Anche gli Dei Muoiono di Herit (/viewuser.php?uid=110002)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: MeLoDiA d'AuTuNnO ***
Capitolo 2: *** 1. Perché se si sogna la morte di qualcuno, gli si allunga la vita? ***
Capitolo 3: *** 2. Brutta bestia, l'invidia ***
Capitolo 4: *** 3. Semplicemente il Destino, o gli hai dato una mano? ***
Capitolo 5: *** 4. Gocce di un passato, che non può più tornare. ***
Capitolo 6: *** 5. Assieme a te nell'incanto di un tramonto?! Mai! ***
Capitolo 7: *** 6. Come si possono esaudire i desideri? ***
Capitolo 8: *** 7. Ci sarai anche nelle mie notti insonni? ***
Capitolo 9: *** 8. Hai mai visto la pioggia scendere in un giorno di sole? ***
Capitolo 10: *** 9. Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al cioccolato. ***
Capitolo 11: *** 10. Solo la melodia della vita. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. Quelle note sono lacrime sul pentagramma. ***
Capitolo 1 *** Prologo: MeLoDiA d'AuTuNnO ***
Anche gli Dei muoiono.
Prologo: Melodia d'autunno.
Empty spaces - what are we living for
Abandoned places - I guess we
know the score
On and on, does anybody know
what we are looking for...
La musica scemò lentamente, lasciando che solo le
ultime note emesse dallo Stradivari riempissero uno dei più
importanti teatri d'Italia. Un silenzio tombale scese lento e leggero
come la neve quando anche quell'ultimo accordo morì, denso
ed acuto, infrangendosi come una bolla di sapone contro le pareti
dell'auditorium. Era una strana sensazione quella che seguiva la fine
di ogni esecuzione. Gli capitava sempre più frequentemente
di sentirsi svuotato, privato di qualunque cosa portasse dentro di
sé. Ascoltò quel silenzio leggendolo
attentamente. Beandosene. Gli occhi ancora chiusi come da programma. Se
avesse continuato ad apparire concentrato, un frammento della sua
immagine sarebbe rimasto impresso nella mente degli spettatori.
Una figura alta. Impeccabile. Curata sotto ogni aspetto, con
quei ricci di un castano chiaro che gli solleticavano sfrontati le
guance creandogli in realtà più fastidio che
piacere, ma che facevano parte della maschera. Risollevò
lentamente le palpebre, svelando lo sguardo del colore di uno smeraldo
opaco, lasciando che un fiume in piena di applausi lo travolgesse in
quello stesso istante, riempiendolo nuovamente di quanto lui poco prima
aveva donato al suo pubblico. Le gambe immobili, seppure lui le
sentisse chiaramente tremare dall'interno. Pronte a scattare verso le
tende che segnavano la linea di demarcazione tra il palco e il
backstage. Stabili impalcature di chi è abituato al
confronto con la platea, seppure ogni volta minacciassero di cedere non
appena fosse arrivato in camerino, dando libero sfogo alla tensione che
si è accumulata nei giorni precedenti e durante la sua
prestazione. Il corpo magrissimo che si traduceva in un'armoniosa massa
di nervi saggiamente foderati da abiti curati. Eleganti: un gessato
nero con una morbida coda a frac che gli si apriva dietro la schiena e
che ondeggiava seguendo i suoi movimenti, ogni volta che li accentuava
appena rendendoli più teatrali.
Sorrise. Sentì le labbra stendersi in
un'espressione sfrontata, di chi sapeva di aver fatto centro,
incantando non solo gli spettatori, ma anche la giuria che sedeva poco
distante, in un angolo dell'amplio palco sul quale era ancora il
protagonista assoluto. Sorrise sciogliendo quella posa ben studiata ed
andando a chinarsi provocando un nuovo scroscio di applausi. Quello era
il suo posto: lo era sempre stato. L'unico che potesse appartenergli
davvero. D'altronde non si fregiava del cognome Stradivari per nulla.
Uno.
Due.
Tre.
Come gli
avevano insegnato da bambino. Inculcandoglielo in testa fino a quando
quel gesto non era divenuto automatico. Tre secondi esatti ed alzarsi
lento ed elegante.
Girarsi verso
la giuria.
Di nuovo
inchinarsi.
Uno.
Due.
Tre.
Ancora su.
Poi un ultimo sguardo al pubblico a dimostrar sicurezza e lasciar
ancora più vivo in questo il ricordo del giovane violinista
che l'aveva appena saputo incantare. Fu con la stessa orgogliosa
sfrontatezza con la quale aveva lasciato l'uditorio, che si diresse
dietro le quinte.
Flessuoso e silenzioso, lasciò che fossero i
tacchi dei mocassini ad essere il solo avvertimento della sua presenza
lì: gli piaceva l'apparenza da ragazzo perfetto che si era
creato attorno dopo anni di lavoro. Era pronto, ben conscio che presto
due braccia sottili e non troppo lunghe gli avrebbero cinto quasi con
fatica il torace non particolarmente largo e sviluppato, ma caldo e
confortevole e che un corpo minuto lo avrebbe stretto a sé,
lasciando spazio solamente ad una vocina acuta che si sarebbe
complimentata con lui per la sua esibizione. Era ordinaria
amministrazione da che era riuscito ad entrare al Monteverdi, uno dei
Conservatori più rinomati, in Inghilterra. Eppure
l'inevitabile non accade. Non ci furono braccia sottili a stringerlo.
Così come nessuna bocca sfiorò la sua e nessuna
vocetta stridula si complimentò con lui per la sua
impeccabile esecuzione. Per qualche istante quel sorriso tronfio con il
quale aveva fatto il suo ingresso nella quinta si spense. Che fosse
deluso?
“Mio Dio! Sei stato bravissimo!”
Squittì una vocina a lui ben nota. Vocina che ebbe il potere
di fargli arricciare le labbra di nuovo, soddisfatto. Complimenti. Ecco
di cos'aveva bisogno. Ecco, ora non avrebbe dovuto far altro che
abbassarsi appena per accogliere l'abbraccio della sua ennesima pseudo
fidanzata e le sue coccole. Sarebbe stato soddisfatto per almeno un
paio d'ore. Poi tutto sarebbe tornato ad essere la solita tiritera
accompagnata dal solito tram tram che si ripeteva incessantemente da un
paio di anni a quella parte e che si sarebbe ripetuto per tutti i
secoli dei secoli. O per lo meno quello era ciò che temeva:
non riuscire ad andare al di là di quella scuola di musica.
Invecchiandoci dentro e divenendo un docente di musica decrepito come
il vecchio Harvey. E sarebbe continuata anche quella dannata sensazione
di... vuoto. Di incompletezza.
Presto probabilmente avrebbe lasciato anche quella graziosa
ragazzina, così come aveva piantato tutte le altre prima di
lei. Era il ragazzo più dotato -non solo musicalmente
parlando- dell'istituto. Se lo poteva permettere. Aveva anche un certo
fascino: avrebbe potuto avere tutte le ragazze che avesse desiderato,
ne era ben conscio. Bastava vedere la fila di gentili donzelle che non
aspettavano altro che poter uscire con lui o che gli sospiravano dietro
ogni volta che passava per i corridoi con quell'aria un po' svogliata e
seria. Altera. Era un miscuglio che alle ragazze, per qualche strana
alchimia, piaceva. Però c'era sempre quella sensazione che
ognuna non fosse quella giusta. C'era da dire che lui comunque non
cercava una storia seria e duratura. Si era steso su tante lenzuola
solo per sfogarsi e tutto sommato la cosa non lo dispiaceva nemmeno
più di tanto. Semplicemente era tutto così
maledettamente freddo, esattamente com'era lui. Ancora nessuna era
riuscita a dargli quello che cercava. Sentimenti che invece sapeva
infondergli la musica cui dava vita. O era la musica che dava vita a
lui? Sinceramente non avrebbe saputo dare una risposta, se qualcuno
glielo avesse chiesto. Non la sapeva dare nemmeno a sé
stesso quando, mentre suonava un pezzo, si poneva quel quesito.
Ecco però, lui si sentiva così:
Come una
canzone Pop senza un ritmo orecchiabile e facilmente fruibile.
Come una
canzone Rock priva di un testo che sapesse lasciare un segno dentro chi
l'ascoltava.
Come un
madrigale privo di una voce.
Lui era il
testo, morbido ed appassionato come una poesia, ma gli mancavano le
note. Quelle note che avrebbero potuto dargli spessore e renderlo
terribilmente suadente.
Aggrottò le sopracciglia in attesa di un abbraccio
che per la seconda volta non arrivò, mentre invece, la voce
di Elisabetta gli giungeva chiara e tonda alle orecchie. Scocciato.
Capriccioso. Scostante. Solo in quel momento decise di dirigersi verso
i camerini per vedere con chi la sua ragazza stesse parlando in modo
tanto concitato. Furono note di un violino prima ed il giovane rimase
impietrito. La medesima sinfonia che aveva suonato lui portata alla
perfetta esaltazione. Non era solo musica. No. V'era un mondo dentro
quelle note che si susseguivano in un bis che l'esecutore aveva
concesso solamente a quella ragazzina petulante che gli stava poco
distante.
“Vic, senti! Senti!” Lo invitò
una giovanetta tutto pepe dai folti boccoli neri, avvicinandosi a lui.
Ma Victor non la sentiva: troppo preso da altro. Stava
fissando attonito il giovane che si stava esibendo con quello quello
stesso brano che poco prima aveva portato tanto consenso da giuria e
pubblico, dopo esser stato eseguito dal suo Stradivari e che, invece,
ora lo faceva sentire solamente un violinista da strada, di quelli alle
prime armi. Lo stesso brano che si troncò bruscamente quando
il direttore di scena fece il suo ingresso nel camerino.
“Violin Mark?- Il ragazzo volse immediatamente lo
sguardo verso l'ometto basso e rotondo che sostava sulla soglia con
alcuni fogli in mano, picchiettandoli distrattamente con una matita. Si
sciolse dalla sua posizione carezzando con le dita lunghe ed affusolate
il suo violino come se fosse la cosa più preziosa
dell'universo. -Oh, signor Stradivari, la sua esecuzione è
stata magistrale. Sono sicuro che la borsa di studio andrà a
lei, quest'anno.” L'uomo si rivolse così al
giovane Stradivari che però non sembrava dargli ascolto,
ancora troppo preso dall'osservare quello che di punto in bianco era
divenuto il suo più terribile avversario. Alto. Altissimo.
Con quei capelli biondissimi e la pelle leggermente olivastra. E poi
quegli occhi colore del ghiaccio che lo avevano trapassato da parte a
parte giusto in quel momento. Nel momento esatto in cui Pancho (come
l'avrebbe rinominato in seguito Lizzy. Si, come quello di Don Quijote)
aveva pronunciato il suo cognome, i loro sguardi si erano incrociati ed
il castano aveva avvertito una stretta allo stomaco: pesante ed
opprimente. Eppure portava con sé una sensazione quasi...
calda?
Senza dire una parola, Violin superò
quell'insolito trio che si era andato a formare alla porta del suo
camerino passandogli accanto senza dire una parola. Aveva un buon
profumo. Victor se lo sarebbe ricordato, ma in quel momento non poteva
sapere quanto a fondo sarebbe penetrato in lui quell'aroma. E poi che
diavolo stava pensando? Che doveva importargli del profumo del suo
avversario più prossimo? Lo seguì per qualche
istante con lo sguardo soffermandosi sulle sue mani. Erano grandi.
Sicuramente calde. Essere toccato da quelle doveva essere un'esperienza
da spezzare il fiato.
E quelle
spalle larghe.
Se poi,
scendendo, tutto andava in proporzione... stop! Stop! Stop!
Tutti sogni e
congetture che poi avrebbero trovato il loro perché, ma che
in quel momento lo fecero rabbrividire. Si ritrovò a
scuotere il capo con veemenza. Lui era un uomo! Ed era pure gran bel
pezzo di figliolo di quasi diciotto anni e soprattutto senza nessuna
strana inclinazione sessuale.
Perché
tutto ad un tratto si ritrovava a fantasticare su... sull'ultimo
arrivato? Che fosse una crisi ormonale? Ma avrebbe dovuto averla
superata da un po', insomma.
Tra l'altro
era oltremodo sciatto. Vestito con Jeans strappati probabilmente presi
al mercatino di quartiere e con una camicia nera che gli fasciava il
torace e le spalle in maniera così tremendamente sexy. Con
un nuovo scossone del capo, Victor andò a rifilare
il violino tra le mani di Elisabetta che ancora era lì a
cinguettare e a tessere le lodi di quanto aveva appena fatto il signor
Violin. Almeno fino a quando la ragazzina non si prese qualche istante
a fissarlo meglio, richiamata da quel gesto così inusuale
per lui che trattava il suo violino come un oggetto sacro.
“Hai una brutta cera, Vic...- Constatò
la ragazzina che accolse tra le braccia lo Stradivari cambiando
completamente espressione, divenendo improvvisamente seria dopo aver
sentito la poca delicatezza con cui glielo aveva praticamente buttato
addosso. Ci mancò poco che l'archetto facesse un pericoloso
incontro di terzo tipo con il pavimento. -Dovresti trattarlo meglio, il
tuo vi...” Ma non ebbe il tempo di finire quella predica
perché il giovane era già uscito di corsa dai
camerini per richiudersi in bagno con la testa infilata nel lavandino e
l'acqua fredda aperta al massimo per cercare di placare
quell'improvvisa vampata di calore che gli era velocemente affluita in
viso. E non solo lì a giudicare da come gli stava tirando il
cavallo dei pantaloni.
La vittoria di Mark fu schiacciante.
Victor era
riuscito a sentire solamente l'ultima parte della sua esibizione, ma
ricordava perfettamente quanto fosse stata da brivido. Avevano proposto
lo stesso brano, eppure la giuria, al suo avversario, aveva assegnato
un punteggio che superava quello del giovane Stradivari di diversi
decimi. Quando si incontrarono di nuovo ed i loro sguardi si
incrociarono ancora, il ragazzo avvertì chiaramente un
brivido lungo la schiena. Aveva un'espressione apatica, Violin. Niente
confronto a quella arroganza sfrontata con cui continuava a fissarlo il
suo antagonista. Un tacito e cordiale disprezzo tra loro, quando
educatamente si complimentarono l'uno con l'altro stringendosi la mano,
intascando l'uno il primo e l'altro il secondo premio in palio.
Ho avuto il coraggio di
pubblicarlo! O___O
Ho davvero
avuto il coraggio di pubblicare questo obrobio?!? O_O
Ebbene
sì, purtroppo per voi Herit ha avuto la geniale idea di
pubblicare questo piccolo parto demente della sua testolina malata.
X°°
Che dire? Che
è stato un lavoraccio, in realtà. Non il
più lungo. Non il primo. Ma è stato davvero un
parto sofferto. Il travaglio della stesura è stato doloroso,
perché avrebbe dovuto stare entro un tot di pagine, e
purtroppo le ho sforate bellamente... :(
Come avrete
potuto intuire dal sottotitolo del racconto, per scriverlo ho preso
spunto dalla canzone dei Queen "The show must go on". Il titolo
è stato poi modificato all'ultimo momento
perché... beh, capirete più avanti.
Questo
piccino ha partecipato a diversi contest.
Il primo,
cioè quello per cui è davvero nato, è
il "Queen contest, il
contest della regina", di cui questo cuccioletto, porta
già il banner XD E nel quale si è classificato IV°
con una meravigliosa recensione da parte della giudice del contest.
Recensione e giudizio che però non voglio ancora riportare
in quanto l'altro contest cui sta partecipando questa storiella non
è ancora concluso.
Il secondo
è lo "Yaoi
Contest -citazioni da Alessandro Baricco" che deve ancora
concludersi. La citazione da me scelta arriverà molto avanti
nella trama, ma assicuro che ha influenzato molto il mio modo di
decifrare i personaggi per buona parte della stesura del racconto :)
In ultima, ma
non per importanza, partecipa anche alla Challenge "dal nome alla
storia" ed è da questo che arriva il nome di uno dei due
protagonisti. Per l'esattezza "Mark, il cui significato è
'Sacro a Marte'". A primo acchito sembra non abbia nulla a che vedere
con la storia, tale lettura del nome. Anche questo si
scoprirà a tempo debito. ^w^
Finalmente sono riuscita ad avere anche il secondo bannerino ed il risultato del contest "Citazioni da Alessandro Baricco", nel quale questa cucciolotta si è classificata seconda, cosa che sinceramente non mi sarei mai aspettata Owò
Il mio grazie alla giudiciA ed i miei complimenti alle altre partecipanti. Le vostre storie sono tutte meravigliose! <3
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Capitolo 2 *** 1. Perché se si sogna la morte di qualcuno, gli si allunga la vita? ***
1. Perché se
si sogna la morte di qualcuno, gli si allunga la vita?
Another
hero, another mindless crime
Behind
the curtain, in the pantomime
Hold
the line, does anybody want to take it anymore
The
show must go on
C'era di buono che, dopo quell'incontro,
Victor era sicuro che le strade sue e di Violin non si sarebbero
più incrociate e la cosa gli faceva tirare un sospiro di
sollievo. Elisabetta lo aveva lasciato, nel mentre. Era stata la prima
ragazza a piantarlo in asso e per questo si era meritata in qualche
modo la sua stima, piuttosto che il suo rancore, dimostrandosi
più furba e coraggiosa delle altre. Lei l'aveva
già capito. A differenza di quanto si sarebbe potuto
pensare, dopo il concorso alla Fenice di Venezia, lei non aveva
più parlato di quel violinista comparso dal nulla, senza un
nome nell'ambiente e che nel nulla sembrava essere scomparso. Di quello
che aveva fregato a Victor la borsa di studio da sotto il naso. Il
giovane, invece, al contrario aveva cominciato a nominarlo sempre
più frequentemente. Era il suo sprone a provare e riprovare,
fino allo sfinimento. Lui che era sempre stato considerato dotato di un
talento naturale. Un po' probabilmente per via del cognome di cui si
fregiava. Quello di suo padre. Non sapeva se discendesse davvero dal
grande musicista, fatto stava che quel nome era una garanzia e gli
aveva dato più di qualche spinta, nonostante la sua bravura
ed il suo assiduo impegno facessero il loro lavoro con dovizia. Era
raccomandato. Sì. E se doveva essere sincero, la cosa non lo
disturbava affatto, sotto diversi punti di vista. Sotto altri, invece,
forse avrebbe preferito avere un cognome senza alcun rilievo. Ma se
fosse stato altrimenti, probabilmente in quel momento non sarebbe stato
seduto su una delle innumerevoli sedie dell'auditorium del
conservatorio a fissare in tralice la professoressa che proponeva
improbabili solfeggi dietro al pianoforte.
“Strà!”
Lo squittire della sua ultima ex lo fece sussultare. Erano in aula.
Lezione di canto. Era stato costretto a frequentarla come corso extra.
Non amava cantare perché considerava la voce come uno
strumento imperfetto e difficile da domare: lui purtroppo non possedeva
questa capacità, nonostante si destreggiasse con
più di cinque strumenti differenti e la cosa l'infastidiva.
Sollevò svogliato il mento dalla mano osservandola con
sufficienza. Lizzy gli sorrideva con un certo divertimento.
Benché fosse stata lei a lasciarlo, aveva preteso che il
loro rapporto non cambiasse. Il come non l'avevo mai capito, fatto
stava che ci era riuscita. Gli stava attorno infischiandone dei
commenti delle alte ragazze che le consigliavano di girargli alla
larga, visto che secondo loro era un perfetto stronzo. Ovvio che chi
parlava così, era la schiera delle sue vecchie fiamme. Lei
invece no. Ascoltava pazientemente le sue lamentele e lo accompagnava
nelle sue esecuzioni più difficili quando si preparava per i
concerti. Era un'ottima violinista. Con il suo strumento in mano si
trasformava, tanto da riuscire quasi ad apparire come una piccola
regina vestita di nero. Con quella tendenza un po' Gothic ed un po'
Dark che era riuscita ad incuriosirlo in un primo momento, assieme alla
sua allegria. Una volta Victor le aveva detto, durante le prove, che
gli ricordava una Dea della morte con quei capelli corvini che
sembravano inglobare in loro la luce per poi rilasciarla in riflessi
opalescenti di una strana tonalità violacea. Lei per tutta
risposta gli aveva sorriso con quel sorriso un po' sbarazzino, un po'
saccente e l'aveva ringraziato. Molti pensavano che fosse strana. Forse
per questo era stata l'unica in grado di stargli vicino per
più di tre mesi, senza che a lui venisse voglia di
scaricarla prima.
“Che c'è,
Lizzy?” Le domandò sbuffando e lei gli
indicò divertita l'altra parte dell'aula di musica. La porta
era stata aperta e la preside si era intrattenuta a chiacchierare
amabilmente con la loro professoressa di canto. Erano piuttosto
concitate. Una voce acuta che si scontrava con un'altra contraltile e
ferma. Tornò a fissare la sua migliore amica -sì,
perché in altro modo non avrebbe saputo appellarla- scettico.
“E allora?”
Incalzò con le sue domande, svogliato
“C'è la preside. Hai ancora paura di
lei?” Ironizzò mostrandole un sorrisetto sfrontato
che la fece imbronciare. Era carina quando si imbronciava. Divertente.
Nonostante l'apparenza da ochetta, nemmeno troppo sotto nascondeva un
caratterino sagace. Era furba e decisa e questo la portava ad arrivare
sempre dove voleva. Infatti non solo era la sua sostituta in caso di
malattia alle esibizioni scolastiche, ma anche uno dei soprani
più talentuosi che potesse vantare il loro conservatorio.
“Ma sei tonto?”
Ribatté lei andando a mandare in frantumi in un istante
tutta la sua autostima. Era l'unica che ci riuscisse con tre semplici
parole. Forse per via dei loro trascorsi. Forse perché
glielo aveva chiesto con una dolcezza che stonava completamente con
quelle parole. Forse perché lo disse a voce talmente alta da
far girare mezza classe verso di loro. Victor rimase per qualche
istante con le labbra schiuse per ribattere, ma non fece a tempo ad
articolare nulla di sensato, visto che le mani da violinista della sua
amica gli afferrarono le guance facendogli torcere drasticamente il
collo provocando un rumore sinistro quando le vertebre si mossero,
schioccando.
“Lizzy, sono un umano, non una
gallina cui tirare il col...” Ebbene sì: le parole
gli morirono drasticamente in gola quando dietro alla Martinelli si
presentò un ragazzo. Un ragazzo che, per fama, si trovava
già sulle bocche di tutti gli studenti. Soprattutto quella
del giovane Stradivari che era rimasta aperta, con il mento che
probabilmente di lì a poco avrebbe toccato il pavimento.
Pronta ci fu la mano di Elisabetta a fargli riattaccare mascella e
mandibola assieme, sollevando gli occhi al soffitto con fare
esasperato. Eh, già: lei lo aveva già capito. Lui
ancora no.
“Oh cazzo!”
Formulò Stradivari a tono nemmeno troppo sommesso provocando
delle risatine da parte di alcuni, e lo sgomento generale della classe.
Il raffinato Victor Stradivari che se ne usciva con un gergo
così poco di classe. Inaudito. Riabbassò lo
sguardo, andando a fissare il banco che improvvisamente era divenuto il
fulcro centrale del suo interesse.
“Dunque, ragazzi. Lui
è Mark Violin.- Lo presentò velocemente la
professoressa. Aveva già perso abbastanza tempo, per i suoi
canoni. -Lei prenda pure posto dove preferisce, dopo mi farà
sentire la sua voce.” Il ragazzo dedicò alla
classe un profondo inchino -di quelli da esibizione- prima di
avvicinarsi alle sedie raccolte ordinatamente in un angolo,
afferrandone una e dirigendosi poi verso Lizzy. E quindi verso Victor
che in quel momento stava facendo di tutto per imporsi di non
guardarlo: se l'avesse fatto, gli sarebbe saltato al collo per
strozzarlo.
“Ben venuto.” Vivace
l'accoglienza che gli riservò Elisabetta e nel mentre il
giovane Stradivari si limitava ad ignorarlo cordialmente, dimostrando
all'improvviso un profondo interesse per la porta dalla quale la
preside non sembrava essere intenzionata a schiodarsi. Non sapeva
perché, ma aveva la netta sensazione che da sotto i suoi
fondi di bottiglia, lo stesse osservando con un sorriso sardonico.
-Sarà solo un'imp...- Non finì di formulare quel
pensiero che la voce quasi maschile della donna lo fece sobbalzare. No,
decisamente quella non era la sua giornata.
“Victor!” Lo
richiamò all'ordine quella specie di teiera dai capelli
color carota. Si impose una calma che in quel momento sembrava essersi
andata a fare un bel viaggio alle Hawaii. Magari lo stava chiamando
solamente per... congratularsi con lui. Con il secondo posto ottenuto
solo un mese prima avrebbe potuto pagarsi comodamente le ultime due
rate della scuola, per quell'anno.
“Mi dica.” Eccolo.
Ora lo riconosceva quel mezzo sorriso un poco sfrontato, un poco
arrogante che sentiva arricciargli le labbra, ancora lì, sul
suo viso. Per un istante mise da parte il pensiero che lui e Mark
frequentavano il medesimo istituto. Gli sarebbe bastato stargli lontano
per essere sicuro di non avere seccature. Frequentavano la medesima ora
di canto corale? Avrebbe girato al largo. Non l'aveva mai sentito
parlare, ma all'apparenza doveva avere una voce discretamente bassa,
quindi ben lungi dalla sezione del coro dove solitamente sostavo lui: i
tenori.
“Alla fine della lezione la
voglio nel mio ufficio. Porti con lei anche il signor Violin.- Una volta
aveva letto in un libro che quando si ha un sogno, tutto l'universo
cospira affinché questo sogno si realizzi. Bene. Allora
perché il Mondo intero sembrava cospirare
affinché lui realizzasse un duplice omicidio in tempi
stretti? Beh... in fondo anche quello era un suo desiderio, no? Il suo
sorriso si spense miseramente mentre si limitava ad annuire alla
preside sempre più depresso. Sia fatta la sua
volontà. Non poteva essere altrimenti. -Ah. E mi hanno
chiamato di nuovo per sua madre.” Eccola lì.
L'onta della sua famiglia: sua madre. Scrollò le spalle
noncurante accompagnando tutto con un'espressione di sufficienza. Aveva
imparato a fingere di fregarsene bellamente, di quella donna, come lei
si era infischiata di lui in quei diciassette anni dal giorno in cui lo
aveva dato alla luce. Fingere, già. La mano sinistra corse
alla sua spalla destra. Fingere.
Angolino autrice:
Che dire? Che innanzitutto ringrazio tutti quelli che hanno recensito.
Specie _RedLeaves_
che è stato praticamente costretto. Tesoro, te la sei
cercata ampliamente, quando mi hai detto che avevi ripromesso a te
stesso che volevi leggere questa mia idiozia v_v Evito di riportare gli
Sms che mi hai mandato, perché vanno contro la morale comune
degli Yaoisti v_v
_MinnyFive_
sono felice che la soria ti piaccia :) E' un racconto già
terminato che aggiornerò ogni domenica, salvo imprevisti :3
spero lo seguirai ^w^
_Yuko Chan_
La tua recensione mi ha emozionata, sai? XD Non pensavo di essere
riuscita a rendere così bene quello che avevo in testa.
Violin e Mark sono due personaggi particolari. Credo che il prologo
parli fin troppo bene della storia, di per sé XD Lascia
presagire tanto, forse troppo ^^" Come ho detto alla giudice del "queen
contest", questo racconto parla tanto anche di me, visto che con il
mondo della musica ci convivo. E molte delle sensazioni che descrivo
tramite Vic, appartengono anche a me. Solo dal punto di vista musicale,
eh! XD Sono quindi ancor più felice che il prologo ti sia
piaciuto, perché vuol dire che sono riuscita a dare quelle
sensazioni che speravo di trasmettere :) spero che continuerai a
seguire anche il resto della storia e di non deluderti :3
_Dì_ Salve
Signorino! T^T Tu lo sai che me ti adora, sì? *-* **Gli fa i grattini, come
richiesto** Gh... credo che tu abbia già
cominciato a conoscermi, quindi sì, spero ne vedrete delle
belle XD Perché sinceramente non so dare un giudizio alla
marea di cavolate che ho scritto ^^" Ehm... **deve mangiare meno
funghetti allucinogeni... sìsì** Sicuro di non
aver avuto lo stereo acceso mentre leggevi? Forse la musica veniva da
lì XD Mmmh... parlare di futuro tra Vic e Mark la vedo un
po' ostica ^^" Vedremo con lo svilupparsi della trama XD Attendo
critiche, siggnor Dì v_v Alla prossima :3
_RiflessoCondizionato_
**scodinzola e fa le fusa assieme** (sì, è
anomala) Mrew *w* Mi rende felice il sapere che avresti letto questa
storia pur senza sapere che era stata scritta per lo Yaoi contest XD Lo
stesso dicasi per la tua O_O avevo già cominciato a leggerla
senza sapere che stava partecipando al contest XD Ti ringrazio davvero
tantissimo per la recensione *A* Sono felice che il prologo
"si ricordi" e che come storia risalti nella massa, anche se ho sempre
paura di scadere nel banale ^^" Spero di non deludere le aspettative
con l'avanzare del racconto °^° C'è da dire
che è vero: Vic è terribilmente rigido. Eppure
Mark riesce a farlo scomporre di punto in bianco XD E questo in
realtà è anche poco v_v ho preparato altre
sorpresine per i nostri protagonisti ;) Spero continuerai a seguire le
loro vicende :3 In bocca al lupo anche a te *-* Anche se come ho detto
nell'apposito 3dde del forum, il contest si presenta agguerrito XD
<3
_Emychan_
Anche a me piace tanto Violin *-* specie per qello che gli
succederà più avanti X°° Ma non
diciamolo a voce troppo alta, altrimenti qualcuno potrebbe igelosirsi
v_v **Guarda un co-protagonista a caso** Grazie per avermi
messo tra i seguiti *-* A domenica prossima XD
_NonnaPapera_
La caratterizzazione dei due protagonisti per me
è stata fondamentale, perché ad un certo punto
avrebbero voluto prendere strade completamente differenti da quello che
avevo tracciato io per loro o_ò è stata una
faticaccia tenerli immobili nel loro carattere XD Mark (Marco, come
nome che mi avevi dato tu), avrà anche uno spin-off tutto
suo per un altro tuo contest v_v quindi preparati, che qui
c'è solo l'assaggio X°°
In ultima, ma non per importanza, ringrazio _Andy_ v_v
Senza di lui, Victor e Mark non sarebbero mai nati, anche se, con suo
sommo orrore, ho stravolto il carattere dei suoi personaggi XD Mi
dispiace, cussiolo, spero che la storia ti piaccia comunque, visto che
tu a quei poveracci non dai mai spazio v_v Ho preferito abusarne io
come mi pareva e piaceva XP Daisukidayou! <3
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Capitolo 3 *** 2. Brutta bestia, l'invidia ***
2. Brutta
bestia, l'Invidia.
The
show must go on, yeah
Inside
my heart is breaking
My
make-up may be flaking
But my smile still stays
on
Un, due, tre, quattro.
Ancora.
Un, due, tre, quattro.
Perfetto. Poi il pezzo
difficile.
Un, due, tre...
Sting.
Ed eccola che partiva.
Maledetto quel passaggio. Otto note. Otto note terribilmente irritanti
che non sembravano proprio essere intenzionate ad uscire dal suo
violino come lui gli diceva. O forse era proprio lui quello ad essere
così incredibilmente fuori tono. Stonato. Fuori di
sé e dal mondo. Arrabbiato.
“Stradivari,
vorrei aiutasse il Signor Violin ad ambientarsi nel nostro istituto.
So che avete partecipato entrambi al concorso alla Fenice. Il qui
presente ha ottenuto un risultato più che ottimo, direi,
visti i voti conferiti dalla giuria.- Come se lui non l'avesse saputo.
Maledetta megera! Si divertiva a prendersi gioco di lui. -Sono sicura
che potrete diventare ottimi amici. Anche perché
occuperà la camera adiacente alla sua.- Racchia
odiosa! Vecchia bisbetica! Se Shakespeare l'avesse conosciuta, altro
che “La bisbetica domata” avrebbe scritto.
“La Bisbetica indomabile”, ecco cos'era! Poi la
gente si chiedeva perché era ancora zitella. Chi se la
sarebbe raccolta una scorfana già condita con tanto di
limone? Dovevano anche aver esagerato con il limone, acida com'era. -Ah, e, signor Stradivari,
un'ultima cosa. Ringrazi calorosamente la sua famiglia. Anche
quest'anno hanno fornito un contributo notevole alla scuola.”
Come a dirgli che doveva ringraziare papà e nonni se
continuava a studiare in quel conservatorio. Come se dovesse
ringraziare lui per il fatto che dessero tanti soldini all'istituto,
perché senza quelli lui non sarebbe stato lì e
non sarebbe riuscito nemmeno ad ottenere gli ottimi voti che aveva. Le
rispose con un sorrisino di convenienza. Dio solo sapeva quanto Victor
potesse odiarla.
Riprese a suonare. Era l'unico modo che aveva per sgombrare
la testa. Gli faceva male.
Dannatamente male. E non
era la sola cosa a dolere. A dispetto di quanto si potesse pensare, lui
si era fatto da solo, senza l'aiuto di nessuno. L'unico che doveva
ringraziare, era proprio me stesso.
Sting.
L'ennesima nota
sbagliata. L'ennesima battuta che non usciva. L'ennesima frase che,
dopo quattro ore di prove ininterrotte in solitaria, in una delle
stanzine private che il conservatorio forniva agli studenti, ancora non
usciva come avrebbe dovuto. Si accasciò mollemente sulla
sedia che aveva preparato dietro di sé, andando a tirare un
lungo sospiro. Si sentiva a pezzi. Aveva voglia di piangere. Lui, che
da che ricordava, non aveva mai versato una lacrima. Freddo a qualunque
emozione, non fosse scherno o ironia che lui stesso produceva.
“Maledizione!” Imprecò senza
porsi grandi problemi. Lì erano lui e la stanza
insonorizzata. La stanza insonorizzata e lui. O per lo meno,
così pensava. Si appoggiò lo Stradivari sulle
gambe, incarcerandolo tra il petto ed i gomiti che si piantò
sulle ginocchia spigolose per afferrarsi in fine il capo tra le mani.
Faceva male. Dannatamente male. E prese a dolergli ancora di
più quando sentì delle note provenire dalla
stanzina adiacente. La porta condivisa che creava l'unico angolo non
insonorizzato di quel posto improvvisamente divenuto troppo stretto.
Non voleva sapere chi stesse suonando. Non voleva, perché in
realtà già poteva immaginarsi la risposta. Non
era il modo di eseguire intenso di Lizzy, né tanto meno
quello calmo e deciso di Axel, il suo migliore amico. Era armonioso.
Morbido e delicato. Capace di trasmettere sentimenti che, ascoltando il
passaggio eseguito da altri, non si sarebbero mai potuti sentire.
Quegli stessi sentimenti che aveva sentito trapelare alla Fenice.
“Ecco, questo è l'auditorium. Queste
sono le sale prove. La mensa. Qui conservano gli strumenti. Se vuoi
farti un bagno c'è il bagno più grande al piano
di sotto, accanto alla piscina. Altrimenti la doccia è...-
Esitò per qualche breve istante storcendo le labbra e
sentendo un brivido freddo corrergli lungo la schiena. -E' nel bagno
condiviso dalle nostre due stanze. Ehi? Mi stai ascoltando?”
Aveva fatto fare il giro turistico del collegio al suo compagno di
studi due giorni prima, scarrozzandoselo in giro velocemente, seccato,
quasi sperassi che così quella vicinanza troppo... vicina,
si sarebbe spezzata prima. Il fatto che si trovasse nella sala prove
accanto alla sua, in quel momento, lo smentiva sotto tutti i punti di
vista.
“Violin...” Sbuffò quel nome
seccato, per nascondere a se stesso la reazione inconsulta del proprio
cuore che aveva appena compiuto un balzo nel petto. Afferrò
con decisione lo Stradivari e ritornò in piedi con un
movimento rapido. Infastidito. Non avrebbe più sbagliato
quel passaggio, ne era convinto. Errore. Non servì nemmeno
sperimentare quell'ennesimo tentativo, visto che non appena si fu
tirato in piedi, sentì le gambe farsi molli e poco dopo si
trovò riverso a terra privo di sensi e con una febbre tanto
alta che avrebbe potuto tramortire un cavallo.
Forse fu il rumore
emesso dal violino dopo il caracollare a terra di Victor.
Forse fu un semplice
presentimento.
Ma poco dopo la porta
della stanzina venne aperta.
Victor Stradivari odiava la febbre. Il suo era un odio
viscerale cresciuto con gli anni e nato a causa delle continue prove
cui lo sottoponevano i suoi nonni quando restava a casa per motivi di
malessere. Quando da bambino, con l'ingenuità dei suoi otto
anni, diceva ai suoi compagni di classe che a lui piaceva andare a
scuola, era causa di ilarità generale. Tanto che dopo una
prima volta, non ne erano più seguite. Non aveva bei ricordi
della sua infanzia. Soltanto il violino ed i docenti che venivano
letteralmente assoldati dalla sua famiglia perché il suo
talento non andasse sprecato. In quegli anni, se avesse potuto, il suo
talento l'avrebbe venduto al miglior offerente.
Accolse il nuovo giorno con un sonoro sbadiglio, allungando
le braccia sopra il capo e stendendo per bene le gambe sotto le
coperte. Era vero. Victor Stradivari odiava la febbre, ma senza dubbio
amava dal più profondo la domenica mattina. Doveva aver
dormito fino a tardi. Ne era certo. Poteva sentire chiaramente il
vociare dei suoi compagni provenire dal giardino del dormitorio. Era
immenso ed attrezzato con diversi campi dove praticare sport di tutti i
generi. Altrimenti poco distante c'era un lago in riva al quale si
poteva correre oppure ritrovarsi per lunghe chiacchierate. E la
domenica mattina era dedicata soprattutto a quello. Allo sport. Agli
incontri tra i ragazzi al di fuori dalle aule. Alle chiacchierate in
compagnia. Era inizio autunno ed il sole era tiepido. Fuori si doveva
star bene. La cosa invogliò maggiormente il giovane
violinista, che, dopo dieci giorni di segregazione nella propria
stanza, sentiva davvero il bisogno di uscire a fare due passi. E magari
trovare l'ennesima fidanzata, o per meglio dire: vittima.
Saltò giù dal letto andando ad afferrare il
lettore cd posato a terra. Ne aprì lo sportellino e vi
infilò dentro il primo dischetto che gli capitò
sotto mano. Beethoven. Non l'amava particolarmente. Preferiva cose
più raffinate. Decisamente, se avesse potuto scegliere, in
quel momento avrebbe inserito Verdi, ma non aveva proprio voglia di
mettersi a frugare per trovarne il cd.
“Doccia.” Decretò dopo essersi
dato una veloce occhiata allo specchio a figura intera che se ne stava
pigramente appeso all'armadio. La figura che gli restituì le
proprie attenzioni era magra, quasi filiforme. Non aveva un filo di
grasso o di muscoli ed appariva quasi emaciata, dopo più di
una settimana di digiuno quasi completo. Però la sua
espressione era sempre quella di furba strafottenza. Già.
Una doccia e sarebbe stato come nuovo. In pochi istanti fu
completamente nudo, e l'attimo dopo era già sulla porta del
bagno con il proprio asciugamano ben legato in vita, tutto intento ad
aprire l'ingresso della stanzetta. Quello con cui non aveva fatto i
conti è che qualcuno potesse trovarsi lì dentro.
L'ultima persona a cui pensava in quel momento. E l'unica che, se
avesse saputo, avrebbe evitato caldamente di vedere. Lì.
Statuario. Come Madre Natura l'aveva fatto. E perché no?
Bello da mozzare il fiato. Mark se ne stava in piedi davanti a lui. Le
mani che frizionavano i capelli tenuti lunghi e che bagnati diventavano
leggermente opachi. La pelle abbronzata e segnata sul petto da quella
che sembrava essere una cicatrice. Le spalle larghe. Larghissime ed
allenate, così come i pettorali segnati e non incavati come
quelli di Victor. Quella leggera peluria un poco più scura a
macchiare la sua pelle ancora segnata da qualche goccia d'acqua. Il
cuore di Victor perse un colpo. Tu-tum.
Lo stesso Victor che si accorse di star fissando il ragazzo che aveva
difronte solo dopo qualche lunghissimo attimo. Tu-Tum. Nello
stesso attimo in cui i loro sguardi si incrociarono. Ed il suo corpo
reagì da solo prima che lui potesse anche solo pensare a
qualcosa di razionale. Tu-Tum.
Tu-Tum. Avvertì il cuore pulsargli all'altezza
della gola e rabbrividì per quello che stava succedendo,
abbassando lentamente gli occhi quasi a volersi accertare che non fosse
solo una sensazione. Ma l'erezione che faceva bella mostra di
sé sollevando l'asciugamano che invece di coprirla sembrava
accentuarla gli tolse qualunque dubbio, mandandolo in una sorta di
panico. Panico che non venne di certo attenuato quando, alzando gli
occhi, inciampò sulla figura di Violin e si accorse che al
giovane che aveva davanti, stava succedendo la stessa cosa.
Ci mise un secondo, il suo raziocinio, a tornare. Ed il
secondo dopo lui era già fuori dalla porta del bagno che
imprecava, rosso in viso, per quello che gli era appena successo.
Possibile che le crisi di sessualità dovesse avercele
proprio in quel momento? E soprattutto... provocate da Mark Violin?! Si
catapultò correndo di gran carriera verso il proprio letto,
recuperando i vestiti che ci aveva malamente piazzato sopra. Fu veloce
come un fulmine a rivestirsi, uscendo di volata dalla propria stanza e
filando verso il bagno del piano inferiore. Altro che doccia. Adesso
aveva decisamente bisogno di un bagno ghiacciato.
Hyuuuuuuu! Ovviamente io avevo detto che avrei aggiornato domani, ed
invece mi vedo costretta ad aggiornare oggi dal treno, visto che sto
andando in montagna e che da lì, in mezzo ai nanetti della loacker travestiti in mezzo alle piste da sci, la mia adorata chiavetta
internet non prende -.-"
Che dire? Che il ritmo della storia è ancora piuttosto lento
e che piano piano si scopre qualcosa in più del nostro
scontroso protagonista u_u Io amo questo ragazzino, c'è poco
da fare XD Prometto che nel prossimo capitolo scoprirete qualcosa di
più anche su Mark e che comparirà un altro
personaggio un po'... particolare v.v
Passo a rispondere alle recensioni <3
_RedLeaves_
Piuttosto che per sms, preferirei che tu commentassi qui, visto che le
tue recensioni fanno piegare dalle risate XD Grazie per sopportarmi e
sopportare la mia storia, comunque, fratellino! XD
_Nana Swan_ I
primi capitoli sì, sono piuttosto brevi :) In
realtà stando a Word vi siete già sorbiti ben 8
pagine in times new roman 12 v_v Sono però contenta che la
storia ti piaccia tanto da averla messa nelle seguite *-* Spero di non
deludere le aspettative <3
_Yuko Chan_
Trovo che una storia debba essere fruibile per
tutti anche quando si parla di argomenti estranei. In questo caso
musica classica, ma in realtà quando si parla di musica qui,
cerco un contesto piuttosto generale. Infatti la colonna sonora del
racconto, se così la vogliamo chiamare, è The
Show Must Go On, che è una canzone Rock ^w^ L'ho ascoltata
ad oltranza durante la stesura del raccnto XD (<- Ama i Queen)
Ma passiamo alla recensione xD Non è solo l'ambientazione a
cambiare, ma anche Victor stesso, come dici tu, e quanto lo circonda,
anche. Mark compare davanti a lui, le loro vite si incontrano di nuovo
e scoppia il caos nella testa di Vic e la cosa è positiva
per un certo punto di vista. Ovvio che si capirà
più avanti quanto questo caos darà vita ad una
sorta di Big Bang xD
_ClearSoup_ Felice
che tu non abbia eliminato l'introduzione al commento xD E' stata
piacevole ;) Sono felice che il mio modo di scrivere ti piaccia e che
ti siano piaciute le metafore da me utilizzate. Questi primi capitoli
sono stati i più ostici da scrivere, perché
dovevano dare l'ambientazione a tutto il racconto. E non parlo solo di
una questione temporale, ma anche psicologica. Come dici tu, le parole
e gli sguardi soo messi lì per un motivo. Ed in
realtà questo motivo è già abbastanza
palese, anche se sottile xD L'atmosfera dolcioso-romantica spero che si
senta *^* E spero che mano a mano che avanzerà la storia si
avverirà sempre di più =P
_MyPride_
Mrew *w* Fa le fusa *w* Che bello vederti qui *-* Non serviva la
recensione, in realtà, proprio per il fatto che avevi detto
che non ti piaceva questo tipo di sorie v_v Però sono
ugualmente felice che tu l'abbia lasciata, non posso negarlo v_v Sono
contenta che consideri i miei personaggi vivi. Nemmeno a me piacciono
le storie con i personaggi di "carta velina" ed infatti in questa
originale mi sono quasi cimentata in un "GDR" pur di non
far sembrare tutti i Pg uguali tra loro >___< spero che
l'effetto perdurerà anche in futuro ^w^ Ancora grazie per la
recensione <3
_RiflessoCondizionato_
Purtroppo niente Professoressa Fangirl, in questo racconto. In un'altro
di prossima pubblicazione, invece, si rivelerà tale xD Vic
è un personaggio particolare, di per sé. Prova un
grande affetto per Lizzy. Ed allo stesso modo le porta un rispetto
infinito. E' per questo che ho spaziato un po' sul loro rapporto,
durante la narrazione ^^" In realtà sotto sotto è
meno stronzo di quanto non si possa pensare. E questo suo comportamento
è radicato molto più profondamente di quanto in
realtà non si possa pensare :) Le ultime battute del secondo
capitolo spiegano già tanto, ma non faccio altri spoiler v_v
Aspetta di leggere xD Su Mark, invece, scoprirete qualcosa di
più nel prossimo capitolo, anche se temo che le scoperte mi
tireranno addosso "l'ira funesta delle cagnette a cuo avev rubato
l'osso" ._. Ehm no... quella è Bocca di Rosa, effettivamente
xD Comunque... l'ira funesta delle lettrici xD
Per quanto riguarda la tua storia, sì. L'ho aperta
perché mi ispirava nonappena mi è passata davanti
tra le nuove storie e l'ho iniziata a leggere in facoltà xD
Poi ho terminano quando l'ho ritrovata sul forum xD Alla prossima,
darling <3
_NonnaPapera_
Yup, uno spin Off tutto per te perché qui Marco è
il Co-protagonista v_v E quindi ci voleva che fosse il vero
protagonista xD Lizzy è un
personaggio che
sinceramente amo e non volevo che restasse il solito personaggio
femminile e rompibollicine che si trova in tutti gli Yaoi. Mi ci sono
impegnata per darle una caratterizzazione decente ed in
realtà c'è ancora molto di lei che non si coglie
=P Credo che Egocentrica com'è, anche lei si
ritroverà ad avere uno spin off tutto per lei xD Victor
è un tipo superficiale, forse, ma il suo comportamento, come
già detto, ha un perché. Se così non
fosse l'avrei buttato nel vater direttamente xD Mark è
difficilmente inquadrabile, perché i suoi momenti di gloria
li avrà più avanti xD
Un grazie enorme a tutti quelli che hanno recensito e che stanno
leggendo soltanto :3
Un bacione grosso <3<3
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Capitolo 4 *** 3. Semplicemente il Destino, o gli hai dato una mano? ***
3. Semplicemente il Destino, o
gli hai dato una mano?
Whatever happens,
I'll leave it
all to chance
Another
heartache,
another
failed romance
On and on,
does anybody know
what we are
living for ?
“Ma tu... cosa aspetti a portartelo a
letto?” Sussultò visibilmente quando una voce lo
colse di sorpresa. Le spalle che si alzarono di scatto e lui che si
ingobbì come un gatto che lì per lì si
sente minacciato. Ecco cosa sembrò ad Axel, in quel momento.
Il cucciolo di un gatto che sta per saltare addosso ad un cane che gli
ha abbaiato contro. E quell'impressione lo fece sorridere maggiormente
quando il violino di Victor rovinò pericolosamente sul prato
dove stava seduto.
“Ax, benemerito pezzo di deficiente! Cosa ti dice
il cervello? Stavo provando.” Soffiò Stradivari,
compito, recuperando il proprio strumento che nella caduta aveva emesso
una serie di note stridule e fastidiose, scordandosi, come se non fosse
bastato. Paziente, il giovane si mise a sistemarle nuovamente, senza
nemmeno il bisogno che utilizzare l'accordatore. Aveva un orecchio
terribilmente fine. Ce l'aveva sempre avuto, fin da bambino.
“Oh, certo. Stavi provando come pizzicare
l'archetto nel modo giusto. Ma sono sicuro che stessi pensando ad un
altro tipo di... 'archetto'.” Ribatté con una
sottile ironia il ragazzo, mentre il suo volto si velava di una
discreta malizia e portava quegli occhi verdi contornati di marrone e
tremendamente provocanti verso il campo da Basket. Dalla collina dove
si trovavano si aveva un'ottima visuale del piccolo rettangolo di
cemento segnato da linee bianche e rosse. Vic si sentì preso
in contropiede. Era così lampante che invece di guardare gli
spartiti che aveva accuratamente posato contro le gambe stesse
osservando ben altro?
Giù, in campo, c'era una sagoma che per lui in
quei giorni era divenuta tremendamente nota. Ricercata e temuta al
tempo stesso. Mark stava giocando assieme ad un gruppo di ragazzi
più grandi. Anche se in realtà non aveva ancora
capito quanti anni avesse l'uomo. Gli era parso di cogliere un
ventitré durante una chiacchierata in mensa, ma non ne era
così sicuro. Dal giorno del loro piccolo
“incidente” in bagno, non si erano nemmeno
più rivolti la parola. Eppure si era reso conto di cercarlo
con lo sguardo ogni volta che poteva, dandosi del cretino quando
puntualmente veniva colto in flagrante dagli occhi ghiaccio dell'altro.
“Smettila, Ax. Non sono dell'umore giusto per il
tuo sarcasmo.” Sbuffò seccamente ritornando ad
accordare il proprio strumento, fingendo di provarlo e riprovarlo per
controllare che tutto fosse apposto. La sua farsa durò
però ben poco, visto che quando alle sue parole non
seguì una ribattuta si costrinse a sollevare gli occhi per
osservare l'amico, incontrandone il sorrisetto sornione ed il viso
imbellettato con il rimel ed una pesante matita nera. Aveva i capelli
di un bel rosso Tiziano. Non erano il suo colore naturale, era
lampante. Axel di natura aveva i capelli neri. Neri come la pece, se
non di più. E gli occhi che vicino alla pupilla diventavano
di un verde erba quasi spiazzante. Talmente chiaro e limpido, che ad un
primo sguardo si sarebbe potuto pensare di perdercisi dentro. E si
sarebbe potuto pensare che anche il proprietario, caratterialmente,
fosse così bello e limpido. Axel non era assolutamente
bello. Era il tipo che piaceva, però. Molti lo consideravano
strano. Per Stradivari, invece, era solo po' eccentrico in quel portare
colori che tra di loro non si sarebbero mai incontrati e che invece,
addosso a quel corpo che ora sfiorava l'anoressia, donavano come ad un
quadro surrealista. Victor l'aveva visto crescere e cambiare, seppure
si sarebbe potuto pensare il contrario, visto che il ragazzo era di
quasi cinque anni più grande di lui. Gli aveva fatto da
fratello maggiore. Il violinista l'aveva visto affrontate e superare
l'obesità prima, assieme alle prese in giro dei compagni di
scuola. La droga. E l'anoressia poi, assieme a quel momento un po' emo
dal quale l'aveva visto rinascere forte e maturo. Diverso, ma sempre
uguale.
“Non è sarcasmo, fratellino. Sono gay:
mi accorgo di queste cose.” Già. L'ultima prova da
affrontare era stata l'omosessualità. Tutto quello che aveva
passato Ax era riconducibile al suo non volerlo ammettere. O per lo
meno, il suo non averlo voluto ammettere prima. Probabilmente, se
l'avesse fatto diversi anni a dietro, non avrebbe dovuto affrontare
tante vicissitudini con i genitori e con il resto del mondo. La madre,
da che glielo aveva comunicato, era in terapia da uno psicologo. Aveva
provato a portare anche lui dallo strizzacervelli, ma questo non aveva
fatto altro che aumentare le sue certezze. Alla fine aveva riso
bellamente in faccia a tutta la sua famiglia e li aveva cordialmente
mandati a fanculo, impegnandosi per realizzare il proprio sogno:
portare la musica classica ad un livello più fruibile per
tutti. Quello che sapeva creare con le sue mani era come lui.
Stravagante, con quelle unghie laccate di nero ed il piercing triplo al
sopracciglio. Eppure piaceva. Aveva il potere di incatenare. Ed era uno
studente modello, tanto che i professori gli concedevano
quell'eccentricità anche quando indossava la divisa
scolastica.
“Allora, te lo sei portato a letto?- Ecco. Se la
domanda gli fosse stata posta solamente da Axel avrebbe avuto un suo
perché. Ma sentire il medesimo quesito venir pronunciato
dalle labbra di Lizzy ebbe il potere di pietrificarlo sul posto. Non
s'era accorto che anche lei fosse lì, arrampicata come un
corvo su uno dei rami dell'albero. Victor schiuse le labbra per
articolare qualcosa, ma la ragazzina gli precluse qualunque
possibilità di ribattere. -E' lampante.” Disse in
un sorriso divertito, come se avesse avuto il potere di leggergli nella
mente. E nel cuore. Non seppe come, il ragazzo, ma in quel momento
realizzò che Elisabetta doveva averlo lasciato anche per
quello.
“No. E poi non voglio portarmelo a letto, Liz.
Piuttosto... che ne dici di andarcene da qualche parte io e
te?” Sviò e lo fece con stile. Un sorriso sornione
in volto, accattivante. Era però sicuro che la violinista
avrebbe declinato con quello stesso sorriso con cui ora lo stava
fissando. Eccola inclinare il capo verso una spalla in un gesto vezzoso
che ripeteva ogni volta che rifiutava qualcosa. Con quei capelli neri
che ribelli scendevano in lunghi turaccioli. Se avesse dovuto pensare a
Raperonzolo, l'avrebbe immaginata come lei, in quel momento, a calare
la propria treccia verso il principe giunto per salvarla. Solo che in
quel caso, il principe non era lui.
“Io non prendo appuntamenti con gli
omosessuali.” Altezzosa in quel sollevare il capo facendo
vibrare un poco il ramo sul quale stava appollaiata. La piccola dea
della morte. La piccola principessa dei corvi. Axel non parve prendere
botta di quelle parole. Tutt'altro. Quasi le fosse complice,
l'osservò ridendo ed allungando le braccia verso di lei.
“E con me usciresti, amore?” Le
domandò facendola sfociare in eccesso di risa mentre lei
stessa compieva il medesimo gesto eseguito del ragazzo, lasciandosi
ricadere tra le sue braccia scheletriche che però la
sorressero con la forza di due solide impalcature.
“Ma certo che sì, tesoro!”
Cinguettò civettuola lasciando completamente spiazzato il
giovane Stradivari. Che il suo amico fosse gay era risaputo in tutta la
scuola sin dal primo giorno che ne aveva calcato i corridoio con passo
fluido ed indifferente, dedicando sorrisi ed ammiccamenti a qualunque
esemplare di sesso maschile gli fosse passato sotto tiro. Li
osservò interdetto mentre si scambiavano un casto bacio
sulle labbra, più fraterno che passionale. Ax era talmente
piccino che da lontano si sarebbe potuto scambiare per una ragazza.
Victor non seppe per quale motivo, ma nella sua mente andò
formandosi una di quelle immagini da film a luci rosse dove due donne
si baciano davanti all'uomo che solitamente le ingaggia al fine di
soddisfare la propria perversione. Ancor meno si riuscì a
capacitare dell'incantesimo che aveva trasformato le due donne in due
uomini. E quegli uomini avevano la faccia sua e di Violin. Cazzo!
Decisamente stava degenerando. Scosse il capo tornando a fissare i due
amici che ancora giocavano alla strana coppia.
“Perché lui si e io no?”
Chiese imitando la voce infantile di Elisabetta, ricevendo in risposta
una risata argentina da parte della ragazza che subito gli
dedicò un giocoso sberleffo in risposta. Solo in un secondo
momento si distaccò da Axel, gettandosi al collo dell'altro,
strusciando contro la sua guancia con la propria, come un gattino
ruffiano.
“Perché lui lo ammette e tu
no.” Fu franca in quell'affermazione, sgranando gli occhi
poi, allo stesso modo degli altri due quando un grido provenne dal
campo da basket. Gli ci volle un nulla per scendere dalla collinetta
sulla quale erano arrampicati. E gli ci volle ancora meno per cogliere
le prime informazioni su quanto era appena avvenuto.
“Dicono che sia svenuto Violin.”
“Davvero? Io avevo capito che si è preso
una storta alla caviglia.”
“Ma no! Il poverino soffre di cuore. Speriamo che
non gli sia venuto un attacco!”
“Si, è vero! Anche io lo avevo sentito
dire. No, cielo! Speriamo di no..!”
“Poveraccio.”
“Chiamate un'ambulanza!”
L'ambulanza abbandonò l'istituto a sirene
spiegate, lasciando gli studenti spersi.
Lo svenimento
di Violin.
Il fatto che
uno dei violinisti più bravi del conservatorio soffrisse di
cuore.
Il giovane
Violin di per sé.
Questi
divennero l'oggetto di maggior interesse per la settimana a
seguire e anche dopo, una volta che al giovane fu permesso di ritornare
a frequentare liberamente le lezioni, seppure stando attento e venendo
monitorato almeno almeno un paio di volte a settimana.
Victor se ne stava lì, impassibile.
Era un unico
blocco di cemento armato che non sembrava volerne sapere di sposarsi
dalla sedia sulla quale si era accomodato qualche ora prima, nonostante
l'istinto di fuggire il più lontano possibile. Avrebbe
potuto comprare un biglietto per le Bahamas e suonare all'interno di
uno di quei localini in spiaggia per i turisti. Avrebbe preso due
piccioni con una fava! Anche tre, forse. In primis, non avrebbe
più visto Mark: liberazione. Poi avrebbe guadagnato,
tranciando completamente i conti con la famiglia. Ed in ultima... in
ultima... si sentiva un benemerito deficiente. Ed era ironico,
perché la sua maschera sfrontata reggeva anche in quel
momento di panico puro. Axel e Lizzy l'avevano trascinato lì
per vedere come stava Violin, ma lui si sentiva tremendamente fuori
luogo. D'altronde lui era il suo nemico naturale. In quel mese e mezzo
di convivenza all'interno della scuola si erano sfidati a suon di
violino più e più volte perché
sembrava che i professori si divertissero a metterli a confronto. Una
nota dietro l'altra, la lotta però era sempre impari.
Contando oltre tutto che il “signor Mark” sapeva
cantare e lui no.
“Begli amici che mi ritrovo. Se la sono data a
gambe...” Brontolò adocchiando con stizza la porta
della stanza mandando cortesemente a farsi una passeggiata Elisabetta e
quell'altro traditore.
“Andiamo
a mangiare un boccone. Tu resta lì, che devi spiegargli
cos'è successo, quando si sveglia.” Come no? Si
erano coalizzati contro di lui, ecco cos'era successo. Era irritato.
Aveva le braccia conserte al petto ed un'espressione così
corrucciata da far intenerire pure l'infermiera che era passata per di
lì a cambiare la flebo attaccata al braccio sinistro
dell'uomo.
“Vuoi qualcosa da leggere?” Gli aveva
chiesto risvegliandolo da quello che doveva essere diventato il suo
passatempo preferito da un po' di tempo a quella parte: fissare Violin.
Lo stava guardando anche il giorno precedente mentre giocava a
pallacanestro, prima che il suo cuore cedesse. Quando parve rendersene
conto tossicchiò per nascondere un leggero rossore che era
salito ad imporporargli le guance. Che reazione stupidamente anomala.
Si sentì preso in contropiede.
“No, la ringrazio, signorina.” Era stato
cortese nel risponderle, nonostante il proprio crescente nervosismo. Un
sorrisetto sbruffone a stenderne i tratti, quasi a voler dire che lui
non era assolutamente preoccupato, mentendo all'infermiera ed a se
stesso, prima di tutto. La donna aveva annuito osservandolo per qualche
istante, per poi ritirarsi con il carretto nel quale portava i
medicamenti per i cari pazienti.
“Devo aver scritto cretino in faccia.”
Brontolò in uno sbuffo stravaccandosi sulla sedia,
scivolando un poco in avanti, spostando lo sguardo per la prima volta
verso la finestra della stanza. Si godeva di una bella vista, da
lì. C'era un prato del quale non riusciva a vedere la fine,
seppure il grigiore delle nubi quasi perenni in quel luogo ne rovinasse
la magia. Un raggio di sole aveva fatto suo uno strappo tra le nuvole e
filtrava biricchino tra queste, posandosi pigramente sulle acque del
laghetto poco lontano. Quello dove le infermiere portavano i vecchietti
in sedia a rotelle a passeggio.
“Stradivari, perché non ci illustra la
sua ultima creazione?” Il professore di composizione lo
odiava particolarmente. O forse lo amava in un modo tutto suo e quella
sorta di sadismo era il suo modo di dimostrarglielo? Victor non lo
aveva mai capito. Però non gli dispiaceva esibirsi davanti a
tutto il resto della classe. Solitamente restavano tutti ammirati e
poteva avvertire una certa invidia sollevarsi nell'aria. Quella stessa
invidia di cui si nutriva soltanto perché in quell'ambiente
malsano era l'unico sentimento reale. L'unica cosa che potesse
dimostrare che lui si stava facendo da solo e non con l'aiuto dei suoi
famigliari.
“Sì.” Era stato monosillabico
e si era velocemente alzato in piedi con il suo strumento
già posizionato sulla spalla. Non aveva gli spartiti.
L'insegnate doveva averlo notato all'inizio della lezione. Ma lui non
ne aveva bisogno. Erano sue creazioni e le sapeva tutte a memoria.
Un breve respiro e cominciò. Era una cosa
piuttosto semplice, in realtà. Doveva adattarla ancora
completamente. Mancavano diverse partiture, perché aveva
completato solo le prime due per il violino e la viola. Avrebbe dovuto
suonare tutto il quartetto d'archi, accompagnato da un flauto traverso.
Poi fu una cosa improvvisa. Un violino stava suonando sotto il suo.
Un'armonia perfetta. Note che si intrecciavano e concatenavano l'una
con l'altra e quando partì una stonatura sicuramente non
l'aveva eseguita il secondo violinista, bensì Victor stesso,
quando si era reso conto che il suo controcanto era creato da Mark.
“Maledetto.” Glielo aveva ringhiato
dietro a tono talmente basso che probabilmente nessuno avrebbe potuto
sentirlo. Eppure il ragazzo gli lanciò un'occhiata in
tralice, cessando a propria volta di suonare e riponendo il violino
sulle gambe.
“Mi congratulo con voi, signori. Collaborare in
questo modo è certo redditizio.” Aveva esordito il
professore. Ma Victor se n'era già andato dalla classe.
Quel giorno. Lì era finalmente esploso il suo odio
per Violin.
“E non solo in faccia.” Fu una voce
baritonale ed ironica quella che lo raggiunse facendolo sobbalzare
visibilmente sulla sedia e costringendolo a mettersi nuovamente diritto
e composto su questa. Aveva un bel timbro. Caldo e pastoso. Basso. Ma
per nulla fastidioso. Quella voce! Quella voce! Fu bravo a trattenere
l'istinto omicida che lo pervase quando si rese conto che Violin aveva
probabilmente sentito il suo monologo. Si voltò di scatto ad
osservarlo. L'espressione improvvisamente fredda ed altezzosa. Lo
fissava con sufficienza, senza preoccuparsi di essere sgarbato.
Tutt'altro, sembrava farlo apposta. Voleva metterlo a disagio, anche se
quello ad essere più in difficoltà era proprio
lui.
“Soffri di cuore.” Lo disse con scherno.
Stronzo. Voleva essere stronzo. Lo stava facendo di proposito.
Calcolatore fino al midollo. Ma comunque non riusciva a capire
perché anziché far male all'altro, era lui a
sentir male al petto. A sentirsi tremendamente stupido.
“Quale essere senziente e sano di mente si mette a giocare a
pallacanestro pur sapendo di rischiare un colpo?” Fu acido
nello sputare quelle parole, trovando solo un muro di silenzio una
volta che ebbe finito. Continuò ad osservalo severo,
rendendosi conto solo in un secondo momento che così facendo
sembrava quasi si stesse preoccupando per lui. In risposta un
provatissimo Violin sollevò le spalle con noncuranza, ancora
steso sul proprio giaciglio. Seguitarono a tacere per una buona decina
di minuti. Tanto che Victor cominciò a pensare che l'altro
si fosse riaddormentato, visto che teneva gli occhi chiusi, ma fu
proprio quando lui fece per andarsene, che il compagno di studi lo
richiamò.
“Per quanto successo in bagno...” A
quell'esordio il violinista sussultò lanciandogli
un'occhiata bieca e furente. Il cuore gli fece un paio di giravolte,
preso da chissà quale emozione. Forse paura.
Paura di
venir considerato strano.
Paura di
essere preda di pregiudizi.
Paura di
quegli occhi tremendamente azzurri.
Di quei
ciuffi colore del grano maturo.
Di quel corpo
olivastro ed allenato.
Di capire
come diamine facesse un malato di cuore avere un corpo così
ben delineato e forte.
“Dimenticatene, no?” Semplicistico.
Talmente semplicistico, che se fosse successo un'altra volta un
episodio simile, probabilmente non si sarebbe più fatto
scrupoli e gli sarebbe saltato addosso, in barba a qualunque
pregiudizio. Ma che diavolo stava pensando? Lui non era Gay. Non lo
era! Assolutamente! Che fosse bisessuale? Sarebbe stato anche peggio!
Da un certo punto di vista sarebbe stato curioso di sapere quante
risate si sarebbero fatti i due cugini di Satana, Liz e Ax, se fossero
venuti a conoscenza di tutte le pare mentali che si stava facendo per
colpa di quel tipo.
“Stavo per chiederti io di dimenticartene.
Comunque, presto non starò più al
dormitorio.” Gli comunicò con tono tranquillo.
Quasi piatto. E quella fu l'ennesima sferzata al cuore, per Victor.
Tanto che di nuovo fissò il giovane uomo steso sul lettino
dell'ospedale. Gli occhi che guizzarono da una parte all'altra. Era
rimasto sorpreso, quasi ferito da quell'affermazione, e non sapeva
darsi una motivazione plausibile. Quando tornò a fissare
Violin, si stupì lui stesso di trovarsi sporto verso di lui
per osservarlo meglio in volto. Con i gomiti poggiati sulle gambe, per
stare al suo livello.
“Perché? Rinunci?” Esultare.
Ecco cosa doveva fare. Doveva esultare e fargli vedere che non gli
dispiaceva. Doveva fargli vedere che la cosa lo esaltava e lo
entusiasmava. E allora perché la voce gli uscì
così bassa e dispiaciuta? Mark non gli rispose. Affatto.
Semplicemente si avvicinò repentino a Victor. Tanto veloce
che questi non si rese nemmeno conto di quanto stesse succedendo almeno
fino a quando non si ritrovò a rispondere d'istinto al bacio
di Violin. Un bacio inizialmente casto. Un semplice assaporarsi. Un
semplice contatto tra le loro labbra. E lì ci fu qualcosa
che non gli quadrò. Perché il suo raziocinio gli
diceva di andarsene ed invece lui se ne stava lì a
baciare... un uomo?! E soprattutto... perché non gli
dispiaceva?!
“Perché se succedesse di nuovo, questo
sarebbe il minimo della pena.” Gli spiegò
distaccandosi da lui e lasciandolo balzare in piedi in preda al panico.
Tremò Stradivari. Tremò di rabbia e non solo. Ma
in quel momento, la rabbia era l'unica sensazione che riusciva a
distinguere. Tremò e si avviò veloce verso la
porta della stanza.
“Ti odio.” Sibilò quelle
parole a metà tra il corridoio e quell'ambiente asettico che
era diventato improvvisamente distorto. A tratti troppo stretto. A
tratti troppo largo. Non aggiunse altro, prendendo a dirigersi verso il
piano inferiore. Voleva uscire da quel manicomio. Voleva uscirne.
Sarebbe andato in qualche bar vicino al conservatorio ed avrebbe
rimorchiato una ragazzina stupida. Se la sarebbe fatta. Scopata, nel
migliore dei casi. E poi se ne sarebbe tornato al dormitorio con
l'anima di nuovo un pace. Sì, avrebbe fatto così
e sarebbe tornato tutto al proprio posto.
Angolino autrice:
Per tutti quelle che
volevano nuove su Mark, ora... potete uccidermi! XD
Intanto avete scoperto qualcosa su di lui (ossia che Herit è
molto sadica e che fa soffrire il suo personaggi di malattie cardiache
<_<" N.d.Mark) e non mi sembra una notizia da poco. u_u
E' un personaggio particolare che nasconde davvero ancora tante cose
v_v Ed il piccolo (180 cm di ragazzo... non è proprio
piccolino, eh ._.) Victor cresce... più o meno xD Aspetto
pomodorate in facc... ehm... commenti! XD
Qui avete scoperto anche un personaggio nuovo: Axel. Sinceramente lo
amo dal più profondo del cuore *-* E' un personaggio un po'
strano, ma assicuro che è adorabile xD
Ed ora spazio alle recensioni <3
_Nana Swan_ Quello della doccia credo sia un cliche piuttosto usato, ma
che comunque adoro xD Ma credimi, la doccia (o il bagno in generale)
sarà molto presente in questo racconto ._. me ne sono
accorta solo dopo aver letto di nuovo tutto °^° Non
chiedetemi perché o.ò Forse perché
doveva partecipare ad un altro contest con quel prompt o_ò
buh, non ricordo xD A me piacciono più o meno tutti i
personaggi di questo racconto, ma Vic è assurdo. Scrivere su
di lui è stato davvero divertente, quindi sono contenta che
piaccia ^w^
_Yuko Chan_ Se Vic è entrato in crisi per la reazione del
suo corpo, come credi che reagirà dopo il bacio? XD
Piccolino voglio farlo penare *A* (E ci riesci anche troppo bene,
megera! Io sono E-TE-RO! N.d.Vic che la rincorre con l'archetto del
violino stretto in pugno a mo' di spada) Comunque tranquilla :3 Mi
piacciono i commenti lunghi xD Anzi, sono felice che la confusione
nella testa del povero Vic sia intuibile. Palpabile ^W^ Deve essere
così. Il poveraccio non ha ancora capito a cosa va incontro
come mio personaggio v_v In realtà molte delle sensazioni
che prova sono dei segnali mooooolto forti. Preludio di qualcosa
probabilmente =P
Spero ti piacerà anche questo capitolo come i precedenti
°^° Kisses :*
_NonnaPapera_ Magari non in modo civile, ma posso assicurarti (come
penso avrai letto) che si parlano X°° Che apprezzino il
corpo l'uno dell'altro, questo è poco ma sicuro xD Adesso
c'è Vic che osserva Mark come uno stoccafisso e nonostante
questo ti assicuro che solo Axel e Lizzy sono in grado di accorgersene
v_v D'altronde Strà non ha molti amici all'interno del
conservatorio u_u Era intuibile xD Sono felice invece che tu abbia
colto, invece, il particolare della cicatrice sul torace di Mark *-* E'
un punto importante della storia che credo trovi già una
discreta spiegazione in questo capitolo ^w^ (**fa le fusa, ruffiana**)
_RedLeaves_ Ti assicuro, bimbo, che anche se non c'è un
antagonista come quello che ti prospetti tu, ci saranno diversi episodi
in cui succederanno cose ben peggiori v_v D'altronde ti ho
già lasciato uno spoiler ben grande via sms v_v Eh ._. E
cosa mi dici adesso del "pizzicare l'archetto"? Ti ricorda qualcosa? XD
Un bacio, Red :* Ah! Ti ho quasi finito il disegno v_v
_LayShaly_ Una faccia conosciuta (Indica Yuuko sull'avatar)! Sono
felice di vederti anche qui *-* Sono felice che tu l'abbia scoperta e
commentata *-* Come già detto in precedenza, Lizzy mi piace
molto, anche se purtroppo il suo ruolo resterà parecchio
marginale xD E' comunque sempre molto presente, con piccoli gesti che
non vengono narrati direttamente. ^w^ Eh... chi ha fatto il primo
passo? XD Qui hai la risposta xD E purtroppo Vic non sembra averla
presa particolarmente bene ç_ç" Dannato damerino!
>_< La rosa dei personaggi si allargherà
ancora un poco nei prossimi capitoli, per poi lasciare spazio ad una
certa stasi. Molti verranno presentati anche in maniera indiretta, in
realtà, verso la fine :) Spero di non deludere le
aspettative ^w^
_RiflessoCondizionato_ (Le passa un Loacker) Felice ora che Mark ha
spiccicato parola? XD Ebbene sì, il bimbo ha una buona
parlantina, seppure piuttosto blanda <_<" In
realtà tutto quello che si scopre di lui è
causato dagli eventi. Nulla accade per caso, però, e questo
porterà a diverse conseguenze, più avanti ^w^
Spero che questo capitolo riesca a piacerti come i precedenti *w* O
anche di più o.ò visto che la storia sta
cominciando a prendere forma xD Io ti faccio gli auguri qui, invece xD
Che mi sono dimenticata di scriverteli nella recensione di "Narciso
Cremisi" (Che consiglio alle Yaoiste in ascolto v_v). Alla prossima,
bimba :**
Un bacio a chi legge, a chi ha inserito la storia tra le
Preferite/Seguite/Ricordate.
Spero di non deludervi! *A*
Herì <3
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Capitolo 5 *** 4. Gocce di un passato, che non può più tornare. ***
4.
Gocce di un Passato, che non può più tornare.
I
guess I'm learning (I'm learning learning learning)
I
must be warmer now
I'll
soon be turning (turning turning turning)
Round
the corner now
Outside
the dawn is breaking
But
inside in the dark I'm aching to be free
The show
must go on
Stava correndo a rotta di collo per la strada.
Aveva saltato una lezione
perché non aveva voglia di incrociare Mark e quindi aveva
chiesto a Lizzy di coprirlo dicendo che si era sentito male
all'improvviso e che probabilmente avrebbe frequentato solamente i
corsi pomeridiani. In realtà lui se ne era scappato al
centro. Si era diretto velocemente al negozio di strumenti musicali,
tanto i proprietari non avrebbero fiatato. Andava sempre in quel luogo,
quando dava buca alle lezioni e lì perdeva sempre la
cognizione del tempo.
Non indossava la divisa, mica scemo. Portava una semplice
camicia a mezze maniche lasciata aperta sopra una maglia a maniche
lunghe e collo alto. La sciarpa per proteggere la gola dal freddo,
così la megera di solfeggio non gli avrebbe rotto le scatole
alle lezioni pomeridiane ed a completare tutto ci pensavano i Jeans
assieme alle sue beneamate All Stars nere. Il maglione
più pesante, invece, era allacciato attorno ai
suoi fianchi. Se l'era sfilato nella corsa, visto che quel giorno in
particolare aveva deciso di far più caldo del solito,
nonostante fosse ormai Novembre inoltrato. Aveva svoltato rapidamente
ad un angolo e così facendo, involontariamente, era andato a
scontrarsi con una persona.
“Attento a dove metti i piedi,
marmocchio.” Gli sibilò contro un uomo.
All'apparenza sembrava un barbone. E puzzava come tale, in effetti.
Alto. Barba incolta. Sporco e dai vestiti luridi. Abiti persino troppo
leggeri, nonostante quella giornata incredibilmente calda di fine
novembre. Victor fece per scusarsi, ma il suo orgoglio parve scattare
da solo a discapito del buon senso.
“'Marmocchio' a chi, pezzente?” Gli
ringhiò dietro il violinista. La fregatura di essere
cresciuti in una famiglia benestante. Probabilmente il fatto che avesse
già una brutta giornata di suo, gli fece saltare i nervi a
fior di pelle ancor prima che il cervello potesse reagire
coerentemente. Non seppe nemmeno lui perché lo fece, ma fu
la mossa più sbagliata che avrebbe potuto compiere. In un
attimo si trovò sbattuto contro un muro, in quella via poco
trafficata che per lui altro non era che una scorciatoia per tornarsene
al conservatorio, piuttosto lontano dal centro.
“Da come sei vestito... si direbbe che sei un
fottuto vizziatello, eh, moccioso?” Incalzò il
senza tetto inchiodandogli le braccia contro il muro con una mano
solamente, tanto i polsi del giovane erano magri, mentre con l'altra
prendeva a tastargli il corpo alla ricerca delle tasche e dei suoi
averi. Stradivari cominciò a dimenarsi con foga, scalciando
per lo più e volgendo il corpo dalla parte opposta rispetto
alla mano dell'uomo per impedirgli di accedere alle tasche posteriori
dei pantaloni, dove teneva il portafogli ed il cellulare, assieme alla
tessera del conservatorio.
“Non ho niente con me! Lasciami! Lasciami,
maledetto!” Sbraitò prendendo a dimenarsi sempre
più vigorosamente, fin quando un suo ginocchio non
arrivò a colpire il suo aggressore in mezzo alle gambe.
Sogghignò soddisfatto, Victor, vedendolo chinarsi in avanti
ed allentare di poco la presa sulle sue braccia, ma si
dimostrò completamente inutile, visto che subito dopo gli
arrivò un pugno in pieno stomaco, facendo piegare anche lui,
fin quando non cadde in ginocchio senza respiro. Era stato forte e
tremendamente doloroso, tanto che per un istante aveva temuto gli si
fosse spezzata una costola. Si portò una mano all'addome per
controllare fosse tutto a posto e quando si rese conto che aveva
entrambe le mani libere, con uno sforzo immenso si rimise in piedi.
Inutile, visto che il senza tetto lo riagguantò facendolo
scontrare nuovamente contro una superficie piana, questa volta a terra.
“Fottuto ragazzino. Adesso ti insegno
io.” Lo minacciò l'uomo tenendolo di nuovo
bloccato con una sola mano contro il marciapiedi, mentre l'altra
ridiscese velocemente verso il cavallo dei pantaloni del violinista,
stringendo con forza e stizza, facendo gemere il ragazzo per il dolore:
voleva fargli del male, poco ma sicuro.
“La... scia... mi...” Scandì
Stradivari in un rantolo, senza fiato per via del colpo forte ed
improvviso subito al basso ventre, ma quello andò a
stringere maggiormente, sogghignando come chi ha appena trovato un
nuovo passatempo. Come un carnefice che si diverte a torturare la sua
vittima. Come un boia che non aspetta altro che il condannato a morte
brandendo la scure nelle mani. Ed ebbe paura, Stradivari. Una paura
cieca che presto sarebbe divenuta panico.
“Che ragazzino vigoroso.”
Ironizzò il barbone andandosi a leccare le labbra in un
gesto voluttuoso che fece sentire ancora di più a Victor il
fetore del suo alito. Ma tra tutti i barboni che poteva trovare, pure
quello perverso doveva capitargli? Riprese a ribellarsi, ma i suoi
tentativi andarono a morire quando l'uomo andò a serrare
nuovamente la propria stretta ed al giovane fu chiaro che quel gesto lo
faceva solamente per sé stesso, visto il rigonfiamento che
ora veniva evidenziato dalla stoffa dei suoi pantaloni lerci e
sgualciti. Fu quando la mano del barbone si infilò dentro i
suoi Jeans, che il ragazzo sussultò bruscamente riprendendo
a divincolarsi in tutti i modi per cercare di impedirgli di scendere
oltre. Aveva paura. Tanta che probabilmente lo fece sragionare quando
gli parve di vedere una sagoma nota dietro le spalle del senza tetto.
Fu un colpo brusco quello che lo riportò alla
realtà e con cui il barbone lo schiacciò
nuovamente contro il lastricato del pavimento sul quale lo teneva
intrappolato. Ingabbiato. Andò a toccare la sua
intimità con foga, come preso da un bisogno impellente,
cominciando già a muovere il bacino come un cane in calore.
“MARK!” Victor gridò quel nome
senza nemmeno rendersene conto. Lo fece con tutto i fiato che aveva in
corpo. Lo fece d'istinto con le lacrime che già premevano
con forza e pizzicavano per uscire. Gli veniva da piangere. Proprio a
lui? Ironico. Ironico come quel pugno che andò a colpire con
forza il volto dell'uomo che lo stava molestando. Ironico come la sua
testa non gli avesse effettivamente giocato un brutto tiro. Ironico
come Violin che gli si parava davanti osservando con ira vera e propria
la figura del senza tetto che si toccava la mascella per essere sicuro
che fosse ancora al suo posto, nonostante l'alone rosso del colpo gli
stesse già colorando una guancia. Ironico anche come non si
fosse ritratto al tocco del compagno di classe quando gli aveva
afferrato un braccio per correre via assieme, scappando da quella
viuzza terribile. Ironico come Victor avesse ripreso quella maschera di
altero controllo una volta che si furono allontanati abbastanza,
nonostante il suo corpo continuasse a tremare in modo spasmodico.
Terrorizzato.
“Vieni.” Imperioso il tono di Mark mentre
se lo trascinava dietro, sempre più lontano dalla strada e
dal conservatorio. E Victor semplicemente lo seguiva, incapace di
resistere a quella mano tiepida e grande che si chiudeva con decisa
delicatezza attorno al suo polso. Una sensazione tanto diversa da
quella provata solo qualche istante prima.
“Lasciami.” Acido il tono di quella
richiesta, quando il giovane violinista si rese conto di quali
sensazioni stesse provando. Di quali ricordi stesse chiamando in causa
il suo corpo. Di quali sensazioni avrebbe potuto richiamare il tocco
del giovane Violin su di sé. Per tutta risposta, l'altro
strinse maggiormente la presa. Non l'avrebbe lasciato andare.
Erano arrivati ormai ben distante dal centro della
città quando all'improvviso l'uomo si infilò
all'interno di un edificio. Era un casolare dall'aria fatiscente che
minacciava di crollare da un momento all'altro. Un condominio con una
serie di appartamenti ridotti tutti uno peggio dell'altro, da quello
che Victor poté vedere camminando per i corridoi, seguendo
ora più docile il compagno di scuola. Aveva smesso di
divincolarsi da un po', quando la mano dell'altro era scivolata a
trattenere la sua, lasciandogli più libertà. Alla
fine l'aveva salvato da quel molestatore. Dannazione! Era pure in
debito con lui, adesso. Aveva lo sguardo basso, però,
Stradivari. L'orgoglio e l'alterigia con cui osservava solitamente il
mondo erano stati buttati miseramente in un angolino. Feriti e smentiti
come se fosse stato un colpo di frusta a farli spezzare.
Si sentì trascinare all'interno di una delle porte
del corridoio all'ultimo piano, scoprendo che non tutti gli
appartamenti erano presi male come aveva pensato in un primo momento.
Quello dove si trovavano lui e Mark era ben tenuto. Una cucina in stile
americano, con un lungo tavolo che serviva anche come piano di lavoro,
oltre che luogo dove consumare i propri pasti. Un divano dall'altra
parte con un tavolino davanti e due porte che facevano timida mostra di
sé confondendosi con il muro. Bianche in quella marea bianca
formata dalle onde dei pochi mobili di quel colore asettico eppure
luminoso, ai raggi opachi di un sole semi nascosto dalle nuvole.
Violin si decise a
liberare Victor solo una volta che ebbe chiuso la porta alle loro
spalle, infilandosi la chiave nella tasca anteriore dei pantaloni, dopo
averla girata un paio di volte nella serratura.
“Perché mi hai salvato?” Il
giovane Stradivari si discostò dal compagno di scuola
avvicinandosi ad una delle finestre per guardare fuori. Era
così diversa quella zona della città, rispetto a
quella dove sorgeva il conservatorio. Gli era anche stranamente nota.
Probabilmente doveva esserci già stato. Eppure non ricordava
in quale occasione. Aveva il tono piatto, seppure lo sguardo risultasse
tremendamente abbattuto. Sentiva ancora le mani di quel barbone
premergli in mezzo alle gambe. Se Mark non fosse stato lì
per aiutarlo... non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto
succedere.
“Perché no?”
Ribatté l'altro, sollevando le spalle con noncuranza e
ponendo a propria volta un quesito, avvicinandosi nel mentre al
frigorifero per tirarne fuori una bottiglia dal contenuto scuro. Aveva
l'espressione seria pure lui, nonostante sembrasse farsi bellamente gli
affari propri.
“'Perché no?' 'Perché no?' Mi
pare di averti detto chiaro e tondo che ti odio e tu mi
salvi?” Sbottò Victor lasciando interdetto l'altro
che dovette trattenere la bottiglia sospesa a mezz'aria poco distante
dalle labbra per non soffocarsi nel berne il contenuto. Non lo
guardava, Stradivari, però. No. Il ragazzo continuava a
tenere il viso puntato verso la finestra e gli occhi chiusi con stizza,
così come i pugni. Stava scoppiando. Era davvero sul punto
di esplodere. Ed il bello era che non riusciva nemmeno a spiegarsi il
perché.
“Mi hai chiamato ed io ti ho aiutato. Non ero sicuro
fossi tu in un primo momento, quella specie di tappeto che si
frapponeva tra il vecchio Wallace ed il marciapiedi. Quando hai urlato
il mio nome e ne ho avuto la certezza, non ho potuto fare a meno di
soccorrerti.” Semplicistica la spiegazione che gli
fornì l'uomo, andando a prendere una lunga sorsata i quel
liquido ambrato. Parlava con tono quieto e pacato, seppure non si
risparmiasse frecciatine gratuite, a differenza dell'altro che pareva
irritarsi sempre di più ad ogni sua parola. Era proprio il
suo comportamento che non riusciva a capire.
“Non l'ho fatto volontariamente.”
Ringhiò Stradivari voltandosi di scatto verso di lui con
espressione rabbiosa. Prese ad avvicinarglisi con lunghe falcate e
sollevò velocemente una mano per dare una pacca alla
bottiglia che reggeva, tanto forte che gliela fece volare via.
Probabilmente solo perché colto alla sprovvista.
“Io sì, ma se fosse stato qualcun altro no? E tu,
tu potevi comunque fregartene bellamente, no? Dannazione! Non voglio
avere debiti con te! Non ne voglio! Mi irriti! Sei un ragazzino
spocchioso che si diverte a fare il bello e impossibile
perché le ragazzine gli creino uno sciame attorno. Sei
l'ultimo arrivato, senza nemmeno un nome, e mi rubi la borsa di studio
da sotto il naso. Io con quella ci dovevo pagare la retta del
conservatorio... e...” Quando Victor sollevò gli
occhi trovò ad osservarlo quelli azzurri e chiarissimi di
Violin. Erano talmente chiari che se avesse fatto attenzione sarebbe
riuscito a vedercisi riflesso. Ed in quel momento erano
terribilmente... tristi? Seri? Freddi? Il giovane non sembrò
capirlo ed effettivamente non ne ebbe nemmeno il tempo, visto che il
collega l'afferrò per una manica facendolo avanzare di un
paio di passi, fino a quando questi non si ritrovò
schiacciato tra lui e la porta finestra. Aveva esagerato.
“Cosa credi che ci abbia fatto io con la borsa di
studio? Che l'abbia spesa in spinelli come metà dei ragazzi
che hanno vissuto qui? Come qualunque buon musicista che ha bisogno di
ispirazione secondo l'immaginazione comune?” Gli
domandò in un sibilo basso piazzando le mani sul muro,
incatenandolo in una labile prigione tra sé e la parete.
Eppure gli lasciava una via di scampo. Victor si trovò a
pensare questo nel voltarsi. Via di scampo che però non
utilizzò, quando si trovò il viso dell'altro ad
un soffio dal proprio. Glaciale. La medesima espressione astiosa che
gli aveva visto in volto il giorno del concerto alla Fenice.
“E' questo che credi?” Gli domandò
conferma Mark piegandosi in avanti, così da essere alla
stessa altezza del suo viso e poterlo vedere comodamente negli occhi.
“Io...” Balbettò senza alcuna
convinzione Stradivari scostando lo sguardo altrove in cerca di
qualcosa che potesse risvegliare la propria attenzione. Che potesse
suggerirgli cosa rispondergli. Dov'era finita la sua sagacia? Il suo
avere sempre la risposta pronta? Si chiedeva perché proprio
quel Violin avesse la capacità di spiazzarlo completamente.
“Non sforzarti. Ti rispondo io. Non essendo
propriamente un figlio di papà come te, vincere quella borsa
di studio è stato l'unico modo per poter entrare al
Monteverdi.” Scandì bene quei concetti.
Snocciolandoli uno ad uno. Lo fece con tono talmente calmo e talmente
basso, che Victor temette quasi che si trattasse di un semplice scherzo
della sua immaginazione. Quelle stesse parole ebbero però il
potere di accendere di nuovo qualcosa in lui.
“Io non sono una figlio di papà. Sono
figlio di una puttana, dannazione. Sai perché mi hanno
tenuto con loro i miei nonni? Sai perché mio padre ha
accettato di riconoscermi come suo figlio? Perché sono bravo
con il violino. Perché il piccolo Stradivari a cinque anni
era già una rarità da mostrare agli amici alle
cene di gala. Da esibire come in una mostra di bestie rare.
Perché il piccolo Stradivari già a cinque anni
poteva portare soldi a casa come un animale da fiera. Perché
quella borsa di studio avrebbe sancito il mio distacco completo da
quella... famiglia...” Gli aveva urlato contro la sua rabbia.
La sua irritazione e la suafrustrazione erano uscite di
getto. Vomitate quasi contro quel viso che le aveva accolte in
silenzio, immobile. Impassibile. Meraviglioso nei suoi tratti
già adulti. Respirò a fatica il ragazzo,
lasciandosi scivolare lungo la parete, fino a trovarsi seduto a terra,
con la testa raccolta tra le mani, contro le ginocchia. Non capiva. Non
riusciva a capacitarsi del perché a lui avesse detto cose di
cui nemmeno Axel era a conoscenza. O che forse il suo amico sapeva
eppure taceva. Famiglia. Come poteva definire quella cosa una Famiglia?
Era un'agenzia. Con suo nonno a capo. Quell'uomo che, quando lui aveva
appena sette anni lo costringeva a studiare a casa quel poco che
bastava, perché il resto dell'anno lo passava lontano da
essa a fare concerti. Gli era mancato l'avere delle amicizie.
Non si accorse nemmeno che Violin si era allontanato,
scomparendo dietro una delle porte, tanto era preso a riflettere sul
proprio passato. Sul proprio star male. Quello che molti bambini della
sua età avrebbero desiderato, per lui altro non era che una
gabbia dorata. Una gabbia terribile che in parte aveva imparato ad
amare. Lui amava la musica e viveva per essa. Lui amava il violino ed
era l'unica cosa che ancora lo legava ai suoi parenti. Si
sentì afferrare improvvisamente una manica, venendo tirato
di nuovo in piedi, mentre ancora una volta il suo compagno di classe lo
trascinava da qualche parte. Fu il getto di acqua fredda della doccia a
contatto con la testa che lo fece sussultare visibilmente e
riprendere.
“Vuoi ammazzarmi, razza di idiota?”
Sbraitò nuovamente e si sorprese nel trovarsi davanti un
sorriso leggero e gentile quando si volse verso Mark. Quel sorriso che
scomparve in un battito di ciglia lo spiazzò per qualche
istante, facendogli dimenticare anche dell'acqua che ormai gli aveva
impregnato i vestiti.
“Datti una lavata e calma i bollenti spiriti. Non
so cosa ti abbia fatto quel barbone, ma fossi in te mi rifiuterei di
tenere ancora addosso quella roba sporca.”
L'invitò Violin uscendo dal bagno in cui aveva infilato
l'altro. Victor poté sentire il cigolio dei cardini di
un'altra porta che si apriva, probabilmente quella della stanza di
fianco. Effettivamente non aveva tutti i torti. Una doccia gli avrebbe
fatto bene. Si spogliò lentamente, come svuotato di tutto.
Di un rancore inespresso. Di sentimenti che non era mai riuscito ad
esprimere a parole. E quando si infilò nuovamente sotto il
getto, l'acqua era ormai calda, tanto che carezzò con
dolcezza il suo corpo segnato. L'addome gli faceva ancora male. C'era
un bel livido a chiazzarlo e stava andando via via a scurirsi.
Lì, così come all'interno della coscia, il segno
di una stretta troppo forte. E anche sui suoi polsi. Stradivari
abbassò piano il capo nel rendersi conto che silenziosamente
stava ringraziando Violin di averlo salvato. Nel rendersi conto che
poco a poco nell'aria si stava espandendo una melodia leggera, suonata
a violino. E che questa proveniva dalla stanza accanto. Nel rendersi
conto che amava come quel maledetto suonava il violino,
perché aveva qualcosa che a lui mancava. Mark sapeva
esprimere le sue emozioni attraverso la musica: lui no. Nel rendersi
conto che quello svitato di Axel e quella pazza di Lizzy, forse avevano
ragione. Ma che diavolo andava a pensare!? No che non avevano ragione!
Si lavò con foga. Voleva che quei segni scomparissero. Non
voleva che Violin li vedesse.
Ho aggiornato e sono sicura che anche voi siete contente v_v Come no? XD
Preferisco non commentare questo capitolo che personalmente... trovo
obrobrioso o_ò
Il titolo è presto da una frase di "gocce di memoria" di
Giorgia. Quindi non mi appartiene.
Quindi passo subito a rispondere alle recensioni ^w^
_RedLeavs_ Niente diritti d'autore, mi sa, bimbo. La battuta che mi
avevi suggerito non sembra riscuotere questo grande successo come ti
eri preannunciato da solo O.ò A te che piacciono gli
antagonisti, eccotene qui uno di bello puzzolente! XD (Si prepara al
lancio di uova marce addosso).
_MinnyFive_ Sono felice che la storia sia tra le tue preferite ^w^
Guarda, vorrei evitare di spiegarlo qui, perché quella frase
si snoderà da sola nel prossimo capitolo :3
_Yuko Chan_ 4. C'è stato un bacio! <3 C'è
stato un bacio! <3 (Canticchia come una scema) Mmh... che dire?
Che Axel è il mio personaggio preferito, probabilmente,
anche se in questa storia compare relativamente poco :/ In coppia con
Lizzy, però, è veramente uno spasso da muovere,
perché si somigliano molto ed entrambi sono molto legati a
Strà, il che li rende piuttosto semplici da gestire :) Per
quanto riguarda l'attrazione che Vic prova per Mark, è
ancora piuttosto torbida ed intricata, per il nostro povero
protagonista che non riesce a raccapezzarcisi :( Da questo capitolo in
poi però, le cose cambieranno (mi pare) ^w^ Sono contenta di
essere riuscita a strappare una risata *-* (Molto soddisfatta). Per
quanto riguarda la malattia di Mark... si scoprirà tutto
più avanti ^w^
_My Pride_ Sempre bello vedere le facciotte di Ed e Roy tra i commenti
XD Sono felice che ti piaccia il modo in cui ho deciso di delineare la
trama :) Essendo la prima Slash originale in cui mi cimento, temevo di
renderla troppo banale e scontata ^^" Sul mio modo di scrivere avrei un
po' da ridire, ma ti ringrazio ugualmente per i complimenti ^w^
Adesso... adesso succederà il finimondo XD Alla prossima ;)
_Nana Swan_ Ecco un altro po' di informazioni tanto su Mark che su
Victor. Non è tutto oro quello che luccica e Strà
ne sta dando conto XD Non ti dico cos'avrei fatto io, fossi stata Vic
(fischietta innocente). Il poverino è mooooolto confuso u_u
E credo che questo capitolo nel sia la prova concreta ;D Come detto
sopra, Axel e Lyzzi, assieme, li adoro XD Purtroppo sono solo
personaggi di sfondo, ma sono entrambi talmente Egocentrici, che temo
pretenderanno dello spazio per sé in altre sedi :P Per il
momento, mi limito a divertirmi a scrivere scenette simili con loro xD
D'altronde Strà avrà pur bisogno di uno sprone,
no? XD
_NonnaPapera_ Grazie a te credo di essermi fatta una cultura Zoro-Sanji
non indifferente, sai? XD Temo di aver letto tutte le tue storie
X°D Ma veniamo a noi... Ax non si tocca perché
è della sottoscritta (Axel fugge terrorizzato). Ovviamente
scherzo, e come già detto, anche io l'adoro :3 Lui te lo
ritroverai anche nella challenge "dal nome alla storia", in un
capitoletto tutto per lui ;) Quindi avrai modo di gustartelo (spero)
meglio. Beh... le tue supposizioni troveranno risposta in questo e nel
prossimo capitolo, visto che sono collegati nello stesso arco temporale
:) Per quanto riguarda la cosa di avergli fatto da contro violino,
credo proprio che a Vic non sia andata giù la cosa,
perché era una sua composizione e se Mark è
riuscito a fargli da sostegno, vuol dire che la cosa era piuttosto
semplice o banale v_v Vic l'ha interpretata così
ç_ç Per la cosa del basket, invece, no. Mark
pratica sport a prescindere, nonostante non possa u_u E' un idiota,
c'è poco da fare :S
Grazie a tutte per le recensioni ed un bacio :*
<- Lui è Mark
più o meno come me lo immagino io XD (una cosa fatta un po'
meglio la linkerò non appena avrò uno scanner
>_<)
Questo ragazzino qui, invece, è Vic. I capelli sono quelli
che sono... non ce n'erano di ricci decenti -.-" Basti a darvi un idea
xD ->
|
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Capitolo 6 *** 5. Assieme a te nell'incanto di un tramonto?! Mai! ***
5.
Assieme a te nell'incanto di un Tramonto?! Mai!
The
show must go on, yeah yeah
Ooh, inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on
Non seppe definire dopo quanto tempo uscì dal
bagno, ma quando lo fece, Victor aveva la testa leggera, come se fosse
stato improvvisamente privato di un peso enorme. Aveva addosso soltanto
l'accappatoio che aveva trovato in quella stanza priva di qualunque
altro ornamento, così come il resto dell'appartamento. Si
strinse nelle spalle, appoggiandosi con la schiena contro la porta.
Doveva chiedere scusa a Violin. Almeno quello. Solo che non sapeva da
dove cominciare. Ci rimuginò sopra per qualche istante prima
di affacciarsi sulla soglia che dava accesso all'unica camera da letto
in quel posto. Era piccola. Giusto lo spazio necessario per un letto ed
un armadio nemmeno troppo grande. Mark stava seduto sul letto. Alcuni
spartiti tra le mani. Altri dispersi sopra le basse coltri, trattenuti
dalla custodia spessa e robusta del violino. D'istinto si
lasciò andare a due colpi di tosse: voleva l'attenzione
dell'altro su di sé. L'esigeva e sperava che così
facendo l'avrebbe ottenuta. Infatti, qualche istante dopo Violi
scattò in piedi, andando a posare i fogli che aveva in mano
sopra il materasso, avvicinandosi alla porta della stanza per
raggiungere il compagno, incontrandone lo sguardo volutamente altero.
“Ti senti meglio?” Gli domandò
come se la loro discussione precedente non fosse mai avvenuta. Con quel
sorriso leggero che per la seconda volta gli illuminava il viso,
addolcendone i tratti già maturi. Victor però
spostò lo sguardo altrove, facendo un passo indietro per
prendere ulteriore distanza dell'altro. Non poteva pensare che fosse
bello. Non poteva farlo. Sarebbe stato come ammettere troppe cose in un
colpo solo.
“Era bella la melodia di prima. E' per il compito
di Schnielzer?” Chiese poi cercando di allontanarsi da
qualsiasi cosa riguardasse il proprio stato fisico ed emotivo. Si
trovò di nuovo vicino ad una delle finestre, contro la quale
appoggiò il capo.
“Mh? No, a lui ho consegnato tutto due giorni
fa.” Spiegò Mark sollevando le spalle ed
appoggiandosi a braccia conserte contro il muro accanto alla finestra,
senza staccare nemmeno per un istante il proprio sguardo di ghiaccio
dal compagno che gli lanciò un'occhiata stizzita. Lui erano
settimane che non riusciva a buttare giù una nota a causa
della violenta intrusione de giovane Mark nella sua vita, e l'altro
sembrava essere, invece, in pieno fervore creativo.
“Questo appartamento è tuo?”
Gli domandò cambiando palesemente discorso, dando le spalle
alla finestra e cominciando a guardarsi attorno. Il locale era talmente
spoglio che sembrava che nessuno ci vivesse più da anni. Era
talmente bianco ed asettico che ricordava una camera di ospedale,
piuttosto che una casa accogliente dove vivere.
“Più o meno... Siediti, che ti porto dei
vestiti puliti.” L'invitò andando a battere un
paio di colpi secchi con la mano sullo schienale del divano, prima di
allontanarsi verso la camera da letto. Victor seguì la sua
figura allontanarsi con la coda dell'occhio, prima di accomodarsi sul
sofà, sentendosi sprofondare nel cuscino morbido. Era una
bella sensazione, il trovare un appoggio tanto confortevole e
d'improvviso si sentì le gambe deboli, mentre veniva
investito da una piacevole sensazione di rilassatezza. Probabilmente
dopo la doccia e dopo una conversazione tanto leggera, stava
cominciando a calmarsi.
“Cosa vuol dire... 'più o
meno'?” Gli domandò andando a raggomitolarsi sul
divano come un gatto sonnacchioso. Le braccia incrociate sopra lo
schienale morbido e le gambe ripiegate contro il petto. Osservava
distrattamente la porta della stanza da letto, senza però
guardare nulla, Stradivari. Almeno fino a quando la figura di Violin
non fu di nuovo nel suo campo visivo. Allora si soffermò su
quella, osservando quegli abiti che portava tra le braccia.
“E' delle suore dell'orfanotrofio dall'altra parte
della strada. Me l'hanno data in prestito quando ho compiuto i diciotto
anni.” Gli spiegò asciutto allungandogli gli abiti
e mettendosi a sedere sul tavolino antistante il divano su quale si era
raggomitolato l'altro. Victor raccolse i vestiti che gli vennero porti
e si sollevò nuovamente in piedi studiandoli.
“E' la tua divisa?- Gli domandò
analizzando meglio il tutto. Era ben stirata ed ordinata, tanto che la
ripose su un poggia braccio del divano così com'era,
impadronendosi per prima cosa dell'intimo. -Orfanotrofio?”
Incalzò poi, spinto da un'insolita curiosità.
Stava scoprendo di più su Mark in quei pochi minuti, di
quanto non avesse imparato in quei tre mesi in cui avevano frequentato
la medesima scuola. Ed era piacevole quel senso di pace che si era
creato, al di fuori della competitività che si era
instaurata tra loro. Annuì in assenso, Violin, alla domanda
del compagno di scuola, prima di spostare lo sguardo verso la finestra:
da lì si vedeva l'orfanotrofio.
“Sì. La mia malattia si è
manifestata ancor prima che nascessi. Non appena ho visto la luce, sono
stato sottoposto ad un intervento ed i miei genitori mi hanno affidato
all'ospedale. Presumo che non avessero soldi per le cure mediche. Una
delle infermiere conosceva le Suore che mi hanno cresciuto e mi ha
affidato a loro.” Spiegò seguitando ad osservare
il convento dall'altra parte della strada. Era un edificio comune,
dipinto di un bel rosso acceso, così come anche il casolare
adiacente. Quello che ospitava i bambini. Li si sentiva urlare, mentre
giocavano nel giardino interno, sfruttando le ultime luci del giorno
che stava morendo. Qualche volta si riusciva a sentire il suono di un
pallone che colpiva l'asta di ferro di una delle porte del campo da
calcetto.
“E non sei stato adottato? Immagino che da bambino
fossi molto intelligente e di bel aspetto.” Un commento fatto
con leggerezza. Senza pensare prima di dar aria alla bocca. E quando la
risposta di Mark arrivò addosso a Victor, si
sentì stringere allo stomaco, colpito forse più
violentemente del pugno che gli aveva inferto il barbone.
“Alla gente non piacciono i giocattoli
rotti.” Morbida quella voce bassa e leggermente roca con cui
aveva parlato l'uomo. Lo sguardo si era spostato dalla finestra ed ara
andato a posarsi da prima sul ragazzo ancora seminudo, con addosso
solamente le mutande, intento ad infilarsi un corpetto a mezze maniche
bianco e poi verso la stanza che aveva davanti, lì dove
giaceva il suo violino. Stradivari si voltò verso il
collega, facendo scivolare gli occhi sulla sua figura. Sul suo torace.
Per un istante gli parve fragile e forte assieme. Segnato
già da troppo, pur essendo ancora giovane. E d'istinto
andò a toccarsi la spalla destra con la mano opposta in un
gesto distratto, che non compiva più da anni.
“La tua malattia.” Non una domanda,
quanto una semplice considerazione quella che si lasciò
sfuggire dalle labbra, andando ad afferrare la camicia per indossarla
in un gesto spontaneo, sentendosela cadere larga sulle spalle e lunga
sulla propria figura. Non si era resoconto del fatto che Mark fosse
tanto più grande di lui. Il fisico era asciutto, ma le
spalle erano ampie, così come il torace, ora che ci faceva
caso. Lo vide annuire, con lo sguardo ancora indirizzato verso la
camera colorata di arancio. Stava scendendo il sole, ed era riuscito a
perforare solo in quel momento le nuvole che gli avevano creato una
coltre attorno.
“Dovrei essere sotto terra già da un
po'. E sicuramente sarei a scaldarmi all'inferno.” C'era
dell'asprezza nella sua voce, ben amalgamata con il sarcasmo delle sue
parole, tanto che Victor si lasciò scivolare uno sbuffo
dalle labbra, più simile ad una risata trattenuta che ad
altro, mentre le mani prendevano a far passare i bottoni nelle asole.
“Addirittura all'inferno? Cosa puoi aver mai fatto
di tanto grave?” Domandò con ironia, scuotendo il
capo con dissenso ed intercettando solo in quel momento lo sguardo di
cristallo dell'altro, sollevato fino ad incrociare il proprio.
Esitò per un istante Violin, prima di sospirare pesantemente.
“Sono omosessuale.” Diretto in quella
confessione fatta mentre andava a scostare nuovamente lo sguardo
altrove, con noncuranza quasi, come se quanto appena detto non contasse
nulla e fosse semplicemente un'informazione in più che aveva
fornito. Victor ascoltò in silenzio quelle semplici parole,
che per un istante gli pesarono addosso come dei macigni.
“Anche il mio migliore amico lo è.- Fece
spallucce, Victor, richiudendo l'ultimo bottone vicino al collo ed
arrotolando le maniche della camicia che penzolavano per una buona
dozzina di centimetri oltre le sue mani. Aveva un buon profumo. Lo
stesso che ricordava di aver avvertito quel giorno alla Fenice. -E per
questo che... in ospedale... ecco..?” Tentennò.
Male. Non doveva tentennare. Sarebbe stato come dichiarare di essere
rimasto turbato da quel gesto: cosa che effettivamente era avvenuta, ma
che non voleva lasciar trapelare. Si diede istintivamente del pezzo
d'idiota mentre si avvolgeva la cravatta attorno a collo, cercando di
annodarla alla bel e meglio, scoprendosi agitato, in attesa di una
risposta che tardava ad arrivare.
“Più o meno...” Si
alzò facendo spallucce, Violin, indirizzandosi verso il
tavolo sul quale aveva preparato alcune medicine, probabilmente mentre
l'altro si stava lavando. Stradivari aggrottò le
sopracciglia seguendolo con lo sguardo per qualche istante, stizzito.
“Smettila con questi più o meno! O
Sì. O No!” Non capì lui stesso
perché si stava arrabbiando tanto. Perché
cercasse e si aspettasse una risposta. Non capì nemmeno
perché ci rimase male quando gli arrivò un
“No” secco da parte dell'altro, lasciandolo
lì, spiazzato, con le mani a mezz'aria che miravano a
risistemare quella benedetta cravatta dal nodo così
terribilmente storto.
“Sono innamorato di te.” Quella
dichiarazione uscì talmente spontanea dalle labbra di Mark
che Victor per qualche istante pensò che lo stesse prendendo
in giro, non fosse per quell'espressione ferma e decisa con la quale il
compagno l'osservava. Senza rendersene conto tirò
così tanto un lembo della cravatta che rischiò di
strozzarsi da solo.
“Mi stai prendendo in giro. E poi sono
etero.” Secco in quelle parole che gli proruppero dirette.
Schiette. Violin scoppiò in una risata leggera prima di
cominciare ad assumere una serie di pastiglie dalle forme
più disparate, così come i loro colori,
ingerendole mano a mano con una sorsata d'acqua. Non
commentò nulla di quanto detto dal ragazzo, limitandosi ad
avvicinarglisi con un sorrisetto che sapeva di malizia.
“Sì. Può darsi che ti stia
prendendo in giro...” Ghignò per buttare
giù poi l'ultimo confettino. Andò quindi ad
incrociare le braccia al petto, portando gli occhi a scorrere sulla sua
figura, soffermandosi sul suo bassoventre con lo sguardo.
“Sicuro? Eppure l'erezione che hai avuto in ba...”
Non fece a tempo a finir la propria frase che vide Victor scattare come
una molla, scuotendo le braccia in aria per farlo tacere, sbraitando
frasi incomprensibili. Era tanto ridicolo che Mark rise di nuovo. Aveva
una bella risata. Bassa, ma piacevole. Tanto che riuscì a
mettere a tacere le lamentele dell'altro che portò il
proprio sguardo altrove, mentre lui prendeva a sistemargli la cravatta,
esperto. Movimenti lenti, che però sapevano di
automaticità, lui che a scuola la cravatta non la portava
mai.
“E' stato solo un caso!”
Protestò Stradivari afferrandogli le mani perché
stesse fermo, lasciando che sul proprio viso si formasse una smorfia
infastidita, non tanto per l'essere toccato dal compagno di scuola,
quanto per le sue parole.
“Certo. Ovvio.” Ribatté
prontamente Violi inarcando un sopracciglio, scettico. Ed ironico. Non
c'era dubbio: si stava divertendo a prendere per i fondelli il ragazzo
che ci cascò con tutti e due i piedi. Scrollò
appena le mani, nel frattempo, liberandosi della presa non troppo forte
dell'altro e riprendendo il proprio lavoro, una volta che queste si
furono allontanate completamente.
“E' vero! Sono sempre stato solo con
ragazze...” Sembrò quasi discolparsi. Trovare una
scusa per quell'imbarazzo che sentiva crescere e montare in
sé ogni istante di più mentre Violin gli sfiorava
forse inconsciamente il torace. Lo fece con maggior vigore soltanto
quando ebbe finito di sistemare l'accessorio, andandogli a dare una
pacca più decisa su di una spalla.
“Questo non vuol dire niente. Sarai bisessuale...
Anche io sono stato con delle donne, prima di accettarlo,
perché non volevo ammetterlo a me stesso. Sono cresciuto in
un ambiente cattolico, infondo.” Scrollò le spalle
distaccato, quasi quel discorso non lo toccasse più di
tanto, seppure di quando in quando un sorriso dispettoso gli incurvasse
ruffiano le labbra, tendendone i tratti già maturi e la
pelle abbronzata. Si formavano due piccole fossette sulle sue guance
quando rideva. Victor se ne rese conto solo in quel momento, visto che
aveva il volto dell'altro ad un soffio dal proprio. Si sedette
nuovamente sul divano, Violin, senza però lasciare la presa
dalla cravatta di Stradivari.
“No! Impossibile! Escluso! E quello...
sarà successo perché ero appena sveglio.
Sì, sicuramente.- Blaterò cercando di suonare
convincente tanto per sé stesso quanto per l'altro che
l'osservava dal basso, ormai, con quel sorrisetto che si faceva poco a
poco più convinto. Più divertito. -Tu... mi stai
prendendo per il culo?!” Sembrò rendersene conto a
pieno solo in quel momento il ragazzo. Tanto che fece un passo verso
l'altro, cercando di apparire minaccioso e cascando in pieno in quella
che era una trappola bella e buona, dal suo punto di vista. Mark
tirò la cravatta con poca forza, ma questa bastò
a far avanzare ulteriormente Victor, tanto che si scontrò
con la gamba del collega perdendo l'equilibrio e finendogli diritto in
braccio emettendo un gemito stupito, probabilmente.
“Un po', sì.- Ammise divertito Violin
circondandolo con le braccia. Braccia solide e stabili, che non
sembravano essere intenzionate a cedere quando l'altro, in un primo
momento, si ribellò. -Non ti faccio niente.
Giuro.” Cercò di rassicurarlo andando
semplicemente ad appoggiare il capo contro il torace dell'altro che si
immobilizzò in quel gesto, trattenendo per qualche istante
il respiro ed abbassando gli occhi fino ad intercettare la capigliatura
arruffata e lunga del compagno.
“Ti odio...- Mormorò senza alcuna
convinzione Stradivari, allacciando le braccia attorno al collo
dell'altro in un gesto che smentiva a pieno quanto appena affermato e
sollevando gli occhi verso una finestra. Finestra che venne sostituita
in un secondo dal bianco della pelle del divano quando si rese conto
che Mark si era steso, tirandolo giù con sé e
lasciandosi usare come materasso. -Lascia..!” Prese ad
agitarsi di nuovo, Victor, cercando così di liberarsi della
presa dell'altro attorno al proprio corpo, senza un equilibrio in quei
movimenti spasmodici. Ma ricadde in un misero buco nell'acqua quando
l'uomo lo avvolse con più decisione.
“Lo so. Che mi odi.” Sospirò e
Stradivari avrebbe potuto giurare di aver sentito un rantolo provenire
dalla sua cassa toracica. Il suono di qualcosa che sta soffocando e
morendo. E tremò. Tremò perché si rese
conto che quella malattia per cui l'aveva schernito probabilmente gli
faceva più male di quanto non ostentasse. Tremò
dandosi della stupido perché quelle braccia che ora lo
stringevano si erano allenate per non togliersi nulla, nonostante i
problemi del loro proprietario. Tremò perché il
calore emanato dal corpo del collega era vero e lo faceva sentire bene,
tanto da fagli dimenticare quanto accadutogli nel primo pomeriggio e
quel rantolo fioco che aveva sentito. E si sentì male,
perché nonostante tutto non era vero che lo odiava.
Tutt'altro. Forse addirittura l'ammirava. L'invidiava. E si faceva
pena, perché davanti a lui non l'avrebbe mai ammesso.
“Ehy, Violin... non è vero che i 'giocattoli rotti'
non li vuole nessuno.” Non seppe nemmeno lui spiegarsi del
perché di quella frase. Del perché gli fosse
uscita così direttamente. Distratta e probabilmente sincera.
Lo pensava davvero? Non riuscì nemmeno lui a spiegarsi come,
ma un dolce torpore l'avvolse in un soffio tanto che le sue palpebre si
fecero pesanti e lui si addormentò senza quasi accorgersene,
lasciando Violin piacevolmente interdetto. Sorrise il musicista,
carezzando con delicatezza la gota del compagno. Un “grazie”
regalato al silenzio fu l'unica cosa che riempì in ultima la
stanza.
Angolino autrice *_* Ed eccomi tornata tra voi! <3
Se lo scorso capitolo abbiamo scoperto qualcosa di Vic, in questo
scopriamo indubbiamente tantissimo su Mark! *-*
Spero vi piacerà ^w^
Per questo capitolo, un ringraziamento specialissimo va ad Andy.
Perché senza di lui Strà e Vic non sarebbero mai
esistiti.
Perché senza di lui, tante idee non sarebbero venute a galla.
Perché gli vogio un bene dell'anima.
Accie fratellone! :* <3
Ed ora le recensioni
_YUKO CHAN_ Addirittura un principe azzurro, Mark? XD Non l'avevo mai
visto da questo punto di vista. Però effettivamente, come
parte gli calza a pennello! In questo capitolo, in realtà,
secondo i miei piani, Vic non avrebbe dovuto mostrarsi così
tanto. Mostrare così tanto di sé, ma durante la
stesura della storia ha preso allegramente il sopravvento, ed il
capitolo è uscito così. L'ho amato molto
perché dopo questo capitolo si è lasciato domare,
finalmente XD All'inizio, l'idea del bacio c'era anche, devo ammettere.
Ma credo avrebbe infranto quella tensione che volevo creare nel
capitolo successivo, cioè questo :) Spero che ti
piacerà, anche se non succede nulla di particolare ^w^
_NonnaPapera_ Tutte tutte le ho lette v_v Non c'erano tanti errori, dai
XD e poi erano belline *___* Ma veniamo a noi... Il barbone all'inizio
è messo per fare paura X°D In realtà lo
ritroveremo anche più avanti, anche se solamente citato v_v
Sì, sono dei babbei. Ma c'è da tener conto anche
che uno dei due **indica Victor** ha un carattere davvero pessimo. Mark
è decisamente più accondiscendente ed aperto XD
Ed in questo capitolo, come pronosticato, ecco che si scopre anche
qualcosa su di lui :) Shi *-* Ax ha una shot tutta sua e sto
cominciando a lavorarci su in questo periodo v_v vediamo che ne esce
fuori =P Alla prossima ^w^
_My Pride_ Vero anche questo v_v (**venera Roy**) In realtà
temevo di cadere nel banalotto a causa del passato di Vic... non so
nemmeno io in quel momento a cosa stavo pensando, quando ho deciso di
fargli "vivere" quello che ha vissuto. Però mi serviva una
giustificazione per questo suo carattere, e questa credo sia stata
piuttosto esauriente. Trovo che spieghi tanto la mancanza di
capacità sua di amare nel senso proprio del termine, quanto
quello di utilizzare le ragazze come dei meri oggetti. Non sai quanto
possano farmi piacere le tue parole T^T Non mi sono mai ritenuta capace
di scrivere una storia romantica degna di questo nome, quindi
è davvero un complimentone enorme, il tuo
ç_ç Per quanto riguarda la virgola nel titolo,
è per dividere la frase come nella canzone dalla quale l'ho
tratto. Diciamo che è lì per una questione
grafica, piuttosto che grammaticale =P Accie per avermelo detto,
comunque *w*
_Nana Swan_ L'incontro-scontro sulla borsa di studio era una cosa che
d'aveva da fa. Vic altrimenti avrebbe portato rancore a Mark per una
vita, e la cosa non sarebbe andata bene. No no. Eccoti il seguito del
capitolo :) Spero ti piacerà come il precedente e che la tua
curiosità verrà soddisfatta *o*
_LayShaly_ ç_ç **si commuove** Spero di non
divenite tediosa, proprio a causa del mio esser puntigliosa nelle
descrizioni >_<" Per il resto ti ringrazio davvero tanto
per la recensione *-* Mi ha fatto davvero piacere *o* La scena del
bacio, credimi, è stata la ciliegina sulla torta anche
mentre scrivevo XD Non vedevo l'ora che accadesse, proprio
perché altrimenti non si sarebbe mai movimentata la
situazione X°°
_RiflessoCondizionato_ Tesora, anzitutto comincio con il chiedere
perdono per aver mancato al contest sui Tarocchi. Il Pc mi ha tradito,
tanto che TUTTE le mie storie sono andate perse! >_<""
Veniamo a noi, intanto (si vergogna da morire). Axel e Lizzy sono
un'accoppiata scoppiettante! *-* Purtroppo hanno poco spazio, in questa
storia T^T Avrei voluto scrivere molto di più, su di loro :/
Ma troveranno i loro spazi anche loro v_v Intanto... Mark PARLA! E
credimi, solitamente, quando lo fa, lascia il segno, combussolando
sempre di più il povero Vic X°D E quel bacio
è stato liberatorio per tutti, a quanto vedo XD Dieci e lode
*-* Addirittura! XD Bellissimo! *A* Sì, sono convinta anche
io che ad ogni "ti odio" di Strà, corrisponda un "ti amo".
Ma non diciamogli che lo abbiamo capito. Il poverino è
ancora confuso v_v
Credo poi, che nella tua seconda recensione, abbia azzeccato
completamente quello che è lo stato d'animo di Vic. Lui ha
paura. Terribilmente paura di quel ragazzo troppo più bravo
di lui. Ha paura che a causa sua, diventerà completamente
inutile allo sguardo degli altri. Sono felice che lo scorso capitolo ti
sia piaciuto più degli altri. Spero che anche questo
sarà all'altezza delle aspettative *-* alla prossima, ed
ancora scusa >_<
Grazie a tutti quelli che hanno anche solo letto ^w^
Certo, una recensioncina, anche solo per criticare, non mi
dà fastidio. Tutt'altro.
Grazie comunque :)
Un baciotto a tutti!
Herì
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Capitolo 7 *** 6. Come si possono esaudire i desideri? ***
6. Come si possono esaudire i Desideri?
My
soul is painted like the wings of butterflies
“Kiri-Kiri! Perché
non canti qualcosa mentre aspettiamo la megera?” A voltarsi a
quella richiesta fu una ragazzina dai capelli del colore delle castagne
e dai riflessi dorati. Se ne stava seduta a gambe incrociate sopra un
banco, in barba alla buona educazione, chiacchierando
tranquillamente con un ragazzo minuto e magrolino. Entrambi diressero
la propria attenzione verso la voce che aveva interpellato la giovane
con un sopracciglio arcuato, perplessi.
“Siamo in una classe di canto.
Sapete cantare tutti, quindi perché dovrei farlo
io?” Domandò mentre un bel colore rosso le
imporporava allegro le guance piene solitamente pallide. Aveva un filo
di trucco sugli occhi, giusto quanto bastava per contornarli e farli
divenire ancora più grandi, risaltando il colore scuro e
vivace delle iridi.
“Quel montato di Mister
Stradivari ad esempio no, non sa cantare.”
Commentò uno dei due palesando sul proprio volto
un'espressione schifata, appoggiato da un altro gruppetto di compagni
di classe che l'aveva seguito nella sua crociata.
“Dai, per favore.”
Furono un paio di ragazzi a prendere davvero coraggio ed avvicinarlesi
per posare le mani sul tavolo sopra il quale sedeva, costringendola ad
indietreggiare un poco. Sopraffatta e forse intimidita. Schiuse le
labbra per ribattere qualcosa, ma il ragazzo che le stava seduto
accanto le punzecchiò una gamba con la mano, indicandole
l'ingresso dell'aula, costringendola a rizzarsi e sporgersi oltre le
teste dei colleghi per poter meglio vedere chi stesse entrando. Violin
varcò la porta in quel momento esatto e lei
schizzò giù dal banco come una saponetta bagnata,
agguantando per il braccio l'amico.
“Vieni Andy. Facciamo
trio.” Gli lanciò un'occhiata che non ammetteva
repliche, trascinandoselo dietro verso il nuovo arrivato che l'accolse
con un sorriso bonario, quando se la trovò davanti.
Irriverente. Un piccolo ciclone in avvicinamento con la gonna della
divisa che svolazzava allegramente a quel passo tutto
fuorché femminile ed il cravattino che sembrava divertirsi a
non starle in ordine.
“Buon giorno, ragazzi.
Già scatenati di prima mattina?”
Osservò sinceramente divertito, lasciandosi avvolgere dalle
braccia della giovane, quando gli si lanciò al collo senza
troppe cerimonie stampandogli un sonoro bacio sulla guancia. Dall'altra
parte della classe, qualcosa emise un tonfo leggero sul pavimento,
seguito poi da uno più pesante che fece scoppiare la classe
in una sonora risata. Stradivari era riverso sulla scalinata che
portava ai tavoli più in alto di quell'aula fatta in discesa
ed imprecava non troppo gentilmente rivolgendosi alle
divinità più disparate.
“Salvami, ti prego.”
Lo scongiurò nel mentre Kirya, sporgendo il labbro
inferiore, tremulo per poi voltarsi ad osservare la scenetta
improvvisata da Victor che cercava di tirarsi su il più
velocemente possibile da quella posizione a zerbino. Doveva averci
preso gusto a sperimentare contatti di terzo tipo con il pavimento.
“Sei riuscito a concludere
qualcosa con lui, poi?” Schietta e priva di malizia quella
domanda che gli andò a porre il ragazzo dopo averlo salutato
con un labile cenno di mano. Semplice interessamento che
però ebbe il potere di far sgranare appena gli occhi del
biondo, prima che anche lui scoppiasse in una risata leggera e
divertita.
“Ci sto lavorando, Andy. A te
cosa serve, invece?” Chiese rivolgendosi nuovamente alla
ragazzina arruffandole i capelli non troppo lunghi, ma questa gli si
allontanò per sfuggire a quelle coccole non desiderate.
Restia. Più avvezza a farle, le coccole, piuttosto che
riceverle.
“Ora niente. Mi serviva
qualcuno che mi fornisse un diversivo.” Spiegò
andando ad indicare la classe ed in special modo Stradivari che si era
seduto in un posticino isolato, con la solita espressione da
intoccabile, ma che palesemente stava fulminando il loro trio con lo
sguardo, ignorato in modo lapalissiano dai tre compagni di classe. Lo
stavano facendo apposta, e si stavano divertendo pure.
“Le hanno chiesto per
l'ennesima volta di cantare. Aveva bisogno di una via di
fuga.” Spiegò più semplicemente il
giovane, andando a sollevare le spalle con noncuranza. E Violin si
trovò a sorridere di nuovo alternando occhiate veloci tra
Kirya e Andy, attorniando poi il collo di entrambi con le braccia.
Sovrastandoli, tanto erano piccini rispetto a lui.
“Sei sempre la solita
sfruttatrice, Yaya.- La rimproverò Mark chiamandola con
quello che era il suo soprannome ufficiale più o meno da...
una vita. Le rifilò un colpetto sulla guancia con l'indice
di una mano, fingendo però sdegno nello scuotersi rassegnato
del capo. -Mi serve una mano da voi due...” Se li
portò quindi da parte, cominciando a parlare con aria
cospiratoria, chino, tanto da riuscire ad arrivare alla loro altezza.
Sussurri appena percettibili per chiunque non fosse rinchiuso in quel
piccolo triangolo delle Bermuda. Victor continuava a fissarli da
lontano, fingendo però di non essere interessato al fatto
che Kirya stesse così terribilmente appiccicata a Violin e
che lui sentisse un improvviso istinto omicida nei confronti di quella
che invece era una delle poche ragazze che stimava perché
non l'aveva mai considerato più di un amico.
Sussultò quando la vide saltare letteralmente al collo del
loro compagno di corso, afferrando con forza una matita ed
immaginandosi che quello fosse un braccio della ragazza. Che fosse
geloso? Ma no! Non poteva essere geloso. A lui non interessava nulla di
Mark, infondo. Forse... più o meno. Rabbrividì
quando gli occhi caldi, dal tratto vagamente orientaleggiante, della
ragazzina scivolarono sulla sua figura, avvinghiandosi maggiormente a
Violin, facendogli salire il sangue alla testa. Quelle braccia... Si
immaginava bene con la sega elettrica a spezzettarle per bene. Altro
che matita e matita!
“Credo che se Vic potesse mi
incenerirebbe.” Ridacchiò la ragazzina, ilare,
scostandosi dall'amico ed andando ad afferrare un'astina per
posizionarla al centro del piccolo soppalco dietro il quale si trovava
la lavagna.
“Vai da lui, Viò.
Qui ci pensiamo noi.” Lo rassicurò Andy, che in
realtà sembrava essere il primo ad aver bisogno di
rassicurazioni, per poi avvicinarsi a Kirya, allungandole un microfono.
La ragazza gli sorrise con fare sbarazzino infilando l'oggetto sulla
forca ed andando ad inserire il jack all'interno del mixer.
“Axel, abbiamo bisogno di
te!” Gridò per farsi sentire dal ragazzo
appollaiato su uno degli ultimi banchi, avvinghiato all'ennesimo
poveraccio che era finito tra le sue braccia. Lanciò
un'occhiata veloce alla causa della fine del suo divertimento, ma
quando la vide indicargli il suo amico d'infanzia annuì con
convinzione. Non gli ci volle tanto a capire che intenzione avevano lei
e gli altri. Sorrise ampiamente verso la reincarnazione umana di una
zanzara, scivolando via dall'abbraccio del suo ennesimo amante e
cominciando a scendere velocemente lungo la scalinata dando una leggera
pacchetta sul capo di Lizzy per farla uscire dal suo stato di coma
apparente. Non occorsero parole quando alzando gli occhi
riuscì ad intravvedere quel piccolo gruppo di musicisti che
stava andando a crearsi e si precipitò a propria volta verso
di loro, saltando sulle spalle di Kirya.
“Quando c'è da fare
casino ci sei sempre in mezzo!” Proruppe in una risata
cristallina che echeggiò all'interno dell'aula, seguita da
quella della collega che ammiccò in sua direzione facendole
spazio accanto al microfono.
“E se c'è da
seguirmi, tu sei sempre in prima fila.- Le fece notare, voltandosi poi
verso il resto del gruppo che era andato a crearsi attorno a loro. La
voce alta ed una scarica di energia a dar vita a quella ragazza non
esattamente magra, ma vivace e tutti si misero ai suoi ordini.
Strumenti svelati dalle custodie e lei ed Elisabetta già
davanti al microfono. -The show must go on!- Incitò il
gruppo sollevando il braccio in aria con forza. Gli occhi scuri
andarono a scivolare verso Violin che l'osservava dall'alto della
scalinata, seduto accanto a Victor, che per contro le stava rivolgendo
occhiate seccate, nonostante lo schiamazzare del resto dei loro
compagni, coinvolti dalla carica della ragazza. -Stradivari. Questa
è per te!” Gli comunicò, senza
schiodargli gli occhi di dosso. Un sorriso sfrontato e dall'aria
infantile ancora su quel visetto ovale e pieno. E senza che nemmeno
sembrasse essersene accorta, la ragazza prese a cantare. Una voce da
contralto. Morbida. Bassa e piacevole. Calda e pastosa. Lei non si
poteva certo definire bella, ma la sua voce lo era. Tanto che
Victor storse le labbra ancora più irritato: odiava chi era
più bravo di lui. Mark che gli stava accanto, invece,
sembrava tranquillo e perfettamente a suo agio, tanto che il ragazzo
gli dedicò un'occhiata scocciata posando il mento sulla mano
destra che faceva appoggio sul gomito.
“Kirya non si esibisce mai
così spontaneamente. Qui c'è il tuo
zampino.” Constatò dedicandogli uno sbuffo che
morì quando gli arrivarono le parole della canzone che stava
intonando la loro compagna di classe, accompagnate da un sorriso a
tratti addolcito di Violin. Lo stesso Violin che stava cantando
sommessamente quelle parole, avvicinandosi sempre di più al
suo orecchio. E Stradivari glielo stava pure lasciando fare, senza
spostarsi di un millimetro. Perché? Si era bevuto
definitivamente il cervello?
“Fairytales
of yesterday... we'll grow but never die.”
Sembrò giurarglielo, con quelle parole sussurrate assieme
alla canzone che ormai era solo un sottofondo. Il ragazzo gli sorrise
con una vaga malizia andandogli a baciare il collo, repentino. Lo fece
una. Due. Tre volte. E dopo la terza, Victor perse il conto
lasciandogli fare quel che voleva, senza resistergli. In sua completa
balia, come una barca in un mare in tempesta, inclinandosi poco a poco
sempre di più verso la sedia accanto alla propria.
Altrettanto repentino, però, Violin gli si
allontanò. “Chissà..?”
Concluse serafico, sollevandosi in piedi e scendendo velocemente la
scalinata, lasciando ammutolito Stradivari che ne seguì la
figura. Lo guardò saltare sul soppalco. Lo guardò
abbracciare da dietro Lizzy e Kirya impossessandosi del microfono,
cantando con loro. Non capì in quel momento, il
perché di quella canzone. L'avrebbe appreso solo
più avanti, il significato di quelle parole. E non gli
restò altro da fare che sbuffare, fingendosi seccato e
portandosi la mano sinistra sul collo, cercando di celare una buona
dose di imbarazzo e quei segni che gli aveva lasciato il compagno di
classe.
“E pensare che è
così carino...” Mugugnò una voce alle
spalle del violinista facendolo sussultare per la sorpresa. Quando si
voltò di scatto verso il banco posto sopra il proprio,
incrociò la faccia barbuta di Andy che osservava
alternativamente lui e Violin giù sul palco. Medesima
direzione in cui indirizzò il proprio sguardo Victor: alle
tastiere non c'era più nessuno.
“Cosa ci fai qui, cagnolino?
Non hai qualche osso da rosicchiare?” Lo accolse con
scetticismo il ragazzo sollevando il mento con fare altezzoso,
osservandolo ostentando noia. come se tutta la faccenda non fosse affar
suo. Né fosse lui la persona cui era dedicato quel piccolo
concerto messo su in quattro e quattro otto. Eppure si tradiva da solo,
quando, di tanto in tanto lanciava rapidi sguardi al palco,
soffermandosi sulle figure di quei tre cantanti tanto diversi tra loro.
Vedeva Kirya con la sua carica esplosiva ballare e saltellare qui e
lì al ritmo di una canzone nuova. Probabilmente una delle
sue ultime creazioni. Vedeva Lizzy improvvisare i cori zompettando qui
e là ed inventando strani balletti con l'altra cantante. E
poi vedeva Violin guardare in loro direzione. Un sorriso che non si
capiva bene cosa stesse a significare. E Victor distolse immediatamente
lo sguardo, proprio quando Andy saltò su per rispondergli.
“Zitto gattaccio! Quello su
cui avevo messo gli occhi si è spostato sulla tua ciotola...
e tu ancora non te lo sei mangiato...” Sbottò il
castano, incrociando con forza le braccia contro il torace.
Sopracciglia abbassate e sguardo truce, che però, su quel
viso dai tratti ancora un poco infantili, stonava come non mai,
rendendolo simile ad un bambino imbronciato, piuttosto che ad un adulto
arrabbiato. Il violinista sgranò gli occhi a quelle parole,
drizzando la schiena come se un brivido freddo l'avesse percorsa in
quel preciso istante, prendendo distanze dall'altro nello spostare
indietro il busto.
“E... e non ho nemmeno
intenzione di mangiarmelo!” Ribatté piccato,
tornando alla sua aria annoiata, come a non voler dare la soddisfazione
del proprio imbarazzo al cantante. Cantante che però sorrise
con fare sornione nel seguire l'indirizzo del suo sguardo che per
l'ennesima volta si posava sulla figura di Mark, andatosi a piazzare
alle tastiere, in sostituzione ad Andy, mentre Axel gli girava
particolarmente vicino, senza però distogliere lo sguardo
dal ragazzo cui era avvinghiato prima dell'inizio di quello strano
spettacolino.
“Come no?”
Sbuffò il tastierista sollevando sardonico un sopracciglio
ed allungando le braccia per stringere il collo di Stradivari in una
morsa leggera, così da schioccargli un improvviso bacio
sulla guancia, cogliendolo completamente alla sprovvista.
“Beh, se la metti così, allora me lo prendo
io.” Cantilenò dandosi alla fuga prima che Victor
riuscisse a riprendersi dallo shock del momento. Ripresa che fu
decisamente rapida, visto l'insieme di improperi che riuscì
a rivolgergli a bassa voce, mangiucchiando le parole. Ebbe decisamente
l'impressione che quel giorno tutti avessero deciso di prendersi gioco
di lui. Fu con quella vocina nella testa che continuava a gridargli
dietro “cretino!” che si accorse della sagoma della
professoressa di teoria musicale oltre la porta a vetri. E fu la stessa
vocina ad urlare un “tappati le orecchie!”, prima
che questa entrasse nell'aula inacidita come una limonata, cominciando
a starnazzare come un oca cui è stato invaso il territorio.
Seguì una straziante ora di predica che vide come suo apice
massimo, una nota di demerito collettiva nel registro degli studenti.
Stradivari sospirò
rassegnato: oltre al danno, la beffa.
Angolino recensioni <3
_Nana Swan_ Embeh XD Ma lui fa outing proprio spassionatamente
X°D Però a me lui piace tanto anche per questo:
è molto limpido e diretto X°D E prendere in giro
Vic, per lui e per me è davvero uno spasso!
Cioè... non si può non prendere in giro un tipo
come Strà. Sarebbe come sprecare un vasetto di nutella v_v
Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto *-* La scena finale
trasuda fluffffffff X°D
_Yuko Chan_ Vic è davvero mooooooolto confuso ._. Piccino,
non è abituato a situazioni simili. O meglio, non
è mai stato abituato ad essere trattato così.
Molti si tengono alla larga da lui a causa del suo carattere e quindi,
il modo il cui effettivamente lo vizia Mark, gli è anomalo
^^ Credo che il suo turbamento sia dovuto soprattutto a questo :)
Viò lo prende in giro, ma lo sta anche aiutando a crescere.
E quella frase che hai messo in evidenza tu, credo sia il primo tenero
germoglietto di questa crescita. Le piccole confidenze di cui parli,
invece, sono state la cosa più ostica da mettere
giù in questo capitolo :) Mark è più
aperto di Vic, seppure non sembri, nelle sue iniziali risposte ambigue
X°D Per questo ho ringraziato infinitamente il carattere di
Strà XD Indispondente com'è, lo costringe a
mettersi completamente a nudo v_v
_NonnaPapera_ Credo anche io che siano le prime parole che esprime
davvero con il cuore. E credo che gli siano costate davvero tanta
fatica, nonostante probabilmente non si sia nemmeno reso conto della
portata di quello che ha detto. Vic è scemotto v_v
**annuisce con convinzione** Speriamo, già ._.
_My Pride_ Con un giorno di ritardo, ma ecco il nuovo capitolo *_*
Oddio! Menomale che ti è piaciuto ç_ç
temevo fosse troppo Fluffoso >_< in realtà mi
sono accorta che trasuda miele e caramelle da tutti i pori, solo
leggendo la storia completa, una volta che l'ho terminata
o_ò Però dai... un po' di coccole ci stanno,
altrimenti Vic mica mollava <.<" Spero che in questa
settimana tu sia guarita, invece >_< Mi spiace che sia
stata male >_< Del passato di Mark, purtroppo, mi sono
resa conto che non si parlerà tantissimo, dopo questo
capitolo. Ma è stata una scelta mia, d'altronde. Lui vive
proiettato nel futuro. E' Strà quello che si perde nel
passato. E c'è un perché, ma non sto a spiegarlo
qui xD Si capirà passo passo :) Felice di averti fatta
sorridere, invece ^w^ E che le scenesiano state chiare. Ho sempre il
terrore di essere prolissa e poco chiara quando scrivo ._. Alla
prossima :*
_BritinLover_ Una nuova lettrice! *_* Benvenuta *_* *Sbrilluccica*
Credo che tu abbia fatto bene a non commentare prima :) Solitamente
faccio anche io come te, quindi grazie anche solo per esser passata dal
primo capitolo ed aver deciso di continuare la lettura ^w^ Mi ha fatto
molto piacere sapere che ti sei ricreduta :) Vic si è
costruito una maschera. E credimi, ci vorrò ancora un po'
perché questa cada completamente a pezzi ^^ Spero che
seguirai le vicende fino alla fine ^0^ Anche io adoro come Mark tratta
Vic, perché, anche se quest'ultimo non se ne rende
pienamente conto, Viò ha già infranto molte
barriere XD E non dico altro =P
Vi ringrazio veramente tanto per i vostri commenti *A*
Alla prossima :****
Grazie anche a chi solo legge, ma un commentino, no? Vanno bene anche
critiche. Servono per crescere :)
Alla prossima.
Herì
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Capitolo 8 *** 7. Ci sarai anche nelle mie notti insonni? ***
7.
Ci sarai anche nelle mie Notti insonni?
I
can fly - my friends
The
show must go on
I'll
face it with a grin
I'm
never giving in
On
- with the show
Eh, sì. Doveva essere proprio
uscito di senno. Che cosa ci faceva lui, lì? Lui, di nuovo
nell'appartamento di Violin. Tra le sue braccia, oltre tutto, a
compiere atti osceni in luogo pubbl... eccola la fregatura: erano in un
luogo privato. E come ciliegina sulla torta... i suddetti atti osceni
lo stavano pure compiacendo. Gli veniva da piangere al solo pensiero. O
meglio, gli sarebbe venuto da piangere se solo quei gemiti che sentiva
fuoriuscire dalle sue labbra non gli fossero suonati così
tremendamente suadenti e lascivi. Ammalianti quasi. Il cuore gli
saltò un battito, quando riaprì gli occhi
trovando sopra di sé il petto dell'altro. Quel torace
muscoloso, forse un po' troppo. Un po' di peluria talmente chiara da
non risultare nemmeno visibile. Vi passò le mani contro,
sentendo la sua pelle sudata al tatto. E si ritrovò ad
aggrottare le sopracciglia quando si rese conto che sembrava mancare
qualcosa. La cicatrice dell'operazione. Si ricordava di avergliela
scorta quando si erano incrociati in bagno. Allora perché
mancava, ora? Sentiva lo stomaco divenirgli un unico groviglio mentre
le mani dell'altro gli scivolavano lungo i fianchi, stringendogli senza
troppa forza -seppure con urgenza- le natiche, provocandogli una
scarica di adrenalina così intensa che lo fece sussultare.
Ok, sarebbe morto lì, era chiaro. E ora perché la
cicatrice era comparsa lì dove doveva essere il suo posto?
Non fece a tempo a riflettervi, troppo preso da altro.
Un bacio.
Un altro bacio.
Un altro ancora.
E poi perse il conto. Smarrito in quello
spazio che sembrava così onirico. Troppo ovattato per essere
davvero la sua prima esperienza da checca. No, che brutta cosa
definirsi così! Alla sua prima esperienza omosessuale.
Sì, così decisamente suonava meglio.
Deglutì a vuoto per riuscire solo dopo a rendersi conto di
una cosa: c'era un rumore fastidioso in sottofondo, oltre agli ansimi
suoi e del compagno di scuola. Qualcosa che non avrebbe dovuto esserci.
Non ricordava che tempo facesse fuori, prima che cominciasse quella
magnifica tortura.
Oddio la bocca di Mark a tormentare i
suoi capezzoli non aveva prezzo, tanto che sentì fuoriuscire
un gemito più acuto e terribilmente... terribile dalle
proprie labbra. Si sentiva una verginella alla sua prima esperienza. E
sì che di esperienza lui ne aveva accumulata un bel po',
portandosi a letto senza ritegno una ragazza nuova più o
meno ogni due settimane. Però quella era davvero la sua
prima esperienza. Dovette ripeterselo altre tre o quattro volte per
entrare nell'ottica di non essere propriamente padrone della
situazione, in quel momento.
Ma tornando lucido al problema di base,
si rese conto di non ricordare assolutamente niente dei preliminari e
del prima. Che fosse stato ubriaco? Beh, questo certo avrebbe
giustificato il suo essere il sottomesso tra i due. Però
doveva ammettere che quella posizione era comoda. Era supino, con una
meravigliosa panoramica del volto di Violin a sovrastarlo. Diamine
com'era invitante quel collo. E poi... qualcosa gli entrò
dentro, facendogli contrarre i muscoli del sedere in una morsa attorno
a quel corpo estraneo. Assieme agli addominali e ad un'insolita
sensazione all'altezza dello stomaco. Dentro e fuori. Dentro e fuori.
Più e più volte, sentì accelerare
ancora di più il proprio respiro. Eccitato. Concitato.
Sentiva un bisogno urgente di pienezza e si sentiva frustrato nel non
riuscire ancora ad ottenerla.
No, doveva darsi una calmata. Fingere
per lo meno di essere rilassato. Avrebbe fatto soggetto passivo,
così l'altro si sarebbe stancato presto di lui e l'avrebbe
lasciato in pace. Quindi meglio concentrarsi su quel rumore. Tanto
sapeva che ormai i suoi sforzi non sarebbero serviti a nulla. Non era
più Mark a volere lui. Ma lui a volere Mark dentro di
sé a tutti i costi. Ma... Quando aveva cominciato a piovere,
fuori? Altrimenti che accidenti era quel rumore troppo simile all'acqua
che scrosciava in una... doccia?!
Victor sgranò gli occhi
trovandosi madido di sudore, con il fiato decisamente corto, ed
avvinghiato ad uno dei cuscini del proprio letto con un rigonfiamento
non proprio confortante a strusciarsi contro questo. Ottimo: federa e
lenzuola erano da buttare in lavatrice. Mutande anche. E lui aveva
bisogno di darsi una lavata, oltre che una calmata. Portò lo
sguardo in direzione della porta del bagno focalizzandola a fatica un
po' per il sonno ed un po' per la mancanza delle lenti a contatto o in
alternativa degli occhiali. Maledizione anche alla sua vista che stava
cominciando a fare i capricci. Fece salire lentamente una mano ad
arruffarsi i capelli perennemente disordinati, mentre l'altra discese
stanca a cercare di nascondere con il cuscino quell'erezione fin troppo
visibile visti i boxer stretti che indossava. Maledetto Violin, anche
in sogno abusava di lui. Maledetto pure quello scroscio d'acqua che
l'aveva svegliato! Sì, a questo punto era il caso di dirlo:
l'aveva interrotto sul più bello. Inorridì quando
si rese conto di quei pensieri probabilmente istigati da un sogno e
sonno troppo libidinosi.
Sospirò pesantemente, troppo
stanco per negare un'evidenza che avrebbe potuto smentire in qualunque
momento. Solo... chi c'era in bagno? Inclinò il capo verso
una spalla ancora troppo stanco per riuscire a fare mente locale,
stropicciandosi gli occhi stancamente con la stessa mano che fino a
poco prima aveva campeggiato sulla sua testa: l'altra era meglio
lasciarla dove stava. Facendosi davvero violenza si decise a mettere i
piedi sul pavimento, abbandonando il caldo -fin troppo- tepore delle
coperte. Il cuscino sempre tenuto in posizione strategica: meglio non
dare spettacolo a certe ore del mattino. Che poi che ore erano?
Lanciò un'occhiata distratta alla sveglia che segnava le
3.00 della notte. Occhiata che da distratta divenne puro istinto
omicida. Non ricordava che la preside gli avesse comunicato che
qualcuno fosse andato ad occupare la camera di Mark. Ne tanto meno che
lo stesso lo avesse avvertito che avrebbe dormito lì. Era
successo più di una volta che Violin restasse nel
dormitorio, ma era solito avvertirlo, quando ciò accadeva.
Per l'incolumità di entrambi, mica per altro. Inoltre,
solitamente accadeva dopo gli allenamenti di pallacanestro, quando era
troppo stanco ed il suo cuore rischiava di tirargli qualche scherzo.
Oppure quando le prove si attardavano particolarmente e lui non aveva
più i mezzi per tornare nella periferia di una Londra che di
notte diventava poco piacevole. Quel giorno però non era
avvenuto nulla di tutto quello. Il più delle volte inoltre,
si tratteneva lì per i problemi comportati dalla sua
malattia. Troppo testardo per ammetterlo, ma aveva paura a restare da
solo, specie se aveva da poco superato una crisi. Spesso, poi, toccava
a lui accudirlo. Victor aveva imparato a conoscerlo. Lui e quelle
terribili medicine. Ogni volta che gli chiedeva di passargliene
qualcuna, Stradivari si sentiva in colpa, perché significava
che l'altro stava davvero male. Troppo orgoglioso per chiedergli aiuto,
altrimenti. Si avvicinò alla porta del bagno battendo un
paio di colpi per precauzione, prima di aprirla con calma,
affacciandovisi all'interno solo con il capo scompigliato. E lo vide.
Violin era lì, seduto all'interno del box doccia con i
vestiti ancora addosso. Il getto d'acqua lo stava bagnando, eppure lui
non sembrava dare segno di accorgersene o di recepire il calore del
liquido che gli fluiva addosso. Sgranò gli occhi, Victor.
Colto da una sensazione di panico che gli fece dimenticare qualunque
cosa non fosse il ragazzo apparentemente privo di sensi.
“Ehi, Viò! Mark,
pezzo di deficiente, non farmi spaventare così!”
Gettò via il cuscino precipitandosi verso il compagno di
scuola, bruciando la breve distanza in un attimo che banalmente gli
parve scorrere a rallentatore. Con un colpo secco abbassò il
rubinetto della doccia con una mano, mentre portava l'altra a posarsi
sul collo del giovane, come lui stesso gli aveva insegnato.
“Cazzo... Rispondimi,
idiota!” Per un istante. Uno. Singolo. Ridicolmente breve.
Ringraziò di essere da solo. Di non avere nessuno attorno ad
intimagli di stare calmo oppure a sbraitare più di quanto
lui non stesse già facendo. Dandosi i nervi da solo, oltre
tutto. Il cuore. Il cuore di Violin batteva ancora ed anche il suo
respiro era presente, seppure accelerato. Aveva una smorfia dolorante
in volto. Di chi sta davvero male. E per l'ennesima volta Stradivari
arrivò a darsi del benemerito cretino. Cretino quando
l'aveva deriso per la sua malattia. Cretino ogni volta che, citando le
sue parole, lo chiamava “giocattolo rotto”,
seppure, Mark aveva imparato a capirlo, in modo tutto
fuorché offensivo. Cretino per quel senso di panico causato
non tanto dalla paura suscitatagli da quella situazione, quando per il
terrore di perderlo. E dopo il sogno che si era ritrovato a fare solo
poco prima, aveva buone spiegazioni. Ammissioni che però non
avrebbe fatto né a se stesso, né all'altro, in
quel momento. Avvertì la propria mano tremare appena al
ricordo di quanto avvenuto in quel mondo onirico, articolando
lentamente frasi sconnesse e senza senso con le labbra.
Lasciò affondare con forza i denti su quello inferiore
afferrando Violin per le maniche e strattonandolo fuori dalla doccia
per porlo disteso. Era pallido, constatò. Di un pallore che
contrastava fortemente con quella pelle bronzea a cui era abituato.
Cereo.
“Svegliati. Svegliati... per
favore!” Lo mormorò a tono basso, recuperando un
drappo dal porta asciugamani e facendoglielo passare sul volto. Quella
non era solo acqua, convenne. Era anche madido di sudore, nonostante
fosse vestito con abiti comuni. Ma c'era qualcosa che non gli quadrava.
Lo fece d'istinto. Annusò l'aria e si rese conto di un odore
-fetore- che avrebbe preferito di gran lunga dimenticare. A meglio
osservarlo in volto, aveva un labbro spaccato, quello inferiore e le
mani? Le nocche erano segnate da piccoli graffi e spaccature. Aveva dei
segni rossastri anche sul collo, ora che ci faceva caso. Che avesse
fatto a botte con qualcuno? Anzi. Che avesse fatto a botte con quel
senza tetto? Victor abbassò lo sguardo ancora una volta sul
volto dell'uomo. Quel labbro tumefatto. Aveva un alone violaceo anche
vicino all'occhio destro. Le aveva prese di santa ragione,
evidentemente. Certo che anche così era bell..! Eh, no! Non
era decisamente il momento giusto per mettersi a pensare a cose simili.
Doveva chiamare un professore. E poi l'ambulanza. O forse sarebbe stato
meglio il contrario? Prima i soccorsi e poi l'insegnante? Eccolo
lì: di nuovo il panico che si imponeva nella sua testa senza
chiedere minimamente il permesso. Doveva stare calmo e muoversi
velocemente. Esatto, muoversi. Quindi doveva alzarsi in piedi e filare
a chiamare aiuto. Ma non terminò di formulare quel pensiero
che avvertì una presa non particolarmente forte attorno al
braccio. Abbassò alla svelta gli occhi di nuovo sul compagno
di scuola, visto che nella foga del momento li aveva portati verso la
porta e trattenne il fiato quando scorse uno scintillio glaciale tra le
lunghe ciglia di Mark.
“Non andare a chiamare
nessuno.” Aveva la voce incerta. Rauca. Gli occhi appena
dischiusi e respirava a fatica, cercando di impossessarsi con lunghe
boccate di quanto più ossigeno ci fosse nell'aria. Stava
male. Si vedeva. Stradivari poteva anche avvertirlo attraverso quella
stretta così leggera. Così debole e tremante che
gli intrappolava l'arto.
“Ma stai male,
stupido!” Si stupì di come fosse vario il suo
repertorio di soprannomi, particolarmente affettuosi, tra l'altro.
Scosse il capo lentamente, il violinista. Lo fece senza particolare
enfasi, seppure sul suo viso madido ed efebico, in quel momento, si
potesse leggere risolutezza. Esitò Victor, stringendo con
forza l'asciugamano con il quale aveva deterso il volto dell'altro,
catturando poi, sempre con lo stesso, una piccola stilla di sangue che
gli stava correndo lungo un lato del volto, sfuggendogli dalle labbra.
E qualcosa, forse la quantità di questo, gli disse che non
proveniva solo dal taglio sul labbro.
“Non andare.” Quella
richiesta fatta con voce così bassa fece attorcigliare lo
stomaco del ragazzo che seguitò a fissare l'altro steso a
terra smarrito. Sembrava che gli stesse chiedendo di non andare
più via in generale, non solo in quell'istante. Dannazione!
Ma da quando gli faceva quell'effetto. Fu come ricordarsi chi era lui e
chi era Mark. Non poteva cascarci così. Violin era il suo
rivale in campo musicale. Era odioso, nella sua apparenza tanto
glaciale ed alla quale bastava un nulla per sciogliersi. Nella sua
naturalezza nell'esprimere a pieno quanto sentiva. Lui piaceva alla
gente per come era davvero. Victor piaceva alla gente per come fingeva
di essere. Con quella spocchia altera che lo faceva passare per bello e
dannato. Con quegli sguardi un po' arroganti e quell'apparenza da
fannullone che non pensa ad altro che a divertirsi.
“Non puoi restare sul
pavimento tutta la notte. Domattina mi ingombrerai il passaggio. E sai
che sono sempre in ritardo, quindi qui io corro.” Lo disse
con noncuranza, come se stesse parlando ad un cane che aveva deciso di
accucciarsi proprio davanti alla porta di una stanza nella quale lui
doveva recarsi. L'occhiata che gli dedicò fu di sufficienza,
con gli occhi un po' socchiusi e le sopracciglia inclinate, in attesa
di eventuali proteste da sedare con acidità. Fu per questo
che si stupì ancor di più quando la mano di Mark
scivolò lentamente lungo il suo braccio, avvicinandosi
pericolosamente alla sua per rinchiudervela all'interno. Ed
inorridì quando il suo corpo non sembrò
intenzionato a rispondere alle sue esigenze, sottraendosi a quella
stretta.
“Un paio di mesi e non mi
avrai più tra i piedi. Probabilmente da prima del concerto
per la fine dell'anno.” Gli comunicò chiudendo
nuovamente gli occhi e traendo un respirò che
suonò come un rantolo nel silenzio calato nel bagno.
Stradivari si fece del male nel suo continuare a mantenere
quell'espressione neutrale in volto. Non voleva dargli la soddisfazione
di fargli capire che quell'affermazione l'aveva spiazzato. E forse
sì, anche turbato. Perciò le sue dita si
intrecciarono con quelle del compagno di scuola, come per accontentare
il capriccio di un bambino che da tanto tende la manina, mentre lui
trovava con la schiena la parete del bagno per sedersi almeno un po'
più comodamente.
“Perché questa mi
sembra di averla già sentita? Ti trasferisci di
nuovo?” Gli domandò, indietreggiando lentamente
con la testa per posarla contro la parete alle sue spalle. Le gambe
tese sul pavimento, poco distanti dal capo del giovane Hamadeus che,
seppure senza invito, ve lo posò contro, sospirando
lentamente, come chi ha appena ritrovato la pace perduta.
“Più o
meno.” Fu blando in quella risposta portata in
accompagnamento ad una piccola alzata di spalle. Movimento che in
realtà a Victor parve quasi impercettibile e che gli
provocò una fitta dolorosa al cuore. Si domandò
se fosse quella la sensazione che anche Violin provava ad ogni attacco.
“Smettila con questi
'più o meno'. E' sempre così, con te!”
Protestò, accogliendo però con piacere quel
sorriso che gli rivolse l'altro. Così come quell'accenno di
colore in più sul suo volto. Avrebbe voluto baciarlo.
Avrebbe voluto carezzarlo a mani nude e non con quell'asciugamano in
mezzo a disturbare le sue percezioni. Avrebbe voluto. E si rese conto
che era così, solo perché era lui. Con le ragazze
con cui era stato certo, prendeva lui l'iniziativa, ma non era mai con
tenerezza. Semplicemente con desiderio. Un desiderio del dopo. Di
quello che sarebbero state la calma e l'eccitazione del sesso. Si
chiese se non fosse tutto a causa della pena che suscitava in lui
vedere l'amico conciato in quel modo.
“Sì.” La
risposta arrivò dopo qualche istante, sospirata, quasi.
Avrebbe potuto definirla affranta, se ci avesse fatto un po'
più caso, Stradivari. Se non avesse perso tempo a formulare
quella domanda nella sua testa. Si chiese addirittura se Violin non gli
avesse letto nel pensiero e quella fosse un'affermazione inerente a
quello. Fu dopo qualche millesimo di secondo che si ricordò
di quale fosse l'argomento della loro precedente discussione. E
semplicemente annuì.
“Hai fatto a botte?”
Più propenso a cambiare discorso, indicò il suo
volto e premette appena di più sulla tumefazione al labbro
dell'altro per fargli capire da cosa fosse nata quella domanda. Non
voleva che calasse il silenzio. Non in quel momento. Quella frase di
Violin e quanto ne era seguito lo avevano lasciato in qualche modo
turbato. Inquieto. Non gli erano piaciute affatto. Soprattutto visto lo
spettacolo che aveva davanti in quel momento. Qualche mese prima,
quando l'aveva ospitato nel suo appartamento, Mark gli aveva detto che
sarebbe dovuto morire un paio di anni prima, ed invece era ancora
lì. Lì e non voleva nemmeno che lo sfiorasse
l'idea che entro poco non ci sarebbe più stato. Il suo
rivale. In suo nemico. Il suo amico. Uno dei pochi davvero sinceri.
“Più o...Non
sarebbe la prima volta.” Rispose Violin serafico, strusciando
la testa contro la coscia di Victor. E se non fosse stato
già livido, l'altro non avrebbe esitato a prenderlo a pugni.
Non gli piaceva la calma con cui lo guardava mentre si accoccolava
sopra la sua gamba. Non gli piaceva perché lo turbava e
stava facendo violenza a se stesso nel contenere la marea montante che
pian piano gli stava defluendo verso il basso. Doveva stare calmo,
Stradivari. Doveva calmarsi a tutti i costi, altrimenti probabilmente
il sogno avuto solo un'ora prima -sì, più di
un'ora non doveva essere passata- avrebbe trovato realizzazione.
“Lo so. Te la sei presa con il
vecchio Wallace?” Non lo guardava mentre gli poneva quella
domanda. Aveva gli occhi fissi su quell'interessantissimo soffitto
biancastro. No, il bianco non andava bene. Doveva trovare qualcosa di
un colore diverso, un po' più allegro. Un po' più
scuro. Sarebbe andata bene anche quell'oscena saponetta rosa con i
brillantini che gli aveva regalato Lizzy per natale. Dove l'aveva
messa? Giusto, nascosta all'interno di un cassetto per non farla notare
ad occhi indiscreti come quelli dell'essere che ancora continuava ad
usare la sua gamba come cuscino.
“Mh. Ti ricordi ancora di
lui?” Victor dovette valutare il mugugnio ad inizio frase
come un'affermazione. A maggior ragione vista la domanda che l'aveva
seguito. E finalmente si decise ad abbassare la propria attenzione di
nuovo sull'uomo posato contro di lui, pericolosamente vicino al suo
inguine, tra l'altro. Se si fosse strusciato ancora un po'... no, no!
Doveva stare calmo e tranquillo prima che qualcuno ai piani bassi
decidesse di svegliarsi di nuovo. Non poteva e non doveva succedere.
Non con Violin. E mentre una vocina fastidiosa che ormai aveva
catalogato come la sua odiosissima coscienza gli sussurrava che se era
Mark poteva lasciarsi andare, lui cercava di ricostruirsi una faccia di
bronzo credibile.
“Come potrei dimenticarmelo?
Mi ha quasi violentato.” Riconobbe la consueta ironia nella
propria voce e trasse un sospiro di sollievo. Almeno quella maschera
riusciva a farla restare ancora su, nonostante qualche difesa avesse
già cominciato a cedere. Mark stava carezzando il dorso
della sua mano con il pollice. Gesti lenti ed appena percettibili.
Forse atti solo a tastare il terreno. Sì, decisamente
avrebbe voluto muoversi e baciarlo in barba a tutto.
“Già.” Lo
sentì rispondergli con calma. Gli occhi ancora chiusi,
mentre se ne stava comodamente posato su di lui. Il suo fiato caldo a
contatto con la sua pelle lasciata appena scoperta dalla maglia ebbe il
potere di dargli i brividi. Di nuovo dovette imporsi di stare
tranquillo. Di non pensarci. Di pensare al fatto che fosse etero e che
a lui piacessero le ragazze. I loro seni morbidi ed il loro buon
profumo. Ma non servì a nulla quando la voce di Violin si
fece strada prepotentemente nella sua testa quando questo
tossì. E fu certo di vedere qualche macchiolina rossa sul
suo pugno. Lo stesso con cui si era coperto il volto.
“Non sarai andato a
vendicarmi..?” Domanda stupida. Stupida come quel sincero
stupore che gli si era palesato in volto. Però era stato lui
ad essere aggredito, alla fine. Sicuramente non era andato a saldare i
suoi conti in sospeso. Scosse il capo riprendendo la propria
espressione un po' altezzosa, passando nuovamente con l'asciugamano su
un altro rivoletto di sangue che gli fuoriusciva dalle labbra.
“Dopo quanto? Due... tre mesi?
Che me ne viene in tasca? Deve avermi anche rotto un dente. Una visita
dal dentista, ecco cosa mi viene, in tasca.” Sentirlo
lamentarsi ebbe l'effetto di far sorridere Victor. Per orgoglio non
aveva mai protestato su nulla, Violin. O forse solo per quieto vivere.
Il problema era che una cosa escludeva l'altra. Dannazione. Per lui era
veramente un punto di domanda, l'amico. E portò a termine
anche quello che era un suo, di capriccio. Lasciò scivolare
l'asciugamano sul pavimento, prendendo a carezzare il volto dell'altro
senza fretta.
“E allora
perché?” Si accigliò mentre tornava a
guardare il soffitto come se fosse la cosa più interessante
in quel posto. Come se quella domanda gliel'avesse posta solo per rito
e non per sincera curiosità o vivo interesse. O per quella
preoccupazione che sapeva di amaro. Di cose mai dette. Dichiarazioni
mai fatte. Sospirò, Stradivari. Incamerò
quell'aria che sapeva ancora un po' del suo shampoo. E di un odore
vagamente ferroso e dolciastro. Gli arrivava assieme al respiro di
Violin e ben presto riuscì a rendersi conto che
probabilmente si trattava di sangue. Lo stomaco gli si contrasse ancora
una volta.
“Ha scelto la giornata
sbagliata per provare a derubarmi. Avevo la luna storta.” Le
parole dell'altro gli arrivarono alle orecchie, ma non diede segno di
averlo sentito o ascoltato. Non diede segno di essersi interessato a
quella spiegazione. Non diede segno di nulla, limitandosi a restare in
silenzio. Un silenzio doloroso, così come anche la mancanza
di carezze sulla sua mano, ora che l'altro si era interrotto. Chiuse
gli occhi, Mark, concentrandosi solamente su quella quiete che li aveva
avvolti nuovamente e sul respiro del compagno di scuola ora regolare.
Calmo. Profondo. Un respiro che gli carezzava la pelle, umido. E di
nuovo quel maledetto sogno tornò a fare capolino, seguito a
ruota dalle parole dell'altro, che non sembrava essere intenzionato a
tacere.
“Ti amo, lo sai?”
Che domande stupide. Certo che lo sapeva. Ne aveva la prova tangibile
lì: lo stava usando come cuscino. Che tra l'altro secondo
lui non doveva stare nemmeno troppo comodo, visto quanto erano magre le
sue gambe. Assolutamente prive di qualunque forma di grasso. Inoltre si
stavano ancora tenendo per mano. E non ultimo... Victor non aveva
smesso di carezzarlo nemmeno per un istante, passando dal suo volto ai
suoi capelli bagnati. Quanto era patetico. Lo stava trattando come le
sue fidanzate erano solite trattare lui. E per assurdo, gli piaceva
anche. Quella mano grande e calda a stringere la sua. Quei capelli che
doveva essersi tagliato, perché avrebbe potuto giurare che
fino a qualche settimana prima fossero più lunghi.
“Bel posto hai scelto, per
rivangare una cosa simile.” L'aveva rimproverato con voce
atona. Era sicuro che avrebbe colto quello sdegno scherzoso senza
nemmeno rifletterci tanto sopra. Così come era sicuro
avrebbe colto quel movimento altezzoso che aveva compiuto di proposito
con il capo ad evidenziare il tutto. L'aveva accentuato. Reso meno da
lui e più da ragazzina. L'aveva fatto per scherzare. Per
alleggerire la tensione che era cresciuta in lui a quell'ennesima
dichiarazione.
“Beh, in questi giorni non ti
ho mai visto. Devo ricordartelo ogni tanto. Altrimenti continuerai a
crederti etero. E magari continuerai a pensare di odiarmi.”
Di nuovo, Stradivari si ritrovò a sorridere sinceramente
alle parole di Mark. Era divertente la sua sagacia. Il suo avere la
battuta pronta probabilmente prima ancora che lui riuscisse a formulare
la propria. Dovette ammetterlo a sé stesso: un po' lo
invidiava anche per questo. Oltre che per il fatto che lui sapesse
cantare meglio di lui. Non che ci volesse molto, effettivamente. Gli
carezzò un ultima volta i capelli, accompagnandoli dietro al
suo orecchio, prima di sentirlo drizzarsi a sedere, probabilmente
riavutosi dalla precedente crisi.
“Io non mi credo etero, lo
sono. E' ben diverso. Ed è palese che ti odio.”
Saccente il tono che aveva assunto. Voleva vedere quel viso serafico
incrinarsi in una smorfia. Voleva suscitare una reazione degna di quel
nome. Ma l'unico risultato che ottenne fu quello di vedergli un sorriso
divertito in volto, mentre lui si ritrovava a storcere le labbra
infastidito per non aver sortito l'effetto desiderato. Non era quella
la reazione che voleva. Avrebbe accettato tutto, ma non quel sorriso di
chi in realtà ha già capito tutto. Anche quello
che Victor stesso stava ancora cercando di accettare. Si
avvicinò appena con il volto al suo. Era da prima che voleva
baciarlo e si rese conto di quanto stupido avrebbe potuto dimostrarsi.
Di quanto stupido fosse a voler negare ancora l'evidenza dietro a
quella maschera sdegnata.
“Non dirmi queste cose mentre
siamo mano nella mano, e tu hai il tuo viso ad un soffio dal
mio.” Quell'espressione, sul viso di Violin, non l'aveva mai
vista. C'era malizia. C'era sicurezza. C'era una noncuranza
così ovvia e scontata che lo lasciò
interdetto per qualche istante. Avrebbe voluto rispondergli che non era
il suo viso, ad essere ad un soffio da quello dell'amico,
bensì il contrario. Ma sarebbero arrivato ad un punto morto,
perché era sicuro che sarebbe seguita una battuta come
“punti di vista”. O qualcosa che ci si sarebbe
avvicinato troppo. E quasi sicuramente Mark se ne sarebbe andato
lasciandolo lì, seduto a terra, con uno sguardo da
stoccafisso ed una voglia matta delle sue labbra. No. Non avrebbe
permesso agli eventi di prendere una piega simile.
“Ci sono tanti modi per
odiare. E tanti altri per dimostrare il proprio odio. Per esempio...
potrei fingere di starci e poi abbandonarti qui come una
puttanella.” Gliel'aveva detto buttandoci dentro tutta
l'acidità di cui era capace. L'aveva detto ad un nulla dal
suo viso. I loro nasi che si sfioravano appena ed i loro respiri che
trovavano intreccio l'uno nell'altro. Doveva pazientare solo qualche
altro istante. Se la risposta non fosse stata quella giusta, in barba
al proprio desiderio, si sarebbe allontanato lui. Non era disposto a
star male per scelta d'altri. Per propria, già di
più. Abbassò un poco le palpebre sollevando
però gli occhi su quelli chiarissimi dell'amico, chiusi per
dar spazio ad un sorriso che coinvolgeva tutto il volto.
“Colpito ed affondato. Ma tu
non lo faresti...” No, era vero: non lo avrebbe mai fatto. In
compenso si era sporto ancora più in avanti annullando
qualunque distanza tra loro. Dio, quel bacio. Era stato come una
liberazione. Una dichiarazione. La più limpida e sincera che
avesse mai fatto. Una dichiarazione all'altro, ma soprattutto a se
stesso. Sapeva che Violin non gli avrebbe chiesto il perché
ed il per come di quel gesto. Sapeva che aveva già capito da
cos'era scaturito. Sapeva e probabilmente, visto com'era rimasto
coinvolto da quel contatto, accettava di buon grado. Sapeva anche che
non ci sarebbero più stati quei “ti amo”
un po' troppo invadenti, quando detti a mezza bocca durante le ore che
passavano assieme nella stanza dell'uno o dell'altro per studiare. O
quei “sono innamorato di te” sussurrati appena per
fargli capire quanto veritiere fossero i sentimenti dell'uomo.
Però ci sarebbero stati quei baci. Gli abbracci. Le carezze
fatte di nascosto, sotto un banco. Il ses... poteva chiamarlo
“amore”? E quella mano che cominciava a carezzargli
l'interno coscia, lasciato scoperto in buona parte dai soli boxer che
portava, unita alla dura battaglia intrapresa dalle loro lingue,
richiamò fin troppo velocemente a galla il sogno di quella
notte, facendolo sussultare e distaccarsi da quelle sensazioni che lui
stesso aveva innescato. Si sollevò in piedi velocemente,
senza aggiungere altro, prendendo a dirigersi rapidamente verso la
propria stanza, sbattendo praticamente la porta del bagno in faccia a
Violin. L'erezione che premeva dolorosamente contro il tessuto
dell'intimo. Ottimo. Davvero un ottimo inizio giornata, visto che ormai
l'orologio segnava le 5.45 della mattina. E lui aveva appena ammesso a
se stesso di essere terribilmente infatuato -innamorato- di Violin.
Davvero fantastico!
Angolino autrice
<3
Sono piuttosto di fretta, perché ho una cuginetta
recalcitante che mi reclama alla sua festa di compleanno X°D
"Perché i miei 7 anni sono importanti e ti voglio qui!" Ecco
come mi ha incastrata =_="
Passo alle recensioni velocissimamentissimamente!
_BritinLover_ Felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto! Non ho
resistito a far fare una brutta figura a Vic. D'altronde, se devo
smontare il suo super-ego smodato, dovrò pure inventarmi
qualcosa! XD Meglio comunque farsi la bua precipitando sulle scale, che
in altri modi v_v Mark vuole provocarlo, e lo fa fin troppo bene
<3 Lascia intendere cose che però chissà
se troveranno un lieto fine o meno *dissente esasperata con la
testolina*. Spero ti piacerà anche questo capitolo! *-*
Baciotti :*
_Nana Swan_ Vic non lo ammetterà mai e poi mai v_v
Però anche lui avrà qualche piccola
soddisfazione, da qui in avanti v_v Chissà perché
ma sono anche io dello stesso avviso X°D Certo che se lo vuole
mangiare v-v Felice che il capitolo ti sia piaciuto ^w^ Spero
apprezzerai anche questo.
_Nigai Airisu_ Sono felice che qualcuno abbia preso la palla al balzo.
D'altronde le provocazioni servono proprio a questo, no? :) Anzitutto
ti ringrazio per la recensione, seppure questa sia stata negativa. Come
ho già detto precedentemente, è un modo per
crescere. Ti ho già scritto per PM per evitarti una figura
poco carina riguardo all'unica cosa che non mi è andata
giù della recensione e che però qui non
riporterò. Purtroppo hai avuto la sfortuna più
unica che rara di imbatterti in una studentessa di lingue orientali.
Capita XD Tu parli di congiura diretta per mettere in crisi Vic. Da un
certo punto di vista può anche essere visto così
XD Ti assicuro che mi diverte molto metterlo in crisi e prendermi gioco
di lui proprio per il carattere che gli ho creato XD E' talmente
arrogante ed altezzoso, che prenderlo in giro è veramente
una goduria! Inoltre, più avanti nella storia si
capirà che forse non è stato nemmeno tanto messo
in crisi, quanto piuttosto messo davanti ad una realtà
lampante a tutti e non a lui (SPOILER °-°) *-* Passando
invece al background dei personaggi... solitamente per crearne uno,
tendo ad utilizzare argomenti che io stessa conosco. Il mio migliore
amico è stato adottato. Mia nonna è malata di
cuore. Una mia amica molto cara ha attraversato gli stessi problemi di
Axel (obesità, droga, anoressia...). Seppure lei sia etero
._. (ma sorvoliamo XD) Mi rendo conto che forse, messi tutti in una
stessa storia, possano suonare un po' pesanti, ma sono state scelte
più che calcolate. Non mi piace buttare lì le
cose senza pensarle :)
Per quanto riguarda al tuo pensare ci sarebbe stata una sfida,
rimpiango anche io di non averla inserita all'interno della storia. E'
anche vero che si tratta del mio primo yaoi originale, quindi volevo
prendere la dimensione delle cose ^w^ Inoltre avrei dovuto stare entro
un tot di pagine che in realtà ho sforato allegramente di 9
°-° e quindi, tra la sfida e la relazione amorosa, ho
preferito prediligere la seconda u_u (scelta tattica, anche questa xD)
Mi pare di aver chiaritto tutto ._. Sono felice che almeno tu non abbia
avuto da ridire sul mio modo di scrivere XD Quello sarebbe stato
davvero un colpaccio, altrimenti XD Alla prossima :)
_My Pride_ Complimenti a te, tesora! *-* Un primo meritatissimo! *-*
Come mi è stato fatto notare, temo che la vicenda sia un po'
piatta ç-ç Spero che si riprenderà con
i prossimi capitoli, che in realtà sono quelli che
preferisco =P Felice di essere riuscita a strapparti un sorriso e spero
vivamente che tu sia guarita, nel mentre ç_ç Su,
su... che adesso comincio io a lacrimare con i pollini svolazzosamente
svolazzanti T^T Spero che questo capitolino ti piacerà ^w^
Un bacione :*****
_Yuko Chan_ Eccoti l'evoluzione del rapporto! X°D
Sì, più o meno Vic si è messo l'anima
in pace, come puoi ben vedere =P Quella canzone canticchiata vuol dire
tante cose. Davvero tante tante, ma purtroppo Vic è ancora
troppo "immaturo" e non riesce a capirle. Chissà se le
realizzerà, più avanti? Il capitolo è
di transito, sì, perché adesso arriva la parte
più fluffosa e romanticosa, ma anche quella un po'
più impegnativa verso la fine v_v Sì,
perché questo capitolo sancisce la metà della
storia! *_* :9 Spero che ti piaccia anche questo capitolo ^w^ Un bacio
:***
_NonnaPapera_ Pensavo ti fossi dimenticata di me T^T Sì, Vic
geloso è adorabile *-* In realtà questo
pezzettino me l'ha suggerito quel cagnolino coccolosissimo che
è Andy X°D E che ha preteso un posticino nella
storia X°D Più che una serenata, questa canzone ha
tanti significati, ma verranno spiegati a tempo debito :3
Grazie anche a tutti coloro che leggono :)
Una recensioncina ci sta sempre bene, eh! X°D
Un bacio
Herì
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Capitolo 9 *** 8. Hai mai visto la pioggia scendere in un giorno di sole? ***
8.
Hai mai visto la Pioggia scendere in un giorno di sole?
I'll
top the bill!
I'll
overkill!
“Corri! Corri! Corri!” Se c'era qualcosa
che Victor Stradivari odiava più di una stonatura commessa
nell'esecuzione di un brano, o di Mark Violin fino a qualche settimana
prima, era certamente la pioggia. Banalmente la detestava per il
sentimento di malinconia che riusciva a suscitare in lui. Ma quel
giorno aveva veramente raggiunto il limite di sopportazione. Era il
primo maggio. Giorno sacrosanto per lui. Nessun corso al conservatorio
e lui avrebbe potuto godersi una giornata in santa pace. Nessun
coprifuoco ridicolo che gli imponesse di far ritorno per le 22.00 al
dormitorio. Nessuna rissa da compiere in mensa per accaparrarsi una
porzione ancora decente della sbobba che indecentemente definivano
“pasto”. La sua giornata ideale. Il suo spicchio di
paradiso in quei nove mesi di scuola. Era troppo richiedere un po' di
sole? Sì. Evidentemente sì.
E così, lui ed il suo ragazzo si erano ritrovati a
correre per tutto Hide park alla disperata ricerca di un rifugio per
quell'acquazzone che li aveva colti nel bel mezzo di una passeggiata
per il parco. Davvero fantastico. Di quando in quando, tra un grugnito
ed un altro, lanciava qualche occhiata a Violin che lo precedeva
tenendogli stretta la mano destra. Ed ogni volta che lo sguardo gli
cadeva in quell'intreccio di dita, non riusciva a non pensare al giorno
in cui l'altro l'aveva salvato dal barbone che voleva derubarlo. Temeva
per lui. Temeva per quel cuore che più di una volta, aveva
sentito lamentarsi. Schiuse le labbra per ribattere qualcosa agli
incitamenti dell'altro, ma un gazebo apparve davanti ai loro occhi come
fosse un miraggio. Non fece nemmeno a tempo a focalizzarlo, che Violin
ve lo spinse dentro, ansante. Stradivari dovette considerare che da un
po' di tempo a quella parte, l'altro mostrava sempre più
frequentemente segni di affaticamento, dopo uno sforzo fisico. Non
avevano percorso una grossa distanza, eppure Mark era piegato in due,
con le mani posate sulle ginocchia a fornirgli una stabile impalcatura
al busto, ed il respiro affannato ed accelerato. Irregolare. Prendeva
lunghe boccate d'aria e le risputava fuori come se ad ogni espirazione
stesse per rigettare anche l'anima e non solo l'aria che assimilava.
Era pallido, tra l'altro. Un pallore che non si sarebbe dovuto
presentare sul volto di una persona che aveva appena compiuto uno
sforzo. Quelle constatazioni gli fecero male. Tra tutte le persone di
cui poteva innamorarsi, proprio di un malato di cuore? Strinse con
più forza la mano dell'altro, costringendolo quasi a
guardarlo, con quel gesto.
“Non dovresti affaticarti così,
scemo.” L'aveva detto senza guardarlo in volto. Concentrato
com'era nell'osservare... il nulla. Fissava quelle goccioline che
insistenti scendevano dal celo e dai suoi capelli. Non aveva il
coraggio di guardarlo in faccia quando stava male. Troppo codardo,
Victor. Di Violin gli piaceva quella testarda forza che non veniva mai
meno, se non in quei rari momenti. La stessa forza che gli faceva
così paura, perché sapeva, poteva soverchiarlo
quando e come voleva. Non gli rispose però, l'uomo,
limitandosi ad indietreggiare maggiormente verso il centro della
costruzione di legno. Lì dove nemmeno quel leggero
venticello poteva portare la pioggia, protetto anche dai rampicanti che
creavano una barricata attorno ad alcune pareti del gazebo. Il
violinista lo seguì senza fare storie, limitandosi a
mantenere quell'espressione seria con la quale l'aveva rimproverato
poco prima.
“Non trovi che la pioggia sia
meravigliosa?” Mark glielo chiese con quel tono e quella
calma che ogni volta avevano la capacità di stordirlo per
qualche istante. La voce che, come ogni volta suonava incolore, tanto
da apparire fredda. Stradivari sollevò le spalle
indifferente, alzando però lo sguardo sul volto del
compagno, studiandolo per trovare un qualche sentimento. Nonostante
fosse decisamente più aperto di lui nel dimostrare i propri
sentimenti a parole, quando a mancanza di espressioni, loro due
facevano davvero a gara.
“Per nulla.” Lo liquidò
sollevando un sopracciglio e stringendogli maggiormente la mano. Un
gesto fatto senza pensarci, prima di avvicinarsi all'altro di un passo
per cogliere il calore del suo corpo. Gesto inutile visto che erano
entrambi fradici e che le loro camice erano diventate tutte appiccicose
a causa dell'acqua. Victor avrebbe potuto giurare che Violin gli avesse
fatto una sorta di radiografia in quel momento, lasciando scorrere lo
sguardo per l'intera lunghezza del suo corpo. Non che lui si fosse
risparmiato. Quella camicia nera che gli fasciava il torace e quei
pantaloni bianchi che si tingevano appena di un pallido marrone quando
si attaccavano alla pelle delle gambe. Ben poco lasciavano
all'immaginazione di quel fisico asciutto e scolpito.
“Come sei poco romantico. Come le conquistavi le
tue fidanzate?” Violin l'aveva avvolto con le braccia
appoggiando il mento sulla sua spalla ed il capo contro il suo,
strusciandovi un poco contro. Un gatto ruffiano:ecco cos'era. La sua
voce che si era colorata di una nota ironica. Divertita. E Victor si
era sentito preso in contropiede. Risultava imbranato? Impacciato?
Certo, era la prima volta che usciva seriamente con Mark. Ancor di
più perché quello era il loro primo appuntamento
nel vero senso del termine.
“Con quello...- 'Che ho nei pantaloni.' Aveva
concluso la propria frase mentalmente, storcendo le labbra per nulla
convinto. Non gli sembrava il caso di essere così smaliziati
con il ragazzo. Non aveva ancora capito fino a che punto poteva
spingersi con le battute. Qualche giorno prima, con una frase un po'
troppo... osè... aveva rischiato di finire nelle sue grinfie
senza alcuna preparazione a livello psicologico. Non che non gli
fossero piaciute le sue coccole, ma da lì a finirci a letto:
non si sentiva ancora pronto. Decisamente. No. -Non le conquistavo...
erano loro ad offrirsi gratuitamente a me.” Si
limitò a fornirgli quella risposta piuttosto blanda seppure
veritiera. Lui non si era mai fatto avanti con una qualsivoglia ragazza
di quelle con cui era stato. Né si ricordava di essersi
nemmeno mai innamorato o di aver mai provato interesse per nessuna
delle loro compagne. Per lui c'era la musica. C'era sempre stata. Ore
estenuanti di prove passate sugli spartiti e con il violino in mano.
“Nah... probabilmente quell'aria da bello ed
impossibile fa colpo su tutte.” Scherzò andando a
lanciare un'occhiata ad una coppietta che, come loro poco prima, stava
correndo sotto la pioggia alla ricerca di un riparo decente. Victor si
irrigidì contro il petto del compagno certo che, nonostante
la possibilità di essere visti, quello non l'avrebbe
lasciato andare.
“Anche su di te?” Aveva palesemente finto
un'ingenuità che non gli apparteneva in quello sfarfallare
delle sopracciglia con il quale aveva accompagnato quel quesito. Era
però sinceramente curioso di sapere cos'aveva attratto
l'altro. Sicuramente non poteva essere il suo fisico. Secco come
un'acciuga, seppure i tratti del suo viso fossero, era innegabile,
decisamente piacenti. Sbirciò di sottecchi il ragazzo,
cogliendo perfettamente il suo profilo irregolare. Sul naso faceva
mostra di sé una piccola gobba che talvolta celava sotto gli
occhiali da lettura.
“Ehi, io parlavo per il gentil sesso. Va bene
omosessuale, ma ancora la mia virilità e la
difendo.” Sorrise con tutto il volto, Mark. Gli occhi che si
chiusero sotto il peso delle ciglia lunghe seppure chiarissime. Le
labbra incurvate in una piega morbida e piena. Si tendevano appena in
quel sincero divertimento che si poteva evincere anche dalla voce del
musicista. Storse il naso invece, Victor, decisamente contrariato dalle
sue parole.
“Mi stai dando della 'donna' della
coppia?” Gli scoccò un'occhiata che nulla aveva di
affettuoso o di qualche sentimento correlato. Tutt'altro. Aveva cercato
di apparire il più stizzito possibile. Ed aveva evidenziato
il tutto quando aveva sentito Violin ridere divertito, di nuovo.
Già. Sicuramente tra loro, era lui quello più
bravo a dimostrare le sue sensazioni. Nel mentre, la coppietta che
avevano visto correre sotto la pioggia si era avvicinata al loro
rifugio, accorgendosi della presenza dei due violinisti solo una volta
arrivati nei pressi del gazebo. Dall'apparenza dovevano avere
sì e no sedici anni a testa. Forse la ragazza era
più piccolina. Fu un singolo sguardo quello che si
scambiarono Victor e Mark, quando colsero le occhiate allibite che i
due ragazzini gli avevano rivolto nel coglierli in quella posizione fin
troppo equivoca -o esplicita?-. Sogghignò Stradivari
nell'osservare la coppietta per un brevissimo istante, prima di
avvicinare il volto a quello del compagno per posargli un bacio a fior
di labbra. Bacio che venne ampiamente ricambiato dal ragazzo che per
tutta risposta l'aveva stretto maggiormente a sé.
La coppietta era corsa di nuovo via sotto la pioggia tra un
“blea! Hai visto che schifo?”. Ed un “ho
visto sì. Peccato. Erano entrambi due bei
ragazzi.”. Per poi completare in bellezza con l'unica
affermazione che riuscì a colpire davvero Victor. Tanto che
incassò leggermente il capo nelle spalle.
“Maledette checche.”. A Stradivari
scappò un sorriso ironico. Lui aveva visto centinaia di
volte Axel baciare dei ragazzi davanti a lui e non aveva mai reagito in
quel modo. Mai gli aveva dato della “checca” o del
“frocio”: immaginava quanto potesse dar fastidio.
Tanto più che li trovava termini terribilmente offensivi.
Forse aveva influito il fatto che il pianista fosse il suo migliore
amico. Probabilmente aveva influito il fatto che anche lui si fosse
riscoperto capace di amare una persona del suo stesso sesso.
Tornò ad osservare Mark che per un istante gli era sembrato
svilito dal suo gesto.
“Avresti potuto fare a meno.” Glielo
disse cercando di sciogliere quell'abbraccio con cui tratteneva il
compagno con risultati a dir poco disastrosi: Victor gli stava
trattenendo entrambe le mani e non sembrava intenzionato a sciogliere
quel contatto tra il suo petto e la sua schiena. Si era stretto
maggiormente a lui, addirittura, mantenendo quell'espressione fredda e
scostante, mentre con gli occhi seguiva la fuga dei due ragazzini.
“No. Non avrei potuto...” La risposta di
Stradivari lasciò per qualche istante interdetto l'uomo. Era
stato distaccato in quella breve frase. Così come in
quell'allontanarsi lentamente da lui, finalmente, tornando a guardarlo
in volto con rammarico. Mark sorrise afferrandogli una mano.
“Ho capito.” Articolò
semplicemente, Violin, senza dare alcuna voce a quell'affermazione.
Lasciò solo alle labbra il compito di darle vita, senza
però la forza di aggiungere un suono a quelle parole.
Strisciò lentamente con il naso sul suo capo, aspirando
lentamente il suo odore. Sapeva ancora un po' di quel bagnoschiuma che
occupava il loro bagno. Quell'odore tanto familiare. Gli
carezzò lentamente un braccio più e
più volte, lasciando cadere solo il silenzio tra loro.
Silenzio interrotto solo dal ticchettare delle gocce di pioggia sulle
foglie che facevano loro da tettoia.
“Oi. Da quant'è che sei innamorato di
me?” Gli chiese ad un certo punto, Victor. Gli
parlò con voce bassa, quasi avesse temuto fino a quel
momento di spezzare qualcosa con il suo aprir bocca. Aveva fatto
indietreggiare il capo fino a posarlo sulla spalla del compagno,
inclinandolo un po' verso un lato per baciare il collo del
ragazzo. Lo sentì mugugnare parole indefinite che
avevano però il suono di una protesta, da quel che aveva
potuto cogliere.
“Troppo.” Respirò
profondamente, Violin, per imporsi una buona quantità di
autocontrollo. Gli ci sarebbe voluto davvero poco a spogliare il
ragazzo e prenderselo lì, in pieno Hide Park. Nella
posizione in cui stavano poi. E vista la piega che aveva preso la
giornata, probabilmente non sarebbero nemmeno stati scoperti. Fece
scendere senza particolare fretta una mano lungo il torace di Victor
prima, per poi passare lentamente sopra il suo ventre, scivolando in
fine nuovamente verso l'alto. Questa volta sotto la felpa che indossava
questi. Questa volta pelle a contatto con pelle. Non si
stupì però, che dopo il primo momento di
abbandono, l'altro si fosse riscosso improvvisamente e si fosse
allontanato, inarcando in avanti la schiena come un micio sulla
difensiva.
“Non è una risposta adeguata.”
Stradivari aggrottò le sopracciglia, ammonendolo con quelle
parole. Aveva un'espressione corrucciata e le braccia incrociate contro
il torace. I capelli tirati su in puntine disordinate per l'occasione,
ricadevano invece corti e scompigliati, afflosciati sul suo capo.
Scosse la testa come a volersi liberare di quelle ciocche fastidiose.
Ciocche che però non avevano la minima intenzione di
lasciargli libero lo sguardo, incorniciando in sottili ombre la figura
del suo interlocutore.
“Non hai fatto una domanda adeguata.”
Ribatté Mark passandosi la lingua sulle labbra per pulirle
dei residui di pioggia e per cercare ancora il sapore del bacio che si
erano scambiati poco prima. Quel bacio che sapeva di ammissioni. Di
tentativi andati a vuoto. Di una spontaneità appena
scoperta. E non poté fare a meno di sorridere quando colse
l'occhiata in tralice che aveva ben pensato di rivolgergli il suo
ragazzo. Non si sarebbe però aperto: non era il momento. Gli
si avvicinò di nuovo, sbuffando rassegnato. Se l'era scelto,
alla fine.
“... Violin... senti... perché
io..?” Era stato nuovamente Victor ad interrompere il
silenzio tra loro. L'aveva fatto voltandosi completamente verso il
compagno, seppure lo sguardo si tenesse ostinatamente a distanza da
quello del ragazzo. Sapeva cosa stavano a significare quei gesti, il
violinista. Uso a leggere quei comportamenti ormai da tempo. Molto di
più di quanto il ragazzo non potesse immaginare. Erano poche
le volte in cui l'orgoglio di Victor Stradivari cedeva. Ed una di
queste era quando si trovava in serie difficoltà, proprio
come in quel momento. Quella relazione così inusuale e fuori
dall'ordinario che li vedeva coinvolti, era per lui fonte di imbarazzo.
Fortunatamente tale sentimento non era affatto negativo. Sembrava
piuttosto l'imbarazzo di un bambino davanti a qualcosa di nuovo. Di
inesplorato. Sì, decisamente avrebbe desiderato farlo suo in
quell'esatto istante.
“Perché non avrebbe potuto essere
altrimenti.” Aveva seguito anche lui l'indirizzo dello
sguardo dell'altro, seppure di quando in quando sbirciasse in sua
direzione per cogliere le sue occhiate oblique. Si divertiva a restare
sul vago. Sapeva quando potesse dare fastidio all'altro ed in qualche
modo gli dava ancora la possibilità di avere un margine su
di lui. Di tenerlo legato a sé. Era certo che non l'avrebbe
lasciato in pace almeno fino a quando non avesse ottenuto delle
risposte.
“Non ti seguo. Anche questa non è una
'domanda adeguata'?” Stradivari quelle parole letteralmente
le sbuffò assottigliando nervosamente il taglio di quegli
occhi castani. Non gli piaceva quel gioco. Non gli piaceva non ottenere
le risposte che voleva, nei tempi che voleva. Ed il suo ragazzo era
tremendamente bravo a non fornirgliele quando e come lui desiderava.
Picchiettò un piede a terra indispettito prima di venir
avvolto a tradimento dalle braccia dell'altro, arrossendo fino alla
punta degli orecchi. C'erano tante cosa che effettivamente ancora non
aveva capito di Violin. Così come c'erano tante sensazioni
cui non sapeva ancora dare un nome e che lui gli provocava. Ma
banalmente, la più scontata di tutte era anche quella che lo
lasciava maggiormente interdetto: ogni volta che il suo corpo
registrava un contatto tra di loro, lui si sentiva avvampare. E doveva
ammetterlo... gli piaceva.
“Già. Torniamo al conservatorio. Non mi
sembra il luogo adatto per parlare. Inoltre sei zuppo”
Considerò Violin, lasciando scorrere le mani lungo la
schiena dell'altro che, come da programma, prese ad agitarsi come
un'anguilla.
“Staccati! Sei peggio di una piovra!-
Protestò Victor, afferrandogli le mani e dedicandogli uno
sguardo truce. Per poi lanciare rapide occhiate a destra e a manca,
come a volersi assicurare che nessuno avesse assistito a quella
manifestazione d'affetto decisamente troppo libera per i suoi
gusti. -Cos'è? Sarebbe troppo compromettente
parlarne qui?” Domandò in fine, soffermandosi
nuovamente sul volto di Violin con lo sguardo. Quell'alterigia che lo
contraddistingueva ancora lì, nei suoi occhi. Ancora quella
forza e quell'orgoglio testardo che all'altro piacevano tanto. Quel
carattere così adorabilmente scontroso che traspariva in
tutta la sua forza condensato in quel viso chiaro e dai tratti
regolari. Si abbassò appena a mordere la punta del naso di
Stradivari spinto leggermente all'insù. Non c'era un grosso
divario di altezze tra di loro, ma il fatto che il compagno fosse tanto
più esile di lui gli faceva venire ancor più
voglia di farlo indispettire con le sue coccole.
“Già. Troppo compromettente.”
Gli rivolse un sorriso sfrontato, Mark, mentre si allontanava di
qualche passo da lui, godendosi quel rossore che imporporava vivace le
guance dell'altro.
Il piccolo teatro che poteva vantare la Monteverdi a Victor
era sempre piaciuto. Era piuttosto austero, ma aveva una
solennità tutta particolare che solo in pochi potevano
cogliere. Le poltrone erano di un bel velluto blu, comode e morbide al
tatto. Ricordava che le prime volte che aveva messo piede in quel
luogo, aveva passato il tempo a scandire le battute della musica
picchiettando su quel tessuto che non permetteva alle sue piccole dita
di emettere rumori. Una volta cresciuto, invece, aveva cominciato ad
amarle come nascondiglio quando saltava qualche lezione. O ancora,
quando ai noiosi saggi di fine anno era costretto ad andare
lì ad ascoltare le esibizioni dei suoi compagni. Allora
divenivano un caldo abbraccio attorno al suo corpo che, latteo,
risaltava contro il cupo colore dello schienale.
“Siediti.” Gli era parso strano l'invito
di Mark ad accomodarsi su uno di quei bei sedili reclinabili in prima
fila, mentre lui si dirigeva agli scalini che davano accesso al palco.
Inghiottito poi dai tendaggi. L'aveva sentito imprecare qualcosa dietro
le quinte sul fatto che i sipari non si muovessero mai come voleva e
poi finalmente quelli si erano aperti, svelando un pianoforte al centro
esatto della pedana. Osservò sorpreso lo strumento,
Stradivari. Lo fece con l'espressione più ingenua del suo
repertorio senza nemmeno accorgersene. Le labbra leggermente dischiuse
e gli occhi sollevati verso il piano, prima e verso Violin che faceva
la sua entrata trionfale sul palco, poi. Osservò l'uomo a
lungo, come chi non riesce a spiegarsi qualcosa. In tacita attesa e con
aspettativa. E si sorprese di non provare più quell'invidia
bruciante a livello dello stomaco. Si sorprese nel cogliere quel
limpido imbarazzo che traspariva dai movimenti morbidi, ma forse un po'
troppo automatici, del corpo dell'altro.
Quando Mark sollevò la copertura dei tasti del
pianoforte, Victor sembrò perdere qualunque interesse nel
porre domande di qualunque genere. Si accomodò meglio contro
quel tessuto morbido ormai pregno dell'umidità dei suoi
vestiti, fregandosene dell'impronta che l'acqua avrebbe lasciato. C'era
sacralità in quel momento. Una solennità che lui
non avrebbe interrotto poiché la conosceva e la sentiva sua
come un'amante che ha imparato a conoscere tutto del corpo dell'amato.
Una strana elettricità nell'aria che partiva dal punto
esatto in cui si trovavano il musicista ed il suo strumento. E nel
momento stesso in cui il pianista ebbe sfiorato i primi tasti d'avorio
ed ebano, vi fu quasi un'onda. La sensazione della risacca all'interno
di ogni fibra del corpo di quell'unico spettatore che era il
violinista. Ogni nota. Ogni battuta. Ogni passaggio. Li sentiva vibrare
in sé come se lui fosse una delle corde picchiettate dai
martelletti. Come se quella melodia così abbacinante potesse
avvolgerlo completamente e farlo divenire parte di sé. Non
si rese nemmeno conto di aver chiuso gli occhi. Ma lo sentì
fin troppo bene il pizzicare delle lacrime a contatto con le palpebre.
Troppo. Troppo. Troppo dentro di lui. Troppe cose stavano nascendo da
un sussurro. Troppe cose stavano prendendo voce assieme
all'incrementare del ritmo. E capì finalmente.
Capì la differenza profonda tra sé ed il
compagno. Lui suonava per sé stesso. Per arrivare ad una
perfezione che avrebbe potuto sbalordire gli altri. La tecnica
impeccabile che l'aveva portato dov'era. La stessa tecnica che era come
lui. Tenace ed altezzosa. Intoccabile nel suo sapere di essere priva di
imprecisioni. Frutto di ore ed ore di prove e di una dose di talento
che effettivamente no, non guastava. Ma Violin. Violin suonava per
sé e per gli altri. Un po' più sporco a volte
nelle esecuzioni. Ma lui sapeva dare vita alle note che suonava. Dava
loro davvero vita. Sembrava che le accudisse come piccoli germogli che
subito dopo fiorivano con prepotenza, per poi appassire lentamente,
dando il tempo all'uditorio di farle sue. Di fruire di quello
spettacolo magnifico per poi rimpiangerlo, seppure con il cuore ricolmo
di tale magnificenza. Quando Victor riaprì gli occhi e li
portò sul musicista, si chiese se quelle magie Violin
potesse farle a causa del poco tempo che gli restava da vivere. Se
donando così tanto di sé agli altri, sperava che
non l'avrebbero dimenticato. Che quella briciola -seme- che lui aveva
lasciato nei cuori di coloro che l'avevano visto esibirsi o solo
l'avessero incontrato, non sarebbe mai stata gettata, ma li avrebbe
aiutati a portarlo con sé.
Si alzò lentamente dalla poltroncina sulla quale
era seduto, cauto, per non far troppo rumore. E si arrampicò
passo dopo passo, sulla scaletta che avrebbe condotto anche lui sul
palco, inveendo mentalmente contro questa ad ogni singolo scricchiolio.
Gli occhi posati sul profilo di Violin che sicuramente si era accorto
di lui e dei suoi movimenti, visto quel sorriso leggero che gli era
nato sulle labbra, ma che comunque andava avanti con la sua esecuzione.
Era bello. Bello da rasentare la perfezione. Lui. Lì. Sotto
la luce fredda dei riflettori che lo facevano risaltare come una statua
di bronzo. Ed in quel momento era suo. Ricordò che il nome
“Marco”, in lingua italiana, significava
“Sacro a Marte”. E Mark sembrava veramente essere
stato consacrato ad un Dio. Avrebbe potuto essere davvero
figlio del Dio della Guerra, con quella forza tenace e quel fisico
scultoreo, e di una delle tante muse citate nel panteon Ellenico, con
quella poesia che sapeva creare quando suonava un qualunque strumento.
Sentì quasi di aver colto la parte più intima e
segreta del compagno. “Ora
tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai
che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono
infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita
è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito.
Questo a me piace. Questo lo si può vivere.”
Se in quel momento avesse potuto, probabilmente Victor avrebbe baciato
l'uomo che aveva scritto quelle parole. Com'era dannatamente vero.
Osservava le mani di Violin scivolare su quegli 88 tasti maledetti
pregando qualunque divinità conosciuta per essere toccato
con la stessa -sensuale- intensità. Con la stessa lentezza.
Con la stessa forza. Con la stessa ponderata sapienza e minuzia. Con la
stessa... brama? Voleva vivere la musica così come la viveva
Mark. Con la stessa decisa intensità. Con la stessa
disperazione con cui si stava aggrappando a quell'unico strumento che
gli consentiva di esprimersi a pieno. Indugiò giusto il
tempo di un sospiro, prima di avvicinarsi a Violin e sedersi con la
schiena posata alla sua, sullo sgabello rettangolare. “Ti
amo.” “Ti amo”. Non era nemmeno riuscito
a contare quante volte quella musica potesse averglielo ripetuto. Dolce
e leggera. Avvolgente come un abbraccio caldo. Eppure forte. Dotata di
una tenacia che era quasi disperazione. Lasciò intercorrere
qualche breve istante, quando Violin cessò di suonare. Gli
occhi chiusi a cogliere quelle ultime note che si disperdevano lontane
da loro.
“Rende meglio con il piano.” Aveva
commentato cercando con il capo l'appoggio della spalla del compagno,
posandovelo contro. Ed aveva sentito l'altro sorridere, nonostante non
lo stesse guardando. Perché nonostante all'inizio avesse
pensato che il sorriso dell'uomo fosse qualcosa di raro, presto si era
accorto che era decisamente più frequente dei suoi. Si era
reso conto che quel sorriso si potesse davvero sentire. Dal leggero
sbuffo che emetteva con il naso quasi a voler soffocare le risate.
Dall'aura ingentilita che si poteva avvertire attorno a lui.
“L'ho composta perché sia suonata a
pianoforte.- Aveva specificato Mark, volgendo il viso verso il suo e
picchiettandogli la tempia con un dito, infastidendolo di proposito. Si
stupirono entrambi del gesto di Stradivari, che si sporse un poco di
più per riuscire ad afferrare quel dito con la bocca,
inumidendolo con la lingua. -Vic..?” Aveva indirizzato ad
Violin uno sguardo illanguidito, quando questi l'aveva richiamato,
rilasciandolo nell'immediato. Aveva abbassato gli occhi preda ad un
insolito imbarazzo e si era alzato di scatto, serrando con forza le
labbra tra loro. Si sentiva una ragazzina impacciata, in quel
momento. Patetico. Scosse il capo con foga, volgendosi nuovamente verso
l'uomo. Voleva fare sesso con lui. No. Voleva fare l'amore con lui.
Sospirò pesantemente dal naso, avvicinandosi di nuovo con
lentezza, portandosi davanti al compagno di scuola, chiuso in quel
silenzio testardo ed ostinato. Intellegibile. Chiuse senza fretta la
copertura dei tasti del pianoforte protendendosi nel mentre in avanti
per baciare Mark, che accettò con curiosità
piuttosto che con desiderio, quel primo contatto. “Ma
se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una
tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non
finiscono mai, e questa è la verità, che non
finiscono mai e quella tastiera è infinita... Se quella
tastiera è infinita, allora su quella tastiera non
c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino
sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio”
Avrebbe voluto essere quel Dio, in quell'esatto istante. O meglio... si
sentiva Dio. Colui che solo poteva creare quell'attimo assieme
all'altro ed esserne il completo padrone. Si ritrovò seduto
sopra il pianoforte, con Violin che gli toglieva la felpa con urgenza.
Quasi con incredulità. Ci aveva già provato un
paio di volte a farlo suo, venendo però brutalmente
stroncato da Victor. Non si sentiva pronto. Tutt'altro. Quando ci
avevano provato la prima volta, si era sentito tremendamente impotente.
Tanto che si era ritrovato a tirargli un pugno fin troppo
forte nello stomaco. In un'altra occasione, gli aveva chiuso la porta
della sua stanza davanti al volto con una foga decisa e nervosa.
Ripensandoci a mente lucida, si era comportato come quella che
volgarmente avrebbe definito una “checca isterica”.
Poco confortante, come cosa. Decisamente. Si tese contro il corpo del
musicista, ritrovandosi a sorridere tra sé e sé
per nulla, quando questi lo spinse un poco più indietro con
il busto.
“Ehi, Mark... guarda non sono Jiulia
Roberts.” Probabilmente fu un modo come un altro per
alleggerire la tensione. Stradivari se ne uscì
così. Con quella battuta un po' ironica, che
portò Violin a sorridere contro il suo collo già
segnato da qualche visibile marchio rosso. Lo sentì
strusciare il naso contro la pelle fine ed ipersensibile a causa delle
scariche di adrenalina che correvano all'interno del corpo del
violinista.
“Infatti mi stavo immaginando Richard Geer.-
Ribatté prontamente l'uomo, lasciando scorrere le mani lungo
la schiena del ragazzo, soffermandosi lì, sull'elastico dei
boxer. Tracciò con le dita la vita secca di Stradivari,
risalendo poi con moderata calma, fino ad afferrargli una manciata di
capelli castani dietro la nuca, per fargli reclinare il capo
all'indietro. Morse lì dove sporgevano le ossa delle
clavicole, facendosi avanti poi sul suo torace serico. Troppo magro.
-Ma tu sei decisamente più invitante.”
Giocherellò con i suoi capezzoli. Con la bocca e con le
mani. E fu una sensazione strana per Victor. Era stato con delle
ragazze. Tante. Fin troppe. Era stato diverso, il sesso, con loro. Se
ne rese conto, e gli venne quasi da ridere. Quell'emozione. Quella
paura. Quel riuscire a tendersi verso l'infinito e l'ignoto. Non era
mera curiosità, ma meraviglia. Si sentiva quasi un bambino
alle prese con qualcosa di sconosciuto. E si rese conto che qualunque
cosa veniva cancellata da un singolo tocco di Mark. Qualunque bacio non
avesse toccato le sue labbra svaniva. Tutti i corpi che aveva sentito
sotto di sé, lasciavano posto a quello uniforme e forte del
musicista.
“Idiota...” Più che
un'affermazione, suonò come un rantolo. Come l'aveva
immaginato poco prima, quando osservava le mani dell'uomo muoversi
sulla tastiera del piano, ebbe la sensazione di fondersi. Di
sciogliersi e divenire lui stesso quei tasti. E in lui ce n'erano
milioni. Miliardi. Un'infinità che non aveva nome. Ed ogni
stanghetta d'avorio ed ebano veniva sapientemente sfiorata da Violin
con la giusta intensità. Doveva avere esperienza, si rese
conto. E non poté fare a meno di domandarsi quanti altri
uomini avevano avuto il piacere di quel corpo sopra di loro. Sotto di
loro. Dentro di loro. Delirò, privo di qualunque pensiero
lontanamente coerente ed affine agli altri.
“Anziché 'Pretty Woman', potremmo girare
'Pretty Guy'.” Ipotizzò Mark con un sorriso
vagamente divertito in volto; tornando all'altezza del suo viso con il
proprio a reclamare un contatto che avvenne con fin troppa enfasi, tra
le loro labbra. Quella carne piena e rossa. Quei baci. In un momento di
vertigine, Stradivari non riuscì a cogliere dove cominciava
lui e dove terminava l'altro. Un circolo perfetto che non aveva un
inizio o una fine.
“Sembra il titolo... di un film scadente... per
gay...” Tra un respiro ed un sospiro era riuscito a formulare
quell'unica frase a fatica. E s'inarcò, quando
avvertì la mano di Violin scendergli lasciva lungo la spina
dorsale, mentre una nuova scarica gli annebbiava per un istante la
mente. Avrebbe fatto male? Sì. Decisamente si sentiva una
verginella terrorizzata. Una ragazzina patetica.
“Non sei nella posizione adatta per
criticare.” Il commento del compagno gli giunse alle orecchie
inopportuno, in un primo momento. Tanto che gli rivolse un'occhiata
storta, in tralice, mentre scendeva a mordergli un lobo
dell'orecchio, ottenendo prima un gemito, e poi una risata, in
risposta. S'imbronciò, Victor. Già per lui era
difficile. Quello anche lo prendeva per il culo? E questa volta anche
in senso letterale, come se non fosse bastato a bastonare abbastanza il
suo orgoglio mandato in frantumi. Abbassò gli occhi per un
istante, riscoprendosi completamente nudo. Quand'era riuscito a
togliergli pantaloni e boxer, il maledetto? Fissò il
compagno in volto con stizza. Maledettamente bello.
Giocarono a fare gli amanti in quel teatro. Prendendosi.
Lasciandosi. Sperimentandosi. L'uno con il desiderio di un futuro
assieme, ora che tutte le barriere erano crollate. L'altro,
con la consapevolezza che un futuro non ci sarebbe stato, per loro. Non
assieme.
Sono di frettissima, quindi chiedo scusa, ma non risponderò
alle recensioni >_<"
Provvederò a farlo nel prossimo capitolo, promesso!
>_<
Un bacione a tutti quelli che hanno letto e recensito lo scorso
capitolo :****
Herì
|
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Capitolo 10 *** 9. Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al cioccolato. ***
10.
Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al
cioccolato.
I
have to find a way to carry on
Oh,
with the show!
Si svegliò contro voglia, Victor. Aprì
gli occhi pigramente, strusciando il capo contro il cuscino, allungando
nel mentre un braccio a ricercare qualcosa che però non
trovò accanto a sé. Percepiva, invece, un profumo
acre ed invitante provenire dalla sua sinistra. Un profumo che sapeva
di risveglio e coccole. Di mattine tutte uguali l'una all'altra,
nell'ultimo periodo. Eppure tutte diverse. Aveva trovato una fuga dalla
quotidianità che lo metteva di buon umore. Quelle giornate
che prima sembravano susseguirsi tutte banalmente identiche le une alle
altre, ora riuscivano ad assumere le tonalità della doratura
delle fette biscottate e della cioccolata spalmata sopra alla
superficie irregolare. E non solo lì. Anche su naso. Collo.
Bocca. Aspirò ad occhi chiusi il profumo del
caffè, decretando che sì, decisamente era ora di
svegliarsi, prima di ritrovarsi nel mezzo di una scenetta tra moglie e
marito. Si fissò per qualche breve attimo allo specchio
attaccato all'armadio, constatando che il numero di macchioline rosse
sul suo collo e sul suo torace era drasticamente aumentato.
Così come ogni volta che Violin tornava da una visita. Non
lo voleva mai con sé, quando andava ai controlli di routine.
Probabilmente non voleva che sentisse quanto gli dicevano i medici. Ma
si rendeva banalmente conto che non erano belle notizie quando il
sorriso si stendeva tristemente sulle labbra dell'uomo. E quando
facevano l'amore. Mark lo faceva con disperazione, senza lasciargli
possibilità di scelta. Facendolo suo con foga. Forse paura.
E lui aveva imparato che era bene non chiedergli nulla, nonostante
quella paura avvolgesse anche lui.
“Non siamo
eterni...” Glielo aveva detto, una volta, nascondendosi
contro il suo collo. E probabilmente si era trattenuto dall'aggiungere
“ed io meno di tutti.” Se Stradivari ne avesse
avuto la forza, quella volta avrebbe pianto. Ma era troppo codardo per
ammettere di aver capito l'antifona. Violin si stava godendo quel poco
che gli restava: ecco cosa voleva dirgli, così.
Rabbrividì, Victor, al contatto con l'aria fresca che
entrava direttamente dalla finestra della stanza. Quella stanza che non
era sua, ma che aveva imparato a sentire come tale. C'era la sua divisa
appesa ad una gruccia dell'armadio, accanto a quella dell'altro
musicista. C'era la custodia del suo violino sopra la scrivania,
assieme ai suoi spartiti. In un istante si rese conto che c'era
più di lui in quel luogo, con la sua presenza caotica e
marginale, che del padrone di casa stesso. Sembrava voler far
dimenticare presto la sua presenza in quei luoghi. Come se
già una parte di lui non ci fosse più.
Rabbrividì di nuovo, Stradivari, come se la consistenza di
quel pensiero gli avesse fatto cadere addosso un macigno troppo
pesante. Afferrò frettoloso una camicia a caso dal
pavimento. Che fosse sua o di Violin non importava. Se
l'infilò velocemente, scoprendo solo una volta che l'ebbe
addosso, che apparteneva al padrone di casa. Gli era grande in modo
spropositato. Quella quindicina di centimetri di differenza, si faceva
evidente così. Uscì dalla stanza con un broncio
naturale, insofferente. Come chi ce l'ha con il mondo intero solo per
il fatto che era stato tirato giù dal letto ad un orario
improponibile. In realtà, quella era la sua naturale
espressione appena sveglio in generale. Mark, già seduto al
tavolo per la colazione, con il sole che entrava dalle grandi finestre
del locale che lo baciava teneramente, aveva tutta la parvenza di una
statua greca. Con quei capelli biondi che morbidi e setosi gli
carezzavano gli zigomi avviluppandogli poi il collo, lunghi, brillanti
di riflessi dorati formando un'aureola naturale attorno al suo capo.
Con quella perfezione deturpata solo dalla cicatrice che gli fendeva
completamente il torace. Una perfezione che solo la malattia avrebbe
potuto intaccare. I muscoli scolpiti messi in risalto da un gioco di
chiaroscuri. Era bello, il suo ragazzo. Di una bellezza apollinea e
dionisiaca assieme. Nietzsche sarebbe stato contento di conoscerlo.
Decisamente. Le labbra rosse e piene come quelle di una baccante
ubriaca. La pelle abbronzata, mangiata dai raggi dell'astro diurno. Se
fosse vissuto qualche migliaia di anni prima, avrebbe potuto pensare
che i popoli ellenici avessero preso lui a modello per le loro
sculture. Lo accolse con un sorrisetto ironico in volto, Violin.
Divertito da quel broncio che stravolgeva i tratti morbidi del viso del
compagno.
“Sei sceso dalla
mia parte del letto?” Gli domandò allungandogli
una fetta di pane biscottato già ricoperta da uno strato
marroncino e denso. Ma Victor la rifiutò con un blando cenno
della mano. Si sentiva strano. Non aveva voglia di cioccolato. Non
aveva voglia di niente. Si sentiva stranamente più stanco
del solito ed avvertiva una morsa poco piacevole allo stomaco. Come
fosse un brutto -pessimo- presentimento.
“Ho una butta
sensazione.” Ammise sedendosi sullo sgabello innanzi a quello
dell'uomo, afferrando la tazza di caffè che stava
sorseggiando l'altro, restituendogliela poi vuota. Se c'era una cosa
che gli faceva dare di matto, era che Mark non sembrava badare affatto
a se stesso, nonostante la malattia. Non avrebbe dovuto praticare sport
per evitare sforzi, e invece nell'ultimo periodo aveva giocato tutte le
partite come capitano della squadra di basket nel torneo tra le scuole.
Non avrebbe dovuto bere bevande contenenti caffeina per non
sovrastimolare il cuore, e invece ogni mattina si alternava tra
caffè e tea. Per quello che aveva capito, non avrebbe
nemmeno dovuto fare del sesso, e qui lui si sentiva in colpa,
perché lui non gli impediva mai di portarselo a letto.
Lo sbirciò da
sopra la propria tazza di caffè-latte con la miglior faccia
arrabbiata del suo repertorio, suscitando nell'altro un divertimento
silenzioso e spontaneo, mentre guardava i muri dell'orfanotrofio al di
là delle finestre. Stradivari registrò per
l'ennesima volta quell'espressione di assoluta malinconia che si
impossessava di quegli occhi del colore chiaro del ghiaccio. E per
l'ennesima volta si trovò a domandarsi che razza di persone
dovessero essere i suoi genitori, per dare vita ad una creatura dalla
pelle tinta del colore della sabbia, ed i capelli e gli occhi che
avevano rubato l'anima del sole e del cielo più puri.
Sospirò nel constatare l'ironia dei propri pensieri che
prendevano sfumature terribilmente romantiche, quando si parlava di
Violin. E fu come folgorato. Si alzò velocemente in piedi
afferrando con pollice ed indice il mento del compagno, per baciarlo.
“Grazie!”
Fu un contatto veloce, perché subito dopo si
distaccò, correndo rapidamente di nuovo verso la stanza da
letto, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Mark esterrefatto.
Basito. Tanto che dovette aprire e chiudere un paio di volte le
palpebre perplesso. Però dovette ammettere a sé
stesso che non aveva mai visto Victor Stradivari con un'espressione
così... bella. Sorrise tra sé e sé
l'uomo, appoggiando il mento sulla mano destra e fissando per qualche
istante la porta della sua camera. La stessa camera dalla quale
riusciva ad avvertire una leggera sinfonia suonata a violino. Che
melodia soave. Fu un'espressione triste, quella che cercò di
sedare quella felicità momentanea ben leggibile sul viso del
musicista. Victor aveva capito. Victor l'avrebbe superato. Victor
avrebbe potuto anche andare avanti da solo, da ora in poi. Scosse il
capo riacquistando quel sorriso leggero e morbido che l'aveva
accompagnato fino a quel momento, lavando velocemente i pochi piatti
utilizzati per la colazione, infilandosi poi in bagno.
L'urlo di puro entusiasmo
emesso da Stradivari proruppe prepotente, spezzando la monotonia di
quella placida e sonnolenta domenica mattina, facendo sussultare
Violin, che se ne stava in ammollo nella vasca da bagno. Non sapeva
nemmeno lui da quanto tempo se ne stesse lì, in quell'acqua
resa torbida dal bagno schiuma del quale non era restato assolutamente
nulla, se non il ricordo di sé in uno strato pallido che
permeava a pelo dell'acqua. Doveva essere passato un bel po',
però, da quando si era immerso, visto che era già
passata la terza canzone del secondo cd dei Led Zeppelin che girava
all'interno del suo I-pod. Si fece i complimenti da solo. Prendere il
sonno con i Led non era certo impresa da tutti. Spostò
perplesso ed indolenzito lo sguardo verso la parete che che divideva la
stanza da bagno dalla sua camera, sbuffando per poi immergersi quasi
completamente nel liquido, portando gli occhi verso quel soffitto
così bianco da essere monotono. Se avesse potuto, quel
bilocale l'avrebbe acquistato, dalle suore. Se avesse potuto, l'avrebbe
completamente ridipinto di un azzurro pallido e limpido come il cielo
d'estate. E con le piastrine bianche che costituivano il rivestimento
del cucinino e la mobilia del medesimo colore, avrebbe avuto
l'impressione di camminare sulle nuvole. Inoltre, avrebbe avuto anche
uno dei putti di Raffaello tutto per sé. Lupus in fabula. I
capelli castani e ricci di Victor fecero il loro ingresso nel bagno,
portandosi dietro anche il proprietario, con in volto l'espressione
più raggiante che gli avesse mai visto addosso. Gli occhi
non troppo grandi leggermente socchiusi e le labbra incurvate
completamente verso l'alto a formare un sorriso sincero. Ancora con la
sua camicia addosso. Larga, enorme. Tanto che pensò gli
sarebbe bastato un istante solo a sfilargliela di dosso. E lo fece. Non
stette nemmeno a badare troppo alle sue proteste. Proteste che in
breve, tra l'altro, sedò. Lo trascinò all'interno
della vasca senza chiedere il permesso e senza stare a sentire quanto
aveva da dirgli. Lo bagnò. Rise alle sue lamentele e lo fece
suo. Ancora ed ancora. Tanto che l'acqua che avvertiva ancora tiepida
contro la pelle qualche minuto prima, presto divenne fredda, rispetto
ai loro corpi.
“E pensare che la
prima volta che ti ho infilato qui dentro era per farti
calmare.” Ridacchiò Mark, riferendosi
probabilmente a quanto accaduto diversi mesi prima, quando l'aveva
spinto nella vasca così che si tranquillizzasse un po'. Si
era reso conto troppo tardi di essere stato forse troppo brusco con lui
e quella volta aveva cercato di riparare con un sorriso che aveva
sperato essergli di conforto. Lo sbuffo dell'altro e quel bel color
vermiglio che gli mandava a fuoco le guance, lo fecero però
desistere dal fare altri commenti.
“Non me lo
ricordare. E' quel giorno che mi hai incastrato, maledetto! E se fai
tutte le volte così, cominciamo a sembrare due conigli in
calore.” Victor non aveva peli sulla lingua. Era una delle
cose che gli piaceva di più in lui. Stretti in quella vasca,
mentre gli lavava con calma i capelli, ritrovandoli lunghi e pieni, al
tatto, Violin non poté fare a meno di notare un particolare
sulla sua spalla destra. L'aveva già visto -sentito- ogni
volta che lo possedeva o che gli passava le mani sulla schiena. Anche
quando si limitava a baciarlo in quel punto. C'era una cicatrice
piuttosto estesa che gli partiva dall'inizio del braccio, e terminava
sulla scapola.
“Ti crea qualche
problema?- Gli domandò strusciando con il naso su quel segno
che, agli occhi di un romantico qual'era, sembrava essere il gemello di
quello che lui portava sul torace, all'altezza del cuore. -Chi te l'ha
fatta?” Chiese ancora, passando sopra il suo capo con il
getto della doccia. Il violinista in un primo momento non rispose,
indietreggiando con la schiena e posandosi contro il petto del
compagno, chiudendosi in se stesso. E Mark arrivò a
rimpiangere quell'allegria di poco prima. Assieme alla bellezza
dell'orgasmo che li aveva colti alla fine del loro amplesso. O a quel
momento di ironia sana e divertita che aveva risvegliato l'altro.
“No... nessun
problema. Sei tu quello che rischia di restarci secco tra le mie
braccia...- La voce del ragazzo tremò per un istante. Gli
occhi bassi e le iridi coperte dalle lunghe ciglia scure. Gli
afferrò le mani con le proprie, costringendo l'uomo a
stringerlo in un abbraccio, quasi a rendere più veritiero
quel pensiero. Quel timore. E deglutì a vuoto. A fatica. -E'
stata mia madre. Quando ero in prima media. Ero andato da lei per
fuggire dai miei nonni. Il giorno dopo avremmo avuto delle gare a
scuola, e loro non volevano che partecipassi. Ero forte nella corsa,
sai? Se mi fossi allenato, sarei stato un ottimo centista. Ma per i
nonni... lo sport altro non è che un'immane cavolata. Per
loro era importante che io diventassi un genio del violino. Ma mi
sembrava di avertene già accennato, no?- Retorica
quell'ultima domanda. Una misera scusa per chiudere per un attimo
lì il discorso. Per riprendere fiato carezzando le mani del
compagno con quelle dita sottili ed agili. -Mi ero rifugiato
nell'appartamento di mia madre. Sapevo dove teneva le chiavi di riserva
e tanto ero sicuro che fino alla mattina dopo non sarebbe tornata. Te
l'ho detto, no? Era... è una prostituta... ed io mi ero
sbagliato. Era tornata a casa con un uomo. Un cliente. Ed era ubriaca.
Solitamente non si lagnava, quando mi trovava a casa sua. Ero suo
figlio ed il solo fatto che sopportasse tacitamente la mia presenza
senza scacciarmi, per me era fonte di gioia. Ma quella notte... quella
notte, quando mi ritrovò raggomitolato tra le coperte, diede
di matto e mi ruppe addosso una bottiglia di non so quale liquore.
Ricordo che bruciò come se mi avessero gettato alcool puro
addosso. Probabilmente, per ironia, forse fu proprio questo a salvarmi
dall'infezione che avrebbe potuto seguire. Ringrazio il cielo che una
vicina fu allarmata dal mio pianto e chiamò subito il pronto
soccorso, altrimenti io ora non sarei qui.” Si
sentì stringere le mani, Victor. Con forza, in un abbraccio
caldo e piacevole. E si raggomitolò contro il petto del
compagno, finendo inevitabilmente per far traboccare dell'acqua dalla
vasca. Celò il volto nell'incavo formato dal collo e dalla
spalla dell'altro, cercando un nascondiglio sicuro dal suo sguardo. Non
voleva leggervi compassione. Non voleva fargli pena. Rimasero
così per un tempo ridicolmente lungo. O forse troppo breve?
Alla fine era piacevole starsene così, avvolto tra quegli
arti forti senza far nulla più di quello.
“Quanto
è stato? Un mese fa?” Il silenzio venne rotto di
nuovo da Mark che gli porse quella domanda con tono vagamente
divertito, lasciando libero Victor di voltarsi completamente verso di
lui. Lo osservò inginocchiarsi tra le sue gambe con
un'espressione perplessa in volto. Un'ingenuità bambinesca
che probabilmente non era conscio nemmeno lui di dimostrare ancora.
“Cosa?”
Gli domandò allungandosi per afferrare lo shampoo che si
trovava a ridosso della parete dietro all'altro per riservargli lo
stesso trattamento subito poco prima. Gli piacevano i capelli di
Violin. Erano morbidi e di una consistenza leggera, sottile, a
differenza dei propri. Più spessi e mossi. Indomabili come
un mare in tempesta. Aprì il coperchietto del contenitore
facendosi sfuggire qualche imprecazione colorita dalle labbra. Davanti
agli altri, impeccabile. Con lui, se stesso.
“Quando mi hai
chiesto da quanto ti sto dietro.” Spiegò Mark,
andando a sbuffare dal naso. Si prospettavano guai per la sua povera
testa. Ed osservava il barattolo dello sciampo con il timore che una
vittima dedica al suo carnefice. Abbassò le palpebre con
forza sulle iridi. Se Stradivari si fosse dimostrato sbadato come in
tutto quello che non concerneva la musica, si sarebbe trovato senza un
occhio, questo era poco, ma sicuro.
“Non mi interessa
più.” Borbottò Victor con voce poco
attenta, concentrato piuttosto nel non far colare un quantitativo
esagerato di schiuma sugli occhi dell'altro che per tutta risposta
storse le labbra in un capriccio. Sapeva che non avrebbe resistito
troppo. Se c'era qualcosa che aveva imparato del suo ragazzo, era che
la sua curiosità era innata e vivace. Per questo era bravo
nello studio e nella composizione di melodie che sapevano piacere alla
gente. Perché scaturivano da quello che coglieva
quell'interesse spasmodico per ciò che lo circondava e sui
cui rimuginava a lungo prima di rielaborarlo e trasporlo in note. E lui
nemmeno lo sapeva.
“Non è
vero.” E lui. Oh, lui adorava contraddirlo. Adorava le sue
reazioni impensate ed impensabili. Apparentemente senza senso ed
astruse, trovavano invece la loro vendetta perché sapeva
come e dove colpirlo senza fargli eccessivamente male. E la vendetta
calò inesorabile. Calò con quel frizionargli i
capelli con forza senza l'accortezza dimostrata poco prima nel badare a
che la schiuma non gli entrasse negli occhi. E gli venne da ridere,
perché era divertente punzecchiarsi così.
“Dimmi, dai. Tanto
so che muori dalla voglia di farlo.” Sbuffò
Stradivari , passandogli le mani sciacquate sugli occhi per pulirglieli
dalla schiuma che era colata fino a li. Passò le dita sulla
pelle delle guance di Violin senza pensarci quasi, sentendo le puntine
della sua barba solleticargli i polpastrelli. Se lo immaginava bene con
un po' di pizzetto addosso. E gli corse un brivido lungo la schiena,
quando colse il sorriso malizioso di Mark. Ghigno che non preannunciava
nulla di buono.
“Non che non ho
voglia di farlo. Altrimenti il mio ragazzo mi dirà di nuovo
che sono un coniglio in calore.- Commentò con tutta
l'ingenuità che era in grado di tirare fuori, finendo per
ritrovarsi addosso il getto -gelato- della doccia, che lo costrinse a
trattenere per qualche istante il respiro. Rise, l'uomo. Rise
sinceramente divertito nel vedere la faccia rossa ed imbufalita di
Victor. Quella calma serafica ed ironica, solo lui era in grado di
mandarla in pezzi e se ne compiaceva. -Tu mi vuoi vedere
morto..!” Lo sgridò, senza rendersi conto di quale
effetto devastante potesse avere quella dichiarazione sul violinista
che gli tirò addosso il getto della doccia, alzandosi di
scatto ed uscendo dalla vasca furente.
“Idiota!”
Se lo sentì urlare dietro dalla stanza adiacente.
Probabilmente Stradivari ci si era chiuso dentro per cambiarsi e Violin
sbuffò, uscendo dalla vasca, rassegnato. Non avrebbe mai
potuto pensare di suscitare nell'altro una reazione simile per una
battuta per lui innocua. Afferrò un asciugamano
strofinandosi i capelli e lanciando di quando in quando lente occhiate
alle gocce d'acqua che il compagno aveva lasciato dietro di
sé, nella sua clamorosa uscita di scena. Che ironia. Lui
aveva smesso di preoccuparsi della morte tanti anni prima, quando aveva
fumato la sua prima sigaretta, appena dodicenne. Aveva solo ringraziato
il cielo che non gli fosse mai piaciuta la puzza di tabacco che gli
lasciava sui vestiti. Sarebbe stata una cosa in meno cui avrebbe dovuto
rinunciare una volta morto. Fissò lo specchio sopra il
lavandino. C'era un ragazzo biondo dalla pelle di un bel color
caffè-latte a ricambiare le sue attenzioni. Due occhi chiari
che in quel momento non lasciavano trasparire alcuna emozione. Come se
il ghiaccio di cui sembravano essere composti, li avesse congelati del
tutto. La cicatrice che aveva sul torace si mostrava più
chiara rispetto al resto dell'incarnato, visibile come il segno di una
maledizione sul suo corpo. Con forza gettò l'asciugamano
contro il vetro, come per eliminarla dalla sua vista e dal suo cuore.
Come chi spera basti un colpo di straccio per cancellare tutto.
Passato. Dolore. Un futuro che non si è più in
grado di accettare. Lo fece con rabbia. E dopo tanto tempo
arrivò a desiderare di non dover più morire.
Spazio autrice:
Premetto che credo sia un miracolo se oggi sono riuscita ad aggiornare
°-°" Ma non starò a spiegarvi il
perché.
Ecco a voi una scena di vita più o meno quotidiana in cui si
viene a sapere anche l'ultimo altarino di Vic *-* (Sì, come
se non fosse abbastanza sfigato di suo, direte XD)
Ed ora la risposta alle recensioni (8)
_Primavere rouge_ Sono felice che l'incipit ti sia piaciuto *-* E sono
soprattutto contentissima di sapere che, anche se la storia
è ormai alle battute finali -un altro capitolo lungo
lunghissimo e poi l'epilogo-, riesce comunque ad attirare nuovi lettori
*A* che dire? Che mi hai fatta davvero felicissima *Q* Quella
è una delle frasi che preferisco, sia per il contesto in cui
l'ho inserita, sia perché la sento molto mia ^w^ Le sono
particolarmente affezionata e mi ha colpito che tu l'abbia notata ^^
Grazie anche per aver inserito la storia nelle seguite :) Spero
lascerai un commentino anche più avanti :3
_Nonna Papera_ Awwwwh! *_* Capitolo intenso <3 Capitolo
meraviglioso <3 *Gongola* Mi fa piacere sapere che nonostante il
piccolo arresto che stava prendendo la storia, ti piaccia comunque come
si sta evolvendo :) Per quanto riguarda il tuo dubbio atroce... dovrai
aspettare il prossimo capitolo, mi spiace, ma non voglio sbilanciarmi
^w^
_Red Leaves_ Te l'ho già detto che io ti adoro? No?
Sì? Bah, ripetere non fa mai male. Io. Ti. Adoro. v_v Sallo
v_v
_Yuko Chan_ Anche a te rispondo come alle nonnina qui su: aspetta il
prossimo capitolo, ed avrai la risposta (positiva o negativa,
s'intende) al tuo slancio di follia. Intanto spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto *_*
_My Pride_ Per l'eccesso di zucchero, incolpa pretty woman! *Addita
cattiverievolmente il film* La scena del pianoforte è
cortesemente ripresa da lì, ma trovo che con la citazione e
lo scorrere della storia, fosse azzeccata XD Anche qui lo zucchero si
spreca, però ._. Accie per la recensione :*
Un bacio a tutti :****
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Capitolo 11 *** 10. Solo la melodia della vita. ***
11.
Solo la melodia della vita.
“Allora, come sta
andando?” La voce fin troppo nota di Axel gli
arrivò alle orecchie facendolo girare con calma. L'aveva
sentito avvicinarsi. Ed erano in pochi ad avere il coraggio
di avvicinarsi a lui quando aveva quell'espressione cupa
addosso. Se avesse potuto avrebbe tirato il collo al primo mal capitato
di turno, in quel momento. Stradivari gli dedicò una delle
sue occhiate svogliate e poco interessate. Non era quello ad intimorire
i loro compagni di scuola, che invece si tenevano bellamente alla
larga. No. Era quell'aura spaventosa che il ragazzo sembrava emanare da
ogni poro. Stava male, si sentiva terribilmente in colpa e
maledettamente idiota. Ma il rosso gli sorrise sornione.
Sembrò quasi farsi beffe di lui, come sempre.
“Sparisci, Ax. Oggi non ho una
bella giornata.” Sbottò Victor allungando il passo
per sfuggire da lui, lungo i corridoi del Monteverdi. Inutile.
Nonostante la differenza di altezza tra lui ed il suo amico d'infanzia,
e nonostante il palese rifiuto che stava dimostrando nell'avere un
confronto con lui, l'altro gli trotterellò dietro
prendendolo al collo con un braccio. In un modo giocoso e scherzoso che
il violinista conosceva da una vita. Accolse per un attimo quel gesto,
ma scansò sbuffandogli dietro. Non aveva voglia di vederlo.
Né lui, né nessun altro, dopo l'ultimo scambio di
battute con Violin avvenuto qualche giorno prima. Inoltre, di
lì a poco si sarebbe tenuto il concerto di fine anno. Che
idiozia. Esibirsi per chi? Un paio di Talent Scout che avrebbero fatto
promesse mai mantenute? E lui perché diamine ragionava
così? Era lui il primo a necessitare di un appoggio per
allontanarsi da quella che, per sangue, era la sua famiglia. Il
compagno di studi lo colse quindi alla sprovvista, immerso nelle sue
tribolazioni, quando gli afferrò il braccio e lo costrinse a
voltarsi, dimostrando una forza che Stradivari non si sarebbe mai
aspettato.
“Ora tu mi ascolti. Ma ti sei
visto in faccia, ragazzino?- Proruppe, piccato, mostrando una fermezza
che solitamente non dimostrava, se non con le sue prede. Victor avrebbe
potuto giurare che fosse lui a condurre i giochi, con loro,
solitamente. Gli venne spontaneo sgranare gli occhi. Da che lo
conosceva -solo una vita- non aveva mai visto Axel tanto fuori di
sé. -Non sembri più nemmeno tu, scemo. Hai
litigato con Violin? Presumo di sì. Altrimenti sapresti che
è stato ricoverato d'urgenza questa mattina e non saresti
qui a girare a vuoto per la scuola!” L'uomo poté
avvertire chiaramente il braccio dell'altro irrigidirsi, sgomento,
sotto la sua presa. Medesima reazione che dovette avere tutto il corpo,
ed accompagnata da quegli occhi solitamente brillanti che in un primo
momento si oscurarono atterriti. Effettivamente non l'aveva visto
né a lezione, né alle prove, quella mattina. Ma
era convinto si fosse astenuto per gli allentamenti di pallacanestro.
Il venerdì li alternava, di solito. Gli altri non sapevano
della loro relazione, e se ne erano a conoscenza, se ne tenevano bene
alla larga. I maschi per non essere coinvolti. Le ragazze
perché per lo più erano schifate. Più
da Stradivari che da Violin, in realtà. Per questo
probabilmente non gli avevano detto nulla. A scuola non aveva mai
smesso di palesare il proprio astio nei confronti del compagno. Per
quieto vivere. Perché sapeva che una volta si fossero
trovati da soli, si sarebbe fatto perdonare, in un modo o nell'altro.
Perché sapeva che l'altro l'avrebbe perdonato, sempre e
comunque. Scosse il capo più e più volte per
riprendersi.
“Mark è cosa..?!
Dov'è ricoverato?” Gli chiese con urgenza,
volgendosi spontaneamente verso l'amico ed afferrandolo per le spalle.
Ed il volto di Axel si incupì per un istante. Non aveva mai
visto, Victor, i suoi occhi tingersi di tanta tristezza. E non parve
accorgersene nemmeno in quel momento. Lo affrontò quasi con
difficoltà, l'uomo, abbassando il capo in un primo momento.
Non andare. Se avesse potuto, il rosso
lo avrebbe scongiurato di non correre dall'altro, come invece era certo
avrebbe fatto. Non poteva sopportare di essere stato messo da parte per
un altro. Nonostante quella silenziosa amicizia. Quella
complicità nascosta tra loro, e solo tra loro, preclusa al
mondo esterno. Nonostante non gli avesse mai parlato dei propri
sentimenti. Era sempre stato certo che l'altro li avrebbe capiti, prima
o poi.
“Non andare... Non
andare!” Quel pensiero prese vita da solo sulle labbra del
musicista, che trovò solo in quel momento il coraggio di
sollevare gli occhi su Victor. Lo stesso che in quel momento aveva
aumentato la stretta sulle sue spalle, osservandolo attonito. E
tremò Axel. Tremò perché quello
sguardo lo conosceva fin troppo bene. Chiuse gli occhi pronto a
sentirsi dare della “checca isterica” proprio dal
suo migliore amico, preparandosi già mentalmente una
risposta adeguata, visto che fino a prova contraria, anche lui lo era
diventato. Ma la cosa non avvenne.
“Ax... non tu, ti prego.
Potrei accettare chiunque... ma non tu. Io... io ho bisogno di vederlo.
Ho il terrore di perderlo proprio ora.” Il musicista per un
istante riuscì a rivederlo. Per un istante che apparve quasi
insignificante, ma lo vide ancora. Rivide quel bambino che prendeva
lezioni di matematica da suo padre affrontando con aria svogliata quei
problemi troppo grandi per lui che viveva di pane e musica e che
comunque trovavano una soluzione nel suo testardo orgoglio di
mocciosetto di buona famiglia. Rivide l'arroganza di quel bambino che
tornava a casa con le ginocchia sbucciate e che ancora aveva il
coraggio di dire che non era scappato di casa per giocare con gli altri
bambini. Oppure con lui. Rivide la fragilità di quel bambino
che puntualmente veniva sgridato da quei nonni troppo severi per un
ragazzino con la sua sensibilità. Quel terrore di deluderli
e di perdere quell'ultimo appoggio di umanità che gli
avevano dimostrato una volta che era uscito dall'ospedale. Era
lì, pregno di una tristezza immane. E non ebbe cuore di
tacerglielo. Non ce la fece, perché poi si sarebbe sentito
in colpa lui, per quel viso.
“All'ospedale dove va a farsi
visitare di solito. Il Guy's Hospital.” Gli spiegò
ingoiando un groppo non indifferente che gli stava chiudendo la gola.
Strinse con forza il suo braccio, mordendosi le labbra dall'interno,
per non farsi sfuggire quelle parole intrappolate nella gabbia creata
da lingua e denti. Lo affrontò nuovamente riaprendo gli
occhi per guardare il suo viso, incontrandone i tratti segnatiti da
troppe, troppe cose.
“Ax... se solo...- me ne fossi
accorto prima... forse... Bloccò la corsa dei propri
pensieri, Victor, liberando le spalle dell'amico d'infanzia e venendo
allo stesso modo rilasciato da lui. Non poteva mentirgli. Anche se se
ne fosse accorto prima non sarebbe cambiato nulla, perché
lui non era Violin. Questa volta, però se ne accorse. Come
un fulmine a ciel sereno. Colse quella tristezza e quei sentimenti che
non avrebbe potuto ricambiare. Così tremendamente palesi in
quegli occhi lucidi dell'altro. Gli sembrò per un istante,
una delle tante ragazze cui aveva detto di no e scosse la testa,
appoggiandogli una mano sul capo. -Grazie” Un sussurro
dedicato al silenzio che era sceso nel corridoio. C'erano tante
-troppe- cose che non avrebbe potuto affrontare, in quel momento. E si
stavano ammonticchiando l'una sopra l'altra, senza dargli
possibilità di respiro. Non avrebbe potuto affrontare la
perdita di Mark. Fisica o mentale che potesse essere. Non avrebbe
potuto affrontare di perdere l'amicizia di Axel. Non in quel momento di
panico. Non avrebbe potuto affrontare un'esibizione. La stessa per la
quale si stava preparando da tanto tempo, nonostante reputasse lo
spettacolo scolastico solo uno spreco di energie. Era una questione di
priorità, si rese conto. Una di quelle cose l'aveva
già procrastinata. A mente più lucida avrebbe
chiesto al suo amico il perché di quegli occhi sull'orlo
delle lacrime e gli avrebbe detto che sì, ora capiva come si
sentiva lui ogni volta. Gli avrebbe ricordato che ne aveva
già passate tante e che questa avrebbe potuto affrontarla
reggendosi sulle sue gambe. Perché se era lui a farlo
soffrire, non poteva stargli accanto. Del Talent Scout, poco gli
importava. Sapeva che un paio di quegli avvoltoi gli avevano
già messo gli occhi addosso da un pezzo. Aspettare un altro
anno non gli avrebbe fatto né caldo né freddo. E
lui avrebbe dovuto sopportare solo un altro anno di cene in famiglia
davanti all'alta borghesia londinese. Un paio di sorrisi affabili e di
circostanza non gli sarebbero costati nulla. L'importante era stare con
Violin il giorno successivo. E quello dopo ancora. Ancora. Ancora. Era
stato solo uno dei soliti attacchi e niente di più.
Cercò di convincersi di questo, Victor, mentre il taxi che
aveva chiamato correva verso la zona del Tower Bridge. Eppure sentiva
più pressante quella morsa che gli chiudeva lo stomaco
già da diversi giorni. Da quando Mark era tornato l'ultima
volta da uno dei suoi controlli. Da quando il suo cuore aveva
collassato l'ultima volta. Quegli attacchi che erano sempre
più frequenti. Si ritrovò a pensare. con la testa
schiacciata contro le ginocchia e le mani tra i capelli, resistendo
alla voglia di cedere alla follia del momento ed urlare. Non poteva
perderlo.
La stanza era bianca. Asettica. I
macchinari che monitoravano le condizioni di Mark emettevano suoni che,
alle orecchie di Stradivari, sembravano sinistri gemiti sofferenti.
Tutti uguali. Ripetitivi. Una nenia che non lasciava presagire nulla di
buono. Se ne stava lì, sulla soglia della camera
dell'ospedale ad ascoltare le parole di un medico che non sembrava
nemmeno vedere. Accanto a lui c'era una ragazzetta minuta. A celarle la
testa, il copricapo tipico delle suore. Annuiva di quando in quando
alle parole del dottore, dedicando a Victor qualche sporadica occhiata,
con i suoi occhi di cristallo nero. Pura ossidiana che sembrava cibarsi
e risplendere delle luci fredde, al neon, del corridoio. Eppure
parevano così vuoti.
“Se le sue condizioni
rimarranno stabili la notte, domani potremo dimetterlo. Ed a breve
proseguiremo con l'operazione.” Aveva detto ad un tratto
l'uomo magro come uno spillo. Addosso un camice bianco, lungo fino ai
polpacci ed in mano la carella clinica del paziente. Di Violin. Fu
quell'ultima parola a risvegliare il violinista dal suo stato di coma,
mettendolo sull'attenti.
“Operazione?” Gli
fece eco con un'energia nuova nella voce. Una vitalità
differente da quella mostrata poco prima. L'espressione sperduta che
lasciava spazio ad uno sguardo speranzoso che si accentuò
quando l'uomo andò a dedicargli dei cenni di assenso con il
capo.
“Scusi, ma lei non
è il fratello?” Gli domandò fissandolo
inquisitorio e tutto ciò che aveva imparato in quegli anni
-quella maschera che aveva sempre usato in maniera ineccepibile-
tornò a galla. Sfoggiò uno dei suoi sorrisi
migliori. Il più educato. E si distaccò dalla
porta, drizzandosi completamente. Con quello sguardo un po' sfrontato,
un po' ingenuo in volto.
“Si, ma sa com'è?
Mark non vuole che ci preoccupiamo per lui, e quindi non ci racconta
mai niente.” Spiegò sollevando le spalle
stringendovisi dentro con il capo ed abbassando lo sguardo, come fosse
stato colpevole per non essersi meglio informato prima. Le labbra fini
leggermente sporgenti in fuori, come aveva visto fare a tante delle sue
ex quando dovevano farsi perdonare qualcosa, in un broncio un po'
accentuato ed un po' femminile, ma che in quel viso non stava poi
così male. Ed il medico sembrò accettare quella
versione dei fatti, visto che poi sospirò, riprendendo
parola. In tutto quello, la suorina non aveva messo bocca, limitandosi
ad osservare Victor con quegli occhi che prima sembravano vuoti, ora
invece carichi di un curioso interesse verso di lui.
“La lista d'attesa si
è accorciata, e se tutto va bene, il prossimo cuore che
arriva qui è per lui.” Gli comunicò,
facendo perdere un battito, o forse di più, a quello di
Stradivari. Sarebbe stato bene. Il medico si accomiatò dopo
aver scambiato poche altre battute con la suora che lo
congedò benedicendolo più e più volte.
Benedicendo anche il Signore, più e più volte. E
Stradivari avrebbe anche potuto trovarla irritante, se solo non fosse
stato anche lui tutto intento a ringraziare, per una volta
sinceramente, qualunque Dio conoscesse per avergli dato quella notizia,
intanto.
“Tu non sei un
“fratello” di Mark.” Le parole della
sorella lo lasciarono interdetto per qualche istante. Giusto il tempo
di calare lo sguardo su di lei mandandola cortesemente a farsi una
spaghettata di affari propri. Sorrise però beffardo, nel
notare l'espressione attenta nel volto della suoretta. Un lupo
travestito da agnello. Aggrottò le sopraccigli quando la sua
vocina interiore gli sussurrò quelle parole, spostando lo
sguardo verso l'interno della camera. Uno spiraglio di luce feriva
l'oscurità della stanza come un coltello affilato.
“Davanti all'occhio di Dio
siamo tutti fratelli, sorella.” L'aveva rimessa al suo posto.
O almeno di questo era convinto. Fu per questo che venne completamente
spiazzato dalla reazione della ragazzetta, che scoppiò in
una sonora risata, portandosi le mani davanti alle labbra per attutire
il suono e non svegliare i pazienti già sopiti da un po'. Di
nuovo quella vocetta si era fatta strada dentro di lui, dicendogli che
sì, la prima impressione era stata quella giusta.
“Avanti, so quali sono le
inclinazioni sessuali di Mark.” Per un istante, a Victor
sembrò quasi di venir preso in giro. Sensazione che si
acuì maggiormente quando la ragazza si sporse all'interno
della stanza per controllare di non essere sentita. Allo stesso modo si
guardò attorno. Civetta. Oca. Bisbetica. Ecco cosa gli era
sembrata, quella tipa. Ed era pure sicuro di non essersi sbagliato
troppo. A differenza di quello che erano Lizzy o Kirya, lei fingeva in
modo spudorato. Probabilmente nascondendosi dietro quegli abiti.
Pettegola. Così come si era comportata prima con il dottore.
Ora invece pretendeva di capire tutto di lui solo con uno sguardo.
“Sono un suo compagno di
scuola.” Chiuse lì in discorso, mettendo in chiaro
di non accettare ribattute con un'occhiata altezzosa e distaccata. Il
mento che venne sollevato in un gesto secco, quasi a chiederle di
togliersi di torno.
“Dai, su. Non fare
l'antipatico. Sono contenta che si sia trovato il ragazzo.”
Insistette invece. Lo stava mettendo alla prova, ed i suoi nervi, in
quel momento, avevano tutto fuorché bisogno di essere messi
alla prova. La squadrò da capo a piedi un paio di volte,
prima di far schioccare la lingua sul palato.
“Comodo nascondendosi dietro
quegli abiti per farsi i fatti degli altri, vero?” Le
domandò seccamente, con tutta l'arroganza di cui fu capace.
E questa volta non si limitò a semplice mimica del corpo.
No: lui entrò nella stanza, chiudendo la porta dietro di
sé con due mandate di chiave. Trovava insopportabile chi
voleva farsi i fatti suoi pur essendo un completo estraneo. Ma
soprattutto odiava la chiesa. Era cresciuto in un ambiente protestante,
certo. Ma non aveva accettato mai nessuno dei sacramenti che gli erano
stati imposti, rifiutandosi di partecipare ancora alle processioni, una
volta che ebbe raggiunto l'età in cui poteva scegliere cosa
fare del proprio credo. Lui credeva in se stesso, e tanto gli bastava.
“Non ti piace proprio dover
portar rispetto agli altri.” La voce stanca di Violin si fece
largo nel silenzio della stanza, cogliendolo piacevolmente di sorpresa
e facendo emergere un sorriso dai meandri del suo animo turbato. Gli si
avvicinò in silenzio, sollevando le spalle in un gesto
distratto, accomodandosi sulla sedia accanto al lettino.
Così piccolo rispetto a quello di casa di Mark. O a quello
della sua stanza al dormitorio.
“Porto rispetto solo a quelli
che se lo meritano.” Borbottò posando le braccia
incrociate sopra le coperte ed adagiandovi il capo sopra, chiuse gli
occhi. Respirò profondamente quell'odore dolciastro che non
sapeva però di risvegli al caffè e toast al
cioccolato. Quell'odore così distante dalla sua
quotidianità. Quell'odore che sapeva di disinfettanti usati
un po' a casaccio e sparsi qui e là. Che non sapeva di loro
e delle loro pelli. E lo sentì sorridere, come aveva
imparato a farlo tante altre volte. Senza guardarlo. Senza poterlo
vedere.
“Sei sempre il solito
ostinato.” Quel commento gli scivolò addosso con
la dolcezza di una carezza posatagli sul capo. La stessa carezza che
scese giù ad insinuarsi sul suo collo carezzandolo
lentamente, dandogli i brividi con quella lentezza esasperata e quella
delicatezza inaudita che gli sfiorava la rada peluria presente
all'attaccatura del capo. Inarcò le spalle, Victor,
coinvolto in quel gesto, andando incontro alla mano dell'altro. Non
rispose però a quel commento, sospirando piano.
“Sai, Mark. Venendo qui ho
avuto modo di pensare... Axel mi si è quasi dichiarato,
prima. Ed io mi sono bloccato prima di dirgli che se me lo avesse detto
prima, ora staremmo assieme, con tutta probabilità. Gli
avrei fatto ancora più male.- Avvertì la sua
carezza sul collo diminuire d'intensità per un istante, per
poi riprendere da dove si era quasi interrotta, prendendosi la
libertà di lasciargli un piccolo pizzicotto su un angolino
dove la pelle era più morbida. Una piccola punizione, ma non
desistette dal continuare. -Sai che il mio primo amore fu proprio un
bambino? Certo, non che parlare di primo amore a cinque anni sia
corretto. Però ero rimasto tremendamente affascinato da lui.
Era poco più grande di me, ed era il figlio del mio maestro
di piano. Faceva correre le dita sui tasti come se non avessero
consistenza. Sembrava quasi che quello strumento componesse da solo la
propria melodia, come dotato di un carillon interno.- Interpose una
breve pausa, riaprendo gli occhi e drizzandosi meglio sulla sedia per
poterlo osservare comodamente, anziché cogliere solo il tubo
della flebo. E si morse le labbra, fissando la linea ad apici regolari
del suo elettrocardiogramma. -Con tutta probabilità sono
sempre stato... omosessuale...” Aveva pronunciato con fatica
quelle parole, senza in realtà guardarlo in faccia,
sentendosi arrossire, invece, fino alle punte dei capelli. Era strano
riuscire ad ammetterlo così apertamente, senza troppi
intoppi. A lui doveva dirlo. Alla fine glielo doveva. C'erano tante
cose che non gli aveva ancora confessato. Che l'amava anche lui, per
esempio. Oppure che adorava come suonava. E che doveva insegnargli a
suonare come lui, perché per quanto si impegnasse, non ci
riusciva proprio.
“E' cambiato qualcosa in
te?” Gli domandò con gli occhi chiusi e
la mano che, per quel che poteva gli scivolava su e giù per
la schiena in lente carezze, morbide e distratte. Per lui sicuramente
non era cambiato nulla. Era suo e lo sarebbe stato per quel poco di
tempo che gli era restato. Lo sentì dissentire, Mark, pur
senza guardarlo.
“Avrebbe dovuto cambiare
qualcosa?” Gli chiese per tutta risposta, alzandosi ed
aggirando il lettino, portandosi dal lato dove non si trovavano
impedimenti quali flebo e macchinari vari. Non gli servì
nemmeno parlare che già Violin si era spostato di poco,
stando ben attento a non dare scossoni alla flebo e gli aveva lasciato
abbastanza spazio da stendersi comodamente su di un fianco.
“Tu eri quello convinto di
essere etero.” Gli fece notare candidamente il musicista,
arruffandogli i capelli e ricevendo uno sbuffo per risposta. Sapeva
quanto quel gesto potesse infastidire l'altro. Ma aveva bisogno di
toccarlo. Di sentirlo vicino. Di sentirlo suo. Reclamò un
bacio, invece, e venne subito accontentato. Pace ristabilita a causa
della sua malattia. Che ironia.
“Sarebbe bello presentarti ai
miei.” Esordì di nuovo Stradivari, dopo essersi
steso comodo su un fianco, posato sull'altro per buona parte e con il
capo accoccolato sulla sua spalla. Era comodo. Decisamente comodo.
L'aveva pensato tutte le volte che si era attaccato a lui in quel modo
dopo aver fatto l'amore. Messo così si godette a pieno
l'espressione esterrefatta dell'altro, sorridendo trionfale tra
sé e sé. Sublime.
“E che gli diresti? 'Caro
nonnino, cara nonnina... questo è Mark Violin. Che
abbinamento del cavolo di nomi, tra l'altro, lo so... Ed è
il mio ragazzo. Mark, questi sono mio nonno e mia non... na... pronti
ad ucciderci entrambi a suon di padellate! Scappa!'” Gli
aveva fatto il verso, l'uomo, lasciandogli la libertà di dar
vita ad una risata divertita. Vivace e piena, tanto che si era contorto
fino a posare il volto sulla sua spalle per soffocarla lì,
così da non svegliare tutto il reparto. Solo quando si fu un
po' ripreso, riuscì a tirarsi nuovamente su, posando le mani
ai lati del volto di Violin, per poterlo guardare, prima di accasciarsi
nuovamente su un lato, afferrandogli una mano e giocherellando con
quella, distrattamente.
"Dai, pensati la scena. Non sarebbe
fantastico? Durante una cena di gala dai miei nonni, io che mi alzo in
piedi per fare un annuncio. Guardo i vecchi e mio padre, alla mia
destra prima. Tutta l'élite attorno a me, poi. Ed in fine
tu, alla mia sinistra. Calice in mano ed i mio miglior sorriso. Quello
che so rende tanto orgogliosi i miei. 'Signori miei.' Esordisco e
già lascio un momento di pausa, facendogli pregustare una
delle tante idee sul mio futuro come musicista. Le sento nell'aria. Le
posso quasi vedere che prendono forma davanti ai miei occhi. Qualcuno
ha già le mani che fremono, pronte a partire in quella gara
di applausi che, è certo, seguirà dopo e che
invece io so già, non ci sarà. 'Volevo
annunciarvi che abbandono il Monteverdi e che ho deciso di trasferirmi
in Italia.' Cala un momento di silenzio congelato perché i
nonni non lo sanno, e mio padre nemmeno, ma tu si. Tu si
perché ci andremo assieme. Ci verrai, vero? Oh, e poi la
parte che preferisco. Tu ti alzi in piedi prendendomi per mano ed il
mio sorriso si accentua. Si addolcisce come succede solo quando sono
con te. 'Volevo inoltre annunciarvi che mi sono fidanzato.' Ed eccole.
Le loro facce sconcertate strette in una morsa di gelo. Ed è
una vittoria, la mia. Su di loro, su me stesso e quelli che erano i
miei tabù. E brindo, perché non c'è
altro da fare. Perché ho raggiunto quella libertà
che non avevo mai sfiorato prima. Ci pensi? Non sarebbe fantastico?"
Rimase per degli attimi ridicolmente lunghi in silenzio, Mark.
Osservandolo ed andando a carezzargli il capo con il naso e con le
labbra. Forse lo fece per nascondere quel sorriso malinconico, che poi
sfociò in una risata che anche alle sue orecchie
sembrò tutto fuorché sincera. E la sua mano
strinse maggiormente quella del violinista. Avrebbe voluto dirgli di
sì. Che sarebbe andato con lui in Italia. Che avrebbero
vissuto assieme lì o in qualunque altro luogo avesse scelto.
Avrebbe voluto, ma non lo fece.
"Ma tu sei tutto matto. Ti diseredano."
Lo avvertì, restando interdetto quando non
avvertì alcuna ribattuta o reazione da parte di Victor, che
si limitava a stare attaccato a lui. Un braccio attorno alla sua vita e
l'altro che tratteneva la sua mano senza troppa forza.
Abbassò lo sguardo sul suo volto trovandolo con gli occhi
bassi e le ciglia lunghe a coprirglieli, allargate e folte come i rami
di un albero d'autunno. Le iridi apparentemente dorate che componevano
quelle foglie prossime alla caduta.
"Lo so. E' quello che voglio." Sorrise
contro la pelle del collo di Mark. Un sorriso nascosto, ma solo per
lui. Un sorriso di quelli un po' timidi, un po' difficili da esternare,
perché dicevano tante cose. Dicevano che non gliele
importava davvero più nulla di appartenere a quella
famiglia. Che quel desiderio cui aveva appena dato vita era
ciò che davvero voleva. Che semplicemente gli interessava
stare con lui.
“Domani suoniamo qualcosa
assieme?” Violin gliel'aveva proposto parlando con calma,
passandogli il braccio destro sotto il capo e fungendogli
così da cuscino. Lo strinse maggiormente a sé e
cominciò a carezzargli, per quel che riusciva, la schiena,
il fianco ed il capo. Aveva ascoltato quanto il medico aveva comunicato
al violinista ed alla suora, e contava di star bene per il pomeriggio
successivo. Doveva stare bene, avesse dovuto essere l'ultima cosa che
avrebbe fatto in vita sua. Doveva essere con lui, l'indomani. Doveva
dargli quella libertà che sembrava tanto anelare. Victor
annuì contro la sua spalla senza aggiungere altro. Non aveva
voglia di pensare al giorno seguente. Si stava godendo il calore del
corpo dell'altro, in quel momento. E tanto gli bastava.
“Il medico... ti ha detto...
n-non devi fare... sforzi.- Tendersi contro quel corpo. Dentro a quel
corpo. Era una vertigine nuova ogni volta. Faceva male anche
a lui la disperazione con cui si era reso conto di averlo fatto suo.
Restò fermo immobile per qualche istante, senza badare a
quelle perle bianche che gli sporcavano il torace, concentrandosi
piuttosto su Victor, stravolto, sopra di lui. E pensare che di
lì a poco avrebbero dovuto esibirsi. -Ti odio. Quando fai
così... ti odio davvero. Ringrazio che al piano ci starai
tu, dopo. Non riuscirei a sedermi su quel coso.”
Brontolò Stradivari, allontanandosi da lui con una smorfia e
stendendosi completamente sul suo torace, usandolo come materasso. E
s'imbronciò quando lo sentì ridere di gusto,
scompigliandogli i capelli con una mano, mentre l'altra si premurava di
tenerlo legato a sé.
“Togliendo il fatto che sono
stato una settimana in astinenza, mi risulta che tu abbia fatto tutto
da solo.- Gli rispose con tono saccente, chiudendo gli occhi ed
inarcando, per quello che poté, la schiena. Diamine se era
duro il pavimento. Si erano rinchiusi in una delle sale insonorizzate
che utilizzavano per le prove e, causa un passo falso del violinista
che aveva cercato di rubargli un bacio, si erano trovati a fare l'amore
sul pavimento. Attenti a non urtare strumenti o oggetti dispersi per la
stanzina. Questo perché, sì, effettivamente lui
gli era letteralmente saltato addosso. Si sentiva in forma, nonostante
tutto. Forse un pensiero positivo era riuscito ad insinuarsi soave
nella sua testa, alla notizia di quel cuore che forse gli avrebbe
permesso di vivere una vita normale. -Grazie per esserti sacrificato
per la causa. E...” Si interruppe, Mark, scostandolo da
sé con delicatezza e mettendosi a sedere, recuperando un
pacchetto di fazzoletti dalla tasca della giacca della divisa,
passandone un paio al compagno, silenzioso, mentre l'altro cercava una
posizione un po' più comoda contro il pavimento, riprendendo
ancora fiato. Avrebbe voluto concludere dicendogli per l'ennesima volta
che l'amava. Ma non era il momento giusto. Aveva un piano. Un desiderio
anche lui. E forse Victor l'avrebbe ucciso, per questo, ma aveva poca
importanza: l'avrebbe fatto ad ogni costo.
“Devo farmi una doccia. Sono
stravolto.- Stradivari stava utilizzando una finestra chiusa come
specchio per controllare fino a dove era riuscito a sporcarsi,
pulendosi alla meglio con quella salviettina di carta che ben poco
toglieva. Ci aveva messo un po' a calmarsi ed a recuperare un briciolo
delle proprio forze, ed ancora in realtà si sentiva spossato
e stanco. Aveva un'espressione davvero stravolta, inoltre. I capelli
castani disordinati. Le labbra ancora rosse. Sottili come sempre, ma di
un colorito che le faceva risaltare ulteriormente su quella pelle
chiara. Le guance colorate da uno spruzzo porpora che rendeva ancor
meglio l'effetto sconvolto della sua figura. Però il suo
fisico era impeccabile come sempre. Magro ed un po' incavato. Con le
scapole sporgenti e braccia e gambe lunghe ed armoniche. Non si era
accorto, Mark, di avergli lasciato invece, tanti marchi rossi sul
collo. Ce n'era uno proprio dietro l'orecchio. Invitante. Un po' buffo,
forse, nel suo modo di spiccare tra la peluria chiara e le orecchie
arrossate di Victor, che probabilmente stava facendo i conti di quelle
che sembravano ghirlande su un campo di battaglia innevato. Lo
guardò di traverso tramite il riflesso fornitogli dalla
finestra, incrociando le braccia contro il torace. -Viò, se
vuoi ti faccio anche un poster a figura intera, più tardi,
con la mia foto. Ma al momento mi occorre che tu ti vesta e che ti
impari quella parte.” L'aveva ripreso, tamburellando
spazientito il piede a terra, volgendosi poi in sua direzione e
raccogliendo la felpa dell'altro per infilarsela alla bel e meglio
addosso, infilandosi poi i boxer, aderenti sì, ma abbastanza
lunghi da sembrare degli shorts. Forse un po' troppo shorts. Mark lo
squadrò dalla testa ai piedi, arcuando un sopracciglio.
“Tu non esci di qui vestito
così.” L'aveva minacciato quasi, incrociando le
braccia sotto il torace ed assottigliando il taglio degli occhi, in una
posa che si addiceva di più al ragazzo, piuttosto che a lui.
Victor sollevò gli occhi al soffitto, passandogli accanto e
dirigendosi verso la porta, carezzandogli piano i capelli con una mano,
seppure sbuffando esasperato.
“Non mi violentano per i
corridoi. Vado alle docce della piscina. Hai presente che sono a meno
di un minuto da qui?” Gli domandò retorico,
sollevando un sopracciglio, in barba a tutto. Sapeva che l'altro era
geloso. L'aveva scoperto da poco, effettivamente. L'aveva notato nelle
occhiate che dedicava ad Axel, quando stavano assieme. E ne aveva avuto
la certezza il giorno prima, quando gli aveva raccontato di quanto
accaduto tra lui ed il suo migliore amico.
“E io che avevo un regalo per
te. Ma credo che te lo darò dopo il concerto.”
Finse noncuranza, spostando lo sguardo altrove, tirandosi semplicemente
su l'intimo con un gesto sciolto. Distratto quasi. Stradivari si
fermò sulla soglia ad osservarlo con un'espressione
perplessa disegnata in volto. Le sopracciglia abbassate, in attesa.
“Va bene.” Se aveva
sperato che gli avrebbe dato la soddisfazione di chiedergli subito cosa
fosse, Violin si sbagliava di grosso. Era un tipo curioso di natura,
Victor, ma non in maniera eccessiva. Inoltre, gli aveva dato una
scadenza. Avrebbe atteso sino a quel momento ed in caso se ne fosse
scordato, o avesse omesso volontariamente di consegnargli quella
fantomatica “sorpresa”, l'avrebbe sollecitato
rompendogli sapientemente le scatole.
“Non sei curioso? Nemmeno un
po'?” Gli occhi dell'uomo si posarono indagatori sulla
schiena del violinista, registrando quel blando alzarsi delle spalle
dell'altro in un gesto noncurante. E sospirò. Victor
Stradivari, per lui, sarebbe rimasto un mistero sotto tanti punti di
vista. Però quella felpa non gli rendeva decisamente
giustizia. Storse le labbra nel fare quella considerazione, spostando
l'attenzione sulla tastiera che si trovava dall'altra parte della
stanzina.
“No. Non
particolarmente.” Dovette considerarsi fortunato se a quel
gesto con le spalle, gli aveva rivolto anche ben tre parole, nonostante
avesse palesemente la luna storta. Il suo ragazzo stava facendo
progressi.
“Così mi
offendi.” Ironizzò, drizzandosi in piedi forse
troppo rapidamente e barcollando appena. No. Non era stata la
velocità dei propri gesti. Il suo cuore accelerò
improvvisamente i propri battiti e per un istante tutto divenne troppo
chiaro, sfocato, davanti a lui. La testa cominciò a
pulsargli pesantemente, come se d'improvviso l'ossigeno presente
nell'aria non fosse sufficiente per lui. Si posò con un
gesto distratto, che voleva far passare per naturale, ad una parete.
“Vado a farmi la doccia. Tu
intanto p... riposati.” Stradivari dovette accorgersene,
perché cambiò d'improvviso il proprio ordine.
Volse appena il capo in sua direzione per controllare che non crollasse
a terra, pronto in realtà a soccorrerlo. I muscoli delle
gambe già tesi pronti a fare un passo, in avanti o
all'indietro, se fosse stato necessario. Ma il sorriso dell'altro
sembrò tranquillizzarlo, tanto che finalmente si decise ad
uscire, lasciandosi la porta aperta dietro le spalle. Probabilmente
un'accortezza per controllare che l'altro non stramazzasse.
Il dietro le quinte non era mai stato
così silenziosamente rumoroso.
Stradivari sedeva comodamente sulle ginocchia di Violin più
per vezzo che per necessità di stare seduto. Lo sguardo
concentrato ed altezzoso puntato verso il palco da dove provenivano le
voci di Kirya e Lizzy che cantavano. Vedeva il pubblico. Lo sentiva
rapito. Estasiato. Come se la tensione e l'eccitazione fossero
palpabili nell'aria. Una sensazione quasi tattile. Una sensazione che
inebriava tutti e cinque i sensi. Non avevano anticipato
niente a nessuno, di quella che sarebbe stata la loro performance a
quello spettacolo. Anche la loro partecipazione era stata incerta fino
all'ultimo. Ed invece adesso stavano deliziando la platea con un brano
tratto dal “Messiah” di
“Händel”. Non aveva mai sentito quella
sorta di bambola orientale cantare brani che non concernessero il
genere Pop o Rock, ma doveva ammettere che non si smentiva, con quella
voce che prendeva delle sfumature decise quando richiesto. Bisognava
ammettere però, che la moretta la superava senza
difficoltà, seppure con la sua straordinaria
capacità di non surclassarla. Di non coprirla o metterla in
secondo piano. Con la sua voce alta e morbida che non strideva mai,
eppure faceva venire la pelle d'oca. Sorrise quando, come per errore,
una chitarra elettrica penetrò tra le loro voci, lasciando
esterrefatto il pubblico, e facendo nascere un sorriso spontaneo sulle
sue labbra, quando Axel fece la sua comparsa sulla scena, entrando
dall'altra parte del palco. I capelli tornati neri, sempre un po'
troppo lunghi e con qualche riflesso di un blu elettrico che alla luce
dei riflettori brillava vivace. Un paio di jeans strappati facevano la
loro figura sul suo fisico magrissimo. Ed una camicia decisamente
troppo grande per lui, gli lasciava scoperta solo una parte del petto,
mostrando un tatuaggio di quelli da bambini che non si capiva cosa
fosse su una scapola. Gli scappò un sorriso divertito,
mentre si ritrovava a pensare che il suo amico si stesse comportando
esattamente come sempre. Ne fu sollevato. La musica cambiò
presto. Entrò la batteria ed assieme ad essa il basso. E
partì.
“Smell like teen
spirit”.
Perché loro
profumavano ancora di un'ingenuità ormai disillusa. Di
conoscenze che ancora si sperava fossero ignote. E di errori. Di
diversità. Di quei pericoli che tanti corrono nella vita. In
cui troppi incombono. Ed avrebbe voluto unirsi a loro. Gridare a
squarciagola quel ritornello. Per una volta senza limiti. Senza freni.
“A cosa pensi?” Gli
domandò Violin dedicando uno sguardo noncurante ai loro
compagni di scuola, guardandoli senza insistenza. Semplicemente
perché erano nella sua linea d'aria. Eppure non si
dimostrò arrogante. Tutt'altro. Sembrava piuttosto stanco e
che quell'espressione derivasse da quello. Tanto che quando sorrise
loro, d'istinto ricambiarono.
“Al fatto che il tuo nome ti
sta bene.” Ammise con tutta calma Victor, carezzandogli senza
malizia un braccio. Solo per coccolarlo. Solo perché gli
andava. Perché gli piaceva sentire a sua pelle a contatto
con la propria. Avevano optato per tenere entrambi solamente la divisa
scolastica estiva e le braccia erano rimaste scoperte per via delle
maniche corte della camicia.
“Mi sta bene?”
Domandò senza riuscire a trattenere un'espressione
interrogativa. Sbatte un paio di volte le palpebre, schiaffeggiando la
pelle sotto gli occhi con quelle ciglia chiare e lunghe che si
ritrovava. Annuì un paio di volte Stradivari, ciondolando il
capo al ritmo del ritornello della canzone e battendo il piede destro a
terra, coinvolto.
“Sì. L'origine
è Latina, credo. Significa 'caro a Marte'. E Marte, o Ares,
era il Dio della guerra. E' come quando chiami una bambina... che ne
so... Ilaria? Significa 'felice, ilare, gioiosa'. Se così
non fosse, dovrebbe cambiare nome, no?- Cercò di stare
dietro al suo ragionamento, Mark, dedicandogli una risata soffusa,
perché era strano quando il suo ragazzo se ne usciva con
discorsi simili. Gli conferivano un'ingenuità delicata che
non dimostrava con nessuno. Sarebbe stato uno dei ricordi
più belli che aveva di lui, di sicuro. Era bella quell'aria
assorta e volubile che assumevano i suoi tratti. Pronti ad indurirsi di
nuovo, in realtà, per lasciar spazio alla sua alterigia.
Annuì un paio di volte, per comunicargli che stava dietro al
suo discorso, invitandolo così anche a continuare. -Ti sta
bene, insomma. Sembri un Dio, quando suoni il Piano, o qualunque altro
strumento. Quando cammini per i corridoi oppure ti alleni. Sei
l'essenza della forza, nonostante tutto. Ne sei l'emblema ed
è tua. Sei forte come un guerriero di altri tempi e bello
uguale, con quel tuo orgoglio affatto prepotente e quella tua fierezza
che spesso cela una dolcezza inimmaginabile... non so se mi
capisci.” Aveva farfugliato quelle ultime parole preso da una
strana timidezza, Victor. Si era scoperto troppo, raccontandogli quanto
pensava di lui e si sentiva nudo davanti al suo sguardo chiaro, simile
al ghiaccio sul punto di liquefarsi. Era sul punto di ribattere,
Violin, ma uno scroscio di applausi annunciò il loro turno.
Solo in quel momento si resero conto degli sguardi sconcertati di
quelli che stavano con loro da quella parte del palco. Soprattutto
quando le braccia di Mark si strinsero più forte attorno la
sua vita. Si volse in parte a sorridere al compagno, Stradivari, per
poi guardare i loro colleghi che li stavano fissando, se possibile,
ancora più allibiti. Sorrise anche a loro. Un sorriso vero.
Sincero per una volta. Il sorriso di chi in quel momento sta bene con
se stesso e con il mondo. Violin gli si avvicinò
all'orecchio, intanto, soffiandovi un bacio ed ignorando, per contro,
quegli spettatori un po' troppo invadenti.
“The Show
Must Go On.” Glielo sussurrò,
costringendolo ad alzarsi dalle sue gambe. Si congratularono con il
quintetto che abbandonava la scena, salutando con un abbraccio le due
ragazze che si erano esibite, scambiandosi occhiate complici. Di chi
già sapeva. Di chi approvava e viveva. Calcarono la scena
con decisa eleganza. Forti. Fiduciosi. Era un brano originale. Una
reinterpretazione di quanto loro stessi avevano composto in
quell'ultimo periodo. L'avevano riadattato assieme quella mattina
stessa e l'avevano provato si e no un paio di volte, ma sembrava uscire
da solo dai loro strumenti. L'uno con il violino, l'altro con la viola.
Un botta e risposta che nasceva spontaneo, come se tramite quegli archi
stessero comunicando direttamente le loro anime. I loro sogni vennero
liberati nell'aria tramite quelle note che si susseguivano -prede e
cacciatori- e poi danzavano -dame e cavalieri. C'era un modo che
prendeva vita nelle loro mani, come se loro fossero gli Dei che lo
stavano generando in quel momento. La forza del caos, che veniva
interrotta dalla morbida carezza della luce e che alla fine si riempiva
di suoni e di colori nuovi. Ordinati e ben delineati. E c'erano
ricordi, in quella melodia. Un incontro fatto di sguardi penetranti ed
astiosi. D'insofferenza reciproca e di occhiate lanciate di nascosto.
Di risate fatte tra amici e di gelosie che avvolgevano il cuore come
serpenti, iniettando il loro aspro veleno. Parlava di brividi, quella
sinfonia. Quelli sollevati per lo scampato pericolo e quelli
arrabbiati. Quelli provocati dallo schioccare di un bacio e quelli per
la paura di perdere qualcuno di caro. C'erano nove mesi della loro
vita, lì dentro. E li stavano offrendo al pubblico con il
cuore aperto. Una nota grave concluse il pezzo. Una nota che
sembrò incombere nella sala come una minaccia. Un presagio
di disfatta, perché anche
gli Dei muoiono. Mark si avvicinò lentamente a
Victor, passandogli un braccio attorno al collo in un gesto che in un
primo momento non sembrò pesare, al violinista, lasciandolo
interdetto solamente quando lo baciò innanzi all'intero
pubblico. Aveva sancito la fine, con quel sapore un po' dolce ed un po'
ferroso che gli aveva lasciato sulle labbra. Si inchinarono davanti
alla platea, e nel silenzio lasciato dallo sconcerto nel pubblico, un
tonfo ed un'altra nota grave si tesero nell'aria, suonando come una
campana a lutto.
Ecco a voi un regalo di pasqua :)
Manca l'Epilogo e credo che lo pubblicherò domenica prossima
:)
Vi auguro una buona pasqua, ragazze.
Un grazie a chi ha seguito questa storia. Nel prossimo capitolo
ringrazierò come si deve =)
Qui (Un
piano rovinato dalla morte) c'è una piccola Shot realizzata da Red Leaves per questa storia. E' ambientata prima degli avvenimenti di questo capitolo. Vi prego di leggerla, perché è davvero piacevolissima :)
Un abbraccio.
|
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Capitolo 12 *** Epilogo. Quelle note sono lacrime sul pentagramma. ***
Epilogo: Quelle note sono
lacrime sul Pentagramma.
Era una semplice lapide bianca in mezzo alle tante e lui la
stava fissando da almeno mezz'ora in silenzio. Non poteva pregare. Non
perché non gli fosse mai stato insegnato, ma
perché sarebbe stato inutile. Nonostante lui avesse visto
Mark come un angelo piombatogli giù dal cielo senza un
motivo reale, per il mondo in cui era vissuto, lui risultava qualcosa
di sbagliato. A cosa sarebbe servito pregare? Appoggiò una
mano sulla pietra che formava quella croce. Il nome e quei pochi dati
che concernevano Violin erano stati incisi bianchi sul bianco. Aveva
anche discusso con i suoi nonni perché sulla lapide fossero
incise poche parole. “Tu sei infinito, e dentro quei tasti,
infinita è la musica che puoi suonare.” Le aveva
fatte incidere a proprie spese, alla fine. I suoi parenti non avevano
apprezzato lo spettacolo che lui e quel “trovatello da
quattro soldi” avevano dato a scuola, davanti a tutti.
Sfiorò quelle parole con le dita, sentendole in rilievo
sulla superficie irregolare della pietra, mentre lui le fissava, senza
leggerle, però. In quell'anno le aveva riviste e sentite
sotto i polpastrelli tante di quelle volte che ne conosceva ogni
imperfezione. Quella dannata lapide bianca. E quel maledetto candore
che alla luce del sole estivo diventava quasi fastidioso. Tanto che il
riverbero gli graffiava gli occhi come un animale ferito, facendogli
avvertire un''insana voglia di piangere. Dei passi alle sue spalle lo
misero in allerta, quando gli arrivarono alle orecchie, ma non si
voltò. Immaginava chi poteva essere.
“Hai guardato quel dvd?” La voce di Kirya
si fece spazio nelle sue orecchie, senza che lui la sentisse davvero.
In quel momento aveva chiuso il mondo fuori. Dalla sua testa. Dal suo
cuore. Annuì semplicemente. Ma quasi di sicuro avrebbe
assentito a qualunque domanda. Fu il tocco discreto di una mano sul suo
braccio a costringerlo ad uscire dalla conca del suo malessere. Due
pozzi neri lo stavano osservando dal basso, incorniciati da boccoli
corti e pieni. Elisabetta aveva uno sguardo triste che non le aveva mai
visto addosso e nella piccola mano teneva un fazzolettino che gli
passò sul viso, abbracciandolo. Era già passato
un anno. Il braccio di Axel cinse il suo in un gesto che se avesse
potuto, probabilmente si sarebbe alzato sulle sue spalle, ma la
differenza di altezza dava qualche piccolo problema. Andy invece gli
stava davanti. Il capo chino e le braccia che cingevano la grossa croce
come probabilmente avrebbero fatto se innanzi a lui avesse avuto Mark
stesso. Erano ancora loro. Tutti e quattro assieme a ricordare
quell'evento. Erano rimasti uniti nonostante tutto. Nonostante i
rifiuti. Nonostante le minacce. Nonostante le ripicche. Loro erano
ancora lì. Violin era morto il giorno dopo il concerto, a
seguito di diverse ore in sala operatoria. I medici avevano tentato un
intervento disperato, ma era stato inutile. La malattia aveva preso il
sopravvento e se l'era portato via lasciandoli sgomenti. Il giorno
seguente Kirya gli aveva consegnato una busta da parte del musicista
contenete degli spartiti ed un dvd. “Victorious”
era il titolo del componimento che riempiva le rigature e Stradivari
non aveva potuto fare a meno di sciogliersi in un pianto disperato. Da
allora non aveva più spanto una lacrima. Aveva provato a
suonare quella melodia a violino, qualche mese dopo. Più
tranquillo. Con il dolore che si faceva sentire meno pesante nel suo
petto. Ed aveva scoperto che non era altro che la melodia che aveva
suonato a pianoforte nel teatro della scuola. La prima volta che
avevano fatto l'amore. Ma non aveva mai preso il coraggio a due mani ed
affrontato quella registrazione. Almeno fino a due giorni prima
dell'anniversario della sua morte. Era il momento di farlo. Glielo
doveva, infondo.
“L'ho guardato ieri l'altro, Hayama.” Le
comunicò, voltando le spalle alla lapide e tirando di nuovo
su il viso, allontanandosi verso la macchina che li aspettava tutti e
cinque fuori dal cimitero con quella forza e quell'eleganza che da un
po' di tempo a quella parte era tornato a sfoggiare con testardaggine.
La testardaggine di chi ha capito il messaggio, visto che il dvd
conteneva la registrazione del piccolo show che avevano allestito per
lui i ragazzi, in classe. C'era solo quella canzone: “The
show must go on”. Un ammonimento. Un avvertimento. Una
raccomandazione. Una richiesta. L'aveva interpretata in tanti modi, ma
aveva capito finalmente, perché Mark gli avesse dedicato
proprio quella canzone. La ragazzetta gli sorrise dolcemente,
nonostante tutto. Nonostante il loro carattere così
tremendamente simile. E forse anche per quello. Lo poteva capire.
Poteva afferrare quel dolore che gli aleggiava attorno con una mano e
spolverarlo via un po' alla volta con l'altra, aiutata da quelli che
gli erano vicini. Axel gli era rimasto dietro di un paio di passi,
mentre Lizzy ed Andy avevano procrastinato, fermandosi qualche istante
di più sulla tomba del loro amico.
Era una cena di gala. Una cena di beneficenza. I suoi nonni
l'avevano organizzata sotto suo invito, ed i soldi sarebbero stati
devoluti all'orfanotrofio in cui era cresciuto Violin. Era stato
difficile far accettare alla sua famiglia quella che era diventata la
sua scelta di vita. Alla fine, come da programma, a loro interessava
solamente che il nipote stesse al loro fianco. Ma sua nonna si era
dimostrata insolitamente dolce, dopo avergli sentito eseguire
“Victorious”, mentre la provava in casa loro. Gli
si era avvicinata sorridendo di un sorriso pacato e signorile. Non
esprimeva gioia, ma una profonda stima per l'uomo che era diventato. Ed
un orgoglio radicato fin nel profondo del suo animo di anziana donna
benestante. Gli aveva preso le mani con premura, carezzandole con
quelle dita rugose, ma ancora forti, rese morbide dalla crema.
“Questo è suonare con il cuore,
Vittorio. Avrei voluto piangere dalla disperazione, nel sentire la tua
esecuzione, ma la vita di questo brano fa venir voglia di affrontare
qualunque dolore con forza. Fa venir voglia di andare avanti passo dopo
passo, nonostante le sofferenze che ci attanagliano.” Avrebbe
voluto piangere lui, in quel momento, ma non lo fece.
Abbandonò per un istante però quella maschera di
gesso e cera che aveva addosso, lasciando spazio di trapelare ad una
sofferenza profonda. Le aveva portato le braccia al collo, stringendola
a sé. Concedendosi quel gesto dolce e così intimo
con quella donna che si era fatta riscoprire ai suoi occhi. Con quella
donna cui somigliava tanto e con la quale condivideva lo sguardo acuto
e deciso. Quella che quando era bambino gli raccontava le favole.
Quella che quando era diventato adolescente aveva talvolta litigato con
il marito per le scelte che aveva fatto al posto del nipote. Quel
giorno aveva riscoperto una famiglia che non si ricordava di avere.
Non sarebbe
fantastico? Durante una cena di gala dai miei nonni, io che mi alzo in
piedi per fare un annuncio...
Si alzò in piedi, Victor. La coppa di spumante in
mano. Sollevata per annunciare un brindisi imminente. Si
guardò a destra e come da previsione trovò gli
occhi dei suoi parenti puntati su di lui. Lo sguardo severo e
distaccato di suo padre, ancora offeso probabilmente, per non avere un
figlio perfetto che preferiva portarsi a letto un uomo, piuttosto che
una donna. Quando gli aveva fatto presente che lui ancora non era
sposato e che sperperava i suoi soldi con le prostitute, quello gli
aveva ringhiato contro che l'avrebbe diseredato. Lui gli aveva risposto
con un'alzata di spalle e la sua migliore faccia di bronzo dicendogli
che finché il suo, di padre, era vivo, a lui non spettava
neanche un ninnolo di quello che era il patrimonio di famiglia. A
seguire c'era il nonno. Incredibilmente di vedute più aperte
del figlio. Dopo una discussione più serrata, e la promessa
strappata che mai avrebbe abbandonato il violino, aveva accolto il
nipote a casa con le braccia aperte. Aveva uno sguardo severo,
però stava annuendo, invitandolo a continuare. E poi,
accanto a sé aveva sua nonna. Quella che era divenuta il suo
sostegno in quei mesi di tristezza. Quella che lo ascoltava ogni volta
che suonava il violino con disperazione, talvolta piangendo per lui.
L'aveva riscoperta di una bellezza inusuale, fatta di sorrisi ancora
timidi al marito. Di carezze posate a fior di capelli la sera. E di
abbracci forti nei momenti di sconforto. Di quella bellezza di chi sa
ancora amare. Quella era la sua famiglia. La sua gabbia dorata fatta di
pro e contro. Aveva solo dovuto accettarla, e tutto poi era venuto da
sé. Il suo sguardo passò poi
sull'élite della borghesia londinese, sorridendo con
sfrontatezza verso di loro, sollevando già il calice,
comunicandogli così di prepararsi al brindisi. In fine aveva
posato lo sguardo alla sua sinistra. Lizzy, Axel, Kirya, Andy. Erano
lì, con lui. Solidi bastioni attorno alla sua struttura
così instabile e fragile. Lui mancava, però. A
loro sorrise con maggiore convinzione. Un ringraziamento.
“Signori, avrei un annuncio da farvi...”
“The
show must go on”
The end
Lo so, questo epilogo non dice
nulla di più di quanto non si sapesse già.
Mi spiace che la storia
sia risultata piatta. Più di qualcuno me l'ha fatto notare.
Però,
sinceramente, come prima avventura yaoi, io ne sono soddisfatta. Ci ho
lavorato tanto e mi sono davvero affezionata a tutti i personaggi che
ho creato.
Spero che almeno una
parte di questo affetto sia arrivata anche a chi legge.
Ringrazio chi ha
recensito positivamente e negativamente la mia storia. Le batoste
servono per crescere.
Ringrazio RedLeaves,
perché mi ha sopportato durante la stesura del racconto (lui
che lo yaoi non può nemmeno vederlo) e io comunque gliene
parlavo XD E poi, arrivando addirittura a scrivere un piccolo spin-off
che vi consiglio di leggere (il link è allo scorso capitolo).
Ringrazio Andy,
perché Strà e Viò sono merito suo.
Perché è stato fonte di consiglio durante i
nostri meeting e training autogeni al McDonalds X°D
Perché mi spiace di avergli ucciso un personaggio che a
detta sua NON doveva morire XD (immagino i più siano
d'accordo con lui =P)
Vi abbraccio tutti :)
Herì <3
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