Oltre il Tempo e la Distanza

di Emily Alexandre
(/viewuser.php?uid=105033)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Amour courtois ***
Capitolo 3: *** Filthy Mudblood ***
Capitolo 4: *** Anteros ***
Capitolo 5: *** Gelosia. Amore. Nostalgia. ***
Capitolo 6: *** Dicono che somigli al padre ***
Capitolo 7: *** Vuoto ***
Capitolo 8: *** La sua condanna ***
Capitolo 9: *** La lettera ***
Capitolo 10: *** Guardami ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 "Amore non è amore se muta quando scopre
un mutamento o tende a svanire quando l'altro
s'allontana. Oh no!
Amore non muta in poche ore o settimane,
ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio;
se questo è errore e mi sarà provato,
io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato."

Will Shakespeare

.

 

 

Non era servito molto tempo per capire che Lily Evans sarebbe stata una studentessa brillante. Era sveglia, allegra, con una sete di sapere inestinguibile. E bella, molto bella.

Quando era arrivata la lettera da Hogwarts era entrata in uno stato di eccitazione che si era placato solo davanti all'imponente castello. Lei era diversa, speciale. Ed era orgogliosa di esserlo. I genitori babbani avevano accettato felici quella nuova realtà, fieri di quella loro figlia. Si, Lily Evans era anche quello: una sanguesporco.

L'unica a non condividere quella felicità era la sorella maggiore, che non poteva accettare di non essere speciale anche lei. Scrisse a un certo professor Dubledore, firmatario della lettera della sorella, per chiedere di essere ammessa anche lei, e il no ricevuto si era trasformato in un odio per tutto ciò che fosse magico. Quella specialità era diventata mostruosità.

A Lily dispiaceva, ma non poteva rifiutare il suo destino: lei voleva con tutta se stessa essere una strega. Era stata smistata tra i gryffindor, la casa dei cuori coraggiosi. Una gryffindor geniale e bella, adorata dai professori, ma nonostante i ragazzi la corteggiassero e le ragazze la indiviassero, non aveva perso un solo bricolo della sua dolcezza.

Lei era tutto quello che si potesse desiderare essere.

C'era solo una nota stonata in quel quadro di perfezione: un ometto nero e triste che non l'abbandonava mai. Uno slytherin. Cosa c'entrava Severus Snape con Lily Evans?

Appartentemente nulla, eppure uno strano legame vincolava quelle due vite l'una all'altra. Era stato Severus, il timido vicino di casa, a rivelare a Lily la sua natura magica. Lui, figlio di strega, l'aveva riconosciuta subito, e per settimane le aveva parlato della scuola di magia e stregoneria.

Erano partiti insieme, due undicenni pieni di aspettative, dal binario 9 ¾, ma poi il cappello parlante li aveva divisi. Corsi diversi, vite diverse, ma loro due c'erano sempre, l'uno per l'altra. Lei gli voleva bene, pur non condividendone alcune scelte, ma sembrava l'unica a non essersi accorta che quello che lui provava non era affetto. Severus Snape era perdutamente innamorato di Lily Evans. Quello che però nessuno sapeva era quanto fosse immenso e imperituro quell'amore.

Un amore da cui anni dopo sarebbe dipesa la vita di molte persone.

Ma poi qualcosa era successo e improvvisamente, alla fine del quinto anno, Snape non era più l'ombra di Lily. Una parola di troppo. Una parola sbagliata. E non si sarebbero più seduti nello stesso vagone a mangiare cioccorane insieme.

 * * *

Era il quinto anno, l'anno dei G.U.F.O., e come sempre Lily e Severus sedevano insieme, diretti a Hogwarts. Un paio di ragazze erano andate a chiamare l'amica, ma lei aveva risposto sempre di no. Voleva rimanere lì, con lui.

Poi, d'un tratto, la porta di aprì di scatto e due ragazzi entrarono ridendo, bloccandosi alla vista di loro.

Il primo era un ragazzo dai lineamenti perfetti e lo sguardo misterioso, il secondo, forse meno bello, compensava con un sorriso splendente e una fama da giocatore imbattibile. Sirius Black e James Potter, fratelli più che amici, ridevano con la freschezza di chi, bello e popolare, è al culmine della propria vita.

-Evans-

-Potter-

I due si salutarono freddamente, sotto lo sguardo diverito di Sirius, che cercò di sciogliere la tensione evidente.

-Ciao Lily, tutto bene?-

-Si, grazie Sirius.-

Tutto inutile, James guardava con gli occhi ridotti a due fessure il ragazzo seduto in silenzio.

-Vedo che le tue compagnie sono sempre discutibili.-

-E io non vedo chi tu sia, Potter, per discuterle.- la voce della ragazza era incrinata dalla rabbia.

-Sempre nascosto dietro di lei Snivellus?-

Il ragazzo fece per rispondere, ma la gryffindor fu più veloce, alzandosi minacciosa verso James.

-Ora basta! Fuori!-

-Ci sono posti liberi, non puoi cacciarci!-

-Sai Potter, sarai anche l'idolo del Quidditch, ma io sono una strega molto più abile. FUORI!-

Il ragazzo fece per replicare, ma l'amico lo trascinò fuori.

-Fratello, mi dispiace dirtelo, ma se vuoi davvero conquistarla dovresti smetterla di insultare il suo prezioso Snivellus.-

James non rispose a Sirius, troppo impegnato a ingoiare la rabbia. Lei gli piaceva da sempre, dalla prima volta in cui aveva incrociato i suoi occhi verdi e fieri, ma lei non gli rivolgeva neanche un'occhiata che non fosse piena d'odio. Sembrava che lui per lei non esistesse, mentre adorava quel viscido serpeverde. E lui per lei aveva perso il sonno. James Potter, Lily Evans, Severus Snape. Le loro vite sarebbero state intrecciate in modi che loro, su quel treno, in quel momento, non potevano neanche lontanamente immaginare.

 

 

NOTA: L'idea di una storia su harry potter è nata in una mattinata di mare. Fino ad allora, non avevo mai avuto il coraggio, forse per timore riverenziale verso quei libri che amo così tanto. Poi, è nato "Oltre il Tempo e la Distanza" perché credo che l'amore di Piton per Lily sia uno dei temi più beli di tutti i libri. Spero possa piacervi.

E.A.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Amour courtois ***


.  

La neve copriva il castello e tutto ciò che lo circondava, come un manto candido appena smosso dalla brezza leggera. Il lago e la foresta si ergevano immobili e maestosi, apparentemente placidi, tanto che nessuno avrebbe potuto indovinare le forze magiche che custodivano al loro interno.

Quel paesaggio per molti era qualcosa di familiare, per altri una splendida novità. Infine, per alcuni, era quanto di più prezioso avessero. Per il ragazzo che sedeva all’ombra di un pino con lo sguardo perso nel vuoto quel paesaggio era la propria casa. Se si fosse girato, il suo sguardo sarebbe caduto sul castello che solo occhi magici potevano ammirare in tutta la sua imponente bellezza: Hogwarts, l’unica casa che il giovane avesse mai avuto.

Per undici anni spesi con una madre senza carattere e un padre ubriacone e assente, il miraggio della scuola di Magia e Stregoneria era stata la forza che lo aveva spinto a stringere i denti e resistere; lì, si era creato il proprio angolo nel mondo, tornando in quel sobborgo babbano solo l’estate, quando era inevitabile. Non sapeva ancora, quel ragazzo, che Hogwarts era per lui quello che anni prima era stato e che sarebbe stato, anni dopo, per due ragazzi le cui vite erano irrimediabilmente intrecciate con la sua.                                                                                                                                                                                                                           

Il libro di Storia della Magia giaceva aperto sulle sue ginocchia, inutilizzato. Quando Lei l’avesse saputo probabilmente si sarebbe arrabbiata: non comprendeva come lui, brillante in molte materie, proprio non riuscisse a studiare quella. Alla fine, però, l’avrebbe perdonato. Lo perdonava sempre. Un sorriso illuminò quel viso pallido al solo pensiero di Lei. Chissà dov’era, la sua Lily. Hogwarts l’avevano scoperta assieme, centimetro per centimetro, ma nessuno poteva prentendere di conoscerla davvero bene, e la sua magia consisteva anche in quello.

Mentre la magia di Lily era il suo essere semplicemente così speciale. Così unica. Lui la amava, non poteva negarlo. L’amava da sempre. Eppure, non aveva mai pensato di dichiararsi, mai immaginato di avere una storia con lei. Nei suoi sogni lei era sempre fisicamente lontana: la loro era un’affinità di spiriti. Non voleva baciarla, non pensava mai a lei in maniera carnale. Gli bastava la sua presenza, per essere felice. Gli bastava vederla ridere, vederla muoversi. Si beava della sua immagine e di quei sorrisi che riservava solo a lui. Adorava l’odore della sua pelle e riceveva ogni suo abbraccio, ogni suo tocco, come una specie di benedizione, come se non potesse aspirare a niente di più. Nella sua mente, loro sarebbero stati sempre così, perché così erano sempre stati. Da cinque anni la sua giornata iniziava e finiva con i suoi occhi. Quell’anno avrebbero raggiunto il primo traguardo della loro carriera scolastica, gli ambiti G.U.F.O. e avrebbero gioito insieme per i risultati ottenuti. Poi, altri due anni, e il loro percorso si sarebbe concluso. Cosa sarebbe accaduto poi? Snape non lo sapeva. Ma era certo che ovunque lui fosse andato, sarebbe stato con lei. Una vita senza Lily non era neanche lontanamente immaginabile. Un mondo in cui lei non lasciasse il segno del suo passaggio semplicemente non poteva esistere. Sentiva il suo cuore gonfiarsi d’amore al solo pensarla.

Dov’era Lei?

Probabilmente era a lezione, mentre lui aveva un’ora libera; se fossero stati nella stessa Casa avrebbero avuto gli stessi orari e molto più tempo da spendere insieme, ma il Cappello aveva deciso che Lei era una gryffindor e lui non aveva potuto fare altro che vederla andar via, a sedersi in quel tavolo dove già sedeva il traditore della sua stirpe e dove poco dopo l’avrebbe raggiunta quel tracotante e odioso ragazzo. Sentì un fremito percorrerlo alla sola idea di Sirius Black e James Potter, soprattutto ripensando a quanto avesse rischiato pochi mesi prima a causa loro: uno scherzo che si sarebbe potuto rivelare letale se all’ultimo momento Potter non si fosse fatto prendere dalla codardia e l’avesse salvato. Non aveva detto nulla a Lily o sarebbe andata ad ucciderli Lei stessa; non le aveva detto nulla perché lui sapeva difendersi anche da solo e non voleva doversi sempre nascondere dietro di Lei. Alla fine, però, Lei l'aveva scoperto, e avevano discusso.

Si accorse che in giro, nonostante il freddo, erano aumentati gli studenti, segno che le lezioni della mattina fossero finite; fece per alzarsi e raggiungerla, quando degli strilli attirarono la sua attenzione. Non ci mise molto a capire di cosa si trattasse: un gruppo di suoi compagni slytherin stava maltrattando una ragazza gryffindor… non se ne curò molto, sapeva che non poteva essere Lily. Nonostante non fosse una Purosangue, la sua fama di strega eccellente la salvava dagli attacchi degli slytherin. Lo stesso non poteva dirsi della sua migliore amica, perché era di lei, realizzò Snape poco dopo, che si trattava. Quella sera avrebbe litigato con Lily. O meglio, Lei avrebbe inveito con lui per un’ora contro quelli che definiva i suoi squallidi amici serpi, e lui si sarebbe morso la lingua per non dirle che Black e Potter, insieme a Lupin e Minus, non erano molto meglio. Certo, Lei diceva di odiare quei quattro, mentre quegli slytherin lui li frequentava davvero, ma la differenza era davvero così grande? Forse. Il ragazzo diede le spalle a quella scena: non poteva opporsi ai suoi amici, per cui si avviò verso il castello, pronto a sopportare le sue urla. Non si sbagliava: Lily entrò poco dopo nella Sala Grande con l’amica in lacrime sottobraccio e i suoi occhi furenti subito saettarono a cercarlo. Severus sospirò. Anche così, nera di rabbia, era bellissima. Anche così, con il lago verde dei suoi occhi dolci trasformato in duro e freddo topazio, era perdutamente innamorato di lei.

Mangiò velocemente e si avviò fuori, diretto verso quello che da cinque anni era il loro albero. Tutto era tranquillo, almeno apparentemente. Si era seduto da poco quando una pietra lo colpì alla testa. Si girò per capire da dove provenisse e un’altra pietra gli mozzò il fiato, colpendolo al petto. Come non immaginarlo subito: Potter e Black che giocavano al tiro al bersaglio, mentre quell’essere insignificante di Minus rideva battendo le mani e Lupin guardava con aria indifferente.

-Come va Snivellus?- la voce odiosa di Potter gli fece salire il veleno in gola

-La tua popolarità sta calando? Hai davvero bisogno di me per metterti in mostra?- chissà da dove gli erano uscite quelle parole.

Black si mise a ridere, con quella sua risata così simile ad un latrato, mentre vide chiaramente gli occhi di Potter incendiarsi dietro gli occhiali. Fu una frazione di secondo da entrambe le parti e due incantesimi cozzarono a metà strada.

-Adesso basta! Finitela. Vi comportate come dei bambini!- una voce di donna. Di quella donna.

Subito la bacchetta di James sparì –Prenditela con il tuo amico, Evans.-

-Taci Potter! Come se non sapessi che siete stati tu e i tuoi amici ad iniziare.-

-Prima o poi me la pagherai Snivellus.- le parole del ragazzo si persero nella neve mentre gli altri tre lo portavano  via.

Lily si voltò verso l’amico, ma un’espressione di stupore le si disegnò sul viso quando lesse rabbia negli occhi neri. Rabbia verso di lei.

-Potevo benissimo farcela da solo, Lily. Non sono un bambino!-

-Davvero? Perché quando fai così lo sembri!-

-Avrei allontanato Potter con la magia senza che tu facessi leva sulla cotta che ha per te.-

-Cosa? E così tu credi che loro se ne siano andati solo per questo? L’idea che io sia una strega che viene rispettata non ti sfiora neanche?-

Una risata amara uscì dalle labbra del ragazzo, ma morì non appena Lei lo schiaffeggiò.

-Vattene dai tuoi viscidi amici, Snape- gli ringhiò contro –Tanto tu non hai bisogno di me!-

In un attimo era sparita. Cosa aveva fatto? Lui non aveva bisogno di Lei? Ma se la sua presenza per lui era più necessaria dell’aria che respirava. Perché l’aveva aggredita? Qualcosa era scattato in lui. Si maledisse, inveì contro gryffindor e slytherin, contro qualsiasi cosa lo allontanasse da lei. La sua disperazione era silenziosa, interiore. Il suo cuore si era spezzato in mille piccoli pezzi e, mentre da fuori rimaneva il solito pallido Snape, tutto dentro di lui si era lacerato. Doveva trovarla. Doveva parlarle. Un movimento concitato degli studenti lo avvertì che era ora di andare a lezione, ma non se ne curava. Correva per tutto il castello in cerca di lei. D’un tratto, un guizzo rosso verso sui si gettò, ma Lei, senza voltarsi, entrò nella classe di Incantesimi e a lui non rimase che dirigersi sconfitto verso quella di Trasfigurazione. Quattro ore di tortura, contando i secondi che lo separavano all’ora di cena; non appena la lazione finì scattò sulla sedia e corse verso la porta, ma tre ragazzi lo fermarono. –Dove corri, Snape? Dobbiamo parlare.- Il suo gruppo di slytherin stava organizzando una serata nelle segrete del castello, dove poter praticare incantesimi di magia nera. Lo facevano spesso, almeno due volte al mese, per poter essere pronti al momento in cui sarebbero usciti da quella scuola e il mago che si faceva chiamare Lord Voldemort, di cui tanto si sentiva parlare, forse li avrebbe chiamati a se. Severus non aveva mai detto nulla a Lily di quelle riunioni: Lei non avrebbe mai accettato. Rifiutava con tutta se stessa la magia nera, mentre lui ne era naturalmente attratto. Ma era convinto che per Lei avrebbe rinunciato anche a quello, se glielo avesse chiesto esplicitamente. Fino a quel momento, però, si era limitata a una silenziosa disapprovazione. Quando finirono di parlargli, Snape corse verso la sala grande, ma vide Lily già per le scale, diretta alla Torre di Gryffindor; provò a rincorrerla, ma il mare di studenti gli impedì di raggiungerla prima che sparisse alla vista.

Tornò nella sua camera con un macigno nel petto. Fu una notte insonne, con mille pensieri di scuse, mille frasi provate e riprovate. Avrebbe fatto di tutto, pur di ottenere il suo perdono. Si girava nel letto, incapace di trovare una posizione. Incapace di dormire anche solo per cinque minuti.

Ma non fu una notte senza riposo solo per lui. Nella Torre degli studenti di Godric, un ragazzo e una ragazza vegliavano, incapaci di prendere sonno.

James Potter fissava un soffitto sfocato, a causa della mancanza degli occhiali. Attorno a lui sentiva il respiro calmo di Remus, quello pesante di Sirius e quello irregolare di Peter. Solo lui non riusciva a dormire. Pensava a lei, alla rabbia con cui si era rivolta, ancora una volta, verso di lui. Perché lo odiava tanto? Cos’aveva quello slytherin che lui non avesse? Come poteva preferire un perdente immerso fino al collo nella magia nera? Proprio lei, così brillante da splendere di luce propria. Sarebbe riuscito a piacerle. Doveva. La desiderava troppo. Magari avrebbe chiesto consiglio ai suoi amici. A Remus. Sirius era fuori discussione, lui le ragazze se le prendeva e basta e loro non facevano tanti complimenti a concedersi. Come non lo facevano con lui. Tutte. Persino le serpeverdi: dopotutto, lui era un purosangue, seppur gryffindor. Solo lei gli si negava.

Si rigirava nel letto senza che Orfeo si decidesse a fargli visita e senza sapere che nella torre delle ragazze anche l’oggetto dei suoi pensieri trascorreva una notte insonne.

Lily si era alzata ed era andata a sedersi nel vano della finestra, incapace di stare a letto. Lo aveva schiaffeggiato. Come aveva potuto? La rabbia accumulata per l’aggressione a Mary era esplosa quando aveva letto l’astio negli occhi di lui. Lui, sempre così buono con lei. Non aveva sopportato il suo sguardo e l’aveva schiaffeggiato per cancellare quell’espressione dal suo viso. Se n’era pentita immediatamente, ma era scappata, troppo orgogliosa per ammettere l’errore. Si era torturata per quattro ore, poi, non appena la lezione era finita, era corsa verso l’aula di Trasfigurazione per cercarlo: l’aveva trovato in compagnia di quei suoi viscidi amici e, presa da rabbia, gli aveva voltato le spalle. Lei era corsa da lui, sperando di trovarlo ad attenderla a braccia aperte, e invece l’aveva visto chiacchierare tranquillamente con quelli. Incurante del suo dolore. Non l’aveva più visto quella sera. La luna e le stelle illuminavano il parco attorno al castello e il suo sguardo andò al loro albero: dov’era il suo Sev? Gli mancava. Non sapeva più stare senza di lui.

Dilegua notte. Tramontate stelle.

Quando arriverai, alba?

Il sole la colse assopita nel vano della finestra, con tutti i muscoli doloranti. Si lavò e si preparò per andare a colazione e l’espressione pensierosa si mutò in uno splendente sorriso non appena vide Severus attenderla alla fine delle scale. Corse da lui senza accorgersi che alle sue spalle un ragazzo con gli occhiali tratteneva la rabbia e il dolore.

Corse da lui senza desiderare altro che le sue braccia.

Gli gettò le braccia al collo, cogliendolo alla sprovvista. Non servivano parole. La notte di tortura era già stata una punizione abbastanza crudele.

Alla fine lei si staccò e si incamminò verso la sala grande, sorridendogli. Lui rimase qualche passo indietro, guardandola camminare.

No, un mondo senza Lily semplicemente non poteva esistere.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Filthy Mudblood ***


.  

 

-Lasciatelo stare!- urlò Lily, ed estrasse a sua volta la bacchetta. James e Sirius la fissarono preoccupati.

-Dai Evans, non costringermi a farti un incantesimo.- disse ansioso James.

-Allora liberalo!-

James sospirò, poi si voltò verso Piton e mormorò un controincantesimo.

-Ecco fatto.- disse, mentre Piton si rialzava a fatica –Ti è andata bene che ci fosse Evans, Mocciosus…-

-Non mi serve l’aiuto di una piccola schifosa Sanguesporco!-

Lily trasalì.

-Molto bene- replicò freddamente –Vuol dire che in futuro non mi prenderò la briga di aiutarti. E se fossi in te mi laverei le mutande, Mocciosus.-

-Chiedi scusa a Evans!- ruggì James, puntando la bacchetta contro Piton.

-Non voglio che mi chieda scusa perché l’hai costretto tu!- urlò Lily. -Siete uguali voi due.-

-Che cosa?- protestò James –Io non ti avrei MAI chiamato una… tu-sai-come!-

-Sempre a spettinarti i capelli perché ti sembra affascinante avere l’aria di uno appena sceso dalla scopa, sempre a esibirti con quello stupido boccino e a camminare tronfio nei corridoi e a lanciare incantesimi a chiunque ti infastidisca solo perché ne sei capace… sei così pieno di te che non so come fa la tua scopa a staccarsi da terra! Mi dai la NAUSEA.

Lily si voltò e corse via.

 

Come aveva potuto farlo? Proprio lui! Proprio a Lei!

Due persone ai lati opposti della scuola, con sentimenti tanto dissimili quanto identici, si ponevano le stesse domande. Senza trovare risposta.

Era calata la notte sul castello, ma Snape non poteva aspettare un’altra notte insonne senza chiarire… anche perché qualcosa gli diceva che l’indomani lei non gli avrebbe gettato le braccia al collo. Quella volta aveva passato il segno.

Si vestì e andò al ritratto della Signora Grassa fermando chiunque passasse di lì, implorandolo di far uscire Lily. Alla fine, dopo minacce e implorazioni, Lei uscì.

Venne avanti con uno sguardo furente, e lui seppe di averla persa. In quel preciso momento capì che niente di quello che lui le avrebbe potuto dire avrebbe cambiato le cose. Lei non sarebbe mai più tornata da lui.

Si scambiarono poche frasi. Implorante lui. Sprezzante lei.

Poi la gryffindor si voltò e varcò il ritratto, lasciandolo solo. Per sempre.

Lui rimase lì, senza sapere che fare, senza riuscire a riemergere da quel buco nero che gli si era aperto dentro.

Alla fine le occhiate dei gryffindor lo costrinsero a tornare nella sua camera nei sotterranei; si buttò sul letto e chiuse le tende con un gesto secco, poi rimase a guardare il soffitto. Si accorse che stava tremando. Lily… come poteva continuare, giorno dopo giorno, ad alzarsi dal letto e vivere la sua vita senza di lei? La sola idea era così terribile che il solo formularla gli faceva mancare l’aria. Come fare a vivere senza la sua risata, senza i suoi occhi?

La verità è che Lily aveva ragione, come sempre: lei aveva scelto la sua strada e lui la propria. Solo lui nella sua ottusa perseveranza a volere tutto si era illuso di poter essere un Mangiamorte e di continuare ad essere suo amico. Lily odiava con tutta se stessa i suoi amici e giurava già allora, appena quindicenne, che avrebbe fatto tutto il possibile per ostacolare il Signore Oscuro. Come potevano sopravvivere insieme, loro due così diversi? Il distacco era inevitabile. Rimandabile, forse, di un paio d’anni. Ma cosa sarebbe successo una volta finita la scuola? No, non poteva lavorare per Lord Voldemort e poi tornare da lei, sperando l’avrebbe accolto a braccia aperte. Lo sapeva. Dentro di se l’aveva sempre saputo. Ma non aveva mai avuto il coraggio di ammettelo, mai la forza di immaginare la sua vita senza Lei. Certo, avrebbe potuto rinunciare al Signore Oscuro, ma l’inclinazione alla magia nera era l’unico sentimento che in lui avesse mai rivaleggiato con l’amore per Lei.

Il respiro affannoso, il tremore senza fine, il cuore che martellava… niente di tutto quello era forte quanto il dolore che l’avvolgeva.

Lontana. Era così lontana. E la colpa era solo sua. Severus lo sapeva. Solo sua.

 

                Nella torre di Gryffindor Lily si rigirava nel letto, senza riuscire a prendere sonno. Non riusciva a capacitarsi di quello che era successo. Come aveva potuto il suo Severus chiamarla in quel modo? Schifosa Sanguesporco. Quelle parole gli risuonavano nelle orecchie senza lasciarle tregua. Aveva sperato fino alla fine di poterlo cambiare, di poterlo portare dalla parte giusta, togliendogli dalla testa quella folle ossessione per la magia nera; ma neanche lei era stata così potente, e quello che era successo nel pomeriggio ne era la prova. Doveva smetterla di pensare. Doveva annullare ogni pensiero prima che questi la opprimessero e le facessero perdere il senno. Le venne in mente un solo metodo. E c’era solo una persona che la potesse aiutare. Si vestì in fretta e si affacciò nella Sala Comune: Potter come al solito giocava con il suo boccino sotto lo sguardo estasiato di Minus, mentre Lupin studiava. Senza fermarsi oltre salì le scale che portavano al dormitorio maschile e bussò alla porta di una stanza: l’unico occupante la aprì subito. Un Sirius Black con solo i pantaloni addosso la accolse con uno sguardo a dir poco sorpreso, senza riuscire a dire una parola; lei lo scansò con una mano ed entrò nella stanza.

-Mi serve il tuo aiuto, Black. Ma è qualcosa che nessuno deve sapere.-

-Vuoi rendermi complice di un omicidio?- le chiese ironico non appena riacquistò padronanza di se.

-No. Voglio che tu mi porti a bere.- lo disse con una calma apparente che non tradiva il tumulto che sentiva. Lei, che non beveva neanche alle feste.

-Tu? La impeccabile Lily Evans vuole uscire di notte dalla scuola con uno dei suoi studenti rinomatamente più scapestrati e che la suddetta ha sempre disprezzato per ubriacarsi?!?-

-Poteva essere detto in maniera molto più semplice, comunque si, esatto. Allora, mi puoi aiutare?-

-Si, ma…-

-Nessun ma Black. Mi aiuterai o no? E, ti avviso, il tuo tracotante amico non deve sapere nulla.-

-Se ti riferisci a James, no, è evidente che non lo saprà o potrebbe uccidermi.-

-Bene.-

Si fissarono per un attimo, lei attaccandosi con tutte le sue forze alla sua decisione, cercando di ignorare la sua razionalità che le diceva che era pura follia, lui pregando che l’amico non lo scoprisse mai. Come spiegare a James che la ragazza di cui era innamorato era andata da lui chiedendogli di portarla a bere?

-Prenderò in prestito il Mantello dell’Invisibilità, così saremo più tranquilli. Vado da James a dirgli che mi serve per portare fuori una ragazza.-

-Bene.-

Si guardarono per un attimo, finchè un sorriso furbò non spuntò sulle labbra di lui.

-Vuoi uscire oppure preferisci rimanere qui a guardarmi cambiare?-

Lily avvampò, poi, con tutta l’altezzosità di cui era capace, andò ad aspettarlo fuori. Sirius la raggiunse in pochi minuti e, avvolgendola con il Mantello, la portò verso un passaggio segreto dietro la statua di una strega gobba e in breve arrivarono ad Hogsmeade.

-Credo che non sia il caso di andare a Three Broomsticks, siamo troppo riconoscibili. Da Hog's head nessuno farà caso a noi.- le sussurrò il ragazzo prima di dirigersi verso un pub rinomato per le frequentazioni poco raccomandabili.

Nessuno fece caso a loro quando entrarono, togliendosi finalmente il Mantello di dosso. Sirius la lasciò ad un tavolo all’angolo ed andò a ordinare dal barista, un uomo dall’aspetto rozzo, ma di cui brillavano incredibilmente gli occhi blu.

-Quell’uomo ha un aspetto familiare. Conosco quegli occhi…- Lily rivolse i suoi dubbi al ragazzo non appena tornò.

-Ottima spirito di osservazione Evans. Il suo nome è Aberforth Dumbledore.-

- Dumbledore?-

-Si. È il fratello di Albus. Ora, vogliamo bere?- aggiunse, porgendole un boccale. - È burrobirra, ma qui la fanno alcolica.-

Lei sorrise e bevve una lunga sorsata, per poi ritrovarsi a tossire tra le risate di Black e le occhiate dei (pochi) presenti.

-Vai piano Evans. Abbiamo tutta la notte!-

Continuarono a bere per ore, parlando di tutto meno che dei due nomi impronunciabili, James Potter e Severus Snape. Lily lo guardava, quella risata aperta, quei lineamenti perfetti… non ne era mai stata attratta. Preferiva una bellezza meno perfetta, più vissuta… la bellezza di Potter. Forse per quello lo detestava così tanto: le sarebbe potuto piacere, e molto anche, se non fosse stato così terribilmente pieno di se.

Quanto a Sirius, non poteva negare quanto lei fosse bella. Ma era la ragazza dell’amico e anche se lei neppure lo guardava, mai e poi mai Black l’avrebbe sfiorata con un dito, segno di una lealtà fin troppo estranea alla sua casata.

Quanto dolore poteva provare per ricorrere a qualcosa che aveva sempre disprezzato? Lei, così perfetta. Quanto significava quello slytherin per lei? Tanto, Sirius non poteva negarlo, non mentre la ascoltava parlare mentre le porgeva da bere. Parlare di niente, soffocando il fiume di parole che invece premeva per venir fuori.

Lily beveva quello che il ragazzo le dava, cercando un oblio che sembrava non arrivasse mai… parlava e parlava, cercando di ignorare il dolore che provava dentro. Poi, uno strano caldo cominciò a farsi avanti e, presto, la testa cedette. L’ultima immagine che la ragazza ebbe prima di chiudere gli occhi furono due occhi neri che la guardavano pieni di dolore.

Quando la bella testa rossa si accasciò sul tavolo lui la prese in braccio e la riportò  a scuola, avvolta nel Mantello, per poi affidarla alle cure dell’amica; sulla strada del ritorno incontrò una ragazza con cui si vedeva di tanto in tanto e la portò con se in camera, sperando di soffocare in quel corpo conosciuto il desiderio che l’aveva preso. Un desiderio che non poteva, per nessuna ragione al mondo, permettersi di provare.

James dormiva, quando lui entrò in camera: posò il mantello accanto a Ramoso, prima di andare nel letto dove la ragazza già lo aspettava.

Perdonami amico.

Ma James non sapeva nulla. Era stato sopraffatto dal sonno mentre ripensava alle parole cariche di odio che Lily gli aveva rivolto, parole che gli facevano male come aghi nel cuore.

Troppi cuori agitati a Hogwarts quella notte. Ma, dopotutto, non erano che quindicenni… quante storie d’amore si consumavano ogni giorno sotto gli occhi critici o addolciti dei quadri? Ma quante sarebbero state così importanti in un futuro neanche troppo lontano?

 

 

NOTA: questo capitolo parte con il ricordo di Piton tratto da "Harry Potter e l'ordine della fenice". le parti trascritte letteralmente sono segnalate con il grasetto.  Un abbraccio. E.A.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Anteros ***


.  

 

Si dice che quando due anime sono destinate ad incontrarsi, la vita farà in modo che ciò accada.

Ma Lily Evans, a queste frasi fatte, non aveva mai creduto. Credeva che prima o poi avrebbe incontrato la persona giusta, con cui formare una famiglia, ma non era stato il suo pensiero primario; finire la scuola in maniera eccellente, quello era importante. Crearsi un futuro.

La vita, ad un certo punto, le aveva davvero fatto incontrare la cossiddetta anima gemella, ma lei gli aveva semplicemente voltato le spalle. Anzi, meglio: l’aveva detestata.

Eppure una parte di lei era irrimediabilmente attratta da quell’altra parte dell’anima, come riconoscendola.

Lily Evans aveva detestato con tutta se stessa James Potter, almeno fino a quando lui non aveva smesso di essere il giocatore nauseantemente arrogante e aveva iniziato a corteggiarla davvero; era l’inizio del settimo anno e nonostante l’ansia per gli esami finali e i mille impegni, i due avevano vissuto una favola.

Quel caldo giorno di luglio, in una Londra prettamente babbana, Lily aspettava seduta nel vano della finestra che un rumore sordo di materealizzazione portasse con se il suo uomo. La scuola era finita, i M.A.G.O. solo un ricordo e lei era consapevole che lui era l’uomo con cui desiderava passare tutta la sua vita. Tra quelle mura quello che succedeva nel mondo magico, il male che imperversava e Lord Voldemort che  seminava panico e terrore, era solo un eco lontano. Pensare al mago che non-deve-essere-nominato le faceva stringere lo stomaco ogni volta… non per la paura, era una gryffindor con coraggio da vendere… no, semplicemente il pensiero di quel nemico mortale portava con se il ricordo inevitabile del suo Mangiamorte. Quel ragazzo che proprio lì, tra quelle strade, aveva conosciuto. Le mancava, il suo Severus, ma non era quello il momento per pensare a lui; i suoi genitori erano in vacanza in Italia e sua sorella ormai da qualche mese conviveva con un uomo, un certo signor Vernon, che non aveva mai avuto intenzione di presentarle, per cui, con la casa totalmente a disposizione, aveva organizzato un week end romantico solo per lei e James, lontano da tutto e tutti. Voleva che lui vedesse dove lei era cresciuta, conoscesse la parte babbana di lei: due giorni solo per loro, con una sola condizione. Via le bacchette. Aveva preparato con le sue mani la cena, senza ricorrere alla magia neanche una volta, e con addosso un tubino verde e delle scarpe dal tacco vertiginoso lo aspettava trapidante. Certo, era un bel salto rispetto alla grigia divisa della scuola… sentiva il cuore battere veloce e respirava profondamente nell’inutile tentativo di calmarlo. Non era solo un giro turistico in una casa babbana quello che aspettava James: la sua donna aveva preso una decisione, forse la più importante di tutta la sua vita.

L’orologio battè le sei e nel giro di pochi secondi due braccia la sollevarono e due labbra si posarono su quelle di lei, appena truccate.

-Evans, sei bellissima.-

Gli occhi neri brillavano dietro le lenti degli occhiali, rapiti da quella visione.

-Grazie. Benvenuto.- gli rispose lei, sorridendo, mentre un lieve rossoro rendeva il suo viso ancora più bello. Lui le porse un mazzo di rose, poi, staccando con difficoltà gli occhi da lei, si guardò intorno divertito da tutti quegli strani oggetti babbani che proprio non riusciva a capire.

-Io proprio non so come facciate a vivere senza magia.- le disse dopo un po’, senza allontanare il braccio attorno ai fianchi sottili.

-Vedi, Potter, il fatto che tu non sappia neanche mettere un calzino senza magia, non vuol dire che il resto del mondo babbano non possa sopravvivere.-

Quei soliti battibecchi tra di loro non erano mai spariti, ma all’astio si era sostituita una dolcezza mai espressa prima. Lei lo prese per mano e gli mostrò il salone, la cucina, le camere da letto e i bagni, lasciando per ultima la sala da pranzo dove un tavolo pieno di pietanze li aspettava: aveva sparso per tutta la stanza delle candele che davano all’ambiente un’aria terribilmente romantica e persino il cinico James era rimasto a bocca aperta.

Lo fece accomodare e iniziò a servire l’antipasto, contornato dal vino… chiacchierarono di tutto e di niente, mentre sempre nuove portate trovavano il loro posto sulla tavola. Lei, sempre così autoritaria, quella sera sembrava una geisha, decisa a compiacere con ogni mezzo l’uomo della sua vita. Alla fine si ritrovarono brilli e abbracciati sul divano.

-Tu sai come prendere un uomo per la gola, Evans, devo ammetterlo.- gli disse lui dopo un po’, baciandola sulla fronte.

Lei non gli rispose, ma si girò a baciargli il collo: sentiva James abbandonarsi sempre di più ai suoi baci e fremere al tocco della sua mano sotto la camicia… Le piaceva. Le piaceva renderlo felice e le piaceva quel nuovo potere che si rendeva conto che stava acquistanto. Lo sentiva perdere il controllo poco a poco, finchè lei non gli sbottonò la camicia. A quel punto lui si irrigidì.

-Non sono così ubriaco da approfittarmi di te, Evans.-

-Lo so… sono io che sto approfittando di te.- gli rispose sorridente, per tornare poi a baciarlo dietro l’orecchio

-Non sono venuto qui per questo… non voglio che tu faccia cose di cui potresti pentirti.-

-Potter- Lily si era poggiata sul gomito e lo guardava negli occhi, spazientita –Non sono mai stata così sicura di qualcosa come di questo. Ti voglio. Voglio sentirti in ogni modo in cui mi è dato farlo. Voglio essere completamente tua… Tu mi vuoi?- la sua voce era dura, mentre una febbre le illuminava gli occhi verdi.

-Certo che ti voglio, Evans. Non sai quanto.- la voce di lui invece era diventata roca –Ma non qui, su un divano.-

Fu allora che Lily si alzò in piedi e, prendendolo per mano, lo condusse in camera da letto. Una camera dove mai nessun ragazzo era entrato.

Nessuno, eccetto uno. Ma era stato tanto tempo prima. In una vita che a volte non le sembrava neanche di aver vissuto.

Si avvicinò al letto e si voltò verso di lui… con mani tremanti finì di sbottonare la camicia e la lasciò scivolare a terra, poi fece lo stesso con i pantaloni, lasciandolo con solo i boxer addosso. Alla fine, lasciò che lui le sfilasse il tubino, svelando la biancheria comprata per l’occasione. Si accorse che stava tremando anche lui. Forse più di lei.

La fece stendere sul letto, con dolcezza, quasi temesse di romperla, e iniziò a baciare ogni centimetro del suo corpo, quasi con venerazione, partendo dal collo… sentiva il suo respiro farsi sempre più accellerato, per finire come sospeso mentre lui le baciava il ventre piatto… scese sulle sua gambe, fino ai piedi, poi risalì con studiata lentezza, lasciando che lei si abbandonasse totalmente.

Non gli sembrava vero… assaggiava ogni angolo del suo corpo come fosse una benedizione… il nettare degli dei… cosa aveva fatto per meritare un simile dono?

Alla fine la spogliò del tutto. Lei non si oppose e seguì divertita i veneranti occhi di lui che la studiavano con minuziosità.

-Sei bellissima Evans.-

Ricominciò a baciarla, lasciando le mani scorrere su quel corpo perfetto… quando capì che lei era totalmente abbandonata a lui risalì a baciarle le labbra, mentre una mano si insinuava tra le sue gambe. Lei teneva gli occhi chiusi e muoveva il suo corpo assecondando i movimenti di lui, sospirando e gemendo, vivendo sensazioni mai provate prima.

Alla fine, di colpo, aprì gli occhi e si tirò su, invertendo le posizioni; iniziò a baciarlo e a sfiorare il suo corpo, finchè le sue mani non lo liberarono dell’ultimo indumento che gli rimaneva. Lui provò a fermarla, ma un’occhiata di lei lo costrinse ad abbandonarsi… a lasciarla fare. Voleva scoprire. Voleva sapere.

Alla fine, quando capì di non farcela più, rotolò su di lei e la bloccò sotto il suo corpo. Si immobilizzò, non osando andare oltre. Guardandola.

E quegli occhi verdi offuscati dal desiderio lo implorarono di continuare.

Si chinò a baciarla, mentre lei si metteva nelle sue mani. Doveva essere sua. Era un desiderio impellente.

Un piccolo ostacolo, poi i loro corpi si fusero l’uno nell’altro. Si muoveva piano, temendo il dolore che lei poteva sentire, ma Lily non sentiva altro che piena, completa felicità.

Lo abbracciò, si strinse ancora di più contro il suo corpo e allora lui perse ogni inibizione, ogni freno, ogni paura.

-Lily- un sussurro, una preghiera, un sogno…

Le lenzuola si muovevano come onde al ritmo del loro amore. I loro corpi sembravano essere nati per completarsi. Una sintonia perfetta, di una dolcezza infinita.

Non Eros, ma Anteros, l’amore corrisposto, l’amore fisico e spirituale. Un’unione di corpi e di anime.

Una perfezione impossibile da descrivere.

Scoprirono l’amore insieme quella notte, assetati e mai sazi, senza trovare le forze per separarsi…

Era ormai l’alba quando crollarono abbracciati nel letto, sfiniti e felici.

Rimasero in silenzio, ascoltando il battito dei loro cuori. Ogni parola sarebbe stata superflua: si erano detti tutto quello che c’era da dire in una lingua che solo gli amanti conoscono.

Alla fine, mentre lei già scivolava nell’oblio del sonno, James spezzò il silenzio

-Evans?-

-Che c’è?- mugugnò lei, guardandolo negli occhi.

Lui sorrise con quel sorriso impertinente che gli era proprio.

-Sposami-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Gelosia. Amore. Nostalgia. ***


.

 

“Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre”
W.S.

 

Il mondo attraverso quelle finestre si vedeva sporco e sfocato. E forse lo era davvero. Quel giorno la cosa più bella e pura che esistesse si era sporcata.

Il calore del whisky incendiario contrastava con il gelo che l’uomo aveva dentro. Un gelo che sembrava non avere fine e che, in quella casa, sembrava addirittura amplificato. Aveva letto del matrimonio pochi giorni prima, sfogliando distrattamente la Gazzetta.

James Potter e Lilian Evans annunciano felici il proprio matrimonio, che si terrà il giorno 20 Ottobre ecc ecc

Felici? Cosa c’era di felice in quell’annuncio che aveva del grottesco? Lily, la sua Lily, che sposava l’uomo che fino a poco tempo prima diceva di detestare. Quell’uomo che lui stesso odiava con ogni fibra del suo essere, quello stesso James Potter che l’aveva umiliato in tutti i modi in cui un uomo possa essere umiliato.

Il bicchiere esplose tra le sue mani per una stretta troppo forte e mille pezzi di vetro volarono per la stanza e sulla sua pelle, ferendolo; non si mosse, neanche per fermare il sangue che usciva copioso. Continuava a guardare fisso davanti a sé, senza vedere realmente nulla, senza sentire il dolore fisico, soffocato da quello atroce e totalizzante che provava dentro.

Il suo Signore era partito da qualche giorno, così lui non era stato costretto a fingere che tutto andasse bene e si era potuto rifugiare nell’unico posto dove non lo sarebbero mai andati a cercare: quella casa babbana a Spinner's End da dove tanto tempo prima era scappato e che ora rimaneva abitata solo da tristi ricordi.

Vicino, troppo vicino a quella casa che un tempo era sinonimo di gioia e che ora non era altro che l’immagine stessa del dolore. Quella casa, quella finestra da dove la vedeva studiare, in quella camera dove per tanti pomeriggi d’estate avevano sognato una vita assieme. Assieme come amici, è vero, almeno per lei. Ma pur sempre assieme.

La sua vita, senza di Lei, aveva perso ogni colore, ogni bellezza. La sua vita era nera, come la magia per cui l’aveva persa.

L’odore metallico del sangue si era mischiato a quello soffocante della polvere, ma nonostante tutto, l’uomo permaneva nella sua immobilità… solo il lento respirare e lo sbattito delle ciglia indicavano che era vivo e vigile. Alla fine, il suono di alcuni clacson lo risvegliò: odiava quei suoni babbani che per troppo tempo aveva cercato di allontanare. Con un gesto secco si alzò a prendere la bacchetta e, mormorando parole in una lingua lontana nel tempo, fermò il sangue, ma non perse tempo a pulire quello sparso al suolo e sulla poltrona. Dopo un’ultima occhiata a quel salone uscì ed era risoluto a tornare a Casa Riddle se una figura familiare nascosta dietro un albero non avesse catturato la sua attenzione.

-Petunia…- poco più che un sussurro, ben attento a non farsi sentire.

Petunia Evans in Dursley stava spiando qualcosa, o qualcuno, cercando di non farsi vedere.

-Non hai perso l’abitudine di spiare da dietro le siepi noto.- la voce era più profonda e adulta di come lei la ricordasse, ma il sottile tono carico d’odio era inconfondibile. Si girò di scatto, con gli occhi ridotti a due fessure.

-Tu?-

-Io. Mentre esco da casa di mia madre. Tu invece, cara vicina, cosa stai facendo?-

-Credi che non sappia cosa ti porta qui oggi Snape? Tornare qui dopo tutti questi anni… c’è un solo motivo, ed è lo stesso che ha portato qui me. Vieni. Vieni a vedere.-

Una forza più grande del raziocinio lo fece avvicinare alla donna e poi guardare il punto che lei gli indicava.

-Com’è bella la principessa di casa, vero?- un tono acido, carico di disprezzo, ma Severus già non sentiva più. Circondata da amici e familiari una splendida donna avvolta  da un abito candido e immacolato si apprestava a salire su una macchina d’epoca, diretta a coronare il suo sogno d’amore.

Candido e immacolato proprio come era la sua anima, quell’anima che lui aveva amato e che amava al di sopra di ogni cosa. Quell’anima corrotta da un amore sbagliato. Insensato.

-Ha vinto lui, Severus. La tua Lily sta sposando un altro e tu hai perso tutto.-

La mano del mago andò istintivamente alla bacchetta, ma poi la ritirò. Che senso aveva colpire quella Babbana creando inutili problemi con il Ministero che già lo stava cercando? Persino il suo Signore, che considerava i non-maghi esseri totalmente inutili e sacrificabili, non ne sarebbe stato contento. E poi, versare il sangue di Petunia sarebbe stato versare lo stesso sangue che scorreva nelle vene di Lily, per quanto fosse difficile crederlo. Snape voltò le spalle alla donna senza dedicarle neanche un’ultimo sguardo e la lasciò lì, lei e il suo rancore, soli, proprio come era solo lui. Vagò senza meta per un tempo indefinito, percependo chiaramente come lui non avesse un posto nel mondo: vagava come chi non ha una casa, sapendo che lui la sua l’aveva persa quando aveva quindici anni. La sua casa era Lily e Lily non c’era più. Aveva perso tutto, Petunia aveva ragione. Potter aveva tutto: fama, bellezza, bravura. E ora, anche la donna migliore che si potesse desiderare. La sua Lily. Una gelosia cieca si impossessò di lui e, spinto da una forza sovrumana, si ritrovò davanti la chiesa dove si celebrava la cerimonia; era deciso, l’avrebbe ucciso, e non si curava più del ministero o di Lord Voldemort… Potter doveva morire. Aveva la bacchetta tra le mani e il cuore soffocato da quel sentimento malato, quando la coppia di sposi uscì. Mano nella mano, incredibilmente giovani e belli. E felici. Ridevano sotto una pioggia di riso, guardandosi negli occhi. Fu allora che  capì. Capì che neanche l’odio e la gelosia verso Potter potevano superare l’amore che provava per lei. Capì che mai, mai, avrebbe potuto fare qualcosa per distruggere la felicità di Lily. Lei, così pura.

Ripose la bacchetta nella tasca delle veste logora ed era pronto ad andarsene, quando due occhi verdi incrociarono i suoi e lo incatenarono a loro, come sempre era stato e come sempre sarebbe stato. Severus viveva in quegli occhi. Prendeva da loro tutta la vita di cui aveva bisogno per sopravvivere.

Si guardarono per un attimo. Un attimo eterno.

Poi se ne andò.

 

 

 “Ma amore è cieco, e gli amanti non vedono le amabili follie cui s'abbandonano”
W.S.

 

 Pronunciare il suo si era stato semplice. Aspettare quelle due lettere uscire dalle labbra di lei lo era stato meno. Aveva paura. Forse per la prima volta in vita sua James Potter aveva paura. Paura che lei cambiasse idea e gli sfuggisse dalle mani, che se ne andasse leggera così come era entrata.

Quando l’aveva vista percorrere la navata accompagnata dal padre, con un’abito bianco che si muoveva come un’onda sul suo corpo e con gli occhi verdi che brillavano all’inverosimile per l’emozione, si era chiesto cosa avesse fatto per meritare un simile dono; si era voltato verso il suo testimone e gli aveva sorriso, un sorriso pieno di trionfo e di felicità. Lei era sua.

E lo era davvero. Lily pronunciò quel si con voce sicura e poi si era voltata verso di lui, raggiante.

Io vi dichiaro marito e moglie.

Marito e moglie. James ripetè quelle parole, assaporandone il sapore dolce come il miele: Lily, la sua Lily, quella che per anni l’aveva respinto ma che alla fine aveva ceduto, era sua moglie. Finchè morte non li avesse separati. E a James sembrava di volare come mai prima di allora aveva fatto, neanche a cavallo della sua amata scopa. Volava la sua anima, felice come non mai.

Non appena le sua labbra si staccarono da quelle di Lily per il bacio di rito sentì due braccia avvolgerlo in una stretta soffocante. Non aveva bisogno di alzare lo sguardo per capire a chi appartenessero: il suo migliore amico, suo fratello, il suo testimone di nozze. Sirius Black, l’uomo che da tanti anni era al suo fianco e a cui avrebbe affidato la sua stessa vita, sicuro di metterla al sicuro. Poco dopo altre due paia di braccia si unirono a quella stretta e si ritrovarono così, tutti e quattro, legati gli uni agli altri, convinti che niente potesse separarli. I quattro Malandrini.  Prongs, Padfoot, Moony, Wormtail.

Con difficoltà i signori Potter riuscirono a liberare il figlio dagli amici per abbracciarlo e James si ritrovò a volteggiare di braccia in braccia, fino a che una mano calda e delicata non tornò tra le sue e lo condusse fuori dalla chiesa. Volava il riso, volavano le foglie autunnali e volava il suo cuore, mentre si perdeva in quegli smeraldi verdi. Non notò la distrazione di Lily, preso com’era dalle parole irriverenti e maliziose di Sirius, preso da quella risata così simile ad un latrato a cui si unì come aveva sempre fatto. Quando si voltò nuovamente verso di lei, Lily lo stava guardando. Così piena d’amore che gli sembrava di impazzire.

La prese sottobraccio e la condusse verso la macchina babbana che li aspettava per condurli alla stazione; le aprì la portiera e le diede una mano per aiutarla ad entrare, ma quando lei già si stava abbassando la fermò e la strinse a se.

-Ti amo, Signora Potter.-

Quanto trionfo in quelle due parole. 

 

 

“Possiamo chiudere con il passato, ma il passato non chiude con noi.”
W.S.

Alla fine, lo stava facendo davvero. Mentre sua madre le sistemava il velo tra i capelli e Mary le aggiustava le pieghe del vestito, Lily Evans capì che si stava davvero per sposare. Dalla sera in cui James si era proposto aveva vissuto in uno stato di perpetua esaltazione e niente e nessuno le avrebbe rovinato quel giorno. Il suo giorno. Il coronamento di un sogno d’amore, incuranti del pericolo che tutti correvano. Incuranti anche di quella sorella il cui silenzio pesava più di mille parole. Quel giorno d’autunno si sarebbe unita indissolubilmente all’uomo che amava e niente, niente, l’avrebbe turbata.

Ma neanche Lily Evans, cuore fiero di gryffindor, era abbastanza forte da ignorare quella parte dentro di se che da mesi sanguinava copiosamente.

Tutto era iniziato la mattina in cui James l’aveva lasciata per dare la notizia al suo migliore amico, nonché testimone di nozze, pensando che lei avrebbe fatto lo stesso andando da Mary. Lily era rimasta lì, nel letto, a guardare il punto da dove il suo uomo era scomparso, senza riuscire a formulare un pensiero razionale; ogni volta che aveva immaginato il suo matrimonio si era vista scendere veloce le scale di casa per andare incontro all’unica persona che avrebbe voluto accanto in quei momenti. Sarebbe corsa da lui, dal suo Severus, gli avrebbe comunicato la notizia e avrebbero festeggiato assieme, fino al giorno in cui lui le sarebbe stato accanto mentre pronunciava il suo si.

Ma tutto era cambiato. E lui non c’era. Né ci sarebbe stato. Si era trasformato in un nemico mortale, in tutto quello che lei e l’Ordine combattevano.

Dove sei Severus?

Se l’era domandato quella mattina e se lo chiedeva anche quel giorno, davanti allo specchio, contemplando un vuoto che solo lei riusciva a vedere. Il suo sguardo andò alla finestra, cercando quella casa. Scioccamente, si disse: lui non tornava lì da anni ormai.

Arrivò il signor Evans per condurla fuori, verso la chiesa, verso l’uomo che amava, ma mentre stava per entrare in macchina una strana sensazione le fece accapponare la pelle.

Era lì?

Non alzò gli occhi, presa da un’improvvisa paura. Se lui fosse davvero stato lì, non sarebbe riuscita a sostenere il suo sguardo.

Ma nessun cuore sanguinante avrebbe continuato a soffire davanti alla visione che l’aspettava una volta in chiesa: il suo James, raggiante, che la guardava piena d’amore. Gli sorrise, pensando che quello era il primo giorno di una nuova vita.

Pronunciò il suo si fiera e sicura come mai era stata e poi si lasciò abbracciare da tutte quelle persone, magiche e non, che erano lì per lei. Per loro. E gli occhi che erano rimasti asciutti non poterono fare a meno di diventare lucidi quando Black l’abbraccio e gli sussurrò un grazie che la fece tremare. Prenditi cura di lui. Prenditi cura del mio James.

Uscirono dalla chiesa sommersi dal riso, mano nella mano, ma un brivido, lo stesso brivido, la percorse e lei non potè ignorarlo. Alzò lo sguardo, esattamente lì dove l’istinto le diceva che l’avrebbe trovato. Esattamente lì dove lo trovò.

I suoi occhi neri erano carichi di dolore e lei dovette lottare contro l’impulso di corrergli incontro e dirgli che andava tutto bene, che era comunque la sua Lily. Si guardarono per un attimo. Un solo eterno attimo. Poi lui sparì e lei si voltò di nuovo verso suo marito. James era distratto e lei si chiese se Sirius si fosse accorto di quella presenza solitaria e le avesse voluto regalare un ultimo attimo solo per loro, proprio lui, che anni prima era stato l’unico testimone del suo dolore.

Alla fine James si girò a sorriderle e la portò verso quella macchina voluta per salvare le apparenze. Sarebbero andati in viaggio di nozze, avrebbero iniziato la loro vita coniugale e lei era felice. Felice e innamorata. Il suo cuore continuava a sanguinare, ma l’avrebbe sopportato.

Avrebbe convissuto con quell’assenza per il resto della sua vita, perché lei aveva potuto chiudere con il proprio passato, ma era evidente che il passato non aveva affatto chiuso con lei.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Dicono che somigli al padre ***


.  

Dicono che somigli al padre. Non ha che pochi giorni eppure già trovano le somiglianze… evidentemente gli somiglia davvero.

Un altro lui, con gli stessi capelli scomposti, gli occhi nascosti da pesanti occhiali, l’aria da arrogante e gli atteggiamenti di chi crede di avere il mondo ai propri piedi. Può immaginarlo facilmente, Severus Snape: una copia in miniatura dell’uomo che più odiava al mondo.

Erano i primi giorni di agosto quando Malfoy si era presentato alla riunione dei Mangiamorte con un ghigno sul volto.

-Sembra che quest’anno sia pieno di nascite.-

Non capirono, ma tutti sperarono che il biondo mago non si lanciasse in un’altra ode del suo rampollo neonato in attesa che il Signore Oscuro arrivasse; non mirava a quello, Lucius Malfoy, ma più tardi Snape si sarebbe augurato il contrario.

-Se non altro – continuò – il figlio dei Longbottom è un purosangue. Potter invece ha pensato di sporcare il suo sangue sposando una nata-babbana e regalando al mondo l’ennesimo mezzosangue.-

Parole cariche disprezzo dette con noncuranza e che suscitarono le risate degli ascoltatori. Di tutti, meno che di uno. Alla parola Potter il cuore di Snape aveva accellerato il battito, per poi sprofondare a quell’accenno irriverente nei confronti della madre del bambino: non aveva alzato la testa dal Profeta, cercando di nascondere il tumulto che aveva dento.

-Dicono che somigli al padre.- una voce gelida e serpentina si era insinuata tra di loro; Lord Voldemort era entrato nella sala da pranzo di casa Riddle silenzioso come un serpente. –Harry James Potter, la copia esatta di suo padre. Purtroppo temo che lo sarà anche negli ideali.-

E con quelle parole  il loro Signore aveva liquidato la questione, come se un bambino non meritasse oltre la sua attenzione; non sapeva quanto quel bambino, in realtà, la meritasse.

Harry James Potter. Snape ripeteva dentro di se quelle tre parole, caricandole di un odio che non credeva sarebbe riuscito ancora a provare.

Dicono che gli somigli, arrogante, presuntuoso, pieno di se. Giocherà a Quidditch? Sicuramente. Come fare per essere popolare, altrimenti? Snape non sentiva niente di quello che accadeva attorno a lui. L’unica cosa a cui riusciva a pensare era quel bambino di pochi giorni. Il figlio di Potter.

No. Per quanto cercasse di soffocare nell'odio quel pensiero, non poteva negare chi quel bambino fosse. Il figlio di Lily. Della sua Lily. E Severus avrebbe dato tutto quello che aveva per andare da lei e leggere la felicità nei suoi occhi. Pura, semplice felicità.

Dicono che somigli al padre.

E lo odiava per questo.

Ma aveva gli occhi verdi, quegli stessi occhi che lui conosceva così bene.

Quegli stessi occhi che erano il suo paradiso in terra. Gli stessi occhi che sempre aveva immaginato sarebbero stati l’ultima cosa che avrebbe visto, morendo tra le braccia di lei. L’unica cosa al mondo che valeva la pena guardare.

Gli occhi di Lily.

 

 

Nota:
Mancano pochi capitoli alla fine di questo mio viaggio nella vita di Lily, Severus e James. Un viaggio iniziato per caso e che adesso sto portando avanti con infinito amore. Spero davvero che chi capiti tra queste pagine possa apprezzarlo...
Grazie. E buon viaggio.
E.A.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Vuoto ***


.  

“ Lui pensa che sia Lily Evans”

“La profezia non parla di una donna”ribattè Silente “ma di un bambino maschio nato alla fine di Luglio”

“Sa cosa voglio dire! Lui pensa che si tratti di suo figlio, le darà la caccia… li ucciderà tutti…”

“Se lei è così importante per te Lord Voldemort la risparmierà, no? Non puoi chiedere pietà per la madre in cambio del figlio?”

“Io ho… io gliel’ho chiesto…”
“Tu mi disgusti” commentò Silente e Harry non aveva mai sentito tanto disprezzo nella sua voce. Piton parve rimpicciolire.

“Quindi non t’importa se suo marito e suo figlio muoiono? Possono morire, purchè tu ottenga ciò che desideri?”

Piton tacque, continuando a guardare Silente.

“Allora li nasconda tutti” gracchiò infine “La metta…li metta al sicuro. La prego.”

“E tu cosa mi darai in cambio, Severus?”
“In… in cambio?” Piton guardò Silente a bocca aperta e Harry si aspettava che protestasse, ma dopo un lungo istante rispose: “Qualunque cosa.” *

 
“Harry no! Harry no! Per favore… farò qualunque cosa…”
Scrosci di risa penetranti… si divertiva al suo terrore… **

 

Vuoto. Buio assordante vuoto.

Non esisteva più nulla, fuori e dentro di lui. Soltanto vuoto.

In lontananza sentiva rumori di festa, risate, bicchieri che tintinnavano al contatto… tutto il mondo magico esplodeva di gioia.

Lord Voldemort era morto e loro avevano un nuovo eroe: Harry Potter, il Bambino Sopravvissuto.

Un bambino di un anno che aveva ucciso il mago oscuro più potente di tutti i tempi. E a nessuno interessava il sacrificio che vi era dietro, a nessuno interessavano quelle vite spezzate: erano solo due nomi in più da aggiungere alla lunga lista delle vittime che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato aveva mietuto. Tutto quello cadeva nell’irrilevante, nel prima, perché Lord Voldemort se n’era andato. Non esisteva più.

Come ciò fosse successo, nessuno l’aveva capito, ma non appena la notizia era venuta fuori aveva rimbalzato di angolo in angolo, senza sosta; alcuni maghi, protetti da lunghi mantelli neri, erano spariti, intenti a cancellare le tracce che li legavano a Colui-Che-Era-Caduto. Altri, molti altri, moltissimi altri, si erano riversati per le strade, contaggiati da quell’allegria liberatoria dopo anni di terrore.

Vuoto.

Tutto quello che Severus Snape sentiva era vuoto. Né gioia, né paura.

Aveva commesso un errore, un unico, fatale errore. Aveva ascoltato qualcosa che sarebbe dovuta rimanere celata e l’aveva riferita al suo Signore, in un eccesso di servilismo, sperando di compiacerlo.

Oh, vi era riuscito. Il Signore Oscuro l’aveva ricompensato, aveva fatto di lui uno dei Mangiamorte più importanti, più vicini. Lui aveva sventato la sua fine.

Snape maledisse quel giorno, maledisse se stesso e il suo padrone.

Lord Voldemort aveva un nome, una vita da spezzare. Quella di un bambino.

Che importava a lui, fiero serpeverde, il Principe Mezzosangue, di un semplice bambino?

Nulla.

Eccetto il cognome. Potter. Harry James Potter. Il figlio di Lily.

Tradito.

Eccome come si sentiva Snape.

Tradito da Voldemort, che gli aveva promesso di risparmiarLa.

Tradito da Dumbledore, che gli aveva promesso di salvarLa.

Lei era morta e niente aveva più senso. Non la vedeva dalla fugace occhiata il giorno del suo matrimonio e da ormai troppi anni non avevano contatti; combattevano una guerra su fronti opposti e niente apparentemente ormai li legava.

Ma lui, Severus, non aveva mai smesso di amarla, e anche solo l’idea che Lei da qualche parte era felice gli dava la forza di andare avanti, giorno dopo giorno.

Ma da dopo quella notte? Da dopo quel 31 ottobre, per cosa sarebbe vissuto?

Viveva di Lei. Ma Lei non c’era più.

Un gemito, un sordo gemito gli sfuggì dalle labbra, mentre era piegato su se stesso in un vicolo sudicio e buio; un gemito dal dolore straziante, che avrebbe commosso chiunque, se qualcuno fosse stato lì ad ascoltarlo. Un gemito che racchiudeva il lago di disperazione in cui stava annegando, senza che niente lo salvasse.

Perché era Lei la sua àncora; Lei, che giaceva in una casa distrutta, spezzata da un incantesimo che lui avrebbe potuto evitare, con gli occhi verdi irreparabilmente chiusi.

Non avrebbe più rivisto i suoi occhi.

Il gemito diventava sempre più acuto e ormai i tremiti scuotevano il suo corpo senza sosta, privandolo delle ultime energie.

Cadde di lato e rimase così, in posizione fetale, con la testa tra le mani rivolta verso il muro. Nessuno fece caso a lui, nessuno lo vide. Forse qualcuno lo sentì, ma l’euforia della festa copriva ogni cosa.

Snape non sapeva cosa sarebbe successo e non gli interessava. Forse gli uomini del Ministero l’avrebbero trovato e l’avrebbero consegnato ai Dissennatori. Forse Dumbledore l’avrebbe protetto.

Non lo sapeva. E non gli importava.

Qualsiasi sarebbe stata la sua fine, l’avrebbe meritata, perché Lei non c’era più e la colpa era solo sua.

Mi dispiace, Lily. Mi dispiace così tanto. Io volevo solo poterti amare. Volevo solo saperti felice. Mi dispiace Lily.

Una mano decisa e sottile lo scosse, risvegliandolo dall’oblio in cui, alla fine, era caduto.

La mano che poteva salvarlo. Ma lui non voleva essere salvato.

Voleva morire. Voleva smettere di provare dolore.

-Alzati Severus.- la voce suonava categorica e lui, come mosso da fili invisibili, stancamente, si alzò in piedi.

La mano si poggiò nuovamente su di lui e il vicolo squallido si traformò in una stanza dorata.

 

Dopo qualche istante Piton alzò il viso: rispetto all’uomo sulla collina spazzata dal vento sembrava aver vissuto cento anni di dolore.

“Credevo…che lei…l’avrebbe…protetta…”

“Lei e James hanno riposto la loro fiducia nella persona sbagliata” osservò Silente “Più o meno come te, Severus. Non speravi che Lord Voldemort la risparmiasse?”

Piton respirava appena.

“Suo figlio è sopravvissuto” aggiunse Silente.

Con uno scatto della testa, Piton parte scacciar via una mosca molesta.

“Suo figlio è vivo. Ha i suoi occhi, esattamente i suoi occhi. Ricordi la forma e il colore degli occhi di Lily Evans, non  vero?”

“NO!” urlò Piton “Perduta… morta…”

“ È rimorso, Severus?”
“Vorrei…vorrei essere morto io…”

“E a cosa sarebbe servito, e a chi?” ribattè Silente, gelido “Se amavi Lily Evans, se davvero la amavi, allora la tua strada è tracciata.”

Piton sembrava guardarlo da dietro un velo di dolore e le parole di Silente impiegarono molto tempo a raggiungerlo.

“Cosa…cosa vuole dire?”

“Sai come e perché è morta. Fa’ che non sia stato invano. Aiutami a proteggere il figlio di Lily”.

“ Non ha bisogno di protezione. Il Signore Oscuro se n’è andato…”

“Il Signore Oscuro tornerà e Harry Potter sarà in enorme pericolo…”

Dopo una lunga pausa, lentamente Piton riprese il controllo di se e del proprio respiro. Alla fine parlò: “Molto bene. Molto bene. Ma non lo dica… non lo dica mai a nessuno, Silente! Deve restare tra noi! Non posso sopportare… soprattutto il figlio di Potter… voglio la sua parola”

“Vuoi la mia parola, Severus, che non rivelerò mai la parte migliore di te?” Silente sospirò, guardando il volto feroce e addolorato di Piton. “Se proprio insisti…” *

 

 

*    : "Harry Potter e i doni della morte"
** : "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban"

 

 

Grazie a dulcedo, ily90, Ladyhawke25, Lu_Pin, malandrina4ever, Malandrina94, Miss_Rose, potterina_88 e Vodia che hanno messo la storia tra le seguite, a remvsg che l'ha inserita tra le ricordate, a I Love James Potter che l'ha aggiunta tra le preferite e a KissMeLicia e nuovamentea remvsg e Lu_pin per i commenti. Grazie grazie immensamente grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La sua condanna ***


.  

Era il primo settembre e come sempre Hogwarts era in fibrillazione: un nuovo anno scolastico stava per iniziare e nuovi e vecchi alunni erano in viaggio sull’Espresso. Quell’anno, però, c’era qualcosa in più nell’aria… tutti i professori sapevano chi stava arrivando e tutti, nessuno escluso, erano curiosi di vederlo.

Ma nessuno era soffocato dal nervoso come il professore di Pozioni. Per undici lunghi anni Severus Snape aveva cercato di dimenticare l’esistenza di quel bambino e della promessa che aveva fatto tempo prima al Preside. Proteggere il figlio di James Potter! La sola idea che una miniatura di James potesse vagare nuovamente per quei corridoi con l’aria di chi si sente il padrone del mondo lo faceva fremere di rabbia… ma quella volta lui non sarebbe stato Snivellus, sarebbe stato un professore. Sarebbe stato il suo incubo. A Snape gli sembrava un buon modo per ripagarlo perché se c’era una cosa certa era che Harry James Potter sarebbe stato il suo.

Seguì tutti i professori in sala grande, mentre orde di studenti attraversavano rumorosamente la porta, tacendo all’istante non appena lo incrociavano; lo temevano, e quello a Snape faceva piacere. Voleva essere temuto e rispettato. Prese posto al tavolo dei professori e rimase in attesa, con la solita espressione glaciale sul volto. Solo un lieve tremore delle mani nascoste sotto la veste nera rivelava il suo nervosismo.  Erano anni che Severus non si sentiva nervoso. E in un attimo la sua mente vagò a quel primo settembre di tanti anni prima quando, undicenne, teneva tra le sue la mano di una agitata Lily in attesa che il Cappello Parlante li smistasse. Quante vite era trascorse da allora?

Il rumore sordo della porta che si apriva lo fece trasalire e voltare verso la professoressa McGonagall che stava entrando seguita da una fila di studenti silenziosi. Snape scrutò il gruppo con curiosità, senza però riuscire a trovarlo; fu solo verso la fine, quando numerosi studenti erano già stati smistati, che il suo sguardo fu catturato da una chioma rossa nelle ultime file.

“Un altro Weasley... Ma quanti sono?”, pensò con disappunto.

E poi… un tuffo al cuore. Eccolo lì, accanto al ragazzo Weasley. Capelli neri scoposti, occhiali spessi e una cicatrice sulla fronte. Il Ragazzo Sopravvissuto. Il figlio del suo nemico.

Distolse lo sguardo, invaso da un’improvvisa paura. Il cuore batteva furiosamente nel suo petto e in quel momento si rese conto di non poterlo fare… non poteva guardarlo negli occhi.

Non poteva vedere ancora una volta quegli occhi.

Si voltò nuovamente verso di lui solo quando la professoressa chiamò il suo nome e lui si andò a sedere sullo sgabello; teneva il volto basso, ma Snape non si faceva illusioni. In breve si sarebbe mostrato esattamente per quello che era: mediocre, arrogante, presuntuoso, sprezzante delle regole, compiaciuto per la sua grande fama, avido di attenzioni e impertinente. *

Gryffindor, fu il verdetto. Come stupirsi? La stessa casa di suo padre.

La stessa casa di Lily.

Nella testa di Snape due voci si susseguivano furiose: quella che intrisa d’odio gli ricordava chi fosse il padre del ragazzo e quella più debole e più dolorosa che non perdeva occasione di ripetere quel nome. Il nome che ancora bruciava.

Che avrebbe sempre bruciato.

A banchetto iniziato, mentre Raptor parlava cercando di ottenere la sua attenzione, i suoi occhi vagarono sul tavolo rosso e oro, nello stesso istante in cui due occhi verdi si voltavano verso quello degli insegnanti.

Fu un attimo. Una frazione di secondo.

E Snape capì quale sarebbe stata la condanna per la sua colpa. La stessa forma, la stessa sfumatura di verde. Per sette lunghi anni sarebbe stato perseguitato dagli occhi che aveva amato più di ogni altra cosa nel volto che più aveva odiato.

Lo detestava, nonostante non fosse che un bambino, ma sapeva anche, con una consapevolezza che faceva quasi male, che avrebbe tenuto fede alla promessa anche a costo della vita, perché Lily viveva in suo figlio e lui l’avrebbe protetta.

Quella sera, al buio della sua camera solitaria, qualcuno evocò un patronus; una splendida cerva d’argento si avvicinò al suo creatore, infondendogli una pace interiore che sapeva di aver perso. Snape la guardava e non potè fare a meno di sorridere.

Ti amo Lily Evans. E so che saresti orgogliosa di questo tuo figlio. Un altro gryffindor, proprio come te.

 

 

* "Harry Potter e i doni della morte"
NOTE: mancano due capitoli alla fine e saranno abbastanza brevi, come questo, avendo ormai come solo punto di vista quello di Snape, ma spero che possano piacervi. Grazie Lu-Pin per il commento... grazie davvero! E grazie a tutti voi che passate di qui.
Un abbraccio, E.A.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La lettera ***


.  

Severus Snape non aveva mai pensato a se stesso come a un salvatore. Poteva esser stato tante cose, ma non quello.

Eppure, quella notte si era ritrovato a salvare. E non una, ma tre vite.

Aveva salvato quel giovane dai capelli biondi e dall’aria spaventata da un compito che non sarebbe mai riuscito a svolgere.

Aveva salvato quel ragazzo che nessuno poteva vedere ma che lui era sicuro ci fosse, quel ragazzo che da troppi anni proteggeva.

E aveva salvato l’unica persona che avesse visto del buono in lui. L’unica, dopo Lei. Il suo protettore, che l’aveva difeso e che l’aveva stimato e a cui, alla fine, si era affezionato. Strano come lui, sempre così freddo, si fosse poi svisceralmente legato alle uniche due persone che gli avevano dato una possiblità di riscatto.

Mentre tendeva la bacchetta verso quel volto fiero, segnato dagli anni e da una magia che lo stava corrodendo, la sua certezza aveva vacillato. Poteva davvero farlo? Poteva davvero ucciderlo?

Lui l’aveva guardato negli occhi, blu contro nero… E l’aveva pregato.

E alla fine Snape l’aveva fatto. Avada Kedavra. E il più grande preside che Hogwarts avesse mai conosciuto, il più grande uomo che lui avesse mai conosciuto, precipitava privo di vita dalla Torre di Astronomia.

Snape sapeva che da quel momento non sarebbe stato altro che Il Traditore. Nessuno si era mai fidato davvero di lui, ma si fidavano di Dumbledore e del suo giudizio, ma da quella notte lui sarebbe stato a tutti gli effetti l’uomo di Lord Voldemort. Dopotutto, era quello il piano. Ogni singolo gesto era stato dettato, in tutti quegli anni, da un unico scopo: proteggere il figlio di Lily.

E avrebbe continuato a farlo, anche a costo della propria vita.

Era scappato trascinando con se Draco, indisturbato da entrambe le parti, dal momento che i professori lo credevano dalla loro parte e i Mangiamorte lo sapevano dalla propria… era fuggito ma si era accorto troppo presto di essere seguito dall’ultima persona che avrebbe voluto affrontare.

Ma era logico, dopotutto. Gli aveva strappato il suo mentore.

Un incantesimo era volato sulle loro teste; aveva intimato al giovane Malfoy di correre e poi si era voltato ad affrontarlo. Le bacchette erano state alzate nello stesso istante: non voleva colpirlo, solo disarmarlo e continuare la fuga. Ma poi qualcosa era successo… Harry continuava a colpirlo e lui si era ritrovato a versare sul ragazzo tutto l’odio accumulato in anni e anni di offese e umiliazioni. Fu solo quando lo aveva sentito urlare di dolore che si era ripreso: un urlo che gli aveva squarciato l’animo. Aveva ruggito un No carico di paura. Aveva allontanato gli altri Mangiamorte. E si era voltato per andar via, lasciando il giovane a terra dolorante, ma illeso.

Ma per Potter la partita non era ancora chiusa e gli aveva gettato contro la maledizione che aveva scoperto in un libro. Sectumsempra.

Sciocco, sciocco ragazzo. Usare i suoi incantesimi contro di lui.

L’odio l’aveva  di nuovo e con più violenza e aveva colpito il giovane gryffindor con quanta più rabbia potesse. Ma non l’aveva ucciso. Nonostante l’odio, non avrebbe mai potuto. E non per la promessa fatta, ma per l’amore che ancora viveva in lui.

E così era fuggito, lui, il Principe Mezzosangue.

 

Aveva portato Draco dai genitori, aveva ricevuto le lodi del suo signore e poi era scappato, ancora. Era fuggito da quei complimenti vuoti e da quei sorrisi finti. Aveva vagato per un po’, ma poi il suo Signore aveva richiesto la sua presenza a Hogwarts, come Preside. Un oltraggio, avevano pensato tutti.

Ma tutto quello che Snape pensava era che c’era del grottesco in quella situazione. Ad ogni modo, dall’ufficio oltre il gargoyle poteva seguire le indicazioni di Dumbledore molto più facilmente… aveva rivelato a Voldemort il piano, aveva inseguito l’Ordine e tutti quegli Harry finti e si era assicurato che il ragazzo arrivasse a destinazione vivo; purtroppo un suo incantesimo deviato aveva colpito l’orecchio di uno dei ragazzi e Snape si ritrovò a sperare con tutto se stesso che non fosse quello vero.

Alla fine, era tornato al quartier generale dell’Ordine. Sapeva che l’avrebbe trovato vuoto. Erano passati mesi dalla morte di Dumbledore, il Custode Segreto, e tutto era stato portato via, la casa abbandonata, per paura che Voldemort e i suoi Mangiamorte vi facessero visita, una volta conosciute le coordinate. Snape vagava tra quelle camere senza meta, senza sapere neanche lui perché fosse ritornato lì. Salì le scale e d’un tratto di trovò davanti ad una porta; Sirius, recitava la targa. La camera di Black… dell’odiato Black.

Spinto da una volontà non propria aprì la porta e si trovò in una camera spaziosa e impolverata, dove il rosso e l’oro stridevano con il verde e il nero circostanti; foto, poster… Snape guardava senza vedere, finchè il suo sguardò non si posò su una foto che ritraeva quattro ragazzi adolescenti.

I Malandrini. Il suo incubo. Ma Snape era troppo stanco anche solo per provare odio, così semplicemente gli voltò le spalle. D'un tratto vide una lettera… una grafia familiare, troppo familiare. Si ritrovò a piangere davanti a quelle lettere conosciute, pensando che il tempo non avesse cambiato il suo modo di scrivere… era lo stesso della bambina di undici anni che lui aveva adorato. Piangeva come non accadeva da sedici anni, da quando si era ritrovato in quel vicolo buio.

Con tantissimo affetto, Lily.

Snape mise in tasca la parte di lettera con la firma e la parte di foto in cui Lei rideva, felice e spensierata. Non gli importava che non fossero suoi… dopotutto, Black era morto. Quanto a Harry, avrebbe avuto il resto. Ma quella piccola parte di Lily sarebbe stata sua… Solo sua. perchè, dopotutto, per un periodo delle loro vite, seppur breve, si erano appartenuti.

 

 
Note: non ho resistito e di getto è nato anche quest'altro capitolo.
Grazie mille sonia1977 per il bellissimo commento...mi hai fatta emozionare! Grazie!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Guardami ***


Ad Amì, per l'amore con cui ha seguito questa storia. E tutte le altre storie.

A Fanny, per ogni singolo nostro indelebile istante potteriano.

 

 

In fondo, pensò l’uomo amaramente, era giusto che tutto finisse lì dove era iniziato. Hogwarts era un buon posto per morire. La sua unica casa sarebbe diventata la sue eterna casa. Perché lui doveva morire, Snape lo sapeva. E sarebbe morto, quella notte, ma prima aveva qualcosa da fare. Ancora. Non gli interessava se per Dumbledore Harry fosse condannato a morte certa: il ragazzo non poteva morire. Lui non l’avrebbe permesso. Ci doveva essere un altro modo, un’alternativa. Il figlio di Lily non poteva morire.

Il Signore Oscuro l’aveva richiamato dalla battaglia e lui non aveva potuto sottrarsi; non capiva cosa volesse, perché non lo lasciasse andar via.

“Lasciatemi cercare il ragazzo. Consentitemi di portarvi Potter. So dove posso trovarlo, mio Signore. Vi prego.” *

Lo implorava, Snape… non sapendo che il ragazzo era più vicino di quanto pensasse, nascosto sotto il Mantello dell’invisibilità.

Non capiva, Snape, perché il suo Signore lo tenesse rinchiuso lì, a chiacchierare di una bacchetta; Severus non sentiva… non c’era niente in lui se non lo sfrenato desiderio di trovare il ragazzo e portarlo in salvo. Proteggerlo. Permettergli di vivere. Poco importava se per farlo avrebbe dovuto sacrificare la propria vita… ne sarebbe valsa la pena. Tutto, per permettere agli occhi di Lily di brillare ancora.

Frasi sconnesse, implorazioni. La sua agitazione strideva con la calma di Voldemort. Entrambi volevano Potter, ma per motivi ben diversi. Ed entrambi sapevano che il ragazzo, pur di salvare i suoi amici, si sarebbe sacrificato. Il Signore Oscuro pensava che nessuno conoscesse Potter meglio di lui. Sbagliato. Severus Snape conosceva il ragazzo Sopravvissuto forse anche meglio di quanto si conoscesse lui stesso; aveva l’arroganza e la presunzione di suo padre, ma anche l’innata bontà di sua madre.

Nessuno, nessuno, conosceva Harry Potter meglio di Severus Snape.

Alla fine, la rabbia di Voldemort esplose e Snape iniziò a tremare… teneva gli occhi fissi sul serpente che, avvolto nella sua bolla protettiva, strisciava indisturbato. Non poteva morire prima di sapere che il ragazzo si sarebbe salvato. Non era un codardo, non lo era mai stato. La morte non lo spaventava. Non la sua almeno.

Alla fine, Snape si decise a guardare Voldemort, ad affrontare quegli occhi gelidi e vuoti.

“Mio signore… lasciatemi andare dal ragazzo…” *  

Tutto inutile. Voldemort aveva un piano e niente l’avrebbe potuto fermare.

Perdonami Lily. Non sono riuscito a salvarlo.

Lily… la sua Lily. Forse l’avrebbe rivista.

Ma perché doveva morire così? Per quale motivo? Morire mentre cercava di salvare Harry avrebbe avuto un senso. Ma morire così, nel Platano Picchiatore! Alla fine capì…

Lui aveva ucciso Dumbledore e così Voldemort doveva uccidere lui, per poter finalmente usare la Bacchetta di Sambuco contro il ragazzo. Provò a protestare. Lui quella bacchetta non l’aveva neanche mai sfiorata. Ma fu inutile, Voldemort ne era convinto.

Fu un attimo. Nagini, liberata dalla bolla, si avventò su di lui e Snape, nell’ultimo attimo di lucidità, riuscì persino a sorridere. Trionfante. Lui aveva ucciso Silente, si, ma Draco l’aveva disarmato. Era Draco il possessore della Bacchetta. La sua morte era inutile per Voldemort… ma forse non per Harry.

Un urlo uscì dalle sue labbra, mentre Nagini gli avvolgeva testa e spalle.

Gli perforò il collo, poi lo lasciò lì, a dissanguarsi. In un attimo Voldemort e il serpente non c’erano più e lui era solo.

Tentò di bloccare il sangue che usciva ma era tutto inutile. Stava morendo, lo sapeva, e solo un pensiero occupava la sua mente. Lei. Sempre Lei. Un guizzo verde, nel buio. Lily lo era venuto ad accogliere in quella terra dove semplicemente non si è più? No, non era morto. Non ancora. E gli occhi che lo guardavano appartenevano al ragazzo che da troppi anni cercava di proteggere. E in quel momento capì. Capì che il figlio di Lily avrebbe dovuto sapere. Comprendere il perché di ogni suo gesto. Comprendere che qualcuno aveva amato sua madre in modi che lui non poteva neanche lontanamente immaginare. Oltre il tempo e la distanza che li aveva separati. I pensieri, i ricordi, che fino a quel momento aveva gelosamente custodito dentro di se, fuoriuscivano. Capirai, ragazzo. Capirai ogni cosa. Ma adesso guardami. Io sto morendo. Guardami. Lasciami perdere per l’ultima volta negli occhi di lei. GUAR…DA…MI.

Severus Snape morì così, dissanguato, con la mano stretta attorno ai vestiti del ragazzo che era stata la sua ragione di vita negli ultimi sedici anni. Con gli occhi verdi nei suoi neri.

E non avrebbe mai saputo che anni dopo, un bambino che aveva ereditato gli occhi verdi della nonna, avrebbe portato il suo nome.

 

 

" Più dolce sarebbe la morte
se il mio ultimo sguardo avesse come orizzonte
il tuo volto.
E se così fosse, mille volte vorrei nascere
per mille volte ancor morire. "
Will Shakespeare

 

 

 
* "Harry Potter e i Doni della morte."
 
Note: grazie mille a Lu-Pin, Sonia1977 e Padroncina per le bellissime recenzioni. Spero che questo capitolo finale non vi abbia deluse. E, chissà, magari ci rivedremo in qualche altra storia. Grazie anche a chi l'ha seguita, ricordata e preferita. E a chi, semplicemente, ha dedicato un po' del suo tempo a "Oltre il Tempo e la Distanza." 
Vi segnalo un missing moments che ho scritto successivamente e che ho preferito pubblicare a parte...lo trovate qui
Con affetto, Emily Alexandre 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=554389