Io sono di vetro

di Ato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***



Capitolo 1
*** Parte I ***


Io sono di vetro

“Teco porti lo specchio

di Narciso?

Questo è piombato vetro,

o mascheraio.

Aggiusta le tue maschere

al tuo viso ma pensa che

sei vetro contro acciaio.”

G. D’Annunzio

 

«Siamo tutti qui riuniti per ricordare la gloriosa esistenza di Vittoria XVII».

Draco non dovette impegnarsi molto per sfoggiare uno sguardo scocciatissimo.

«A voler essere precisi, non ci siamo proprio tutti».

Draco si persuase che i pezzi di vetro sul pavimento di casa sua avessero un’attrattiva in più della sciarpa viola con cui Blaise rifiutava di strozzarsi.

«Se vogliamo sottilizzare, a ricordarla ci sono solo i migliori amici della povera Vittoria, pia in vita, santa nella morte».

Il presunto anello di congiunzione tra Black, Malfoy e goblin poco dotati di pazienza sbuffò in maniera piuttosto eloquente.

Blaise dal canto suo riuscì persino a trovare il coraggio di precisare:«non capisco come puoi essere così insensibile, Draco. Vittoria XVII è stata la tua migliore pallina di vetro. Inoltre mi permetto di ricordarti che era anche una delle due uniche sopravvissute al Natale passato».

Tre sopravvissute, pensò Draco, con la rilassatezza tipica di un dorso rugoso a cui era venuto il mal di gola.

Era sopravvissuta anche Hermione.

Ed era lei, quella che gli aveva insegnato a tossire fuoco.

 

çòç

 

Potter doveva morire.

Draco non riusciva nemmeno a capacitarsi che un soggetto così sinistro fosse diventato niente di meno che capo del dipartimento auror nel ministero più ingiusto che l’intero mondo magico avesse mai conosciuto.

Roba da pazzi, da non credere, da perderci il sonno.

Naturalmente, siccome in lui si era sviluppato un singolarissimo senso della giustizia, ogni volta che il sonno lo perdeva sul serio, non poteva fare a meno di informare lo stesso Potter della sua tragica condizione.

«Ti ho offerto un’operazione col migliore magichirurgo estetico del mondo, Potter, ti libereresti per tutta la vita di quella cicatrice oscena e tu mi dici… noDraco sbatté le palpebre inorridito da tanta insensatezza. Non gli stava mica chiedendo di darsi fuoco per osservare le sfumature che avrebbe preso il suo mantello dal gusto umanamente inclassificabile. Gli aveva solo chiesto qualche informazione sul modo migliore per diventare un eroe; e magari quanto avrebbe dovuto sborsare per una sua buona parola col direttore della ditta cioccorane nel mondo, senza dimenticare il consiglio accorato di cambiare lo slogan pubblicitario (cioccorane nel mondo: un cioccosospiro al secondo). Dopotutto Draco Malfoy non si muoveva mai senza una buona intenzione.

E dietro la buona intenzione c’era un’ottima ambizione.

«Potter, tu non capisci. Ho già in mente la didascalia per la mia figurina. Ho persino la foto perfetta e i fondi disponibili per mandarne in stampa… su per giù diecimila copie, per cominciare. Mi manca solo un trofeo di guerra, o una spilla, un riconoscimento ad onore o…»

«Hermione».

A Draco Malfoy andò di traverso la saliva, e tossendo fu quasi dispiaciuto che l’abilità di sputare fuoco fosse andata del tutto persa il giorno dopo la sbornia colossale che l’aveva fatto sentire un drago – dopo che aveva smesso di incontrare Hermione al confine tra vetro e acciaio. «Sì, anche lei, ma un’impresa eroica per volta».

Potter non diede segno di averlo sentito, mentre si alzava titubante dalla sua poltrona da eroe. «Hermione, già qui? Sei in anticipo. Tu non sei mai in anticipo. Arrivi sempre all’orario prestabilito. Voglio dire… non che sia meno che perfetta l’idea di anticipare la pausa pranzo, ma…»

Quando Draco recepì il significato di quelle parole, lasciò cadere il portapiume a cui stava cercando di cancellare la dedica il mondo magico ti deve il suo presente. Con l’augurio che Harry Potter possa scriverne ancora la storia.

Guardarla fu come riconoscere una favola cui nessuno aveva saputo dare un finale, nonostante avesse un inizio così chiaro…

 

Azkaban era il pugno strettissimo dell’angelo della morte. Era soffocante a tal punto, che nessuno poteva pensare di uscirne vivo. I dissennatori avevano falci appuntite che usavano per scavare tra ricordi felici, ma già crepati dalla disperazione. Nutrirsi di miele avvelenato sarebbe stato più dolce della vista di quei mantelli oscuri, di labbra troppo sottili per pronunciare parole d’amore, e gole abbastanza profonde da contenere la felicità delle generazioni di sempre.

Azkaban era il piano più oscuro della morte, quello che includeva torture talmente violente da far dimenticare l’essenza stessa della vita. Lì dentro non solo si smetteva di vivere, ma si finiva vittima di un pensiero maldestro, per cui tutti cominciavano a credere di non aver vissuto affatto.

Quando l’essenza stessa della vita fece visita a Draco Malfoy, infatti, quasi stentò a riconoscerla. Forse perché non avrebbe mai pensato di vederla con le sembianze della Granger. Eppure quando lei entrò nella sua cella, l’aria si riempì dei profumi dell’infanzia, di sapori così dolci da sembrare zucchero finissimo nella più deliziosa delle bevande.

«Granger», salutò, un po’ incerto e con la vista appannata. «Solo tu potevi pensare di venire ad Azkaban spalmata di amortentia».

La vide sussultare, poco lontana dal suo giaciglio sul pavimento, prima che si inginocchiasse proprio di fronte a lui.

«Come hai fatto a capirlo?»

«Nessuna donna ha un profumo così buono».

Hermione Granger annuì, un po’ a disagio, lanciando sguardi preoccupati alla porta. Certamente non le avevano dato molto tempo per parlargli, ammesso che non fosse lì per ucciderlo – per ucciderlo senza falci e senza baci, in una maniera che sarebbe stata persino più dolorosa.

«Che sei venuta a fare?» sbuffò Draco, voltandosi da tutt’altra parte, col viso quasi schiacciato contro il muro. «Mi stai consumando l’aria. E qui l’aria non è molta, considerando quante volte aprono quella porta».

«Non è l’aria che ti manca».

«E tu che ne sai? Quante volte hanno cercato di ucciderti con un bacio?»

«Mai».

«Allora non puoi capire», le fece presente. «Che diavolo vuoi? Sei venuta a torturarmi per quello che ti ha fatto mia zia davanti ai miei occhi?» Draco riuscì a pronunciare quella domanda con una fermezza spaventosa, ma solo perché non sentiva più niente. Forse qualsiasi morte sarebbe stata più dolce del pensiero di non aver mai vissuto.

«Malfoy, tu non capisci!» La Granger era scattata di nuovo in piedi, con le mani nei capelli e gli occhi lucidissimi. «Persone che ho visto più o meno ogni giorno della mia vita da quando avevo undici anni sono morte. Morte. Ora sono in cimiteri così lontani che io non saprò nemmeno come sono fatte le loro tombe. E non è giusto. Nessuno di noi doveva morire. Ognuno aveva i suoi sogni… le sue ambizioni. Tu Malfoy eri quello con le ambizioni più grandi e più assurdamente orribili del mondo, ne avevi così tante…

Sei l’unico che è finito ad Azkaban. L’unico a cui posso impedire di morire, perciò ora te ne starai qui immobile e ti lascerai salvare».

«Senti quanto sei ridicola», Draco era certo che se fosse stato vivo avrebbe stretto i pugni per la rabbia, magari attorno al collo della Granger, ma le dita gli facevano male perché aveva troppo scavato nella pietra, e la rabbia gli sembrava un sentimento troppo complesso per elaborarlo con la sua mente distrutta. «Sai come funziona qui dentro? I primi giorni, mi ripetevo che quando ne fossi uscito sarei cambiato, sarei diventato più forte. Indistruttibile. Ora, in quei rari momenti in cui credo di ricordare cos’è il divertimento, rido di me, Granger. Qui dentro ci si salva solo con la morte».

«Lasciati toccare».

«Non pensarci nemmeno».

«Malfoy, io posso salvarti. Posso tentare. Non rendere tutto un inferno, come al solito».

«Stammi lontana», le intimò, con tono perentorio.

Hermione scosse la testa, mangiando aria, anche se non sembrava animata dal dispetto di volerla consumare. Si portò le mani sulla camicetta, armeggiando con un bottone poco al di sotto della clavicola.

«Ti stai spogliando per me?»

«Non voglio sedurti, Malfoy».

Draco arricciò le labbra, tornando a fissare il muro. «Peccato», constatò. «Avrei avuto la prova schiacciante che ormai sei del tutto fuori di testa».

Con un colpo di dita sanissime, la Granger fece saltare il bottone. Era un piccolo quadratino brillante, che oltre alla trasparenza irradiava riflessi bui, come vetro decorato con colori adatti a dipingere la notte. «Quanto ti fa male l’avambraccio, Malfoy

«Non mi fa affatto male».

Posò la mano destra sul marchio nero, esaminandone il gonfiore e i contorni di un rosso carminio. «Sta capitando a molti, ma i medimaghi e gli indicibili pensano che presto andrà meglio», spiegò la Granger. Lei evidentemente aveva ancora una concezione tutta sua di meglio. «Perché non rilassi un po’ il braccio?»

E come poteva spiegarle che dopo avergli tolto il dominio sulla propria mente, i suoi carcerieri a poco a poco gli avevano tolto anche quello sul corpo? Non riusciva nemmeno a ricordarsi come si faceva un movimento brusco, o come si comandava ai muscoli di essere meno rigidi.

«Va bene, non fa niente», continuò lei. «Brucerà un po’».

Draco non sentì il calore della pelle che lo sfiorava, né il bruciore per cui era stato messo in guardia. Draco non sentiva proprio niente, mentre Hermione riversava sul suo braccio un po’ di dittamo che aveva nascosto nel bottoncino di vetro. Lo massaggiò con energia, ma lievemente, anche se il rossore non pareva arretrare.

«Non potevo portarne di più. Prima di far visita ai prigionieri fuori ti perquisiscono. Non ho neppure la bacchetta con me».

«Quindi sei indifesa».

Hermione accennò un sorriso. «Siamo tutti indifesi, ma io non ho passato le ultime sere della mia vita a cena con chi vorrebbe uccidermi con un bacio».

«No, eh?»

«Volendo escludere il tipo che ci ha provato con un alito pestilenziale».

Draco fu certo che il suo non era migliore, ma era anche certo di non doverci provare con la Granger, nonostante lei continuasse a spogliarsi: aveva fatto saltare un altro bottone. «Non muoverti».

Si era fatta troppo vicina e Draco non riuscì a restare immobile. Schiacciò la guancia destra contro il muro, mentre i suoi capelli gli sfioravano il viso. «Vuoi farmi innamorare di te?», annaspò, terrorizzato dall’eventualità che fosse proprio quella la punizione che gli spettava.

«Malfoy, voltati. E respira».

Scosse un po’ la testa, prima che lei gli catturasse pure il mento, tenendolo fermo contro il suo collo. «Non voglio usare l’amortentia per farti innamorare di una persona che non ti è nemmeno amica. Malfoy, respira. L’amortentia serve a ricordarti che hai già amato nella vita, e che devi resistere fin quando non ti tirano fuori di qui. Devi resistere per tutte le cose che hai amato e continuerai ad amare».

Draco tirò un respiro profondo contro il collo della Granger: lì il profumo era più forte. Gli entrava sotto pelle, lo sentiva. Sapeva di limone e luce al cherosene.

Hermione non si mosse, mentre lui ne assorbiva l’essenza. Posò le mani sul suo petto, sul colletto sgualcito della maglia e lo pizzicò un po’, tentando di cucire il bottoncino di vetro sull’orletto superiore. «Cerca di non farlo rompere. Contiene tre gocce di amortentia. Non berle. Solo… continua a sentirne il profumo tutte le volte che cercheranno di rubarti ricordi e pezzi di vita».

Draco annuì, non molto lucido. Quando la vide alzarsi all’improvviso, però, ricordò come si comandava al braccio un movimento veloce. Le afferrò il polso, anche se non ci vedeva molto bene. «Hermione», la chiamò, tremando. «Passa anche dai miei genitori».

Lei si bloccò, tesissima. «Non ho altri bottoni pieni di amortentia».

«Non fa niente», si affrettò Draco. «Ce l’hai addosso, come un profumo».

Non la vide convinta, mentre si portava ancora una mano tra i capelli, come se fosse possibile averli più scompigliati. Poi la lasciò scendere sul collo, che in qualche modo si era arrossato.

Draco si chiese se fosse a causa del suo respiro, prima di chiudere gli occhi e pronunciare parole indicibili, che sarebbero rimaste segrete nel buio di una cella: «Per favore».

Lei annuì rapidamente, infilando la porta. Aveva la pelle arrossata, i capelli disordinati e la camicetta sbottonata.

Draco sorrise un po’, accigliandosi. Forse, vedendola, qualcuno avrebbe pensato che fosse andata da lui per farci l’amore, ma nessuno avrebbe capito con che tocco sottile glielo avesse portato, tutto quell’amore.

 

 

Nell’ufficio di Potter, Hermione fissava immobile prima lui, poi il suo più vecchio amico. Aveva uno sguardo così rabbioso e stupefatto, da far tremare un paio di cioccorane scartate sulla scrivania.

Draco accennò a una smorfia non molto cortese, massaggiandosi il mento con le dita e alzandosi velocemente dalla sua sedia. «Assunto che tu non stai mai zitta per troppo tempo, soprattutto se hai più di qualcuno da attaccare, ne deduco che sei in imbarazzo, Hermione. Perciò…»

«Malfoy, non ci provare».

Riconobbe nel suo sguardo una luce che aveva visto nei momenti della sua vita in cui non c’era più bisogno di amortentia per conoscere l’amore. Si affrettò a continuare, ignorando il suo sguardo di fuoco. «Perciò Potter, se non ti spiace vado a cioccosospirare lontano dalle maledizioni che vorrà lanciarti la mia ex-ragazza». Draco si aprì in un sorriso lievemente teso, scartandosi un’altra cioccorana. Si premurò di gettare per aria l’ennesima figurina di Ronald Weasley, dare un morso alla testa di cioccolato, e smaterializzarsi il più lontano possibile dalla bacchetta che lo aveva preso di mira.

 

çòç

 

 

«Malfoy, se la tua relazione complicata con gli elfi è di nuovo una scusa per attirarmi qui dentro…»

«Hermione, certo che è una scusa. Non capisco come un elfo in calo di autostima possa essere un mio problema». Draco arricciò appena le labbra, per trattenere un’espressione poco cortese quando una creaturina spaurita decise che fustigarsi con un candelabro non sarebbe stato sufficiente a farla redimere dal peccato commesso.

«Lo stai facendo sentire in colpa!», trillò lei, esterrefatta. «Che avrebbe fatto per meritarsi tutto questo?». L’elfo uscì molto contrariato dal suo maldestro tentativo di protezione.

«Io e Blaise giocavamo con Vittoria XVII, quando a un certo punto la palla gli è finita in testa. È stato… in realtà ho visto solo i pezzi di vetro a terra, non lo so».

«Come puoi non saperlo?»

Proprio quando i toni stavano prendendo le fattezze di un interrogatorio, spuntò dall’altra stanza una bambina che era diventata la sua personalissima piaga: «Qui c’è la nuova lista dei regali che voglio per Natale. Mi raccomando: devi fare attenzione e non dimenticarti di barbie luci di stelle. È importante. Barbie regina dei fiori ha litigato con le altre e ora si sente sola».

Draco si ritrovò tra le mani quaranta o cinquanta centimetri di pergamena, tutta fittamente compilata con inchiostro luminosissimo, che già da solo era indice di quanto potesse essere osceno il contenuto della lista. Sbatté un paio di volte le palpebre, prima di ritornare da Hermione con sguardo afflitto:«Vedi? Fuggivo da quella. È la tredicesima sorellastra di Blaise e lui le ha fatto credere che io sono Babbo Natale sotto copertura con la polisucco, e che sono qui, in casa mia, per tenerla d’occhio».

«Notevole. Sei ancora incapace di startene tranquillo almeno un minuto».

«Hermione…»

«Se il problema dell’elfo era una scusa, perché io ora ho l’ufficio, il camino e… la doccia pieni di tue fastidiosissime lettere?»

Draco si rianimò un po’, ricordandosi del problema che aveva un’assoluta urgenza di essere risolto. «Parliamo del mio regalo di Natale».

«Malfoy», lo sguardo oltraggiato della ragazza non prometteva proprio niente di buono. «Assumendo che io nel giro di dieci giorni perda la memoria, mi ritrovi nei corridoi del reparto psichiatria del San Mungo a giocare a scacchi con Gilderoy Allock, dopo aver bevuto una pozione aguzzaingegno scaduta… No, nemmeno in quel caso ti farei un regalo, mettitelo in testa».

La perplessità sul viso di Draco fu un compendio di arte recitativa e stupore naturalissimo. «Sul serio? Allora mi spieghi come si è infilata la tua sosia nel mio specchio?»

 

Quella giornata doveva essere uno scherzo del destino. Qualcuno l’aveva aggiunta a tradimento tra le sue giornate perfette.

Non bastava che il giorno prima aveva dovuto piangere la dipartita di Vittoria XVII, né che Potter aveva rifiutato di nuovo la sua proposta per corrompere il direttore di cioccorane nel mondo, né che sempre in quello sventurato frangente avesse rivisto Hermione cinquantadue ore prima di quanto aveva programmato, e non bastava nemmeno che la sesta letterina per Babbo Natale fosse rispuntata nella sua stanza dopo tre volte che le aveva dato fuoco con molto sentimento. Tutto quello era evidentemente insufficiente per chi desiderava punirlo. Il giorno dopo, infatti, gli era stato finalmente consegnato lo specchio che aveva ordinato per la sua stanza di vetro. Era persino più bello di quello fotografato nel catalogo. Il vero dramma era arrivato dopo, quando dentro lo specchio ci aveva trovato una Hermione sorridente e adorante, proprio mentre scartava il bigliettino che gli avevano spedito insieme al pacco: non serve a niente rifugiarsi nei sogni.

Draco era molto contrariato, ma non poté fare a meno di socchiudere un po’ gli occhi, quando la vide passare le dita morbidissime sulla superficie splendente dello specchio. Aveva uno sguardo assorto, e più che una favola, sembrava una leggenda che parlasse di divinità…

 

«Non ci posso credere. La storia dell’elfo con cali di autostima era una scusa. Malfoy, sei imperdonabile».

«Hermione, certo che era una scusa. Non capisco come un elfo in calo di autostima possa essere un mio problema». Draco non tardò a notare la valenza omicida dello sguardo che si era guadagnato. «Ma giuro che non ti ho trascinata a Malfoy Manor per una cosa da poco».

«Me lo immagino. Deve essere qualcosa di molto rilevante, come per esempio la scelta dell’inchiostro con cui mi scriverai gli auguri di Natale pur di non venire alla tana o… ecco: fare spazio su qualche parete per appendere il boccino che prenderai alla prossima partita di Quidditch».

«Sono profondamente offeso», Draco si portò una mano sul cuore. «Per quello ci sono gli elfi domestici».

La smorfia sul viso di Hermione si fece ancora più indignata. «Pensa che ingenua. Ero convinta che avresti ricavato spazio facendo collassare un paio di ritratti antichi mentre mi presentavi come la tua nuova ragazza mezzosangue».

Draco per un attimo non poté impedirsi di fissarla ammirato. «Questo piano è subdolamente geniale» le sorrise. «Se ci avanza un po’ di tempo lo mettiamo in atto. Ma ora», soggiunse, prima di poter essere interrotto «devi assolutamente fare quello che ti dico».

«Cioè?»

«Voglio un albero di Natale. Completamente di vetro».

 

Draco sorrise, per un attimo felice, mentre Hermione scribacchiava qualcosa su una pergamena. Dovevano essere le istruzioni per liberare lo specchio della sua immagine.

A dire il vero, lui non aveva alcuna intenzione di liberarlo. In quello specchio Hermione era più bella di quanto la ricordasse, era immensamente bella, forse perché non la smetteva mai di sorridere. Lo metteva di buonumore come il pensiero che fosse di nuovo sua.

 

Doveva sapere che era sua. Draco non riusciva nemmeno a immaginare che in quel momento possedeva qualcosa solo a metà. Hermione doveva essere tutta sua, e lui aveva bisogno di saperlo.

Non gli importava molto dell’albero di natale, né degli addobbi di vetro. Però ogni volta che la vedeva con una pallina decorata e lucente tra le mani, si diceva che dopotutto aver sopportato un branco di elfi domestici che tentavano di caricare nel salone ottanta palline di vetro non era stato uno sforzo inutile.

Peccato che già ne avesse rotte una ventina. Il fatto era che quelle assurde palline non rimbalzavano per niente, e a nulla bastava la sua riconosciuta abilità sulla scopa mentre le usava come boccino in una sanguinosa lotta con Blaise e il suo ottavo fratellastro. Erano fin troppo chiassose, erano chiassose persino per uno come lui, che da un po’ non riusciva a starsene fermo nemmeno un minuto. E se Hermione gli faceva notare che sembrava una tormenta, o un terremoto o qualsiasi cosa irruenta e molto disagevole, Draco le si avvicinava, prendeva un’altra pallina tra le mani e le faceva notare quanto fossero belli i riflessi del vetro. C’erano stati dei momenti in cui entrambi erano rimasti incantati, specchiandosi in colori che assorbivano i loro sorrisi e li rilanciavano negli occhi dell’uno o dell’altra come tesori preziosissimi. Poi Draco la baciava, perché i sorrisi nel vetro erano belli, ma bocca contro bocca diventavano timbri dalla bellezza ancora più sottile, ancora più delicata.

Alla fine ritornava a tormentare le palline di vetro come fossero dei boccini indistruttibili. Il salone era pieno di pezzi frantumati sul pavimento e riflessi che parevano di luce lunare. Hermione si chiedeva tante volte ad alta voce come Draco pensasse di fare un albero senza applicarsi con gli addobbi, e Draco a bassa voce spiegava agli altri giocatori come sarebbe stata la faccia della Weasley quando al prossimo incontro Slytherin contro Gryffindor lui avrebbe preso il boccino, senza mani. Molte palline furono sacrificate per questa nobile causa.

Allora i toni di Hermione crebbero a dismisura, quando gli fece presente che aveva capito ancora una volta il suo inganno – Ammettilo, non ti importa proprio niente dell’albero di Natale. Draco riuscì ad ammetterlo con un candore angelico, prendendola per mano, prima di mostrarle tutte le vetrate di Malfoy Manor.

Vetro piombato si alzava fino ai soffitti altissimi, di un verde così brillante da sembrare un pezzo di bosco modellato dai venti più insistenti. Vetro e acciaio, insieme, erano barriere che, per quanto belle, sembravano gli abbozzi delle porte del paradiso.

A Hermione era mancato il fiato, per un momento.

Draco sapeva cosa significavano per lei. Tantissime volte, quando era nuda e non molto lucida, gli aveva confessato di sentirsi come vetro. Come vetro, Draco. È come se fossi sul punto di cadere, col pensiero che se cado, finisco in mille pezzi – Perché dovresti cadere? – Ho paura di non saper trovare un appiglio – Lo troverai – Draco? – Sì? – Mi lascerai cadere? – Sei come vetro?

C’era qualcosa di strano, nel suo modo di essere vetro. Lui l’aveva saputo sin dalla prima volta, ma non aveva capito come dirglielo senza impressionarla. Allora la assecondava, quando lei si sentiva vetro e gli sussurrava all’orecchio che il suo respiro era così caldo da sembrare fuoco sulla pelle. Draco spesso le diceva che il fuoco modella il vetro, e lei non si indignava: sorrideva, gli posava un bacio tra i capelli, scherzava un po’ – allora hai studiato, Malfoye gli diceva ancora non mi dispiace essere vetro se tu sei il fuoco, e ancora e ancora vuoi che sia un modello per la tua bocca o per le tue mani?, e… e se ci bruciamo? – Impossibile. Sei vetro contro acciaio – Tu non sei acciaio, sei fiamma verde.

Successe anche quella sera, quando la casa si riempì di una musica fatta di vetro sottilissimo, per cui ogni nota era una campanella suonata da mani delicate, col ritmo di chi ha paura ma non può rinunciare all’azzardo di un altro trillo. Avevi detto che tua madre non c’era – Infatti – E invece è in salotto ad ascoltare musica babbana – Prova a dimostrarle che Liszt era babbano, ti sbatterà fuori di casa – Ma Liszt era babbano! – Ah, secondo te è possibile suonare certe cose senza avere la magia tra le dita?

Hermione fu un po’ timorosa e rigida, quando Narcissa Malfoy li fece chiamare da un elfo, e col sorriso in bocca si premurò di far notare a entrambi che non c’era bisogno di nascondersi dietro una porta chiusa davanti a quadri pettegoli, se volevano ascoltare La campanella.

Era babbano! – Mi eri sembrata più intelligente quando sei venuta ad Azkaban per salvare mio figlio – Ma insomma… – è tutta magia, Hermione.

Draco le sorrise divertito, quando lei uscì dal salotto con il viso fumante di indignazione. Poi dovette faticare un po’, per trascinarsela nella sua stanza senza nemmeno farglielo notare, per spogliarla a poco a poco, mentre fingeva di assecondarla.

Lo sapevo, Malfoy! Era questo il tuo scopo: portarmi nel tuo letto! – Certo! – Altro che albero di Natale. Non mi hai neppure aiutata – Sei ingiusta. Ho dato i nomi alle palline di vetro – Le hai chiamate tutte Vittoria – Vittoria… Vittoria, non ha un suono delizioso, Hermione?

Vittoria XVII per Draco aveva un suono delizioso, quando l’adagiarono sul comodino, o sulla pelle, o tra i seni della ragazza, tra un cuscino e l’altro mentre a loro ne serviva solo uno, tanto erano così vicini…

La campanella per Draco aveva un suono delizioso, dopo aver dimostrato che sua madre ed Hermione non sarebbero mai andate d’accordo, ma già si guardavano con rispetto e ammirazione, sin dalla visita ad Azkaban.

Hermione aveva un suono delizioso, quando voleva che la abbracciasse, quando gli diceva che lei era vetro e lui fiamma verde, quando sottolineava che lui non era acciaio, e si lasciava toccare così in profondità che quando lo chiamava (Draco, Draco, Draco), quando lo chiamava, la sua voce sembrava quella di una campanella al rintocco più importante. Sembrava una campanella di vetro al rintocco della mezzanotte.

E quindi non ti importa del Natale, Malfoy – Per niente – Non ti piace? Nemmeno un po’? – Non lo so. Non è una di quelle domande che posso farmi a cuor leggero. Magari se ne parla alla prossima sbronza – Non ci credo. Scommetto che adesso ti piace almeno un po’ – Hermione, se non ci metti tutta la notte, puoi anche dirmi cos’ha di bello.

A che servono le luci? Non basto io?

Sei di vetro?

Non ti lascerò cadere, Hermione.

Forse tua madre ha ragione, Malfoy. È tutta magia, ma non di quella che fa uso di bacchette.

Vittoria XVII!

Draco richiamò la pallina sorridente, mentre lei già dormiva, dopo avergli esposto con comica perizia tutte le delizie del Natale. Draco si era finalmente assicurato che lei era davvero sua. Era così felice che dovette ripetere l’incantesimo un paio di volte. Vittoria XVII ne uscì incantata, e diventò lo scrigno di una scritta che si mostrava soltanto in poche occasioni:

Da oggi, in questa casa, il Natale dura tutto l’anno.

 

Anche un anno dopo, La Campanella aveva un suono delizioso.

Non gli sfuggì il tremore che la colse, quando fu certa che qualcuno poco lontano aveva fatto partire proprio quella composizione.

«A mia madre farebbe piacere salutarti, Hermione», intervenne Draco, tentando di approfittare di quel momento di debolezza.

La vide tremare ancora un po’, mentre scuoteva la testa. «Ho molto da fare, non posso trattenermi. Per lo specchio… non chiamarmi più, è tutto scritto qui». Hermione gli porse un pezzo di pergamena malamente ripiegato, prima di andarsene assicurando alla tredicesima sorellastra di Blaise che Babbo Natale era un gran bastardo e che doveva impegnarsi a farlo lavorare tantissimo.

Ricorda che sei vetro contro acciaio.

Draco sbuffò, dedicandosi alla scritta sulla pergamena di Hermione:

Non serve a niente rifugiarsi nei sogni.

 

çòç

 

«Malfoy, si può sapere che ci fai in casa mia?»

Draco si sistemò un po’ il cuscino dietro la testa, mentre sedeva comodamente su un divanetto davanti al camino del soggiorno. Da una piccola mensola di marmo, Vittoria I lo fissava curiosa. Hermione aveva una casa piccola, e non sembrava nemmeno di vetro. Era piuttosto una di quelle case che danno l’idea di essere state intagliate nel legno di una quercia antichissima, profumava di segreti consumati nel tempo della memoria.

«Perché non ti siedi anche tu?», la invitò, indicando oziosamente il posto accanto al suo.

«Perché da qui mi è più facile buttarti nelle fiamme e sbatterti fuori di casa».

«Lo sai, quando mi hai lasciato mi ero immaginato un risvolto del genere».

Hermione gli rivolse uno sguardo truce. «Quando ti ho lasciato, Malfoy, tu immaginavi soltanto il modo all’apparenza più divertente per rompere la prossima pallina di vetro».

«Come al solito mi sottovaluti. A quello ci avevo già pensato quando ti ho detto che mai e poi mai avrei voluto conoscere i tuoi genitori».

Draco non impiegò molto a capire quanto profonda fosse la ferita che la ragazza aveva cercato di fasciare con cumuli di indifferenza.

«Ma certo. Sospettavo che non ti fossi nemmeno impegnato a cercare il modo più gentile per dirmelo».

Si alzò lentamente, allontanandosi dal calore delle fiamme. La vide arretrare, quando accennò un passo verso di lei:«Non era mia intenzione essere gentile. È questo che ti ha dato la forza di lasciarmi, anche se ci hai messo due giorni».

Hermione aveva gli occhi lucidi, ma non avrebbe pianto; avrebbe tenuto nascoste le lacrime tra le ciglia fin quando non fossero diventate luce purissima e nulla più. «Sei venuto per farmi notare che avrei dovuto lasciarti due giorni prima?»

«No, sono venuto a ricordarti che sei vetro contro acciaio».

E che lui non era l’acciaio…

 

«Sono babbani, Hermione, non voglio nemmeno sapere come si chiamano».

Si ritrovò la porta sbattuta in faccia, anche se avrebbe preferito un’altra dimostrazione di forza.

Ma lei lo amava così tanto…

Lo amava di amore tenacissimo, anticipazione del futuro (Sarai forte, Draco), di amore che è fiducia smisurata e frutto di carezze riservate all’intimità della notte, alla lana di mantelli tanto larghi da nascondere anche i movimenti più audaci.

Lui sapeva tutte queste cose perché Hermione, di tanto in tanto, gliele ripeteva con voce brilla di emozione.

Ma tutto questo cos’è per te?

Amore, le aveva risposto. Draco le aveva risposto che con lei riusciva ad amarsi meglio.

Due giorni dopo averle detto che non avrebbe mai conosciuto i suoi genitori, Draco non aveva ammesso di amarla. L’aveva osservata andare via, nascondendo una scintilla di soddisfazione negli occhi, prima di prenderla per la vita, riscaldarle i capelli con un respiro di fuoco, e mormorare l’affronto più dolce e più doloroso che le avesse mai rivolto:

Ricorda che sei vetro contro acciaio.

 

«Malfoy, sparisci».

«Jane e Matt».

Hermione non mostrò neppure un po’ del suo stupore. «Devi essere più stupido di quanto credessi, se pensi che conoscere i loro nomi significhi qualcosa, ora».

«No, significa qualcosa il fatto che già li conoscevo a giugno».

Vittoria I, dalla sua mensola in marmo, aveva ammiccato.

 

 

 

 

Questa storia partecipa all’iniziativa dell’albero di Natale delle Blue Ladies. Ho usato come prompt: pallina di vetro decorata con nome scritto sopra.

Tutto il resto è triste frutto di qualche notte insonne.

È strutturata come one-shot. La pubblico in due parti per evitare di rifilarvi venti pagine tutte in una volta sola.

Io sono qui: Click a chiedermi perché ho scritto questa storia quando avevo detto di essere di nuovo in pausa.

A presto con l’ultima parte!

Filomena

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Capitolo 2
*** Parte II ***


 

Un paio di parole sul finale, spudoratamente nonsense (meno male che ho già iniziato a pensare a roba Angst per compensare l’indecenza di tutto quello che mi fa fare il natale).

Magari Draco, in un paio di righe verso la fine pensa di aver capito la bellezza del Natale.

Solo in parte, dico io.

Il Natale può essere sacro o un pretesto materialista, ma per me resta la festa dei bambini.

Mi guardo intorno e vedo che a cinque o sei anni già non credono più in Babbo Natale o che vivono in case in cui il Natale arriva solo il 25 dicembre per mangiare e litigare su chi dovrà lavare i piatti.

Se potessi, non vestirei il Natale di altri mille significati sacri, ma lo restituirei ai bambini.

Naturalmente, l’ho fatto in un modo stupido.

Ma io ho la sindrome di Peter Pan, perciò il Natale mi fa uscire di testa.

Sarà per questo che Draco è più bambino che mai, qui dentro?

Non so se riuscirò a pubblicare altro entro la fine del mese.

Se così non fosse Buon Natale a tutti e un brindisi agli istinti bambineschi che ci portiamo dentro.

Grazie dell’anno favoloso che mi avete regalato.

Grazie a tutti e alla prossima

(vai con l’angst!)

Filomena

 

 

Io sono di vetro

“Teco porti lo specchio

di Narciso?

Questo è piombato vetro,

o mascheraio.

Aggiusta le tue maschere

al tuo viso ma pensa che

sei vetro contro acciaio.”

G. D’Annunzio

 

 

 

 

 

Era stato complicato.

Draco sapeva fin da giugno che inducendola a lasciarlo avrebbe dovuto faticare parecchio per riaverla. Spiegarle tutto lo aveva stremato, e l’aveva fatto sentire anche molto stupido.

Sono di vetro, Draco. – Troverai un appiglio.

La legna si era consumata nel camino, mentre le confidava che era stato tanto scorbutico proprio con l’intento di farsi lasciare; che voleva dimostrarle quanto fosse forte. Lei non era di vetro – vetro contro acciaio, vetro piombato. Draco voleva che anche lei si rendesse conto di aver ragione – certo, non lo trovi un appiglio, perché lo cerchi chissà dove.

È dentro di te, Hermione.

Lei gli aveva detto un sacco di volte quanto fosse egoista, ma Draco non riusciva a sentirsi egoista per aver voluto dimostrarle che lui non era il suo appiglio, che lei era forte abbastanza anche da sola. Era la donna più forte che avesse mai incontrato. L’unica che l’aveva salvato con profumi e ricordi così intimi da farlo innamorare prima della memoria, e poi della vita.

Immaginare un futuro in cui lei non si sentiva abbastanza forte da stare in piedi da sola lo distruggeva.

Hermione era forte. Così forte da lasciarlo. Così forte da andare avanti senza di lui.

Perciò, ora che se ne era resa conto perfino lei, Draco sapeva che era arrivato il momento per Hermione di sentirsi ancora più forte – forte abbastanza da perdonarlo, da amarlo ancora, di amore tenacissimo, che non si basa su una fiducia costruita dal nulla, ma su una fiducia costruita sulle macerie.

Ne avevano parlato a lungo, mentre tutta quella forza tratteneva lacrime luminose tra ciglia bellissime.

Hermione aveva accolto la sua confessione un po’ stranita, e non gli aveva dato neppure un bacio, quando aveva fatto da parte le braci nel camino per lasciarlo tornare a casa.

Come aveva progettato sei mesi prima, a giugno, Draco si disse che avrebbe atteso due giorni e poi l’avrebbe invitata a cena.

 

Sventuratamente, il giorno dopo Draco si ritrovava in una caserma babbana con un’accusa di cui non intuiva nemmeno il pretesto. Il paradosso era che quei tipi in divisa sostenevano che lui avesse cercato di prendersi gioco di loro, quando era evidente che gli unici a scherzare non avevano il sangue puro nelle vene e nemmeno un po’ di magia tra le mani.

Draco non riusciva a spiegarsi cosa diavolo volessero da lui. Certo, magari aveva staccato lo specchietto in maniera irruente da quell’ammasso di vetro e metallo rosso; ma non stava lasciando un pezzo di pergamena con l’indirizzo a cui mandare un gufo per il risarcimento?

Quello specchietto per lui era di vitale importanza, e loro invece continuavano a chiedergli documenti – per un momento Draco aveva pensato che volessero vedere la bozza della sua figurina per cioccorane nel mondo  e investirlo della nomina a eroe seduta stante.

Così non era stato, e avevano trascorso il pomeriggio in accuse e insulti poco velati. Quando uno di loro ripeté che forse “il biondo con le occhiaie da drogato” non era del tutto sano di mente, dato che era stato beccato con una piuma e un pezzo di legno tra le mani, Draco decise di arrendersi e invitarli a contattare Hermione: lei avrebbe portato tutti i presunti documenti che volevano e con quelli anche una faccia così incazzata da farli tremare dal primo all’ultimo, compreso lui.

 

çòç

 

«Malfoy, sei vergognosamente imbecille».

«Non ti vergognavi di me quando spiegavi al tipo pelato che sono il tuo ragazzo e sono ancora sotto shock per un incidente… dove?»

«Un incidente d’auto, Malfoy», sbuffò Hermione, guardando stizzita le vetrine della Londra babbana. «Si può sapere che ci facevi qui tra l’altro?»

«Oh», Draco trattenne un ghigno di soddisfazione. Con la sua prossima uscita l’avrebbe quanto meno impressionata. «La tredicesima sorellastra di Blaise e Blaise-sono-troppo-impegnato-per-fingermi-Babbo-Natale mi hanno spedito a cercare Barbie luci di stelle».

«E si può sapere perché invece di entrare in un negozio hai rubato lo specchietto di un’automobile?»

«Ma io non l’ho rubato. Ero disposto a pagarlo un mucchio di galeoni!»

Draco ebbe la conferma che quella non era la risposta giusta quando lo sguardo che lo investì fu talmente sconcertato da farlo sentire vergognosamente imbecille.

«Ho dovuto obliviarli, Malfoy. Sei soddisfatto? Sono stata abbastanza forte da non devastargli la memoria come ho fatto coi miei genitori».

«Hermione, ascolta», Draco le prese la mano, fermandosi su un marciapiede gremito di bambini che in fila aspettavano di salire sulla slitta di Babbo Natale, anche se dal legno rosso ne usciva musica meno delicata de la campanella. «Lo so che in questo momento vorresti prendermi a pugni e andarti a preparare una camomilla per affrontare i relativi sensi di colpa; che poi ti scotteresti la lingua e penseresti che comunque sono più caldo io, che con me sentirsi bruciare era…»

«Malfoy…»

«…era bello», continuò, cercando il suo sguardo. «Ma ti ho spiegato che non mi importa niente se un giorno vorrai trascinarmi a festeggiare il Natale coi tuoi genitori; non mi importava nemmeno a giugno. Probabilmente pure loro litigheranno con mia madre per stabilire se Liszt era babbano o purosangue e tu sentirai ancora il bisogno di prendermi a pugni, perché in qualche modo sarà tutta colpa mia e perché sarò sempre incapace di starmene un minuto tranquillo, ma tutto questo… sono cose a cui non voglio rinunciare».

«Perché così puoi amarti meglio?», ribatté lei, amaramente.

Draco ne sorrise un po’, aggrottando la fronte.

C’erano stati in giorni in cui era stato sul punto di dirle che l’amava e che per lui ormai darle un bacio era come bere amortentia al sapore di eterno.

Però non l’aveva mai fatto.

Non le aveva mai confessato di amarla, ma solo di amarsi un po’ di più quando era con lei.

«Certo! E poi così diventerò abbastanza eroico da avere una figurina delle cioccorane tutta per me. Non è grandioso?»

«No», precisò Hermione, in tono ragionevole. «È vergognosamente imbecille. Come il fatto che hai cercato di rubare lo specchietto di un’auto babbana. Come ti è saltato in mente?»

«Volevo regalartelo alla cena di domani».

«Quale cena?»

«Quella a cui ti avrei invitato sprezzante del pericolo», la informò lui, in posa casualmente eroica.

Qualcosa però nei suoi gesti non doveva funzionare. Hermione scoppiò a ridere. «E ti sembra un regalo adatto uno specchietto?»

«Più che adatto. Hai detto che non sei stata tu a infilarti nel mio nuovo specchio, no?»

«Infatti».

«Però nel mio specchio ci sei».

«Se lo dici tu…»

«E indovina cosa c’è scritto su questo specchietto babbano

Draco lo cacciò dal taschino. Era rimpicciolito e lo assalì con un engorgio senza farsi troppi problemi, mentre Hermione lo fissava con espressione scandalizzata.

«Non ci posso credere. Te lo sei portato dietro nonostante fossi sul punto di venire arrestato».

«Dai, leggi». Draco glielo porse impaziente, osservando il modo particolare in cui quella scritta scivolava sotto gli occhi di lei.

Objects in the mirror are closer than they appear.

«Malfoy, sei vergognosamente imbecille».

Però era più vicina di quanto sembrasse.

 

Draco ci aveva messo un po’, ad afferrare la spiegazione che Hermione stava infarcendo di troppi particolari. La cosa certa era che ormai tutti complottavano per farlo sentire vergognosamente imbecille, e non era una sensazione tipica degli eroi. Draco ci poteva scommettere, anche se nessuno si prendeva la briga di calarsi a suoi piedi e chiamarlo mio eroe.

Lo specchio in cui lui pensava di aver trovato la sosia di Hermione, in realtà, era uno specchio particolare. Naturalmente, Potter lo avrebbe saputo, gli fu spiegato.

Harry ne aveva trovato uno simile a Hogwarts, il primo anno – guarda caso – e il professor Silente – esimio professor Silente – gli aveva spiegato che rifletteva i desideri più intimi di chi vi si specchiava.

«Davvero?», mormorò Draco, con un filo di voce.

Hermione distolse lo sguardo, un po’ imbarazzata.

Lui non ci mise molto a recuperare la sua esemplare faccia di bronzo. Insomma, quel dannato specchio sapeva quanto la desiderasse. Tanto meglio: così lo sapeva anche lei. «Sai perché sei così bella lì dentro?» chiese, con fare serissimo. «Perché sei di nuovo mia».

«È un po’ egocentrico da parte tua», si accigliò Hermione, pensierosa. «Ma immagino che sia meno egocentrico delle storie che ti sei inventato per mandarmi a monte tutti gli appuntamenti degli ultimi sei mesi».

«Dai, era spassosissimo! Far credere al tipo dell’ufficio misteri che si era preso il vaiolo di drago per impedirgli di uscire con te è stato un colpo di genio» Draco fu sicuro di avere gli occhi brillanti di eccitazione al solo ricordo. «Anzi, non capisco perché non mi abbiano nominato eroe proprio per questo».

«Perché gli eroi non abbandonano le proprie ragazze nel momento del bisogno e dopo non passano sei mesi a boicottare pranzi e cene a cui le invita qualcun altro».

«Davvero?» ripeté Draco, con aria confusa.

Hermione annuì, abbassando lo sguardo sulle loro mani, ancora congiunte. Sorprendentemente, ne sorrise. «Quando la smetterai di fare tutte queste assurdità?»

Draco scrollò un po’ le spalle, pensando che non era quello il punto della situazione. «Ti ricordi perché ti ho trascinata a Malfoy Manor con la scusa dell’elfo in crisi di autostima?»

«Dovresti essere più specifico. Hai usato questa scusa un milione di volte».

«Sì», sorrise entusiasta. «La prima volta. Quando volevo un albero di natale con le palline di vetro».

«Come il più viziato dei rampolli».

«Già».

«È stata la prima volta che ho ascoltato La campanella a casa tua. Narcissa aveva un abito verde quasi da opera e gli occhi serratissimi per non perdersi nemmeno una nota. E poi tu mi dicesti che secondo tua madre il virtuosismo non è l’arte di chi esagera, ma l’arte di chi può permettersi tutto. E lei annuiva compiaciuta, sempre a occhi chiusi, mentre dimostrava che Liszt era un purosangue di nobili origini».

Draco non riuscì a trattenere una risatina. Era bello il modo in cui lei si perdeva nei ricordi e parlando ne espandeva la memoria, facendola incanto dolcissimo quando la intrecciava a quel presente che era ancora più dolce, ora che si lasciava prendere di nuovo per mano. «E poi?»

«Poi mi hai trascinata a tradimento nel tuo letto perché dicevi che dovevi provare una cosa».

«Infatti! Che cosa?»

«Sul baldacchino del tuo letto, nella seta, c’è ricamato un planisfero gigante. Basta che ti stendi e vedi tutto il mondo. Se ti concentri o indichi un punto in particolare magari ti spunta davanti la gioconda che ti sorride o una piramide piena di tesori».

Hermione lo abbracciò di slancio, nascondendo il viso contro il colletto della sua camicia.

«E poi?», ripeté lui, impaziente di sentire incantato un ricordo che troppe notti aveva rivisto da solo.

«Poi abbiamo fatto l’amore e io non ti ho quasi mai tolto lo sguardo di dosso. Così alla fine hai detto che era lampante, che ero tutta tua e che avevi vinto contro il mondo intero».

«No. Tu non mi hai mai tolto lo sguardo di dosso. Che momento di gloria».

«E poi ti sei messo a giocare con Vittoria XVII mentre io ti spiegavo perché il Natale è tanto bello», sottolineò lei, smontandolo un po’.

«Hermione

«Sì?»

«Voglio provare una cosa».

 

çòç

 

La superficie dello specchio era gelida sotto i piedi nudi. Draco ci camminava completamente scalzo ed Hermione aveva solo delle calze non molto sottili a ripararla dal freddo.

Abbassando lo sguardo, i loro visi si riflettevano vicinissimi.

«Che cosa vuoi fare?»

«Voglio che ti stendi qui sopra, Hermione».

«Sullo specchio? Per questo l’hai messo a terra?»

«Sì».

«È un’altra assurdità», gli fece presente lei, voltandosi e trattenendo i capelli in una mano.

La risatina di Draco si fermò sul suo collo, bacio di una bocca felicissima. Le allentò il vestito senza fretta, carezzandole la schiena come se fosse stata vetro da modellare con mani bollenti. «È assurdo pensare che Natale sia più bello del mio compleanno».

«Certo che è più bello».

Draco le pizzicò appena la pelle, mentre le sganciava il reggiseno e lo faceva un po’ da parte.

Lei scoppiò a ridere, divertita dalla sua eroica vendetta. «Allora al prossimo compleanno ti regalerò uno specchietto rubato a un’auto babbana».

«Sarebbe inappropriato».

«Perché?»

«Perché quello devo già regalartelo domani!» si indignò lui. «Hermione?», la richiamò, in un momento molto più attento. «Hai le spalle tese».

«Non farci caso. Non è niente».

Quando si voltò verso di lui, Hermione aveva le labbra dischiuse e gli occhi lucidi per l’impazienza. Si portò le sue mani ai lati del collo, un po’ incerta mentre gli carezzava le dita e ne traeva carezze ancora più morbide sulla pelle tesa. Con un movimento leggero lo invitò a farle scivolare via le spalline del vestito. L’istante dopo era quasi completamente nuda, mentre entrambi osservavano ai suoi piedi seta blu e pizzo bianco. Draco le sollevò il viso con due dita e un bacio persino più suadente; la fece distendere sulla superficie dello specchio come a trascinarla in un abisso di luce.

Sapeva che se solo lo avesse guardato, sarebbe rimasto ammaliato dall’immagine di loro due uniti, felici.

Si sistemò tra le sue gambe con delicatezza, stringendole le caviglie cinte da calze bianchissime e il ginocchio sempre candido, ma troppo vicino alla completa perdizione. Carezzarle le gambe e sospingerle contro i propri fianchi era come trovare l’appiglio più dolce pur finendo a cadere persino in se stessi.

Per un po’ la scrutò da lì, senza sfiorarle una striscia di pelle che non fosse coperta da seta finissima. Cercò di toccarla più a fondo, ma presto si ritirò.

«Stai tentando di capire se sono riuscita a tenere su le calze con un elastico di vetro?»

Hermione non era imbarazzata, però era colta da un’agitazione che sembrava fermento e violenza e tenerezza di chi si aspetta un abbraccio. Lo tirò su di sé, spingendolo a cadere sul suo ventre nudo e sul suo petto, che non aveva conosciuto altro se non le labbra di Draco o la freschezza di Vittoria XVII, quando mani intraprendenti gliel’avevano legata al collo.

C’era un confine sottilissimo tra la camicia di cui lo spogliava e la nudità che lentamente ne traeva, come se lui non fosse restio a liberarsi degli indumenti, ma a farsi guardare per scoprire che quello sguardo, in un momento di poca lucidità, non gli avrebbe detto le cose di sempre – io sono di vetro, e tu sei fiamma verde.

Draco sentì la testa troppo leggera, e mentre lei liberava l’ultimo bottone dall’asola si rifugiò contro il suo collo, ricordando che profumo aveva per lui l’amortentia. «Pensavo che sarebbe stato facile. Trascinarti a casa con una scusa, spiegarti che non ho mai smesso… Hermione». Lasciarsi stringere dalle sue braccia era più dolce che cedere alla promessa di una tenerezza infinita, come se quelle braccia fossero nastri che lo avrebbero accompagnato per il tempo di una vita. «Pensavo di dimostrarti tutto senza mai guardare lo specchio, guardando solo te. Anche se nello specchio io non ho le occhiaie e tu sembri così perdutamente mia che non la smetti mai di sorridermi».

«Draco…», le mani della ragazza si posarono sulla sua nuca, senza allontanarlo da sé, ricamando tra i suoi capelli tutta la trepidazione dell’attesa.

«Non mi rifugio nei sogni».

«No, hai ragione».

«Ma è difficile. Da quando sono uscito da Azkaban non c’è stato momento in cui non ci fossi anche tu. Mi bastava sentire un profumo e mi ricordavo che un profumo mi aveva salvato la vita; e ogni giorno pensavo che tu avessi un buon profumo e poi… Forse ho fatto in modo che mi lasciassi anche per me».

«Volevi restare da solo?»

Draco la sentì tremare un po’, sotto di sé e nuda come chi si lascia spogliare solo dal tocco dell’amore. Annuì senza molta forza. «Non ero stato più solo da quando sei venuta ad Azkaban. E… come puoi sapere che sei capace di vivere bene con qualcuno quando non sai nemmeno se sei capace di vivere da solo?»

«Avevi paura?»

Hermione non aveva la pelle lisca come il vetro, ma sotto le sue dita sembrava molto più preziosa. Quando lei gli carezzò il ventre, a Draco mancò il fiato. «Mi dispiace».

Mi dispiace – Sei più forte di me, Hermione – Vetro contro acciaio.

 

çòç

 

Lasciarsi toccare da lei e precipitare dentro di lei era stata la conferma che se il Natale era bello, allora c’era anche il modo di farlo durare tutto l’anno.

Sullo specchio non si scivolava bene e Draco aveva avuto qualche difficoltà nei movimenti più lenti. La pelle accaldata aveva lasciato impronte umide, tutte vicinissime. Però riscoprirsi era stato riconoscersi incantevoli come tutti i ricordi passati.

Il giorno dopo, tuttavia, non erano andati a cena e Draco non le aveva regalato lo specchietto strappato a un’automobile rosso fuoco.

Il ventiquattro dicembre ci aveva messo un po’, a trovarla. Potter lo aveva aperto specificando che la vigilia di Natale le nomine a eroe erano sospese e che poteva anche togliersi dalle pluffe una volta per tutte. Draco aveva risposto qualcosa di poco carino a proposito delle pluffe e si era informato sulla presunta postazione della sua sempre presunta ragazza. Proprio in quel momento fu raggiunto dall’ennesima letterina che invece di arrivare a Babbo Natale trovava il modo di far scongiurare lui. Per risultare più credibile agli occhi di Potter, mentre tentava di dare fuoco alla pergamena, rivangò qualche altro epiteto poco carino, di modo che la rabbia parlasse per lui.

«Hermione è dai suoi».

«Ragiona, Potter: non era stata lei a dirti che i suoi genitori erano scomparsi?»

«Probabilmente ti sfugge che Hermione conosce su per giù un centinaio di incantesimi per rintracciare chiunque nel giro di migliaia di chilometri».

 

Hermione era dai suoi genitori.

Sulle tombe dei suoi genitori, calata su una dedica che lei aveva fatto incidere nel marmo poco prima di affondare nel marasma della guerra.

«Hermione, ti ho mentito».

Lei ne sorrise debolmente, riconoscendo la sua voce in tutta quella neve, senza nemmeno girarsi. «Come mi hai trovata?»

«Dimentichi che io conosco su per giù un centinaio di incantesimi per rintracciare chiunque nel giro di migliaia di chilometri».

«Ma non è vero! Usavi sempre me per rintracciare qualcuno».

«Certo, ma perché sono abituato a importunarti da quando avevo undici anni». Draco osservò le impronte intorno alle tombe. Hermione non aveva i tacchi e non era vestita a festa. «Potter mi ha detto che saresti stata dai tuoi genitori e io mi sono ricordato che una volta mi raccontasti di aver inscenato la loro morte in questo sputo di paese, prima di spedirli in Australia…»

«Prima di privarli di troppi ricordi felici, vorrai dire».

«Puoi sempre riempirli di amortentia…»

«Draco», Hermione si sollevò dalla tomba di marmo umido e alzò gli occhi al cielo, senza guardarlo. «Sono scomparsi e non riesco a trovarli da una settimana. Io… avevo quasi accettato che non sarebbero mai stati in grado di ricordarmi, ma non vederli più…».

«Sarebbe come non avere più il Natale?»

«A te non piace il Natale!»

Draco sorrise, un po’ più rilassato. «Ti ho mentito. Te l’ho detto un minuto fa e mi hai completamente ignorato».

«E sei venuto qui per dirmi che in realtà ti piace il Natale?»

«Salazar, come ti viene in mente? Sono venuto qui per dirti che non era la vera Vittoria XVII quella che si è spaccata sulla testa dell’elfo». Draco le lanciò la pallina originale con un visino impertinente, anche se lei la lasciò cadere inevitabilmente a terra. «Su questa c’è un incantesimo che la rende infrangibile».

Hermione se la rigirò tra le mani fino a trarne una luce fiochissima, che sembrava il raggio della stella più timida. 

Vittoria XVII, tra quelle dita sottili, mostrò la verità che le era stata affidata un anno prima:

Da oggi, in questa casa, il Natale dura tutto l’anno.

 

 

çòç

 

Una volta tanto non aveva dovuto mandare in crisi un elfo per trascinarsela a Malfoy Manor. Draco era enormemente soddisfatto. Certo, se lei gli avesse lasciato via libera…

«La smetti di tormentare la gonna?»

«Perché? Stai insinuando che non mi merito di sapere se le calze hanno un elastico di vetro?»

«Draco…», Hermione prese fiato, con gli occhi serratissimi. «Davvero sono dietro quella porta?»

«Sì».

«E ricordano tutto?»

«Chi altri mi avrebbe detto che a tre anni anche a te piaceva spaccare palline di vetro?»

«Quindi io ora entro lì dentro», ipotizzò Hermione, «mia madre si precipiterà ad abbracciarmi e mio padre le dirà che è la solita esagerata e poi la toglierà di mezzo e mi abbraccerà ancora più forte?»

Draco la fissò un istante, un po’ accigliato. «Non lo so. A quest’ora saranno un po’ nervosi. Mia madre avrà raccontato che è colpa tua se in questa casa ancora non abbiamo un albero di Natale e poi avrà cercato di convincerli che Liszt era un purosangue».

La ragazza sospirò, agitatissima.

Draco le prese il viso tra le mani, mormorando qualcosa di confuso, col respiro che per lei sarebbe stato caldissimo: «Hermione, non sei qualcosa di cui ci si possa dimenticare».

Sei vetro contro acciaio.

 

çòç

 

«Domani mi regali il tuo progetto della mia figurina per cioccorane nel mondo

Draco cercava di starsene calmo nel letto, ma non era semplicissimo. Hermione gli aveva proibito di tormentare Vittoria XVII, così per assicurarsi di essere capace di trascorrere qualche minuto immobile si era poggiato con la schiena contro il suo ventre nudo. Forse sarebbe stato tranquillo anche per un quarto d’ora, bastava concentrarsi sulle braccia che lo tenevano stretto.

Era sopravvissuto ad Azkaban, grazie a lei. Era sopravvissuto alla mancanza di lei. E non c’era più la voce dei dissennatori a tormentarlo, o quella della sua più intima disperazione, che gli sussurrava di non perdersi più nemmeno un pezzo di vita, anche se questo significava essere sempre in movimento e non dormire mai.

Draco ora riusciva a capire che, certe volte, nella quiete di un respiro c’era la parte più bella della vita.

«Prima dovrebbero nominarti eroe».

«Ma io sono un eroe!»

Severus Piton era un eroe, si disse. Non solo morto per amore, ma per far sì che amori grandi come il suo un giorno avrebbero passeggiato mano nella mano tra le vetrine di Diagon Alley.

E poi gli aveva lasciato in dono tutti i suoi studi più preziosi, esperimenti così intelligenti da farlo sentire un fortunato tesoriere. Draco aveva provato molte di quelle pozioni sui genitori di Hermione, fin quando il giorno prima della vigilia una aveva miracolosamente funzionato.

Jane e Matt fino ad allora erano rimasti quasi incoscienti, Draco non era stato capace nemmeno di fissarli troppo a lungo. Gli sembravano spettri come era stato spettro lui ad Azkaban. E che differenza c’era tra il bacio di un dissennatore e un incantesimo che li aveva privati di tutti i ricordi più felici? Del ricordo di Hermione.

Non erano più stati vivi, senza di lei.

Avevano condiviso sensazioni che per ognuno di loro erano intime e uguali alla più tetra delle disperazioni, perciò Draco non si stupì quando notò che la pozione che aveva fatto effetto era quella con tre gocce d’amortentia.

Ricordarsi di ciò che si ama per ricordare una vita intera.

Prima l’aveva capito Severus Piton, poi Hermione, e poi anche Draco.

Quello era il bello.

Ricordarsi di ciò che si ama per ricordare una vita intera.

Ed era, quella, la bellezza stessa del Natale.

«Comunque ho scoperto che menti anche tu, Hermione».

«Stai ancora insinuando che il Natale non sia bello?»

«No, sto dicendo che non avevi fermato le calze con elastici di vetro».

«Certo! Merlino, solo tu puoi essere tanto vergognosamente imbecille da credere che esistano elastici di vetro. Era una scusa».

«Una scusa?»

«Così avevi sempre voglia di spogliarmi».

Draco sospirò, salutando avvilito la sua possibilità di beccarsi un bel titolo di eroe. «Non avevi bisogno di nessuna scusa», mormorò, sistemandosi meglio su di lei, mentre fissava il suo stesso punto sul soffitto del baldacchino.

«Nemmeno tu avevi bisogno di una scusa per trascinarmi in questa casa, Draco».

«Però così è stato più divertente», annuì, convintissimo.

«Certo, ma la smetti di agitare le braccia? Se indichi qualche altra città su quel planisfero l’incantesimo salta. Sta impazzendo con tutti i ritratti che ti fai mostrare».

 

«Hermione, dove vorresti andare?»

«In America?»

«No, lì non ci sono le agevolazioni per gli eroi, non mi piace».

«In Francia?»

«Avevi detto che non mi avresti costretto a fare nessuna dichiarazione. Proporre la Francia è un colpo basso».

«Va bene allora… in Norvegia?»

«In Norvegia? Dici sul serio?»

«In Finlandia? In un castello di ghiaccio».

«Salazar, guarda quello… è osceno».

«Che dice il planisfero?»

Draco non riusciva a trattenere una risatina altamente dissacrante. «Anni e anni fa l’Amore bussò alla porta del castello. Chiese: c’è posto? – no, qui siamo pieni – ma se andrò via rimarrete vuoti».

Hermione scoppiò a ridere con lui.

«Aspetta, continua. Dice che da allora qualcuno per non far ripetere mai più l’inconveniente trasformò il castello in un albergo con un numero infinito di stanze».

«Che assurdità».

«Già».

 

«Hermione

«Sei stato fermo per un minuto e trentasette secondi. Fai progressi».

«Sì, certo. Ma mi chiedevo… tu non sei curiosa di sapere se esiste davvero un incantesimo che crea l’infinito?»

«In effetti…»

 

«Hermione

«Un minuto e quindici. Stai peggiorando».

«E certo. Mi è appena caduta in testa la diciassettesima letterina per Babbo Natale della tredicesima sorellastra di Blaise».

«Poverina, si sentirà abbastanza ignorata».

«Io voglio sapere come fa a spedirmi lettere ovunque mi trovi».

«Perché lei crede in te. Ti raggiungerà ovunque».

«Hermione, lei crede in Babbo Natale».

«Appunto. Almeno dovresti comprarle qualcosa di quella lista».

«Ci ho provato. Ma poi i babbani mi hanno trattenuto…»

«Chiama Blaise e trova un negozio aperto di notte, Draco».

«Ma sei impazzita? Non esiste. Tanto la mamma di Blaise ha già trovato il suo prossimo marito. Appena il padre della bambina torna dal suo viaggio d’affari trova pure la lettera per il divorzio».

«Draco…»

«Pensa che Blaise ha già conosciuto il suo quattordicesimo fratellastro».

«Draco…»

«Non ha senso. Non la rivedremo più».

«Ha un padre che l’ha piantata il giorno di Natale con una matrigna che si dimentica sempre il suo nome».

«E allora? Dici che la mamma di Blaise era la proprietaria del castello di ghiaccio?»

«Che c’entra, Malfoy? E poi come puoi saperlo tu che invece di ammettere che mi ami dici che ami un po’ di più te stesso?»

«Certo che lo dico! È la verità».

E a chi serviva parlare d’amore, quando lei stessa era il profumo dell’amore?

Parlare d’amore non era bello come parlare di lei.

Dirle che l’amava era imparare che il Natale è bello, e può durare tutto l’anno.

 

«Hermione?».

«Sì?»

«Magari ci andiamo domani». Draco la guardò speranzoso, al buio della stanza. «Poi Blaise starà già dormendo…», insisté con il suo sguardo spudoratamente indagatore: lei aveva gli occhi chiusi e il viso sereno. Era palese che aveva dovuto arrendersi. «Brava, ti sei convinta. Quanto ti a…»

«Malfoy, datti da fare!»

E quella volta, sulla sua testa, ci finì Vittoria XVII.

 

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