I Signori d'Europa

di schwarzlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La luce dimenticata ***
Capitolo 2: *** Legame ***
Capitolo 3: *** Rottura ***
Capitolo 4: *** La Signora di Roma - L'ombra bianca ***
Capitolo 5: *** L'abitante della casa vuota ***
Capitolo 6: *** Ritorno di un fantasma ***
Capitolo 7: *** Vienna e Roma ***



Capitolo 1
*** La luce dimenticata ***


I Signori d'Europa
La luce dimenticata




Non ricordo i loro nomi.
Ma ricordo i loro volti, le loro voci, l'espressione dispiaciuta quando li deludevo e quella felice di quando riuscivo in qualcosa.
Ricordo l'affetto che mi dimostravano, il calore del loro abbraccio, la felicità che provavo quando mi dicevano di volermi bene e la frustrazione quando mi rimproveravano per qualche motivo che ritenevo ingiusto.
Ricordo la mia stanza, il colore candido delle pareti, i libri di testo raggruppati in un angolo e i cd allineati ordinatamente sulla mensola, in contrasto con il caos che regnava sulla scrivania.
Ricordo il giorno in cui ho fatto tardi, la corsa fatta per arrivare in tempo, il cancello spalancato. E il sangue.
 
Non ricordo di essermi mai diplomata. Forse è successo tutto prima che potessi finire la scuola.
Però ricordo le mattine passate sui banchi, le risate dei miei compagni, i litigi futili e gli scherzi idioti. Eravamo una classe normale, magari un po' vivace, e il nostro responsabile era quel professore fissato con la pulizia della lavagna.
Non ricordo il volto di tutti. Solo qualche sguardo, dei gesti particolari, qualche frase senza senso... tutto ciò che è rimasto sono delle figure sfocate, tranne la schiena del ragazzo seduto di fronte a me, la stessa che fissavo quando mi annoiavo durante una lezione.
Ricordo che ritenevo i miei amici la cosa più preziosa al mondo. Con loro avevo riso, avevo pianto, avevo sfogato la mia rabbia e condiviso i miei pensieri. A loro avevo chiesto aiuto. Ma non erano stati in grado di fare nulla.

Ricordo che i miei capelli erano castani. Ora hanno preso un colore argentato... se fossi un poeta forse li definirei del colore della luna, ma sinceramente non ci trovo niente di così bello nella cosa. Chissà se anche gli occhi sono cambiati? ...Ma anche se avessi uno specchio per controllare, l'unica luce disponibile è quella artificiale che filtra dallo spioncino della porta.
La luce del sole... ormai non la ricordo più. Però ricordo il suo calore sulla mia pelle, i riflessi che creava sull'acqua del mare e sulla neve in montagna.
Ricordo che mi piaceva il cielo al tramonto, lo scroscio della pioggia e il vento che mi scompigliava i capelli.
Ricordo che adoravo osservare le stelle e fantasticare su mondi lontani, perdendo ore e ore che avrei dovuto impiegare studiando.
Ricordo il falco pellegrino ferito che avevamo ritrovato in mezzo al bosco. L'avevamo curato e per un po' stette con noi nello chalet affittato per l'estate.
Non ricordo più il suono di uno strumento, nè le melodie che tanto adoravo cantare. Forse non sarò più in grado di intonarle.
Non ricordo di aver mai amato nel vero senso del termine, ma so con certezza di aver odiato ferocemente, con un'intensità tale da consumarmi il corpo e la mente.
Ricordo quel giorno in cui la rabbia e la disperazione mi hanno offuscato i sensi, la corsa disperata per le strade, il rumore degli spari e dei passi concitati.

Non ricordo quanto tempo sia passato. Forse mesi, o anni... ormai ho perso il conto.
Non ricordo chi mi abbia portato qui nè quando. 
Vorrei uscire, per vedere se il cielo è ancora azzurro e se il sole sorge ancora. Ma quella maledetta porta è chiusa a chiave e non la aprono mai, perfino per darmi il cibo usano uno sportello apposito. Hanno paura di me.
Ma ormai sono stanca, non mi importa più di nulla... L'unica cosa che voglio è starmene seduta qui, appoggiata alla parete, a cercare di dimenticare l'oscurità di questa stanza e le catene ai polsi, per potermi crogiolare in quei ricordi che forse sono solo un mero frutto della mia immaginazione.

All'improvviso sento dei passi che si avvicinano, e mi meraviglio di constatare che si fermano davanti la mia porta. Di solito gli inservienti che mi portano da mangiare vanno in giro anche con un carrello... ma non ho sentito il rumore delle ruote.
Intanto qualcuno ha cominciato a parlare. Le voci che provengono dal corridoio sono soprattutto due. Una ha un'intonazione strascicata estremamente fastidiosa... non riesco a sentire cosa dice, ma sono le parole della seconda persona a destare la mia attenzione.

- Certo che ne sono sicuro, mi sembrava di esser stato chiaro: la ragazza verrà con me. E ora aprite questa porta. 

Sento una chiave che gira nella toppa almeno tre volte, e dopo alcuni ulteriori scatti la porta si apre.
E in questo giorno, a meno che non sia tutta un'allucinazione, finalmente la luce torna a far parte della mia vita.


---

 Bene...questa storia è una specie di "esperimento"...nel senso che una parte è ancora work in progress XD
Avevo voglia di scrivere una storia un po' cupa e allora ho ripescato questa trama che mi ronza in testa da un bel po' di tempo (soprattutto perchè finalmente mi è venuta l'ispirazione per un inizio decente...)
Dico fin da subito che è ambientata nel nostro mondo...con una certa modifica che mi porta a catalogare la storia come fantasy ^^
Come ultima cosa vi chiedo scusa se avete trovato errori, ma l'ho scritta di getto e sono decisamente stanca @_@
Spero abbiate gradito!^^
Al prossimo capitolo!XD

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Capitolo 2
*** Legame ***


I signori d'Europa cap.2 Legame




Luce.
Da quando sono uscita da quel posto sono sempre circondata dalla luce, così tanta da accecarmi. E' per questo che ora devo tenere queste bende... se non lo faccio potrei danneggiarmi gli occhi, così ha detto quella donna.
Ma allora cos'è cambiato da quando stavo nella cella? Prima non potevo vedere a causa del troppo buio, e ora non posso vedere a causa della troppa luce.

...Io voglio il cielo.

Mi alzo dal letto. Le bende non sono poi così coprenti, un minimo dei contorni della stanza riesco a distinguerli. Più in là, ad esempio, ci sono un paio di poltrone e un tavolino basso, di quelli da thè. Addossata alla parete c'è una libreria e uno stereo... o almeno quello che credo sia uno stereo. E ci sono due finestre.

Voglio il cielo.

Mi avvicino a una di esse e la apro. E il vento mi investe.
E' un vento leggero, primaverile... è piacevole. E' tremendamente piacevole la sensazione di sentirlo soffiare sulla pelle, ascoltare il rumore delle tende smosse, l'odore di aria fresca, pulita.

Chissenefrega di quella donna.

E chissenefrega anche della mia vista.
Afferro le bende e le strappo via, non mi importa se poi non potrò più vedere... io voglio il cielo, per troppo tempo l'ho desiderato, per troppo tempo l'ho cercato senza trovarlo.
Apro gli occhi e osservo l'azzurro infinito che si estende sopra la mia testa.
Una lacrima mi solca il viso.

Sono libera.


***


Il campanello suonò due volte prima che la padrona di casa, una donna piuttosto giovane dai disordinati capelli corvini, andasse ad aprire. Di fronte a lei si presentò un ragazzo sui venticinque anni, dagli occhi neri e i capelli biondi parzialmente raccolti in una coda, da cui sfuggivano alcuni ciuffi ribelli più corti che gli finivano davanti agli occhi.
Entrò senza tanti preamboli e si diresse subito al piano superiore, accompagnato dalla donna.

- Com'è la situazione?
- Le ferite ai polsi e alle caviglie sono quasi completamente guarite. Per quanto riguarda gli occhi, il discorso è leggermente più complicato, ma in linea di massima l'importante è che non vengano esposti direttamente alla luce... la vista deve riabituarsi pian piano, o rischia gravi danni permanenti. Per il resto non ho riscontrato grandi problemi, anzi, direi che nonostante tutto è inaspettatamente sana.
- E allora perchè mi hai chiamato?
- Vorrei che tentassi di farla mangiare, non può certo andare avanti a forza di flebo! Di me si fida solo fino a un certo punto, mi lascia avvicinare solo se devo visitarla, mentre normalmente non posso andare oltre i tre metri... quindi ho pensato a te.

Già. Lui era l'unico a cui Madamoiselle Le Blanche, così come la chiamava la dottoressa, permetteva di oltrepassare la sua barriera. Gli altri venivano respinti appena superavano una certa distanza, variabile a seconda delle persone.
Il fatto che lui potesse anche toccarla, poi, era dovuto sicuramente a quella sorta di legame di fiducia che si era creato nel momento esatto in cui l'aveva tirata fuori da quell'inferno.
In principio aveva pensato che il suo lavoro sarebbe finito lì, ma in seguito aveva cominciato a nutrire un certo interesse nei confronti di quella ragazza, interesse rafforzato dall'alone di mistero sulla sua identità e il motivo del suo confinamento. Per lui, non rappresentava altro che un nuovo giocattolo con cui passare il tempo... e se si stufava poteva tranquillamente lasciar perdere il tutto e cercarsi qualcos'altro.

- E va bene, tanto non mi costa nulla...
- Oh! Non me l'aspettavo egoista come sei! C'est une surprise!

La dottoressa si sistemò gli occhiali dalla montatura antiquata sul naso ridendo, e aprì la porta della stanza in cui alloggiava la sua paziente.


***


Eccola.
E' seduta sul davanzale, i capelli argentati lunghi fino a metà schiena che ondeggiano lievemente, come l'abito bianco che indossa.
Ma perchè le ha dato un abito bianco? Voleva farla assomigliare a una sorta di angelo o cosa?
Non sembra si sia accorta di noi. Non fa altro che starsene lì a guardare fuori... cosa, poi, non si sa, visto che le bende le impediranno sicuramente la visuale.

...Un angelo.



- Non può fare uscire quel demonio, solo due settimane fa ha ucciso brutalmente due delle nostre guardie!
- E mi dica... cosa ci facevano due guardie nella cella di una detenuta di tale pericolosità?
- Oh, bè... credo facessero dei controlli, ecco...
- Sì, posso ben immaginare che genere di controlli. Voi bastardi dovete solo ringraziare che siete fuori dalla mia giurisdizione!

Quell'uomo insulso che si faceva chiamare direttore non la voleva smettere di tremare. Più ci avvicinavamo alla cella e più quel patetico balbettio aumentava, rendendomelo sempre più insopportabile.
Almeno dopo quello scambio di battute se ne stette zitto un bel po', per riprendere solo una volta arrivati di fronte alla cella in questione.

- Ma... ma è davvero... s-sicuro di quello che sta facendo? Vuole... vuole proprio farla uscire?
- Certo che ne sono sicuro, mi sembrava di esser stato chiaro: la ragazza verrà con me. E ora aprite questa porta.

Appena aprirono la porta, avvertii subito la sensazione quasi elettrica di una barriera. Pensai subito che forse non era del tutto ignara dei suoi poteri, ma ora lo riconduco più a un'attivazione inconscia.
Mi fermai sulla soglia, non potevo andare oltre.

E la vidi.

Seduta per terra appoggiata alla parete di sinistra, catene troppo strette che le appesantivano i polsi e le caviglie, una specie di camice più grigio che bianco strappato in alcuni punti... e macchiato di quello che nell'oscurità sembrava essere sangue. La cella stessa ne era sporca. Per terra soprattutto.
...Ciò che rimaneva delle due guardie.
Lei era magra... troppo. A quanto mi dicevano era almeno un mese che si rifiutava di mangiare, o era un mese che LORO si rifiutavano di darle il cibo. Ma almeno era ancora viva. Sarebbe stato un guaio se fosse morta lasciando il suo posto vacante e la sua gente in balìa di sè stessa.

Un pensiero alquanto egoistico, lo ammetto.

Non parlava.
Non si sa se il motivo fosse un problema alla gola o la sua stessa volontà. Ma i suoi occhi bastarono a comunicarmi la sua richiesta d'aiuto.
La barriera cadde, e io entrai.



Anche quella volta mi è sembrata un angelo. Ma un angelo caduto che ritrova quasi per sbaglio la strada per la luce.

- Oh, no! Le bende!

Solo dopo l'urlo di Monique mi accorgo che le bende che dovevano coprire gli occhi alla ragazza si trovano per terra.
Lei si accorge di noi, e subito avverto una scarica attraversare l'aria. Ci ha respinti. E se non avessi afferrato Monique in tempo, l'avrebbe fulminata.

- Non fare mosse avventate, ricordati della barriera!
- Ma... gli occhi! Non deve esporre gli occhi alla luce, gliel'avevo detto! Devo controllare la situazione, lasciami!
- No, ci penso io. Tu è meglio se non entri nella stanza.

Detto questo mi avvicino alla ragazza in bianco.
E quindi alla fine stava davvero osservando qualcosa... il cielo magari. Bè, credo di poterla capire... chissà quanto tempo è passato dall'ultima volta che l'ha visto?
Non sono a nemmeno un paio di metri da lei che devo fermarmi. La barriera mi blocca e non posso usare i miei poteri per forzarla... non ho idea della reazione che potrebbe avere, nè delle conseguenze.
Finchè non si renderà consapevole della propria forza rimane piuttosto instabile da questo punto di vista.

- Mi fai passare?

Continua a osservarmi con quei suoi occhi così tremendamente chiari. Ed è come se un'ulteriore scarica mi fosse trasmessa lungo tutta la spina dorsale. E' dotata di una forza tremenda.

- Voglio solo controllare come sono messi i tuoi occhi, tranquilla...

La barriera cade, e lei torna a osservare il cielo.
Le chiedo se le fanno male gli occhi, ma non ottengo nessuna risposta. Solo un lieve cenno di diniego. Glieli controllo comunque, anche se so che è inutile... se quel che penso è esatto, la sua capacità di cura e recupero dovrebbe essere decisamente elevata.
Una volta tranquillizzata Monique, mi siedo sul davanzale con lei, ed è in quel momento che mi accorgo di una lacrima che le corre lungo la guancia. La raccolgo, sfiorandole il viso.
E lei sposta la sua attenzione su di me.

Sorrido.

Sì, sarà sicuramente un bel passatempo.


---

allora.....per quanto riguarda l'aggiornamento così in là nel tempo.....stessa scusa che ho usato per the heir.....esami, difficoltà con l'inizio (e non solo) del capitolo e bla bla bla....senza contare che erano in ballo due idee diverse per l'incipit....ma alla fine ha vinto una fusione di esse, più un pizzico di una terza XD
uhm, questo capitolo è un po' più pieno di eventi del primo, ho cominciato pian piano a presentare diversi aspetti che verranno approfonditi più in là (come la storia della barriera....ora sicuramente non sarà chiara la cosa, ma prometto che in uno o due capitoli spiegherò tutto u_u) e introdotto l'altro personaggio che sarà alquanto.....importante °_° il biondino >D
senza contare che ho seminato indizi inquietanti sulla protagonista uhuh *_*

uhm.....non so davvero che altro dire, se non che ringrazio tutti coloro che hanno letto il primo capitolo, che l'hanno recensito e che hanno deciso di seguire questa storia!^^
....e che ovviamente spero questa schifezza sia piaciuta 8D

e ora....recensioni!:3 (3 per il primo capitolo!:0 wow!=D)

Elos: sono molto felice che tu abbia apprezzato l'alternanza dei ricordi e dei vuoti di memoria della protagonista =D
soprattutto sono contenta che sia venuto fuori bene, essendo (forse) l'aspetto che più mi premeva nel capitolo :0
spero tu abbia apprezzato anche la lettura che propongo oggi!:3
ciau!^^

coldrina: grazie anche a te per aver recensito e per esserti incuriosita (spero) abbastanza da continuare a seguirmi 8D
come potrai notare aumentano sempre più gli elementi di curiosità >D
un saluto anche a te, sperando che lascerai di nuovo un tuo commento :3

Necrysia: *O*
quanto mi ha fatta felice la tua recensione!*_*
davvero, sapere che una delle persone di cui seguo e apprezzo le storie prova a sua volta interesse per una mia è veramente fantastico!8D
non ho idea se anche questo capitolo può rientrare in qualche modo nello stile che ti piace, ma....sicuramente ha un approccio totalmente diverso...(a cominciare dal punto di vista multiplo >_<)
e, uhm, ho davvero fatto una descrizione?°_° cioè, coff, in effetti può esser proprio definita descrizione, quindi anche se volevo dare un'aria un po' confusa al tutto ho scoperto di aver delineato bene l'ambiente °°   fantastico *_*/
spero che l'attrazione con il mio modo di scrivere continui, e di aver messo abbastanza suspance nella fine 8D
e come ultima cosa.....onoratissima di essere tra quelle poche fiction che ti attirano *_*
alla prossima!8D

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Capitolo 3
*** Rottura ***


I signori dd'europa cap.3 Rottura




C'era qualcosa di fortemente sbagliato nel rapporto che si stava creando tra quei due, Monique lo sentiva.
Lui non era così buono da prendersi cura di una ragazza sventurata senza un tornaconto. Già il fatto che avesse accettato di tirarla fuori dalla Prigione l'aveva sbalordita, e, anche se era stata lei stessa a chiederglielo, che ora tornasse praticamente ogni giorno a controllare come stesse... bè, era semplicemente sospetto.
Non faticava a immaginare come presto avrebbe rivelato le sue intenzioni, e tradito la fiducia della sua piccola Madamoiselle Le Blanche... come se non avesse sofferto già abbastanza.
Che poi, tutta quella fiducia, da dove nasceva? Come poteva far cadere la barriera di fronte a lui così docilmente, mentre a lei non era nemmeno più permesso avvicinarsi troppo, ora che le sue cure non erano più necessarie? Non credeva in cavolate come "è il destino" o "sono anime affini" ecc... possedeva una mente scientifica, cose come il destino e l'anima non esistevano per lei.
Anche se effettivamente, la stessa esistenza di persone come lei e perfino sé stessa era una contraddizione a questo suo credo.

Una leggera percezione, come una scossa elettrica, interruppe il flusso di pensieri della dottoressa.
Le ci volle un po' prima di individuarne la fonte, e quando la trovò, era già troppo tardi.


***


Detestava quel suo modo di guardarlo.
C'erano delle volte in cui si sentiva in soggezione di fronte a quegli occhi limpidi pieni di ombre. Era come se vedesse oltre le sue menzogne, lacerandole fino a raggiungere i suoi reali pensieri. Sapeva di avere la sua più totale fiducia, ma era anche cosciente del fatto che quegli occhi non erano così facili da ingannare.
Non bastavano dei gesti gentili, un sorriso rassicurante e delle parole di conforto per conquistarla: un solo piccolo errore avrebbe distrutto tutto, e non era il caso di perdere un potenziale alleato.
Perchè il potere di lei era forte e terribile, ma ancora sopito.
Pian piano le stava insegnando a usarlo, e ben presto l'intera Europa avrebbe dovuto guardarsi le spalle da quella ragazza così esile all'apparenza, ma così temibile nello spirito. Certo, il suo interesse in lei rimaneva soprattutto quello di un bambino di fronte a un giocattolo nuovo, e il fatto che non fosse ancora riuscito a farla parlare manteneva attiva questa curiosità.
Ma forse era meglio così.
Forse era meglio non aver mai ricevuto risposta alle sue domande; era meglio non aver conosciuto i pensieri del suo "giocattolo", o avrebbe potuto non considerarla più tale. Già ora quel loro assurdo legame così effimero stava rafforzandosi senza che se ne accorgesse e a suo parere era giunto il momento di interromperlo. Tanto lei non aveva più bisogno della sua presenza in ogni caso, e presto sarebbe dovuta anche tornare a prendere possesso del suo dominio.

Si soffermò a osservarla: una macchia bianca sullo sfondo verde del prato.
Il vento ormai quasi autunnale le scompigliava i capelli albini, mentre lei era intenta a osservare il cielo. Di nuovo.
I suoi occhi erano sempre, costantemente rivolti in alto, come a voler assimilare ogni singola sfumatura di colore, ogni forma che assumevano le nubi, quasi riuscisse a vedere i tracciati che il vento solcava nell'aria. Aveva una specie di fissazione per il cielo... o ossessione, venerazione... comunque la si volesse chiamare.
Durante le ore del tramonto, o dell'alba, o mentre infuriava un temporale di fine estate, era assolutamente impossibile riuscire a farsi guardare in faccia. E di notte uguale. Rimaneva seduta alla finestra con la schiena appoggiata allo stipite anche per ore.

Forse era un po' geloso di quel cielo, che riusciva ad attirare così tanto la sua attenzione. A volte provava l'impulso di afferrarle il viso e urlarle "Guardami!"... ma si tratteneva.

- Di' un po', ricordi qual è il tuo nome?

D'un tratto lei sembrò ridestarsi da un incantesimo e cominciò a guardarsi attorno, come se cercasse qualcosa.

- Ehi, ma mi ascolti?

- Méfiez-vous!

Il grido di Monique arrivò nello stesso istante in cui un "qualcosa" dalle dimensioni pressapoco di un'automobile spuntò fuori da una siepe, scagliandosi contro il biondo, che si salvò solo grazie all'intervento della ragazza dai capelli argentati, che si buttò su di lui scaraventandolo a terra. I due non ebbero il tempo di rialzarsi che furono di nuovo sotto attacco: una creatura simile a un enorme rettile dalla consistenza fumosa si stava preparando a ghermirli con le possenti fauci aguzze, da cui proveniva un verso paragonabile a nulla che appartenesse al regno animale.

- Una chimera?! - dopo l'iniziale attimo di stordimento dovuto alla sorpresa, il ragazzo innalzò prontamente una barriera invisibile, che protesse entrambi dalle sferzate della chimera. Inaspettatamente, anche la compagna reagì, concentrando l'energia in modo tale da tranciare una zampa dell'animale, che perse l'equilibrio cadendo rovinosamente su un fianco. Subito dopo sopraggiunse Monique, la quale avvolse la creatura con delle catene invisibili, stritolandola.
Madamoiselle Le Blanc fissò incuriosita il cadavere della chimera dissolversi in neri grumi fumosi, lasciando il terreno marcito, quasi si trattasse di acido. Precedentemente aveva agito d'istinto, ma presto sarebbe diventato il suo compito combattere e allontanare le chimere.

- Non toccarlo. - la ammonì il biondo, che subito dopo si rivolse alla dottoressa in uno scatto d'ira mista a indignazione.

- Ma che cazzo sta combinando Parigi? Questo è il suo territorio, no? E allora che lo protegga come si deve!

Monique sospirò rassegnata. - Lo sai com'è fatto, no? Non si cura molto delle sue province... anzi, nemmeno della sua gente, ed è per questo che ho cercato di portargli via la Francia... E invece sono stata io a perdere il Belgio.

- E allora perchè non te lo riprendi? Io non esiterei un attimo a schierarmi dalla tua parte, lo sai.

- Ah, sì? E cosa vorresti in cambio? - Monique lo osservò intensamente, cercando di carpire un qualche segno di cedimento che indicasse le sue vere intenzioni. Ma non ottenendo risposta nè alcuna reazione, sorrise mesta, e scosse la testa in segno di diniego. In quel momento non aveva la forza necessaria a riprendersi il suo territorio... per ora le bastava poterlo proteggere, in qualche modo, nonostante le limitazioni che le erano state imposte in seguito alla sconfitta.
Di nuovo, l'albina fu la prima dei tre ad accorgersi di una presenza; ma stavolta era diversa. Non una presenza fisica, ma come una cappa che si stese su di loro, facendo sentire la sua pressione soprattutto su di lei e sul ragazzo.

- Tsk... si è accorto di me.

Fino a quel momento stava nascondendo la propria presenza, inibendo anche le proprie percezioni. Ma da quando aveva utilizzato il suo potere contro la chimera, era come se avesse acceso un faro nell'oscurità, urlando "Sono qui, vieni a prendermi!". E sconfinare nel territorio altrui senza un permesso dal Signore della zona, in quel caso Parigi, equivaleva ad un atto di ostilità, che poteva portare a uno scontro aperto, rischiando, a volte, di coinvolgere perfino gli eserciti dei rispettivi stati, nonostante gli affari dei Signori d'Europa fossero estranei alla politica.
Questo voleva dire che doveva sparire, e subito.

Guardò la ragazza che aveva salvato. Era l'occasione e il momento giusto per andarsene, tanto aveva già avuto prova del suo saper usare i poteri di cui era dotata... e il resto avrebbe potuto spiegarglielo anche Monique. Così come ci avrebbe pensato lei a trovare una scusa con il Signore di Parigi per la presenza di una potenziale futura rivale nel suo territorio.

- Io cercherò di prendere tempo confondendo le tracce, tu approfittane per andartene.

- Grazie Monique... dovrei riuscire a farcela in più o meno un'ora: il confine qui è abbastanza vicino.

Prima di andarsene si rivolse, per quella che forse era l'ultima volta, alla ragazza in bianco.

- Bè, mia piccola smemorata... La prossima volta che ci incontreremo, potremmo essere nemici. - Fece una breve pausa prima di scompigliarle i capelli e darle l'ultimo saluto. - ...Addio.

Ma non riuscì a girarsi e fare un solo passo, che lei lo fermò afferrandolo per un braccio, costringendolo ad abbassarsi finché non fu alla sua portata. Con voce affaticata e flebile gli sussurrò una sola singola parola, che destò la meraviglia dell'interlocutore.
L'espressione del biondo si addolcì leggermente, per poi sorriderle e rispondere alla tacita domanda della ragazza.

- Kail.

E se ne andò.


***


Un cellulare continuava a squillare senza sosta nella stanza di un albergo a Lussemburgo, finché un giovane intento ad strofinarsi i capelli biondi con un asciugamano decise finalmente di rispondere alla chiamata.

- Come va con la ragazza?

- L'ho lasciata da Monique... è sorto un imprevisto e non sono potuto rimanere.

L'uomo all'altro capo del telefono ridacchiò, conoscendo bene la situazione di ostilità che intercorreva tra il ragazzo e il Signore francese.

- Potevi approfittarne per farla finita una volta per tutte, no?

- Avrei potuto, sì... Ma poi Roma sarebbe finita in balìa di Vienna... quei due se la stanno contendendo già da un pezzo, e sinceramente mi dà non poco fastidio. E tu la pensi allo stesso modo, o non mi avresti chiesto di tirar fuori la ragazza dalla Prigione.

- Vero. E a proposito, pensi che possa farcela?

Kail ripensò a quell'intensa energia che aveva provato fin dal primo istante in cui l'aveva incontrata. A parte l'instabilità iniziale che ancora presentava, era più che adatta ad assumere il ruolo che le era stato designato.

- Non ho dubbi a riguardo. Piuttosto... la mia ricompensa?

- Te la stai già godendo, mi sembra... manca solo che tu confermi i confini.

Il biondo sorrise soddisfatto e chiuse la chiamata, spostandosi alla finestra.
Il Lussemburgo. Era stato una conquista facile a un prezzo decisamente vantaggioso, soprattutto visto che poteva fare un torto a due dei suoi nemici più potenti. Ma ora era il momento di prendere possesso del suo nuovo possedimento. Chiuse gli occhi estese le proprie percezioni a tutto il territorio: avvertiva ogni singolo essere vivente, dagli umani agli animali, che popolavano la zona, passando per le distese pianeggianti e le lievi alture, fino a allargare i propri sensi ai confini dello stato. Formò la sua barriera attorno al Lussemburgo, inglobandolo nel proprio territorio e riaprì gli occhi; poteva immaginare Parigi sentirsi il fiato sul collo per quell'improvviso suo avvicinamento e la cosa lo divertì.
Poi ripensò all'esile figura dai capelli argentati che aveva lasciato in Belgio, al delicato profumo di gelsomino che aveva avvertito quando si era avvicinata, e alla sua voce leggermente roca che rispondeva alla domanda posta da lui stesso poco prima.

- Luce.

Scagliò l'asciugamano contro la parete, frustrato e indispettito.

Il momento giusto per andarsene... l'aveva mancato già da tanto tempo.

---

Ok, odio gli esami.
E detto ciò, ecco qui (dopo luuuuuungo tempo...e me ne scuso u_u) il terzo capitolo per I Signori d'Europa.
E' stato difficile cominciarlo, non avevo uno straccio di idea, ma sono piuttosto contenta di come sia venuto fuori ^^
E poi ho introdotto il sistema di dominio territoriale e...finalmente quei due loschi figuri hanno un nome 8D
Luce e Kail.
Ok, a molti, moltissimi non piacerà il nome Luce, ma sinceramente non m'importa. E' alquanto adatto soprattutto come significati (da ricollegare anche al titolo del primo capitolo 8D)

*Angolino della pubblicità*
Ho da poco partecipato a un concorso sui vampiri (quelli veri, che non sbrilluccicano, non sono vegetariani e soprattutto...sono credibili u_u), e se vi può interessare ho cominciato a postare la storia con cui ho partecipato:  La Bambina e il Lupo
Fateci un salto *_*

Ora basta blaterii, ho messo la testa a posto e aggiornerò tra un paio di settimane, promesso!*_*/
(E stavolta dico sul serio!>_<)

Grazie di aver letto e a chi ha recensito/recensirà!^^
Alla prossima!<3

PS: quello che urla Monique è un "attenzione", o almeno così mi dice google traduttore XD

Necrysia:
Carissima!^^
Grazie mille dei rinnovati complimenti, davvero!<3
Spero che tu sia ancora lì a leggermi XDD (scusaaaaaargh ;_;)
Come ambientazione ci sei andata vicinissima! Era il Belgio XD
e non serve che ti scusi per l'accostamento mentale a Leblanc di FF x-2...anch'io sono una fissata della saga di FF, ma sinceramente non mi era proprio venuto in mente! (e dire che in quel periodo ci stavo anche giocando X°D)
e sicuramente si tratta di un "fantasy tutto mio" 8D
Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo °°
Alla prossima!<3
(e tranquilla....la neuro mi ha sulla lista nera, quindi sicuramente mi astengo dal chiamarla 8D)

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Capitolo 4
*** La Signora di Roma - L'ombra bianca ***


I signori d'Europa cap.4
LA SIGNORA DI ROMA








L'Ombra Bianca




I passi veloci della donna rimbombavano nel corridoio, facendoli sembrare più pesanti di quel che fossero in realtà.
Una volta arrivata di fronte a una porta, bianca come tutto il resto, estrasse dal taschino interno del camice un tesserino, che utilizzò per accedere al laboratorio. All'interno, addossati alle pareti, c'erano diversi terminali per la raccolta dati e macchinari sofisticati e delicatissimi, a cui lavorava costantemente una troupe di assistenti. Al centro della stanza, invece, troneggiavano tre enormi cilindri di vetro che collegavano il pavimento al soffitto.

- Dottoressa Montale, i risultati delle analisi di questa mattina. - disse uno degli assistenti porgendo una cartella alla donna appena arrivata.

Valeria Montale era considerata da tutti un genio nel campo dell'ingegneria genetica, tanto che a ventitré anni appena compiuti, dopo una brillante quanto fulminea carriera universitaria, era divenuta una dei più importanti ricercatori della ERD (European Research Department). Ora di anni ne aveva venticinque, e si occupava della sezione sulle chimere, creature che sapevano di mitologia, di epoche remote esistenti solo nella favole. Eppure erano quasi sessant'anni, ormai, che questi mostri erano entrati nella vita comune, assieme a coloro che venivano appellati a Signori d'Europa, normali esseri umani che da un giorno all'altro si ritrovavano con poteri degni dei maghi dei libri fantasy.
Ma ancor più rari e potenti erano coloro che con quei poteri ci nascevano; e proprio questi ultimi si erano elevati a protettori della propria gente, mettendo sotto controllo intere zone, spesso corrispondenti agli stati di appartenenza di ognuno. E in contemporanea, cominciarono a contendersi le zone rimaste scoperte. Per arrivare a una sorta di equilibrio ci vollero anni e anni, e tuttora ogni tanto avevano luogo scontri abbastanza violenti per l'ampliamento del proprio territorio.
Stupidi ed egoisti, ecco come li considerava Valeria. Come delle bestie che si curavano solo del proprio territorio.
Eppure, nonostante la loro capricciosità, erano gli unici in grado di eliminare definitivamente le chimere; ma i governi non volevano dipendere troppo da loro, e così nacque la ERD, con il principale compito di sviluppare armi dalle caratteristiche magiche e di scoprire l'origine effettiva di questi esseri.
Era di quest'ultimo compito che Valeria Montale si occupava.
E non passava giorno senza che lei mandasse avanti questa sua ricerca, che ormai occupava la sua intera esistenza.

Dopo aver completato la lettura dei dati che le erano stati consegnati, si spostò di fronte al primo cilindro, nonché l'unico utilizzato, per il momento. All'interno, una creatura fumosa dalle sembianze di un felino ricoperto di scaglie galleggiava inerte in un liquido non ben definito, sostenuto da cavi che ne avrebbero bloccato i movimenti in caso di risveglio, e contemporaneamente raccoglievano informazioni sull'organismo.
La ragazza osservò dapprima il monitor collegato al contenitore di vetro, per un riscontro delle informazioni, e poi fissò la creatura.
Era un vero mistero come simili entità potessero vivere. Tutto ciò che le riguardava trascendeva le conoscenze accumulate non solo da lei, ma dall'umanità in generale. Le regole naturali e della logica non andavano applicate alla loro esistenza. Erano come un concentrato di energia, ma dotato di sangue e carne; un qualcosa di impalpabile, ma concreto.
Una contraddizione vivente.

- Siete riusciti a determinare di cosa è composto il nucleo centrale?

- Non ancora. E' presente una schermatura che impedisce ai nostri macchinari di analizzarne l'interno. E chirurgicamente è altrettanto impossibile intervenire.

- Capisco... - sospirò rassegnata la scienziata, per poi rimettersi al lavoro.


***


Passarono ore prima che Valeria si decidesse a chiudere il computer e andarsene a casa.
Entrò nello spogliatoio per recuperare il cappotto e la borsa, lasciati lì la mattina presto. Perse un paio di minuti di fronte allo specchio appeso allo sportello del suo armadietto, riavviandosi la frangia verso sinistra e sistemando il fermaglio che le bloccava i non troppo lunghi capelli castani. Gli occhi, anch'essi castani, ma di una tonalità più scura, apparivano affaticati: d'altronde era ogni giorno nei laboratori, lavorando dalla mattina alla sera senza darsi una attimo di tregua.
Il riflesso di un caschetto biondo e riccio e di un paio di occhioni azzurri le confermò la cosa con non molto tatto.

- Sei veramente orribile.

Si girò verso la collega francese, Simonne Fabergé, una biondina non molto alta e dalla corporatura esile, guardandola in modo rassegnato. Lo sapeva benissimo anche da sola che era oltremodo sciupata e non curata, non serviva certo che glielo ricordasse proprio lei, il cui viso da bambina sembrava non avere mai segni d'affaticamento; era sempre fresca come una rosa, anche dopo una notte insonne passata a riordinare i documenti dell'archivio centrale sparsi dappertutto in seguito al cedimento dello scaffale che li sorreggeva.
Lei che era sempre elegante e curatissima in ogni occasione, in quel momento le dava un immenso fastidio... lei e quel suo modo di pronunciare la "erre".

- Lo so... sono due giorni che non riesco a dormire bene.

- Prenditi un giorno di ferie, altrimenti Ricky non ti vorrà più.

- Fatti gli affari tuoi! - urlò Valeria sbattendo la porta dell'armadietto - E non chiamarlo Ricky, mi dà fastidio!

Se ne andò a grandi passi, lasciando Simonne sbigottita.


***


Riccardo Valenti, venticinque anni, pearcing all'orecchio destro, pizzetto e capelli neri, che se gli fossero cresciuti ancora un po' avrebbe potuto tranquillamente legare con un elastico. Mettendo da parte l'aria trasandata che trasudava, era, di fatto, uno fra i pochi che erano riusciti a costruire un'arma funzionante basata sulla magia.
Attualmente, però, era intento a godersi il suo caffè nero bollente, stravaccato su una delle poltroncine della zona relax, quel buco rinchiuso da quattro mura dotato di macchinetta del caffè, delle bevande e di merendine iper-costose ma povere in dimensioni presente in ogni piano dell'edificio.
Accanto a lui il suo compagno di sempre, anche lui nella sezione sviluppo armi sperimentali della ERD: Stefano Rizzi, di un anno più giovane e dalla stessa abilità per quanto riguardava la meccanica.

- Questo caffè fa sinceramente schifo... - esordì il più giovane.

- Fa schifo sì. Però devi ammettere che tiene svegli.

- Ah, quello sì. Mi ha salvato più di una volta, quando... - interruppe la frase a metà quando vide passare oltre la porta a vetri una ragazza vestita con un cappotto marrone, lungo, e una sciarpa color malva che le pendeva sulla schiena. - Non è Valeria, quella?

Riccardo si alzò subito per raggiungere colei che era la sua ragazza già dal liceo.

- Val! - lei sembrava non averlo sentito, continuava imperterrita a camminare presa dai suoi pensieri. Con un paio di falcate la raggiunse, e la afferrò per il braccio, fermandola.

- Ehi, Val! Non mi saluti nemmeno?

Lei sembrò quasi uscire da un sogno ad occhi aperti, e finalmente si rese conto della presenza dell'altro. Era stanca, veramente stanca, e stressata. Ed erano due giorni che non si vedevano, nonostante coabitassero. Colpa del lavoro.
Si girò e lo abbracciò di slancio, affondando nella sua felpa e inspirando il suo profumo. Aveva bisogno del suo calore, del suo affetto, o sarebbe davvero andata fuori di testa.
Lui ricambiò, un po' sorpreso dal gesto improvviso, ma decisamente felice. Lei era una persona riservata, difficilmente si lasciava andare a effusioni in pubblico, quindi doveva approfittarne ora.
Si godettero quel momento di pace momentanea, almeno finché un sottile rumore di tacchi non si insinuò nelle loro orecchie.

- Santo cielo, le tue occhiaie fanno a gara con le sue. Siete davvero una coppia perfetta.

Simonne aveva come sempre un tempismo perfetto. Valeria si separò subito da Riccardo con aria imbarazzata, mentre la biondina si gustava la piccola vendetta per il trattamento ricevuto in precedenza.

- Sembra che abbia interrotto qualcosa, uh? Mah, io vado. Au revoir Ricky, au revoir Valerie.

- A-aspetta, Simonne! Vengo anch'io! - Il suo tentativo di seguire la ragazza, però, fu bloccato da Riccardo, che la costrinse a girarsi dandole un bacio sulle labbra. Un semplice saluto, un gesto d'affetto, che ormai tra loro era divenuto comune. Ma che riusciva ancora a farla arrossire e accelerava i battiti del suo cuore.

- Fra un paio d'ore verrò anch'io a casa.

Lei sorrise radiosa.

- Ti aspetto!

Un altro bacio e corse da Simonne, a scusarsi per il suo scatto di nervosismo.
E poi sarebbe andata a casa, dove finalmente quella sera lei e Riccardo avrebbero potuto stare insieme.


***


Erano appena le nove di sera, ma per strada non si incontrava anima viva.
Il motivo era semplice: Roma era rimasta sprovvista di un Signore e di conseguenza le chimere avevano vita facile. E anche se i Signori di Vienna e di Parigi erano stati temporaneamente incaricati di ricoprire anche il territorio italiano, ciò non bastava a mantenere del tutto al sicuro i cittadini. Specie la zona nord-orientale, sotto il controllo austriaco, era piuttosto scoperta, specie di notte.
Per questo motivo i laboratori ERD erano situati in quelle regioni: per l'alta disponibilità di "materiale di studio".
Ma era pericoloso anche e soprattutto per i ricercatori, e quindi ognuno era stato fornito di armi capaci di ferire le chimere, se non di ucciderle. Queste armi erano il frutto del lavoro di gente come Riccardo e Stefano, coadiuvati da alcuni maghi, quelli che non erano abbastanza forti da poter sperare di divenire dei signori territoriali, ma che potevano pur sempre aiutare la ricerca.
Anche Valeria possedeva un'arma simile, una piccola pistola che sparava proiettili magici, ma che ancora non aveva avuto l'occasione di utilizzare... per fortuna.
Difatti, lei si muoveva sempre a piedi, non avendo né un'automobile, né un motorino o una bicicletta. Ma ciò non le pesava affatto.
Le piaceva camminare, ed era l'unica forma di movimento che avesse il tempo di fare.
E poi, non c'era giorno in cui non passasse davanti a quel posto.
Quel posto era una casa. Una casa ora abbandonata, ma che tempo addietro era stata piena di vita, ed aveva fatto parte della sua adolescenza. Poi gli abitanti erano scomparsi, morti, uccisi. Si diceva che solo una persona fosse sopravvissuta, ma erano anni che era sparita senza lasciare tracce, e questo le faceva male.

Se solo avesse potuto fare qualcosa...

Anche quella sera vi passò davanti.
Dall'esterno non era altro che una casa come tante, a due piani, con un cortile da cui partivano le scale per raggiungere l'ingresso e un grande giardino sul retro, che si estendeva fino a un sentiero che portava al fiume. Non sembrava fosse passato il tempo, ma il buio e il silenzio che la circondavano erano opprimenti e tremendamente tristi.
Come ogni sera, Valeria di fermò a osservarla, a ricordare, e a pregare.
Una sola piccola preghiera.

"Fa' che stia bene."

Quella sera, però, c'era qualcosa di diverso.
Era come se l'atmosfera attorno alla casa fosse percorsa di una strana energia... come elettrizzata.
La ragazza si fermò a osservare meglio il giardino e sussultò quando scorse quella che sembrava un'ombra. Ma era un'ombra strana, un'ombra quasi bianca, argentata, che scomparve quasi subito dietro la casa.
Il primo pensiero irrazionale fu che si trovava di fronte a un fantasma. Poi ragionando, si disse che era impossibile... anche se non troppo, contando gli eventi che ogni giorno accadevano. Era più logico dire che si trattasse di una chimera.
E questo era decisamente peggio.

Le chimere erano nere, più della notte, ma questo non era un buon motivo per essere incauta.
Lentamente arretrò, estraendo dalla borsa la pistola.
Per un tratto avanzò tenendo d'occhio il portone della villa, e solamente dopo qualche metro si girò e cominciò a correre.
Ma non fece molta strada che una chimera, imponente e oscura nella sua forma evanescente, le bloccò la strada ringhiando. Era della stessa specie di quella rinchiusa nel laboratorio, anche se di dimensioni nettamente superiori.
Valeria cadde all'indietro dallo spavento, e la creatura le si avvicinò famelica. Le mani le tremavano, ma riuscì comunque a puntare la pistola di fronte a sè e a sparare. Dalla paura aveva chiuso gli occhi, ma il colpo era comunque andato a segno, ferendo l'animale alla spalla. L'effetto che ottenne, però, fu solo quello di renderlo ancor più feroce.
E quando la chimera si lanciò su di lei, la ragazza, in preda al terrore, fu capace solo di urlare e cercare di proteggersi con le braccia.
Ripensò a Riccardo, al suo profumo, al suo abbraccio, a come si erano salutati solo poco tempo prima. Al fatto che non l'avrebbe trovata quando sarebbe tornato a casa. Che non l'avrebbe mai più rivisto.
Mai più.

Le lacrime sgorgarono dai suoi occhi mentre il verso terrificante della bestia l'assordava.
Poi una luce accecante, uno stridio metallico e un tonfo lontano, seguito da un gemito disumano.
Valeria aprì gli occhi e si guardò attorno con cautela. A qualche metro da lei, la chimera si stava dissolvendo in una nube di vapori nocivi, mentre esattamente di fronte, di spalle, c'era un persona.
Una ragazza. Armata di una spada lucente, un cappotto che le cadeva dalle spalle e degli splendidi quanto fiabeschi capelli bianchi, quasi argentati, che brillavano sotto la luce della luna. All'improvviso si girò a osservarla, e quando quegli occhi così innaturalmente chiari dal colore indefinibile si scontrarono con i suoi, un brivido le percorse la spina dorsale. Seppure Valeria non avesse capacità particolari, perfino lei poteva avvertire la pressione, la forza che emanava quella ragazza. Già in precedenza aveva incontrato persone dotate di poteri, ma mai, mai e poi mai aveva avuto a che fare con qualcuno di così terribile.
Incuteva timore, rispetto, soggezione... non sapeva cosa fare, si sentiva schiacciata da quello sguardo e non riusciva nemmeno a pensare, rimanendo immobile a fissare gli occhi della sconosciuta.
La ragazza, invece, perse quasi subito interesse in lei, e se ne tornò da dove era venuta: con un solo balzo scomparve alla vista della giovane scienziata.

L'ombra bianca era tornata al suo nascondiglio.



Nello stesso istante, alla radio e alla televisione veniva dato lo stesso annuncio alla nazione.

Roma aveva di nuovo un Signore.

---

Bon jour :3
E' mezzanotte e quaranta e tutto va bene 8D
Specialmente contando che sono riuscita a finire il capitolo in tempo XD
Il titolo in grande, "La Signora di Roma", è lì per un motivo: questa storia, come stavo pensando da un po' di tempo, sarà composta di più parti....probabilmente ^^"
La prima parla della Signora di Roma 8D
e poi.....vedrete *_*

Per ora mi limito a un paio di commentini che devo fare XD
Innanzitutto spero non siate rimasti delusi dal cambio di scena. I capitoli precedenti li ho pensati come un enorme prologo, e d'ora in poi Valeria e co. saranno molto presenti......ma ci sarà sempre l'ombra bianca, ovvero miss testolina d'argento, com'era stata definita Luce qualche capitolo fa XDD
Ah, un appunto...Simonne si scrive con due n, non è un errore XD si può scrivere sia con una che con due, e per non fare confusione col nome maschile italiano Simone, ho deciso di tenere la versione doppia u.u

Bene, spero che la storia stia continuando a piacervi, nonostante abbia quasi i toni di una science-fiction °_°

Grazie per aver letto!!^^

Come al solito sono graditissimi i commenti 8D
Alla prossima <3

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Capitolo 5
*** L'abitante della casa vuota ***


I signori d'Europa cap.5 L'abitante della casa vuota




Valeria se ne stava rannicchiata sul divano, stringendo a sé le proprie gambe. Era notte fonda, ormai, ma anche a distanza di qualche ora, poteva ancora sentire la paura, l'agitazione e l'adrenalina che le scorrevano in corpo.
Dopo l'aggressione e la sconfitta della chimera da parte di quella ragazza misteriosa, aveva passato diverse decine di secondi immobile, in preda allo shock; solo dopo qualche minuto aveva trovato la forza di alzarsi e correre a perdifiato verso casa, senza fermarsi un attimo.
E una volta al sicuro, era crollata a terra, tremante e in lacrime, non potendo più trattenere quelle sensazioni così violente.

Era così che l'aveva trovata Riccardo, una volta rincasato.
E in quel momento, dopo aver calmato la sua crisi di pianto, era in cucina a prepararle un thé caldo. Perché nonostante il resto del mondo la considerasse una bevanda eccitante, aveva l'effetto di rilassarla.

- Ecco. Attenta che è bollente. - il ragazzo si sedette al suo fianco porgendole una tazza bella fumante, e lei lo ringraziò debolmente appoggiandosi alla sua spalla.
Rimasero così, in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri; Riccardo accese la televisione, sperando di distrarre la compagna e allo stesso tempo sé stesso: già una volta aveva provato il dolore di perdere una persona cara, che amava. Era uno dei motivi per cui aveva deciso di entrare nella ERD... proteggere chi gli stava a cuore. E in un certo senso, questo suo obbiettivo era stato raggiunto. Era in parte merito delle armi da lui sviluppate, se Valeria era riuscita a respingere in un primo momento la chimera.
Lei, dal canto suo, si era impigliata in un vortice di pensieri, sensazioni, ricordi. Felici, dolorosi, vecchi, recenti... di tutto un po'.
Mai come quella notte si era sentita così sola, impaurita e... viva. Mai era stata così conscia di sé stessa, del sangue che le scorreva in corpo, della carne che lo componeva, di esistere.
Tutta colpa di quella chimera, tutto merito di quella chimera.
E poi c'era quell'altro tipo di angoscia, quella che ogni volta la coglieva quando ripensava agli avvenimenti legati a quel luogo, a quella casa. Erano passati anni, eppure il ricordo ancora pulsava, facendole male, così male...
"Ciò che non uccide, fortifica". Ma quando non uccide, e nemmeno rende più forti... allora spezza. E non esiste una colla per rimetterne insieme i pezzi. Si può solo cercare di trattenerli, legandoli con uno spago.
E lo spago di Valeria portava il nome di Riccardo.
Se lui non ci fosse stato, a quel tempo, lei avrebbe dovuto sopportare il fardello del non aver potuto fare nulla da sola, e questo sì che l'avrebbe uccisa.
Ma quella casa, oltre che foriera di brutti ricordi, aveva ospitato anche alcuni fra i momenti più spensierati della sua giovinezza.
Rivide i volti sorridenti delle persone che vi abitavano, della sua migliore amica.

Nessuno di loro era rimasto.

Ci passava davanti ogni giorno, sperando in un miracolo che non accadeva mai.
E poi era apparsa quella ragazza, dai capelli del colore delle stelle. Chi fosse, era un mistero. Non ricordava di aver mai sentito parlare di qualcuno capace di contrastare le chimere, in città.
I pochi maghi che collaboravano alle ricerche della ERD, poi, non possedevano una tale forza.
Non erano neppure paragonabili.

Ma basta, Valeria era stufa di pensare. Dopo che le sue mani si furono scaldate a sufficienza con la tazza di thé, ne prese un lungo sorso. Sentì subito il calore della bevanda diffondersi nel suo corpo, scacciando in parte il gelo che l'aveva invasa.
Poi chiuse gli occhi, abbandondosi alla sensazione di protezione che le dava la presenza di Riccardo.

- Stai meglio, ora?

- Sì... - rispose lei. - Ho solo un po' di mal di testa...

- E' normale, sarà la tensione... - fece una pausa, prima di stringerla a sé e continuare. - Ma ti prego, non fare più una cosa simile! Quante volte ti ho pregata di non andartene in giro da sola, quante! Se qualcosa fosse andato storto, io non...

- Ssh, va tutto bene. Sono qui, no?

Riccardo si alzò di scatto, furioso. Come poteva essere così calma, come poteva usare quel tono? E se la pistola non avesse funzionato? E se ci fosse stata più di una chimera? E se...

- Ma c'era quella ragazza, è lei che mi ha salvata!

- ...quale ragazza? Una subordinata di Vienna?

- No, io... non credo.

Nemmeno Valeria sapeva la verità. Che fosse agli ordini del Signore di Vienna, o che fosse indipendente... non lo sapeva.
C'erano solo tanti dubbi, tante domande. Non era nemmeno sicura di quel che aveva visto, in fondo.
Ma questo non cambiava le cose. Il litigio sarebbe proseguito oltre, se il notiziario non avesse interrotto i loro toni concitati.

- E' arrivata la conferma da Venezia dell'avvenuto reclamo del dominio di Roma da parte di un erede del precedente Signore territoriale. Ancora sconosciuta la sua identità e l'ubicazione, ma si considerano le ipotesi del...

Rimasero in silenzio. Dopo sei anni, finalmente l'Italia non era più nelle mani di Parigi e Vienna.
Non sapevano esattamente come reagire alla notizia; si chiedevano se ciò avrebbe ostacolato il loro lavoro, come avrebbe reagito il governo federale, se ci sarebbero state conseguenze anche in altri stati.
Però non è che li toccasse molto. In fondo, le faccende dei Signori d'Europa non li riguardavano direttamente. Certo, magari ora sarebbe stato più facile e sicuro andare in città, girare liberamente senza la paura di essere attaccati da un momento all'altro.
Ma in definitiva, non aveva una gran importanza il ritorno o meno di Roma.
Per questo Riccardo non fece troppo caso alla notizia e, dopo un attimo di tentennamento, si avvicinò alla sua ragazza, chiedendole scusa e baciandola lievemente sulla fronte. Lei prese la mano che le porgeva, e si lasciò guidare in camera.
Si addormentarono abbracciati, ognuno con i suoi fardelli e le sue preoccupazioni. E Valeria con una in più.

La ragazza dai capelli d'argento.


***


Se ne stava là, in piedi, intenta a rovistare nel suo armadietto alla ricerca di un imprecisato "qualcosa". Quando finalmente dalle svariate carte che vi aveva accumulato emerse una vecchia foto, esultò intimamente.
Era la tipica fotografia di classe, scattata più o meno in quarta superiore, prima di quell'incidente. Si ritrovò subito, e il suo sguardo scorse meccanicamente - in un modo che aveva ripetuto mille e più volte, ormai - tutti i volti dei suoi ex compagni, fino a incontrare la figura di Riccardo, e poi, al suo fianco...

- Valerie!

Sobbalzò, presa alla sprovvista dalla squillante voce di Simonne. Se ne stava in piedi di fronte a lei, con le braccia incrociate e battendo velocemente la punta del piede in modo ritmico, visibilmente irritata.

- Che diavolo stai facendo al lavoro? Devi riposare, ri-po-sa-re!

- Ma non posso rimanere a casa senza... - Le sue flebili proteste, però, vennero subito stroncate dall'irruente bionda.
Era già un po' di tempo che tentava di convincere l'amica-rivale a prendersi una vacanza, e l'aggressione della sera prima era capitata al momento giusto: ancora un po', e Valeria sarebbe collassata, di questo Simonne, era sicura.

- Forza, rivestiti che ti accompagno.

- Grazie, ma non serve...

- Pfui! Non lo faccio certo per te, semplicemente ho finito, per oggi, e la strada che devo fare è la stessa.

Valeria sorrise, non vista. Simonne era fatta così, un po' egoista, un po' acida... ma a modo suo si prendeva cura degli altri.
Perché Valeria sapeva benissimo che lei viveva in uno dei nuovi appartamenti dall'altra parte della città. Quindi si infilò di nuovo il cappotto e si riavvolse nella sciarpa, infilando in tasca la foto.

- Comunque, hai sentito? Pare ci sia un nuovo Signore di Roma... - disse Simonne registrando la sua uscita al terminale presso l'ingresso.

- Oh, sì. Spero solo sia un po' più ligio al dovere rispetto al collega austriaco...

- Io invece spero proprio di no! Ma ti rendi conto di quanto diventerebbe difficile trovare delle chimere, dopo? Qua ci va di mezzo il nostro lavoro, parbleu!

Simonne aveva qualche problema col definire le proprie priorità, pensava Valeria. Va bene preoccuparsi del proprio lavoro, ma le ricerche potevano andare avanti anche senza le chimere, mentre la sicurezza della città... semplicemente non esisteva, senza un protettore.
Ed era così bello poter tornare a camminare per le vie senza timore. Finalmente la gente aveva ripreso a uscire, la città si stava ripopolando.
Quella strada, invece, rimaneva sempre un po' isolata. L'aria era fredda, lì, come se tirasse sempre il vento di bora.
Passando di nuovo di fronte alla casa della sera prima, Valeria si fermò, indecisa sul da farsi.

- Che succede? - chiese Simonne, guardando l'edificio con aria interrogativa.

- Vorrei controllare una cosa. - rispose la castana dopo un attimo di silenzio. - Ti dispiace aspettare qui?

- No, figurati, d'altronde è così piacevole starmene qui fuori da sola, al freddo, in questo silenzio di tomb-

- Va bene, va bene, ti prometto che farò subito!

Stavolta non aspettò una risposta dalla francese, ed entrò nel cortile chiudendosi il cancello alle spalle.
Simonne non fu affatto felice di esser ignorata, e tentò di seguirla, senza successo. Il portone in ferro battuto e legno non accennava a volersi aprire, nemmeno a seguito di qualche spallata data a scapito del cappotto scamosciato della ragazza.

- Valerie! Questo coso si è bloccato, aiutami!

Non ricevendo risposta cominciò a chiamarla più forte, battendo ripetutamente i pugni sulla superficie del cancello. Pensò anche all'alternativa di scavalcare, ma era un'azione fin troppo poco raffinata, e inoltre non c'erano appigli, nonostante l'altezza fosse abbordabile.

-Vaaal! Oh, mon Dieu! - esclamò una stizzita Simonne scagliando a terra la propria borsetta.

Ma Valeria non poteva sentirla.
Nessun suo lamento, urlo o imprecazione era giunto all'interno della proprietà.

Una volta salite le scale, si era ritrovata di fronte alla porta d'ingresso. Provò ad abbassare la maniglia, ed entrò in casa. Era come se il tempo si fosse fermato: non c'era nulla, in quel luogo, che facesse pensare di essere disabitato da anni; la polvere non si era posata sui mobili, e le piante crescevano rigogliose, ma curate. Si guardò attorno, soffermandosi incuriosita sulle cornici vuote, le cui foto erano state tolte.
Non c'era nulla, proprio nulla che faceva pensare all'abbandono.

- Come sei entrata?

Si girò di scatto, per poi fissare spaventata degli occhi chiarissimi che la studiavano cauti.
La ragazza della sera prima stava di fronte a lei, placida, quieta, ma pur sempre circondata da quell'aria spinosa di potere, di ferocia nascosta che tanto l'aveva colpita al loro primo incontro.
La sua voce bassa, calma ma penetrante, l'aveva paralizzata sul posto, ma si riprese in fretta, appena vide i segni d'impazienza sul volto dell'altra.

- Tu, piuttosto, cosa ci fai qui? - Si pentì subito di aver espresso quelle parole, ma la ragazza misteriosa non si curò minimamente del tono usato, e si limitò a rispondere mesta.

- E' vuota. Non avevo altro posto dove andare... - poi la sorpassò, spostandosi nell'ampio soggiorno.
Si fermò alla finestra, osservando il cielo per un lungo tempo, senza dar adito alle parole di Valeria, che invano cercava di convincerla ad andarsene, che quel luogo non le apparteneva.
Poi... fu un attimo.
Si girò all'improvviso a guardare alla sua destra, verso un punto lontano, oltre quella parete bianca che occultava il paesaggio.
Un leggero vento scaturito dal nulla smosse l'aria attorno a lei, muovendosi in circolo e percorso da leggere scariche elettriche.
La sua espressione si indurì, come la sua voce, ora ruvida e vibrante di minacce non dette.

- Come al solito l'Austria avanza diritti su territori non suoi.

Sul pavimento apparvero delle diramazioni luminose, che ricamarono un rosone ai piedi della ragazza. Valeria assistette sbigottita e meravigliata all'apparizione di una serie di pannelli trasparenti simili a schermi curvati attorno alla figura dai capelli bianchi, che cominciò a scorrerli solo sfiorandoli con le dita, finché non trovò quello che le interessava.
Non riuscì a cogliere il significato delle parole da lei sussurrate, ma quando ebbe finito, gli schermi e il rosone sparirono, così come quel vento sovrannaturale.

- Cosa... cos'hai fatto ora? Tu chi sei?

- Vienna vuole attaccarmi, sembra che non gli vada giù la mia presenza.

Il tono di voce era tornato quello monocorde di prima, ma c'era qualcosa, nel modo in cui si muoveva, che indicava la sua irritazione.
E anche qualcos'altro.
Valeria non capiva esattamente cosa fosse, ma provava una sensazione quasi familiare di fronte a lei, come di deja vu. Eppure non riusciva a collegare la cosa a nulla di preciso... forse si trattava solo dell'influsso di quella casa, conosciuta e malinconica.

Intanto la ragazza si era mossa. Recuperò il suo giaccone da una sedia, indossandolo, ma invece di dirigersi alla porta, si piazzò in mezzo alla stanza. E fissò il suo sguardo in quello dell'ospite.

- ...io ti conosco?

La ricercatrice non seppe come rispondere. Era una persona strana, misteriosa, che non riusciva a capire, o a seguire.
Cosa voleva dire con quella domanda? Era tentata di dare una risposta acida in pieno stile Simonne, ma qualcosa la trattenne: non sembrava prenderla in giro, pareva che non sapesse sul serio dire di averla già incontrata o meno.

- Ieri sera mi hai salvata... da una chimera.

- No. Sei una delle ombre?

Valeria capiva sempre di meno.

- Io... se intendi le chimere, no, non lo sono...

- Mh. - sembrò rimuginarci su, delusa, ma rialzò lo sguardo subito dopo. - Esco. Puoi tornare... se vuoi.

E sparì in un turbine di vento e luce.

E Valeria si ritrovò all'esterno, senza capire come ci fosse giunta.
Subito Simonne l'aggredì con un tono inviperito: aveva aspettato lì fuori per mezz'ora e lei usciva senza nemmeno avvertirla? Ma non scherziamo.

- Insomma, cos'è, c'è un'altra entrata? Ho anche provato a seguirti, ma non! La porta - "Cancello", mormorò Valeria, ignorata - si è bloccata e non sapevo come fare e...

- Ok, ok, ho capito, ma ora ascoltami! - la bloccò, afferrandola per le spalle - Ho incontrato una persona lì dentro.

- E... e chi sarebbe? - Simonne la guardò confusa. Chi poteva essere di così importante da costringerla a lasciarla da sola all'esterno?

- Credo fosse la Signora di Roma.

---

Salve u.u
Parto subito col dire che... I Signori d'Europa si son trasferiti nella sezione sovrannaturale °_°/
I nuovi eventuali lettori sappiano che in precedenza era nella categoria fantasy, ma ho deciso di cambiarlo in seguito a ragionamenti sulla trama e una raccolta di pareri di qualche altro lettore X°D
Effettivamente è più da sovrannaturale ._.

Per il resto!
La frase sui capelli del colore delle stelle... l'ho presa da Il Castello Errante di Howl X°D
Mi piaceva, e così...u.u
E le frasi in corsivo dette da Simonne sono, naturalmente, in francese (ma credo che questo l'abbiano capito tutti, uh ._.)
Poi non so che altro dire se non... sono davvero soddisfatta di come sta venendo fuori Luce ;_; (la ragazza dai capelli bianchi. Sì, è lei, e non ditemi che non l'avevate capito, su u_u")
E quelle sue domande hanno un perché ben preciso X°D
E per quanto riguarda il futuro... presto ci sarà un po' di action (yay **) e non manca molto al ritorno in scena del signor Kail, il biondo mister mistero dei primi capitoli.

Bene, ho finito.
Grazie per aver letto, un biscotto a chi lascerà un commentino <3
(gocciole per tutti <3)


*Angolino del pubblicizziamo spudoratamente le storie a cui tengo*
Sono due storie fantasy, la prima conclusa e la seconda appena cominciata... fateci un saltino, se vi va <3

La Torre - La Compagnia dei Distruttori

La Torre




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Capitolo 6
*** Ritorno di un fantasma ***


I signori d'europa cap.6 Ritorno di un fantasma




Una giornata calda, pigri raggi solari che entrano a fasci dalla finestra, la classe assorta nel più totale silenzio, la professoressa che vaga tra i banchi staccati.
Una scena ormai quasi dimenticata.

- Ehi, Val, hai un bianchetto? - mi chiede la ragazza seduta accanto, dalla parte del muro, formando con le dita un numero.
Le rispondo con un cenno di diniego e indico il ragazzo seduto davanti a lei. Nemmeno io conosco la risposta alla domanda tre del test, ma magari lui sì.
- Ehi... ehi, Riccardo!
- Signorina, e allora? La smettiamo con questi continui bisbiglii?
L'improvviso intervento della professoressa ci prende tutti di sprovvista, proprio mentre la mia compagna di banco si è allungata a punzecchiare la schiena dell'altro per tre volte.
- Oh, ehm... sa, ho sbagliato e...
- Non mi interessa, stia composta e la smetta di disturbare gli altri!
- Ma... ma non posso lasciare il compito così, non si capirebbe nulla!
Riccardo interrompe il battibecco passandole ciò che le serve. L'insegnante se ne va, e lei è libera di tirare fuori da sotto il tappo il biglietto con la soluzione richiesta.

- Mi ha fatto venire un infarto.
- Pure a me... ti spunta sempre alle spalle poi.
- Neanche fosse un avvoltoio.
- Davvero.
- E io cosa dovrei dire? - interviene Riccardo, cingendo le spalle della sua ragazza. - Mi hai coinvolto senza ritegno...
- Eheh, scusa!
La bacia. Io non provo nulla.
Osservo quel leggero bacio di saluto e basta, nessuna reazione, nessuna stretta allo stomaco. E' normale, accade sempre.
E altrettanto sempre usciamo insieme dalla scuola, camminiamo, ridiamo.
E' normale.
Lei è la mia migliore amica, e lui il suo ragazzo.
E' normale.

- Ah, ho dimenticato che avevo un impegno oggi... devo tornare a casa presto.
- Tranquilla, tanto non è che avevamo programmi... - le rispondo io.
Lei sorride e si alza, salutandoci nel suo solito modo allegro. La osservo mentre corre, mentre sparisce in fondo alla via.
La osservo mentre viene inghiottita dal
buio.
E' normale.

...Lo è?



E' buio. Fa freddo. Un boato in lontananza.
Non ci faccio caso.
E' normale.



Sono davanti casa, sarà ora di cena.
Cerco le chiavi nella borsa e mi blocco. C'è qualcuno.
Mi giro e dietro di me vedo solo l'ombra di una persona sotto gli alberi. Esce alla luce dei lampioni e la riconosco.

- Val...

Lei sta lì, in piedi di fronte a me, con lo sguardo terrorizzato e la voce tremante. Ed è rossa.
Le mani, il viso, le braccia, il torace. Tutto, tutto sporco di rosso.
Piange, ha bisogno d'aiuto.

- Per di qua! Seguitemi!

Una voce maschile, rumore di passi in corsa.
Lei fugge.

Un manipolo di soldati mi passa davanti, sono armati. Girano l'angolo.
Degli spari.

Urlo.


***


Valeria si svegliò di scatto, sudata. Allungò istintivamente la mano verso il lato di Riccardo, già al lavoro, e si accoccolò contro il cuscino di lui.
Rimase immobile nel letto per un indefinito lasso di tempo a riflettere sul sogno, sull'incubo.
Quanto era che non le capitava? Nei primi tempi accadeva ogni notte; ogni notte quella giornata si ripeteva, tormentandola, portandola al limite. E se quella volta l'avesse nascosta, invece che restarsene lì imbambolata senza capire la situazione? Lei sarebbe ancora viva? Lei... lei...
Come si chiamava lei?

Si sedette sul letto, prendendosi la testa fra le mani.
La stava dimenticando? La stava dimenticando?
Non poteva essere... non poteva assolutamente essere. Dimenticarla... impossibile. E allora cosa? Perché non riusciva a ricordare il suo nome? Perché non riusciva a visualizzare chiaramente il suo volto, o la sua voce?
Perché?

Si alzò, dirigendosi in cucina.
Era stanca, ma per fortuna quel giorno non era di turno. Si sarebbe presa un caffé, avrebbe fatto un bel bagno caldo e poi, con calma, ci avrebbe ripensato. Perché non era ammissibile non ricordare.
Eppure, un'ora e più dopo, Valeria si trovava china di fronte a una libreria, con in mano una vecchia foto di classe mentre sfogliava vari album e raccoglitori, alla ricerca di altre immagini.
Ogni tanto tornava a osservare la foto che aveva portato con sé dal lavoro, la stessa che il giorno prima aveva infilato di fretta nella tasca del suo cappotto, prima di seguire Simonne fuori dalla sede della ERD.
Non se n'era mai accorta prima, ma... non poteva guardarla. Ogni volta che cercava di focalizzare l'attenzione sulla figura dell'amica, la sua mente veniva distratta, i suoi occhi passavano oltre. Perché non riusciva a soffermarsi su di lei?
La sua memoria sembrava negare l'esistenza stessa di quella persona, cercava di sviare le sue stesse percezioni visive.
E quindi eccola lì, china nei ricordi alla ricerca di un pezzo mancante.

Finalmente trovò ciò che le interessava: le foto dell'ultimo anno che avevano passato insieme.
Ma di nuovo, ecco che ogni volta che incrociava il suo sguardo qualcosa svaniva. Era come se la dimenticasse subito dopo averla riconosciuta. Decine di fotografie, decine di firme, e ancora nulla. Era come se non l'avesse mai incontrata.
Non ricordava.

Si guardò attorno con aria confusa e preoccupata: stava impazzendo? Aveva una qualche malattia, un problema di memoria?
Da quant'era che aveva cominciato a dimenticare?

- Eppure sono sicura che... qualche giorno fa...

Prese il telefono e digitò veloce un numero di cellulare, l'unico che sapesse a memoria.

- Sì? - rispose una voce maschile, leggermente coperta da rumori meccanici in sottofondo.

- Riccardo, tu... tu ricordi il suo nome?

- ...il nome di chi?

- Il suo, il nome di lei! Non... non mi... 

- Val, ti senti bene? E' successo qualcosa? - Lui continuava a non capire, complice il frastuono dell'officina in cui si trovava, e la ragazza decise di lasciar perdere. Cominciava a credere che fosse tutta una questione di stress, di troppo lavoro e soprattutto poco sonno... e gli eventi degli ultimi due giorni non avevano certo alleggerito il carico.
Basta, non aveva senso rimanersene tappata in casa a rimuginare.
Si vestì velocemente e lasciò l'appartamento.


***


Riccardo se ne stava seduto in disparte, la testa china e le mani congiunte. La telefonata di prima con Valeria non l'aveva convinto: lei sembrava agitata, ansiosa, quasi isterica. E poi, invece, aveva liquidato la questione con un "Non importa", chiudendo la chiamata.
Fin dalla sera prima si era comportata in modo strano... come se volesse dirgli qualcosa ma non potesse, o non sapesse come fare.

- Ste', sono preoccupato...

- Sì, anch'io. - rispose il collega più giovane, intento a riesaminare un meccanismo digitale. - Qua non vado da nessuna parte, non capisco dove sia il problema.

- Sto parlando di Valeria.

Stefano lasciò perdere il proprio lavoro e si tolse gli occhiali schermatori.

- Che succede con Valeria? Avete litigato?

- Ma no! Solo... si comporta in modo un po'... è scostante, ecco.

- Cristo santo, Rick, è una donna! Una creatura che vive di sbalzi d'umore improvvisi! Che t'aspettavi? - esclamò Stefano, scoppiando a ridere dopo il mancato tentativo dell'altro di colpirlo con un asciugamano.

- Smettila, sto dicendo sul serio... anche prima, al telefono, mi è sembrata quasi nel panico.

- Allora c'è poco da fare... va' a casa e assicurati che stia bene.

Riccardo guardò l'amico. Era serio, per una volta, e avrebbe anche seguito il suo consiglio, se non si fosse dovuto allontanare in pieno orario di lavoro, lasciandolo solo a subire le conseguenze della sua fuga, nel caso l'avessero scoperto i dirigenti.

- Va' tranquillo ti dico. - esclamò lui interrompendo i suoi pensieri. - Basta che consegni a me la tua ID, e alla fine della giornata ci penserò io a timbrare, nel caso tu non fossi ancora tornato. E poi, qui sotto non viene mai nessuno.

Dopo un ultimo ripensamento, ringraziò l'amico e recuperò la sua giacca, uscendo da un'entrata secondaria collegata direttamente a un parcheggio interno, dove l'aspettava la sua fedele Kawasaki Ninja.
Non gli ci volle molto per arrivare a casa, ma era già troppo tardi.
Valeria non c'era più.
Ma rimanevano i segni della sua ricerca. Riccardo si aggirava confuso in mezzo a tutte le fotografie buttate sul tavolo del soggiorno, ai raccoglitori sparsi a terra e alle scatole con vecchi quaderni di scuola aperte e rovesciate.
Osservò sconcertato tutta quella confusione, cercando di capire cosa potesse collegarla allo strano comportamento della ragazza.
E poi capì.

Prese in mano una vecchia foto, un po' stropicciata e consunta.
Anche lui finì per concentrarsi su quell'angolo da cui un sé stesso più giovane di qualche anno sorrideva divertito, stringendo a sé... stringendo a sé...
Gettò la fotografia a terra stizzito, scegliendo di ignorare quel viso, quegli occhi, quella figura che gli stava accanto.
Aveva altro a cui pensare, aveva altro da proteggere.
Se Valeria ci era ricaduta davvero, allora sapeva perfettamente dove dirigersi.


***


Era arrivata.
La casa sembrava come sempre totalmente abbandonata e inaccessibile, ma lei ormai sapeva bene che non era così. La ragazza dai capelli bianchi sembrava averla resa la propria dimora.
La dimora della Signora di Roma.
...O almeno così lei credeva. In effetti non aveva prove concrete che fosse veramente lei la nuova protettrice del territorio italiano, ma le piaceva pensarlo.
Quella sera, però, non si trovava lì per averne la conferma, bensì per un motivo che, in fondo, nemmeno lei capiva.
Era uscita con tutta l'intenzione di fare una breve passeggiata, restando nel vicinato, eppure le sue gambe l'avevano trascinata fin lì, ancora una volta.
Cos'era quel posto in fondo? Una reliquia di un qualche sbiadito passato, non aveva più legami col suo presente.
Eppure tornava a ossessionarla, ancora, sempre, come un conto in sospeso con la coscienza.
E che utilità aveva tutto quel rimpianto? Non c'era nulla da fare a quel punto. Anzi, non c'era mai stato nulla da fare.
Anche ricordare... era davvero così importante? Così necessario?

Sfiorò il cancello con la punta delle dita, e questi si socchiuse lievemente in un ingannevole invito ad avanzare.
E lei proseguì, come ipnotizzata.

Salì le scale, oltrepassò la porta d'ingresso e si trovò per la seconda volta nell'ampio soggiorno.
Varie immagini, voci, rumori, presero forma nella sua testa.

- Aah, dove ho messo quel dvd?

- Non fa nulla, davvero! Me lo ritornerai un'altra volta...

- No, se non lo cerco ora chi se ne ricorda più poi.

Si avvicinò alla libreria, prendendo in mano una cornice. Vuota, come tutte le altre.

- Ragazze, volete qualcosa da mangiare? Valeria?

- Oh, sì, volentieri. Grazie signora!

- Ma', i biscotti sono finiti?

Tutte le fotografie erano scomparse, tutti i libri erano illeggibili, gli appunti sbiaditi, le lettere annerite.
Cosa c'era che non andava, lì?

- Mi... mi ha chiesto d'uscire con lui.

- Cosa? Davvero? Visto, lo sapevo che gli piacevi! E tu che hai risposto?

- Bè... gli ho detto di sì...

- Wow! Fantastico, sono così felice per voi!

Quel giorno non c'era traccia della nuova coinquilina, così Valeria decise di dare un'occhiata anche al piano superiore, per vedere se si era conservato come il resto, bloccato nel tempo.
Ma non era ancora arrivata alla scala che all'improvviso un forte rombo riecheggiò dalla strada, come fosse un fulmine a sorvolare la città, seguito da una scossa che fece vibrare il terreno, dando una sensazione simile a quella di un terremoto.
Valeria si accucciò a terra, reggendosi alla parete, immobilizzata dalla paura. Il fenomeno durò poco e non pareva aver causato danni agli edifici, ma la corrente elettrica era saltata in tutta la città. Ed essendo inverno, pur trattandosi delle cinque del pomeriggio le strade erano rimaste completamente al buio.
L'unico motivo per cui la ragazza era ancora in grado di muoversi senza sbattere contro qualcosa, era una luce d'emergenza posta sopra lo stipite della porta d'ingresso, che si spalancò con malagrazia.

- Val! Valeria!

- ...Riccardo?

Il giovane le corse incontro, abbracciandola quasi con disperazione.

- Credevo ti fosse successo qualcosa. Dopo questo terremoto...

- Io... sto bene, non mi è successo nulla.

- Ma che ti è preso? - le chiese Riccardo sciogliendo la presa quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. - In questi ultimi giorni mi stai facendo preoccupare, e quella telefonata di prima, poi...

- Non è niente, solo che... ci son delle cose che non...

- Chi è là?

Una voce li fece sobbalzare, paralizzandoli. Nella penombra del soggiorno, accanto alla finestra, si stagliava una figura dai lunghi capelli d'argento che contrastavano con il sangue che portava sul cappotto logoro, uno squarcio lungo la gola e il petto anch'esso imbrattato di sangue.

Le mani, il viso, le braccia, il torace. Tutto, tutto sporco di rosso.

Li fissava con sguardo feroce, con sguardo inquisitore.
Chi siete, chiese nuovamente, con una vibrazione diversa, un suono più aspro nelle parole.
Valeria non sapeva che fare, era terrorizzata. La ragazza bianca non sembrava riconoscerla, e lei davvero non aveva idea di come intervenire.

Piange. Ha bisogno d'aiuto.

Riccardo, invece, dopo un primo attimo di smarrimento, sembrò riaversi, e la sua espressione svelò una nuova, frammentata consapevolezza. Paura.
Paura della verità.
Avanzò verso la ragazza ferita, che non pareva voler reagire, bensì osservava curiosa le intenzioni dell'altro.
Un passo lo separava da lei.
Allungò la mano, sfiorandole la guancia cauto.

Come si chiamava lei?

- ...Luce?

La stava dimenticando?















Buonsalve, è tardi e ho sonno.
Non ho intenzione di scrivere un chilometrico blaterio qui sotto, quindi vado subito al sodo: sì, sono lenta con gli aggiornamenti. No, non abbandonerò mai questa storia.
Tranquilli ;D
Poi spero abbiate gradito gli pseudo colpi di scena X°°°D
Non so, per me erano prevedibili, poi magari per gli altri è diverso °°

Bene, e ora grazie mille per aver letto!!*w*
Al prossimo capitolo!>_<

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Capitolo 7
*** Vienna e Roma ***


I signori d'europa cap.7 Vienna e Roma



Si muoveva veloce, non riusciva a localizzarlo. Sentiva la sua pressione, era ovunque e da nessuna parte, lungo i confini. Minacciava di invadere il territorio, tentava di rompere le barriere, prima in un punto, poi nell'altro.
Lei se ne stava immobile, seduta su una roccia, in attesa del momento più opportuno per catturare il suo sfuggente avversario.
Faceva l'arrogante, si comportava come se quel territorio fosse suo di diritto.
Lo detestava.

Chi è l'usurpatore qui?

Lo provocò, trasformando quel pensiero in una scossa mentale, che riflesse poi sull'area circostante.
Un baluginio ad est, una coscienza rivelata.
Roma scattò in piedi, i capelli argentei ondeggiarono al vento. Flesse leggermente le ginocchia, compiendo un lieve balzo nel burrone che precedeva la valle montana. L'aveva localizzato.


***


- Dannata ragazzina... Detestabile, detestabile sgualdrina arrogante! - urlò il giovane uomo al vento, punto sul vivo dalle parole dell'avversaria. Il Signore di Vienna aveva un carattere aggressivo e impulsivo, alle provocazioni come quella rispondeva d'istinto, senza fermarsi troppo a riflettere sulle proprie azioni.
Così abbandonò la sua tattica di guerriglia e uscì totalmente allo scoperto, fregandosene di celare la sua presenza e oltrepassando i confini del territorio di Roma senza remore, deciso a non tirare troppo per le lunghe quella che lui stesso aveva categorizzato sotto il termine "scaramuccia insignificante". Perché cosa poteva fare la piccola signora italiana, senza alcun tipo di esperienza, contro uno come lui, che di battaglie ne aveva avute in abbondanza? Quella stupida, poi, continuava a mantenere le barriere attorno ai confini alla massima potenza, sprecando energie preziose.
Davvero, sarebbe stata una passeggiata distruggerla.

Quindi si mosse veloce, inoltrandosi sempre più a fondo nel territorio nemico, nella direzione da cui era pervenuta la minaccia. Ma forse c'era qualcosa di insolito, che non andava. C'era troppo silenzio.
Dov'era lei?
Si fermò ad ascoltare, i nervi tesi e i muscoli pronti a scattare al minimo segnale d'allarme. Attorno a lui si diramava un'atmosfera fin troppo quieta, fin troppo irreale. Dov'era finita lei?
Estese le proprie percezioni alla ricerca della coscienza della ragazza, e fu allora che se ne accorse: l'aveva intrappolato.
Imprecò mentalmente mentre esaminava quelle mura di energia che circoscrivevano i suoi movimenti, limitando un determinato perimetro e al contempo evitando qualunque collegamento con l'esterno. Come al solito aveva pagato lo scotto della sua irruenza.

Roma è mia.

Torse il busto in un movimento laterale per scansare l'attacco alle spalle. Una lama di luce gli sfiorò la gamba destra, senza però colpirlo, per poi svanire nel nulla lasciando un profondo solco nel terreno roccioso. Seguì la quasi impercettibile scia di magia residua fino a ricondurre lo sguardo alla sua origine. La Signora di Roma lo osservava a pochi metri di distanza, in piedi su uno dei tanti massi distaccatosi dal fianco della montagna.
Rimasero entrambi immobili a fissarsi reciprocamente per diversi minuti, intenti a studiare le mosse e le intenzioni dell'altro, senza scambiarsi una parola, senza batter ciglio.
Poi cominciò.

Si mossero nello stesso momento, intenzionati ad atterrare immediatamente l'avversario. Lo scontro iniziale fu violento, costringendo i due Signori a balzare indietro verso le loro precedenti postazioni, senza che nessuno dei due prevalesse sull'altro. Roma fu la prima a riprendersi dall'urto e a fiondarsi in un serrato corpo a corpo con l'invasore, armata di una coppia di spade corte materializzatesi a un suo pensiero, simili a saette di luce. Lui riusciva a prevedere quasi sempre i suoi attacchi che, esattamente come aveva previsto, riflettevano il suo essere una principiante, seppur si dimostrasse molto più abile delle aspettative.
Altro fattore imprevisto era la sua riserva di energie: con il dispiego di tutto quel potere per reggere ben due barriere al massimo della loro resistenza - una territoriale e una circondante la zona teatro del loro combattimento - si sarebbe aspettato un affaticamento molto più veloce e un uso limitato delle sue riserve magiche. E invece ecco che sembrava quasi accelerare il ritmo di quella strana danza, spezzata ogni tanto da qualche incantesimo lanciato dall'una o dall'altra parte per allontanare il contendente o creare qualche apertura nella guardia nemica. E ancora parava i suoi colpi con altre barriere, posizionate attorno al punto da proteggere, o creava dei campi di forza per annullare le sue magie.
Non si stancava, non si esauriva.
Era irritante.

- Tu... - mormorò con rabbia malcelata. - Muori!

Le si scagliò contro con tutta la forza che gli rimaneva, atterrandola facilmente e bloccandola a terra. Rivestì il braccio sinistro di una sorta di corazza nera, prima di artigliarle la gola e affondare le dita simili a lame nella carne.

- Dietrich Madrich. E' questo il nome del vero Signore di Roma! - esultò lui, già sentendo il sapore della vittoria.

Il sangue cominciò a scorrere a fiotti mentre lei si sentiva svanire nel dolore e nella sensazione di soffocamento.
Avvertiva il sangue scivolare via dal suo corpo, abbandonarla, mentre il suo odore acre e pungente risvegliava la sua coscienza dal torpore di quegli ultimi anni, riportandole alla mente piccoli stralci di avvenimenti che ormai aveva dimenticato. O quasi.
E così, all'immagine del viso contratto dalla rabbia e dalla feroce sensazione di vittoria del Signore di Vienna, si sovrapposero altri frammenti di attimi del suo passato meno recente, dell'altra vita, un caleidoscopio di immagini comprendenti visi, parole, urla, una strada di notte, una corsa. E poi spari, sangue, sconosciuti in divisa, ordini concitati, sangue.

Sgranò gli occhi, riacquistando piena conoscenza, e trafisse l'addome dell'altro, tingendosi le braccia del suo rosso. Lui le aprì uno squarcio in gola, non profondo quanto avrebbe voluto, prima di ritirarsi a qualche metro di distanza.
Seguì una situazione di stallo: erano entrambi feriti gravemente, e anche se lei pareva in condizioni peggiori, non era sicuro di riuscire a darle il colpo di grazia con un'emorragia che non faceva altro che aumentare il suo senso di spossatezza e offuscamento.
Digrignò i denti, infuriato di fronte a quell'esito inaspettato.

- Mi riprenderò ciò che è mio!

Non c'è niente di tuo qui!

Alla risposta seguì una serie di scariche elettriche che circondarono la ragazza dai capelli argentati, per poi convergere in un unico, potente attacco su Dietrich. Lui lo schivò con un balzo, riportando comunque delle bruciature superficiali, e liberò tutto il suo potere contro la barriera che li racchiudeva.
Un boato invase la valle quando le pareti di quella prigione invisibile si infransero facendo tremare il suolo, e si propagò per diversi chilometri, causando interruzioni dell'energia elettrica e disagi nelle comunicazioni senza fili.
Quando la Signora di Roma si rialzò in seguito allo sbalzamento provocato dall'onda d'urto, il suo avversario aveva già battuto in ritirata.
Si portò la mano al collo, tentando di tamponare la ferita e bloccare il deflusso di sangue, mentre un intrico di simboli senza senso si espanse sotto di lei.
Doveva tornare a casa, e in fretta.


***


Si materializzò nel soggiorno, accasciandosi sulle ginocchia.
Non fece caso al buio che regnava in casa, così come non aveva prestato attenzione al tramonto mentre combatteva sulle Alpi.
Respirò profondamente cercando di concentrarsi sulla grave ferita che aveva riportato per richiuderla, ma i suoi sforzi caddero al sentire delle voci provenire dall'ingresso.

- Credevo ti fosse successo qualcosa. Dopo questo terremoto...

- Io... sto bene, non mi è successo nulla.

Una voce maschile, una femminile. La seconda le pareva di riconoscerla, ma non era importante.
Si rialzò barcollando leggermente, per poi fare un profondo e doloroso respiro e avanzare con una ritrovata sicurezza per scoprire chi si era introdotto nel suo rifugio.
Non lo sopportava.

- Ma che ti è preso?

Non lo sopportava.
Prima quello, poi questi, era suo quel posto, era il suo territorio, dovevano andarsene, stava male, era insopportabile.
Chi diavolo era, chi diavolo era?

- ... Quella telefonata di prima, poi...

- Non è niente, solo che... ci son delle cose che non...

- Chi è là?

Interruppe il loro dialogo, non era importante.
Un uomo e una donna, piuttosto giovani, stavano lì e la fissavano sorpresi. Lei sembrava familiare, ma non era importante.
Cosa volevano? Stavano lì e la fissavano sorpresi. Erano sorpresi o avevano paura?
Non rispondevano.
Era irritante.

- Chi siete?

La sua voce assunse un'inflessione ancor più minacciosa, e parve che in un qualche modo sbloccò i due.
Era con la paura che si otteneva, quindi.
La ragazza castana sembrò sempre più atterrita e persa, però lui si comportò in modo inaspettato: si avvicinò.
Cosa voleva fare? Aveva anche lui paura, ma di un tipo diverso.
Paura di cosa? Di lei o di sé stesso? Delle proprie reazioni?
Balle. Che c'entrava lui.
Inutile, era tutto inutile. Non capiva perché agiva così, e allora stette a guardarlo incuriosita mentre colmava la distanza fra loro, mentre sollevava una mano a sfiorarle il viso. Mentre...

- ...Luce?

Luce?

- Tu... tu sei Luce, vero? - ripeté il ragazzo, con più certezza, con più foga.

Lei era Luce? E lui. Lui chi era.
Altri frammenti di memoria, altri piccoli sprazzi di ricordi. Una voce, una schiena.

- ...Sei un'ombra?


***


Valeria si sentì cedere le gambe.
Lei stava lì, in piedi di fronte a loro, irriconoscibile, innominabile. Lei era Luce, lei si chiamava così.
Come aveva potuto dimenticare? Era così semplice, così... così...

- Sei tu, non è vero? Rispondi, parlami!

Riccardo alzava sempre più la voce, scuotendo per le spalle la ragazza dai capelli bianchi. Lui era certo che si trattasse di lei. Ma allora Valeria perché non l'aveva riconosciuta? Era la terza volta che la vedeva, ma ancora le sembrava così distante, così poco familiare.
La ragazza parlò di nuovo.

- Luce è morta.

Luce era morta.
Era stata inghiottita dal buio. Tanto tempo fa.
La testa cominciò a pulsarle dolorosamente.

"Ah, ho dimenticato che avevo un impegno oggi... devo tornare a casa presto."

La vista si annebbiò, e le voci e i rumori le parevano sempre più lontani.

Un boato in lontananza.

Si prese la testa fra le mani, sperando irrazionalmente che la pressione sulle tempie le facesse passare il dolore.

Le mani, il viso, le braccia, il torace. Tutto, tutto sporco di rosso.
Piange, ha bisogno d'aiuto.

Sentì le braccia di Riccardo sorreggerla prima che lei crollasse sul pavimento.
Non capì cosa le stava dicendo.

Una voce maschile, rumore di passi in corsa.
Lei fugge.
Degli spari.

Lei era stata inghiottita dal buio.

"Luce è morta."

Lei non sarebbe tornata.

Non era rimasto nessuno di loro... nessuno.
Era stata lei a ucciderli. Era stata Luce.











Questo capitolo è tutto per Necrysia Noctis, che oggi tornerà dal lavoro e... GASP! Troverà un aggiornamento!D:
...o forse è meglio dire che tornerà dalla cena?X°D
Scherzi a parte, sparare inutili ciance con te, ieri, mi ha fatto tornare la scribacchina ispirazione per i Lords, bloccati da tempo immemore all'inizio dello scontro. u_ù Nonché una potente dose di sensi di colpa. Sei un demonio, davvero.

Ohohohoh! Sono così fiera della conclusione!*w*
Ed è la prima volta che scrivo una scena di combattimento simile. Quindi... bè, sappiate che c'è un possibile margine di miglioramento, si spera. Anche se dopotutto sono alquanto soddisfatta anche di quella parte.
Piccola nota sul testo: a un certo punto ho scritto "mentre lei si sentiva svanire". Intendevo proprio svanire, e non svenire =)
Giusto per fare la puntigliosa.

E ora me ne vado, grazie per aver letto!*w*
Se vorrete lasciare un commentino mi farete felice <3

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