Il passato:
Si conoscono, si innamorano e si lasciano alla fine della vacanza: lei torna ad Edimburgo e lui a Monaco di Baviera.
Per entrambi era il primo amore e il loro fu anche il primo bacio. La mia immaginazione di un continuo è proprio questa fanfiction, ambientata tre anni dopo il loro addio. E' scritta dalla parte di Billie, ambientata durante il suo ventesimo compleanno. Ovviamente lei non ha mai dimenticato nè smesso di sentire il suo grande amore.
Erika
Personaggi:
Diana è la sorella di Billie; Vanessa la ragazza di Konrad, Konrad il fratello di Markus.
Diana, Vanessa, Konrad, Jackson erano insieme a Billie e Markus all'hotel, tempi orsono.
Vanessa è irlandese, Konrad e Markus tedeschi, Jackson Canadese.
Copyright personaggi:
Markus e Konrad: Chiara (santon')
Vanessa: Giusy (Fragrance)
Jackson: Elisa
Spero ci sia tutto ;) nel caso così non fosse, chiedete e sarà spiegato qui sopra! Se volete leggere le schede dei personaggi, le trovate nel forum impostato come mio sito qui in EFP. La storia avrà solamente un altro capitolo che posterò a breve.
La musica
rimbombava nelle mie orecchie.
“Auguri
Billie!” gridava il deejay.
Dovevo
sorridere, giusto?
Era il mio
compleanno. I miei vent'anni.
Perché non
riuscivo a sorridere?
“Cazzo,
Billie, vedi di divertirti e far sparire quel muso che ti è
tornato”
mi disse Diana, mia sorella, prima di uscire.
Avevo i capelli legati in una coda alta, la
frangia-ciuffo che cadeva davanti agli occhi, un abito scollato nero,
fin troppo corto per i miei gusti. Per ultimi, ma non meno belli, i
miei stivaletti con il tacco che mi facevano arrivare ad un'altezza
decente e non ai miei soliti 1.58 m.
Diana mi disse che ero bellissima quella sera, ma io non
mi sentivo bella. Anzi. Non avevo voglia di festeggiare il mio
compleanno in discoteca, non avevo voglia di ubriacarmi e di
conoscere qualcuno.
Sbuffai prima di uscire e lei mi disse quella frase.
Arrivata all'entrata della discoteca le mie amiche mi
accolsero con urletti e pacchetti.
Mi ripetevo in continuazione di sorridere e di fare
finta e ci provavo, davvero, ma non sempre mi riusciva.
Poi registrai tutto come dei capitoli: prima i cocktail,
poi la torta e alla fine venne l'ora dei regali.
Siccome
erano delle ventenni fissate, ricevetti un pacchetto di preservativi,
uno stimolante e poi
un completo intimo.
Risi, ma in fondo ero offesa.
Io non ero come loro. Perché mi trovavo lì?
Tornai più o meno al presente e mi ricordai di
sorridere, per la dedica delle mie amiche.
“Ehy, Billie, guarda
quelli” mi disse Janine, una
del gruppo.
Mi voltai. Un gruppo di super pompati ci stava tenendo
d'occhio.
Spalancai gli occhi. Non mi piacevano proprio. Non erano
affatto il mio tipo, già da come si presentavano.
Beh,
tutti quelli che assomigliavano a lui
erano il mio tipo, infatti non ne avevo mai trovati altri, neanche
che si avvicinassero lontanamente.
“Non mi ispirano
affatto” ammisi, a bassa voce,
anche se con quella musica non serviva a niente.
Infatti mi arrivò il suo acuto “eh?” che
mi fece
sbuffare. Proprio il tavolino vicino alla cassa dovevano prendere
quelle cretine?
Arrivò il resto del gruppo.
“Piaciuta la sorpresa,
Billie?” mi chiesero,
ridendo.
Loro erano già tutte ubriache.
Sorrisi.
“Si, grazie, è stato
davvero dolce” esclamai,
urlando, per farmi sentire.
Marlene si avvicinò a Janine.
“Allora? Se ne sono
accorti?” le chiese.
Janine annuì e scoppiarono a ridere.
Era tutta una scusa. Tutta una gran balla per
aggiudicarsi una bella scopata quella sera.
Mentre io pensavo a quale strano piano avessero
escogitato, incazzandomi, arrivarono i bell'imbusti.
“Auguri Billie” mi
dissero e uno dopo l'altro mi
diedero due baci sulle guance.
Fermai il quinto ragazzo che stava per baciarmi.
Mi alzai dal divanetto e salutai le ragazze, dicendo che
erano delle stronze manipolatrici e neanche tanto simpatiche.
Marlene s'incazzò, ma io non ascoltai i suoi insulti.
Andai al guardaroba e presi la borsa e la giacchetta.
Né Marlene, né nessun'altra mi seguì.
A loro
interessavano i ragazzi, non io e il mio compleanno.
Uscii quasi di corsa fuori e camminai per un tratto che
non seppi definire.
Raggiunsi l'auto che mi aspettava fedele lì fuori e ci
entrai, lanciando la borsa sul sedile del passeggero, dopo aver preso
le chiavi.
Sarei tornata a casa, da Diana, sperando che non fosse
con Jackson.
Erano passate si e no due ore e mezza, decisi che era
meglio chiamarla.
Presi il cellulare e composi il numero.
“Biiip...Biiip...Pronto?”
era la voce di Diana. E
non ansimava.
Sospirai di sollievo, forse avevano finito.
“Diana? Sei a casa?” le
chiesi, rimanendo seria.
Lei sospirò.
“Si. Che è successo?
Perché non sento la musica?”
mi chiese.
Ma che palle.
“È finita la festa.
Senti sto per tornare a casa, ma
non so se mi fermo da qualche parte” le spiegai.
“Da qualche parte dove? Non fare
cazzate che poi devo
venire a recuperarti. Ah, è arrivato un altro
regalo” mi disse.
Sbuffai alle sue prime frasi.
“Un regalo? Di chi
è?” chiesi, speranzosa.
“Della nonna” mi disse.
Abbassai lo sguardo e chiusi gli occhi.
Non era il suo.
“D'accordo, domani mattina lo
aprirò. C'è Jackson
con te?” le chiesi, sentivo delle voci, probabilmente in sala.
“Si. Ci sono anche altre persone.
Beh, se vuoi venire
ti faranno gli auguri, stai tranquilla” mi disse.
Cogliona, era sicura che mi importasse degli auguri?
“No, i vostri amici non mi stanno
proprio simpatici”
le dissi.
“Ma non sono nostri amici. Dai,
vieni, ti aspettiamo,
d'accordo? Baci” mi disse, poi attaccò.
Sbuffai e infilai il cellulare nella borsa, girai la
chiave e misi in moto la macchina.
Ero diretta verso casa, ma poi svoltai per il parco.
Parcheggiai poco lontano e camminai fino ai tavoli da
pic nic con i tacchi che non mi rendevano la vita facile. Mi ricordai
che avevo un vestito e anche un perizoma e che non potevo permettermi
la comodità, perciò mi sedetti su uno dei tavoli
accavallando le
gambe e chiusi gli occhi.
Il parco a quell'ora era piuttosto tranquillo. Non ci
trovavi nemmeno i drogati.
Guardai la luna che illuminava tutto con la sua luce
debole.
Mi chiesi se la luna soffriva perché era solamente un
piccolo satellite e non una grande stella. Poi mi chiesi anche se la
terra preferiva il sole alla luna perché era più
bello, piuttosto
che la luna che, invece, era ben fedele.
Guardai la luna e pensai al mio primo amore.
Una volta lessi da qualche parte che ci sono due tipi di
persone: quelli se sono sempre aperti all'amore e che si innamorano
in continuazione e quelli che, invece, si innamorano una volta sola.
Io ero sicuramente del secondo tipo.
Avevo diciassette anni quando lo conobbi. Capitò
un'estate, in un hotel particolare, in cui alloggiavamo entrambi.
Mi diede il mio primo bacio in una radura, nel bosco
vicino all'hotel. Era il primo per entrambi.
Ma lui era tedesco e alla fine della vacanza ci
separammo, scambiandoci email, numero di cellulare e indirizzo di
casa.
Cercai di ricordare, mentre guardavo la luna triste come
me, per quante notti piansi. Diana afferma per almeno un mese intero.
Abbassai lo sguardo a terra e sospirai. Dopo quella
vacanza, ci scrivemmo lettere e ci sentimmo per telefono, ma la
distanza costava parecchio ad entrambi, così pian piano
iniziammo a
sentirci sempre meno, ma non smettemmo mai.
Ogni anno lui mi inviava il suo regalo per posta,
calcolando con esattezza il giorno del mio compleanno, in modo che
non arrivasse né prima né dopo. Penso pagasse
anche un extra per
quello.
Ma quel giorno il suo regalo non era arrivato. E nemmeno
i suoi auguri.
Aspettavo quello, dalla mattina, ma non era ancora
arrivato e mancava poco alla mezzanotte, che dichiarava la fine del
mio compleanno.
Promisi a me stessa di non piangere, siccome gli amici
di Diana sarebbero stati lì al mio ritorno, non avevo
intenzione di
farmi vedere con il trucco colato e gli occhi gonfi.
Scesi dal tavolino, era meglio tornare a casa, sorridere
ancora un po' e poi andare a letto.
Salii sull'auto e subito squillò il mio cellulare: era
Diana.
“Dimmi” dissi,
rispondendo alla chiamata.
“Dove sei?” mi chiese.
Non erano passati nemmeno venti minuti dalla nostra
chiamata.
“Sono al parco, stai tranquilla
non mi sto drogando”
le dissi, sbuffando.
Mi rispose che non ero divertente e di sbrigarmi che era
quasi mezzanotte.
“Guarda che i tuoi amici possono
farmeli anche dopo
gli auguri” le dissi, scazzata.
“No, non possono e non vogliono e
ti ho detto che non
sono miei amici” mi disse, staccando.
Misi in moto facendo rombare il motore. Partii per le
strade di Edimburgo, finché raggiunsi il nostro palazzo.
Chiusi l'auto e suonai il campanello, una volta che mi
aprì salii le scale, ero stanca, nonostante tutto, quelle
galline
erano riuscite a farmi esasperare ancora.
Presi le chiavi e aprii la porta di casa mia, nostra,
facendo quando più rumore possibile, per annunciarmi.
Entrai e sentii delle risate dalla sala.
Aggrottai le sopracciglia. Mi tolsi la giacchetta e
poggiai la borsa nell'appendiabiti.
Pensai di levarmi gli stivaletti, ma poi mi ricordai che
c'era gente.
Mi guardai allo specchio e sentii che Diana mi chiamava.
“Arrivo” le dissi,
mettendomi a posto la frangia.
Mentre camminavo per raggiungere la sala mi preparai il
sorriso.
“Buonasera” dichiarai,
entrando.
Si voltarono tutti a guardarmi e sbiancai.
C'erano Diana e Jackson. E c'erano altri tre ragazzi.
Due ragazzi e una ragazza, ad essere precisi.
Il cuore iniziò a martellarmi impazzito, non potevo
crederci.
Non poteva essere vero.
Erano Vanessa e Konrad. E Markus.
Cercavo il modo per respirare, perché all'improvviso
l'avevo dimenticato.
I miei occhi erano fissi sui suoi, non si staccavano,
sarebbero rimasti fermi a guardarlo per sempre.
Era bello. Più bello che mai. E più grosso che
mai.
Qualcuno doveva dire qualcosa. Quel qualcuno non ero io.
“Buon compleanno” mi
disse, sorridendomi.
Mi sciolsi, completamente. Il suo sorriso era qualcosa
di unico, ogni volta mi levava il respiro.
Dovevo rispondergli, ma non trovavo il modo di far
uscire le parole. Sentivo di avere una faccia sconvolta.