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di vivvinasme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Beginning. ***
Capitolo 2: *** Konohamaru. ***
Capitolo 3: *** Memories. ***
Capitolo 4: *** Nightmare. ***
Capitolo 5: *** Gaara. ***
Capitolo 6: *** Sadness & Sorrow. ***
Capitolo 7: *** Innocence. ***
Capitolo 8: *** Leaving. ***



Capitolo 1
*** Beginning. ***



Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.







“Listen to my story.
This may be our last chance…”*
 
 

“Ed anche oggi il dì volge al termine …” Sussurrò sospirando Harry Bailly, osservando allontanarsi l’ultimo cliente della giornata, che fu presto cinto dai raggi rossastri del sole ormai calante.

Era veramente un bel tramonto, di quelli che si ha la fortuna di rimirare solamente poche volte durante tutto l’arco della propria vita, di quelli davanti a cui si tenta di parlare, di dire qualcosa di profondo, e, dopo vani tentativi, si finisce per rimanere inesorabilmente in silenzio.

Silenzio che in quel momento opprimeva il povero Harry, incapace di dire nulla che potesse vagamente competere con la bellezza delle nuvole, che somigliavano tanto a soffici batuffoli di cotone rosa, contornate da mille e più luci che, prepotenti ma fragili, le attraversavano creando tanti piccoli fasci luminosi. Le colline che da sempre contornavano la piccola cittadina di Southwark sembravano quasi tinte delle più calde tonalità di rosso e giallo, così da rendere quel paesaggio ancora più idilliaco.

L’oste Harry si voltò, dando le spalle a ciò che pochi secondi prima l’aveva lasciato senza parole, per posare lo sguardo sulla sua unica ragione di vita, la sua amata locanda. << The Hungry Lion >>; così recitava orgogliosa l’insegna di legno dipinta in stile gotico a caratteri d’oro, che troneggiava sul piccolo ma curato edificio.

Dalla giovane età di venti anni, Harry aveva dato la sua vita a quella locanda, unica eredità ricevuta dal padre, portandola dallo stato fatiscente e pericolante in cui l’aveva ricevuta, alla rinomata taverna che si trovava davanti; in effetti, dovette ammettere con se stesso, aveva fatto davvero un buon lavoro: realizzata in legno e mattoni, la costruzione contava ben due piani, sovrastati da un tetto in stile Inglese.

All’entrata, una pesante porta in legno massiccio divideva il piccolo giardino dal piano terra, che era interamente occupato dai numerosi tavoli e dal lungo bancone; ma ciò di cui Harry andava più fiero erano le decorazioni, che lui stesso, fabbro dilettante, aveva realizzato in ferro battuto: difatti, se si osservava la taverna con più attenzione, era possibile notare i numerosi ghirigori che fungevano da porta vaso, o addirittura da sostegno per la pesante insegna, anch’essa vanto dell’oste.

 

Ma quel luogo, nonostante sembrasse un semplice punto di sosta e ristoro, era protagonista di una tradizione millenaria, che, esula dallo stato dell’edificio in sé, perdurava da molteplici ere storiche, e di cui Harry era pienamente consapevole. Infatti, era proprio da quella locanda che, durante tutto l’anno, gruppi di pellegrini partivano per un lungo viaggio a piedi fino alla cattedrale di Canterbury, per rendere omaggio al Santo Thomas Becket; la loro maggioranza era spinta da motivazioni religiose, e da una forte fede nella Chiesa, ma vi erano anche alcuni fanatici che accorrevano da ogni dove per godere delle specialità che la locanda offriva. Nulla a che vedere con cibi o bevande. La tradizione in realtà voleva che i pellegrini narrassero al resto del gruppo in tutto quattro storie, due durante il viaggio d’andata, e due al ritorno, per poi giungere al << The Hungry Lion >> e scambiarsi i loro racconti, inventandone di nuovi, in un ciclo che si ripeteva da secoli, le cui uniche variazioni erano gli argomenti trattati.

L’oste sorrise, al ricordo della folla di pellegrini che quotidianamente riempiva il piano inferiore della locanda, mentre suo padre era così indaffarato dietro al bancone da non riuscire a pensare ad altro che non fossero i suoi amati clienti. Infatti lasciava che un Harry di appena cinque anni trotterellasse allegro intorno ai tavoli, fermandosi di tanto in tanto per ascoltare le numerose storie che ogni pellegrino soleva raccontare, e ricreando nella sua mente di bambino un mondo tutto suo, in cui prendevano vita i tanti personaggi protagonisti dei racconti a lui più graditi.

“Quei tempi” disse Harry in un soffio “Sono ormai andati”.

Quell’anno, il 2000, che per tutto il mondo era segno di modernità e progresso perché inizio del nuovo millennio, l’oste avrebbe varcato la soglia dei 60 anni, che sentiva gravare uno per uno sulle sue spalle. In sessanta anni ne aveva conosciute di persone, e poteva liberamente affermare di conoscere la storia di ognuna di esse, avendo ascoltato con attenzione ogni loro racconto. Ma doveva con rammarico ammettere che, con l’avvento del nuovo millennio, con la presenza sempre più diffusa delle moderne tecnologie di cui nessuno ormai sembrava poter fare a meno, e con la corruzione che pian piano dilagava nel complesso organo che ormai era diventata la Chiesa, di pellegrini e viaggiatori ce ne erano sempre meno. Forse perché quel puro e casto legame che esisteva tra Chiesa e credenti, o, più semplicemente, tra uomo e natura, era andato sempre più indebolendosi, sostituito dalla supremazia di uno sull’altro.

 

Un soffio di vento freddo investì Harry, che reprimendo un leggero tremore si strinse i vestiti e cominciò ad incamminarsi per entrare nella sua locanda, pregustando già la morbidezza che solo il suo letto, al piano di sopra, poteva offrirgli.  Varcata la soglia dell’entrata, si guardò attorno, in cerca di qualcuno, finché i suoi occhi scuri non trovarono ciò che volevano; i pochi viaggiatori che di tanto in tanto si fermavano per dormire in quel luogo, di solito non soggiornavano per più di una notte, spinti dal desiderio di percorrere la strada fino a Canterbury come tanti prima di loro. Solo uno, che Harry ne avesse memoria, aveva soggiornato nella locanda per un periodo più lungo. Sulla figura che ora, dormiente, giaceva scomposta sul tavolo più logoro della taverna, si basavano molte leggende, la maggior parte inventate di sana pianta da qualche pellegrino curioso, tra cui alcune così assurde che quando, avvicinandosi ai tavoli per servire i clienti, Harry ne sentiva parlare, non poteva fare a meno di scoppiare a ridere. Si diceva ad esempio che fosse figlio di un Dio ai più sconosciuto, o addirittura che non dormisse mai, sebbene quest’ultima fosse ampiamente smentita dallo spettacolo che l’oste si trovava davanti ora; forse quella che più si avvicinava alla verità, era che non avesse propriamente origini inglesi.

Infatti, quando faceva mostra di sé, dal cappuccio del lungo soprabito marrone che portava sempre, faceva capolino una chioma bionda come il frumento, ornata da qualche filo bianco qua e là, e il volto, dalla carnagione color biscotto, era sempre illuminato da due occhi di un azzurro abbagliante, che avevano il potere di incantare il pubblico, ma, ciò che rendeva dubbia la sua provenienza era il taglio degli occhi, tipicamente orientale.

Naruto Uzumaki, questo era il suo nome, aveva padre Londinese e madre Giapponese, di Tokyo. Nato a Londra, quando aveva appena otto anni dovette subire la tragica perdita di entrambi i genitori, spenti in un incidente stradale violentissimo. Successivamente, fu affidato alla famiglia della madre, Kushina, proprio a Tokyo.  Secondo le conoscenze di Harry, visse in Giappone sino ai 19 anni, quando si trasferì nuovamente in Inghilterra per ragioni a lui ignote, e vagò per quasi tre mesi fino alla burrascosa notte in cui giunse al << The Hungry Lion >>. L’oste ricordava ogni particolare di quella notte di dieci anni prima.

 

*****

 

<< Un bagliore in lontananza, seguito poco dopo da un rombo di tuono, presagì a Harry l’imminente arrivo di un violento temporale. Il sole era da poco sparito dietro le montagne, e il << The Hungry Lion >> era ormai vuoto, i pellegrini partiti per il loro viaggio e l’oste disteso sul suo morbido letto.

Era il 25 luglio del 1990, e quell’anno l’estate sembrava giocare a nascondino con gli abitanti di Southwark, portando con sé piogge a non finire.

“Non sopporto più la pioggia, mi rende così triste …” Con questo strano pensiero in mente Harry si voltò tra le coperte e si lasciò andare a quello che lui credeva sarebbe stato un lungo sonno ristoratore. Mai si era sbagliato più di cosi.

Il rumore della pioggia, che intanto aveva iniziato a cadere sempre più fitta, ferendo il terreno, riempiva i sogni di Harry, che però sembrava rilassato da quel continuo ticchettio sul tetto, e da quei colpi sempre più violenti alla porta ... No, decisamente tutto quel trambusto ebbe l’effetto contrario, facendo svegliare l’oste di soprassalto. Maledicendo chiunque avesse l’ardire di disturbarlo nel bel mezzo della notte, scese rumorosamente le scale sino ad arrivare davanti alla porta e sperare che la sua voce che urlava “Chi è?” sovrastasse il prepotente rumore dei tuoni. Evidentemente sì, perché riuscì a udire una flebile voce maschile: “La prego, mi faccia entrare …”. Quello che colpì Harry fu il tono implorante, quasi disperato, con cui era stata pronunciata la frase, quasi come se l’entrare nella locanda fosse l’ultima speranza dell’ignoto viaggiatore fuori dalla porta.

Dopo un attimo di esitazione, Harry decise di far entrare l’uomo, d’altronde la sua natura buona ed altruista gli impediva di lasciarlo fuori, chiunque egli fosse, in balia della pioggia e dei lampi, che quella notte avrebbero potuto rappresentare un serio pericolo per chiunque fosse uscito di casa.

Non fece neanche in tempo ad aprire la porta, che vide sfrecciare ad una velocità quasi disumana una figura non ben definita verso la stufetta all’angolo, in cui bruciavano ancora gli ultimi residui di legna da ardere.

Appena riuscì a mettere a fuoco il suo ospite, grazie alla debole luce emanata dai tizzoni ardenti, rimase basito, perché non era altro che un ragazzo, molto diverso dagli anziani pellegrini che frequentavano la locanda.

La prima cosa che riuscì a pensare, notando i suoi vestiti sgualciti e fradici, le innumerevoli chiazze di sporco che decoravano il suo volto e i suoi capelli biondi, e le profonde occhiaie che gli circondavano gli occhi azzurri, era che doveva essere in viaggio da molto tempo.

Senza dire una parola, corse al piano di sopra e tornò dal povero ragazzo, che ora tremava, porgendogli dei vestiti puliti, un asciugamano e conducendolo al bagno per permettergli di lavarsi e cambiarsi. Dopo quelle che a Harry parvero ore, sentì il biondino avvicinarsi con passo titubante al bancone, probabilmente in cerca di cibo; si diede dello stupido mentalmente per non averci pensato, quel ragazzo sembrava avere un estremo bisogno di mangiare, così rimediò alla sua dimenticanza porgendogli un panino al prosciutto, che lui non esitò a divorare con fare quasi animalesco, ed un bicchiere di latte, che mandò giù in un sol sorso.

Finito il suo pasto, fece per alzarsi, per poi voltarsi verso Harry, guardarlo dritto negli occhi e sussurrare: “Grazie, grazie mille, non avevo mai incontrato nessuno tanto gentile! Io mi chiamo Naruto Uzumaki, e mi scusi se sono piombato qui nel bel mezzo della notte, ma pioveva e -” Harry fu sconvolto dal fiume di parole che aveva cominciato ad uscire dalla bocca di quel ragazzo, ma ancora di più lo fu dal sorriso enorme che gli continuava a rivolgere mentre parlava; sembrava che la persona debole e sconvolta di pochi minuti prima fosse scomparsa, lasciando il posto ad un’altra allegra e sorridente.

“Naruto, non preoccuparti, ora sei mio ospite, ed è mio compito aiutarti. Nei limiti delle mie possibilità, s’intende. Comunque, piacere, io mi chiamo Harry Bailly e sono l’oste di questa locanda, come avrai già capito.”

A quelle parole, Naruto s'illuminò in un sorriso, se possibile, ancora più largo, e corse ad abbracciare Harry, che per un attimo rimase impietrito dalla sorpresa, per poi ricambiare anche lui quella stretta che sapeva di nostalgia ed affetto.

“Ora, non per farmi gli affari miei, ma cosa ti ha portato qui, nel bel mezzo della notte? A quanto pare tu non sei un pellegrino, non sembri neanche inglese …” Harry non era una persona invadente o eccessivamente curiosa, ma sentiva di voler conoscere il passato di un individuo misterioso come quello che aveva davanti in quel momento, che, appena ebbe finito di parlare, aggrottò le sopracciglia confuso.

“Io, un pellegrino? Ma stiamo scherzando?! Queste sono cose di secoli fa, chi vorrebbe ancora essere un pellegrino?!” Naruto, scoprì in quel momento Harry, aveva l’odiosa abitudine di urlare quando parlava, e di sbracciarsi come un matto, tanto che inavvertitamente urtò con la mano un vaso di fiori, che cadde a terra e si frantumò in mille pezzi, rovesciando il contenuto dappertutto. Nel chiedere, o meglio, nell’urlare scusa, il ragazzo indietreggiò, inciampando su una panca, per poi finire scompostamente con il fondoschiena sul pavimento. Quando il ragazzo sembrò essersi accorto di aver combinato un disastro nel giro di pochi minuti, il sorriso che ancora era stampato sul suo viso dai lineamenti ancora adolescenti sparì, sostituito da un’espressione triste e addolorata. Harry, accortosi della vistosa curva all’ingiù che aveva preso la sua bocca, si stupì di come Naruto riuscisse a cambiare completamente stato d’animo in poco tempo, ma non riuscì subito a dispiacersi per lui osservando la stanza nella sua interezza, ormai in preda al disordine.

Quando però spostò lo sguardo sulla figura ancora a terra di Naruto, che intanto si era raggomitolato e, scosso da singhiozzi silenziosi, tremava dondolando avanti e indietro, qualcosa dentro di lui si mosse, e si abbassò per circondarlo in un abbraccio caldo, di quelli che solo un genitore sa dare al proprio figlio. Harry sapeva bene come trattare i ragazzi, anche lui era stato padre, fino a qualche anno prima, quando il suo Ronald era stato spento da un tumore incurabile al cervello; da quel giorno, l’oste aveva cercato di tenersi occupato tutto il giorno con il lavoro da svolgere nella locanda, per non rischiare di cadere in depressione, e ci era riuscito, fino a quando non aveva visto Naruto. Dovette ammetterlo, quel ragazzo gli ricordava terribilmente suo figlio, e, per quanto cercasse di resistere e di mostrarsi forte, questo lo feriva.

“Naruto …” la voce di Harry spezzò il silenzio teso che era andato creandosi tra i due: “Se … se ti va di parlarne, intendo, del perché sei qui, io posso ascoltarti, sono abituato ad ascoltare …”

Il ragazzo alzò il volto e guardò il suo interlocutore, le iridi rese ancora più azzurre dal velo di lacrime che le ricopriva, e tentò di parlare, ma nulla sembrava uscire dalle sue labbra rosee. Harry lo vide chiudere gli occhi, inspirare profondamente e asciugarsi le lacrime che adornavano il bel viso, anche se qualcuna gli sfuggì, trovando la fuga oltre il mento.

“Signor Bailly …” esordì Naruto con voce debole ma decisa.

“Chiamami pure Harry.”

“Va … bene. Harry, posso chiederti un enorme favore?” Naruto sembrava aver paura a parlare, ma il suo tono implorante e la tristezza malcelata nei suoi occhi convinsero Harry prima di tutto, il quale era sicuro che avrebbe accettato, qualsiasi cosa Naruto avesse chiesto.

“Dimmi, Naruto.”

“Io, io lo so che può sembrare strano, e soprattutto scortese, d’altronde sono appena arrivato qua, e tu sei già stato gentilissimo ad offrirmi da mangiare, ma, potrei … potrei rimanere qui per il resto della notte? Ho paura a tornare fuori.”

In quel momento, anche se entrambi ne erano ignari, si era formato tra i due un legame speciale, che non si sarebbe mai spezzato. Infatti, Naruto sarebbe rimasto per ben più di una notte. >>

 

 

 

Spazio di Vivvi:

Ciao a tutti, molti di voi mi conosceranno, sono Vivvinasme, l'assidua recensitrice che da quasi due mesi a questa parte sta intasando la sezione di Naruto ^^ Comunque, questa è la prima fanfic che ho il coraggio di pubblicare, se devo essere sincera, ne ho scritte davvero tante, ma tutte sono rimaste incompiute e ora marciscono nel mio adorato pc. Questa è l'unica per cui ho avuto e ancora ho l'ispirazione, quella vera, per cui rimani tutto il giorno a scrivere. In effetti, l'idea per questa fanfic l'ho presa, come ho detto prima, da Canterbury Tales, un poema che mi ha assilato tanto durante il terzo anno di liceo da rimanere nella mia mente perennemente -.-" Comunque, nonostante tutto mi è piaciuto e questi sono i frutti (spero graditi).

Altro punto di ispirazione per la fanfic, è una storia molto piu complicata di quella prima citata, piu poetica, a volte anche rude, dolorosa ma dolce, cioè la mia vita. Infatti, nei prossimi capitoli ciò di cui si narrerà sarà, in modo molto romanzato, la mia vita da due anni a questa parte, che vorrei condividere con voi.

Soffermiamoci un poco sul perchè voglio condividere ciò che solo poche persone fidatissime sanno di me; da quando mi sono registrata su EFP ho letto tante ma tante storie, incontrando tanti di quegli autori che se ci penso mi confondo. Ma ognuno di questi mi ha saputo trasmettere, con le sue parole, qualcosa di irripetibile, ognuno mi ha lasciato un pezzo di se, che ora si trova nel mio cuore...

Vorrei lasciare anche io un angolino di me a voi lettori, sebbene già so che sarete pochi, ma vorrei che ognuno di voi estrapolasse da quello che scrivo il suo personale significato, che può essere positivo, ben venga, o negativo, e lo tenga dentro di sè custodendolo gelosamente, perchè la scrittura e la lettura sono i modi più genuini e puri di apprendere le cose, e di comunicare tra di noi, quindi vi chiedo, sebbene sia una richiesta molto egoistica, di ritagliare un pochino del vostro tempo per leggere quello che io stessa voglio comunicarvi, e che per ogni persona assumerà una sfumatura diversa.

Vi chiedo scusa, inoltre, se ho commesso qualche errore, ma sfortunatamente non ho una beta reader, ho fatto tutto da sola, potevo contare solo sul controllo grammatica di Word (che a volte, anzi, quasi sempre, fa degli strafalcioni assurdi -.-").

Infine, dato che mi sto dilungando troppo e i vostri occhi saranno già provati dalla noiosità di questo prologo, quindi non vorrei stancarvi ulteriormente (XD), voglio citare le persone che mi hanno fatto avvicinare, anche se non lo sanno, al mondo della scrittura, e che mi hanno spinta con le loro parole a pubblicare questa fanfic. Ragazze, vi cito per ultime, non perchè non siate importanti, ma perchè siete l'essenza di questa storia, e da voi ho tratto i miei personali insegnamenti, che mi hanno permesso di arrivare fin qui.

A Moonlightriver, che con la sua 'Ren's season' mi ha commossa,

A Lovy Chan, che mi ha stregata con 'Il Cantico Dei Drogati',

A DarkRose86, che mi ha fatto tremare con 'The Owl',

A Lirin Chan, che mi ha tenuta ore incollata allo schermo con 'Cold Hell',

A Rekichan, a cui deve andare un ringraziamento speciale per le giornate nere in cui riuscivo a risollevarmi solo grazie alle sue innumerevoli storie, una più bella dell'altra. Rekichan, non smetterò mai di dire che hai un talento mostruoso, grazie per aver scritto, tra le tante, 'Confessioni di Un Normale Ragazzo Omosessuale', è una delle storie più belle che abbia mai letto, ed è una di quelle che mi ha spinta a pubblicare la mia, sebbene non arrivi mai ai tuoi livelli.

A Sarhita, lei che è cosi simile a me, lei che, con 'Inspiration' e 'Arigatou...', mi ha fatto passare tante ore felici a leggere le sue bellissime parole. Lei è una delle mie autrici preferite, lei è riuscita a farmi scrivere dei papiri assurdi come recensioni, lei è persino riuscita a farmi piangere e tremare mentre scrivevo, è riuscita indirettamente a spronarmi a fare di più, a lavorare giorno e notte incessantemente su questa fanfiction, fino a pubblicarla, nella speranza che magari ci butti l'occhio e la legga, e mi lasci una recensione, come io ho fatto tante volte con lei. Lei è Sarhita, è bravissima e la ringrazio per tutto quello che ha fatto.

E infine, la più importante, Chartraux. 'Memories', questo è il nome della prima storia che ho letto, questo è il nome di quel capolavoro, non ancora finito, da cui ho tratto tutto, su cui ho pianto, riso, amato, odiato. Vorrei dirti grazie, Chartraux, ma sento che non è abbastanza. Perchè quello che mi hai trasmesso con Memories, è qualcosa di incommensurabile, io posso solo sognare di mandare qualcosa del genere ai pochi intraprendenti che leggeranno la mia storia, e posso solo sognare di arrivare a scrivere come te. I personaggi della tua storia, la sua trama, sono stati oggetto dei miei sogni per tante di quelle notti, pensavo così tanto a come sarebbe potuta andare a finire che mi ritrovavo a sognarlo (pensa come sono messa XD), e per questo voglio dirti grazie, sarai sempre nel mio cuore, le tue parole sempre nella mia mente. Grazie, Chartraux.

 

Voglio ringraziare ancora una volta tutte voi, e tutti gli altri autori che ho avuto la fortuna di incontrare durante le mie innumerevoli letture, e specifico che non conosco personalmente nessuno di loro, quindi se vi dispiace che vi abbia citati nella mia fanfic comunicatemelo, e provvederò a rimuovervi.

Quello che spero, pubblicando la storia, è di ottenere un pizzico della soddisfazione che voi autrici provate quando noi lettrici recensiamo, e mi piacerebbe tanto ricevere delle recensioni delle stelle della classifica dei 20 recensori (di cui sono quinta u.u), come Ryanforever, che è sempre prima di me e che ritrovo sempre quando commento una storia.

Spero che il prologo vi sia piaciuto comunque, non so dirvi precisamente quando aggiornerò, non sto molto a casa ultimamente, perchè sono stata male per tre mesi e devo recuperare tutto ciò che non ho potuto fare in quel periodo. Scusatemi se dovessi aggiornare tardi, e perdonatemi se il primo capitolo è noioso, vi prometto che i prossimi saranno bellissimi >.< (certo come no asd)

Bhè, non mi resta che dirvi, alla prossima! Vivvi.

*Tidus-Final Fantasy X


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Capitolo 2
*** Konohamaru. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.

 


Silenzio.

Harry poteva di rado ritagliarsi momenti della giornata in cui la totale assenza di rumori gli permetteva di rilassarsi. Tutto ciò per colpa dell’infinita serie di litanie e monologhi assurdi che Naruto gli regalava ogni giorno, evidentemente ignaro che Harry, essendo occupato nel pulire la locanda e servire i clienti (anche se quest’ultima era più che altro una scusa, data l’esigua affluenza dei pellegrini, notevolmente diminuita durante gli anni), ascoltava non più del 20% dei suoi discorsi.

Ma l’oste, nonostante tutti i suoi difetti, non poteva fare a meno di essere affezionato a quel vortice biondo che da dieci anni a quella parte aveva invaso la sua vita, rendendola colorita e vivace; e, anche se non lo ammetteva, Harry aveva estremamente bisogno di quel ciarlare infinito che riempiva le sue orecchie tutto il giorno, e di quell'inesauribile allegria che riusciva a contaminare anche l’essere umano più schivo e scorbutico. E poi stava lentamente rendendosi conto che Naruto gli era assai utile per mandare avanti la locanda; quando i pellegrini facevano la loro usuale sosta alla locanda, prima e dopo la visita alla cattedrale di Canterbury, il principale narratore di storie era proprio il biondino, che riusciva ad intrattenere tutti con un solo sorriso.

Naruto conosceva tutte le tradizionali storie inglesi, anche le più antiche e sconosciute, e a volte, durante le serate più vivaci, riusciva ad inventarne di nuove, sempre diverse ed originali. I suoi racconti avevano il potere di far rimanere di stucco l’intero pubblico, compreso Harry, il quale, nonostante ne avesse ascoltati innumerevoli, non poteva fare a meno di incantarsi ad ogni nuovo frutto della sua non trascurabile fantasia, mentre riempiva i boccali di birra, che inesorabilmente cominciavano a traboccare, ignorati dall’oste.

Naruto era un abilissimo narrastorie, ma Harry sapeva che c’era una storia che non aveva mai raccontato a nessuno, ed era quella della sua vita.

Quando il ragazzo era arrivato alla locanda, Harry aveva notato subito che, nonostante a volte lo assordasse blaterando per ore, era molto restio a parlare di sé. Le poche cose che, durante quei dieci anni di convivenza, era riuscito a cavargli di bocca, riguardavano i suoi primi otto anni di vita, o meglio, quello che riusciva a ricordarsi; della sua permanenza in Giappone Harry aveva solo una foto sbiadita, illuminata da un sorridente Naruto quindicenne che teneva il braccio sulla spalla di un ragazzo alto che aveva pressoché la sua età.

Harry aveva trovato quella foto sul letto di Naruto, una mattina di cinque anni prima, quando era entrato in camera sua per portargli la biancheria pulita e il ragazzo era in bagno a lavarsi. Incuriosito, l’oste aveva domandato del ragazzo che Naruto stringeva in foto, ma il biondino aveva reagito malissimo, strappandogli il vecchio brandello di carta di mano e chiudendosi in un doloroso silenzio per quasi una settimana.

Quello che Harry non aveva potuto fare a meno di notare nella foto, non era tanto il misterioso ragazzo moro dallo sguardo distaccato, ma gli occhi di Naruto, che erano accesi di una luce strana, che non aveva mai visto; erano enormemente felici, intrisi di un sentimento capace di attraversare l’anima. Fu proprio in quel momento che Harry si accorse della falsità che traspariva da ogni gesto o sorriso del ragazzo.

Naruto era sempre allegro e sorridente, e questo bastava a conquistare i cuori dei suoi ascoltatori, ma in realtà, ben celate dietro quel sorriso smagliante, c’erano un’immensa angoscia e paura, che riempivano i suoi occhi azzurri, velandoli d'incertezza.

Tutti infatti affermavano che lo sguardo di Naruto brillasse, ma solo Harry si era accorto che quel brillare era in realtà un mezzo di difesa, come la bioluminescenza usata dalle vipere di mare per spaventare i predatori o addirittura attirare prede.

L’oste non aveva mai fatto parola con Naruto di quello che era riuscito a capire, ma da quando Harry aveva visto la foto, il ragazzo sembrava sforzarsi ancora di più per mostrare a tutti il suo bellissimo, ma falso, sorriso; Harry però aveva notato che a volte Naruto non riusciva a celare il suo dolore, e allora si chiudeva in camera per un giorno intero. Questo, capì l’oste dopo qualche tempo, accadeva una volta ogni anno, precisamente il venticinque di Luglio. Quando quel fatidico giorno arrivava, Naruto non scendeva neanche per mangiare, al punto che Harry doveva portargli i pasti in camera, riuscendo a godere della sua presenza solo per i pochi istanti in cui gli consegnava le pietanze.


Un rumore lo riscosse dai suoi pensieri.

Harry si guardò intorno, non senza una leggera preoccupazione. Era il venticinque Luglio, e, come al solito, di Naruto non c’era traccia. L’assenza del suo solito russare suggeriva ad Harry che il ragazzo era ben sveglio, sicuramente steso sul letto a guardare il soffitto, pensando a chissà cosa.

L’oste concluse che la causa di tale rumore fosse stato proprio Naruto, e si alzò per cominciare a pulire il bancone, sperando nell’arrivo di qualche cliente. Il fatto era che i pochi pellegrini che frequentavano la locanda erano sempre gli stessi, e, dopo anni, avevano cominciato a notare l’assenza del migliore narrastorie, Naruto, che si prolungava per l’intera giornata, proprio ogni venticinque di Luglio; quindi la maggior parte evitava di recarsi al << The Hungry Lion >>, anche solo per bere qualcosa.


Harry si asciugò le piccole gocce di sudore sulla fronte con aria soddisfatta, osservando il proprio riflesso appena accennato sul bancone lindo.

“Ora ci vuole un bel boccale di birra fresca …” disse a se stesso Harry, che cominciava ad accusare una certa sete.

Non ebbe modo di terminare la frase, che la pesante porta della locanda si aprì, rivelando un giovane ragazzo che non aveva mai visto prima. Lo sconosciuto entrò con passo titubante, mostrandosi così ad Harry in tutta la sua interezza: era alto poco meno di Naruto, ma molto più magro. Le maniche della giacca di pelle che indossava erano arrotolate al gomito, e rivelavano gli avambracci asciutti ma sodi. Ma ciò che saltò subito all’occhio attento di Harry non furono gli stretti pantaloni di pelle che gli fasciavano le gambe, bensì la strana fibbia che adornava la cintura; rotonda e di colore arancione, era decorata con una faccina arrabbiata che dava un tocco di allegria all’altrimenti cupo abbigliamento dell’ignoto ragazzo.

Harry ne osservò il volto: i lineamenti ancora acerbi e morbidi suggerivano che aveva da poco superato l’adolescenza, ed un’ancora acerba maturità adornava gli occhi di un intenso color cioccolato, dalla caratteristica forma orientale; i folti capelli castani erano raccolti in alto da una larga fascia blu, facendolo somigliare ad un famoso rocker.

Il ragazzo fece per parlare, ma prima che potesse emettere un qualsiasi suono, un forte rumore di passi che calpestavano impetuosamente i gradini spezzò il silenzio.

“KONOHAMARU!”

Nell’urlare quello che Harry comprese fosse il nome del moro, Naruto sfrecciò a velocità supersonica verso il ragazzo, che s’illuminò in uno splendido sorriso, ricambiando il forte abbraccio che intanto il biondino gli aveva regalato. Rimasero allacciati l’uno all’altro per quelle che a Harry parvero ore, finché, ridendo, Konohamaru disse:

“Non mi sembra vero di averti finalmente trovato, Niichan!”

Harry non aveva compreso il significato dell’ultima parola, immaginò fosse giapponese, ma dal modo in cui Naruto intenerì la sua espressione, capì che era un nomignolo che i due usavano spesso, e non poté evitare di sorridere anche lui, come stava facendo in quel momento Naruto. Il suo sorriso era sereno, sincero; un sorriso che poche volte Harry aveva visto sul suo volto.

“Konohamaru … Cosa – cosa ci fai qui?!” Domandò Naruto con la voce rotta dall’emozione.

“Come sei cambiato, Naru-chan …” S’interruppe, nascondendo in malo modo le lacrime, che timide stavano cominciando a scendere lungo le guance rotonde: “Sei quasi un uomo ora … Io -”

“Konohamaru, non piangere, sono felice anch’io di vederti!” Naruto cercò di consolarlo, ricominciando però a tartassarlo di domande: “Come hai fatto a trovarmi qui? Come va? Cosa ti è successo in tutti questi anni? …”

Konohamaru non riusciva a tenere testa al fiume di interrogativi che ora usciva dalla bocca del biondino, così disse, con voce ferma:

“Naru, parleremo di tutto questo dopo, ora, quello che voglio sapere, è perché te ne sei andato.”

Il moro era cosi deciso ad ottenere le sue risposte che sul volto di Naruto il sorriso scomparse, sostituito dalla consapevolezza che era finito il tempo dei convenevoli, e che ora doveva affrontare la parte più difficile della conversazione, quella per cui aveva evitato tutti i suoi amici del Giappone, che avevano spesso chiesto di lui.

“Va – va bene, sediamoci.”

In quelle parole Harry percepì una fermezza d’animo che non aveva mai visto in Naruto, che ora, invece del solito ragazzo ciarlone e vivace, sembrava un uomo maturo e formato.

Konohamaru lo guardò con apprezzamento, misto a paura per ciò che avrebbe potuto rivelargli il suo vecchio amico, e si accomodò su una sedia insieme a Naruto.

In quel momento Harry seppe che Naruto stava per raccontare la storia più lunga ed emozionante di tutte, una storia che non aveva mai narrato neanche a lui, quella della sua vita.

 

Spazio di Vivvi:

 

Eccomi qui con il nuovo capitolo.

Avevo avvisato che ci sarebbero potuti essere dei ritardi, ma oggi mi è presa l'ispirazione suprema (u.u) e ho scritto tutto il capitolo in una giornata (sperando che nonostante tutto mi sia uscito qualcosa di buono).

Ma passiamo subito alle recensioni! Devo essere sincera, quando ho letto che avevo solo una recensione mi sono subito ricreduta sulla pubblicazione di questa storia, e stavo già cadendo in depressione XD però quando ho letto il nome troneggante sullo schermo, non ho potuto fare a meno di ringraziare quella bravissima recensitrice che è Ryanforever.

Non posso dire che mi aspettassi che tutte le persone che ho citato nel prologo potessero recensire, ma neanche che Ryanforever in persona scrivesse un commento cosi lungo a questa schifezza *-* quindi GRAZIE.

E poi, quando ho letto quel papirone della recensione di LaGrenouille, mi sono commossa, e ho riso fino a piangere XD GRAZIE mille anche a te.

E ora, risponderò a tutte le vostre domande u.u (Ma quali domande?ndNaru ; Uffa devi sempre rovinare tutto >.< ndMe ; Ma quando mi date una parte nella storia?!?! Io sono un Uchiha, non potete sottovalutarmi così!! >_> ndSasu ; Eheheheh, arriverà la tua parte tranquillo u.u ndMe *si eclissa*)

Ryanforever: Bhè, che tu saresti stata la prima a recensire non c'era dubbio, sei sempre la prima ^^ Grazie per i complimenti, non sento di meritarmeli, però mi hanno dato la spinta finale a continuare la fic, grazie mille. E scusa per l'errore dell'HTML, ma sono un pò arrugginita con questo linguaggio, e mi ero dimenticata di mettere lo spazio tra una virgoletta e l'altra -.-" (Sisi, ammettilo che non sei buona neanche a scrivere asdasdasd ndSasu ; Smettila, Temeee!! ndNaru ; Solo perchè a te ha dato la parte prima non vuol dire che devi difenderla, usuratonkachi >.> ndSasu ; TEMEEEE >.< ndNaru ; Zitti, fatemi continuare!!!!! :@ ndMe ; Ok..... ndSasuNaru) Io spero che questo capitolo ti abbia messo ancora più curiosità, perchè l'effetto che doveva provocare è questo XD Maaaa era sottinteso che ci saresti stata anche tu come recensitriceeee, tu sei sempre la prima ^^ E poi spero che riuscirai a leggere anche questo capitolo, perchè è noiosetto anche questo eh XD Ma ti prometto che nel prossimo inizierà la vera storia, lo giuro ^^ Un bacione, e grazie ancora per la tua bellissimissima recensione!!!

LaGrenouille: Oddio non so da dove iniziare cara! Quindi ho deciso che farò anche io un elenco, scusa se ti copio l'idea XD Allora partiamooo!

Ichi: Wa abbiamo lo stesso vizio o.o anche io vado sempre a vedere le pagine delle mie colleghe recensitrici, compresa la tua! XD Comunque si sono uscita dal mio guscione, anche se un pò timidamente, spero che per questo capitolo ci siano recensioni belle come la tua e quella di Ryanforever!

Ni: Guarda, in questa storia delle 'Canterbury Tales' non serve sapere più di tanto, perchè ho preso pochi elementi, l'ambientazione e l'oste, per esempio il nome della locanda non è 'The Hungry Lion'! Devo ammettere che non lo so, nonostante di questo poema sappia tutto, e dico tutto. (XD)

San: Sembrerà una scusa detta cosi, ma l'effetto che volevo fare era proprio quello di ingannare chi legge, scegliendo un lessico ricercato all'inizio, per far credere che l'ambientazione sia medievale o giu di li, e poi specificando che ci si trova nel 2000, tutto per movimentare un pò il prologo già di per se molto noioso a mio avviso, quindi non ti preoccupare, non sei tu la scema, ma io che non ho saputo trasmettere quello che volevo! XD

Yon: Si, infatti Naruto è anche abbastanza OOC. Mi piace da morire la sua personalità, e sto cercando di cambiarla il meno possibile, ma essendo una AU non posso farne a meno T.T (eheheheh dillo dillo sono figo qua! U___u ndNaru ; SISI Naru aspetta di vedere me, quando farò la mia comparsa tutti getteranno petali di rose al mio passaggio U.U ndSasu O_____o ndTutti)

Go: Sei davvero attenta come lettrice, in un solo capitolo sei riuscita a trovare il mio difetto peggiore (non che ci volesse tanto -___-""" ndSasu ; Ma tu sei sempre cosi simpatico?!?!^.^ ndMe) , i periodi e le frasi troppo lunghe! Mammamia, mi odio perchè mi dilungo sempre, però stavolta volevo esprimere la tensione dell'oste, perchè io quando sono tesa tendo a straparlare, e ammetto che non si capisce perchè non è per tutti cosi, quindi perdonami per questo errore T___T spero che il capitolo ti sia piasciuto comunque!

Roku: La voglia me l'avete fatta tornare tu e Ryanforever che avete recensito ^^ Grazie mille dell'incoraggiamento, non me lo merito per quanto è brutta questa storia T.T (Finalmente ammetti l'evidenza. ndSasu ; Zittooooooooooo!!!! %$£&!? ndMe ; Tzè >.> ndSasu) Però grazie, non finirò mai di ringraziarti!

 

Bhè, ho finito! Grazie ancora a Ryanforever e LaGrenouille che hanno recensito, a Viba e Wrong che hanno inserito la storia tra le seguite, sebbene non abbiano commentato, e ai 54 impavidi che l'hanno letta o.o

Un bacione, alla prossima!

Vivvi.

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Capitolo 3
*** Memories. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.

A Sarhita, perchè il mondo delle fanfiction è capace di unire le persone,

e le tue storie sono capaci di entrarmi nel cuore.

 

“Quelli che stai guardando sono ricordi. […]

Senza questi ricordi lasciamo il destino del nostro mondo al caso.” *


L’aria era ferma, carica di tensione. L’unico rumore all’interno della stanza era il ticchettio dell’orologio da parete che ricordava ai presenti lo scorrere sempre troppo lento del tempo.

Ali che sbattono, zampe che morbide si posano sul davanzale.

Un uccellino osservava la pittoresca immagine all’interno: vi erano tre persone apparentemente immobili, il volatile riuscì a capire che erano vive solo per l’impercettibile movimento causato dal processo di respirazione umana; in fondo lui ne aveva visti di umani, durante le sue migrazioni. Aveva incontrato persone di tutti i tipi, e da quello che riusciva a ricordare, tutte avevano la strana abitudine di aprire e chiudere la bocca per mangiare. Eppure a volte da quegli strani brandelli di carne uscivano dei suoni, diversissimi dall’abituale pigolio dei suoi compagni. Si chiese per quale motivo, invece, le tre figure che aveva davanti non lo facessero. Che non fossero umani?

Si diede una forte spinta con le zampe, e spalancando le ali volò via, lasciandosi quei difficili interrogativi alle spalle; sin da piccolo era stato abituato a temere gli umani, specialmente quelli vestiti d’erba, che spesso frequentavano le foreste armati di strani cilindri scuri. Proprio quei cilindri che erano stati causa della morte dei suoi amici.

Un lontano cinguettio infranse il denso silenzio nella locanda.

Tutti i presenti sembrarono riscuotersi dal profondo tepore donatogli dai meandri della loro mente. Erano passati pochi secondi da quando Konohamaru, con voce ferma, aveva intimato a Naruto di dirgli tutto riguardo al suo passato. Erano passati pochi secondi da quando, cambiando completamente espressione, Naruto aveva accettato e si era seduto per raccontare la sua storia. Erano passati pochi secondi, ma ad Harry sembrava un eternità. Era inquieto, ansioso di sapere quello che il suo vecchio amico e convivente non gli aveva mai voluto dire, anche se dentro di sé si sentiva un estraneo di fronte al profondo legame tra Naruto e Konohamaru. Era come se quei dieci anni non avessero significato nulla, per Naruto. Più Harry lo guardava, più osservava il suo sguardo serio e la sua strana espressione, quasi sofferente, e più si convinceva che in realtà quello che aveva condiviso con lui consisteva in una manciata di momenti allegri, seguiti da un mare di finzione. In passato, dopo l’episodio della foto, aveva creduto di comprenderlo nella sua essenza, ma solo in quel momento conobbe la verità.

Harry aveva solo sfiorato la punta dell’iceberg. Tutto il resto, l’enorme massa di ricordi, si trovava sott’acqua, sotto uno strato resistente di dolore, falsità, incomprensione, che Naruto aveva imparato a costruire intorno a sé.

Notando la crescente esitazione del ragazzo, Harry aprì la bocca per incitarlo ad iniziare, ma un’occhiata di Konohamaru lo zittì. L’oste rimase sconcertato dalla profondità di quello sguardo; avrebbe voluto ribattere, chiedere il motivo di tale tentennamento, ma a poco a poco riuscì a vedere. Il dolore. Era ciò che riempiva gli occhi dei due ragazzi. Era come un albero dalle più solide radici, che, profondamente insinuato dentro di loro, corrodeva sempre di più il loro animo, saturandolo di oscurità, di rancore, di amarezza.

Fu allora che Harry comprese veramente. Quello che Naruto stava per raccontare era rivolto anche a lui, era l’intera storia della sua vita.

“Konohamaru, perdonami.” Disse finalmente Naruto, in un soffio. “Spero che non me ne vorrai se comincio dall’inizio.”

Konohamaru rimase per un attimo interdetto, ma sembrò capire, e diede il via libera al suo amico con un cenno della mano. In quel momento, forse troppo interessato a quello che stava per dire Naruto, Harry non si accorse della fragile lacrima che aveva cominciato a scendere lungo le guance di Konohamaru.

Ne avrebbe realizzato il motivo troppo tardi.

Una voce roca lo distolse dai suoi pensieri: “Harry, devo avvertirti. Quello che sto per dire non è bello né felice. Non ha nulla a che vedere con i miei racconti a lieto fine.”

Naruto trasse un lungo respiro, prima di continuare, con voce più decisa: “In realtà, non so neanche cosa sia, il lieto fine. Ti prego, però, di non interrompermi mai. Per me è difficile parlare di certe cose, soprattutto davanti a Konohamaru.”

Mentre pronunciava il suo nome, gli rivolse uno sguardo triste, e carico di significato.

“Forse quando avrò finito mi odierai, ma sappi che se ora sono un uomo è anche grazie alle mie esperienze passate …”

Harry non capì appieno quello che Naruto gli aveva appena detto; ma era certo che non avrebbe mai, per nessun motivo, potuto odiare quel bel ragazzo dagli occhi di zaffiro che aveva davanti.

 

Non bisognerebbe mai essere completamente certi di qualcosa, altrimenti, scoprendo che le proprie sicurezze sono solo effimere illusioni, si finisce per rimanere scottati.

 

Tokyo. 1 Aprile 1983.

L’aria fresca del mattino coglieva di sorpresa i petali rosa, che si lasciavano trasportare dalla brezza compiendo il loro ultimo viaggio, per poi cadere a terra aggiungendosi al soffice tappeto che quel giorno ricopriva le strade di Shinjuku.

L’Hanami, ovvero la tradizionale fioritura dei ciliegi giapponesi, era vista dalla maggior parte degli abitanti di Tokyo come una lieta festività, durante la quale potersi rilassare sotto l’ombra creata dalle bellissime chiome rosee e ammirare il magnifico spettacolo. Alcuni allestivano persino dei picnic nei parchi più affascinanti della città, come quello di Ueno, il più gettonato. Infatti, le prenotazioni per accaparrarsi un brandello di terra sotto i mirabili ciliegi in fiore iniziavano addirittura da Gennaio.

Vi era, però, una modesta fetta di abitanti per cui l’Hanami era come una maledizione, un giorno che tutti disdegnavano e che arrivava sempre troppo presto: gli studenti di Tokyo. Infatti, l’anno scolastico iniziava proprio nel periodo della fioritura dei ciliegi, e con l’inizio del trimestre cominciavano anche gli odiati esami d’ammissione.

L’inquietudine che in quel periodo dilagava tra il popolo studentesco era rappresentata in pieno dal gruppo di ragazzi che si affollavano davanti alla scuola media più importante di Shinjuku, il

≪Jinmu Institute≫.

Il ≪Jinmu Institute≫ era una di quelle scuole prestigiose, a cui si poteva accedere solo se si possedeva uno dei due requisiti: avere un gran cervello, oppure essere figli di qualche ricco magnate locale. Il secondo era il motivo grazie al quale la maggior parte degli studenti era riuscita ad entrare; infatti erano pochi i ragazzi i cui voti alti erano solo frutto dell’intelligenza e dell’impegno.

La scuola era molto famosa in Giappone, tanto che era frequentata anche da studenti provenienti da Osaka, o addirittura dalla settentrionale Aomori. Eppure, le voci circolavano, e chiunque frequentava i sobborghi di Tokyo sapeva di quanto il ≪ Jinmu Institute ≫ fosse popolato da bande di teppisti; la maggior parte erano solo semplici vandali, i cui reati non andavano più in la di qualche scritta offensiva sui muri, ma alcuni riuscivano ad incutere timore a chiunque udisse pronunciare il loro nome, perché rei di spregevoli atti contro gli studenti più deboli. Gli alunni più anziani evitavano di farne parola, ma qualche anno prima le frequenti risse avevano provocato la morte di uno studente, Obito Uchiha, un quattordicenne che, per difendere un suo amico, era stato pestato a sangue.

Numerosi ragazzi facenti parte della banda erano figli di ricchi imprenditori locali, e la vicenda era stata abilmente insabbiata, tanto che i responsabili frequentavano ancora la scuola, avendo ricevuto come unica punizione una bocciatura.

“NARUTO!” Urla in lontananza, sembravano femminili.

“Mmh … No … Adesso sparecchio …” Gemette in risposta.

“MA QUALE SPARECCHIO E SPARECCHIO! SONO QUARANTA MINUTI CHE TI STO CHIAMANDO, TI VUOI PREPARARE?”

La mente del ragazzo avvoltolato sotto il lenzuolo registrò solo due parole della frase urlata dalla zia: ‘quaranta’ e ‘preparare’. Nei due minuti che seguirono, rimase immobile, spremendosi le meningi per cercare di capire il nesso tra i due vocaboli; quando finalmente capì che, come al solito, era in ritardo, con uno scatto felino si alzò dal letto, ma era avvolto cosi stretto tra le lenzuola, che il suo rapido movimento ebbe l’effetto di farlo inciampare e cadere con il muso sul pavimento freddo.

“Ahi …” mugugnò, simile ad un bozzolo. Il suo sguardo cadde inevitabilmente sul calendario coperto, chissà come, da un paio di boxer arancioni.

“Ah, meno male, è ancora il 31 Marzo …” Disse, liberandosi dalle coperte e maledicendo la sua decisione di mantenere il letto all’occidentale nonostante vivesse in Giappone da quattro anni.

“No, Naruto caro, oggi è il primo Aprile.”

Naruto sussultò, udendo quelle parole intrise di un’inquietante calma. La proprietaria della ferma voce, ora appoggiata sullo stipite della porta, era una donna sulla cinquantina (anche se lei stessa odiava parlare della sua età), dal seno prosperoso, cinto da una giacca verde a mo di kimono. I lunghi capelli biondi, perfettamente lisci, erano raccolti in due code, ed esaltavano il bel viso ovale.

Si diceva che Tsunade Senju avesse una bellezza fuori dal comune, ma in quel momento Naruto vedeva davanti a sé soltanto una vecchia furiosa, gli occhi color nocciola accesi di rabbia, ma, non avendo mai desiderato una morte precoce, decise di non dire nulla.

Infatti, si bisbigliava, non senza un certo timore, che quando la donna si arrabbiava nulla poteva fermare il suo furore, e diventava più pericolosa di qualsiasi serial killer. Persino suo marito, Jiraya Hiroyuki, si trovava impotente di fronte alla sua furia.

 

Dalla tenera età di otto anni, quando aveva dovuto assistere alla morte dei suoi genitori in un incidente stradale di cui era stato l’unico sopravvissuto, Naruto viveva in Giappone, sotto la custodia della zia, Tsunade, e di suo marito Jiraya, che ormai aveva imparato a considerare come un padre. Il ragazzo non poteva lamentarsi, i suoi tutori non gli facevano mancare nulla, e gli donavano tutto l’amore che due genitori riservano al loro figlio, anche se Naruto a volte non poteva fare a meno di sentirsi disperatamente solo.

Oggettivamente non lo era.

Naruto aveva da poco terminato la scuola elementare, e a breve avrebbe iniziato le medie inferiori; era sempre stato un ragazzo socievole, e proprio questa sua caratteristica gli aveva permesso di stringere amicizia con numerosi bambini della sua età, che cominciò a frequentare tutti i giorni, fino a formare un ampio gruppo di amici che difficilmente si sarebbe sciolto.

Eppure qualcosa mancava, non riusciva a comprendere cosa. Ma, più le persone provavano a stargli vicino, più si sentiva inadatto, incompleto. Non l’aveva ancora ammesso a se stesso, ma sotto la dura corazza che si era creato con gli anni, sotto il velo sorridente che indossava ogni giorno, si nascondeva un ragazzo fragile e triste, che solo i suoi zii avevano avuto l’occasione di vedere.

Naruto soffriva di ansia e depressione.

Tsunade lo aveva scoperto un giorno di tre anni prima, quando aveva trovato il suo figlioccio di nove anni seduto a terra, che si dondolava e fissava con sguardo assente e vuoto un punto indefinito della sua stanza. Appena aveva provato a sfiorarlo, Naruto era scoppiato. Aveva passato ore intere a urlare e piangere, vomitando lacrime, parole, emozioni. Da allora il ragazzo frequentava abitualmente lo psichiatra dell’ospedale dove lavoravano gli zii, che aveva cercato con difficoltà, durante gli anni, di scavare dentro la sua mente, trovando solo oscurità e dolore.

Tsunade e Jiraya, preoccupati, avevano chiesto uno straccio di diagnosi al medico, ma avevano ricevuto solo frasi sconnesse. Lo psichiatra, Hiruzen Sarutobi, sosteneva che Naruto fosse il caso più difficile che gli fosse mai capitato sottomano; indubbiamente, era rimasto sconvolto dalla morte dei suoi genitori, cui si aggiungevano le incertezze proprie della crescita, ma c’era qualcos’altro dentro Naruto. Sarutobi credeva fosse un profondo senso di solitudine, o almeno era ciò che Naruto era riuscito a confessargli, ma non ne comprendeva il motivo, e, a quanto pare, neanche Naruto stesso.

Certo era, che le sedute cui si sottoponeva l’ormai ragazzo non erano completamente inutili. Almeno era riuscito ad aprirsi con gli zii e con Hiruzen, e, si sa, quando si ha un problema, parlarne con qualcuno è sempre un buon inizio e non può fare che bene.

Inoltre, con l’inizio del nuovo ciclo di studi, Tsunade e Jiraya erano certi che Naruto sarebbe riuscito a fare nuove amicizie, consolidando le vecchie, e quindi divertirsi come ogni ragazzo della sua età avrebbe dovuto fare.

 

Peccato che il tanto atteso inizio della scuola media fosse ormai arrivato, e Naruto era ancora, inesorabilmente, in ritardo.

Infatti, a causa del caos generale che regnava nella sua stanza, facendola somigliare ad una sottospecie di quadro impressionista, Naruto si era completamente dimenticato di cambiare mese al calendario, che era ancora fisso su Marzo.

Sfortuna volle che quel giorno, il primo Aprile, segnava l’inizio della scuola media per Naruto ed i suoi amici, ed era di vitale importanza arrivare in orario.

“Baa-chan, non mi dire che …” Gemette disperato Naruto.

Con un moto di stizza, Tsunade aiutò il figlioccio ad alzarsi, e lo spinse fuori dalla stanza, urlando: “SI, HAI SENTITO BENE, RAZZA DI RITARDATARIO CRONICO!”

Ma non aveva fatto in tempo a finire la frase, che un Naruto velocissimo già afferrava vestiti a caso, sfrecciava giù per le scale, entrava in cucina, urtava un malcapitato Jiraya, balbettava scuse sconnesse, e afferrando il bento¹ contenente il pranzo, si precipitava fuori.

“Quel ragazzo non cambierà mai …” Sussurrò malinconica Tsunade, riuscendo a stento a trattenere un sorriso.

“No, non posso, non posso arrivare in ritardo oggi, non posso, non posso …” Ripeteva come una litania Naruto, che in due minuti aveva percorso quasi l’intero isolato.

La sua nuova scuola, il ≪Jinmu Institute≫, si trovava dall’altra parte di Shinjuku, e per raggiungerla, doveva prendere la metro e un autobus.

La fortuna, però, era dalla sua parte; infatti, riuscì ad arrivare davanti all’entrata della scuola quando la maggior parte dei nuovi studenti ancora si accalcava per leggere gli elenchi delle classi.

“NARUTO! Naruto! Che bello vederti!”

Naruto si voltò con il sorriso in faccia nell’udire la voce cristallina che lo aveva chiamato.

Una ragazza correva verso di lui, sventolando la mano per salutarlo. Quello che subito spuntava all’occhio era il suo assurdo colore dei capelli, rosa acceso, che contrastava con i grandi occhi verdi, che le illuminavano il viso pallido.

“Sakura-chan!”

Sakura Haruno era la migliore amica di Naruto; era la prima persona con cui aveva stretto amicizia quando si era trasferito, quando, incuriosito dallo strano colore dei suoi capelli, li aveva tirati credendo che fosse una parrucca. L’allora bambina si era arrabbiata, ma il sorriso disarmante di Naruto le aveva sciolto il cuore, ed erano diventati grandi amici.

Naruto definiva Sakura la sua migliore consigliera. La ragazza possedeva un grande senso del tatto, e riusciva a carpire i sentimenti delle persone che le stavano vicino, anche con uno sguardo. La sua sensibilità era stata molto utile a Naruto, che non brillava certo per grazia e gentilezza, soprattutto con le altre bambine.

Il senso di vuoto che riempiva Naruto si attenuava un po’ quando era in compagnia della sua Sakura, perché lei riusciva in qualche modo a capirlo, e, anche se non aveva idea di quello che a volte gli passasse per la testa, trovava sempre le parole per consolarlo nei momenti più difficili.

“Come al solito sei in ritardo, baka².” Disse Sakura, mollando uno scappellotto sulla nuca dell’amico. Sakura era, al contrario di quanto si potrebbe pensare, molto manesca.

“Ahi … Sakura-chan, è tutta colpa di quel maledetto calendario!”

“Sì, certo. Quando imparerai ad ammettere che hai torto?!”

“Ma … Sakura-chan …” Gemette Naruto, avendo ricevuto un altro pesante schiaffo, questa volta sul braccio.

Ma Sakura si era già voltata, per correre verso un gruppo di ragazzi davanti all’entrata, che avevano osservato la scena ridendo sotto i baffi.

Naruto volse lo sguardo verso di loro, per sorridere dolcemente: quella era la prova che non era mai stato solo.

“Shika! Chouji! Kiba!”

Nell’udire i loro nomi, i tre ragazzi corsero verso Naruto e lo abbracciarono forte, felici di rivedere il loro più caro amico. Shikamaru Nara, Choji Akimichi e Kiba Inuzuka, i tre fedeli compagni di scherzi di Naruto, ne avevano fatta di strada da quando si appostavano sotto le bancarelle della frutta per rubare qualche mela. Il quartetto era quasi temuto dagli insegnanti della scuola elementare che frequentavano, perché capace di architettare le burle più strane. Il cervello allenato di Shikamaru era utile per sfornare gli infallibili piani, messi in atto poi da Kiba, Naruto e Choji, che faceva spesso da esca.

I tre ragazzi ora si apprestavano ad iniziare le scuole medie, che avrebbero segnato anche l’inizio della loro maturazione.

Naruto li osservò: erano cambiati dall’ultima volta che li aveva visti.

Shikamaru, con quella sua aria sempre annoiata, sembrava quello di sempre, ma ad una più attenta analisi era possibile notare che i capelli scuri, tenuti sempre legati in una coda alta, erano cresciuti. Gli occhi neri avevano perso un po’ della furba espressione infantile, acquistando la precoce maturità propria dei suoi dodici anni.

Kiba, invece, era completamente diverso. Il viso si era fatto più adulto, ornato da due tatuaggi rossi sotto gli occhi dorati. Naruto aveva sempre amato il colore delle iridi di Kiba, così particolari e piene d’inesauribile grinta. Un sorriso ora gli illuminava il viso, contornato da un’indomabile zazzera castana; i denti perfettamente bianchi erano affilati, facendolo somigliare, secondo Naruto, quasi ad un cane.

Choji, dovette ammettere con un leggero tremore, era più grasso di prima. Si guardò bene dal dare voce ai suoi pensieri; Choji odiava quando gli si dava del ciccione, e riusciva a diventare molto aggressivo. Però, oltre ad essersi allargato, si era anche allungato: era alto quasi come Kiba, ora. Anche i lunghi capelli castani erano cresciuti, fino a sfiorare il fondoschiena. Naruto gli sorrise, e lui allargò le guance paffute.

Tutti i pensieri negativi che ogni tanto spuntavano nella sua mente sparirono; dopotutto, lui non era solo.

Aveva degli amici fedeli come loro, e non ne avrebbe mai fatto a meno.

A questo pensava, mentre si preparava a varcare la soglia della sua nuova vita, insieme alle persone cui voleva più bene, correndo incontro al destino mano nella mano con loro.

 

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*Albus Silente-Harry potter e il Principe Mezzosangue

¹ - Bento: Tipico contenitore giapponese per il pranzo, utilizzato perlopiù dagli studenti.

² - Baka: Stupido.

 

Spazio di Vivvi:

 

Ciao a tutti! Eccomi qui con il nuovo aggiornamento!

Innanzitutto ringrazio tutti quelli che hanno anche solo aperto questa storia, e poi volevo avvisarvi: ho deciso di allungare la fic. Inizialmente era nata per essere formata da 3 capitoli, ma vi sarete accorti che in questo capitolo non è che succeda granchè, è un'altra introduzione per capire meglio gli eventi che seguiranno, spero che lo abbiate apprezzato comunque!

Perciò i capitoli saranno minimo 6 ^^

Poi, un'altra cosa: il rating potrebbe subire variazioni, non è detto che non decida di alzarlo, perchè i temi che tratterò non sono per niente leggeri.

Ero davvero in difficoltà sulla modalità in cui descrivere il passato di Naruto, ma ho optato per una terza persona, in cui sono descritti vari punti di vista. E' naturale che Naruto non è onniscente (Vorrei chiedere una cosa... ndNaru ; Si? Ti è piaciuto questo capitolo, vero? ndMe ; Si...ma...che significa Onniscente? O.o ndNaru ; Significa che sai tutto, baka. ndSasu ; =_______= ndMe), quindi ci saranno dei punti in cui non si capisce bene l'andamento della storia, perchè neanche lui lo capisce, e alcuni in cui gli eventi vengono addirittura descritti da altri punti di vista, tutto questo perchè Naruto è a conoscenza dei pensieri dei suoi amici in quel momento.

Mi scuso per la mia insicurezza nei capitoli precedenti, ma grazie alle bellissime recensioni che mi avete lasciato ora sono molto più motivata ad andare avanti e devo dire che un pochino questo capitolo mi è piaciuto! (è un brutto segno?! ditemelo voi XD)

Una cosa che capirete più avanti, ma che voglio subito mettere in chiaro: mi dispiace per i fan di Gaara che leggeranno questa storia! Capirete perchè... (muahahahaha adoro tenervi sulle spine u.u ndMe ; Guarda che non ce ne frega niente di quello che dici. ndSasu ; Ma...ma...che crudeltà T_____T ndMe)

Va bene, ora, partiamo con le risposte alle recensioniiiii!

Sarhita: Tesoro *-* non puoi capire quanto mi ha fatto piacere leggere la tua recensione! Sei troppo dolce, mi hai fatta commuovere con le tue bellissime parole!

Come ti ho già detto, non devi ringraziarmi, e poi, spero che apprezzerai questo capitolo, che dedico a te, perchè ho pensato a te e alle tue stupende parole mentre lo scrivevo! (che sdolcinata -.-""""" ndSasu ; TEMEEEE stai zitto è cosi carina ^.^ ndNaru ; OOOOOhhh Naruto grazie ^^ ndMe)

Certo, mi rendo conto che non è cosi orrenda come pensavo, ma definirla un capolavoro è un pò troppo, non trovi? *me arrossisce*

Non ho parole, la sto rileggendo per la centesima volta e ogni volta mi commuovo T.T

Comunque grazie di tutto, Sarhita. Se vado avanti a scrivere è anche grazie a te. Spero di non averti delusa con questo capitolo, ho dato il meglio di me! Fammi sapere presto cosa ne pensi, è importantissimo il tuo parere per me!

Un bacione, sono ansiosa di leggere la tua recensione, Vivvi.


Ryanforever: Ehi, mi fa sempre piacere ricevere le tue bellissime recensioni! E, come vedi, ho pubblicato anche il terzo capitolo, cosi scampo alla morte per mano tua u.u

Don't worry, anche se recensisci per seconda il primato è sempre il tuo, è incredibile, e mi chiedo come fai a recensire sempre per prima le storie che voglio commentare io XD Però mi piace vederti sempre sotto il mio nickname, mi fai compagnia ^^ Oddio sto dicendo cose senza senso, scusami... (Ecco, meno male che te lo dici da sola -.-" ndSasu ; evito di risponderti. ndMe)

Anche se il tuo desiderio di sapere cosa è successo a Naruto non è stato del tutto appagato, spero che questo capitolo ti sia piaciuto comunque, perchè da un'impronta generale per capire come si svolgeranno i fatti (o almeno spero di averla data XD)!

Grazie per i complimenti, cara, sono sempre graditi ^^ Un bacione, aspetto anche la tua recensione!

Wrong: Ciao, vedi hai recepito l'invito implicito a commentare u.u No, scherzo, grazie mille di avermi lasciato una tua opinione, significa tanto per me! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, l'ho fatto più lungo proprio per te!

Il moro con i capelli a culo di gallina ancora non c'è, ma spero che continuerai a leggerla comunque ^^ Un bacione!

LaGrenouille: Oddiooo le tue recensioni sempre più lungheee sono pane per i miei denti u.u Comunque sì, io sono nata per stressare il mondo intero u.u Scherzo, lo so sono stata parecchio assillante nello scorso capitolo, è che, l'avrai capito, sono profondamente e disperatamente insicura, ma con la tua recensione mi hai spronata ad 'uscire dal guscio', per citarti spudoratamente XD

Il tuo paragone è abbastanza macabro, ma me ne ricorderò semmai dovessi fare dei ritardi! XD

Comunque non so perchè, ma ti ci vedo come poliziotta cattiva u.u Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero in questo di aver dipanato un poco dei tuoi numerosi dubbi XD Come ho gia detto, ero tanto indecisa sul modo in cui descrivere la vita di Naruto, e ho optato per questa terza persona, la storia vera è quella che ora sta raccontando, ma ogni tanto si tornerà al presente, con opprtune segnalazioni.

E, tranquilla, si narrerà anche degli anni in cui Naruto è stato alla taverna, però leggi con attenzione questo capitolo, perchè è la chiave per capire ciò che accadrà dopo, poi non mi venite a dire che non capite perchè si comportano cosi i personaggi u.u (se non lo capiscono è perchè tu non lo spieghi, baka ndSasu ; Ma ti vuoi stare zitto??? La mia era una battuta -.- ndMe >.> ndSasu ; Vivvi ti voglio beneeeee ^.^ ndNaru ; *____* grazie!! anche io <3 ndMe)

Harry è il fulcro della storia, la sua vera personalità verrà fuori più in seguito, precisamente alla fine, dove dovrà prendere una decisione da cui dipende tutto, quindi bisogna aspettare la fine per leggere del rapporto tra lui e Naruto, anche se nel primo capitolo ho cercato di dare un'infarinatura!

Ahahahahaha XD Neanche a me piacciono eccessivamente i nomignoli, però dovevo mettercelo, rispecchia alla perfezione il rapporto quasi di fratellanza di Konohamaru e Naruto ^^

E in questo capitolo ho cercato di essere meno prolissa nelle battute u.u Spero ti sia piaciuto!

Scherzi a parte, grazie mille per la recensione. E' servita a tanto, mi ha spronata e sbloccata. Grazie mille <3

.......Rekichan: Oddio, mi stava venendo una sincope quando ho letto il tuo nickname tra le recensioni! Ti giuro non volevo crederci!

Non esagero quando dico che sei il mio idolo! Ed è per me un grandissimo ,enorme onore leggere una tua recensione!!! Adesso sono in ansia perchè ho paura che questo capitolo non ti sia piaciuto, spero di si, significherebbe tantissimo per me.

Comunque, sono contenta che Harry ti piaccia, ho cercato di caratterizzarlo al meglio, anche se alla fine della storia verranno dati più indizi sulla sua personalità.

E, per il fatto dei termini parrucconi (XD), neanche io li amo, ma non volevo fare troppe ripetizioni, è un mio difetto, quindi ho dovuto sacrificarmi per metterne qualcuno. Comunque in questo capitolo ho evitato, spero che ti piaccia!

Grazie della recensione, sono davvero entusiasta! Grazie mille, e spero di non averti delusa!

Mi raccomando, commenta anche questo capitolo!

Un bacione,

Vivvi.

Volpetta: AAAAA finalmente hai capito che potevi scrivere qualsiasi cosa!! Sappiate che Volpetta è mia sorella, e si vergognava di recensire XDXD Vedi, non è successo niente! La fanfic doveva piacerti per forza, l'ho scritta io u.u (siiiiiii, è bellissimaaaaaa!! ndNaru ; ma grazie, Narutooooo!! ndMe ; tzè, fa schifo. ndSasu ; T_________T ndMe)

Il moro spunterà tra un pò, vedi di commentare anche questo capitolo! Ciao.

 

 

Ok, finite le recensioni, voglio ringraziare le 110, e ripeto 110 Bellissime persone che hanno letto la fanfic ^^ Ringrazio anche tutti quelli che hanno recensito e che recensiranno, e anche Fay86, LaGrenouille, Sarhita, Ryanforever, rekichan, Viba e Wrong che l'hanno inserita tra le seguite,  e ancora Sarhita e Nitronie che l'hanno inserita tra le storie da ricordare, e infine Volpetta che mi ha inserita tra gli autori preferiti (si vede che ha letto solo storie scritte da me -.-"). Un bacione, al prossimo aggiornamento!!

 

Vivvi.


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Capitolo 4
*** Nightmare. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.



Il bosco scorreva a velocità impressionante verso di lui.
Tutto ciò che riusciva a vedere, mentre faceva ondeggiare la mano fuori dal finestrino formando delle sinuose onde, erano macchie confuse ed indistinte di colore, che non poteva fare a meno di osservare con meraviglia.
Dentro di sé continuava a chiedersi perché, quando cercava di mettere a fuoco il paesaggio, esso fuggiva via, come fumo tra le dita.
Stava per dare voce al suo intimo dubbio, quando si accorse che il vento che prima sferzava feroce la sua mano si era come indebolito; la Rolls-Royce Silver Shadow I del 1965 rallentò per poi fermarsi definitivamente, accompagnata dal rombo potente del motore.
Naruto, incuriosito, si sporse timidamente fuori dal finestrino, lasciando che la calda brezza estiva s’insinuasse tra i suoi sottili capelli biondi, scompigliandoli un poco. La strada era deserta, e l’auto si era accostata vicino al margine sinistro della strada.
Improvvisamente una mano afferrò saldamente la sua esile spalla, costringendolo dolcemente a voltarsi:
“Naruto, quante volte ti ho detto di non sporgerti dalla macchina?”
La dolcezza impressa in quello che avrebbe dovuto essere un rimprovero fece sorridere internamente Naruto, che si soffermò a fissare la proprietaria della voce, sua madre.
Kushina Uzumaki era una donna esile, ma allo stesso tempo forte. I suoi folti e lunghi capelli rosso fuoco combaciavano perfettamente con il suo carattere, impetuoso ed energico.
In quel momento gli occhi azzurri della donna osservavano con rabbia mista a divertimento il suo unico figlio, Naruto.
“Uffa, mamma… Stavo solo cercando di capire perché la macchina si è fermata!” Fu la risposta piena di disappunto del bambino, che si era pesantemente buttato sul sedile, assumendo un’aria torva.
Kushina non poté trattenersi dal ridacchiare; Naruto era troppo buffo quando si offendeva.
“Tesoro, ci siamo fermati perché papà vuole far guidare lo zio.”
E infatti, come Naruto notò subito dopo, gli occupanti dei due sedili anteriori si erano scambiati di posto.
Un uomo biondo ora lo guardava, gli occhi così simili ai suoi illuminati di gioia, le labbra aperte in un sorriso che ebbe il potere di contagiare anche il piccolo Naruto.
Minato Reed era il padre migliore che si potesse avere, secondo Naruto.
Era un genitore ed un amico, e il bambino adorava il modo in cui scherzava, procurandosi sempre occhiate di disappunto dalla moglie.
Naruto adorava la sua famiglia, come ogni bambino di otto anni. Ogni volta che aveva la fortuna di guardare una stella cadente, desiderava stare insieme ai suoi genitori per sempre e, perché no, magari di avere un fratellino.
Lo stesso non poteva dire dell’uomo che ora era seduto sul sedile destro, al posto di guida.
Orochimaru Hebi non era realmente suo zio, ma essendo un amico d’infanzia di Kushina, i suoi genitori lo consideravano tale.
 A Naruto non era mai piaciuto; aveva un modo di fare, come il suo strano cognome suggeriva, serpentesco.
E poi il bambino odiava quella specie di movimento che la sua lingua faceva ogni volta che lo fissava: era simile ad un viscido rettile, e Naruto odiava i rettili.
Le sue numerose lamentele, però, non erano bastate a fare desistere i genitori dal partire insieme a lui.
Orochimaru era un appassionato di automobili, e non poteva certo lasciarsi scappare l’occasione di guidare una Rolls-Royce; quindi, con forse troppa foga, mise in moto e partì, lasciandosi tutto alle spalle.
Naruto era troppo piccolo ed ingenuo per accorgersi del diabolico sorriso che era apparso sul pallido volto dell’uomo al volante, e i genitori troppo presi a discutere dell’imminente vacanza.
Nessuno, tranne Orochimaru, guardava la strada.
Kushina rideva beata, mentre Minato la intratteneva con i suoi soliti giochi di prestigio. L’uomo era talmente veloce nei movimenti che riusciva ad ingannare chiunque.
Naruto sonnecchiava, con il capo poggiato sulle gambe della madre.
Non si accorsero che l’auto aveva preso troppa velocità.
Non si accorsero del camioncino che procedeva dritto verso di loro.
In un attimo accaddero molte cose, tanto che il tempo parve fermarsi.
Kushina alzò lo sguardo ancora sorridente, che si gelò quando vide il veicolo di fronte a loro, ormai troppo vicino per essere schivato.
Minato, notando gli occhi sgranati della moglie, si voltò giusto in tempo perché la sua mente registrasse con orrore che il posto di guida era vuoto. Alzò lo sguardo e vide la morte.
Naruto sentì improvvisamente su di sé il calore della madre, che lo aveva avvolto con il suo corpo, proteggendolo.
Poi, il buio.
Quando, poco dopo, aprì gli occhi, Naruto non riuscì a capire cosa fosse successo.
Tentò di muoversi, ma un dolore lancinante alla gamba destra lo teneva bloccato a terra. No, non era solo quello. Era una cosa pesante e morbida. Mentre cercava si spingerla via, avvertì qualcosa di viscido riempirgli le mani. Le guardò, orripilato: il liquido che le ricopriva era sangue.
Improvvisamente, si accorse di esserne ricoperto.
Una strana forza gli permise di scostare il pesante oggetto sopra di lui, che ricadde con un tonfo sull’asfalto. I suoi occhi da bambino percorsero la desolazione che lo circondava; ormai ridotta ad un ammasso di ferraglia, la carrozzeria dell’automobile spiccava in mezzo ad un mare di vetri e pezzi di pneumatici bruciati. Sembrava di essere in un sogno, uno di quei sogni così vividi che sembrano reali.
Peccato che quella fosse la dura realtà, e Naruto non se ne era ancora reso conto.
Tentò di muovere un passo, ma il dolore alla gamba glielo impedì. Non se ne curò; quando la mattina seguente si sarebbe svegliato se ne sarebbe andato, sostituito da uno dei caldi abbracci della madre.
Un rumore di vetro rotto attirò il suo sguardo verso il basso.
Un attimo dopo si rese conto che non avrebbe mai dovuto farlo.
E il seguente capì che la cosa pesante e morbida che lo bloccava a terra non era altro che il corpo di Kushina.
La donna giaceva riversa, la schiena piena di vetri profondamente immersi nella carne.
I capelli le velavano il viso, ormai quasi irriconoscibile per il tanto sangue.
Naruto non ebbe il coraggio di guardarla ancora: faceva male, anche se era soltanto un sogno.
Volse lo sguardo lontano, dove qualcosa attirò la sua attenzione: sembrava un fagotto di vestiti.
Con difficoltà, si costrinse ad andare avanti. Quando arrivò a destinazione, il sangue gli si gelò nelle vene.
Quello che aveva scambiato per un involto di abiti era Minato.
Appena lo vide, Naruto ebbe un conato di vomito.
Il collo era completamente squarciato da una lamina di ferro, probabilmente appartenuta all’ammasso di rottami che era diventato il camioncino.
Il resto del corpo era coperto di sangue, gli occhi ancora aperti e invasi dallo sgomento.
Per un istante, tutto sembrò svanire. Naruto si sentiva leggero, come estraniato da una realtà non sua; sarebbe voluto rimanere per sempre nel caldo torpore dell’ignoranza, ad occhi chiusi, mentre galleggiava in un mare di sogni e speranze.
Improvvisamente, però, Naruto aprì gli occhi, e la sua idilliaca visione scomparse, diventando niente altro che effimera illusione.
Fu solo in quel momento. Naruto capì di non essere in un sogno.
La consapevolezza di ciò che era appena accaduto piombò su di lui come una valanga, lasciandolo senza fiato, senza parole, senza emozioni. Lasciandolo vuoto, calmo.
Il bambino spostò il suo sguardo da Kushina, pallida e immersa in un lago di sangue, a Minato, i cui occhi erano spenti e grigi.
La cruda morte era troppo per i suoi otto anni. Esplose. Le gambe gli cedettero, e fu costretto a cadere in ginocchio, le mani poggiate sul caldo asfalto, incuranti dei numerosi vetri che vi s’infilzavano.
Urlò, fino a sentire la gola dolorante. Pianse, fino ad esaurire le lacrime.
Che cosa aveva sbagliato, perché i suoi desideri non erano stati esauditi?
Questi interrogativi gli ferivano la mente, facendola sanguinare quasi come il suo cuore che urlava insieme con lui.
Naruto gemette e gridò per molto tempo, ma le sue forze di bambino si esaurirono presto.
Quando cominciò a sentire la vista offuscarsi e l’energia che lo abbandonava rapidamente, credette di stare per morire.
Senza pensarci, quasi fosse stato spinto da una volontà non sua, Naruto gattonò piano fino a raggiungere Kushina, e si accoccolò accanto a lei, lasciandosi completamente andare al buio.
Durante l’attimo che precedette lo svenimento, gli sembrò di sentire il braccio di sua madre stringerlo teneramente a sé.

Naruto aprì improvvisamente gli occhi, alzandosi di scatto, immerso nel buio, il respiro pesante che fendeva l’aria immobile.
Era successo di nuovo. Aveva sognato l’incidente.
Accadeva molto spesso da quando viveva in Giappone, ma non era mai stato così realistico e vivido.
Gli sembrava di avere ancora davanti agli occhi sua madre completamente coperta di sangue, che lo guardava con occhi spenti e vacui. Al solo pensiero gemette, e dovette averlo fatto piuttosto forte, perché una Tsunade dall’aria piuttosto preoccupata irruppe immediatamente nella sua camera.
Da quando, tre anni prima, aveva scoperto la crisi del nipote, Tsunade aveva installato un walkie-talkie vicino al letto di Naruto, collegato direttamente con un ricevitore nella sua camera. Il dispositivo le permetteva di controllare qualsiasi suono anomalo nella stanza, compreso il gemito di disperazione che era da poco sfuggito dalle pallide labbra del ragazzo.
La donna non accese la luce, per non scatenare strane reazioni in Naruto, che sembrava essere sull’orlo di una crisi; semplicemente si sedette sul letto accanto a lui e lo avvolse in un caldo abbraccio, cercando di trasmettergli tutto il calore e l’affetto possibile.
Quando Naruto percepì le braccia forti della zia cingerlo, lasciò cadere il capo sopra il suo generoso petto, abbandonandosi totalmente al suo passato, che continuava a tormentarlo trascinandolo sempre più nell’oscurità.
Una macchia si allargò lentamente sul pigiama di Tsunade. La donna posò le esili mani sulle guance del ragazzo, ora allagate da fragili cristalli liquidi che si inseguivano, fuggendo a loro volta.
Mentre Naruto cominciava a tremare, Tsunade non aveva idea di come comportarsi; lo psichiatra l’aveva informata del rischio di altre crisi, ma lui stesso non sapeva come avrebbe potuto risolvere la situazione.
La donna ancora ricordava il giorno di tre anni prima in cui aveva avuto la prima diagnosi di Sarutobi.

≪ Tsunade e Jiraya erano seduti sul morbido divanetto della sala d’attesa, immersi ognuno nei propri preoccupati pensieri, lanciandosi di tanto in tanto sguardi che avevano il potere di mille parole.
La stanza sembrò loro troppo piccola e soffocante quando udirono la porta socchiudersi, consci che al di là di essa le loro domande avrebbero trovato risposta.
Hiruzen Sarutobi fece la sua comparsa accompagnato da un fruscio, lo sguardo serio ed un poco corrucciato. Il volto era segnato da numerose rughe, che testimoniavano la sua veneranda età, e gli occhi scuri erano cerchiati da un paio di occhiali sottili, che spesso scivolavano lungo il suo naso.
“Entrate pure.” Disse il dottore con voce ferma.
I due coniugi varcarono la soglia dello studio con forse troppa foga, tanto erano impazienti di sapere cosa avesse il loro Naruto.
La stanza era piuttosto spoglia, le pareti bianche decorate soltanto dagli attestati ricevuti dallo psichiatra. Una grande vetrata troneggiava dietro la scrivania di Sarutobi, illuminando tutta la stanza.
Hiruzen fece accomodare Tsunade e Jiraya, indicandogli due poltrone di fronte al tavolo, per poi sedersi davanti a loro.
“Non voglio farvi perdere tempo, quindi metterò subito le cose in chiaro.”
Quelle parole fecero tremare impercettibilmente Tsunade, che era pronta al peggio. Jiraya, esitante, annuì.
“Naruto soffre di crolli emotivi, ansia, e anche se in misura minore, depressione.” Disse Sarutobi fissando negli occhi Jiraya, come a sostenerlo.
Tsunade se lo aspettava, d’altronde aveva assistito ad un crollo del ragazzo; ma non comprese l’esitazione dello psichiatra, che sembrava voler aggiungere qualcos’altro.
“Fino a qui, direi che non ci sono novità. Ma ciò che mi lascia perplesso, e a dire il vero, un po’ confuso, ” Fece un lungo sospiro prima di continuare: “ E’ che quella di Naruto non è una vera e propria patologia.”
Notando gli sguardi interrogativi dei suoi due interlocutori, continuò: “Quello che voglio dire è che Naruto non ha i sintomi tipici dell’ansia o della depressione. Intendo, esclusa la crisi, durante la mia seduta e nella vita di tutti i giorni è un normalissimo ragazzo, anche troppo vivace.”
Jiraya si alzò di scatto, contrariato, mentre Tsunade cominciava a fare chiarezza nella sua mente. Effettivamente se Naruto fosse stato veramente depresso, avrebbe perso la voglia di vivere, di giocare, di parlare; eppure faceva tutte quelle cose con inesauribile energia. Anche Jiraya sembrò capirlo, perché si lasciò cadere sulla sedia sconfitto.
“Quindi, cosa ha scatenato la crisi?” Disse, dopo un lunghissimo momento, Tsunade.
Hiruzen la fissò interdetto.
“Sicuramente è scosso dal violento modo in cui ha visto morire i suoi genitori, insieme alla successiva scomparsa del signor Hebi, senza contare che Naruto sta crescendo, e come tutti i ragazzi della sua età è molto instabile e sensibile.”
Alla menzione del grave incidente, il gelo calò nella stanza.
Tsunade e Jiraya non amavano rievocare quei ricordi, ma sapevano benissimo quanto Sarutobi avesse ragione. L’incidente era stato terribile, soprattutto per il povero Naruto, che, sconvolto, non aveva chiamato i soccorsi. I paramedici erano arrivati dopo più di mezz’ora, avvisati dal conducente di una delle rare automobili che percorrevano la desolata strada.
Sarutobi spezzò il teso silenzio che era andato creandosi: “Mi duole ammetterlo, ma per ora non so come risolvere il problema di Naruto. Posso sottoporlo ad un ciclo di sedute, ma più di questo non mi è possibile.”
“Non si preoccupi, Hiruzen. Ha già fatto tanto prendendo in cura nostro nipote; spero solo che le sedute abbiano effetti positivi su Naruto.” Prese finalmente parola Jiraya, la voce tremante.
Tsunade pose una mano sulla spalla del marito, stringendo la presa.
“Che cosa possiamo fare nel caso sopraggiungano altre crisi?” Fu il fermo interrogativo della donna.
“Direi solo stargli vicino e aspettare che passi.” Rispose in un soffio Sarutobi. “Ricordatevi però: Naruto è un ragazzo sensibile, e ha bisogno di tutte le sicurezze che gli sono venute a mancare insieme ai suoi genitori. Fate in modo tale da farlo sentire sempre protetto e al sicuro.”
Jiraya e Tsunade annuirono, certi che avrebbero fatto di tutto per impedire al nipote di soffrire ancora. ≫

Tsunade sospirò, stringendo più forte a sé il tremante Naruto, che ora gemeva di dolore.
“Tesoro, stai calmo… Sei qui insieme a me ora, e io ti amo più di ogni altra cosa, capito?” Gli sussurrò nell’orecchio, cullandolo sempre più lentamente tra le sue braccia.
Naruto nel frattempo stava affondando in un mondo pieno di dolore e disperazione.
Le immagini dei suoi genitori privi di vita si susseguivano, una dopo l’altra, in un ciclo che sembrava non avere fine; il ricordo troppo vivido del suo passato lo ghermiva, infliggendogli mille e più ferite, convincendolo che non ci sarebbe stato futuro per lui. Lui, che era sopravvissuto ai suoi genitori, che indirettamente li aveva uccisi.
Stava per lasciarsi andare all’opprimente calore dell’inferno quando in lontananza percepì una calda voce, che ripeteva delle parole come in una litania. Il suono familiare gli scaldò il cuore, e alle crude visioni di morte si sostituirono quelle delle persone cui voleva bene. Tsunade, Jiraya, Sakura e tutti i suoi amici gli sorridevano, incitandolo ad aprire gli occhi; solo così facendo sarebbe uscito dalla spirale di sofferenza che si era creato.
Tsunade, che continuava a cullarlo, si trattenne dall’esultare quando vide Naruto aprire piano gli occhi azzurri e fissarla con affetto. La donna, rapita da quello sguardo, non poté fare altro che sorridergli e passargli una mano tra i capelli, sussurrando: “Grazie.”
Fu un semplice muoversi di labbra, ma Naruto lo udì ugualmente, sorridendo in riposta.
Il suo volto s’illuminò quando sentì la porta di casa sbattere; Jiraya era tornato dal suo usuale turno serale. L’uomo dagli occhi scuri fece attenzione a non fare rumore, non si aspettava di certo che un Naruto dagli occhi lucidi e vestito solo dal pigiama gli corresse incontro stringendolo forte a sé. Fece solamente in tempo a notare Tsunade che gli sorrideva, prima di essere assalito da suo nipote.
In quel momento, mentre abbracciava Naruto e mandava un bacio a Tsunade, Jiraya seppe che la loro era finalmente una vera famiglia.

 

 

Spazio di Vivvi:

Ed ecco il nuovo capitolo! In realtà era pronto già da un bel pezzo, l'avevo scritto insieme al precedente, ma ho deciso di spezzarli perchè altrimenti sarebbe venuto troppo lungo.

Non l'ho postato prima perchè ho avuto problemi con il codice html -.-" Alla fine ho dovuto scriverlo da sola, che casino.

Comunque, nel precedente capitolo ho ricevuto le mie prime recensioni negative! Lo sapevo che non sarebbe stata una bella cosa il fatto che mi fosse piaciuto il capitolo XD

Vorrei solo precisare che la colpa dei dubbi che avete avuto sullo scorso capitolo è mia, perchè non mi sono saputa spiegare bene, spero di rimediare ora. Naruto è abbastanza restio a parlare di sè, soprattutto delle cose negative che gli sono capitate, e quindi all'inizio accenna solamente la sua sofferenza, soffermandosi maggiormente sulla sua vita di tutti i giorni, non so se mi spiego.

Comunque spero che i vostri dubbi vengano risolti qui. A proposito, ho deciso di mantenere il nome di Minato, nonostante sia nato a Londra, perchè dalla parte della madre è anch'esso giapponese.

Ah, inoltre ho trovato il modo di disattivare il controllo grammatica di Word, mi sostituiva a volte intere frasi senza che me ne accorgessi, tanta era la foga di scrivere XD E quindi ho fatto degli errori assurdi, perdonatemene.

Scusate se questo capitolo è venuto male, ma per me è difficile scrivere di certe cose.

Bhè, passo a rispondere alle recensioni!

Sarhita: Mammamia ma ogni tua recensione sembra un romanzo! *-* non puoi capire quanto mi hai fatta felice con il tuo scorso commento! Appena l'ho letto non ho potuto fare a meno di commuovermi T.T Sì, ho deciso di dedicarti anche quel capitolo, oltre che tutta la storia (^-^), perchè sento di avere un legame particolare con te, per questo non vedo l'ora che tu commenti anche questo, positivamente o negativamente non mi interessa, non vedo l'ora di leggere le tue parole ^^

Vedo che l'immagine dell'uccellino ha riscosso successo XD Io continuo a non considerare questa storia un capolavoro però... Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come gli altri, a me non fa impazzire, però sentivo di dover chiarire l'episodio dell'incidente dei genitori di Naruto. Spero di averlo fatto bene.

E poi il tuo discorso non è contorto, avendo una mente simile alla tua  riesco a capirti, sempre! XD Noi siamo sorelle mancate, non c'è niente da fare u.u scommetto che abbiamo anche la stessa età o.o

Bhè *si rilegge la recensione* non posso fare altro che ringraziarti ancora per i complimenti, sono troppo felice che ti stia piacendo la storia (almeno a te T.T)! Spero di sentirti presto.

Ah, e grazie della recensione alla oneshot! Mi ha commosso anche quella T.T

Un grandissimo bacione, Sarhita! <3<3

Ryanforever: Oddio, ma allora tu pratichi la legilimanzia o.o mammamia devo stare attenta nelle prossime storie che voglio recensire *si guarda intorno circospetta* u.u

Comunque anche la tua recensione mi ha commossa, davvero grazie per i complimenti, grazie mille T.T

E per il fatto di Gaara... Eeeeee vedrai u.u Non spoilero nulla!

Spero che questo piccolo momento del passato di Naruto ti sia piaciuto, ho cercato con tutta me stessa di rendere l'atmosfera, spero di esserci riuscita!

Grazie ancora dei complimenti, sei la più brava recensitrice del mondo!<3

Rekichan: Ahia, sembra che lo scorso capitolo non ti abbia entusiasmata... Spero di aver rimediato con questo! Comunque per gli errori, non è mio solito farli, ma la correzione automatica di word sembra non parli italiano, e mi corregge le cose da sola, quindi non me ne sono accorta T.T comunque ho trovato il modo di disattivarla.

Per il resto, l'atmosfera di normalità che ho tenuto a creare nello scorso capitolo era per far capire che comunque Naruto non voleva soffermarsi sui suoi mali, ma sulle cose che lo rendono felice!

Mi dispiace non essermi espressa bene, e spero che in questo capitolo tu abbia trovato risposta alle tue domande. Mi raccomando, commenta anche questo, anche se non ti dovesse piacere! Un bacione <3

LaGrenouille: Ma non preoccuparti del ritardo! Io sono sempre felicissima delle tue recensioni ^^

Comunque mi fa piacere che tu sia rimasta soddisfatta dall'impostazione dello scorso capitolo, conosco bene i festeggiamenti dell'Hanami, è il mio avvenimento preferito, tra le festività giapponesi!

Per il resto, la calma piatta del capitolo diciamo che era voluta, e prima ho spiegato i perchè, però mi rammarico di non essere riuscita ad esprimermi appieno!

Mi sono però concentrata su questo ultimo capitolo, spero che ti piaccia! <3<3 Un bacione!


Bhè, ringrazio ancora le bellissime persone che hanno recensito, oltre alle 142 che hanno letto (o.o mi meraviglio sempre più!), poi un ringraziamento speciale va a Fay86, Rekichan, LaGreouille, Sarhita, Ryanforever, Viba e Wrong che hanno inserito la storia tra le seguite, e Sarhita, Ryanforever e Nitronie che l'hanno inserita tra le storie da ricordare. Ringrazio ancora Sarhita, Ryanforever e Volpetta che mi hanno inserito tra gli autori preferiti ^^

Al prossimo capitolo!

Un bacione,


Vivvi.

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Capitolo 5
*** Gaara. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.



Tokyo. 24 Febbraio 1986.

 

Ogni bambino del mondo, facendo uso della sua fervida immaginazione, riesce a plasmare a suo piacimento il mondo delle favole.

Chi osservando il cielo stellato, chi immerso nel tepore delle coperte, tutti abbiamo ricreato nella nostra mente, almeno per un attimo, un luogo in cui tutto è possibile. In cui ogni cosa va per il verso giusto.

E allora immagini di fate, unicorni e principesse, di coraggiosi cavalieri che combattono crudeli dragoni affollano i nostri sogni e la nostra infanzia; fino a quando, crescendo, non scopriamo che il vero mondo è completamente diverso dalle nostre fantasie.

Per Naruto questa consapevolezza era arrivata senza neanche avvisare, sette anni prima.

E da allora, le sue fantasie si erano trasformate in incubi, che non lo lasciavano mai solo.

Eppure quella sera gli era sembrato, per un attimo, di camminare di nuovo nel mondo delle favole, perché era così che la sua mente infantile l’aveva immaginato.

La luce regnava sovrana, sebbene il sole fosse ormai tramontato; un’enorme insegna luminosa andava da una parte all’altra della strada gremita di persone. Inoltre, i lampioni colorati posti sui marciapiedi rendevano quel luogo ancora più magico.

Ad adornare gli alti grattacieli, vi era una grande quantità di display che s’illuminavano di mille colori, formando quasi un arcobaleno.

Sarebbe stato tutto perfetto, se i caratteri sulla grande insegna posta all’inizio della strada non avessero recitato solenni: “Kabukichō”.

Il luogo in cui si trovava Naruto, in effetti, era ben lungi dalle pure e dolci favole. Kabukichō, il quartiere a luci rosse di Tokyo, era popolato da un grande numero di bar, discoteche e locali per adulti, dove peccare non era reato, ma regola.


Da quando si era trasferito a Tokyo, Naruto non si era mai recato a Kabukichō, nonostante i suoi compagni di scuola ne parlassero frequentemente, chiedendogli persino di andarci insieme con loro.

Naruto, però, aveva sempre rifiutato. In realtà non conosceva bene neanche lui il motivo, aveva semplicemente pensato che potesse essere un insulto alla memoria dei suoi genitori.

O forse c’era qualcos’altro.

I suoi amici organizzavano le uscite a Kabukichō per divertirsi. Non era un ragionamento sbagliato, e non era difficile, infatti, incontrare gruppi di giovani ragazzi che girovagavano tra i bar e le discoteche, facendo le loro prime esperienze.

Naruto si era sempre tirato indietro, e quando i compagni uscivano, lui si dilettava con un libro, – possibilmente giallo o thriller – raggomitolato sotto le coperte. Era in questo modo che il ragazzo, precisamente a tredici anni, aveva scoperto la sua profonda passione per la lettura.

Da allora, la stanza di Naruto, già di per sé disordinata, era diventata una sottospecie di biblioteca straripante di libri e manoscritti, cui solamente il proprietario riusciva a trovare ordine.

Quando aveva tempo, quando stava male, o semplicemente quando ne aveva voglia, Naruto si chiudeva in camera e, semplicemente, leggeva, piombando in un mondo popolato dai personaggi delle sue storie, che magicamente prendevano vita quando e come voleva. A volte immaginava un finale diverso da quello stampato sulla carta, beandosi del potere che aveva la sua mente nel creare nuove ambientazioni, personalità e intrecci.

Quando le trame da lui create diventavano troppo intricate per essere stipate tutte nella sua testa, ne scriveva qualcuna.

La scrittura lo appassionava almeno quanto la lettura, ed era divenuto ben presto pratico di entrambe.

L’unica pecca era che, tranne i suoi zii, non aveva nessuno con cui condividere questo interesse. Kiba, Shikamaru e Choji erano felici di ascoltare i suoi racconti, ma non avevano un metro di giudizio adatto a correggere eventuali errori, o comunque a osservare i suoi elaborati con occhio critico.

Sakura aiutava spesso Naruto nella rielaborazione degli scritti, ed era molto utile, ma, con il passare del tempo e l’avvicinarsi degli esami, aveva avuto sempre meno tempo da dedicare all’amico.

Le continue incertezze che non gli permettevano di esprimersi al meglio con la scrittura lo avevano spinto, infine, ad andare da Sarutobi. Era stato proprio grazie a lui che Naruto aveva conosciuto Konohamaru.

Bambino solo all’apparenza, Konohamaru Sarutobi, nipote di Hiruzen, aveva in poco tempo stretto un forte legame con Naruto, tanto da trascurare i suoi stessi impegni per uscire con lui.

Il loro rapporto era una continua sfida. Non era raro, infatti, che i due organizzassero assurde competizioni, che terminavano spesso in parità.

Konohamaru, invogliato e spronato da Naruto, aveva con il tempo sviluppato un’incredibile abilità oratoria, che gli permetteva, nonostante la sua giovane età, di trovarsi completamente a suo agio anche nelle conversazioni con gli adulti; inoltre si era trovato sempre più spesso a rivedere gli scritti dell’amico, che aveva finito col considerarlo suo assistente.

Poco tempo dopo, Naruto aveva dovuto ammettere che Konohamaru era ciò che aveva sempre desiderato: un fratello. Konohamaru sapeva come comportarsi con lui; riusciva a placarlo quando si esaltava eccessivamente, e a consolarlo nei momenti di maggiore difficoltà.

Con la presenza di Konohamaru nella sua vita, Naruto si sentiva completo; il pezzo mancante del suo grande puzzle si era finalmente incastrato al proprio posto, dopo tante sofferenze. Tutto era al proprio posto ora: i suoi amici, i suoi zii, il suo nuovo fratello.

Naruto non avrebbe mai pensato di poter accogliere un’altra persona nel cerchio ormai perfetto della propria esistenza. Invece era successo, con Gaara.

In realtà Naruto aveva conosciuto Sabaku no Gaara per caso, mentre aspettava Jiraya fuori dall’ospedale in cui lavorava. Lo zio gli aveva promesso, dopo il lavoro, un’intera serata a discutere di libri e film, e Naruto non aveva di certo disdegnato l’offerta.

Era stato proprio osservando il cielo tempestato di pallide stelle, che il ragazzo si era ritrovato a fissare il mare. Gaara era un ragazzo oggettivamente affascinante: gli occhi di un turchese chiarissimo, protetti da un pesante strato di matita nera, brillavano mentre parlava, attirando inesorabilmente l’attenzione di Naruto. Se le iridi ispiravano tranquillità, non si poteva dire lo stesso della chioma, di un rosso fuoco, tanto simile a quello di Kushina.

Durante quella breve conversazione, in cui Gaara gli si era presentato come un tirocinante di Jiraya, Naruto si era accorto di essere rimasto scottato da quel ragazzo.

Non avendo mai avuto esperienze sentimentali, quello che nei giorni seguenti gli era accaduto lo aveva confuso. Continuava a pensare a quei pochi minuti in cui aveva sentito la voce morbida di Gaara, in cui lo aveva guardato negli occhi, in cui si era sentito così leggero.

L’amore era un concetto astratto per Naruto; ne aveva letto, però, approfonditamente in molti dei libri che possedeva. Spesso i due amanti superavano aspre difficoltà, per poi affermare con sicurezza di essere innamorati, e ciò non accadeva mai così velocemente.

Poi c’era la questione dell’omosessualità. Naruto ne aveva spesso letto o sentito parlare, e doveva ammettere di non aver mai preso una posizione precisa al riguardo. Certo, trovava inammissibile che si potesse odiare qualcuno, o addirittura lapidarlo, solo per la sua visione differente dell’amore. A dire la verità, non aveva mai immaginato se stesso innamorato, uomo o donna che fosse; forse perché, per amare qualcuno, è necessario prima accettare se stessi, e Naruto non era ancora giunto a questo ambito traguardo.

Eppure in pochi attimi tutto era cambiato. La figura di Gaara si era impadronita dei suoi sogni e fantasie per quasi una settimana, fino al momento in cui gli aveva chiesto di uscire con lui. Dapprima Naruto si era chiesto come avesse fatto il ragazzo ad ottenere il suo numero di telefono, ma tutti i suoi interrogativi erano svaniti quando Jiraya gli aveva riportato il suo messaggio:

 

“Ciao Naruto. Sono Gaara, l’assistente di Jiraya.

 Ti ricordi? Abbiamo parlato qualche giorno fa.

Mi chiedevo se ti andasse di uscire con me.

Conosco un posto davvero carino, magari potremmo fare due chiacchiere.

Fammi sapere, ciao.”

 

Naruto non ne aveva capito il motivo, ma si era sentito stranamente felice e sollevato, e non aveva esitato ad accettare l’invito di Gaara; uscire con lui sarebbe stata un’occasione per conoscerlo meglio, anche perché le sue continue richieste di informazioni a Jiraya non avevano sortito alcun effetto. Egli stesso, infatti, non sapeva quasi nulla sul suo nuovo tirocinante, tranne il fatto che era oggettivamente un ragazzo molto dotato.

 

Fu così che Naruto si ritrovò, non senza una punta di timore, a Kabukichō; il luogo scelto da Gaara era proprio il quartiere del peccato di Tokyo, che quella sera era gremito di persone: chi in cerca di piacere, chi vagando per i locali a divertirsi, chi semplicemente molto curioso.

La strada principale era attraversata da gruppi di ragazze della sua età, o addirittura più giovani, in cerca di lavoro, spesso accompagnate da uomini in giacca e cravatta che, armati di ventiquattrore, entravano ed uscivano dai locali incedendo autoritari. La maschera di serietà che indossavano i numerosi salaryman mentre marciavano lungo gli ampi viali di Tokyo, si frantumava quando si recavano a Kabukichō per svagarsi; infatti, osservando più attentamente, Naruto riusciva ad intravederne alcuni che, ubriachi, vagavano senza meta per le trafficate strade.

Distogliendo lo sguardo da quell’anomalo spettacolo, Naruto mosse qualche passo, estraendo il foglietto con il messaggio dalla tasca dei consunti jeans per ripassare il luogo dell’incontro. Si trattava di un locale chiamato ≪Oushuu¹≫, vicino al centro di Kabukichō.

Non distava molto a piedi, e Naruto arrivò a destinazione qualche minuto dopo, stranamente in orario. Ancora accaldato per la camminata, si guardò intorno: il locale era provvisto di una serie di tavolini all’esterno, illuminati da robuste lanterne in pietra, che donavano alla strada un’atmosfera magica. Ma ciò che più lo colpì fu la clientela: per la maggior parte era composta da coppie di innamorati che, i volti illuminati dalla flebile luce delle lanterne, si scambiavano tenere effusioni; Naruto provò una strana sensazione, quasi di malinconia, a quella visione. Si chiese se un giorno anche lui sarebbe stato seduto di fronte alla persona che amava, stringendo la sua mano calda.

Un sospiro lo fece sobbalzare sul posto, e immediatamente si voltò. Per un attimo credette di aver visto un fantasma, e forse fu veramente così. Davanti a lui, lo sguardo perso nel vuoto, c’era un ragazzo alto, la cute pallida come la superficie lunare; la chioma era di un nero così intenso che sembrava confondersi con l’oscurità che lo avvolgeva.

Il ragazzo inchiodò improvvisamente i penetranti occhi neri in quelli confusi di Naruto. Lo sguardo che gli stava rivolgendo era così profondo e carico di significato che Naruto dimenticò temporaneamente il modo in cui respirare; si trovava in un mondo surreale, dove nulla aveva più senso, dove non poteva affermare propriamente di esistere. L’unica cosa che percepiva era lo sguardo nero dell’ignoto ragazzo.

E poi, all’improvviso, tutto finì. L’alto ragazzo si era dileguato così com’era arrivato, nell’oscurità, senza lasciare a Naruto il tempo di pensare.

“Ehi, Naruto. Vedo che sei arrivato prima di me, perdonami per il ritardo.” Una voce lontana distolse Naruto dai suoi oscuri pensieri, costringendolo a voltarsi per salutare Gaara. Forse fu per i jeans chiari che gli stringevano le gambe, forse per la camicia bianca che spuntava fuori dal lungo cappotto color ebano, ma Gaara era fantastico, quella sera.

Eppure Naruto all’inizio non poté godere appieno del suo compagno, aveva la mente ancora invasa dalle immagini del misterioso ragazzo di poco prima; riuscì solo a indirizzare un debole sorriso al nuovo arrivato.

Gaara sembrò accorgersi dell’esitazione di Naruto, perché, poggiandogli una mano tra le robuste scapole, lo accompagno dentro, rabbrividendo per un’improvvisa folata di vento freddo.

Senza rendersene conto, mentre entrava nel locale accompagnato dal tocco caldo di Gaara, Naruto si avviava verso una nuova fase della propria vita, che avrebbe contribuito ad incrinare pericolosamente la sfera di perfezione che aveva creato con innumerevoli sforzi.

 

¹ Europa.


Spazio di Vivvi:

Ciao a tutti, chiedo scusa se ho ritardato nell'aggiornare, ma mi è costato tantissimo scrivere questo capitolo. Diciamo che vuole essere un capitolo di transizione, spiega la vita di Naruto nei due anni di buco tra quello precedente e questo. E pone le basi per gli intrecci seguenti, ricordate di leggerlo attentamente!

Comunque, mi scuso anche se è un pò troppo corto, ma ho deciso di interromperlo a questo punto sia per la SUSPENCE (muahahaha), sia perchè mi sembrava più giusto così ai fini della storia.

Bhè, non ho altro da dire, passo a rispondere alle recensioni, che stavolta sono state un pò contrastanti XD

Ryanforever: Oddio, ma lo odi proprio Orochimaru eh? XD Aspetta di sapere il seguito per decidere u.u Oddio ma perchè con te spoilero sempre tutto T.T

Comunque, il tuo appunto è stato giustissimo! Una volta, invece di psichiatra avevo scritto psicologo, e grazie a te me ne sono accorta! Hai completamente ragione, so benissimo anche io qual'è l'iter da seguire per prendere queste due difficilissime lauree, e sapevo anche (ho sbirciato qualche volta tra le tue recensioni eheh) che tu studi psicologia, facoltà che piacerebbe anche a me. Però alla fine ho optato per Ingegneria Aerospaziale. Comunque complimenti per la scelta ^^ Hiruzen è solamente psichiatra, perchè lavora nell'ospedale insieme a Tsunade e Jiraya, quindi è un dottore.

Non trattenerti se hai da fare altre precisazioni, mi servono anche queste! Spero che ti sia piaciuto il capitolo, ho cercato di caratterizzare Naruto anche da altri punti di vista, oltre che il solito carattere testardo, impulsivo ed energico. Secondo me Naruto ha altro, oltre questo! Un bacione<3

Sarhita: Oddio, oddio che recensione lunghissima o.o Fai invidia anche a me *-* Grazie per i complimenti! In effetti, ho deciso di utilizzare quella serie di ripetizioni per enfatizzare il ritmo della narrazione. Hai ragionissima ;)

Mi dispiace tantissimo per la tua nonna, ci sono passata anche io con i miei due paterni. E quindi so cosa vuol dire... Spero di rallegrarti almeno un poco con questo capitolo.

 Pensa che di solito ero sintetica nelle recensioni. Ed odiando le sintesi, non revensivo affatto. Poi sono diventata autrice (che parola grossa. Diciamo che ho iniziato a postare delle... Mmh... cose) e ho avuto la mia prima recensione (negativa) che mi ha dato la svolta. E ciò che ho provato alle prime recensioni mi ha spinto a cliccare "inserisci una recensione" a ogni storia che mi colpisse (anche se questo accade raramente...) In effetti la grande abitudini ai papiri me l'hai messa tu. E adesso non riesco a scrivere recensioni corte.

Mammamia che bel complimento Sarhita! Oddio non so neanche io cosa dire... Semplicemente, Grazie. Le tue recensioni sono la cosa che aspetto di più quando pubblico un capitolo. Grazie di sostenermi in questo modo. *piange* Ecco, sniff, oddio... Mi hai fatto piangere...

Va bene, riprendiamoci! Wow sono famosa allora! Hai fatto leggere quello che scrivo anche al tuo papà oddio mi vergogno quasi XD Ah, dimenticavo, complimenti ancora per la storia 'Don't Look Back', veramente bella, naturalmente ho recensito anche quella, sorellina ^^

Anche io comunque ho 18 anni, compiuti nel gelido mese di Gennaio, il 26. My name is Virginia, e non mi chiedere di spiegarti il mio nickname perchè giuro che non lo so neanche io.

Grazie mille per tutti i complimenti, anche io non riesco a trovare una parola per esprimere ciò che provo! Maledizione.

Comunque scusa se non mi dilungo nelle risposte alle recensioni ma ho poco tempo, sta per cominciare la scuola e ho mille cose da fare -.-" Un bacione anche a te, sorella!! <3<3

LaGrenouille: Ehi! Devo fare una precisazione su Orochimaru. Io la penso esattamente come te, odio le fic in cui viene presentato solamente come uno stupratore incallito che non fa altro nella vita che adescare i protagonisti della fic o.o Comunque, il suo comportamento verrà spiegato più avanti, e molti particolarti che ho inserito in questo capitolo fungeranno da chiave per capire tutto il meccanismo che ha innescato quell'orribile gesto.

Il discorso di Hiruzen con gli zii di Naruto può venire riportato nella sua interezza perchè Tsunade ne ha, durante gli anni, parlato approfonditamente con Naruto, curioso di sapere cosa fosse successo nell'incontro con lo psichiatra.

Scusa se non l'ho precisato bene! Spero di aver fatto un pò di chiarezza, e che questo capitolo ti piaccia più dei precedenti, un bacione, e grazie mille per le tue recensioni, mi aiutano tantissimo! <3

 

Devo ringraziare quelle tre sante che hanno recensito, le 199 persone che hanno letto la fanfiction, Nitronie, Ryanforever e Sarhita che l'hanno inserita tra le storie da ricordare, Alips, LaGrenouille, Rekichan, Ryanforever, Sarhita, Drfafy, Fay86, Viba e Wrong che l'hanno inserita tra le seguite.

Un bacione a tutti!

Vivvi.

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Capitolo 6
*** Sadness & Sorrow. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.

“Ciò che rende gli uomini socievoli,
 è la loro incapacità di sopportare la solitudine
 e, in questa, se stessi.”*
 

 
 
Le pareti lignee erano ancora concentrate nell’intento di assorbire la calda voce del narrastorie, che aveva appena terminato la prima parte del suo racconto. Nessuno avrebbe saputo dire con precisione quanto tempo fosse passato da quando Naruto aveva intrapreso la difficile strada verso i propri ricordi, simile ad un biondo Dante che, per raggiungere le vette più alte del Paradiso, si addentra nel cupo e profondo Inferno.
D’altronde il tempo non è altro che un semplice mezzo creato dall’uomo per scandire i propri ritmi; è quanto più di relativo possa esistere.
Ma, a discapito di ogni legge fisica, all’interno del ≪The Hungry Lion≫ il tempo sembrava proprio essersi fermato. Le parole di Naruto si erano susseguite l’un l’altra dando luogo ad una visione celestiale, quasi magica, che ancora aleggiava davanti ai tre occupanti della stanza, come la nebbia al mattino.
“Già…” Pensò Harry “Magica è la parola giusta.”
Harry aveva ascoltato innumerevoli racconti nella sua vita, in pratica non faceva altro da quasi quaranta anni. “Quando dedichi la tua vita alle storie dei pellegrini, il peggior rischio in cui puoi incorrere è cadere nel vuoto. Immergerti così in profondità nei loro racconti, da non saper più distinguere il reale dalla fantasia.” Così suo padre, Jason Bailly, lo aveva messo in guardia poco prima di morire. Jason, intuendo nel figlio il perfetto successore per la sua locanda, lo aveva istruito sul difficile mestiere che desiderava intraprendesse, insistendo soprattutto sull’inesistenza della magia. Il piccolo Harry, la cui mente infante generava automaticamente mondi in cui la magia era il fondamento della materia, veniva perciò spesso redarguito per le sue innocenti fantasie; i frequenti rimproveri di Jason avevano portato Harry ad essere scettico verso qualsiasi forma di estraniazione dalla realtà e cieca fede, compresa ovviamente la religione.
Il suo pensiero era fortemente in contrasto con quello dei pellegrini, difatti non era raro assistere ad accese discussioni di tipo teologico tra l’oste e la sua clientela. I profondi discorsi, però, sfociavano sempre in amichevoli pacche sulle spalle e risate sguaiate, accompagnate dal tintinnio dei boccali pieni di birra.
Il racconto di Naruto, però, stava portando Harry ad un conflitto interiore. Non era forse magico l’assuefacente suono della voce di Naruto? Non era forse magia il tramutarsi della notte in giorno, della luce in buio? L’assenza di pensieri e sensazioni proprie, sostituite da quelle del narrastorie?
Non esisteva risposta ai prepotenti interrogativi che ferivano la mente troppo razionale di Harry. Eppure, durante i dieci anni di convivenza, ne aveva sentiti di racconti inventati da Naruto, e nessuno era riuscito a penetrare così profondamente il suo cuore, portandolo persino a dubitare delle idee che il padre aveva instillato con tanta dedizione dentro di lui. Forse era la consapevolezza che, per la prima volta, i fatti riportati dall’esperta voce di Naruto erano così tragicamente veri, forse la curiosità che durante gli anni era germogliata dentro lui, ma Harry si sentiva come trasportato nel mezzo di un lungo spettacolo, in cui gli attori si muovevano sapientemente sul palcoscenico, acclamati per la tanta pateticità.
E lui, attento spettatore, non poteva che sentirsi sempre più emozionato durante il susseguirsi degli atti, che Naruto aveva magistralmente narrato, aggiungendo quel tocco filosofico che rendeva la storia profonda e quasi irreale.
Un rumore sordo scalfì il silenzio che colmava i pensieri di Harry. Durante il racconto di Naruto la sua mente era stata come trascinata in un altro luogo, rendendolo tanto assorto e concentrato da non preoccuparsi dei bisogni primari, come la fame. Solo in quel momento si accorse di quanto avesse bisogno di cibo; e non doveva essere il solo.
Si alzò dalla pesante panca prima ancora di rendersi conto di avere gli arti indolenziti a causa dell’ampio lasso di tempo in cui erano rimasti immobili. Tentò di parlare, la voce roca e debole:
“Preparo qualcosa da mangiare.”
Konohamaru sobbalzò. Tanto era immerso nelle loro preoccupazioni, da non accorgersi che Harry spuntasse da dietro al bancone e trafficasse con le stoviglie, osservandolo al contempo con aria interrogativa. Bastò uno sguardo; improvvisamente l’atmosfera magica che era venuta creandosi all’interno della stanza, sparì. E il ragazzo, resosi conto che il buco nel suo stomaco era diventato un cratere, spostò lo sguardo sull’oste, che pareva invecchiato da quando Naruto aveva iniziato il racconto. Harry, abituato alla reazione spropositata di Naruto il quale, urlando, soleva esprimere le proprie preferenze sulle vivande, rimase interdetto per un secondo quando udì solamente silenzio; scuotendo la testa, si apprestò a preparare il piatto preferito del narrastorie.
“Konohamaru, ti piacciono le uova con la pancetta?” Domandò cauto Harry al suo ospite, che udendo nominare la pietanza, si aprì in un largo sorriso.
“Certo, signor Bailly!” Esclamò, lo sguardo incontaminato dall’esagerata curva che avevano preso le sue labbra sottili.
Cercando di apparire naturale, Harry cominciò con esperti tocchi a rompere le uova, che rivelarono una dopo l’altra il loro cuore arancione. Di tanto in tanto, Harry osservava con la coda dell’occhio Naruto; lo sguardo azzurro fisso nel vuoto, non accennava a muoversi. Quando un Konohamaru dalla voce incerta aveva preso la parola, domandandogli come passasse normalmente la propria giornata, Naruto era rimasto in silenzio. E taceva anche in quel momento, evitando ogni sguardo o domanda.
Harry era in parte conscio del motivo. Il venticinque Luglio era stato soprannominato “Giorno del Silenzio” proprio per quel motivo; però l’oste non riusciva a spiegarsi perché, dopo essersi aperto tanto con lui ed avergli narrato parte del suo passato, Naruto schivasse in quel modo ogni forma di contatto umano. Che fosse pentito di aver cominciato quel difficile racconto? Harry sperò con tutto se stesso di no, non avrebbe potuto sopportare di vedere Naruto soffrire e non conoscerne il motivo. L’oste sapeva di essere egoista per il solo desiderare una cosa del genere, ma voleva che Naruto andasse fino in fondo, che terminasse ciò che aveva iniziato, così da poterlo aiutare, come avrebbe fatto con Ronald se fosse stato vivo.
Ronald, quante volte quel ragazzo aveva popolato i suoi incubi, accusandolo di essere un assassino, di aver causato la sua morte concependolo. Harry era restio a parlarne, o addirittura a ricordare. La sua famiglia. Quelle due persone che lo rendevano completo, che gli donavano un motivo per vivere e per essere felice. Quelle due persone per cui avrebbe donato la vita. E che invece se ne erano andate senza neanche avvertire. Meredith Verner era la donna più bella che Harry avesse mai visto. Quando l’aveva vista, per caso, camminare per le strade di Southwark, l’aveva scambiata per una dea, poiché il suo incedere leggero e aggraziato gli aveva dato l’impressione che ella si librasse a qualche centimetro da terra, lasciando una scia profumata di rose.
Quel giorno Harry, da poco ereditata la gestione della locanda, si era recato in centro per svolgere alcune pratiche burocratiche. Ma l’impiegato del comune non lo vide mai arrivare. Il giovane aveva seguito Meredith fino ad una sala da tè, dove le aveva rivolto parola, ammaliato dai suoi occhi verde smeraldo. Era stato quasi un colpo di fulmine, anche se Harry non aveva mai dato conto a tali credenze popolari. I due si amavano tanto da non potersi perdere di vista neanche per un attimo, e presto convolarono in matrimonio.
Harry non avrebbe mai dimenticato il sorriso di Meredith un attimo prima di baciarlo sotto l’altare, gli occhi resi ancora più luminosi dal velo di lacrime causato dall’emozione, il fresco contatto delle affusolate mani pallide sulla sua guancia ispida. Era stato uno dei giorni più belli della sua vita.
Harry era intento a mangiare la sua zuppa, quando qualche mese dopo Meredith gli aveva detto timidamente che aspettava un bambino. Inevitabilmente il liquido caldo era caduto a terra, seguito dai frammenti della ciotola rotta. Harry era sorpreso, emozionato, impaurito e felice allo stesso tempo. Non riusciva a credere che avrebbe visto il nascere di una nuova vita, processo che prima di allora aveva sentito solamente raccontare dai pellegrini.
E infatti, durante un piovoso giorno di quasi nove mesi dopo, Harry aveva sentito sua moglie urlare dalla cucina. Accorso in suo aiuto, l’aveva trovata seduta a terra che si cingeva l’enorme pancia con le braccia e urlava: “Sta per nascere!”
All’ospedale l’avevano subito portata via, rassicurando il povero Harry che era felice e allo stesso tempo preoccupato. Passata qualche ora, la porta della sala parto era ancora blindata. Harry, non potendo più aspettare impotente, aveva domandato ad un medico come stesse sua moglie, e se il piccolo fosse nato. L’uomo, dopo qualche attimo di esitazione, aveva scosso la testa, assumendo un’espressione cupa. Harry non aveva neanche percepito il tocco caldo sulla sua spalla, e le vuote parole di consolazione che il dottore gli rivolgeva.
Una sola, semplice eppure terribile consapevolezza era andata a farsi spazio nella sua mente. Meredith era morta. Non sarebbe più tornata. Non lo avrebbe più guardato con i suoi bellissimi occhi, mentre gli sorrideva timida. Non lo avrebbe più amato. Era andata via, per sempre.
L’eternità aveva da sempre spaventato Harry. L’idea dell’infinito, del non misurabile, era qualcosa di troppo grande perché fosse compresa dalla mente umana. E ciò che non può essere capito, inevitabilmente incute timore. Come la morte.
E mentre tremava, solo, di fronte a qualcosa di enormemente più grande e terribile di lui, Harry era stato illuminato da nuova vita. Era ancora immobile, in mezzo al corridoio dell’ospedale, quando una giovane dottoressa con un sorriso dolce gli si era avvicinata. In braccio aveva un fagotto bianco, da cui spuntava un roseo viso paffuto, contornato da sporadici ciuffi rossi. Il neonato aveva sollevato piano le palpebre, rivelando due perfetti smeraldi, identici a quelli di Meredith. In quel momento Harry capì. Meredith aveva dato la vita per il loro figlio, e ora il suo spirito viveva in lui, Ronald.
Harry aveva allevato Ronald con immenso amore, cercando di colmare le lacune che irrimediabilmente derivavano dalla mancanza di una madre. E ci era riuscito. Ronald era un ragazzo allegro, vivace, pieno d’inesauribile energia e amore per il prossimo. Con il passare degli anni aveva sviluppato un’innata passione per gli animali, tanto che la locanda era diventata una sorta di zoo, e i pellegrini erano deliziati da quel ragazzo che tanto somigliava a Meredith.
Nonostante la dolorosa perdita che ogni tanto tornava a fargli visita durante la notte, Harry si sentiva felice. Forse avrebbe dovuto aspettarsi che la pura felicità non dura mai tanto tempo.
All’età di diciassette anni, Ronald si era ammalato. Lamentava continui giramenti di testa, cefalea e febbre continua. Harry lo aveva fatto visitare da tutti i medici più influenti della città, e poi della regione. Ma nessuno aveva saputo elaborare una corretta diagnosi. Nel frattempo Ronald andava sempre peggiorando, costretto perennemente a letto a causa di una forte debolezza; Harry non sapeva cosa fare, si sentiva stanco, spossato dai continui viaggi senza alcun esito. Disperato, aveva deciso di portare Ronald a Edimburgo, dove risiedeva un famoso medico noto per aver risolto dei casi senza speranza.
Il dottor Harley, dopo innumerevoli test e prelievi venosi, aveva concluso che Ronald era affetto da una particolare forma di tumore al cervello, non reversibile.
La notizia aveva sconvolto Harry, che dopo la tragedia di Meredith si era sentito predire anche la morte del suo Ronald. Gli erano stati stimati due mesi. Com’era possibile misurare così la vita di un essere umano?
Harry non lo sapeva, ma sentiva dentro di sé che il dottor Harley aveva ragione, che il tempo rimasto a Ronald stava per scadere.
Era rimasto ancora più sconvolto quando, comunicata la notizia a Ron, questi aveva risposto con un sorriso, dicendo che prima di morire sarebbe voluto andare al mare. L’animo di Ronald era tanto casto e puro che chiunque fosse a contatto con lui si sentiva in qualche modo inferiore a tanta bellezza.
E’ strano come il tempo trascorra veloce quando si attende qualcosa d’infausto. I due mesi predetti dal medico erano passati così velocemente che Harry non se ne era minimamente reso conto. Solo quando, una settimana prima della scadenza, si era ritrovato seduto sulla spiaggia accanto a Ronald, che sorrideva accarezzato dalla brezza fresca, si era accorto che il suo Ron stava per andarsene. Il dottor Harley aveva dato un permesso speciale al ragazzo, che era uscito dall’ospedale per l’ultima volta.
Ronald se ne era andato com’era venuto. Harry non riuscì più ad andare al mare, da quel giorno.
Ronald e Meredith sembravano quasi racchiusi dentro Naruto, e anche se non lo avrebbe mai ammesso, Harry era certo che il destino avesse bussato alla sua porta, durante quella piovosa notte di dieci anni prima.
 

*Arthur Shopenhauer.

Spazio di Vivvi:

Salve a tutti! Questo capitolo si è fatto attendere, ma ho alcuni problemi con la scuola e lo studio (e chi non ne ha T.T). Comunque, magari sembrerà superfluo, ma per me era importante fare una piccola introspezione sul passato di Harry, per capire meglio la natura di ciò che lo lega a Naruto. Ah, avevo detto che la storia sarebbe durata 6 capitoli, ma è evidente che non sarà così. Direi che saranno un tantino di più :D Nello scorso capitolo ho ricevuto ben sette recensioni o.o Non mi era mai successo! Grazie ragazze... Devo ringraziare tantissimo anche Sarhita, che ho scoperto essere più vicina a me di quanto credessi, Chartraux, Relena4, Alips, Rekichan, Volpetta, e LaGrenouille, le cui recensioni mi hanno dato una spinta fortissima. Bhè, passiamo ai ringraziamenti, visto che non ho molto tempo:

Sarhita-neechan: Credo di avertelo già detto nel nostro cospicuo scambio di email, ma la tua recensione mi ha fatto commuovere, davvero. Non so cosa dire... Sono così contenta che reputi la mia storia poetica e che ti faccia andare in brodo di giuggiole xD

Mi dispiace per il tuo raffreddore, credo che dopo tutto questo tempo ti sia passato xD E spero di farti stare meglio anche con questo capitolo, sorella mancata. Spero che la scuola stia andando bene, io non ho tanto tempo a causa dello studio, però ho deciso di dedicare questa domenica solo alla storia, e spero che questo capitolo sia all'altezza dei precedenti. Grazie mille di tutto, Sarhita. Non avrei saputo cosa fare senza le tue email e recensioni, e spero che tu trovi il tempo per recensire anche questo capitolo (e per rispondere alla mia mail u.u). Un bacione grande <3<3<3

Ryanforever (o colei che legge nella mente u.u): Non posso darti altri indizi, mi dispiace u.u Lo scoprirai con gli altri capitoli! Comunque, era facile da capire chi fosse l'altro personaggio, però lascio sempre il beneficio del dubbio u.u Spero che recensirai anche questo capitolo! Un bacione e grazie delle tue sempre tempestive recensioni <3<3

Relena4: Wow, che recensione lunga che mi hai lasciato ^^ Mi è piaciuta tantissimo. Comunque, sei stata proprio attenta. Hai colto nel segno ciò che volevo trasemttere con i primi capitoli, e l'hai riportato in modo impeccabile nella tua recensione (oddio, mi sembra di star facendo la recensione della recensione o.o forse recensisco troppo u.u)! Grazie mille per i complimenti, spero che continuerai a seguire e recensire! Sono contenta di aver trovato una lettrice attenta come te<3<3

rekichan-sama: Che bello aver ricevuto un'altra tua recensione! Credo che anche se mi scrivessi 'fa schifo.' andrei in brodo di giuggiole! XD  Sono contenta che gli scorsi capitoli ti siano piaciuti di più, spero che la descrizione del passato di Harry non ti abbia annoiata, è decisamente noiosa scusa la ripetizione... Comunque grazie mille! Un bacione<3<3<3

Alips: Sono onorata di ricevere una tua recensione, Alips. Soprattutto perchè è così bella! Mi sono commossa, davvero grazie dei complimenti, non sento di meritarmene così tanti T.T Come ho già detto, la storia non finirà qui, tranquilla! Avevo sbagliato i calcoli, credo andrà avanti per un pò ancora. (Visto che sei così insistente u.u scherzoooo) E' che all'inizio volevo dedicare qualche paragrafo alla vita di Harry, poi ho deciso di voler scriverne un intero capitolo, spero che questa scelta non sia stata sbagliata. Mh, non è che la mia storia causa qualche strana malattia? XDXD Scherzi a parte, ho capito cosa vuoi intendere, è successo anche a me con Memories, la storia di Chartraux, solo che dopo ho pianto come una fontana xD Prego, sono felice che tu mi abbia ringraziato di aver scritto la fanfiction, è davvero un onore per me ricevere così belle recensioni! Grazie di tutto, spero che recensirai anche qeusto capitolo<3<3

Charty: E' una cosa belllissima ricevere una tua recensione alla mia storia! E' ciò che avevo sperato dal momento in cui ho iniziato a scriverla *-* Quindi non puoi capire quanto mi abbia resa felice (o forse si, visto che te l'ho già detto  xD). Sono così onorata di averti fatta commuovere, vuol dire che quello che ho scritto non è del tutto orrendo. E sono ancora più contenta che la storia finora ti sia piaciuta! Spero che ti piaccia anche questo capitolo... Un bacione!<3<3<3

Volpetta: Mammamia, ce l'hai fatta a recensire, guarda che non ti morde nessuno! Comunque, sono contenta che ti piacciano queste parti, spero anche qeusta.=)

Come sempre ringrazio tutti quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, chi tra quelle da ricordare, e tutti quelli che la leggono! Scusate se non vi cito nome per nome ma ho poco tempo T.T Rimedierò nel prossimo capitolo. Un bacione a tutti!


Vivvi.

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Capitolo 7
*** Innocence. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.
 
Buongiorno, dormiglione.”
Harry attraversò la piccola stanza per aprire la finestra, i passi che suonavano ovattati sul pavimento di legno.
Prendendo nuovamente posto sul morbido letto di Naruto, lasciò che l’odore proveniente dal piatto che aveva in mano giungesse sino al suo sensibile naso. Harry aveva da tempo imparato che, quando si trattava di far destare l’adorabile ragazzo che in quel momento russava piano, la sveglia più efficace era proprio il cibo.
Naruto non avrebbe mai rinunciato alla sua coppia di fette di pane tostato con il miele, soprattutto dopo una serata completamente a digiuno.
Quando, qualche ora prima, Harry aveva chiuso la porta della locanda, ancora un poco scosso per il racconto e il mare di ricordi che ne era scaturito, la cena di Naruto era ancora abbandonata sul bancone, solitaria; del proprietario non c’era traccia.
Dopo qualche veloce indagine, aveva trovato Naruto immerso nel proprio letto, rannicchiato in posizione fetale, la mano che stringeva spasmodicamente un sottile oggetto; il suo splendente sguardo stampato sulla carta era riconoscibile anche da lontano, mentre sorrideva abbracciato al misterioso ragazzo dagli occhi scuri.
In quel momento, osservando quella figura segretamente fragile, Harry aveva ripensato a Ronald, e a tutte le sofferenze da lui sopportate.
Non avrebbe permesso che Naruto patisse lo stesso, a tutti i costi.
Un leggero fruscio lo fece rabbrividire, mentre tornava alla realtà. Con la coda dell’occhio, vide Naruto rigirarsi tra le coperte, socchiudendo gli occhi chiari.
“Il mio piano sta andando per il verso giusto.” Sussurrò, trattenendo una risata, Harry.
All’improvviso, una mano spuntò proprio di fronte a lui, afferrando il piatto che ancora stringeva tra le dita. Con uno scatto repentino, Naruto si diede una spinta per sedersi sul materasso, e iniziò a mangiare selvaggiamente, quasi non avesse mai visto vivande del genere.
Harry sorrise, mentre il rumore delle mascelle del ragazzo riempiva la piccola stanza.
“Avevi fame, eh?”
“Fì!” Rispose Naruto, sputacchiando pezzetti di pane.
Un rumore di passi interruppe la loro blanda conversazione, ricordando ad Harry che aveva un ospite. Si pentì subito di non avergli dedicato le dovute attenzioni, ma quando fece per alzarsi e andare a vedere se fosse tutto a posto, Konohamaru entrò nella stanza, gli occhi ancora velati di sonno.
“Buongiorno a tutti!” Fece con voce rauca.
Harry si alzò immediatamente per cedere il posto al ragazzo, ma ricevette un cenno di diniego.
“Non preoccuparti, Harry. Stavo giusto scendendo per fare colazione.” Aggiunse cortese.
Sin da quando era solo un bambino, Harry era stato educato al rispetto e alla generosità. Il modo in cui si prendeva cura dei suoi usuali ospiti, i pellegrini, era uno dei principali motivi per cui la sua locanda riceveva così tante visite, quindi si trovò un poco spiazzato quando Konohamaru si avviò verso le scale, facendo scorrere la mano sull’asta di legno installata per aiutare i visitatori più anziani.
Con uno sguardo, si congedò da Naruto, che continuava a mangiare, e seguì il ragazzo fino al bancone di legno.
“Cosa desideri?” Gli chiese, non appena se lo trovò davanti.
Konohamaru sorrise, e rispose: “Uova con la pancetta!”
“Va bene, qualche minuto e sono pronte.”
“Ti ringrazio della tua ospitalità, ad ogni modo, Harry.”
Mentre con le dita dava piccoli tocchi al guscio per romperlo, Harry sorrise, pensando che quel ragazzo iniziava a piacergli. Somigliava terribilmente a Naruto, per certi versi.
Eppure alcuni lati della sua personalità erano molto diversi da quella del cantastorie, e forse era stato proprio questo che i due ragazzi avevano intrapreso strade diverse; Harry aveva un disperato bisogno di conoscere quale fosse quella impegnata da Naruto.
“Non devi ringraziarmi…” Disse Harry al muro, rammaricandosi del non poter osservare l’espressione del suo interlocutore.
Adorava esaminare i volti delle persone, mentre parlava; riteneva di avere una sorta di ‘sesto senso’, che gli permetteva di scorgere la più remota e debole emozione, dietro una piega delle labbra, o un tic dell’occhio.
Per questo aveva sempre ripudiato le nuove tecnologie, che si facevano strada sempre più prepotentemente tra gli uomini.
“Ok, lo farò solo alla fine di questa storia allora!” Esclamò Konohamaru dopo un attimo di silenzio, con voce potente. Il tutto fu accompagnato da una sonora manata sul bancone, il cui rumore echeggiò per qualche attimo nella stanza.
La mente di Harry fu violentemente invasa da una serie di domande, che presto arrivarono alla bocca; parlò, mentre porgeva al ragazzo il piatto con la colazione e un bicchiere di latte.
“A proposito… Konohamaru, tu quando hai visto Naruto per l’ultima volta?”
Il ragazzo sussultò udendo le parole di Harry, il quale era pienamente convinto che Konohamaru poteva ampliare la sua mole d’informazioni sulla vita di Naruto, permettendogli così di capirlo, di aiutarlo.
“Harry, sei sicuro di voler sapere proprio tutto?” Chiese, gli occhi che rispecchiavano il suo passato.
“Sì. Tu vuoi sapere perché Naruto se n’è andato, io perché è venuto qua. Quindi siamo pari, no?”
Konohamaru si lasciò scappare un sorriso. Harry non seppe mai se tale forma di giubilo fosse stata causata dalla sua provocazione, oppure dalla forma che aveva dato alle uova e alla pancetta, facendo somigliare il cibo ad un volto felice. Era molto più propenso, però, per il primo motivo.
Harry era un abile conversatore, proprio grazie alla varietà delle persone che periodicamente soggiornavano alla locanda; quindi non si stupì quando vide Konohamaru prendere un profondo respiro, assicurandosi che Naruto non fosse nei paraggi, per iniziare il suo racconto.
L’oste seppe, in quel momento, di essere profondamente immerso nelle loro storie, nelle loro vite, più di quanto avrebbe mai immaginato.
 
 
***
 
Tokyo, 21 Marzo 1987
 
 
 “Konohamaru! Sei ancora sulla Terra?” Un ragazzo sui sedici anni, dai capelli paglierini e gli occhi color azzurro intenso, sventolò una mano davanti al suo sguardo, facendolo riscuotere dai meandri della sua mente.
Konohamaru lo osservò.
Durante quell’anno Naruto era cambiato, in tutti i sensi. L’occhio umano poteva percepire i muscoli che iniziavano a delinearsi sotto la sua t-shirt color panna, sebbene Naruto non facesse alcun tipo di allenamento.
“Tutte le fortune agli altri…” Pensava spesso Konohamaru, che aveva sempre osservato le sue esili braccia da undicenne, immaginandole forti e gonfie.
Persino il volto di Naruto stava mutando, assumendo tratti più definiti e consoni per la sua adolescenza, accompagnato dalla voce, più roca e profonda e priva della pura musicalità che faceva somigliare i suoi urli a dolci canti.
“Ora somigliano solo a gracidii…” Sghignazzò mentalmente Konohamaru, mentre Naruto continuava a scrutarlo con la sua solita espressione persa.
C’era qualcosa che non andava, e Konohamaru lo sapeva, sebbene non ne avesse mai fatto parola con l’amico. Persino in quel momento, mentre leggevano libri durante uno dei loro usuali pomeriggi ‘intellettuali’ – come li definiva sempre egli stesso – Naruto era distaccato, e non appassionato alle storie e ai personaggi come prima.
Konohamaru aveva dapprima attribuito questo mutamento al fatto che, oggettivamente, Naruto fosse cresciuto, e quindi avesse altri interessi, differenti dal passare tre pomeriggi a settimana chiuso in casa a leggere di personaggi immaginari. Con il passare del tempo, però, si era dovuto ricredere.
Konohamaru era ancora un bambino, ma aveva un’intelligenza fine ed acuta, e non si era lasciato scappare i frequenti impegni di Naruto che gli impedivano di trascorrere il tempo libero insieme al suo amico d’infanzia; impegni, che lo trattenevano fuori per ore, o per tutta la notte.
Quando, poi, si recava a casa sua per fargli visita, non poche volte lo aveva trovato sdraiato sul letto, stremato.
In quelle occasioni, Naruto gli aveva spesso chiesto di andarsene, inventando le scuse più inverosimili.
No, decisamente Konohamaru non era stupido, ed era riuscito a farsi un’idea più o meno chiara della situazione in cui versava la vita privata di Naruto, giungendo alla conclusione che non gli piaceva per niente.
Quando, più di un anno prima, Naruto era piombato a casa sua, urlando che aveva delle novità da raccontargli, Konohamaru aveva ascoltato con attenzione la storia di un certo Gaara, tirocinante di Jiraya, che si era offerto di portarlo a cena in un locale molto in vista.
I suoi occhi brillavano di una luce nuova, che non aveva mai scorto in lui, e la sua voce assumeva delle sfumature così molli, quando pronunciava il nome del suo nuovo amico, da far paura.
Quando, quasi aleggiando per aria, Naruto era tornato a casa, Konohamaru aveva deciso di scoprire il perché del suo strano comportamento. Non aveva idea di cosa fosse l’amore, se non dai racconti confusi della madre, che non dedicava mai troppo tempo all’argomento.
Così si era affidato ai suoi amati libri, collegando le particolari espressioni di Naruto a quel nuovo sentimento che – almeno di questo era certo – non gli piaceva per niente.
A cosa serviva innamorarsi? Tanto valeva leggere libri d’amore. Leggendo si poteva avere qualsiasi esperienza, era molto meglio della vita reale, questo aveva pensato quando aveva riflettuto su Naruto.
Ma Konohamaru era ancora un bambino, e Naruto aveva appena cominciato ad addentrarsi nel difficile mondo dell’adolescenza.
Ben presto, però, la situazione si era complicata.
Naruto e Konohamaru non si vedevano quasi mai, e ogni volta che l’ultimo provava a chiedergli di passare del tempo insieme, Naruto tirava in ballo gli impegni scolastici, e il fatto che Jiraya e Tsunade fossero molto impegnati e non gli permettessero di uscire se era solo in casa.
Il bambino era scettico, e qualche tempo dopo decise di seguire Naruto durante una delle sue fantomatiche uscite.
Non riuscì mai a dimenticare ciò che vide.
 
Quel giorno, Naruto aveva rifiutato l’invito a pranzo di Konohamaru dicendogli che aveva un altro impegno. Ma Konohamaru non aspettava altro, così, come gli aveva insegnato il suo vecchio amico, si appostò sotto una siepe accanto alla sua villetta, in attesa.
Quando, di sera, Naruto uscì chiudendo la porta senza far rumore, Konohamaru faticò a riconoscerlo; i pantaloni erano molto attillati e mettevano in risalto le natiche sode e le gambe molto esili, mentre il maglione che indossava aveva una scollatura a V appariscente.
Ricordando come usualmente Naruto selezionasse i suoi abiti – e cioè senza criterio alcuno – Konohamaru iniziò a preoccuparsi.
Sfruttando la sua corporatura minuta, riuscì a nascondersi e a seguire l’amico che camminava guardingo, come se avesse paura degli sguardi altrui.
“Se fossi in lui sì, che avrei paura.” Aveva pensato in quel momento, scrutando l’orribile modo in cui Naruto aveva acconciato i suoi capelli, facendoli somigliare al corpo di un riccio.
Dopo venti minuti di cammino, Konohamaru, che cominciava ad essere stanco, vide Naruto guardarsi intorno, per poi infilarsi in un vicolo laterale.
Si affrettò a seguirlo, le gambe che chiedevano pietà per lo sforzo.
Konohamaru si appostò dietro un secchio pieno d’immondizia, ignorando il terribile puzzo che ne proveniva, e concentrandosi sul suo amico, che si era fermato e scrutava qualcosa nell’ombra.
Quando sentì provenire una voce dall’esatto punto fissato da Naruto, sobbalzò.
“Ciao, tesoro.” Il tono era basso, profondo, e pieno di una strana calma che al contrario inquietò il bambino ancora di più.
“Ciao.” Rispose Naruto. La sua voce era… Impaurita?
“E’ tanto che non ci vediamo. Come stai?” Parlando, una figura uscì dall’ombra.
Konohamaru dovette strizzare gli occhi per identificarla, e ci riuscì solo grazie ad un vago ricordo di una foto che gli era stata messa in mano qualche tempo prima.
Gaara.
I capelli erano ancora più rossi di quanto ricordasse, e gli occhi dovevano avere qualche potere mistico, perché erano capaci di attirare la materia.
La mente giovane di Konohamaru identificò Gaara come un mostro, ma di quelli attraenti, che affascinano la preda, per poi ucciderla tra le torture più atroci.
Sospettò che Naruto si trovasse proprio all’interno della sua tela.
“Bene…” Sussurrò il ragazzo. Era di spalle, ma Konohamaru poté intuire la sua espressione.
“Ok, allora. Dove vogliamo andare questa sera?” In quella domanda se ne nascondevano altre mille, Konohamaru lo sapeva. Ma non riusciva ad immaginare di che tipo.
“Da nessuna parte!” Esclamò Naruto all’improvviso.
Gaara spalancò gli occhi turchesi.
“Cosa? Non vorrai certo rimanere qui!”
Konohamaru vide distintamente Naruto tremare. Ma se aveva paura, perché continuava ad uscire con quel ragazzo?
“Qui! Va bene… qui.”
Una pausa, poi Gaara parlò, mentre si avvicinava a Naruto.
“Come vuoi, rimaniamo qui.”
Konohamaru non credette subito a ciò che vide.
Con un movimento sinuoso, Gaara afferrò la nuca del ragazzo e lo spinse verso di sé, facendo unire le loro labbra.
Naruto rimase perfettamente immobile, subendo quell’atto che spaventò Konohamaru non poco. All’improvviso indietreggiò, separando le loro labbra.
“Scusa, Gaara… Ma almeno per una volta, perché non stiamo insieme parlando, e non baciandoci?” Il suo tono era così puro e innocente che Konohamaru riuscì a scorgere un po’ del vecchio Naruto nel ragazzo dai pantaloni attillati che si ergeva davanti a lui.
“Sei ancora un bambino, Naruto… E ora taci.” Disse, quasi con violenza, Gaara, riprendendo il lavoro lasciato in sospeso.
Si baciarono per un’ora, quasi ininterrottamente, interrompendo solo per permettere a Naruto di riprendere fiato.
Konohamaru sarebbe stato felice, se Naruto avesse trovato la persona giusta per lui. Ma aveva la netta sensazione che non fosse affatto così.
Il ragazzo era ancora immobile, mentre Gaara gli somministrava attenzioni senza apparentemente badare a come si sentisse il suo partner.
Quando, finalmente, Naruto separò le proprie labbra, che erano diventate secche, da quelle del più grande, Konohamaru riuscì a sentire Gaara sussurrargli nell’orecchio: “Abbiamo finito, no? Ti farò sapere quando sono libero… Ci vediamo, tesoro.”
Appena ebbe terminato di pronunciare quelle parole con voce melliflua, Gaara sorpassò Naruto e uscì in fretta dal vicolo, senza guardarsi alle spalle.
Le gambe di Naruto cedettero, e il ragazzo cadde a terra con un tonfo, singhiozzando.
Konohamaru non riuscì a resistere, e gli si avvicinò. Quando gli carezzò una spalla con la mano, Naruto lo spinse via, urlando.
“Non avevamo finit – Konohamaru, cosa ci fai qui?” Il tono di Naruto cambiò, la sua espressione si rilassò, sebbene le sue sopracciglia avessero assunto una piega piuttosto arcigna.
“Volevo sapere cosa fai quasi tutte le sere da sei mesi a questa parte.”
Gli occhi di Naruto guizzarono dappertutto, e quando ebbe capito che non avrebbe potuto inventare alcuna scusa, sospirò. Una lacrima solitaria sfuggì ai suoi occhi azzurri.
Konohamaru s’infuriò contro chi aveva il potere di farlo soffrire.
“Allora, vuoi rispondermi?”
Prima di parlare, Naruto si alzò in piedi, le gambe ancora tremanti.
“Ti spiegherò tutto mentre torniamo a casa. Posso dormire da te?” Gli chiese, con un tono talmente supplichevole da far capitolare Konohamaru.
“Certo, andiamo.”
I due si avviarono, a passo lento, verso la Verità.
Ma lei era proprio dietro di loro, aspettando che si voltassero e l’afferrassero, insieme.


Spazio di Vivvi:

*Evita i pomodori e le zucchine* ... Ciao! Vi ricordate di me e della mia storia?
Spero di sì! E spero soprattutto che mi possiate perdonare per questo immenso ritardo... forse alcuni di voi sapranno che sono sparita dalla circolazione nello scorso periodo, soprattutto a causa di complicazioni che mi hanno impedito di dedicare il giusto tempo alla lettura delle storie che amo... quindi figuratevi se sono riuscita a scrivere T.T
Ma ora sono qui, e so che avrete perso il filo della storia, se vi ricorderete ancora della sua esistenza ò.ò  
Devo dire che anche io avevo perso il contatto e la morale per cui scrivevo Stories, e poi, grazie ad un'altra fanfiction che ho scritto, il mio stile è mutato (non so se in meglio o in peggio, questo dovrete dirmelo voi), e credo di noti anche da questo ultimo capitolo.
La storia stavolta è narrata da Konohamaru, che decide di raccontare ad Harry le cose sotto il suo personale punto di vista, che è Personale proprio per il fatto che Naruto è come un fratello per lui, e anche per il fatto che è ancora un bambino, e vede le cose con il suo originale modo.
Come per gli altri capitoli, anche questa è una Storia, e si potrebbe quasi leggere indipendentemente dalle altre.
La vicenda di Naruto è complessa, me ne sto accorgendo ora che ho riletto la trama da me precedentemente elaborata. E io che qualche capitolo fa affermavo che la storia sarebbe finita in 6 capitolucci XDXD Credo che saranno molti di più, anche perchè ci sono molti personaggi rimasti da caratterizzare e la trama non è ancora cominciata, si potrebbe dire.
Quindi spero che apprezziate questo ultimo capitolo, e cercherò di non fare più quest'abnorme e vergognoso ritardo. Sorry!
Ah, per quanto riguarda le recensioni, vi rispondo subito utilizzando il nuovo sistema, sebbene mi manchi rispondere qui.
Un bacione a tutti, e buona lettura!

Vivvi.


 

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Capitolo 8
*** Leaving. ***


Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction sono tutti maggiorenni e appartengono quasi tutti a Masashi Kishimoto. Questa storia, inoltre, non ha fini di lucro. Il personaggio di Harry Bailly, come l'ambientazione e la taverna appartengono a Geoffrey Chaucer e alla sua opera 'The Canterbury Tales'.

 


Le minuscole ma fitte gocce picchiettavano la finestra chiusa, quasi chiedendo il permesso di entrare. Per ognuna che terminava la sua vita schiantandosi contro il vetro, altre mille sorelle la seguivano, in un continuo flusso naturale; era strabiliante come il silenzio della notte, increspato dalle melodie prodotte dai loro umidi impatti, fosse invero perfettamente in armonia con la pioggia che continuava a scivolare dal cielo.
Protetti dalle calde mura di una graziosa villetta, incuranti delle piccole rotondità d’acqua che chiedevano di entrare, due ragazzi parlavano con gli sguardi.
Il buio s’incuneava in ogni antro della piccola stanza, aggredito solo dalla fioca luce di una pila, che passava a fatica attraverso i minuscoli fori della stoffa azzurra. Il chiarore all’interno della sicura protezione creata dal lenzuolo disegnava due sagome, perfettamente immobili.
Konohamaru, la schiena e il capo carezzati con dolcezza dal tessuto, continuava a tenere gli occhi scuri fissi in quelli azzurri di Naruto, notando, all’interno di quelle gocce d’acqua, un inquietante ombra scura.
Mentre i loro respiri si fondevano, bramosi dell’aria che traspirava attraverso la coperta sopra le loro teste, Konohamaru non si accorse dei muscoli che iniziavano a dolere per il troppo tempo passato nella stessa posizione, né delle minuscole gocce che, imitando le loro sorelle pochi metri più in là, iniziavano a cadere dagli occhi blu del ragazzo di fronte a lui. Le giocose ombre create dalla pila, infatti, nascondevano alla vista parte del suo viso, insinuandosi nelle minuscole pieghe labiali, definendo il piccolo naso, avvallandosi fra le corrucciate rughe della sua fronte altrimenti liscissima.
Sotto l’abbraccio di quel lenzuolo Konohamaru e Naruto si erano scambiati i più reconditi segreti, o almeno era così che il secondo, qualche anno prima, aveva definito le sue figurine rubate ad un compagno, o le strane monete che aveva trovato per strada.
Ma le parole che stavano per rimanere intrappolate lì, in quell’intimo angolo tutto loro, sarebbero state molto diverse, Konohamaru lo intuiva dall’espressione di Naruto, e dai ricordi ancora freschi di ciò che era accaduto nel vicolo poche ore prima.
Quando i due amici avevano varcato la porta di casa accompagnati da un tuono per nulla rassicurante, la madre di Konohamaru, non senza qualche sguardo storto agli abiti di Naruto, gli aveva preparato un bagno caldo e qualcosa da mangiare.
Naruto si era lavato e aveva ingurgitato il cibo senza che una sola parola uscisse dalle sue morbide labbra. Konohamaru aveva atteso, sicuro che, una volta sotto la coperta, avrebbe parlato senza alcun freno.
Invece, dopo quasi mezz’ora, le labbra di Naruto non si erano mai separate nell’atto di mimare una parola; Konohamaru non lo aveva forzato, perché sapeva che l’amico aveva sempre avuto bisogno dei suoi tempi e dei suoi spazi, sebbene a volte superassero di gran lunga quelli di un normale ragazzo di quindici anni.
Qualche ciocca bionda, macchiata dal buio nero, sfiorò il naso di Naruto, posandosi proprio sulla punta. Una mano la scostò via, mentre le sottili palpebre nascondevano gelosamente gli occhi azzurri dietro di loro.
Naruto socchiuse piano le labbra, ma nulla ne uscì.
Provò ancora una volta, due, tre, sino a che Konohamaru mormorò, infrangendo il silenzio: “Naru, che cosa ti succede?”
Era una piccola domanda, ma conteneva infinite sfumature di significato, che si persero in mille direzioni nel buio.
Come stimolato dalla sua voce, Naruto rispose, il fiato che solleticava le guance di Konohamaru.
“Non riesco a capirlo neanche io…”
Gli occhi sommessi, le labbra ricurve in giù e le fastidiose rughe sulla fronte di Naruto fecero infuriare Konohamaru, che desiderava sempre più ardentemente vendicarsi di chi facesse soffrire il suo migliore amico.
Troppo spesso, però, dimenticava di quanto entrambi fossero ancora bambini, nonostante la voce sempre più profonda e mascolina dell’altro.
“Naruto, parla. Spiegami che cosa ti ha portato a questo.” Konohamaru posò le mani sulle spalle di Naruto, percependo il calore del suo corpo diffondersi attraverso le sue dita.
All’interno del loro piccolo bozzolo, l’ossigeno iniziava a scarseggiare, tanto che Konohamaru dovette sollevare per qualche minuto un lembo del lenzuolo per permetterne il ricambio.
Per qualche attimo l’unico rumore fu quello della pioggia, poi Naruto approfittò del movimento dell’amico per inspirare profondamente e iniziare a parlare, lo sguardo fisso sul morbido materasso.
 “Ti ricordi quando, tempo fa, Jiraya mi presentò il suo tirocinante?”
Come dimenticarselo.
Konohamaru rimembrava perfettamente quando, lo stesso pomeriggio, aveva incontrato un Naruto incredibilmente allegro e sorridente, distante anni luce dal ragazzo cupo che osservava in quel momento.
“Sì, Gaara.” Sussurrò, per paura che Naruto non avesse percepito il suo leggero cenno del capo.
“Già. Quel ragazzo mi ha attratto dal primo attimo in cui l’ho visto.” Le parole di Naruto erano stranamente intrise di una calda malinconia che Konohamaru non aveva mai scorto nell’amico. Si era reso conto all’improvviso, durante quella pesante giornata, di quanto il biondo bambino che ricordava fosse cresciuto e capace di provare sentimenti nuovi e così tremendamente lontani da lui.
“In realtà, all’inizio non capii cosa mi stava succedendo… Per questo motivo non lo dissi a nessuno. Ma, dopo essere uscito insieme a lui una sera, mi resi conto che qualcosa stava cambiando in me. Ero – Sono innamorato.”
Era proprio l’indecisione di Naruto che faceva preoccupare Konohamaru, oltre alla pietosa scena cui aveva assistito solo poche ore prima; non riusciva a capire appieno il sentimento dell’amico, ma era certo che non fosse ricambiato come sperava. Strinse per un attimo la presa sulle spalle di Naruto, per incitarlo a continuare.
“Sono innamorato di Gaara, Konohamaru. Mi piace tutto di lui, e mi faceva stare bene.” Ecco il motivo per cui a Konohamaru non era mai piaciuto il passato, sia storico – Trovava estenuante la memorizzazione di montagne di date e nomi di imperatori – che verbale. Esprimeva qualcosa d’irrimediabile e ormai perduto; i secondi, i minuti, le ore passate, appartengono alla morte, e non più all’uomo.
“E adesso?” Riuscì solo a domandare. Il suo fiato scostò qualche biondo capello del ragazzo di fronte a lui.
“Passarono le sere, i mesi, e lui mi chiamava sempre più spesso per uscire. Io ne ero felice, sebbene qualche volta dovessi combattere con Jiraiya e Tsunade; ma la maggior parte delle volte riuscivo a scamparla tirando in ballo Sakura e gli altri. – Naruto prese fiato. Il silenzio era così denso che Konohamaru riuscì a percepire l’aria insinuarsi tra i suoi denti bianchi. – Ogni volta mi portava in un locale diverso, e parlavamo di tutto… A volte, invece, stavamo in silenzio ad osservarci a vicenda, ma era ugualmente bellissimo. Durante una delle nostre uscite, però, mi scortò in un vicolo simile a quello di questa sera… Iniziò a baciarmi ed a toccarmi dappertutto, senza dire una sola parola.”
Konohamaru rievocò la possessività con cui Gaara si era impossessato delle delicate labbra di Naruto, e riuscì a intuire il motivo della sofferenza appena accennata di Naruto.
“Io… Amavo quando parlavamo di noi, della Natura, del mondo; è proprio della sua profondità che mi sono innamorato! – Naruto insistette sull’ultima frase, come se Gaara avesse potuto sentirlo – Per me è la prima volta, però so che in un rapporto non esistono solo parole… Non che io non voglia baciarlo, però durante le nostre uscite ormai c’è solo quello.”
La voce di Naruto si spezzò, e i ricordi riaffiorarono nella lucida superficie dei suoi occhi.
“Tu e Gaara non parlate più?” Chiese Konohamaru, più per interrompere quel pesante silenzio che per conoscere la risposta, che aveva già intuito.
“No, non più. Sembra un’altra persona ora; è completamente diverso dal ragazzo di cui mi sono innamorato, però allo stesso tempo non smette di affascinarmi… - Negli occhi di Naruto si riflesse l’ormai antico sentimento che minacciava di corroderlo. – Konohamaru, io non riesco a smettere di uscire con lui, neanche quando mi obbliga ad indossare i suoi vestiti…”
Konohamaru si sforzò per tentare di rimanere serio e non lasciare che sul suo viso si riflettesse la profonda rabbia che provava per quel ragazzo di nome Gaara. Socchiuse per qualche attimo gli occhi, lasciando al suo udito il compito di percepire i piccoli movimenti del capo di Naruto, poi parlò.
“Naruto, tu lo ami veramente?” E’ così strano parlare di amore, quando non se ne ha una precisa definizione; ma d’altronde, chi ne ha?
“Credo… Di sì. Quando parlavamo, era come se il mondo non esistesse, poi i suoi occhi sono così belli…” Lo sguardo di Naruto si perse dietro quelle frasi sconnesse che secondo lui rappresentavano il suo sentimento.
“Che cosa farai ora?”
Konohamaru sapeva cosa sarebbe stato meglio per Naruto, ma non era sicuro che l’amico ne fosse cosciente allo stesso modo.
“Non lo so, Konohamaru. Io voglio stare con lui, ma non in questo modo.”
“E quindi?” Tentò di spronarlo Konohamaru.
“Quindi credo che continuerò ad uscire con lui, ci parlerò.”
Konohamaru dovette trattenersi dallo stritolargli le spalle. Quel Gaara gli aveva fatto un’orrenda impressione, sebbene la sua espressione quasi sofferente mentre se ne andava dal vicolo lo avesse colpito.
“Ne sei sicuro?”
Naruto inchiodò gli occhi in quelli dell’amico, improvvisamente deciso.
“Sì.” La voce di Naruto era cambiata dal tono triste e addolorato a quello fermo che era appena rimasto intrappolato sotto la coperta. I suoi occhi azzurri s’illuminarono di un nuovo vigore, ottimisti.
Konohamaru conosceva quell’espressione; quando Naruto prendeva una decisione, testardo e determinato qual’era, non tornava mai sui propri passi. Sarebbe stato impossibile convincerlo a lasciar stare Gaara.
“Konohamaru… – Lo chiamò piano Naruto, distogliendolo dai pensieri. – Sei l’unica persona cui ho detto di Gaara; Sakura e gli altri non sanno nulla.”
Le sue labbra, incurvate in un piccolo sorriso, e gli zigomi alti sormontati dagli occhi lucenti, fecero passare a Konohamaru la voglia di dissuadere Naruto dalla sua decisione.
Tenterò domani mattina…” Pensò sconfitto, mentre ricambiava il sorriso dell’amico.
“Grazie di avermi ascoltato.” Gli sussurrò Naruto, prendendogli una mano e iniziando a torturarne il pollice con il suo. Konohamaru riconobbe subito la provocazione e scambiando un veloce sguardo di sfida con Naruto, iniziò un disperato tentativo di intrappolare il pollice dell’amico sotto il suo, sentenziando così la sua vittoria.
Ben presto, tra sbuffi di esasperazione e sleali gomitate, la sana sfida terminò in lotta di cuscini, fino a che entrambi, esausti, crollarono sul futon di Konohamaru, grande abbastanza per due persone.
Konohamaru scoccò un’occhiata obliqua a Naruto, il cui petto oscillava in alto e in basso per la mancanza d’aria. Gli occhi erano molto più puliti e limpidi di quando gli aveva parlato di Gaara, e l’intero viso sembrava rilassato e tranquillo. Sperò che la sua decisione sarebbe stata quella giusta per la sua felicità.
Restarono così per qualche minuto, fino a che i respiri non si regolarizzarono e gli occhi iniziarono ad appannarsi per il sonno. Konohamaru ebbe il tempo di rivolgere i suoi pensieri verso Gaara, prima che l’intorpidimento non s’impossessò del suo corpo, lasciandolo scivolare verso un mondo dove tutto è possibile.
Ehi, Konohamaru… Lo sai che ti voglio bene?
La frase di Naruto e lo stupore per tanto affetto gratuito da parte dell’orgoglioso ragazzo, furono le ultime sensazioni che la mente di Konohamaru registrò, prima di lasciare spazio all’inconscio.
 
Miliardi di particelle di luce ferirono le palpebre serrate di Konohamaru, arrossando il suo intero campo visivo. Il primo, familiare rumore che udì fu quello delle finestre spalancate che sbattevano piano contro il muro, mosse dal vento mattutino.
Lentamente, iniziò a muovere i muscoli assonnati, socchiudendo piano gli occhi. Dagli spiragli davanti a sé riusciva ad osservare la sua stanza, illuminata per intero dalla luce del Sole. Istintivamente, si voltò, trovando il vuoto accanto a sé, di Naruto nessuna traccia.
Portandosi una mano sulle palpebre, si alzò in piedi, facendo attenzione a non calpestare le lenzuola candide; non fece in tempo a varcare la soglia della stanza, che una donna alta lo precedette, esclamando: “Ben svegliato, Konohamaru!” La cristallina voce di sua madre, sebbene non l’avrebbe mai ammesso, era ciò che amava di più del suo risveglio.
“Buongiorno, mamma... Dov’è Naruto?” Chiese subito, incuriosito dalla strana sparizione.
La donna si portò una mano sui corti capelli castani e con un sorriso parlò nuovamente: “Jiraiya e Tsunade sono passati a prenderlo poco fa perché dovevano sbrigare delle commissioni e avevano bisogno di lui. Non ho voluto svegliarti, mi dispiace.”
Konohamaru sorrise, rassicurante. “Non ti preoccupare, mamma.”
“Ora esci, forza. Devo mettere in ordine, qua dentro.” Ordinò giocosamente la donna, sorridendo.
Con uno sguardo fintamente offeso, Konohamaru uscì dalla camera, per recarsi in cucina a soddisfare il brontolio sempre più insistente del suo stomaco.
Mentre si avvicinava all’invitante profumo di riso saltato proveniente dal basso tavolino al centro della stanza, l’acuto squillo del telefono ferì le sue orecchie, accompagnato dall’urlo della madre che lo invitava a rispondere.
Konohamaru si avvicinò al grosso apparecchio, sollevando la cornetta in modo che il ricevitore combaciasse con le sue labbra.
“Pronto?” Disse, sperando che la conversazione non lo trattenesse troppo a lungo.
“Konohamaru, sono io.” Faticò a riconoscere la voce infinitamente preoccupata e ansimante che lo raggiunse dopo qualche attimo; alla fine, classificò il timbro ancora acerbo come quello di Naruto.
“Ciao Naruto!” Disse esitante Konohamaru, avvertendo nell’aria un pesante presagio, che iniziava a materializzarsi di fronte a lui.
“Devo dirti una cosa, è importante.” Le pause tra le parole lo preoccuparono ancora di più; di solito, il carattere esuberante di Naruto si rispecchiava anche nel modo in cui parlava.
“Dimmi…”
Dopo qualche secondo, Naruto parlò, in un modo che Konohamaru non aveva mai udito. Le sue parole sembravano parte di una lapidaria processione verso il cupo inferno. E forse era veramente così.
“Konohamaru, ci trasferiamo a Osaka. Tra una settimana.”
Si dice che quando il destino bussa alla tua porta, lo fa nei modi più inaspettati. Di certo Konohamaru non avrebbe mai immaginato che, da quel momento in poi, la sua vita sarebbe cambiata completamente.

Spazio di Vivvi:

Ed eccomi, dopo due sole settimane, ad aggiornare questa storia! Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo, che può sembrare abbastanza di transizione (in effetti lo è XD), però è la chiave per quelli futuri. Vorrei specificare, per chi non riesce a spiegarsi il motivo per cui Gaara è caratterizzato in questo modo (anzi, per ora non è caratterizzato quasi per niente), che la sua è una parte fondamentale per lo sviluppo della storia e della vita di Naruto. Nei prossimi capitoli sarà svelato l'arcano, un poco per volta!

Inoltre, a partire dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della storia (almeno spero xD), quindi leggete e commentate, il vostro parere per me è essenziale. Rileggendo tutta la storia, infatti, ho notato come il mio modo di scrivere, anche a distanza di pochi mesi, sia cambiato (non so se in meglio o in peggio, questo dovrete dirmelo voi...), insieme ai personaggi. Questa storia, come ho specificato nel primo capitolo, nasce da dentro di me per le persone che mi hanno fatto emozionare scrivendo le loro stupende fanfictions (sebbene chiamarle in questo modo le sminuisca), per cui sapere se i sentimenti che io, da lettrice accanita, ho provato leggendo siano simili a ciò che prova chi legge queste parole, per me è fondamentale!
Vorrei inoltre indirizzare la vostra attenzione su tre bellissime storie che hanno partecipato ad un mio contest (permettetemi questo piccolo angolo pubblicitario!): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=637275&i=1 di GreedFan, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=639211 di Sosia e http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=637370 di Kicca.
Ringrazio, chiudendo, le stupende persone che recensiscono e leggono, coloro che mi hanno inserita nel corso di questi mesi come autrice preferita, che hanno addirittura inserito questa storia tra le preferite, le seguite e quelle da ricordare. Per me siete più preziosi dell'oro!
Un bacione a tutti,

Vivvi.

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