Millie di Diana Abigail (/viewuser.php?uid=21705)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno ***
Capitolo 2: *** Due ***
Capitolo 1 *** Uno ***
Millie
Il passato:
La
storia nasce da un gdr, l'old hotel, in cui due personaggi (Markus e
Billie) si conoscono per caso in quell'hotel inglese. Entrambi
diciassettenni si conoscono per caso, prima con una litigata poi con
una caduta in un lago.
Si conoscono, si innamorano e si lasciano alla fine della vacanza: lei
torna ad Edimburgo e lui a Monaco di Baviera.
Per entrambi era il primo amore e il loro fu anche il primo bacio. La
mia immaginazione di un continuo è proprio questa
fanfiction, ambientata tre anni dopo il loro addio. E' scritta dalla
parte di Billie, ambientata durante il suo ventesimo compleanno.
Ovviamente lei non ha mai dimenticato nè smesso di sentire
il suo grande amore.
Erika
Personaggi:
Diana
è la sorella di Billie; Vanessa la ragazza di Konrad, Konrad
il fratello di Markus.
Diana, Vanessa, Konrad, Jackson erano insieme a Billie e Markus
all'hotel, tempi orsono.
Vanessa è irlandese, Konrad e Markus tedeschi, Jackson
Canadese.
Copyright personaggi:
Markus e Konrad: Chiara (santon')
Vanessa: Giusy (Fragrance)
Jackson: Elisa
Spero ci sia tutto ;) nel caso così non fosse, chiedete e
sarà spiegato qui sopra! Se volete leggere le schede dei
personaggi, le trovate nel forum impostato come mio sito qui in EFP. La
storia avrà solamente un altro capitolo che
posterò a breve.
La musica
rimbombava nelle mie orecchie.
“Auguri
Billie!” gridava il deejay.
Dovevo
sorridere, giusto?
Era il mio
compleanno. I miei vent'anni.
Perché non
riuscivo a sorridere?
“Cazzo,
Billie, vedi di divertirti e far sparire quel muso che ti è
tornato”
mi disse Diana, mia sorella, prima di uscire.
Avevo i capelli legati in una coda alta, la
frangia-ciuffo che cadeva davanti agli occhi, un abito scollato nero,
fin troppo corto per i miei gusti. Per ultimi, ma non meno belli, i
miei stivaletti con il tacco che mi facevano arrivare ad un'altezza
decente e non ai miei soliti 1.58 m.
Diana mi disse che ero bellissima quella sera, ma io non
mi sentivo bella. Anzi. Non avevo voglia di festeggiare il mio
compleanno in discoteca, non avevo voglia di ubriacarmi e di
conoscere qualcuno.
Sbuffai prima di uscire e lei mi disse quella frase.
Arrivata all'entrata della discoteca le mie amiche mi
accolsero con urletti e pacchetti.
Mi ripetevo in continuazione di sorridere e di fare
finta e ci provavo, davvero, ma non sempre mi riusciva.
Poi registrai tutto come dei capitoli: prima i cocktail,
poi la torta e alla fine venne l'ora dei regali.
Siccome
erano delle ventenni fissate, ricevetti un pacchetto di preservativi,
uno stimolante e poi
un completo intimo.
Risi, ma in fondo ero offesa.
Io non ero come loro. Perché mi trovavo lì?
Tornai più o meno al presente e mi ricordai di
sorridere, per la dedica delle mie amiche.
“Ehy, Billie, guarda
quelli” mi disse Janine, una
del gruppo.
Mi voltai. Un gruppo di super pompati ci stava tenendo
d'occhio.
Spalancai gli occhi. Non mi piacevano proprio. Non erano
affatto il mio tipo, già da come si presentavano.
Beh,
tutti quelli che assomigliavano a lui
erano il mio tipo, infatti non ne avevo mai trovati altri, neanche
che si avvicinassero lontanamente.
“Non mi ispirano
affatto” ammisi, a bassa voce,
anche se con quella musica non serviva a niente.
Infatti mi arrivò il suo acuto “eh?” che
mi fece
sbuffare. Proprio il tavolino vicino alla cassa dovevano prendere
quelle cretine?
Arrivò il resto del gruppo.
“Piaciuta la sorpresa,
Billie?” mi chiesero,
ridendo.
Loro erano già tutte ubriache.
Sorrisi.
“Si, grazie, è stato
davvero dolce” esclamai,
urlando, per farmi sentire.
Marlene si avvicinò a Janine.
“Allora? Se ne sono
accorti?” le chiese.
Janine annuì e scoppiarono a ridere.
Era tutta una scusa. Tutta una gran balla per
aggiudicarsi una bella scopata quella sera.
Mentre io pensavo a quale strano piano avessero
escogitato, incazzandomi, arrivarono i bell'imbusti.
“Auguri Billie” mi
dissero e uno dopo l'altro mi
diedero due baci sulle guance.
Fermai il quinto ragazzo che stava per baciarmi.
Mi alzai dal divanetto e salutai le ragazze, dicendo che
erano delle stronze manipolatrici e neanche tanto simpatiche.
Marlene s'incazzò, ma io non ascoltai i suoi insulti.
Andai al guardaroba e presi la borsa e la giacchetta.
Né Marlene, né nessun'altra mi seguì.
A loro
interessavano i ragazzi, non io e il mio compleanno.
Uscii quasi di corsa fuori e camminai per un tratto che
non seppi definire.
Raggiunsi l'auto che mi aspettava fedele lì fuori e ci
entrai, lanciando la borsa sul sedile del passeggero, dopo aver preso
le chiavi.
Sarei tornata a casa, da Diana, sperando che non fosse
con Jackson.
Erano passate si e no due ore e mezza, decisi che era
meglio chiamarla.
Presi il cellulare e composi il numero.
“Biiip...Biiip...Pronto?”
era la voce di Diana. E
non ansimava.
Sospirai di sollievo, forse avevano finito.
“Diana? Sei a casa?” le
chiesi, rimanendo seria.
Lei sospirò.
“Si. Che è successo?
Perché non sento la musica?”
mi chiese.
Ma che palle.
“È finita la festa.
Senti sto per tornare a casa, ma
non so se mi fermo da qualche parte” le spiegai.
“Da qualche parte dove? Non fare
cazzate che poi devo
venire a recuperarti. Ah, è arrivato un altro
regalo” mi disse.
Sbuffai alle sue prime frasi.
“Un regalo? Di chi
è?” chiesi, speranzosa.
“Della nonna” mi disse.
Abbassai lo sguardo e chiusi gli occhi.
Non era il suo.
“D'accordo, domani mattina lo
aprirò. C'è Jackson
con te?” le chiesi, sentivo delle voci, probabilmente in sala.
“Si. Ci sono anche altre persone.
Beh, se vuoi venire
ti faranno gli auguri, stai tranquilla” mi disse.
Cogliona, era sicura che mi importasse degli auguri?
“No, i vostri amici non mi stanno
proprio simpatici”
le dissi.
“Ma non sono nostri amici. Dai,
vieni, ti aspettiamo,
d'accordo? Baci” mi disse, poi attaccò.
Sbuffai e infilai il cellulare nella borsa, girai la
chiave e misi in moto la macchina.
Ero diretta verso casa, ma poi svoltai per il parco.
Parcheggiai poco lontano e camminai fino ai tavoli da
pic nic con i tacchi che non mi rendevano la vita facile. Mi ricordai
che avevo un vestito e anche un perizoma e che non potevo permettermi
la comodità, perciò mi sedetti su uno dei tavoli
accavallando le
gambe e chiusi gli occhi.
Il parco a quell'ora era piuttosto tranquillo. Non ci
trovavi nemmeno i drogati.
Guardai la luna che illuminava tutto con la sua luce
debole.
Mi chiesi se la luna soffriva perché era solamente un
piccolo satellite e non una grande stella. Poi mi chiesi anche se la
terra preferiva il sole alla luna perché era più
bello, piuttosto
che la luna che, invece, era ben fedele.
Guardai la luna e pensai al mio primo amore.
Una volta lessi da qualche parte che ci sono due tipi di
persone: quelli se sono sempre aperti all'amore e che si innamorano
in continuazione e quelli che, invece, si innamorano una volta sola.
Io ero sicuramente del secondo tipo.
Avevo diciassette anni quando lo conobbi. Capitò
un'estate, in un hotel particolare, in cui alloggiavamo entrambi.
Mi diede il mio primo bacio in una radura, nel bosco
vicino all'hotel. Era il primo per entrambi.
Ma lui era tedesco e alla fine della vacanza ci
separammo, scambiandoci email, numero di cellulare e indirizzo di
casa.
Cercai di ricordare, mentre guardavo la luna triste come
me, per quante notti piansi. Diana afferma per almeno un mese intero.
Abbassai lo sguardo a terra e sospirai. Dopo quella
vacanza, ci scrivemmo lettere e ci sentimmo per telefono, ma la
distanza costava parecchio ad entrambi, così pian piano
iniziammo a
sentirci sempre meno, ma non smettemmo mai.
Ogni anno lui mi inviava il suo regalo per posta,
calcolando con esattezza il giorno del mio compleanno, in modo che
non arrivasse né prima né dopo. Penso pagasse
anche un extra per
quello.
Ma quel giorno il suo regalo non era arrivato. E nemmeno
i suoi auguri.
Aspettavo quello, dalla mattina, ma non era ancora
arrivato e mancava poco alla mezzanotte, che dichiarava la fine del
mio compleanno.
Promisi a me stessa di non piangere, siccome gli amici
di Diana sarebbero stati lì al mio ritorno, non avevo
intenzione di
farmi vedere con il trucco colato e gli occhi gonfi.
Scesi dal tavolino, era meglio tornare a casa, sorridere
ancora un po' e poi andare a letto.
Salii sull'auto e subito squillò il mio cellulare: era
Diana.
“Dimmi” dissi,
rispondendo alla chiamata.
“Dove sei?” mi chiese.
Non erano passati nemmeno venti minuti dalla nostra
chiamata.
“Sono al parco, stai tranquilla
non mi sto drogando”
le dissi, sbuffando.
Mi rispose che non ero divertente e di sbrigarmi che era
quasi mezzanotte.
“Guarda che i tuoi amici possono
farmeli anche dopo
gli auguri” le dissi, scazzata.
“No, non possono e non vogliono e
ti ho detto che non
sono miei amici” mi disse, staccando.
Misi in moto facendo rombare il motore. Partii per le
strade di Edimburgo, finché raggiunsi il nostro palazzo.
Chiusi l'auto e suonai il campanello, una volta che mi
aprì salii le scale, ero stanca, nonostante tutto, quelle
galline
erano riuscite a farmi esasperare ancora.
Presi le chiavi e aprii la porta di casa mia, nostra,
facendo quando più rumore possibile, per annunciarmi.
Entrai e sentii delle risate dalla sala.
Aggrottai le sopracciglia. Mi tolsi la giacchetta e
poggiai la borsa nell'appendiabiti.
Pensai di levarmi gli stivaletti, ma poi mi ricordai che
c'era gente.
Mi guardai allo specchio e sentii che Diana mi chiamava.
“Arrivo” le dissi,
mettendomi a posto la frangia.
Mentre camminavo per raggiungere la sala mi preparai il
sorriso.
“Buonasera” dichiarai,
entrando.
Si voltarono tutti a guardarmi e sbiancai.
C'erano Diana e Jackson. E c'erano altri tre ragazzi.
Due ragazzi e una ragazza, ad essere precisi.
Il cuore iniziò a martellarmi impazzito, non potevo
crederci.
Non poteva essere vero.
Erano Vanessa e Konrad. E Markus.
Cercavo il modo per respirare, perché all'improvviso
l'avevo dimenticato.
I miei occhi erano fissi sui suoi, non si staccavano,
sarebbero rimasti fermi a guardarlo per sempre.
Era bello. Più bello che mai. E più grosso che
mai.
Qualcuno doveva dire qualcosa. Quel qualcuno non ero io.
“Buon compleanno” mi
disse, sorridendomi.
Mi sciolsi, completamente. Il suo sorriso era qualcosa
di unico, ogni volta mi levava il respiro.
Dovevo rispondergli, ma non trovavo il modo di far
uscire le parole. Sentivo di avere una faccia sconvolta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Due ***
“Auguri Billie. E...Complimenti
sei bellissima” mi
disse Vanessa. Konrad si limitò ad “Auguri
Billie”.
“Gra-grazie” dissi
loro, levando lo sguardo da
Markus.
Vanessa si alzò e venne ad abbracciarmi. Io non mi
mossi, ma ricambiai volentieri il suo abbraccio.
Anche Konrad venne da me e ci scambiammo giusto due baci
sulle guance, poi Vanessa, insaspettatamente, mi accarezzò
una
guancia e mi sorrise, prima di tornarsene al suo posto sul divano.
Markus si alzò e venne da me sorridendomi, così
il mio
cuore rincominciò a prendere il ritmo di un tamburo suonato
male.
“Stai bene?” mi chiese.
Annuii. In fondo stavo bene, ero solo sconvolta, chi se
lo sarebbe mai immaginato?
Si abbassò e mi baciò la guancia, poi mi
abbracciò
dolcemente.
“Sei sempre piccola” mi
disse, a bassa voce,
sghignazzando.
Io lo abbracciai aggrappandomi al suo collo e
nascondendo il viso.
Il mio regalo era arrivato, prima della mezzanotte.
“Dio Markus, non hai idea di
quanto tu mi sia mancato”
sussurrai, in modo che fosse solo lui a sentirmi.
Lui in risposta mi strinse ancora di più a sé.
“Anche tu mi sei mancata,
formichina” mi disse.
Singhiozzai, sperando di bloccare le lacrime.
“Billie sei stupenda, davvero. Mi
ricordavo che tu
fossi bella, ma così non lo avrei mai immaginato”
mi disse,
sincero.
Strinsi gli occhi, sperando sempre che servisse a non
farmi piangere. Ben presto, però, sciolse il nostro
abbraccio e lo
rimpiansi subito.
Guardò l'orologio, mancavano cinque minuti alla
mezzanotte.
“Ti devo dare il mio
regalo” mi sussurrò. Lo guardai, dubbiosa.
“Il regalo non sei tu?”
gli chiesi.
Lui scoppiò in una sonora risata che fece voltare tutti
e vergognare me.
“Non sono così
presuntuoso” mi disse, ridendo.
Gli presi la mano e sorrisi. Era sempre Markus.
“Andiamo di la” dissi,
a bassa voce. Lui annuì.
“Arriviamo subito”
comunicai a tutti, prima di
portarlo in camera mia.
Chiusi la porta e sentii il cuore battere come poco
prima, lui, però, decise di farmi morire completamente. Mi
prese la
mano e mi tirò a se, io gli sorrisi.
“Non mi sembra vero di poterti
toccare” mi disse,
con una faccia triste.
Tachicardia
la chiamavano?
“Nemmeno a me” gli
dissi.
Lui si ricordò di qualcosa e infilò la mano nella
tasca, ne uscì fuori una scatolina.
“Non ti dirò di
chiudere gli occhi, non abbiamo più
tempo per le cose romantiche, purtroppo” mi disse lui.
Mi prese la mano e ci poggiò la scatolina.
“Buon compleanno
Billie” mi disse, sorridendomi.
Lo guardai.
Aprii piano la scatolina.
Rimasi quasi pietrificata.
Nella scatolina giaceva una collanina d'oro bianco, con
un ciondolo a forma di cuore.
Si,
tachicardia.
Sul
ciondolo c'era un'incisione in corsivo: Millie.
Rimasi per qualche secondo a fissarla.
“È l'unione dei nostri
nomi” mi spiegò.
“Markus...
È...È meravigliosa” gli dissi, alzando
poi lo sguardo.
Lui mi sorrise.
“Sono contento. Speravo davvero
ti piacesse” mi
disse, guardandomi dolcemente.
Mancava giusto un minuto alla mezzanotte.
Tolsi la collanina e appoggiai la scatoletta sul mobile
lì vicino.
“Voltati” mi disse,
prendendo la catenina,
sorridendomi.
Mi voltai e spostai la coda di lato e lui, dopo aver
agganciato la collana, prese al volo l'occasione e mi baciò
il
collo, facendomi tremare.
Mi voltai e lo guardai, lui mi prese tra le sue braccia
e mi baciò.
La campana suonò la mezzanotte.
Mentre lo baciavo, le lacrime iniziarono a scendere da
sole, senza controllo.
“Non piangere” mi
disse, sussurrandomi dolcemente.
Io, di rimando, scoppiai, piangendo disperata, così lui
mi strinse a se, cullandomi, dicendo che andava tutto bene.
Dovevo crederci?
“Si, certo” dissi,
sarcastica. Lui mi guardò, scettico.
“Che succede?” mi
chiese.
“Non va tutto bene. Tu ora sei
qui, ma chissà quando
dovrai andartene di nuovo. Non credo di poter sopportare un altro
addio” gli dissi, singhiozzante.
Mi sorrise e mi baciò la testa.
“Usciamo? Andiamo da qualche
parte” mi propose.
Lo guardai. Io ero disperata e lui mi chiedeva
tranquillamente di uscire?
“Va bene, mi devo solo mettere a
posto” acconsentii.
Quella sera, ogni cosa dicesse era legge.
“Sei perfetta
così” mi disse, dandomi un bacio
leggero.
Io sghignazzai, mentre avevo ancora i lacrimoni.
“Immagino...” gli
dissi, sciogliendo l'abbraccio e
asciugandomi le guance.
“Mi aspetti di
là?” gli chiesi, indicando la porta.
Annuì, poi uscì dopo avermi dato un altro bacio.
Andai in bagno e mi levai il trucco sbavato. Mi ricordai
che il primo giorno che ci conoscemmo mi disse che i listoni neri mi
donavano: sorrisi al ricordo.
I tacchi mi stavano distruggendo, però per lui potevo
anche soffrire, perciò decisi di indossarli per uscire con
lui, ma
li tolsi per struccarmi, in modo da dare un po' di tregua ai miei
poveri piedi.
Markus era a casa mia.
Mi era quasi impossibile crederlo, eppure era nella sala
a chiacchierare con mia sorella e mio cognato.
Ripassai l'eyeliner e la matita, poi passai anche il
fard. Subito dopo accesi la piastra e lisciai la frangia che, nel
frattempo, si era leggermente arricciata.
Mi spruzzai il profumo e indossai gli stivaletti;
aggiustai leggermente il vestito e tornai in sala.
Stavano tutti parlando tranquillamente e sorridendo
contenti.
Diana si voltò e mi sorrise.
“Così esci di
nuovo” non era una domanda.
Alzai le spalle e guardai Markus che nel frattempo si
era voltato e mi sorrideva.
Konrad e Vanessa si erano alzati. Uscivano con noi? Mi
ritrovai a chiedermi.
“Grazie per la serata, ci
dispiace avervi disturbato”
diceva Konrad a mia sorella.
Si stavano salutando.
Salutò anche Markus e si avvicinò, prendendomi la
mano.
“Andiamo?” mi chiese.
Annuii, rapita.
Mi voltai verso Diana che mi sorrise.
“Ciao” le dissi,
sorridendo e uscendo dalla stanza,
poi mi ricordai della borsa e della giacchetta, così andai a
recuperarli.
Una volta fuori Vanessa mi salutò e mi disse che era
stata contenta di vedermi di nuovo. Salutai la coppia che se ne
andò.
Si allontanarono abbracciati, scambiandosi qualche bacio.
“Anche per loro è la
prima notte insieme dopo
quell'estate” mi confidò Markus.
Lo guardai e sorrisi.
“Davvero?” chiesi,
sorridente.
Lui annuì. Mi faceva piacere.
“Allora? Dove mi
porti?” mi chiese, abbracciandomi.
“Andiamo al castello.
È illuminato di notte, è
stupendo” gli dissi,dopo averci pensato su, prendendolo per
mano.
Per i primi passi rimanemmo in silenzio, poi fu lui ad
iniziare.
“Ho pianificato tutto questo
circa tre mesi fa” mi
confidò.
Mi voltai.
“Sul serio?” gli
chiesi, sorpresa. Lui annuì.
“Sai l'ingaggio di cui ti avevo
parlato? Quello per il
calcio?” mi chiese.
Io annuii, me lo ricordavo.
“Beh, è andato a buon
fine. Sono riuscito a
guadagnarmi abbastanza per farti la sorpresa” mi disse, prima
guardando a terra, per poi alzare lo sguardo su di me.
“Grazie, paladino Mark.
È tutto...Perfetto” gli
dissi, a bassa voce.
Lui, però, mi sentì comunque.
“Non hai idea di quanto tu mi sia
mancata. E ora che
ti ho qui non riesco a trovare il modo per...Non so neanche io per
cosa” mi disse.
Mentre parlava mi strinse la mano un po' più forte. Era
arrabbiato con se stesso.
“Anche tu mi sei mancato e
stasera è la serata più
bella della mia vita. Beh, fino ad ora almeno” gli dissi,
sperando
di farlo stare un po' meglio.
Lasciò la mia mano e mi abbracciò di nuovo.
Non me lo ricordavo così affettuoso. Erano anche
passati tre anni, a dire il vero. Camminammo più o meno
abbracciati,
ridendo e scherzando come qualche anno prima.
“Guarda, è quello il
castello” gli dissi, indicando
un edificio illuminato da alcuni fari.
Lui mi sorrise e io rimasi con la testa alzata a
guardarlo.
Mi erano mancati i suoi occhioni scuri e i suoi capelli
biondi: era bello, più di quando aveva diciassette anni.
Salimmo la salita che portava al castello, tenendoci per
mano. Da abbracciati avremmo rischiato di cadere.
“Voglio essere sincero con te. In
questi anni sono
stato con altre ragazze, provando a voltare pagina. Con una pensavo
pure di esserci riuscito. Era la prima con cui facevo sesso e non mi
immaginavo te, perciò mi ero leggermente illuso. Forse in
quel
momento non pensavo a te, ma tutti gli altri momenti si, ed era
così
naturale che non mi rendevo conto” mi confidò.
La storia della ragazza mi rivoltò le budella, lui
però
continuò senza badare a me.
“Sai, ho anche creduto di non
essere normale” mi
disse ridendo.
Cercai di riprendere il controllo.
“Perché?”
gli chiesi.
Lui si voltò a guardarmi, finalmente.
“Perché...Beh
perché sei stata la prima. E
nonostante passassero gli anni, mi ritrovavo a pensare costantemente
agli stessi giorni. Per anni, capisci? Poi però Konrad mi
confidò
che era capitato anche a lui. E provò a darmi una ragione
valida per
non credermi pazzo o strano” mi disse, abbassando lo sguardo.
Arrivammo all'entrata del castello, si ergeva in tutta
la sua bellezza e grandezza, poi avendo Markus al mio fianco tutto si
faceva più bello ed emozionante: anche il castello che avevo
visitato un milione di volte.
“Cioè?” gli
chiesi.
Lui si guardò intorno.
“Vieni” mi disse,
tirandomi la mano.
Lo seguii, mi portò su un muretto e si sedette. Io lo
guardai e lui mi fece sedere in braccio a lui.
“Billie...”
provò a dirmi.
Lo guardai.
“Io non sono stata con nessun
altro. Beh, nel senso
che non ho mai fatto sesso con nessuno, oltre te” gli
confidai.
Mi era uscito spontaneo. Volevo lo sapesse.
Lui mi guardò. Era sorpreso, lo avevo capito.
“Ti amo Billie” mi
disse, spontaneamente.
Lo guardai. Neanche io me lo aspettavo questo.
Io però rimasi zitta e lui lo prese come un brutto
segnò, così si agitò.
“Ti prego dimmi qualcosa, dai
segni di vita” mi
disse, per sdrammatizzare. Come suo solito.
Mi avventai sulle sue labbra e lo baciai.
Mi amava. Nonostante non fossi stata l'unica, amava me.
E a me bastava.
Mi allontanai e lo guardai.
“Anche io ti amo
Markus” gli dissi, con le lacrime
agli occhi.
Lui mi abbracciò e io mi appoggiai, accoccolandomi.
“Markus...Quando dovrai
ripartire?” gli chiesi.
“Oh, beh, non lo so.
C'è tempo, io ho ancora un vitto
e alloggio da riscuotere. Penso che potremmo rifare questo discorso
un po' più avanti” mi rispose.
Ero felice. Indubbiamente.
Alla fine aveva scelto me.
“Markus...”
“Si?”
“Sarai sempre il mio
paladino?”
“Sempre”
“Sarò sempre la tua
formichina?”
“Per sempre. Ti amo
Billie”
“Anch'io Markus”
FINE <3
Ecco la ficci
completa ^___^ dovete sapere che il nomignolo che Billie ha dato a
Markus (Paladino) era dovuta ad una loro litigata, dopo che lui aveva
difeso Vanessa. Formichina, invece, è data dalla differenza
di "grandezza" dei due: lui dovrebbe essere un ragazzone alto e spesso,
un portiere come si deve per intenderci, lei invece una nanetta con
crisi per la sua altezza =) mi dispiace un po' perché quando
l'ho scritta era il periodo in cui scrivevo nei GdR, perciò
è costituito principalmente da dialoghi e non mi piace
granché xD
Commenti:
Ro90: si ha
decisamente fatto bene, quelle sono il genere di persone che Billie
avrebbe evitato a priori, ma si sa che a volte prendiamo una brutta
strada ahahah! xDD mi fa piacere che ti sia piaciuta, davvero. Un
bacione, a presto ^__^
Grazie anche a chi l'ha messa tra
i preferiti/seguite!
Erika
<3
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=421547
|