What lasts forever: the ballad of a Guilty Love

di arwen_eli
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strofa I ***
Capitolo 2: *** Strofa II ***



Capitolo 1
*** Strofa I ***


A Val, la mia amour.
Per il tuo primo passo verso il “diventare grandi”,
sarò orgogliosa di poterti essere accanto.

A Rea, il genio, l'amica.
Per essere quella che sei.
Per capirmi sempre, anche quando penso che nessuno potrebbe.

A Momy, la mamma, la donna.
Per la vita che ti aspetta. Ora, domani, quando vorrai.
Sarò con te, quando aprirai la porta per andare là fuori.

A Lu, la mia Principessa.
Perchè sei la mia coscienza, l'angioletto sulla mia spalla.
L'angioletto che non si fa scrupoli a buttare l'aureola nell'immondizia.




What lasts forever: the ballad of a Guilty Love.



Who broods upon what he calls our guilty love:—
Tell him that my love for you, no less than my love for him
Wrought out my destiny—that through the flesh
I won spirit, and through spirit, peace.
There is no marriage in heaven
But there is love.


Edgar Lee Masters – Spoon River Anthology




Una dopo l'altra.
Le avrebbe potute contare ad una ad una.
Un continuo sgocciolio, con la capacità di penetrare la mente, fino ad amplificarsi in un pensiero totalizzante. Aveva provato di tutto, per fingere di non sentirle, ma non c'era alcun modo di isolare quel suono. Oltrepassava ogni barriera, ogni gesto, ogni tentativo di liberarsene.
Gocce. Sul pavimento.


Plin. Plin. Plin.


Finirò al manicomio, sempre che non mi ammazzino prima.


Aveva lanciato un'occhiata indolente alla sua bacchetta, stretta tra le dita ossute, e gli era venuto da ridere. Era buffo come fosse riuscito a maturare tutta quell'autoironia, in solitudine. Si trovava spesso a ridere da solo della sua situazione, a prendersi in giro per il suo aspetto trasandato, per le fughe notturne, per i pasti frugali, sottratti come un vagabondo alle case o cacciati nei boschi, come un primitivo.
Dieci anni fa sarebbe inorridito, immaginandosi in una tale situazione. Ora non riusciva a fare a meno di trovarla divertente. In un modo stranamente macabro, ma divertente.
Sua madre si sarebbe preoccupata per la sua magrezza, per la barba incolta, per i capelli spettinati e gli abiti sgualciti. Aveva scacciato l'immagine del sorriso dolce di Narcissa scuotendo la testa, ricacciando in gola il magone che pensare a lei gli provocava.

Era cresciuto in fretta, per essere un Purosangue viziato, ma la guerra non fa sconti per nessuno, specialmente quando capisci troppo tardi di esserti schierato dalla parte sbagliata.
Aveva solo sedici anni quando era stato marchiato e Lui non si era nemmeno posto il problema della sua età. Era un nuovo schiavo, un altro burattino di cui muovere i fili, sapendo di poterli tagliare a suo piacimento, null'altro contava. Non importava che fosse poco più di un bambino, che non avesse vissuto nemmeno la metà delle esperienze che un uomo dovrebbe vivere, prima di decidere di votare la sua esistenza ad una causa, quale essa sia.
Ma c'era un motivo per cui questo non era rilevante: Draco non aveva deciso, semplicemente perchè non aveva mai pensato che ci fosse in ballo una scelta; era il figlio di Lucius Malfoy, non aveva altra possibilità che seguire gli ideali che gli erano stati insegnati, che seguire le orme di un padre che ammirava oltre ogni misura e che lo aveva cresciuto tra l'amore, i vizi e la Magia Oscura.
Aveva sedici anni e delle convinzioni ferree, inamovibili, come solo quelle di un adolescente e di un pazzo possono essere. E così, con l'incoscienza di un ragazzino, aveva messo la sua esistenza nelle mani di un folle ed offerto il suo braccio al simbolo di morte che ancora portava.
Rideva ancora Draco, nel silenzio di quella solitudine rotta soltanto dalle gocce che cadevano sul terreno; rideva della sua ingenuità, dei suoi ideali costruiti su fragili impalcature di sabbia, miseramente crollati davanti agli occhi di suo padre, che guardavano la bacchetta dell'Oscuro Signore puntata alla sua gola.


Mi dicevi sempre che la vita è per metà menzogna e per metà apparenza e che per sopravvivere tra i Purosangue dovevi soltanto capire a chi mentire meglio.
Ma non si può mentire sempre, non con Lui.


Accarezzava il Marchio con un dito, sopra il tessuto della camicia. Non aveva alcun bisogno di guardarlo per sentirlo. Bruciava. Sempre, ancora, senza scampo.
Lo chiamava ancora.


Brucia anche a te, Lord?
Ti brucia che il tuo soldato migliore giochi all'eremita nei boschi?


Era cresciuto in fretta per la guerra e diventato ancor più vecchio nella fuga.
Suo padre l'avrebbe schernito per l'aria da eroe tragico che aveva in quel momento: seduto sul ciglio di una branda, che altro non era che un masso trasfigurato, la testa tra le mani, con i capelli ormai troppo lunghi – troppo simili ai suoi, gli avrebbe detto – che gli scivolavano tra le dita.
Finito a vivere tra i boschi, un animale braccato da cacciatori esperti, senza alcuna possibilità di respiro.

Un anno.


Era in fuga ormai da quasi un anno.
Scappava da tutto, da tutti. Nessun posto era sicuro, al di fuori dei nascondigli che era riuscito a trovare, ma che doveva abbandonare periodicamente, per evitare di farsi vedere troppo spesso anche dai babbani che abitavano i paesini da quelle parti.
La sua grotta era “casa” da circa tre mesi. Presto avrebbe dovuto lasciare anche quella, prima che qualche Mangiamorte o gli Auror lo trovassero dormire beato come un troll di montagna.

Nessuno doveva vederlo, trovarlo. Non poteva fidarsi.
Aveva tradito la sua causa, tutto ciò in cui aveva investito fin dall'inizio. Era braccato dai suoi stessi sottoposti, dai suoi uomini, mentre quelli che gli erano rimasti fedeli erano probabilmente già stati illuminati dalla luce verde tanto amata dal loro Padrone.
Già, un Padrone. Ci aveva messo anni a capirlo, ma Voldemort non era altro che quello: signore delle loro vite e della loro volontà, anche a costo di ottenerle a suon di Maledizioni.
Lui era stato la sua eccezione, ma era servito a poco.
Per il resto del Mondo Magico, invece, era e sarebbe sempre stato Malfoy, quello che aveva guardato morire suo padre ed era rimasto al fianco del suo assassino.

Se solo sapessero.


Ricordava ancora le prime notti tra gli alberi, gli abiti umidi, che rimanevano gelidi anche dopo incantesimi riscaldanti o dopo averli fatti asciugare accanto al fuoco. Non avrebbe mai dimenticato i brividi, il dolore ad ogni articolazione per l'aver dormito sul terreno, l'intorpidimento alle gambe per il freddo intenso delle notti inglesi.


Un Principino spodestato, ecco cosa sembravi.


Non era la prima volta che dormiva all'addiaccio, non con tutti i combattimenti degli ultimi sette anni. Ma era sempre stato preparato, per le incursioni e non era mai stato solo. Aveva sempre avuto con sé altri uomini, che il Signore Oscuro gli aveva affidato come squadra.


Il giovane orgoglio di Voldemort.


Nessuno, guardandolo ora, avrebbe pensato a lui come ad uno degli esponenti delle famiglie di maghi con il sangue più puro del Regno Unito. Men che meno avrebbero pensato al giovane rampollo dei Malfoy, ormai da tutti conosciuto come il Mangiamorte per eccellenza, il braccio destro di Voldemort, fiero nipote di Bellatrix Lestrange.
Non era altro che un vagabondo ora.


Hai rimuginato abbastanza per oggi. Muovi il culo.


Aveva maturato la pessima abitudine di parlare da solo, in quei mesi, almeno per evitare di impazzire per il continuo silenzio che lo circondava, lo faceva prevalentemente nella sua mente, ma alle volte finiva per parlare anche a voce alta, quasi come volesse tenere la voce in allenamento, per quando avrebbe di nuovo rivolto la parola a qualcuno che non fosse se stesso o gli animali del bosco.
Si era alzato lentamente, puntando con le mani sulle ginocchia ed aveva afferrato il suo mantello, che giaceva disordinatamente buttato sul fondo della branda. Se l'era messo sulle spalle con un gesto rapido ed aveva alzato il cappuccio, fino a coprirsi quasi gli occhi.

- Andiamo a caccia, su -.






Una storia che mi ha investita come un autotreno con quattro rimorchi.
Ho provato a resistere, a fingere di non volerla scrivere, ma non c'è stato scampo.
Ambientata a circa sette anni dalla partenza del Trio alla ricerca degli Horcrux, con la differenza, non trascurabile, che questa ricerca non è terminata e che Voldemort zompetta ancora felicemente sul pianeta, lanciando qui e là qualche Maledizione Senza Perdono.

La guerra si trascina al limite con la guerriglia, qualcosa che può ricordare una Resistenza partigiana, con battaglie sporadiche sparse nel Paese, tra sparuti gruppi di combattenti delle due fazioni, mentre ai “piani alti” si raccolgono le forze per sferrare l'attacco decisivo.

Altre notizie arriveranno con il resto della storia.
Secondo la mia idea dovrebbe essere una mini-long, non più di 4-5 capitoli, anche perchè vorrei tornare a dedicarmi a B&H, ispirazione anarchica permettendo.

Ringrazio Val (Valaus) per avermi concesso senza colpo ferire di farmi prendere ispirazione dalla sua “The Ballad of Azkaban Gaol” per l'idea della goccia e Rea (Poison Spring) per il solito impareggiabile aiuto con il titolo.

E ringrazio voi, al solito, per essere arrivati fino a qui.

<3


Vi ricordo che se vi va, per spoiler, anticipazioni, qualche sclero e qualche foto di maschi nudi potete venire a trovarmi su Facebook. Sono QUI. xD

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Capitolo 2
*** Strofa II ***


They brought them dead sons from the war,
And daughters whom life had crushed,
And their children fatherless, crying—
All, all are sleeping, sleeping, sleeping on the hill.

Edgar Lee Masters – Spoon River Anthology



Hermione Granger era una donna semplice.

Agli occhi di chiunque la guardasse, ma specialmente dei suoi amici era sempre stata lineare, razionale, la personificazione della mente. Anche quando sembrava lanciarsi in imprese che potevano apparire pericolose o incaute, dietro a queste decisioni si nascondevano piani meticolosi, che non lasciavano nulla al caso e che rivelavano le lunghe riflessioni che lei aveva speso prima di decidere.
Hermione era una persona generosa, altruista, infinitamente coraggiosa, che si batteva per gli ideali in cui credeva con lo stesso ardore, sia che si trattasse del C. R. E. P. A. ai tempi della scuola o delle battaglie contro l'esercito di Voldemort.
Metteva tutta se stessa, tutta la sua mente, tutto il suo ingegno al servizio di una causa superiore, fino ad immergersi completamente in quel che era la sua missione, facendone il solo scopo delle sue giornate, finchè non arrivava ad una soluzione. E faceva tutto ciò senza far pesare nulla, senza che mai dalla sua bocca uscisse una lamentela per il troppo lavoro. Anzi, al massimo, arrivava a rimproverare che le era vicino perchè non si impegnava a sufficienza, piuttosto che il contrario.


Quella davanti ai suoi occhi non era Hermione Granger.


Per mesi l'aveva vista sorridere davanti agli sguardi di chiunque, stringere in stentati abbracci ogni membro della famiglia Weasley, trattenere le lacrime e ricacciarle in gola ogni volta che Molly le chiedeva di restare alla Tana, di non andare via, di restare e di dormire in quella casa, in quella stanza, per sentirla meno vuota, almeno finché c'era lei. E lei le si avvicinava, la abbracciava e le rispondeva che si, sarebbe rimasta.
L'aveva guardata cercare di essere la roccia su cui tutti potevano contare, la sola che non sarebbe crollata, che avrebbe mantenuto il controllo, perchè in guerra queste cose succedono e non è possibile nascondersi in un polveroso ripostiglio ad attendere che il trambusto passi, che la guerra, finisca, che il dolore si spenga.

Lei, Hermione.

La razionale, la forte, non avrebbe abbandonato nessuno, men che meno se stessa, nonostante la sofferenza, nonostante il mondo intorno a lei si stesse sgretolando, a partire da ciò che aveva più vicino.
Non vedeva i suoi genitori da più di sette anni, da quando li aveva mandati in Australia, totalmente ignari della sua esistenza, proprio grazie al suo talento.
Sarebbe tornata a prenderli presto, li avrebbe ritrovati, lo aveva sempre detto lei e lo avevano pensato tutti, ma quella guerra non accennava a finire, la ricerca degli Horcrux non aveva dato grandi frutti e Voldemort continuava a nascondersi dietro piccole battaglie con niente più che inutili marionette.
Da quasi due anni non c'erano scontri degni di essere chiamati tali, dopo la battaglia che avevano combattuto nei dintorni di Didsbury. Era stata l'ultima volta che aveva visto Voldemort, che aveva avuto la possibilità di combattere con il suo solo nemico. L'ultima volta che erano stati tutti e tre insieme, a combattere come ai tempi di Hogwarts.


L'ultima volta che aveva visto combattere la sua Hermione.


Qualche settimana dopo quella battaglia, Hermione e Ron erano stati assegnati ad una divisione di Auror che avrebbe pattugliato le regioni all'estremo nord della Scozia, per circa sei mesi, nel tentativo di scovare i nascondigli dei Mangiamorte, ma anche alla ricerca degli Horcrux rimasti.
Hermione aveva avuto un'idea, il cui sviluppo era risultato nella messa in atto di quella missione, quindi era normale che volesse essere presente alle ricerche.
D'altro canto Ron non avrebbe mai accettato di stare mesi lontano da lei, non quando, a poche ore dalla fine della battaglia di Didsbury, aveva vinto tutte le sue indecisioni e le aveva chiesto di sposarlo. In quelle condizioni, ogni minuto passato separati sarebbe stato soltanto una tortura, per entrambi, oltre che un rischio, perché tutti e due sarebbero stati distratti, ognuno preoccupato per la sorte dell'altro.
Ron gli aveva chiesto di mandarlo con Hermione e lui aveva acconsentito.
Non l'avesse mai fatto.


Forse sarebbe ancora vivo.


Magari non sarebbe stato dietro quell'albero, fuori da una casupola apparentemente disabitata, in cui avevano ritrovato tre agguerriti Mangiamorte, insieme alla Coppa di Tosca Tassorosso. Ron era stato catturato, quasi in uno scambio per l'Horcrux che avevano conquistato.
Hermione si era smateralizzata immediatamente, il cimelio tra le mani e l'aveva riportato al Quartier Generale. Harry se l'era ritrovata in piedi nel suo ufficio, scarmigliata, le mani sporche di terra e sangue, strette intorno ai manici di quella Coppa.
Le aveva chiesto spiegazioni, aveva cercato di capire perchè fosse così sconvolta e lei aveva detto soltanto poche parole:


“Hanno portato via Ron. Abbiamo preso un Horcrux, lo devo distruggere.”

L'aveva portata in un luogo tranquillo e aveva lasciato che la distruggesse, osservando le lacrime scorrere sulle sue guance e, per la prima volta nella sua vita, vedendole un'espressione d'odio sul volto.


Non l'aveva mai più vista così.


Probabilmente lei aveva capito.
Per settimane avevano atteso notizie, avevano pattugliato i boschi, avevano cercato ovunque una traccia che portasse a Ron, anche soltanto un bisbiglio.
Per settimane non avevano avuto altro da stringere tra le dita che non fosse l'aria gelida di quell'inverno nevoso.
Erano appena passate le feste di Natale, per la prima volta celebrato in sordina per quella chiassosa famiglia, dove quel posto vuoto faceva troppo rumore per poterlo sovrastare con i suoni di una festa. Il piccolo Fred, figlio di George e Angelina, era stato l'unico ad avere il coraggio di nominare quell'assenza, di chiamare, con la sua vocetta infantile, lo zio che lo faceva volare sulla piccola scopa che gli aveva regalato.
Hermione l'aveva preso in braccio e l'aveva vestito, imbacuccandolo nella sua sciarpa Gryffindor.  
L'aveva fatto volare per quasi un'ora, sola, nel giardino.
Nessuno aveva parlato.

Poi d'improvviso, una mattina, così come l'avevano portato via, l'avevano restituito.
Il corpo di Ron era stato ritrovato davanti alla Tana, beffardamente appeso per le mani ai fili a cui Molly aveva sempre steso i panni della sua enorme famiglia.
Avevano portato loro un involucro vuoto, su cui riversare tutte le lacrime di una madre distrutta.
La Tana era stata svegliata dall'urlo atroce di Fleur, che avevano ritrovato inginocchiata sui gradini dell'ingresso, la camicia da notte bagnata dalla neve, le mani infangate tra capelli, che le erano scivolati davanti agli occhi, mentre fissava il corpo del cognato.
L'immagine della grazia andata in pezzi dinnanzi allo scempio del cadavere di un ventenne.
Bill l'aveva presa in braccio e l'aveva portata in casa per asciugarla e scaldarla, mentre il resto della famiglia si accalcava sulla porta, tentando di uscire, per poi ritrarsi istintivamente appena messa a fuoco l'immagine che si presentava loro davanti.
Soltanto Molly era impietrita sulla soglia, entrambe le mani a coprire la bocca, aperta in un urlo muto, mentre Charlie e George si avvicinavano al corpo del fratello per posarlo a terra, finalmente affrancato da quell'indecente esposizione.
Hermione non aveva detto una parola, non aveva urlato, né pianto. Si era stretta a Ginny, in completo silenzio, non staccando gli occhi nemmeno per un secondo da quello che sarebbe dovuto essere l'uomo della sua vita.
Nemmeno in quel momento aveva perso il controllo.

Ma ora, davanti ai suoi occhi, Hermione non era più la stessa.
Aveva avuto notizia, circa sei mesi prima, tramite un gufo da parte della sua squadra, sperduta nella brughiera scozzese, di un certo sconvolgimento tra le fila di Voldemort, che nessuno aveva saputo spiegare. Erano arrivate voci riguardanti un tradimento, un abbandono, ma nessuno sapeva quanto di questo fosse vero e chi fosse, eventualmente, la persona che aveva abbandonato. Da molti anni trapelavano ben poche notizie dal fronte nemico e tutti i Mangiamorte noti erano stato catturati oppure erano scomparsi senza lasciare traccia di loro, se non qualche sporadica comparsa nelle piccole battaglie.
Questo non valeva però, per quella che si poteva considerare la “Guardia Reale” di Voldemort. Quando lui era fuggito, durante l'ultima battaglia, lo stesso avevano fatto i suoi fedelissimi, che non erano più ricomparsi in alcuna occasione. Di Bellatrix, Rodolphus e dei due maschi Malfoy non si avevano notizie da allora.
La notizia di questa destabilizzazione, aveva risvegliato in Hermione una sorta di brama di sapere che somigliava per certi versi alla curiosità che l'aveva guidata a scuola, durante le onnicomprensive ricerche in Biblioteca. Dormiva pochissimo, mangiava alla scrivania, si fermava al Quartier Generale fino ad orari impossibili e quando veniva invitata ad andare a casa, per riposare un poco, portava con sé altra carta, per non smettere di lavorare nemmeno in quei momenti.
Ma non era questa la cosa strana. Quel che la rendeva inquietante era la smania di tenere ogni notizia per sé, di non condividere nulla, di non chiedere mai aiuto, ma anzi, di tenere quasi segreta ogni sua scoperta. Sembrava che la considerasse una questione personale.
Aveva iniziato a disinteressarsi di tutto e di tutti, si presentava alla Tana la domenica, come sempre, ma non parlava quasi con nessuno, si isolava accanto al camino rivolgendo sorrisi vuoti a chiunque la interpellasse.
Non era in lei, in quella sua completa indifferenza per il mondo che la circondava, per le persone che le erano state accanto fin da quando era bambina. Non era nemmeno mai tornata alla tomba di Ron, dopo il funerale. Aveva dedicato ogni suo respiro a qualcosa di meno che impalpabile, a indizi effimeri che conducevano su una pista diretta nel fitto del buio, senza alcuna guida, se non la sua voglia di giustizia.

Avrebbe dovuto immaginarselo, che sarebbe successo.

Una mattina l'aveva cercata in ufficio, per chiederle di andare a pranzo da lui e Ginny, per conoscere il piccolo James, ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Era sparita, con tutte le sue carte, i suoi libri e le sue supposizioni.
Aveva chiuso la porta di casa, lasciato in ordine la scrivania e sistemato tutti i suoi affari.
Non era da Hermione lasciare questioni da risolvere a chicchessia. Tutte era meticolosamente posato al proprio posto, aveva chiuso tutte le imposte e avvisato la proprietaria dell'appartamento che aveva in affitto che sarebbe mancata per un certo periodo, per lavoro.
Tutto era stato preparato con cura, tutto eccetto la sua famiglia.
Di primo acchito avevano pensato ad un altro rapimento, ma tutti questi accorgimenti avevano fatto capire che il suo allontanamento era volontario, che nessuno l'aveva aggredita.
Il tutto era stato confermato alla fine, dall'arrivo di un gufo alla Tana, a portare un biglietto, vergato dalla scrittura nervosa della ragazza:


Non preoccupatevi per me, devo risolvere alcune cose e scoprirne altre e non posso più farlo da dietro una scrivania.
Non voglio mettervi in pericolo più di quanto non lo siate già, per questo non vi ho mai detto nulla.
Tornerò appena mi sarà possibile.
Vi voglio bene, non dimenticatelo.
H.”


Avrebbe dovuto aspettarselo, che lei avrebbe combinato qualcosa.
La conosceva da anni e l'aveva fregato ancora.





La frase “L'immagine della grazia andata in pezzi dinnanzi allo scempio del cadavere di un ventenne” non è mia, è un gentile dono di Rea (Poison Spring) che l'ha utilizzata su msn per commentare l'anteprima della prima parte di questo capitolo. Giusto per farvi capire con chi ho a che fare io. xD

La citazione iniziale, come sempre sarà in questa storia, è tratta dall'Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters, trovata come sempre grazie all'insostituibile aiuto della mia Rea, che non mi abbandona mai, specie quando ci sono di mezzo Masters, Faber e la sua mania citazionistica.
La versione inglese è bellissima, ma mi piace l'idea di condividere con voi anche i versi di De Andrè che ne sono scaturiti:


... dove i figli della guerra
partiti per un ideale
per una truffa, per un amore finito male

hanno rimandato a casa
le loro spoglie nelle bandiere
legate strette perché sembrassero intere.”

(La Collina – Fabrizio De Andrè)


Visto come si sta evolvendo la storia inizio subito a dubitare della mia capacità di limitarmi a 3-4 capitoli, specialmente se continueranno a venirmi così corti. Rimangio quindi tutto ciò che avevo detto prima: non so quanti capitoli saranno, non riesco a farmi un'idea precisa al momento, ma vi renderò partecipi appena il mio unico neurone smetterà di pensare ai figaccioni e inizierà a concepire di stendere una scaletta di questa storia.
Per gli avvenimenti, invece, ho tutto in mente, fino all'ultimo secondo, quindi posso dirvi fin da ora che non sarà una storia semplice, come avrete capito. Non sarà una storia romantica, fluffosa e tenera. La gente è morta e morirà e ci saranno momenti parecchio pesanti da digerire... Preparatevi...

Con questo, ringrazio tutte le mie recensitrici, affezionate e non, ogni persona che si sia avventurata a leggermi, a inserirmi nelle preferite, nelle ricordate o nelle seguite. Apprezzo e amo ogni segno di vita decidiate di darmi.
Vi invito ancora una volta a farmi un saluto sulla mia pagina facebook, se vi va; troverete qualche spoiler e un po' di deliri.
Da qualche giorno ho anche twitter, se voleste passare di lì, vi attendo con piacere.

A presto.
<3

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