Negli occhi della selva

di gabryweasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pignolo ***
Capitolo 2: *** Instabile ***
Capitolo 3: *** Logico ***
Capitolo 4: *** Noioso ***



Capitolo 1
*** Pignolo ***


Pignolo

 

Estate, 1995

 

In un angolo della cucina di Grimmauld Place, Remus scopre di amare l'estate.

Proprio lui che si è sempre sentito palesemente inverno in ogni sua caratteristica, nel colorito pallido, gli abiti scoloriti, la malinconia. 

C'è un angolo di estate su un divanetto in fondo a quella stanza, dove Tonks va a sedersi ogni volta che passa a trovare lui e Sirius e, dopo i primi convenevoli, lui scompare da Fierobecco a esorcizzare fantasmi e inquietudini che fra quelle mura non riesce a lasciarsi alle spalle. In quelle occasioni, Remus la raggiunge per fare quattro chiacchiere e sviare, seppur con un po’ di disagio, l’attenzione dai malumori di Sirius, offrirle qualcosa.

Resta a fare gli onori di una casa non sua ma che da un po' lo accoglie, a bere succo di zucca con quella ragazza che conosce da poche settimane e che gli è letteralmente caduta addosso la prima volta che si sono incontrati, inciampando nei suoi stessi piedi. Ridono sempre entrambi quando ripensano a Malocchio che la scarica sulla soglia di Grimmauld Place senza nessuna grazia e si smaterializza all'istante perché non può occuparsi lui delle presentazioni, ché non è una bambinaia.

Remus scopre, piano, che l'estate non gli dispiace per niente mentre parla con lei e si lascia strappare sorrisi. Sembra quasi che quel tetto che ha sopra la testa da mesi non abbia pareti scure, quadri che urlano ingiurie e abitanti schiacciati da responsabilità e preoccupazioni. 

Pensa che quel nome che lei rifiuta di usare, in realtà, rispecchi molto di tutte le sensazioni che prova chiacchierando su quel divano, in quei momenti che per qualche motivo sembrano essere scollegati da tutto il resto e che li vedono parlare di Hogwarts, dei professori, di quanto lei sia stata felice di conoscere Harry e gli altri ragazzi, di quella casa stessa, che per qualche motivo su di lei non ha l'effetto che ha sugli altri. È solo una casa. Remus si fa contagiare da quei modi di fare distesi, teme addirittura di usare quella nuova amicizia al solo scopo di sentirsi meglio lui stesso, almeno per un po’.

«Dovresti usare il tuo nome quando ti presenti a qualcuno» gli sfugge, dopo un pranzo affollato al quale si sono casualmente ritrovati anche loro. E pensa che non dovrebbe sfuggirgli nulla perché dopotutto con Ninfadora, su quel divano, sta bevendo anche quel giorno succo di zucca e non whisky incendiario. Però è qualcosa a cui pensa ogni volta che parla con lei, anche se non glielo ha mai detto apertamente.

Quando Tonks si volta a guardarlo ha l'espressione infastidita per quelle parole, tanto da strappargli l'ennesima risata. 

«E tu dovresti smetterla con queste frecciatine. Se ti chiamassi Ninfadora, non lo diresti!»

«Non credo, trovo che sia un bel nome. È antico, ma a me piace. Greco?»

«Vuoi chiamarti Ninfadora, professore?»

«Non sarebbe male, solo… sconveniente.» osserva «Mi conoscono tutti come Remus, ormai.»

«Sei pignolo, Remus!» sentenzia, lasciandosi andare sullo schienale del divano e continuando a guardarlo. 

Remus alza le spalle. 

Vorrebbe dirle che rifiutare il suo nome non cambierà niente della persona che è, sarà in ogni caso sempre la stessa ragazza con la quale tutti hanno piacere di stare e di parlare. Ma ha paura di non conoscerla ancora abbastanza per fare un'osservazione del genere.

«Puoi chiamarmi Dora. Ma solo qualche volta.» dice, dopo qualche secondo di silenzio.

Remus si chiede spesso a che velocità corrano i suoi pensieri. Se in quella nuova amicizia, in quella bolla d'estate, lei sta viaggiando sulle sue stesse frequenze o se gli abbia fatto quella concessione per semplice gentilezza.

«Dora. Solo qualche volta.» accetta, appena in tempo, prima di soffermarsi troppo sul significato di quel permesso da parte di una ragazza che rifiuta qualunque nome che non sia Tonks.

È una Molly indaffarata che quel giorno arriva in cucina e li reclama entrambi per continuare la pulizia di quella casa, mettendo fine alle loro chiacchiere.

Si dà dello stupido mentre, alzandosi per primo da quel divanetto e tendendole poi una mano, non riesce a fare a meno di pensare che Dora è proprio un dono in quel periodo buio e soffocante, in mezzo a tutti loro che una guerra l’hanno già vissuta e hanno perso troppo. È una parentesi d'estate che si apre e si chiude su quelle sedute, che con tutti quei colori riesce a fargli dimenticare solo per un po', il tempo di scambiare poche parole, il buio di Grimmauld Place, le inquietudini attaccate alle pareti di quella casa e di sé stesso.



 

***

 

 

Eccomi!

Questo momento doveva arrivare ed è arrivato! 

È da un po' che Remus e Tonks mi ronzano nella testa, è da un po' che vorrei sbirciare alcuni momenti della loro storia ma da insicura cronica quale sono spesso mi tiro indietro. Perché sono due personaggi enormi e ho paura di non saperli rendere nel modo giusto. 

Comunque! Qualcosa nella testa c'è e quando è così mi dispiace anche mettere i sigilli quindi vorrei farla uscire. 

Questo momento non ha pretese, è una parentesi. Rileggendo l'Ordine della Fenice Remus e Tonks danno l'impressione di avere un feeling molto naturale, quindi non immagino subito resistenze/insistenze fra loro due, credo che il loro rapporto sia nato spontaneamente quando l'Ordine si è ricomposto e si sono conosciuti.

Non seguirò un ordine cronologico. Il proposito è solo quello di scriverci, sarà una raccolta di momenti disordinati che proverò a collocare comunque nel tempo con una data. 

Ninfadora, dice il buon vecchio Google, è un nome che deriva da due parole di origine greca, "ninfa" (o “sposa”) e "dono".

Grazie se siete arrivati fin qui, spero che questa piccola parentesi sia stata piacevole.

Mano sul cuore,

gabry

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Capitolo 2
*** Instabile ***


Instabile

 

Maggio 1996

 

È una notte senza luna quella che vede Tonks e Remus materializzarsi al centro di una piccola radura.

Ha insistito lei, come sempre, perché le mostrasse chi fosse stato lui prima della scuola, prima delle amicizie, dell’Ordine.

Tonks spera che rivivere quei ricordi insieme a lei possa aiutarlo a salvare qualcosa anche nella sua infanzia. C'è una vocina sgradevole nella sua testa che le dice che lei non è proprio nessuno per riuscire a salvare il salvabile dell'infanzia nomade che Remus le ha raccontato di aver avuto. Ma un'altra, più convinta, le dice che se lui ha accettato di essere lì con lei qualcosa vorrà dire.

«Non l’ho mai fatto» le ha sussurrato, mentre le prendeva la mano prima di materializzarsi lì. «Non ho mai mostrato questo posto a nessuno»

È piacevole quell’emozione che Tonks sente arrivarle prepotente nel petto quando i loro piedi poggiano sull'erba bagnata di quella radura. Si sente quasi più sollevata e un po’ se ne vergogna perché sa che lui potrebbe raccontarle solo di orrore e solitudine di lì a poco.

«C'è sempre una prima volta, no?» gli fa notare.

«Giá»

«Posso raccontarti anche io qualcosa della mia infanzia» 

Remus la guarda e ride, conscio di quanto lei sia ben consapevole del divario enorme che esiste fra le loro vite. Nei momenti in cui accetta quelle differenze con leggerezza, però, sembra quasi un'altra persona. Quando lui sorride di quelle diversità, Tonks ha l'impressione che dimentichi di essere un lupo mannaro, un membro dell'Ordine, e resti solo Remus. L’uomo che commenta le sfumature dei suoi capelli paragonandole a qualcosa di diverso ogni volta, che è pronto a citare ogni sua brutta figura solo per indispettirla, che le chiede di fare insieme un dispetto a Sirius.

«Tipo?»

«La mia prima caduta»

«Dubito che tu possa ricordare la tua prima caduta»

«Ho una foto di me mentre ballo sul tavolo della cucina e poi rotolo giù»

«Si spiegano tante cose, ora!»

«Battuta pessima, professore»

Remus fa spallucce e continua a guardarla nello stesso modo di quando sta per lasciarsi andare a un bacio o raccontarle qualcosa che lo riguarda. A volte sembra che voglia precipitarle dentro, come se si trovasse sull'orlo di un burrone del quale non riesce a scorgere il fondo. 

Vorrebbe dirgli di buttarsi anzichè considerare tutte le leggi dell’universo, che lei teme di averlo già fatto da un pezzo.

Invece vivono una sorta di equilibrio precario che le fa sentire emozioni che non ha mai provato e allo stesso modo riesce a farle mancare la terra da sotto i piedi.

«È il mio posto preferito, fra tutti quelli in cui ho vissuto da bambino»

«E lo tieni segreto?»

«Significa solo che è il meno peggio» Remus lascia andare la sua mano e si allontana verso gli alberi più vicini.

Tonks proprio non lo sa cosa gli passa per la testa quando lo vede guardarsi intorno, accarezzare gli alberi, sedersi ai piedi di uno di loro. Decide di raggiungerlo, ancora una volta. Ormai lo sa che deve tirargli fuori con le tenaglie le parole che riguardano sé stesso, ha già deciso che vuole farlo, insistere. Gli si avvicina, siede accanto a lui, azzarda ancora il tocco delle loro mani e aspetta i suoi tempi. 

«Remus, raccontami.» osa dirgli.

Riesce quasi a sentire il rumore dei suoi pensieri, la difficoltà che ha nel capire cosa dirle prima, sempre preoccupato di riuscire a turbarla.

Lo vede prendere un sospiro, infine, e indicare il centro della radura, quella casa abbandonata e trascurata. Somiglia a Remus.

«Abbiamo cambiato spesso casa, dopo che sono stato morso. I vicini si insospettivano ogni volta… i miei genitori erano sempre in difficoltà. Alla fine mio padre decise di costruire questa casa. Qui eravamo isolati dal mondo. Nessuno poteva avere sospetti sulla mia condizione.»

«Potevi essere libero, ogni tanto? Come a scuola?»

«Cosa? No, Dora. Non sono mai stato libero, prima di Hogwarts. Non avrei dovuto esserlo nemmeno in quelle occasioni. È pericoloso…» lascia di nuovo andare la sua mano per strofinarsi gli occhi e lei ha paura di perdere terreno in quel rapporto ancora indefinito ogni volta che lo vede allontanarsi.

«Cosa ti ha fatto preferire questa casa?» si azzarda a chiedere. Se riuscisse a trovare la prospettiva giusta, forse riuscirebbe a fargli rivalutare un po' del suo passato e di sé stesso. 

«Le stelle. Erano così tante e così luminose, in questo cielo, da far sperare a quel bambino che avessero più potere della luna.» Remus sbotta in una risata amara e scuote la testa «Non so perché siamo venuti qui.» 

«Remus...»

Tonks vorrebbe fermarlo quando lo vede alzarsi e muovere qualche passo veloce verso quell’abitazione abbandonata, ma qualcosa nel suo impeto la ferma abituata com’è a vederlo soppesare ogni gesto, ogni parola.

«Sai cosa ricordo, Dora?» lo sente urlare e poi lo vede estrarre la bacchetta puntandola verso quelle mura al centro della radura. «Il suono delle catene» un fiotto di luce rossa esplode improvviso colpendo quelle mura al centro della radura, lasciandola di sasso, ché non solo sta perdendo terreno ma quel poco che hanno costruito potrebbe addirittura franare da un momento all’altro.

«Chissà se sono ancora lì dentro, le catene. Le spalle di mio padre che sparivano su per le scale.» 

Un altro incantesimo si scaglia con forza contro una finestra, e poi un altro ancora. Remus continua, crea crepe in quella casa così come le sente dentro sé stesso e le mostra tutte a lei. E Tonks pensa, allora, che forse non è un modo per fuggirle ma per avvicinarsi. 

«I passi di mia madre che arrivava per medicarmi le ferite»

Lo vede puntare la bacchetta verso un punto imprecisato, un altro colpo va a finire sulla porta mentre lui continua a snocciolare la sua lista di ricordi e lei non sa come calmarlo. Dovrebbe essere terrorizzata nel momento in cui si presenta nella sua mente l’ipotesi che Remus sia instabile, invece con semplicità azzarda uno sguardo al cielo, prima di ricordarsi che è Luna Nuova come nuovo è il coraggio che gli servirebbe per lasciarsi alle spalle quei ricordi.

È con questi pensieri che si avvicina svelta alle sue spalle e gli cinge i fianchi fino ad appoggiare i palmi delle mani sul suo petto. Tonks lo stringe e posa la testa sulla sua schiena, lo sente irrigidirsi. Continua a farlo, come se Remus fosse un bambino che non sa gestire le sue emozioni, lo fa finché lo sente abbandonare le braccia e il respiro tornare regolare.

Un pensiero si affaccia nelle riflessioni di Tonks per la prima volta. Pensa che la belva faccia parte di lui anche quando non si mostra. Che Remus l'abbia inglobata e resa parte di sé anche quando il plenilunio è lontano e potrebbe invece tenerla relegata in un angolo e guardare il mondo con gli occhi di un uomo e non di un lupo. Invece capita spesso che le mostri se stesso con modi duri e imprevedibili come quella sera. 

Con gli occhi chiusi contro la sua schiena, le braccia che stringono Remus e il suo dolore, non fa fatica a immaginare quel bambino che sperava nel potere delle stelle. 

Non sono passati che pochi minuti da quando il respiro di Remus si è calmato, Tonks lascia che lui la prenda per mano e che una smaterializzazione la porti nella stanza che lui ha affittato al Paiolo Magico da qualche tempo. 

Va bene che impari a gestire le emozioni con i baci. Va bene la bocca di Remus che cerca la sua, le sue mani che non stringono più la bacchetta ma trovano la sua schiena, fianchi e pelle. 

Instabile è una parola che si ripropone ancora nella sua testa e che Tonks decide di ignorare ancora, così come ignora che nessuno dei due si sia mai sbilanciato su quello che provano l'uno verso l'altra o cosa abbiano significato i baci che si sono scambiati fino a quel momento. 

«Sto impazzendo o cosa?» lo sente sussurrare, gli occhi che catturano i suoi, verdi dalla prima volta che si sono baciati.

«Cosa» risponde, ché di pazzia non può trattarsi. 

E il sorriso che scorge a distanza ravvicinata è sufficiente a scacciare via dubbi e ripensamenti. 

Non sono più sotto il cielo di un bosco, ma Tonks spera che la luce delle stelle che vede entrare dalla finestra mentre fanno l'amore per la prima volta, stavolta abbia davvero più potere della luna.

 

 

 

***

 

 

Ciao a tutti!

Arrivo con un altro momento per questa raccolta. È un progetto che porto avanti con tempi biblici e soprattutto senza grandi pretese. Stavolta è tutto dal punto di vista di Tonks che si fa tante pare mentali quante sono le mie per questa pubblicazione. Ma se non l’avessi tirata fuori sarei impazzita a breve quindi eccoci qui, con la piccola speranza che abbia senso. Poco, credo.

Grazie, se avete letto, come sempre! Spero di non avervi annoiato troppo!

Mano sul cuore,

gabry

 

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Capitolo 3
*** Logico ***


Logico

 

Giugno 1996

 

Il San Mungo è freddo e asettico. È un via vai di maghi e streghe trafelati, di espressioni appesantite e rari sorrisi. 

Ogni volta che varca quella soglia, Remus ricorda la prima volta in cui si è trovato lì. È il ricordo lontano e frammentato di un bambino, sembra quasi che non sia suo, come fosse un racconto ascoltato da qualcun altro. Suo padre trovava guaritori da portare a casa ogni volta che ne aveva bisogno perché andare in ospedale era pericoloso, sconveniente

Se solo suo padre sapesse che, in fin dei conti, Remus nel pericolo ha scelto di viverci, gli direbbe che è un folle a tentare di mettere in ordine una vita che non potrà mai essere definita tale. Probabilmente avrebbe ragione perché Remus, in ogni passo appesantito che percorre verso il reparto, sente di aver perso già così tanto da non riuscire a rimettere in ordine niente, in quella vita. 

James.

Lily.

Sirius.

Harry che si dimena nella sua stretta. 

Ninfadora schiantata violentemente lontano da lui.

È l'ennesima zavorra che grava sui suoi pensieri.  Giorni in cui rivede e sente tutto, in ogni respiro. 

Dovrebbe essere lui - il lupo mannaro - quello sacrificabile, lui a perdersi.

Si chiede, mentre cerca e trova la camera di Tonks, se la vera maledizione nel suo caso non sia proprio quella. Il mostro non è il lupo, è la terra bruciata tutto intorno.

È la voce di suo padre radicata nella testa che gli spiega a ogni luna piena quanto sarà difficile - impossibile - ambire a una vita normale. 

È con questo pensiero che arriva sulla soglia della stanza di Tonks e non è un ricordo sfocato, tutt'altro. È nitido, limpido, e Remus lo detesta con la stessa intensità del bambino che ascoltava quelle parole. Lo subisce ancora come una tortura, la condanna a non affezionarsi, non amare, non cercare salvezza, e si odia. Remus odia incrociare gli occhi di Tonks quando quei pensieri che non fanno altro che avvelenarlo. Vorrebbe guardarla e riuscire ad ammettere di essersi sentito debole e più vuoto di quanto pensasse in quei giorni senza i colori che hanno macchiato gli ultimi mesi.

È il pensiero più egoista che la sua mente abbia mai partorito perché desiderare di appoggiarsi a qualcuno - a lei - senza fardelli e senza dolore, vorrebbe dire peccare di una leggerezza che non può permettersi.

Per un po’, però, ha bisogno di essere un uomo - solo un uomo - che ha fatto delle scelte, che non ha una guerra dentro oltre a quella combattuta con gli altri. Dieci minuti, solo dieci minuti, prima di pensare ancora a tutto quello che ha perso, alle idee di Silente, alle missioni complesse. 

Tonks è seduta sul letto, le gambe penzoloni, c'è Andromeda seduta vicino a lei. 

Gli occhi di Tonks che si illuminano nel vederlo, sono ancora una sorpresa per Remus. 

Non dovrebbero, pensa, ché per alimentare quello strano egoismo non c'è niente di peggio della gioia che Dora non riesce a contenere vedendolo. Si ritrova a pensare e non per la prima volta, che quegli occhi non dovrebbero assomigliare ai suoi boschi, non dovrebbero illuminarsi come una notte stellata e stregarlo. Dovrebbero essere grigi e spenti e amareggiati quando lui si presenta - come quelli di Andromeda.

«Stai bene» la voce di Tonks è flebile, tradisce le sue condizioni, il suo colorito è ancora un po' pallido, i suoi capelli opachi, ma la mano che tende verso di lui per farlo avvicinare è l'ancora che Remus desidera e non è ancora pronto a levare. 

«Non sei tu quella in un letto d'ospedale?» 

«Sto bene. Sarò presto a casa» Tonks scuote le spalle mentre le loro mani finalmente si intrecciano. 

«Tutti ne saranno sollevati» 

Ninfadora alza gli occhi al cielo. È un'abitudine che Remus non riesce a superare quella di tenderle la mano senza però parlare dei suoi sentimenti. Mai una volta che sia riuscito a dirle a parole quanto di sé stesso le stia regalando. Ai suoi gesti, alle carezze, ai baci, non ha fatto mai seguire nulla che avesse la forza di sancire quel legame che nei mesi si è venuto a creare con lei. Come se non esporsi possa farlo diventare trascurabile per entrambi.

C'è un lieve sospiro di Andromeda che - Remus ne è certo - sottolinea quanto sia sconveniente il legame fra lui e Dora.  

La vede alzarsi d'improvviso e, dopo una veloce carezza a sua figlia e un altrettanto veloce saluto, guadagnare passi verso la porta della stanza, senza rivolgergli uno sguardo.

«Fa così ogni volta?» Remus fa un cenno verso la sedia lasciata vuota.

«Ultimamente, solo quando tu sei nei paraggi.»

«Capisco» 

«Si, anche io la capisco. Vuoi sapere cosa ha pensato?» 

«Sei una Legilimens?»

«Siamo le parole che usiamo, Lupin» Dora fa il verso a sua madre e intanto allunga l'altra mano verso il viso di Remus. Quella vicinanza sembra farla tornare subito sé stessa «Tutti ne saranno sollevati?»

Ha preso l'abitudine di percorrere alcune delle sue cicatrici quando sono soli, riesce a scoprirne sempre nuove, le memorizza sotto le dita. 

Quel gesto piace a Remus più di quanto potrà mai riuscire ad ammettere.

«Qualcuno mi ha chiesto di te» sussurra. 

È una mezza verità e sa che Dora lo sente. Se ne accorge dalla brevissima pausa nei suoi movimenti e nonostante lui abbia gli occhi chiusi. E - di nuovo - si odia per ciò che prova mentre le dita di lei si muovono senza nessun ordine sul suo viso. Ama quelle sensazioni e le teme anche, al punto da voler scappare. Uscire dalla stanza, ora che si è accertato delle sue condizioni, che ha avuto la possibilità di riprendere fiato da quei giorni solo guardandola. Sarebbe meglio.

«E cosa gli dirai?»

«Che sei scolorita»

«Ti somiglio?»

«Mi sembra ovvio che sono ancora il più carino»

Le parentesi di spensieratezza con Dora si sono allargate. Adesso custodiscono mesi e stagioni, un’estate e un inverno, e hanno dato un senso a tutto. Al movimento della sua mano che non riesce a controllare mentre le sposta i capelli dal viso, alle dita che non riesce a slegare da lei. 

Ancora un po'. 

«Remus»

«Mmm»

«Mi dispiace. Per Sirius» 

Remus non riesce a capire se quel nodo allo stomaco è dato dalle dita di Ninfadora che si sono allontanate dalle sue cicatrici o dal ricordo prepotente di quel velo nero. 

«Già… È stato avventato, come al solito»

Un incosciente, per aver voluto correre in aiuto a Harry. Un disperato, nel voler difendere a costo della sua stessa vita l’impronta di James e Lily.

James.

Lily.

Sirius.

Harry che si dimena nella sua stretta. 

Ninfadora schiantata violentemente lontano da lui.

Passato, presente, futuro

«Avrei fatto la stessa cosa, Remus. Per te.»

Quelle parole hanno il potere dello stesso schiantesimo che ha colpito lei, in quel momento. Chiudono la parentesi e lo riportano sulla strada tracciata da suo padre.

Sconveniente.

Non c'è futuro per uno come lui, nessun legame senza rischi. La terra bruciata arriverà anche ai piedi di Dora e allora non resterà niente. 

«Non sai cosa dici» Remus si allontana, lascia andare carezze, dita e respiri. 

«So esattamente quello che dico»

«Non capisci»

Non è come pensi. Non puoi capire. Sottovaluti tutto. Sono parole che usa ogni volta che con disperazione si aggrappa a lei.

«Cosa non capisco, Remus?»

Dora è rimasta l'unica a far sembrare banale ogni sua ragione.

Come faceva James. E chissà che con lei non stia cercando solo la spensieratezza di quegli anni, quando qualcuno gli ha voluto così bene da vedere oltre quella sua condanna. 

«Non è questo il punto»

«E qual è il punto, Remus?»

«Hai appena detto che andresti a morire per un mostro.»

«Non sei un mostro, sei un idiota!»

«Dora, non puoi arrivare a questo punto. Ho una maledizione...»

«E sei troppo logico. Sempre. Troppo. Logico. Non c'è niente di logico nella vita, Remus, niente»

Ha ragione lei, niente di logico, nemmeno quella discussione in una stanza di ospedale. Se fosse stato logico non sarebbe andato a trovarla, è stato avventato. Voleva solo tornare a respirare ancora, togliersi la forza di Harry impressa nelle ossa e dimenticare, solo per un momento, un altro pezzo di vita svanito nel nulla. Dietro un velo. 

«Remus»

Remus. Remus. Remus.

Tonks ha il tono dei momenti in cui gli scava dentro, di quando si prepara a demolire muri e raziocinio, mostrandogli cosa c'è dietro, dentro, sotto, quando lui cocciuto non vuole vedere. 

«Mi ami?»

Quella domanda suona quasi come un'offerta alle orecchie di Remus. Il dono di un sentimento intenso e inaspettato, di una promessa. 

.

Ma non può - davvero, non può - contaminare Dora con la sua maledizione e la tristezza che si porta dietro. Non può permettere che lei sia parte della terra bruciata tutto intorno, che la sua giovinezza non fiorisca, che consumi sorrisi per lui, inaridito dalla sua condanna, dalla sua infanzia e da una guerra che già una volta lo ha lasciato senza nessun legame. 

Forse è ancora in tempo per raggiungere Andromeda, immagina di tranquillizzarla su quel legame e sui passi indietro che farà. 

Siamo le parole che usiamo, Lupin. Avrebbe detto e voluto questo, ne è certo anche lui.

«No, non ti amo» un mormorio, nessuno a parte lui e Tonks avrebbe capito. A nessuno, a parte loro due, avrebbero fatto così male.

Gli occhi di Ninfadora sono ancora verdi come la selva e brillano come una notte stellata, quando Remus si allontana e lascia la stanza. 

 

 

***

 

 

Ciao a tutti!

Io e l’ansia da prestazione - mia eterna compagna di pubblicazioni – torniamo per aggiungere un nuovo momento a questa raccolta. Sono tutte circostanze che ho abbozzato quando ho deciso di cominciare questo percorso (?) e che a quanto pare arriveranno qui quando avrò tempo/voglia/ispirazione a sufficienza per concluderli.

Come sempre, non sono sicura di essere riuscita ad infilare in questa shot tutto quello che mi passa per la testa su questi due. Sappiamo che lei è stata violentemente colpita durante gli scontri nell’Ufficio Misteri e io ho sempre immaginato che i giorni immediatamente successivi a quegli avvenimenti abbiano messo Remus nella condizione di pensare ancora di più al suo legame con Tonks. E lo immagino abbastanza duro da aver provato ad allontanarsi da lei già durante la sua degenza per farlo poi definitivamente con la missione affidatagli da Silente.

Spero di non avervi annoiato troppo, grazie!

Mano sul cuore,

gabry

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Capitolo 4
*** Noioso ***


Noioso

 

Autunno, 1995

 

«Hai gli occhi tristi» 

Tonks, dal lato opposto dello stretto vicolo nel quale si trovavano, lo aveva fissato in silenzio per un po’. In effetti, Remus avrebbe dovuto sospettare che quella mancanza di parole fosse preludio di qualcos'altro. Lei non stava mai in silenzio, aveva sempre parole per riempire ogni momento. 

«Non sono triste, sono attento. Stiamo facendo la guardia.» Le aveva risposto e l'aveva vista alzare gli occhi al cielo.

Quella volta il loro turno era quasi concluso, in realtà, e pochi minuti prima lei aveva convenuto che tenere d'occhio l'abitazione di Caramell fosse stata una perdita di tempo. L’aveva ascoltata blaterare perlopiù da sola su quanto fosse inutile appostarsi fuori casa sua, un ministro ottuso ma così ottuso da far risparmiare tempo e fatica a Tu-Sai-Chi. 

«No, non hai gli occhi tristi adesso. In generale.»

«Dovresti pensare a questo momento»

«Non arriverà nessuno»

«Cosa te lo fa pensare?» 

«Intuito da Auror» aveva detto, sollevando la mano in un gesto di ovvietà e riuscendo a strappargli un sorriso.

Ninfadora lo distraeva, in un modo tutto nuovo.

C'erano sensazioni che si presentavano sempre più spesso, quando si ritrovarono insieme. Erano emozioni paralizzanti che lo riportavano al periodo in cui aveva frequentato Hogwarts. Quella parvenza di serenità che aveva vissuto in quegli anni era rimasta accesa dentro di lui come una piccola fiammella, sufficiente appena a scaldarlo quando tutto si era sgretolato sotto il peso della prima guerra.

Amici erano stati seppelliti, le fratellanze frantumate, i legami traditi.

Si disse che Ninfadora gli ricordava quel calore, la voglia di rivalsa, di voler fare la differenza in un mondo sempre più confuso. Che era di certo la sua giovane età a fargli quell'effetto. 

«Comunque sei un pessimo Auror, ti distrai.» le disse, provocandole una smorfia offesa.

«Tu sei pessimo, fai sempre il guastafeste!»

«Vigilanza costante!» 

«Noioso. Qualcuno ti ha mai fatto notare quanto sei noioso?» disse, staccandosi dal muro al quale era appoggiata e avvicinandosi a lui. 

«Molte volte. Credo che sia l'accusa che mi hanno rivolto più spesso.»

No. Reietto, mostro. Ogni parola un livido nascosto dentro.

«Ne avrei altre» 

«Ninfadora Tonks e la gentilezza. E hai anche il coraggio di chiedermi perché ho gli occhi tristi.»

Remus proprio non avrebbe saputo dirlo il motivo per il quale sorridere agli scambi di battute con Tonks fosse così semplice, né perché tutte quelle offese fossero poco credibili.

Erano tutti i suoi colori, forse, a rendere ogni cosa più facile e leggera, come se facesse parte di un mondo diverso. Di una realtà in cui non esisteva niente di tutto quello che vivevano. 

La tristezza, in realtà, era l’ultima emozione che si aspettava quando si trattava di passare del tempo con lei. Avrebbe parlato di ebrezza, forse. 

«Io sono molto gentile, Remus Lupin!» gli disse, muovendo un altro passo di fronte a lui. Notò, Remus, che quel giorno aveva gli occhi di un verde così scuro e profondo da ricordargli le notti di luna passate a correre nella foresta con James, Sirius e Peter. Se ne convinse in quel momento che la spensieratezza che riusciva a provare perfino durante i turni di guardia accanto a lei, era dovuta a quel senso di nostalgia che Tonks, di certo, non sapeva nemmeno di dargli. Come se reincarnasse quel periodo e quelle sere.

Pericolose, vietate, ma libere.

«Dimmi qualcosa di gentile, allora» 

«Sei più noioso che mannaro» 

La risata che seguí quelle parole, decisamente non era adatta a un turno di guardia, lo sapevano entrambi. La distanza alla quale si trovavano i loro volti era ancora meno opportuna. 

Le labbra di Tonks improvvisamente sulle sue, però, sembravano giuste perché lei era fatta di colori, e ricordi confortanti, e desideri imprecisati. 

Eppure non passò che qualche secondo prima che Remus posasse le mani sul suo volto per allontanarla. Cercò di essere il più delicato possibile, sorrise imbarazzato ché dopotutto avrebbe continuato a baciarla ma il fatto che avesse il sapore dei ricordi gli portò alla mente - a tradimento - nient'altro se non la sua condizione. 

E Ninfadora era giovane, e bella, e uno come lui non l'avrebbe portata da nessuna parte. Non gli avrebbe dato nulla, solo tolto. 

Scosse la testa. 

«Siamo di guardia» sussurrò.

Vigliacco, pensò, mentre quegli occhi color selva si smaterializzavano davanti a lui lasciando una scia di pensieri in disordine. 



 

***

 

 

Beh, buon anno! <3

Inaspettatamente torno ad aggiornare questa raccolta nonostante io abbia i pensieri in disordine molto più di Remus e quindi passatemi quel semplice “autunno” in alto. Ah no? Vabbè, correggerò semmai riuscirò a mettere ordine nella mia testa.

Qualcuno ha detto rilettura dei libri? La la la, non vi sento! XD

Non so bene perché questo momento sia rimasto nei meandri del pc per così tanto tempo, è stato il primo a nascere. Ho paura di rendere banali questi personaggi, come al solito. Non voglio sminuire quello che per me è uno dei legami più belli della saga. Spero di non averlo fatto.. oggi ho pensato “ora o mai più!” ed eccomi qui!

Mano sul cuore,

gabry

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