A
Val, la mia amour.
Per il tuo primo passo verso il “diventare grandi”,
sarò orgogliosa di
poterti essere accanto.
A
Rea, il genio,
l'amica.
Per essere quella che
sei.
Per capirmi sempre,
anche quando penso che nessuno potrebbe.
A
Momy, la mamma, la
donna.
Per la vita che ti
aspetta. Ora, domani, quando vorrai.
Sarò con te, quando
aprirai la porta per andare là fuori.
A
Lu, la mia
Principessa.
Perchè sei la mia coscienza, l'angioletto sulla mia
spalla.
L'angioletto che non si
fa scrupoli a buttare l'aureola nell'immondizia.
What lasts forever: the ballad of a Guilty Love.
Who
broods upon what he calls our guilty love:—
Tell
him that my love for you, no less than my love for him
Wrought
out my destiny—that through the flesh
I
won spirit, and through spirit, peace.
There
is no marriage in heaven
But
there is love.
Edgar Lee Masters – Spoon River Anthology
Una
dopo l'altra.
Le avrebbe potute contare ad una ad una.
Un
continuo sgocciolio, con la capacità di penetrare la mente,
fino ad
amplificarsi in un pensiero totalizzante. Aveva provato di tutto, per
fingere di non sentirle, ma non c'era alcun modo di isolare quel
suono. Oltrepassava ogni barriera, ogni gesto, ogni tentativo di
liberarsene.
Gocce. Sul pavimento.
Plin.
Plin. Plin.
Finirò al manicomio, sempre che non mi ammazzino prima.
Aveva
lanciato un'occhiata indolente alla sua bacchetta, stretta tra le
dita ossute, e gli era venuto da ridere. Era buffo come fosse
riuscito a maturare tutta quell'autoironia, in solitudine. Si trovava
spesso a ridere da solo della sua situazione, a prendersi in giro per
il suo aspetto trasandato, per le fughe notturne, per i pasti
frugali, sottratti come un vagabondo alle case o cacciati nei boschi,
come un primitivo.
Dieci
anni fa sarebbe inorridito, immaginandosi in una tale situazione. Ora
non riusciva a fare a meno di trovarla divertente. In un modo
stranamente macabro, ma divertente.
Sua madre si sarebbe
preoccupata per la sua magrezza, per la barba incolta, per i capelli
spettinati e gli abiti sgualciti. Aveva scacciato l'immagine del
sorriso dolce di Narcissa scuotendo la testa, ricacciando in gola il
magone che pensare a lei gli provocava.
Era
cresciuto in fretta, per essere un Purosangue viziato, ma la guerra
non fa sconti per nessuno, specialmente quando capisci troppo tardi
di esserti schierato dalla parte sbagliata.
Aveva
solo sedici anni quando era stato marchiato e Lui non si era nemmeno
posto il problema della sua età. Era un nuovo schiavo, un
altro
burattino di cui muovere i fili, sapendo di poterli tagliare a suo
piacimento, null'altro contava. Non importava che fosse poco
più di
un bambino, che non avesse vissuto nemmeno la metà delle
esperienze
che un uomo dovrebbe vivere, prima di decidere di votare la sua
esistenza ad una causa, quale essa sia.
Ma
c'era un motivo per cui questo non era rilevante: Draco non aveva
deciso, semplicemente perchè non aveva mai pensato che ci
fosse in
ballo una scelta; era il figlio di Lucius Malfoy, non aveva altra
possibilità che seguire gli ideali che gli erano stati
insegnati,
che seguire le orme di un padre che ammirava oltre ogni misura e che
lo aveva cresciuto tra l'amore, i vizi e la Magia Oscura.
Aveva
sedici anni e delle convinzioni ferree, inamovibili, come solo quelle
di un adolescente e di un pazzo possono essere. E così, con
l'incoscienza di un ragazzino, aveva messo la sua esistenza nelle
mani di un folle ed offerto il suo braccio al simbolo di morte che
ancora portava.
Rideva
ancora Draco, nel silenzio di quella solitudine rotta soltanto dalle
gocce che cadevano sul terreno; rideva della sua ingenuità,
dei suoi
ideali costruiti su fragili impalcature di sabbia, miseramente
crollati davanti agli occhi di suo padre, che guardavano la bacchetta
dell'Oscuro Signore puntata alla sua gola.
Mi
dicevi sempre che la vita è per metà menzogna e
per metà apparenza
e che per sopravvivere tra i Purosangue dovevi soltanto capire a chi
mentire meglio.
Ma non si può mentire sempre, non con Lui.
Accarezzava
il Marchio con un dito, sopra il tessuto della camicia. Non aveva
alcun bisogno di guardarlo per sentirlo. Bruciava.
Sempre,
ancora, senza scampo.
Lo chiamava ancora.
Brucia
anche a te, Lord?
Ti brucia che il tuo soldato migliore giochi
all'eremita nei boschi?
Era
cresciuto in fretta per la guerra e diventato ancor più
vecchio
nella fuga.
Suo
padre l'avrebbe schernito per l'aria da eroe tragico che aveva in
quel momento: seduto sul ciglio di una branda, che altro non era che
un masso trasfigurato, la testa tra le mani, con i capelli ormai
troppo lunghi – troppo simili ai suoi, gli avrebbe
detto –
che gli scivolavano tra le dita.
Finito
a vivere tra i boschi, un animale braccato da cacciatori esperti,
senza alcuna possibilità di respiro.
Un anno.
Era
in fuga ormai da quasi un anno.
Scappava
da tutto, da tutti. Nessun posto era sicuro, al di fuori dei
nascondigli che era riuscito a trovare, ma che doveva abbandonare
periodicamente, per evitare di farsi vedere troppo spesso anche dai
babbani che abitavano i paesini da quelle parti.
La
sua grotta era “casa” da circa tre mesi. Presto
avrebbe dovuto
lasciare anche quella, prima che qualche Mangiamorte o gli Auror lo
trovassero dormire beato come un troll di montagna.
Nessuno
doveva vederlo, trovarlo. Non poteva fidarsi.
Aveva tradito la
sua causa, tutto ciò in cui aveva investito fin dall'inizio.
Era
braccato dai suoi stessi sottoposti, dai suoi uomini, mentre quelli
che gli erano rimasti fedeli erano probabilmente già stati
illuminati dalla luce verde tanto amata dal loro Padrone.
Già,
un Padrone. Ci aveva messo anni a capirlo, ma Voldemort non era altro
che quello: signore delle loro vite e della loro volontà,
anche a
costo di ottenerle a suon di Maledizioni.
Lui era stato la sua
eccezione, ma era servito a poco.
Per
il resto del Mondo Magico, invece, era e sarebbe sempre stato Malfoy,
quello che aveva guardato morire suo padre ed era rimasto al fianco
del suo assassino.
Se solo sapessero.
Ricordava ancora le prime notti tra gli alberi, gli abiti umidi, che rimanevano gelidi anche dopo incantesimi riscaldanti o dopo averli fatti asciugare accanto al fuoco. Non avrebbe mai dimenticato i brividi, il dolore ad ogni articolazione per l'aver dormito sul terreno, l'intorpidimento alle gambe per il freddo intenso delle notti inglesi.
Un Principino spodestato, ecco cosa sembravi.
Non era la prima volta che dormiva all'addiaccio, non con tutti i combattimenti degli ultimi sette anni. Ma era sempre stato preparato, per le incursioni e non era mai stato solo. Aveva sempre avuto con sé altri uomini, che il Signore Oscuro gli aveva affidato come squadra.
Il giovane orgoglio di Voldemort.
Nessuno,
guardandolo ora, avrebbe pensato a lui come ad uno degli esponenti
delle famiglie di maghi con il sangue più puro del Regno
Unito. Men
che meno avrebbero pensato al giovane rampollo dei Malfoy, ormai da
tutti conosciuto come il Mangiamorte per eccellenza, il braccio
destro di Voldemort, fiero nipote di Bellatrix Lestrange.
Non
era altro che un vagabondo ora.
Hai rimuginato abbastanza per oggi. Muovi il culo.
Aveva
maturato la pessima abitudine di parlare da solo, in quei mesi,
almeno per evitare di impazzire per il continuo silenzio che lo
circondava, lo faceva prevalentemente nella sua mente, ma alle volte
finiva per parlare anche a voce alta, quasi come volesse tenere la
voce in allenamento, per quando avrebbe di nuovo rivolto la parola a
qualcuno che non fosse se stesso o gli animali del bosco.
Si
era alzato lentamente, puntando con le mani sulle ginocchia ed aveva
afferrato il suo mantello, che giaceva disordinatamente buttato sul
fondo della branda. Se l'era messo sulle spalle con un gesto rapido
ed aveva alzato il cappuccio, fino a coprirsi quasi gli occhi.
- Andiamo a caccia, su -.
Una
storia che mi ha investita come un autotreno con quattro rimorchi.
Ho provato a resistere, a fingere di non volerla scrivere, ma non
c'è stato scampo.
Ambientata a circa sette anni dalla partenza
del Trio alla ricerca degli Horcrux, con la differenza, non
trascurabile, che questa ricerca non è terminata e che
Voldemort
zompetta ancora felicemente sul pianeta, lanciando qui e là
qualche
Maledizione Senza Perdono.
La guerra si trascina al limite con la guerriglia, qualcosa che può ricordare una Resistenza partigiana, con battaglie sporadiche sparse nel Paese, tra sparuti gruppi di combattenti delle due fazioni, mentre ai “piani alti” si raccolgono le forze per sferrare l'attacco decisivo.
Altre
notizie arriveranno con il resto della storia.
Secondo la mia
idea dovrebbe essere una mini-long, non più di 4-5 capitoli,
anche
perchè vorrei tornare a dedicarmi a B&H, ispirazione
anarchica
permettendo.
Ringrazio Val (Valaus) per avermi concesso senza colpo ferire di farmi prendere ispirazione dalla sua “The Ballad of Azkaban Gaol” per l'idea della goccia e Rea (Poison Spring) per il solito impareggiabile aiuto con il titolo.
E ringrazio voi, al solito, per essere arrivati fino a qui.
<3
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