Sangue Fuoco

di Lucenera88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rotta per Fire City ***
Capitolo 2: *** Troppo Cattivi! ***
Capitolo 3: *** Per l’incontro! ***
Capitolo 4: *** La Palestra ***
Capitolo 5: *** pronti per il combattimento ***
Capitolo 6: *** per fartela pagare ***
Capitolo 7: *** Miriam Franklek ***
Capitolo 8: *** il disonore di chiamarsi Thomps ***
Capitolo 9: *** guerra di Potere ***
Capitolo 10: *** Fuga ***
Capitolo 11: *** Starai bene, qui ***
Capitolo 12: *** bisogna salire! ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 – Fuoco… ed acqua! ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Nel buio d'acqua ***
Capitolo 15: *** Inferno di Fuoco ***
Capitolo 16: *** Lotta con la Dama ***
Capitolo 17: *** Vi eliminerò tutti ***
Capitolo 18: *** Sul tetto, per scappare! ***



Capitolo 1
*** Rotta per Fire City ***


Capitolo 1 - rotta per Fire city

“ Ash …”
“ Sì, Misty?”
“ La sai una novità?…”
“ Non fiata…”
“Ci siamo persi!! Possibile che non ne combini una buona, tu!”
Pikachu sospirò stanco.
“ Dovete sempre litigare!” s’intromise Brock esasperato, facendosi ricadere le braccia lungo i fianchi. Da qualche giorno, Ash e Misty si beccavano come due polli senza tregua!
“ Non t’impicciare! ” gli intimarono i due all’unisono, e Misty poggiò Togepi accanto a Pikachu solo per avere la libertà di ribattere con più foga.

“Idiota che non sei altro, avremmo dovuto prendere l’autobus!”

“L’idiota sei tu, avremmo dovuto aspettare un’ora! Ma ti rendi conto, Brock? Un’ora quando ci troviamo così vicini, è un’assurdità!”

“Avete detto che non devo impicciarmi” replicò seccato, guardando distrattamente lo stradario.
E continuarono a strillare, litigando in modo furioso nella foresta.

“Stupido!”

“Stupida!”

“Adesso dove andiamo, a cogliere le bacche?”

“Quando arriviamo sulla strada ti faccio vedere io!”
“Va bene”, concluse Brock tranquillamente sedendosi su una roccia, “ io me ne starò qui ad aspettare che abbiate finito”. Dallo zaino tirò fuori una merendina, e la sbriciolò per la gioia di Pikachu e del piccolo Togepi. Intanto, i loro padroni alzavano di più la voce.
 “Io so quello che faccio!!”
“Ma davvero?”
“Pika…”

Un elicottero sopra di loro volava percorrendo lunghi giri sul bosco. Anche se avessero voluto guardare in alto, i ragazzi, coperti dalle fronde degli alberi e invasi da un rumore sordo persistente, non sarebbero riusciti ad accorgersi del veicolo che li scrutava. Il computer di bordo li ingrandì tutti: Ash e Misty si erano seduti per terra accanto alla roccia dov’era Brock, e consumavano la colazione al sacco discutendo ancora animatamente.

“Oramai la frittata è fatta” cercò di incoraggiare Brock camminando tra gli alberi, “non potete tenervi il broncio per tutta la vita!”

Ash si faceva largo tra gli alberi, guidato dal fido Noctowl che sovrastava il cielo e ritornava direzionandoli. Sia lui che Misty avevano una faccia di pietra, e guardavano avanti a sé con profonda testardaggine. Il verso gli Noctowl attirò la loro attenzione.

“Guarda, Brock! Ecco l’uscita!” una luce proveniva a poco meno di tre metri, ed il gruppo avanzò più velocemente. “Sì!” gridò Ash correndo in avanti, ma fu preso in tempo dall’amico per la giacca e ributtato indietro, quando un’auto gli sfrecciò velocissimo accanto, frenò bruscamente, fece mezzo giro su sé stessa e si fermò. Un uomo grassoccio e calvo sulla cinquantina fece capolino dalla vettura imprecando. “Ma che diavolo fai, coglione? Vuoi suicidarti?”

Ash era diventato bianco per lo spavento: “Suicidarmi?…”

Non aveva avuto il tempo di realizzare lo stato delle cose che una seconda ed una terza auto frenarono di botto quasi allo stesso modo della prima, sbattendo anche se di poco l’una contro l’altra. “Ehi, muovi il culo dalla strada!” gridò una donna giovane all’uomo. Un ragazzo di non più di vent’anni uscì dalla terza auto come intontito, si guardò l’ammaccatura sul fianco ed esplose in un sonoro “no!” prima di irrompere in lacrime. Intanto altre vetture arrivavano, e dovettero spostare le tre per permettere il passaggio, litigando ancora. Misty si avvicinò ad Ash, e gli sussurrò nell’orecchio compiaciuta:

“Hai visto che hai combinato?…”

Ash era diventato adesso porpora. “Non ti ci mettere anche tu!” Rimbeccò prontamente, mentre lei se la rideva sotto i baffi.

“Non è mica colpa sua se Noctowl gli ha indicato l’uscita proprio sull’autostrada!” volle difenderlo Brock.

“Allora è tutta colpa del Pokémon di Ash, e sottolineo Pokémon di Ash” replicò lei.

“Quella cretina di Misty, e sottolineo Quella Cretina di Misty!” rispose infuriato il ragazzo.

“Oh no… litigano ancora!”
Si udì da lontano la sirena della polizia, e accanto alle tre macchine accostò un agente su una motocicletta di grande cilindrata bianca con strisce azzurre e lo stemma della polizia locale ai lati. Si leggeva chiaramente a lettere dorate bordate di rosso inglese “Fire’s Army Force”, con due lingue di fuoco intrecciate sotto.
“Ehi, voi, che diamine è successo qui?!” la voce femminile del poliziotto rimbombò dentro al casco. Scese dalla moto e rimosse l’elmetto, rivelando il volto accigliato dagli occhi indagatori dell’agente Jenny. Chiese spiegazioni della vicenda ai tre autisti, che per poco non si erano azzuffati perché il ragazzo aveva segnato il numero di targa degli altri due veicoli. “ Scusate tanto, ma la colpa non è mia, l’ho detto, stavo guidando, e quello mi spunta davanti all’improvviso!” l’uomo grassoccio puntò il dito verso Ash, facendogli venire i brividi.

“Potevi accostare la macchina, invece di restare lì in mezzo alla strada!” lo rimbeccò la donna; Brock poggiò amichevolmente le braccia sulle spalle dei compagni, sorridendo divertito.

“A quanto pare le vostre brighe sono contagiose!” ridacchiò.

“Non sei spiritoso, ” fece Misty leggermente preoccupata, “ e se poi dobbiamo pagare qualcosa, come ce la caviamo?”

L’agente congedò i tre autisti rimandandoli al giudice di pace. Imbestialiti, si misero in moto e ripartirono. A questo punto, Jenny si avvicinò al trio.

“In nome del cielo, siete in grado di spiegarmi perché mai tre ragazzini finiscono in mezzo ad una strada del genere?”

“Sarei proprio lieta di spiegarvelo” rispose Misty, pungente.

“La prego, Agente Jenny” disse immediatamente Ash, “Non potrebbe scortarci fino a Fire City?”

“Perché la chiami Jenny?” disse Brock come da un altro mondo. Gli altri due rimasero sconcertati.

“Perché si chiama così, ” ridacchiò Ash, “non te lo ricordi più?”

“Ma non è che c’è un’altra Jenny, per caso?” domandò lui speranzoso.

“Perché, una non ti basta più?” Misty rise a sua volta. L’agente Jenny non sembrava troppo divertita, alla vista dell’espressione di Brock.

“Non prendermi in giro, ragazzo. Sono io l'unica forza dell'ordine di Fire City che porta questo nome!”
Brock sembrava morto e seppellito. “Come… ? Non può essere, no, ditemi che non ci credo, no, ma che mi viene, no…”
“Brock, ma che hai?” chiese Ash, guardando le reazioni del suo compagno.

“Ti senti bene?” domandò Misty, intuendo che il ragazzo doveva avere qualche problema riguardo quel fatterello già conosciuto che si chiama Agente Jenny e Infermiera Joy.
“Saltate su, svelti! Non ho tempo da perdere, perciò muovetevi!” ordinò ad alta voce mentre tornava a sedersi sulla moto, e così salirono prima Ash con Pikachu stretto nella giacca, poi Brock ed infine Misty. La poliziotta, per poterli far salire tutti evitando il peggio, era a malapena seduta sul sedile.
“Agganciatevi forte, non vorrei che volaste via” sembrò ironizzare la donna. L’aria sferzava i visi dei ragazzi, e Pikachu sbucò più in fuori dalla giacca coprendo la visuale del ragazzo. Appena arrivati al centro, l’agente diminuì molto la velocità, serpeggiando tra il traffico come nessun’altra Jenny avrebbe fatto, e le braccia di Brock, che si aggrappavano ad Ash, sembravano rigide più che mai.
Dopo altri cinque minuti di traffico cittadino, arrivarono ad un edificio piccolo con un tetto concavo che portava la scritta in grande di "Commissariato". A rinchiuderlo c’era una cancellata di un colore blu. L’agente entrò aprendo la cancellata con un telecomando, e poi fermò definitivamente il suo motorino nel parcheggio. Quando smontarono tutti, la donna mise una catena al proprio veicolo. “Non stupitevi se vi ho fatto salire tutti e quattro sul motorino nonostante sia vietato, ”spiegò, “sono delle forze dell’ordine e voi non potevate raggiungere la città a piedi. Ho ritenuto che sarebbe stato meglio così, senza attirare altri poliziotti”.  Scesero tutti dalla moto. “Vi rendete conto che ho evitato un putiferio con la faccenda sulla superstrada, spero” disse l’agente.

“E di questo le siamo profondamente grati” sorrise Brock con un mezzo inchino.

“Ma non fatevi più vedere nei guai” li ammonì. “ A Fire City non piacciono gli stranieri, soprattutto se si mettono in mostra con bravate di questo tipo. A parte che la foresta è una riserva”.

“La prossima volta prenderemo un autobus” le assicurò Misty, con un tono che voleva richiamare Ash.

“Siete allenatori, vero?” chiese la poliziotta, prendendo in braccio il piccolo Togepi sorridente.

“Esatto, e stiamo cercando la palestra di Fire City”.

“Beh, ce ne sono tre attualmente” Jenny restituì il Pokémon in braccio alla sua padrona. “Fire City è una città grande ed antica, e benché non sia una tappa obbligata nel percorso ordinario per la collezione di medaglie, vi sono diversi turisti che passano da queste parti”.

“Capisco” Ash appariva molto interessato. “ E saprebbe anche indicarci la palestra più adatta per un incontro?”

“Sicuramente la Firesport è la migliore” li informò Jenny. “Si trova qui vicino, una sola fermata a  Kitayama con la metro; si trova lì in fondo, vedete la M grande?”

“Sì, grazie tante!” tutti e tre fecero un profondo inchino, e passarono attraverso il cancelletto.

“State attenti” gridò loro dietro l’agente.

 

Misty era molto sollevata di essere finalmente arrivata a destinazione, ma era ancora in collera con Ash.

“Sulla superstrada per Meridian City!” gli rammentò la centesima volta. “Non si può essere così idioti! Ci hai spedito fuori strada di chilometri, tu e il tuo senso innato dell’orientamento! Te ne rendi conto?”
“Me ne rendo conto” cantilenò Ash, mentre lui ed i suoi compagni uscivano dalla metropolitana di Kitayama. Pikachu gli era accovacciato sul berretto, mugolando leggermente per il caldo.
Brock fermò un passante, lo stradario in mano. “Mi scusi, sa indicarmi la Palestra di Pokémon?”

“La prossima volta si fa come dico io, non è vero Togepi?” alzò in aria il suo cuccioletto facendolo ridere.

“Ragazzi, seguitemi” li richiamò Brock girando a destra, “E’ proprio qua vicino”.

La palestra era gigantesca. Di colore grigio, con ai lati un paio di grandi strisce rosse dipinte, e sopra la porta di vetro automatica vi era un’insegna rossa che portava scritto  FIRESPORT POKéMON .

“Non può essere che quella” fece Misty.
“Finalmente! Capo–palestra di Fire City, arrivo!” gridò Ash correndo sulla stradina verso la gran costruzione con Pikachu al suo fianco, si fermò e fece un salto in aria tirando un calcio tra le acclamazioni del suo Pokémon giallo.
“E’ ancora un bambino” commentò Misty rivolta a Brock, che approvò in pieno.
 Entrarono in palestra. Senza badare troppo ai particolari, Ash corse come un razzo da una donna che sembrava essere la segretaria. “Buongiorno, signorina, mi saprebbe dire per…”
“Le lezioni per i Pokémon da combattimento sono momentaneamente sospese a causa dell’assenza del maestro” interruppe la donna con fare stanco. “Se vuoi aspettare…”
“No, ” fece Ash già un pochino seccato, “io volevo sfidarlo, il maestro, non ricevere da lui delle lezio…”
“Anche le proposte di incontri ufficiali e non sono sospese” continuò la donna, col tono di una segreteria telefonica.
“Pi?” fece curioso Pikachu sulla testa di Ash.

“E quando sarà possibile trovare il capo-palestra?” intervenne Misty.
“Francamente, nessuno sa con precisione il suo arrivo” rispose con un tono senza sentimento. “puoi provare tra mezz’oretta, dovrebbe essere già qui a quell’ora”.
“Allora, noi torniamo più tardi” disse Brock. “Dài, Ash, andiamo!” chiamò Misty, e il ragazzo mugolò un po’ triste. “Sì, arrivederci, ” rispose mogio.

Una baracca buia. Le finestre erano state sbarrate da assi di legno, e la porta era scardinata alla parte superiore.

La porta cigolò. Uno sprazzo di luce s’infilò prepotentemente nella fessura dell’entrata, e una testa curiosa fece capolino nella capanna.
“Ehi… c’è qualcuno?… Qualcuno che mi ha mandato a chiamare?” domandò un tantino scettico al vuoto oscuro. Poi, guardando con gli occhi a destra e a sinistra, fece una smorfia e spalancò la vecchia porta restando di un passo fuori. C’era un tremendo odore di chiuso, in quella catapecchia spersa nei campi inariditi dal sole fuori misura. La sua nuova Ford rifletteva la luce con ostinazione, cosicché nemmeno guardarla per un secondo era una cosa piacevole.
Il sole picchiava forte sugli arbusti secchi, ed i suoi occhi erano appena dischiusi nel cercare di discernere qualcosa in quello sgabuzzino abbandonato. La sua pazienza iniziò così ad esaurirsi. “Ben!!!” urlò verso l’interno. “Benjamin, vieni subito fuori! Lo sai che non devi giocarmi certi scherzi di cattivo gusto, tu e i tuoi amici. Andiamo, so che sei lì dentro!”
Fece un passo all’interno della casupola. “Sai, sei riuscito a farmi cadere nella tua trappol…”
Due omoni vestiti di nero gli piombarono addosso e lo bloccarono facilmente, nonostante l’uomo facesse tanti sforzi per liberarsi. Un terzo uomo chiuse la porta, facendo piombare nuovamente l’oscurità.

“Frederic, un po’ di luce per favore” una lampada portatile fu accesa da quella stessa persona che aveva serrato l’entrata, ed un cerchio di luce si frappose tra il rapito e l’interlocutore, che avanzò di qualche passo.
Il giovane rimase perplesso e spaventato. “Che cosa ho fatto, io? Lasciatemi in pace, perché mi volete?” gridò terrorizzato, sferrando calci a destra e a manca tanto che la persona dovette indietreggiare.
“Non si agiti in questo modo per una sciocchezza del genere, non abbiamo intenzione di farle del male, mi creda. Devo ammettere che il metodo utilizzato per parlarle a quattr’occhi può risultare quantomai eccessivo, tuttavia è una ragione di privacy e non avrei potuto fare altrimenti” gli assicurò. Ansimando, lui cercò nuovamente di liberarsi a strattoni, e finì con i polsi e i ginocchi sul terreno polveroso. Girandosi indietro, notò che i due gli stavano addosso e cercò di scappare, ma fu troppo tardi: uno di loro gli diede un pugno sull’occhio e lo riafferrò per l’avambraccio ancor più saldamente di prima.
“Non… non voglio avere a che fare con gente come voi, solo dei pazzi giocano di questi tiri” ansimò.
“Oh, io, invece, penso che lei avrà a che fare con gente come me” replicò la donna con voce tagliente. “Sa, non sono il tipo di persona che si lascia scoraggiare immediatamente, e non mi presento mai impreparata agli inconvenienti”. La sua voce suadente era in qualche maniera spaventosa.

“Non muoverò un solo dito per te! Innanzitutto, non so nemmeno chi sei!”
“Per le presentazioni avremo tempo debito”. Porse una mano all’indietro ed uno scagnozzo le diede una fotografia. “ Per la salute di questo bambino, invece, il tempo è solo questione di una tua decisione” Mostrò l’immagine al ragazzo, lui trasse un respiro di paura. “che gli avete fatto?” urlò.

 “Disarmatelo”.
Un uomo libero gli  svuotò le tasche, e porse le sfere Poké al capo.

“Non si preoccupi, al momento sta bene e gioca tranquillamente con i suoi amici. Tuttavia, sa quanto me come il presente sia instabile e tenda a modificarsi”.

Il ragazzo accennò un sorriso, “tipica minaccia di un’estorsione” disse. “Come farai a sapere davvero dov’è Ben, cosa farò io e a chi racconterò tutto? Bello, il tuo ricatto, ma non funziona!”
L’uomo che lo teneva gli sferrò un pugno nello stomaco che lo fece accasciare al suolo, anche se lo scagnozzo lo teneva per il braccio come un oggetto penzolante. “Zitto!” gli intimò l’assalitore con voce rabbiosa.
 “Mi sembra di averla già informata della mia abitudine a non prendere mai le cose alla sprovvista” fece, la voce tagliente gli provocava perfino i brividi. “ Mi sono appena stati ricevuti i dati di tutti i minuti della sua vita e di quella del suo giovane amico a partire da ieri mattina. Vuole un saggio?...”

Un piccolo lettore multimediale comparve dalla mano di uno dei suoi servi. Fu aperto, ed un filmino fu avviato.  “Ore 9 e 05, il soggetto A Philip Broudlee si è alzato da letto… ha detto “merda” perché non riesce a trovare i pantaloni che ha infilato la sera prima… sta frugando sotto la scrivania, si sta rialzando con i pantaloni in mano… si è seduto e li sta infilando… si è grattato la testa e sta uscendo”.
Interruppe la registrazione.

 “Qualche altro dubbio?”
Respirando affannosamente, il ragazzo guardò prima in avanti poi in basso, infine, rialzando lo sguardo, annunciò: “Cosa volete che faccia?”

 

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Capitolo 2
*** Troppo Cattivi! ***


Intanto, Ash, Misty, Brock, Pikachu e Togepi erano poco lontano dalla palestra seduti su una panchina dei giardini a… a non far niente. Il vento caldo soffiava sfregiando i loro visi. Mentre i tre ragazzi erano seduti a sbuffare, Pikachu era a terra accanto alla panca fissandoli interrogativo.
“Beh, io e Togepi andiamo a farci un gelato!” annunciò Misty alzandosi dalla panchina col suo piccolo Pokémon in braccio.
“Me ne porteresti uno?” si azzardò a chiederle Ash.
“Neanche a me dispiacerebbe” Brock confermò alzando un braccio.
Misty, irritata terribilmente, alzò una mano in segno di rabbia. “Ve lo sognate, non sono mica la vostra serva!” replicò col dito in segno di negazione. “Se lo desiderate, vi alzate e ve lo prendete con le vostre gambe, chiaro?”
Indovinate un po’, però, chi sta a qualche passo da loro…

“Eccoli li…”
“Ed ecco Pikachu…”
“Questa volta lo prendiamo!”
“Ehi, e come pensate di acciuffarlo questa volta?”
James piantò un grosso pugno in testa a Meowth.
“Sei sempre il solito pessimista” rispose alzando la mano dal Pokémon felino.
“La vedi quella gelateria?” Jessie indicò una costruzione due file di alberi oltre a dove si trovavano. Era bordeaux con un’insegna rosa che si accendeva ad intermittenza.

“Se ci arriviamo prima di quei tre bambocci, avremo tutto in mano nostra!”
“Allora sarebbe meglio alzarci da terra e muoverci!” esclamò Meowth.
Erano solitamente inginocchiati dietro i cespugli accanto alla panchina dove i nostri amici stavano per concludere il loro solito inutile battibecco.
“Ma io devo aspettare che la palestra apra!”
“O ti alzi o te lo sogni!”
“Preferisco sognarmelo!” concluse a braccia conserte.
“Male per te… Pikachu, tu vieni?”
“Pi–ka–chu!” acconsentì raggiante, correndole ai piedi.

Ash fece con voce rauca: “bene, va pure tu! Posso aspettare benissimo da solo!”
E gli altri si avviarono. Dopo un po’, Ash guardò i suoi amici, infine si alzò e corse loro dietro gridando: “aspettatemi, ragazzi! Ehi!”
“Fammi indovinare: scherzavi!”.

Ash non poté fare altro che mostrarle un sorriso di scherno.

“Quattro gelati alla fragola, ah sì, uno in vaschetta mentre gli altri nel cono, e potete darmi un cucchiaino, per favore?” chiese Misty al gelataio.
“Subito” disse questi. Entrò nervosamente oltre la tendina che si trovava alle sue spalle.
“Avete sentito? Non c’è tempo da perdere!”
Jessie e Meowth stavano spremendo sui gelati della roba bianca che pareva panna.

“Un attimo, di che ti preoccupi? Questa crema è zeppa di sonnifero, la mangeranno di gusto e poi…”
“Bum! Cadranno addormentati come ghiri!” Ridacchiò Meowth mentre imbiancava l’ultimo gelato.
Il gelataio uscì di corsa assieme alle ordinazioni richieste. “Ecco!” disse, porgendo i prodotti ed intascando il denaro.

“Grazie!” ringraziarono, e si accomodarono ad uno dei tavolini bianchi davanti al chiosco bordeaux. Mentre Brock ed Ash si stavano sedendo per cominciare a mangiarsi i gelati, Pikachu fu bloccato proprio nell’atto di addentare il proprio. Aveva avvertito un odore strano, non sgradevole, ma certamente di qualcosa che non poteva essere buono. Aleggiava attorno a lui; poi capì.
“Pika–Pi!!!” esclamò balzando addosso ad Ash, Misty e Brock uno dopo l’altro facendo cadere i gelati che si stavano apprestando a gustare.
Jessie, James e Meowth, nascosti dietro il bancone ad osservarli, si fecero venire la pelle d’oca.
“Pikachu! Che ti prende?!” domandò Ash al suo Pokémon che sembrava terrorizzato e che faceva versi agitati, indicando gli ammassi di gelato spiaccicati a terra.
“Credo ci stia dicendo che non dovevamo mangiarli” suppose Brock con fare saccente, toccandosi il mento con l’indice ed il pollice.
“Sì, ma perché? In fondo, erano solo gelati!” si chiese Ash prendendo un tovagliolo di carta e pulendosi con insistenza una macchia sul colletto della giacca blu.
Si girarono di scatto verso Misty che li aveva chiamati agitata. “Togepi…guardate…”
Togepi, accasciato fra le braccia della ragazzina, giaceva inerte. Sembrava addormentato, ma non respirava come uno che dorme solitamente; al contrario, sembrava non respirasse. Misty lo scosse.
“Aveva dormito per ore, non può essere…” disse. “Ha chiuso gli occhi da quando…”
“Da quando ha mangiato il gelato?” azzardò Ash: forse stava cominciando a comprendere l’agitazione di Pikachu.
“Beh, sì.  Gli ho dato un cucchiaino di panna, poi ha socchiuso gli occhi. Stavo per dargliene un altro, ma Pikachu…”
Si girarono tutti e tre di scatto verso la gelateria. Ash disse, grattandosi il capo: “Io qui non ci sto capendo nulla, ma forse…” Poi inarcò le sopracciglia: “correte al Pokémon Centre, forse il gelato era scaduto!”
“Cosa?!” esclamarono gli altri due. “Non dire fesserie, per un gelato scaduto uno non si addormenta di colpo!” strillò l’amica irritata e nervosa, alzando anche un pugno.
Ash fece una smorfia a Misty per come lo aveva trattato, poi assieme a Pikachu corse al bancone della gelateria, non trovandoci però nessuno. Il ragazzo suonò più volte il campanello sul bancone allarmato ed arrabbiato. Ne uscì fuori dal retrobottega il “gelataio” che cadde a terra come spinto. “Egoisti” bisbigliò alle sue spalle, e tutto tremante andò dai due.
“S–si?” balbettò con una faccia a dir poco spaventata.
“Ehi, cosa aveva quella panna? Il Pokémon della mia amica si è addormentato di botto!” si lamentò Ash. “NON MI DIRA’ CHE ERA ANDATA A MALE O CHE?!”
 “S–solo un s–secondo” disse alzando l’indice in alto, balbettando. “V-vedrò c–cosa è s-successo”, in seguito corse incespicando nel retro del locale.
“Allora? Cosa ti hanno detto?” chiese Meowth.
James, riprendendo fiato, si tolse gli occhiali tondi e rispose: “Temo che ci abbiano scoperti. Avete altre idee?”
Jessie mostrò un sorriso maligno. “Non ci resta che rivelarci” concluse.
Un mugolio giunse da un angolo. “Zitti, voi!” strillò Meowth lanciando un cucchiaio per gelati in testa a due uomini legati ed imbavagliati in mutande: i veri proprietari.
“Allora?” gridò Misty dal tavolino: stringeva ancora il piccolo Pokémon fra le braccia. “E’ davvero il caso di andare al Pokémon Centre? Ti hanno detto qualcosa?” domandò preoccupatissima.
“Un attimo, quello se n’è andato!” replicò Ash girandosi e tenendo un gomito poggiato sul bancone.
“Volevate qualcosa, signori?”
I tre alzarono il capo sul tetto del locale da dove avevano udito la voce, e non c’era bisogno di altro indizio per capire chi fossero.
Davanti al sole comparvero tre figure in posizione molto familiare; abituandosi alla luce, i ragazzi videro gli individui, ed i loro sospetti furono purtroppo confermati.

Jessie e James in divisa da gelataio guardavano in basso, mani ai fianchi, con la loro tipica espressione famelica: avanti si mostrava Meowth, più cattivo che mai. In un batter d’occhio i due si tolsero i vestiti da copertura con un solo gesto del braccio, rivelando i loro costumi del Team Rocket.
“Preparatevi a passare dei guai…”
“Dei guai molto grossi…”
 “Allora è per causa vostra che Togepi si è addormentato, furfanti!”  urlò Misty arrabbiatissima. Pikachu diede un verso di appoggio, pronto a buttare scariche al gruppo di criminali finché non avesse sentito cuocere le loro ossa.
“Sì, ed è un vero peccato che non abbiate assaggiato neanche un po’ dei nostri capolavori anche voi” replicò James con aria di sfida.
“Vi garantisco che quei gelati vi avrebbero dato un bel po’ di riposo, con quello che costa fare gli allenatori!” continuò la sua amica a braccia conserte.
Ash era davvero infuriato. A giudicare dalla piccola quantità di panna che aveva ingoiato il Pokémon prima di cadere in un sonno profondo, c’era mancato davvero poco perché lui ed il resto della compagnia si facessero un sonnellino di un bel po’ d’ore.
“Sparite, prima che vi dia una lezione con i fiocchi!” gridò alla fine, così prese in mano una sfera Poké e la strinse fra due dita mettendola in vista.
“Non prima di aver preso i vostri Pokémon, moccioso!” disse Meowth sporgendosi in avanti con un pugno serrato.
Tutti e tre saltarono giù dalla gelateria e si presentarono ai tre ragazzi intonando il loro motto del Team Rocket.
“Proteggeremo il mondo della devastazione” iniziò Jessie, facendo una capriola e atterrando a terra.
“Uniremo tutti i popoli nella nostra nazione” proseguì James facendo la medesima cosa.
“Denunceremo i mali della verità e dell’amore”
“Estenderemo il nostro potere fino alle stelle!”
“Io sono Jessie…”
“… ed io James”.
“Team Rocket, pronto a partire alla velocità della luce!”
“Arrendetevi subito, oppure…”
“Preparatevi a combattere!”
A quel punto Meowth, saltando dall’alto, si fece avanti ed esclamò: “Miao, proprio così!”.
Lo sbadiglio di Ash fu così rumoroso che li fece stramazzare a terra.
“Non vi stancate a dire sempre le stesse cose?” domandò Brock annoiato. Ash e Misty sembravano fare apposta i mezzi addormentati tenendo gli occhi socchiusi!
“Insolenti…” mormorò il Pokémon felino.

“Ha parlato il gatto con gli stivali!” rispose acidamente Ash, e Pikachu avanzò verso di loro. “Weesing, fuori!” gridò James lanciando la sua sfera, “Arbok!” contribuì Jessie.
“Non mi lasciate alcuna scelta… Chikorita, Totodile, fateli fuori!” esclamò Ash lanciando le sue. Chikorita fece qualche coccola iniziale ad Ash, poi andò accanto al Pokémon ballerino e, dalla parte degli antagonisti, Weesing ed Arbok si tennero pronti.
“Weesing, cortina di fumo!” ordinò il padrone al suo Pokémon; così il Pokémon senza indugio, emanò da tutti i pori una nebbia fitta e puzzolente da lasciare a disagio i suoi avversari più delle volte precedenti. Totodile, saltellando, girava la testa di qua e di là per orientarsi, ma senza successo. Chikorita rimase fermo al suo posto tenendo le liane fuori e muovendo solo gli occhi.

“Però,” dovette riconoscere Misty mentre tossiva, “questa volta il Team Rocket ha dato proprio il meglio di sé!” coprì con un braccio Togepi, cercando di proteggerlo dal fumo che li aveva invasi.
“Già, mai vista una nebbia di quel Weesing così densa” concordò Brock coprendosi con un braccio e tossendo. Totodile saltellò in avanti con versi di richiamo, e Pikachu corse lì attorno, chiamando anche lui. Ad un certo punto, arrivò a grande velocità alle sue spalle qualcosa di enorme che lo colpì buttandolo a terra e che risalì immediatamente, poi si accorse che era Weesing; Chikorita cominciò a mandare foglie lama dappertutto, e Totodile saltò appena in tempo fuori dalla mira di Arbok che si era buttato a capofitto, con le zanne spalancate verso di lui e che finì col muso spiaccicato sul terreno di cemento. Ash, anche se scoraggiato, non si diede per vinto: “bisogna fare qualcosa!” Lanciò fuori velocemente Cyndaquil il quale salutò amichevole il suo padrone, poi Ash gridò: “Pikachu, Totodile, Chikorita, tutti fuori dalla nebbia, svelti!”
I Pokémon balzarono verso i marciapiedi dopo alcuni secondi, e corsero verso Ash dove la nebbia era meno fitta, poi il ragazzo si voltò verso i suoi compagni: “indietro, presto!!” facendoli indietreggiare fin quando tutti erano lontani dal grosso della nebbia; anche Jessie e James erano fuori dal fumo di Weesing, ma stavano più vicini, e guardavano Ash aspettandosi qualcosa.

“Che state facendo, babbei! Attaccateli!” gridò Meowth ad Arbok e Weesing, che stava continuando ad emettere fumo; Ash guardò che la gente fermatasi a vedere era abbastanza lontana, così appena vide correre i Pokémon nemici esclamò furiosamente: “vai, Cyndaquil, getto di fuocoooo!”
Assieme alle sue urla partì la fiamma di Cyndaquil che, in due secondi, incendiò tutto il gas; Jessie, James e Meowth restarono allibiti e gli andarono a fuoco la base dei pantaloni di James e gli stivali di Jessie. “Spegni, spegni, spegni!!” gridava Jessie battendo sugli abiti e, saltellando, le fiamme sparirono. Arbok e Weesing sembravano già storditi per le forti ustioni. Ash scattò subito, ed all’istante gridò: “Chikorita, attacco con le liane!”
All’istante, Chikorita allungò le sue liane e, prendendo la rincorsa, diede una bella lezione ad Arbok rialzatosi un po’ dondolante, mentre Weesing si era levato vacillante in aria dando due delle sue tre facce ad Ash. “Bene! E adesso, Totodile, usa il tuo getto d’acqua per atterrare quel Weesing!”
Totodile fece un salto in avanti a dir poco formidabile, ed a mezz’aria lanciò il suo attacco che colpì fortemente tutte e tre le facce di Weesing prima che questi potesse reagire. L’avversario cadde sulla coda del battuto Arbok come un masso gigantesco ed il Pokémon di Jessie lanciò un urlo di dolore.
“Ed ora, Pikachu…” il topolino elettrico già si era fatto avanti e stava emanando una sfera di luce attorno a lui.
“Fermi!!” la motocicletta rombò in mezzo ai due gruppi ed Ash fu interrotto sul più bello; in fretta, la poliziotta Jenny saltò giù dal veicolo e disse: “tutti alla centrale, avete una multa per aver combattuto in via pubblica a rischio di innocenti”. Si voltò verso il Team Rocket, e l’agente trattenne il respiro alla vista dei malviventi, ma i due ladri ritirarono i loro Pokémon e Jessie alzò un pugno annunciando:
“Ci spiace tanto andar via così, ma affari urgenti ci aspettano” e lanciò per terra qualcosa che si rivelò una cartuccia fumogena che li faceva lacrimare.
“Oh, no!!” gridò l’agente, correndo alla cieca verso di loro.
“Noctowl!” ordinò Ash, lanciando a terra la sfera. Subito il volatile mandò via il fumo sbattendo le ali e poi si posò accanto a lui dove stavano Pikachu, Cyndaquil e Chikorita, il quale era già balzato da tempo in braccio al ragazzino.

Quei farabutti erano spariti senza lasciare traccia.
Jenny smise di fissare il posto dove aveva visto il Team Rocket e tornò seria. “Diamine, mi sono sfuggiti!” si rimproverò dura, poi tornò a rivolgersi verso i ragazzi:

“Venite con me, svelti! E senza storie. Da quel che ho visto, stavolta ho fiducia sulla vostra innocenza in questa bravata, ma dovrò comporre un rapporto nel quale sarà scritto ogni minimo particolare dell’episodio. Su!”
“Ecco, signora… il fatto è che sono stati loro che volevano rubarci i Pokémon… perciò abbiamo dovuto per forza difenderci” spiegò Ash. “Ma adesso abbiamo un impegno importante, perciò non potrebbe chiudere un occhio, per stavolta?”
“Non ci penso nemmeno!” replicò seria. “Chi lo spiega questo trambusto, il fumo, il fuoco e ancora tutto il resto? Uno di voi, almeno, deve venire con me!”
“Io non posso, devo pensare a Togepi…” disse Misty. “Va’ tu, Brock, non hai molto da fare…”
Brock sembrava alquanto riluttante.

“Io? macché, voglio vederlo, l’incontro di Ash!”
“Fatti trovare alla palestra, alla fine del viaggetto in centrale” gli disse Ash con naturalezza.

“E poi, ho bisogno anche delle vostre deposizioni!” gridò l’agente Jenny. “Se avete da fare, allora, vi aspetto domani alle dieci e mezza alla centrale, e NON SCORDATEVELO!”
“Posso venire anch’io domani, la prego…!”
“No, tu adesso e basta!” rispose dura. “Ho bisogno di te adesso! Salta su!”
La donna si rimise sul motorino con Brock dietro, e andò via per la strada pedonale.

“E’ la più rigida che abbia mai visto, quella Jenny”  affermò Misty vedendola scomparire fra gli alberi, con una mano sulla fronte per proteggersi dal sole che non le permetteva di vedere bene.
Ash sospirò. “Bene, e adesso che te ne pare di assistere ad Ash Catchum che vince gloriosamente un’altra medaglia con i suoi Pokémon?” fece il ragazzo, con gesti da eroe.
“Gloriosamente puoi scordarlo” replicò Misty, seccata per l’accaduto. “Piuttosto, andiamo prima al Pokémon Centre, poi alla palestra! Non vorrei che si trattasse di un’intossicazione grave!”

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Capitolo 3
*** Per l’incontro! ***


capitolo 3 –  Per l’incontro!

Il Pokémon Centre era aperto ma non c’era molta gente, perciò non tardarono ad essere ricevuti dall’infermiera Joy, intenta a controllare alcune cartelle cliniche.
“Infermiera Joy, può dare una controllata al mio Pokémon? Ha ingerito una specie di sonnifero o qualcosa del genere, e adesso non so che pesci pigliare!” Misty era molto preoccupata.
Brock, sbucato dal nulla, corse verso la ragazza tenendole la mano.
“Se vuole, la aiuterò! Potremo curare insieme i mali di questo Pokémon… e dopo, potrebbe curare i miei mali d’amore…facciamo staser…Ahio!”
Misty, con un’aria di puro godimento, gli stava torcendo le carni con un pizzicotto dietro il collo particolarmente doloroso.
Joy si affrettò intanto a ritrarre la sua mano da quella di Brock, leggermente disgustata.
“Grazie, ma il mio lavoro lo so fare bene anche da sola… e poi sono fidanzata!” lo freddò, formando piccole rughe sulla fronte per l’irritazione.
“Così impari a fare il cascamorto con qualunque cosa porti la gonna” lo punzecchiò lei a bassa voce, mentre lui si stava ancora massaggiando il collo con le lacrime agli occhi.
“Brock, che ci fai qui?” Ash chiese, sorpreso. “Non eri alla centrale di polizia?”
“Il mio rapporto è stato breve e coinciso” si vantò il ragazzo, “senza molti particolari. Ho chiesto a quella donna di accompagnarmi alla palestra, ma mentre percorrevamo la strada vi ho visti da lontano entrare al Pokémon Centre e così mi sono fatto fermare qui!”
“Hai fatto presto!” ridacchiò Ash allegramente. “Miseriaccia, meno di un’ora!”
Intanto Joy aveva poggiato Togepi su una piccola barella al di là del bancone. Alla fine del controllo diede un’ultima occhiata alle pupille del cucciolo e gli mise un dito sulla piccola bocca per sentire la frequenza della respirazione.
“Niente paura, ha preso del normale sonnifero ed in piccole quantità, anche se questo tipo causa una sonnolenza immediata” accennò un sorriso, poi tramutò la sua faccia in un’espressione pietosa.
“Non si sveglierà prima di circa un’ora e mezza, ma fate in modo che non accada più: state attenti, quando allenate le prime volte i giovani Pokémon!”
Alleggerita di un fardello pesante, Misty si apprestò a pagare. “La ringrazio tanto per la visita. Ed ora, Ash, possiamo andare”.

“Non vedo l’ora di stringere fra le mani la medaglia Fuoco!” esclamò Ash, mentre si avviavano alla palestra.
“Peccato che ci siano tre palestre e tu possa avere solo una medaglia” puntualizzò Brock. “Valgono tutte e tre ugualmente”.
Misty guardava tristemente Togepi mentre lo teneva in braccio. “Guardate… non si è nemmeno richiuso come un uovo!” si lamentò sconsolata.
“Ormai non puoi farci niente!” disse Brock. “Mangiare qualcosa può servire a tirare su il morale a tutti, e stavolta andiamo a mangiare veramente”.
“Già!” esclamò Ash. “Nell’agitazione, si è fatto tardi che non abbiamo ancora pranzato!”
“Quindi rimandiamo l’incontro a dopo, e cambiamo strada” concluse l’amico.
“Toglimi una curiosità, Brock” lo chiamò Misty mentre si apprestavano a cambiare itinerario, “per quale motivo ti dispiace tanto stare vicino a quella Jenny?”
“E’ vero,” concordò Ash, “invece che chiamarla per nome, hai detto quella donna. Non sarà che è così acida da fare paura persino a te?”
“Ma no! Solo che non mi viene quella reazione, sto cercando di spiegarmelo: è Jenny, ma la vedo io e non è Jenny. Forse perché ho visto troppe Jenny, o perché il profumo che ha mi fa un brutto effetto, ma altre Jenny non avevano il profumo, sarà per colpa del suo tono, allora, perché…”
Pikachu fissò un attimo Brock, e poi si rivolse ad Ash con un “piika…pika pika pikachu’…” come se gli avesse chiesto “ma questo è tutto fuso?”
Ormai, la discussione sull’agente era diventata, per Brock, un fatto personale.
Lo lasciarono perdere, e si incamminarono in silenzio con il sottofondo rimuginante dell’allevatore che li accompagnava.

Quando entrarono in uno dei ristorantini economici per turisti della zona ovest di Fire city, erano già le tre passate. In un certo senso fu positivo per loro, che morivano di fame e si erano appena risparmiati una lunga attesa, dal momento che verso quell’ora il locale si cominciava a svuotare piuttosto che riempirsi. Dopo aver mangiato e pagato il menù fisso per turisti – che per loro si rivelò anche una bufala, dal momento che le salatissime bibite non erano incluse – si diressero, secondo le indicazioni di uno dei camerieri, al piccolo centro commerciale poco distante per fare rifornimenti. Comprarono giusto il necessario, a maggior ragione che per mangiare se n’erano andati più soldi di quanto ci si aspettasse: cibo in scatola per loro, e sacchette di crocchette per i loro Pokémon. Quindi, decisero di andare a riposarsi al parco nelle cui vicinanze si trovava la palestra, chiusa fino alle quattro e mezza di pomeriggio per il pranzo. Togepi dormiva ancora, e Misty l’aveva poggiato supino su una panchina di legno all’ombra di un susino, mentre gli altri Pokémon erano stati tirati fuori dalle sfere per mangiare il cibo appena comprato, e per sgranchirsi le zampe in attesa della battaglia pomeridiana. Chikorita e Cyndaquil giocherellavano, Pikachu mangiucchiava e poi saltellava via, mentre  Noctowl svolazzava sugli alberi.
Non appena Togepi mostrò i primi segni che stava riprendendo coscienza, Ash diventò impaziente. Fece rientrare immediatamente i suoi Pokémon nelle sfere.
 “Andiamo, per favore, su!” in poco tempo, aveva alzato tutto il gruppo e l’aveva messo in marcia.
Le porte di vetro automatiche si aprirono al passaggio dei ragazzi, e si ritrovarono nella sala d’entrata a forma trapezoidale dove quella mattina avevano parlato con la segretaria: adesso non c’era, la scrivania era vuota.
A destra era appeso un cartellone scritto a mano con pennarelli colorati. Ash fu il primo ad avvicinarvisi, seguito dal resto della combriccola, e lesse chiaramente:

PALESTRA “FIRESPORT”
IN QUESTA PALESTRA SI PRATICA:
- NUOTO SINCRONIZZATO
- BALLO
- ALLEVAMENTO POKEMON
- INCONTRI E LEZIONI DI ED. FISICA POKEMON

“Dammi retta, Ash”  Misty gli si mise accanto, “dovrebbe esserci una nota in piccolo a proposito di incontri”.
“Eh?” Era così immerso nella sua eccitazione che non aveva prestato attenzione. Misty lo spinse di lato e si piegò sul manifesto facendo scorrere il dito.
“Nota per nuoto sincronizzato, nota per autodifesa, per ballo, per allevamento di Pokémon… ah, ecco, Per Incontri e lezioni Pokémon”.
E cominciò a leggere a voce alta:
“Questa palestra è l’unica ufficiale della città di Fire City facente parte della Lega Pokémon Indigo-Plateau, pertanto ad ogni incontro ufficialmente vinto da uno sfidante sarà d’obbligo per il capo-palestra consegnare in premio la medaglia Fuoco della terza palestra di Fire City.
Per una sfida rivolgersi a Philip Broudlee nell’aula di Educazione Fisica Pokémon”.
“Bene, che aspettiamo?” esultò euforico Ash, e si avviò oltre l’arcata entrando in una saletta sulla quale si affacciavano due porte.
“Quella lì” indicò Brock, al leggere affianco l’insegna che riportava “Educazione Fisica Pokémon”.  I ragazzi spinsero sulla maniglia ed entrarono in una sala poco più grande di una normale arena semi-professionale, con grossi finestroni in fondo e sulla destra dai quali penetrava la luce pomeridiana. A sinistra era situata una panca di legno con gradini rialzati, sulla quale diversi ragazzini dai cinque ai quindici anni stavano facendo merenda, circondati da una frotta di Pokémon.
Sopra le loro teste era affisso un grosso tabellone segnapunti, e l’area della palestra era quasi interamente occupata dai segni bianchi che delimitavano il campo da combattimento.
Un Rattata, un Ekans e due Igglybuff giocavano allegramente rincorrendosi.
Ash stava per avvicinarsi ai ragazzini, quando un bambino biondo correndo da dietro lo travolse letteralmente per aria. Poi si fermò di botto. Si girò con un sorriso di disagio e si scusò mortificato.
“Non fa nulla” disse Ash alzandosi, poi pensò che quel ragazzo avrebbe potuto aiutarlo così si affrettò a chiedere: “Scusa, è qui che si trova Philip Broudlee?”
Con aria distratta il ragazzino diede uno sguardo in giro.
“Se intendi in questo momento, credo di no – non lo vedo”. Gli occhi gli si illuminarono improvvisamente. “Siete allenatori di Pokémon? Siete venuti per un incontro con Phil, vero?”
“Sì, io” Ash confermò, “E’ per questo che lo cerco”.
“Credo che tornerà a minuti” sorrise euforico, e piantò loro davanti una mano da stringere.
“Io sono Ben, il figlio degli insegnanti di Allevamento Pokémon e in assoluto il migliore amico di Phil!” si presentò con un’elettricità disarmante.
Una mano grande con un guanto nero si posò sulla sua spalla. “Ben! Che c’è? Hai tormentato Christina chiedendo di me”.
Un uomo sui venticinque anni, capelli ondulati e gli occhi castani, gli era alle spalle. Doveva essere il capo-palestra, il logo della lega del Pokémon brillava sulla sua camicia. I ragazzi si stupirono della sua improvvisa comparsa, e anche lo stesso Ben se ne sorprese.
“Dove sei andato, Phil? Ti sei dimenticato che alle quattro dovevamo andare all’acquario con tutti gli altri per la lezione sui Pokémon d’acqua?” domandò Ben con un grosso broncio stampato in faccia.
Philip si illuminò, e ne rimase visibilmente mortificato.
 “Scusa, davvero, ma domani ci andremo sicuramente. Oggi però è già troppo tardi, cerca di capire”.
Ben mugolò guardando altrove e poi acconsentì.
“Va bene; però, Phil, posso stare con te? Con mamma e papà è una noia mortale: stanno insegnando a curare le punture di Goldeen! Che rottura, che palle, che rompi! Dài, dài, dài, l’ho sentita mille volte, ci vado con i Bellossom, te lo giuro, dài!” cominciò a pregare, le mani incrociate e gli occhi dolci a cui Phil sembrò durare poco.
“Va bene, va bene, ma smettila!”
Il ragazzino lo guardò con un volto limpido di gioia. “Davvero?”
“Sì, ma dopo la lezione te ne vai, capito?” e Ben annuì contento. Doveva avere all’incirca nove anni, capelli biondi a caschetto e un viso allegro.
L’uomo si voltò verso Ash, Misty e Brock.
“Salve, sono Philip Broudlee, insegnante di Lezioni sull’educazione fisica per i Pokémon e capo–palestra di questa sede” si presentò porgendo una mano ad Ash, che precedeva Misty e Brock. “Posso sapere con chi ho a che fare?”
Ash gliela strinse cordialmente.
“Io sono Ash Catchum e vengo dalla città di Pallet” disse vigoroso. “Sono qui per guadagnarmi una medaglia”.
Phil inarcò le sopracciglia. “Mi pare un po’ tardi per l’Indigo-Plateau” commentò.
“Sì lo so, ma vorrei lo stesso lanciarle una sfida!” lo informò il ragazzo.
“Capisco” disse Philip, osservando ben bene il giovane allenatore.
“E voi, ragazzi, siete con lui?”
Loro annuirono. “Io mi chiamo Misty, vengo da Celurean City” si presentò la ragazza. Al sentire il nome della città, Phil allungò un sorriso cordiale.
“Ah, sì, la grande città di Celurean. Dicono sia molto famosa per le sue cascate e si dice che lì ci siano i più bei esemplari di Pokémon acqua, pianta e tipi molto resistenti di Pokémon di pietra. Ciao, Misty!” strinse la mano anche a lei. Misty però non riuscì a concludere la stretta di mano che fu subito spostata di lato dal gomito di Brock che si presentò:
“Io invece sono Brock, il capo–palestra di Pewter City”.
L’espressione di Phil fece capire molto chiaramente che no, non conosceva Pewter City.
“Piacere, Brock, lieto di fare la tua conoscenza” gli disse Phil senza aggiungere altro, con la delusione di Brock.
“Concedetemi solamente una mezz’ora di lezione con i miei alunni: ho avuto un impegno urgente che ha tolto del tempo alla lezione” spiegò con fretta. “Se attendete che finisca, li manderò via il più presto possibile”.
“Non si preoccupi, se è solo una mezz’oretta possiamo tranquillamente aspettare!” rispose Ash.
I tre allenatori presero posto sulle gradinate, mentre tutti i giovani allievi si allineavano di fronte al loro insegnante, i Pokémon anche in riga.
Philip aveva cominciato a far correre i propri alunni con i Pokémon lungo il perimetro dell’arena. Ben si dimostrava essere un bambino simpatico a tutti, come quando spiegò ad un compagno come curare il suo Charmeleon da stress; aveva però anche una forte consapevolezza di essere il più coccolato da Phil, poiché gli veniva in mente di fare qualunque cosa e l’altro non batteva ciglio neppure se Ben stava chiaramente disturbando la lezione. Era abbastanza interessante vedere come Phil allenava quei bambini ancora troppo giovani per diventare allenatori. Ash notò chiaramente il barlume di speranza che si accendeva in loro, mentre si allenavano.

“Ragazzi! Per oggi è tutto finito; chi non ha da fare venerdì recupereremo la mezz’ora persa, e provate a casa le mosse di cura rapida dopo gli incontri che ho spiegato prima”.
Un bambino rosso ricoperto di lentiggini marroni alzò una mano.
“Scusi, quei ragazzi devono disputare un incontro con lei?”
Phil diresse una mano ad Ash, Brock e Misty; si erano divertiti ad assistere a quella lezione.
“Sì, pare proprio di sì” confermò Ash.
“Signor Broudlee, che aspetta? Siamo ansiosi di vedere come se la caverà questo ragazzo!” gridò una ragazza in salopette con i capelli legati in due code; dopo di lei ci furono molti altri gridi di incitamento e alcuni, invece di preparare le loro cose, si erano seduti sul palco.
“Spiacente, ma noi svolgeremo l’incontro da un’altra parte, ed ora preparatevi ad uscire” annunciò Philip con pazienza, grattandosi nel frattempo i dorsi delle mani.
“Ma tutti gli incontri aveva detto che li avrebbe svolti di fronte a noi!” protestò la ragazza.
“Non oggi, Sukie” concluse risoluto porgendole la giacca di jeans. In breve tempo se ne andarono tutti, ad eccezione di Ben che era rimasto sul palchetto.
“Vengo con te!”
“Che cosa mi avevi promesso?” il capo-palestra si era accovacciato tenendo una mano per terra e l’altra sulla spalla di Ben.
“Ma non…”
“Vai dai tuoi genitori e, se chiedono di me, dì loro che sono andato a svolgere un incontro. Tu, però resta a casa, e non allontanarti”.
Ben aveva assunto un’espressione distrutta, probabilmente perché per la prima volta non era riuscito a vincere.
Philip si volse cupamente verso gli ospiti.
“Se volete disputare quest’incontro, seguitemi.”

Philip chiamò un taxi. Ben, che li aveva seguiti di nascosto, li vide mentre salivano. Si avvicinò senza farsi vedere, e udì chiaramente Philip dire “Per Cross Road”.
Il taxi si allontanò e scomparve.
“Cross Road?” si disse sorpreso Ben. “Ma quella strada è…”
“Testa Gialla?”
Ben si voltò indietro come colpito da una freccia, e vide la ragazzina in salopette che era in classe di Philip, sia a scuola sia a lezione di Pokémon.
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Testa Gialla, Sukie!” la rimproverò.
“Non sono venuta per litigare con una testa Gialla come te” lo rimbeccò Sukie, altezzosa.
“E allora che cosa vuoi?” le domandò brusco il biondino.
“Voglio vedere l’incontro di Broudlee” fece la ragazzina risoluta.
“Non puoi,stupida! Phil non ha detto dove lo farà”.
“Ma tu lo sai, vero? Ci andrai” Sukie lo guardò accusatoria. “Sennò perché lo stavi spiando? Uuuuh, vedrai quando lo sapranno i tuoi genitori...” e subito trotterellò verso l’entrata della palestra.
“Senti, senti,” il piccolo cambiò subito atteggiamento, “ se ti porto non dirai nulla ai miei, vero?”
Sukie lo guardò nuovamente con un’aria sorniona. “Sta’ tranquillo, Testa Gialla”.
“Ce l’hai la bici?”
“Certo,” gliela mostrò appoggiata accanto al muro col catenaccio ancora chiuso, “sono venuta con questa”.
Ben corse dietro la palestra. “Ehi! Dove vai?” gridò Sukie, finché non lo vide uscire con la sua bicicletta.
“Sbrighiamoci, meno male che conosco una scorciatoia!”
“Ma dove si va?” chiese, mentre Ben aveva cominciato già a pedalare.
“A Cross Road” gridò il ragazzino.
Appena i due sparirono, qualcuno sbucò fuori da sopra un albero da viale, lì vicino: un ragazzo con l’impermeabile e gli occhiali da sole, noncurante di due bambini che lo osservavano curiosamente coi gelati in mano.
Parlò alla trasmittente: “Jessie, mi senti?”
La voce di Jessie proveniente dall’apparecchio gridò: “Forte e chiaro”.
“Si stanno dirigendo a Cross Road”.
“Cross Road? Meowth, l’hai trovata sulla piantina? Bene. Stiamo preparando la mongolfiera, muoviti a venire qui”.
“Okay”.

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Capitolo 4
*** La Palestra ***


Capitolo 4 – la Palestra

Il taxi procedeva tranquillamente.
Un silenzio raggelante regnava nella vettura. Allora Ash, almeno per rompere il ghiaccio, si sporse verso Philip, sprofondato nel sedile anteriore.
“Scusa, Philip… come mai andiamo a Cross Road, non possiamo sfidarci nella tua palestra?”
Phil uscì improvvisamente dai suoi pensieri.
“Ho deciso che i miei incontri ufficiali si svolgeranno in un’altra palestra, in modo che io ed i miei avversari abbiamo tutta la concentrazione necessaria” spiegò, leggermente nervoso. “Di recente ho trovato un luogo perfetto che ho ristrutturato. Vorrei tenerlo segreto ai miei allievi, altrimenti si recherebbero sempre lì e, a dir la verità, è una vera scocciatura averli che mi gironzolano attorno. Potrei mandarli via, ma ci sono comunque gli alunni degli altri corsi che sono liberi di ciondolare per la palestra, ed il chiasso che ne deriva mi deconcentra”.
Ash sorrise debolmente. “Ho capito” concluse rimettendosi a posto. Pikachu gli si mise sulle sue gambe sbadigliando, e si accoccolò chiudendo gli occhi.
“Hai sonno, eh, Pikachu?” disse Ash mettendogli una mano sul dorso.
A quel punto, Togepi si fece sentire con un sonoro “Togepiii…!”
Misty tirò fuori una brioche per Pokémon dalla borsa.
“Mangia, su…” spezzava piccoli pezzi e glieli dava uno ad uno. “Piiii! Toge-piii!” fece contento, e il volto di Misty sembrò illuminarsi.
Sembravano intanto allontanarsi dal centro della città, entrando in quella che sembrava una periferia desolata.
Il taxi si fermò proprio davanti un’ampia strada adornata, a quanto pareva, da secchi dell’immondizia e catapecchie. Scesero dalla vettura che mancava quasi un quarto d’ora alle sette, e il cielo cominciava ad imbrunire: mai più velocemente Ash vide una macchina allontanarsi come quella del tassista.
“Mamma! Calmo, amico!” esclamò stupito, ma intanto l’auto se n’era già andata.
La via sembrava lunga, dato che alcune luci si vedevano lontano, e i contorni delle cose ai margini della strada non erano molto distinguibili. Quando cominciarono a camminare si accorsero che non c’era una sola casa a Cross Road in buone condizioni; solo alcune abitazioni che avevano tutta l’aria di essere abbandonate, ed appartamenti crollati, bidoni della spazzatura buttati qua e là rendevano l’atmosfera spettrale.
Brock guardò le lampade inattive sulla sua testa mentre camminavano l’uno vicino all’altro: alcune non avevano il neon, altre l’avevano spezzato o addirittura forato. Un gatto fece un verso terrificante in lontananza facendoli trasalire, ed in seguito si sentì un sordo rumore di bidoni caduti a terra. Il sole era appena tramontato da una decina di minuti, ma il buio che regnava in quella via faceva sembrare che fossero le otto passate, e ad ogni passo si aveva l’impressione che diventasse sempre più buio. Inoltre, da quando erano arrivati non avevano ancora visto anima viva, ed il capo-palestra non aveva detto loro nemmeno una parola mentre camminavano. Ciò ovviamente mise in allerta Pikachu, che stava ritto, gli artigli delle zampine fiondate sulla spalla del suo padrone.
Sorpassarono un gruppo di persone nascoste nell’ombra, le prime che videro: alcuni erano seduti accanto un barile di metallo, altri per terra. Misty notò, con un salto dallo spavento, una siringa ancora impiantata nel braccio di uno di loro, che dondolava debolmente al lato. Si avvicinò ad Ash, terrorizzata.
“Ma dove ci sta portando?” gli bisbigliò, con appena la forza per far uscire quelle parole. Ash, in tutta riposta, scrollò le spalle disorientato. La ragazza tremava come una foglia anche dopo aver sorpassato quelle persone, non la finiva più mentre si guardava intorno come se una bestia dovesse coglierla di sorpresa e sbranarla. Ash, invece, guardava sempre avanti a sé verso Broudlee e cercava di non curarsi dell’aspetto circostante: i suoi pensieri erano esclusivamente orientati all’imminente incontro con il capo-palestra.
“Pi-ka…” Pikachu, dalla sua postazione in alto, osservava nel buio, come se fosse in grado di scorgere qualcosa in più degli altri.
Misty, che stava annegando nella sua ansia con Togepi in braccio che si agitava, non riusciva a star muta.
“Scusi…” si avvicinò un po’ a Phil.
“Siamo quasi arrivati” anticipò lui, impassibile.
Camminando senza sosta per una manciata di minuti, Phil si fermò e disse, con voce tremante: “Siamo arrivati”.
Non si sarebbe certo potuto nascondere lo stupore di trovare un luogo del genere tra quei rifiuti.
Fra tutte quelle costruzioni semi-demolite, a squarciare il buio c’era un’enorme edificio di pianta presumibilmente quadrata, che sembrava più una residenza nobiliare che una palestra. Aveva tutta l’aria di essere stata costruita con grandi pietre, alla maniera degli antichi palazzi, e aveva un tetto di tegole di fattura occidentale, seppure la forma fosse simile ad un padiglione cinese. Si potevano distinguere, ai lati della trave di colmo, delle sagome che potevano essere scambiate per shibi (inserzioni dorate a coda di pesce, tipiche del periodo Tokugawa, nda); L’edificio doveva avere almeno due piani, perché due erano le file di finestre che si vedevano dalla facciata: quelle al piano terra erano rettangolari ed incassate nel muro, quelle al piano superiore erano più che altro alte vetrate dalla forma di archi a tutto sesto. All’edificio, circondato da un giardino secco e spettrale, si accedeva tramite alte scalinate in pietra. Il gruppo si apprestò a salirle, per fermarsi sotto un portico massiccio che occupava la facciata centrale.  Era sorretto da colonne disadorne di marmo scuro relativamente sottili, e davanti a loro si trovava una porta massiccia di legno. Tutt’intorno all’area si trovavano lampade dalla fattura che ricordava lo stile liberty, tuttavia emanavano una luce a dir poco accecante. Quel luogo, così luminoso e neoclassico immerso in una via oscura e fetida, sembrava appartenere ad un’altra dimensione.
“Questo posto è fantastico!” commentò Misty, che pareva aver già dimenticato la propria ansia.
“Anche se è un po’ troppo dislocato” commentò Brock. “Come mai proprio qui, Philip?”
Phil, alla testa del gruppo, si girò all’indietro verso gli altri.
“Stavo cercando un posto per allestire una palestra, ed ho trovato questa strada di periferia, l’ideale per disputare incontri senza grandi problemi. Per fortuna ho scoperto questa villa quasi intatta, che ho ristrutturato. Non ho voluto parlarne fino a quando non avessi avuto l’occasione di sfruttarla” spiegò. “Volevo restasse un segreto, per non attirare curiosi”.
Le facce perplesse degli allenatori lo intimidirono e, tossendo per schiarirsi la voce, li invitò con la mano verso la palestra.
“Vogliamo andare?”
Senza usare chiavi, Phil semplicemente porse la mano sulla maniglia di ottone ed aprì l’immensa porta di legno che, nonostante le apparenze, era visibilmente massiccia e blindata.
Si trovarono all’interno di un vero e proprio salone, almeno due volte più grande di un’arena standard per incontri Pokémon. A separare la porta da questo vi era un ingresso di pochi metri, che aveva al centro un’alta entrata in pietra senza infissi di sorta. Il salone era di un gradino rialzato rispetto al vestibolo. Il pavimento era di marmo decorato a formare mosaici di forme geometriche, e come contorno di queste erano state utilizzate pietre blu luminose che sembravano addirittura zaffiro. Di fronte a loro, si trovavano delle scalinate scarlatte ricoperte al centro da un tappeto blu; in cima a queste vi era un corridoio che percorreva il perimetro della sala come un matroneo, giacché ad est e ad ovest era semi-coperto, per terminare sopra le loro teste in un balconcino nel quale v’era un organetto verdastro. La balaustra delle scale rosse e del matroneo era color oro e tempestata di pietre che, grazie ad un effetto provocato dal grande lampadario centrale, riempivano il corridoio di una luce iridescente. Le pareti di marmo e grandi finestre erano spoglie, ma lucide e suggestive; una candela rossa spenta era stata posta come ornamento su ognuna dei larghi davanzali. Uniche decorazioni di nota erano statue di marmo bianco che rappresentavano feroci Pokémon in assetto di combattimento, ritti su alti piedistalli, e sistemati ai lati della scalinata come se fossero stati colonne. Ash poteva distinguere due Vileplume, un Gallade in assetto da combattimento, e due Abra seduti in preoccupante meditazione. Ancora, vide un Ursaring più piccolo del normale ma comunque minaccioso, e due grossi Dragonite posti l’uno di fronte all’altro.
Non c’era che dire: si trattava di un vero capolavoro di architettura, probabilmente molto più costoso di quanto potessero immaginare. Ash diede un colpetto a Brock per richiamare la sua attenzione.
“Che te ne pare di questo posto?” fece, senza staccare gli occhi da quello che vedeva.
“Non ti pare strano?” gli bisbigliò Brock.
“Mi pare fantastico…!” disse lui allungando un sorriso compiaciuto.

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Capitolo 5
*** pronti per il combattimento ***


Capitolo 5 – pronti per il combattimento

Era buio ormai. L’unica cosa che si poteva distinguere era il blu-notte del cielo che contrastava con i contorni neri delle case. Unica fonte di luce, che però illuminava a mala pena mezzo metro di tragitto, era costituita da due fanalini luminosi.
“S–sei sicuro che sia questo il posto?” balbettò Sukie, per niente a suo agio nel vagare alla cieca.
“Certo!” confermò Ben, continuando a pedalare al fianco della sua amica. “Non posso sbagliarmi. Vengo spesso da queste parti con i miei amici, sai? La facciamo fare sotto dalla paura al poliziotto di turno che viene a pattugliare…hai presente quello brutto, con la zazzera lunga?” Ben sembrava abbastanza rilassato. “Bè, lui sì che è uno spasso!”
Sukie non ci vedeva molto divertimento nel prendere in giro un poliziotto, e sbuffò.
“Speriamo almeno che l’incontro non sia già iniziato” guardò il terreno che veniva illuminato dal fanalino della sua bici. Si rammaricava che quelle biciclette fossero troppo lente, anche se, a detta di Ben, era stato più facile arrivare in bici che con il taxi, rallentato da strade a senso unico e passaggi obbligati.
Pochi metri dopo video una luce forte all’orizzonte. Ben si fermò, facendo atterrare il piede destro nella polvere.
“Non avevo mai visto prima quelle luci accese” commentò. A dire la verità, lui non era mai andato così in fondo, e mai di notte, ma preferì cercare di nascondere a Sukie la sua titubanza. “Devono essere per forza lì”.
 “Andiamo in fretta” disse Sukie di rimando, “sempre meglio che stare qui”. Rimise in moto i pedali, e si avviò seguita dal suo amico.
Quando arrivarono, smontarono dalla bici senza riuscire a tenere la bocca chiusa per lo stupore.
“Che bomba!” riuscì solo a dire Sukie.
“Dev’essere per forza là dentro che sono andati” ripeté Ben, questa volta con una maggiore convinzione nella voce.
“E se, invece, i proprietari riccastri sono venuti a dare un’occhiatina ad una delle loro centomila case di campagna?” propose ironicamente Sukie.
“E quale riccastro avrebbe una casa di campagna nel bel mezzo dell’immondizia?” ribatté lui. Sukie fece spallucce, scettica del fatto che Phil fosse lì dentro.
“Coraggio, Sukie, andiamo almeno a vedere così siamo sicuri! Ma non facciamoci scoprire!” la incitò il ragazzino. Lasciarono le bici a terra come rifiuti, correndo sotto il portico dell’ingresso.

“Ecco, siamo arrivati” annunciò Jessie euforica, guardando verso il basso. Una casa illuminata sembrava una macchia gialla nel bel mezzo del niente.
“Fa molta paura questo posto, di notte!” si limitò a dire Meowth dopo aver dato un’occhiata. James lasciò stare le corde di guida e si avvicinò agli altri due, appoggiandosi al bordo della mongolfiera.
“Uhm” indugiò un attimo, “e cos’è quel grosso pezzo d’antiquariato?”
“Quello è il luogo dove sono entrati i bambocci, ed è lì che andremo” rispose la ragazza con espressione avida. Stava già immaginando cosa poteva esserci all’interno di un edificio così grosso, e pensò che un maestro con una simile palestra doveva avere dei bei pezzi di Pokémon da sgraffignare.
“Facciamo scendere questo coso dietro la casa, così nessuno lo vedrà”.

“Insomma, quando iniziamo questo incontro?” disse Ash a braccia conserte, con Pikachu accanto che non poté evitare di fare un verso d’appoggio al padroncino.
 Il salone faceva rimbombare le parole. Non sembrava esserci alcun elemento che facesse pensare ad un imminente incontro: né arena, né spalti (se si escludono i gradini della scalinata); lo spazio era ridotto a causa delle colonne di pietra. Nessuna linea tracciata per terra. L’ambiente era fantastico, sì, ma suscitava dei legittimi sospetti.
Phil non si era nemmeno tolto la giacca nera, e saltellava da un piede all’altro mostrando segni di insofferenza.
“Attendi un attimo ancora, Ash” disse, dirigendosi verso le scale. “Voglio andare a prendere la medaglia Fuoco che ho lasciato di sopra. Rimanete qui”.
Ash smise di fare il broncio e sfoderò un gran sorriso d’impazienza al sentire le parole dell’uomo che salì in fretta le scale sparendo oltre la porta di sinistra.
“Prepariamoci!” rise Ash, e prese tre sfere Poké da sotto la giacca.
“Cyndaquil, Totodile, Chikorita, uscite! Dobbiamo disputare un incontro fra pochi minuti!” i suoi Pokémon uscirono e cominciarono a girarsi attorno stupefatti. Chikorita non diede dapprima molta importanza all’ambiente, ma pensò bene di scaraventare Pikachu giù dalla spalla di Ash per potersi accoccolare tra le sue braccia indisturbato. Pikachu cadde a terra ed emise un verso di dolore. “Non l’ha fatto apposta, Pikachu, lo sai!” si affrettò a dire Ash.
“Non ti sembra un gesto troppo affrettato far uscire subito i Pokémon?” gli domandò Misty.
Ash la guardò per un secondo, infastidito. “Adesso faccio uscire anche Noctowl, a te che frega?”

“Che cos’hai là sotto, limone?” bisbigliò Sukie a Ben che stava togliendo qualcosa attaccato ad un passante della cintura dei pantaloni. Lui le mostrò un oggetto sottile e rettangolare che aveva tutta l’aria di essere un coltellino svizzero.
“L’ho chiamata Scassinatrice. Ci puoi aprire le serrature, l’ho costruita io di nascosto. Come credi che siano spariti i palloni dallo sgabuzzino della palestra?”
“Perché tua madre ti ha dato le chiavi! Dài, chi può credere ad una cretinata del genere, non entreremo mai così…”
Ben si appoggiò alla porta e premette un bottone della Scassinatrice. La luce laterale dell’oggetto illuminò l’interno della serratura e, come un esperto professionista, Ben poggiò l’occhio ad osservare. Dopo qualche secondo si alzò compiaciuto e disse:
“Ho trovato la soluzione!”
“Davvero, e cosa bisogna fare?” chiese Sukie ironicamente.
Ben diede una spinta alla porta che si aprì cigolando.
“Niente, era solo socchiusa. Vieni, presto, prima che ci vedano!” disse prendendola per un braccio, e sparirono dietro il muro dell’anticamera a guardare sospetti Ash, Misty e Brock che ciondolavano.

“Questo posto è perfetto!” si complimentò James mentre, accanto a Jessie e a Meowth, guardavano la loro mongolfiera nascosta dietro la casa, in un angolo più buio.
“Ottimo” commentò Meowth. “Ed ora che ne dite di entrare?”
Jessie volse lo sguardo alle finestre. Quelle al primo piano erano chiuse dall’interno da inferriate, e gli archi a tutto sesto del secondo piano erano ripidi e non facilmente accessibili.
“Io lassù non salgo, questo è certo” fece sapere.
“Neanch’io” confermò James.
“Se avete troppa paura, non ci resta che attuare il piano del fattorino ” concluse Meowth sarcasticamente.
“Sì, quello in cui bussi e dici: Pizza!, e quando ti aprono tu li stendi! Quanto mi piace!” esultò James, eccitato.
“Peccato che quando lo fai tu non riesci che a farti stendere!” osservò Jessie.
“Non è colpa mia se ogni volta mi ritrovo un energumeno di due metri” commentò l’altro, risentito.
“Smettetela, idioti!” gridò Meowth. Non avrebbe dovuto dirlo.
In un secondo si ritrovò quattro mani che lo tiravano da tutte le parti, e l’unica cosa che capì era che quelle di Jessie lo stavano a dir poco distruggendo.
“Non ti permettere mai più, hai capito?Ti faccio vedere io chi è l’idiota…”Queste ed altre espressioni accompagnarono lo strapazzamento del Pokémon per buoni due minuti. Quando decisero che bastava, Meowth aveva una faccia incandescente di pizzichi.
Corsero furtivi verso la porta d’entrata.
“Bene… ora dobbiamo suonare il campanello e…” il ragazzo si interruppe. “Ehi, ma dov’è il campanello? Non c’è!” esclamò girandosi in ogni parte per cercarlo sui muri.
“Non fare baccano, altrimenti ci scoprono!”gli bisbigliò Jessie.
Appena egli si fermò, lei si accucciò alla porta.
“Eppure deve esserci un modo…”
Meowth si scostò dal muro sul quale era appoggiato, e vide il campanello proprio sopra di lui. “Ehi, ragazzi, l’ho trovat…”
BAMP!!!
Meowth si sporse in avanti. Jessie aveva la faccia spiaccicata per terra perché, non sapendo che la porta era aperta, ci si era appoggiata sopra facendo un capitombolo tale che Ben e Sukie sobbalzarono e Ash, Misty, Brock e i Pokémon presenti si voltarono verso di lei.
Sollevò dolorante la testa tenendosi la mano sul naso e, ad occhi chiusi, cominciò a lamentarsi in ginocchio mentre Meowth e James stavano continuando a spiarla con aria curiosa.
“Ancora voi! Mai possibile che ci lasciate in pace!” disse Ash. “Volete Pikachu? Un’altra volta, magari, adesso non mi sembra il momento!”
Jessie, poggiandosi con la mano libera a terra e rialzandosi piano tenendo ancora la mano in faccia, cominciò a piagnucolare: “Il mio bellissimo naso…!” Subito dopo gli puntò minacciosamente un dito contro.
“Pagherai per questo!” lanciò la sfera Poké. “Arbok, vai!”
Ne uscì il Pokémon strisciando sul pavimento e spalancando la sua bocca dai canini velenosi. Ad Ash parve che qualcosa si fosse mossa dietro il muro di marmo, ma fu distratto da un’altra apparizione: “Wooooobbuffet!”
“RITORNA SUBITO NELLA TUA SFERAAAA!”
Ash, impaziente di levarseli di torno, comandò immediatamente: “Pikachu!”
Non se lo fece ripetere due volte. Il topolino elettrico corse verso di loro, si fermò e lanciò una potentissima scarica elettrica contro non solo Arbok, ma anche contro Wobbuffet che si fece beccare in pieno; Jessie, James e Meowth si salvarono per miracolo saltando dietro il muro dell’anticamera.
“Ragazzi, oggi non è giornata!” li avvertì Ash.
Pikachu si apprestò alla rincorsa dei suoi nemici, ma si bloccò.
“Cosa c’è, Pikachu?”chiese Ash.
Ci fu silenzio per pochi secondi. Ash si avvicinò, poi si fermò d’un botto tappandosi le orecchie: da dietro il muro uscirono delle grida che rimbombarono nella sala, e lo spavento fu tale che Arbok riprese conoscenza strisciando via, mentre Wobbuffet superò le proprie capacità correndo lontano con le braccia all’aria.
“Pi…?Pika…?” fece Pikachu, sobbalzando anche lui.
Delle voci strillarono all’unisono:
“Aaargh! E voi chi siete? Che volete da noi?”.
Dal muro d’ingresso dove il Team Rocket si era rifugiato sbucarono non solo Jessie, James e Meowth, ma anche Ben e Sukie, che precedentemente si erano nascosti là. I due ragazzini caddero a terra, ma si rialzarono all’istante.
“Voi cosa ci fate qui?” domandò Misty, insospettita.
“Già, che cosa ci facciamo qui?” si domandò Ben imbarazzato. Erano trasaliti quando il Team Rocket aveva fatto la sua apparizione, ma non si erano mossi visto che i tre ladri non si erano accorti della loro presenza… fino a quel momento.
Brock mugolò.
“Il signor Broudlee aveva detto che non dovevate venire…” li rimproverò, inarcando le sopracciglia.
“Scusate” intervenne Sukie. “E’ normale che noi abbiamo avuto paura, ma loro…?”
Così dicendo indicò il Team Rocket alla sua sinistra, i tre furfanti che ansimavano con le mani sul petto:
“Che…spavento…uff!...”
Misty, Ash e Brock, compresi i Pokémon, si voltarono verso il Team Rocket. A quel punto Pikachu sorrise furbesco, come per dire “Ah, sì, mi ero completamente dimenticato di voi”.
“Pika-pika!” minacciò piano con una faccia spaventosa, ed il Team rocket se la fece sotto dalla paura.
“Loro sono tre idioti” spiegò con naturalezza Ash.
“Ben!” gridò Phil. Tutti si voltarono verso le scalinate. Phil stava correndo come un pazzo giù dai gradini, e quando raggiunse il ragazzino lo afferrò per un braccio gridandogli: “Ti avevo proibito di seguirmi, ti avevo detto di restare a casa con tutti gli altri!”
Ben cercò di dire qualcosa, ma il volto agitato e severo del suo amico capo-palestra riuscì a mala pena a fargli emettere qualche verso di dolore. Sukie cercò di intervenire, ma fu interrotta.
“Bene bene, ecco qui riuniti tutti coloro che avrei desiderato ci fossero” si udì una voce provenire dalle scalinate, e tutti i presenti si voltarono in quella direzione.
Una donna dal gonfio abito scarlatto sostava trionfante in cima ai gradini, con la voluminosa acconciatura di capelli rosso–fucsia e le braccia tenute morbidamente all’indietro.


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Capitolo 6
*** per fartela pagare ***


Capitolo 6 – Per fartela pagare

Ash, i suoi amici e il Team Rocket trasalirono.
“Jessiebell!”strillarono all’unisono.
James impallidì, e indietreggiò istintivamente.
“M–ma non è p–possibile!” gridò, fissandola con occhi sbarrati. “Non si è ancora s–stancata?” “Do il benvenuto a tutti”, la fanciulla annunciò in un tono caloroso. Senza cambiare il suo atteggiamento morbido, chiamò: “Broudlee”.
Philip avanzò di un passo verso di lei, ancora ritta in cima alle scale.
“Ho fatto ciò che mi avevi chiesto, ma ora, per carità, lasci andare me ed i ragazzi… e mi restituisca i Pokémon”supplicò con voce pietosa.
“Oh, signor Broudlee, mi meraviglio della sua banalità”. Jessiebell accennò una risatina frivola che lasciò tutti in un silenzio attonito.
“Non le sembra prevedibile come frase?” domandò tagliente, tuttavia senza alterare il tono di voce. “Sì, è proprio una di quelle da film, una di quelle frasi da Oscar che ormai conoscono tutti ed usano tutti per qualunque frivolo motivo. Ha esaudito la mia umile richiesta, e per questo gliene sono grata: il mio piano non sarebbe potuto riuscire in modo migliore” ed improvvisò un sorriso passeggero: i suoi occhi d’un verde profondo rilucevano di qualcosa che non si riusciva a cogliere.
“Ma mi dispiace doverle dire che nessuno dei presenti avrà la possibilità di uscire di qui” aggiunse, in tono naturale.
“Che cosa vuoi, Jessiebell? Perché ci hai attirato qui?” le chiese Ash.
Gli occhi le si rimpicciolirono sul suo sorriso accennato da bambola.
“Oh, niente di particolare. Si tratta solo di sistemare alcune questioni rimaste in sospeso “spiegò, scendendo uno scalino. Accanto a sé aveva un Pokémon che James conosceva molto bene: Vileplume, quel Vileplume… Quello stesso che da piccolo l’aveva intossicato varie volte fino a costringerlo a letto, solo per il volere di Jessiebell.
E di suo padre. E di sua madre.
James si passò una mano sulla fronte, sperando di sognare. Credeva di non provare nulla di male verso i suoi genitori, e invece sentiva dentro di sé risvegliarsi un risentimento che lui stesso si vergognava di covare. Non aveva mai serbato rancore per nessuno – almeno, così voleva credere - eppure tornò la presenza di qualcosa di fastidioso.
Paura, ribrezzo. Odio.
“Vedete” sogghignò, “ il tutto è dovuto alla solita, spiacevole vicenda nella quale siete stati più volte tutti coinvolti . Tuttavia, è luogo comune abbastanza valido che tra le questioni di moglie e marito non bisogna interferire” continuò, sempre senza perdere l’aria disinteressata e altolocata che la distingueva, quasi come se stesse discutendo su quale fiocco abbinare al vestito.
“Questa volta, però, temo che non sarò altrettanto accomodante, James caro”.
“Si può sapere cosa diamine sta succedendo?” esclamò Sukie.
“Già, dov’è l’arena? Non c’era un incontro qui?” le fece eco Ben.
Alla sua domanda rispose la spavalda risata di Jessiebell.
Ash guardò i due bambini per un secondo. Avrebbero dovuto dire loro dei ripetuti tentativi di Jessiebell, promessa sposa di James, di accalappiarlo con un matrimonio combinato; avrebbero dovuto, quindi, spiegare che lo stesso James proveniva da una delle famiglie più facoltose del Kanto. Decise che non c’era il tempo per simili spiegazioni: adesso, doveva solo cercare di capire se quello in cui si erano cacciati stava per trasformarsi in un brutto impaccio.
“James, la tua fidanzata ti reclama!” gli comunicò, con la rabbia a fior di pelle.
James parve svegliarsi da un sogno, ma la prima cosa che fece fu gridare e correre a gambe levate verso la porta. Jessiebell, però, fu più pronta: tirò fuori dalla borsetta un telecomando, lo puntò di fronte a sé e azionandolo la fece chiudere all’istante con un rumore metallico. James si era letteralmente fiondato verso l’uscita, e arrivato troppo tardi si affannò per cercare di aprire la porta, tirando e menando spallate.
“Aiutatemi, idioti!” gridò, mentre si sforzava di forzare la serratura. In un attimo, Jessie e Meowth si agganciarono a lui, per tirare con tutta la loro forza.
Contemporaneamente, le finestre, già provviste di inferriate, si chiusero definitivamente con serrande di metallo che tolsero ogni visibilità dell’esterno.
Ash ebbe appena il tempo di voltarsi per rendersi conto di ciò che accadeva. Anche le poche vetrate visibili, in alto, erano sbarrate. Phil corse terrorizzato alla porta cercando di aiutare il Team Rocket, ma sembrava tutto inutile.
“Ma che ti abbiamo fatto, Jessiebell? E’ James che vuoi, non noi!” obiettò Misty, disorientata. “Non hai alcun diritto di tenerci qui!”
“Perché, ha diritto di tenere me qui?” ribatté James agitato, smettendo di dare pugni alla porta.
“Certamente ha più ragioni di tenere te che noi, signorino James!” ribatté lei, seccata.
“Ma non agitatevi” ridacchiò Jessiebell scendendo un altro paio di gradini, seguita dal suo Vileplume trotterellante.
“Su, Vileplume, calmali un po’” lei ordinò dolcemente al suo Pokémon. Vileplume esultò con un saltello, e  prese a trotterellare giù per le scale, in direzione del Team Rocket.
“Cyndaquil!” gridò Ash al suo Pokémon.
“Cynda…quiiiil!” il piccolo Pokémon sferrò il suo attacco su Vileplume, che inizialmente schivò il getto di fuoco; al secondo tentativo, invece, Vileplume fu colpito in pieno ma senza riportare danni, quasi fosse munito di uno scudo protettivo: la cosa lasciò sia Ash sia Cyndaquil abbastanza perplessi.
Vileplume giunse quindi verso l’anticamera, spiccò un salto e lanciò il più forte flusso di spore che si fosse visto. Il getto colpì in pieno viso Phil che svenne all’istante, mentre James saltò lateralmente, Jessie ne rimase semi-soffocata e Meowth cadde stramazzato, incapace di muoversi. Sukie e Ben strillarono, ed accorsero subito da Phil.
“Meowth!” gridò James che afferrò brutalmente il Pokémon-gatto prendendolo ripetutamente a sberle. “E’ andato” tossicchiò Jessie.
“Cosa facciamo?” strillò Sukie isterica, sollevando la faccia di Phil. Ben, esterrefatto, non sapeva come agire.
 “Disorientati, immagino” disse quindi Jessiebell, nello scalpore generale. “Devo lasciarvi riflettere?”
“Devi lasciarci andare!” replicò Brock, tirando fuori il suo Onix. Il Team Rocket fuggì da una parte, mentre Sukie e Ben tentavano di spostare Phil.
“Onix, sfonda la porta! Presto!” ordinò al suo maestoso Pokémon; questi scaraventò dolcemente di lato Philip, Ben e Sukie prima di avventarsi con tutta la sua forza sul suo obiettivo. Il pavimento tremò tanto che Misty cadde a terra tendo fra le braccia il suo Togepi, e Pikachu fu sbalzato indietro; tutto attorno ad Ash sembrò traballare, e quando il terremoto cessò pochi secondi dopo vide Onix cadere a terra  masso dopo masso, la porta chiusa senza evidenti danni fuorché qualche copertura di marmo spaccato.
Ad Ash uscì istintivamente un “Uoh…”, guardando il mastodontico Pokémon abbattersi al suolo.
“No, Onix!” gridò Brock, avvicinandosi al suo Pokémon.
“La porta è fatta di una lega metallica superiore alla forza di un Onix” informò distrattamente Jessiebell. “Cosa ne pensate, non è efficace?”.
Il suo Vileplume emise un verso di euforica approvazione.
Ash si avvicinò in fretta al Team Rocket.
“Perché non stabiliamo una tregua?” chiese al gruppo antagonista.
“Eh????” fece Misty, facendo quasi cadere dalle braccia Togepi.
“E per fare che?” domandò Jessie, indagatrice. “Non vi pare che abbiamo già troppi problemi?”
Misty poggiò Togepi a terra e corse verso di loro, avendo compreso le intenzioni di Ash. “Cerchiamo di parlare con lei: forse, con un accordo…”.
“Forse, riuscirà a ragionare” continuò Jessie che prese l’idea come una risorsa accessibile. Tutti, compresi Pikachu - anche Brock che aveva rimesso Onix nella sfera - fissarono James con un sorriso.
Per lui fu troppo. Cominciò a tremare come i sonagli di un Ekans e si attaccò al muro con un’espressione supplichevole.
“Non… non vorrete mica mandarmi da solo incontro a quella pazza, spero” disse in un filo di voce.
Gli altri fecero un sorriso ancora più largo.
“Eh, no! Ma perché io, me lo spiegate?”
“E chi altro potrebbe farlo, se non tu?” gli strillò contro Jessie. “Vuoi salvarti la pelle? Allora collabora!”
“Quella, per tua informazione, la prima volta ci ha rincorso per un’intera settimana senza stancarsi!” esclamò Brock, avvicinatosi assieme a Pikachu.
“Voleva sapere da noi dov’eri tu!”
James li fissò per alcuni secondi, con la speranza vana che scherzassero.
“T–traditori” mormorò.
Effettivamente, cercare di instaurare una conversazione civile con lei era - almeno per il momento - l’idea migliore che avevano per prendere tempo. Come non poteva essere più ovvio, solo James avrebbe potuto tenere le redini della situazione, dal momento che Jessiebell riteneva di avere un conto in sospeso con lui.
Jessiebell seguitò a scendere le scale molto lentamente appoggiandosi alla balaustra, e guardando Ben e Sukie accanto ad un Philp semi-cosciente.
“Vediamo… di chi mi conviene occuparmi prima?” la sua disinvoltura e il suo sorriso genuino di donna dell’alta società stonavano incredibilmente con le sue intenzioni.
Guardò il gruppetto che stava confabulando.
“Signori, vi sembra il modo di comportarsi questo?” gridò per attirare l’attenzione. “Non si lasciano gli interlocutori in disparte durante una conversazione” sorrise, anche se traspariva una leggera irritazione.
 “Aspetta un secondo!” le disse Ash. La ragazza aveva smesso di scendere i gradini. Senza scomporsi, girò meccanicamente la testa verso di lui. Il suo viso così fermo, compatto ed inespressivo la facevano assomigliare ad una grossa bambola.
Silenzio per pochi secondi.
“Ti ascolto” annunciò, così calma.
Ash cercò di sembrare il più autorevole possibile, e accennò a Jessie, Brock e Misty raggruppati dietro di sé.
“Qui c’è una persona che vorrebbe tanto parlarti, se vuoi” disse.
Si sentì un gemito, e Misty si allontanò. James piagnucolava con le braccia girate malamente all’indietro e mantenute da Jessie e Brock, cercando inutilmente di liberarsi dalla stretta. Jessiebell inarcò un sopracciglio, stavolta visibilmente sorpresa.
I due gruppi alleati mostrarono un falso sorriso, mentre spingevano l’ostaggio su per le scale. “Discutete un po’ voi due da soli insieme, poi ci direte di quante cose belle avete parlato, ok?” chiese Ash cordialmente, ma cordiale non era.
Jessiebell non si mosse.
“Ok?” ripeté il ragazzo, sconcertato dalla nessuna reazione ricevuta.
Giunsero a due gradini più in basso di lei, e si fermarono. La giovane non accennava nessun movimento. Finalmente, alzò una mano in alto e schioccò le dita.
Un uomo in nero uscì fuori da una porta ad est, in cima alle scale.
“Dal momento che avrei bisogno di scambiare due chiacchiere con questo signore” disse senza neanche voltarsi e mostrando con la mano James dinanzi a lei, “fa’ in modo che possiamo stare a nostro agio”.
“Subito” rispose quello, inchinandosi. Entrò da dove era uscito ed in poco tempo tre persone comparvero assieme a lui. Due portavano una sedia ciascuno, uno di loro un tavolino di legno, e posarono in ordine la roba in cima alle scale.
Gli altri rimasero a bocca aperta.
I quattro se ne andarono. Ash cominciò a provare rimorso e paura: l’atmosfera non gli piaceva. E se ogni cosa fosse andata storta? Certo, in altra situazione Jessiebell si sarebbe accontentata di James, ma si vedeva che era accecata dalla rabbia. Che c’entravano loro? Solo lei lo sapeva.
Inoltre, non voleva davvero che James, proprio quello che lo perseguitava, dovesse piegarsi controvoglia ai voleri di quella strega.
La ragazza, precisa nei movimenti, risalì i gradini: in tutta la sala si sentiva solo il rumore dei suoi passi. Appena arrivò in cima e si girò, gli altri cominciarono a far salire forzatamente James.
“Non sei abbastanza uomo per camminare da solo?” commentò la giovane. Poi si sedette stancamente, incrociando le gambe da sotto il vestito dalla gonna rigonfia a causa del guardinfante. Misty e Ash scesero le scale di corsa, mentre Brock teneva un braccio con tutta la sua forza, e Jessie un altro. Il ragazzo, che da un po’ non faceva più alcuna resistenza, si dimenò nuovamente, cosicché i due rimasti con lui lo spinsero a sedersi.
“Ora, tu stai qui e, con un po’ di fortuna, salvi le penne a tutti quanti” gli bisbigliò Jessie all’orecchio. “Vedi di fare qualcosa di buono, per una volta!”
“Che cosa…?” mormorò l’altro, spaventato.
“Se permettete…” disse Jessiebell a Brock e Jessie.
“Sì, ce ne andiamo” rispose la seconda e mollarono la presa, scendendo gli scalini dove tutti gli altri stavano aspettando.
Phil si alzò sulle gambe tremanti, e mosse qualche passo in direzione di Ash, Jessie, Misty e Brock.
“Phil!” Sukie e Ben corsero a sorreggerlo, mentre il suo corpo si scuoteva sotto gli effetti del veleno. Anche Ash corse verso di lui, seguito da Brock.
“Come stai, Phil?” chiese Ash, cercando di tenerlo in piedi.
Phil era tremendamente pallido. Le orbite erano diventate viola scuro, e gli occhi rossi faticavano a restare aperti. Sudava freddo.
“Che… che cosa succede?” biascicò, con la bocca pastosa.
Ben indirizzò il suo piccolo Shroomish  verso Meowth, lasciato contro il muro a dormire. Era stato grazie al suo piccolo Pokémon, originario di una regione straniera, che aveva potuto parzialmente disintossicare Philip.
 “Mentre lei parla, noi al via cacciamo i nostri Pokémon dalle sfere Poké e abbattiamo Vileplume” disse Ash al gruppo.
Meowth, intanto, si era alzato dolorante.
“Grazie, amico!” farfugliò allo Shroomish che, obbediente, era immediatamente ritornato nella sfera del suo piccolo allenatore.
“non è una buona idea” lo interruppe Philip con una scarica di tosse.
“Perché?” chiese Brock, “senza Vileplume, Jessiebell è debole!”
“Avete dimenticato i suoi amichetti di sopra” obiettò Jessie.
Philip annuì, calmando la tosse. “Giusto, e possono essere armati. Inoltre lei non ha solo Vileplume, ha anche i miei Pokémon”.
“Eh? Quella ti ha rubato i Pokémon?” esclamò Ben esterrefatto, ma Phil lo zittì indicando Jessiebell che li fissava con insistenza. Tutti tacquero.
“Grazie” fece Jessiebell. “Immagino vi interessi la nostra conversazione: quindi, fate più silenzio, per favore”. Tornò a rivolgersi a James.
“Stavamo dicendo, James caro?”
Tutti si sparsero per la stanza, con in mente ancora l’idea di attaccare Jessiebell a tradimento – solo se necessario. Pikachu stava di fronte le scale, Ben e Sukie con Phil verso la parete di destra, gli altri per il salone: Cyndaquil guardava in alto curiosamente, mentre Totodile giocherellava saltando tra le colonne, anche usando lo stesso Cyndaquil come ostacolo per i suoi salti ballerini. Philip guardava Jessiebell senza perderla d’occhio, come se stesse aspettando da lei una mossa falsa; nemmeno Jessie la perdeva di vista, e Meowth mezzo dolorante cercava di acquietare la vivacità di Totodile.
“Ti sembra questo il momento per la Lap dance?”
Totodile emise qualche verso di scherno e continuò a saltare.
“Sei proprio incorreggibile…!”
“Pika!” fece Pikachu, come per metterli a tacere.
James era terrorizzato. Se Togepi non si fosse messo a battere le zampette facendo “To…ge…pi!”, si sarebbe potuto sentire il rumore delle sue ginocchia che tremavano.
Totodile nel suo giocare sbatté distrattamente contro una colonna alla cui sommità era un Abra di pietra, senza farla cadere ma provocando comunque baccano.
Ash fu costretto quindi a rinchiuderlo nella sfera.
“Finalmente!” disse Meowth.
“Allora” cominciò Jessiebell, come se fosse stata attrice teatrale. “E’ tanto che non ci si vede, caro James”.
“S–s–se–se–sì” bofonchiò quello, sprofondando nella sedia.
“Non essere così nervoso, James! è un dialogo tranquillo, no?” lo rimproverò dolcemente.
James si riprese e cercò di star tranquillo, mantenendosi molto saldamente con una mano alla sedia.
“Che c’è, che vuoi da me?” cominciò, con la voce tremante, quasi si stupisse delle sue parole. “Non hai ancora capito che non vorrò stare con te neanche per tutto l’oro del mondo?…” si sfogò, anche se l’ultima parte del discorso aveva un tono più insicuro, ma non si riusciva a capire se era orgoglioso o pentito delle parole pronunciate.
“Oh, come siamo coraggiosi oggi!” disse Jessiebell incrociando le mani.
“E–è vero, non voglio più avere a che fare, perciò…” e si levò dalla sedia, “e perciò, ti prego di lasciarci andare, tutti…”
Jessiebell increspò le sue labbra in un sorriso.
“Non ti ho fatto venire per costringerti a sposarmi” gli rivelò, “ma per ben altro: per fartela pagare. A te e a quei simpaticoni dei tuoi amici” ed indicò così Ash, Misty, Brock, Pikachu ed il Team Rocket.
Jessie impallidì. “Come sarebbe, farcela pagare?”
“Tu, James, per non avermi voluto prendere in moglie tempo fa e per essere fuggito al nostro fidanzamento” spiegò. “Loro, per averti aiutato a scappare nuovamente” puntò il dito verso Ash ed amici con Jessie e Meowth, “per non aver voluto collaborare nel condurmi da te spontaneamente…”
“Ma non lo sapevamo davvero do…”
“Silenzio!” gridò Jessiebell, questa volta nervosa anche nei modi. Poi proseguì, riacquistando la calma: “…il Capo–palestra ed i suoi eroici allievi, per essere coinvolti nella storia e per evitare che parlino con la polizia. Avrei anche potuto risparmiarmi la fatica di eliminare tutti voi, ma non posso farne a meno. Non devono esserci testimoni. Per questo, ho congedato i miei uomini che fuggiranno in cinque parti diverse del mondo” si fermò un secondo, prima di emettere il suo giudizio personale.
“Non ci si può fidare di nessuno, è una lezione di vita che pochi imparano”.
Sorrise.
“Non capisco” mormorò James, spaventato. Il Vileplume lo sfiorò mentre ritornava dalla sua padrona, e lui rabbrividì.
“Non sono il tipo che fa una cosa senza nemmeno spiegarne i motivi ai diretti interessati. Regole di mercato… quello che non studiavi a scuola”. Si alzò dalla sedia e si riassettò le vesti, seguendo James che stava scendendo i gradini. “Per una stranissima ragione, vedi, non si riusciva assolutamente ad intercettare né te né il tuo gruppo; tuttavia, ricordavo che il ragazzino coi capelli neri non era dei vostri, seppur sembra vi conosciate da tempo. Quindi, mi sono informata in ogni modo su Ash Catchum, e ho scoperto che dovunque andava lui e ci fosse una palestra o Pokémon da arraffare, tu c’eri; a volte sei solo nei paraggi, sembra sia soprattutto per quel Pikachu. Ci sono voluti mesi per dettagliare questa ricerca, e non sto qui a spiegarti tutto per filo e per segno, caro mio!” Rise qualche secondo, portandosi la mano alla bocca rossa.
James era ormai pietrificato sugli scalini.
“Non hai una buona reputazione, lo sai? In parole povere, il Pikachu di quel giovane è la ragione principale per cui non smetti di seguirlo. Perciò ho dovuto coinvolgere Ash Catchum che, diciamocelo, in fondo è un innocente assieme ai suoi amici, per smascherarti e condurti qui. Tutto chiaro?”
“Non so come la pensi tu, ma se non vuoi lasciarci spontaneamente ce ne andremo da soli, in qualche modo!” gridò Ash dando il segnale di attacco, e James si precipitò giù per le scale. Jessiebell scese qualche altro gradino.
“Fermati! Non si corre a quel modo!” gridò.
“Io corro come mi pare e piace!” le gridò contro, terminando i gradini.
“Ho detto che NON SI CORRE A QUEL MODO!” esclamò lei, ed i suoi occhi s’illuminarono di uno spaventoso colore rosso fosforescente che le accendeva il viso in modo innaturale.
James si fermò di botto, e disse con voce soffocata: “Che co…”
Jessiebell rise, rise di gusto, inondando tutto l’ambiente solo del suo ridere amplificato.

NOTE:

1) Nonostante la storia sia ambientata con Misty e con i Pokémon della terza stagione ho appena visto la puntata della lega di Sinnoh in cui Jessiebell ricompare sulla scena. Tralasciando che quest’ultima serie è una rielaborazione (fatta male in più punti) della prima, ho voluto fare in modo che in questa fan-fiction si fossero incontrati già più di una volta, così da non entrare in conflitto con la puntata della lega di Sinnoh.

2) Uno Shroomish è un Pokémon che ho preso dal Pokédex on-line del sito ufficiale. Si dice abbia capacità curative, ma dal momento che non l’avevo mai incontrato prima avvisatemi se ho scritto idiozie.



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Capitolo 7
*** Miriam Franklek ***


Capitolo 7 – Miriam Franklek

Ash e tutti gli altri avanzarono di un passo, increduli. James, pietrificato da quanto aveva visto, cadde giù dagli ultimi gradini finendo con la testa a terra.
Gli altri corsero immediatamente verso di lui.
“James! Stai bene?” chiese Misty accovacciandosi.
“Ahiahia!” si lamentò il povero ragazzo tenendosi la testa fra le mani, e lo aiutarono a rialzarsi.
Brock, che si era abbassato su un ginocchio, si alzò e si rivolse a Jessiebell.
“Lasciaci in pace! E’ stupido quello che fai!”
“Capisco che per voi sembri tale, dopotutto non mi aspetto che plebei della vostra razza comprendano” replicò la donna mostrando finalmente su quel volto disegnato un ghigno terrificante. Li stava prendendo in giro, e quasi come un gatto che giocava con i topolini prima di mangiarseli così stava facendo con loro senza offrire una valida ragione per quel sequestro.
“Ma cosa è stato?” domandò Ash, all’erta.
“E’ una caratteristica della mia famiglia” spiegò Jessiebell tranquilla e con un bel sorriso di soddisfazione. “Osservate…”
Puntò il dito verso Togepi che batteva le zampine, seduto a terra dove Misty lo aveva lasciato. Gli occhi della nobildonna si tinsero nuovamente di colore.
Togepi interruppe il gioco e rivolse lo sguardo alla donna demoniaca, dagli spaventosi occhi scarlatti che rendevano il suo sguardo estremamente serio. Si alzò e le si avvicinò di qualche passo.
“Togepi…” chiamò Jessiebell come in trance, e di botto puntò la mano spalancata verso di lui: sul suo palmo si visualizzò una semisfera luccicante.
“Attacca!”
Togepi sembrò aver percepito la chiamata della ragazza come qualcosa di importantissimo a cui era impossibile sottrarsi; si voltò a guardare la propria padroncina con un’espressione assente ma in qualche modo inquietante. Misty sembrò rabbrividire, e a braccia spalancate si avvicinò piano verso il cucciolo-uovo. “Togepi… vieni, presto!” disse tremante, ma quello fece un passo indietro, riluttante ad obbedirle, e la ragazza esitò scoraggiata.
“La sua espressione…” Misty pareva così terrorizzata del suo cucciolo, e si ritrasse con un volto pallido di timore. “Vuoi farmi del male, piccolo?”
 “Misty, non preoccuparti!” Ash cercò di tranquillizzarla, ma non lo era al cento per cento neanche lui. “Che cosa può fare Togepi? E’ solo un cucciolo!”.
“Non sarei così tranquilla al tuo posto, signor Catchum” disse Jessiebell con una punta roca nella voce. In quello stesso istante, Togepi balzò velocemente e morse il polpaccio esposto di Misty. “Ahi!” gridò lei spaventata per la presa così salda, e scosse violentemente la gamba finché il Pokémon non mollò la presa.
“Lasciala!” gridò Ash tirando Misty, e spinse la ragazza dietro di lui. Entrambi avevano il respiro affannoso, e sangue colava copiosamente dalla gamba della poveretta che si accovacciò non appena ne ebbe la possibilità. Il cucciolo fece un salto indietro ed atterrò senza inciampare, gli occhi costantemente fissi su Misty alle spalle di Ash. Anche il ragazzo si accorse di quello sguardo terrificante.
Togepi all’istante alzò le zampe emettendo un verso deciso. Cerchi luminosi si innalzarono dal cucciolo; Ash aggrottò le sopracciglia chiedendosi cosa intendesse fare, ma in un secondo sentì la voce di Brock che gridava: “Misty!” e Ash sentì chiaramente un tonfo alle sue spalle; si voltò e la vide distesa a terra, pallidissima, che si lamentava con le mani alla testa. Ash trattenne il fiato, avvicinandosi a lei.
“Misty!”
Anche Brock accorse, ma nello stesso istante in cui tentò di toccarla questa si agitò pericolosamente in preda a fortissime convulsioni, emettendo urla incomprensibili. Tutti gli altri assistevano inorriditi alla scena.
“Aaah!” Brock cercò di tenerla ferma, ma quella si muoveva sempre di più; Ash era confuso, ma subito a vedere l’amico sbalzato dall’agitazione di Misty si gettò verso di lei.
“Tienila ferma, Brock!” gridò disperato.
“Ci sto provando, ci sto provando!”
Ash allora si rialzò, e vide ancora il piccolo Pokémon all’opera contro la propria allevatrice.
“Cosa succede?” aprì il suo Pokédex.
“Attacchi di Togepi: non ci sono informazioni disponibili“.
Richiuse l’oggetto e lo rimise a posto irritato. “Merda”. Lanciò uno sguardo esitante al suo Pikachu, che ricambiò l’occhiata come se stesse aspettando anche lui, titubante, il segnale. Philip accorse verso Misty che per poco non si soffocava da sola; all’ultimo forte urlo: “mani…legate!” tra il pianto di Misty, Ash gridò furioso:
“Pikachu!”
Il Pokémon corse veloce verso il cucciolo, colpendolo forte sul guscio tanto che scivolò via di alcuni metri. Pikachu si fermò, guardò Ash in attesa; Ash si voltò dietro di sé, e vide Misty ansimare tra le braccia di Brock con un sottile verso rauco, le pupille in alto ma visibili. Meno male che si era calmata.
“Merda, cosa hai fatto?” urlò furioso verso la vera autrice di tutto, quella Jessiebell sorridente che non aveva mosso ciglio per tutto il tempo.
Si cercò di mettere Misty almeno a sedere.
Jessiebell riportò lo sguardo verso Togepi, ed il piccolo si rialzò con la fronte sanguinante, ma con l’aria di non avvertire il minimo dolore. Un’aura rossastra comparve per mezzo secondo attorno a lui.
Misty tornò a gridare terrorizzata, gli occhi chiusi come incapace di aprirli, e si guardava le braccia. “Ho le mani legate…! Ho le mani legate!” strillava, tenendo i polsi uniti. “ Cosa succede? Cosa succede?”
Si stava di nuovo dimenando, preda di un’illusione. Ash allora, pieno di rabbia, si buttò a terra sulla ragazza, scuotendola molto forte: “Misty, Misty! E’ un’illusione, non è vero! Misty!”
Ma Misty, dopo un secondo di silenzio, prese a gemere a voce alta, le lacrime che scendevano sulle guance rosse; mentre Brock approfittava del pianto per cercare di prenderla in braccio, Phil si era alzato in piedi.
Jessiebell ghignò divertita.
“Pikachu, superfulmine!” urlò Ash in preda alla furia. Pikachu esitò qualche istante, poi corse meno velocemente; stavolta fu una barriera attorno a Togepi a scaricare per la stanza il fulmine irradiato, il Team Rocket sotto tiro dovette spostarsi veloce urlando. Pikachu ripeté l’attacco, ma l’effetto fu molto simile al precedente.
“Cos’hai fatto a Togepi, eh? me lo spieghi?” gridò Ash con voce rauca dalla rabbia. Anche Pikachu squittì minaccioso.
“Oh, non fare così, era solo una dimostrazione” fece Jessiebell coprendosi la bocca con il dorso della mano per nascondere le risate, alla maniera delle gentildonne. Spalancò una mano davanti a sé, e Togepi perse tutta la luce che emanava cadendo a terra; fu il tempo di un attimo, giusto per portare avanti a sé la mano e ritrarla. Misty smise di fare rumore, spalancò gli occhi trovandosi in braccio a Brock, e asciugandosi le lacrime chiese: “Cosa…?”
“Adesso basta, direi che è arrivato il momento dei commiati” disse poi Jessiebell stancamente mentre alzava contemporaneamente le mani al cielo per poi congiungerle una di fronte all’altra; tenendole unite le puntò davanti a sé facendo combaciare gli indici a mo’ di pistola, ed un sorriso crudele comparve sul suo viso.
“Addio” disse infine: una piccola sfera di luce fucsia era nata nel punto di congiunzione.
“Fermati!”gridò una voce.
La luce sparì e Jessiebell si rivolse sospettosa al soffitto.
“Addosso!” gridò Meowth ed il Team Rocket con Ash, Misty e Brock entrarono in azione.
“Chikorita, Totodile, andate!” gridò Ash in preda alla rabbia.
“Arbok, riduci quella befana in poltiglia!” ordinò Jessie al suo Pokémon.
“Onix, abbatti la porta!” comandò Brock al suo Pokémon, che nonostante tutto si affannava contro la porta indistruttibile provocando un costante terremoto in cui tutti dovevano destreggiarsi nel restare in piedi. Le colonne di pietra caddero definitivamente l’una dopo l’altra sotto i colpi del mastodontico Pokémon, e nella confusione generale ognuno – sia Pokémon, sia umano - era costretto a fuggire da una parte all’altra per evitare di finire schiacciato.
“Forse è il momento di agire” Sukie aprì la cerniera della sua cintura contenente le sfere Poké, che portava sopra la salopette.
“Scy, vieni fuori!” e ne uscì un Scyter sfregandosi le lame. “Scy, quella donna è il tuo bersaglio, e tu faresti meglio a non controllarti. Perciò, dacci dentro!”
“Scy” rispose il Pokémon, e corse verso Jessiebell con l’abilità di un vero ninja.
Ben tirò fuori dalla tasca dei pantaloni la sua seconda ed ultima sfera, e la lanciò: “Oal, andiamo a farla pagare a quella donna!” e carezzò il suo Flareon che partì all’attacco.
Jessiebell rimase ferma dov’era, con tutti i Pokémon che stavano arrivando da ogni parte. Appena le creature stavano per saltarle addosso, lei alzò una mano e stese il braccio, e un’aura malvagia comparve all’improvviso attorno a lei: tutti i Pokémon si fermarono, impauriti, e la mano di Jessiebell si circondò di una luce rossa. Poi, con gran stupore generale, accadde una cosa incredibile.
Dalle mani aperte della giovane uscirono fiamme gigantesche che allontanarono i Pokémon disorientati; fiamme potentissime e dal getto deciso, che forse solo Charizard avrebbe potuto contrastare.
Jessiebell era indemoniata, il volto pallidissimo che infuocava ulteriormente la sua chioma, e sembrava stesse trattenendo a stento le risate. Il getto di fuoco inondava la sala ondeggiando da una parte all’altra e tanto forte da annerire le pareti; i malcapitati cercavano in ogni modo di ripararsi nel vestibolo, fin quando fu bruscamente interrotto da un qualcosa che sfrecciò come un razzo colpendola. Jessiebell cadde a terra con un gemito, mentre l’oggetto misterioso si fermò svolazzante a mezz’aria, poco sopra di lei.
Ash si affacciò da dietro il muro del vestibolo. Vicino a lui c’erano Misty, Pikachu e Brock, mentre il Team Rocket era rintanato in un angolo salvo per miracolo, e Ben, Sukie e Phil erano scampati per un pelo al fuoco, estinto all’ultimo istante mentre stavano per raggiungere il riparo. Ansimavano.
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Ash alzò lo sguardo davanti a sé. Una figurina colorata era distesa sui gradini, e cercava di rialzarsi. Quello che sembrava un grosso Fearow le volava sopra, in cerchio.
I ragazzi saltarono fuori dal loro rifugio, così come i Pokémon che si erano nascosti – oltre alcuni, invece, erano stati richiamati in tempo nelle sfere. Jessiebell tentò di alzarsi, e colma d’ira tentò di lanciare un attacco al Fearow, il quale si innervosì sbattendo le ali e facendola rotolare di altri gradini. Lei riuscì a poggiarsi sulle ginocchia, ed una volta terminato l’attacco si aggrappò alla balaustra nel tentativo di rimettersi in piedi.
Tutti erano allibiti, e perfino i Pokémon non sapevano come agire.
Unica a rompere il silenzio tombale era una risata dapprima sommessa, poi sempre più forte, ed Ash poté giurare che era quella la voce che avevano sentito gridare poco prima.
Dal matroneo comparve una figura che agilmente saltò dapprima sulla balaustra delle scale per poi atterrare al suolo. Questa richiamò a sé il Fearow, che le planò agilmente accanto: al collo aveva un collare argentato. La donna lo guardò un attimo, prima di farlo tornare nella sfera Poké.
Jessiebell, che si era ormai quasi completamente alzata in piedi, sembrò perdere buona parte della sua spavalderia. Il suo Vileplume, rotolato quasi fino in fondo alle scale, le era corso subito vicino nel timore di essere attaccato da uno Scyter alquanto irrequieto e ritto ai piedi della scalinata.
Era alta, coi capelli mossi scuri legati in un codino, la faccia dura che guardava dritto negli occhi di Jessiebell, circondata da tutti quei Pokémon che attendevano solo di sapere chi fosse.
“Ma sì!” esclamò Brock, battendo un pugno sul palmo della mano. “Io lo so chi è! E’ la Jenny di Fire City!”
Misty ed Ash sobbalzarono.
“Eeeh?”
La donna non sembrava per niente la poliziotta che conoscevano, sebbene la costituzione fosse più o meno la stessa: indossava una camicia nera, un paio di pantaloni di jeans neri con anelli stretti in fondo sulle caviglie, scarpe ginniche con uno spesso strato di suola in gomma bianca, ed una giacca nera con due aperture a cerniera ad ogni lato. Una catenella legata al collo manteneva sei sfere Poké fissate con dei ganci. Si avvicinò con sicurezza di fronte alle scalinate, mentre tutti i Pokémon le facevano spazio.
Jessiebell si morse il labbro inferiore.
“Miriam Franklek, FBI” disse la donna mostrando il distintivo agli altri alle sue spalle, poi sogghignò mentre lo riponeva nella giacca.
“Si può, cara? Sono passata dalla porta di servizio… o meglio, dal tetto”.
Jessiebell sembrò perdere tutta la sua sicurezza, ed esitò, mentre Miriam avanzò di un passo.
“Oh” fece Brock. La donna si voltò verso il gruppetto e sorrise, cosa che quasi stonava col suo atteggiamento.
“Hai paura, eh?” le chiese aspra, tornando a rivolgendosi a Jessiebell. “Infatti vedo che ti sei indebolita”.
“Ma chi è lei?” chiese Ash, perplesso.
L’agente della FBI sorrise nuovamente. “Hai ragione, ragazzo… spiegherò tutto”.
Uno spaventoso getto d’acqua giunse verso di lei, ma l’agente lo schivò rotolando di lato. Jessiebell era in trappola, aveva fatto magicamente uscire l’acqua dai palmi delle mani, ma non aveva funzionato. Il codardo Vileplume stava nascosto dietro la gonna della sua padrona mentre prima sembrava fare quasi lo spaccone.
“Non dire una sola parola” le ordinò Jessiebell.
“Non ci penso nemmeno a star zitta” fece lei serissima. “Hanno il diritto di sapere. Poi so che tu non manterresti mai la parola data: sei una Thomps”.
“Che cos’hai contro chi si chiama Thomps?” strillò Jessie, ed in un attimo tutta l’attenzione si concentrò su di lei.
“Nulla, nulla,” si affrettò a dire Miriam, “ma le Thomps come lei non sono degne di essere chiamate persone”.
Guardò Jessiebell, che pareva difficoltà.
“Non riuscirai a dire una sola parola, Franklek!”
in quel momento, intuendo un tiro mancino da parte di Jessiebell, Miriam staccò tre sfere Poké dalla collana e le lanciò con un urlo: “Fermatela, presto!”
Tre splendidi esemplari Evee - Flareon, Vaporeon e Jolteon - uscirono dalle Pokéball e salirono veloci sulle scalinate; Jessiebell spalancò la mano verso di loro, uscì una luce che però si affievolì quasi subito, e Jolteon le scagliò contro una forte scarica elettrica; Jessiebell all’ultimo momento riuscì ad emanare un’aura rossa che disperse la scarica elettrica, ma oramai era circondata: aveva Jolteon dietro di sé, Flareon e Vaporeon a destra e a sinistra. Vileplume mugolò terrorizzato. Anche la padrona si sentiva presa alla sprovvista; provò a lanciare di nuovo un attacco, ma fallì.
“Non riesce più ad attaccare” mormorò Meowth a James e Jessie.
“Secondo me è meglio che mi stiano a sentire… che ne dici?” la voce di Miriam aveva nuovamente concentrato l’attenzione di tutti su di sé. “Così, forse, avrai un motivo in più per eliminarli tutti. Perciò mettiti comoda e non interrompermi”.
“Non puoi…”
“Sai che ho più possibilità di chiunque altro di danneggiarti sul serio”.
“Questo chi te lo garantisce?” gridò la donna. Miriam la squadrò in modo così duro che Jessiebell non osò continuare a parlare. “Ad ogni modo probabilmente la ragione è dalla tua parte” Jessiebell riprese il suo tono da farsa teatrale, riassettandosi l’abito mentre Vileplume tremava dietro di lei. “Fa’ pure il tuo discorsetto, dopotutto non cambierà il corso della storia. Se proprio ci tieni tanto ad avere il tuo momento di gloria…”
Accompagnata dai tre Pokémon d’Evee, Jessiebell risalì le scale, tirò a sé una sedia e vi si sedette.
“Prego”.


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Capitolo 8
*** il disonore di chiamarsi Thomps ***


Capitolo 8 – il disonore di chiamarsi Thomps

Non c’erano pedoni per le strade della Old Fire City, il centro storico. Solo automobili nervose, imbottigliate nel traffico di un pomeriggio lavorativo, chiassose con i loro clacson il cui suono era attutito dall’incessante pioggia di fine novembre. I lampioni erano già accesi, pur essendo solamente le tre; a causa di un sole scomparso dietro pesanti nuvole grigie.
Anche Cross Road, l’arteria principale, era incupita dal maltempo. Si chiamava così per una ragione ovvia: costituiva il cardine massimo assieme al decumano maggiore, le due strade principali che incrociandosi perpendicolarmente originavano la piazza centrale della città. In epoche remote, parte del decumano e del cardine era andato perduto, e ciò che restava all’epoca era solo Cross Square – la piazza centrale, notevolmente ridimensionata rispetto a com’era in antichità – con Cross Road locata immediatamente a sud, e una parte del decumano ovest detto Charizard Road. La conformazione della città era divenuta molto simile a quella delle capitali imperiali, con la sede del governo a Cross Square e la pianificazione urbana che si stendeva immediatamente a sud, tra vie antiche miste a strade costruite in epoche più recenti. A nord e a est, oramai, vi si trovavano solamente poche rovine protette e pineti; in lontananza, le montagne da cui si dice fossero nati i Charmender.
Cross Square era la piazza degli organi di governo, della città alta, e del generale Gottfried Edward Thomps IV.
Primo Consigliere dell’amministrazione comunale della città di Fire City, uno dei senatori del consiglio della regione di Kanto, e rappresentante di altre cariche più o meno derivanti dalla sua stirpe aristocratica, il generale Thomps era un uomo calcolatore come lo erano stati tutti i membri della sua famiglia, ma anche brutale.
Non aveva mostrato scrupoli dinanzi a niente, eliminando i suoi avversari reali o solo potenziali in qualunque modo, legale o illegale che fosse. E la sua sicurezza sussisteva nel mantenimento del controllo effettivo sul sindaco e su tutta la giunta comunale, fungendo quasi come un reggente imperiale dal quale dipendevano le sorti di tutta la popolazione.
A Cross Square esisteva anche la secolare residenza ufficiale Thomps. Non era grande quanto quella di altre famiglie ugualmente influenti nel Kanto, e ciò era dovuto in parte all’età dell’edificio, in parte alla sua collocazione urbana che impediva grandi opere di ampliamento. Una decina di anni prima il generale era riuscito a sfrattare gli inquilini di una casa/negozio di orologi ad est e a guadagnare spazio antistante, così da abbattere ciò che vi era presente per poter aggiungere un’ala alla casa ed edificare un portico con giardino.
Sulla porta della cancellata di ferro battuto erano appesi due fiocchi di raso rosa; fiocchi che ricomparivano, grandi e decorati nel dettaglio, sulla porta del palazzo, affiancati da pupazzi a forma di Jigglypuff dagli occhi di zaffiro e smeraldo.
Nel soggiorno dell’ala est due bambine di poche settimane giacevano in un’enorme culla placcata di porcellana finemente lavorata, quasi fosse stata una grossa bomboniera bianca. Un velo rosato fungeva da protezione per quelle due creature. Entrambe erano vestite con abitini sul rosa e cuffiette sulle testoline dai pochi capelli rossi.
Una donna, alta ed ossuta di costituzione, era seduta a capo chino su una poltrona di pelle bianca. I capelli ribelli e color melanzana stavano a malapena fermi nelle due code in cui erano legati.
Dopo aver fatto un giro a vuoto per la stanza, il generale Thomps colpì violentemente con un pugno il pianoforte facendogli emettere note stonate.
“Jessiebell! Jessica Isabel Seconda e Terza! Sarà questo il nome di entrambe le bambine! Mia madre si chiamava così e così voglio che siano chiamate tutte e due le mie figlie!”
La sua voce era doppia e in qualche modo terrificante. Gottfried Thomps era un uomo alto e imponente dagli occhi d’un verdastro profondo, la capigliatura tendente al blu – indice di sangue nobile - tirata all’indietro. Non era affatto un uomo da disdegnare, né fisicamente né intellettualmente, e tantomeno per il suo capitale. Certo che i genitori di Morgan avevano chiuso un affare estremamente vantaggioso, sacrificando solo una dote ragionevole oltre che la loro unica figlia.
Morgan Thomps era originaria delle terre di Sinnoh, e durante la sua adolescenza era stata abituata ad una vita completamente diversa da quella a cui era costretta ora, sposata con uno degli uomini più influenti del Kanto. Sradicata letteralmente dal suo luogo d’origine, aveva dovuto imparare a confrontarsi con usanze diverse, Pokémon che non aveva mai visto in vita sua, e soprattutto con un marito da un’intelligenza ed una violenza superiore alle aspettative. Era figlia di una ricchissima famiglia semi-nobile, e certamente il fatto che un Thomps avesse accettato di maritarsi con una mezzosangue poteva dirsi un colpo di fortuna. Lei stessa, infatti, da fidanzata si pregustava i mille vantaggi che avrebbe potuto trarre spremendo come un limone quel fiacco riccone cresciuto nella bambagia della bambagia, inoltre era rimasta piacevolmente affascinata dal suo aspetto e dai modi da vero gentiluomo.
Tuttavia, subito dopo la nascita delle gemelle e la presa di coscienza che non si trattava di primogeniti maschi, il suo carattere era progressivamente peggiorato fino a porla sullo stesso livello della servitù: una donna di camera utile solamente per sfornare figli, possibilmente maschi.
Ma lui ugualmente non conosceva Morgan.
“Io non ho intenzione di crescere due bambine chiamate allo stesso modo!” ribatté la donna, alzandosi di scatto dal giaciglio in cui era stata relegata. “Sto cercando di rassegnarmi e di mandare avanti questo matrimonio, ma tu mi rendi le cose così…”si fermò un attimo, per combattere contro le lacrime che odiava far scendere.
“…Difficili…”
Voltò la testa. Odiava mostrarsi debole, odiava mostrare questa sua debolezza al marito. Sapeva che ne avrebbe approfittato per sferrarle l’attacco mortale. E odiava la stupida etichetta della nobiltà di quelle parti che diceva che la donna doveva nascondere le emozioni dietro un ventaglio ricamato.
Il marito sbuffò, tirandola per un braccio. “Jessica è un nome troppo plebeo, se lasciato solo”. La fissò dritto negli occhi azzurri e bagnati, incontrando nuovamente quello sguardo spaventato, ma dotato di una pericolosa luce di indomabilità.
“L’onore più grande è ricevere il nome della propria nonna! E visto che qui sono io che comando, le bambine si chiameranno così!”

Morgan Thomps non era credente. Non era nemmeno cattolica di educazione.
E questa era stata un’altra grande crepa nel matrimonio con Gottfried, proveniente da una famiglia la cui rispettabilità dipendeva non solo dal giusto culto di Amida e delle divinità scintoiste – culto legato maggiormente, peraltro, alla tradizione più che alla fede – ma anche da una corretta pratica della religione cattolica.
Altra scenata quando Morgan, di ritorno da una gita organizzata dal marito verso le montagne dei Charmender, si era ritrovata nel bel mezzo di una cerimonia formale di battesimo. Sì, le bambine erano state battezzate: non c’era, ormai, più nulla da fare.
Il carattere indomito di Morgan la spinse più in là di quanto le fosse consentito, insultando il marito pubblicamente.
“Non accetterò mai i tuoi ordini, non accetterò mai la tua religione, e tantomeno accetterò di essere schiacciata da un mostro come te!”
Si rimediò uno della serie di ceffoni che avrebbero costellato quella breve e complicata convivenza.
Miriam Franklek aveva più volte assistito a scene del genere quando lavorava come damigella di casa presso i Thomps. Ma Morgan non piangeva mai di fronte agli altri: dietro la porta di un bagno, sotto il portico, quando credeva che occhi indiscreti non potessero vederla. E sapeva anche che lei era molto affezionata ad un Glameow che si era portata dietro dalla sua casa natale.
Quello che Morgan non immaginava era il grado di efferatezza di suo marito. Riuscì, in men che non si dica, ad inimicarle tutte le persone con cui potesse essere a contatto; per qualche strana ragione che lei non riusciva a comprendere, anche il suo Glameow ne era influenzato, attaccandola più di una volta con il solo scopo di ucciderla, e pianse lacrime amare quando fu soppresso proprio per questo motivo. Forse l’obiettivo di Gottfried era spingerla alla pazzia, o alla completa sottomissione.
Ma lei non era il tipo da sottomettersi o impazzire.
Dopo diversi mesi, le bambine erano iscritte al municipio, e addirittura legate con accordi prematrimoniali a pargoletti ugualmente in fasce. La situazione era divenuta insostenibile, e per di più c’era qualcosa in quella casa – in quell’uomo – di cui nessuno era a conoscenza e che lei riteneva oltremodo spaventoso.
Così agì.
Fuggì; ma nella colluttazione con Gottfried riuscì a portare con sé solo una delle gemelle. Morgan aveva successivamente cercato e trovato l’aiuto di una potente organizzazione, al cui apice una donna - madre come lei - avrebbe senz’altro saputo come agire, sebbene senza perdere di vista un tornaconto personale. Anche quella donna era ricca, ma di una ricchezza non derivata dall’ereditarietà.
Si premurò di analizzare la situazione e le fece comprendere che sarebbe stato impossibile cercare di avere l’altra bambina: oramai era persa, per sempre. L’unica speranza che aveva era di poter restare nell’ombra quanto più possibile, assieme alla creatura che aveva salvato.
Grazie al Team Rocket e a Madame Boss, quindi, fu inscenato un suicidio a regola d’arte di Morgan che, preda di attacchi depressivi, aveva portato con sé anche l’innocente bambina. A Gottfried questa soluzione piacque: nessun divorzio, nessuno scandalo. Solo una tragedia che avrebbe saputo giocare a suo vantaggio. E molto probabilmente – anche se non era stato del tutto provato – madame Boss aveva anche scambiato due chiacchiere con lo stesso generale Thomps.
Gottfried, infatti, aveva installato una sicurezza ventiquattro ore su ventiquattro per l’altra bimba; e pare che avesse contattato i genitori di Morgan per ottenere da loro un potere triplicato rispetto a quello della dote, e il loro appoggio incondizionato in qualunque situazione politica. In più occasioni l’uomo si sarebbe rivolto a loro per acquisire possedimenti, soldi, ricevere favori.

“La percentuale più alta già classificata dell’elezione è del 4% per me? Ma sono cose da pazzi! Quindi, come stanno le cose, sono praticamente escluso dal Consiglio per i prossimi cinque anni?”
Quando i cittadini ed il sindaco lo espulsero dalla giuria comunale, il generale Thomps montò su tutte le furie. Aveva fatto raccogliere sondaggi tra i cittadini, e non ne era emerso che il quadro negativo di un uomo avido e interessato solo a fare il proprio gioco, anche a costo di danneggiare la situazione politico-economica di Fire City. Un’inchiesta era stata inoltre avviata nei suoi confronti, per verificare un giro di tangenti che sarebbe stata riconducibile direttamente a lui.
Il generale fu però tanto scaltro quanto pazzo.
Un giorno ordinario, senza avvisare né prendere accordi con alcuno ad eccezione del suo maggiordomo di fiducia, fece preparare un aereo privato per sé e per sua figlia Jessica Isabel - detta Jessiebell Rumika - diretto a Sinnoh, dove avrebbero stabilito la residenza su uno dei terreni acquisiti precedentemente dai consuoceri. Da lì sarebbe poi ripartito, forte delle sue alleanze politiche a livello internazionale, delle quali una particolarmente vantaggiosa era costituita dagli accordi prematrimoniali della sua erede con il figlio unico di Joseph McGrannigham.
Miriam Franklek, servetta adolescente, stava lavando a mano i preziosi abitini di lady Jessiebell affiancata dal suo inseparabile Vulpix. Lei strofinava bene le parti da lavare di quelle stoffe troppo delicate da poter essere messe in lavatrice, mentre la cucciola di Vulpix trotterellava per la lavanderia aperta sul retro del giardino, usando getti di aria calda per asciugare gli strofinacci e i panni stesi al sole umido d’estate. Alla servitù di basso livello come lei non era permesso usare la lavatrice.
Ad un certo punto, la terra sembrò tremare. Ed in quel momento, ancora non aveva capito che era la fine.

I Thomps erano dotati di un potere strano. Un potere che compariva raramente, e solo in pochi elementi del ramo familiare. Chi lo possedeva veniva considerato un grande leader, capace di comandare e di porsi al di sopra degli altri. Testi antichi parlavano di intere battaglie capitanate da un antenato Thomps e orde di Pokémon, pronti ad uccidere.
Un tale potere, però, poteva diventare controproducente. Se utilizzato in maniera sbagliata, avrebbe potuto offuscare la mente. Se si era incapaci di controllarlo, le conseguenze sarebbero state imprevedibili. Solitamente, coloro che nutrivano un forte sentimento riuscivano a tirarlo fuori, ma era proprio la natura del sentimento che a sua volta poteva ribaltare gli effetti del potere.
Si trattava di un potere psichico, di forte sintonia con la mente dei Pokémon. Gottfried era in grado di influenzare, e quindi di manipolare a suo piacimento i pensieri dei Pokémon, spingendoli a compiere qualunque azione. E così fece.
Prima di partire era riuscito, tramite speciali apparecchiature, a diffondere il suo ordine telepatico alla stragrande maggioranza dei Pokémon di Fire City. Unico obiettivo: distruggere, distruggere fino alla morte. Gli attacchi di un Pokémon, per quanto forti, non creano gravi danni, a meno che il desiderio del Pokémon sia tanto forte da superare la linea tra la vita e la morte: una scarica elettrica di un Pikachu è effettivamente pericolosa solo se questi è intenzionato ad uccidere.
Ed in questo modo misterioso, che per sempre avrebbe segnato le pagine nere di Fire City, la zona sud e sud-est della città fu completamente rasa al suolo da Pokémon di ogni razza e dimensione, ipnotizzati, che si macchiarono del sangue di innocenti prima di cadere morti a loro volta, allo stremo delle forze.
Miriam si era salvata; ma la sua Vulpix, in qualche modo immune dall’incantesimo, le era praticamente morta davanti agli occhi, schiacciata da un furioso Geodude.
Miriam, però, sapeva chi era il responsabile: lei stessa aveva spiato il generale, mentre insegnava a sua figlia di soli cinque anni come controllare quella forza spaventosa.

“Mi sono arruolata per mettere a galla la faccenda ed ottenere così il caso. Ormai sono anni che perseguito ed osservo ogni mossa del caro babbo, che proprio poco fa ha tirato le cuoia. Deve pagare per avermi ucciso Vulpix! Per aver distrutto la vita e quella di molte altre persone!” Si rivolse verso la nobildonna, seduta ancora sulla poltroncina con aria annoiata. “E questo è il momento migliore per farlo! Jessiebell!”gridò.
“Quindi la parte di poliziotta Jenny era solo una copertura” disse Brock.
Miriam lo guardò accennando un sorriso di sconfitta.
“Bravo: te ne sei accorto, alla fine. Di travestimenti ne ho fatti tanti, e così ho anche regalato un bel po’ di giorni di vacanza alla poliziotta. Ho occupato il suo posto da quando mi è giunta voce che tutti voi stavate dirigendovi qui”. Guardò Ash, poi James e Jessie ed infine Meowth, che la fissavano sbalorditi. “So ogni cosa su voi. Aspettavo da tempo la mossa falsa di quella figlia d’un cane, che ha seguito stupidamente le orme del padre”.
“Ma cosa ne è stato di Morgan e dell’altra gemella?” irruppe Misty.
Il tono di Miriam si addolcì.
“Trovarono rifugio a Stone Town. Qualche anno dopo, la piccola fu mandata in un orfanotrofio a causa della scomparsa di sua madre, la famigerata Morgan Miyamoto, membro brillante del Team Rocket dei tempi d’oro. Sicuramente ne avrete sentito parlare” lanciò uno sguardo verso il Team Rocket, ammiccando. “La sua famiglia non seppe mai dove fosse poiché la piccola fu sempre chiamata Jessica, mentre il generale non volle riconoscerla, pur sapendo dove si trovava. Che razza di gente”.
“Ora è ancora lì?” chiese Ash.
Miriam rise a squarciagola ed infine si girò verso di lui.
“Non dirmi che non ci sei ancora arrivato!”
“A…a che cosa?”
Sul viso di Miriam si allargò un sorriso sornione.
“Perché credi che Jessie Morgan, ovvero Musashi Miyamoto Thomps del Team Rocket, e Jessiebell siano tanto uguali?”
Sussultarono tutti.
“…S-sta dicendo la verità, Jessie?” James si voltò a lato, ma si accorse che Jessie non le era affianco.
Girarono tutti le spalle e video Jessie indietreggiare verso una finestra, tremando da capo a piedi. James e Meowth avanzarono verso di lei, ma Jessie si fece scudo con il suo Arbok minaccioso.
“Non…non muovetevi, altrimenti ve lo mando contro!”gridò, cercando invano di mantenere la calma.
Woooobbuffet!

“E STA’ ZITTO!” strillò paonazza, riuscendo ad intimorire il Pokémon che fu immediatamente rimesso nella sfera.
I suoi compagni di squadra le leggevano chiaramente l’agitazione in faccia, e non sapevano come comportarsi.
“Jessie, che ti prende?…” disse Meowth.
“Che cosa abbiamo fatto?”chiese James.
“E’ uno scherzo di cattivo gusto, quello che mi state facendo!” strillò tremolante, oramai incapace di controllare la sua voce. Non poteva ammettere che si stesse parlando in quel modo della sua defunta madre.
“Non si tratta di uno scherzo” intervenne Jessiebell dalla cima delle scale, con aria leggera. L’attenzione si rivolse nuovamente a lei, che si era elegantemente alzata dal suo posto agitando i tre Evee.
“Mio padre mi aveva molto parlato di te. Mi aveva detto che avevi il mio stesso nome, e che secondo lui era stato un errore fare accordi con nostra nonna e con la Silph spa: avrebbe dovuto riportarti indietro, tanto sapeva dov’eri - con tutto quello che aveva pagato per ottenere informazioni. Ma non lo fece mai… in fondo, non era così forte come si credeva”. Fece una pausa, per gustarsi l’effetto sulle facce di tutti. Ben e Sukie sembravano essere quelli che avevano compreso di meno la situazione, ma Phil – che era abbastanza vecchio da ricordarlo - era pietrificato dall’orrore.
“Il giorno in cui hai cercato di far sposare James per prenderti l’eredità, mi venne un colpo: una ragazza identica a me che si chiama come me e che ha la mia stessa età. Ho fatto controllare ed è risultato che eri effettivamente tu”. Si fermò e sogghignò, godendosi l’espressione di Jessie mentre la fissava negli occhi.
“Devo darti una cattiva notizia: il ragazzo con cui esci, non è altro che una spia ai miei ordini e penso non provi nulla per te… adesso sta godendosi la sua meritata ricompensa con la fidanzata”.
Jessie sbiancò più di quanto non lo fosse già, e stava tremava come se fosse stata bagnata fradicia.
Nessuno aveva il potere di parlare.
“Il fatto che sei mia sorella minore comporta vari problemi come rinunciare a parte del patrimonio, e molte altre cose tra le quali questa è la meno grave. Per questo, ogni volta che nostro padre accennava a te, cercavo ed ottenevo tranquillamente di cambiare discorso. In più, sussiste il fatto che James ha calpestato senza ritegno i suoi doveri, e gli anni stanno trascorrendo inesorabili per me che sono ancora senza fede al dito…”
“Ma andiamo! Se non hai nemmeno ventun anni!” gridò di rimando James, nervoso e stufo.
“Il che è già troppo” lo interruppe nuovamente lei. “James caro, che succederebbe se fosse mia sorella a maritarsi per prima?” sorrise. “Che succederebbe se si maritasse con qualcuno abbastanza ricco da sfilarmi il patrimonio da sotto il naso?”
Lo guardò negli occhi, ghignando in maniera terrificante.
“Sta’ tranquilla, questi due si evitano come la peste!” si intromise Meowth, il che fu sufficiente per far capire a Jessie e James l’allusione di Jessiebell.
“Ma che ti salta in mente, babbeo di un Pokémon!” gridò James stringendo il collo di Meowth, poi lo lasciò andare: “Jessiebell, se è questo che credi sei totalmente fuori strada! Diglielo anche tu, Jessie!”
Jessie tacque un attimo, sconvolta, poi si rianimò:
“Io non sono la sorella di quella…befana, avete compreso il messaggio?” insistette.
“Io sono sempre dell’opinione che prevenire è meglio ce curare” disse poi Jessiebell. “L’agente dei servizi segreti, mio malgrado, ha ragione: c’era un altro motivo per volervi eliminare…”
Ci furono secondi di silenzio tombale, in cui nemmeno i Pokémon osarono fiatare.
“Bene, adesso, se volete scusarmi, è giunta l’ora della vostra fine” annunciò Jessiebell con una falsa cortesia.
“E sceglierò la fine più spaventosa che meritiate”.

 

 
JESSICA ISABEL RUMIKA  MORGAN  MIYAMOTO THOMPS II

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JESSICA ISABEL MUSASHI MORGAN MIYAMOTO THOMPS III

 

Note:

  1. Morgan è un nome di fantasia, ma Myamoto esiste realmente: è la madre di Jessie, membro del Team Rocket. Scomparsa durante una missione per catturare Mew. Consapevole che non poteva prendersi cura di lei, Miyamoto pose Jessie in adozione, mentre lei le inviava periodicamente dei soldi.  (fonte: http://bulbapedia.bulbagarden.net/wiki/Miyamoto) La stessa Madame Boss è la madre di Giovanni, e Miyamoto prende ordini direttamente da lei. (fonte:http://bulbapedia.bulbagarden.net/wiki/Madame_Boss) Questi personaggi sono comparsi nel Pokémon CD Drama, trasmesso solo in Giappone e disponibile solo in giapponese.
  2. Rumika è il nome giapponese di Jessiebell, così come Musashi è quello di Jessie. In passato, vidi che Jessiebell si scriveva senza la “e” finale, ma ora non ne sono più sicura. Ad ogni modo, ho conservato l’uso di omettere la “e”, che avrebbe reso più facile la fusione tra “Jessica” e “Isabel”
  3. Effettivamente esistono differenze fisiche tra Jessiebell e Jessie: per tutte le stagioni e quindi per i due episodi in due compare[Holy Matrimony! - Matrimonio in vista E The treasure is all mine! - il tesoro è tutto mio!], Jessiebell mantiene i capelli di colore rosso, mentre Jessie cambia colore da rosso a magenta (più sul rosa) con il passaggio alla colorazione in digitale. Jessiebell ha gli occhi verdi, mentre Jessie ha gli occhi azzurri.
  4. Ci troviamo nella regione di Kanto, quindi la maggior parte dei Pokémon che compaiono è delle prime tre stagioni. Questo spiega perché a Fire City vi siano Charmender e Vulpix. Morgan invece, originaria di Sinnoh nella FF, non è abituata a questi Pokémon ma a quelli più familiari alla serie TV in cui compare Lucinda.
  5. Nella mia FF e in quelle successive sui Pokémon, i personaggi crescono: è oltremodo assurdo che in tredici anni Ash mantenga 10 anni e Jessie e James 17.
  6. La Silph Spa è una sorta di copertura del Team Rocket. Compare più volte nel videogioco, e in alcune occasioni anche nell’anime. (fonte: http://bulbapedia.bulbagarden.net/wiki/Silph )
  7. Questa FF è stata scritta per la prima volta un qualcosa come 10 anni fa e più volte ripresa. Anche in questa revisione, sto mettendo tutte le mie forze per ottenere qualcosa di accettabile, e questo significa che  da questo capitolo in poi ho dovuto e dovrò praticamente riscrivere quasi tutto. Mi sto documentando il più possibile – anche perché molto dell’anime avevo smesso di seguirlo – quindi spero di non deludere le aspettative. A presto!

 

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Capitolo 9
*** guerra di Potere ***


Capitolo 9 – guerra di Potere

Jessiebell alzò entrambe le mani sopra di sé, i palmi aperti verso l’alto. Al notare il suo sguardo incattivirsi, Miriam gridò:
“ Evee, attenti!”
Non finì l’avvertimento che Jessiebell era praticamente esplosa, scaraventando le tre evoluzioni di Evee in direzioni diverse: Jolteon riuscì a bloccarsi prima di finire contro la porta ad ovest del corridoio, mentre Vaporeon rotolò per le scale e Flareon ebbe la peggio facendo un volo di circa sette metri dal piano di sopra, atterrando con un gemito di dolore che fece subito accorrere la sua padrona.
“Mars!” Miriam si morse immediatamente il labbro inferiore mentre tastava il torace del povero Evee di fuoco. Ash accorse immediatamente assieme a Pikachu.
“Come sta?”
Miriam non rispose. Il povero Mars si agitava, nel disperato tentativo di rimettersi in piedi, gemendo con brontolii di fuoco che si sentivano a malapena dal suo petto. “Pi…ka…” Pikachu gli annusò il muso, sconcertato, mentre anche Sukie ed il suo Scyter si avvicinarono. Ash si accorse che anche quel Flareon portava un collare di metallo simile a quello che aveva il Fearow.
“Stai calmo… calmo” lo tranquillizzò Miriam, e immediatamente lo rimise nella sfera Poké.
“Devo dedurre che hai già perso una delle tue carte buone, Franklek” dichiarò Jessiebell con la voce isterica di chi non sembrava più possedere il controllo delle proprie facoltà. Era emersa dal fumo rossastro, apparentemente indenne. Ciò non poteva dirsi per il pavimento su cui si trovava, abbrustolito.
“Maledizione!” ringhiò Miriam, guardandola: sembrava totalmente posseduta, il suo corpo riluceva di un bagliore rosso e verde, e l’aura malvagia di cui era investita le faceva galleggiare i capelli e l’ampia gonna. Quella vista fece tremare James di una paura inimmaginabile, e si strinse quanto più forte poté al suo amico Meowth, altrettanto terrorizzato. Anche gli altri ne erano spaventati, e la piccola Sukie non poté trattenersi dal gridare.
“Ecco, è andata!” fece rabbiosa Miriam. “Cazzo! E’ colpa mia!”
Jolteon e Vaporeon si gettarono nuovamente all’attacco, ma Jessiebell puntò le mani verso di loro sparando acqua ed elettricità come se riuscisse a duplicare gli stessi attacchi dei due Pokémon Evee, respingendoli. Il fatto di aver saputo contrastare l’attacco diede alla testa alla nobildonna, che rise invasata.
“Morirete tutti, uccisi dai vostri stessi Pokémon!” esultò trionfante.
“Sei pazza! Pazza!” gridò Ash, furioso, ma Jessiebell gli lanciò un ghigno di scherno.
“Non sono mai stata più lucida in vita mia!” dichiarò trionfante, e la sua voce sembrò farsi ancora più acuta, mentre i suoi capelli volteggiarono con furia quasi fossero in balìa di un forte vento. “Ho atteso a lungo il Tempo del Potere, ed ora che è giunto sono all’apice della mia potenza”. Fissò un attimo Jessie, che sembrò quindi colpita da un brivido di freddo. In un attimo Jessiebell allungò il dito indice verso di lei, e con la stessa velocità Arbok si girò di scatto fiondandosi sulla padrona.
“Jessie!” James esitò un secondo, paralizzato dalla paura, poi si fece coraggio e corse verso di lei.
“Aaaah!” Jessie era così terrorizzata che, colta di sorpresa dal suo stesso Pokémon, non aveva nemmeno pensato di reagire. Il grosso serpente l’aveva avvolta in pochi secondi nelle sue spire, e lei lo guardò supplichevole: ma mai come in quel momento, le parve una bestia feroce dagli occhi iniettati di sangue.
Si sentì stritolare, e strillò ancora, più dalla paura che dall’effettivo dolore.
“Jessie!” James aveva l’intenzione di allentare a mani nude le spire del Pokémon, ma Arbok voltò la testa verso di lui, soffiando minaccioso. James si bloccò, incapace di escogitare un piano d’attacco.
“Oh, no, Jessie!” Misty si avvicinò a fatica, poi si rivolse ad Ash:
“Ash, fa’ qualcosa!”
“Cyndaquil!”
Cynadaquil corse verso Arbok, pronto a sferrare il suo attacco, ma si bloccò all’ultimo momento, lanciando un debole getto di fuoco che lo stesso Arbok era riuscito a schivare strisciando di mezzo metro con la sua preda.
“Cynadaquil, che succede?” Ash si apprestò a correre verso di lui, ma Miriam lo bloccò prendendolo per la spalla.
“Allontanatevi subito!” gridò poi l’agente, rivolta a Misty, Meowth – che si era anche lui avvicinato - e James.
Cyndaquil si voltò verso di loro, gli occhi invasi di un rosso terrificante. Aprì la bocca, e con un acutissimo “Cynda…quiiiiil!” direzionò loro una fiamma gigantesca che a malapena riuscirono a schivare.
“Oddio, il mio Cyndaquil!” Ash non poteva crederci.
Arbok fissò famelicamente James, e strinse ulteriormente le sue spire. Jessie emise un gridò strozzato, bianchissima in volto.
“Che fortuna aver avuto un padre come il nostro!” ridacchiò Jessiebell in cima alle scale, affiancata ora da un Vileplume spaventoso e spavaldo. “Tu, Jessica Musashi, non sopravvivrai, perché non sei stata iniziata al Potere!”
“Neptune, Jupiter!”
Immediatamente, i due Evee rimasti giunsero con lunghi salti di fronte al Cyndaquil e all’Arbok posseduti. Il Vaporeon Neptune sferrò il suo attacco d’acqua contro quello infuocato di Cynadquil producendo un fitto vapore acqueo, mentre il Jolteon Juppiter evitò con un balzo il velenospina di Arbok e poi lo colpì facendolo cadere per terra, con Jessie ancora stretta nella morsa.
“Oal, aiuta quel Vaporeon!” intervenne Ben, e subito il suo Flareon attaccò Cyndaquil alle spalle provocandogli una distrazione. Fu in quell’attimo che Neptune stordì definitivamente Cyndaquil con un potente geloraggio, poi accorse in aiuto di Jupiter assieme al Flareon Oal. In un attimo, Juppiter morse la testa di Arbok immobilizzandola, e Vaporeon lo colpì violentemente all’altezza del collo con un attacco rapido che lo indebolì, costringendolo ad aprire le spire.
“Presto!” gridò Misty; James si precipitò a recuperare Jessie, che era rotolata sul pavimento, svenuta.
“Jessie! Jessie, rispondi!” gridò James, ma lei sembrava non riprendere i sensi.
“Allontanatela, svelti!”
Phil e Ben giunsero dov’erano Sukie, Miriam ed Ash, e James si caricò Jessie in braccio, dirigendosi assieme a Meowth verso di loro.
Nel frattempo, Jessiebell osservava la scena divertita.
“Accidenti, quanto pesa!” esclamò James.
“Pikapi!” squittì Pikachu, quando Jessie fu poggiata a sedere vicino a lui. Era così esangue che andava quasi nel violaceo, la vita sottile piena dei segni rossi della stretta di Arbok.
“Non ti lagnare, James” lo richiamò Meowth, “pensiamo a farla rinvenire”.
“E’ inutile che sprecate tanta fatica per lei” intervenne Jessiebell. “Farete tutti la stessa miseranda fine!”
Nel frattempo, Neptune e Jupiter tenevano a bada Arbok, che non si dava pace per essersi lasciato sfuggire la sua preda. Gli infierirono un superfulmine che lo lasciò svenuto, e accorsero verso il gruppo di allenatori, protetto dai Pokémon pronti a combattere.
Jessiebell si avvolse nuovamente di un’aura rossa terrificante, e lo stesso Vileplume, che vi rientrava, acquisì un’espressione malefica. La sua padrona si sollevò dal pavimento di pochissimi centimetri, la gonna gonfia in movimento ed i capelli accesi di rosso volteggianti attorno al volto.
Tutti erano a dir poco terrorizzati.
“Dobbiamo andarcene di qui, alla svelta” disse Miriam ad Ash.
“Ritiro i Po…”
“No” l’interruppe Miriam, “lasciali tutti qui”.
Ash rimase interdetto da quell’ordine.
Jessiebell alzò nuovamente le braccia al cielo, e dai suoi palmi aperti si materializzò una potente luce, più rossa di quella che l’avvolgeva.
“Le vostre vite saranno distrutte da ciò che avete di più caro!” esultò, con la voce che sovrastava ogni cosa. “Che fai, James, ora che il tuo Growlithe non è qui a salvarti?”
“Oddio” Miriam sbiancò.
In quell’istante la luce sulla testa di Jessiebell si infranse in lampi che colpirono, uno ad uno, tutti i Pokémon presenti ad eccezione di Neptune e Jupiter, che immediatamente presero le distanze dagli altri. Anche le sfere Poké si aprirono contro la volontà dei loro padroni:
così, oltre a Pikachu, Meowth, Chikorita, Totodile, Oal e Scyter comparvero anche Noctowl, Geodude, Zubath, Onix dolorante – era stato rimesso nella sfera dopo che si era affannato contro la porta - Wobbuffett, Weesing, Victreebell, Shroomish,
Psyduck: e tutti si rivolsero ai loro padroni, con fare minaccioso.
L’Onix alzò il testone verso l’alto, ululando minaccioso. A tale vista. James e Meowth lasciarono perdere Jessie e si strinsero nuovamente, impauriti fino alle ossa.
“Fi-fi, fi-fi, fi-finiremo tutti come purea di patate!”
“AIUTOOOOO!”

 
Note:

Geloraggio (Giapponese: れいとうビーム Freezing Beam) è una mossa che infligge danno di tipo Ghiaccio introdotta nella prima generazione( http://wiki.pokemoncentral.it/Geloraggio_(mossa) ). Può essere usato da Vaporeon se questi è stato allenato con una macchina speciale.

Attacco Rapido (Giapponese: でんこうせっか Lightning Speed) è una mossa che infligge danno di tipo Normale (e gli Arbok sono deboli con tipo Frontale e Psichico, il che spiega la sua più facile sottomissione a Jessiebell) introdotta nella prima generazione. (http://wiki.pokemoncentral.it/Attacco_Rapido_(mossa))

 

Mi scuso ancora per la lentezza nel postare i capitoli, ma ho dovuto praticamente riscrivere tutto daccapo, e la storia sta prendendo una piega totalmente diversa da quella che era la bozza originale. In più ci si mette la tesi di laurea… quindi, mi dispiace, e spero che questo capitolo sia stato coerente – l’ho controllato poco e inoltre sono sempre impacciata nella descrizione di scene d’azione. e mi scuso ancora per la formattazione del testo, che continua a dar problemi.

Sperando di non modificarla più, ecco una tabella dei Pokémon che dovrebbe rendere più facile la lettura. Non mi affido completamente all’anime, anche perché non ricordo bene quali Pokémon avessero ancora Misty e Brock in particolare nella serie di Johto, inoltre ho preferito evitare di inserire troppi Pokémon per persona (tranne per Miriam, che ha esplicitamente sei sfere Poké agganciate ad una catenina). Lo Horsea e lo Staryu non vengono richiamati da Jessiebell perchè sono Pokémon d'acqua, incapaci di combattere sulla terraferma. Inoltre, Sukie e Ben dispongono di solo uno o due Pokémon, perché non sono ancora allenatori a tutti gli effetti.

 

Ash

Misty

Brock

Jessie

James

Ben

Sukie

Phil

Miriam

Cyndaquil (KO)

Togepi (KO)

Onix

Meowth

Weesing

Shroomish

Scyter(detto Scy)

Charizard

Fearow

Totodile

Psyduck

Geodude

Arbok (KO)

Victreebell

Flareon (detto Oal)

 

Arcanine

Flareon (detto Mars) (KO)

Chikorita

Horsea

Zubath

Wobbuffet

 

 

 

Rapidash

Vaporeon (detto Neptune)

Pikachu

Staryu

 

 

 

 

 

 

Jolteon (detto Jupiter)

Noctowl

 

 

 

 

 

 

 

Espeon (detto Moonlight)

 

 

 

 

 

 

 

 

Umbreon (detto Pluto)

 

A presto!

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Capitolo 10
*** Fuga ***


Capitolo 10 – Fuga

Erano tutti a dir poco terrorizzati.
“Che diamine…” iniziò Phil, ma non finì la frase perché Miriam aveva fatto uscire dalle sue sfere il Fearow di prima e anche un Espeon ed un Umbreon, ordinando:
“Aiutate i vostri compagni!”
I due nuovi Pokémon Evee si scansarono appena in tempo per evitare l’attacco furioso di Onix, che si era fiondato col suo testone verso il pavimento spaccando il marmo decorato e facendo rotolare tutti indietro, scossi dal colpo del colosso di pietra; Fearow, invece, fu repentinamente attaccato dal Noctwol di Ash, che ebbe inizialmente la meglio affondando i suoi artigli nel dorso del Pokémon volante.

Gli unici Pokémon a non essere impazziti erano quelli di Miriam, ed erano contro una stragrande maggioranza di avversari.

“Che guaio!” esclamò James, tenendo ancora stretto il testone di Meowth. “E adesso che facciamo, Meowth?”
Meowth non rispose. Un brivido corse lungo la schiena del ragazzo.
“Meowth…?”
Si spaventò dei diabolici occhi rossi del Pokémon-gatto a tal punto che sobbalzò, lanciandolo da parte. Meowth si alzò, sogghignando, ma invece di saltargli addosso spiccò un salto felino verso il corpo indifeso di Jessie a due passi da lui.
“Jessie! No!” James si gettò con tutto il suo corpo contro quello di Meowth, ed entrambi caddero sulle gambe della ragazza svenuta; James teneva stretto Meowth per la collottola, tirando il più possibile lontano dalla sua faccia, mentre il gatto si sforzava con miagolii di rabbia e dolore di graffiarlo con i suoi lunghi artigli cacciati in fuori.
“Non… ti… azzard…Meowth…!”
All’improvviso, si sentì cadere indietro, e dovette per forza di cose mollare la presa di Meowth, che non ci pensò due volte e gli si fiondò addosso con gli artigli in fuori: James allungò istintivamente le mani contro il suo amico, sbalzandolo indietro ma non per questo abbattendolo, mentre Weezing, che gli aveva procurato la caduta, aveva azionato il Velenogas proprio vicino a lui.
“Weezing, che fai?” tossì James, cercando di spingerlo via dalla sua traiettoria, ma il Pokémon rimbalzava tornando a stringersi al suo padrone. James si precipitò a prendere in braccio Jessie indifesa cercando contemporaneamente di trattenere il respiro, ma istintivamente tirò su una boccata di veleno quando Meowth si attaccò con gli artigli sul petto di Jessie, e nello stesso tempo Weezing stava per fiondarsi contro di loro con un potente attacco Azione. Il Veleno gli bruciò come fuoco nelle narici, gli lacrimarono gli occhi, e così disorientato credette di non avere scampo, ma all’ultimo momento Ben e Sukie gli si piazzarono davanti.
“Toglietevi!” gridò Phil, ma i due ragazzini non si mossero, ricevendo in pieno l’attacco. Si tennero però abbastanza saldi da rallentare il Pokémon, che salì in alto, gonfiando e sgonfiando ad un ritmo sempre più incalzante i suoi tre corpi. James rimase esterrefatto.
“Spostala, svelto!” gli gridò Sukie, rialzandosi dolorante.
“Se non abbiamo Pokémon dalla nostra, allora li fermeremo con le nostre mani!” concordò Ben.
“Attenti!”
L’avvertimento di Phil servì loro ad evitare l’attacco combinato di Scyter e Vitreebell, che si erano gettati contro di loro dalla parte opposta, e nel frattempo Phil e Miriam erano accorsi in aiuto di James. Phil strappò Meowth dal corpo di Jessie, e Miriam chiamò subito in aiuto il suo Espeon.
“Moonlight, contro quel Meowth!”
Moonlight l’Espeon si piazzò ringhiando a loro difesa, e Meowth sembrò considerare l’idea di non attaccare, seppure mantenendo un atteggiamento di sfida.
Onix si era nuovamente dato, barcollante, alla caccia degli altri Pokémon d’Evee, che correvano agilmente evitando i pezzi delle colonne cadute. Nel tentativo nuovamente fallito di schiacciarne uno fiondò un’altra testata nel pavimento che lo lasciò secco: stette mezzo secondo fermo, poi i massi del suo corpo caddero, definitivamente, una dopo l’altra schiacciando Scyter e Victreebell, che rimasero inermi sotto i macigni.
“Il mio Scy!” esclamò Sukie, e fu contemporaneamente trascinata via dalla mano di Miriam che aveva appena salvato lei e Ben da due lingue di fuoco: Oal, il Flareon di Ben, ringhiava contro i due bambini terrorizzati. Si lanciò verso di loro, ma fu atterrato da Neptune che lo colpì al fianco con un getto d’acqua estremamente potente.
“Oal! Oh, no!” Ben era sul punto di piangere, mentre Phil lo tirava via.
“Lì dietro c’è una porta, uscite per di là!” ordinò Miriam a Phil, che senza farselo ripetere corse via con i due bambini, seguito da un James appesantito dal corpo di Jessie che gridava:
“Ehi, aspettatemi!”
Jessiebell schivò divertita un attacco in picchiata del Fearow, dopo che aveva fatto precipitare definitivamente Noctowl, e gli lanciò contro un attacco di fuoco che però sembrò avere scarso effetto. Non si scompose eccessivamente, ma accorgendosi che la distrazione aveva favorito la fuga dei cinque, tirò fuori dalla borsetta tre sfere Poké: vi uscirono un Charizard ben allenato, un Arcanine dalle righe chiare a zig–zag, e un esemplare di Rapidash che sarebbe potuto dirsi da corsa.
“Andate, sfogatevi contro il vostro padrone!”
Senza farselo ripetere due volte, il Charizard spiccò il volo, l’Arcanine scese le scale assieme a Rapidash, e si fiondarono velocissimi in direzione di Phil.
Charizard aprì le fauci, emettendo un getto di fuoco che avrebbe potuto arrostire una mandria di Tauros: la palla infuocata, nel cielo, emanò una luce che toglieva il fiato.
Si precipitò verso Phil che si arrestò terrorizzato a pochi metri dall’uscita, e Ben, Sukie fecero altrettanto, mentre James li precedette svelto verso l’uscita senza però riuscire a sfondarla con le mani occupate. Proprio quando il Charizard stava per aprire di nuovo la bocca il Fearow lo attaccò con il suo becco, costringendolo ad occuparsi prima di lui.
“Sbrigatevi!” incitò Miriam, intenta assieme a Neptune a rallentare l’avanzata di Arcanine in loro direzione. Ciò fu sufficiente a far correre i tre dov’era James, e Phil prese a calci la porta finché non si aprì.
Intanto, Moonlight era alle prese con Rapidash: imbizzarrito per via dello Psicoraggio, questi intralciò sia Psyduck sia Geodude, il primo intento a far assaggiare il suo Inibitore a Misty, il secondo a rincorrere Brock per mollargli cazzotti con i suoi pugni di pietra. Finalmente riuscirono a liberarsi dalla morsa dei due Pokémon e si diressero alla porta, ma furono bloccati da Shroomish, Wobbuffet e Zubath. Moonlight lasciò perdere il Rapidash intontito e direzionò lo Psicoraggio verso quei tre Pokémon, ma Wobbuffet fu più veloce e glielo tornò contro con il suo attacco Specchio: Moonlight finì ferito dal suo stesso colpo, ma ci pensò Neptune a mettere i tre Pokémon al tappeto con un efficace Pistolacqua.
Pikachu guardava con uno sguardo famelico Ash, gli occhi rossi, e senza pensarci due volte indirizzò a lui una potentissima scarica elettrica. Ash, che era caduto a causa del fragore di Onix, fu accecato da una luce bianca che lo costrinse a chiudere gli occhi e si preparò al colpo, invece sentì uno squittìo di dolore, e la luce si attenuò; riaprì gli occhi, vide che Juppiter aveva deviato l’attacco con una sua scarica elettrica, e ora stavano lottando entrambi per chi avrebbe ricevuto il colpo mortale: erano collegati da un fulmine elettrico azzurro e giallo, e con un grande sforzo l’uno cercava di respingerlo all’altro. Dopo un paio di secondi, Juppiter si scansò velocemente, facendo scaricare il fulmine contro una finestra le cui serrande si bruciarono provocando uno strepito insopportabile. A quel punto, Pikachu si apprestò a riattaccare, ma fu colpito alle spalle dall’Umbreon che lo colpì tanto violentemente da atterrarlo, apparentemente privo di sensi.
“Pikachu! No!” gridò Ash disperato. Corse di un paio di metri verso il suo amico, quando qualcosa che lo aveva sfiorato lo fece arrestare. Si guardò la mano, e vide che del sangue stava colando copioso da un taglio nella tabacchiera: solo allora si accorse del bruciore sul palmo e sul braccio. Si fece ricadere sulle ginocchia, stringendosi il braccio che gli faceva un male da morire.
Le foglie lama di Chikorita.
Alzò lo sguardo e vide il suo Pokémon, che lo fissava con odio più che con malvagità. Non riusciva ad immaginare che proprio lui, che gli era tanto affezionato, gli aveva fatto del male.
 “Chiko…”
“Toto-toto-dile!”
Tutti e due avanzarono di qualche passo in direzione di Ash, che stava cercando di alzarsi, ma furono scaraventati via da Umbreon. L’Evee si fermò dinanzi ad Ash, tirandolo per la manica della giacca per rimetterlo in piedi.
“Ash!” gridò Misty, che assieme a Brock stavano seguendo Miriam verso la porta da cui erano passati gli altri prima. Scapparono dietro la porta ad una fiammata di Charizard, ma Miriam vi uscì dopo, facendogli cenno di sbrigarsi. Ash vide accanto a sé Pikachu svenuto, e si affrettò a prenderlo in braccio mentre correva verso l’uscita, le spalle coperte da Umbreon.
Superò Miriam, che richiamò a sé il suo Vaporeon. Neptune lanciò un getto d’acqua dagli scarsi risultati verso il Charizard furioso prima di essere richiamato nella sfera, e Miriam si chiuse la porta alle spalle con Brock che spinse assieme a lei per resistere all’attacco di fuoco. Una luce accecante di fiamme si vide da sotto la porta, ed in un secondo entrambi la mollarono.
“Accidenti, è diventata rovente!”
“Almeno si è chiusa” sospirò l’agente dell’FBI.
Era buio.
“Ma dove siamo?” fece Phil.
Improvvisamente, una luce bianca invase la sala. Miriam aveva acceso l’interruttore.
Si trovavano in un ampio ambiente dal pavimento grigio e le pareti bianche, relativamente spoglio. Dei grossi mobili di metallo erano accostati alle mura, l’uno accanto all’altro, e al centro c’era un’isola di ferro con una larga cappa nera che dava all’ambiente l’aspetto di una sala operatoria.
Miriam stette a guardare qualche secondo, poi parlò.
“E’ tutto più piccolo di quanto ricordassi”.
“Che cos’è questo posto, Miriam?” chiese Ash, mentre James si affrettava a distendere Jessie sull’isola. Umbreon si guardò intorno, in allerta.
“Siamo nella cucina” rispose lei. “Ma dobbiamo muoverci: Jessiebell sa che ci siamo riparati, e non starà con le mani in mano”.
Intanto, Brock si era avvicinato ad uno dei grossi mobili, alzando il coperchio di acciaio che nascondeva un piano cottura.
“Chissà da quando non si usa tutta questa roba…”.
“Maledetta me!” imprecò tra sé e sé poi Miriam. “Avevo completamente dimenticato…”
“Che cosa?” Misty sembrava allarmata.
“L’avevo circondata con i miei Evee, credendo che così non potesse nuocere” spiegò l’agente. “E invece, non avevo tenuto in conto che poteva impiegare il tempo che ho impiegato a parlare per ricaricarsi sfruttando le energie dei Pokémon presenti: ecco perché era così in grado di riprodurre getti d’acqua o di fuoco”.
“E tu l’hai lasciata fare?” James era sconvolto, poi lo prese un attacco di tosse per via del veleno inalato. “Ma… sei… rimbecillita?”
Misty gli mollò uno scappellotto. “Chiudi il becco! Miriam sta cercando gratuitamente di salvarci la pelle, soprattutto la tua e di quegli idioti dei tuoi compari!”
Si sentì un rumore forte che spaventò tutti.
“Che succede?” riuscì a dire tra la tosse, terrorizzato.
“Il Charizard starà attaccando la porta” disse Miriam, rabbiosa. “Non resisterà a lungo, pure se è blindata”.
“Nooo!” Jessie strillò, agitandosi, e James, Ben e Sukie con Meowth accorsero.
“Jessie!” disse James, tenendole fermo il polso. Sembrava sul punto di riprendersi.
“Pluto, Neptune” Miriam fece uscire Neptune, il suo Vaporeon, che affiancò Pluto, l’Umbreon.
“Dobbiamo muoverci” si diresse a passo svelto in una stanza adiacente la cucina, che si rivelò essere qualcosa come una dispensa. “Presto!”
Immediatamente tutti la seguirono, Phil stavolta teneva Jessie in braccio, mentre a chiudere la fila c’erano i due Pokémon d’Evee dall’atteggiamento guardingo. Oltrepassarono la dispensa, imboccando un corridoio che li condusse di fronte ad una serie di stanze dalla porta chiusa.
“Questi sono gli alloggi della servitù” disse Miriam. “Jessiebell non conosce questa parte della casa”.
Entrarono nella stanza centrale, e Miriam accese la luce rivelando quella che a prima vista sembrava una sala comune: un camino spento si trovava sulla parete opposta, c’erano diverse poltroncine di pelle sfoderate, e degli scaffali polverosi senza più niente all’interno. Un mobile era rovesciato, e giaceva disteso nel mezzo della stanza.
“Dobbiamo raggiungere le scale” annunciò Miriam. “Da lì riusciremo a salire al piano di sopra, e a raggiungere il tetto dove si trova un elicottero. Salirete, mentre io mi occuperò dei vostri amici al piano di sotto”.
“Ma sei impazzita? Vuoi affrontare tutti quei Pokémon da sola?” gridò Ben.
“Certamente voi non siete al sicuro nemmeno se vi metto sull’elicottero” ribattè al ragazzino, che ammutolì. “Ma la cosa più importante, al momento, è salvare Thomps e McGrannigham” disse. “Sono la priorità, visto che Jessiebell è accecata dall’ira, e dalla sete di vendetta”.
“E chi è McGrannigham?” fece Ash.
“Sono io, idiota” mugugnò James.
“Miriam” disse Phil, poggiando Jessie su un divano, “prima Jessiebell ha parlato del Tempo del Potere…”
“Eh, questo è il guaio”.
“Che cos’è il Tempo del Potere?” Ash sembrava tutt’orecchi, più per la sua insaziabile curiosità che per un’effettiva esigenza di essere al corrente su che cosa stesse accadendo.
“Jessiebell non è stata in grado di utilizzare le sue capacità fino al Tempo del Potere, ovverossia, un lasso di tempo che l’ha resa forte” spiegò. “E’ estremamente raro, ma pare che sia l’effetto della posizione dei pianeti che rafforza il suo terzo occhio. Così facendo, amplifica notevolmente le sue capacità. Anche al tempo di suo padre, fu il Tempo del Potere ad influire su quanto accadde”.
“Ecco perché non ha mai mostrato prima delle stregonerie simili” James sembrava nauseato.
“Purtroppo, come ho spiegato, il Potere può manifestarsi solo in funzione di un forte sentimento. E Jessiebell prova rancore. Quando il risentimento, e l’avidità, hanno toccato alti livelli, come vi ho già detto è lei stessa ad essere preda del Potere. E’ come se avesse perso la testa, non ragiona più in maniera lucida”.
“Di questo ce ne siamo accorti” constatò Misty.
“Che guaio! E adesso che si fa?”
“E adesso,” disse Miriam, “bisogna solo sperare che il Tempo del Potere finisca presto”.
“Quanto ancora dovrebbe durare?” chiese Brock.
“Circa cinque ore. Ma se dovesse peggiorare, non so quali potrebbero essere le conseguenze”.

 Note:
Mi scuso ancora per la lunghissima attesa. Questo capitolo mi è stato molto difficile, semplicemente perchè si è rivelato molto più complicato del previsto manovrare tanti personaggi sulla stessa scena. L'ho finito senza riguardarlo eccessivamente, ma spero comunque di aver fatto un buon lavoro. 
Alla prossima!


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Capitolo 11
*** Starai bene, qui ***


Capitolo 11 – Starai bene, qui

A poco a poco tornò la luce. Le ci vollero un paio di secondi per rendersi conto che si trattava, però, di luce naturale.
Si trovava di fronte ad un edificio malandato, che le suscitava una sgradevole sensazione di dejà-vu. Sapeva di conoscere quelle cancellate dipinte di verde erose dal tempo e dalla ruggine, ed il giardino all’interno, polveroso come se non fosse stato curato da almeno dieci anni.
Jessie sentì che la sua mano, così piccola, era stretta in quella grossa di un uomo molto più grande di lei. Quando quella mano si mosse, lei voltò la testa verso di lui.
Indossava un’uniforme nera, anche quella così tremendamente familiare. Una coppola era calata sul volto, ma le sembrò comunque di riconoscere chi si celava sotto la visiera. Aveva il collo doppio e la mascella squadrata, e nella sua ingenuità era convinta che quell’uomo così buono con lei non potesse essere altro che un poliziotto.
“Mi dispiace, piccola” le mormorò, quasi in un sospiro. La sua voce era profonda. “Ma te lo giuro: starai bene, qui”.
Lei non sapeva precisamente perché, ma si sentì improvvisamente presa dallo sconforto. L’uomo doveva essersene accorto, perché con le dita doppie le asciugò due lacrime che ancora non erano cadute dai suoi occhi. In quel momento lei non seppe trattenere il pianto, e frignò letteralmente, cercando di asciugarsi con la manica della camicetta di raso le lacrime che sgorgavano copiose. L’uomo le abbassò dolcemente le braccia, e la guardò negli occhi. Era così buffo, accovacciato, grande e grosso com’era(1).
“Non piangere. Non mostrarti mai così davanti a nessuno, nessuno” disse, serio. Lei singhiozzò silenziosamente, incapace di smettere di guardarlo.
“Ascoltami bene: niente in questa vita ti viene dato gratis. Tutto è contro di te, e se non sei abbastanza forte non potrai sopravvivere”.
Lei sentì di aver dimenticato quelle parole. Ma ora ne aveva capito il messaggio: la mamma non avrebbe voluto che soccombesse al suo destino.

Ricordava. Ricordava una piccola lapide bianca.
Ricordava una piccola lapide bianca. Ed un uomo dai capelli bluastri che la fissava, torvo.

Quell’aula era troppo piccola per contenere così tante persone. Lo pensava, pur non essendo altro che una bambina a cui ogni cosa sarebbe dovuta sembrare più grande.
Era seduta, china a guardarsi le mani. Anche la panchina era troppo fredda. Tutto era troppo, e tutto le sembrava sempre troppo stretto e troppo ingiusto.
Alzò un secondo lo sguardo, per vedere un gruppo di quattro bambine che passavano tenendosi per mano, e ridendo di lei. Si sistemarono sulla panchina rossa a sinistra, ed una di loro era riuscita a recuperare una sacca di giocattoli da sorella Joyeline. Ne tirò fuori una casa giocattolo visibilmente di seconda mano a cui mancava un pezzo, posandola sul pavimento con una certa cura nell’evitare che si rompesse ulteriormente. Il resto delle bambole le tirò fuori rovesciando il sacco per terra, ed ognuna delle bambine ne arraffò almeno una. Lei sapeva che quello che cadeva nelle loro manacce era esclusivamente di loro proprietà, e sebbene non si facesse scrupoli nello strappare cose di mano agli altri bambini, era consapevole della superiorità numerica. Tornò a fissarsi le mani, crucciata.
“Ragazze, perché non la facciamo giocare con noi?” sentì una di loro dire.
Le altre bambine rimasero un attimo interdette.
“Su!”
“Ma perché?” sentì chiaramente la voce stridula di Susie. “Jessica è cattiva!”
Jessie si alzò in piedi, la gonna blu dell’orfanotrofio grande una taglia in più le ricadde al di sotto delle ginocchia. Sentiva un groppo in gola, ma mai avrebbe dato loro la soddisfazione; si avviò verso l’uscita.
“E’ il suo compleanno” ribatté l’altra. Jessie si fermò vicino all’uscita, poi riprese a camminare fuori quando sentì Mel rispondere: “e allora?...”
Senza rendersene conto, stava correndo invece che camminare, e appena scese le scale sbatté contro la gamba di sorella Joyeline.
“Jessica, dove vai? Non puoi uscire così, fa freddo fuori!”
Ma Jessie non se ne curò, accecata dalle lacrime trattenute che le offuscavano la vista. Aprì la porta pesante d’entrata e si precipitò fuori, nella neve precoce di novembre.
Tremava, ma non le importava. Era così in collera che nemmeno il freddo riusciva a farla rinsavire. Si fece strada tra i fiocchi di neve che scendevano lenti, e trovò rifugio sotto uno degli alberi che si trovavano nel giardino.
Si sedette sul terreno sporco e bagnato dove la neve ancora non era arrivata, e si coprì il volto con le mani perché odiava la sola idea di piangere davanti a sé stessa, sebbene non riuscisse ad evitarlo. Era colma di rabbia, una rabbia che non aveva la possibilità di sfogare, e avrebbe voluto urlare. Ma sapeva bene che non sarebbe servito a niente.
Si stropicciò gli occhi con le mani e guardò davanti a sé. Una montagnola di neve stava ai suoi piedi, sporcata dal fango. Senza pensarci due volte ne prese grandi manciate con le piccole mani, e se la cacciò in bocca. Era così fredda che le faceva un male cane ai denti, ma non le importava.
Neve, neve per riempirsi lo stomaco di un calore che non aveva più(2).
Afferrava la neve dal terreno come se si stesse facendo una scorpacciata di dolci, noncurante delle foglie e del fango che si ficcava in bocca, convulsa dal dolore e dall’ira.
“Jessica, Jessica!” Sorella Joyeline la chiamò, ma non riuscì ad evitare che suor Widebutterfree le mollasse un sonoro ceffone e la tirasse su come un sacco di patate.
“Che ti salta in mente, piccola peste?” gridò suor Widebutterfree, che le sembrava così forte. “Sei fredda come il ghiaccio!”
Se la caricò come se fosse stato una balla di fieno, incurante del fatto che la piccola Jessie si dimenasse e strillasse, la faccia gonfia di pianto e le mani rosse di neve, che avevano ormai perso sensibilità.

Suor Widebutterfree, la preside dell’istituto, le sorrideva davanti nel modo più falso che avesse potuto tirar fuori.
“Vi confesso di provare una certa apprensione nel lasciarvi, ma so che vi sorveglierete a vicenda e non combinerete pasticci. Jessica?”
Guardò di sottecchi la giovane Jessie, leggermente imbarazzata per quel riferimento a lei. sapeva di essere sempre stata la spina nel fianco di quelle suorine, che la cercavano dappertutto per farla andare a scuola, che a volte la picchiavano perché non voleva pregare e la lasciavano a disperarsi nella chiesa, come invito alla preghiera.
“Mi stai ascoltando?”
Odiava quelle suore con tutta sé stessa, e ricambiò alla direttrice uno sguardo di sfida.
“Mi raccomando, Cassidy” si rivolse, questa volta, a lei.
“Non si preoccupi, suor Widebutterfree” rassicurò spavalda, e in quel momento Jessie provò un bruciante fastidio per come lei si atteggiasse a sua balia.
“Ci penserò io a quella testa calda di Jessie!”
Cassidy aveva una grande dote che giocava a sfavore di Jessie: qualunque schifezza combinasse, riusciva immancabilmente ad uscirne pulita. Non importava se poi tutto lo schifo ricadeva sulla sua presunta migliore amica.
Ma cosa poteva farci? Dopo Austin(3), ormai, le era rimasta solo lei. Poteva solo accontentarsi.
Si preparò le sue cose nella ventiquattr’ore, e pregò che sua madre potesse proteggerla. Si mise gli orecchini verdi, che era tutto quello che aveva di lei, e uscì fuori da quel posto malandato di cui conosceva oramai ogni crepa(4).
Uscirono l’uno dopo l’altro dal giardino, e l’ultimo si chiuse alle spalle il cancelletto sgangherato. Jessie restò un attimo a fissare l’istituto.
Ognuno di loro iniziava il tirocinio per un lavoro “di strada”, come veniva chiamato: la scuola dell’obbligo, per loro della classe professionale, era finito. Finalmente.
“Hey, allora? Hai finito di contemplare il panorama?” Cassidy sbuffò, pettinandosi i capelli mentre parlava. Jessie non sapeva da dove le venisse tutta quella pazienza: oramai, solo il suono della sua voce le dava fastidio.
“Possiamo andare, Cassidy” ribatté seccata. “Sempre che tu sappia dove andare”.
Cassidy ridacchiò, facendo svolazzare la sua bionda chioma. “Io so sempre dove andare, non dimenticarlo mai!”
“Se non avete idee, potete unirvi a noi” propose Jacob. Lui e Brad si trovavano nelle loro stesse condizioni, ma sembrava avessero già un itinerario prestabilito.
“Ho sentito dire che ad est ci sono molte opportunità di trovare lavoro” incalzò Brad.
Jessie non aveva molta voglia di unirsi a nessuno. Oltre Cassidy, non aveva confidenza con i suoi compagni di orfanotrofio. Anche lei, però, aveva sentito dell’est, e ipotizzò che l’unione non potesse che fare la forza: magari avrebbero potuto, lei e Cassidy, approfittare della piccola somma di denaro di cui i due ragazzi disponevano per iniziare il viaggio, parimenti a quella che avevano ricevuto loro, per scopi personali.
“Io e Jessie andiamo a nord” fece prontamente Cassidy.
“Cassidy!” Jessie la tirò di lato e le spiegò le sue ragioni.
“Ci facciamo offrire un pasto e poi li molliamo non appena arriviamo nella prima città!”
Cassidy se la scrollò di dosso.
“Tu sei proprio sciocca, Jessie! Stare con loro significa condividere, e non trarremo nulla di buono da quei due!” Jessie immaginò che Cassidy stesse parlando solo perché non le andava giù che lei avesse avuto un’idea migliore della sua.
“Lascia fare a me e evita di usare il cervello, cara!”

Quell’uomo la fissava. E non prometteva niente di buono.
Ma era solo una bambina, senza mamma… e senza più nessuno.

Stava morendo di fame.
“Cassidy, e ora mi spieghi come facciamo?” sbuffò, seccata. “Siamo a Virdinian da tre giorni e ancora non abbiamo risolto niente!”
“Non ti lamentare e sgobba, carina” sorrise beffarda Cassidy, “Se riesci a produrre un po’ di più forse oggi ti aggiudicherai il pranzo!”
Jessie la odiava. Era per colpa sua che era costretta ad adescare dei ragazzini incoscienti, cosicché la sua amica potesse ripulirli di quello che si portavano dietro. Ma i guadagni erano sempre relativamente magri: pochi spiccioli e nulla più. Ed ora doveva anche fare bamboline di pezza, giochetti acrobatici (in queste cose era sempre stata piuttosto brava) e inventarsi altre diavolerie da vendere per racimolare qualche spicciolo, mentre lei passava gran parte del tempo a pettinarsi i capelli e a curare il suo aspetto. E poteva giurare che la nuova maglietta che aveva comprato era al di sopra di quelle che erano le loro possibilità.
Meno male che le aveva promesso di aiutarla a trovare un modo per studiare da infermiera Pokémon. A lei sembrava piuttosto che la stesse portando sempre più lontano dalla meta(*).
Avevano rapinato da poco un ragazzetto, che le era parso meno sprovveduto degli altri. Era stato facile: Jessie lo aveva convinto che potevano uscire insieme, e mentre lo intratteneva facendo smancerie, Cassidy gli aveva fregato lo zainetto. Quindi Jessie, con una scusa, si era dileguata lasciando il tipo a disperarsi per la perdita di tutti i suoi averi.
“Almeno potresti farmi la cortesia di mostrare anche a me quel poco che ho… cioè, abbiamo guadagnato, no?”
Cassidy la guardò con quella occhiata, quasi impercettibile tuttavia inconfondibile, che faceva quando qualcosa non andava come lei aveva sperato.
“Non c’è niente, solo biancheria intima e cianfrusaglie”.
Ma Jessie era sicura – anzi, sicurissima - che le stava mentendo.
Bella migliore amica.

“Cosa c’è, amore? Perché piangi?”
Quella voce, quella voce era talmente familiare.

Era ormai un po’ di tempo che faceva parte della gang di cilisti-teppisti. Era riuscita ad ottenere una certa popolarità, e per questo, e per il rispetto che incuteva, veniva chiamata Grande Jessie. Più fiera così, della sua posizione nella banda – seppure non di capo – non sarebbe potuta essere.
Era pomeriggio inoltrato, il sole stava calando trasformando la città con tinte aranciate e violacee. In sella alla bici rubata ad una povera idiota che era entrata un attimo in un minimarket, pedalava allegramente sul marciapiede dei pedoni, lo sguardo lontano sulla pista ciclabile in costruzione al di sopra  del mare(**).
Costeggiò il litorale, la catena arrotolata attorno al polso quasi fosse un grosso bracciale. Come faceva sempre per noia – e per attestare la propria superiorità su un mondo crudele di cui si faceva totalmente beffa - srotolò con una scrollata la catena e la alzò velocemente, pronto a farla roteare sopra la sua testa. Nel momento in cui la catena si agitò nell’aria, finì con un rumore sordo su qualcosa, Jessie per girarsi perse il controllo della bici e nello stesso tempo qualcosa di molto pesante finì a peso morto su di lei e sulla bicicletta, lei rotolò sull’asfalto cadendo dal marciapiedi, la bicicletta volata via e una cosa pesante che la opprimeva.
“Ahio…” aprì gli occhi, e si accorse che un testone color lavanda era piantato sul suo petto. Trasalì sbalzandolo per aria, rossa in viso di rabbia e vergogna.
“MA SI PUO’ SAPERE CHE TI VIENE IN MENTE?” strillò, mentre un ragazzino veniva praticamente fatto saltare in aria ricadendo con il sedere per terra.
“Ahia!…Ahia ahia ahia ahia…” il ragazzino si alzò dolorante in piedi, stringendosi con il pollice e l’indice il naso alla francese, le lacrime agli occhi.
A quel punto, Jessie avrebbe dovuto chiedergli se si fosse fatto male, ma invece ritenne che la cosa migliore da dire in quel momento fosse un secco: "La prossima volta guarda dove cammini!"
L’altro si tolse la mano dal naso sporco di sangue.
"Io? Ma se è stata la tua stupida catena che mi è arrivata in faccia!" In quel momento, un rivolo rosso colò dalla narice come l’acqua di una fontanella, entrambi se ne accorsero disgustati, e il ragazzino si affrettò a ritapparsi il naso come prima.
“Hai visto? Mi hai rotto anche il naso! E ora come faccio, avrai rovinato il mio aspetto!” frignò.
A quel punto, Jessie si diede un’occhiata al petto, e vide che due macchie di sangue brillavano sulla stoffa della blusa.
Montò in bestia.
“Pagherai per avermi insozzato il vestito! Vieni qua!” cominciò a rincorrere il tipetto che filava a gambe levate tenendo la mano occupata a tapparsi il naso, e Jessie, presa dall’ira, gli tirò contro la sua bicicletta centrandolo in pieno. Il ragazzino stramazzò finalmente a terra.
“Adesso mi ripaghi, intesi?” lo afferrò per la maglietta nera, tirandolo da terra.
“E con quali soldi?”
“Vorresti farmi credere che non hai nulla? Se è così, vediamo se hai qualche Pokémon da regalarmi”.
“Non ho niente, ti dico!”
Jessie lo guardò. Era piuttosto malconcio, aveva anche la maglietta nera bucata. Si decise a mollare la presa. Lui tirò un sospiro di sollievo. Il ragazzino si portava piccolo, sarebbe potuto passare perfino per un dodicenne. La maglietta bucata ed i pantaloni neri lo proteggevano ben poco dall’autunno che stava avanzando. Per di più, aveva l’aria di aver passato un brutto guaio. Forse, un paio di brutti guai.
“Ci sarà pur un modo per ripagarmi” continuò Jessie, ostinandosi a non togliersi la faccia da dura. “Dove alloggi?”
“Da nessuna parte” farfugliò lui spolverandosi i pantaloni, “non alloggio e non vado da nessuna parte”.
“In che senso?”
“In nessun senso!” si ostinò lui, cercando di pulirsi il naso sporco con le mani – una cosa che ripugnò Jessie.
“Non ti seguo” disse lei mentre alzava la bici da terra. Era proprio tocco o era stata la catena?
Lo guardò ancora, e sbuffò. “Senti, bimbetto, per stavolta sarò buona: dimmi dove abiti e ti riporto al sicuro da mamma e papà”.
A quelle parole il ragazzino sembrò rabbrividire da capo a piedi, e scattò sull’attenti come un soldatino:
“No!”
Ok, era decisamente fuori.
“Ehm, voglio dire… Non ho una casa, anzi, non ho una mamma o un papà, non ho…”
“Ah… sei solo?”
Lui interruppe il suo blaterare sconclusionato.
“Sì”.
Jessie provò antipatia per quel poppante, eppure non se la sentì di lasciarlo al suo destino. Prese la bici con la mano destra, e afferrò il braccio del ragazzino con la sinistra facendo dietro-front.
“Ehi, ma dove andiamo?”
“Ti conviene saper usare la bicicletta, bimbetto” rispose Jessie trascinandolo per il polso, “oppure io e te finiremo in guai molto grossi”(5).

Talmente familiare, che le venne da piangere sul serio.

“Sul serio, non ti ricordi di me?” James sorrise, beffardo.
Jessie distolse lo sguardo dal ramen. Come lo detestava! Peggio degli altri dodici.
“Per me tu sei solo uno dei tanti pomposi palloni gonfiati che girano in questa accademia” si limitò a dire, tornando a concentrarsi sul suo piatto di ramen. Ingoiò una manciata di spaghetti, puntando con le bacchette un pezzo di carne che le sfuggì dalla mira, navigando nel brodo.
“Non… alla… mia… altezza…”
“Già, come del resto nessun altro” commentò James.
Jessie cercò nuovamente di acchiappare quel pezzo di carne.
“Com’è che ti chiamano?” continuò, “Qualcosa tipo La Frigida…(6)”
Il pezzo di carne sfuggì nuovamente dalle sue bacchette, facendo schizzare il brodo da tutte le parti.
“Maledizione!”
“Ah, ho fatto centro!”
“Vuoi stare zitto, sottospecie di zecca?” sbraitò. “Vai a succhiare il sangue a qualcun altro, e non scocciare!”
Lui sogghignò. “Che c’è, Grande Jessie? Non riesci a stare due secondi con qualcuno che già ti saltano i nervi?”
“Sei tu che mi fai saltare i nervi, idiota!”
Si accorse solo allora del ghigno stampato sulla faccia da schiaffi di James, e di diverse altre persone che la fissavano ridacchiando. E realizzò: era alzata in piedi, tenendo la ciotola di ramen in alto su James, pronta a sferrargliela in testa. Vide un paio di sue conoscenti sghignazzare e parlarsi all’orecchio.
Si impose di calmarsi: se avesse mandato al diavolo anche il numero tredici, questa volta non l’avrebbe passata liscia.
Posò la ciotola sul bancone.
“Ehi, ma dove te ne vai adesso?” James le si avvicinò, mentre lei si allontanava.
 “Volevo solo che ti aprissi un po’, non intendevo…” le toccò un braccio nel tentativo di fermarla, ma lei se lo scrollò di dosso con una gomitata.
“Ci vediamo domani sul campo, e vedremo se ti viene ancora voglia di fare amicizia!” strillò, quindi si girò e continuò a camminare.
Lo giurò, Piccolo Jim l’avrebbe pagata cara. (7)

Non devo piangere. Non devo.
Sono sola al mondo, e nessuno comprenderà mai le mie lacrime.

Aprì gli occhi a fatica, insonnoliti.
Com’era confortevole il tepore della coperta! Stava bene, anche se le punte dei piedi erano comunque ghiacciate.
Vide la penombra del soggiorno, in un pomeriggio buio dell’inverno, e poco a poco realizzò di essersi appena svegliata da un sogno confuso. Sentiva un calore nell’incavo del ginocchio; si accorse così del suo Glameow che stava accoccolato sul piumone facendo le fusa, il musetto poggiato sulla sua gamba ed i morbidi occhi felini che ricambiavano lo sguardo della padrona.
Un Glameow.
Un momento.
Non aveva nessun Glameow.
Cercò di alzarsi di scatto, ma era come se fosse stata bloccata. Si sforzò con tutta sé stessa e finalmente riuscì a muoversi, facendo scomodare il Pokémon felino.
Non è possibile.
Si alzò con un balzo dal divanetto, lasciando gatto e piumone, e si affannò a correre verso lo specchio che si trovava – come stranamente ben sapeva – immediatamente a destra del sofà.
Quando vide la sua immagine riflessa nello specchio, il cuore sussultò come se fosse stata per morire.
Un urlo agghiacciante e totalmente fuori dal controllo uscì dalla sua bocca.

Note:
Questo capitolo è stato molto lungo, ma anche molto studiato. Ci ho messo molto nei ricordi di Jessie, anche perché li ho totalmente dovuti riscrivere quando ho ripreso in mano la FF. Spero che sia piaciuto, e vi ringrazio per l’attenzione. Alla prossima!

(1) Era il sergente Viper: nella FF presuppongo che lui conoscesse Miyamoto, e quindi anche Jessie.

(2) Riferimento alla puntata della seconda stagione Pokémon “Snow way out” (episodio 66) in cui Jessie ricorda che sua madre era così povera da non riuscire nemmeno a procurarsi da mangiare. Per questo, le preparava dei pranzetti con la neve (effettivamente prendeva della neve e la modellava a mo’ di piatti succulenti, condendoli con salsa di soia). Qui Jessie sta cercando di colmare il suo vuoto, per la mancanza della madre in una situazione difficile.

(3) Austin è un ragazzo di cui Jessie era innamorata. Le aveva chiesto di venire via con lui nel suo viaggio da allenatore, ma Jessie si stava impegnando duramente per un provino, e rifiutò. Alla fine non fu presa al provino, e, come si suol dire a Napoli, “ha perso Filippo e o’ panaro”  (Diamond & Pearl - 541 - Crossing Paths!) Evidentemente ciò deve accadere prima del suo viaggio e prima che entrasse nella gang di biciclette o nella scuola di infermiere Pokémon, perché era evidentemente molto più piccola. Nella revisione della Fanfic, questa frase ci è entrata a pennello, perché sia lei che Austin indossavano uniformi: nei vari ricordi di Jessie disseminati per l’anime, lei ha quasi sempre indossato abiti simili ad uniformi, e ciò rende plausibile la sua appartenenza ad una scuola o ad un orfanotrofio.

(4) Miyamoto porta gli stessi orecchini di Jessie, solo arancioni. Ho ipotizzato che quelli che portava Jessie fossero un paio di quelli che sua madre aveva – non necessariamente quelli che indossava quando scomparve, altrimenti sarebbe stato improbabile che potesse indossarli.

(5) Riferimento alla traduzione della famosa frase di apertura di Jessie e James: “なんだかんだと聞かれ たら。。。答えてあげるが世の情け” (“se ci chiedi questo o quello, la risposta sarà la compassione del mondo!”), che in inglese è stata tradotta come “prepare for trouble! And make it double!” (“preparatevi per i guai! E fateli doppi!”). In italiano, nelle prime stagioni la frase fu tradotta come “preparatevi a passare dei guai! Dei guai molto grossi!”, sempre in maniera fedele alla versione inglese della 4Kids (le doppie traduzioni, un orrore per chi studia lingue come me!!!!), eliminando la rima. Una seconda versione dell’apertura è stata quindi, in italiano: “Ma che bel guaio! Fanne un paio!”, che cercava di ricalcare meglio l’apertura originale inglese della 4Kids.

(6) Jessie (Musashi in giapponese) nella puntata di Pokémon Chronicles “Training Daze!” (In italiano “L’Accademia del Team Rocket”, episodio 13) viene chiamata da Cassidy “shinihani Musashi”, dove shini sta per shinu, “morire”, hani non ne ho capito bene l’origine ma fatto sta che il suo nickname è collegato con la morte. Ciò perché non riesce a stare con nessuno. Questo particolare, come molte altre parti nella puntata, è stato eliminato e completamente riscritto nel doppiaggio inglese, da cui noi prendiamo riferimento per il doppiaggio italiano. Yamato (ovvero Cassidy) dice chiaramente, nello spogliatoio: “ne, shitteru? Minna anata no koto wo Shinihani musashi to yonderu wa”, cioè “lo sai? Ti chiamano tutti Musashi la Shinihani”. In italiano, Cassidy dice solamente: “forse non lo sai, ma ti sei fatta la reputazione di essere una ragazza scontrosa”. Ho voluto tradurre questo nickname, che le aveva segnato l’esistenza all’accademia, come “Jessie la Frigida”. Inoltre, l’episodio originale giapponese di “Training Daze!” dichiara che Jessie ha cambiato non dieci, bensì dodici compagni. Qui alcuni link per gli interessati:
Training Daze in giapponese:
http://www.youtube.com/watch?v=1BhBp0bxEUY
http://www.youtube.com/watch?v=efl0k42_Rjo&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=kzfq0zRtTO0&feature=related
pagina dedicata alla puntata (attenzione alla parte a destra per le cose che sono state cambiate):
http://www.pokezam.com/anime/episodes/chronicles/013.php

 (7) questo pezzo si riferisce anche alla puntata DP 585 (“Noodles: Roamin' Off”, in italiano “Gli Spaghetti della Discordia!”), in cui si mostra che Jessie e James durante il periodo in accademia spesso andavano a mangiare ramen con un loro amico – che dopo lasciò la malavita per diventare un cuoco di ramen.

(*) riferimento all’episodio “Ignorance is Blissey”: Jessie ricorda il periodo in cui studiava in una scuola di infermiere Pokémon. Purtroppo quella scuola era esclusivamente per Chansey e quindi lei, in qualità di essere umano, non riuscì a stare al passo con gli studi. Quello, per quanto ne so, è stato il più importante dei suoi sogni a finire in frantumi.

(**) riferimento alla puntata 36 della prima stagione Pokémon – “The Bridge Bike Gang”. Questa puntata contrasta fortemente con l’episodio di Pokémon Chronicles “Training Daze”, uscito postumo: secondo l’episodio 36, Jessie e James si conoscevano già da prima di entrare nel Team Rocket, avendo fatto entrambi parte di una gang di ciclisti che faceva scorrerie in una città (di cui non viene detto il nome), collegata a Sunny Town tramite un ponte. In “Training Daze”, episodio della serie spin-off “Pokémon Chronicles”, Jessie e James si incontrano invece nell’accademia del Team Rocket, creando una forte contraddizione con l’episodio della bike gang.
Tornando all’episodio 36: del ponte, quando Ash, Misty e Brock giungono lì, è stata appena completata la pista ciclabile, ma non ancora quella automobilistica. Quindi è lecito pensare che qualche anno prima nemmeno la pista ciclabile fosse ultimata, e non ci fosse quel tipo di collegamento a Sunny Town. Tuttavia, la bike gang esisteva già, e come i due capi Taira e Chopper affermano, Jessie e James godevano di una certa popolarità come “Grande Jessie (Big Jess) e Piccolo Jim (Li’l Jim), detti anche “Chainer Jessie” per la sua abilità con la catena e “Trainer Jim” per la sua incapacità di usare la bici senza rotelline (training wheels). Jessie, nei suoi ricordi, indossa un completino alla marinara (le uniformi sono una costante nei ricordi di Jessie, ad eccezione di quelli in cui era molto piccola) con blusa blu scuro dal colletto azzurro e ampia gonna lunga pieghettata azzurro chiaro. James, invece, indossa un completo nero con forse di una taglia più grande, in più portava una coppola nera. Tuttavia, è ignoto cosa sia accaduto a James prima di entrare nella bike gang: solo nell’episodio in cui incontra Jessiebell, accenna al fatto che era stato espulso dal Pokémon Tech e che era poi entrato in una banda. Quindi è lecito pensare che si sia cacciato in qualche altro guaio, dopo essere fuggito di casa e prima di congiungersi alla bike gang. Per tale motivo non l’ho vestito alla maniera ricordata nell’episodio 36.

 

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Capitolo 12
*** bisogna salire! ***


Capitolo 12 – bisogna salire! 

Si rizzò a sedere urlando.
“Si è svegliata” sentì qualcuno dire; aprì le palpebre a fatica, come se fossero state pesantissime, e si ritrovò in un ambiente non eccessivamente illuminato. Delle sagome le stavano di fronte, e in pochi secondi riconobbe le facce apprensive di James e di quei due bambocci di Fire City.
“Jessie! Grazie al cielo!”
Jessie sbatté le palpebre. “Jim” farfugliò, rendendosi conto solo dopo alcuni secondi che erano letteralmente anni che non lo chiamava così.
“Mi hai fatto prendere uno spavento” fece lui, dopodiché si voltò di lato tossendo vistosamente.
“Come ti senti? Ce la fai ad alzarti?” chiese Sukie avvicinandosi a lei, e Ben fece lo stesso finendo proprio sotto il naso di Jessie.
“Via, via! Ché mi serve aria!” Jessie balzò all’in piedi scacciando tutti e tre e si mise in una posa altezzosa, rivolta ai suoi tre acerrimi nemici.
“Arrendetevi subito…”
“Jessie, ti sembra il momento?” la interruppe Brock, cosa che la irritò terribilmente.
“Chiudi la fogna, Moccioso Grande, è sempre il momento buono!” lo freddò brusca, dopodiché scostò i capelli di lato e recitò, dito puntato in avanti:
“Arrendetevi subito o preparatevi a soffrire!”
“Sia…” tosse, “mo il Tea…ohe…doete..cahire…”
“Nella galassia portiamo pena e dolore!”
“Perhé… perhé… huahahuhh…!”
Jessie si sgonfiò totalmente alla vista di James in preda ad una tosse convulsa[1].
Quindi si guardò intorno, nel tentativo di riprendere coscienza di dove fosse e che cosa stesse succedendo. James smise di tossire, ma nemmeno gli altri sembravano granché in forma: i due bambocci erano sporchi di qualcosa che sembrava fuliggine, e il piccolo biondo si stringeva la spalla con una mano. Il moccioso aveva un braccio sporco di sangue - anche la manica della giacca ne era insozzata - e pure la mocciosa sembrava sconvolta.
“Si… si può sapere che diamine sta succedendo?” le parole le morirono quasi in gola.
“Ti ricordi di Jessiebell, o dobbiamo spiegarti tutto daccapo?” domandò Miriam, serissima.
“Sì, ricordo… più o meno…”.
“Bene: ci siamo rifugiati all’interno del palazzo, ma ci sposteremo”. Miriam guardò Phil, poi aggiunse: “presto. Ora che si è svegliata non possiamo rallentare”.
“Rallentare? Ma che significa?” Oramai era sempre più confusa. Si sentì improvvisamente le gambe molli e andò giù, ma James la sorresse in tempo.
Ash si premette forte la mano ferita: bruciava in una maniera indicibile, tanto che oramai il dolore del braccio era passato in secondo piano.
“Dà qua”. Misty gliela prese e ne sfilò il polsino lacerato che oramai non serviva più a niente, gettandolo a terra.  Tirò dalla tasca degli shorts un pacchetto di fazzolettini di carta, e ne premette un paio sulla ferita. Quindi si tolse il codino dai capelli, che era già molto allentato facendola sembrare uno spaventapasseri,  e lo infilò alla mano del suo amico così da tener ferma la medicazione provvisoria.
“Lo so che non serve a molto, ma almeno si arresta un po’ la fuoriuscita di sangue” disse. Premette con le dita sui fazzoletti, e quasi restituì la mano al legittimo proprietario.
Ash restò qualche minuto interdetto, poi riuscì a dire un impacciato “grazie, Misty”.
Miriam attraversò la sala, dirigendosi in direzione della parete da dove era caduto il grosso mobilio che stava disteso intralciando il passaggio come un poderoso cadavere. Bussò producendo un rumore vuoto, e subito dopo ordinò ai suoi due Pokémon proprio accanto a lei:
“Sfondatela!”
Entrambi i due Evee si lanciarono contro la parete con un attacco Azione, e il legno ammuffito celato sotto la carta da parati cedette sotto i colpi con un rumore che fece sussultare tutti.
“Pi…” Pikachu, stordito, si svegliò mentre Ash l’aveva ripreso in braccio. Il ragazzino gli rivolse un sorriso tranquillizzante.
“Come va, Pikachu?” gli bisbigliò. Il roditore non riuscì a fare altro che a squittire un “pi…” intontito.
“Presto, ci sono delle scale!” informò Miriam dopo aver rientrato i due Evee nelle sfere, e si apprestò a salire i gradini seguita a ruota dagli altri, Ash per ultimo. Era completamente buio, avanzavano alla cieca e velocemente, il rumore dei piedi che pestavano sui gradini di legno marci e vuoti.
“Come facciamo ad orientarci?” chiese Phil, e Miriam rispose prontamente:
“Se ricordo bene, queste portano al piano di sopra” fece una pausa, poi continuò: “fidatevi”.
“Fidarci?” sbraitò Jessie mentre saliva le scale con furia, “io non so nemmeno che diamine succede, ed io mi devo anche fidare?”
“Proprio tu, ladruncola, devi fidarti più degli altri se ci tieni alla pelle” le rispose Miriam con sufficienza, continuando a salire i gradini. Si avvertiva un forte odore di ammuffito, l’umidità era pesantissima tanto che sembrava quasi difficile respirare.
“Ahio!”
“Ehi!”
“Idiota, guarda dove metti i piedi!”
“Ma che succede?” chiese Ash, perplesso. Si erano fermati improvvisamente.
“Abbiamo raggiunto un’uscita” disse Miriam che, bloccata da un ostacolo invisibile, aveva fatto sì da intralciare la marcia di tutti gli altri che la seguivano. Poggiò una mano sulla parete legnosa, così umida e marcia che il bagnato si avvertiva immediatamente al tatto, fece un passo indietro atterrando con un piede direttamente su quelli di Phil e mollò un calcio con l’altro, aprendo un piccolo squarcio.
“Aspetta, ti aiuto” Phil che le era dietro, comprese le sue intenzioni, si aggrappò con la mano contro il muro umido e mollò un altro calcio che aprì un ulteriore varco. Miriam e Phil, quindi, si sforzarono a suon di spallate per far cadere il pezzo di legno marcio che stava tra i due buchi, e dopo un calcio di Phil anche l’ultima scheggia cedette lasciando spazio per un passaggio sufficientemente grande.
Uscirono uno per uno e respirarono di sollievo dopo la malaria a cui erano stati costretti, ritrovandosi in una saletta piccola e priva di arredamento. Solo alcuni quadri ammuffiti che rappresentavano paesaggi rupestri stavano malamente attaccati alle pareti, e in un angolo si trovava un lavatoio mentre dal lato opposto c’era una nicchia scura che aveva tutta l’apparenza di un focolare rustico. La luce debole penetrava da una sere di tre finestrelle tonde in alto a destra che davano all’esterno, troppo piccole e dalla pietra troppo massiccia da poter essere allargabili manualmente. Quello che aveva l’apparenza di un corridoio buio era dalla parte opposta del passaggio, e la luce artificiale filtrava da qualche fessura nel soffitto.
“E ora, dove siamo?” chiese Sukie, direttamente rivolta a Miriam. La donna lasciò passare qualche secondo, poi ebbe come un’illuminazione.
“Siamo al piano intermedio. Questa è una saletta di passaggio per la servitù, da qui si possono raggiungere le camere private dei signori”. Sorrise, per metà soddisfatta. “Sembrava impossibile, ma forse non siamo poi tanto lotani dalla meta. Devono esserci altre scale che conducono direttamente alle stanze private. Ci basterà entrare in una delle camere che danno ad ovest e salire sul tetto passando per la finestra, così come ho fatto io per entrare”.
“Senti, Indiana Jones in gonnella” proruppe Jessie, “non ci ho capito un’acca! Perché quella befana è diventata una specie di superpokémon?”
Miriam la guardò di sottecchi, poi sospirò.
“Allora, per farla molto semplice: tutti noi abbiamo una ghiandola detta pineale, che funziona un po’ come il nostro terzo occhio. In poche parole, il suo è un terzo occhio particolarmente sviluppato, e mantiene delle caratteristiche ereditate dai Pokémon che nell’uomo non sono presenti. Parliamo, ragazzi, della capacità di trarre energia, dei meccanismi di auto-conservazione del Pokémon ferito in battaglia. E ci sono le caratteristiche psichiche: quelle le permettono di copiare e riprodurre – nei limiti del possibile – attacchi Pokémon. E di comandare i Pokémon stessi”.  Si fermò. “Un essere umano non potrebbe sostenere una simile potenza per tutta la vita, ecco perché è solo in determinate condizioni che le vere potenzialità di Jessiebell sono riuscite ad emergere. E qui entra in gioco la posizione dei pianeti ed il Tempo del Potere. Ma abbiamo dei punti di vantaggio dalla nostra”.
Dalla collana dov’erano attaccate le sfere Poké fece uscire nuovamente i suoi due Pokémon Evee, che si sedettero accanto a lei. Miriam si accovacciò, e indicò loro il collare argentato che entrambi indossavano.
“Vedete questo?”
“Sì, ce l’hanno tutti i tuoi Pokémon” disse Ben.
“E’ un collare particolare” confermò Miriam. “E’ fatto con una lega speciale che al contatto influisce positivamente sui Pokémon, proteggendoli da eventuali attacchi inibitori o di confusione di altri Pokémon psichici. E, per ora, sono l’unica protezione che abbiamo contro i poteri psichici della signorina Jessiebell”.
“Sì, ma… come hai intenzione di liberare i nostri Pokémon?” chiese Ash. “Non dirmi che hai dell’acciaio extra con te!”
Pika-chuuu!

Fu in quel momento che gli altri notarono la sua presenza.
Pikachu si era completamente ripreso, e tra le braccia del suo padrone era spaventoso con un’espressione crudele dipinta sulla faccia. Piccole scariche elettriche venivano emanate dalle sue gote, e tra le sue mani Ash sentiva il ringhiare sommesso che veniva emesso dal torace. Pikachu, con uno strillo combattivo, aumentò le scariche dalle gote tanto che Ash fu costretto a lanciarlo per aria e ad allontanarsene, per evitare di esserne colpito.
“Piiiiiikaa!”

“Come ha fatto a seguirci senza che ce ne accorgessimo?” esclamò Ben, esterrefatto.
“Veramente l’ho portato io” rispose Ash, ma non ebbe il tempo di completare la frase che fu sollevato per il bavero della giacca da Phil, fuori di sé.
“Come sarebbe veramente l’ho portato io? Ma sei fuori? Tutti i Pokémon sono diventati assassini e tu che fai?”
“Basta, Phil!” gridò Miriam.
“Lascialo, gli stai facendo male!” esclamò Misty accorrendo da lui, ma fu spinta a terra da una testata di Pikachu che saltò in aria atterrando su tutte e quattro le zampe.
“Pikaa!” squittì Pikachu rabbioso, puntando Ash come sua preda. Phil mollò la presa e si parò davanti ad Ash per proteggerlo, mentre il roditore si preparava a prendere la rincorsa per sferrare quello che doveva essere un attacco Locomovolt.
“Neptune, Pluto!” l’ordine di Miriam fu anche più lento dei suoi due Pokémon che si pararono contro il Pikachu per arrestare la sua folle corsa, inondando la saletta di scariche elettriche vaganti che costrinsero i presenti a gettarsi a terra.
“No!” gridò Ash liberandosi dalla presa di Phil, “così gli farete del male, fermi!”
Ash si rialzò in piedi, Misty gli afferrò la giacca strillando a sua volta, nel boato prodotto dalle scariche e dagli attacchi dei due Evee: “Ash, fermati! Sta’ qua! Sta’ qua, diamine!”
Lui non se ne curava, e strattonò al punto da stracciare la manica della giacca e da sfilarsela per correre incontro al suo indemoniato amico in difficoltà.
“Ho detto feeeeeermiiiii!”
Ash fu accidentalmente colpito alla schiena da un attacco Colpocoda di Pluto; emise un gemito strozzato, la schiena inarcata, prima di cadere al suolo.
“Ash!” strillò Misty, lasciò cadere la giacca stracciata al suolo e si precipitò dal suo amico, il cuore che le batteva a mille.
“Ash, no!…”
Si sentì strattonare e gettare di lato; Brock le aveva afferrato il polso spingendola all’indietro, proprio nel momento in cui Neptune e Pluto si mettevano in formazione per contrastare una scarica elettrica bluastra del Pikachu posseduto che aveva mirato proprio in direzione della ragazza.
“Ma non è possibile!” esclamò Miriam, “un Pikachu non può avere un livello tanto alto da tenere testa a due Evee del mio calibro!”
“Pikachu non è un Pokémon normale” riuscì a dire James in un fil di voce, spaventato come non mai.
“E adesso che è impazzito, sembra ancora peggio del solito” aggiunse Jessie che fissava inorridita l’entità della luce emessa dal Pokémon, con la sgradevole sensazione che prima o poi quelle scosse avrebbero beccato anche lei friggendola da capo a piedi.
“Neptune, attento!”
Pikachu aveva evitato agilmente l’attacco Idropompa di Neptune e si era lanciato in picchiata contro il corpo privo di sensi di Ash.
“Cosa avrà intenzione di fare?” strillò Ben.
“Oddio” fece Brock, “non può usare un Codaccia…”
Misty si era nuovamente lanciata nella mischia, gettandosi praticamente contro Pikachu che non si risparmiò e le sferrò contro il suo potente Codacciaio. Sentì un gelo che le attraversò la spalla, e la scossa di dolore le sconquassò tutto il torace. Cercò di urlare, ma nemmeno in quello riuscì, mentre i suoni si affievolivano attorno a sé.
“Misty!” gridò Brock, ma si fermò, incapace di agire.
“Bisogna fare qualcosa!” disse Sukie, “se Pikachu li colpisce con la scossa, moriranno”.
“Pluto, Stordiraggio! [2]” strillò Miriam, paonazza, “possibile che non riesci ad abbatterlo?”
Pluto lanciò il suo Stordiraggio contro Pikachu, ma non fu abbastanza veloce da evitare una scossa elettrica talmente forte da farlo brillare come una torcia per alcuni secondi con guaiti terribili prima di cadere al suolo.
“Pluto!”
Pikachu ebbe strada libera verso le sue due prede. Li guardò famelico, le gote che sprigionavano scosse elettriche, e si preparò al colpo di grazia:
“Piiii… ka…”
D’improvviso, però, si bloccò.
“Che succede?” fece Jessie terrorizzata mentre si stringeva quanto più forte possibile ad un James ancora più terrorizzato di lei.
“Dev’essere lo Stordiraggio” ipotizzò Brock.
Miriam era rossa in faccia, e rimase con la bocca aperta senza dire una parola per un paio di secondi. Poi si riprese ed ordinò:
“Neptune! Finiscilo!”
Neptune si rialzò a fatica dal colpo ricevuto alla zampa posteriore, e approfittando della Confusione di Pikachu gli sferrò contro un Iper Raggio non eccessivamente forte che però fu sufficiente a mandare al tappeto il pericoloso avversario.
Non appena Pikachu sbatté con il muso sul pavimento, tutti ad eccezione di Jessie e James che erano rimasti pietrificati dalla paura accorsero in aiuto dei loro amici.
“Misty, apri gli occhi!” la pregò Brock, sollevandole il busto da terra. La spalla era nera, colpa dell’attacco troppo forte da sopportare.
“Ha un ematoma spaventoso” disse preoccupato a Ben, che si era affacciato per vedere di che si trattava.
“Se solo il mio Shroomish fosse con me, saprebbe curarlo” commentò il bambino, preoccupato. I capelli sciolti di Misty erano tutti rovinati, e alcuni così sporchi da starle azzeccati sulla fronte e sulle guance.
Ash non era certo messo meglio. Phil cercò di caricarlo in braccio:
“E’ messo non bene” informò, “ma forse si riprenderà”.
Il colpo alla schiena era stato di una pericolosità quasi fatale, ma per fortuna l’Umbreon aveva l’autocontrollo necessario per evitare che l’attacco potesse realmente uccidere.
“Pluto, Pluto!” Miriam intanto si era inginocchiata davanti al suo Pokémon, che fumava ancora come carne arrosto. Non c’era quasi più segno del lucido manto nero che lo caratterizzava; solo spaventose chiazze rosse lungo tutto il suo corpo.
“Ti prego, Pluto” mormorò disperata, ma bastava guardarlo in faccia per convincersi della realtà.
Pluto era morto.

 

 

Salve a tutti, e felice 2011! Lo so, ho scritto di nuovo in ritardo… Questo capitolo ha attraversato una lunga gestazione, soprattutto perché da qui in poi scriverò ex-novo e quindi sarà molto più difficile creare qualcosa di decente. C’è anche da dire che avevo preparato una “scaletta” da seguire nel capitolo, ma alla fine non sono riuscita a seguirla. Solita storia: non sono io che scrivo i capitoli, sono piuttosto i capitoli che si scrivono da soli.
Sarà un mese piuttosto impegnativo, e fino alla fine di febbraio non posso garantire di essere veloce perché, purtroppo, ho ben altro da preparare – e chi mi segue da un po’ di tempo sa anche di che si tratta…
Ringrazio chi mi segue, e spero di non deludere le aspettative per questa FF!
Alla prossima!

 
Note:

[1] motto del film “Pokémon Ranger e il Tempio del Mare”. Scena in cui i membri del Team Rocket si scambiano i corpi e recitano il seguente motto:
Jessie: “Arrendetevi subito o preparatevi a soffrire!”
James: “Siamo il Team Rocket e lo dovete capire”.
Jessie: “Nella galassia portiamo pena e dolore!”
James: “Perché questo è il destino noi che abbiamo nel cuore!”
Meowth: “Meowth, il mio sì che è un bel nome!”
Di seguito il link youtube del motto: http://www.youtube.com/watch?v=5wRyfP2TE00

[2] Stordiraggio (Giapponese: あやしいひかり Doubtful Light) è una mossa che non infligge danno di tipo Spettro introdotta nella prima generazione. Stordiraggio causa Confusione al nemico. (http://wiki.pokemoncentral.it/Stordiraggio_(mossa))

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 – Fuoco… ed acqua! ***


Capitolo 13 – fuoco… ed acqua!

Pluto era morto.
“No, Pluto…” piagnucolò Miriam, accasciandosi per terra. Abbassò la testa per nascondere le lacrime, mentre le sue spalle tremarono per un secondo.
Phil guardò un attimo il corpo senza vita del Pokémon, con Ash caricato in spalla.
“Miriam…”
Dopo quella parola strozzata, ci furono alcuni secondi di silenzio.
Nessuno si mosse. Né Jessie e James, stretti l’un l’altro, né Phil e Brock con i due ragazzi in braccio; né Sukie e Ben, pietrificati da quanto avevano visto.
Neptune, zoppicando, si avvicinò al suo amico Evee, lo annusò e si discostò immediatamente dal corpo, terrorizzato dall’odore di bruciato e di morte. Pianse a guaiti, che risuonarono nella saletta come una nenia funeraria.
Pikachu era disteso supino, e mosse brevemente una zampina gialla, immerso in un sonno profondo.
Dopo alcuni secondi di sbigottimento, Miriam sospirò, si strofinò i dorsi delle mani sugli occhi e scattò all’in piedi con più grinta di prima. “Dobbiamo anda…” disse, girandosi dietro di sé. I suoi occhi neri incontrarono quelli di Philip, e si interruppe. Phil aveva Ash caricato in spalla come se fosse stato un sacco, e lei vi lesse in volto tanta compassione. Sulla faccia di Miriam, invece, era dipinta una brutta maschera di professionalità, e i suoi occhi spalancati e vigili lasciavano trasparire una disperata incredulità.
“Dobbiamo andare” ripeté con più convinzione, guardando gli altri. “Jessiebell avrà intercettato la nostra posizione tramite quel Pikachu”.
“Vorresti dire che adesso sa dove siamo?” esclamò James sbigottito, mollando finalmente la presa dalla sua compagna.
“E anche molto bene, oso dire” confermò subito l’agente. Sembrava aver già abbandonato il dolore per il suo amico appena trapassato: agli occhi del Team Rocket – e di Ben e Sukie – Miriam era tornata fredda ed efficiente come un soldato in missione doveva essere.
“Jessiebell è collegata con i Pokémon che controlla” continuò, sganciando una sfera Poké dalla collana. “Se vuole, può venire a sapere di tutto tramite loro”.
Si inginocchiò di fronte a Pluto. Il povero Umbreon era immobile e rigido, tanto da sembrare un pupazzo, e stava su un fianco.
“Addio, amico mio” mormorò, mentre distendeva avanti a sé il braccio con la sfera dilatata, e premette il tasto sulla Pokéball per il richiamo manuale della materia [1] . Il corpo senza vita di Pluto si illuminò di una luce rossastra, per finire rinchiuso nella sfera che l’aveva ospitato da vivo.
In quell’istante sentirono un boato, e la camera sembrò tremare leggermente.
“Cosa è stato?” disse Sukie in un filo di voce, spaventata.
Il boato si ripetè, accompagnato da un altro tremore poco rassicurante.
“Presto!” gridò Miriam in allerta. Non c’era tempo per le commemorazioni, dovevano raggiungere i piani alti. “Di là!” disse indicando il corridoio in ombra che presumibilmente portava all’uscita. Immediatamente tutti si diressero in quella direzione, ma poterono fare solo pochi passi perché un terzo rumore molto più forte seguito da una esplosione scosse nuovamente il terreno facendo cadere Ben, Sukie e James. Sukie gridò, l’esplosione era proprio nel corridoio che si era per un istante illuminato, per poi immettere un fumo nero irrespirabile.
 “Conosco…conosco… con…” James riebbe un accesso di tosse peggiore del precedente, mentre gli altri erano intenti a coprirsi la bocca con le mani, gli occhi lacrimanti.
“Cosa diamine succede?” gridò Ben, allo stremo delle forze.
“Una conduttura è scoppiata” disse Ben, interrompendosi ad un verso terrificante di un Pokémon di loro conoscenza.
“Weesing!”
Il grido in coro non poteva che essere più terrorizzato. Il Pokémon comparve nel bel mezzo del fumo nero, le tre facce sorridenti e malefiche.
“Ma come ha fatto?” esclamò James, tossendo.
“Deve averci raggiunto seguendo un’altra strada” disse Miriam, intuendo l’entrata in scena del Pokémon-Veleno proprio dalla parete sfondata del corridoio che avrebbero dovuto percorrere.
“Neptune!”
Il Pokémon si lanciò con foga contro Weesing, che però riuscì a schivare i primi attacchi nascondendosi nella nebbia densa che lui stesso aveva provocato. Neptune fu per un attimo spiazzato, e quell’attimo fu fatale perché concesse all’avversario il tempo per sbucare all’improvviso come un razzo dalla nube di fumo e colpire in pieno Brock, che cadde con un gemito al suono facendo ovviamente ruzzolare anche Misty.
“Moccioso Grande!” esclamò Jessie, avanzando di qualche passo. Ma era inutile: il fumo si era addensato fino alla vita, e non si riusciva a vedere dove fossero Brock e Misty.
“Ben, facciamo qualcosa!” gridò Sukie, ma fu immediatamente sbalzata da Weesing, che rimbalzava per la stanza seguita da Neptune, nel tentativo di colpire un James che correva di qua e di là tossendo nel tentativo di non farsi beccare.
Sukie e Ben si accovacciarono trattenendo il respiro nella fitta nebbia, nel tentativo di recuperare i due.
“Ragazzi!” li richiamò Phil non vedendoli più.
“Non… voglio… fahe… la fine… della palla … da biliardo!” gridava a fatica James correndo a destra e a manca, quando qualcosa gli fece lo sgambetto e cadde addosso a Phil, il quale a sua volta finì per terra perdendo Ash.
Oramai Weesing era pronto ad attaccare, ma Neptune riuscì finalmente a beccarlo con un pistolacqua debole ma efficace. Weesing gemette prima di cadere anch’esso nel fitto della nebbia.
“Questa non ci voleva!” esclamò Miriam, mentre Phil si rialzava da terra tossendo: “ho.. herso… il ragazzo…”
Improvvisamente sentirono un ruggito provenire dal passaggio da cui erano entrati, James riaffiorò tossendo e tremando e si strinse a Jessie:
“E’ Charizard!” gridarono insieme, terrorizzati fino alla punta dei capelli.
Charizard si udiva dall’entrata da cui erano sbucati, evidentemente non riusciva a salire il passaggio stretto, ma sarebbe stati solo questione di minuti. Il possente drago lanciò potentissimi getti di fuoco che illuminavano in maniera spaventosa il corridoio, ringhiando e tentando così di demolire il passaggio.
“Se non ce ne andiamo subito di qui, finiremo abbrustoliti!” gemette Jessie.
“Il fuoco, il fuoco!” strillò Sukie, in preda a crisi respiratorie. “Il fuoco, il fuoco, aiuto!”
 “Calmati, Sukie!” le gridava Ben, ma lei era entrata nel panico più totale.
Anche Neptune era intimorito: da solo non ce l’avrebbe mai fatta a tener testa a un drago di quelle dimensioni.
Non c’erano vie d’uscita, non avevano tempo e dovevano pensare in fretta.
Phil guardò il lavatoio, poi ebbe un’illuminazione.
“Miriam” disse, “se il tuo Vaporeon riuscisse a sfondare il lavatoio, potrebbe aiutarsi con il getto d’acqua per contrastare Charizard”.
“Servirà molta, ma molta acqua per contrastare Charizard” disse lei, “ad ogni modo possiamo tentare. Vai, Neptune!”
Neptune così sfondò il lavatoio, emanando un getto d’acqua che rigenerò il Pokemon sfinito dalla fatica.
Con degli accessi di tosse spaventosi, Brock si rialzò da terra e si guardò intorno perplesso, cercando di respirare regolarmente. “Che succede?” esclamò, mentre si chinava per recuperare Misty issandola con un braccio intorno al collo. La ragazza mormorò qualcosa, cercando di aprire gli occhi: chiaro segno che stava per riprendersi.
“Misty!”
“Bro…” Misty aprì gli occhi, ma  li richiuse immediatamente, in preda ad una tosse convulsa. “Cosa…Ash?”
I ruggiti di Charizard si fecero più forti. Oramai, sia il Team Rocket sia i due ragazzini erano paralizzati dalla paura.
Misty avvertì un qualcosa tirare dalla tasca degli shorts, e sentì un rumore sordo per terra. “Le mie sfere Poké!” gridò cercando di abbassarsi, ma fu trattenuta su da Brock.
Le sfere si aprirono con una luce rossa che perforò la nube di fumo – che si stava pian piano addensando al pavimento grazie anche all’acqua – e immeditamente due Pokémon balzarono fuori schizzando nel pozzo d’acqua formatosi lì dov’era il lavatoio.
 “Staryu! Horsea!”
“Oddio, altri Pokémon posseduti!” strillò James, trasalendo.
“No, aspettate, questi sembrano lucidi” disse Ben guardandoli mentre questi saltellavano nell’acqua.
“Jessiebell non deve averli richiamati in precedenza” disse Miriam. “Forse perché non li ha ritenuti utili come Pokémon che necessitavano di un campo d’acqua per combattere”.
“Bene!” Sukie era euforica, “ci serviranno per contrastare il Charizard!”
“Quei due cosetti? Non farmi ridere, Sukie” commentò Phil, nervoso. “Conosco il mio Charizard e il suo livello è molto alto. Non durerebbero un secondo”.
“Per lo meno avremo calamari arrosto come ultimo pasto” commentò Jessie, e si beccò in pieno viso una spruzzata di nero di seppia dal piccolo Horsea che aveva mal gradito la battuta.
Ben ebbe però un’illuminazione.“Ci sono!”  
Si rivolse a Miriam. “Miriam, dal lavatoio sembra esserci un canale abbastanza grande per Horsea e Staryu. Sai se esiste un convoglio dell’acqua nelle vicinanze?”
“Di sotto dovrebbe esserci una cisterna d’acqua molto grande, se non sbaglio” disse lei, “ per via della lavanderia”.
“Bene!” esclamò il piccolo, “Se i Pokémon raggiungono la cisterna, potrebbero aprire un varco per noi ed inondare Charizard” disse.
“Sempre che ce la facciano” commentò Phil.
Senza neanche ricevere l’ordine, Horsea e Staryu si tuffarono nel canale del lavatoio.
“Neptune, vai anche tu!” disse Miriam.
Neptune entrò nell’acqua e si liquefece, per poter entrare nel canale.
“Oddio!”
Il ruggito di Charizard era oramai indice che c’era poco da fare. La bestia stava salendo, avendo demolito l’entrata del passaggio, le fiamme alte diventavano sempre più vicine.
Sempre più vicine.
Più vicine.
Quando la testa di Charizard fece capolino nella sala, le narici emananti vapore, Sukie lanciò un urlo disperato e svenne, cadendo per terra.
“Sukie!” gridò Ben, accovacciandosi su di lei.
Il Charizard demolì l’ultima parte del passaggio e si fece strada nella saletta. Era diabolico. Se avesse lanciato un suo attacco di fuoco con tutto quel fumo, certamente sarebbero andati tutti all’altro mondo.
Improvvisamente, ci fu uno schizzo potente da un lato del pavimento che venne sfondato, facendo tremare la stanza e mettendo in difficoltà lo stesso Charizard.  In poco tempo, l’acqua inondò la sala. Charizard cercò di riparare gettando fuoco, ma non ci riuscì, soffocato da un getto d’acqua che lo colpì in pieno petto: Neptune era emerso dal fumo e dall'acqua tenendo in bocca una manica nera familiare.
“E’ Ash!” Misty si affrettò a prendere il braccio dell’amico svenuto, e ad issarlo dandogli degli schiaffetti sul viso. “Svegliati!”
Charizard si sentiva oltraggiato dall’attacco del piccolo cane d’acqua. Neptune, però, non gli diede l’occasione di lanciare il suo fuoco: lo attaccò da tutti i punti confondendolo, e con un attacco azione potente lo affondò con la testa nell’acqua. Era velocissimo, e Horsea e Staryu contribuivano ad attaccare il Charizard stordito per evitare che potesse alzare la testa dall’acqua. Infine,  Charizard imbestialito attaccò con la coda in maniera tanto violenta da sollevare un’ondata che sbolazò tutti, senza contare che l’acqua aumentava a vista d’occhio. Ash stava affogando di nuovo, ma Misty si tuffò e lo riportò su, facendolo appoggiare a Brock.
“Dove vai?”
Misty andò in apnea e, evitando abilmente Charizard che continuava ad agitarsi, scese fino alla piccola macchia inerme sul pavimento. La afferrò e risalì in superficie.
“Pikachu!” esclamò Ben, che oramai non toccava più e nuotava a fatica, tentando come gli altri di tenersi lontano dagli attacchi.
In quel momento, il Geloraggio di Neptune colpì una parete, mancando di poco Jessie e James. La parete scricchiolò sotto il colpo e il peso dell’acqua, ed improvvisamente crollò sotto i loro occhi. Questo provocò una specie di vortice, l’acqua sbalzò tutti – uomini e Pokémon – in varie direzioni.
Ash aprì brevemente gli occhi, tossendo acqua, per poi richiuderli, sommerso nuovamente.

Note:
[1] pare che la Pokéball possa anche racchiudere, occasionalmente, oggetti oltre che Pokémon: “Nel mondo dei Pokémon, gli scienziati hanno provato varie tecniche avanzate per tentare di convertire la massa in energia e viceversa per molti anni. La Poké Ball è un esempio pratico del risultato ottenuto. Quando una Poké Ball viene lanciata verso un Pokémon e viene a contatto con esso, si aprirà automaticamente. Il Pokémon viene convertito in energia pura che è evidenziata dallo sprigionamento di una grande quantità di luce rossa mentre il Pokémon viene risucchiato. La palla si chiude automaticamente una volta terminato il processo. (…)Gli esseri umani possono essere catturati dentro le Poké Ball. Questo è accaduto, per scopi umoristici, nei primi episodi della serie animata.”(http://it.wikipedia.org/wiki/Pok%C3%A9_Ball). Ancora, sembra che “sia negli anime, sia nei giochi, è stato mostrato che oggetti possono essere contenuti nelle pokéball, venendo catturati apparentemente nella stessa maniera in cui vengono catturati I Pokémon. Questa gag è stato usato in diverse occasioni nell’anime, soprattutto nell’episodio  Primeape Goes Bananas , dove Ash cattura accidentalmente un onigiri – una palla di riso alla giapponese, nda – nel tentativo di catturare un Mankey selvatico. Gli oggetti contenuti nelle Pokéball sono stati presenti sin dai primi videogiochi”(http://bulbapedia.bulbagarden.net/wiki/Pok%C3%A9_Ball). Inoltre, quando un Pokémon viene liberato, mentre nel videogioco la pokéball si distrugge, nell’anime torna al proprietario da vuota. In questo caso, dal momento che la pokéball è in grado di convertire la materia in energia a prescindere che si tratti di un Pokémon o no, ho pensato che Miriam potesse portare con sé il corpo di Pluto: lasciarlo dov’era sarebbe stato davvero fuori luogo.

 
Salve… mi scuso davvero per l’imperdonabile ritardo, ma… il capitolo era già scritto da un pezzo, mancavano solo le rifiniture che non ho mai avuto né il tempo né l’ispirazione per ultimare il lavoro… nel complesso avrei sicuramente potuto fare molto meglio con questo, ma i capitoli di collegamento non sono per niente il mio forte. Vi annuncio già che per un po’ sarò occupata, dal momento che mi laureo giovedì e devo ancora studiare la tesi e memorizzare un testo in lingua >_> In più, dovrei recuperare il programma di un semestre di specialistica entro marzo, quindi avrò poco tempo per scrivere con tranquillità.
Ma non disperate! Non lascio la mia FF a metà dell’opera ;-)
A presto e buon San Valentino!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Nel buio d'acqua ***


Capitolo 14 - Nel buio d'acqua

Non sapeva di preciso dove fosse… sapeva di essere cullato da qualcuno, così dolcemente che non poté evitare di pensare che a stringerlo fra le braccia fosse la sua stessa madre.
Aveva le mani appoggiate, strette in un pugno rilassato, sul suo seno. L’odore di sua madre gli pervadeva le narici, il maglioncino morbido contro le sue dita.
Poteva anche giurare di sentirla cantare. Oramai non lo faceva quasi più… era cresciuto, oramai. Ma quando dal petto su cui lui era appoggiato sentì vibrare le prime note, capì subito che quella melodia, lenta e cadenzata come un flusso d’acqua stagnante, era un qualcosa che era rimasto a giacere nella sua memoria… qualcosa che riaffiorava in quel momento, risvegliato dai flutti e dai dolci gorgoglii della sua mamma.
Alzò un braccio in cerca di una ciocca di capelli, ma si rese conto che se non avesse aperto gli occhi non avrebbe potuto raggiungerli con la sua mano alla cieca. Cercò di aprire gli occhi.
Aprirli, però, risultava più difficile di quanto avesse immaginato. Che volesse restare per sempre lì, protetto tra le braccia di sua madre? Ne valutò l’ipotesi. L’idea che potesse smettere di rincorrere cose che non esistevano, che potesse restare lì a dormire in un posto sicuro si insinuava nella sua mente come un Meowth che si insinua e si crogiola in mezzo ad una montagna di cuscini.
“Sa…to…shi…” riusciva a sentire la sua voce, che sillabava il suo nome come una ninna-nanna.
“Sa…to…shi…”
Poteva avvertire le dita di sua madre che gli accarezzavano i capelli, con movimenti circolatori.
“Non lasciarmi più” riusciva a sentire sua madre, con un tono di malinconia nella voce.
“No, mamma, non ti lascio” disse Ash, senza essere sicuro che quelle parole le stesse dicendo o semplicemente solo pensando. Anche l’accertarsi di riuscire effettivamente ad aprire la bocca per dire qualche parola sembrava troppo dispendiosa.
“Non mi lasciare” mormorò lei, sempre con una voce che sembrava rasentare un canto malinconico. E Ash si sentì il cuore inzuppato di tristezza, pensando a tutte le lacrime che le aveva fatto versare.
Per tutte le volte che aveva lasciato alle spalle la soglia di casa, spinto solo dal suo egoismo. Più che dall’egoismo, dall’entusiasmo di bambino che non si cura dei suoi genitori, piuttosto solo del futuro: una lunga strada di campagna di cui sembra impossibile vedere la fine, forse fiancheggiata da fiumi allegri o rischiarata dalla luce del sole, ma anche forse bagnata da una pioggerellina primaverile in cui sembra facile camminare con allegria.
Sembrava tutto così facile, la prima volta che se n’era andato di casa. Ma cosa poteva saperne lui, della vita reale? Allora, aveva solo dieci anni.
“No, mamma, resterò qui con te, non me ne andrò più”.
“E che ne sarà del tuo futuro?” sua madre stava parlando, senza perdere la sua cadenza ritmica e ipnotizzante.
“Il mio futuro è qui con te, mamma”.
All’improvviso si sentì sollevato, e nello stesso istante in cui lei gridava “non lasciarmi!” lui si sentì capovolto, gettato a terra dalla sua stessa madre… sentì il pavimento che si avvicinava pure se non riusciva a vederlo, sentì di stare per morire, sentì che non poteva e non doveva, e un forza dentro di sé risvegliò il suo istinto, cercò di gridare ma non ci riuscì, voleva muoversi ma non riusciva, si agitò, sentiva di stare per morire, morire, morire, se non avesse fatto qualcosa subito
Con un respiro che sembrava l’esalo disperato di un bambino venuto al mondo, Ash si tirò su in preda a convulsioni.
Era vivo.
Uno strillo soffocato lo colpì, aprì gli occhi e si sentì perso perché tutto intorno a sé era buio; qualcosa lo colpì violentemente alla faccia nell’oscurità e lui non ebbe il tempo di capire cosa fosse stato che cade all’indietro, arrancò, qualcosa di strano lo tratteneva, poi realizzò che quella doveva essere acqua.
“Ma che?...” tossì nervoso, e sentì un altro gemito femminile, per metà soffocato. Cominciò ad abituarsi all’oscurità, e vide una figura tremolante alla sua destra, mentre era ancora seduto nell’acqua, e in quel momento si accorse di avere anche lui freddo.
Ci fu silenzio.
“Ma…”
“Non spaventarmi mai più a quel modo!” strillò lei, ma tremava e piangeva contemporaneamente al punto che Ash poté solo indovinare le sue parole.
“Misty?”
Per contro Misty singhiozzò di nuovo. Mosse a fatica un paio di passi nell’acqua che le arrivava sotto la vita, e si accasciò nell’acqua cingendogli il collo, “Ferma! Fer…!” Ash ingoiò dell’acqua, sopraffatto dal gesto disperato dell’amica.
“Dove siamo?” riuscì finalmente a dire Ash, quando Misty lo lasciò andare. Era tutto buio, sembrava esserci acqua dappertutto e così come stavano le cose non riuscivano nemmeno a capire bene quanto fosse ampio quel luogo.
“Non lo so” mormorò Misty, cercando di calmarsi. Adesso era accovacciata nell’acqua con solo la testa di fuori, e nonostante ciò Ash vedeva la sua ombra scura tremolare, i capelli completamente zuppi. “So solo che non volevi svegliarti”.
Ash si sentì male per il modo in cui aveva spaventato Misty. Generalmente lei non cedeva facilmente, perciò penso di averla veramente terrorizzata per spingerla in quello stato.
Nel buio risuonò un lamento da fantasma, entrambi raggelarono.
“Chi… chi è?”
Il lamento si propagò nuovamente, più tenebroso di prima. Misty, già allo stremo, non resistette e strillò così forte che la sua voce rimbalzò da tutte le parti. Qualcosa cadde con su Ash – che finì di nuovo con la testa sott’acqua – poi riuscì a venire a galla, anche lui spaventato.
“Cosa diamine era?” gridò, facendo trasparire più paura di quanta non volesse mostrare.
“Sono… io… aaaah… Brock… aaah….”
“Brock?!” gridarono i due ragazzi all’unisono.
La sagoma malconcia di Brock si alzò dall’acqua. Sì, doveva essere lui, o almeno così sembrava.
“Brock!” gridò Ash con gioia, “ci sei anche tu! E Pikachu?”
“Non… aaah… lo so…” replicò. “Devo aver sbattuto da qualche parte, mi sento tutto ammaccato…”
“E’ qui” un’altra voce provenne da dietro Misty.
“Chi va là?” gridò lei, mentre un rumore di acqua mossa si avvicinava nella loro direzione.
“Miriam” disse lei a fatica. Aveva l’aria di una che aveva avuto troppa acqua di traverso, la voce roca e debole. “Il tuo Pikachu ce l’ho io” disse.
“Pikachu!” Ash si mosse a fatica nell’acqua, per togliere dalle braccia dell’agente il suo Pokémon-amico. Era incredibilmente zuppo, il pelo sembrava scomparire lasciando solo il corpicino magro del roditore, apparentemente privo di sensi.
“Pikachu… su, svegliati…” lo scosse un poco.
“Dubito che…” esordì Miriam, ma Ash la zittì: “non dirlo nemmeno!”
Lo scosse ancora, ma non ricevette risposta. Cominciò a temere seriamente per il suo amico. “Pikachu, su, svegliati…”
“Pika…”
Sorprendentemente, Pikachu riacquistò i sensi, alzò la testolina bagnata e guardò la sagoma del suo allenatore, dopo una frazione di secondo lo riconobbe con un sonoro “Pii-ka!” e, tra le risa di allegria del giovane allenatore, gli saltò sulla testa scrollandosi di dosso, per quanto possibile, l’acqua che gli aveva rovinato il manto da roditore.
“Pikachu, meno male!”
“Non è posseduto, vero?” azzardò Brock, timoroso. Anche Miriam, che era rimasta pietrificata a guardare le effusioni tra Pokémon ed allenatore, sembrava in dubbio.
“Credo di no…”
“Pikachu, mi riconosci?” chiese subito Misty a Pikachu, che la guardò e nonostante il buio replicò con un sonoro “pikapì!” saltandole in grembo.
“No, ragazzi, Pikachu sta bene!” assicurò lei con allegria, mentre il Pokémon la colmava di effusioni.
“Meno male” Brock poté tirare un sospiro di sollievo.
Miriam, invece, non disse nulla.
“Nessuno di voi sa come diavolo siamo finiti qui?” chiese Ash.
Dopo un paio di secondi di silenzio, in cui non si sentì altro che il subdolo rumore dell’acqua stagnante, Miriam avanzò la sua ipotesi:
“Credo che siamo finiti nella cisterna dell’acqua”.
“E come diavolo siamo finiti nella cisterna dell’acqua?” ribatté Ash. “ Noi non stavamo arrivando al piano…”
“Voi tre avete perso i sensi” tagliò corto Miriam, riferendosi ad Ash, Misty e Pikachu. “Charizard ci ha attaccati, e per contrastarlo abbiamo dovuto rompere qualche tubo per far arrivare l’acqua necessaria”.
Miriam era molto fredda nelle sue parole, cosa che i tre notarono a pelle. Brock, nel frattempo, non aveva detto una sola parola.
“Beh, a me sembra qualcosa di più di qualche tubo” commentò Ash, guardandosi intorno. Pikachu asserì con un “pi-ka…” tra le braccia di Misty, tremante.
“E gli altri?” chiese ancora il giovane allenatore.
“Non lo so”.
Ci fu un altro silenzio. Questa, certo non era una buona notizia. Erano in un pozzo buio, con solo un Pikachu debole e bagnato come Pokémon di salvataggio, e per di più avevano perso  le tracce di cinque compagni. 
“E adesso, che facciamo?” la voce di Misty suonò leggermente ansiosa.
“Se siamo finiti qui, dobbiamo per forza aver sfondato una parete” constatò Miriam. “il problema sta nel raggiungerla”.
Ash cercò di arrampicarsi ad una delle pareti della cisterna, ma per quanto cercasse di starci aggrappato finiva inesorabilmente per fare un tonfo nell’acqua, aggravando il dolore alla schiena che avvertiva.
“Ahi, la schieeena…”
“Così non ce la faremo mai” asserì Brock, sconfortato. Pikachu non poteva essere d’aiuto: l’unica cosa che poteva fare era lanciare scosse elettriche, ma oltre che essere inutili avrebbe fritto tutti i presenti tanta era l’acqua presente.
“Vediamo se funziona” Miriam smanettò con l’orologio che aveva al polso, la cui schermata si illuminò emanando un debole bagliore.
“Cosa hai intenzione di fare?”
“Portare qui Neptune” disse lei in maniera asettica, senza staccare gli occhi dall’orologio mentre smanettava con dei pulsanti. Un tondino rosso sulla schermata, targato con il nome “Neptune” diventò verde, e comparve la scritta “segnale connesso”.
“Neptune, mi senti?” disse Miriam nell’orologio. Da questi provenne un verso canino, simile a un mormorio, ma sufficiente a far capire a Miriam che il suo Pokémon le prestava attenzione.
“Neptune, siamo bloccati nella cisterna, vieni a darci una mano!” disse lei, e dopo l’abbaiare affermativo del Pokémon d’acqua, la sua allenatrice interruppe la comunicazione.
“Sarà qui a breve” comunicò agli altri. “Non disperate, saprà tirarci fuori da questo impiccio”.
“Come l’hai contattato?” chiese Brock.
“I miei Pokémon hanno una trasmittente con GPS impiantata nel collare” spiegò lei. “Questo ci permette di restare in contatto anche a lunga distanza”.
Dopo alcuni minuti, sentirono un rumore nell’acqua. Sentendosi nuotare qualcosa vicino le gambe Misty si irrigidì di paura, ma poi qualcosa spuntò fuori abbaiando di gioia presso Miriam.
“Neptune! Per fortuna sei tutto intero!” esclamò gioiosa, mentre il Pokémon le faceva le feste leccandole la mano rovinata dall’acqua.
“Ed ora come faremo ad uscire?” chiese Brock.
“Neptune deve conoscere la strada” confermò Miriam. “Neptune, saresti in grado di portarci fuori da qui?”
L’abbaiare affermativo di Neptune fece squittire Pikachu di felicità e, di conseguenza, anche Ash, Misty e Brock.
Neptune quindi raccolse tutte le sue energie, e scagliò in cielo un attacco d’acqua che tramutò in gelo raggio: la luce dell’attacco fu così forte, e l’acqua utilizzata tanta che i ragazzi  ne sentirono subito il livello scendere, e poterono vedere per un istante che Neptune aveva creato un ponte di ghiaccio che saliva una parete della cisterna.
“Saliamo, presto!” disse Brock togliendo le parole di bocca a Miriam.
Non fu facile salire la rampa di ghiaccio, scivolosa e gelida com’era, ma Neptune era lì ad aiutarli a non cadere, agile com’era sul ponte che lui stesso aveva costruito. Finalmente li issò uno per uno su un punto sicuro, chiaramente un foro nelle pareti del pozzo.
“Dev’essere da qui che siamo caduti” constatò Brock, “questo significa che non siamo lontani da dov’eravamo prima”.
Miriam non commentò, ma cominciò a percorrere il tunnel oscuro preceduta dal suo Neptune.
“Ah”.
Ash si girò in direzione di Misty, che si teneva il braccio. “Cosa c’è?”
“Mi fa male” piagnucolò lei.
“A chi lo dici” disse allora Ash, “io mi sento come se avessi la schiena spezzata in due.
Ed era vero. Gli faceva un male inimmaginabile, non sapeva nemmeno con quale forza riuscisse a camminare. Ogni passo che faceva sentiva un dolore lombare, era un autentico strazio.
“E’ normale, dopo la botta che avete avuto” li rincuorò Brock, sospirando.
“A proposito, dov’è Pluto?” chiese Ash.
A quelle parole, Miriam si arrestò.
“E’ nella sfera Poké, non preoccuparti” lo rassicurò. “E’ solo molto stanco”.
Ash non si rese conto del tono della voce dell’agente FBI, tantomeno sospettò qualcosa Pikachu, ma Brock avvertì tutta la pesantezza che si era materializzata attorno a loro.
A breve dovettero procedere carponi: era evidente che Neptune li stava portando per tutt’altra strada. Dopo alcuni passi, Vaporeon si arrestò. Alzò il capo su di sé al soffitto basso e  sparò un iper-raggio, lasciando tutti esterrefatti.
“Forse ci sta aprendo un varco al piano di sopra” disse Misty.
“Sì, dev’essere così! Pikachu, te la senti di dargli una mano?”
“Pika!”
Pikachu si mise al fianco del Pokémon d’acqua, intensificando l’attacco. Ad un certo punto, il soffitto crollò, mostrando evidentemente che non era di pietra come lo era la cisterna. Vileplume saltò all’interno del foro, iniziando la sua opera di demolizione, mentre gli altri si arrampicavano seguendo il varco aperto dal Pokémon. Impiegarono molto tempo: Neptune e Pikachu entravano in corridoi e cunicoli che tentavano di distruggere, arrivarono in una saletta intermedia molto più piccola di quella precedente ma senza fermarsi un istante proseguirono nella risalita.
Dopodiché trovarono una specie di botola che i due Pokémon mandarono in frantumi senza problemi, e finalmente si trovarono in una saletta ammobiliata con tavolini e mobili in stile Luigi XVI. Purtroppo, niente finestre.
“Siamo al piano di sopra!” esclamò Ash, euforico, ma nello stesso tempo si gettò a terra per via di una fitta alla schiena.
“Ash!” gridò Misty cercando di accovacciarsi, ma lui si rimise subito in piedi.
“Misty, hai il braccio nero!”
Misty si guardò: dalla spalla al gomito, il colorito era quello di una melanzana… cosa che non la rassicurò per niente.
Uscirono dalla sala, trovandosi nel corridoio.
“Siamo vicini alla stanza da letto” disse Miriam, “per di qua!”
Varcarono un’entrata diversa dalle altre che affacciavano sul corridoio, essendo a due porte evidentemente spesse e color mogano, in più finemente intagliate da decorazioni su tutto il perimetro.
Si chiusero la porta alle spalle, affaticati.
“Ma guarda un po’ chi abbiamo qui”.
Jessiebell era nel bel mezzo della stanza, con una smorfia vittoriosa sul volto di porcellana.
E non era sola.
Totodile, Chikorita, Noctowl, Geodude, Arcanine, Zubath e Meowth la accompagnavano con la stessa smorfia dipinta sui loro musi e, con sorpresa, anche Fearow, Jupiter e Moonlight  - privi di collare – si erano uniti alla terrificante compagnia.
Come Miriam aveva immaginato, con il precedente attacco di Pikachu Jessiebell era riuscita ad intercettarli, ed evidentemente ad anticipare le loro mosse.
“Hai finito di fare i comodi tuoi, Jessiebell!” esordì Brock.
Questa ridacchiò sotto i baffi, senza mutare la sua espressione. “Vedremo” replicò con leggerezza.
“Sei una tiranna!” gridò Misty, “ti ostini a seguire le orme di tuo padre… Perché?”
Jessiebell proruppe in una risatina di circostanza. “Che domande! Perché mi diverte, è chiaro!”
“Che domanda stupida” bofonchiò Ash tra i denti, ma non a voce abbastanza bassa da non essere sentito da Misty.
“Scusami tanto, almeno tu hai idea di che fare?” gli rimbeccò, nervosa.
Ash non replicò. In verità, non aveva la più pallida idea di che cosa fare, ed si rese conto con fastidio che per il momento dipendevano esclusivamente dalle direttive di Miriam.
Le lanciò un’occhiata eloquente. Miriam non mostrava segni di paura o di incertezza, e tuttavia aveva l’impressione che anche lei, sotto sotto, fosse spiazzata almeno quanto gli altri.
Neptune si lanciò con foga contro Jessiebell, ma lei lo scaraventò via, brillando nuovamente di rosso. Il cane guaì sbattendo per terra, tra le urla della sua allenatrice, e allo stesso tempo Jupiter gli si scagliò contro con potenti scosse elettriche che richiesero l’intervento di Pikachu, pronto a difendere il povero Neptune.
“Uno contro tutti, che divertente!” esclamò beata Jessiebell, mentre stava fluttuando nuovamente in preda all’isteria del suo potere. “Pikachu, torna sotto il mio controllo!”
Puntò il dito verso Pikachu nel tentativo di schiavizzarlo, ma il Pokémon strinse forte la mascella e, contro le aspettative di tutti, le tenne testa.
“Cosa…?” Jessiebell rimase interdetta, poi sorrise. “Non vuoi unirti a me, piccolo Pokémon? Come vuoi. Ma sappi che ne pagherai le dovute conseguenze!”
I Pokémon partirono all’attacco, esattamente come era avvenuto al piano di sotto. Ognuno cercava di evitare disperatamente di essere colpito: Brock evitando Zubath e Geodude, Misty Noctowl, Geodude e Zubath, Ash Chikorita, Totodile e Noctowl, mentre pikachu era impegnato assieme a Neptune a sconfiggere i nemici più forti.
Miriam ne approfittò ed aprì la porta, scomparendo alla vista.
“Sta scappando! Fermatela!” gridò Jessiebell, ed in un secondo Jupiter, Fearow e Moonlight abbandonarono i loro obiettivi per andare incontro alla loro stessa allenatrice, che strillò terrorizzata oltre la porta.
“Miriam!” gridò Ash, e Brock si diresse alla porta ma Arcanine gli tirò contro un potentissimo getto di fuoco che lui scansò per poco, ma sufficiente a far saltare per aria una delle porte d’entrata, incendiata.
 Ash doveva fare qualcosa. Assolutamente, qualcosa!
“Jessiebell, ferma!” gridò, “ti propongo un accordo!”
Ciò fu sufficiente ad arrestare tutti i Pokémon. La spaventosa aura di Jessiebell scomparve, e lei poggiò i piedi al suolo, con il suo fedele Vileplume al fianco.
Misty era tutta graffiata, ed aveva sangue in faccia. Fissò Ash con terrore.
Jessiebell, per contro, lo guardava con uno sguardo misto a pietà ed alterigia. I Pokémon le si accerchiarono alle spalle. Ash quindi, cercò di farsi forza ed indurì il suo sguardo.
“Oh-oh, che cosa credi di farmi, ragazzino?” ironizzò Jessiebell con le mani incrociate in grembo. “Paura?”
Vileplume imitò la sua padrona incrociando le zampette in avanti, ed assumendo un atteggiamento altero sillabò: “Vilevile?”
Ash vide Brock che nel frattempo era uscito, nel tentativo di recuperare Miriam. In quel momento capì che l’unica cosa che poteva fare era distrarla, così non solo avrebbe avuto per sé la sua attenzione, ma anche quella di tutti i Pokémon sotto il suo controllo.
“Ti sfido ad un incontro: i miei contro tutti gli altri che sono qui. E se vinco io, tu ci lasci in pace e te ne vai”. Ash non sapeva se stava osando troppo. Non si vedeva, ma sentiva che una gamba gli stava tremando. “… Che ne dici?”
Gli occhi dei Pokémon posseduti si illuminarono per un secondo di rosso brillante, cosa sufficiente a terrorizzare chiunque. Così com’erano, sarebbe bastato il segnale d’attacco per essere finiti.
Jessiebell era immobile come una grossa bambola di porcellana al centro di quel semicerchio di potenziali assassini.
“E se vinco io”, Jessiebell esitò con un sorriso sulle labbra, valutando la posta in gioco. “ Se vinco io mi consegnate la banda del Team Rocket al completo, l’agente dei miei stivali e, naturalmente, tutti i vostri Pokémon”. Ridacchiò sotto i baffi, sicura che l’assurdità della sua offerta avrebbe spiazzato totalmente il ragazzino, il quale le teneva testa con nient’altro che uno zuppo roditore giallo.
“Accetto! Un incontro con tre Pokémon a testa ti va bene?” 

Note:

1)        Il sogno di Ash è volutamente ricco di riferimenti all’acqua, perché lui sta perdendo i sensi annegando e questo si ripercuote nel suo inconscio.

2)       Ash viene chiamato da Delia “Satoshi”. Nella versione giapponese, Satoshi è il vero nome del protagonista (ed è anche il nome dell’ideatore dei Pokémon, Satoshi Tajiri), ma nella traduzione dei fumetti viene spesso chiamato Red (come anche nel videogioco), mentre in quella degli anime viene chiamato Ash. Nella mia FF, Ash non è altro che il diminutivo di Satoshi (c’è anche da dire che Satoshi non ha un cognome; è solo che nella traduzione americana Ash era un nome troppo corto per rimpiazzare nel doppiaggio Satoshi, per cui è nato il cognome Ketchum dal verbo catch, “acchiappare”[sfere poké]). Misty è la traduzione di Kasumi (“nebbia” in giapponese); Brock di Takeshi (qui Brock fa riferimento al tipo di Pokémon roccia che lo caratterizza); Jessie e James sono rispettivamente Miyamoto Musashi e Sasaki Kojirō, dal nome di due grandi samurai di epoca Edo (riferimento: http://it.wikipedia.org/wiki/Miyamoto_Musashi, http://it.wikipedia.org/wiki/Kojir%C5%8D_Sasaki ).

3)       In questo capitolo Pikachu riesce a riprendere i sensi e non torna sotto il controllo di JB. Quindi si deve anche comprendere perché Pikachu non torna sotto il controllo. Non dimentichiamo che Pikachu – sebbene involontariamente - si è macchiato della colpa dell’omicidio di Pluto L’Umbreon.

4)       Vaporeon è in grado di sciogliersi nell’acqua, ecco perché è stato più semplice per lui arrivare alla cisterna.

 
Salve, e scusatemi davvero se ci ho messo una vita ad aggiornare! La vita universitaria non è per nulla facile =_= e per di più, adesso sono in periodo di esami…… >_> “voglia di studiare, scelgo teee!”
E’ stato un periodo davvero movimentato, strano e stressante… dopo la laurea una bella notizia: salvo imprevisti, a partire da settembre scriverò niente di meno che dal GIAPPONE! Ho vinto la borsa di un anno (per poi venire a sapere pochissimi giorni dopo del terremoto e di Fukushima, ma pare che ora la situazione si sia stabilizzata…)
Sarà un periodo molto stressante da qua a settembre tra esami e carte e stracarte da firmare, quindi vi prego di essere clementi e mi raccomando, auguratemi buona fortuna ;-)
Grazie ancora di cuore a chi mi segue nonostante tutto.
Lucenera.

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Capitolo 15
*** Inferno di Fuoco ***


Capitolo 15 - Inferno di Fuoco

“Sukie, Sukie”.
“Che c’è, testa gialla?” scattò Sukie seccata, mostrando però agitazione nella sua voce.
“Ho paura”.
“Come puoi sperare di diventare un maestro di Pokémon se hai paura?” gridò lei, ma la sua voce tremava. Erano soli, di preciso non sapevano dove fossero, e la cosa non era per nulla piacevole.
Era buio, stavano camminando da un bel po’ appoggiandosi alla parete per orientarsi, e l’unica cosa di cui erano certi era che erano zuppi fino alla punta dei capelli.
L’unico rumore che si avvertiva era quello dei loro passi, che risuonava sul pavimento apparentemente morbido con dei continui ciak ciak.
“Sukie…” piagnucolò di nuovo Ben, ma fu subito stoppato da Sukie isterica: “che c’è?”
“Perché ci siamo cacciati in questa situazione?...” piagnucolò lamentoso.
“Guarda che tu ti sei cacciato da solo in questa situazione” lo scimmiottò nervosa.
“Che cosa?”
Sukie si fermò, irritata.
“Comunque avresti preso la tua bici e te ne saresti venuto solo soletto qui a Cross Road, anche senza di me!” spiegò senza controllare la voce.
“Però tu mi hai seguita…”
“Sì, ma non venire a chiedere a me come sei finito qui ché ti puoi rispondere da solo: con la bici!”
Ben, incapace di ribattere a tono, iniziò a frignare.
“Finiscila, testa gialla! Mi fai innervosire ancora di più”.
Ben tirò su col naso un paio di volte, mentre proseguivano il cammino.
“Credo che mi verrà un raffreddore”.
“E ti sta bene”.
Sukie finì quasi per sbattere contro una parete comparsa all’improvviso e cadendo all’indietro face rotolare per terra anche il povero bambino, colto alla sprovvista. Quindi l’ipotetico corridoio pareva girare a sinistra. Altra scelta non c’era se non continuare da quella parte.
“Chissà dove stiamo andando” borbottò Sukie, perplessa.
Non avevano idea di come erano finiti lì. Dopo che l’acqua li aveva inondati tutti, Sukie aveva totalmente perso cognizione di cosa stesse accadendo perché un’ondata l’aveva trascinata sott’acqua. Se non fosse stato per Ben, che in qualche modo l’aveva riportata a galla tirandole i capelli – certo un modo non troppo delicato – avrebbe come minimo perso i sensi. Si erano ritrovati presso quelle che dovevano essere delle scale di collegamento, tutte marce e semi-distrutte dall’impeto dell’acqua, e dopo averle salite con non poca fatica avevano fatto capolino nel buio più profondo.
Non sapevano se si stavano avvicinando o allontanando all’uscita. L’unica cosa che importava, in quel momento, era sbucare fuori da quel limbo nero.
“Secondo te stanno bene?”.
“Chi?” chiese Sukie, sovrappensiero.
“I nostri Pokémon”.
A Sukie salì un groppo in gola.
“Non lo so”.
Il pensiero che qualcosa di veramente brutto sarebbe potuta accadere al suo unico Scy la metteva ancora di più in agitazione. Aveva sempre pensato che la lotta tra Pokémon non fosse altro che un gioco, ma dopo la morte di quell’Umbreon non poteva essere più sicura dell’incolumità del suo Scyter.
“Chissà se Oal e Shroommy stanno bene”. Disse poco dopo Ben, riferendosi al suo Flareon e al suo Shroomish.
“Sono certa che stanno bene” lo rincuorò subito, sebbene non ci credesse nemmeno tanto lei.
Ben aveva assistito a battaglie Pokémon fin da quando aveva memoria, e per via della professione dei suoi genitori ne aveva visti tanti, di tutte le risme e di tutti i livelli di forza.
Ma non aveva mai visto un Flareon conciato così male come quello di Miriam, abbattuto come se fosse stato debolissimo. Ovviamente la cosa lo metteva parecchio a disagio: come avrebbe reagito alla vista del suo Oal nelle stesse condizioni?
Svoltarono di nuovo.
“Guarda là” disse a un tratto Sukie, appena girato l’angolo a tentoni.
Da lontano si vedeva una luce, simbolo che ormai il loro vagare nel buio era finito.
Doveva esserci una porta, perché la luce sembrava venire dal basso, e illuminava fiocamente il corridoio ma a sufficienza perché i due potessero finalmente distinguere i contorni dei loro piedi.
In un battibaleno si lanciarono in una corsa sfrenata lungo il corridoio, in effetti c’era una porta, con foga Sukie tirò la maniglia verso di sé con Ben al suo fianco, “forse sono gli altri…”
Si ritrovarono faccia a faccia con Oal.
“Oal!” esclamò il ragazzino, contento. “Stai bene!”
Ma Sukie non lo credette affatto. Il Flareon aveva gli occhi tinti di magenta, e li fissava spiritato. Questo fu sufficiente a farla sudare freddo, e il battito del suo cuore raggiunse una velocità mai toccata prima alla vista dell’ambiente attorno al Pokémon: completamente invaso dalle fiamme, vive, ardenti, accecanti fiamme arancioni si stavano mangiando tutto senza alcuna pietà, il caldo sulla sua faccia la inorridì fino a farle rizzare il cuoio capelluto.
Quando anche Ben si rese conto che qualcosa non andava, Sukie aveva già sbattuto la porta in faccia al Pokémon ringhiante minaccioso, e strillando come un’ossessa aveva afferrato il polso del suo amico e si era voltata a correre.
“Ma che fai?” strillò Ben, ma lei non lo sentì e continuò a fuggire urlando; mollò la presa quando raggiunsero il muro, e prese a fare a ritroso il corridoio da cui aveva tanto voluto uscire, seguita da Ben che le gridava dietro: “Sukie, Sukie, sta’ calma!”
Sukie correva con le lacrime agli occhi, terrorizzata, “non ci segue!” le gridò dietro Ben, e in quel momento lei si arrestò ritrovandosi nel buio. Si girò e vide la sagoma di Ben alle sue spalle, con respiro affannato.
“Hai… visto… Oal… sta bene…” gli disse ironica, ansimante anche lei per la corsa e la paura.
In quell’istante udirono un rumore che li fece sobbalzare entrambi.
“Cos’è stato?”
Dei passi si facevano sempre più vicini. Sempre più vicini.
“C’è qualcuno?...” disse ancora Sukie, timorosa.
“Non è qualcuno” la corresse Ben, questa volta impietrito.
Il rumore non era di passi, bensì… di zoccoli.
A piombare nel corridoio fu la figura maestosa ed incendiata del Rapidash di Phil che aveva svoltato senza rallentare la sua corsa ed ora puntava dritto verso di loro.
Era praticamente una palla di fuoco che sfrecciava a tutta velocità in loro direzione. Sukie perse ogni cognizione di sé stessa, era praticamente pietrificata.
Il Flareon era vicino, il fuoco la accecava, correva verso di lei, era bollente, vicino…
“No! Sukie!” con tutta la forza, Ben la tirò di lato. Sukie avvertì l’odore dei suoi stessi capelli bruciati e si riebbe dalla sua paralisi strillando come un’ossessa e dandosi schiaffi nel terrore di avere la testa in fiamme.
“Sukie, stai bene, Sukie!” le gridò Ben cercando di fermarle le braccia.
Il Pokémon equino aveva corso fino in fondo al corridoio, arrestandosi fino a quasi perdere l’equilibrio per via della velocità della sua galoppata. Si girò indietro verso i due ragazzini spaventati, nitrendo terrificante, ed emanando getti di vapore dalle narici si preparò a caricarli sbattendo lo zoccolo anteriore per terra.
“A… andiamo, corri!” le disse Ben che aveva subito intuito le intenzioni del cavallo, tirò Sukie e sfrecciarono entrambi come saette nel tentativo di sfuggire alla furia del Rapidash alle loro calcagna. Svoltarono quasi scivolando per la fretta, quando Sukie e Ben si arrestarono di fronte alla luce e al calore della stanza incendiata. Probabilmente il Rapidash doveva essere venuto fuori da lì: la porta era sfondata mostrando l’inferno della camera, il Flareon a guardia abbaiò loro minaccioso.
“Oal, ti prego! Sono io!” pregò il bambino, ma sembrava non esserci nulla da fare.
“Siamo finiti! Finiti!” gridava Sukie in preda al panico, e il Rapidash che aveva appena imboccato il corridoio si stava preparando a caricare.
Questa volta entrambi strillarono insieme: erano spacciati.
Rapidash, con un nitrito spaventoso, emise dalle narici del fumo rovente e il pavimento del corridoio fu avvolto dalle fiamme. Sukie emise un grido di puro terrore.
Rapidash si fece strada tra il fuoco e alzò gli zoccoli su di loro, pronto a schiacciarli: Ben prese in mano la situazione, e con tutte le sue forze spinse Sukie pietrificata per terra; entrambi rotolarono sotto la pancia infuocata del Pokémon che iniziò quindi a battere freneticamente le zampe posteriori per colpirli. Sukie era così terrorizzata da non avere nemmeno più fiato per urlare, ma Ben che era abituato ai Pokémon seppe star pronto e a spingerla via da sotto le zampe di Rapidash non appena lui le sollevò; con poche bruciature e senza nemmeno un graffio, Ben e Sukie riemersero alle spalle del Pokémon-cavallo oramai quasi del tutto fuori controllo.
Oal, nel tentativo di schivare il Rapidash imbizzarrito, spiccò un salto e dove atterrò il pavimento cedette distraendolo. Fu questione di un attimo: il Rapidash impazzito, senza accorgersi di colpire un alleato, calò i suoi potentissimi zoccoli su di lui.
“No, Oal!” urlò Ben quanto più forte poté, e Sukie non fece in tempo a fermarlo che lui si era già gettato al collo del suo Pokémon.
Era finita, mezzo secondo e sarebbe stato sfracellato.
Un turbine di fuoco si levò a contrastare la fiamma potente di Rapidash. Ben si ritrovò sorprendentemente illeso e protetto, stringendo al collo il suo amato Flareon intento a reggere il confronto con Rapidash mediante un potentissimo attacco di fuoco.
“Oal!” esclamò il ragazzino, avvolto dalle fiamme e tuttavia immune da esse.
Affondò le mani nel pelo del suo Pokémon-cane, caldo e accogliente, giocando con il fuoco che non poteva fargli più nulla.
Rapidash, in parte perché già fuori di sé, non seppe reggere l’attacco improvviso e stramazzò a terra tra le fiamme, privo di forza.
Ben e Oal si avvicinarono a Sukie che stava accovacciata in un angolo tenendosi la testa far le mani della paura.
Oal tirò a sé il fuoco quasi risucchiandolo, ed in breve le fiamme si estinsero. Del fumo di legno bruciato sicuramente non salutare aveva creato una sottile cortina nel corridoio semibuio.
Ben toccò un braccio di Sukie, e questa strillò.
“Sukie, Sukie!” chiamò Ben scrollandola, “sono io!”
Sukie aprì gli occhi esterrefatta, e lo guardò. Ben sorrise, mentre Oal gli faceva le feste.
“Tu… com’è possibile?...”
Si girò e vide il Rapidash steso per terra, privo di coscienza e dal respiro affannoso.
“Per qualche motivo, Oal è tornato normale” sorrise Ben. Sukie si alzò in piedi, guardandosi bene dall’avvicinarsi al Pokémon del suo amico.
“E chi ci garantisce che non sarà impossessato di nuovo?” azzardò lei timorosa.
“Beh, per ora possiamo fidarci, credo” rispose Ben, e in quel momento Oal abbaiò festoso e si mise su due zampe per leccarlo in faccia, quasi facendolo cadere per terra. “Oal, fermo, Oal!” ridacchiò il suo padroncino, altrettanto contento.
“Adesso però dobbiamo andarcene da qui” li interruppe Sukie ansiosa, e il suo sguardo si posò sulla stanza ancora ardente da cui erano sbucati fuori i due Pokémon.
“Oal ci troverà una strada” disse prontamente Ben. “Vero, Oal?”
Oal abbaiò affermativamente, e condusse i due ragazzini all’imbocco della stanza. C’era troppo fuoco perché Oal potesse estinguerlo come aveva fatto nel corridoio, e l’intenzione chiara del Pokémon era di aiutare i suoi due amici a superare le fiamme seguendolo.
Oal abbaiò verso di loro e fece da apripista entrando nella camera. Ben avanzò seguendo il percorso del suo amico, poi si girò verso Sukie:
“Andiamo, Sukie!”
“Non c’è un’altra via?” chiese Sukie, per nulla convinta dell’opzione proposta dal Flareon.
“Dobbiamo superare la stanza per forza di cose!” gridò Ben. “Sbrigati!”
Ma Sukie non ebbe il coraggio di muoversi.
“E tu vorresti… essere… una maestra… Pokémon?” la provocò il biondino, la fronte sudata per il caldo e con difficoltà a respirare. “Tsé! Sei… di Fire… City… e hai paura… di due… fiammelle!”
Sukie fece il primo passo nell’inferno di quella camera in fiamme.

 

Salve! Lo so, aggiorno ogni morte di Papa, e mi dispiace.
A differenza di quanto vi sareste aspettati, questo capitolo non ha niente a che fare con l’incontro di Pokémon che Ash dovrà disputare con Jessiebell… mostra bensì cosa sta accadendo a Ben e Sukie nello stesso momento da un’altra parte della casa.
Quando ho scritto la prima versione di questa storia, inconsapevolmente avevo relegato i due ragazzini ad un ruolo di secondo piano assieme a Miriam e Phil. Mi sono quindi chiesta: e perché mai, allora, inserirli nella storia? Ho pensato che anche Sukie e Ben dovessero meritare un posticino nella ff, non solo come presenze che seguono Ash e compagnia passivamente.
Ben è illeso dalle fiamme perché è il padrone di Oal, e l’animale si fida di lui. E’ la stessa situazione che si vede nell’episodio 33 della prima serie “Flame Pokémon-athon” in cui Ash tocca Ponyta, ma visto che il Pokémon non si fida di lui lo fa ustionare - a differenza di quando è la sua padrona a toccarlo.
Grazie ancora per la vostra attenzione, e al prossimo capitolo!
Lucenera.

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Capitolo 16
*** Lotta con la Dama ***


Capitolo 16 – Lotta con la Dama

“Molto bene, stavo cominciando ad annoiarmi” commentò Jessiebell. “Suppongo che un piccolo divertissement non potrà che scuotere il tedio di questa serata”.
I Pokémon si allinearono di fronte a lei simultaneamente, così perfetti che intimorirono lo stesso Ash. Pikachu li guardava, con la stessa perplessità negli occhietti scuri.
“Scegli pure” disse Jessiebell. “Hai solo due Pokémon con cui combattere, povero caro. Sarebbe sleale se non ti concedessi uno dei miei per l’incontro”.
Il fatto che Jessiebell si era riferita a quelli come a suoi Pokémon mandò Ash in bestia. Tuttavia aveva ragione: secondo i patti, gliene serviva ancora uno. Li guardò, valutando bene la scelta: aveva due Pokémon di Fuoco, uno d’Erba, due Normali e uno di Roccia – Meowth era senz’altro da scartare. Era tentato verso i suoi Pokémon, che sicuramente conosceva meglio… Tuttavia l’Arcanine sembrava abbastanza forte, d’altronde aveva già un Pokémon d’Acqua e se avesse preso Totodile avrebbe formato una squadra squilibrata.
“Dobbiamo restare qui ancora per molto?” lo incitò lei sarcastica, controllandosi le unghie con l’unico scopo di farlo agitare.
“Ho deciso” dichiarò Ash. “Noctowl, scelgo te”.
Jessiebell sorrise beffarda. Il Pokémon fece un breve volo in circolo sulle loro teste, planando proprio affianco a Pikachu che lo scrutava con un misto di odio e di commiserazione.
“Anche io ho deciso quali Pokémon userò” disse quindi Jessiebell. “Sarebbe ingiusto ai fini dell’incontro se mi riservassi il diritto di scegliere a battaglia iniziata tra un’ampia gamma di Pokémon, non trovi?” ridacchiò frivola, poi batté le mani. I Pokémon indietreggiarono fino a posizionarsi alle sue spalle, lasciando nei ranghi solamente Juppiter, Fearow e Moonlight.
Ash si morse il labbro. Era prevedibile che avrebbe scelto i Pokémon di Miriam, perché erano quelli con il livello più alto. Si stupì che non aveva scelto Arcanine, che pure sembrava forte, ma valutò che questo non poteva che giocare a suo vantaggio(1).
“Ragazzina” si rivolse con aria di sufficienza a Misty.
“Di-dici a me?” chiese Misty spiazzata, puntandosi l’indice al viso(2).
“Sii gentile, riusciresti a tenere il punteggio? Purtroppo non ci sono arbitri esperti nei paraggi, e dobbiamo ricorrere alle risorse limitate disponibili”.
A Misty non piacque per nulla il modo in cui aveva accennato a lei, ma non aveva altra scelta. Avanzò fino a sistemarsi ad un lato della sala, giusto a metà distanza tra Jessiebell ed Ash. Diede un’occhiata ad i Pokémon posseduti dietro Jessiebell, tra le cui fila c’era anche Vileplume. I Pokémon ricambiarono l’occhiata con aria minacciosa, e Misty, sentendosi un brivido percorrerle la schiena, distolse subito lo sguardo.
“Si scelgano i Pokémon per il primo round” annunciò Misty con voce tremante.
Ash sapeva benissimo chi far scendere in campo. “Noctowl, sclego te” disse senza smettere di guardare fisso Jessiebell. Questa accennò una risatina e scosse leggermente la testa, i boccoli le volteggiarono intorno.
Tingendosi gli occhi di rosso acceso, Fearow planò davanti a lei.
Ash già sapeva di essere in trappola. Come avrebbe fatto a sconfiggere un avversario che aveva tutto il gioco praticamente nelle sue mani?
Ma valeva lo stesso tentare. Togliersi di torno il suo stesso Pokémon posseduto per primo era, ovviamente, la scelta più saggia: avrebbe potuto rifarsi negli altri due round.
“Pokémon d’Aria contro Pokémon d’Aria” constatò Ash divertito: si vedeva bene che Jessiebell non era un’allenatrice di Pokémon.
“In posizione” Misty richiamò l’attenzione dei due. “Via!”
Ash non perse tempo: “Nowtowl, Aeroattacco!”
Contrariamente alle aspettative, il Noctowl posseduto si scagliò contro il Fearow in un modesto Aeroattacco, non riuscendo però per mancanza di foga nell’affondare il colpo contro il suo avversario che si scansò con molta facilità.
Jessiebell ridacchiò divertita. “E quello sarebbe un Aeroattacco? Ti faremo vedere io e Fearow come si combatte!”
Fearow partì senza indugi all’Inseguimento di Noctowl, svolazzante per la stanza.
“No, Noctowl! Usa Baraonda!”
Ma Ash non riuscì a dare il comando: si sentì d’un colpo assopito, preda dell’attacco Ipnosi del suo stesso Pokémon. In quei due secondi in cui Ash avvertì il vago giramento di testa, Noctowl non aveva fatto altro che arrestarsi e diventare così preda del Perforbecco di Fearow, finendo al tappeto.
“C-cosa?” Ash rinvenne completamente, guardando il povero Noctowl steso al suolo, un’ala evidentemente conciata male.
“Noctowl!” Ash si chinò verso il Pokémon, ormai fuori uso.
“Noctowl non è più in grado di combattere” annunciò Misty con voce tremante. “La vittoria spetta a Fearow e a Jessiebell”.
“Uno a zero, caro mio!” ridacchiò Jessiebell facendo una giravolta seguita dal suo Vileplume. “E’ stato facile!”
Ash digrignò i denti: “Tu…” Non finì di parlare perché Misty richiamò la sua attenzione:
“Lascia perdere, Ash”.
Misty aveva ragione. Si era immaginato una tale mossa sleale, in fondo Noctowl giocava contro la sua squadra.
“Non cantare ancora vittoria, Jessiebell” le disse invece, “hai vinto solo il primo round”.
“Si scelgano i Pokémon per il secondo round” annunciò nuovamente Misty.
“Neptune, ce la fai?” chiese Ash al Pokémon in prestito. Pareva alquanto malconcio, nonostante ciò il suo spirito di sacrificio era più forte: il cane abbaiò facendo un cenno con il capo e si piazzò un metro più avanti del giovane allenatore.
Jessiebell squillò una falsa risata.
”Espeon, tocca a te!”.
Il Pokémon d’Eve, fino a poco prima compagno di squadra del Vaporeon, si mise in posizione ringhiando.
Ash vide la situazione farsi molto complicata. Espeon era un Pokémon psichico, e a quanto aveva capito questo non poteva che rafforzare Jessiebell. Forse era anche per questo che Noctowl era riuscito ad inibirlo, essendo anche lui dotato di abilità psichiche. Vaporeon era un Pokémon d’acqua, ma da quanto aveva potuto constatare era dotato di capacità formidabili: tutto merito di Miriam. Forse sarebbe riuscito a tenere testa all’avversario, tuttavia era provato e non poteva dire quanto il fatto di combattere contro un compagno avrebbe influito sulla resa.
“In posizione” ordinò Misty tremando. “Via!”
Neptune sembrò effettivamente spaesato nei primi minuti, intento ad evitare di far male a Moonlight. D’altro canto, Moonlight non si risparmiava negli attacchi, usando persino un Confusione ed un Iper Raggio, entrambi senza successo.
“Vai, Espeon” esortò frivolmente Jessiebell, “finiscilo!”
“Neptune, fa’ qualcosa!” strillò Ash fuori di sé. Non sapeva nemmeno quali e quanti attacchi era in grado di eseguire il Vaporeon, aveva le mani legate.
Neptune stava per essere colpito da uno Psicoraggio, e quello sì che avrebbe fatto male. Guardò in faccia Moonlight, era suo fratello. Ma anche Pluto era suo fratello. E come si stavano mettendo le cose, avrebbe potuto fare presto la stessa fine.
Neptune si scansò dallo Psicoraggio, e conoscendo bene il suo avversario seppe agire nel momento opportuno: si scagliò contro Moonlight con un potente attacco Spaccaroccia, lasciandolo al suolo privo di sensi.
“Espeon non è più in grado di combattere” annunciò ancora Misty, un po’ più sollevata. “La vittoria spetta a Vaporeon e ad Ash”.
“Ma non è possibile!” commentò Jessiebell, cercando di contenere l’ira. “E va bene, uno te l’ho concesso. Ma il prossimo round ti garantisco che il mio Jolteon non sarà altrettanto clemente”.
Ash non poteva credere lui stesso che Neptune sarebbe stato così bravo. Lo vide tornare nei ranghi zoppicando, mentre Moonlight veniva spinto da parte dagli altri Pokémon posseduti. Ora era la volta dei due Pokémon elettrici: altra scelta male operata da Jessiebell, eppure al primo round lui non aveva avuto la meglio come sperava.
“Pika – chu!” squittì il roditore al padrone.
“Sì, non bisogna arrendersi” si incoraggiò Ash, e si decise a reggere lo sguardo del suo avversario.
“Pikachu, in campo”.
“Bene, ed io faccio scendere in campo Jolteon” informò Jessiebell.
“In posizione… Via!”
Quello tra Jolteon e Pikachu fu essenzialmente un duello personale a suon di scariche elettriche: era evidente che a trovarsi in difficoltà relativamente maggiore era il topolino, molto più impegnato a correre per evitare di essere colpito piuttosto che ad impegnarsi per l’offesa. La fortuna stava tuttavia nelle sue dimensioni ridotte e nella velocità, riuscendo ad essere molto più svelto del suo avversario il quale, malgrado senza troppi danni, aveva ricevuto qualche colpo. Ma Pikachu sapeva che se in un primo momento la scarica elettrica indeboliva Jolteon, dopo lui sarebbe stato ancora più forte proprio per aver ricevuto la carica giusta di elettroni.
“Non puoi correre per sempre, topolino!” ridacchiò Jessiebell, fiduciosa della sua sconfitta. Ma questa era l’ennesima conferma di come le apparenze possano ingannare: lei non conosceva Pikachu.
D’improvviso gli sembrò di sentire un’oscura presenza nella sua testolina:

Colpisci il tuo padrone. Fallo.
Pikachu cercò di scuotersi questo pensiero di dosso, ma sembrava difficile.
Fallo. Colpisci chi si prende il merito al posto tuo. Colpisci il tuo padrone.
Ma Pikachu sapeva bene di non avere padroni.
Si arrestò.
Jolteon sembrò sogghignare alla vista di Pikachu che riprendeva fiato, e caricò. Pikachu restò immobile fino all’ultimo secondo, poi saltò per aria sotto lo sguardo attonito del Pokémon d’Evee: anche lui l’aveva sottovalutato, credendo che una semplice combinazione di Attacco Rapido e Tuonoshock finale sarebbe bastato a toglierlo di mezzo. Ma non aveva fatto bene i suoi conti, e Pikachu glielo rese noto dipingendosi sul musetto una perfida smorfia.
“Piii….kaa….”
Pikachu scese in picchiata sul suo nemico con una capriola, e affondò la coda brillante come il metallo.
“…Chuuuuu!!!”
Un eccezionale Codacciaio congiunto ad un Elettroshock terminarono definitivamente il povero Jolteon, sbalzato in aria dopo il fendente alla schiena.
“Jolteon non è più in grado di combattere. La vittoria spetta a Pikachu e ad Ash” Misty tirò un respiro di sollievo, poi continuò: “L’incontro è stato vinto dalla squadra di Ash per due a uno”.
“Sì, ce l’abbiamo fatta!” esultò Ash alzando un pugno in aria, e si voltò a sorridere verso Misty. Misty accennò un sorriso, ma non sembrava granché in vena di festeggiare.
Jessiebell era rimasta in un primo momento pietrificata dallo stupore, per poi esplodere in un infantile “non è giusto! Non è giusto! Dovevo vincere io!” battendo ripetutamente il tacco destro sul pavimento. “Vile Vile Vilepluuuume!” si lamentò anche il suo Vileplume, quasi infierendo contro Moonlight e Jupiter incapaci di muoversi.
“Rispetta i patti, lasciaci andare” ordinò Ash a Jessiebell, serio in volto. “Pika-chaa!” Pikachu sembrò intimare la stessa minaccia al Vilplume, piccole scariche elettriche emanate dalle gote rosse.
Jessiebell rimase in silenzio un attimo, quasi a chiedersi se lui avesse davvero detto quelle parole. Dopodiché sorrise, e rise di gusto chiudendo gli occhi.
“Ma non ci penso neppure lontanamente…”.

 

Note:
(1) Sebbene non sia stato intenzionale da parte mia, la scelta di scartare Arcanine potrebbe suonare plausibile dal momento che Jessiebell odia i Growlithe con tutta se stessa. Non avrebbe molto senso, quindi, “preferire” una sua evoluzione.
(2) Mentre noi occidentali per auto-indicarci mettiamo la mano sul petto, i giapponesi si puntano il dito verso il naso. Ecco spiegato uno di quei strani gesti stereotipati che possiamo trovare nei cartoni.

 
Salve! Lo so, sono una frana nella descrizione degli incontri… Perdonatemi! Almeno sono riuscita ad aggiornare ad una settimana dall’ultimo capitolo :-D spero di aver comunque svolto un lavoro decente. Ci vediamo presto con il prossimo capitolo!
Lucenera.

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Capitolo 17
*** Vi eliminerò tutti ***


Capitolo 17 – Vi eliminerò tutti

“…Come?!”
Jessiebell allargò il sorriso sul suo volto di porcellana.
“Questa situazione mi diverte molto. Giocherò ancora con voi, e quando mi sarò stancata vi eliminerò” spiegò con compiacimento. “Credevi davvero che una stupida sfida avrebbe salvato la vita a tutti? Illuso”.
La donna proruppe in una risata molto meno contenuta che in precedenza, illuminandosi gradualmente di rosso tanto da apparire quasi spettrale. I boccoli le fluttuavano intorno, ed anche il suo Vileplume sembrava essere invaso da quell’aura demoniaca stando a mezz’aria e gongolando in grotteschi versi da Pokémon.
Ash e Misty la osservarono con puro terrore.
“Ed ora è il tuo turno, Arcanine” esclamò Jessiebell completamente impazzita, volteggiando su di sé a un metro da terra come una ballerina da carillon, “compi il loro destino!”
In quel preciso istante, Arcanine si lanciò ringhiando e sbavando all’inseguimento di Ash che schizzò veloce verso la porta mezza sfondata, il cane l’aveva quasi raggiunto ma Pikachu intervenne rallentandolo con una scossa elettrica; Totodile e Chikorita si avventarono su Misty, ma Neptune seppe tenerli a bada e tutti riuscirono ad uscire dalla stanza infernale imboccando il corridoio; dopo pochi passi un braccio sbucò fuori da una stanza tirando a sé Ash seguito da Misty e i due Pokémon. La porta si chiuse alle loro spalle.
“Ma che…”
“Shh!”
Brock lo zittì immediatamente, ma non servì a molto: un colpo potente contro la porta era il segno che Arcanine li aveva scovati.
“Togliamoci di qui!”
Si scansarono giusto in tempo, prima che Arcanine facesse saltare la porta con un potente attacco di Fuoco. Trucioli volarono da tutte le parti; Neptune si piazzò a difesa ringhiando, debole.
“Toh, giusto un nuovo giocattolino!” ridacchiò Jessiebell fluttuando nella camera, mentre Arcanine si teneva in attesa di ordini assieme agli altri Pokémon accorsi assieme alla nobildonna.
Arcanine abbaiò, pronto a sferrare l’attacco.
“No, ci penserò io” lo bloccò Jessiebell con una voce atona, quasi spettrale. Spalancò la mano davanti a sé, ed un getto di fuoco sembrò scaturire dal suo palmo aperto – senza dubbi, influenza dell’Arcanine presso di lei.
Ash, Misty e Brock urlarono: il fuoco li avrebbe centrati, e nemmeno i due Pokémon dalla loro parte avrebbero potuto fare qualcosa.
“Non così in fretta!” una vocetta aveva gridato, un rombo improvviso ed ecco che la fiamma era stata sbalzata via da un altro potente getto di fuoco. Jessiebell, confusa, chiuse la mano a pugno guardando oltre il suo obiettivo.
L’enorme camino dall’altro lato della sala era stato sfondato, e fumo nero vi fuoriusciva.
Pikachu si tenne in allerta, in attesa del pericolo.
“Dovrai vedertela anche con noi!”
Ben e Sukie, neri di fumo e fuliggine da capo a piedi, uscirono a testa alta dalla crepatura nel camino con il fierissimo Flareon tra di loro.
Jessiebell - così come i suoi nemici - rimase interdetta qualche secondo, ma questo spiazzamento durò poco.
“Cosa credono di poter fare due bambini ed un Flareon a me?”
La sua voce suonava terrificante, quasi da un altro mondo. Jessiebell allungò un braccio davanti a sé nel tentativo di schiavizzare Flareon, ma la sua espressione fece ben intendere che aveva fallito.
“Com’è poss…”
Qualcosa sfrecciò fuori dal camino distrutto e roteò in aria ad una velocità spaventosa, colpendo, pur senza abbatterlo, il rabbioso Arcanine. Jessiebell, ancora più disorientata, guardò l’oggetto che era atterrato al pavimento, ritto su due punte.
“Sta… Staryu!” gridò Misty di gioia immensa.
Il Pokémon Stella aveva osato sfidare un Pokémon grande e potente come quello. Di colpo sul volto di Jessiebell si dipinse rabbia furiosa, ed agitò le braccia in aria strillando:
“Finiteli, TUTTI!”
Totodile, Chikorita, Zubath, Geodude, Meowth ed Arcanine ingaggiarono una lotta all’ultimo sangue con i tre Pikachu, Neptune e Flareon, mentre Ben e Sukie fecero segno ai ragazzi di seguirli nell’uscita. Jessiebell rivolse la sua attenzione allo Staryu che aveva osato un tale affronto, ma invece che possederlo lo immobilizzò con un Inibitore: il Pokémon era ora incapace di spostarsi. A questo punto, lei gli aizzò con furia Arcanine contro, ma nel momento in cui il Pokémon posseduto stava per mandare al tappeto il piccolo avversario Misty gli si parò davanti. Il cane afferrò con i denti un piede di Misty, pronto a staccarglielo; Staryu riuscì a liberarsi dall’Inibitore e a colpire con una punta il cane sulla testa, facendogli mollare la presa.
Misty, con le lacrime agli occhi, ansimò alzandosi aiutata da Ash:
“Stai bene?”
“Sì…”
“Andiamo!” gridò Sukie.
“Grazie, Staryu” riuscì a dire Misty prima di fuggire con i gli altri al riparo.
“Non scapperete così facilmente!” strillò Jessiebell fuori di sé, e in un lampo tutti i Pokémon posseduti abbandonarono la lotta con i rispettivi avversari per fiondarsi contro i ragazzi in fuga.
“Correte!”
Tutti entrarono nel camino, seguiti a ruota da Pikachu, Neptune, Oal e Staryu: all’imbocco, il gruppo di Pokémon collaborò per rallentare i nemici, ed una lastra di marmo crollò facendo innalzare fuliggine nera e bloccando momentaneamente i loro inseguitori.
“Presto, di là!” disse Sukie indicando oltre la parete sfondata del camino, e corsero in quella direzione.
Tutto aveva un odore insopportabile; l’aria era umida ed irrespirabile, ed in un primo momento Ash, Misty e Brock non capirono il perché. Fu con un po’ di luce emanata dalla bocca di Flareon che riuscirono a vedere cosa ne era di quell’ambiente.
“…Cosa è successo qui?”
“Era tutto in fiamme” spiegò Ben, cercando di evitare le zone del pavimento di legno bagnato più cedevoli, “ma i Pokémon della ragazza ci hanno spento tutto”.
Pozze d’acqua costeggiavano il pezzo di pavimento non crollato su cui tutti camminavano. Dopo di questo ambiente, i ragazzi superarono lo squarcio davanti a loro e in quel frangente Ash, in coda al gruppo, sarebbe certamente caduto giù se una mano forte non lo avesse tirato subito.
“Chi è?”
Ben e Sukie tirarono il fiato.
“…Phil!”
L’uomo era evidentemente sconvolto, e reggeva per un braccio una Miriam sporca e sanguinante.
“Miriam!” esclamò Brock, “i Pokémon ci avevano divisi prima di tornare indietro” disse esterrefatto. “Ti sei ferita, io sono caduto e ti ho perso di vista”.
“Meno male che c’era Phil” tossicchiò lei, “stavo per farmi seriamente male, ma mi ha salvato la pelle”.
“Phil, c’è la pazza che ci insegue” disse Ben con evidente paura.
“E questi Pokémon non sono impazziti?” domandò lui, riferendosi a Pikachu, Flareon e Staryu.
“A quanto pare sono rinsaviti” disse Ash.
“C’è un’uscita nella camera di là” Miriam indicò un punto alla sua destra. “Sfondate la parete, non è di pietra” ordinò debolmente: Flareon, Neptune e Pikachu indirizzarono i loro attacchi al muro che cedette facilmente, ed entrarono.
Era un ambiente molto grande, doveva essere una camera da letto.
Dal pavimento in grandi lastre di marmo rosa di primissima qualità alle pareti rivestite di pura seta decorata in fantasie rosso carminio e bianco, ai mobili che avevano tutta l’aria di essere tra i più preziosi dell’intero palazzo: un armadio dalla rivestitura in oro e avorio era chiuso al lato opposto di dove si trovava un grosso letto matrimoniale a due piazze ed alto mezzo metro, dalle coperte ancora ben sistemate ed il copriletto completamente in fili d’oro, al cui centro era ricamato uno stemma elaborato con motivi di fiamme e nastri blu elettrico.
“E’ uno stemma della città” informò Phil, guardandolo.
Ad un certo punto udirono il crollo del camino nell’altra sala, e si guardarono tutti spaventati.
“Andiamo!” Miriam, ancora appoggiata a Phil, indicò la porta-finestra che Brock si sbrigò subito ad aprire, provvista di un balcone semicircolare. “Salite… sul… tetto…” Miriam parlava a fatica, “io… resto qui, devo ancora trovare…”
“Tu non troverai un bel niente”.
Geodude si fiondò letteralmente sul capo di Brock, facendolo stramazzare a terra privo di sensi. La portafinestra sbatté, restando semichiusa.
“Brock!” Ash e Misty strillarono all’unisono alla vista del loro compagno a terra: Misty lanciò un urlo più forte alla vista del sangue dalla testa, e si inginocchiò verso di lui. Non aveva però fatto i conti con Geodude il quale aveva preso la rincorsa verso l’alto, pronto a spaccarle la testa; urlò di paura, ma Staryu seppe roteare prontamente e schiacciare il suo avversario dall’altra parte della stanza.
Jessiebell aveva fatto il suo ingresso nella camera, trionfante. Lanciò un’occhiata a Miriam.
“Vedo che ci rincontriamo” commentò, apparentemente meno insana di quanto non sembrasse fino a cinque minuti prima. “E’ un peccato che non ti sei rotta qualche osso di troppo”.
Miriam non poté sopportare oltre: “chi diavolo credi di essere per manovrarci in questo modo?” gridò rabbiosa, suscitando nient’altro che le risa di Jessiebell.
“Chi sono io?” domandò, e allo stesso tempo i Pokémon posseduti ripartirono all’attacco;
“… Che domande, sono un’autentica Thomps!”
Vileplume aveva notato che Ben e Sukie stavano cercando di avvicinarsi alla donna senza farsi notare e quindi era partito con un forte attacco di spore inibitrici per indurli a  desistere, però Flareon bruciò le spore con il suo alito di fuoco, sbalzando Vileplume al punto da gettarlo su Zubath e Geodude i quali caddero al suolo vittime del veleno. Miriam e Phil, che erano stati oggetto dei loro attacchi, tirarono il respiro al vederli piombare ai loro piedi.
“No, no!” Jessiebell strillò con voce acuta, “No!”
Vileplume, scaraventato anch’esso a terra, si rialzò imitando alla perfezione l’espressione contrita della propria padrona: “Vile, vile! Vile-plume!”
Meowth si lanciò contro i due ragazzini, attaccandosi alla faccia di Ben con gli artigli mentre Sukie tentava disperatamente di staccargli il felino di dosso; nel frattempo, Pikachu e Neptune si trovarono a fronteggiare da soli Totodile, Chikorita ed Arcanine.
Misty era accovacciata accanto a Brock, le lacrime agli occhi. Ash volle avvicinarsi a loro due proprio mentre Miriam gridava con quanto fiato aveva in corpo: “andate!”, ma un dolore tremendo alla schiena lo costrinse a gettarsi al suolo.
Jessiebell vide che il ragazzino era scoperto ed incapace di muoversi, e si rese conto che non avrebbe dovuto perdere l’occasione: quindi, i tre Pokémon ripiegarono subito su di lui, ma Pikachu non poteva permettere che facessero del male ad Ash.
“Pika!” squittì furioso, quasi a voler ricordare ai tre che l’avversario era lui. Tuttavia non gli diedero alcun ascolto, e lui non ebbe altra scelta che ingaggiare una lotta disperata per la protezione di Ash, rispondendo agli attacchi e cercando di evitare che il ragazzino fosse colpito. Neptune, Staryu e Flareon si unirono a lui cercando allo stesso tempo di difendere gli altri, il che non si rivelava affatto facile.
Pikachu era già molto stanco, così come Neptune che a mala pena riusciva a respingere gli attacchi; per di più riusciva a sentirla, sentiva nella sua testolina di Pokémon una voce più simile ad un fastidioso ronzio che gli impediva di pensare alle sue azioni.

Cedi, cedi. Colpiscilo, colpiscilo.
Oramai Pikachu era allo stremo delle forze, la voce della donna che sembrava risuonare dentro di lui, e in un momento gli venne un mancamento che lo fece cedere: la scossa elettrica andò proprio verso Ash.
“Ash! No, Dio!”
“Pikapi!”
La scossa colpì implacabile emanando un bagliore accecante, fino ad esaurirsi. Misty corse disperata verso il punto dov’era Ash. Possibile che il suo amico aveva subìto la stessa sorte toccata a Pluto?
Il fumo si diradò; Misty, con le lacrime agli occhi, si sentì soffocare all’odore di bruciato.
Ma si accorse con immensa gioia che ad essere bruciacchiato non era il suo amico allenatore.
“Se di salvare il moccioso…”
“…Ci chiederai…(1)”
Non poteva crederci: in ginocchio parati davanti ad Ash, elettrizzati fino alla punta dei capelli eppure vivi e vegeti, Jessie e James si tenevano la mano tremolanti, le loro facce contratte in smorfie di dolore.


Salve! ad otto giorni circa dall’ultimo capitolo, aggiornamento! Mi dispiace se il capitolo è stato scritto con i piedi, ma sono quasi le quattro del mattino e l’ispirazione per completare mi è venuta solo adesso!
(1)     
“Se questo quello ci chiederai…” “Grossi guai ti ritroverai!” è una mia rielaborazione della famosa frase di apertura del Team Rocket: “な んだかんだと聞かれたら。。。答えてあげるが世の情け (“se ci chiedi questo o quello, la risposta sarà la compassione del mondo!”), In italiano, una delle traduzioni più famose è: “preparatevi a passare dei guai! Dei guai molto grossi!”. Perché è stata tradotta così in italiano? Per via della discutibile traduzione in inglese della 4Kids. Qui l’incipit del motto parte con “se di salvare il moccioso ci chiederai” perché è quello che hanno appunto fatto: salvare Ash.
Non dimentichiamo che Ash è gravemente ferito alla schiena, e l’ha sforzata anche troppo (ecco perché gli viene una fitta che gli impedisce di muoversi). Misty, invece, ha sempre un braccio pieno di dolori per via dell’ematoma.
In questo capitolo abbiamo un gruppetto un po’ più numeroso dalla parte dei nostri amici: oltre a Pikachu e a Neptune, abbiamo anche Oal (Flareon) e Staryu. In compenso, Jessie sembra essere completamente andata, il che non è affatto bene :-/
Ad ogni modo, visto che io stessa mi ci imbroglio, ecco qui il resoconto di tutti i Pokémon così da non perderci nel bicchiere d’acqua:

Ash

Misty

Brock

Jessie

James

Ben

Sukie

Phil

Miriam

Cyndaquil [KO] (al piano di sotto)

Togepi [KO] (al piano di sotto)

Onix [KO] (al piano di sotto)

Meowth (posseduto e presente)

Weesing (al piano di sotto)

Shroomish (al piano di sotto)

Scyter [KO] (al piano di sotto)

Charizard (al piano di sotto)

Fearow [KO] (incontro vs Ash)

Totodile (posseduto)

Psyduck (al piano di sotto)

Geodude [KO] nella camera da letto

Arbok [KO] (al piano di sotto)

Victreebell (al piano di sotto)

Flareon (detto Oal)con Ben

 

Arcanine (posseduto e presente)

Flareon (Mars) [KO]

Chikorita (posseduto)

Horsea dispersi

Zubath [KO] nella camera da letto

Wobbuffet(al piano di sotto)

 

 

 

Rapidash [KO] (da Ben&Sukie)

Vaporeon (Neptune)

Pikachu

Staryu

 

 

 

 

 

 

Jolteon (Jupiter) [KO](incontro vs Ash)

Noctowl con [KO] (incontro vs Ash)

 

 

 

 

 

 

 

Espeon (Moonlight) [KO](incontro vs Ash)

 

 

 

 

 

 

 

 

Umbreon (Pluto)morto

Spero di aver fatto un buon lavoro, e a presto! 

ps.  Questa è una mia fan art  su  Jessie e  Jessiebell:

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Capitolo 18
*** Sul tetto, per scappare! ***


Capitolo 18 – Sul tetto, per scappare!

“…”
“Sbrigati, James!”
“…”
James titubò qualche secondo, poi poggiò un piede sul balconcino e, dandosi la spinta, iniziò ad arrampicarsi sulla parete esterna dell’edificio seguendo la sua compagna già ormai in piedi sul tetto di tegole.
Salivano con più cautela del solito, in parte perché era buio e non vedevano bene come avrebbero fatto di giorno, in parte per non fare rumore visto che – detto tra noi – se la stavano facendo sotto dalla paura.
“…Ma, Jessie…”
“Che c’è?” sibilò lei, chinandosi per aiutarlo a salire.
“Non dovremmo pensare a Meowth?”
Se Jessie era visibilmente agitata, la sua espressione mutò immediatamente e si rabbuiò.
“Lo verremo a prendere, ma adesso pensiamo solo a svignarcela!” lo liquidò, e si preparò a dirigersi lì dove si delineava la sagoma del piccolo elicottero lasciato dall’agente dell’FBI.
Una voce squillante ed altezzosa, però, bloccò entrambi dai loro intenti.

“Vedo che ci rincontriamo. E’ un peccato che non ti sei rotta qualche osso di troppo”.
Senza nemmeno mettersi d’accordo, i due si calarono a testa in giù dalla grondaia per dare un’occhiata all’interno della stanza: quello che videro – i mocciosi al gran completo, quei tizi di Fire City, Pokémon indemoniati e Jessiebell altrettanto indemoniata – fece rizzare tutti i capelli di James e venire la tremarella alle gambe di Jessie che oscillò di paura.
Jessie e James si tirarono su d’un colpo e si guardarono bianchi come dei fantasmi, prima di stringersi le teste in un abbraccio e piagnucolare:
“Siamo finiti, poveri noi!”
“Shh!” Jessie ricompose sé stessa ed il compagno. “Adesso ce ne andiamo buoni buoni, e non ci facciamo sentire” bisbigliò.
James annuì e, dalla posizione inginocchiata in cui si trovarono, si alzarono molto lentamente per evitare di fare rumore.

“No, no! No!”
Le strilla capricciose di Jessiebell fecero venire la pelle d’oca su tutte le parti del corpo di James.
“Bene, le sta prendendo di santa ragione” commentò Jessie sogghignando, e fece un passo in avanti in direzione dell’elicottero quando il miagolio poco felino di Meowth la bloccò definitivamente.
Si calarono di nuovo per vedere chiaramente Meowth con gli occhi rossi attaccato con tutte e quattro le zampe sulla faccia del ragazzino dal testone biondo.
“Non possiamo andarcene così, Jessie” le disse James, terrorizzato e impietosito allo stesso tempo. Jessie, faccia in giù, annuì distrattamente, non sapendo se agire effettivamente o meno – quando si accorse del pericolo.
“James! Sbrigati, o lo frigge!”
In un battibaleno Jessie si era calata ed era corsa incontro al superfulmine, seguita da un James quantomeno confuso.
La scossa era stata dolorosa come sempre, ma non troppo lunga, e poterono giurare che l’odore di bruciacchiato era quello delle loro stesse carni.
“Se di salvare il moccioso…”
“…Ci chiederai…”
Misty non poteva crederci: in ginocchio parati davanti ad Ash, elettrizzati fino alla punta dei capelli eppure vivi e vegeti, Jessie e James si tenevano la mano tremolanti, le loro facce contratte in smorfie di dolore.
“Il Team… Rocket…?” Misty era completamente fuori di sé dallo stupore. Da dove diavolo erano sbucati fuori?
Ash, che aveva chiuso forte gli occhi, li riaprì e si sorprese del fatto che fosse illeso.
“Come… cosa…?”
“N-non pre-o-ccuparti, moccioso” balbettò Jessie, ancora sotto l’effetto della scossa: piccole scariche elettriche le si emanavano dalla punta dei capelli e delle dita.
“S-s-…s-s…siamo come la gomma, ormai” continuò James, i capelli elettrizzati ancora a mezz’aria.
Misty corse da Ash: “stai bene, riesci ad alzarti?”
Ash tentò di muoversi, ma faceva molto male. “Non, tanto, fa ma…”
Misty trattenne il respiro dal dolore: Ash l’aveva afferrata per la spalla nera nel tentativo di tirarsi su, e quando se ne rese conto lasciò subito andare la presa. “Scusami”.
“Non fa niente” disse lei, trattenendo le lacrime.
“Perché siete venuti, stupidi!” gridò Miriam contro Jessie e James, agitandosi aggrappata a Phil.
“Per salvarvi la pelle, non è forse chia…”
Jessie si bloccò, guardandosi intorno. Non sapeva perché, ma aveva una strana sensazione di dejà vu, come se quell’ambiente lussuoso non fosse altro che una materializzazione di uno dei suoi sogni.
“…Dove diavolo siamo?”
“Nella camera da letto dei nostri genitori”  le rispose Jessiebell, riprendendosi anch’ella dallo stupore di ritrovare il Team Rocket così all’improvviso. “Ti fa un effetto strano, non è vero?”
Jessiebell sogghignò, e con un gesto della mano ordinò a Meowth di staccarsi dai due ragazzini e di fiondarsi contro Jessie, ma James impedì al Pokémon di colpire fiondandosi contro di lui e lanciandolo per terra prima che questi potesse graffiarlo con i lunghi artigli tirati in fuori.
Jessiebell rise di gusto e poi alzò in aria il Meowth, assente ed avvolto in una luce rossa.
“Proviamo un esperimento” disse, sotto gli occhi attoniti di tutti.
“Che cosa succede se il tuo amato Pokémon, mio caro James, passa a miglior vita?”
“Meowth, no!” gridò James, mentre la sfera in cui era immerso il povero Meowth diventava sempre più rossa. Si lanciò su di lui, ma il suo gesto servì solo ad essere sbalzato per aria per finire contro la parete ed uno spigolo dell’armadio in oro ed avorio.
“Pikaa!”
Pikachu si concentrò con tutto sé stesso contro Jessiebell lanciandole una scossa elettrica congiunta all’attacco di fuoco di Oal, ma Jessiebell sembrava apparentemente immune ai loro attacchi e rideva come una forsennata.
“Se ci tenete tanto al vostro Meowth, datemi mostra di quello che sapete fare!”
Jessie era come pietrificata. Meowth stava diventando sempre più rosso quasi ardesse, e nel suo stato di trance iniziava ad agitarsi in preda a convulsioni.
La scena le sembrava fin troppo familiare.
“Glameow”.
Jessie capì dove avrebbe dovuto colpire.
“Lascialo!”
Si scagliò come una furia contro Jessiebell, incurante delle scosse elettriche e del fuoco, e la colse di sorpresa: Jessiebell non seppe difendersi, e Jessie le si fiondò addosso bloccandole i polsi.
La fissava negli occhi, furiosa.
“Brutta… befana… non osare… toccare… i miei… amici!”
Una luce color magenta si scaturì dalle due, e Jessie fu scaraventata di lato. Meowth fu liberato dalla sua prigione rossa, e finì al suolo.
“Meowth!”
Meowth alzò la testa felina dal pavimento, alquanto confuso. “Che succede?... Che ci faccio qui?...”
Sembrava essere tornato in sé, con gran gioia dei suoi due amici.
Jessiebell era atterrata sul morbido, ovvero sul letto matrimoniale. Rimase un istante ferma lì, disorientata, ma Vileplume attirò la sua attenzione e si alzò in fretta.
“Non crediate di poterla finire così facilmente” disse. “Vai, Arcanine!”
Ma Arcanine non si mosse da dov’era.
Jessiebell lo guardò interdetta, e si accorse che anche Chikorita e Totodile la guardavano in maniera poco amichevole, schierandosi con Ash e Misty ancora sul pavimento.
Ash si rialzò in piedi tremolante, mentre Misty lo aiutava. Totodile, poco delicatamente, schizzò dell’acqua sulla faccia di Brock il quale saltò subito a sedere.
“Cosa… cosa…?”
“Brock! Hai ripreso i sensi!”
Per fortuna, era solo svenuto.
Jessiebell, assieme a Vileplume, sbiancò.
“Non è possibile…”
“Evidentemente qualcosa ha interferito con i tuoi comandi psichici” Miriam diede una risposta alle sue perplessità. “Qualcosa come, ad esempio, un grande gesto di sacrificio”.
Jessiebell lanciò un’occhiata a Jessie, ancora sul pavimento.
“Maledetta!”
Con le poche forze rimaste, Jessiebell spalancò la mano destra davanti a sé e lanciò contro Jessie un potente attacco molto simile ad un Iper-Raggio, ma James spiccò un balzo da dov’era e si parò di fronte alla sua amica, urlando di dolore.
“James!”
“Sto bene” disse lui tra i denti, piegandosi in due.
Jessiebell era ancora più adirata di prima, il viso illuminato da un rosso terrificante.
“Come osi, come osi!” strillò quasi fosse a sua volta posseduta, e tornò a librarsi in aria come uno spirito vendicativo.
“COME OSI PROTEGGERLA!”
La sua furia fu tale che il vetro della finestra sul balconcino finì in mille pezzi, ed i Pokémon più potenti furono spiazzati dalla sua furia. Jessiebell fece volteggiare dinanzi a sé il perfido Vileplume, cattiva e pazza come non lo era sembrata prima.
“Non uscirete da questo palazzo, vi eliminerò uno per uno!”
Una risata malefica si propagò per la stanza, messa a soqquadro da un’aura così forte da sembrare che si fosse appena generato un tornado. Vileplume e Jessiebell emanarono una quantità sorprendente di spore velenose, e l’unico modo per contrastarle sarebbe stato darle fuoco.
Arcanine ed Oal partirono con i loro attacchi di fuoco che bruciarono le spore ed incendiarono l’intero ambiente, nonostante questo Jessiebell ed Arcanine sembravano non essere toccati dalle fiamme e la donna sorrideva in maniera allo stesso tempo angelica e pazzoide.
Misty si appiattì contro la parete per accorgersi solo in quel momento di avere le spalle ad una porta. Questa si aprì per rivelare la presenza di un Pokémon a lei molto familiare.
“Horsea!”
Il Pokémon era troppo piccolo e, sebbene avesse tentato di attirare l’attenzione, Misty non si era accorta di lui se non fino a quel momento.
“Da questa parte!”
Il gruppo si rifugiò nel grande bagno adiacente alla stanza dove una vasca  d’acqua stava sgorgando fuori dal bordo – sicuramente effetto della rottura della cisterna. Staryu  ruppe ulteriormente la vasca, così Neptune e Totodile approfittarono del loro elemento per infliggere a Jessiebell un degno contrattacco nel fuoco che avanzava ed ingoiava ogni cosa.
“E ora che si fa?” chiese Sukie spaventata, tenendosi stretta ad Ben tutto graffi.
“Non ci capisco più nulla, miao!” miagolò Meowth.
“Usciamo per di là, svelti!” fu Ash ad accorgersi dell’altro balconcino che si trovavano nella stanza da bagno piuttosto grande. Misty rientrò Horsea e Staryu nelle sfere Poké, anche Arcanine fu richiamato così come Oal, Totodile e Neptune, mentre Ash salì in cima al balconcino per primo con Chikorita e si servirono di quest’ultimo per issare tutti più velocemente.
Jessiebell avanzava lentamente mentre James era per ultimo, ancora arrampicato fuori alla parete.
“Sbrigati, James!” gridò Jessie fuori di sé, ma James faceva a fatica a salire.
“Sbrigati, imbecille!” lo incitava Meowth, calandosi e tirando la zampa verso di lui, ma James si era arrestato sulla parete, appoggiato ad una pietra sporgente, ansimando.
Jessie lesse l’allarme sulla faccia di James. “Qualcosa non va con James” la precedette Meowth, e in quel momento Chikorita aiutò ad issarlo con le liane.
James, appena sul tetto, si mise a quattro zampe, tenendosi la pancia.
“Tutto bene, James?”
James si girò alle sue spalle, giusto in tempo per vedere una diabolica Jessiebell salire come uno spettro senza alcuna difficoltà, protetta in una bolla luminosa assieme al suo fidato Vileplume. A James bastò un’occhiata per trasalire e saltare ritto sull’attenti.
“Andiamo!”
I ragazzi corsero sul tetto, salirono sull’elicottero e si prepararono a partire ma Jessiebell colpì l’elicottero con un attacco Superfulmine provocando il cedimento del tetto, l’elicottero cadde all’interno della casa sfondando la soffitta, e finì nel vuoto del matroneo: si sarebbero schiantati al piano terra, sul pavimento blu di marmo dell’entrata, tra le macerie di colonne.
“Ed ora come facciamo? Moriremo!”
Stavano quasi per schiantarsi al suolo, quando Neptune uscì dalla sua sfera, balzò coraggiosamente fuori dall’elicottero e frenò la caduta del mezzo deviandolo con un potentissimo Idropompa ben controllato; anche gli altri Pokémon uscirono di propria volontà dalle sfere e si gettarono fuori, usando il getto d’acqua come base d’appoggio, e frenarono per quanto poteva essere loro possibile l’impatto del velivolo col suolo.
Quando l’elicottero atterrò con un tonfo, Ash rimase stupito da quanto intelligente e potente fosse quel Pokémon d’Evee, ed anche se non era il momento adatto per pensarci, ritenne che solo Pokémon così forti potevano far parte di uno squadrone FBI.
Miriam cercò di riavviare l’elicottero, ma sembrava fuori uso. “Usciamo tutti fuori!” gridò come fuori di sé, ed in un lampo tutti si trovarono a schizzare fuori tra le macerie.
Ad attenderli, tra la polvere e le colonne rovesciate del salone dov’erano entrati alcune ore prima, c’erano altri Pokémon: alcuni dei quali, ancora ipnotizzati.
Jessiebell fu caricata in groppa ad Charizard e planò di fronte a loro ridendo, estasiata.
“A quanto pare, questi mi obbediscono ancora” commentò, compiaciuta. “Perfetto, ci voleva proprio un Charizard per riscaldare questa notte fredda e bagnata!”
I ragazzi si dispersero tutti correndo, ma ad un certo punto James cadde per terra.
“James, non è il momento” gridò Jessie a qualche passo da lui, “rialzati!”
Ma James non si muoveva.
Jessie sbiancò alla vista di una palla di fuoco pronta ad inghiottirlo.

 
Salve!
Ci ho messo tre giorni… Wow, sto migliorando :-)
La verità è che voglio aggiornare il più possibile prima di andare in ferie (ci starò solo una settimana, non disperate!)
Spero di aver scritto bene, le scene movimentate non sono il mio forte.
Come avete visto, qualcosa ha interferito con il potere di Jessiebell: che il Tempo del Potere stia svanendo?
Eh, lo so che un Vaporeon che salva la caduta in picchiata di un elicottero è poco credibile, ma non avevo Pokémon adatti a disposizione per questo…
Ad ogni modo, spero che questo capitolo sia all’altezza delle aspettative.
A presto!

ps. un'altra fan art. Questo è uno schizzo del palazzo Thomps a Fire City. Ho cercato anche di abbozzare i piani, ma poi la storia si è come "scritta da sola", e sono comparsi passaggi segreti, stanze in più, ecc.:

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