si
guarda attorno ma di femmine c’è solo Stoccolma.
Cavolo,
forse non è così facile e rapido come sperava!
Martin
Berrotti, nel mentre, si accorge dell’assenza di ben tre
delle sue Farfalle, di
cui una è k.o. e la “giustifica”, ma le
altre due?
“Ehi
amico!” – esclama un uomo alle sue spalle.
“Vecchio
mio!” – è la risposta di Palermo ad un
uomo di mezza età, decisamente viscido –
“Arturito! Finalmente di ritorno al Mariposas. Erano
settimane che non ti si
vedeva da queste parti”
“Già,
colpa di mia moglie. Stava per beccarmi, ho dovuto recitare la parte
del buon
consorte fedele”
“E
adesso?”
“Bah…
ora lei dorme e io mi diverto” – ridacchia,
sorseggiando il suo whisky. Poi con
un cenno di mano lo saluta e si avvicina a Stoccolma.
È
la bionda il divertimento di cui parla.
Adesso
il palco è vuoto, vista l’assenza di Monica e
ciò costringe Berrotti a
richiamare all’ordine Manila e Tokyo.
Innervosito,
sale le scale e raggiunge il primo piano.
Il
vociare delle donne è ben udibile, nonostante i toni siano
pacati.
Tutte
chiuse nella camera di Nairobi fa supporre all’uomo che i
suoi dubbi su Julia
Martinez, è questa la vera identità di Manila,
sono fondati.
Spalancata
la porta, con prepotenza, si appresta a fare la partaccia alle due.
“Adesso
sei una di loro, eh? Lo immaginavo!”
“Non
è come pensi!” – si giustifica.
“Ah
no? Mi credete un deficiente?”
“Ovviamente
sì” – commenta Tokyo, senza peli sulla
lingua, prendendosi gioco del Boss.
“Tu
taci o ti metto a nanna di nuovo. O preferisci fare la fine della tua
amichetta?”
Quella
provocazione che tocca una ferita aperta nella giovane, ancora sotto
shock per
le condizioni di Agata, la mandano fuori di testa.
“Maledetto
figlio di puttana… non immagini minimamente di cosa sono
capace io! Prova a
toccare Nairobi un’altra volta e ti giuro che io...”
“Uh che paura” – ridacchia Palermo,
incrociando le braccia al petto.
Gli
occhi carichi di astio su Tokyo, impauriscono Manila che, pur di
difenderla da
qualsiasi azione inattesa del capo, afferra una vecchia lampada.
Con
decisione colpisce la testa dell’uomo, causandogli una caduta
sul pavimento.
Secondi
di stordimento che danno loro il vantaggio di legarlo ad una sedia con
un nodo
estratto da alcune vecchie scarpe. Sanno che durerà ben
poco, ma è quanto basta
per scappare in quattro e quattr’otto.
“Figlie
di puttana, inutile, non riuscirete a scappare” –
le minaccia, guardandole
caricare Nairobi in spalla, per uscire dalla stanza.
“Avete
appena messo la parola fine alle vostre luride vite”
Le
sue risa, inquietanti come poche, rimbombano nei corridoi, e fanno da
sottofondo
alla fuga di tre giovani, che hanno sfidato la sorte e improvvisato un
piano di
fuga, certe di garantirsi la salvezza.
Santiago
Lopez, nel frattempo, è in attesa di Miguel.
E
appena lo vede di ritorno – “Allora?
Fatto?”
“Mi
dispiace, signor ispettore poliziotto...”
“Non
le hai consegnato il messaggio?”
“Non
c’era! Non so che fine abbia fatto…”
“Cazzo!”
– esclama, temendo possano aver recato male anche a lei.
A
quel punto ha poche carte da giocare.
“Ecco,
tieni! Grazie della collaborazione” – lo paga
profumatamente, poi aggiunge – “Chiama
la Polizia, dille di venire qui quanto prima!”
Così
dicendo, si avvia all’ingresso secondario.
Accade
tutto in una frazione di secondo.
Lopez
è prossimo ad arrampicarsi per superare l’ostacolo
formato dall’aiuola, quando
scorge tre figure in lontananza. O meglio, due con una terza in spalla.
C’è
panico, paura, e la speranza di una vita migliore diventa
realtà.
“Santiago”
– grida Manila, riconoscendolo.
Tokyo
scoppia a piangere, trovando in lui l’uscita da quel dannato
tunnel.
Ma,
come ha detto Palermo, non sarebbero mai riuscite a scappare da
quell’inferno…
non così facilmente.
Il
quarantaduenne cerca di andare loro incontro, affrettandosi, quando
accade qualcosa.
Uno
sparo, un colpo secco, e un corpo cade a terra.
Il
rumore, la musica che rimbomba nel locale, le voci della gente, coprono
le
grida che seguono… e lo scenario che Santiago Lopez ha di
fronte agli occhi è
la prova schiacciante del male che arieggia tra quelle mura.
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Capitolo 17 *** 16 Capitolo ***
I
minuti precedenti lo sparo, di cui nessun cliente si è
accorto, dato il caos e
la musica alta, vedono Stoccolma chiudersi in una toilette riservata ai
dipendenti, per colpa di una fortissima nausea.
“Eccoti,
finalmente! Credevo stessi fuggendo da me, ti ricordo che abbiamo un
piccolo
conto in sospeso noi due, biondina” – la voce
maliziosa, alle spalle della
donna, appartiene ad Arturo Roman, uomo facoltoso, di buona fama,
nonché
direttore della Zecca nazionale.
Le
mani di lui, si adagiano, con arroganza, sul posteriore della riccia
che,
abituata ad essere l’oggetto sessuale del cliente, non si
ribella.
Continua,
intanto, ad aggiustarsi allo specchio. Le occhiaie in risalto non sono
state
ben coperte dal trucco, il che la dice lunga sul suo malessere fisico,
visto
che Stoccolma è una fin troppo attenta alle apparenze,
specialmente se riguardano
il make-up.
“Vuoi
farlo qui? Lo trovi più eccitante?” – le
sussurra Arturo, slacciandosi la
cintura dei pantaloni.
“No”
– risponde lei, respingendo le avance.
“Come?”
– chiede Roman, spiazzato – “Non mi ami
più?”
Convinto
che la bionda nutrisse per lui dei sentimenti forti, il direttore della
Zecca
di Spagna ha sempre sfruttato a suo vantaggio quella situazione.
Stavolta, al
contrario, vede la spogliarellista ritrarsi.
Monica
non risponde, continua ad aggiustare il trucco, intenzionata a tenere
per sé un
piccolo grande segreto e, per farlo, sa di dover celare il pallore e la
debolezza in ogni modo.
“Cazzo,
mi puoi dire che succede?”
È
solo allora che un rumore fa sussultare i due, colti alla sprovvista.
“Cos’è
stato?” – esclama l’uomo, spaventato.
Stoccolma
si pietrifica per un istante; qualcosa non va. La normalità
è diventata, ormai,
una rarità.
Qualcosa
dentro di lei la convince ad andare a dare un’occhiata.
Ha
il presentimento e il timore che la situazione stia sfuggendo di mani a
tutti.
Ed
è proprio così.
Un
proiettile da arma da fuoco diretto alle tre donne in fuga colpisce in
pieno una
di loro.
Santiago
Lopez ha davanti a sé l’intera scena e
ciò che resta negli istanti successivi
al colpo.
Un
corpo steso a terra, inerme, colpito di spalle,
inaspettatamente… una vita
spezzata in una notte di ricerca della verità. Una notte in
cui una donna dice
addio al suo sogno di libertà. Una notte durante la quale
qualcuno mette la
parola fine alla lotta di una persona, una lotta che le
costò fatica, soldi,
dolore, fisico e psicologico, e le diede
l’opportunità di abbandonare i panni
di Juanito per indossare quelli che ha sempre sognato: le vesti di
Julia.
Tokyo
non ha mai considerato Manila come una fidata socia, piuttosto
l’immaginava
come l’amichetta del cuore di Stoccolma, e quindi, come lei,
una falsa e
traditrice, da cui doversi tutelare.
Le
ultime ore, quelle precedenti alla fuga, sono state segnate, invece, da
un’alleanza
firmata per salvare Nairobi, e per salvare loro stesse da un mondo che
rivelava,
ogni giorno di più, i suoi lati oscuri.
Quanto
del passato vorrebbe cancellare adesso…quante liti
inutili… quanto rancore.
Juanito,
Julia, Manila…tre identità in un solo corpo che
saluta per sempre una realtà
che aveva appena imparato a disprezzare.
Manila
non è ciò che Nairobi e Tokyo credevano; Manila
si è mostrata per ciò che è in
realtà, una donna coraggiosa, pronta a fare da scudo umano
per proteggere le
due compagne di fuga dal colpo fatale.
Già….
Perché quel proiettile puntò proprio
Tokyo…e Manila, accortasi in tempo di un
piccolo dettaglio, ha spinto via la ragazza, cedendole
l’intero peso del corpo
di Nairobi, e posizionandosi da muro, davanti le compagne.
La
ragazza gridò con forza alla collega di spostarsi e
nascondersi, ma accadde
tutto troppo velocemente. Tokyo non fece in tempo a rendersi conto che
la minaccia
del Mariposas incombeva su di loro anche fuori da quelle mura.
L’ispettore
corsole incontro, le rivolge parola, la invita a correre, le grida di
scappare,
eppure nella testa della donna rimbomba quel rumore, e la visione di
Manila
che, con occhi lucidi, si lascia cadere sulle ginocchia, e la saluta
con una lacrima
che le riga il volto, è impresso nella sua mente e ne
controlla le emozioni.
“Manila,
perché l’hai fatto?” – ripete,
restando immobile al suo posto, ignorando i richiami
di Santiago.
“Cazzo,
Tokyo! Che fai lì? Spostati” – a quel
punto, adagiata Nairobi a terra, in un
punto sicuro, il quarantaduenne torna indietro, afferrando, seppure a
fatica,
la ribelle che, non riesce a distogliere gli occhi dal corpo della
compagna.
“No,
lasciami! Lasciami” – cerca di liberarsi dalla
presa dell’uomo, fin troppo
grosso e robusto per cedere a pugni e calci - “Dobbiamo
aiutare Manila! E’ svenuta…non
possiamo lasciarla lì”
Ma
Lopez sa bene che quella coraggiosa Farfalla non è priva di
sensi.
“E’
troppo tardi, Tokyo!”
“No,
possiamo ancora salvarla!” – cerca di
autoconvincersi lei - “Dobbiamo
abbandonarla a questi mostri? No! Io li ammazzo
tutti…”
Intanto
uno strano movimento, probabilmente il Mariposas si è
mobilitato dopo lo sparo,
costringe Santiago ad affrettarsi, ammutolendo Tokyo ponendole una mano
sulla
bocca, trascinandola, così, via da quell’inferno.
Pochi
passi ed eccoli di nuovo vicini a Nairobi.
La
gitana, lentamente, sembra riprendere coscienza. E sono le urla furiose
della
sua migliore amica a portarla ad aprire definitivamente gli occhi.
“Come
hai potuto? Dovresti lavorare per noi innocenti…”
– singhiozza la mora, tuonando
contro chi le ha appena salvato la vita.
“E’
ciò che sto facendo! Eri esposta al pericolo”
“Cattureranno
Manila e la tortureranno, come hanno fatto con Nairobi,
cazzo” – la giovane
sfoga la sua frustrazione, non accettando di aver perduto quella che
poteva
essere davvero un’amica, quella che si è
sacrificata per garantirle la libertà.
“Chi
è morto?” – la voce, fiacca, di Agata
attira subito l’attenzione dei due.
È
un miscuglio di emozioni quello che vivono sia Tokyo che
l’ispettore.
La
prima, dopo un pianto di rabbia, piange di gioia, sedendosi di fianco
all’amica
e abbracciandola. Saperla accanto le dà la forza necessaria
ad affrontare lo
shock.
L’altro,
invece, al solo suono del parlare della sua ex amante, ritrova un senso
di
serenità che credeva smarrito nelle ultime giornate.
“Riesci
ad alzarti?” – le chiede poi, avvicinandosi e
porgendole una mano.
Nairobi
lo guarda, poi abbassa lo sguardo, e senza rispondere, si mette in
piedi, non
esigendo nessun aiuto.
Poi
si stringe a Tokyo e versa, insieme a lei, altre lacrime.
È
durante il ricongiungimento tra amiche che Santiago nota un improvviso
vociare.
Sospettoso,
si avvicina all’aiuola, ben attento a possibili minacce, e
spia quanto accade
sul luogo del delitto.
L’arrivo
di Stoccolma e Helsinki è immediata.
La
bionda impallidisce e trattiene un grido di terrore, riconoscendo la
collega a
terra, priva di vita.
Il
serbo, invece, amareggiato, ingoiando l’ennesimo boccone
amaro, si occupa del
gesto successivo. Carica la mora sulle spalle, sporcandosi di sangue,
ma poco
gli importa, e dice all’altra - “Io porto dentro
lei. Tu occupati di qui, a
Martin non piace se si vede traccia…capito?”
Intanto
Stoccolma è rimasta pietrificata, vorrebbe urlare la sua
disperazione... la
disperazione di chi ha appena perduto una socia a cui teneva
particolarmente.
Distrutta
emotivamente, la donna esegue l’ordine del collega; afferra
una pompa d’acqua,
sistemata esattamente di fianco all’ingresso (un caso
bizzarro, ma al Mariposas
mai nulla è fatto senza una ragione) e la adopera per lavare
via dalla stradina
il sangue e le tracce dello sparo su Manila.
Mai
come allora, la bionda fedele di Berrotti sente di aver commesso un
oltraggio
non solo alla sua amica, ma alla sua stessa dignità di
essere umano pensante ed
emotivo.
“Che
mostri” – pensa Lopez, disgustato da quanto visto.
Dopo
aver appurato il rientro dei dipendenti, assieme alla povera Manila,
all’interno
del Night Club, l’ispettore si riavvicina alle due Farfalle.
“Andiamo
via da qui, immediatamente” – dice loro.
“Manila
merita di essere seppellita dignitosamente, e non
qui…potrebbero darla in pasto
agli animali pur di disfarsi delle prove” – spiega
Tokyo.
“La
polizia sarà sul posto quanto prima, ho fatto in modo che
venisse allertata. Una
cosa però è necessaria…assicurarvi un
posto sicuro in cui nascondervi”
Seguendo
il loro salvatore, le due sentono finalmente, e sempre più
vicina, l’aria di libertà.
O
forse è solo un’illusione?
“Ecco,
salite in auto” – dice lui, giunti al parcheggio
dove Santiago ha sistemato la
sua vettura.
Preso
posto nei sedili posteriori, le donne avvertono il bisogno di piangere
ancora
una volta; un pianto di vittoria meritata, un pianto di amarezza per il
sacrificio di chi aveva tutti i diritti di festeggiare assieme a loro e
che
invece è stata vittima della crudeltà di quella
gente.
Il
veicolo percorre svariati chilometri fino a giungere, fuori
città, ad una villa
talmente sfarzosa da essere il luogo giusto in cui celare due
spogliarelliste.
“Eccoci,
siamo arrivati” – comunica l’uomo.
“Cazzo,
di chi è questo palazzo?” – chiede,
scioccata, Tokyo, sgranando gli occhi.
“E’
la casa di mia madre. Lei abitava qui”
“E
ora dove si trova?” – domanda, curiosa, Nairobi.
“Lontano”
– si limita a dire l’ispettore, invitandole ad
entrare in casa.
Di
fronte alle due c’è il paradiso, altro che casetta.
“Per
ora vivrete qui” – spiega il quarantaduenne.
“Per
ora?” – chiede Tokyo – “Io
vorrei andare dal mio ragazzo, se possibile. Non ci
tengo a rimanere qui a reggere le candele…”
“Come?”
– chiedono in coro gli altri due, imbarazzandosi subito dopo.
“Ecco,
appunto” – commenta la ribelle, sorridendo di
fronte al rossore sui volti di
Nairobi e del grosso omone della polizia.
“Ad
avvisare Cortes ci penso io. Tu piuttosto vedi di fare la brava,
nessun’alzata
di testa, mi raccomando. Ho imparato a conoscerti, anche se si tratta
di pochi
giorni. Perciò… vi mostro le vostre camere,
così potrete rilassarvi” – dopo la
piccola ramanzina, Santiago le conduce nelle stanze.
La
moretta ribelle opta per una ampia e luminosa, con un letto
matrimoniale
decisamente ingombrante nel quale immagina di poter ospitare il suo
fidanzato.
Agata,
invece, casualmente, finisce nella camera di fianco a quella che
è sempre stata
di Santiago.
“Destino”
– commenta poi, osservando, con la coda
dell’occhio, l’uomo, imbarazzarsi.
“Ehm…bene,
direi che potete già sistemarvi. Preparo uno spuntino se vi
va. Sarete affamate”
“Io
ho solo molto sonno!” – spiega la minore delle due
Farfalle, sbadigliando –
“Buonanotte…”
– saluta l’amica con un bacio sulla guancia. Poi,
rivolgendosi all’ispettore
gli dice – “Grazie per avermi salvato prima, e non
aver badato alla mia
cocciutaggine. Adesso, probabilmente, avreste pianto anche me, oltre
che
Manila! Ammetto che avrei voluto condividere questa gioia anche con
lei, però conto
su di te, ispettore! Ti supplico, facci giustizia, e fanne soprattutto
a lei”
“Promesso”
– conclude lui, annuendo deciso – “Quei
bastardi pagheranno. Non si può
uccidere una donna indifesa e passarla liscia”
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Capitolo 18 *** 17 Capitolo ***
Il
Mariposas ha sempre goduto di ottima fama, nonostante
l’anonimato e la
posizione occupata in un quartiere poco frequentato della
città. Chiunque vi si
reca, non può che rimanerne estasiato. Tutto appare a norma:
niente sostanze e
droghe, né prostituzione delle spogliarelliste. Il
protocollo che tutte le
Farfalle firmarono al loro arrivo pronuncia proprio questo: il corpo si
mette
in bella mostra, ma nessuno può permettersi di toccarlo.
Vigila la massima
tutela delle dipendenti, alle quali, a loro volta, non è
concesso di fumare,
qualsiasi tipo di roba, né di assumere alcolici offerti dai
clienti, per
scongiurare rischi alla loro persona.
Al
Mariposas, da contratto, ogni farfalla, così come fu deciso
di definirle, ha il
dovere di intrattenere utilizzando l’erotismo, ma
nient’altro.
Questo
è stato voluto da chi al potere al momento
dell’apertura del locale.
Da
allora molto è cambiato, e la sicurezza che si prometteva
alle dipendenti del
Night Club è divenuta una privazione della loro
libertà.
E
da presunto rifugio, quell’ambiente diventa una prigione.
Una
prigione in cui si è trovata rinchiusa anche Raquel Murillo,
della cui
sparizione resta il mistero…
Tanto
che Santiago Lopez comincia a sospettare che Lisbona possa aver pagato
con la
vita, come Manila, il prezzo di un’alzata di testa.
Nairobi
e l’ispettore, rimasti da soli, trascorrono i minuti seguenti
ad ignorarsi. Mentre
il quarantaduenne rimugina su svariate ipotesi circa il modus operandi
del
Mariposas, la gitana si chiude nel suo silenzio, con capo basso e occhi
fissi a
terra, giocando, nervosamente, con gli anelli che adornano le sue
affusolate
mani.
Un’improvvisa
chiamata al cellulare dell’uomo disturba la quiete e riporta
i due alla realtà.
Allontanatosi
dal salotto, Lopez risponde al collega, interessato a sapere gli
sviluppi del
suo rientro a Madrid, raccontandogli gli ultimi eventi.
“L’hanno
uccisa? Ma stai parlando sul serio? Qui bisogna intervenire,
cazzo”
“Si,
spero che la polizia sia arrivata e abbia scoperto qualcosa!”
“Cosa
vuoi che scoprano se la missione è affidata a
quell’incapace di Gandia!” – commenta
Ramos, alzando gli occhi al cielo.
“Sarebbe
bene che riprendessimo noi le indagini al Night Club!”
“Amico,
dubito che mio padre ci concederà anche questo. Ricordi che
ha storto il naso
quando gli abbiamo chiesto di affidarlo ad altri perché
volevamo risolvere la
questione in Portogallo?”
“Beh…ma
il caso è comunque nostro”
“Intanto
pensa a tutelare le ragazze che hai messo al sicuro, fai attenzione, mi
raccomando. Non vorrei che questi tizi pericolosi avessero intenzioni
peggiori…”
“Avrò
sempre un occhio vigile su di loro, fidati”
“E
Nairobi come sta?”
“Non
voglio infierire, è ancora scossa, si percepisce. Preferisco
che sia lei ad
aprirsi, appena vorrà farlo”
“Wow”
– aggiunge il trentenne.
“Wow,
cosa?”
“Sei
un ispettore di polizia anomalo, amico mio”
“Cosa
vuoi dire?”
“Che
per lavoro noi cerchiamo quante più notizie possibili, per
chiudere le
indagini. Invece tu stai evitando di farlo, perché
è ormai palese che non vuoi
ferirla”
“E’
pur sempre una donna, un essere umano, non voglio considerarla solo
come possibile
fonte di informazioni”
“Sei
un vero uomo, complimenti! E pensare che hai avuto sette
donne…”
“Evidentemente
nessuna di loro mi ha portato a cambiare” –
precisa, riconoscendo questo merito
solo ed esclusivamente ad una spogliarellista di cui conosce poco e
nulla e che
lo ha fulminato all’istante.
Passano
svariati minuti prima che la conversazione si chiuda.
L’ispettore raggiunge
nuovamente la gitana, seduta sul divano, con gli occhi fissi sul
televisore
acceso.
Non
invaderà la sua intimità, anche se questo
significa rallentare le ricerche sul
Mariposas.
Così
rompe il ghiaccio chiedendole - “Lo vuoi un
tramezzino?”
La
donna sposta lo sguardo su di lui, distogliendo l’attenzione
dallo schermo.
In
un momento come quello, il cibo è l’ultimo dei
suoi pensieri. Eppure, nella domanda
di Santiago, Agata coglie una premura così naturale e
spontanea, da non potersi
sottrarre.
Anzi,
addirittura avanza lei una proposta - “Se mangiassimo un
piatto di pasta? Ho sempre
amato cucinare, sai?”
Esattamente
come il ragazzino a Lisbona, la gitana è appassionata di
gastronomia.
Un
caso? Per Lopez sicuramente no! Troppe coincidenze.
Imbarazzato
dallo sguardo penetrante di lei, l’uomo le sorride
timidamente e annuisce,
dando l’ok.
Nairobi
si avvicina ai fornelli e trascorre i successivi minuti in cucina, alle
prese
con la preparazione di pietanze italiane che, negli anni, ha appreso,
per pura
passione.
Lopez,
in disparte, la osserva, ammirando la scioltezza della donna e si
compiace che
lo stia facendo come un indiretto grazie alla ospitalità.
Nonostante
la voglia che la Farfalla mette nel cibo, di ciò che era,
della grinta che ebbe
quando conobbe l’ispettore, resta molto poco. È
visibilmente spenta, come se respirare,
parlare, muoversi, fossero mosse meccaniche che mette in atto per
sopravvivere.
Non c’è più passione e fiamma che arde
nei suoi occhi.
Santiago
ipotizza che la condizione della zingara scaturisce dalle ultime ore
patite in
chissà quale luogo, con chissà quali persone, che
le hanno recato male fisico e
psicologico, di cui, però, lei ancora non vuole parlare.
“È
pronto” – comunica poco dopo, invitando il padrone
di casa a prendere posto a
tavola.
Mentre
riempie un piatto di abbondante pasta, Nairobi non si accorge di avere
in bella
mostra, sulle braccia, alcuni lividi. Lopez li nota subito, stringendo
i pugni
per mantenere compostezza e autocontrollo. Eppure, avrebbe una gran
voglia di
colpire qualcuno con un bel gancio sinistro e mettere tutti k.o.
La
vendicherà…vendicherà tutte le povere
dipendenti del locale… e non vivrà in
pace con se stesso fin quando ciò non accadrà!
Intenzionato
a non farle ricordare di quei momenti, evitandole un interrogatorio in
piena
regola, l’ispettore si dedica, piuttosto, ad assaporare e
divorare quella
prelibatezza.
“È
ottimo, hai mai pensato di aprire un ristorante?”
“A
dire il vero, no”
La
leggerezza dei discorsi che seguono, sciolgono tutte le tensioni,
portando i
due a raccontare delle rispettive passioni e ad approfondire la
conoscenza.
Santiago
confessa di avere interesse per il wrestling, e che, in passato,
seguì un corso
di pugilato, ricevendo il plauso dei maestri.
Agata,
invece, ricorda il suo amore per il flamenco, di cui lo stesso Lopez ha
avuto
visione, spiandola al Mariposas mentre danzava.
“Ti
andrebbe di ballarlo?” – le chiede poi.
“Come?”
– chiede, stranita, la gitana, inarcando un sopracciglio.
Il
quarantaduenne si alza da tavola, programmando con il suo IPhone una
serie di musiche
di quel tipo, in coda, una dietro l’altra.
Schiacciato
play, porge la mano alla zingara, invitandola ad esibirsi. Lei,
intanto,
continua a fissarlo, sbattendo le lunghe e nerissime ciglia.
“Lasciati
andare” – le dice, sorridendole teneramente.
L’esitazione
di Nairobi è breve; il ritmo che scorre nelle sue vene non
può essere frenato.
Per
di più, Santiago sa trasmetterle, come mai nessuno prima,
sicurezza e forza.
Ignorando
i dolori fisici, la zingara cede e dà prova di un talento
indiscutibile, oltre
che di una voce pazzesca. Proprio quella voce desta Tokyo, isolatasi
per il
riposino.
Silene,
infatti, si alza e spia, da un angolino della casa, la scena,
riconoscendo nello
sguardo dell’ispettore, fisso su Nairobi, lo stesso che lei
in primis rivolge
all’amato Anibal.
“È
innamorato, non c’è dubbio!” –
conferma, parlando tra sé e sé. E di
ciò se ne
rallegra. Finalmente qualcuno potrebbe davvero liberare Nairobi dalle
ombre e i
dolori del passato.
Nessuna
più di Agata merita di trovare l’amore, di questo
la ribelle delle Mariposas è
convinta al cento per cento.
E
se l’uomo non rivela i propri sentimenti o cerca di
contenersi, sarà proprio Tokyo
a fare in modo che esploda la passione. Lo promette a se stessa.
Perso
in quella visione fatta di smisurata sensualità, Santiago
Lopez si lascia consumare
da una fiamma che da giorni domina il suo cuore, un cuore mai
così aperto all’amore
come adesso.
“Sei
bellissima” – senza rendersene conto,
inconsapevolmente, è proprio la sua
emozione a prendere voce.
E
tale complimento, imbarazza Nairobi che si mordicchia, nervosamente, il
labbro
inferiore.
Lo
guarda con la coda dell’occhio, mentre, lusingata
dall’essere centrale nei pensieri
dell’ispettore, continua a danzare, ad ancheggiare, a muovere
magistralmente le
mani e battere i piedi, esattamente come una perfetta professionista.
Al
cessare della musica, e dell’esibizione, la zingara si
ritrova a pochi passi
dal suo salvatore.
I
due si guardano.
Il
desiderio reciproco è percepibile e la stessa Tokyo, ancora
intenta a sbirciarli,
lo avverte sulla pelle.
“Cazzo,
meglio lasciarli soli” – ridacchia, allontanandosi
in punta di piedi.
Ed
è in quella trovata intimità, che i due,
liberatisi dalle loro inibizioni, si
lasciano andare al batticuore.
Con
delicatezza, lui cerca la mano di lei, intrecciandola alla sua. Nairobi
sussulta
al contatto fisico, ritraendosi per paura. Tesa ed insicura, manifesta
il suo
malessere e il suo disagio.
“Sono qui per te, non permetterò a nessuno di
farti del male” – sussurra il
quarantaduenne.
È
il calore dell’uomo che permette ad Agata di abbassare quei
muri innalzati per
difesa.
Cerca
di domare l’agitazione, chiudendo gli occhi, mentre Santiago
le sfiora con
tenerezza il viso; lo accarezza con estrema cura, sentendo per la prima
volta la
morbidezza della sua pelle.
Agata
gode di quell’attimo di vicinanza all’ispettore, di
cui comincia ad apprezzare
la dolcezza. Mai nessuno l’aveva toccata in quel modo. Mai
nessuno si era interessato
a lei così. Mai nessuno ha rispettato la sua privacy e le
sue emozioni in tale
maniera.
Anche
se il respiro si fa’ corto, e aumentano le palpitazioni, la
gitana le combatte
con forza. Un attacco di panico non può prendere il
sopravvento su qualcosa di
magico che sta accadendole in questo istante.
Corruga
la fronte, respingendo perfino pensieri e ricordi negativi.
Il
tutto mentre Lopez continua a offrirle la sua vicinanza. Si avvicina
sempre più
a lei, ignorando un rossore che gli dipinge, eccessivamente, le gote.
Nairobi
e Santiago si trasmettono vibrazioni reciproche…vibrazioni
positive…vibrazioni
che sono aria pulita, benessere, piacevolezza.
“Affidati
a me, non temere del mondo intorno. Ora ci siamo solo io e
te” – continua, cingendole
la vita, ormai appiccicatasi alla sua.
Lei
a quel punto solleva le palpebre, visualizzando l’uomo di
fronte a sé.
Quegli
occhi scuri indugiano sui suoi.
Lopez
non vuole rischiare di spaventarla perciò esita nel mettere
in atto il gesto
successivo. La vorrebbe baciare. Sì, è questo che
sogna da quando l’ha rivista
ore prima.
La
zingara, invece, in silenzio, non fa una mossa. Posa lo sguardo sulle
labbra dell’uomo,
come se attendesse l’attimo per vederle fiondarsi sulle sue.
Però
Santiago si ripromette di non agire sconsideratamente,
perciò, a fatica, non la
bacia, deludendo le aspettative perfino di Nairobi.
Lei,
infatti, è un continuo susseguirsi di emozioni e desideri
contrastanti:
vorrebbe ma non vorrebbe; è restia, ma desiderosa di
sensazioni forti!
Vive
una condizione di totale ambiguità e di lotta interna tra la
Nairobi del
Mariposas e la Agata del barrio di Madrid, quella donna e madre che ha
patito
tanto nella vita.
“Resisterti
non è facile, sai?” – confessa
l’ispettore, ormai arreso al non veder realizzato
il proprio desiderio – “Ma so che non saresti
pronta a farlo”
Ed
è allora, inaspettatamente, che la donna mette in standby le
paure e dà un
colpo di accelerata al cuore.
Afferra
il colletto della camicia del quarantaduenne e, adagia la sua fronte su
quella
dell’uomo. Il naso di lei annusa il volto del suo salvatore,
scoprendolo pian
pianino, accompagnandosi con respiri che emettono tutta la sua
eccitazione.
Si
studiano, si scoprono, l’uno cerca le labbra
dell’altra.
“Baciami,
ti prego” – la voce, pacata, a tratti quasi
supplichevole, di Nairobi, spiazza
l’ispettore, il quale lo farebbe volentieri. È
ciò che sognava di fare da ore.
Però
quella richiesta sembra piuttosto una forma d’aiuto.
In
risposta, lui si limita ad abbracciarla, trasmettendole molto
più di quanto
avrebbe potuto fare tra le lenzuola.
“Non
voglio più scopare con te” – le dice,
manifestandogli il suo reale stato d’animo.
E
tale esposizione colpisce Nairobi, la quale evita di rispondere,
convinta che,
lasciarsi andare, sia stato l’ennesimo errore. Intuisce in
quelle parole un
puro rifiuto.
Può
rasserenarsi quando il quarantaduenne continua, dicendo -
“Voglio fare l’amore,
voglio viverti e diventare per te un punto fermo. Non posso pensare di
unirmi a
te per qualche minuto e poi tornare a vivere come se nulla fosse
accaduto. Mi capisci?”
Ma
Agata scuote il capo, afferrando il senso del discorso.
“Non
posso farlo”
“Perché?”
“Non
lo farò di nuovo, non commetterò lo stesso errore
di dieci anni fa”
“Quale
errore?”
“Innamorarmi.
È successo, e sono rimasta incinta”
“Io non ti lascerò mai!” – le
promette.
Di
fronte tale parole, la gitana non può che accennare una
risata ironica – “Lo
diceva anche lui”
È
così che il momento intimo e di tenerezza si interrompe.
La
zingara torna a chiudersi in se stessa, rialzando le barriere, e,
ringraziandolo
dell’ospitalità con la medesima freddezza di ore
prima, si rintana in camera, bombardata
dai tanti ricordi e ferite che, purtroppo, tornano dal passato a
demolirle il
presente.
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Capitolo 19 *** 18 Capitolo ***
Quel
quasi bacio dà consapevolezza a Santiago Lopez di quanto la
presenza di Nairobi
riesca a disarmarlo, a mandarlo in crisi, a destabilizzarlo.
Sedendosi
sul suo divanetto, approfittando della solitudine, si sdraia,
liberandosi delle
scarpe, e, con telecomando alla mano, cerca di distrarsi da quanto
accaduto,
provando a superare il “cosa sarebbe potuto
accadere” se solo lui avesse
acconsentito alla richiesta della gitana del bacio.
Invece,
ciò che ottiene dal tentativo di rimozione del ricordo,
è tutt’altro. Nella sua
mente continuano a farsi spazio frame della loro notte di passione.
Crede di
impazzire quando sente perfino riecheggiare nelle sue orecchie i gemiti
di lei.
“Ok,
ora basta” – si mette in piedi, prendendosela con
se stesso – “Placa questi
ormoni, cazzo, Santiago. Hai quarant’anni suonati…
porca puttana”
Non
sono però gli ormoni i responsabili, e forse, Lopez,
inconsciamente, lo sa.
È
il cuore a metterlo di fronte a ciò che in realtà
prova.
Esce
fuori in giardino, osservando il verde che circonda la villetta.
Quante
estati ha trascorso lì assieme a sua madre. Momenti unici
impressi nella memoria.
Difficile
rimuovere le parole della mamma quando, all’ennesimo
fallimento in amore, l’ispettore
le confessò di non volerne più sapere.
“Troverai
la persona giusta per te; non avere fretta, figlio mio. E ti assicuro
che quella
giusta la riconoscerai a pelle, al primo impatto”
“Ti
ricordo che mi hai detto queste cose ogni volta e ad oggi siamo a quota
sette
storie”
“E
sette nipoti” – puntualizza la donna, entusiasta
del piccolo dettaglio chiamato
figli generati per errore.
“A
proposito, la tua ultima ex, abita dove?”
“Ucraina!”
“Bene, amo quel Paese. Credo che ci sia tanto da imparare da
quel popolo”
“Ok,
vedo che hai in programma di andare anche ad Odessa, dico
bene?”
“Certo”
– afferma la signora, sistemandosi gli occhiali da vista,
mentre continua,
attenta, a dipingere, all’aria aperta, sulla sua bella tela
da pittrice – “E tu
verrai con me. Se c’è una cosa che non devi fare,
è abbatterti di fronte alle
delusioni. Lei ti ha mollato?! Tu sii superiore. Comportati da bravo
genitore, aiutala
con la bambina in arrivo e poi metti un punto a tutto. Ovviamente io
sarò lì
con te, al tuo fianco”
Santiago
sorride al ricordo della simpatica e solare signora Lopez.
Quanta
nostalgia ha della sua amata mamma, una persona speciale deceduta per
colpa di
un brutto male, anni addietro, della quale gli rimane in
eredità un’immensa
villa, oltre alla somiglianza fisica.
Deciso
a non pensare a Nairobi, si accinge a raggiungere la stanza da letto
della
padrona di casa.
Apre
la porta, con discrezione, come se sentisse alle spalle la voce materna
che lo
rimprovera di non badare alla sua privacy.
Mette
piede tra quelle pareti, bloccandosi davanti al dipinto centrale.
Un
quadro di grandi dimensioni realizzato proprio su commissione della
donna, qualche
anno prima della sua scomparsa, domina la scena.
“Mi
manchi tanto” – commenta lui, sfiorando
l’immagine che rappresenta una prorompente
signora sulla sessantina circa, dai capelli biondo cenere, legati in
una lunga
treccia, vestita con una camicia bianca e un pantalone di seta celeste,
seduta
in quello stesso giardino, su una sedia da esterno, con lo sguardo
sereno,
volto in cielo.
“Chissà
cosa mi avresti detto oggi sulla storia di Agata” –
aggiunge poi.
Accarezza
il dipinto come se lo stesse facendo con la donna in questione,
fermandosi, poco
dopo, sulla firma incisa nell’angolo della tela.
“Alla
dolcissima Leticia, un caro amico”
Mentre
pensa e ripensa alla adorata mamma, Santiago non si accorge che
qualcuno, alle
sue spalle, lo sta osservando.
Tokyo,
infatti, svegliatasi dopo aver sentito Nairobi cantare, ed elettrizzata
da cosa
possa essere accaduto tra i due amanti, non ha preso più
sonno, e ha optato per
un giro perlustrativo nella gigantesca villa.
“Chi
è questa bellissima signora?” – chiede,
facendo sobbalzare l’ispettore – “Ops,
scusami non volevo spaventarti. È che ho notato la tua
commozione di fronte a
questo dipinto”
“Tranquilla,
è che sono abituato a vivere da solo e devo abituarmi ad
avere altre persone
sotto il mio stesso tetto” – spiega, invitandola ad
avvicinarsi.
“Caspita,
è davvero un capolavoro questo quadro” –
esclama, estasiata, la giovane.
“Si,
ma anche il soggetto ritratto era, per natura, un capolavoro di
persona”
Gli
occhi lucidi e lo sguardo commosso permettono a Silene di intuire,
così da avanzare
la sua ipotesi – “E’ tua madre?”
“Caspita,
potresti lavorare con noi in Polizia. Hai un sesto senso
fuorimisura” – le sorride,
prendendola anche un po' in giro, stanco di concentrarsi solo su
emozioni
tristi o nostalgiche.
“In
un’altra vita, per ora direi che il vostro mondo non mi
appartiene affatto” –
aggiunge Tokyo, ridacchiando. Poi torna seria –
“Dove si trova adesso?”
E
la non risposta dell’uomo vale più di mille parole.
“Ok,
ho capito. Perdonami, ti sembrerò una ficcanaso”
“Non
preoccuparti. È una questione che ho tenuto per me troppo a
lungo. Forse parlarne
con qualcuno può farmi stare meglio… lei non
c’è più! Un tumore me l’ha
portata
via cinque anni fa”
“Mi
dispiace, però sono sicura che sarà fiera
dell’uomo che sei”
Seduti
su un divanetto accanto alla finestra, a pochi passi dallo stesso
dipinto, il
quarantaduenne si mette a nudo, finalmente, e lo fa tirando fuori dalla
tasca il
suo portafogli.
“Questi
sono i miei sette figli”
“Cosa?
Sette?” – esclama, scioccata –
“Stai scherzando, vero?”
“No,
sono serio!” – e così, uno ad uno, li
presenta all’ospite, che non riesce a
credere ai suoi occhi.
“Ad
oggi loro vivono lontani, è dura non esserci, ma sapere che
stanno bene e
vivono le loro vite in serenità è ciò
che mi interessa di più”
“Quindi
hai avuto varie storie”
“Si,
tutte andate male. Forse per questo motivo, dopo la nascita della
più piccola,
Ivana, ho deciso di smetterla”
“Come
mai?”
“Mia
madre soffriva per me nel vedermi sconfitto in amore, e con una prole
in
aumento e un cuore a pezzi. Però… ad oggi, sento
che qualcosa è cambiato”
Le
sue ultime parole fanno sorridere Tokyo, convinta che Santiago si
riferisce ad
Agata. Perciò, indossando i panni di Cupido, tenta di far
scattare la scintilla
definitiva.
“Prima
tra voi cosa è successo? Intendo...tra te e la mia migliore
amica! Ammetto di
avervi sbirciati, poi ho preferito andarmene, insomma non volevo di
certo
assistere a…ehm…”
“Nulla!
Non è successo nulla! Lei si è chiusa in
camera”
“Ma
no!” – commenta, delusa, la ragazza, vedendo
sfumare il suo sogno d’amore per
Nairobi. In piedi, di fronte a lui, cerca di pensare a un modo per
agire e
toccare il cuore della gitana, ancora scossa da vicende terrificanti.
“Devi
trattarla con i guanti gialli, innanzitutto. Ha bisogno di
stabilità, di
certezze. E di amore, tanto tanto amore”
“Io
non voglio affrettare i tempi. Lei ha sofferto e non le serve qualcuno
che la
pressi”
la tenerezza di Santiago sono la prova che è davvero lui
l’uomo giusto per Agata.
Felice
di questo, Tokyo aggiunge – “A lei servi
tu…solo tu puoi guarire il suo dolore.
Nessun altro è in grado di farlo”
“E
come potrei? Ho avuto storie pessime, evidentemente non ho il tatto
adeguato”
“No,
la realtà è che sette ragazze erano sbagliate per
te. È Nairobi quella giusta. Il
destino ha parlato chiaro, siete fatti l’uno per
l’altra”
“Vorrei
solo che sapesse di poter contare su di me”
“Cosa
ti direbbe tua madre se fosse qui?”
“Beh…”
– riflette un po', immaginandosi Leticia seduta in mezzo a
loro, con la sua smisurata
dolcezza, accompagnata sempre dal giusto grado di fermezza –
“Mi direbbe di
buttarmi, senza esitazioni!”
“Esattamente!”
– conferma Silene – “Per sentirti vicina
a lei, forse, potresti…non so…cominciare
utilizzando un nome di città”
“Eh?”
– ripete, confuso, l’uomo –
“Cosa c’entra il nome di città con
questo?”
“Dai,
diciamo che è un primo approccio. Pian piano entrerai nel
suo mood, nel nostro
mondo, e lei capirà che può fidarsi”
“Lei
poco fa stava davvero cedendo, quindi non sarà il nome
Santiago a bloccarla, no?”
“Si,
dico però che potrebbe essere un modo per rompere il
ghiaccio e farla sorridere”
Lopez
è riluttante di fronte a quella che sembra una stupidaggine.
Silene
continua, domandandogli – “Le hai fatto qualche
strana proposta?”
“Certo
che no!” – alza le mani lui –
“Le ho solo promesso di esserci sempre”
“Allora, ascoltami, io sono sicura che Nairo si
sbloccherà se ti vedrà diverso
dal suo passato”
“Suggerimenti?
A parte l’idiozia del nome di
città…”
“Non
è un’idiozia. E poi, rifletti, potresti camuffarti
bene dietro un appellativo
misterioso. Può esserti addirittura utile per le indagini.
Direi di iniziare
così. Trovane uno, va’ da lei, e confessale
ciò che provi. Basta indugi, basta
giri di parole, basta inibizioni. Parlale anche dei tuoi
figli…si sentirà
ancora più in sintonia con te, avendone uno anche
lei”
Adesso
sì che il discorso della moretta sembra avere una logica,
secondo l’ispettore
che, raccolto il coraggio, si mette in piedi e dice - “Hai
ragione! Sei una brava
consigliera, cara la
mia Tokyo”
“Ovvio”
– risponde lei, fiera di se stessa, con l’aria di
chi sa di poter vincere facile.
Dopo
un batti cinque tra i due, la giovane lo accompagna fino alla stanza
della
gitana. Ma prima di congedarsi gli pone un’ultima domanda -
“Hai pensato al
nome?”
Qualche
minuto di esitazione, poi lui annuisce.
“Letizia
è il nome di una città della Colombia, lo
sapevi?”
“Vuoi
chiamarti Leticia? Direi fin troppo femminile” –
sostiene la ribelle delle
Farfalle, ridacchiando al pensiero di Santiago con tale appellativo.
“No, Tokyo, certamente no, però conosco
un’altra città della Colombia che potrebbe
fare al caso mio”
“Quale?”
E
così Santiago Lopez finisce per diventare Bogotà!
*******************************
A
proposito del Mariposas, le ore successive alla fuga delle due farfalle
ribelli, con il conseguente k.o. di Manila, hanno conseguenze su tutti
coloro
che vivono e lavorano tra quelle mura.
Helsinki
aiuta Martin Berrotti a liberarsi dalle corde alla sedia.
Quest’ultimo dà poi
ad Oslo l’ordine di controllare l’uscita
secondaria, richiedendogli la consegna
delle telecamere esterne.
Ciò
che è accaduto è ormai storia.
All’altro
serbo, invece, è dato il compito di raccogliere il corpo di
Manila.
Correndo
con la collega in spalla, il buttafuori, visibilmente scosso, raggiunge
la
camera di lei e la adagia sul letto.
“E’
morta?” – domanda Palermo, scuro in volto.
“Ha
perso tanto sangue” – spiega Helsinki, coprendo la
ferita con delle garze.
“Inutile
che la curi. Non vedi che è morta?!”
“Il
cuore batte ancora, signore” – dice, invitandolo ad
appurarlo.
Il
proprietario del Night Club, turbato, afferra il polso della ragazza e
verifica. Il battito è molto debole…ma
c’è!
“Lasciala
a me, ci penso io” – le parole di Martin non
tranquillizzano il serbo – “Posso
aiutare” – aggiunge lo straniero, in ansia per le
sorti della collega.
“Ti
ho detto di andartene. Va’” – tuona
l’altro, facendogli segno di lasciare la
camera.
Rimasto
solo con Manila, Palermo le siede accanto.
“Potrei
salvarti la vita e rimediare agli sbagli del passato, in fondo non eri
tu che
meritavi questa condizione…” – preso il
suo strumento di contatto con il
superiore assoluto, chiede – “Che si fa
ora?”
La
risposta è immediata - “Portala qui”
“Le
fuggitive?”
“Vedrai
che torneranno strisciando! Ho già in mente
un’idea per punire i traditori e,
soprattutto, per infangare chi si immischia nei nostri
affari”
La
voce malefica non mostra il benché minimo dispiacere per le
condizioni della
giovane morente, piuttosto opta per sfruttarne la quasi morte per
propri
tornaconti.
All’ordine
del Boss, Berrotti non può che eseguire ed accettare quanto
da lì in poi accadrà.
Nel
frattempo, un’abbattutissima Stoccolma percorre i corridoi,
con passo lento e
faticoso, reso ancora più insopportabile dai singhiozzi
isterici.
Si
sente più sola che mai. Non ha nessuno. Manila è
morta. Lisbona è sparita nel
nulla. Perfino le due ribelli, con cui discuteva la maggior parte delle
volte, le
sembrano, adesso, un’ancora di salvezza dalla solitudine.
Purtroppo anche di
loro non c’è più traccia.
“Sono
rimasta l’unica…” – e il fatto
non è piacevole.
Accovacciatasi
a terra, nasconde il volto tra le mani, mentre fiumi di lacrime
continuano a
sgorgare e bagnarle le guance.
“Dovrei
farla finita” – arriva perfino a pensieri malati
verso se stessa.
Ed
è in quel momento che una figura avanza verso di lei.
“Io
per te, tu per me! Non sei sola”
La
bionda si volta verso Helsinki che, nel frattempo, le si è
seduto di fianco.
È
diventato, improvvisamente, il compagno di sopravvivenza che fa al caso
suo.
La
perfetta soluzione al suo dramma.
Teneramente,
il serbo l’accoglie a sé – “Mi
mancherà Manila” – confessa, commosso.
“Tu
sai chi è stato?”
La
riccia scuote il capo, afflitta dal dolore. La vicinanza
dell’omone grosso e
docile la porta a raccogliere il coraggio e confidargli un segreto che
va
sistemato.
“Mi
aiuteresti a risolvere un problema?”
“Quale?”
“Ho
bisogno di una pillola per abortire”
Mentre
tutto ciò accade, la polizia ha raggiunto
l’esterno del locale.
Miguel
Fernandez, rimasto lì in attesa, trepidante per il ruolo che
gli è stato
assegnato, racconta a due agenti di aver saputo di giri di droga nel
luogo, la prima
menzogna che salta alla mente dell’informatico per spingere i
poliziotti ad
entrare e perlustrare.
“La
ringraziamo, ora può andare. Ce ne occuperemo noi”
– dice uno dei due in
divisa.
È
questo l’ultimo minuto che il giovane trascorre
lì, certo che chi di dovere si
occuperà del caso.
E
proprio quando è ben distante e prossimo ad entrare nella
sua abitazione, i due
agenti si scambiano qualche parola - “Angel, hai sentito?
Dici che dovremmo
entrare?”
“No,
Suarez, è tutto a norma qui. Andiamocene, ho sonno e merito
un bel riposo”
Fatta
la loro comparsa, i poliziotti tornano alle loro priorità,
ignari del disastro
combinato nel Night Club e di quanto, da lì in poi, sarebbe
accaduto.
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Capitolo 20 *** 19 Capitolo ***
Santiago,
supportato dalla ribelle delle Farfalle, si appresta ad affrontare la
gitana.
Prima
di farlo, su suggerimento della giovane, trova una scusa buona per
attaccare
bottone.
“Andrai
alla grande, fidati” – afferma, convinta, Silene,
entusiasta del consiglio datogli.
L’uomo
bussa alla porta, raccogliendo il coraggio, dopo un bel respiro
profondo, e
aspetta.
Nairobi,
convinta si trattasse della migliore amica, avendo udito un vociare
femminile,
apre senza la minima esitazione.
“In
bocca al lupo” – sussurra Tokyo
all’ispettore, negli attimi precedenti,
dandosela poi a gambe.
Agata
si trova, allora, faccia a faccia non con la sua socia,
bensì con il padrone di
casa.
Alquanto
sorpresa, mantiene le debite distanze, non intenzionata a cedere, come
prima,
alla debolezza emotiva.
“Cosa
succede? Se si tratta di quanto accaduto poco fa, ti prego, Santiago,
dimentichiamolo. Possiamo resettare e far finta di nulla? Io ti chiedo
scusa se
ho avanzato proposte eccessive, tu
però…” – la gitana comincia
una specie di
monologo fatto di puro ed evidente nervosismo; questo accade
perché lei sospetta
il motivo per cui Lopez si trova adesso lì.
“Aspetta,
frena…frena” – la zittisce lui,
indicandole cosa ha con sé – “Io sono
qui per
consegnarti questi, non per altro!” – spiega,
cedendole due buste di cartone di
grandi dimensioni.
“Cosa
significa?” – chiede la mora, constatando che
all’interno di quei sacchetti ci
sono alcuni abiti.
“Beh,
ho pensato che vi sarebbe stato utile cambiare vestiti. Questa roba
apparteneva
a mia madre, ad alcune sue domestiche, e varie cugine che erano solite
trascorrere le estati qui”
“Oh,
non so cosa dire…sei molto gentile” –
risponde lei, imbarazzata di averlo, in
qualche modo, attaccato, pensando chissà cosa. In
realtà, Lopez voleva solo
offrire ulteriore ospitalità, perfino cedendogli dei panni
di seconda mano.
“Tokyo
ha già ricevuto la sua parte, spero vi calzino bene. Per la
fisicità della tua
amica, penso basti la roba della giovane cameriera, magra e
bassina”
“Tranquillo,
anzi. È già tanto quello che fai per noi; io me
li farò andare bene” – sostiene
Nairobi, tirando fuori una maglia e un pantalone di tuta nero. Da
quanto tempo
sognava di poter coprire il suo corpo, mascherando dei difetti che non
ha mai
apprezzato di se stessa.
E
invece ha dovuto muoversi dentro top attillati, minigonne, calze a rete
o peggio.
Finalmente
è libera di mettere su qualcosa di comodo e non appariscente.
“Appena
possibile ve ne comprerò di nuovi” –
aggiunge Santiago.
E
tale premura fa commuovere la gitana che, non distogliendo gli occhi
dal capo
che ha in mano, lo ringrazia timidamente. Più passa il
tempo, più quell’ispettore
la stupisce in positivo.
Mentre
tira fuori, uno alla volta, gli indumenti, sistemandoli
nell’armadio e nei
cassetti, si accorge di un abitino a fiori decisamente minuscolo per la
sua
fisicità.
Il
quarantaduenne, riconoscendone l’appartenenza, confessa -
“Ops, scusami, nelle
buste deve esserci finito, per caso, un vestito di una delle mie
figlie”
“Figlie?”
– chiede, Nairobi, stupita della confessione.
“Si,
mia mamma era solita comprarne svariati, sperando sempre di vedere una
delle
sue nipoti femmine indossarlo. Peccato, questo è rimasto
qui. Credo fosse destinato
a Hanna” – spiega, riuscendo, in tale modo, a
tirare fuori l’argomento prole.
Argomento
che attira l’attenzione della gitana.
“Non
avrei mai scommesso su una tua paternità”
– precisa la zingara, piacevolmente
colpita.
“Beh,
e invece sì. Ti stupirò dicendoti che ne ho
addirittura sette?!”
“Cosa?”
– esclama, scioccata – “Non
può essere”
“Lo
è! Guarda” – come fatto in precedenza
con Tokyo, tira fuori dal portafoglio ben
sette fotografie ritraenti i suoi eredi, presentandoli uno ad uno:
tutti di
diversa nazionalità, tutti avuti da donne differenti.
Seduto
sul letto, l’ispettore si racconta, portando, spontaneamente,
Nairobi a fare lo
stesso.
“Sarebbe
bello averli qui con me, però…”
– respira profondamente, buttando fuori l’aria,
liberandosi di un peso che custodisce da tempo, e poi precisa
– “ … sono un
padre sciagurato, un padre di merda che ha preferito crescessero con le
madri, tirandosi
indietro”
“Non
si nasce genitori, si sbaglia, si cade, ci si rialza,
l’importante è provarci”
“Tu
scommetto che sei stata una mamma perfetta per il tuo bambino”
Ma
quel richiamo ad Axel rabbuia Nairobi, che sprofonda nei ricordi di un
doloroso
passato.
“Per
mio figlio ho fatto di tutto, qualsiasi cosa, non mi sono mai arresa.
Ho provato
a dargli il meglio. Ma la vita mi ha sputato in faccia. Ad oggi,
proprio come
te, sono una persona con il cuore a metà e la mente fiaccata
dal pensiero del
mio cucciolo”
Santiago
la osserva, sentendosi in colpa nel tenerle nascosto un dettaglio
essenziale circa
Axel.
Combattuto
se raccontarle o meno il fatto accaduto a Lisbona, Lopez evita
l’argomento a
causa della successiva domanda di Agata che lo porta a centrarsi su se
stesso.
“Da quanto non vedi i tuoi figli? Saranno grandi
adesso”
“Dalla
morte di mia madre” – spiega, incupendosi.
Anche
la gitana, amareggiata, si zittisce, dispiaciuta di aver evidentemente
aperto
una ferita ancora sanguinante.
“Perdonami,
non volevo…”
Lui riprende - “…non li vedo da quando ho deciso
di isolarmi dal resto del
mondo, concentrandomi solo ed esclusivamente sul lavoro… da
quando la mattina
del mio compleanno, ho trovato un biglietto sul tavolo che diceva
“La signora Leticia
è in ospedale. Ha avuto un malore”. La mia
domestica era molto amica di mia
madre e la seguiva come fosse sua figlia. Così mi recai in
ospedale. Il medico fu
chiaro sin da subito: da un tumore al cervello difficilmente ci si
salva. Passai
nottate in bianco, a sentirla gridare di dolore, a vederla consumarsi,
indebolirsi e spegnersi sempre di più. Per una leonessa come
lei, è
inaccettabile placare la grinta e la fame di vita”
“Doveva
essere una gran donna, la tua mamma”
“Lo
era assolutamente!” – commosso al ricordo della
persona più importante della
sua vita, Lopez nasconde il viso tra le mani, non intenzionato a
rivelare
quella debolezza.
Ma
di fronte a tale dolore, Agata non riesce a mantenersi fredda.
Istintivamente,
la zingara si avvicina all’uomo e lo tira a sé.
Il
quarantaduenne si accovaccia al petto di lei, sentendo quel calore
materno che
gli è tanto mancato negli anni.
La
gitana lo stringe, gli accarezza i capelli, e sembra coccolarlo, come
era
solita fare con Axel.
Nessuno
dei due ha la forza di parlare o anche solo di guardarsi negli occhi.
Ciascuno
preso dai rispettivi ricordi e dolori, cede al pianto.
E
dopo aver trascorso svariati minuti stretti l’una
all’altro, senza rendersi
conto dello scorrere delle lancette sull’orologio,
è la donna a rivelare un
dettaglio del suo passato.
“Io
ho sempre odiato la solitudine. Ho trascorso la mia infanzia e la mia
adolescenza convinta di essere sola, poco amata, di essere perfino un
intralcio
per i miei genitori. Così mi sono rimboccata le maniche, a
tredici anni ho
iniziato a lavoricchiare. Ero poco più che una bambina.
Aiutavo una vecchia
sarta a sistemare abiti di seconda mano. Nel mio barrio si faceva la
fame. Una sera,
stavo rientrando, e mi accorsi di un vociare e di musica. Proveniva da
un
accampamento poco distante casa mia. Fu allora che mi innamorai del
flamenco. Da
quel momento in poi, mi recavo lì, a fine turno per guardare
il ballo di quella
signora, per me magica. La ricordo ancora oggi, bellissima e
dolcissima. Una
sera mi beccò, sai?”
“E
cosa successe?” – chiede, curioso di conoscere la
vita di Agata, appassionato al
suo modo di raccontare. Non la sta guardando in volto, ma stretto al
suo petto,
avverte l’accelerazione del battito cardiaco, segno di una
forte emozione
attivatasi al ricordo di qualcosa che la rendeva libera. E non esisteva
altro di
meglio per Nairobi se non la libertà.
“Beh,
mi prese sotto la sua ala protettrice. mi chiese di partecipare, di
provare a
danzare con lei e le sue alunne. Era una danzatrice in piena regola.
Per noi
del barrio, averla era un lusso. Nessun altro quartiere gitano, vantava
la
presenza di una professionista. Si chiamava Alba, ed è stata
seriamente, per me,
l’alba di un nuovo giorno. Ho scoperto tanto di me. Mi
regalò un suo abito…”
“Quello che hai indossato quando ti ho vista
ballare?”
“Già”
– risponde, giocherellando con i capelli
dell’ispettore – “Però i miei
scoprirono
il fatto e mi impedirono di frequentarala”
“E
perché mai?”
“Era
impensabile per una ragazzina come me tornare a casa a tarda ora, e
danzare in
quella maniera, istigando uomini di ogni età… mi
ripetevano questo, però io sapevo
benissimo le vere ragioni. Loro non avrebbero mai permesso che io mi
guadagnassi un posto nel mondo, in quanto donna. Per loro dovevo
sposarmi, fare
figli, restare a casa, crescerli…”
“Nairo,
ora intuisco come mai avverti, con forza, questo desiderio di
libertà”
“Io
odio essere chiusa in gabbia. Odio che mi venga imposto di fare
qualcosa. Sì,
sarò una farfalla, ma una farfalla che cerca di volare
lontano, e non una
farfalla che viene catturata per essere messa in bella mostra
affinché qualcuno
possa tirarle via le ali per sempre!” – la
confessione, nuda e cruda, di Agata
dà a Santiago la chiara conferma della forza insita nella
gitana e di quanto,
proprio tale forza, gli abbia fatto perdere la testa per lei.
“Sei
un vulcano, lo sai? Non ho mai conosciuto nessuna speciale come
te!” – le dice,
riuscendo a lusingarla senza apparire un playboy.
“Le
regole di casa mi hanno limitata nella vita. Addio flamenco, addio
lavoro,
addio tutto. Avevo pronto per me un promesso sposo a cui, a detta dei
miei,
avrei dovuto sottostare a vita”
“Cazzo,
è inaccettabile che esistano ancora condizioni
simili”
“Purtroppo,
sì. Ed essere genitori, non è mai facile,
specialmente in contesti come quello
dove sono vissuta”
Segue
silenzio. Un silenzio interrotto dal prendere parola di Lopez.
“Io
invece ho avuto un padre del tutto invisibile, sono cresciuto con mia
madre e
la sua domestica del cuore. E sai perché mi considero un
padre di merda? Perché
ho seguito le orme del mio”
“Puoi
riscattarti, cercando di riallacciare i rapporti con i tuoi figli. Non
tutto è
perduto. Non so, magari pian pianino, prova a rientrare nelle loro
vite”
“È
dura, quando hai delle ex pronte a sbatterti la porta in
faccia”
La
questione Axel, di cui Nairobi ancora non fa cenno, viene toccata,
delicatamente, dall’ispettore, desideroso di saperne di
più. E così’ torna sulla
faccenda della zingara.
“Com’è
finita poi con i tuoi genitori? Perché, scommetto che,
avendo avuto un bambino,
ti sarai sposata come loro prevedevano, no?”
La
gitana scuote il capo. Slega le braccia dal collo
dell’ispettore, che aveva stretto
a sé fino a pochi istanti prima, e solleva lo sguardo.
Finalmente
trova la forza di guardarlo negli occhi e mettersi a nudo –
“Sono rimasta
incinta a ventitré anni, di un uomo che mi promise le
stelle, ma si rivelò tutt’altro”
Il
volto stranito e confuso del quarantaduenne porta Agata ad andare nel
dettaglio
– “Ero vogliosa di trasgressioni. Basta regole,
basta no, basta imposizioni
familiari. Così una notte, con delle amiche, siamo andate in
discoteca, qui a Madrid.
Io, sì, ero promessa in sposa a un tizio, che conoscevo
appena. Però me ne fregai.
Mentii ai miei dicendogli che avevo un appuntamento proprio con questo
presunto
fidanzato. Invece lì conobbi un giovane di
bell’aspetto. Lui mi offrì da bere,
mi lusingò e riempì di attenzioni tutta la
serata. Fui io a baciarlo, in pista.
E di certo non mi limitai al bacio a stampo” –
mentre racconta, le sue guance si
colorano di rosso acceso, come se, al solo ricordo, avvertisse quello
stesso
calore fisico.
“Ehm…
ok, quindi lo avete fatto e sei rimasta incinta, penso di aver
intuito” –
taglia corto l’uomo, alquanto infastidito dall’idea
che qualcuno potesse toccare
Nairobi e potesse baciarla come stava sognando lui di poter fare.
“No,
non quella sera. Trovai varie scuse per uscire di casa. Ci vedemmo per
un mese
intero. Quando rimasi incinta, quello stronzo aveva già
lasciato la Spagna con
la sua mogliettina”
“Cosa? Cazzo, era sposato?”
“Si,
di lui non ho saputo nulla, tantomeno voglio saperne. Axel, mio figlio,
fu ciò
che mi rimase. Probabilmente la sola cosa bella fatta in vita mia. I
miei si
infuriarono. Mi chiusero in casa settimane, contrattarono con la
famiglia del
mio promesso sposo. Insomma, alla fine mi obbligarono ad
abortire”
“Aspetta,
aspetta, aspetta… ma voi zingari non siete contrari
a...?”
“Appunto!
Io mi rifiutai. Presi uno zaino, poca roba, e andai via. Lì
cominciò il mio
calvario”
“Fu
allora che hai trovato il Mariposas?” – esclama
scioccato il quarantaduenne. Facendo
due conti, Nairobi vivrebbe quell’inferno da ben dieci anni?!
“Quel
locale fu la mia salvezza, per i primi anni. Mi venne promesso che, se
avessi
rispettato le regole di convivenza civile, sarei potuta rimanere per un
po', ben
tutelata. E ti giuro che fu così. Partorii tra quelle mura,
poi le cose cambiarono.
Ho tenuto Axel con me per tre anni, poi mi fu tolto”
“E
come mai? Che vuol dire che le cose cambiarono? Ci fu un cambio
gestione? Qualcuno
ti ha minacciata togliendoti il piccolo?”
Davanti
a così troppe domande, Agata non si sente più a
suo agio e una conversazione
nata con naturalezza assume i toni di un interrogatorio.
È
lei, così, a chiudere, alzandosi dal letto –
“Direi anche basta, adesso! Pensavo
ci stessimo raccontando”
“Lo
stiamo facendo”
“No,
che stupida che sono! Hai trovato un modo per farmi parlare? Cosa
volevi? Notizie
su quanto mi è accaduto?”
“Ti
prego, non prendertela, non volevo ferirti”
Cerca
in ogni modo di ristabilire la sintonia di poco prima.
E
mentre Agata, muovendosi confusa e agitata, nella stanza, non
è intenzionata a
cedere, l’ispettore aggiunge – “Vorrei
che tu sapessi una cosa importante”
Ma
la gitana non replica, sembra piuttosto ignorarlo.
“Ascoltami…
io per te sono disposto a tutto…ho perfino deciso di usare
un nome di città…”
Tali
parole fanno ridere la donna – “Hai voglia di
prendermi in giro, adesso?”
“No,
non lo farei! Ti amo troppo per giocare con i tuoi sentimenti”
Un
Ti amo, pronunciato senza consapevolezza, spiazza, definitivamente
Nairobi.
“Cosa
mi hai appena detto?”- gli
chiede di
ripetere.
Basta
freni…Santiago con una forte morsa allo stomaco si espone in
tutto e per tutto –
“Mi sono innamorato di te! Ti amo e voglio averti nella mia
vita, non mi
importa se ci saranno difficoltà, problemi insormontabili,
me ne fotto. Io ti
voglio, sogno di averti di fianco a me ogni mattina, quando apro gli
occhi;
sogno di baciarti ogni sera prima di andare a dormire; sogno di fare
l’amore
con te, in ogni dove; di accarezzarti; di sussurrarti quanto mi fai
stare bene…
Nairobi, sei la donna che aspettavo da tutta una vita. Ti prego, non
alzare
muri, di nuovo!” – una confessione in piena regola,
carica di sentimento, di pathos,
e di lacrime.
Molte
lacrime.
Lacrime
che uno schivo come Lopez ha sempre evitato di mettere in mostra.
La
sua sincerità traspare dagli occhi, dal movimento del suo
corpo, dalle
espressioni del suo viso.
Ciò
è la prova che Agata cercava. Trattenuto il pianto troppo a
lungo, la donna crolla.
Si
avvicina, lentamente, all’ispettore.
La
sua espressione tesa si rilassa, e un sorriso radioso le si disegna sul
volto.
Accarezza
il viso del compagno, asciugandolo teneramente, adagiando poi la sua
fronte su
quella di lui, il quale, a sua volta, non riesce a toglierle gli occhi
di dosso.
“Mi
credi se ti dico che stavolta hai toccato il tasto giusto?”
– sussurra lei,
abbassando ogni difesa.
Appoggiandosi
ad una parete, lo tira a sé e i due, finalmente, si
scambiano il bacio tanto
atteso, un cercarsi e incontrarsi, una fiamma che divampa.
Avevano
già sperimentato l’unione carnale. Ma di amore
c’era ben poco… adesso invece quello
che provano è dettato dal cuore.
E
quando entrambi sono pronti al passo successivo, che viene vissuto in
piena
spontaneità, è proprio Agata a dare conferma dei
suoi di sentimenti.
“Accidenti,
ispettore, ci sei riuscito, sai?”
“A
fare cosa?” – chiede lui.
“A
farmi innamorare di te!” – ridacchia, imbarazzata.
Spiazzato
da tali parole, Lopez sente di toccare il cielo con un dito.
Vivere
quel momento così intimo gli restituisce la fiducia nella
vita.
Esiste
davvero, come diceva anche sua madre, una persona per l’happy
ending – “A
proposito..” – precisa, quando ormai esausti, si
tengono stretti, a letto,
coperti dal solo lenzuolo bianco – “Ti avevo detto
che ora ho un nome di città
anche io”
“E
quale sarebbe?” – domanda, incuriosita, guardandolo
con una luce diversa nello
sguardo, come una ragazzina alla prima cotta.
“Bogotà!”
– rivela lui, accarezzandole, delicatamente, la schiena nuda.
Che rabbia vedere
quei lividi e non poter sapere cosa le è accaduto.
Però
attenderà, non ha altra scelta. Adesso che Agata ha aperto
il suo cuore,
troverà anche la forza per far venire a galla tanti segreti.
Entusiasta
della scelta, la gitana conclude – “Bella scelta,
allora da adesso in poi,
sappi che non sarai più Santiago l’ispettore.
Sarai solo e semplicemente il mio
Bogotà”
I
momenti successivi sono dedicati alla scoperta del loro amore, al
viversi, all’accettare
di esserci l’uno per l’altra.
E
questo, per Nairobi, è un nuovo inizio. I lividi sul suo
corpo, le ferite del
suo cuore, possono diventare ricordi da cancellare. E lei lo sa
bene…oggi solo il
suo uomo e l’amore nei suoi confronti l’aiuteranno
su questa strada.
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Capitolo 21 *** 20 Capitolo ***
Berrotti
consegna le registrazioni delle telecamere
esterne al suo Capo, quando lui lo contatta per dargli
novità sulle condizioni
di Manila. Sono, infatti, trascorse alcune ore da quando è
avvenuta la tragica
vicenda.
“Come
sta?” – chiede il sedicente proprietario del
Mariposas, ignaro delle sorti della ragazza.
“Ho
provveduto ad affidarla alle mani di professionisti.
Ho riflettuto sul da farsi; anche se è una traditrice, il
locale ha bisogno di
dipendenti. Monica al momento è da sola e non basta,
perciò è bene salvarle la
vita”
“Ma, sbaglio o hai detto di poter costringere quelle due
stronze a tornare qui?”
– chiede Palermo, riferendosi ovviamente alle fuggitive.
“Certo,
vedrai che appena possibile, riavremo le nostre
Farfalle tutte sotto lo stesso tetto”
“In
che modo agirai?” – chiede l’altro,
ipotizzando
svariate teorie che non portano al risultato sperato.
L’uomo
mascherato non risponde, piuttosto mostra fastidio
di fronte all’invadenza di Martin.
Ciò
obbliga Palermo a tapparsi la bocca e non
proferire altre parole che possano mandare in bestia il Boss.
Ed
è proprio quest’ultimo a sottolineare –
“Chi ha
osato intromettersi, la pagherà cara”
“Certo,
signore” – si limita a dire Berrotti,
abbassando il capo, in segno di sottomissione.
“Ora
va’. Per causa di forza maggiore, chiuderemo i
battenti per un po'. Appena avrò notizie di Manila, ti
avvertirò. Adesso mi
concentrerò sulla prossima mossa. Nel frattempo, Tokyo e
Nairobi dovranno
credere di essere al sicuro. E appena la situazione sarà
calma, allora e solo
allora, lanceremo il nostro missile” - quello stesso piano
che gli frulla in
mente, lo entusiasma e manda in visibilio. La risata che segue fa
tremare
Palermo che, deglutendo rumorosamente, non si espone, annuisce e si
congeda.
Non
immagina cosa potrebbe aver ideato quello che
da anni è il suo superiore, colui che ama farsi chiamare il
signor Dalì, però
ha poche scelte se non obbedire agli ordini: il Night Club spegne le
luci e va’
in pausa.
“Cosa
significa che non si lavora?” – domanda Helsinki
a Martin quando viene comunicata la decisione.
“Significa
proprio questo; siete in ferie”
“Di
nuovo?” – esclama, stupito, l’altro
serbo, avendo
imparato, a lungo andare, qualche minima parolina in spagnolo.
L’unica
a non esprimersi è Monica, silenziosa come non
capitava da tempo.
“Che
ti prende?” – e difatti Palermo lo nota subito
e le pone la domanda.
“Nulla,
sono solo preoccupata. Manila era la mia socia.
Ora sarò da sola. Cosa volete? Che mi uccida di fatica
essendo rimasta l’unica
Mariposa?”
Il
tono alterato e quelle fiamme negli occhi
manifestano il suo stato d’animo, decisamente instabile. Un
comportamento
atipico per la pacata e succube Stoccolma.
“Da
quando in qua alzi la voce con il sottoscritto?”
– l’aria di sfida da parte di Berrotti fa ben
intendere alla bionda di aver
esagerato.
“Perdonami,
non capiterà più” – sa di
doversi
controllare, specialmente adesso che ha gli ormoni impazziti per una
gravidanza
che sta cercando di nascondere da ben due mesi, e che ha in programma
di
interrompere.
Helsinki,
invece, al corrente del dettaglio, è titubante
sulla decisione presa dalla collega. A suo avviso, i bambini sono sacri
e come
tali non si può spezzare la vita di nessuno di loro.
Però,
è anche cosciente di poter poco contro la volontà
di una donna che porta in grembo un bebè non desiderato.
Rassegnato,
le ha offerto l’aiuto necessario, stipulando
con lei una forte alleanza. E proprio in nome di
quell’alleanza, si ricorda di
dover agire per darle una mano sulla delicata questione.
“Capo,
senti, potrei uscire, oggi? Devo sbrigare
delle commissioni per mia famiglia in Serbia”
“Hanno
bisogno di altro denaro? Perché se è
così,
sappi che a breve riceverai la tua giusta paga” –
lo tranquillizza, dandogli
una pacca sulla spalla.
Palermo
sa che Helsinki è innamorato di lui, e
spesso ne approfitta, però quando si tratta di faccende di
quel tipo, mostra una
certa tolleranza.
“No,
signore. Mi serve medicina per mia sorella…”
mente.
“Dimmi
quale e me ne occuperò personalmente, allora”
– Martin sembra non intenzionato a lasciarlo girovagare per
le strade di Madrid.
Trovandosi
di fronte ad un muro invalicabile, il
serbo è costretto a dire – “Una pillola
per aborto! Non vuole figlio, e serve
urgente…”
Quella
precisazione spiazza l’argentino – “E nel
tuo Paese non esistono?”
“Mia
famiglia non deve sapere. Se io mando a lei, sarà
tutto in segreto, capisci?”
Stoccolma,
assistendo alla scena, trema al pensiero
di essere scoperta, e prega affinché il suo socio riesca
nell’opera di convincimento.
“Abortire
non è mai la giusta soluzione, questo lo
sa tua sorella?” – chiede Berrotti, mostrandosi in
disaccordo con la decisione
di quella ipotetica sconosciuta.
“Lo
so, signore. Ma decide lei, è corpo
suo…” – precisa
l’omone, volgendo subito lo sguardo sulla riccia, lanciandole
una chiara frecciata.
“Certo,
però dire addio a un bambino non è mai una
cosa facile” – sostiene il proprietario del Night
Club, fermo sulla sua idea.
“Se
le circostanze ti obbligano a farlo, hai poche
scelte” – sentitasi colpita in prima persona,
Stoccolma prende parola,
manifestando il suo parere.
E la
sua partecipazione al discorso, insospettisce
Palermo che, dopo qualche secondo di silenzio, afferma –
“Qui, all’angolo, c’è
una farmacia che vende di tutto. Se fai presto, forse è
ancora aperta. Sbrigati,
e torna qui immediatamente. Ti do’ dieci minuti di
tempo”
“Grazie,
capo! Farò il prima possibile” - con un
sorriso a 36 denti, radioso per essere riuscito nell’impresa
ardua, il buttafuori
si mette a correre, scrutato, in silenzio, dal Boss.
Proprio
lui, di tanto in tanto, butta l’occhio
anche sulla Farfalla, il cui pallore e cambio d’umore
repentino, lo fa
sospettare le peggiori cose.
Sedutosi
sul divanetto, nell’atrio principale,
Palermo, in piena e, a tratti, inquietante tranquillità, si
rivolge alla
Mariposa - “E così sei in dolce attesa?”
Monica
sente un tonfo al cuore e, sudando freddo,
non riesce a mentire – “Come l’hai
capito?”
“Conosco
i miei polli. Mai un’alzata di testa da
parte tua, e adesso, magicamente, tiri fuori gli artigli. Sei pallida
come un
cencio, quasi malaticcia. E poco dopo Helsinki chiede una pillola
abortiva per
una ipotetica sorella…direi che anche uno sciocco avrebbe
trovato risposta
senza girarci troppo intorno, no?”
“Cazzo”
– pensa Stoccolma, sentendosi ormai in
trappola, per domandargli – “E’ per
questo che gli hai dato l’ok? Perché io
possa liberarmi di questo bambino per sempre, vero?”
Lui
la guarda, in silenzio, poi si rimette in piedi
e avanza nella sua direzione.
“Non
ho mai pensato che l’aborto fosse la soluzione
ai problemi. Dovresti saperlo… sorellina!”
“Mamma
mi ha raccontato la tua storia, so che la tua
voleva eliminarti e che, invece, è stata costretta a
tenerti. Siamo cresciuti
insieme grazie alla mia famiglia che ti ha adottato, sei diventato come
un
fratello maggiore, e proprio per questo hai sempre cercato di
tutelarmi, anche
qui! Però, ad oggi, Martin, sono adulta e vaccinata. So cosa
è sbagliato e cosa
no! E la creatura che porto dentro è un intralcio”
“Se ti chiedessi di darlo a me? Lo prenderò io,
come fosse mio” – la proposta
di Palermo pietrifica Stoccolma che, scioccata, balbetta un misero
– “Co...co…cosa?”
“Il
signor Dalì capirà, vedrai. Dopotutto, se io
sono ai suoi ordini e tu hai sempre rispettato le sue regole,
è perché ci tieni
affinché il Mariposas mantenga la sua fama”
Esterrefatta,
Monica decide di sedersi per evitare
svenimenti.
Sembra
riprendersi in fretta, quando fa notare al
parente acquisito - “Rifletti. Se io tengo il bambino, come
farete qui? Non avrete
più dipendenti”
“Di
questo non devi preoccuparti. Tokyo e Nairobi
torneranno quando meno te lo aspetti. Al momento, il locale
rimarrà chiuso”
“Torneranno? Sei impazzito? Sono scappate appositamente
perché odiavano questo
mondo. Cosa ti fa credere che metteranno di nuovo piede qui?”
“Accadrà,
non so come, ma il Capo ha in mente un
piano perché ciò avvenga. Fino ad allora, tu
smettila di pensare ad aborti o roba
simile; lo crescerò come mio e tu sarai libera di continuare
la tua vita”
Approfittando
del confronto, avvertendo,
finalmente, quell’impulso ad esprimere ciò che
davvero sente, Stoccolma si
sfoga - “La mia vita da spogliarellista, intendi? Sai quanto
mi pesa e quanto
mi è costato fingere di farmi andare bene tutto, ogni volta?
Ho dovuto fare il
buon cagnolino, sottostare, fare la spia, e l’ho fatto solo
per il bene tuo. Non
volevo sfigurassi con il signor Dalì. Ma dopo quanto
accaduto a Manila, inizia
a starmi stretto questo ruolo”
“Manila
si è trovata nel posto sbagliato al momento
sbagliato” – precisa Berrotti –
“Non era lei che si cercava di eliminare”
“Eliminare?” -ripete, sconvolta, la bionda,
scuotendo il capo disgustata – “Ti
rendi conto di ciò che dici?”
“Zitta,
sta tornando Helsinki” – le ordina, guardando
il serbo fare il suo ingresso.
“Ecco,
tutto risolto, capo!” – il buttafuori lancia
uno sguardo complice a Stoccolma, la quale, invece, abbassa gli occhi,
arrabbiata e disperata al contempo.
È
combattuta se accettare per l’ennesima volta quanto
stabilito dal fratellastro o scegliere seguendo la propria
volontà.
“Io
vado a sbrigare delle faccende, potete andare” –
comunica Palermo, cercando lo sguardo di Monica.
E
quando i due dipendenti del Mariposas restano da soli,
il serbo le porge la pillola.
“Ecco
qui, pensa bene… sei ancora in tempo”
Ancora
un altro che cerca di incidere sulla volontà
della donna e lei è stanca di dover sempre dire
sì.
Osserva
la medicina posta sulla mano di Helsinki
come se quella fosse la sua stessa libertà, una
libertà a pochi passi da lei,
che è pronta ad essere afferrata e goduta.
Eppure
il senso del dovere continua a picchiare
forte nella sua testa.
E’
davvero così pronta a spiccare il volo?
******************************************
Tokyo
chiusa nella sua camera, fissa la finestra, e
le stelle, quella notte più luminose che mai.
Sapere
di essere in salvo le riempie il cuore di
gioia.
E
sentire l’euforia di Nairobi e Santiago Lopez,
che ridono e parlano in salotto, seduti sul divano a viversi, le
solleva l’animo.
Dopotutto,
Agata merita l’amore di qualcuno.
Sbirciarli
nel loro coccolarsi, però, alimenta in
lei il desiderio di godere della medesima gioia.
Trovato
un cellulare, posto in camera proprio dall’ispettore,
Silene non esita a comporre un numero che ha ben memorizzato nella sua
memoria.
“Pronto?
Rio, sei tu?”
“Tokyo? Come sei riuscita a contattarmi?”
“Sono
scappata, mi vida!”
“Come?”
“Ti
spiegherò appena possibile. Sappi che sto bene
e sento la tua mancanza. Ti giuro che quando si calmeranno le acque,
verrò da
te e scapperemo via da questo inferno”
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Capitolo 22 *** 21 Capitolo ***
Il
ventiduenne Anibal Cortes è seduto al bancone del minimarket
di famiglia.
Annoiato, gioca con una penna che ha tra le dita, con lo sguardo perso
nel
vuoto.
Il
ragazzo sa da ben una settimana della fuga della sua fidanzata dal
Mariposas, e
non è ancora riuscito, per causa di forza maggiore, ad
incontrarla.
Le
ha promesso di scappare insieme, ed è ciò che ha
intenzione di fare, in un modo
o in un altro, anche se questo significa andare contro chi lo ha messo
al
mondo.
“Hai
finito di compilare l’inventario? Dobbiamo
consegnarlo!” – lo richiama sua
madre, lasciando cadere a terra, rumorosamente, degli scatoloni colmi
di
prodotti alimentari.
“Ehm…sì,
ecco qui” – risponde il giovane, annoiato. Da
quando i genitori hanno scoperto
della sua relazione con Silene Olivera, alias Tokyo, sono super attenti
ad ogni
sua mossa; sospettano sempre quando diventa apatico o troppo silenzioso.
Iperprotettivi,
contrari alla storia d’amore tra una spogliarellista e il
loro adorato
unigenito, i signori Cortes sono intervenuti il prima possibile,
arrivando
perfino ad accordarsi con Martin Berrotti per evitare gli incontri
segreti tra
i due amanti.
“Posso
uscire adesso? O mi volete legare alla sedia?” –
aggiunge il cosiddetto Rio,
brontolando.
La
donna gli lancia un’occhiataccia –
“Ricordati quanto ci siamo detti tempo fa,
mi raccomando” – riferendosi al rispetto delle
regole.
“Uffa,
mamma, cazzo!”
“Anibal” – lo rimprovera lei, alzando la
voce, contraria a termini poco
educati.
“Scusami,
è che sono stanco! Sono tre settimane che mi tenete sotto
stretto controllo,
neanche fossi un delinquente”
“Però
ti sei lasciato influenzare da una donnaccia”
E
di fronte ad un appellativo inaccettabile, il ragazzo si alza dalla
postazione,
battendo un pugno sul tavolo –
“Non…permetterti…mai
più… di chiamarla così,
chiaro?” – il tono di sfida, lo sguardo irascibile,
spiazzano l’adulta che non
riconosce più il suo adorato bambino, quello che la riempiva
di baci e abbracci
e la venerava come fosse una dea.
Non
replica, ma trova immediatamente spalleggiamento nel marito, unitosi
alla
conversazione proprio allora.
“Ehi,
ti sembra la maniera di rivolgerti a tua madre? Chiedi subito
scusa”
Rio,
stavolta, esita. E rincara la dose – “Io
dò rispetto a chi ne dà a me”
“Quella
poco di buono ti ha portato su una pessima strada. Ti abbiamo messo in
guardia
da lei” – aggiunge ancora il padre.
Verde
di rabbia, il ventiduenne dà loro le spalle e si avvia
all’uscita.
“Se
metti piede fuori da questa casa…” –
classica frase, che Anibal attendeva da
tempo ormai, e che il genitore pronuncia senza ragionare.
“Non
dire cose di cui puoi pentirti, caro” - gli sussurra la
consorte, prendendogli
la mano.
“Io
non tollero comportamenti del genere, specialmente se vengono dal
sangue del
nostro sangue, Elvira!” – puntualizza, tornando poi
a parlare al giovane.
Puntandogli il dito, ripete – “Se metti piede fuori
da questa casa, non potrai
più tornare…capito? Mai più!”
“Paco,
ti supplico, non…” – la donna
è cosciente che il danno ormai è fatto e prega il
coniuge di fermarsi il prima possibile.
Anibal,
infatti, come previsto dalla mamma, accenna un sorriso compiaciuto, e
senza
pronunciare parola, tira a sé la porta d’ingresso
del negozio, e lascia la sua
famiglia nel dispiacere e nello sconforto.
“Ecco,
visto? Te l’avevo detto? Gli hai offerto la
possibilità di svincolarsi, su un
piatto d’argento” – Elvira rimprovera il
marito, poi cerca di raggiungere suo
figlio e di farlo ragionare ma è troppo tardi.
Rio,
a passo veloce, ignora i suoi richiami, e, sotto un cielo minaccioso,
coperto
da nuvoloni neri che promettono temporali, corre via.
Adesso
sì che può considerarsi libero.
Resistere
tutto questo tempo alle pressioni familiari è stato
autolesionismo, e udire
come definiscono la sua Tokyo è stata la goccia che ha fatto
traboccare il
vaso.
Silene
non si tocca.
Silene
è la sua vita.
Silene
merita rispetto.
E
i Cortes si sono dimostrati incapaci di riconoscere la
felicità del loro unico
figlio, preferendo vivere chiusi nel loro falso mondo, fatto di
apparenza,
fatto di pregiudizi verso l’altro, un mondo a cui Rio non
appartiene e che
giorno dopo giorno sentiva sempre più stretto.
Con
un cellulare quasi scarico, preso in segreto dal cassetto del bancone,
di
proprietà del capofamiglia, il ragazzo compone il numero
della sua compagna.
Uno
squillo
Due
Tre
E
al quarto, una voce femminile gli fa tremare il cuore.
“Rio,
amore mio! Finalmente! Che fine hai fatto? È una settimana
che non ti fai vivo,
mi hai fatto morire d’ansia!”
“Mi
dispiace, mi vida. Ma sto bene e preparati… sto arrivando,
presto sarò da te” –
le comunica, trattenendo le lacrime.
La
felicità sembra bussare finalmente alla loro porta. La
coppia, il cui amore è
da sempre stato ostacolato dalla famiglia di lui, può
considerarsi libera.
Ricevuta
la bellissima notizia, Tokyo comincia ad aggirarsi tra le mura della
villa
volteggiando, con un sorriso a 36 denti stampato sul viso.
Le
due Farfalle hanno temuto per ben 7 giorni di possibili minacce o
catture da
parte dei loro superiori. E sapere addirittura tramite Santiago e il
Commissariato che il locale ha chiuso i battenti, le ha, in parte,
tranquillizzate. Sanno di cosa sono capaci Palermo e la sua ciurma,
proprio per
tale ragione, non abbassano mai la guardia.
Però…in
compenso, stanno imparando a vivere il bello della normalità.
“Che
ti prende?” – le domanda Nairobi, curiosa, intenta
a dedicarsi alla pedicure.
“Amica
mia” – esclama l’altra, euforica e
radiosa come non mai – “Rio è riuscito a
fuggire dalla casa dei suoi genitori!”
“Sul
serio? Ma è fantastico!”
“Già!
Adesso potremmo andare via da questa città e viverci senza
paure o controlli” –
afferma, sognante, riflettendo poi su un piccolo particolare
– “E tu cosa hai
deciso di fare? Verrai via con noi come avevano stabilito mesi
fa?”
Agata,
che, da principio, prima di incontrare il suo Bogotà, aveva
optato per la fuga
assieme alla coppietta, vede andare in fumo ogni certezza.
“Non
so più cosa fare, a dire il vero!” –
precisa la gitana, trovandosi ad un bivio
senza uscita.
“Per
via di Santiago?” – chiede Tokyo, ipotizzando si
tratti della presenza dell’ispettore
a frenare Nairobi dal fare le valigie quanto prima. Così
aggiunge –
“Beh…potrebbe venire con noi, no?”
“Toky,
lui ha il suo lavoro qui. Non ho intenzione di metterlo di fronte a un
aut aut”
“Però
tu qui sei in pericolo, Nairo e lui ne è consapevole. Se ti
ama sul serio, non
avrà dubbi”
Il
ragionamento, a tratti egoistico di Silene, incupisce Nairobi che,
confessa, -
“Non voglio perderlo, ma… no…non posso
andarmene…”
“Proprio
perché non vuoi perderlo, mettilo di fronte al fatto
compiuto! Vedrai che sarà
la prova del nove, hermana, perché capirai cosa nutre
davvero per te! Anche se
io sono stracerta del suo amore”
Agata
è dubbiosa in merito - “Come puoi esserne sicura?
In fondo, chi deciderebbe, su
due piedi, di partire in vista di una meta sconosciuta, perdendo lavoro
e
stabilità? Io no, e tu nemmeno. Perché mai lui
dovrebbe?”
Di
fronte alla estrema resistenza di Nairobi, la Olivera non insiste,
lasciandole
il tempo per fare ordine tra le sue priorità di vita.
“Allora,
amica mia, pensaci bene. Perché se vuoi rimanere, devi
essere cosciente di cosa
potrebbe accaderti”
“Lo
so bene, cosa credi? Mi costa caro. La vecchia Nairobi non avrebbe
esitato. Ero
io, tempo fa, a sognare la fuga e ad orchestrarla assieme a te,
ricordi? Però
adesso…” – fa una pausa, respira
profondamente e prosegue – “… adesso non
so
più cosa è bene per me…!”
“Dai
la priorità a te stessa, amica mia! Capito?”
Agata
annuisce, tornando a dedicarsi allo smalto rosso sulle unghie, mentre
Tokyo
torna a volteggiare di felicità in tutta casa, lieta di
poter finalmente
riabbracciare il suo amato Rio.
Alla
gitana invece restano solo tanti dubbi e l’amaro in bocca.
Vorrebbe
restare con Santiago, e viversi il loro amore, ma lontano da
lì. Sa di non
poterlo costringere a fuggire insieme dalla sua routine…e
soprattutto, il
Mariposas le ha ben detto di ricordare che Axel potrebbe non esserle
mai restituito
se sgarra di un solo passo.
E
la sua fuga, non cosciente, ma orchestrata da Tokyo e Manila, la pone
in
allerta.
Andarsene
significherebbe lasciare il bambino a loro, e lei non può
permetterlo.
È
questo che la trattiene dal seguire il cuore e anche dal porre
l’ispettore di
fronte alla scelta di vita futura.
Non
sa se parlarne con Bogotà potrebbe essere la cosa migliore,
e così, si chiude
nella sua apatia.
*********************************
Anibal
Cortes al corrente dell’indirizzo dove si nascondono le
Mariposas, si appresta
a raggiungerle con i mezzi pubblici.
Da
quando ha avuto a che fare con la gente del Night Club avverte una
strana
sensazione, ovvero quella di sentirsi spiato.
Scruta
le persone sull’autobus, sospettando di ciascuna di loro. Che
tra quella gente,
decisamente presa dai propri affari, si nasconda il nemico?! Un timore
che il
ventiduenne vince facilmente, appena giunto alla sua fermata.
Nessuno
lo segue, nessuno ha osservato le sue mosse, nessuno appare un tipo
losco da
cui tutelarsi.
Sceso
dalla corriera, è chiamato ad affrontare la pioggia a
dirotto.
“Cazzo,
una fortuna dietro l’altra…adesso anche il
temporale!” – brontola, aprendo un
piccolo ombrello, cedutogli dall’autista.
Velocizza
il passo, sfidando l’acqua che cade violenta, percorre il
tratto di strada
indicatogli da Tokyo durante la loro telefonata.
Eppure,
la paranoia di ipotetici pericoli da ogni dove, lo costringe a correre
il più
veloce possibile.
Non
è mai stato un codardo, un fifone che al minimo rumore si
nasconde sotto la
gonnella di mamma; piuttosto, ha dimostrato coraggio da vendere perfino
quando,
mesi prima, Martin Berrotti si presentò al Minimarket per
minacciarlo di stare
lontano da Silene.
Impossibile
dimenticare con quale prepotenza ed arroganza il proprietario del
Mariposas
giunse lì, erigendosi a boss assoluto a cui tutti devono
rispetto.
Anibal
gli ha tenuto testa fino a quando ha potuto…fino a quando
tale Palermo l’ha
ricattato dicendogli di poter recare male a Tokyo in qualunque momento.
Adesso,
l’ansia maggiore che lo domina è proprio questa:
se Berrotti riuscisse a
trovare le due ragazze, cosa potrebbe mai accadere? Al solo pensiero
gli si
accappona la pelle.
Ormai
è prossimo alla meta, e la tensione inizia a scemare.
“Fiu”
– esclama, quando anche la pioggia sembra cessare.
Una
villa, immensa, è a pochi passi da lui.
“Mi
vida, eccomi, sto arrivando” – commenta tra se e
se, ad alta voce.
Avanza,
sempre di più, quando un rumore lo trattiene... si tratta
della frenata di una
gip e delle luci dei fanali che lo accecano.
“Cazzo”
– esclama, certo di trovarsi davvero nei casini.
*************************************
“E’
ora di cena, possibile che di Bogotà neanche
l’ombra?” – si chiede Agata,
preoccupata, camminando avanti e indietro nel salone principale.
“Forse
l’hanno bloccato al Commissariato più del
dovuto” – ipotizza Silene, rubando
del pane da tavola, affamata – “A proposito,
chissà se gli hanno dato notizie
sul Mariposas. Questa chiusura per ben una settimana, mi sorprende! Che
Palermo
abbia finalmente deciso di darsi al burraco?” –
compiaciuta del brutto finale
del locale, Tokyo mette in bocca il cibo, ridendo di gusto –
“Direi di
brindare, amica mia”
Ma
Nairobi è poco convinta che le cose siano finite
così facilmente. E i lividi
che porta sul corpo sono soltanto una minima prova di cosa la mente che
serpeggia al Night Club sia capace di fare.
“Non
abbassiamo la guardia”
“Certo
che no, io è questione di giorni e sarò lontana
da qui. Mi preoccupi tu, invece…”
“Dai,
Toky, per favore, non apriamo di nuovo questo discorso”
L’altra
alza le mani in segno di resa; non intende agitare l’amica
più di quanto non lo
sia già.
Il
rumore del chiavistello, all’ingresso, le fa sobbalzare.
È
Nairobi a correre verso la porta, mentre l’amica, dietro di
lei, continua a
mordicchiare la crosta del suo pane.
L’ispettore,
intento a liberarsi degli scarponi, viene accolto dalle braccia della
zingara
-“Bogotà, finalmente! Mi hai fatto stare in
pensiero”
“Ehm…tranquilla,
sono qui” – la rassicura, stringendola a
sé, con un bacio sulla fronte. Da
quando Agata ha cominciato a fidarsi di Santiago, avverte la sua
presenza come
una necessità. Non riesce più a staccarsi.
E
pensare, addirittura, di lasciare Madrid assieme a Rio e Tokyo, diventa
un’idea
decisamente impossibile per il suo stato emotivo.
La
lotta tra mente e cuore continua dentro di lei, incessantemente!
Tale
ricerca di sicurezza, un lato del carattere della gitana, da sempre ben
celato,
finalmente viene tirato fuori.
Complice
l’amore che nutre per Lopez, oppure i tanti timori sorti in
seguito alla brutta
vicenda del Mariposas.
“E
pensare che ti mostravi come una pantera!” –
scherza lui, spostandole una
ciocca dal viso.
“Anche
le pantere a volte sentono il bisogno di essere coccolate”
– spiega lei,
avvinghiandosi al suo petto.
“Se
ogni volta che torno, a fine turno, mi accogli così,
farò tardi sempre” - il
quarantaduenne gradisce l’accoglienza riservatagli dopo una
pesante
giornataccia di lavoro, e gode di quel momento.
“Non
provarci nemmeno” – quel commento, a tratti
minaccioso e a tratti giocoso, crea
ilarità.
“Su,
dai datevi questo bacio e andiamo a cenare, ho una fame da
lupi” – sdrammatizza
Tokyo, facendogli la linguaccia - “Beati voi che stanotte
farete le ore
piccole, a me tocca dormire da sola fin quando il mio amore non
arriverà”
“Chi?
Cortes?” – chiede Santiago, cingendo la vita di
Nairobi e appoggiando il mento
sulla sua spalla.
“Rio…si
chiama così, capito?” – precisa la
Olivera.
“Ah,
beh… se si tratta di questo
“Rio”…ti consiglio di aggiungere un
posto alla
nostra tavolata”
“Che?” – esclama Silene, confusa.
L’ispettore,
allora, molla la sua compagna, si volta verso l’uscio e fa
cenno a qualcuno di
avanzare.
“Ciao…”
– timidamente, fa il suo ingresso proprio lui, Anibal.
“Rio!”
– esclama Agata, sconvolta, portandosi una mano sulla bocca.
“Mi
vida” – grida Tokyo, non trattenendo la gioia.
“Che
fai? Non mi saluti?” – le dice, aprendo le braccia
in attesa di accoglierla a
sé e respirare quel profumo che tanto gli è
mancato.
E
Silene lo accontenta subito, compiacendo anche il suo stesso cuore.
Gli
salta addosso, aggrappandosi con le gambe alla sua cinta e, sotto gli
occhi
commossi di Nairobi e dell’ispettore, i due amanti si
ritrovano in un bacio
lungo, profondo, atteso, e decisamente passionale.
“Dove
l’hai incontrato?” – sussurra Agata al
compagno.
“Era
qui davanti. L’ho interrogato per bene, da bravo ispettore,
mi sono accorto
della sua sincerità ed eccolo qui” –
spiega Lopez.
La
gitana gli sorride, fiera, dandogli un tenero bacio sulla guancia.
“Come
potrei andarmene e lasciarti qui” – pensa Nairobi,
riflettendo sul discorso
affrontato con l’amica.
“Ehm,
dovremmo andare a cena o si fredda tutto” –
interviene poi Santiago,
dispiaciuto di interrompere la scena emozionante.
“Certo”
– afferma, radiosa, Silene – “Hai
ragione” - mano nella mano con il suo
ritrovato Rio si può finalmente brindare alla ritrovata
libertà.
“A
proposito…” – aggiunge ancora
l’ispettore – “…sentiti come
fossi a casa tua”
“Grazie,
grazie di cuore”
“Bentornato
tra noi” – lo abbraccia Agata, vedendo ricomporsi,
man mano, i pezzi della sua
vita.
Manca
il tassello fondamentale, però. Quel tassello per cui, chi
comanda il Night
Club, la tiene sotto scacco.
Axel.
La
sua consolazione è sentire la vicinanza di
Bogotà, il solo che potrebbe colmare
quel senso di vuoto e garantirle la serenità che merita da
sempre.
“La
cena è stata ottima” – si complimenta
l’ispettore, sdraiato sul letto che
osserva estasiato Agata, in piedi di fronte allo specchio.
La
gitana è alle prese con una crema corpo che spalma,
delicatamente, sulle
braccia e sul decolté.
Da
quanto tempo non si prendeva cura della propria persona in maniera
così
minuziosa!
Nonostante
il benessere del momento, la zingara ha la testa altrove.
Non
si accorge neppure che l’uomo si è alzato dal
letto ed è esattamente alle sue
spalle.
Le
braccia di lui si adagiano, con dolcezza, sui suoi fianchi, e
può sentire la
barba dell’uomo pungerle sul collo. Il respiro caldo di
Santiago, le mani che
viaggiano lungo tutto il suo corpo, arrivando ad abbassarle la spallina
della
vestaglia da notte, sono il chiaro segnale di un desiderio che divampa.
Nairobi
cerca di non pensare a nulla, cedendo a quei gesti, lasciandosi andare,
e per
la prima volta, non prendendo controllo della situazione.
“Tutto
bene? Ti vedo strana” – precisa
l’ispettore, quando, entrambi sotto le
lenzuola, dopo i teneri ed eccitanti preliminari, sono prossimi al
momento
intimo.
Agata
si chiude nel silenzio; non trova le parole giuste per esprimersi,
mentre di
sottofondo il rumore proveniente dalla camera di Tokyo fa intendere che
anche
l’altra coppia gode del ritrovato amore.
“Ho
sbagliato in qualcosa? Ti prego, dimmelo se è
così. Non voglio farti sentire a
disagio”
“No,
no” – finalmente apre bocca per rasserenarlo, lo
bacia sulle labbra e aggiunge
– “Non sei tu”
“E
allora cosa succede?”
“Non
sei mai stato tu! Sono io il problema”
L’espressione
disorientata del quarantaduenne esorta Agata a spiegarsi meglio -
“La vecchia
Nairobi si sarebbe sfogata in altri modi, come sta facendo adesso Tokyo
con
Rio!”
“Già…
lo so” – le sorride timidamente lui. Ma la sua voce
rassicurante, continua – “Amore
mio, se ti spaventa qualcosa o qualcuno, devi parlarmene, ci
penserò io”
“Sei
così dolce e premuroso” – è
così felice di avere accanto una persona tanto
speciale che non esita a dirglielo, accarezzandolo e osservandolo come
fosse il
suo tesoro più grande.
“Sai,
prima di conoscerti, io avevo altri piani…”
“In
che senso?”
Tirandosi
su, sollevando il cuscino per potersi distendere meglio, la zingara
rivela - “Immaginavamo
il giorno in cui, fuori dal Mariposas, saremmo potute scappare
via”
“E
lo avete fatto, siete scappate via. Siete state super
coraggiose!”
Agata scuote il capo – “Non intendo questo. Dico
… andarcene da Madrid…per
sempre!”
“Beh,
ma perché non c’ero io…adesso che siete
qui, io vi proteggerò, non c’è bisogno
di lasciare la città”
Gli
occhi lucidi della gitana lasciano emergere altro… e
l’ispettore coglie il
nocciolo della questione - “Nairo, cosa stai cercando di
dirmi?” – sente la
terra tremargli sotto i piedi quando gli appare dinnanzi la solita
scena: una
donna che dice di amarlo e che poi va via – “Mi
stai mollando?”
“No,
ascolta, Bogotà. Con il ritorno di Rio, Silene mi ha
ricordata della partenza
che avevamo organizzato insieme, e…”
“Te
ne vuoi andare con loro?”
“Non
lo so!” – spiega, amareggiata.
Saperla
dubbiosa sulla scelta di sparire dalla sua vita, delude Lopez che, non
controllandosi, commenta - “Sei come le
altre…anche tu”
“Ma
cosa stai dicendo?”
“Come
tutte quelle che mi parlavano di amore e sentimenti e che alla prima
occasione,
mi hanno lasciato!”
“Non
è affatto così! Sai bene quanto io sia in
pericolo rimanendo a pochi passi da
quelli lì…la faccenda è seria! Non
è la stessa cosa delle tue ex”
“Ci
sono io, cazzo, Nairobi. Io! Possibile che non riesci a capirlo?
Nessuno ti
torcerà un solo capello!”
Ma
Agata non replica. Lo osserva riconoscendo nei suoi occhi un dolore
penetrante
che combacia esattamente con il suo.
“Io
ancora non ho preso la mia decisione!”
“Beh,
sai che ti dico? Fa’ come vuoi!” – si
alza dal letto, rivestendosi, nervosamente.
Il
tutto sotto lo sguardo della gitana che, cambiando umore, gli risponde
- “Prima
hai voluto sapere cosa mi turbava, e adesso che lo sai ti stai
infuriando! Lo
vedi che facevo meglio a tenermi tutto dentro?”
“No,
no! Troppo facile dare la colpa a me ora. Io sarei il responsabile
perché ti ho
vista star giù e volevo aiutarti? Non funziona
così, Agata”
Si
allontana, dirigendosi alla porta.
“Ora
dove vai?” – chiede la donna, dispiaciuta di averlo
ferito, ma al contempo
frustrata nel doversi sentire sempre e comunque la sola colpevole.
“Voglio
stare da solo. Buonanotte” – con il cuore in pezzi
e la sensazione di aver
sbagliato donna, per l’ennesima volta, Lopez lascia la
camera, sbattendo con
forza l’uscio e si chiude nella propria.
Coricatosi,
solo con se stesso, sfoga in un lungo pianto la sua delusione.
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Capitolo 23 *** 22 Capitolo ***
Quella
notte, Nairobi e Bogotà la trascorrono separati, dopo aver
dormito assieme per
un’intera settimana, durante la quale hanno imparato ad
accettare ed accogliere
uno la presenza dell’altra. Una lenta scoperta di
quell’intenso sentimento
chiamato amore che non credevano possibile poter provare ancora.
Se,
da una parte, c’è Agata, intenta a spiegarsi le
ragioni del comportamento di
Santiago, metabolizzando l’idea che, forse, non la ama al
punto tale da offrirle
la possibilità di scegliere per se stessa,
dall’altra parte c’è proprio
l’ispettore,
chiusosi tra le pareti di quella camera, seduto sul tappeto, con il
viso
rivolto alla finestra e gli occhi fissi su una luna, quella notte
più luminosa
che mai.
Combatte
contro un piccolo io interiore che gli ripete “Lei
è come le altre!”, “Non fidarti
o soffrirai”… pensieri che lo turbano rendendo
difficile guardare all’accaduto
con lucidità.
Avrebbe
molto da rimproverarsi, ma non lo fa! Sente, in fondo, di non essere
nel torto.
Dopotutto,
lui le ha salvato la vita, l’ha portata nella sua casa, le ha
offerto la serenità
e il suo amore, promettendole di proteggerla da chiunque potesse
recarle
offese.
E
Nairobi come contraccambia? Pensando di lasciarlo a Madrid, scappando
via alla
prima occasione con Tokyo e Rio.
Pensa
e ripensa a questo, quando, invece, il suo cuore continua a battere
forte per
Agata. I sentimenti non possono sopprimersi in un battibaleno,
specialmente se intensi
e sinceri.
Se
la testa dice di mandare tutto a puttane e non farsi prendere in giro,
come
accaduto ben sette volte in più di dieci lunghi anni,
l’amore che sente per la
gitana è talmente incisivo da contrapporre a tale freddezza
il peso della sua
stessa coscienza.
Già!
Il cuore gli ribadisce di riflettere sulla sua estrema reazione,
ingiustificata, e su come, al contrario, sarebbe dovuto rimanere
accanto alla
donna, anziché prenderne le distanze.
Quante
volte ha scelto di seguire una logica sbagliata, fatta di
“Chiudo per sempre”, “Basta
prese per il culo”, “La colpa è solo di
lei” … e sta optando, ancora una volta,
per questo modo di pensare tutt’altro che piacevole.
E
mentre rimugina, in silenzio, assistendo, consapevole, ad un litigio
interiore
tra ragione e sentimento, Lopez si estranea dal mondo, e socchiudendo
gli
occhi, lascia che il flash di un passato recente ma di cui non ha mai
avuto nitida
memoria, riaffiorasse come per magia.
FLASHBACK
È
tarda notte e l’ispettore percorre un tratto di strada, a
piedi, per
raggiungere la sua auto, parcheggiata, quel giorno, distante dal
Commissariato.
Ha
ricevuto il messaggio da una delle sue tante ex che gli rammenta
l’assegno di
mantenimento.
Infastidito,
visto il rancore che persiste nei riguardi della ultima delle sue
compagne, le
manda un secco “Ok! Ciao”, non chiedendo neppure
notizie su sua figlia Ivana.
La
relazione con l’ucraina Maria, una donna di incredibile
bellezza, dai capelli biondissimi
e gli occhi celesti, la cui grinta lo lasciò di stucco sin
dal loro primo
incontro casuale, è stata messa a dura prova dalla
lontananza. Lei a Odessa,
lui a Madrid. Una storia che avrebbe potuto avere un prosieguo se non
fosse
stato per un secondo uomo, comparso dal nulla, che seppe conquistarla,
strappandogliela via.
Quindi,
il loro è stato un amore nato all’improvviso e
terminato all’improvviso. Ad unirli
è stata, però, la nascita di una bambina, la
più giovane dei figli di Bogotà,
di cui l’ispettore, ad oggi, sa poco e niente. A parte
qualche fotografia, qui
e lì, e degli sms che si scambiano, sotto la supervisione di
mamma Maria, tra
padre e figlia, così come con gli altri sei eredi, non
esiste legame affettivo
reciproco.
Proprio
quella notte, qualcosa nella vita di lui cambierà,
portandolo a riflettere
sulle priorità di vita. Esattamente dopo ciò che
sta per accadergli, inizierà a
vivere pensando a quanto ha perduto nelle relazioni con i suoi bambini.
Delle
grida spaventose si odono da un vicolo isolato. È notte
fonda, nessuno gironzola
per quelle stradine. È Santiago, che il destino ha voluto da
quelle parti, a notare
il fatto.
“Cosa
cazzo…!” – esclama, correndo nella
direzione da cui sono ben riconoscibili voci
maschili che sovrastano una femminile, evidentemente in pericolo.
Una
donna di cui, ancora adesso, il quarantaduenne ha pochi ricordi,
è tenuta
stretta da un tipo, mentre un altro cerca di alzarle la gonna,
ripetendole di
punirla in qualche modo per qualcosa.
“Che
cazzo state facendo? Lasciatela stare, figli di puttana”
Due
strani tizi, con l’aria tutt’altro che
rassicurante, avevano preso di mira
quella giovane che cerca di ribellarsi, di difendersi come meglio
può, che
grida di non essere toccata.
Ma
uno contro due non è vantaggioso.
Inizia
una colluttazione che si conclude male…molto male!
“Lasciatela
stare, bastardi”
“Altrimenti
cosa ci fai? Sfigato!”
“Vada
via, non si preoccupi”
“Hai
sentito la ragazza? Vattene, che qui vogliamo la nostra
privacy”
Furioso
come non mai, l’ispettore tira fuori la sua di pistola
puntandola contro i due
pericolosi personaggi.
“Uhh
che paura” – ridacchia il più alto dei
malfattori, tirando fuori la sua di arma
– “Vediamo chi la vince questa partita”
“Un
coglione che salva una farfalla indifesa, sei patetico”
– l’altro lo beffeggia.
“Per
favore, lasciatelo stare. Si è solo preoccupato vedendomi
qui. Vengo con voi,
vi supplico, non fategli male” – la preghiera,
sussurrata, dalla donna al suo
molestatore, convince, apparentemente, i due che, al momento, optano
per quella
soluzione.
“Vada
via, prima che cambiamo idea”
Trascinando
la sconosciuta per un braccio, i malfattori ignorano le minacce di
Santiago che
continua ad ordinargli di liberarla.
Così,
lanciandosi un’occhiata complice, i criminali mettono in atto
la mossa finale.
Uno
prosegue il cammino, con la vittima, ben stretta a sé,
l’altro torna indietro, raggiungendo,
con aria di sfida, Lopez.
“Le
consiglio di non intromettersi! Potrebbe finire male”
Lo
sguardo minaccioso e tagliente non spaventa Bogotà che,
mostra il suo coraggio
fino in fondo.
E
proprio quando cerca di schivarlo per correre dietro alla ragazza da
salvare,
condotta chissà dove, Santiago riceve il primo pugno.
Un
pugno che non ha previsto, che non è stato in grado di
respingere. Al primo ne
seguono molti altri.
Segue
una colluttazione che lo mette k.o.
Un
calcio definitivo poi la fuga del malvivente, convinto di aver
eliminato il
problema.
Privo
di coscienza, con gravi danni anche alla testa, Santiago Lopez viene
soccorso per
miracolo.
Di
quella notte, del volto della giovane, così come dei
malfattori, Santiago ha
pochi frammenti. Sa solo che quando ha riaperto gli occhi, era in
ospedale, con
enormi buchi di memoria e lancinanti dolori fisici.
Adesso,
intento a riflettere sulla sua lotta interiore, i frame di quella
notte, riemergono.
Non
sa spiegarsi il motivo. E l’immagine di quella ragazza, di
cui ha sempre avuto
visioni poco nitide, si fa sempre più vivida.
Un
dettaglio, a tratti inquietante, lo fa impallidire.
La
farfalla…
Lo
stesso disegno dell’insegna del Mariposas…
identico… ciondolava al collo della
sconosciuta.
“Cazzo,
era una di loro” – esclama, mentre nella testa
tutto si fa sempre più dettagliato.
I
capelli di lei…gli occhi… la pelle…gli
indumenti…perfino la voce!
Un
tonfo al cuore per lui che, istintivamente, prende il telefonino,
dimenticando
l’orario, e contatta Daniel Ramos, rincasato da Lisbona ben
cinque giorni prima,
senza aver ricavato nulla dalle indagini sul loco.
“Ehi,
amico, ma ti pare questa l’ora di chiamarmi?”
“Scusami,
è che… ho ricordato la notte che sono stato
sparato” – la tensione è percepibile
dal modo in cui parla, dall’affanno, e dalla voce poco chiara.
“Che?”
– chiede, confuso, e assonnato, il trentenne.
“Ecco
perché quel locale mi ha decisamente destabilizzato. Io devo
aver avuto qualche
incontro con gente del posto…e la vittima che ho aiutato
contro dei criminali
era una di loro…”
“Di loro, chi?” – Ramos non connette,
essendo ancora in balia del sonno.
“Una
delle Farfalle! E il suo viso diventa ogni secondo che passa
più chiaro”
“La
conosciamo?”
“Non
solo la conosciamo…è la persona che stiamo
cercando da giorni!! E’ Raquel
Murillo”
|
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Capitolo 24 *** 23 Capitolo ***
Raquel
Murillo! Ecco chi è la donna misteriosa che ombreggia tra i
ricordi di
Santiago. E’ trascorso, da quell’accadimento,
più di un anno, un anno di
ripresa fisica e psicologica, durante il quale l’ispettore ha
lottato contro se
stesso, contro buchi di memoria, contro un vero e proprio tarlo.
Avvertito
Daniel circa la rivelazione su Lisbona, il quarantaduenne si appresta
ad
attendere l’arrivo del collega per discuterne, in piena
tranquillità, lontani
perfino da gente che, al Commissariato, non fa’ che dare
fastidio e provocare. Infatti,
da quando Ramos ha fatto ritorno dal Portogallo, riprendendo con Lopez,
il
ruolo di capo nella risoluzione del caso Mariposas, qualcuno non smette
di
punzecchiare. E questo qualcuno è Gandia, proprio colui che,
approfittando dell’assenza
dei due, pur di mandargli a puttane il lavoro svolto, ha permesso la
riapertura
del Night Club. Ad oggi, con la chiusura improvvisa e inspiegabile del
locale, il
lavoro di Cesar si è interrotto bruscamente, e, di
conseguenza, l’uomo continua
a covare rancore verso i colleghi che considera totalmente inesperti e
perfino
raccomandati.
Mentre
Santiago aspetta l’arrivo del socio, si aggira per casa. Una
doccia al volo,
cambio abito, sistemazione di carte su cui annotare indizi o ipotesi
varie… circola
più volte davanti la stanza di Nairobi, cercando di non dar
peso alla presenza
di lei lì dentro.
La
discussione avuta qualche ora prima gli causa una pazzesca morsa allo
stomaco.
“Lascia
perdere, lascia perdere, lascia perdere” – continua
a ripetersi, per impedire
all’impulsività di entrare in gioco e di
spalancare quell’uscio raggiungendo la
donna.
Quest’ultima,
rimasta sveglia, lo sente eccome. Si accorge dei passi nervosi di
qualcuno,
passi che riconosce immediatamente.
Ma
troppi pensieri le affollano la mente per darle modo di mettere in
stand by
l’orgoglio.
Lei
lo desidera, desidera chiarire con il suo Bogotà,
però desidera anche sentirsi
libera di scegliere per la sua vita.
Non
sa cosa fare.
Martin
Berrotti l’ha ricattata per anni, costringendola a non uscire
dal Mariposas,
usando a suo vantaggio la carta del figlio scomparso. Ma
l’ispettore, con la
sua estrema reazione, le sta impedendo, allo stesso modo, di prendere
decisioni
per il proprio bene.
Rimugina
su quanto prova dentro, cercando di mettere un punto alla faccenda
legata al
Mariposas. Adesso
che l’hanno portata
via da quell’inferno, Nairobi diventa sempre più
cosciente che, forse, Palermo
non ha mai saputo nulla di Axel, e che ha semplicemente sfruttato la
condizione
di mamma in pena, per trattenere la gitana e metterla a tacere.
Quanto
di ciò che le fu promesso al suo arrivo, è andato
in fumo! E tra questi,
Palermo è una delle più sconvolgenti delusioni.
E
mentre pensa a quanti cambiamenti ha visto tra le mura del Night Club,
e quanto
dolore vi ha patito, Agata viene spiazzata da un lontano frammento di
memoria,
legato esattamente al suo bambino, ad un Martin Berrotti differente da
quello
attuale…e non solo! Il frame riguarda anche un altro
soggetto.
*****************
“Forza,
Agata, spingi! Ci siamo quasi…dai”
“Non
ce la faccio più!” – in un bagno di
sudore, esausta, e prossima a cedere alla
debolezza, una giovanissima Nairobi, chiusa da ben sette mesi in un
luogo che
ha imparato a considerare casa, è alle prese con uno dei
momenti più intensi
della sua esistenza.
“Cazzo,
ma fa malissimo, Martin, non puoi immaginare…”
“Sei
o non sei una leonessa? Mostra la tua vera essenza. Ce la puoi fare,
hai più
palle di tanti uomini che io abbia mai incontrato in
quarant’anni di vita”
Strano
da immaginare, ma è proprio Berrotti, l’attuale
nemico numero uno di Nairobi,
colui che la aiuta durante il parto.
“Credo
che questi attributi di cui parli mi servono ben poco ora…
ahi!” – controbatte la
ragazza, piegata dal dolore.
Sembra
arrendersi, nonostante le belle parole di Martin.
L’arrivo
di una persona, alle spalle dell’argentino posizionato tra le
gambe della
zingara, precede la nascita del bebé.
“Salvador”
– esclama, invitandolo a prenderle la mano.
L’uomo,
sulla trentina o poco più, di fascino alquanto innegabile,
con indosso un cappotto
nero, elegante, le accenna un sorriso, e la invita a seguire le
indicazioni del
socio.
“Fidati
di Martin! Spingi”
Palermo
le ordina di farlo subito, per evitare problemi al neonato.
E
Agata, forte del sostegno di chi ha imparato a voler bene, di chi le ha
dimostrato sincerità e protezione, concentra tutte le sue
energie rimanenti in
un ultimo decisivo sforzo.
È
così che è venuto alla luce il piccolo Axel, e
quel pianto è musica per le
orecchie della ventitreenne…il suono più bello
che potesse mai sognare di
ascoltare.
Mai
come in quel momento sente di aver trovato una ragione per vivere. La
ragione
più importante che esista al mondo.
“E’
un maschio” – esclama Palermo, mostrandole un
fagotto sporco di sangue che
adagia subito sul petto della neo mamma.
“Ben
fatto, Agata!” – si complimenta il tipo, sedutole
di fianco, dandole un bacio
sul capo.
“Piccolo
mio, sei bellissimo” – si commuove lei.
Come
avrebbe potuto sbarazzarsi di una creatura così, cedendo
all’ordine della famiglia
di abortire.
Quell’errore
commesso in discoteca, assieme al ragazzo che l’ha presa in
giro, usandola solo
per divertimento, è stato il migliore che potesse commettere.
“Non
so come altro ringraziarvi per quello che avete fatto per
me…e per lui” – si rivolge
ai due, intenti a conversare tra loro.
“Merito
tuo, mia cara, ora dallo a me. Gli farò tutti i controlli
dovuti, un bel
bagnetto, e poi toccherà di nuovo a te. Deve mangiare quanto
prima” – così dicendo,
Palermo prende in braccio Axel e, dopo aver scambiato uno sguardo
complice con
il suo socio, si allontana.
Nairobi,
esausta ma felice, probabilmente anche poco lucida dopo un momento
così intenso,
ode una confessione incredibile di quel tale Salvador.
L’uomo
dice alla gitana di essersi innamorato di lei e di volerla come moglie.
Avrebbe
preso Axel come suo figlio, crescendolo nel migliore dei modi.
La
stessa Agata vede in lui una sicurezza dal mondo esterno e accetta.
Non
lo ama, però gli vuole bene. Questo le basta per dire Si.
Un
Si che da lì in poi vedrà vacillare
l’amicizia con Martin Berrotti.
Unirsi
al capo del Night Club, spinge la zingara ad accettare di entrare nella
cerchia
delle Farfalle.
Si
sente in debito verso quell’uomo e verso la vita che le sta
regalando.
“Unisciti
alle nostre Farfalle. Qui sarai al sicuro, e anche il
piccolo” – questa è la
proposta.
“Dovrei
diventare una vostra spogliarellista?”
“Farfalla…non
spogliarellista!” – precisa Palermo, decisamente
seccato.
È
passato un mese dal parto e dalla confessione d’amore di
Salvador.
“Fa’
lo stesso, in fondo dovrò spogliarmi per degli uomini.
No?”
“La
differenza è che qui sei libera da vincoli, da matrimoni
combinati; poi hai me,
hai una sicurezza, hai il futuro garantito per quel
bambino…nostro figlio”
“Nostro
figlio?” – sentirgli dire parole così
dolci le toccano il cuore, mentre Palermo
sente solo un forte disgusto verso una lei che magicamente non sopporta
più.
Tante
belle parole che ad una giovane donna, con poche certezze nella vita,
bastano
ad abbassare la guardia. Se, i primi tempi, era restia, avendo imparato
da
esperienze passate che alcuni uomini sono imprevedibili e falsi, con il
passare
dei mesi ha riconosciuto in chi le ha dato una mano un’ancora
di salvezza.
La
gravidanza è stata fantastica: non mancava giorno che Martin
si recasse nella
sua stanza per portarle la colazione al letto, o che le cambiasse le
lenzuola,
le portasse abiti nuovi… tutti la trattavano come una regina.
Perfino
i due buttafuori, due serbi grandi e grossi, la rispettavano, come se
il suo
arrivo fosse stato una vera e propria benedizione.
Ad
oggi, Nairobi sa che tali gesti erano spinti dal desiderio di allargare
il giro
di Mariposas.
Infatti,
dopo aver accettato, cominciò a
“lavorare”. Firmò un protocollo, con
clausole a
cui badò poco, ma che le promettevano libertà,
nonostante tutto.
Presa
in giro colossale, visto quanto accade successivamente.
Il
suo Salvador, tanto premuroso con lei, comincia ad avere, nei suoi
riguardi,
una strana attenzione. Non l’attenzione di chi vuole
proteggerla, ma
l’attenzione di chi vuole da lei altro.
Agata
ricorda bene quanto, qualche mese dopo il parto, tale Salvador muta
atteggiamento, presentandosi nella sua camera, rivelandole -
“I clienti mi
hanno confessato che sei la più sexy delle Farfalle,
sai?”
“Sul
serio?”
“Alcuni
avanzano proposte tutt’altro che pulite”
“Che?
E gli hai detto che io non mi concedo a nessuno?”
“Eh,
a dire il vero, loro ti vorrebbero più audace...”
“In
che senso? Io sono questa, che gli piaccia o meno”
Ma
il viso dell’uomo è piuttosto serio e preoccupato,
al punto tale che le
confessa - “Sono nei casini con un cliente. Mi minaccia, ha
detto che se non vede
che qui si lavora come Dio comanda, me la farà
scontare”
“Che
cosa? roba da matti, è da denuncia. Cosa vuole intendere con
“lavorare come Dio
comanda”? vuole che noi Mariposas andiamo a letto con
lui?”
Il
tipo non nega, anzi. Le rivela un dettaglio – “Non
che le Mariposas… ma che UNA
Mariposas..”
“Io?”
– esclama, sconvolta.
“Solo
tu puoi aiutarmi”
“Devo
vendermi? Cazzo, Salvador, ma è una delle clausole del
protocollo, o sbaglio? Noi
Farfalle non siamo autorizzate a fare sesso con nessuno se non per
nostra
volontà”
“Appunto”- commenta lui, facendole
intuire che deve
anche mostrarsi consenziente nel fare ciò che va’
fatto.
Scioccata
e terrorizzata da un mondo che mai avrebbe immaginato così,
Agata lo vede
inginocchiarsi di fronte a lei e supplicarla – “Ti
scongiuro”
Quello
è l’inizio della fine di Agata e del
sopraggiungere di Nairobi, della donna che
non chiede mai, di quella mangiauomini aggressiva e a tratti volgare
che era,
assieme a Tokyo, la più amata dalla clientela.
“Potrei
limitarmi a…sedurlo?” – tali parole sono
una sorta di cedimento della gitana,
che, amareggiata e impaurita, cerca di dover fare del lavoro sporco un
po' alla
volta.
“E’
un inizio” – spiega l’uomo, capendo di
averla ormai convinta.
La
gitana apprende, tramite Salvador, le migliori tattiche per far
impazzire gli
uomini. Lui le insegna a giocare con l’erotismo, modificando
il suo modo di
camminare, di parlare, di divertirsi.
Così,
dalla prima richiesta, divenuta un obbligo, Nairobi sopprime la sua
vera
natura, per compiacere chi le prometteva amore, e che invece la
utilizzava per
i propri sporchi fini.
Si
accorge di essere usata quando, alla vigilia del terzo compleanno di
Axel, trova
un biglietto di Salvador che le dice che sarebbe partito e non avrebbe
mai più
rimesso piede lì, mandando, così, al diavolo la
loro “relazione”, l’ipotetico
matrimonio, il ruolo di padre del bambino, e distrugge la
stabilità che, in
qualche modo, la zingara era riuscita a costruirsi.
Sentitasi
abbandonata, tradita, e senza speranze, la Farfalla, così
come le sue colleghe,
non ha più un ruolo privilegiato agli occhi di chi al
potere. Senza Salvador,
lei è al pari delle altre. Viene affidata al controllo di
Palermo il quale, divenutole
sempre più ostile, la controlla a vista, rammentandole il
suo ruolo dominante a
cui lei deve sottostare.
Non
ha più alcuna libertà, non ha più
certezze.
Le
resta soltanto Axel.
Per
ora…
Al
ricordo di quei momenti, Nairobi, seduta a terra, nella camera di villa
Lopez, trattiene
le sue emozioni più del dovuto.
Quanto
ha dovuto sopportare nella sua vita prima di allora!
E
Santiago le è sembrato la via d’uscita da tale
agonia. Proprio come le sembrò, all’epoca,
Salvador!
C’è
un abisso, però, tra i due uomini. Uno la usava,
l’altro la ama davvero.
E
proprio il sentimento che la lega a lui, la frena nel prendere la
decisione
finale.
Madrid
le ricorda troppo il male sopportato negli anni, e una boccata
d’aria pulita le
può fare solo che bene. Ma, dall’altro lato, che
senso avrebbe vivere una vita
a metà, sapendo una parte del suo cuore, distante km da lei?
Ha
già perduto Axel, non può perdere un altro
fondamentale pezzo di sé.
“Nairo,
che succede? Perché stai urlando?”
“Cazzo,
Tokyo! Axel è sparito!”
“Come,
è sparito? Che significa?”
“Che non è qui, non è al primo piano,
non è in giardino…”
Quella
notte, durante la quale Agata viene costretta da Palermo a fare gli
straordinari vista la febbre di una collega, diventa l’incubo
di una mamma che
perde suo figlio.
Tutto
il Mariposas si mette alla ricerca, perfino Martin, consultatosi con il
suo
Superiore, il signor Dalì, nuovo boss assoluto da ormai un
paio di mesi.
Di
Axel nessuna traccia.
La
vita che ha preso in giro la gitana sin dal principio, continua a
farlo. La priva
della unica fonte di felicità.
Da
quel momento in poi, nulla sarà più come prima.
Agata
smette di esistere, di lei resta un corpo che si spegne, che si
abbatte, e che
diventa, inevitabilmente, di proprietà del Mariposas.
|
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Capitolo 25 *** 24 Capitolo ***
24
CAPITOLO
La
chiusura del Mariposas, che persiste da ormai sette giorni,
è un evento
particolarmente significativo per chi vi lavora da anni. Non
è mai accaduto che
ci fosse un periodo di pausa tanto lungo.
E
di questo si meravigliano i pochi dipendenti ancora residenti tra
quelle mura,
mentre assistono, impassibili, ai grandi cambiamenti previsti per il
rinnovo
del locale.
Martin
Berrotti ha scelto il modus operandi migliore che giustificasse la
decisione di
serrare il Night Club.
Quale
scusa più adeguata se non quella del rassetto del posto?
E
non si tratta solo di ritinteggiare le pareti, cambiare gli
arredamenti, o
ampliare le zone privé…in una settimana il
riordino prevede anche faccende di
altro tipo.
“Allora?
Si è ripresa? Come sta?”
“Fortunatamente
è sana e salva! Tranquillo che appena possibile Manila
sarà in piene forze e
tornerà al suo lavoro”
Spiega
il signor Dalì, in una delle quotidiane conversazioni,
faccia a faccia, con
Palermo.
“Piuttosto…”
– continua poi – “Tua sorella ha deciso
cosa fare con la storia della
gravidanza?
Berrotti
è molto preoccupato per le scelte di Monica, non essendo
riuscito a farla
ragionare come sperava.
Però,
un barlume di speranza c’è…
“Anche se lei si dimostra intenzionata ad abortire,
non l’ha ancora fatto”
“Bene,
questo è positivo”
“Ho
provato a farla riflettere, a dirle che mi sarei occupato io del
bambino. Ma
nulla, continua a sostenere di non volere questo figlio”
“Liberati
di quella pillola, Palermo. Non deve assolutamente prenderla”
“Ho
tentato, però non ho ancora scoperto dove la tiene
nascosta”
“Allora
bisogna vigilarla al massimo. Stalle dietro, notte e giorno. Spiala, se
necessario. Ordina ai due serbi di farlo per te, nei casi estremi.
Tutto purché
lei decida di continuare la gravidanza”
“In quanto suo fratello maggiore, è ciò
che faccio da una vita” – precisa Martin.
“Non
sempre tra fratelli, o tra parenti, esiste questa implicita
condizione” – aggiunge
il signor Dalì senza approfondire la questione.
Nel
frattempo, la bionda, è serrata nella sua stanza. A farle
compagnia è l’installazione
di un televisore e degli snack che frenano le voglie giornaliere. In
quei sette
giorni di pausa dal “lavoro” ha avvertito la
mancanza delle colleghe,
nonostante non esistesse un’amicizia forte. Per di
più, non passa notte con
incubi che le ricordano della morte della povera Manila.
O
meglio, una morte che lei crede sia avvenuta.
In
realtà, il soccorso immediato e le cure necessarie, hanno
dato i frutti
sperati. La bella Julia è sana e salva, certamente debole ma
in vita.
Seduta
sul suo letto, fissa, in silenzio, il suo ventre piatto.
Una
mano istintivamente si adagia su di esso e le rammenta che la creatura
che si
trova lì dentro potrebbe essere la sua rinascita,
così come la sua sconfitta
più grande.
“Sei
ancora sicura di volerlo fare?” – la voce di
Palermo, giunto in tale istante,
fa sobbalzare la riccia che distoglie i pensieri dal bambino.
“Sono
libera di decidere per il mio corpo almeno stavolta?”
– sbotta lei, tenendo il
broncio al parente.
“Lo
vedi che sei incerta anche tu? Se fossi
stata convinta l’avresti ingoiata appena Helsinki te
l’ha consegnata. Invece,
ad oggi, non hai la forza per farlo”
“Piantala, non metterci il carico da 11. La situazione
è già complicata di suo,
non voglio che ci sia tu a ripetermelo fino allo sfinimento”
– replica lei,
combattuta da mille paure.
“Cos’è
che ti frena da mandare giù quella
pillola? E cosa invece ti spinge a volerlo fare? Spiegami
perché io non
capisco” – Martin, con fare premuroso, siede di
fianco alla bionda,
mostrandogli la sua vicinanza.
“Cosa
credi? So cosa succede qui quando una di
noi resta incinta”
“Che
intendi dire?”
“Nulla”
– risponde Monica, evitando di
approfondire l’argomento.
“Nulla,
un corno! Sai qualcosa che ignoro?”
“Piantala,
Martin. Inutile che fingi con me”
Berrotti
la guarda, confuso, e non riesce a
trovare spiegazioni al comportamento bizzarro di Stoccolma.
“Io
non vi regalerò mio figlio, per permettervi
di farne ciò che volete, chiaro?”
Ed
ecco che viene alla luce la reale intenzione
che Monica nasconde da settimane.
“Quindi,
stai ammettendo che il non volerlo era
una menzogna?”
“Non
lo voglio perché non merita di vivere
questa merda di vita, capisci?”
La
giovane Monica Gaztambide, non più tanto
ingenua e succube dei potenti, tira fuori gli artigli.
Con
gli occhi lucidi, lascia emergere una paura
indomabile.
“Nessuno
gli farebbe del male, lo sai bene”
“No! Non so nulla, Martìn. Così come
non sapevo che schifo di futuro mi
attendeva quando decisi di mettere piede al Mariposas. Tu mi avevi
promesso
sicurezza…”
“E
te l’ho offerta!”
La
bionda scuote il capo, sconvolta dalla
risposta del fratello – “Seriamente sei convinto
che dovermi spogliare, ballare
audacemente, a volte andare a letto con i clienti, sia stata la
sicurezza che
volevo?”
Berrotti
abbassa lo sguardo, cosciente di non
averle donato una effettiva protezione –
“Perdonami, non pensavo odiassi tanto
questa vita”
“Io sognavo di innamorarmi, di sposarmi, di avere tanti
bambini…e guardami! Al pari
delle puttane”
Il
gergo non abituale della giovane donna,
spiazza totalmente Berrotti che, con aria incredula, cede al senso di
colpa e
le offre la via di salvezza.
“Allora
vattene, cosa aspetti? Prendi le tue
cose e sparisci!”
La
delusione e la tristezza traspaiono da ogni
sua parola, invadendo l’ambiente di pesantezza.
“Vattene!”
– ripete lui, alzando la voce – “Sei
come le altre, un’irriconoscente. Va’ pure e ti
accorgerai, appena lo farai,
che là fuori è peggio che qui. Non hai nessuno,
Monica”
“La
libertà. La sola cosa che voglio”
“Nairobi
e le sue idee strampalate hanno inciso
anche su di te?”
“Non
c’entra nulla Nairobi. Smettila di pensare
sempre a quella donna. L’astio nei suoi confronti
è ingiustificato. Hai preteso
che la detestassi anche io, quando, in realtà, sogno da
sempre di assomigliarle”
Esterrefatto
dalla difesa di sua sorella nei
confronti della gitana, e specialmente del paragone con lei, Palermo
vorrebbe
gridarle in faccia che tale disprezzo verso la zingara è
più che legittimo e
che rivelargli di quel suo desiderio di imitarla, sono
l’ennesima pugnalata.
“Non
puoi capire! Fa’ come vuoi…apri quella
porta e vattene. Ma ricorda che se superi il confine, non potrai
più tornare indietro”
– percorre pochi metri che lo separano dalla porta, con una
forte morsa allo
stomaco, mentre nella sua mente di affollano pensieri, paure, ricordi
di un
recente passato…macigni che pesano sul suo cuore.
“Ti
auguro di trovare un amore corrisposto…
solo così sarai libera!”
Così
dicendo si appresta ad affrontare
l’ennesimo abbandono, chiudendosi in un rancore, che aumenta
a vista d’occhio,
verso chiunque lo ha costretto a una vita di merda.
Cammina
a passo lento, faticando a sostenersi,
schiavo di una debolezza emotiva e mentale che incidono su quella
fisica.
Adagiandosi
alla parete, trattiene la rabbia e
la voglia di gridare e piangere disperato.
Il
flash che si palesa di fronte ai suoi occhi,
come fosse visto, per la prima volta, dall’esterno,
è l’esatta notte che cambiò
per sempre le sue certezze.
La
notte in cui scoprì che i sentimenti nutriti
per l’uomo che ama, sono unilaterali… un uomo,
venerato come un Dio…un uomo per
cui ha sacrificato se stesso e il suo reale essere …. un
uomo che, senza minimo
interesse verso di lui, sferra la decisiva pugnalata al cuore, rapida e
profonda
…quella pugnalate che ha segnato il suo animo per sempre.
E
la voce di quel Lui rimbomba nella sua testa
come un martello pneumatico….
La
voce di chi non ha esitato a raccontargli
dettagli intimi di notti infuocate.
“Andrés,
che succede? Sei qui ma sembri
altrove”
“Scusa,
amico! E’ che non avrei mai immaginato
che quella zingarella che abbiamo accolto mesi fa potesse eccitarmi
tanto”
“Eh?”
Così,
notando lo shock e la confusione dipinti
sul viso di Palermo, il signore in questione gli dà una
pacca sulla spalla e
aggiunge – “Intendo Agata. Cazzo, Martin, non puoi
immaginare quanto fuoco
abbia dentro quella giovane donna”
“Ehm…
quindi ti diverti con lei, la usi e
basta?” – chiede Berrotti, fingendo scarso
interesse. In realtà è proprio da
quel preciso istante che la gelosia prende il sopravvento. E la gitana
verso
cui nutriva una profonda tenerezza inizia a diventare un ostacolo e una
croce
per i suoi sentimenti.
“Chissà…
potrei abituarmi ad averla vicino” –
si lascia andare il tipo.
“Che
cosa hai appena detto?” – esclama
incredulo Martin – “Andres, ma tu non sei il tipo
che…”
“Che
prende seriamente una relazione? Beh…
forse stavolta le cose sono differenti. Forse Agata ha saputo toccare
le corde
giuste. Forse sono io che sono cambiato…”
“O forse ti è andato di volta il
cervello” – commenta Palermo, decisamente ed
evidentemente alterato.
“Piantala
con le gelosie adolescenziali. Quando
eravamo ragazzini, ci poteva stare…ma ora, direi anche
basta, no?”
“Da
quando in qua usi un gergo giovanile? La Jimenez
ti ha influenzato anche su questo? Oppure hai preso, finalmente, in
considerazione uno dei tuoi cinque figli?” – la
frecciatina di Berrotti
colpisce a pieno l’amico che, infastidito da una palese
critica, lo ignora.
“Torna
a lavorare. Abbiamo una nuova Mariposa
da accogliere”
Il
socio annuisce, mentre lo ascolta spiegare
la storia della nuova inquilina, una certa Tokyo.
“Vai
da lei adesso?” – chiede l’innamorato
ferito, guardando Andres allontanarsi, diretto alle scale per salire al
primo
piano.
Ma
quest’ultimo non lo degna della minima
considerazione. Prosegue il suo passo, pronto a dilettarsi
nell’ennesima notte
di focosa passione.
Ciò
che accadde quella sera, qualche mese dopo
la nascita del piccolo Axel, figlio di Nairobi, resta scolpito nella
memoria di
Palermo, decisamente ferito dal totale menefreghismo di chi, per anni,
era
l’oggetto dei suoi sogni.
Oggi
che tutto nella sua vita è cambiato, che
colui che amava sopra ogni cosa ha lasciato le redini del Mariposas,
Berrotti
cerca distrazioni in Helsinki.
Si
diverte con il serbo, pur di non pensare
allo schifo di vita che si è creato e nella quale ha
costretto sua sorella
minore.
Una
responsabilità di cui si è fatto carico
alla morte dei loro genitori.
Coinvolto
dal progetto del Night Club, voluto a
tutti i costi dal suo migliore amico, Andres De Fonollosa, ha ceduto al
piacere
del denaro e, in primis, all’infatuazione per il socio in
affari.
Ma
il Mariposas richiedeva Farfalle…e Monica,
affidatagli, e di cui era tutore, era, all’epoca, quella
più adeguata a seguire
i piani del locale.
“Cosa
cazzo hai combinato? Hai detto che poteva
andarsene? Ma sei impazzito?” – lo rimprovera,
duramente, il signor Dalì.
“Fidati,
tornerà. Lì fuori, da sola, senza
nessuno, non andrà molto lontano”
“Manda
qualcuno a sorvegliarla. Entro 24 ore la
rivoglio qui! Chiaro?” – il tono intimidatorio del
Boss, inquieta perfino Martìn
che annuendo, si allontana per delle chiamate.
“Ehi…sono
Palermo. Ascolta, voglio una scorta
che segua Stoccolma. È urgente… è
appena andata via dal Mariposas. Fate in modo
che torni indietro…” – chiusa
conversazione, Berrotti si appresta ad una delle
prime notti in piena e totale solitudine, divorato dal dolore, dalla
rabbia e
dal senso di colpa per le condizioni di infelicità a cui ha
condannato non
solamente se stesso, ma perfino sua sorella.
********************************************
“Sono
arrivato il prima possibile” – comunica Daniel,
mettendo piede nella villa
Lopez, accolto da una rapida pacca sulla spalla da parte del socio che
gli dice
– “Entra, sistema la tua roba dove ti pare.
Dobbiamo muoverci quanto prima, perché
abbiamo perso fin troppo tempo”
Bisogna
fare un bilancio dei fatti, e, al momento, la situazione è
in stallo.
“Hai
detto di aver salvato la Murillo, un anno fa. Beh direi che la
soluzione è
scavare tra i tuoi ricordi”
“Amico,
non hai idea di quanto mi ci sia voluto per far riaffiorare quel
frammento di
vita?””
“Forse
è ancora oscuro qualche dettaglio. Ad esempio, che faccia
avevano i due
criminali che ti hanno aggredito?”
“Non
ne ho la più pallida idea. I loro volti sono un buco nero.
Però se sentissi
almeno le loro voci, sono sicuro che saprei identificarli”
“Allora…pensiamo
ed agiamo su ciò che conosciamo”
“Cioè…nulla!
Un fallimento totale, Daniel”
“Vanno
interrogate le Farfalle…e quel tale Cortes! Abbiamo poche
scelte”
“Ho promesso loro che le avrei tenute fuori e che sarebbero
stati tutti e tre
al sicuro”
“E
sarà così. Ma non possono essere del tutto
estranei ai fatti. Soprattutto la
tua fidanzatina…lei ha vissuto qualcosa di forte da poter
essere la testimone
più rilevante”
“A parte che non è la mia fidanzata”
– commenta l’ispettore maggiore, turbato.
“Che
succede? Già avete litigato?”
“Lascia
perdere! Ti avviso che i miei ospiti sono in partenza”
“Cosa? Cazzo, che stiamo aspettando? Va’ a
chiamarli. Devono aiutarci. Ti
devono un favore” – sostiene deciso Ramos.
“Io
non faccio nulla per ricevere qualcosa in cambio…”
“Lo
so, ma adesso è una nostra priorità. Abbiamo
interrogato tutti…perfino la
piccola Paula. Non vedo perché non possiamo farlo con due
colleghe di Lisbona e
con il tizio che sia Berrotti che Stoccolma avevano messo in mezzo,
lasciando
pensare chissà cosa…”
Le
teorie del figlio del commissario, effettivamente, sembrano la sola
ultima
speranza di raccolta di informazioni utili ai fini delle indagini.
“Già! Forse hai ragione...” –
riflette il quarantaduenne, che sembra convincersi.
Hanno poche carte da giocare – “A proposito, quando
ti ho lasciato solo in
Portogallo, non hai scoperto nient’altro su famiglia e amici
di Raquel?”
“Lo
ripeto, socio…no! La signora Marivi mi ha chiesto chi fossi
ben dieci volte, in
quei due giorni. Paula era molto riservata, con me non si è
riuscita a
sciogliere come ha fatto con te. Alison Parker, beh…la
moretta ha pensato bene
di provarci con me, ma io elegantemente l’ho
rifiutata…”
Mentre
racconta, vanta anche il suo sex appeal con le donne, suscitando una
risata
distesa del collega.
“Non
ci credo! Tu che rifiuti una ragazza? Che ti succede, Dani?”
“Beh…
voglio risolvere la questione Mariposas quanto prima. Sono convinto che
debba
essere salvata anche Stoccolma; quella poverina è la sola
rimasta in prigione”
“Sul
serio pensi alla biondina?”
“Cosa
c’è di male?” – risponde,
imbarazzandosi, il trentenne – “Voglio portarla via
da quell’inferno. Anche tu, dopotutto, hai fatto lo stesso
per Nairobi”
Precisamente…
Santiago ha giocato il tutto e per tutto pur di aiutare la bella
gitana. E
adesso corre il rischio di perderla. O meglio, la sta
perdendo…con il suo
comportamento e le sue paure sta mandando a rotoli una relazione che
credeva,
finalmente, quella giusta.
“Dai,
che aspetti? Vai a chiamarli. Se vuoi digli che l’insistenza
è stata la mia, e
che tu c’entri poco e nulla” – insiste
Daniel, affrettando i tempi.
Accettando
la caparbietà del collega, mai così deciso come
in quell’occasione, Lopez si
avvia, inizialmente verso la stanza di Tokyo e del compagno, pronto a
porre alla
coppia l’ennesima scottante e delicata richiesta.
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Capitolo 26 *** 25 Capitolo ***
Tokyo
e Rio accolgono Santiago, giunto alla loro porta, mentre sono
indaffarati a
preparare alcuni borsoni con la roba che l’ispettore gli ha
ceduto per vivere
dignitosamente.
Lopez
ha, davanti agli occhi, la prova della partenza e del conseguente
addio, di
quelli che hanno abitato le sue mura e a cui, volendo o non volendo, si
è
affezionato.
E
il macigno che pesa sul cuore dell’ormai Bogotà
è inevitabile.
“Cosa
succede?” – chiede Silene, intenta a ripiegare una
t-shirt.
“Ho
bisogno del vostro aiuto” – spiega il
quarantaduenne, sentendosi decisamente
scomodo nella richiesta.
“Certo,
dicci tutto” – risponde Anibal, accortosi subito
dell’aria preoccupata dell’uomo
che gli ha aperto le porte di casa sua.
“Una
vostra testimonianza” – senza giri di parole,
Santiago va dritto al punto.
Tokyo,
spiazzata, si interrompe nel suo da farsi, spostando, lenta, lo sguardo
sul
quarantaduenne – “Stai scherzando, spero! Credevo
avessimo deciso che…”
“Si,
Tokyo, lo so e mi dispiace coinvolgervi ancora. È che, voi
siete in partenza, e
noi necessitiamo di quanti più dettagli possibile”
“Io
non so nulla oltre ciò che ti ho raccontato il primo
giorno” – sostiene la
Olivera, amareggiata dalla promessa infranta –
“Inutile che mi tempestate di
domande, per l’ennesima volta. Otterrete gli stessi
risultati”
Infastidita,
getta una camicia sul letto, allontanandosi per raccogliere i restanti
pezzi in
bagno e sistemarli nell’apposito borsone.
“Perdonala,
Santiago. Io, se avete bisogno, ci sono”
“Ti
ringrazio, Anibal” – risponde Bogotà,
dandogli una pacca sulla spalla.
“Ti
aspetto nel salone. Comprenderò se Tokyo non
vorrà intervenire…” –
così
dicendo, l’ispettore lascia la coppia nuovamente da sola.
È
in tale momento che Rio raggiunge la compagna, notando il nervosismo in
lei.
“Mi
amor, perché sei così restia nel dare una mano a
chi ti ha salvato la vita?”
“Non
è per recargli un dispiacere. Sai bene che, per chiunque si
dimostra umano
verso di me, io do il cuore… ma Santiago ci aveva promesso
che…”
“Ma, Silene, in casi di questo tipo, dove gli eventi si
susseguono senza avere
modo e tempo di gestirli, tutto cambia rapidamente. Non si
può dare per
assodato qualcosa… come tu necessiti di fuggire da Madrid,
Lopez ha bisogno di
chiudere la sua indagine”
“Nairobi non la prenderà bene”
– commenta la Olivera, spostando l’argomento
sulla gitana.
“La
prenderà come l’hai presa tu, immagino”
“Forse anche peggio. Avvertirà il peso di questa
invasione di privacy…”
“Se
avete raccontato i fatti come li avete vissuti, non trovo alcun
problema
nell’esporli ancora” – sostiene Cortes,
decisamente confuso dai comportamenti
delle due Farfalle – “Se non avete nulla da
nascondere, perché alzate questi
muri contro la giustizia?”
“Mi
vida, conosci quanto di losco si cela in quel dannato Night
Club”
“Già”
“Comprenderai
che per le sottoscritte parlare è dura…ricordare
è dura… e più riportiamo a
galla vecchi ricordi, più diventa complicato poter
dimenticare e ricominciare
da capo. Nairobi e io desideriamo solamente abbandonare i panni di
Mariposas.
Siamo stanche di identificarci nelle vesti succinte di spogliarelliste.
Non
vogliamo avere più niente a che fare con quel posto e con
quella gente”
“Proprio
per tale ragione, prima collaboriamo, prima gli ispettori risolveranno
il caso
di Lisbona, prima potremo iniziare una nuova vita. Vieni con me, Tokyo.
Metti
da parte il dispiacere per la promessa non mantenuta. Ne va’
della tua felicità
e del tuo futuro” – le porge una mano, cercando di
convincere la fidanzata ad
unirsi nell’interrogatorio.
A
Rio basta poco.
Silene
accetta, seppure con un peso sullo stomaco… credeva fosse
tutto finito; invece,
al momento è costretta a tornare ad indossare i panni di
Farfalla.
Bogotà,
nel frattempo, giunge davanti la porta della camera di Agata.
Deve
chiedere anche alla gitana di testimoniare, di nuovo.
È
una fatica enorme farsi avanti e affrontarla dopo la litigata.
Eppure
il tutto viene facilitato dall’improvvisa apertura
dell’uscio da parte della
stessa Nairobi.
“Che
fai qui, fermo come una statua?” – chiede lei,
stranita, accortasi di un’ombra riflessa
e giunta alla porta appositamente per controllare di chi si trattasse.
“Ehm…ecco
io…” – l’agitazione
dell’ispettore nel vedere la donna con cui discusse qualche
ora prima, è percepibile.
“Sei
qui per farmi un’altra scenata?”
Combattuto
se chiederle scusa per l’eccessiva reazione, o rafforzare la
sua tesi, il
quarantaduenne esita dal rispondere.
Ma
la zingara non coglie nel turbamento dell’ispettore la causa
dovuta
all’interrogatorio imminente. Ipotizza sia dovuto al loro
litigio.
“Che
strana la vita” – commenta lei, rientrando in
stanza, dando modo a Santiago di
mettervi piede, seguendola.
L’uomo
si chiude l’uscio alle spalle, ascoltandola in silenzio.
“Stavamo
per fare l’amore, poi…una parola di
troppo…e ora a stento ci guardiamo negli
occhi”
Avvertendo
la responsabilità di quanto accaduto, Bogotà lo
conferma – “So di avere le mie
colpe, ma ti ho parlato del mio passato, di come sono stato abbandonato
da ben
sette donne. Avresti potuto prevedere la mia
reazione…”
“Ma
se mi hai attaccato senza che dicessi qualcosa per
spiegare...” – aggiunge la
zingara.
Il
confronto tra i due, dopo una notte insonne, è necessario a
chiudere il
discorso rimasto in sospeso e mettere la parola fine a inutili
dissapori.
“Perdonami”
– risponde Lopez, realmente amareggiato e cosciente di aver
alzato i toni inutilmente
– “Però, le mie scuse sono vane,
giusto?”
“Che
intendi dire?”
“Che
te ne andrai lo stesso. Tokyo e Rio hanno preparato dei borsoni e
partiranno
quanto prima. Li seguirai?”
La
questione così delicata e dolorosa per Nairobi è
stata l’assillo che, nelle ore
di solitudine, l’ha dominata con prepotenza.
“Non
lo so. Non so più nulla. Fino a qualche settimana fa avevo
chiaro in mente cosa
fare della mia vita, una volta lontana dal Mariposas. Ma conoscerti e
innamorarmi di te non era nei miei piani”
“Lo
stesso vale per me, Nairobi. Però…questo
imprevisto che entrambi non potevamo
prevedere, è stato l’imprevisto più
bello che potesse capitarmi”
La confessione di Bogotà, mista all’imbarazzo nel
pronunciare tali parole,
imbarazzo che credeva superato verso di Agata, tocca il cuore di
quest’ultima.
Sentirlo
e vederlo talmente dolce e fragile basta ad eliminare quanto avvenuto
poco
prima.
“Ho
agito da immaturo ed egoista. Ti chiedo di nuovo perdono,
Nairo” – con il capo
chinato e gli occhi bassi, come un bambino che fa una marachella e se
ne
vergogna, l’ispettore si lascia andare perfino a qualche
lacrima.
Ed
è solo allora che la zingara gli si avvicina e lo abbraccia.
Gli
accarezza i capelli, mentre lo sente stringerla con forza e nascondere
la testa
sul suo collo.
“Vorrei
tanto restare con te a Madrid…” –
sussurra la donna al suo orecchio, fortemente
combattuta nel prendere la decisione più giusta al suo
benessere.
“Non
posso vivere senza di te” – confessa il
quarantaduenne, singhiozzando.
Seguono
minuti di silenzio, durante i quali la coppia gode della vicinanza.
Che
piacere potersi inebriare l’uno del profumo
dell’altra, e di riscoprirsi più
innamorati che mai.
Man
mano che i secondi scorrono, e i corpi si appicciano, così
come i loro cuori
che battono all’unisono, Santiago avverte dentro di
sé quanto sia essenziale la
presenza di Agata nella sua quotidianità. Ed ecco che si
lascia totalmente andare,
giungendo a dire cose che, fino a minuti prima, non avrebbe mai
pronunciato – “Sono
disposto a venire via da questa città e di mandare tutto al
diavolo pur di
starti accanto”
E
Nairobi, spiazzata da tali dichiarazioni, ricorda inevitabilmente le
parole di
Tokyo della sera precedente.
“E
tu cosa hai deciso di fare? Verrai via con noi come avevano stabilito
mesi fa?”
“Non
so più cosa fare, a dire il vero!”
“Per
via di Santiago? Beh…potrebbe venire con noi, no?”
“Toky,
lui ha il suo lavoro qui. Non ho intenzione di metterlo di fronte a un
aut aut”
“Però
tu qui sei in pericolo, Nairo, e lui ne è consapevole. Se ti
ama sul serio, non
avrà dubbi”
“Non
voglio perderlo, ma… no…non posso
andarmene…”
“Proprio
perché non vuoi perderlo, mettilo di fronte al fatto
compiuto! Vedrai che sarà
la prova del nove, hermana, perché capirai cosa nutre
davvero per te! Anche se
io sono stracerta del suo amore”
Esattamente
come le disse Silene nei minuti prima del rientro a casa
dell’ispettore e dell’arrivo
di Rio alla villa, Santiago dà prova certa dei suoi
sentimenti, e questo basta
a Nairobi per prendere la decisione della vita.
Così
gli chiede, per avere certezza assoluta - “Partiresti con
noi?”
L’uomo
solleva il capo, incrociando gli occhi commossi della gitana.
Le
sfiora con tenerezza il viso, estasiato dalla morbidezza della sua
pelle – “Sarei
un coglione a perdere la donna che amo. Prima ho agito come il solito
Santiago.
Ma adesso…adesso sono Bogotà. E Bogotà
non abbandonerebbe mai Nairobi, costi
quello che costi”
Emozionata
e con il cuore a mille, Agata lo bacia sulle labbra. Un bacio delicato,
dolce, che
sugella un momento da immortalare tra i suoi ricordi.
Godendo
a pieno di tali istanti, il quarantaduenne sembra aver messo da parte
la
principale ragione per cui si è recato nella stanza della
zingara.
Ed
è Rio, assieme a Tokyo, a riportarlo con i piedi per terra.
La
coppietta, infatti, notando il ritardo di Nairobi in salone, dove
Daniel è
intento ad attenderli, si è recata esattamente nella camera.
“Che
succede?” – chiede la Jimenez ai due, trovandoli
sull’uscio.
“Stiamo
aspettando te, amica mia, sbrigati” – risponde
Silene, mostrandosi mansueta nei
toni, per merito delle parole del suo ragazzo che ha saputo
tranquillizzarla
dopo l’attimo di nervosismo.
“Per
quale motivo?” – domanda, stranita, Nairobi.
“Ehm…”
– i fidanzatini, imbarazzati, intuiscono che il padrone della
villa non ha
ancora rivelato il motivo di quell’incontro in salotto.
Quindi, con una banale
scusa se la danno a gambe, lasciando la gitana nuovamente sola con il
suo compagno.
“Si
può sapere che cosa sta succedendo?”
“Ecco
io… vedi, Nairo… prima che tu fraintenda quanto
sto per dirti, sappi che la
richiesta che ti faccio non ha nulla a che fare con il nostro
rapporto”
“Eh?”
– esclama, confusa – “Arriva al punto, ti
prego”
“Ehm…le
indagini su Raquel continuano. Abbiamo bisogno di voi…di
nuovo”
Agata
solleva un sopracciglio, spiazzata – “Cosa? Non
dirmi che…”
“Non
ti arrabbiare, ti prego”
“Non
mi arrabbio, però sai come la penso. Ci avevi promesso che
eravamo fuori da questa
storia”
“E lo siete. Ma prima di lasciare Madrid, vorrei mettere la
parola fine a
questo caso e salvare Lisbona”
Nairobi,
indietreggia, tornando cupa e silenziosa, il che causa un dispiacere in
Bogotà.
“Ecco,
lo sapevo, ti sei incazzata di nuovo. Non era mia intenzione. Daniel
è un
coglione…mi ha messo nei casini per
niente…”
“Shhh”
– lo zittisce lei all’improvviso –
“Siediti qui” – lo invita a prendere
posto
sul letto, accanto a dove si è appena seduta.
“Agata,
non voglio deluderti più, se non te la senti, lasciamo
perdere” – premette l’ispettore.
Tale
premura fa sorridere Nairobi che, invece, contrariamente a quanto si
potesse
ipotizzare, non alza muri e barriere.
“Mi
fa male ricordarlo, mi farà ancora più male
raccontarlo a voce… però, basta patire
in silenzio”
“Sei
sicura di volerlo fare?”
La
gitana annuisce e con
le mani tremanti si accinge a raccontare ciò che ancora
nessuno conosce del suo
passato.
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Capitolo 27 *** 26 Capitolo ***
“Perché
quei due tardano ancora?” – chiede Daniel,
guardando l’orologio, constatando che
Santiago si è allontanato per convocare le Farfalle ben
mezz’ora prima.
E
Tokyo e Rio sono lì in salotto dalla metà di quel
tempo.
“Puoi
cominciare con noi due” – interviene Anibal, pronto
all’interrogatorio, con
aria decisamente seria e tranquilla.
“Ti
vedo molto deciso e questo fa ben sperare, amico” –
commenta Ramos.
“Cominciamo
allora! Sicuramente l’ispettore Lopez è
indaffarato con Nairobi” – aggiunge Silene,
preoccupata di una ipotetica e tragica reazione della gitana una volta
saputo dell’ennesimo
vis a vis con i rappresentanti della polizia.
E
così, il trentenne, prende parola - “Anche se
manca la Jimenez, e il mio
collega è altrove vorrei
chiudere la
faccenda. Poi vi lasceremo liberi per sempre. È nostra
premura precisare che
non faremo i vostri nomi sui verbali, così che il qui
presente Cortes non sia
immischiato in nulla” – la decisione e compostezza
del trentenne, così come il
suo modo di parlare, spiazza la Olivera, che lo ha conosciuto
decisamente più
infantile e meno responsabile.
“Quando
hai preparato questo discorso?” – lo punzecchia,
quasi divertita.
Rio
la guarda, confuso, ignaro del temperamento di Daniel, differente da
ciò che
adesso sta manifestando.
“Un
po' di serietà, per favore! Forza, Tokyo…tocca a
te”
“Io
ribadisco quanto ho già raccontato circa dieci giorni fa.
Lisbona non era mia
amica, non so cosa può esserle accaduto”
“E
come mai c’è chi ha messo in mezzo il tuo
ragazzo?” – chiede il figlio del
commissario.
“A
questo rispondo io” – interviene lo stesso Cortes,
attirando su di sé
l’attenzione.
“Martin
Berrotti non mi voleva tra i piedi. Cercò di ostacolare la
mia storia con Tokyo
e sicuramente mi ha coinvolto perché potessi essere reso
colpevole e sbattuto
in galera, così si sarebbe liberato di me”
“E
l’avrebbe fatto senza prove certe che ti potessero
incastrare? Mmh, io penso,
invece, che sia stato un modo per sviarci e spostare
l’attenzione su altro che
non riguardasse il Night Club” – riflette il
trentenne ad alta voce.
Poi
torna alle domande e si rivolge ancora ad Anibal - “Quindi mi
assicuri che
quanto raccontato da Stoccolma e da Berrotti non corrisponde al
vero?”
“Se
si riferiscono al momento in cui io e Lisbona abbiamo discusso,
beh… diciamo
che quell’evento in particolare è accaduto
veramente”
“CHE?”
– esclama, Silene, spiazzata e ignara del fatto.
“Non
ho voluto alimentare tensioni varie, mi amor” – si
scusa Rio, scrutato dalla
sua fidanzata alquanto contrariata.
“E
cosa vi siete detti?” – domanda lei, incrociando le
braccia al petto.
“Io
ero lì per vederti, come facevamo da mesi, di nascosto. Ma
Lisbona mi ha
chiaramente detto che non era possibile, che non dovevo farmi vedere
mai più da
quelle parti, e che se lo avessi fatto, avrei perduto ogni
cosa”
“Mi
stai dicendo che quella tipa ti ha minacciato?” –
la Olivera è scioccata
oltremodo - “Decisamente non da Lisbona un comportamento
simile” – precisa poi.
“Forse
è stata costretta a farlo…” –
commenta di nuovo Ramos - “Così come costringono
anche la povera Stoccolma”
L’appellativo
povera associato a Monica fa ridere Silene.
“Non
ti fidare di quella gatta morta. È sempre stata una spiona.
Appoggia da anni
Martin Berrotti e gli riportava ogni nostra parola o mossa”
“Forse
ha paura di lui”
“Quei due nascondono qualcosa. Li ho visti spesso al
Mariposas. Sono fin troppo
complici per essere semplici datore e dipendente” –
perfino Rio appoggia la tesi
della compagna.
“E
poi lo sapevano tutti che scopava con uno dei clienti più in
vista del locale” –
la Farfalla non ha peli sulla lingua e non esita a parlare della ex
collega con
poca stima.
“Come?”
– chiede, spiazzato, Daniel. Mai avrebbe immaginato la
innocente ricciolina
nelle vesti di mangiatrice di uomini. Però è
anche vero che abita e lavora in
un Night Club e lì le scelte, spesso, sono poche e quelle
prese gli garantiscono
la sopravvivenza.
Colpito
dalla rivelazione circa la relazione di Stoccolma con uno dei tipi del
posto,
Ramos si ammutolisce. Comincia, quindi, ad ipotizzare che la bionda
possa
essere stata usata per scopi malvagi da chi la obbliga ancora oggi a
tradire le
socie.
E
mentre il trentenne pensa e ripensa a Monica, la coppietta di
innamorati torna
sull’argomento Lisbona.
“Perché
non mi hai detto di averla vista e di aver litigato con lei?”
“Mi
amor, ho sbagliato, lo so. Però a cosa serviva parlartene?
Ad alimentare le tensioni
tra voi. Lo so che non c’è mai stata simpatia tra
te e la Murillo”
“Voglio
sapere per filo e per segno che cosa vi siete detti quella sera,
ok?” – esige la
giovane, dando poca retta all’interrogatorio che, nel
frattempo, si è
interrotto.
E
mentre Anibal accenna alla fidanzata la vicenda che riguarda la moglie
di
Alberto Vicuña, l’ispettore riprende parola
chiedendo – “So che esiste la
privacy sui clienti. Non siete tenute a conoscere le
identità degli uomini che
vengono lì. Ma te lo domando ugualmente. Sai, per caso, il
nome del tizio che
frequentava Stoccolma?”
“Ehi,
amico, ma ti si sono risvegliati gli ormoni per caso? Adesso sei in
fissa con
la gatta morta?” – la ex Farfalla inarca il
sopracciglio e lo guarda stranita.
“Io
sto cercando di fare l’educato e rispettoso. Potresti essere
più gradevole?”
“Come,
prego?” – con una bomba a orologeria come Tokyo
ogni parola, detta nella
maniera scorretta, è motivo di esplosione.
E
c’è Rio, di fianco a lei, a saperla domare
– “Mi vida, calma. L’ispettore ha
ragione”
“E
va bene. Ok, hai vinto, userò modi più
garbati” – si arrende, sbruffando, tornando
a sedersi di fianco al suo innamorato.
“Quindi?
Cosa mi dici di questa persona?”
“Come
già detto, i nomi dei clienti sono un tabù per
noi. Ma questo non vale per
tutti i clienti”
“Allora
lo sai, vero?” – il viso di Dani si illumina.
“Io
li ho sentiti parlottare settimane fa. E lei si è lasciata
scappare il suo nome”
“Qual
è?”
“Arturo!”
“Cognome?”
“Ehi,
ascolta…quello non lo so”
“Ma
sai quanti Arturo esistono sulla faccia della terra?Almeno sai
descriverlo? Non
so, se ti dicessi di farmi un identikit”
“Grasso,
brutto, e vecchio. Basta così?” – Silene
ha pochi aggettivi per definirlo,
tanto da far sorridere i due uomini presenti.
La
situazione è diventata paradossalmente comica.
“Nulla
a che vedere con i tizi che cercavano approcci con me e Nairobi.
Evidentemente i
clienti che hanno gusto sceglievano le migliori” –
si vanta la Olivera.
“Dovrei
chiedere anche a Nairobi, a proposito. Magari conosce qualcosa in
più” –
riflette il trentenne.
“Scusa,
mi stai dicendo che adesso ci interroghi per sapere di Arturo? Sbaglio
o l’indagine
riguardava Lisbona”
“Già, va beh…torniamo al
punto”
“Ecco, finalmente! Arriviamo al punto e salutiamoci. Comincio
ad avere sonno” –
sbuffa, ancora, lei.
E
l’attenzione dell’investigatore del caso torna a
focalizzarsi sul testimone
nuovo.
“Rio,
giusto? È così che ti chiamano le
Mariposas?”
“Esatto,
ma sai… Tokyo trova nomi in codice a tutti. Ne hanno dato
uno anche al tuo
collega”
“CHE?” – esclama, ridendo buffamente, il
figlio del Commissario.
“Dovremmo
darne uno anche a te, sai?” – pensa Silene,
divertita dall’idea e desiderosa di
punzecchiare Ramos.
“Non
se ne parla”
“Uno Stato che ti piace?”
“L’America, però… torniamo
seri…dicevamo…”
“Hai preferenze tra America del Sud, America del
Nord…”
“TOKYO” - la rimprovera Ramos
– “Ho detto di lasciar
perdere”
“No, no. Io ne ho uno che, non so, ma credo possa andare
benone per la tua
faccia” – esclama la donna entusiasta.
“Perché?
Che faccia ho io?”
“Da
idiota” – fa la linguaccia, visto che ormai le
formalità sono venute meno.
“Sono
un ragazzo serio ed educato, mi comporto bene, altrimenti potrei
rispondere a
tono ad una che può essere mia madre …”
“TUA cosa?”
“Ops.
Questo non avresti dovuto dirlo, amico” – ridacchia
Rio, non contenendosi dalla
scena imminente.
“Che
ho detto che non va?”
“Io
sarei tua madre? Razza di imbecille, siamo coetanei”
Preso
un cuscino, Silene è pronta a scaraventarlo addosso
all’ispettore.
“Direi
di darci una calmata!” – interviene Anibal, seppure
divertito.
“Ok,
chiedo venia. Non volevo…tu però non presti
attenzione. Pensi alle città..”
“E tu per farmi tacere mi dai della vecchia?”
“Vecchia,
no. va bene, scusa di nuovo, mi correggo. Potresti
essere…beh…mia sorella. Va meglio
così?”
L’interrogatorio,
iniziato in serietà massima, con nervosismo qua e la di
Tokyo, si conclude
prima del previsto con una ilarità generale. Si consuma una
diatriba simpatica,
fatta di risate e divertimento.
La
Olivera trova un nome di città perfino per Ramos e glielo
comunica quando, dopo
aver esaurito le batterie del suo corpo, esausta e senza fiato,
è abbacchiata
sul divano.
“Tu
sei Denver, ormai è deciso”
“Cazzo,
ma è fighissimo” – esclama Rio.
“Vada
per Denver o come cazzo si chiama la città, basta solo che
mi date un bicchiere
d’acqua”
“Te
lo porto subito” - scatta in piedi Anibal.
“Adesso
che siamo amici, perché le formalità sono cadute
a terra come quei dannati
cuscini, parlo francamente, Tokyo.” – precisa il
trentenne – “Cosa si nasconde
di tanto malvagio nel Mariposas?”
“Purtroppo
non esiste una risposta a tale quesito. Dopotutto è proprio
tale mistero che ha
garantito il fascino del locale per anni e anni”
E
proprio di questa delicata questione si parla in camera di Nairobi.
La
gitana, abbracciata a Bogotà, confessa quanto del suo
passato non è ancora
trapelato.
Rivela
anche di essere stata l’amante dell’ex proprietario
del locale e quanto da lì
in poi accadutole.
“Hai
detto che si chiamava Andres?”
“Sì,
e aveva un nome di città come tutti noi. Berlino,
è così che lo chiamavano”
“E
quindi, questo Berlino ti ha costretta, in qualche modo, a venderti a
un cliente?”
“Già”
- commenta Agata, incupendosi.
“Chi era questo bastardo? Conosci il suo nome?”
“Era
un tipo elegante, benestante, e con una voce agghiacciante”
Il
viso della zingara inquieta perfino Santiago che, in risposta, la
stringe
ancora più forte a sé.
“Mi
lusingò per serate intere. Voleva portarmi a letto da
subito. E quando ottenne
ciò che desiderava, si divertiva a umiliarmi chiamandomi
meticcia…”
“E’
un razzista!”
“Era
un pazzo. Un criminale. Non ha mai rivelato il suo nome. Mi diceva che
amava
dipingere. Aveva perfino un pittore preferito.
Dalì”
“Buffo,
anche mio padre adorava Dalì” – pensa
tra se e se Bogotà, ricordando di un
genitore da sempre inesistente e che era noto per il dettaglio della
pittura grazie
ai racconti di mamma Leticia.
“Non
so nulla di lui, se non che era sposato, come molti altri dei clienti
del Night
Club. Aveva un figlio, questo lo confessò quando mi rise in
faccia perché
soffrivo della lontananza da Axel”
“Che
bastardo”
“Fu
allora che iniziò la mia agonia al Mariposas. Quando il mio
bambino sparì nel
nulla e quando Berlino lasciò, inaspettatamente il locale.
Al posto suo, oggi,
c’è qualcun altro”
“Martin Berrotti”
“No,
qualcuno di peggio. E dopo le ore trascorse nella sua tana, a stretto
contatto
con lui, ho messo assieme i pezzi. Si fa chiamare signor
Dalì. E quell’uomo
indossa una maschera per non essere riconosciuto. Non si mostra a
nessuno. Non può
farlo, evidentemente”
“Chi
cazzo è?”
“Chi
ha voluto farmi sua e chi scacciò Andres e prese il suo
posto sono la stessa
persona. E quelle mani sul mio corpo, le ho riconosciute
subito”
“Ma
costui non si sarebbe mai mostrato a te sapendoti in grado di
ricordarlo”
“Evidentemente
mi faceva meno scaltra”
“Sapresti
descrivere il cliente che ti ha costretta ad avere rapporti intimi con
lui? Intendo
nei tratti del viso, o nella corporatura”
“Sono
passati circa dieci anni, ma la sua immagine è vivida nei
miei ricordi. Lui credeva
che mi sarei dimenticata. E invece un turbamento così
profondo, una privazione
di libertà tanto grande, non si cancella”
“Allora
potremmo avere tra le mani la carta vincente, amore mio”
Presa
per mano la zingara, dopo un lungo abbraccio che vale più di
mille parole,
Lopez la conduce in salotto.
La
ritrovata vicinanza tra i due è ben evidente, seppure il
turbamento stampato
sul viso di Nairobi non è un buon segno.
“Nairo,
tutto ok?” – le chiede Tokyo, andandole incontro.
La
gitana annuisce. Si avvicina al suo orecchio e le sussurra –
“Amica mia, io
rimarrò qui. ho preso la mia decisione. Nessuno mi
poterà lontano da lui. La mia
vita è al suo fianco. Non perderò
l’uomo che voglio più di ogni altra cosa al
mondo per paura di un passato che mi minaccia. Voglio affrontare questo
mostro
e vincere la mia battaglia interiore”
“Sono
fiera di te, sorella mia” – si commuove Silene,
abbracciandola e sentendo sulla
sua stella pelle la tempra e la forza di una donna che non ha mai
smesso di
essere una leonessa e che ha saputo solo attendere il momento giusto
per tirare
fuori i suoi artigli.
“Sono
pronta a testimoniare contro il Signor Dalì”
“Chi?”
– chiede, confuso, Rio.
“Il
boss assoluto del Mariposas. Colui che ha osato farmi violenza dieci
anni fa, e
qualche settimana fa… non ho dubbi”
“Credi sia il cliente 13?”
“Ne
sono sempre più convinta”
“Dobbiamo
fare l’identikit del Signor Dalì quanto
prima” – sottolinea Bogotà,
comunicandolo anche al collega.
“Andiamo
immediatamente al commissariato. Se è come spero, potremmo
sentirci finalmente
libere e il Mariposas finirà all’inferno insieme a
tutto il marciume che lo
abita da fin troppo tempo”
“E
noi avremo le risposte che cerchiamo su Lisbona” –
conclude Daniel, ottimista.
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Capitolo 28 *** 27 Capitolo ***
Con
l’intenzione di liberarsi di un peso e di cominciare a
respirare a pieni
polmoni la ritrovata libertà, Nairobi accetta di recarsi in
Commissariato,
nelle ore meno trafficate, per fare il giusto identikit
dell’uomo che, nonostante
i 10 anni dall’accaduto, è pressante tra i suoi
ricordi.
“Dovresti
indossare questi abiti, per evitare di essere notata, ok?”
– le dice Santiago,
porgendole vecchi jeans larghi e con strappi alle ginocchia, una felpa,
e un
berretto con la visiera di colore scuro.
“Sicuro
che conciata in quel modo, darà meno
nell’occhio?” – dice Tokyo una volta di
fronte alla gitana e al cambio look.
“Fidatevi,
i miei colleghi si distrarrebbero di più di fronte a
minigonne o pantaloni
attillati”
Agata
e Silene si guardano, capendosi al volo, per alzare poi gli occhi al
cielo e
commentare all’unisono – “Ah,
uomini!”
Forte
del sostegno degli amici e del suo uomo, la gitana sale a bordo
dell’auto
diretta verso la meta, scortata anche da Daniel, entusiasta e motivato,
come
mai prima, dalle avvincenti indagini.
Più
è vicina al Commissariato, più Nairobi inizia,
però, ad agitarsi. Non esce
dalla villa Lopez da tempo, per di più ha trascorso un
decennio di agonia senza
poter varcare l’uscio del Mariposas, quindi sapere di
incontrare gente, di
mettere piede in un luogo tanto formale, le crea una certa ansia.
È
il suo Bogotà ad accorgersene, spiandola dallo specchietto
retrovisore, ogni
due per tre.
“Andrà
tutto bene” – dice, approfittando di un momento di
silenzio, ceduto gentilmente
da Ramos che, nel frattempo, aveva abbondantemente parlato di
frivolezze varie.
“Me
lo auguro” – risponde lei, giocherellando con gli
anelli che porta alle dita.
Qualche
altro metro ed eccoli raggiungere i parcheggi.
Fortuna
vuole che di volanti ce ne siano ben poche.
“Un
buon segno, avremo pochi colleghi da evitare” –
commenta il trentenne,
accendendosi una sigaretta appena sceso dal mezzo.
“Beh,
non direi, amico. Guarda lì” – Ramos
riconosce una Porche precisamente di
fianco alla loro Mercedes, e sbruffa subito dopo.
Nairobi
fissa in silenzio l’automobile senza pronunciarsi, eppure
c’è un dettaglio che
attira la sua attenzione.
“Juanito
a bordo” – legge una sorta di adesivo sul retro.
“Già,
quel cretino non solo ha una moglie che lo sopporta, ma perfino un
figlio che
potrebbe imitarlo”
“Un
figlio hai detto? E quanti anni ha?” – chiede
Agata, spiazzando i due uomini.
“Booo,
non saprei. Forse nove, dieci anni” – ipotizza
Lopez, sospettoso
dell’espressione seriosa della compagna.
“Dai
entriamo, ho fumato abbastanza. Mi ero ripromesso di
smettere” – irrompe Daniel
non dando il minimo peso alla curiosità della gitana su quel
mezzo.
Anche
la zingara sorvola, lasciando Bogotà perplesso.
Percorrono
a passo un centinaio di metri ed eccoli di fronte al portone del
Commissariato.
Agata
afferra la mano del suo ispettore preferito, sentendosi protetta da
quel gesto.
E lui l’accoglie senza remore.
“Dopo
devi dirmi come mai quell’interessamento per la
Porche” – le sussurra.
La
Jimenez annuisce e dice – “Credo di averla vista
nei paraggi del Night Club
tempo fa. Ero uscita per dare delle informazioni a Helsinki e Oslo, e
l’ho
trovata ferma a pochi passi dall’ingresso. E il dettaglio mi
ha colpita. Quel
“Juanito a bordo”. Ovviamente ci ho dato poco peso,
poi. Qualche tempo dopo,
stessa situazione, stessa macchina, stavolta quell’adesivo
era stato eliminato
nonostante ci fosse ancora evidente”
Tale
scoperta sconvolge Santiago che, richiamando Daniel, gli dice
– “Cazzo, hai
capito che tipo che è Gandia?! Si aggirava nei pressi del
Mariposas”
“Cosa?”
– esclama Ramos, quando varcano la porta principale che
dà strada ai vari
uffici.
L’uscio
viene spalancato dallo stesso Cesar con dei fogli in mano.
“E
voi? Sempre tra i piedi, eh?”
“Potremmo
dire lo stesso di te” – replica il trentenne,
facendosi spazio per passare.
La
Jimenez sussulta, cercando di controllare la tensione, e stringe con
forza la
mano del suo ispettore preferito.
“Va
tutto bene, tranquilla” – le sussurra
all’orecchio, approfittando dell’ennesimo
battibecco tra il figlio del commissario e Gandia per defilarsi e
raggiungere
quanto prima l’ufficio in questione.
“Che
combinate tu e il tuo socio? Continuate a dare scarsi contributi
lavorativi?” –
punzecchia Cesar, ridacchiando per beffeggiare il trentenne.
È
la voce di Santiago, proveniente dalla stanza appena raggiunta, che
chiama
l’amico e lo invita a raggiungerlo.
“Meglio
tacere o rischierei di fare danni” – pensa tra se e
se Ramos, e dopo
un’occhiataccia al rivale, si allontana da lui.
Gandia,
però, è sospettoso. La persona con i due colleghi
è vestita come fosse sotto
copertura.
Riflette
sui casi che Lopez e il ragazzino hanno sotto mano… e la
sola ipotesi che salta
alla sua mente è il Mariposas.
“Che
sia una delle farfalle?” – deciso a capirne di
più, sceglie di restare nei
paraggi, e rincasare una volta ottenute le risposte in merito alla
faccenda.
Intanto,
tutti e tre in ufficio, danno il via al momento Identikit.
Bogotà
chiude la porta dopo aver sbirciato, rapidamente, che nessuno passasse
di lì o
potesse sbirciare. Conoscendo le invadenze di Cesar Gandia, meglio
evitare.
Posta
una sedia di fianco alla scrivania, chiede ad una agitatissima Agata di
accomodarsi
.
Ramos
accende il computer e fa un rapido log in su un programma specifico,
battendo
la password sulla tastiera.
“Ecco,
ci sono!” – dice Daniel, rivolgendosi alla Jimenez
– “Ti senti pronta?”
Santiago
guarda la gitana annuire e lasciare la sua mano. Quella faccenda deve
combatterla da sola e venirne fuori con le sue sole forze.
Le
ore seguenti sono un richiamo ai vecchi ricordi, ad una frustrazione
che domina
e la divora, un susseguirsi di immagini visive che piombano nella sua
mente e
le rammentano la vita di merda condotta ingiustamente.
Flashback
si susseguono nella sua memoria riportandola indietro nel tempo, a
quando,
chiusa nella stanza assegnatale al Mariposas, accolse il cliente 13, un
uomo
che ha saputo piegarla alla sua volontà.
*******************
“Bene,
bene! Finalmente da soli” – la porta della camera
viene sbattuta con forza e la
persona alle spalle di Agata manifesta chiare intenzioni su
ciò che vuole venga
consumato tra quelle mura. Allentandosi il colletto della camicia
avanza verso
di lei.
Nairobi,
nel frattempo, pensa e ripensa alle raccomandazioni del suo Berlino.
“Mantieni
la calma. Mantieni la calma” – ripete a se stessa,
mentalmente, sobbalzando
quando, all’improvviso, sente le mani del cliente adagiarsi
con foga sui suoi
fianchi.
“Con
un fondoschiena così potresti fare grandi cose”
– ridacchia poi.
Deglutendo
rumorosamente, per la tensione fisica, la Jimenez si frena dal
gridargli lo
schifo che nutre nei suoi riguardi.
E
si limita al silenzio.
Notando
scarse reazioni da parte della Mariposa, il cliente 13 vuole, in
qualche modo,
rompere il ghiaccio.
“Ti
ho vista ballare attorno al palo, e muoverti in pista…non
sei così rigida. Che
ti prende? Non avrai paura di me spero”
“No,
no” – replica subito la gitana, non intenzionata a
mostrarsi fragile.
Quella
sorta di autodifesa la sblocca nel parlare. Con coraggio si volta verso
l’uomo
e lo scruta in pieno viso.
Gli
occhi scuri, penetranti, la barbetta, le guance
paffute…tutti dettagli che la
sua memoria assorbe e custodisce.
“Allora,
mia cara, iniziamo?”
“Iniziamo!”
**********************************
Alcuni
dettagli dell’anonimo 13, sembrano essere svanire con il
tempo, come ad esempio
che avesse molta peluria, o che fosse panzuto, e adesso riappaiono,
proprio in
fase di Identikit.
“Hai
detto che ha le sopracciglia più incurvate?”
– chiede Daniel, ascoltando il
ritratto del tizio tramite la voce di Nairobi.
“La
bocca più piccola, anche se all’epoca era ben
coperta dalla barba”
Santiago
osserva la compagna, non partecipando al momento; vuole esserci per
lei,
nonostante la donna si mostrasse desiderosa di affrontare la situazione
con le
sue sole forze. E così le accarezzando la schiena ogni
qualvolta nota in lei
dei tratti di agitazione, come la fronte corrugata, gli occhi
spalancati, la bocca
tremante…tutto ciò che segnala quanto quei
ricordi facessero male.
Improvvisamente
la Jimenez rammenta di quel dettaglio improvviso, fattosi strada nella
sua
mente come un fulmine a ciel sereno.
“Ha
una sorta di voglia sul… ecco
lì…precisamente…”
“Una
voglia?” – chiede Ramos, domandandole poi di che
tipo.
“Sembrava
una sorta di…non saprei…di…di
fragola”
La
risata alquanto bizzarra del trentenne segue quel momento e
sdrammatizza il
tutto.
“Idiota,
che cazzo trovi di tanto divertente” – sbotta la
donna, tornando, per quei
secondi, ad indossare i panni dell’aggressiva Nairobi.
“Nulla,
perdonami. Quindi hai detto che aveva questo segno distintivo sulla
guancia
sinistra!?”
“Esatto”
Procedendo
nell’identikit, la persona che Agata disegna verbalmente
riesce in un’ardua
impresa: quella di ammutolire il giovane ispettore.
“Cazzo”
– esclama poi, chiamando a sé Santiago, posto
distante dal monitor.
Lopez,
stupito, si avvicina al collega, potendo scrutare nel dettaglio
l’immagine,
ormai prossima al completamento.
“Porca
puttana, ma è uno scherzo?!” – ed
impallidisce.
“Che
succede?” – si preoccupa la gitana, non
comprendendo le stranezze dei complici.
Il
quarantaduenne sposta gli occhi sulla mora e manifesta uno shock
innegabile ed
inevitabile.
“Sei
certa che questi ricordi non siano stati distorti?”
– le domanda, esterrefatto.
“Certo
che non ho distorto nulla Mi state prendendo per pazza?”
– esplode lei,
mettendosi in piedi.
“No,
amore mio, assolutamente no. E’ che…”
“E’
che…cosa? Che diamine avete visto di tanto
sconvolgente?”
“Guarda
tu stessa!” – stampato il lavoro finale,
è proprio Santiago a porle il foglio.
Quel
pezzo di carta, ceduto tra le mani di Agata, cade, in un battibaleno,
sul pavimento,
lasciando Nairobi con lo sguardo fisso sul suo uomo, mentre le lacrime
tornano
a sgorgare rammentandole dell’ennesima beffa del destino.
“Ecco…adesso
hai capito la ragione del nostro shock”
“Non può essere. Io non mi sbaglio su queste
cose” - ripete lei.
“E
invece stavolta sì” - ribadisce Ramos, piuttosto
deluso e infastidito nell’aver
creduto di aver vinto la guerra contro il nemico.
“Ma…ma…”
“Niente ma, Nairobi. Abbiamo perso tempo prezioso…
hai appena realizzato
l’Identikit di Santiago”
****************************
“Wow,
è stata la scopata più bella della mia vita. E
brava la zingarella! Mi
porteresti una birra adesso?”
Esclama
soddisfatto il cliente 13, dopo aver trascorso la notte a letto con
Nairobi.
La
gitana, mettendosi in piedi, avvolta da un lenzuolo bianco, oltraggiata
nel
cuore e nel corpo, si incammina verso il frigobar, posto
nell’ala di fianco a
quella matrimoniale della suite.
E’
allora che lascia via la fragilità e le paure di una
ventitreenne scappata da
una triste realtà di vita, per indossare i panni di
mangiauomini. Dopo quanto
vissuto, cosciente di aver saputo fingere di essere una persona
diversa, per
difendersi, opta per accogliere tale personalità dentro di
se fino alla fine
dei suoi giorni. Non esiste migliore maniera per tutelarsi se non
quella di
mostrarsi differente da ciò che per natura si è.
Preso
da bere, si riavvicina al tipo, il quale, è intento a
rivestirsi.
“Ecco
a te” – dice, porgendogli la bottiglia –
“Che fai? Sei di fretta adesso?”
“Mi
ha cercato mia moglie. Meglio andare, o si
insospettirà”
“Beh…io
vado a fare una doccia”
A
quel punto, Agata scompare e viene sostituita da Nairobi che,
audacemente, con
una voce non sua, ma di una corazza appena costruitasi, gli propone
– “Vieni
con me? Trova una banale scusa con la tua compagna
e…”
Ridacchiando
soddisfatto, il tipo si mostra piacevolmente colpito
dall’idea, però si vede
costretto a rifiutare.
“Avremo
modo di recuperare. Vedrai” – si fionda sul suo
collo, concludendo il tutto con
una palpata fin troppo aggressiva al sedere di lei.
“Ok.
Buon rientro…” – dopo un veloce
occhiolino, la gitana, fa per allontanarsi, ma
non prima di avergli domandato – “Potrei sapere il
tuo nome…o, non so, magari
il tuo cognome. Odio scopare con persone associate a dei
numeri”
“Beh…non
hai tutti i torti. Diciamo che puoi chiamarmi Lopez. Questo
basterà”
*****************************************
“Diceva
di chiamarsi Lopez! Ve lo giuro. Non mi sto confondendo né
inventando nulla”
“Dai, Agata. Ammetti che l’agitazione ti ha fottuta
per bene e chiudiamola
qui”- insiste
Daniel.
“Vi
dico di no. Cazzo, ci sarà una spiegazione! Magari si
assomigliano molto”
“Ma
sono identici! Non è che semplicemente si
assomigliano… sono la stessa persona,
capisci?”
Santiago,
nel frattempo, rimasto in silenzio, per conto suo, ha una strana
sensazione.
Qualcosa
sembra non tornargli.
Gli
occhi fissano il disegno con insistenza, come a voler trovare
chiarimenti a
quanto appena accaduto.
Che
sia frutto delle tensioni interne che la Jimenez sta vivendo o davvero
esiste
qualcuno identico a Santiago Lopez che potrebbe essere il presunto
cliente 13?
“Bogotà!
Ascoltami, almeno tu…non sono una folle. Vi sto dicendo
quanto i miei ricordi
hanno custodito per anni”
“E allora, come mai non hai mostrato segni di shock quando
l’hai conosciuto per
la prima volta?”
“Non
l’ho associato a quel tizio. Ma mettendo insieme i pezzi, il
risultato è stato
questo”
“Mah…io non la capisco più!”
– commenta il trentenne, con le mani tra i
capelli, rivolgendosi poi al socio – “Che si
fa?”
“Come
la spiegate la voglia sul viso?” – insiste Nairobi.
“Hai
detto la voglia sul viso?” – è allora
che l’ispettore maggiore scruta il particolare
tralasciato.
“Beh
la spiego magari come ennesimo sbaglio della memoria. Forse quel tipo
aveva
davvero una voglia che tu, però, hai identificato sulla
faccia sbagliata”
“No” – esplode Lopez, sorpreso dal fatto
– “Io ne ho una identica sulla schiena”
Segue
qualche attimo di silenzio.
Silenzio
rotto subito dopo dall’ennesima giustificazione di Ramos,
ormai sempre più
convinto della poca lucidità della loro testimone numero
uno.
“Ecco
che tutto torna: allora, hai visto quella voglia di Santiago e
l’hai immaginata
sulla sua faccia. Semplice, no?”
Amareggiata
dalla scarsa fiducia nei suoi confronti, Nairobi si chiude nel
silenzio.
Non
ha intenzione di discutere ancora e ancora con chi crede di avere la
verità in
tasca.
Perfino
il suo Bogotà si è mostrato dubbioso. E sapere
che chi ami non confida in te,
fa male.
Usciti
dal Commissariato, con la stessa discrezione con cui vi misero piede,
salgono a
bordo della vettura, diretti a casa.
Un
tragitto di puro e scomodo silenzio.
Nel
frattempo…
“Allora?
Gandia, cosa hai scoperto?”
“Gli
stronzi se ne sono appena andati. Hanno chiuso l’ufficio,
però ho delle chiavi
di riserva.”
“Ottimo!”
Cesar
scruta la zona, setaccia ogni cassetto, materiali del pc, fino ad
imbattersi
nella spazzatura.
Anche
quella è vuota.
“Avranno
sicuramente lavorato per la questione del Mariposas. Non capisco in che
modo”
“Beh
allora vedi di capirlo. Non vorrei che la donna incappucciata fosse
Tokyo o
Nairobi. Potrebbero parlare”
“Bisogna
riportarle al night club quanto prima, signore. E forse un modo per
farlo
esiste e si chiama…maternità”
“Se
ti riferisci ad Axel, quel bambino è lontano da qui. sono
anni che vive in
Portogallo”
“Andrò a prenderlo io. Dirò che serve
il suo contributo per una missione di
estrema delicatezza!”
“Gandia, complimenti. Se questa storia terminerà
nel migliore dei modi, verrai
premiato profumatamente”
“E’ un piacere servirla signor Dalì!
Adesso mi metterò in viaggio per Lisbona.
Datemi i contatti del piccolo Axel. A breve, vedrete, Nairobi
tornerà al
Mariposas con le sue stesse gambe…e con lei anche la ribelle
Tokyo!”
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Capitolo 29 *** 28 Capitolo ***
Il
tragitto che conduce i due ispettori e la ex Mariposa alla villa
avviene in
assoluto silenzio.
Nairobi
è cupa e persa nei suoi pensieri e nei tanti ricordi che,
adesso più che mai,
riaffiorano con prepotenza. Sono proprio quei flashback, sempre
più definiti, a
confermare l’Identikit dell’ipotetico Cliente 13.
Agata
ha pochi dubbi: qualcuno di somigliante a Santiago Lopez è
stato e continua ad
essere il suo peggiore incubo.
Il
suo compagno, nel frattempo, alla guida dell’auto, scruta la
donna dallo
specchietto retrovisore, cercando nel suo viso spiegazioni
all’accaduto.
È
assurdo che l’uomo che ha recato male alla sua Nairobi, e che
potrebbe essere a
capo del Night Club e dei suoi loschi traffici, abbia il suo stesso
aspetto!
Per
di più, a non dargli tregua, è il collega
sedutogli accanto, il quale continua
a insinuare che la Jimenez ha distorto la realtà,
volutamente o non.
Se
da una parte, tale preoccupazione comincia a farsi strada perfino tra
le sue di
certezze (seppure incondizionatamente innamorato della gitana) e troppe
cose
sembrano non trovare una logica, dall’altro lato,
però, perché mai la gitana
dovrebbe mentire e prendersi gioco delle indagini che la vedono patire
in prima
persona?
Così,
dopo ben trenta minuti di percorso in automobile, chiusi nel loro
silenzio, i
tre raggiungono la destinazione.
È
Ramos a chiedere al socio di restare con lui, all’esterno
dell’abitazione, con
la scusa di una sigaretta, per continuare la discussione sulla vicenda
di
Nairobi.
Lei,
intanto, abbattuta dalla poca credulità che gli ispettori le
danno, ma
specialmente delusa dal suo compagno, si rintana in camera, ignorando
le
domande che le pone Tokyo appena la vede varcare l’uscio.
“Cosa
le prende?” – chiede Rio, confuso, alla sua
fidanzata.
“Qualcosa
non è andato nel verso giusto, cazzo! Come possiamo
lasciarla qui in questo
stato e andarcene?”
“Ma…abbiamo
il volo tra qualche ora!”
“Già,
lo so. Però dalla faccia che aveva, sono più che
sicura che è accaduto qualche
casino!” –
Intenzionata
a capirne di più, raggiunge, correndo, i due in giardino.
Tra
loro si respira tensione, frutto di una conversazione dai toni accesi
durante
la quale Bogotà, nonostante le paranoie, difende a spada
tratta la sua Nairobi,
dagli attacchi di Daniel che la ritiene, al contrario, una alleata del
Mariposas che ha volutamente intralciato i piani della polizia.
E
proprio quando sopraggiunge Silene, Ramos si lascia andare ad
un’affermazione
che manda in bestia la ex Farfalla.
“Quella
è una pazza, te lo dico io. Ci siamo fidati di lei solo
perché si divertiva a
scopare con te e ne ha approfittato quando hai dato a lei e alla sua
cara amica
un tetto dove vivere”
Nulla
di quanto detto è vero e Tokyo lo sa bene. Sa quanto la sua
migliore amica
abbia sofferto e continua a soffrire e come Santiago fosse sul serio
diventato
la sua anima gemella.
Tali
accuse, ingiuste, sono intollerabili.
“Tokyo,
fermati! Cosa fai?” – grida Rio, guardandola
spintonare l’ispettore trentenne e
farlo cadere a terra, sull’erba inumidita.
“Stronza,
che cazzo…!” – esclama il figlio del
commissario.
“Calmati,
amico. Adesso basta attriti, o non giungeremo mai a una risoluzione del
caso” –
lo frena Bogotà, intervenendo, dandogli una mano a
rimettersi in piedi.
“Calmarmi?
Ti è dato di volta il cervello? Santiago, da che parte stai?
Sono stato appena
aggredito da una pazza isterica. Col distintivo che indosso potrei
sbatterla in
carcere per qualche notte e farle passare la voglia di prendere a
sberle la
gente”
“Sei
tu che provochi, figlio di puttana!” – sbotta la
mora.
“Smettila”
- le sussurra Rio, tenendola ferma tra le sue braccia.
“Crede
che siamo delle malfattrici, ti rendi conto?”
“Vorresti
confermare che la tua amica gitana abbia tutte le rotelle a posto? Sono
sempre
più convinto che qualcosa in lei non va”
“Cosa
dici?! Neanche la conosci! Non è come credi tu!”
– esclama, scioccato, Cortes,
incredulo nel sentire tali parole rivolte a una persona che ritiene al
pari di
una sorella maggiore.
“Allora
spiegamelo tu. Anzi, ti pongo una domanda. Cosa penseresti se,
conducendo
indagini importanti, improvvisamente ti trovassi soggiogato da una
donna, perdessi
la testa per lei, diventassi il suo compagno, la salvassi portandola in
una
villa sfarzosa a cui lei, chissà come, si abitua in un
battibaleno…e poi lei ti
facesse credere di dare una mano, per mandare tutto a puttane subito
dopo?! Intenzionalmente
o non, ci ha illuso, ci ha preso in giro, capisci?”
– ogni parola è una chiara
frecciata a Santiago ritenuto vittima del piano di Agata.
“Sei
tu il pazzo, ti credevo un cascamorto, un ragazzino tutto ormoni e poco
cervello! Invece non sei così, sei anche peggio. Parli solo
per dare aria alla
bocca. Sei un bambino viziato che se non ottiene ciò che
vuole, si arrabbia e
piange. Beh, sai che ti dico? Non scaricherai tutte le colpe del tuo
pessimo
lavoro su Nairobi, chiaro? Stronzo!” . continua ad attaccarlo
Silene.
Daniel
fissa il collega, attendendo una sua reazione. Ma tale reazione non si
manifesta affatto.
E
la delusione dipinta sul viso del trentenne diventa la stessa di Tokyo
che la
esprime a parole - “ E tu cosa cazzo taci! Bogotà,
porca puttana, la vuoi
difendere? È o non è la tua fidanzata? Permetti
al tuo caro collega di
offenderla così?”
Quei
silenzi non aiutano a placare le acque.
“Bene,
sai cosa ti dico? Non la meriti. Nairobi verrà via con noi.
Abbiamo preso un
biglietto extra. Lo userà lei. Andremo via da Madrid, non la
vedrai mai più.
Fai finta di non averci mai incontrate. Continua pure le tue indagini,
non
raccoglierai un cazzo, sappilo. Sei la delusione più grande.
Mi rimangio le mie
parole quando dissi a Nairo che eri diverso. Mi sbagliavo! Andate al
diavolo
entrambi” – guardandoli con disprezzo, Silene si
svincola dalla presa del
compagno e rincasa, seguita proprio da quest’ultimo.
“Bene,
se queste si tolgono dai piedi tanto meglio. Abbiamo perso anche fin
troppo
tempo dietro i loro comodi” – commenta Daniel,
infastidito dalla situazione,
accendendo l’ennesima sigaretta.
“Hai
esagerato” – apre bocca Lopez –
“Ho taciuto poco fa in nome della nostra
missione e del nostro essere colleghi, però….
Tokyo ha ragione, non puoi
attaccarle con quei toni, ingiustamente”
“Certo
che quella gitana ti ha davvero fulminato il cervello! Allora, dimmi
tu, visto
che la storia riguarda te…hai qualche parente che
è la tua esatta fotocopia?
Non so, un gemello? O tuo padre?”
“Potrebbe
seriamente essersi confusa”
“No,
Lopez, no! La stessa Mariposa continua a sostenere di aver detto la
verità.
Quindi le opzioni sono due: o mente o è una folle. E tu sai
quanto sia
rischioso affidarsi a gente di questo tipo nel condurre indagini
importanti”
“Già” – commenta, amareggiato
il quarantaduenne.
“Se
almeno tu sapessi darmi la giusta spiegazione a quel dannato Identikit,
forse…”
“Sono
figlio unico, mia madre difficilmente avrebbe dato via un bambino nato
dal suo
grembo. Quindi, direi, che quel tizio potrebbe non avere legami con il
sottoscritto” – precisa Santiago, convintissimo
della sua posizione.
“Appunto,
vedi che mi dai, indirettamente, ragione? Agata ci ha presi in
giro”
“Era
troppo coinvolta. Lei non è una che mente su cose del genere
e poi, ho visto
cosa le hanno fatto quando l’hanno tenuta lontana dalle
colleghe. Quella gente potrebbe
usarla per i suoi porci comodi. Magari la ricattano ancora”
“Dobbiamo
darci una mossa. La Murillo è ancora scomparsa e al
Commissariato vogliono risposte
quanto prima. Mio padre pressa. E la famiglia merita risposte”
“Devo parlare con Agata, capire cosa davvero sente.
Però prima ho bisogno di
fare una cosa importante”
“Cioè?”
“Tu
torna a casa. Meglio evitare altre tensioni con Tokyo. Appena
avrò raccolto
informazioni, ti avviserò”
Qualcosa
dentro il cuore di Bogotà gli dice di indagare a fondo alla
vicenda. E proprio
il suo cuore gli ricorda di fidarsi della donna che ama e di non
dubitare mai e
poi mai delle sue buone intenzioni.
Mentre
Silene e Rio, discutono dell’accaduto, riempendo un bagaglio
con alcuni abiti
extra, che hanno intenzione di dare ad Agata per la partenza, la stessa
gitana
è chiusa in camera e cerca di ricordare altri dettagli del
passato.
Adesso
perfino la voce penetrante del Cliente 13 sembra chiara e limpida.
Ma
ecco, finalmente, il flash di cui aveva estremamente bisogno.
****************************************
“Hai
dei figli?”
“Uhhh,
ancora domande private. Sbaglio o era proibito porne?”
“Certo,
è che sono curiosa. Insomma, vieni a letto con me da
settimane e non so
praticamente niente di chi ospito tra le mie lenzuola”
La
Mariposa, di fronte allo specchio, prossima a consumare
l’ennesimo rapporto con
il suo Cliente più proficuo, si sistema come meglio
può e non tollerando quei
silenzi pesanti, attacca bottone nell’unico modo che conosce:
argomentando la
questione figli.
“Non entro nei dettagli. Ci tengo alla privacy. Ti basti
sapere che sì, ho una
famiglia!”
“Quindi hai degli eredi?”
“Direi
basta domande, Nairobi”
“Ok,
come vuoi” – aggiunge, amareggiata. Poi prosegue
– “Anch’io ne ho uno. È un
maschietto. Si chiama Axel”
“Davvero?
Hai un bambino?”
“Sì,
l’ho partorito qui, tra queste mura.
Potrei vederlo?”
Domanda
strana ma a cui la zingara non esita a dare risposta.
“Aspetta” – dice, tirando fuori dal
cassetto del comodino una fotografia.
“E’
la tua fotocopia. Bello come il sole, complimenti”
Poi
un dettaglio lo infastidisce visibilmente.
“Come
mai la foto è assieme a De Fonollosa?”
“Beh…lui
è il mio….ehm…” –
poi opta per evitare di svelare dettagli precisi e spiega –
“…il mio tutore, nonché tutore di
Axel”
“Bene,
allora dì al tuo “Tutore”, che da adesso
sarò io il vostro”
“Co...co…cosa?
No, guarda, non serve”
“Ho
deciso così. E lui da buon socio capirà.
Vedrai”
Inutile
replicare. Nairobi sente in quei toni e nelle intenzioni del Cliente 13
l’ennesimo strappo alla sua libertà.
L’ennesimo strappo alle sue ali che le
vietano perfino di avere accanto la protezione di chi ama.
Presa
dall’agitazione, e desiderosa di far valere le sue scelte,
gli sbatte in faccia
la verità – “Ehm…no, non
puoi. Andres non è solo il mio tutore. È il mio
promesso sposo”
“CHE
COSA HAI DETTO?!”
“Il…mio…promesso
sposo, sono la sua fidanzata. Mi ha chiesto di diventare sua moglie e,
di
conseguenza, considerarsi padre del mio bambino”
Lo
straniero diventa improvvisamente serio e pensieroso. Frulla qualcosa
nella sua
testa che Nairobi non riesce a captare. Si limita, però, a
porgergli dello champagne
per dare inizio alla nottata.
“Mi
stai dicendo che il tuo futuro consorte ti dà l’ok
per scopare con me, e tu lo
fai senza negarti, sapendoti unita a lui?”
“Ehm…veramente,
signor Lopez, io non sarò più una Mariposa dopo
le nozze”
Ulteriore
shock sul volto del Cliente 13 che non tollera di dover rinunciare alla
sua
pupilla.
“Questo
lo vedremo” – commenta a bassa voce, scolando
l’alcool in un battibaleno.
Le
afferra un braccio e la tira sul letto.
La
gitana percepisce di avergli rivelato un dettaglio che l’ha
infastidito. Pentita,
opta per la mossa di salvezza.
Berlino
le ha sempre detto “Quando il cliente è nervoso, o
per motivi personali o come
conseguenza a ciò che fai o dici, beh tu punta alla
seduzione. Devi fare in
modo che dimentichi, quanto prima, i suoi dilemmi”
E
Nairobi dopo settimane di “allenamento” sa quali
carte giocare.
“Con
tua moglie non ti ecciti così, vero?” –
gli sussurra all’orecchio, mentre,
seduta sulle sue gambe, lo sveste di ogni indumento.
“Solo
tu sai accendere in me la fiamma del desiderio. Secondo te, come mai
non riesco
a starti lontano, e’?”
“Tuo
figlio se sapesse che tradisci sua madre, cosa
penserà?”
“Lui
è grande!”
“Ti
assomiglia?” – chiede, slacciandosi il reggiseno
che cade rapidamente sul
pavimento.
“Beh…”
– commenta lui, ammirando la nudità della donna
– “… non lo vedo…da un
po'”
“Studia?
Lavora?”
Basta
poco. Mentre i due consumano l’ennesimo rapporto privo di
sentimenti, Nairobi
riesce a soddisfare qualche sua piccola curiosità.
E
l’uomo godendo dei piaceri fisici che la gitana gli regala,
sembra mettere da
parte la rabbia.
Già,
perché ora lui è furioso. Nairobi è
sua. Nessuno può portargliela via.
E
Andres De Fonollosa non lo farà.
Agata
Jimenez è di sua proprietà e lo sarà
per sempre!
Adesso
che è consapevole perfino dell’amore infinito tra
madre e figlio, sa come
mettere in atto un piano folle e a lui vantaggioso.
Seppure
mostratosi distante dall’argomento trattato poco prima, il
Cliente 13 escogita
la maniera per impedire le nozze.
Intento
a rivestirsi, si lascia andare ad un dettaglio che, prima di allora,
Agata aveva
rimosso dai ricordi.
“Sai,
mio figlio…non lo vedo perché non ho rapporti
né con lui né con la mia ex”
“Come la tua ex? Avevi detto di essere sposato!”
“Beh…
diciamo storia rapida e non duratura. Ma ti giuro che una come te la
sposerei
all’istante, sai?”
“Ehm…Lopez, è un onore però
come sai io sono promessa a…”
“A De Fonollosa, sì sì ho capito.
Però ti avviso, quello è uno poco raccomandabile.
Ti mollerà prima che vi promettiate SI per la vita”
“No, cosa dici!”
“Fidati.
Perciò, pensaci bene Nairobi, solo io posso assicurare
tranquillità a te e al
tuo bambino”
E
prima di andare via, dopo averle dato un bacio sulla guancia, il primo
dopo
tante e tante nottate di solo sesso, lo sconosciuto dice qualcosa a cui
fa
seguito l’uscita dalla stanza.
“Se
scegli me, crescerò Axel come fosse sangue del mio sangue.
Non commetterò lo
stesso sbaglio del passato. Non mi comporterò con lui come
ho fatto con il mio Santiago.
È una promessa”
*****************************************
Agata
sobbalza ricordando quel momento della sua vita.
Santiago.
Il
figlio di quel tale Lopez si chiamava Santiago.
Era
già grandicello dieci anni prima.
Non
hanno rapporti da sempre.
Vive
solo con sua madre.
Si
assomigliano.
Beh…dettagli
che spiazzano e la fanno rabbrividire.
Che
sia davvero come teme?
Senza
esitare, la gitana lascia la stanza correndo verso il salotto, mentre
la voce
dello straniero riecheggia come un’ossessione nelle sue
orecchie.
Vaga
ma non trova nessuno.
Così
bussa alla camera di Tokyo e Rio. I due sono alle prese con le ultime
faccende pre-partenza.
“Ehi,
amica mia, tutto bene? Ci fai preoccupare” – le va
incontro la Olivera,
guardandola varcare l’uscio con fare nervoso.
“Ho scoperto chi è il Cliente 13”
– dice determinata a farsi ascoltare.
“Mi hanno raccontato dell’Identikit, hermana!
Beh…magari questo stress ti manda
in confusione, o sei tesa per le ultime vicende. Capisco e non ti
giudico e
proprio per questo pensavamo di farti venire assieme a noi. Qui non sei
creduta. Non si fidano di noi. È meglio toglierci dai piedi
prima che i Boss
tornino a prenderci” – aggiunge la Olivera, non
prestando la giusta attenzione
alle parole dell’amica.
“No,
io non me ne vado!”
“Ma Nairo… quell’ispettore, quel tale
Ramos, sta facendo il lavaggio del
cervello al tuo compagno per convincerlo della tua colpevolezza. La
soluzione
migliore è partire” – anche Rio
è convinto di questo.
“Ho
detto che so chi è quel maledetto. Volete ascoltarmi almeno
voi, cazzo?” - sbotta
la zingara.
Guardandola
talmente agitata, i fidanzati prendono posto sul letto e attendono
spiegazioni.
Nairobi,
con il cuore in gola, confessa quell’ipotesi divenuta ormai
certezza assoluta.
“Bisogna
rovistare tra le cose di Donna Leticia”
“Cosa c’entra la madre di
Bogotà?”
“C’entra
eccome, Tokyo! Dovrà pur esserci qualche fotografia,
qualcosa che ci conduca al
Cliente 13”
“EH?” – esclamano in coro i due.
“Non
ci arrivate? Come mai nei miei ricordi quel tipo assomiglia
così tanto a Santiago?
La risposta è palese… dieci anni fa,
l’uomo che prese il comando del Mariposas,
l’uomo che osteggiò le mie nozze con Andres,
l’uomo che mi costrinse ad una
prigionia a vita usando la storia di Axel perché era al
corrente del mio legame
con lui, dato che io in primis gliene parlai, è proprio
l’essere immondo che abbandonò
sua moglie e suo figlio senza esitazione”
“Cazzo, vuoi dire…?”
“Si, Rio… il Cliente 13…il Signor
Dalì è il padre di Bogotà”
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Capitolo 30 *** 29 Capitolo ***
29
CAPITOLO “MARIPOSAS”
Mentre
Nairobi torna con la mente ai vecchi ricordi, Santiago Lopez girovaga
all’ultimo piano della gigantesca villa di famiglia.
Scruta
nei dettagli ogni angolo di stanze rimaste chiuse per decenni. Da
quando sua
madre è morta, si è accontentato di abitare in un
appartamento al settimo piano
di una palazzina in una periferia.
Donna
Leticia seppure solare e accogliente, tanto da trattare le sue
cameriere al
pari di nipoti di sangue, era piuttosto discreta per quanto riguardava
il
passato, quindi a suo figlio tocca ora recuperare tracce lontane nel
tempo.
Bogotà
però non sa bene dove la defunta madre custodisce i segreti
del suo cuore
ferito, il cuore di una donna che si innamorò, che si
sposò convinta di essere
ricambiata, che diede alla luce un figlio cercato e voluto, ma
cresciuto con le
sue sole forze, e che fu abbandonata da chi le promise
fedeltà e amore per
tutta la vita.
Perquisire
le stanze è il primo tentativo di ricerca. Raggiunge la
camera dove alla parete
spicca un dipinto, coperto da un velo scuro che il quarantaduenne
solleva
immediatamente…l’ennesimo quadro di Leticia.
La
villa ne è piena.
Aveva
dimenticato dell’esistenza di quel capolavoro.
Stavolta
è ritratta giovanissima, nella bellezza dei suoi diciotto
anni, con gli occhi
colmi di speranza per il futuro e il sorriso di chi ancora non
è chiamata a
soffrire.
Da
bravo ispettore, Santiago sceglie di studiare i dettagli di ogni minimo
oggetto
presente tra quelle quattro pareti. Dopotutto,
il mestiere gli insegna che dietro
le cose più impensabili, di solito, si nascondono risposte
ai misteri.
Così
solleva il quadro sganciandolo dal muro, convinto di trovarvi qualche
cassaforte o buchi alla parete. Ma niente. Il dipinto è
stato adagiato lì solo
per estetica.
A
colpirlo è invece un dettaglio, scritto con un pennellino
nero, dietro la tela.
“Da
C.G. alla farfalla più bella” – legge,
spiazzato dall’appellativo utilizzato.
Oggi come oggi quell’insetto riesce a collegarlo solo e
inevitabilmente alle
vicende del Mariposas.
Magari,
chissà, è un modo per definire la donna. In fondo
si sa, le farfalle sono note
per essere meravigliose per natura.
“C.G.”
– ripete ad alta voce, come a cercare risposte
all’identità di tale persona –
“Chi sarà mai?” – piuttosto
che il nome Farfalla, sono tali iniziali a
insospettirlo.
Per
scoprirne di più, comincia a rovistare in alcuni cassetti,
la maggior parte
difettati dal trascorrere degli anni o altri purtroppo vuoti.
Sedutosi
sul letto, torna a fissare il dipinto.
E
un dettaglio gli viene alla mente – “Cazzo, anche
lui dipingeva! Non può che
essere mio padre quel tale C.G.! probabilmente le ha realizzato il
quadro negli
anni di fidanzamento…e poi l’appellativo
farfalla… il Mariposas…ecco, tutto
torna! Forse Nairobi non ha frainteso nulla, non mente, non
è confusa…ha
semplicemente detto il vero” – scatta in piedi come
un fulmine e solo allora
avverte uno scricchiolio strano.
Abbassa
lo sguardo constatando che un paio di mattonelle sono leggermente
sollevate
rispetto all’intero pavimento.
“Bingo!”
– esclama, certo di aver trovato qualcosa che forse era stato
volutamente
celato.
Con
il cuore in gola, per l’ansia di quanto verrà a
scoprire, e per le aspettative elevate,
Santiago solleva le due piastrelle e nota una piccola scatola nera,
paragonabile
ad un piccolo portagioie in termini di dimensioni.
Probabilmente
la grandezza e il colore non sono casuali, pensa l’ispettore.
Chi l’ha nascosto
lì non voleva che saltasse all’occhio e il nero
è utile a questo scopo.
Accuratamente
la apre, dopo un bel respiro profondo.
“Lettere?!”
– esclama, non sapendo quale emozione provare di fronte a
pezzi di carta. Ne
tira fuori un mucchio messe tutte assieme, l’una
sull’altra, come fossero un
pacchettino, unite da un nastro di quelli che Leticia usava per i
capelli, di
colore rosa confetto.
Ed
è così, in questo modo, che Santiago Lopez si
accinge a leggere e svelare come
tutto ebbe inizio.
--------------------------------------------------
“Che
bel dipinto, complimenti”
“Grazie, ammetto di aver sempre amato
l’arte”
“Beh,
una creatura così bella e raffinata non poteva non amare
altrettanta
magnificenza” – un affascinante vent’enne
si avvicina alla giovanissima Leticia
Lopez, figlia unica di una famiglia benestante madrilena.
Spinta
dal padre, la ragazza ha realizzato una mostra per esporre i suoi
lavori
migliori.
È
quel giorno, il 13 marzo del 1979 che viene scritta la storia.
“Sono
un appassionato anch’io, sai?”
“Davvero?
Mi piacerebbe osservare i suoi lavori” – confessa
la biondina.
“Io
sono un appassionato di pittori come Dalì. Soprattutto
quando si tratta di
quadri di farfalle”
“Credo
di non averne mai visti. Come mai proprio le farfalle?”
“Io
amo la natura e le farfalle sono sempre state la mia ossessione. Le
farfalle
per Dalì io le interpreto così: secondo me lui le
collega al desiderio carnale,
a…alla seduzione… e rappresentano una
metamorfosi…ognuno di noi è, in fondo,
una farfalla”
“Caspita,
come è informato, signore”
“Siamo
coetanei, suppongo. Diamoci del tu”
Imbarazzata
dal temperamento del giovane, da sempre timida e chiusa nella sua teca
di
vetro, Leticia si lascia andare e approfondisce la conoscenza.
Durante
le ore seguenti, che vedono il ragazzo raccontare ogni piccola
curiosità su
Dalì e la sua arte, di cui è al corrente per via
della passione e dello studio
sui libri, i due non badano alla cosa primaria…
“E’
ora di andare! È stato bello conoscerti”
“Anche
per me. Adesso tocca a te realizzare una mostra”
“Solo se avrò il piacere di averti tra gli
invitati” – la lusinga, con un
leggero e delicato baciamano.
Negli
anni ’80 era alquanto raro trovare ventenni tanto educati da
compiere ancora
quei gesti tradizionalisti.
“A
proposito” – dice lui, prima di allontanarsi con un
uomo sulla quarantina che
sembra essere una sorta di guardia del corpo –“Non
conosco neanche il tuo nome”
“Leticia….Leticia Lopez”
“Bene,
Leticia Lopez piacere mio. Io sono Carlos Grigoryan”
I
due si perdono di vista per alcuni mesi, fino a quando, il fato mischia
nuovamente le carte.
Ed
è una mattina di inizio estate quando, a colazione, la
diciottenne nota sul
quotidiano di suo padre la notizia dell’imminente mostra di
Salvador Dalì in
città.
“Andiamoci,
ti prego, papà!” – lo supplica una
giornata intera, e riesce ad abbattere i No
del genitore solo accettando di recarvisi accompagnata.
Ciò
che accade è l’incontro, o meglio il rincontro,
tra due giovani, invaghitisi
l’uno dell’altra.
Leticia,
all’epoca, sapeva, in cuor suo, che Carlos sarebbe andato
alla Mostra essendo
così fanatico del pittore spagnolo. Disposta a vederlo e
potergli nuovamente
parlare, opta per parteciparvi.
E
così si ritrova faccia a faccia con il ventenne dai capelli
castani e la strana
ma adorabile voglia sulla guancia sinistra.
Quella
stessa voglia che con il passare del tempo verrà in qualche
modo camuffata da
una folta barba che la stessa Leticia imparerà ad amare.
È
prossimo il Natale quando i due si scambiano il loro primo bacio.
“Perché
Grigoryan? Sei straniero?” – domanda lei.
“Mio
padre è armeno. Mia madre spagnola. Ecco perché
solo il mio nome è iberico” –
le spiega quando l’accompagna davanti casa, una villa enorme
che lo lascia di
sasso.
Certo,
sapeva quanto fosse benestante la Lopez, ma immaginare che vivesse in
tale
sfarzo non lo credeva possibile.
Trascorsa
qualche settimana, dopo baci e uscite, coccole e sentimentalismi,
Carlos fa un
passo decisamente scioccante: le chiede la mano.
La
famiglia di lei è incredula. Come mai tutta quella fretta?
Alcuni temono sia
dovuto a una gravidanza inattesa. Ma Leticia rassicura. È
una giovane donna
responsabile che mai avrebbe permesso che capitassero cose che
avrebbero potuto
mettere in cattiva luce i suoi genitori in società. Mette da
parte i suoi
desideri per il bene di chi l’ha messa al mondo.
Beh…tanta
urgenza nel promettersi SI sull’altare ha, in
realtà, un motivo di fondo…
qualcosa di molto distante dall’amore.
Leticia
e Carlos si uniscono in matrimonio nel gennaio del 1980.
Una
festa degna di un re e una regina. I Grigoryan sembrano apprezzare quel
lusso e
goderne a pieno. È come se avessero combinato tutto alla
perfezione pur di
accasare il loro unigenito con una donna ricca.
Ed
è effettivamente ciò che accade.
Ma
si sa, le forzature spesso creano effetti contrari.
Carlos
si sente imprigionato in delle nozze mai seriamente volute. Per di
più si rende
conto che ad accomunarlo a Leticia è solo l’amore
per l’arte e la pittura.
Anche
fare l’amore con lei diventa un peso.
Ha
vent’anni quando scopre che da lì a qualche mese
sarebbe diventato addirittura
papà.
Tutto
troppo per un giovane come lui.
Nasce
Santiago e solo un anno dopo il suo arrivo, il piccino diventa orfano
di padre.
Colui
che avrebbe dovuto crescerlo assieme alla consorte, fa le valigie e
abbandona la
sua famiglia.
Lo
scandalo per i Lopez è tale da costringere i Grigoryan ad
annullare ogni tipo
di vincolo con loro.
Per
evitare denunce, avvocati, assegni di mantenimento o altro, si opta per
cancellare definitivamente dalla vita del bambino ogni traccia di
Carlos.
A
Leticia non resta che un cuore in mille pezzi, tanti sogni bruciati, e
un
figlio da crescere…da sola!
C’è
da domandarsi il perché di quelle lettere nascoste.
Beh…
la signora Lopez, il cui cognome sarà quello che
contraddistinguerà anche
Santiago, negli anni scriveva lettere al suo amore perduto. Lettere mai
spedite, sulle quali raccontava di quanto dolore gli avesse recato, di
come il
loro Santi stesse crescendo, dei suoi cambiamenti, delle sue
paroline…una
raccolta custodita gelosamente.
In
quella stessa raccolta emerge che Leticia negli ultimi quindici anni
era stata
ricattata e le venne imposto un pagamento molto alto.
Soldi
che dovette cedere a chissà chi per evitare danni al
compagno scomparso, nonché
al suo adorato figlio.
---------------------------------------------
“La
ricattavano per salvare il culo a quello stronzo!”
– esclama Bogotà, stringendo
con forza una delle ultime lettere rimaste –
“Chissà che razza di malfattore è!
Maledetto”
Ma
è il tassello mancante alle sue indagini quello che trova in
fondo alla
scatola.
Una
piccola cornice nella quale è fotografata la coppia con in
braccio il loro
neonato di poche settimane.
“Cazzo”
– esclama Santiago, riconoscendosi in quel giovane di fianco
alla madre.
“Nairobi
aveva ragione…porca puttana, allora è mio
padre!” – grida sconvolto.
È
in tale istante che Agata, agitata per la scoperta fatta in autonomia,
si fa
ben udire mentre
parla ad alta voce con
Tokyo e Rio, in mezzo ai corridoi del primo piano.
“Cosa
conti di fare ora, amica mia?” – chiede Silene alla
gitana.
Santiago
origlia, ancora decisamente scioccato dalla novità.
“Vorrei
che Bogotà sapesse. Vorrei sapesse chi è il
Signor Dalì, chi è il Cliente 13”
“Lo
so già” – commenta
l’ispettore, scendendo a passo lento le scale per riunirsi
ai tre.
Poi
si rivolge alla sua compagna e la prende per mano –
“Perdonami per prima. Certo
che ti credo. Mi fido di te. E adesso ho la prova decisiva. Guarda tu
stessa”
Le
porge la cornice.
Dal
viso di Nairobi, impallidito, e quello agitato di Santiago, la Olivera
e Cortes
intuiscono che parte del mistero è stato risolto.
“Quel
figlio di puttana che ti ha messo le mani addosso è lo
stesso che ha usato mia
madre per arricchirsi. Non ho dubbi, lui ha costruito il suo impero con
il
denaro che le ha strappato”
“Sei sicuro? Tutto questo l’hai dedotto da una
fotografia?” – domanda Tokyo,
quasi burlandosi di lui.
“Era
tutto studiato a tavolino, sin dal principio. E ci sono delle lettere
che ne danno
prova. C.G. queste sono le sue iniziali”
“Aspetta,
com’è possibile? Diceva di chiamarsi
Lopez” – ricorda Nairobi.
“Ha
usato il cognome di mia madre come copertura. L’ha sposata
per soldi. Poi l’ha
abbandonata. Non so come sia arrivato al Mariposas né come
ha fatto ad
impossessarsene. State pur certi che lo scoprirò. Ho una
voglia matta di
sbattere in galera la persona che ha calpestato il cuore e i sentimenti
di mia
madre…la persona che ha osato distruggere la donna che amo.
Non la passerà
liscia. Fosse l’ultima cosa che farò in vita
mia…lo voglio dietro le sbarre!!”
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Capitolo 31 *** 30 Capitolo ***
“Allora? Hai risolto
la
faccenda di Axel?”
“Sì,
signor Dalì. Il bambino è qui con me. La fortuna
ha girato dalla
mia parte. Ho trovato
facilmente un volo e in meno di due ore sono arrivato in
Portogallo”
“Bene,
Gandia! Sarai premiato come meriti. Il bambino è con
te?”
“Certo!
Pensi
che mi è bastato
parlare con suo padre per fargli capire che era essenziale la
presenza per qualche giorno del piccoletto per questioni
importanti”
– spiega Cesar.
“Ammetto
che vendere Axel al mio socio è stato un grande
affare.
Lui ha
accettato l’offerta senza battere ciglio”
– commenta il Boss
del Mariposas, giocando, divertito, con il filo di un vecchio
telefono fisso.
“Si
conoscono le ragioni?”
“Non
mi interessa il motivo, Gandia!” – precisa come a
volerlo
rimproverare di badare a faccende inutili, poi aggiunge soddisfatto
–
“A me è bastato prendere i soldi e togliere di
mezzo l’ostacolo
che si interponeva tra me e Nairobi”
“Davvero
crede che Axel possa essere un problema?”
“Lo
era. All’epoca, lei viveva solo per lui. Ma presto le cose
cambieranno”
Cesar
evita altre domande e ascolta il Boss che gli chiede - “Tra
quanto
sarete qui?”
“Siamo
già in aeroporto, signore! L’aereo decollerà
a breve”
“Perfetto.
Tranquillizzalo come meglio puoi, presto sarà tutto
finito…e ogni
cosa tornerà come prima!”
La
telefonata cessa poco dopo.
Palermo
raggiunge il Boss proprio in tale istante, con carta e penna e una
busta bianca.
“Ecco
quanto richiesto! Cosa devo scriverci?”
“Confido
nelle tue capacità. Sei un bravo paroliere. Sappi solo che
è
indirizzato a una mamma”
“Nairobi?”
- domanda,
già conscio
della risposta, poi aggiunge alquanto preoccupato - “
Sul serio Axel tornerà qui?”
“Il
tempo necessario affinché la gitana rimetta piede al
Mariposas. Poi
potrà sparire di nuovo nel nulla” –
ridacchia, sollevato e
felice.
“Il
bambino è innocente. Spero non vogliate fargli
nulla”
“Logicamente
no. Ti sembro il tipo?”
La
serietà sul volto del Signor Dalì
“tranquillizza” Martin.
“Ora
va, affida l’incarico a qualcuno che porti la lettera a
destinazione. Io ho un’altra faccenda di cui occuparmi, molto
delicata” – comanda
il Boss al suo inserviente.
“Posso
chiedere quale, se permesso?”
Il
signor Dalì volta lo sguardo su Berrotti, il quale
rabbrividisce
cosciente di aver interferito troppo. Ma non riceve la ramanzina,
piuttosto il contrario – “Beh…forse non
lo sai, sono stato
molto attento a non far intravedere la mia reazione di fronte a quel
tale ispettore che venne qui a condurre le indagini”
“Ne
erano due, capo”
“Già,
ma quello che mi vede coinvolto in prima persona è uno di
loro.
Santiago Lopez. Il tuo nome ti dice qualcosa?”
“Certo.
Eh…beh…signore io credo che con
Nairobi…ci sia
qualcosa…sospetto che…”
“Si, si! Lo so. Cosa credi? La
spio da diverso tempo e ho dovuto anche udire i suoi gemiti mentre
scopavano poche ore dopo essersi conosciuti nello stesso letto dove
lei lo faceva con me” – grugnisce i denti.
“COSA?
davvero è accaduto?”
“Basta
Palermo! Finiamola qui. Ho intenzione di occuparmi anche di lui e lo
porrò di fronte ad un bivio. Capirà da solo che
conviene
dimenticare la gitana”
Chiude
così la conversazione, facendo cenno a Martin di scrivere.
E
mentre gode al massimo dell’imminente successo, di cui
è più che
certo, pensa alla mossa successiva.
Colpirà
Santiago Lopez con un’arma potente che lo
stenderà, mettendolo
k.o. il tempo utile a convincere Agata che l’unico uomo a cui
appartiene è solo ed esclusivamente uno: il signor
Dalì, il Cliente
13… Carlos Grigoryan.
**********************************
“Non
posso andarmene e lasciarti qui da sola a combattere contro quei
figli di puttana, Nairo!” – Tokyo è
intenzionata a rinunciare
all’imminente partenza, stringendosi al corpo della gitana,
di
fronte al quale, lei sembra un’adolescente.
“Ti
ripeto di non preoccuparti. Ho un alleato, decisamente coinvolto al
cento per cento nella storia” – la rassicura la
Jimenez,
riferendosi al suo Bogotà, mentre cerca di svincolarsi dalle
braccia
esili della Olivera.
“Meriti
di vivere libera il tuo amore con Rio! Appena tutto sarà
finito, ci
vedremo. È una promessa”
“E
se dovesse accaderti qualcosa? Non me lo perdonerei” -
Silene, mai
vista tanto fragile, non trattiene il dolore da un distacco che le
costa più di quello dalla sua stessa famiglia.
Forse
perché Nairobi è sua sorella maggiore, ed
è colei che le è stata
accanto più di chiunque altro in quella tana, e ha saputo
farle da
spalla in ogni momento di sconforto.
“Stai
tranquilla, ci penserò io a lei. non le capiterà
nulla” –
promette Santiago, intervenendo nella conversazione, sollevando i
bagagli assieme a Rio, pronti per caricarli in auto.
Una
separazione tragica e difficile per le due farfalle, ma Agata ha
deciso: Tokyo deve andare via quanto prima, e lo stesso vale per Rio,
lontano da chi le vuole male, lontano da chi potrebbe sbatterla in
quella prigione da un momento all’altro.
“Voglio
che il Mariposas sbiadisca subito tra i suoi ricordi! E solo
lasciando Madrid, e lasciando me, questo sarà
possibile” – si
commuove Nairobi, una volta lasciato l’aeroporto, mano nella
mano
con il suo Bogotà che in risposta, le dà un
tenero bacio sul capo.
Tokyo
non è da meno nella gestione delle sue emozioni.
“Come
ti senti?” – le chiede Cortes, sedutagli di fianco,
ormai
prossimi al decollo.
“Uno
schifo. Una codarda. Una traditrice. Una egoista. Ecco come mi
sento”
– gli occhi colmi di lacrime non nascondono più la
tristezza e la
voce tremante manifesta il suo turbamento.
“Amore
mio, hai sentito Nairo! È meglio così”
“Meglio?
Chi decide cosa può esserlo? Sembra aver preferito
Bogotà”
“Non
dirmi che sei gelosa adesso?! Lo ha fatto per il nostro bene. Credi
non sia costato molto anche a lei? la conosci … sicuramente
è a
pezzi” – Rio riesce con tali parole a far ragionare
Tokyo che
intuisce di aver esagerato nel sentirsi messa da parte dalla sua
migliore amica.
“Mi
odio quando penso male di mia sorella! E’ solo
che…”
“Tesoro
mio, appena le acque si calmeranno, ti giuro, torneremo e la
porteremo via”
“Dici
sul serio?”
“Non permetterò che le accada qualcosa”
–
dopo averla rassicurata, Anibal le stringe la mano, poi baciandola
teneramente.
L’aereo
prende il volo e Tokyo finalmente può respirare a pieni
polmoni la
libertà tanto sognata.
Questo,
invece, non vale per Nairobi.
La
gitana, rincasata, è molto agitata. Ora si sente sola senza
la sua
Toky Toky, sola come non si sentiva da tanto tempo. E una lacrima le
riga il viso al ricordo del loro primo incontro.
“Se
hai voglia di sfogarti, fallo, amore mio. Io sono qui”
– Santiago
le porge la sua spalla, sedendole di fianco su quel divano mai stato
così vuoto come in tale istante.
I
due si scambiano un dolce bacio a stampo, poi è Nairobi ad
accoccolarsi al petto del suo compagno e, a ritmo del suo cuore, si
lascia andare alla commozione.
“Quando
Silene arrivò al Mariposas tremava come una foglia. Del suo
passato
ha raccontato poco perché non ama ricordare la sua famiglia.
Un
padre del tutto assente, una madre che non l’ha mai
desiderata, una
casa che cadeva a pezzi, e una incessante voglia di
libertà”
“Avete
molto in comune voi due”
“Già, ed è come se la vita ci
avesse fatte incontrare per sceglierci l’un
l’altra. Lei è la
sorella che non ho mai avuto. Ed è difficile saperla
distante”
“Presto
la raggiungeremo, vedrai. Una volta che quel bastardo finirà
dietro
le sbarre e quel posto chiuderà i battenti, sarò
io stesso a
portarti da lei. e ti prometto… ci trasferiremo fuori
Madrid”
La
proposta spiazza Agata che esclama –
“Davvero?”
“È
giunto il momento di rompere i ponti con il passato. Voglio scrivere
il mio futuro... con te”
Quella
notte, soli in un’enorme villa, pronti a lasciarsi alle
spalle
dolore e frustrazioni varie, Nairobi e Bogotà vivono ore di
intensa
passione, assaporando ogni sensazione di quel sentimento divenuto
realtà, un sentimento che li ha condotti ad accettarsi e ad
amarsi
in piena consapevolezza.
La
Jimenez sente di poter toccare il cielo con un dito. Le sciagure
negli ultimi anni non sono mancate, eppure l’unico spiraglio
di
luce è stato proprio Santiago.
E
avvolta tra le sue braccia, non ha paura di nulla. Finalmente ha
trovato il suo posto nel mondo.
Ma
ciò che accade è l’ennesima coltellata
al cuore di una giovane
mamma, innamorata del suo essere madre e di un figlio strappatole via
con crudeltà.
È
notte fonda quando Agata avverte uno strano rumore
all’ingresso.
Non
è il vento che solitamente con il suo chiasso pare bussare
alla
porta.
Alzatasi
dal letto, completamente nuda, indossa rapidamente una camicia chiara
di Bogotà e si affaccia alla finestra.
Non
c’è nessuno. La quiete è quasi
spaventosa.
Ed
è allora che nota un piccolo dettaglio. Un’ombra
che sembra
allontanarsi.
“Cazzo”
– esclama, ipotizzando il peggio.
La
sua reazione è quella di una donna cresciuta da sola, senza
mai un
appoggio morale ed emotivo. Perciò non disturba
l’ispettore caduto
in un profondo sonno e corre verso il portone d’ingresso,
gridando
– “Chi sei? Fatti vedere”
Seppure
terrorizzata, non esita a fare da guardia alla casa che la ospita e
all’amore della sua vita.
Poi
china gli occhi e scorge sullo zerbino una busta bianca.
Inconfondibile
il destinatario.
“Per
Nairobi”
Rincasata,
attenta a serrare bene l’uscio e le diverse entrate della
villa, si
siede sul divano, presa dal consueto magone.
Le
mani tremanti testimoniano la sua tensione alle stelle.
“So
che sono loro”- commenta ad alta voce. Chi potrebbe mai
scriverle
se non i suoi nemici pronti a minacciarla per riaverla al Mariposas.
La
sola cosa sospetta è… “Come fanno a
sapere che sono qui?”
Turbata
dai dubbi e dall’angoscia, si appresta a scoprire la
realtà dei
fatti.
Pochi
secondi e il destino le pone di fronte l’ennesima sfida.
E
ciò che vedrà non le piacerà, al punto
tale da rinunciare alla
felicità che ha faticato ad ottenere, per tornare
prigioniera di un
dannato inferno.
****************
E’
l’alba quando il cellulare di Santiago squilla più
e più volte,
destandolo dal riposo.
Brontolando
e stiracchiandosi, cerca la sua gitana sull’altro lato del
letto.
Eppure
è vuoto.
“Amore
mio, non sento il profumo del caffè. Che fine hai
fatto?” -
chiede, mettendosi in piedi.
Assonnato,
sfila il cellulare dal caricabatterie attaccato alla presa elettrica.
“Daniel?”
- esclama, riconoscendo le 3 chiamate perse del collega.
Ricompone
il numero e attende.
“Ehi,
che succede? Cos’è tutta questa
insistenza?”
“Ho
una notizia, amico! Ricordi il bambino del Portogallo?”
“Sì!
Alex, il figlio del tizio serbo”
“Forse avevi ragione tu!”
“Cosa
intendi?”
“Corri
al commissariato. Ci sono delle novità!"
Elettrizzato
dalla notizia, confuso su come le cose possano essersi evolute per
dargli ragione, si doccia in un battibaleno.
Mentre indossa un
paio di jeans e una felpa, continua
a pensare al modo con cui rivelarlo a Nairobi, ipotizzandola in
soggiorno di fronte alla tv con una tazza di caffè in mano.
In fondo non le ha
mai parlato delle sue ipotesi circa il bimbo di Lisbona.
E
appena raggiunge il salone, nota un silenzio tombale.
Agata
non c’è.
La
chiama. La cerca. Scruta ogni angolo della villa, perfino il giardino
esterno e le aree adiacenti.
Niente
da fare.
Terrorizzato
da quanto può esserle accaduto o quanto può aver
commesso, telefona
nuovamente a Ramos.
“Non
la trovo”
"Che
significa che non la trovi? È lì con te. Sotto la
tua tutela,
dubito sia scappata!”
“Non
l’avrebbe mai fatto, Daniel! Per questo ho paura”
Nei
minuti di confronto con il socio, Santiago scorge una busta bianca
accartocciata sul pavimento.
La
raccoglie – “Aspetta, credo di aver trovato
qualcosa…” - dice
all’amico, lasciandolo in sospeso.
“Porca
puttana!” - esclama poi.
“Hai
novità?”
“E’ un biglietto per...me”
“E
cosa dice?”
“E’ andata via…. è...andata
…. via!” -
ripete, scioccato. Il cuore sembra bloccarsi e raggelarsi.
Nairobi
l’ha mollato.
Nairobi
è fuggita.
E
ha detto addio ai progetti per cui, poche ore prima, erano euforici.
La
cosa è alquanto strana, eppure quel messaggio è
chiaro.
“Mi
mancherai, ma è bene che tu viva senza di me al tuo fianco.
Ti amo e
ti amerò sempre. Per sempre tua, Agata”
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Capitolo 32 *** 31 Capitolo ***
Santiago
percorre, a passo svelto, la stradina che lo conduce al Mariposas.
Ormai la conosce a memoria, tanto da poterla percorrere ad occhi
chiusi.
Quel
biglietto di Nairobi è chiaramente la prova che la gitana
è
tornata, per chissà quale motivo, al Night Club.
E
a lui frega poco di trovarsi di fronte dei criminali, incluso suo
padre, il più pericoloso di tutti; gli frega poco anche di
non
essersi organizzato in termini di uomini della polizia da usare come
scorta. Ciò che conta è riprendersi la sua donna
e porre fine a
tutto quell’inferno.
Così,
mentre il cellulare continua a squillare, ininterrottamente, per via
di Daniel Ramos che è spiazzato dalla mancata risposta del
collega
alla scoperta su Axel, il coraggioso Bogotà ha intrapreso il
piano
più folle della sua vita.
Il
corpo non risponde alla vocina nella testa che gli ripete di prestare
attenzione.
Agisce
come un automa, muovendosi quasi fosse un robot, intento
esclusivamente a riappropriarsi della sua felicità.
Quella
busta, quella in cui è custodito il messaggio lasciatogli da
Agata,
gli ha rivelato altro.
“Quel
figlio di puttana vuole ricattare anche me! Si sbaglia di grosso se
pensa che io sia alla sua mercé” –
borbotta riferendosi al
Signor Dalì.
Mentre
percorre quei metri che lo separano dal locale notturno, i ricordi
rammentano le ore precedenti.
La
nota busta bianca trovata dalla Jimenez conteneva più di un
messaggio.
O
meglio, alla gitana era indirizzato quello contenente il motivo del
suo rientro...ma per Santiago Lopez si tratta di altro. Si tratta di
appellarsi ad un lato del suo essere che ha volutamente
soppresso...il lato paterno.
“Ti
consiglio di lasciar perdere la faccenda del Mariposas, soprattutto
di rimuovere Nairobi dalla tua mente...e dal tuo cuore. So quanto
potere esercita quella donna sugli uomini. Io in primis ne sono
rimasto folgorato. Perciò… fatti da parte. Non
sfidarmi o a
pagarne il prezzo più alto saranno i tuoi 7 figli.
Già, io so della
loro esistenza e ho la possibilità di recargli tanto tanto
male.
Uomo avvisato…. C.G.”
Il
messaggio minatorio nei confronti della prole di Bogotà
l’ha
mandato in bestia. Solo un essere immondo come suo padre, criminale
approfittatore, può pensare di colpire una persona
sfruttandone la
genitorialità.
Solo
un mostro che non ha saputo comportarsi da papà amorevole e
presente, riesce in un ricatto meschino di tale portata.
Come
se l’avvertimento non bastasse, durante le ore seguenti,
fatte di
angoscia e panico per la sua Agata, e per il suo stesso cuore
martoriato, l’ispettore continua a ricevere messaggi
intimidatori
fatti di fotografie ritraenti i suoi figli.
“Dove
sei? Figlio di puttana!” - grida trovando, davanti casa, le
foto in
questione.
Setacciata
la zona, senza darsi pace, Bogotà diventa cosciente di
trovarsi in
trappola. Probabilmente allontanarsi dalla villa ha reso possibile al
nemico compiere ulteriori mosse.
“Porca
puttana!” - esclama, tornando indietro il più
veloce possibile.
Ma
il fumo e le fiamme che si scorgono da lontano sono la palese prova
dell’attacco del Signor Dalì e
dell’avvertimento scritto che
diventa realtà.
Davanti
ai suoi occhi la scena è devastante. La sua amata casa, il
luogo
della sua infanzia, il posto che lo ha sempre legato a Donna Leticia,
è l’ennesima vittima della follia di colui che
avrebbe dovuto
definire padre.
Trattenendo
la furia, a pugni stretti, Santiago urla a squarciagola la sua
frustrazione.
E
mentre la sirena dei vigili del fuoco riecheggia nelle sue orecchie,
il suo corpo risponde ad una voglia di vendetta e di riscatto contro
chi, ad oggi, gli ha strappato l’ennesimo briciolo di
serenità.
C.G.
come ama firmarsi, ha scelto di togliergli il passato e i ricordi di
sua madre, bruciando la sua casa; ha scelto di togliergli il
presente, minacciando Nairobi di tornare al locale; ha scelto di
togliergli, di conseguenza, ogni sogno futuro da costruire con lei!
E
questo non lo accetta.
Così,
spinto dall’odio verso suo padre, è ora diretto al
Mariposas.
******************************
Al
locale, intanto...
“Ehi,
come ti senti? Pronta a ricominciare?” - chiede Palermo a
Nairobi,
entrando nella sua stanza, fingendosi interessato al suo stato.
La
gitana, però, è in attesa di riabbracciare Axel.
In fondo la
promessa era quella: il suo rientro in cambio di suo figlio.
“Dov’è
il mio bambino?”
“Calmati,
lo vedrai. È questione di minuti”
“Giuro
che se gli avete torto un solo capello, io vi ammazzo tutti”
–
sbotta, fissandolo minacciosa.
“Accidenti,
la fuga ti ha resa peggiore di quanto già fossi”
“Senti
chi parla” – commenta la Jimenez, cercando di
autocontrollarsi,
sedendosi sul letto.
In
tale istante una voce familiare, udibile dai corridoi, le fa
raggelare il sangue.
“Non
ci credo” – esclama.
Scansando
con forza Berrotti dalla porta, la spalanca e mette a fuoco la
persona in piedi, di fianco a Helsinki, immobile a pochi metri dalla
sua camera.
“Manila?
Ma… sei...davvero tu?”
Julia
si volta e con occhi lucidi annuisce, avanzando, seppure aggrappata
al collega, verso l’amica.
“E’
un miracolo che tu stia bene! Ti sono debitrice, in fondo ci hai
salvate. Non lo dimenticherò mai” –
commossa, Agata mette da
parte, per un attimo, i suoi dolori e gode della gioia nel
riabbracciare chi credeva morto.
E
mentre le due sono strette l’una all’altra,
è la Martinez a
sussurrarle – “Fa’ attenzione, qui le
cose sono peggiorate da
quando sei andata via”
“Che
intendi dire?”- risponde.
È
il serbo a dividerle in quel momento, constatando troppo
confabulazione.
“Tu
aspetta qui…” - dice l’omone a Nairobi
– “Tu, invece, vieni
con me” – prende Manila e la conduce in una sala
dove è prossima
a controlli medici settimanali.
Palermo
e Agata sono nuovamente da soli.
“Allora?”
- chiede lui.
“Allora,
che?” - replica, infastidita, lei.
“Continuerai
a fare la ribelle o ti placherai? Perché sappi che Axel ha
bisogno
di una madre matura”
“Intendi
dire che sono infantile?”
“Intendo
dire che è bene se abbassi la cresta. Il Signor
Dalì apprezzerà
anche questo tuo tratto caratteriale. Beh...io no!”
“Perché
non lo chiami con il suo vero nome? Tanto io so chi è.
L’ho
scoperto. Ho capito chi si cela dietro l’identità
del Cliente 13,
alias Signor Dalì. Presto lo saprà anche la
Polizia e per lui sarà
la fine”
La
determinazione con cui Nairobi riferisce tali parole pietrificano
Martin che le crede senza esitare.
“Come
hai fatto a…?”
“Non
deve interessarti. Basta che gli riferisci che la questione si
chiuderebbe se lasciasse andare tutte noi, se mi desse mio figlio
indietro… posso garantire io per lui in tale caso! Gli
offrirei la
giusta copertura. Fuggire non può che fargli bene”
E
mentre tenta di convincere Palermo, è quest’ultimo
a riderle in
faccia.
“Che
stupida ingenua che sei! Non l’hai ancora capito?”
“Capire,
cosa?”
“Beh
sicuramente il Signor Dalì potrebbe lasciar andare via le
Mariposas,
chiudere il locale, fuggire da Madrid, se gli offrissi la giusta
tutela”
“Bene,
perché non lo fa, allora?”
“Perché
a lui interessi solo tu. Sei tu il motivo per cui non ha intenzione
di mollare”
“Io?”
“Hai
stregato lui, come stregasti tempo addietro anche Berlino!”
“Io
non ho fatto nulla. E poi…di certo l’uomo che
voglio non è chi
ha abusato del mio corpo per divertirsi e soddisfare le sue pulsioni
sessuali!”
“Lui
dice che sei stata la sola a mandarlo in estasi con lo
sguardo” –
dice Berrotti, seppure con disgusto, riportando le fedeli parole del
capo.
In
tale istante, riceve un segnale dal Boss in questione, tramite
walkie-talkie e auricolare.
“Seguimi!
Parlerai con il diretto interessato e
chissà….magari ora con lui
c’è Axel”
invitandola
ad uscire dalla camera, Martin le fa’ strada, conducendola,
per la
seconda volta, nel luogo in cui fronteggiare il nemico e
probabilmente ricevere in dono il premio ambito per tale tortura
emotiva.
*****************************
Santiago
è prossimo all’arrivo quando avverte una voce
femminile non molto
distante che sembra chiedere timidamente aiuto.
E
il flash di anni addietro, di Raquel Murillo, torna a farsi vivo
nella sua memoria.
Due
uomini la tirarono via, due uomini di cui non ha alcun ricordo.
Ma
ecco che la giovane corre nella sua direzione.
La
chioma riccia e bionda è inconfondibile.
“Stoccolma?!”-
esclama, afferrandole un braccio per bloccarla nella fuga.
“Lasciatemi
andare, vi supplico” – singhiozza lei, non
riconoscendolo a primo
impatto.
“Sono
io! Sono l’ispettore Lopez. Che succede?”
“Ispettore,
la prego. Sento dei passi che mi perseguitano da ore. Vogliono farmi
impazzire, lo so. È la loro tattica. Anche con Lisbona
fecero lo
stesso. Tutto pur di riportarmi al Mariposas. Mi aiuti, per
favore”
Accoccolata
al petto rassicurante di Bogotà, la donna scoppia in lacrime.
“Tranquilla,
ti porto in Commissariato. Lì sarai al sicuro”
E
proprio in tale istante, senza rendersene conto, il quarantaduenne
viene colpito alle spalle e cade a terra.
Non
un colpo letale ma solo da stordimento.
“Chi
siete voi? Cosa volete fargli? Lasciatelo stare”- grida,
spaventata, Monica.
“Tranquilla,
signorina! Anzi, venga con noi” –
l’afferra un tizio con una
strana barba lunga.
Lei
replica con una sberla in pieno viso.
“Accidenti,
manesca la biondina” – ridacchia il collega, dal
cui accento
trapelano origini serbe.
“Fidati
di noi. Conosci Lisbona? Bene, sappi che ci manda lei!”
“Come?
Che significa? Ma...l’avete rapita?”
“No,
è al sicuro. ”
“Dove si trova?”
“Basta
domande. Qui può udirci qualcuno, siamo troppo vicini al
Night Club.
Vieni con noi e lo scoprirai tu stessa”
Pregando
di aver fatto bene a dare l’ok ai tizi sconosciuti, la
Gaztambide
segue i due omoni, salendo sul loro camion parcheggiato poco
più
avanti.
Proprio
come Nairobi, anche Monica si muove verso l’ignoto.
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Capitolo 33 *** 32 Capitolo ***
L’idea
di trovarsi di nuovo di fronte al nemico numero uno, fa tremare
Nairobi che cammina lungo un cupo corridoio, avvertendo i sintomi
nervosi del suo corpo e il peso della mente che continua a ricordarle
il male patito negli anni.
“Eccoci”
– è la voce di Palermo a destarla dai pensieri e
riportarla con i
piedi per terra.
Lei
alza il capo, seppure a fatica, e si accorge di essere in
un’ala
del Mariposas decisamente familiare.
“Sono
già stata qui” – precisa lei, nonostante
avesse tentato, invano,
di rimuovere la paura vissuta quando fu condotta lì per
punizione.
“Bene,
allora sarà più facile per te respirare
l’aria della tua nuova
casa” – commenta Berrotti.
“Nuova
casa? Cosa cazzo stai dicendo?”
“Ehi,
questo lessico non mi piace” – la terza persona
presente in
quella sala fa la sua comparsa, con voce divertita ma pur sempre
austera.
I
passi lenti e pesanti sul pavimento sono un suono fin troppo noto
alle orecchie di Agata.
“Sei
tu” – afferma, conscia di avere davanti a
sé il Cliente 13,
rassegnandosi all’imminente confronto.
“Mia
bella Nairobi, finalmente sei tornata…da me”
– ed è allora che
quel po' di luce soffusa lascia intravedere il volto, ora scoperto,
del Signor Dalì.
“Bogotà”
– esclama, inconsapevolmente, la Jimenez, riconoscendovi
molto del
suo compagno. Seppure un ipotetico Bogotà invecchiato di ben
vent’anni, quell’uomo resta pur sempre tanto, fin
troppo, simile
al suo grande amore.
“Eh?”
- ride Martin – “Chi è ora
Bogotà?”
“Silenzio,
Palermo!” - lo zittisce il Boss, leggendo il panico negli
occhi
della gitana ed approfittandone -“Odio vederti
così spaventata”
– le prende la mano, sentendola tremare, e la conduce ad uno
specifico posto, poco più avanti.
“Voglio
vedere Axel” – esige la zingara con insistenza,
ponendo
resistenza al panico fisico che sta avvertendo. Il tutto accade
mentre Carlos Grigoryan, il noto Signor Dalì, cova astio
verso un
bambino divenuto un vero e proprio ostacolo.
“Per
lui faresti ogni cosa, vero?”
“Perfino
morire” – replica Nairobi, senza riflettere al peso
di tali
dichiarazioni.
Il
capo del Night Club sorride, quasi malizioso; poi fa cenno a Palermo
di allontanarsi, per permettergli di parlarle in intimità.
E
quando Agata nota Martin andare via, teme per la sua
incolumità.
“Cosa
vuoi farmi?” - domanda, preoccupata, cercando attorno a
sé delle
vie d’uscita in cui scappare.
“Shhh”
– la placa, sfiorandole il viso con un’inattesa
dolcezza –
“Amore mio, con me sei al sicuro”
Tali
disgustose premure sono segnale che il Signor Dalì ha una
doppia
personalità.
Come
può, dopotutto, essere tanto docile con lei e al contempo
crudele,
pronto a compiere atti malvagi per i suoi scopi?!
Ma
la gitana non cede al suo Capo, piuttosto ostenta determinazione, e
ribadisce - “Voglio mio figlio!!! Adesso,
cazzo!!!!”
Ma
la faccenda di Axel inizia a infastidire ai massimi livelli il noto
Cliente 13 che le avanza una proposta.
“Ho
un’offerta per te”
“Cioè?
L’ennesimo ricatto?”
Carlos
Grigoryan ride sotto i baffi, quasi divertito dalla grinta della
zingara.
“Penso
che a farmi perdere la testa per te sia stato questo...lato
caratteriale che cerca sempre di domare chi gli è
intorno...ma sai
bene che con me è impossibile”
Il
silenzio seguente vede i due fissarsi, con sguardi di diversa
intensità.
Poi
è l’uomo a rompere il ghiaccio dicendole di
seguirlo.
“Dove
mi porti adesso?”
Stavolta
il luogo è illuminato ed è preceduto da un
percorso a scale.
“Dove
stiamo andando?”
Un
susseguirsi di domande, frutto della sua ansia che, seppure ben
celata e domata, sta riuscendo ad emergere con prepotenza.
“Credevi
fosse un locale di piccole dimensioni? Beh, amore mio, ti sbagli di
grosso. Questi anni mi sono serviti anche per ristrutturare
l’area
a seconda delle esigenze di lavoro” – spiega,
vantando la sua
abilità nell’aumentare le grandezze del Night Club.
“Lavoro?”
- commenta a bassa voce la zingara, decisamente contraria nel
definire quello schifo con tale appellativo.
E
Grigoryan finge di non averla udita, evitando discussioni e perdite
di controllo.
“Eccoci”
– esclama un paio di minuti dopo.
Stavolta
ciò che Nairobi vede ha, a tratti, l’immagine di
una setta pronta
a mettere in atto uno dei suoi riti.
“Oh...mio...Dio” –
scioccata, sente le gambe cedere e in un battibaleno perde i sensi,
raccolta immediatamente dal Signor Dalì il quale, forte di
averla
ormai nelle sue mani, dà ordine a un tipo incappucciato
lì di
fianco di prenderla in braccio e accomodarla su una poltrona. Una
poltrona rossa posta ovviamente accanto alla sua.
“Siamo
sicuri che metterla al corrente del nostro Circolo sia la mossa
giusta? E se rendesse pubblico il tutto?”
“Tranquillo,
amico! Lei sarà la mia compagna anche negli affari. Vedrai.
Non
potrà sottrarsi. Ne va della vita di Axel”
– afferrando un
calice di vino rosso, offertogli da un altro dei tipi avvolti dal
mistero, sorseggia e gode del momento da cui è certo
potrà trarne
solo una decisiva e strabiliante vittoria.
************************
“Dove
mi trovo?” - risvegliatasi dal trauma precedente, Agata si
accorge
di essere circondata da un gruppo, stavolta liberatosi dei cappucci,
col volto coperto dalla stessa maschera che anche il Signor
Dalì era
solito indossare.
“Amore
mio, come ti senti?” - la accarezza, ma stavolta lei si
ritrae.
Quel
continuo “amore mio” è decisamente
snervante e poco realistico.
Lei
non lo ama! E quell’appellativo può sentirlo con
piacere solamente
dalla bocca di Bogotà.
“Che
cazzo volete da me? Cosa è questa merda? Siete una setta che
compie
sacrifici? È questo che avete fatto con Lisbona?
E… e… e dove
avete portato mio figlio? Avete recato male anche a lui? Vi uccido
tutti” – senza ragionare, Nairobi comincia a
parlare e porre
domande insistentemente, mettendosi in piedi per attaccarli. La
debolezza, però, la costringe a sedersi di nuovo.
“Calmati,
è questo che voglio proporti. E per farti la mia offerta,
devo
rivelarti chi siamo. Preparati, perché alcune cose sono
certo non ti
piaceranno”
detto
ciò, Carlos invita i suoi soci a svelare le
identità solo al
termine del racconto.
“Quando
cominciai a frequentare il Mariposas mi fu detto che il proprietario,
Andres De Fonollosa, lo utilizzava come fosse un centro
d’accoglienza
per donne perdute. Lui e Martin Berrotti gestivano un pub e
chiedevano a queste ragazze di servire, di intrattenere, in cambio di
vitto e alloggio. Beh...lasciami dire che trovavo la cosa alquanto
misera. Conoscevo De Fonollosa da anni, ed era indebitato con me ai
massimi livelli”
“Indebitato
per cosa?”
“Io
ho creato un mio impero negli anni che ho vissuto in America. E tanta
gente era alle mie dipendenze. Incluso il tuo caro ex promesso
sposo”
Dopo
un verso di disgusto al pensiero di Berlino con Agata, Carlos
Grigoryan riprende – “Insomma… sta di
fatto che io iniziai a
recarmi al Night Club per controllare e ricevere da lui quanto mi
spettava di diritto. E fu allora che ti vidi. Una donna tanto bella
da farmi cedere le gambe al solo sguardo. Lo presi in disparte e
scelsi il solo modo per chiudere la faccenda dei pagamenti
arretrati”
La
Jimenez sconvolta trae le sue conclusioni.
E
il Signor Dalì conferma – “La sua
libertà in cambio di… TE!”
E
quel “TE” pronunciato con decisione e con possesso
fa
rabbrividire la gitana.
“Come
ho poi preso potere al Mariposas?! Beh… ottenni come sai
bene ciò
che volevo. Eri diventata la mia Farfalla preferita. Così,
pensai di
portarti via con me. Ma lui si rifiutò. Per di
più avevo scoperto,
proprio da te, che lui aveva in programma di sposarti. E questo non
mi andò più bene. Perciò i patti
cambiarono. O la sua libertà...o
il Mariposas. Gli diedi un avvertimento che gli costò alcune
contusioni, poi cedette. Filò via con la coda tra le gambe e
mi
lasciò il suo locale”
“E’...è...assurdo!”
“Non
lo è. Sono affari, bambina mia” – le
dice, sorridendo malizioso.
“E
questa gente chi è? Che combinate nei sotterranei del Night
Club?”
“Io
ho i miei traffici da portare avanti. Non penserai che mi accontento
delle entrate ottenute dal locale?”
“Quindi siete tutti
criminali qui?”
“Siamo
un Circolo, con un Capo che avrai ben
riconosciuto…” - si vanta
del titolo, poi continua - “… e loro sono alla mia
mercé”
“Vorresti
che lo fossi anch’io, dico bene?” - Agata ha fatto
due più due
ed è giunta a conclusoni.
“Bingo!”
- risponde il Boss.
“Io
non sono una di voi. Non commetterò atti criminali per
arricchire le
tue tasche. L’ho fatto per anni. Sono stata la tua bambola di
pezza
troppo a lungo. Ma adesso no, adesso basta!”
Carlos,
di fronte allo sfogo e al netto rifiuto della Jimenez, le ride in
faccia, come se ogni cosa detta da Nairobi fosse una battuta
esilarante da prendere alla leggera.
“Come
puoi trattare la gente da schiava?! E ti permetti anche di
sghignazzare come fosse la situazione più normale del mondo.
Tu sei
pazzo” - Agata tira fuori la sua rabbia, sputandogli in
faccia
odio e rancore.
Intenzionata
ad andare via, conscia che sarebbe stato complicato, la zingara
respira profondamente e lenta si solleva, riuscendo ad allontanarsi
di qualche metro da lui.
Ma
è in tale istante che Carlos tira fuori un’altra
faccenda – “Ho
impedito che sposassi Berlino. Credi che mi costerà tanto
impedirti
di farlo anche con mio figlio?”
Ciò
immobilizza Nairobi.
“Povera
sciocca. Non hai capito che io ottengo sempre quello che voglio? Lo
feci più di quarant’anni fa, quando sposai Leticia
Lopez per
accedere alle sue finanze. Lo feci con la mia carriera criminale. Lo
feci con il Mariposas...e lo feci con te
all’epoca… e anche ora!
Sei mia, Agata Jimenez. E quell’inutile di Santiago ti ha
persa per
sempre quando ha scelto di combattere contro suo padre”
La
porta d’uscita viene chiusa con forza da due tizi, provocando
un
rumore tale da far sussultare la mora.
“Maledetto”
– esclama, stringendo i pugni e trattenendo le lacrime
rabbiose –
“Se osi fargli del male, giuro che me la paghi”
La
difesa di Bogotà colpisce Carlos che, infastidito, prosegue
-
“Aspetta, aspetta, aspetta! Non vuoi dirmi sul serio che ti
sei
innamorata di lui? Di quello sfigato divenuto ispettore per volere
materno!”
“Tu
non sai un cazzo di lui, della sua vita, delle sue scelte, di sua
madre”
“Beh...Leticia
la conoscevo bene” – ridacchia, alludendo ad altro
diverso dai
sentimenti che normalmente un marito nutre per una moglie -
“...la
sciocca perse seriamente la testa per il sottoscritto. Non lo trovate
assurdo?” - dice, rivolgendosi ai soci che, come su comando,
rispondono con risate di gruppo.
Sentendosi
braccata da ogni lato, Nairobi è costretta a tornare al suo
posto.
Ha
una gran voglia di cancellare quel sorrisetto malefico dalla faccia
del suo nemico.
Proprio
allora le salta in mente un’idea che, da un lato potrebbe
causare
una reazione eccessiva nel Signor Dalì, ma
dall’altro servirebbe a
destarlo dalle sue folli idee amorose.
“Puoi
sminuire quanto vuoi ma è reale. Io amo Santiago. Lo amo
più di
qualsiasi altra cosa al mondo. E lo sposerò. Sì,
lo sposerò.
Diventerò sua moglie. E sappi che potrai anche incatenarmi
qui,
tenermi lontana da lui, ma non mi impedirai mai di amarlo”
“Silenzio”
– a quel punto, Carlos inizia ad infastidirsi.
Odia
sentirla parlare con parole sdolcinate di una persona che non
è lui.
“E
invece mi ascolterai. Sai che la prima volta che ci siamo visti siamo
finiti a letto insieme? Già… so che odi
ascoltarlo ma è così.
Una calamita ci ha avvicinati per non staccarci
più”
“Ho
detto basta” – ripete il Cliente 13.
“Abbiamo
fatto l’amore a casa sua...in ogni angolo, ogni volta che
eravamo
vicini non potevamo farne a meno...e mi piaceva, sì mi
piaceva. Non
era sesso. Con lui non lo è mai stato, dopotutto. Ma con te
sì…
notti di fuoco, notti che erano divenute un’agonia per
me...notti
che speravo terminassero quanto prima! E sapere le tue mani sul mio
corpo, il tuo….- esita nel dirlo, a tratti disgustata dal
ricordo
che le torna in mente - “… il tuo…
dentro di me! L’incubo
peggiore… mi hai rovinato la vita, Carlos
Grygorian”
di
fronte a tali dichiarazioni, l’ormai sessantenne non ha
più
risposte.
La
fissa in silenzio, mentre un susseguirsi di emozioni prendono corpo
dentro di lui.
“Allora?
Vuoi sentire altro?” - aggiunge Nairobi –
“Non puoi
costringermi ad amarti”
ma
il Signor Dalì non replica.
“Arrenditi
alla realtà, Carlos!” - forte di averlo
temporaneamente messo
k.o., Agata tenta di darsela a gambe. In fondo nessuno di quei tizi
in maschera sembra muovere un passo per bloccarla.
Può
essere la sua occasione.
Poi,
però, dubbi le saltano alla mente.
Come
mai nessuno la sta fermando?
Come
mai il Capo del Mariposas non batte ciglio?
E
finalmente ne comprende le ragioni.
Il
portone viene aperto all’improvviso e di fronte alla ribelle
gitana
si palesa Palermo. Ma non è da solo stavolta.
Stretto
alla sua mano c’è un bambino. Un bambino i cui
nerissimi capelli
ricci e la carnagione scura sono la conferma che il Cliente 13 non ha
mentito: Axel è davvero lì, a pochi passi, e
Nairobi lo può avere
nella sua vita come ha sempre sognato.
“Beh...vedo
che l’arrivo del piccoletto ti ha zittita,
finalmente”- commenta
il Signor Dalì.
“Axel,
amore mio” – singhiozza Agata, inginocchiandosi di
fronte a lui,
che la fissa stranito e alquanto spaventato.
“Ascoltami
Nairobi…” - la richiama il Boss -
“...fossi in te comincerei a
trattare con rispetto il sottoscritto. E sai
perché?”
Segue
altro silenzio.
Poi
il tipo continua – “Se lo rivuoi con te, non hai
scelta. Dovrai
unirti a noi”
“COSA? Mi stai ricattando...di nuovo?”
“E’
ciò che so fare meglio, l’avrai capito. Ti avrei
concesso più
tempo, se non mi avessi rivelato quelle cose poco fa, sminuendo le
nostre nottate. Perciò...hai 48 ore...potrai trascorrerle
insieme ad
Axel, qui al Mariposas, sotto i miei occhi. Poi pretenderò
una
risposta. Sappi solamente che non mi piacciono i NO! E che ad ogni
azione corrisponderà una mia reazione”
Dopo
aver indicato ad alcuni soci di andare via, il sessantenne chiama a
sé uno in particolare.
“Occupati
tu di tutto. Controllala, non voglio alzate di testa!”
“Si
signore”
“E
non rivelarle la tua identità, chiaro?”
Così,
lasciando il discorso riguardante le persone del Circolo a
metà,
Carlos si chiude nella sua ala buia, preparandosi mentalmente alla
imminente vittoria.
Sa
che Agata non rinuncerebbe mai a suo figlio...questo significa che
presto sarebbe divenuta la sua compagna...la consorte che attende da
anni.
È
solo questione di tempo!
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Capitolo 34 *** 33 Capitolo ***
Quando
Santiago Lopez apre gli occhi, alquanto stordito dal colpo alla testa
subìto,si trova in una stanza, mai vista prima, di piccole
dimensioni, disteso su di un letto singolo, con un plaid sulle gambe,
la finestra aperta e la persiana totalmente abbassata.
“Cosa
cazzo…?!” - esclama, spiazzato, mentre massaggia
la parte lesa
del suo capo.
Cerca
di mettersi in piedi, inciampando nelle sue stesse scarpe.
“Fanculo”
– sbotta, ipotizzando di aver causato il rumore che
eliminerà la
sola possibilità di fuga da quel posto che, a suo dire, ha
l’aria
di un ambiente organizzato per un sequestro di persona.
E
proprio mentre riporta alla mente le ultime ore prima della perdita
di conoscenza, qualcuno varca l’uscio.
“Finalmente
si è ripreso” – esclama, briosa, la voce
di una giovane donna.
Quel
suono è familiare e spiazza Bogotà che, confuso,
pronuncia il nome
di lei - “Stoccolma?!”
“Si,
sono io! Si segga, signor Lopez. Le portiamo qualcosa da mangiare o
da bere” – dice la Gaztambide, mai così
entusiasta come in tale
momento.
“Cosa?
Che dici? Piuttosto...perché non sembri affatto
spaventata?”
La
riccia sorridendogli risponde – “Siamo con i buoni.
Adesso venga
con me” – le fa cenno di seguirla.
E
mentre, sospettoso, percorre un breve corridoio, rallegrato di
quadri, dipinti, e reso piacevole dal profumo di ciambella appena
sfornata, l’ispettore si trova in un cucinino delle medesime
dimensioni della sua piccola stanza.
I
due omoni che lo hanno colpito sono seduti al tavolo conversando
nella loro lingua mentre una terza figura sembra tagliare a fette il
dolce, pronto per essere consumato.
“Ecco
il signorotto finalmente ha ripreso i sensi” –
commenta uno dei
due.
“Cosa
cazzo ci facciamo qui? Chi siete voi?” - sulla difensiva
Bogotà
ricorda di avere la solita pistola, e la cerca istintivamente nel suo
taschino.
“Ci
abbiamo pensato noi” – risponde l’altro
straniero, avendo
intuito l’imminente gesto del quarantaduenne.
“Maledizione!
E se fosse una trappola? Stoccolma, ce ne dobbiamo andare”
– le
sussurra, stringendo, senza volerlo, con forza, il suo esile braccio.
È
tutto troppo calmo e tranquillo da apparire spaventoso.
Perché
mai un colpo in testa per chiuderlo in un’abitazione,
collocata
chissà dove? E perché mai degli sconosciuti
avrebbero dovuto
salvarlo?
“La
storia è lunga. Ed è meglio se a raccontarla
siano i diretti
interessati” – spiega la donna intenta a offrire la
ciambella ai
presenti.
Queste
parole vengono pronunciate proprio in vista dell’imminente
arrivo
di due figure alle spalle di Lopez.
L’ispettore,
confuso, si volta ,lento ,e resta ammutolito.
“Murillo?!”
- esclama, riconoscendo la prima – “Sei...davvero
tu?”
“Ciao
Santiago. Direi che da qualche tempo mi conosci come Lisbona,
preferirei usassi tale appellativo”
“Ehm...ok.
se...se...sei sana e salva?”
Spiazzato,
comincia addirittura a balbettare.
“Sì,
mai stata meglio” – conferma, raggiante, Raquel
– “E’
necessario che tu sappia la verità, finalmente”
Il
quarantaduenne annuisce e torna a sedersi su una delle sedie attorno
al tavolo.
Ha
sorvolato sulla seconda persona, posta di fianco alla ex Farfalla.
Ed
è lui a presentarsi, di sua spontaneità.
“Io
mi chiamo Sergio Marquina, di me non avrà sentito mai
parlare. Mi
chiamano anche “Il Professore”, piacere di
conoscerla”
La
pacatezza del tipo colpisce Bogotà che mai avrebbe
sospettato di
essere, in qualche modo, catturato da due che sono dipendenti da una
personalità tale.
“Ehm...il
professore? Come mai questo soprannome? Insegna, per caso?”
“Beh…”
“E’
un genio, di quei rarissimi casi…il suo cervello supera di
gran
lunga tutti quelli di noi qui presenti, compresi gli inquilini di
ogni appartamento del condominio” – commenta uno
dei serbi,
masticando la sua porzione di dolce.
Imbarazzato,
Sergio si accomoda accanto al suo ospite, invitando Lisbona a fare lo
stesso.
Ora
tutti e tre sono al tavolo e due di loro stanno per rivelare a
Santiago quella verità che cerca da tempo.
Questo
non prima di aver appurato che la donna che incontrò la
notte che fu
aggredito e che gli costò la perdita di memoria fu proprio
la
Murillo.
“Cosa
accadde quella famosa sera? Quando ci incontrammo?” - domanda
l’uomo, desideroso di conoscere parti di un passato che
sottrattogli.
“Beh...se
non le dispiace…
“Dammi del tu...anzi, datemi… tutti
quanti! Ho intuito che siamo dalla stessa parte, no?!”
“Esatto”
– conferma Stoccolma, entusiasta,accarezzandosi il
leggerissimo
rigonfiamento del suo ventre.
La
storia viene raccontata da Raquel, vittima del Mariposas e di un
marito che non l’ha mai seriamente amata.
“Quando
sposai Alberto Vicuña ero un’ingenua giovane
innamorata dell’idea
dell’amore. Ben presto capii di che pasta era fatto il mio
consorte. E i segni che mi lasciò sul corpo sono la prova
tangibile
della sua folle personalità”
“Già,
di questo sono al corrente. Soggetti come lui non sono degni
dell’appellativo di UOMO” – commenta
Lopez, disgustato dal tipo
in questione.
Poi
la Murillo riprende, mostrandosi forte della presenza di Sergio che
le tiene la mano.
E
tale gesto così amorevole ricorda per un secondo a
Bogotà della sua
Nairobi.
Cosa
le staranno facendo adesso? Perché lui ne è
più che certo...si
trova al Night Club… alla mercè di un bastardo.
Lisbona
ricomincia e l’ispettore torna a concentrarsi su di lei.
“Mi
sono trovata coinvolta nelle vicende del Mariposas perché,
ecco…io…
deve sapere che quando sono andata in Portogallo e ho trascorso
qualche giorno a casa di mia madre avevo duramente litigato con mio
marito. Fu un incubo. Durante la discussione lo colpì con un
oggetto
contundente alla testa. Credevo fosse morto. Sono corsa via. Ero nel
panico totale, terrorizzata al pensiero di essere diventata
un’assassina. Vivere a Lisbona, fingendo
tranquillità, non mi
aiutò affatto. Forte del sostegno del mio psicoterapeuta,
scelsi di
affrontare di petto la situazione. Tornai a Madrid, e fu allora che
ricevetti delle minacce. Qualcuno mi ricattò. Alberto
Vicuña era
morto e la responsabile ero io. Avrebbero denunciato la mia
colpevolezza e sarei finita in prigione. Avrei perduto mia figlia,
capisci? Fu per tale ragione che optai per una drastica scelta:
fingermi morta mi avrebbe aiutata a venir fuori sia dai ricatti che
dalla vita sofferente che mi ero costruita. Potevo cominciare da
capo. La notte che mi diedero per morta fu grazie al coinvolgimento
del Professore… e di suo fratello”
“Non
capisco. Se il Professore, qui presente, ti aiutò, come sei
finita,
poi, in quel postaccio?”
“Ecco…vedi…
nonostante i primi giorni fossero l’inizio della mia
libertà…
infatti, avevo in progetto di riprendere Paula e portarla via con
me…
beh… non feci in tempo”
“Che
intendi dire?”
“Intende
dire che le minacce proseguirono. La richiesta proveniva da un tale
Signor Dalì, intenzionato a sistemare vecchi debiti con
l’assunzione
immediata di Raquel al Mariposas”
“Cazzo, ma questo
maledetto che intenzioni aveva?! Sembra stesse assumendo personale in
quel periodo” – sbotta Bogotà.
“Esattamente”
– la risposta, stavolta, viene dal Professore. È
lui a proseguire
la storia – “Il vile che seppe tenerci sulle spine
aveva appena
sottratto il locale al proprietario e lo tramutò in poco
tempo in
ciò che è oggi. Lisbona gli serviva,
così come servirono anche
Tokyo, Manila, Stoccolma e… Nairobi”
“Maledizione”
– esclama, furioso, Lopez – “Quindi hai
dovuto rinunciare ai
tuoi sogni, vero? Scommetto che ti ha dato un out out: o andavi
lì,
o avrebbe recato male a Paula. Dico bene?”
“Già,
come lo sai?”
“Ha
fatto lo stesso con Nairobi, ora ne sono super convinto. Voglio
fargliela pagare. Cosa avete orchestrato per mandare quel mostro in
galera?”
“Calma,
ispettore. Non vuoi conoscere tutta la verità?”
“sì,
certo,scusami. Prego, Lisbona...sono tutto orecchi”
La
donna continua – “Quando cedetti, fui condotta al
Night Club.
Però il Signor Dalì notò la mia poca
voglia di fare, come se
resistessi al suo volere, e la considerò un problema. A suo
dire
potevo distogliere le mie colleghe dalle loro mansioni o mettere loro
in testa strambe idee. Perciò diede a Palermo
l’ordine di
mantenermi a debita distanza dalle altre . Nessuna amicizia con
loro.”
“Santo cielo! Ecco perché eri tanto distante.
Povera, Lisbona! Parlo a nome di tutte, mi dispiace”- si
commuove
Monica, instabile emotivamente anche per via degli ormoni della
gravidanza.
Le
si avvicina e le due si scambiano un tenero sorriso e una stretta di
mano.
Almeno
adesso si spiega il perché di tanta freddezza verso le
Farfalle.
“Ecco…
ma una sera Sergio riuscì a presentarsi sotto copertura. Si
finse un
cliente. Mi spiazzò che il Boss, al quale non sfuggiva mai
nulla,
non notò la presenza di un nemico”
“Questo spiega come mai
Tokyo e Nairobi raccontano della presenza di un uomo che parlava con
te. E la descrizione ora che ci penso coincide. Al primo
interrogatorio rivelarono tale dettaglio”
“Si,
è le verità. E ricordo anche che la gitana mi ha
proposto
di...ehm.. forse preferisci non sapere, Lopez, giusto?”
“Beh...no,
grazie”- replica Bogotà, intuendo a cosa si
riferisse, sorvolando
sulla vecchia Nairobi, nonostante morisse dentro di gelosia.
“Sta
di fatto che fu quella notte che io ipotizzai la mia fuga. Orchestrai
un primo tentativo, andato in fumo purtroppo”
“Fu
la notte che ci incontrammo?”
“Precisamente.
Palermo mi scoprì e mandò Oslo e Helsinki a
riprendermi. Mi misero
in castigo. Fui chiusa in un’ala buia di cui ignoravo
l’esistenza.
Forse mi drogarono, non so dirlo. Sta di fatto che mi risvegliai sul
letto, nella mia stanza, ancora stordita e con dei lividi sul
corpo”
“Come
Agata”- aggiunge, sospettoso, il quarantaduenne –
“e’ la
stessa situazione della tua collega. Questo spiega che adottano per
tutte il medesimo modus operandi. Chi trasgredisce alle regole,
paga”
“Ma
forse continuarono a farlo, perché anche nei giorni seguenti
non ero
me stessa. Potevano controllarmi. Fino a quando i ricordi non
riaffiorarono lentamente e riuscii a mettere a fuoco la presenza di
qualcuno che in quell’occasione,durante la punizione,
esercitò il
suo potere su di me. E non era il Signor Dalì”
“chi?”
“Alberto!”
- confessa, nervosa. Il solo ricordo riesce a causarle un attacco di
panico tale da costringerla ad interrompere la narrazione.
“COSA?”-
esclama, scioccato, Santiago – “Sei sicura?
È ancora vivo? Ma…
come è possibile?”
“E’
su questo che abbiamo lavorato nelle settimane scorse, signor
ispettore. Siamo dell’idea che in quel posto si nascondano
più
“cattivi”, mi capisci? Il Signor Dalì
è al comando, ma ha dei
dipendenti a cui tiene e che eseguono ordini” –
spiega Sergio.
“Quindi
anche Alberto dite che è uno dei suoi soci?”
“Credo
davvero che sia così. E confesso che temo possa esserci lui
dietro
la forzata assunzione di Raquel al Night club” –
spiega il
Marquina, irrequieto.
“Tutto
tornerebbe stando ai fatti” – constata
Bogotà, trovando logica
nel ragionamento del professore.
“Precisamente!”
“Adesso
che vi abbiamo reperito e che siete dei nostri, è giunto il
momento
di far crollare quell’impero. Siamo stati zitti e cauti fin
troppo
a lungo. Ora basta”
“Come
pensate di farlo?”
“Raquel
è riuscita a scappare grazie al coinvolgimento di mio
fratello. Lui,
la notte della sua sparizione, ha orchestrato la tattica per tirarla
fuori da lì. Ma il Signor Dalì potrebbe prevedere
mosse simili,
quindi sarà molto più cauto adesso. Per tale
motivo abbiamo un asso
nella manica di cui non sospetta”
“Mi sto perdendo nei
ragionamenti” – sostiene, confusa, la Gaztambide.
“Inizieremo
lavorando contro Palermo. E abbiamo qui Monica, sua sorella. Useremo
le loro medesime tattiche. Occhio per occhio…
“Volete
ricattare mio fratello usando me?” - interviene la bionda,
spiazzata da tale idea.
“E’
la mossa che potrà servirci in caso di urgenza. Ma al
momento no,
non è questo che faremo. C’è una talpa
in quel posto. Una talpa
su cui il caro Boss mai e poi mai avrebbe scommesso”
– sorride
Marquina, certo dell’ottima riuscita.
********************************************
“Che
cosa vuole? Mi sta seguendo? Sono una prigioniera fino a questo
punto?” - sbotta Nairobi notando una figura alle sue spalle,
che la
pedina.
La
persona, con indosso la maschera, mandato di proposito dal Capo, non
ha ancora tolto la mantella nera e il cappuccio. È alquanto
inquietante ma ad Agata ciò importa poco.
“Ho
visto cose peggiori di cui spaventarmi di un tizio sconosciuto
coperto fino alla punta dei capelli e con una maschera di
Dalì” –
commenta, aprendo la porta della sua stanza, sbruffando.
Non
avrebbe mai ipotizzato che quel tale l’avrebbe seguita fin
lì.
“Cosa
fa? Se ne vada immediatamente. Che significa tutto ciò?
E’? Adesso
mi picchierà su volere di Carlos?” - gli tuona
contro,
indietreggiando il più possibile – “Non
ho paura di lei! So come
proteggermi e sono pronta a uccidere, chiaro?”
Ma
tale straniero non molla. Si fa sempre più vicino,
accorciando le
distanze, costringendola ad adagiarsi, di schiena, contro una parete.
Le tappa la bocca con una mano, mentre l’altra tiene fermi,
immobili, gli arti superiori.
“Quanto
mi sei mancata, Agata!” - le sussurra all’orecchio,
e tali parole
pietrificano la Jimenez.
Lei
conosce quella voce.
Cazzo,
certo che la conosce.
“Se
mi prometti che non griderai, ti lascio”
La
gitana, con il cuore a mille, annuisce, mentre una lacrima le riga la
guancia, involontariamente.
Gli
occhi mettono a fuoco in un battibaleno chi da di fronte.
Liberatosi
della copertura, il socio del Cliente 13 mostra finalmente la sua
identità, certo che il luogo nel quale si è
chiuso con la zingara è
stato sabotato da possibili videocamere o microfoni.
“Co...co...cosa...ci
fai tu qui…. BERLINO!?”
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Capitolo 35 *** 34 Capitolo ***
Gli
occhi spalancati di Nairobi sono fissi su di un uomo rimasto simile a
dieci anni prima, con una leggera barba grigia, un uomo che ha amato,
che ha creduto la amasse, e che come fecero in tanti prima di lui,
l’ha usata per ferirla con durezza.
Scombussolata
nelle sue emozioni, Agata si limita a pronunciare tre sole parole
–
“Tu...sei...vivo!?”
Lo
sguardo di Andres è un tuffo nel passato, a quel loro primo
incontro, al giorno del parto, alle promesse sul futuro insieme, e
alle notti di incontrollabile passione.
De
Fonollosa, intanto, la osserva nei dettagli, come ad assaporare i
sussulti del cuore man mano che mette a fuoco i lineamenti del suo
volto: i suoi zigomi alti, il naso non perfetto e segno della sua
dominante personalità, le labbra sottili e ben definite da
una tinta
rossa, e quei due brillanti che ha al posto degli occhi, grandi,
scurissimi, profondi, da cui traspare il suo essere più
intimo.
Cerca
di sfiorarle una guancia, accompagnandosi a delle dichiarazioni
pronunciate con tono amorevole - “Non sei cambiata affatto,
gitana!
Sei sempre così...così…” -
è allora che la zingara lo rifiuta,
spostando la sua mano dalla direzione a cui era diretta.
E
Berlino chinando il capo, amareggiato e cosciente del rancore che
giustamente la Jimenez nutre verso di lui, chiude la frase
“...così
bella”
Ma
quel complimento irrita Nairobi che sbuffa, riuscendo subito dopo a
sbloccare un magone che le impediva di parlare.
Eppure
le sue reazioni sono decisamente quelle di chi non è
intenzionato a
dialogare in pace.
“Piantala!
Se credi di illudermi...di nuovo...ti sbagli di grosso. Che cazzo di
fine avevi fatto? Sono dieci anni che non ti fai vivo. Mi hai
abbandonata alle mani di un criminale… e io che ti volevo
bene”
“Mi
volevi solo bene? Davvero?” - chiede lui, quasi infastidito
dal non
sentir parlare di amore, ma solo di affetto.
“Basta,
vattene. Ora che sei venuto qui, in camera mia, cosa pretendi? Che
venga a letto con te? Scordatelo! Io non cederò a nessun
uomo, mai
più, cazzo...mai più” – tuona
lei, singhiozzando di rabbia.
Di
spalle ad Andres, gli indica l’uscita.
“Aspetta,
non sono qui per questo. Capisco che hai di me una pessima
considerazione, e hai le tue buone motivazioni. Però, ecco,
io..
voglio aiutarti”
Come
risposta, la gitana scoppia a ridere. Una risata beffarda mentre le
lacrime, in contrasto, continuano a scivolarle lungo le guance.
“Ti
prego, sono sincero. Sono alla mercé del Signor
Dalì, è vero, ma
l’ho fatto perché è bene che il Boss si
fidi di me. Con il mio
totale assoggettamento al suo volere, non dubiterà mai delle
mie
intenzioni”
“Sei idiota, Andres! Parli di queste cose, sveli
piani, in una stanza che potrebbe essere al novanta per cento spiata
da lui o da altri suoi servetti del cazzo!”
“Non
l’avrei mai fatto se non mi fossi attrezzato in
precedenza”
“Cosa
intendi dire?”
“Che ho temporaneamente staccato le
videocamere di Carlos presenti tra queste mura”
“Davvero?”-
chiede, sorpresa, la donna.
Si
volta verso di lui, leggendo la sincerità nel suo sguardo.
“Adesso,
ti supplico di ascoltarmi. Non ci vorrà tanto. Grygorian si
accorgerà presto di non poterti spiare, perciò
abbiamo poco tempo.
Voglio che tu sappia che stiamo lavorando affinché tutto il
marciume
del Mariposas salti fuori. Contiamo su di te”
“Contate?
Chi?”
“Esiste
una squadra come questa che abita i sotterranei, ma che agisce a fin
di bene. Il capo è mio fratello. Sarà il suo
genio a tirarci fuori”
La
zingara è perplessa; non sa se credergli. Eppure basta la
frase
seguente a darle la spinta a farlo.
“Nairo, sappi solo che ben
preso anche Santiago Lopez si unirà alla Banda!
Perciò puoi stare
tranquilla. Lì sarà al sicuro, e
collaborerà alle mosse decisive
contro Carlos”
“Il
mio Santiago?”- esclama, emozionata, a sentire il nome
dell’uomo
che ama.
Quella
commozione tocca perfino un uomo rigido come De Fonollosa che le
domanda – “Sei innamorata alla follia
dell’ispettore, vero?”
“Non
immagini quanto!”
“Te
lo si legge in faccia!” - risponde l’ex
proprietario del
Mariposas, accennando un sorriso.
“
Non
sarei mai ritornata qui, non lo avrei mai lasciato con un misero
biglietto, se non fosse stata messa a rischio
l’incolumità di
Axel” – precisa poi la gitana.
“Ti
prometto che riabbraccerai il tuo compagno e tuo figlio
tornerà da
te” – le porge una mano, in attesa della stretta
che dà il via
all’accordo.
Nairobi
esita qualche secondo; fissa, silenziosa, gli occhi di quello che
l’ha illusa, usata, venduta, presa in giro, che le ha
promesso un
futuro radioso. Potrebbe negare il patto, causandogli un dispiacere,
ma in fondo sarebbe inutile, dato che non appoggiarlo implicherebbe
la sua vita perenne al Night Club.
Quindi,
seppure contraria a doverlo spalleggiare, annuisce - “Ok,
d’accordo. Dimmi cosa devo fare!”
*********************************
Nel
frattempo, Santiago Lopez, dopo aver raccolto informazioni sullo
stato della sua villa, abbandonata ore prima nel bel mezzo di un
incendio, ha appurato che l’arrivo tempestivo dei vigili del
fuoco
ha salvato il più della struttura. Ciò gli
consente di tirare un
sospiro di sollievo.
Racconta
ai soci l’accaduto, tra lo shock della domestica, ancora alle
prese
con la cucina e i dolci, e quello di Monica, conscia di quanto il
Signor Dalì possa compiere pur di ottenere le sue vittorie
personali.
“Quello
stronzo ti ha dato un avvertimento pesante”- commenta il
Professore, tirando su gli occhiali con tic quasi nervoso che gli
dà
una veste goffa ma al contempo ingegnosa. Riflette ad alta voce,
coinvolgendo gli altri – “Ricatta, come
è solito fare,
aggrappandosi ai legami affettivi della sua vittima!”
“Già.
Un mostro che fortunatamente ho visto sparire dalla mia vita sin da
subito” – svela Bogotà.
“Un
padre così non lo si augura neppure al nostro peggior
nemico” –
puntualizza uno dei serbi.
“E’
terribile. Non sapevo che Carlos avesse un figlio”
– Lisbona è
alquanto sconvolta e volge lo sguardo su Monica.
“Non
guardare me, amica! Neanche io ne ero al corrente”
– sostiene la
bionda, alzando le mani per sottolineare il suo totale estraniamento
ai fatti.
Nei
secondi che seguono, Santiago riceve l’ennesima telefonata di
Daniel Ramos.
“Cazzo,
mi ero del tutto dimenticato!” - esclama
l’ispettore, leggendo il
nome del collega sullo schermo dell’Iphone.
“Ehi,
finalmente, porca puttana, stavo per venire con la scorta fino a casa
tua per controllare se fossi ancora vivo” – sbotta
il trentenne.
“Beh...se
foste arrivati avreste trovato delle macerie al posto di una
villa”- comunica Lopez, ancora amareggiato, mentre Marquina
gli dà una
pacca sulla spalla come sostegno.
“Che?”-
esclama, confuso, l’altro.
“No,
lascia perdere. Anzi, perdonami per l’assenza. Dimmi tutto.
Che
succede?”
“Non hai letto i messaggi? Ci sono novità
importantissime sul piccolo del Portogallo. Era come dicevi tu,
amico, era lui, era Axel”
“COME?” - sconvolto, Bogotà si
alza in piedi, lasciando cadere la sua sedia sul pavimento.
“Sì,
ci sono cose che devi sapere ma non tramite cellulare. Ti aspetto al
Commissariato tra un’ora”
riagganciata
la chiamata, il quarantaduenne viene sommerso di domande dei neo
complici.
Ma
è Sergio a ordinare il silenzio per poterlo ascoltare senza
confusioni.
“Ci
sono notizie su Axel” – presa la giacca, si avvia
all’uscita.
Poi
pensa che Stoccolma possa essere utile ad altre ricerche e le chiede
di unirsi.
“Uscire
da soli non è rischioso? Avete bisogno di uno di
noi?”- domanda
un serbo.
Colpito
piacevolmente da tanta apprensione, Bogotà risponde con una
sberla
delicata sulla guancia del tipo che, per statura e prestanza fisica,
potrebbe schiacciarlo ma che trasmette una smisurata tenerezza.
“Lavoro
in polizia. So difendermi. Tranquillo. Torno qui il prima
possibile”
“Buona
fortuna”- afferma Raquel, abbracciando l’amica.
Camuffatisi
con vecchi abiti, presi in prestito dai membri di quella Banda, i due
lasciano il condominio poco dopo.
Salgono
a bordo di una vecchia Seat Ibiza, appartenente al Professore, e si
apprestano a raggiungere la loro meta.
************************************
“Quanto
cazzo di tempo ci mette” – sbuffa Daniel, fissando
l’orologio
al polso, mentre nell’ufficio, in cui è chiuso da
almeno mezzora,
ha trattenuto una donna e una ragazzina.
“Non
abbiamo fretta, ispettore Ramos”
“Sì,
però...odio attendere” – ripete il
trentenne.
Ma
finalmente la porta viene aperta e a varcarla sono proprio
Bogotà e
la Gaztambide, i cui visi sono parzialmente nascosti dalla visiera di
un cappello.
“Finalmente”
– esclama il giovane, riconoscendo subito il collega.
È
la presenza della bionda a spiazzarlo.
“Tu?
Mio Dio! Stai bene? Come ti senti? Sei riuscita a fuggire?” -
le va
incontro e istintivamente l’abbraccia, suscitando un forte
imbarazzo seguente.
Poi restano a
fissarsi per qualche istante, mentre Lopez ridacchia nel
vedere che le Mariposas, in generale, hanno tutte lo stesso potere
ipnotico sugli uomini.
Così
fu per lui con Nairobi, così Lisbona per il Professore e
anche
Daniel è caduto vittima dell’amore per Stoccolma.
“Ok,
Dani perché non porti qualcosa da bere alle
signore?”- chiede
Santiago prendendo posto alla scrivania, dando modo all’amico
di
poter godere delle emozioni suscitate nel rincontrare la riccia.
E
Ramos non esita ad eseguire, chiedendo a Monica di uscire insieme.
“Siamo
soli. Vi ho riconosciute subito, penso anche il mio collega. Siete
Alison Parker e la signora Marković”
“Dolores,
preferisco mi chiami per nome”
“Ok.
Ditemi...come mai siete qui?”
“Perché
è arrivato il momento di rivelare la verità su
quel figlio che mi è
stato dato anni fa e che chiamammo Alex”
“Il
figlio di…?” - Bogotà
cerca conferme.
“Di
Agata Jimenez, alias Nairobi” – specifica la donna.
“Quindi
lo avete sequestrato?”
“No,
signore. Lo abbiamo formalmente adottato. O meglio, pagato
profumatamente una cifra per averlo come fosse nostro”
“Capisco”
– commenta, Santiago, decisamente infastidito da tali parole.
“Sono
qui perché voglio salvarlo” – spiega la
donna.
“Da
chi?”
“Da
chi l’ha portato qui a Madrid, qualche ora fa”
Trovando
così conferma alle sue teorie circa il coinvolgimento di
Carlos nel
rientro di Nairobi al Mariposas, rientro dovuto al ricatto su Axel,
decide di toccare prima l’argomento riguardante la Parker, la
cui
presenza lì è poco chiara.
“E
tu Alison, cosa c’entri?”
“Io
sono stata minacciata da Alberto Vicuña. Voleva diventassi
una
Farfalla del Night Club”
“Che cosa?”- esclama,
esterrefatto, Lopez.
“La
storia è lunga, ispettore. Ma segue il dannato protocollo
del
Mariposas”
E
così, con il battito accelerato, Dolores rivela di essere
stata una
Mariposa, prima dell’arrivo di Tokyo. Nairobi la conosceva,
ma
supponeva
fosse addirittura morta.
“Il
mio nome era Sofia. Fu quello l’appellativo di
città che mi fu
scelto. Firmai quel dannato protocollo, come fecero anche le altre,
non notando la clausola in piccolo, stampata male e poco
leggibile”
“Ovvero?”
“Che
siamo assoggettate a uno dei membri della setta”
“Assoggettate?”
“Sì,
la nostra libertà dipendeva dalle scelte di costui.
All’epoca una
mia amica scoprì di essere legata ad un tale, non so il
nome, e lui
la liberò, per così dire, obbligandola ad un
matrimonio”
“Aspetta,
quindi voi potete uscire da lì, a patto che vi
sposiate?”
“Non
proprio. Non possiamo di certo sposare chiunque si trovi di passaggio
e cerchi di portarci via”
“Quindi
deve restare tutto nell’ambiente malfamato che abita il
locale,
giusto?”
“Sì,
e uno dei membri era proprio Vicuña, lo
ricordo bene”
– a quel punto l’adulta cede la parola alla Parker.
“Zio
Alberto e zia Raquel mi ospitarono per l’estate a Madrid.
Quell’anno ero in totale crisi, mossa dal desiderio di
libertà,
dalla voglia di spiccare il volo. Ero pronta a tutto pur di lasciare
casa mia e dire addio alla vita di merda che conducevo con due
genitori in eterna lite tra loro”
“Fu questa la vera ragione
per cui mollasti il tuo Paese?”
“zia
Marivi fu la mia salvezza”- precisa Alison, poi continua
– “Però
quella dannata estate, pochi mesi prima la morte di lui,
Vicuña mi
propose una maniera per ritrovare me stessa. Unirmi ad un gruppo di
donne, in un posto dove potevo considerarmi sradicata dal
passato”
“il
Mariposas”
“Precisamente. Rimasi spiazzata dal modo in cui
me ne parlò. Per lui era un tesoro prezioso, alludendo
addirittura
al sogno di mandarvi Paula non appena compiuti 18 anni”
“Cazzo,
che folle” – commenta Bogotà, avvertendo
la pelle d’oca.
“Io
ovviamente risposi di no; mi sembrò troppo strano. Non ne
feci
parola con nessuno, però fu Lolita, qui presente, a
raccontarmi di
Axel, in un momento di sfogo. Lei era la sola a sapere questa storia.
E ad oggi...la
conosce anche
lei, ispettore”
“Come
mai avete pensato di parlare adesso e non prima? Perché
Dolores hai detto che vuoi salvare Axel e che credi sia qui?”
“Perché,
signor ispettore, Axel è in pericolo. Mio marito…
l’ha dovuto
cedere ad un socio, un tale Gandia con
una scusa, io ho subito captato il marcio! Di quel Gandia
ricordo bene i suoi occhi che
mi
fecero raggelare il sangue.. e fu lui a condurre il bambino qui, in
Spagna”
“Aspetta,
aspetta, aspetta… Gandia?! Di nuovo lui! Che figlio di
…” - poi
si zittisce, trattenendo l’ira verso il presunto collega di
lavoro
– “Indossava i panni di vice ispettore della
Polizia per poi fare
il doppio gioco e spifferare ogni cosa ai nostri nemici. La
pagherà
cara, sarà il primo a finire dietro le sbarre”
Nel
mentre della rabbia, sorvola su un dettaglio. E dopo sbollito, in
parte, lo stato di ira, proprio tale considerazione gli salta alla
mente.
“Maledizione…
ora che ci penso… signora Dolores, lei ha detto di essere
stata una
Mariposa giusto?”
“Si,
lo sono stata”
“Ed è libera. Questo vuol dire che ha
sposato un uomo...e che quell’uomo, quel giardiniere, quel
tale che
si mostrò così cordiale con noi quando ci recammo
a Lisbona…
beh...quel tale è uno della Setta”
La
donna annuisce – “Si fa chiamare Marsiglia. Lui mi
salvò la
vita, mi sposò perché una notte io tentai di
farla finita e…” -
singhiozza, ricordando momenti bui del passato.
È
Alison a confortarla, e lo stesso Bogotà che le evita di
ripercorrere tali istanti e di rivivere quella sofferenza.
“Una
domanda importante… questo Marsiglia potrebbe passare dalla
parte
dei buoni?”
“Non
saprei, è molto fedele al Signor Dalì. Esegue gli
ordini senza
battere ciglio”
“E
lui sa che siete venute fin qui?”
“E’ partito, così mi ha
detto, ma sono sicurissima che è al Mariposas. È
primavera e come
ogni primavera lì si preparano a celebrare matrimoni con le
Farfalle”
“Che?
Sul
serio?
E chi si dovrebbe sposare allora?”- domanda, timoroso,
Santiago,
temendo il peggio.
“Non
l’hai capito ancora?”- la
voce
di
Daniel,rientrato, mano nella mano con Monica, interrompe
la conversazione.
Lopez
lo guarda, trovando nel suo sguardo serio
e preoccupato la
risposta.
“Porca
puttana!” - esclama Bogotà
–
“Nairobi!!!!”
|
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Capitolo 36 *** 35 Capitolo ***
Fuori
controllo, Santiago Lopez non riesce ad ascoltare le parole del
collega, il quale tenta, in ogni modo, di spiegargli quanto iniziali
ipotesi siano divenute realtà.
Ma
Bogotà pensa solo esclusivamente a quanto accadrà
a Nairobi: dovrà
sposarsi...e non con lui!
Un
pugno nello stomaco in piena regola.
Incurante
dei presenti, lascia l’ufficio in tutta fretta, intenzionato
a
riprendersi la sua donna e a restituirle la libertà.
“Forse
dovevamo evitare...” – commenta, amareggiata,
Stoccolma.
“No,
è stato giusto così. Però,
conoscendolo, potrebbe commettere
qualche follia” – afferrato il suo giacchetto,
Daniel fa
inseguirlo, però è sempre Monica a trattenerlo
– “Lascialo,
fidati. Non gli accadrà nulla”
“Cosa
vuoi dire? Se si mettesse nei guai, non posso…”
“Dico
sul serio, Dani. Fidati” – ripete la bionda con una
sicurezza
tale da tranquillizzare perfino il trentenne.
I
due si sorridono, e poi lei gli sussurra – “Dopo le
belle parole
che mi hai detto, poco fa, quando eravamo solo io e te, sei ancora
dell’idea che sceglierti l’appellativo di
città convenga?”
“Certo
che sì. Da adesso in poi sarò il tuo Denver..solo
ed esclusivamente
il tuo Denver”
“E
allora se sei il mio Denver, credimi quando ti dico di star sereno,
ok?”
Il
giovane la guarda, estasiato, e annuisce. Di fronte alle due
testimoni, la coppia si scambia un tenero bacio a stampo, il primo
che rende pubblico il loro neonato amore.
“Che
carini” -commenta Dolores, mentre Alison, che tempo addietro
flirtò
con Ramos, si arrende all’ennesimo due di picche.
Resta,
però, un dubbio da risolvere: cosa rende Stoccolma tanto
sicura che
Bogotà non combinerà casini?
Beh…
esattamente la certezza di essere stata seguita, nelle ore
precedenti, da uno dei serbi del professore.
E
proprio costui, ne è convinta, interverrà al
momento opportuno per
riportare Bogotà sulla diretta via.
Intanto,
proprio l’ispettore in questione è salito sulla
Seat Ibiza,
parcheggiata fuori il Commissariato, e continua a ripetere -
“Maledetto, giuro che ti ammazzo con le mie mani”
Accende
l’auto...questo dopo essersi sfogato dando pugni al volante,
gridando la sua frustrazione per la vita di merda che vive... e
sfreccia verso quella stradina che ormai conosce alla perfezione,
mentre mille paranoie si impossessano della sua lucidità.
Se
il fatto fosse già accaduto? Se Carlos Grygorian ha
costretto
Nairobi a nozze minacciandola con un’arma? Se avesse recato
male
alla gitana e al suo bambino?
Paure
che lo lacerano e che lo rendono impotente di fronte alla
malvagità
di un padre più mostro che essere umano.
Giunto
al solito viale, lascia l’automobile e affretta il passo,
controllando l’arma che nasconde nella tasca, prossima ad
essere
tirata fuori all’occorrenza.
Come
ogni notte la musica del Mariposas riecheggia nei vari vicoli e il
caos della gente è ben udibile.
Ma
proprio allora, esattamente nell’istante decisivo
all’atto
vendicativo, Santiago viene trattenuto da un paio di braccia
possenti, più grosse e forzute delle sue.
“Lasciami”-
grida, riconoscendo l’arrivo del complice che, ore prima, si
propose come guardaspalle, e a cui invece lui negò tale
compito.
Proprio
quel serbo ha disobbedito al suo no, e ha preferito seguire ed agire
in caso di necessità.
Monica
si è accorta sin da subito della sua presenza, scegliendo di
mantenere il segreto, sentendosi più tranquilla con un
alleato in
più, pronto a tutelarli.
Così,
mentre lo tiene fermo impedendogli di compiere cazzate,
l’alleato
del Professore, usa la sola tattica che conosce per placare
l’ispettore… metterlo ko… di nuovo.
E
riesce al primo colpo. Caricato nella Seat Ibiza, privo di sensi,
Bogotà viene condotto, per la seconda volta
nell’arco di
ventiquattro ore, alla tana di Sergio e company.
*************************
“Cazzo,
perché mi hai portato qui? Devo uccidere quel figlio
di…” -
tuona Bogotà contro gli alleati, una volta ripresa
conoscenza.
“No,
calmati. Non possiamo permetterci alzate di testa, capisci? Se tu
fossi entrato lì, sparando a destra e manca, ti avrebbero
catturato.
Sarebbe stata un’ardua impresa tirarti fuori”
– spiega Lisbona,
porgendogli una bevanda calda rilassante.
“E
quindi secondo voi io devo restare qui, seduto su una sedia, a bere
camomilla, ed attendere? Non mi conoscete. Io non sono fatto
così”
“Però
conosciamo le intenzioni e il modus operandi di quella gente,
Santiago” – prende parola il Marquina, alzando i
toni.
La
sua compostezza lascia temporaneamente posto a una forza di carattere
tale da spiazzare e zittire perfino un ispettore come Lopez.
“Beh...allora...cosa
dobbiamo fare? Nairobi è lì dentro, Axel
è lì dentro… e forse
vogliono farle sposare uno della Setta. Non possiamo
permetterlo” –
ribadisce Lopez.
A
quel punto Raquel e il Prof si guardano, scambiandosi messaggi di
difficile interpretazione. Una complicità, la loro, da far
invidia
alle migliori coppie storiche.
“Quindi?
Non mi rispondete?” - aggiunge il quarantaduenne, perdendo la
pazienza.
“Santiago,
ascolta…” - è Sergio ad esporsi
– “In quella Banda di
criminali si nascondono delle talpe che lavorano per noi”
“Sul
serio? E come sono riusciti a convincere un genio del male come
Carlos?”
“Ti
consiglio di bere la camomilla ed aprire bene le orecchie”
– dice
la Murillo, invitandolo a mantenere la lucidità e la calma.
“Forza,
parlate, cazzo. Avete detto che ci sono delle spie. Bene, buon per
noi. Spero veglino su Nairobi”
“E’
ciò che faranno, stanne più che certo.
È solo che…”- esita il
professore - “...Ehm...tu sai della prima relazione che Agata
ha
avuto al Mariposas?”
“Si,
certo che ne sono al corrente. Quel bastardo la mollò, dopo
averla
venduta al Cliente 13. Dovevano sposarsi”
“Ehm...già!
Beh… se ti dicessi che uno dei nostri complici è
proprio lui?”
“CHE
COSA?! Berlino!? Porca puttana, ma è uno scherzo!?”
“No,
ascolta…
“”No, come faccio a non infuriarmi sapendo che
quel vigliacco potrebbe usare la mia donna se solo dovesse trovarsi
nei casini. Cazzo, professore, hai fumato oppio? Lasciarla nelle mani
di Andres?! Non ci penso minimamente.. io torno lì,
fanculo!” - si
alza dalla sedia, furente come mai prima in vita sua.
Mentre
si avvia all’uscita, il Marquina riesce a trattenerlo,
dicendogli -
“Invece dovrai fidarti anche di lui, se ami Agata come
sostieni. È
essenziale ai fini della nostra vittoria”
“Qualcosa
mi puzza, mi stai nascondendo altro?” - volgendosi verso il
Boss
della banda, Bogotà sospetta ci sia qualcosa che ancora non
viene
fuori.
E
infatti…
“Si,
devi sapere che Berlino è... suo fratello”
– Lisbona spalleggia
il suo compagno, prendendo le redini della discussione, mettendo in
chiaro i dettagli ancora ignoti al nuovo membro della squadra.
Il
volto impallidito del quarantaduenne e gli occhi sgranati sono la
chiara immagine dello shock.
“Adesso
è bene che torni a sederti e presti bene attenzione. Se
Sergio ha
detto di lasciarlo fare, sarà per un’ottima
ragione” –
sottolinea Raquel, indicandogli la postazione che ha appena lasciato.
Esterrefatto,
confuso, si accomoda.
Basta
poco, però, a fargli recuperare la parola, ricordando dei
discorsi
della Jimenez su De Fonollosa e della sofferenza recatale da chi
credeva l’amasse.
“Lasciare Nairobi nelle mani di quel
vigliacco… sì, certo, come no! E magari lui
tornerà ad usarla,
portarsela anche a letto quando l’ormone glielo richiede, e
servendosene come scudo contro il Signor Dalì”
“Ora basta”
– sbotta il Prof, in un momento di perdita di autocontrollo,
battendo un pugno sul tavolo.
Poi
respira profondamente, si sistema gli occhiali sul naso e riacquista
compostezza – “Andres non la toccherà.
E’ sposato e ama la sua
donna”
Bogotà
si zittisce.
“Ed
è di lei che voglio parlarti. Si chiama Tatiana. Come
Dolores, come
Nairobi, Tokyo, Manila, Stoccolma, Lisbona e tante altre prima di
loro, è stata una Mariposa. Sposare Berlino è
stata la sua
salvezza”
“Mi vuoi far credere che tuo fratello l’ha
sposata per amore? O è stata l’ennesima
infatuazione?”
“E’
stato ed è amore. Mia cognata ha toccato le giuste corde. Ma
c’è
un dettaglio che ignori. Tatiana fa parte della Setta. È lei
la
nostra seconda talpa”
“Una
donna? Credevo che fosse un patriarcato”
“Tatiana
è… figlia di Carlos Grygorian...Tatiana
è… tua sorella” –
la confessione avviene nel momento più delicato della vita
di
Santiago Lopez.
“CHE
COSA?!”
Il
racconto che Santiago ascolta è quello di un padre che si
comportò
da tale soltanto con una certa Tatiana, che accettò come
figlia per
chiuderla poi al Mariposas. Se è entrata nella cerchia
criminale è
stato grazie al legame di sangue. Ma porta rancore verso il Signor
Dalì e complottare ai suoi danni è ciò
che sperava di fare da
tempo.
Una
notizia come quella pietrifica l’ispettore di polizia che ha
sempre
creduto di essere solo al mondo.
Adesso
scopre addirittura di avere una sorellastra.
“Berlino
ha vissuto anni duri sentendosi responsabile della sorte di Agata. Ed
era lì quando trovò Tatiana, o meglio, Parigi,
alla mercé di suo
padre. E decise che mai più avrebbe schiacciato i sogni di
una donna
come fece con Nairobi. Capisci? Lui è dei nostri. Non
dubitarne...mai!” - conclude il Marquina dopo aver narrato
gli
eventi passati.
“Come mai è stato accolto in quella
cerchia?”
- domanda lecita da uno sempre più scioccato
Bogotà.
“Devi
sapere che Carlos inizialmente aveva i suoi clienti, guarda caso
sempre costantemente indebitati con lui. Da debitori a soci
è stato
un passo. Berlino quando mollò il Mariposas si
allontanò, però fu
richiamato settimane dopo. Il Signor Dalì lo
invitò ad unirsi per
realizzare un sogno chiamato “Impero” con sudditi,
con donne
assoggettate al suo volere, e sono anni che aspira ad una consorte al
suo fianco”
Le
ultime affermazioni pronunciate da Sergio danno il colpo di grazia al
cuore dell’alleato.
“Vuole
sposare Nairobi, vero? Ecco perché ha preteso che tornasse
lì” –
giunto alla verità, una verità amara, Santiago
entra nel panico.
“Precisamente”
– commenta Lisbona, rattristita.
“Cazzo”
– non riuscendo più ad esplodere di rabbia, il
quarantaduenne ha
un crollo emotivo che lo spinge a piangere come non faceva da tempo.
“Amico”
– lo conforta un serbo con una pacca sulla spalla –
“La
salveremo. Te lo prometto”
“Io
credevo… volessero farla sposare con uno della Setta. Ma
addirittura con quel bastardo...no, non posso permetterlo”
“Non
accadrà. Interverremo tempestivamente, ma adesso non bisogna
perdere
la ragione...”
“Tantomeno la speranza” – prosegue la
Murillo.
“Come
può Berlino, insieme a sua moglie, aiutare
Nairobi?” - chiede
Bogotà, asciugandosi il viso dalle numerose lacrime scese
sulle
gote.
“Se
mio fratello ha seguito le mosse stabilite, adesso Nairobi
sarà con
Axel. Hanno due giorni al massimo per stare assieme. Durante quel
tempo, Tatiana avrà il ruolo di Balia, scelta da Carlos.
Lascerà un
biglietto che Agata leggerà quando sarà sola. Sul
biglietto c’è
scritto cosa fare”
“Ovvero?”
“Dovrà
accettare il matrimonio con Grygorian”
“COSA????”
“Calma!
Ti ho già detto che mai e poi mai lo permetteremo.
È necessario che
lui creda di averla sottomessa. È fondamentale che pensi di
essere
riuscito nel suo intento. Solo allora entriamo in gioco noi”
“Come
sai tutti quei dettagli? Come puoi aver deciso cose ben prima che
accadessero e farle poi succedere senza intoppi?”
“Beh...sono
o non sono “Il Professore”?!”
*************************************
Come
rivelato da Sergio a Santiago, il Mariposas ha due talpe al suo
interno.
La
persona che Carlos sceglie come Balia per controllare e vigilare su
Nairobi è proprio Tatiana. La donna fingendosi spalla di suo
padre,
accetta senza esitazione.
In
realtà i due consorti hanno saputo giocare bene le loro
parti,
influenzando con le loro proposte la volontà del Boss.
È
proprio Tatiana a varcare l’uscio della camera della gitana,
con
Axel al suo fianco.
La
zingara, seduta sul letto, sobbalza quando nota il bambino a pochi
passi da lei.
“Piccolo
mio” – esclama, inumidendo gli occhi, ignorando la
presenza della
figura incappucciata e con la maschera di Dalì.
Si
inginocchia di fronte alla sua creatura e gli apre le braccia.
Legge
il panico in quell’innocente e, con voce commossa, gli dice -
“Non
aver timore, avvicinati”
Il
piccolo volge lo sguardo sulla persona che l’ha portato fin
lì,
che incute un certo terrore ai suoi giovani occhi, e corre incontro
alla donna, altrettanto sconosciuta, stringendosi al suo petto. I
battiti dei loro cuori si muovono all’unisono e Axel per la
prima
volta da che ha memoria sente nel profumo di quella straniera una
vera e e propria calamita.
Quel
profumo sa di mamma, sa di famiglia, sa di casa...sa di vita.
E
Nairobi respirando suo figlio ricorda i momenti trascorsi con lui e
le nottate sveglia, le poppate, i pannolini, ma anche i dolori del
parto, le grida, la paura, e il pancione che cresceva...tutti flash,
temporalmente lontani, che le ricordano il bello di essere stata e di
essere ancora una mamma.
Intanto
la persona presente lascia un biglietto sul comodino, andando via
senza far alcun rumore.
Sollevata
e felice di aver visto per la prima volta il vero senso
dell’amore
genitore-figlio, Tatiana si ricongiunge al suo Andres.
“Allora?
Hai fatto quello che dovevi fare?”
“Si,
tesoro! Tutto fila liscio come sosteneva il professore”
“Ottimo,
amore mio. Adesso tienila sotto controllo, come vuole anche tuo
padre. Abbiamo 48ore fissi qui, poi usciremo per comprare roba per la
cerimonia e riferiremo aggiornamenti a mio fratello”
“Bene,
e speriamo che non accada nulla nel frattempo”
“Cosa
dovrebbe accadere?”
“Beh..non
so, ho visto Agata un po' strana”
“No,
fidati di me. È nervosa perché chiusa in gabbia,
ma è dei nostri.
Farà quanto le ordiniamo”
************************
La
prima notte stretta al suo cucciolo è quella che Nairobi
attendeva
da troppo tempo ormai.
Trascorrere
così tante ore insieme fa scoprire ad entrambi delle
somiglianze
pazzesche e non solo fisiche, ma addirittura caratteriali.
E
proprio al mattino, quando il sole con i suoi raggi penetra dalla
piccola finestra di fianco al letto, Axel si mette in piedi e scruta
la gitana in ogni dettaglio.
La
trova bellissima e la sola persona a cui potersi stringere e vincere
le innumerevoli paure. Ha sempre considerato se stesso molto
coraggioso, però mai come allora sente l’esigenza
di ancorarsi a
qualcuno. E quel qualcuno è esattamente Nairobi.
“Piccino,
sei già sveglio?” - chiede lei stiracchiandosi,
una volta aperti
gli occhi al nuovo giorno.
ono
state le 24 ore più emozionanti degli ultimi dieci anni, e
la
dormita più rigenerante e profonda della sua vita, quella
stretta al
suo tesoro più grande.
Axel
annuisce, continuando a fissarla in silenzio.
“Che
c’è? Vuoi del latte? Ci facciamo portare la
colazione qui”
“Voglio
solo sapere una cosa” – dice il piccolo.
“Dimmi
pure” – risponde, intenta a sistemare un buffo
riccio nero dalla
fronte del bambino.
“Sei
la mia mamma?”
“Come?”
- la Jimenez è decisamente spiazzata dall’ingegno
del figlio e
sentirsi riconoscere nel suo ruolo le riempie il cuore di una gioia
immensa.
“Anche
se non confermi, io l’ho capito. Siamo uguali, e poi io sento
di
volerti bene conoscendoti appena”
Gli
occhi lucidi della zingara sono la conferma che Axel attendeva.
E
senza darle modo di rispondere si getta su di lei, accoccolandosi al
suo petto – “Sapevo di non appartenere a quella
famiglia”
“Ti
hanno strappato dalle mie braccia, ma adesso sei qui. Siamo qui. E
non ci separeremo mai più. Te lo giuro...figlio
mio”
*********************************
Le
48 ore assieme al piccolo Axel sembrano volare. Nairobi non ha mai
notato il biglietto di Tatiana e la stessa non ne è stupita.
Immaginava che in quei due giorni la Jimenez avrebbe dato poco peso a
quello, concentrandosi unicamente sul bambino.
Ma
è ormai prossima l’ora X.
“Oggi
dovremmo salutarci?” - chiede il piccoletto alla madre,
triste,
mentre avvolge tra le sue esili braccia un peluche azzurro
regalatogli dalla zingara. Era circa un decennio che lo custodiva
nell’armadio, come unico ricordo del suo bimbo.
“No,
tesoro mio. Oggi comincia la nostra vita insieme” –
gli sorride,
abbracciandolo teneramente, per riempirlo poi di baci.
Chiusasi
in bagno per una doccia rapida, lascia Axel solo sul letto, intento a
giocare con l’orsetto.
Ed
è proprio il gitano ad accorgersi, finalmente, del pezzo di
carta.
Curioso
lo afferra e legge il messaggio.
“Cosa
fai?” - la voce di qualcuno, arrivato in tale istante,
spaventa
Axel che lo riposiziona sul comodino.
“Sei
tu Tatiana?” - domanda lui.
La
tipa annuisce, e poi chiede -“Dov’è
Nairobi?”
“In
bagno. Cosa vuoi da lei? Io la proteggerò”
– il forte ometto si
posiziona come scudo di fronte la porta della toilette.
La
moglie di Berlino sorride divertita dalla grinta, ereditata da Agata,
del bambino.
A
quel punto, abbassata la maschera, gli fa segno di avvicinarsi.
Il
ricciolino tra preoccupazione e voglia di sapere, si posiziona a
pochi passi di distanza, pronto ad udire. E la tipa, dai capelli
rossi e la carnagione chiara, si direbbe quasi di origini russe,
comunica, sussurrando – “Sono qui per
proteggervi”
I
due si fissano, non proferendo parole. Sembrano cercare
verità l’uno
nell’altra.
E
tale sconosciuta, mostratasi senza esitare, con la dolcezza negli
occhi, convince Axel.
È
un rumore proveniente dal bagno a farli sussultare.
“Resta
qui, tesoro!” – gli ordina la donna.
Dà
un forte colpo all’uscio, più e più
volte, buttando giù la
porta come fosse un uomo di grossa stazza.
Nairobi
avvolta nell’accappatoio è stesa a terra.
“Ehi,
Agata, che succede? Non stai bene? Tirati su” – la
scuote
Tatiana.
Dimenticandosi
la maschera sul volto, la rossa lascia svelata la sua
identità.
E
quando la gitana, stesa sul letto, riapre gli occhi, ha di fronte a
sé una Balia inattesa.
“Se...sei...u..una donna?!”-
esclama, impallidita.
“Già,
ora che lo sai, dimmi cosa ti è successo?”
“Non
sto bene. Ultimamente ho una forte nausea, dei capogiri… e
poco fa
ho perso i sensi. Sarà lo stress” –
spiega, cambiando poi
discorso – “Piuttosto spiegami chi sei
e..”
“No, no.
Lascia perdere. Lo capirai con questo” – precisa
porgendole il
biglietto.
“Piuttosto…
credo di avere un’idea su cosa possa esserti preso
ultimamente. Non
muoverti, vengo subito” – le dice la rossa,
lasciandola, per
qualche minuto, alle cure di suo figlio.
Tatiana
raggiunge Manila, chiusa nella camera che prima apparteneva a Monica,
non prima di aver indossato la maschera e il cappuccio per
precauzione.
“Ehi,
che cazzo vuoi? Chi sei?” - la Farfalla sobbalza trovandosi
davanti
una dei soci del Mariposas, mai vista in vita sua.
“Dimmi
dove custodiva la sua roba Stoccolma”
“Che?
E perché dovrei farlo?”
“E’
urgente. Muoviti. Nairobi ha bisogno di una cosa”
Tirata
in ballo una sua amica, Julia non esita. Osserva la straniera
svuotare il cassetto della Gaztambide con fare nervoso e si
preoccupa.
“perché
non mi dici che succede alla mia collega? Mi stai agitando.
Soprattutto...chi sei? Un’altra di noi? Qui di donne siamo
poche”
“Eccolo
qui” – esclama poi, felice, Tatiana, ignorando le
domande.
“Che
cosa?! Dici sul serio?” - la Martinez è scioccata
riconoscendo la
scatola che la sconosciuta ha tra le mani.
“Basta
domande, Mariposa! Torna alle tue cose. Dimentica quello che hai
visto” – così dicendo, la rossa va via e
raggiunge nuovamente la
stanza della Jimenez.
“Allora?”
- chiede Nairobi, confusa.
“Abbiamo
ciò che serve” – gli porge quanto appena
reperito.
“Un…
test…. di gravidanza?”
“Sì, cara. Fallo immediatamente. E
spera che non sia positivo o il piano potrebbe andare al
diavolo”
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Capitolo 37 *** 36 Capitolo ***
I
minuti seguenti sono intensi e carichi di apprensione. Tatiana,
seduta di fianco ad Axel, sul letto, cerca di distrarlo, e nel mentre
gironzola per appurare che le videocamere siano ancora disattivate.
Berlino le ha spiegato che avrebbe messo in funzione le spie solo se
il Signor Dalì si fosse mai insospettito, e proprio al
termine dei
due giorni di convivenza tra la gitana e suo figlio.
E
in quelle 48 ore, stranamente, Carlos non ha dubitato affatto. Questo
insospettisce la rossa che però non dà peso alla
faccenda
focalizzandosi sulla Jimenez, la cui sorte a breve verrà
stabilita
da un test di gravidanza.
Sentendosi
libera di poter parlare, la moglie di Andres si avvicina alla porta
della toilette, decisamente rotta dal suo primo ingresso, qualche
minuto prima, e chiede - “Ehi, Nairobi, tutto bene? Hai
finito?”
Agata,
però, non risponde. Preoccupata, Tatiana avanza e varca
l’uscio,
notando la zingara accovacciata a terra, con le mani a coprirle il
viso.
“Allora?”
- intuisce già che probabilmente le cose non sono andate
come
speravano entrambe ma necessita di sentirlo dire dalla diretta
interessata.
“Guarda
tu stessa” – commenta Nairobi, porgendole il
risultato.
“Positivo!”
- legge l’altra, con un velo di amarezza negli occhi.
“Che
significa?” - anche Axel si intromette, confuso
dall’accaduto.
La
gitana fissa suo figlio, ricordando di quando, ben dieci anni prima,
ha vissuto lo stesso medesimo stato d’angoscia per una
gravidanza
che seppure meravigliosa è accompagnata esclusivamente da
drammi
ingestibili.
Lo
invita ad avvicinarsi e ad abbracciarla. E il piccolo esegue,
ascoltando il pianto della mamma e offrendosi come spalla.
“Ti
difenderò io, da tutti” – le dice,
mostrandosi un ometto in
piena regola.
Tatiana
sorride di fronte a quella tenera scena – “Il
cordone ombelicale
non è stato mai tagliato tra voi due. Siete
l’immagine più bella
della vita”
E
mentre Axel tenta di far distrarre Nairobi, per regalarle un sorriso
dopo la recente scoperta, di cui lui stesso è ignaro,
Tatiana si
confronta con Berlino.
“Cazzo,
ma stai scherzando? Porca puttana, questo cambia tutto”
“Che
si fa adesso?”
“Bisogna
affrettare le mosse” – precisa Andres, spiazzato
dalla novità.
Ma
la rossa, notando il pallore sul volto del marito, solleva una
questione di cui non parla con l’uomo da anni ormai.
“Che
lei sia incinta… ti crea fastidio?”
“Come? Amore, cosa
dici?”
“Non
sei geloso che Nairobi abbia trovato un compagno e che aspetti un
bambino da lui, vero?”
De
Fonollosa, seppure spiazzato dall’osservazione, la rasserena.
La
prende per mano e, guardandola negli occhi, esterna ciò che
prova –
“Io amo solo e soltanto te. Non dubitarne mai. E quando
questo
marciume finirà al posto giusto, e io e te saremo liberi, ti
porterò
nella città dei tuoi sogni. Quella che ti ha identificata
per troppo
tempo. Parigi. E li ci sposeremo davvero, e con con le pantomime di
questo losco gruppo”
Ora
che la figlia di Grygorian è straconvinta dei sentimenti di
Andres,
possono mobilitarsi sul da farsi: se il Signor Dalì
scoprisse il
segreto di Agata potrebbe reagire brutalmente.
Dio
solo sa quali danni recherebbe nello sfogare la sua ira.
“Vanno
affrettate le cose” – comunica la rossa a Nairobi,
una volta
ricongiuntasi a lei.
Spiegate
rapidamente le mosse previste, Parigi si allontana, lasciando la
gitana preda dei suoi ingestibili mutamenti d’umore, per
confrontarsi con suo padre e velocizzare i tempi.
A
passo svelto raggiunge l’habitat del Signor Dalì.
Quest’ultimo è
intento a confrontarsi con alcuni membri sull’ennesima
questione di
guadagni illeciti, quando nota sua figlia arrivare e chiedergli
udienza.
“Dimmi
pure. Hai scoperto qualcosa di Nairobi che potrebbe intralciare i
miei intenti?” - domanda l’uomo, ordinando ai soci
di andare via.
“No,
padre. Anzi. Sono stata con lei, mi sono mostrata amica come ti avevo
promesso. Gli ho consigliato di fare le cose giuste e di pensare al
bene di Axel”
Carlos annuisce, come a complimentarsi con la
figlia – “E?… hai ottenuto
risultati?”
“Sì,
e direi più che buoni. L’ho convinta… a
sposarvi”
Sconvolto
dalla novità, piuttosto impensabile conoscendo la ribellione
tipica
della Jimenez, Grygorian la ringrazia e la congeda.
Solo
con se stesso, di fronte ad una bottiglia di vino francese, sorseggia
in silenzio, fissando il vuoto.
“Qualcosa
non mi torna” – pensa tra se e se.
Ipotizza
ci sia di mezzo lo zampino di Santiago Lopez che, seppure non
presente, sembra influenzare le scelte della Jimenez più di
quanto
previsto.
Così
prende la decisione definitiva. Convoca immediatamente il suo braccio
destro per affidargli l’ennesimo compito.
“Ascoltami
bene. Voglio che tu mi faccia un favore. Come sempre, sarai pagato
profumatamente”
“Mi
dica, signore” – risponde deciso Gandia, senza
alcuna esitazione.
“Si
tratta dell’ispettore”
“Intende…?”
“Mio
figlio, sì. È diventato un ostacolo. A quanto
pare Nairobi sta per
cedere, però sono convinto stia giocando sporco, anche con
Parigi.
Forse scegliere un’altra donna per vigilarla non mi ha
giovato
granché. Agata è scaltra, a questo punto direi
anche più della mia
stessa figlia. Quindi...se vuole ingannarmi, usando la buona fede di
Tatiana, beh...facciamole capire chi ha in mano questa partita.
Voglio che si renda conto che la storia con Santiago è la
cosa più
impossibile di questa terra”
“Vuole
che lo elimini definitivamente?” - Cesar è
più che entusiasta di
farlo, considerato che tra lui e il collega non scorre buon sangue, e
ha sempre vissuto nell’invidia verso chi gli ha fottuto la
posizione nel Commissariato.
Lo
sguardo fulmineo del Signor Dalì ammutolisce
l’alleato, che, come
a scusarsi per aver avanzato proposte declassando il capo, china la
testa.
“Se
quell’uomo si definisce migliore di me nel ruolo genitoriale,
lo
metterò alla prova. Per di più ho contattato chi
di dovere. Lo
processeremo, di fronte alla stessa Agata”
“Processeremo?
Vorreste farlo entrare qui dentro?”
“Tranquillo,
Gandia. Sarà lui stesso a non causare problemi,
vedrai!”
“Non
vi seguo più” – Cesar è
sempre più confuso.
Carlos
preda della sua ceca follia, ride per conto suo, idealizzando il
risultato di una partita che dà già come
vittoriosa.
“Aver
bruciato la villa è stato uno dei tanti avvertimenti, adesso
però
veniamo ai fatti. Porta Santiago qui”
“Avrò
bisogno di uomini per metterlo ko. Non è uno di facile
sottomissione”
“Fidati
di me… lui non opporrà resistenza. Se
è mosso dalla mia stessa
fiamma, e rivuole la sua Agata, ci renderà tutto
più facile”
******************************
Dopo
lo spoiler ricevuto da Tatiana circa il SI della gitana alle nozze,
Grygorian attende, entusiasta, l’arrivo di
quest’ultima per
godere a pieno nel vederla chinarsi al suo volere.
Se
da un lato c’è chi non sta nella pelle ed
è elettrizzato da
quanto sta per accadere, dall’altra parte la Jimenez vive
tormentata dall’ansia che quel piccolo segreto chiamato
gravidanza
possa venire alla luce in ogni momento… che sia per un
malore o per
uno scatto di rabbia incontrollata.
“Sei
pronta? Dobbiamo andare” – le dice Tatiana,
indossando cappuccio
e maschera.
Axel
è mano nella mano con la mamma e cerca di darle forza.
La
zingara gli dà un tenero bacio sul capo, assaporando gli
ultimi
istanti di aria pura, a suo fianco. Poi, respirando profondamente,
con un istintivo gesto di protezione materna verso il suo ventre
piatto, Nairobi si appresta a percorrere il solito, ormai troppo
familiare, tragitto verso l’ala del Nulla. È
così che lei,
assieme al suo bimbo, ha deciso di chiamare quella zona del
Mariposas. Un posto talmente oscuro e privo di vita da potersi
definire esclusivamente con quel termine.
Ad
accoglierla l’intera Setta che accerchia il noto Cliente 13
vestito
decisamente a festa.
Il
Boss del Night Club avanza nella direzione dei tre appena giunti e la
lusinga con belle parole - “Sei radiosa, amore mio. Raggiante
come
se trascorrere due giorni con Axel sia stato quanto attendevi da
sempre”
Nairobi
finge un sorriso forzato, seppure schifata e irritata dal sentirsi
chiamare “amore mio” da chi vuole recarle solo
male.
“Beh...è
così, e lo sai bene. Axel è ciò che ho
sempre desiderato,
dopotutto!” – commenta, a tratti distaccata e
fredda.
Tatiana
cerca di mostrarsi calma, nonostante voglia ricordare alla socia gli
step da seguire. Nessuna alzata di testa o sono guai.
È
un suo finto colpetto di tosse a ricordare alla mora di doversi
fingere una vinta.
Quindi,
a quel punto, raccolta la forza per farlo, si avvicina al Signor
Dalì, avendo premura di tenere Axel a distanza, lasciandolo
di
fianco alla fidata complice.
Faccia
a faccia con il suo Boss, Nairobi sfoggia le sue nascoste doti
recitative. Un talento innegabile che sembra convincere perfino
Parigi.
“Dice
sul serio?” - sussurra il piccolo alla moglie di Berlino.
“Shhh”
– dice lei, ordinandogli di fare silenzio. In fondo, in quel
luogo,
e per quella gente, lei è una dei cattivi. Nessun lato
materno o
docile deve saltare fuori.
E
mentre la Jimenez cede, senza mai distaccare lo sguardo da quello
fermo del suo nemico, viene attentamente studiata dal restante gruppo
della Setta, lì presente, pronta ad intervenire in casi
necessari.
Sente
di dover seguire il piano stabilito, ma che apparire troppo docile
insospettirebbe chiunque la conosce anche solo un po',
perciò non
servirebbe a nulla fingere e rinnegare la sua natura.
E
stravolge una parte dell’accordo.
“Sono
stanca di combattere. Ho deciso così. Ti sposerò.
Ma sappi che non
riceverai sentimenti da parte mia. Non provo, né
proverò in futuro,
amore verso di te”
Tatiana
sobbalza, incredula. Cerca di intervenire, però la presenza
di
Berlino posizionatosi proprio di fianco a lei, le impedisce di farlo.
“Non
possiamo permetterle di mandare tutto all’aria”
– sussurra la
donna al consorte.
“Beh...io
inizio invece a pensare che stia giocano nel migliore dei
modi” –
commenta De Fonollosa.
Infatti
è proprio tale reazione a non spiazzare Carlos.
“Ecco
la Nairobi che conosco. Mi sembrava fin troppo strano tu ti fossi
chinata senza ribellarti”
“Mi
piego a te non per mia volontà. Ti sposo perché
è la sola
opportunità che ho di vivere con mio figlio”
La
tempra di Nairobi è ciò che da principio
colpì Carlos Grygorian
facendolo cadere vittima del suo charme. E ad oggi è sempre
quella
stessa tempra a renderla l’ossessione più bella
della sua vita.
“Beh…
permettimi di dire che hai coraggio da vendere. Non avevo dubbi.
Certo, Axel sarà a disposizione...ma solo….
“Solo?”
“Solo
quando mi dirai di SI e diventerai mia moglie. Solo quando rinuncerai
ai sentimenti per Santiago”
Con
il cuore in mille pezzi, certa che il bivio di fronte a cui
è stata
posta ha già una scelta prestabilita, volge lo sguardo sul
bambino
constatando che a tutto può rinunciare ma non a lui.
“Ti
dirò il SI che vorrai!” - comunica, ignorando
l’argomento
Bogotà. Non vuole metterlo in mezzo a tale situazione e
finge
disinteresse totale, ben cosciente che portando in grembo il suo
bambino la cosa non sarà così semplice.
Posizionandosi
di fianco al Signor Dalì, sottobraccio a lui, con lo sguardo
velato
di amarezza, Nairobi viene accolta nella Setta tra applausi e
complimenti vari.
Carlos
invita alcuni membri a prendere dello spumante, adagiandolo su di un
tavolo.
In
teoria una donna incinta non dovrebbe consumare alcool, e questo
è
un alto rischio per la gitana, ma è grazie ad un iter
decisamente
maschilista, tipico del gruppo criminale, riesce a scamparsela ed
evitare per brindare invece con un analcolico portato proprio da
Tatiana e consumato solo esclusivamente dalle due.
Si
respira aria di festa, ed è quando è prossimo il
brindisi, l’ex
Cliente 13 ordina ai soci di liberarsi, ovviamente, delle maschere e
svelare le loro identità.
“Nairobi
è da oggi una di noi, quindi è bene sappia chi
siete”
e
così, uno ad uno, mostrano la loro figura.
Il
primo a farlo è Berlino, e la reazione contenuta di Agata
spiazza
Carlos - “Ma come?! Non sei sconvolta che il tuo caro Andres
sia
qui con noi? È parte integrante della Setta da molti anni,
sai?”
“Sto
cercando di non pensare alla cosa. Potremmo non parlarne? Non ho
ancora superato il rancore nei suoi riguardi…” -
finge Nairobi.
“Oh,
beh...se la metti così” – precisa il
Capo, per aggiungere –
“Hey tu… Berlino...Vattene!”
“Come?
Signore io…”
“Ti ho detto di sparire. Non le fai bene, non
ti vuole vedere. Perciò per il momento non ti voglio tra i
piedi”
– il tono austero del Signor Dalì mostra quanto
potere abbia lui
sugli altri, e De Fonollosa si vede costretto ad allontanarsi.
Gli
altri soci svelano i loro visi. Tatiana, l’unica donna del
gruppo,
si presenta come se lo facesse per la prima volta, definendosi prima
come figlia del Boss e poi come consorte di Andres.
“Figlia,
vai da tuo marito. Ormai non servi più. Vi concedo un giorno
di
libertà” – afferma Carlos, facendole
segno con la mano di
sparire, come fosse una mosca fastidiosa che gli ronza nelle
orecchie.
La
rossa non sa se le conviene abbandonare Nairobi così su due
piedi.
Non era previsto che accadesse, ma tenendo fede al suo ruolo, accetta
e si dilegua. In fondo quel piano sembra essersi frantumato da tempo
ormai.
Agata
intuisce che la complice non ha avuto altra scelta e cerca di
mantenere la calma, stringendo con forza la mano del suo bambino,
unico rimastole accanto.
Però
Grygorian ha intenzione di far fuori anche il piccoletto, uno dei
più
grandi ostacoli al suo amore con la zingara.
“Aspetta,
Parigi...prima di andare...porta con te Axel. Vorrà dormire
un po'.
Qui si tratta di questioni da grandi…”
“Cosa? No” -
esclama Nairobi,perdendo per un istante la sua compostezza.
“Noi
due abbiamo molto da fare, mi amor, e lui è troppo bambino
per
capirlo” – ridacchia il Signor Dalì,
adagiando una mano sulla
coscia della gitana.
Questo
è un grosso segnale negativo di un piano che sembra non
funzionare e
a cui, forse, la donna deve attuare modifiche prima che sia troppo
tardi.
************************
“Dobbiamo
fare qualcosa, Andres! Andarcene così, lasciarla in balia di
quel
bastardo, potrebbe farle violenza. A questo hai pensato?” -
Tatiana, fuori dal locale, ottenuto l’ok paterno, si sfoga
con la
poca resistenza del marito.
“Lo
so, cosa credi? che mi faccia piacere essere fuori dal Mariposas
senza Nairobi? Era lei che avremmo dovuto salvare e non noi
stessi”
“Io
rientro” – fa per tornare lì, ma viene
trattenuta da De
Fonollosa.
“Aspetta,
non peggioriamo il tutto. Adesso andremo a far visita a
Sergio”
“Mhm...e
cosa gli riferiamo? Che siamo stati degli incapaci?”
Seduti
a bordo di un auto, noleggiata in gran segreto per evitare casini e
videocamere nascoste da parte del nemico, i due discutono sul da
farsi. Eppure qualcosa attira la loro attenzione, insospettendoli
oltremodo, interrompendo la discussione.
“Che
cosa fa Gandia fuori dal locale quando c’è in
corso il
festeggiamento?” - domanda, confuso, Berlino.
“Seguiamolo”
– ordina Parigi.
Pedinarlo
li conduce alla stazione ferroviaria.
“Mi
domando dove stia andando questo coglione” –
commenta De
Fonollosa.
Attendono
alcuni minuti, nascosti nella loro auto, quando ecco il viceispettore
tornare ai parcheggi. Ha delle valigie in mano e di fianco a lui
c’è
una donna.
“E
quella chi è?” - esclama Tatiana, elaborando nel
mentre varie
idee.
“Maledizione!
Te lo dico io chi è quella lì. Alicia Sierra. Un
genio del male. È
in grado di far crollare tutti gli uomini ai suoi piedi. Un demonio.
Se è come temo, tuo padre adesso ha un altro
obiettivo”
“E
quale sarebbe?”
“No
“quale”… ma “chi”,
direi!!! Quella tipa gli servirà per
distruggere definitivamente la relazione di Santiago e Agata! Ne sono
certo”
“Eh?”
“Ti
spiego strada facendo. Ora è urgente andare a casa di mio
fratello.
Va avvisato Santiago, immediatamente! Prima che sia troppo
tardi”
*******************************
Mezzora
prima di questo avvenimento, Lopez riceve un sms urgente.
Il
mittente è Gandia, di cui ora sono note le reali intenzioni,
che gli
dice di presentarsi al parco con urgenza.
“Non
c’è da fidarsi”
“Lo
so, ma dice che se non lo farò causerà del male a
Nairobi. Non
posso permetterlo”
“Amico,
potrebbe fingere”
“Certo,
sono un ispettore. Lo so che potrebbe giocare una doppia
carta”
“Veniamo
noi serbi con te”
“No,
farò finta di stare al suo gioco. Voglio vedere fino in
fondo dove
vuole arrivare”
“E
se Carlos volesse farti del male? Non c’è da
prendere la cosa
troppo alla leggera, Santiago” – interviene,
agitata, Lisbona.
“Voi
restate qui, nessuno della Banda deve rischiare per me. Non svelatevi
al nemico. Piuttosto...avvertite Daniel, mobiliterà dei
poliziotti e
accorreranno sul posto”
L’idea
di Bogotà è rischiosa. Però lui per la
sua Agata farebbe ogni
cosa. E se recarsi al parco e cadere nella trappola dei cattivi
significa rivedere la sua donna, è disposto a farsi
catturare...già,
perché ormai ne è straconvinto: Grygorian non lo
ucciderebbe mai, sarebbe troppo un colpo basso da parte di un genitore
qual è… però
condurlo al Mariposas e tenerlo prigioniero lì dentro,
quella è la
mossa che più gli si addice.
E
Bogotà ha ben inteso le intenzioni paterne.
Negli
istanti che separano i due coniugi De Fonollosa
dall’ispettore
Lopez, accade l’impensabile.
Un
incontro al parco tra uomini, tra figure istituzionali chiamate a
salvare e garantire giustizia: ma di cui uno rispecchia a pieno il
suo ruolo, l’altro ha finto di essere chi in
realtà non è mai
stato.
“Bene,
bene. Spero solo che non sia venuto fin qui con la scorta”
“Gandia,
non commenterò le tue azioni, non vale la pena sprecare il
fiato con
te…ma sono qui per arrendermi”
Cesar ridacchia, poco
convinto da tali parole – “E dovrei
crederti?”
“Libero
di farlo o meno. Eccomi… ammanettami, pestami,
spintonami...fa ciò
che vuoi. Conducimi nel tuo Inferno, perché il mio
è già
cominciato quando mi avete tolto Nairobi”
Gli
porge le mani in segno di resa.
Ed
è esattamente quando Berlino riabbraccia suo fratello,
prossimo a
raccomandarlo sul da farsi, che si accorge di aver perso la sola
possibilità di rivincita su Carlos: Santiago Lopez si
è appena
consegnato, di sua sponte, al nemico.
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Capitolo 38 *** 37 Capitolo ***
Bendato
e ammanettato, Santiago Lopez viene condotto nel luogo che da mesi
cerca di svelare ed eliminare: l’ala del Niente,
lì dove
interfacciarsi, finalmente, con il nemico numero uno.
Proprio
il Signor Dalì, intanto, nei minuti che anticipano il
confronto con
suo figlio, non smette di toccare Nairobi, di sussurrarle frasi
maschiliste, erotiche, di pessimo gusto, eccitandosi alla sola idea
che tra qualche ora o anche meno, l’avrebbe fatta sua di
nuovo.
E
Agata, disgustata da una situazione che alimenta la nausea, frutto
degli ormoni della gravidanza, è costretta a sottostare.
Teme per la
sua incolumità per la prima volta nella vita...questo
perché c’è
qualcuno che va difeso sopra ogni cosa, ed è la creatura che
cresce
nel suo ventre.
“Bene,
penso che possiamo congedare gli ospiti. È stata una festa
memorabile” – dice Carlos, alzandosi dalla sua
poltrona rossa,
invitando la gitana a fare lo stesso – “Noi abbiamo
di meglio da
fare”
Man
mano che la Setta si allontana, dopo il saluto cordiale alla Jimenez,
accolta in “famiglia”, il Boss non trattiene
più il desiderio.
La
brutalità con cui adagia una mano sul sedere della zingara
ricorda a
Nairobi di dieci anni prima, di quando cedette al cliente 13 ed
imparò la differenza tra una scopata e un rapporto intimo
fatto di
amore vero. E in tale gesto, sgradevole, è più
che evidente la sola
voglia di orgasmo.
“Andiamo
in camera!” - dice lui, continuando a palpare la donna come
fosse
un giocattolo, e non un essere umano.
“Adesso?
E Axel dov’è?” - chiede Agata, in
primis, ignara che il bambino
è stato ceduto da Tatiana alle cure di Manila,
all’insaputa dello
stesso Signor Dalì, e con tale domanda la zingara cerca di
ritardare
il tutto, seppure cosciente che sarà impossibile frenare gli
ormoni
di quel mostro.
“Lascia
perdere. Appena avremo finito, ci raggiungerà”
– ridacchia,
intenzionato ad ottenere ciò che vuole a tutti i costi.
Ma
la Jimenez sente di doversi tutelare. Non può e non vuole
diventare
una bambola di pezza nelle mani del suo capo e soprattutto ha timore
che qualsiasi desiderio animalesco del Signor Dalì possa
recare male
al bambino che porta dentro.
“Vorrei
rispettassi una clausola importante” – dice,
impedendogli di
baciarla.
“Quale?
Vorresti imporre regole...a me?” - la guarda, colpito,lui,
non
distogliendo gli occhi dalle labbra sulle quali è prossimo a
fiondarsi.
“Sarò
tua moglie, sì. Però vorrei aspettassimo il
matrimonio prima
di…”
“Come?” - capito il messaggio di fondo, Grygorian
ride di gusto – “Una che si è data per
anni, adesso vuole fare
la puritana?”
“Ti
prego di rispettare almeno questo punto. Dopo il nostro SI,
sarò io
in primis a concedermi senza tua richiesta. Per favore”
Carlos
la fissa in silenzio per alcuni istanti. Aveva già in mente
di
trascorrere una nottata di fuoco…e invece ha di fronte a se
un no
che non gradisce.
Ecco,
però, che la fortuna gira dalla parte di Nairobi e
finalmente accade
qualcosa di “positivo” che la avvantaggia.
Una
telefonata improvvisa da parte di Gandia per il Signor Dalì
regala a
Nairobi il respiro di cui necessita.
Il
viceispettore comunica di aver con sé Santiago Lopez.
“Perfetto,
ora sì che la partita si fa davvero accesa”
– commenta Carlos,
tra se e se, poi torna a rivolgersi alla mora -“Allora,
ascoltami,
amore mio, sai che odio che gli altri mi sorpassino in decisioni.
Perciò sono io a porti di fronte a una situazione e solo a
quel
punto ti darò una risposta!” - precisa
l’uomo, spiazzando la
futura moglie.
Così
Agata viene invitata a sedersi oltre quella parete, in una stanza
buia, in cui spicca un enorme televisore, stile cinema, da cui sono
visibili le aree del Mariposas videosorvegliate.
“E’
da qui che ci spii?”
“Si,
quando avevo voglia accendevo anche altre...che ovviamente evito di
mostrarti” – ridacchia, malizioso.
Dopo
aver premuto tasti di ignara provenienza, Carlos sedendosi di fianco
alla donna, si limita a godere di quanto accadrà da li in
poi.
Cesar
conduce, scortato da Helsinki e Oslo, l’ispettore nel punto
prefissato, gettandolo su una sedia, con forza, ridendo di lui caduto
a terra perché ancora bendato.
A
Nairobi basta un niente per riconoscerlo e saperlo nelle mani del
nemico, pronto a recargli chissà quale danno, le fa
sussultare il
cuore.
“Co...cosa
significa tutto questo?” - chiede, nascondendo il terrore che
la
pervade.
“Shhh”
– le ordina silenzio – “Fa’
silenzio tesoro, e guarda…
vedrai con i tuoi occhi quanto c’è da fidarsi del
tuo caro
Santiago”
“In
che senso?” - domanda, senza ricevere risposta.
Liberato
Lopez dalla benda e legato con dei nodi alle mani, Gandia e complici
si allontanano, lasciandolo ad una persona chiamata lì ad
eseguire
l’atto finale di distruzione di una coppia tanto disprezzata
da
Carlos: proprio quella di Nairobi e Bogotà.
Il
quarantaduenne accortosi del luogo buio e decisamente inquietante
dove è stato condotto, intuisce il motivo dello shock
passato di
Agata che fu condotta di lì per chissà quali
torture emotive e
psicologiche. Adesso può sentire tali brividi sulla sua di
pelle.
“Dove
sono? Chi sei tu?” - i dubbi vengono posti alla figura che
gli va
incontro… il tacchettio rimbomba tra quelle mura. Trattasi
di una
donna dai capelli rossi, di indubbio fascino, che Berlino e Tatiana
hanno scorto in stazione e che ha decisamente messo in allerta De
Fonollosa sulle intenzioni del Signor Dalì.
Così,
mentre la sconosciuta cammina attorno all’ostaggio,
osservandolo
come a studiarne ogni possibile reazione, degusta, ammiccando, il suo
lecca lecca.
“Ti
manda mio padre, vero?”
La
tipa non risponde, si limita ad ignorare le numerose domande
dell’ispettore, che continua a parlare nonostante non riceva
chiarimenti.
E
quando tira fuori il nome della Jimenez, la rossa si ferma.
Anche
la diretta interessata ha un fremito quando sente pronunciare il suo
nome dalla bocca della persona che ama follemente e avverte in tale
voce la voglia di salvarla.
È
Carlos, irritato, a brontolare qualcosa e perdere le staffe con poco.
Afferrandole
una mano con forza, la unisce alla sua
“Tu
sei mia!” - ribadisce, fissandola con una potenza tale da
inibire
le sue reazioni fisiche.
Nel
frattempo Lopez diventa vittima del fascino della straniera che
decide di presentarsi, a modo suo.
“Mi
chiamo Alicia Sierra!” - si libera di un impermeabile nero.
“Cosa
fai?” - sobbalza Santiago, evitando di fissarla, visto che la
donna
continua a spogliarsi man mano che racconta di se e della sua fama di
femme fatale.
“Non
dirmi che non ti eccito perché so che è
così”
Bogotà
abbassa lo sguardo, da sempre debole di fronte al fascino femminile.
“La
tua gitana è prossima ad altre nozze. Dimenticala. Fallo
qui, con
me. Saprò curare, in una notte, tutte le ferite del
passato”
seduta
sulle sue gambe, gli si avventa sul collo, mentre le sue mani gli
slacciano i pantaloni, e oltrepassano il limite consentito.
E
avvertendo pulsioni fisiche, Bogotà cerca di placarsi. Ma
Alicia
insiste e ride, invitando l’uomo a palparla e ad addentrarsi
nel
suo intimo.
“So
che vuoi, cosa aspetti?” - gli sussurra, mordicchiandogli il
lobo
dell’orecchio.
La
scena viene, purtroppo,guardata da uno schermo dalla povera Agata,
inerme. In cuor suo sa che Santiago è messo nella condizione
e non
sa né può fuggire, però un bel NO lo
avrebbe gradito anziché
assecondare la tipa e il suo erotismo.
“Hai
visto? È uno su cui non si può contare”
– Carlos rincara la
dose, dandosi ragione sulla pessima fama di suo figlio –
“Io
invece ti tratterò da regina. Sempre”
Nairobi
fa per alzarsi, stanca di sopportare quelle immagini, e in tale
istante la voce di Bogotà la riporta sui suoi passi.
“Lei
non sposerà nessuno, chiaro?” - con decisione, il
quarantaduenne
riesce a respingere la Sierra, mettendo a tacere un desiderio carnale
che si è acceso in due secondi per affievolirsi
immediatamente,
sapendo che quella di fronte a sé è
un’altra, non è la donna che
ama. Ha imparato solo con Nairobi che l’amore vero esiste e
che
vivere dei sentimenti è una cura per il cuore - “
Agata è
libera...libera di scegliere, per se stessa,per il suo corpo, per i
suoi sentimenti. E se credete di farmi cadere nel tranello del
tradimento, vi sbagliate di grosso. Io la amo follemente, non la
ferirò. Hai capito figlio di puttana? Io non sono come te!!!
non
sono come te!!!” - grida Santiago, rivolgendosi al padre che
è
convinto lo stia spiando.
Lo
sfogo di Bogotà pietrifica anche Grygorian.
E
mentre la speranza si riaccende in Agata, il Signor Dalì
perde
definitivamente la pazienza.
Lasciando
la gitana nella sala sorveglianza, si accinge a ricongiungersi con
quel figlio che non vede da quarant’anni.
“Alicia,
va’ pure!! Ci penso io!” - dice, avanzando verso
l’ostaggio.
“Finalmente
mostri la tua faccia!” – commenta Santiago
fissandolo con aria di
sfida.
La
somiglianza è notevole tanto che la stessa Sierra lo nota e
lo
precisa ad alta voce.
“Vattene
ho detto” – ribadisce l’ex Cliente 13,
deluso per la prima
volta da un piano andato male, scacciando la socia.
“Ti
credevo più sveglio!” - dice Lopez –
“Pensavi che sarei
cascato di fronte a una bella donna? Non mi chiamo
Carlos...io!”
Grygorian
ride sotto i baffi, a tratti divertito da tali provocazioni, e sta al
gioco – “Ammetto che ti facevo più
debole, in fondo cosa
pretendere da uno sfigato in amore che ha avuto sette figli da sette
relazioni diverse”
L’ispettore
digrigna i denti.
“Mi
hai stupito, però… non credere che non abbia
altre carte nella
manica, caro mio”
“Me
ne fotto che tu le abbia o meno. Ciò che non avrai mai
è l’amore
di Nairobi! Non dirmi che un boss come te si accontenta di qualcuno
che lo disprezza? Vivresti con una persona affianco che non vede
l’ora che tu muoia! Ti rendi conto?”
“Meglio
per te se taci”
“Altrimenti?”
- la forza con cui Santiago provoca suo padre è la stessa
usata da
Carlos nel domare chi cerca di sovrastarlo. Un tratto caratteriale
che li accomuna, spinti dal desiderio di vincere e ottenere
ciò che
vogliono.
“Non
immagini quanto sarò io a ridere tra pochi secondi”
Alzando
la mano in alto, dà segnale ai suoi scagnozzi di condurre in
sua
presenza ben sette persone.
“Cazzo”
– esclama Santiago, constatando l’ennesima
sconfitta.
Con
sorriso beffardo, il Capo del Mariposas continua a lanciargli colpi
bassi – “Beh, lascia almeno che te li presenti. In
fondo, dubito
tu sappia riconoscerli oggi, dopo anni che non vedi nessuno di
loro”
Emilio,
Julian, Erik, Ana, Drazen, Yaris e Ivana, i suoi sette gioielli in
pasto alla belva con cui condividono parte del dna, molti di loro
ancora bambini… i più grandi con qualche livido,
i più piccini
terrorizzati e tremanti.
“Ti
ammazzo maledetto…” - non trattenendo
più l’ira, Santiago si
solleva dalla sedia, gettandola a terra e avanza verso il padre,
seppure con le mani ancora legate da nodi strettissimi.
Sono
altri membri della Setta a frenarlo, dandogli un pugno allo stomaco
che lo mette ko.
“Adesso
hai smesso di rivolgerti a me con quel tono!” - afferma,
soddisfatto, Grygorian – “Ti do l’ultima
possibilità di
salvezza, caro il mio Santi”
“Figlio
di puttana, solo mia madre mi chiamava così...non
osare…”
“Piantala
di fare il moccioso…. E ascolta bene…il patto
è questo: chiudere
la faccenda del Mariposas e salvare la tua immensa prole...o vederla
per l’ultima volta adesso. A te la scelta”
“Non
hai un briciolo di umanità, arriveresti a minacciare me
usando la
vita dei miei figli! Giuro che ti uccido...fosse l’ultima
cosa che
farò in vita, io voglio….”
“BASTA!”
- chi interrompe la lite è una voce in lontananza, ben
riconoscibile, che immobilizza Santiago.
Agata,
con le lacrime agli occhi, corre verso due dei sette eredi di
Bogotà,
notandoli tremare di paura. Prende in braccio la più
giovane, Ivana,
e la stringe a sé.
“Nairo...sei...sei
tu...come stai?” - le chiede l’ispettore, commosso
nel vederla
sana e salva.
“Va’
via Santiago! Ti supplico. Io sto bene, ma è giusto che
salvi i tuoi
figli. Questo posto non è per loro. Ti prego, ti
scongiuro… è
stato bello finché è durato. Adesso è
il momento di accettare la
realtà. Tra noi non funzionerà mai. La Mariposa
che hai salvato
mesi fa è tornata al suo mondo. Agata vorrebbe recuperare
quello che
le piace, ma al momento esiste soltanto Nairobi. E così
sarà d’ora
in poi”
“No,
non posso lasciarti qui”
“Hai
sentito che ti ha detto? Vattene, coglione!” - grida Carlos,
entusiasta della decisione della gitana.
Poi
fa segno ai complici di accompagnare i sette minori
all’esterno,
affidandoli a Palermo.
“visto?
Li stanno portando all’uscita. Sono uno di parola, io!
Quindi,
adesso sparisci anche tu...non farmi cambiare idea. E guai a te se
tornerai o disturberai ancora la quiete del Night
Club…”
La
Jimenez con il cuore a pezzi, si congeda, non prima di aver stretto
la mano al suo carnefice, fingendo alleanza, e aver guardato
un’ultima volta il suo grande amore.
*******************
“Non
farti più vedere. Sei stato avvertito. Il Boss non
avrà così tanto
cuore la prossima volta” – così dicendo
Helsinki sbatte la porta
in faccia all’ispettore, lasciandolo sui gradini, a terra,
preda
della sua disperazione emotiva.
I
sette figli sono spariti dalla circolazione. Il che è un
pensiero in
più per il quarantaduenne.
Rientrare
al Mariposas adesso sarebbe una grossa cazzata. E mentre si allontana
sperando di trovare la sua prole, chissà dove, il clacson di
un
camion richiama la sua attenzione, costringendolo a porsi sulla
difensiva.
“Siamo
noi, tranquillo. Sali su” – gli dice uno dei serbi.
Lopez
mette a fuoco solo in tale istante che tutti e sette i suoi eredi
sono sul mezzo, prossimi alla salvezza definitiva.
Anche
Axel e Manila sono con loro.
La
ormai ex Farfalla, infatti, ha ben pensato di salvare la vita del
piccoletto e di trovare la propria libertà, fuggendo assieme
a lui.
E
quando si è imbattuta nel camion dei serbi del Professore,
su cui
salivano i figli di Bogotà, ha pensato di unirsi alla
ricerca di
salvezza, forte di scoprire che a guidare quei tipi è
qualcuno di
conosciuto che porta il nome di Lisbona.
E
adesso la sola da portare via da quell’inferno è
proprio Nairobi.
“Consegnarti
è stata una pessima idea” – lo
rimprovera uno degli alleati di
Sergio.
“Lo so amico, però adesso ho la certezza che la
mia
Agata è sana e salva. E mi ha chiesto aiuto. Io ho colto il
suo
grido leggendoglielo nello sguardo. Se pensa che sacrificarsi sia
giusto, beh si sbaglia di grosso. Lei tornerà libera. Fosse
l’ultima
cosa che faccio in vita mia...lei verrà via con me. E Carlos
Grygorian riceverà la pena che merita”
Raggiunto
il minuscolo appartamento di ritrovo della Banda, è Berlino,
accogliendo Bogotà entusiasta di vederlo ancora in vita, a
raccontare come poter concludere il piano una volta per tutte.
“Nairobi
ha accettato il matrimonio. Io e mia moglie andremo. Si
svolgerà su
una nave diretta in America. È lì che il Boss
vuole trasferirsi con
lei”
“Figlio
di puttana!” - commenta, teso, Santiago –
“Vuole lasciare
questo posto,ecco perché non si è sporcato le
mani con me. Tanto
sapeva che avrebbe lasciato la Spagna in un modo o in un
altro”
“Calma,
come dicevo… noi siamo invitati. E tutti voi verrete assieme
a noi.
Quando arriverà il momento, metteremo a tacere il Signor
Dalì per
sempre! Promesso” – conclude Andres, stringendo una
mano
all’ispettore.
**************************
Terrorizzata
dai recenti accadimenti, Agata non prende sonno.
È
riuscita a convincere Carlos della sua totale devozione, avendo
platealmente rinunciato a Santiago. E in cambio ha ottenuto il suo OK
circa l’astinenza sessuale fino al matrimonio.
Ma
ovviamente per uno come Grygorian le cose non possono mantenersi
tanto “puritane” a lungo.
Voglioso
di tornare a godere della travolgente passione con la sua gitana del
cuore, pretende che le nozze vengano celebrate tra due giorni.
Solo
48 ore e presto salirà su una nave, prossimo a salutare per
sempre
la Spagna e l’Europa, per costruire una nuova vita, una nuova
mafia, un nuovo potere...e lasciarsi alle spalle tutto il suo
passato….incluso Santiago Lopez.
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Capitolo 39 *** 38 Capitolo ***
ANTICIPO
CHE QUESTO E' IL CAPITOLO CONCLUSIVO DELLE VICENDE DEL
MARIPOSAS.
IL
PROSSIMO SARA' IL THE END... SI CHIUDE ANCHE QUESTA FANFICTION CHE
SPERO SIA PIACIUTA.
VI
LASCIO AI MOMENTI FINALI DI QUESTA STORIA.
BUONA
LETTURA.
BESITOS
Durante
le seguenti 24 ore, la vita parallela di due gruppi, capeggiati da
due menti, ciascuno a modo suo, geniali, scorre e si muove su fronti
opposti: quello del Professore, fratello di Berlino, da sempre pronto
a sostenerlo, e determinato a mandare a monte i piani folli di chi,
senza esitazione, ha trasformato il Mariposas in un inferno vero e
proprio, coinvolgendovi anche la sua donna; dall’altro, le
ambizioni crudeli di un criminale incallito desideroso di realizzare
il suo impero oltreoceano, espatriando con il suo gruppo e avendo di
fianco una sposa, che dovrà rendere possibile la nascita di
una
prole a cui Carlos intende cedere una ricca eredità mafiosa.
Man
mano che il tempo passa, e tutto al Night Club velocizza i
preparativi, Nairobi si arrende ad un futuro nero e privo di
felicità. Per di più, gli ormoni della gravidanza
non le danno
respiro, cominciando seriamente a spaventarla su una possibile
esposizione.
Nuda
di fronte allo specchio, fissa il suo ventre, mentre nella sua testa
corrono rapide le immagini di anni addietro, quando nel grembo
custodiva il piccolo Axel. Furono momenti di tensione anche quelli,
che riuscì a domare con una forza tale da stupire perfino se
stessa.
Ma adesso la situazione è, se possibile, ancora
più complicata
della precedente.
“Come
potrò nasconderti ancora a lungo” –
dice, accarezzandosi il
pancino piatto.
In
quel momento qualcuno bussa alla porta della sua stanza. Indossato
rapidamente l’accappatoio, la gitana corre ad aprire.
“Sei
pronta?” - chiede Tatiana, varcando l’uscio, con
una freddezza
tale da spiazzare la Jimenez. Sa che la socia è costretta al
ruolo
di “cattiva” data la presenza di videocamere,
così non le pone
domande. Sono due giorni che non si fa viva e compare adesso, quando
manca poco all’imbarco sulla nave. Avrebbe tanto da dirle, ma
preferisce evitare.
“Sbrigati.
C’è una limousine che ci attende. Gli invitati
sono tutti ai
parcheggi. Presto anche il Signor Dalì li
raggiungerà”
“Ma…
avremo un automobile solo per noi?” - Agata chiede per
tranquillizzarsi che, in caso di nausea forte, non sarà
presente
Carlos e quindi il segreto rimarrà ancora tale.
La
rossa annuisce, poi si avvicina alla finestra e spia
l’esterno. Suo
padre, con indosso un mantello nero che gli copre l’abito da
cerimonia, sale su una berlina scura, scortato da Helsinki, Oslo e
Palermo, gli unici rimasti al Mariposas dopo l’ennesima
perdita
femminile, quella di Manila.
“Sbrigati”
– cambia subito voce, sussurrandole il da farsi –
“Anche mio
padre è salito a bordo”
“Posso
avere notizie di Bogotà?” - domanda, usando per
tutelarsi il nome
in codice scelto per Santiago - “Ti prego, mi uccide sapere
che
possono avergli fatto del male”
“Tranquilla,
sta bene. Tu fidati di noi, oggi è il gran giorno...per
tutti!” -
così dicendo, evita altre questioni e la invita ad
affrettarsi.
Quando
le due sono prossime ad uscire dal locale, sono una a braccetto
dell’altra, visto il capogiro che ha preso Nairobi
nell’attimo
precedente l’abbandono della sua stanza.
Sono
fuori dal Mariposas, pronte a raggiungere la limo bianca quando
Tatiana invia una sorta di segnale in codice che Agata non riesce a
spiegarsi.
“Forza,
sali su! E dì addio a questo inferno” –
la esorta, sentendosi
sollevata in qualche modo da ciò che accadrà a
breve.
Il
solo, unico, dettaglio che Parigi non ha tenuto in considerazione
è
la possibilità che qualche membro della Setta potesse
trovarsi
ancora all’interno del locale, quando Carlos vi è
uscito e che
possa averle sentite fin troppo in sintonia da allertarsi.
È
questione di minuti. Agata siede in auto ma non fa in tempo ad
accogliere, sulla postazione di fianco, Tatiana che giunge qualcuno
in tutta fretta, come una furia.
“Gandia,
cosa vuoi? Come mai sei ancora qui?” - domanda, spiazzata, la
rossa.
“Io
e te dobbiamo chiarire una faccenda...puttana!!! Sei tu, vero? Sei tu
la talpa? Traditrice, dovevo capirlo subito. Una donna nel gruppo
poteva soltanto che crearci casini. Ma il Boss mi ha dato chiare
indicazioni : “Chiunque sia la spia, non importa,
fa’ quanto
serve per punirla”. Ed è ciò che
farò” – deciso a dare una
lezione alla moglie di Berlino, approfittando della sua debolezza,
essendo da sola e senza aiutanti, le punta contro una pistola,
mirando alla sua testa.
“Un
colpo solo mi basta a mandarti all’altro mondo”
“Tatiana!”
- grida Nairobi, chiusa in auto dall’autista che, su ordine
di
Parigi, le impedisce di scendere.
È
il gesto della donna a dare accensione alla limousine che, con una
futura sposa in piena agitazione, si avvia verso il porto,
lasciandosi alle spalle un imprevisto che sembra non avere soluzione
positiva.
*****************************
“Come
mai mia moglie tarda tanto, cazzo” – si preoccupa
Berlino,fissando più volte l’orologio da polso.
“Calmati,
fratello! C’è di sicuro una spiegazione.
L’importante è che noi
siamo qui, nascosti, e che tu mantenga l’apparenza. Non
mostrare
alcuna agitazione, capito?”
“Sì,
adesso è meglio per me scendere dalla nave per non destare
sospetti.
Vi risalirò quando avrò l’ok di Carlos.
Buona fortuna amici miei”
Guardandosi
tutti, gli uni con gli altri, i complici del Prof si danno forza a
vicenda.
Santiago,
di fianco a Lisbona e alle ex Farfalle, è silenzioso.
“Forza,
Bogotà. Tira fuori gli artigli e mostragli di che pasta sei
fatto!
Carlos Grygorian ha smesso di tormentarci e da adesso in poi
smetterà
di farlo anche con te” – lo sprona Manila.
“Non
voglio che mio padre abbia la meglio e... non voglio perdere la
persona che amo più della mia stessa vita”
“Non
accadrà. Noi siamo qui e lotteremo fino alla fine”
– sostiene
Lisbona, prendendogli una mano per dargli coraggio.
Questione
di secondi e dei rumori costringono il gruppo a zittirsi.
Il
vociare degli invitati saliti a bordo dà inizio alla
battaglia.
“Questa
guerra la vinceremo noi…. per Nairobi” –
è l’ultima battuta
pronunciata da Sergio per spronare la sua Banda a dare il massimo.
La
Jimenez, intanto, in lacrime, viene accompagnata dall’autista
in
una cabina, dove le viene imposto di indossare l’abito da
sposa.
Un
vestito di alta moda, con pizzo in abbondanza, adornato da gioielli
di estremo lusso.
E
mentre piange per un destino che teme Tatiana abbia dovuto affrontare
da sola, riceve i rimproveri delle addette al trucco e parrucco, che
le ribadiscono di placarsi visto che così facendo
rovinerà il
makeup. Nessuna delle due tizie sospetta le ragioni di quel
singhiozzare; anzi, si crede sia per l’emozione
dell’imminente
matrimonio.
Nulla
di più assurdo, visto che è palese
l’odio di Agata nei confronti
di Carlos.
Controllando
la tensione, la gitana si volta verso lo specchio e si osserva.
Chi
è la donna riflessa? Non lei, di sicuro. Una matriarca ricca
e snob
di un impero criminale, con il cuore spento e la testa pesante a
causa di un macigno chiamato infelicità… ecco
cosa diventerà tra
qualche minuto!
“Possiamo
andare, signorina!” - le dice la parrucchiera, invitandola ad
uscire.
Il
mare, leggermente mosso, smuove lo stomaco di Agata che, oltre
all’agitazione, ha una nausea perenne da giorni. E quando
è
prossima a raggiungere lo sposo, estasiato dalla sua bellezza,
supplica la truccatrice di aiutarla a reggersi.
La
sua è una supplica d’aiuto che la sconosciuta
coglie e che, per
quell’istante, le tocca il cuore. Sceglie di darle una mano,
accompagnandola sul posto.
Lasciata
a Grygorian, che la divora con lo sguardo, Nairobi si appresta ad
accettare la triste realtà dei fatti.
Tatiana
le ha promesso di stare tranquilla e che oggi tutto sarebbe finito.
Poi
è stata lei a porre un tragico THE END alla faccenda. Chi
potrebbe
mai salvarla adesso se la sua complice numero 1 è rimasta in
balia
di un pazzo come Gandia?
“Io,
Carlos Grygorian, prendo te Agata Jimenez come mia
consorte…” -
il Signor Dalì, tronfio d’orgoglio per la vittoria
ottenuta sul
nemico, recita le formule di rito, afferrando, decisamente con forza,
la mano di Nairobi, obbligandola ad indossare la fede al dito.
E
Nairobi trema quando è il suo turno perché sente
mancarle l’aria,
cerca con la coda dell’occhio la presenza di qualche
improvviso
salvatore, che impedisca il SI più finto della storia...ma
nulla
accade.
Arresa
al suo destino, prende l’anello e pronuncia le parole che
sanciscono il legame matrimoniale.
Le
recita con scarso entusiasmo, con una debolezza che colpisce perfino
Carlos – “Su con il morale, Nairobi! In fondo,
è quello che
volevamo entrambi...no?”
Il
celebrante continua a ripetere passo dopo passo i classici momenti
della cerimonia, giungendo alla domanda fatidica.
“Vuoi
tu… Carlos Grygorian prendere la qui presente Agata Jimenez
come
tua sposa, amarla e onorarla, tutti giorni della tua vita?”
La
risposta dell’ex Cliente 13 non tarda ad arrivare.
Lo
stesso interrogativo viene poi posto alla gitana che, al contrario,
si prende dei secondi per se stessa, spaventando gli invitati che
temono un improvviso no e una indomabile reazione dello sposo.
Le
labbra di lei faticano ad aprirsi e pronunciare un monosillabo tanto
difficile.
E
quando è il Capo a costringerla a parlare, scuotendola, di
fronte
allo sguardo esterrefatto del celebrante, Agata si appresta a dirlo.
Ed
è solo allora che scoppia il casino!
Boom!!!!
Uno
sparo interrompe il tutto.
Un
colpo di pistola riaccende nella giovane donna una speranza di
salvezza.
Tra
il caos che si crea e le grida di alcuni invitati, fa la sua comparsa
l’intera Banda del Professore, con annesse delle ex Farfalle.
“Voi?
Puttane, traditrici” – irato, il Signor
Dalì, le riconosce e
perde le staffe. Ciò che lo manda in bestia è
accorgersi che uno
dei suoi alleati, si è schierato di fianco al nemico
– “Berlino!!!
Solo tu potevi essere la talpa, ma me la pagherai, maledetto figlio
di…”
Altro
colpo.
A
sparare stavolta è Bogotà. E non lo fa in aria.
L’uomo,
furioso con suo padre, che tiene avvinghiata a se Nairobi, ha puntato
l’arma contro un braccio del genitore, consentendogli di
allentare
la presa sulla sposa.
“Vieni
con me tu! E anche tu…” - dice portando altrove il
celebrante e
la zingara, seppure il sangue gli goccioli in maniera eccessiva.
Il
tutto accade tra gli scontri fisici, e non solo ,delle due fazioni
opposte.
“Qui
andrà bene. Forza, Nairobi, dì questo maledetto
SI e tu dai la
benedizione. Così la storia finirà”
– ordina Carlos, chiusosi
un una delle varie cabine.
La
mancata risposta dei due è la goccia che fa traboccare il
vaso.
“Giuro
che se non mi sposi ora, ti ammazzo, gitana. E lo faccio stanne pur
certa. Piuttosto ti preferisco morta che assieme a mio figlio, hai
capito?” - gli occhi di Carlos sono raggelanti e la sua voce
è
l’espressione massima dell’apice della sua follia.
Santiago,
intanto, cerca la sua Agata vagando su di una nave fin troppo grande
per i suoi gusti.
Gli
basta un grido per intuire che ad emetterlo è stata proprio
la
zingara.
“Nairobi”
– la chiama, correndo in tale direzione.
Nota
il celebrante scappare via da un punto preciso e comprende che
è lì
che suo padre trattiene la donna.
“Moriremo
insieme, Nairobi! Costi quel che costi, non ti lascio con
lui” –
continua a ripetere, terrorizzando la Jimenez che tenta invano delle
vie di fuga.
Con
le mani di lui attorno al collo, cerca di ribellarsi…
però tutto
sembra così buio ora… ogni rumore sembra
svanire...il suo cuore
sembra rallentare… è questa la fine che il
destino ha scelto per
lei?
BOOM!!!
Un
colpo...un altro colpo...delle urla…. poi tutto finisce!
Nessuno
avrebbe mai pensato potesse terminare con perdite umane, in fondo il
Professore aveva studiato talmente bene le mosse da compiere che
quanto accaduto in quelle ore diventa il peso sulla coscienza di
tutti.
*****************
E’
mezzogiorno quando la nave del Signor Dalì torna al porto,
avendo
invertito la rotta.
“Eccoli!”
- esclama Augustin Ramos, indicando ai suoi poliziotti
l’esatto
punto.
Daniel
è con loro e non è da solo. Al suo fianco
c’è Tatiana.
Già!
La donna è sana e salva, grazie all’intervento
della Polizia e del
giovane ispettore che, ricevuto il suo segnale qualche minuto prima,
ha bloccato Gandia prima della vendetta.
Su
quell’imbarcazione, il Commissario acciuffa e arresta tutti i
soci
del Signor Dalì.
Appura
alcune morti, ed altre finte di gente che credevano scomparsa da anni
ma che in realtà si nascondeva dietro false
identità. Tra
loro...Alberto Vicuña.
“Santiago!”
- urla il suo collega, correndogli incontro, però
ciò che vede è
l’immagine di un uomo distrutto, con un corpo tra le braccia.
“Cazzo”
– esclama l’ormai Denver, temendo il peggio.
Un
serbo ne ha un altro sulle spalle.
Ed
è il grido di strazio e dolore di Tatiana a gelare
l’aria.
“Andres,
amore mio che ti hanno fatto?”
Le
lacrime della rossa sono le stesse versate da tutti i componenti
della squadra del Marquina. E lui in primis, dalla perdita di suo
fratello, ne esce come fosse un vegetale.
Nel
frattempo, uno dei poliziotti salito a bordo, vi scende per dare un
comunicato al superiore.
“Signore,
abbiamo trovato il Boss del Mariposas…però
è morto”
“Come?
Sul serio? Cazzo, ma cosa è successo su questa
nave?” - domanda
Augustin, rivolgendosi a Lopez.
Ma
Santiago è preso da tutt’altro.
Nairobi,
salvatasi per il rotto della cuffia, ha bisogno di soccorso. Poco gli
importa se suo padre è morto per quel grilletto che lui
stesso ha
premuto senza alcuna esitazione. Se lo meritava...è questo
ciò che
continua a ripetersi! È questa la sola consolazione che
continua a
darsi per giustificare l’atto commesso...un atto che
lucidamente
non avrebbe mai compiuto.
Lasciando
il lavoro alle mani del Commissario, conduce Agata presso
l’ambulanza, chiamata preventivamente da Denver in vista di
possibili feriti.
La
gitana è salva...la gitana respira… e Carlos non
è riuscito a
distruggere la forza del suo amore per Bogotà. Nairobi ha
lottato
fino all’ultimo, fino a quel clic definitivo che
l’ha liberata
per sempre dal suo carnefice.
Le
Farfalle possono, ad oggi, spiccare il tanto sognato volo.
“Di
questa brutta vicenda resta tanta amarezza. Appurare che esisteva,
nella nostra città, un luogo malfamato, celato dietro un
apparente
locale, in cui si vendevano bambini, scambiava droga, si guadagnavano
soldi sulla prostituzione di donne, è una pagina di storia
che mai
avremmo voluto raccontare. Ma oggi siamo qui, di fronte a voi
giornalisti, alla stampa spagnola e non, per dire che il Mariposas ha
chiuso i battenti. A capo di quel marciume c’era un tale
Carlos
Grygorian, noto come Signor Dalì. Si sa poco di lui, ma
presto vi
informeremo in merito. Intanto il grazie va ai nostri ispettori, e
soprattutto all’intervento di alcuni giovani eroi, che
premieremo
come meritano, i quali hanno rischiato ogni cosa e la loro azione ha
permesso la chiusura della faccenda. Abbiamo catturato i vari soci di
questa setta criminale. Tra di loro anche un nostro presunto collega,
Cesar Gandia, che sconterà la pena di vent’anni e
a cui abbiamo
sottratto il distintivo e ogni riconoscimento guadagnato in carriera.
Ci teniamo ad invitare la popolazione ai funerali, che abbiamo scelto
di organizzare noi del Commissariato, di Andres De Fonollosa, rimasto
vittima della missione” – due giorni dopo la
chiusura del caso,
con la testimonianza di Lisbona, prima a denunciare i mali di quel
luogo chiamato Mariposas, Augustin Ramos risponde alle domande della
stampa e rivela quanto di orrido erano costrette a sopportare le
donne che cercavano aiuto, che venivano adescate e poi chiuse tra
quelle mura.
“E
così è finita anche questa brutta situazione,
caro collega” –
sereno di quanto svolto, Daniel sorseggia il suo caffè
mattutino,
dopo aver ascoltato in tv l’intervista di suo padre.
Santiago,
invece, è alle prese con vecchie scartoffie. Oggi
può dirsi felice.
La sua villa, momentaneamente in fase di ristrutturazione,
sarà il
luogo dove ha deciso di sposare la sua bella Nairobi, ed è
proprio
lei che lo attende a braccia aperte, nel minuscolo appartamento
cedutogli da Sergio.
E
non esiste nulla di più bello di saperla al sicuro, e di
poterla
baciare, coccolare, stringere forte, e cenare con lei come se il
passato non fosse mai accaduto.
Perfino
il futuro di Denver, che ormai ama farsi chiamare con tale
appellativo, sembra ben definirsi. Ha infatti proposto a Stoccolma di
diventare sua moglie.
Ogni
cosa sembra chiudersi al meglio...nonostante la ferita della morte di
Berlino sanguini con forza in tutti coloro che lo conoscevano e lo
stimavano.
Saranno
presenti ai funerali, decisi a dedicare delle parole per onorare
quella persona.
Per
quanto riguarda Grygorian, il quarantaduenne continua a ricordare il
momento della sua morte.
“Devo
ringraziare tuo padre, sai?”
“Perché?”
“Se
non fosse per lui, adesso sarei anch’io marchiato a vita per
aver
compiuto quel gesto su Carlos”
“Meriti
un po' di felicità anche tu” – gli
sorride il trentenne,
dandogli una pacca sulla spalla.
Poi
sdrammatizza e cambia argomento – “Allora? Stasera
pizza tutti
insieme?”
“No,
amico, vorrei passare del tempo con Agata. Mi è mancata da
morire”
“Ahhhh, ecco...sai come allietarti la serata,
quindi!”- lo prende in giro, ridacchiando, ricevendo il
solito
divertente schiaffetto dietro la nuca.
“E
poi… voglio proporle di andare a trovare sua
sorella”
“Che?
Sua sorella? Non sapevo ne avesse una”
“Intendo
Tokyo! È come se lo fosse. Quindi… direi di
posticipare la pizza
al nostro rientro, che ne dici?”
Finalmente
liberi di parlare di cose futili, delle serate con le donne che
amano, di cene improvvisate, i due ispettori lasciano il
Commissariato mai tanto leggeri come in quella serata.
Da
adesso in poi, non hanno che da vivere di sola felicità.
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Capitolo 40 *** THE END ***
Santiago
percorre a piedi i pochi metri che lo separano dal minuscolo
appartamento, cedutogli da Sergio Marquina, partito da Madrid dopo la
morte devastante di suo fratello.
La
gentilezza viene, in realtà, da Lisbona, intenzionata a
stringere
con Nairobi un rapporto pacifico, dopo il tempo trascorso al
Mariposas che le ha viste ignorarsi e battibeccare di tanto in tanto.
E
così, giunto alla porta, avverte per la prima volta nella
vita la
sensazione di normalità: della bellezza del quotidiano, di
una casa
piccola e accogliente, di una compagna che lo attende a fine turno,
che prepara la cena , che gli regala il suo tempo e le sue
attenzioni! E’ davvero quanto di più bello gli
fosse mai accaduto.
“Sono
tornato” – dice, togliendo le scarpe, riponendole
nella scarpiera
di fianco alla parete frontale alla porta. Indossate le ciabatte,
avanza verso la cucina.
“Nairo,
dove sei?”
Il
cuore sobbalza quando nota il tavolo apparecchiato per due con una
candela accesa nel mezzo.
“Amore
mio” – dice Agata, alle sue spalle, aggrappandosi
alla sua
schiena in segno di protezione. Due giorni con lui, dopo
l’inferno
patito, è bastato a farle respirare quell’aria di
serenità che
attendeva da troppo tempo.
“E
Axel?” - chiede lui, stranito che mancasse un piatto.
“Stoccolma
e Denver l’hanno portato al cinema” –
spiega, invitandolo a
sedersi.
Solo
quando prende posto, l’ispettore nota che la gitana si
è
agghindata per bene per quella serata.
“Sei
di una bellezza da togliere il fiato” – la lusinga,
godendo di
una visione tanto spettacolare.
“Già…
me l’hanno detto in molti in questi due giorni”
– commenta lei,
cercando in quel modo di aprire un discorso importante.
“Liberarti
da quel demonio ti ha resa più luminosa, più
raggiante. Hai le gote
più colorate, sane, come posso dirti, come se
fossi…”
“Si,
come se fossi incinta?” – domanda, sbattendo le
lunghe e folte
ciglia nere.
“Ehm...no,
cioè, non volevo intendere questo…
ma…” - imbarazzato, cerca
di scusarsi, per spostare poi il discorso su di se -
“...insomma,
dai, io di figli ne ho già sette…”
“E
quindi ti bastano, non ne vuoi più, mi stai dicendo
questo?” -
nessuna reazione di dispiacere o rabbia. Agata è fin troppo
calma,
probabilmente dopo essersi agitata nei giorni precedenti, evita di
farlo ancora per banalità.
“No,
anzi, con te comincerei da capo. Ne farei altre sette...”
–
confessa lui, arrossendo subito dopo, di fronte al sorriso smagliante
della gitana.
“Cazzo,
Bogotà, possibile che ci vuole davvero poco per farti
impappinare?
Allora sappi che io non ho intenzione di darti sette figli, ma se
arriveranno...beh… non potrei esserne più
felice.” - si siede
sulle sue gambe e si avvighia al suo collo, adagiando la fronte a
quella di lui.
“Assolutamente.
Però sappi che averti qui con me è già
la gioia che cercavo dalla
vita!” – afferma il quarantaduenne, baciandola con
tenerezza.
Decisa
di metterlo di fronte al fatto compiuto, quasi divertita nel farlo,
la Jimenez si allontana con una banale scusa, e lascia il cucinino.
Da lontano, spiandolo dall’angolo della porta aperta, gli
chiede di
prendere il piatto fondo, posto a copertura di quello piano, e di
portarlo in salone.
E
ingenuamente Santiago fa quanto detto, non badando alla ragione.
Gli
tremano le gambe quando si accorge di qualcosa ben visibile sulla
stoviglia rimasta sul tavolo.
“Non
ci credo” – esclama, notando un ciuccio sotto i
suoi occhi.
Afferratolo,
con mani tremanti, cerca Nairobi per avere risposte e la trova
proprio di fianco all’uscio, emozionata.
“Mi
dici che sei…? Che siamo…?”
La
donna annuisce trattenendo il pianto il più possibile. Ma
appena
Santiago, preso dall’euforia la solleva da terra facendola
ruotare
per qualche istante, Agata si lascia andare al pianto.
I
due uniscono le loro labbra e le loro lacrime, godendo a pieno tale
sensazione di ritrovata serenità.
“Diventerai
papà….di nuovo! Guai a te stavolta”
– scherza la gitana,
ricevendo l’ennesimo bacio.
I
due, sdraiati sul divano, immaginano il loro futuro adesso che
diventeranno una famiglia.
“Ti
amo, voglio sposarti quanto prima” – innamorata
persa, la zingara
esterna i suoi sentimenti in totale libertà, mentre
accarezza il suo
pancino, seguita da Santiago che si commuove come un bambino,
constatando quanto di prezioso sta ottenendo dopo anni di dolore.
“E
lo faremo. Appena la villa sarà pronta, diventeremo marito e
moglie.
Avrai il matrimonio dei tuoi sogni. Scriveremo assieme il nostro
futuro. Sappi che da oggi in poi se piangerò sarà
solo di gioia”
**********************************
L’entusiasmo
di Nairobi per quella gravidanza è condiviso da tutti.
Mentre
i giorni, le settimane, e i mesi, passano veloci, e i lavori alla
villa sono ormai quasi conclusi, il pancino di Agata diventa sempre
più grande.
Lo
stesso vale per Stoccolma, prossima ormai al parto.
Il
suo sarà maschio e ha già un nome in testa che
gli ronza da tempo.
“Cincinnati?
Ma dici sul serio?” - chiede Manila all’amica,
sedute di fronte a
un caffè e dei pasticcini, a casa di Denver, ormai libero
dalle
invasioni familiari.
“Cincinnati
Augustin Ramos. Penso sia perfetto” – afferma,
decisa, lei. In
fondo un appellativo di città è un segno di
unione ormai. Chiunque
lei ami, ne ha uno. Anche suo figlio dovrà possederlo.
Da
lì a poco verrà alla luce un bebé dai
capelli castani e le guance
paffute, con gli occhietti vispi e le labbra identiche a quelle di
Monica, un cucciolo da spupazzare.
Daniel
non contiene la sua euforia nell’essere diventato
papà. Sa che non
condivide sangue con quella creatura ma la considera sua a tutti gli
effetti.
E
il desiderio di avere un neonato in casa si fa pressante anche in
Bogotà, preso dall’imminente parto della sua
compagna, tanto da
realizzare addirittura una culla in legno, degna di quella che sua
madre fece costruire quando nacque il suo primo nipote.
Nairobi,
agitata ma coccolata da chi le vuole bene, Axel incluso, vive al
meglio gli ultimi giorni con il pancione. Non ha molte idee sul nome
per la creatura che verrà alla luce. La sola cosa di cui
è convinta
è che sarà una bambina. Da quando dorme sogni
sereni, ben otto mesi
per la precisione, immagina una femminuccia gironzolare e chiamarla
Mamma.
È
proprio Axel a darle modo di scegliere il nome perfetto.
L’idea
arriva casualmente...grazie al rientro alla villa.
Il
piccolo nota dei fiori in giardino, fiori che da anni non sembrarono
sbocciare e che da qualche tempo adornano e danno luce alla villa.
“Le
camelie” – commenta Nairobi, pensierosa. Fiori che
con il loro
colore rosa danno quel tocco di pura e viva femminilità che
lei
stessa sente dentro di se e che evidentemente le dona sua figlia.
Esattamente
dieci giorni dopo tale decisione, la gitana viene portata in sala
parto e dà alla luce proprio una Lei. La Lei dei suoi sogni,
quella
che l’ha accompagnata di notte, affievolendo i brutti ricordi
del
passato e regalandogliene di nuovi e colorati.
“Benvenuta
al mondo, piccola Camelia!” - dice Nairobi, ponendo la
neonata
nella sua culla.
Oggi
come quel giorno che rimase folgorata da quei fiori, sente una strana
vicinanza, una presenza che accoglie e vigilia sulla bambina. Non
trova altra risposta se non in una nonna che non se ne è mai
effettivamente andata.
“Mia
madre sarebbe la donna più grata del mondo di fronte alla
vita che,
nonostante il dolore, nonostante il male recato, torna a brillare
sempre. Ricordo che sognava ardentemente di starsene sul divano e
avere in sottofondo la vocina di qualche nipote che la cerca, che le
chiede di giocare assieme… ed eccone una, sotto questo
tetto.
Camelia avrebbe potuto imparare tanto da sua nonna e che lei le
avrebbe dato tutto l’amore del mondo” - si commuove
Santiago, al
ricordo di donna Leticia.
Nairobi
lo bacia e stretta al suo petto, aggiunge – “Le
parleremo sempre
di questa donna d’acciaio. Io non l’ho conosciuta,
non ho avuto
una madre degna di questo appellativo. Però ho imparato cosa
significa davvero un legame madre-figlio dai tuoi racconti su di lei.
Quindi… per me Leticia esiste ed è presente.
Vuole vederti
sorridere, Santiago. Basta con le lacrime. Abbiamo creato un
capolavoro, e adesso possiamo giurarci SI per tutta la vita. Tua
madre sarà con noi, e ci proteggerà da
lassù… fino alla fine dei
nostri giorni” – dopo un candido bacio, la coppia
si dedica alla
vita che ha scelto e che finalmente brilla della giusta luce.
**********************
Le
nozze si svolgono un anno dopo l’esatta chiusura del
Mariposas.
Sono
presenti tutti gli amici della coppia.
Una
villa allestita alla grande, per un evento memorabile.
Tokyo
e Rio, giunti dal Brasile, dopo l’ennesimo viaggio senza
meta, sono
i testimoni degli sposi.
“Sei
raggiante, amica mia. Oggi è la tua festa.
Goditela” – le due
sorelle si stringono in un abbraccio, prima di celebrare le nozze.
Adesso
Nairobi percorre quel cammino con indosso un abito di sua scelta, con
suo figlio che le tiene la mano, e con un principe ad attenderla, e
una neonata meravigliosa che dorme nel passeggino.
La
sua famiglia.
Il
senso della sua esistenza.
È
in presenza di chi ama che promette fedeltà alla sola
persona che,
inizialmente disprezzò ma di cui poi si innamorò
follemente.
Bogotà
è stato un fulmine a ciel sereno ed è e
sarà sempre la sua seconda
metà.
*********************
L’indomani,
quando Tokyo e Rio sono i primi a lasciare, di nuovo, Madrid,
è la
Olviera ad annunciare un loro prossimo rientro.
Tra
cinque mesi è prevista una nascita importante e lei vuole
assolutamente che avvenga in Spagna.
Ebbene
sì, Silene è incinta e darà alla luce
una bambina.
“Sento
di dovere tanto a Santiago, alla salvezza che ci ha offerto e alla
libertà che ci ha restituito. Ho sentito la sua storia e il
suo
legame con donna Leticia come se ne soffrissi assieme a lui. Ho
ritenuto così di dare a questa creaturella che ho dentro il
giusto
nome...si chiamerà Leticia!”
Adesso
tutto si colora a festa.
Ogni
Farfalla ha il suo partner dei sogni. Ogni Farfalla ha raggiunto i
suoi obiettivi.
Ogni
Farfalla è sulla strada che desiderava, ha spiccato il volo,
in alto
ha spiegato le ali e toccato l’apice della
felicità.
Adesso
sì che la vita per tutte loro sembra aver trovato il giusto
senso.
***********************
3
anni dopo
Tutte
le Mariposas si ritrovano, su loro volontà, di fronte a quel
locale
ormai serrato da tempo.
Si
erano giurate ch il giorno delle nozze di Nairobi, da lì a
due anni,
avrebbero rimesso piede lì dove tutto ebbe inizio, cercando
di
superare tali drammi unite, come non fu possibile fare
all’epoca.
Tenendosi
per mano, come fossero un solo corpo, le ex farfalle percorrono
quella strada che hanno volutamente cancellato dai ricordi, ma che
pesa come un macigno sul loro stato emotivo.
Eppure
si rendono conto, solo una volta di fronte all’ingresso del
Night
Club, che esso non ha più tale connotazione.
La
porta è scura ed è posto su di essa uno striscione
“Centro
di accoglienza per donne in difficoltà”
– legge Lisbona,
spiazzata.
“Sul
serio hanno reso questo inferno un luogo d’aiuto?”-
incredula,
Tokyo è la prima a voler entrare.
Aprono
l’uscio e notano un posto totalmente rinnovato. Nulla a che
fare
con l’immagine passata, si respira pace tra quelle mura
adesso.
Ad
accoglierle è qualcuno familiare.
“Tatiana?
Sei tu a gestire tutto questo?” esclama Nairobi.
La
rossa, vedova da tre anni, e vogliosa di offrire un contributo nel
sociale, le invita a sedersi.
“Lo
dovevo a tutte noi, ad Andres, a chi soffre una vita di merda”
Commosse
dal gesto della moglie del defunto Berlino, le sei si abbracciano e
si alleano. D’ora in avanti ci sarà
un’unione totale, in vista
del bene delle donne.
Il
Mariposas ha cambiato faccia.
Il
Mariposas ora ha un significato e un obiettivo: proprio come le
farfalle, ogni donna ha delle ali e se non può volare le va
insegnato a farlo.
Tutte
hanno diritto di spiccare il volo e realizzare il loro sogni.
ECCOMI
GIUNTA AL FINALE. E’ DAVVERO DIFFICILE DIRE ADDIO A UNA
FANFICTION
SU CUI SI INVESTE TANTO. E COME AL SOLITO ECCOMI COSTRETTO A FARLO.
SONO
FELICE CHE SIA STATA SEGUITA, E SONO GRATA ALLA MIA CARA AMICA FEISTY
PANTS, A CUI HO DEDICATO, INDIRETTAMENTE, LA STORIA (LEI
SA A
COME).
LE
DICO GRAZIE PERCHE’ HA SAPUTO COME MOTIVARMI A SCRIVERE,
PERCHE’
SAPEVO CHE LEI ERA LI’ PRONTA A LEGGERE, A SUPPORTARMI, A
DIRMI LA
SUA, AD INCURIOSIRSI. LA MIA LETTRICE/SCRITTRICE PREFERITA RIMARRAI
SEMPRE TU, MI AMOR.
LA
MIA TOKYO DEL CUORE, LA MIA ANNA ORA E SEMPRE.
TI
DEVO TANTO.
CHIUDO
DICENDO GRAZIE ANCHE A CHI NON HA RECENSITO MA HA COMUNQUE LETTO E
APPREZZATO IN SILENZIO.
VI
ASPETTO NELLE PROSSIME FANFICTION (NE HO DELLE ALTRE IN SOSPESO CHE
MERITANO UN FINALE)
BESITOS
A TODOS
VOSTRA..
IVY
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