Un paio di parole sul finale,
spudoratamente nonsense (meno male che ho già
iniziato a pensare a roba Angst per compensare
l’indecenza di tutto quello che mi fa fare il natale).
Magari Draco,
in un paio di righe verso la fine pensa di aver capito la bellezza del Natale.
Solo in parte, dico io.
Il Natale può essere sacro o un pretesto
materialista, ma per me resta la festa dei bambini.
Mi guardo intorno e vedo che a cinque o
sei anni già non credono più in Babbo Natale o che vivono in case in cui il
Natale arriva solo il 25 dicembre per mangiare e litigare su chi dovrà lavare i
piatti.
Se potessi, non vestirei il Natale di
altri mille significati sacri, ma lo restituirei ai bambini.
Naturalmente, l’ho fatto in un modo
stupido.
Ma io ho la sindrome di Peter Pan,
perciò il Natale mi fa uscire di testa.
Sarà per questo che Draco
è più bambino che mai, qui dentro?
Non so se riuscirò a pubblicare altro
entro la fine del mese.
Se così non fosse Buon Natale a tutti e
un brindisi agli istinti bambineschi che ci portiamo dentro.
Grazie dell’anno favoloso che mi avete
regalato.
Grazie a tutti e alla prossima
(vai con l’angst!)
Filomena
Io sono di vetro
“Teco porti lo specchio
di Narciso?
Questo è piombato vetro,
o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere
al tuo viso ma pensa che
sei vetro contro acciaio.”
G. D’Annunzio
Era stato complicato.
Draco
sapeva fin da giugno che inducendola a lasciarlo avrebbe dovuto faticare
parecchio per riaverla. Spiegarle tutto lo aveva stremato, e l’aveva fatto
sentire anche molto stupido.
Sono
di vetro, Draco. – Troverai un appiglio.
La legna si era consumata nel camino,
mentre le confidava che era stato tanto scorbutico proprio con l’intento di
farsi lasciare; che voleva dimostrarle quanto fosse forte. Lei non era di vetro
– vetro contro acciaio, vetro piombato.
Draco voleva che anche lei si rendesse conto di aver
ragione – certo, non lo trovi un
appiglio, perché lo cerchi chissà dove.
È
dentro di te, Hermione.
Lei gli aveva detto un sacco di volte
quanto fosse egoista, ma Draco non riusciva a
sentirsi egoista per aver voluto dimostrarle che lui non era il suo appiglio,
che lei era forte abbastanza anche da sola. Era la donna più forte che avesse
mai incontrato. L’unica che l’aveva salvato con profumi e ricordi così intimi
da farlo innamorare prima della memoria, e poi della vita.
Immaginare un futuro in cui lei non si
sentiva abbastanza forte da stare in piedi da sola lo distruggeva.
Hermione
era forte. Così forte da lasciarlo. Così forte da andare avanti senza di lui.
Perciò, ora che se ne era resa conto
perfino lei, Draco sapeva che era arrivato il momento
per Hermione di sentirsi ancora più forte – forte abbastanza da perdonarlo, da amarlo
ancora, di amore tenacissimo, che non si basa su una fiducia costruita dal
nulla, ma su una fiducia costruita sulle macerie.
Ne avevano parlato a lungo, mentre tutta
quella forza tratteneva lacrime luminose tra ciglia bellissime.
Hermione
aveva accolto la sua confessione un po’ stranita, e non gli aveva dato neppure
un bacio, quando aveva fatto da parte le braci nel camino per lasciarlo tornare
a casa.
Come aveva progettato sei mesi prima, a
giugno, Draco si disse che avrebbe atteso due giorni
e poi l’avrebbe invitata a cena.
Sventuratamente, il giorno dopo Draco si ritrovava in una caserma babbana
con un’accusa di cui non intuiva nemmeno il pretesto.
Il paradosso era che quei tipi in divisa sostenevano che lui avesse cercato di
prendersi gioco di loro, quando era evidente che gli unici a scherzare non
avevano il sangue puro nelle vene e nemmeno un po’ di magia tra le mani.
Draco
non riusciva a spiegarsi cosa diavolo volessero da lui. Certo, magari aveva
staccato lo specchietto in maniera irruente da quell’ammasso di vetro e metallo
rosso; ma non stava lasciando un pezzo di pergamena con l’indirizzo a cui
mandare un gufo per il risarcimento?
Quello specchietto per lui era di vitale
importanza, e loro invece continuavano a chiedergli documenti – per un momento Draco aveva pensato che volessero vedere la bozza della sua
figurina per cioccorane nel mondo e investirlo della nomina a eroe seduta stante.
Così non era stato, e avevano trascorso
il pomeriggio in accuse e insulti poco velati. Quando uno di loro ripeté che
forse “il biondo con le occhiaie da drogato” non era del tutto sano di mente, dato
che era stato beccato con una piuma e un pezzo di legno tra le mani, Draco decise di arrendersi e invitarli a contattare Hermione: lei avrebbe portato tutti i presunti documenti
che volevano e con quelli anche una faccia così incazzata da farli tremare dal
primo all’ultimo, compreso lui.
çòç
«Malfoy, sei
vergognosamente imbecille».
«Non ti vergognavi di me quando spiegavi
al tipo pelato che sono il tuo ragazzo e sono ancora sotto shock per un
incidente… dove?»
«Un incidente d’auto, Malfoy», sbuffò Hermione,
guardando stizzita le vetrine della Londra babbana.
«Si può sapere che ci facevi qui tra l’altro?»
«Oh», Draco
trattenne un ghigno di soddisfazione. Con la sua prossima uscita l’avrebbe
quanto meno impressionata. «La
tredicesima sorellastra di Blaise e Blaise-sono-troppo-impegnato-per-fingermi-Babbo-Natale mi
hanno spedito a cercare Barbie luci di stelle».
«E si può sapere perché invece di
entrare in un negozio hai rubato lo specchietto di un’automobile?»
«Ma io non l’ho rubato. Ero disposto a
pagarlo un mucchio di galeoni!»
Draco
ebbe la conferma che quella non era la risposta giusta quando lo sguardo che lo
investì fu talmente sconcertato da farlo sentire vergognosamente imbecille.
«Ho dovuto obliviarli, Malfoy.
Sei soddisfatto? Sono stata abbastanza forte da non devastargli la memoria come
ho fatto coi miei genitori».
«Hermione,
ascolta», Draco le prese la mano, fermandosi su un
marciapiede gremito di bambini che in fila aspettavano di salire sulla slitta
di Babbo Natale, anche se dal legno rosso ne usciva musica meno delicata de la campanella. «Lo so che in questo
momento vorresti prendermi a pugni e andarti a preparare una camomilla per
affrontare i relativi sensi di colpa; che poi ti scotteresti la lingua e
penseresti che comunque sono più caldo io, che con me sentirsi bruciare era…»
«Malfoy…»
«…era bello», continuò, cercando il suo
sguardo. «Ma ti ho spiegato che non mi importa niente se un giorno vorrai
trascinarmi a festeggiare il Natale coi tuoi genitori; non mi importava nemmeno
a giugno. Probabilmente pure loro litigheranno con mia madre per stabilire se Liszt era babbano o purosangue e
tu sentirai ancora il bisogno di prendermi a pugni, perché in qualche modo sarà
tutta colpa mia e perché sarò sempre incapace di starmene un minuto tranquillo,
ma tutto questo… sono cose a cui non voglio rinunciare».
«Perché così puoi amarti meglio?»,
ribatté lei, amaramente.
Draco
ne sorrise un po’, aggrottando la fronte.
C’erano
stati in giorni in cui era stato sul punto di dirle che l’amava e che per lui ormai
darle un bacio era come bere amortentia al sapore di
eterno.
Però
non l’aveva mai fatto.
Non
le aveva mai confessato di amarla, ma solo di amarsi un po’ di più quando era
con lei.
«Certo! E poi così diventerò abbastanza eroico da avere una figurina delle cioccorane tutta per me. Non è grandioso?»
«No», precisò Hermione,
in tono ragionevole. «È vergognosamente imbecille. Come il fatto che hai
cercato di rubare lo specchietto di un’auto babbana.
Come ti è saltato in mente?»
«Volevo regalartelo alla cena di
domani».
«Quale cena?»
«Quella a cui ti avrei invitato
sprezzante del pericolo», la informò lui, in posa casualmente eroica.
Qualcosa però nei suoi gesti non doveva
funzionare. Hermione scoppiò a ridere. «E ti sembra
un regalo adatto uno specchietto?»
«Più che adatto. Hai detto che non sei
stata tu a infilarti nel mio nuovo specchio, no?»
«Infatti».
«Però nel mio specchio ci sei».
«Se lo dici tu…»
«E indovina cosa c’è scritto su questo
specchietto babbano?»
Draco
lo cacciò dal taschino. Era rimpicciolito e lo assalì con un engorgio senza farsi troppi problemi, mentre Hermione lo fissava con espressione scandalizzata.
«Non ci posso credere. Te lo sei portato
dietro nonostante fossi sul punto di venire arrestato».
«Dai, leggi». Draco
glielo porse impaziente, osservando il modo particolare in cui quella scritta
scivolava sotto gli occhi di lei.
Objects in the mirror are closer than they appear.
«Malfoy, sei
vergognosamente imbecille».
Però
era più vicina di quanto sembrasse.
Draco
ci aveva messo un po’, ad afferrare la spiegazione che Hermione
stava infarcendo di troppi particolari. La cosa certa era che ormai tutti
complottavano per farlo sentire vergognosamente imbecille, e non era una
sensazione tipica degli eroi. Draco ci poteva
scommettere, anche se nessuno si prendeva la briga di calarsi a suoi piedi e
chiamarlo mio eroe.
Lo specchio in cui lui pensava di aver
trovato la sosia di Hermione, in realtà, era uno
specchio particolare. Naturalmente, Potter lo avrebbe saputo, gli fu spiegato.
Harry ne aveva trovato uno simile a Hogwarts, il primo anno – guarda caso – e il professor Silente – esimio professor Silente – gli aveva spiegato che rifletteva i
desideri più intimi di chi vi si specchiava.
«Davvero?», mormorò Draco,
con un filo di voce.
Hermione
distolse lo sguardo, un po’ imbarazzata.
Lui non ci mise molto a recuperare la
sua esemplare faccia di bronzo. Insomma, quel dannato specchio sapeva quanto la
desiderasse. Tanto meglio: così lo sapeva anche lei. «Sai perché sei così bella
lì dentro?» chiese, con fare serissimo. «Perché sei di nuovo mia».
«È un po’ egocentrico da parte tua», si
accigliò Hermione, pensierosa. «Ma immagino che sia
meno egocentrico delle storie che ti sei inventato per mandarmi a monte tutti
gli appuntamenti degli ultimi sei mesi».
«Dai, era spassosissimo! Far credere al
tipo dell’ufficio misteri che si era preso il vaiolo di drago per impedirgli di
uscire con te è stato un colpo di genio» Draco fu
sicuro di avere gli occhi brillanti di eccitazione al solo ricordo. «Anzi, non
capisco perché non mi abbiano nominato eroe
proprio per questo».
«Perché gli eroi non abbandonano le
proprie ragazze nel momento del bisogno e dopo non passano sei mesi a
boicottare pranzi e cene a cui le invita qualcun altro».
«Davvero?» ripeté Draco,
con aria confusa.
Hermione
annuì, abbassando lo sguardo sulle loro mani, ancora congiunte.
Sorprendentemente, ne sorrise. «Quando la smetterai di fare tutte queste
assurdità?»
Draco
scrollò un po’ le spalle, pensando che non era quello il punto della
situazione. «Ti ricordi perché ti ho trascinata a Malfoy
Manor con la scusa dell’elfo in crisi di autostima?»
«Dovresti essere più specifico. Hai
usato questa scusa un milione di volte».
«Sì», sorrise entusiasta. «La prima
volta. Quando volevo un albero di natale con le palline di vetro».
«Come il più viziato dei rampolli».
«Già».
«È stata la prima volta che ho ascoltato
La campanella a casa tua. Narcissa aveva un
abito verde quasi da opera e gli occhi serratissimi per non perdersi nemmeno
una nota. E poi tu mi dicesti che secondo tua madre il virtuosismo non è l’arte
di chi esagera, ma l’arte di chi può permettersi tutto. E lei annuiva
compiaciuta, sempre a occhi chiusi, mentre dimostrava che Liszt
era un purosangue di nobili origini».
Draco
non riuscì a trattenere una risatina. Era bello il modo in cui lei si perdeva
nei ricordi e parlando ne espandeva la memoria, facendola incanto dolcissimo
quando la intrecciava a quel presente che era ancora più dolce, ora che si
lasciava prendere di nuovo per mano. «E poi?»
«Poi mi hai trascinata a tradimento nel
tuo letto perché dicevi che dovevi provare una cosa».
«Infatti! Che cosa?»
«Sul baldacchino del tuo letto, nella
seta, c’è ricamato un planisfero gigante. Basta che ti stendi e vedi tutto il
mondo. Se ti concentri o indichi un punto in particolare magari ti spunta
davanti la gioconda che ti sorride o una piramide piena di tesori».
Hermione
lo abbracciò di slancio, nascondendo il viso contro il colletto della sua
camicia.
«E poi?», ripeté lui, impaziente di
sentire incantato un ricordo che troppe notti aveva rivisto da solo.
«Poi abbiamo fatto l’amore e io non ti
ho quasi mai tolto lo sguardo di dosso. Così alla fine hai detto che era
lampante, che ero tutta tua e che avevi vinto contro il mondo intero».
«No. Tu non mi hai mai tolto lo sguardo di dosso. Che momento di gloria».
«E poi ti sei messo a giocare con
Vittoria XVII mentre io ti spiegavo perché il Natale è tanto bello», sottolineò
lei, smontandolo un po’.
«Hermione?»
«Sì?»
«Voglio
provare una cosa».
çòç
La superficie dello specchio era gelida
sotto i piedi nudi. Draco ci camminava completamente
scalzo ed Hermione aveva solo delle calze non molto
sottili a ripararla dal freddo.
Abbassando lo sguardo, i loro visi si
riflettevano vicinissimi.
«Che cosa vuoi fare?»
«Voglio che ti stendi qui sopra, Hermione».
«Sullo specchio? Per questo l’hai messo
a terra?»
«Sì».
«È un’altra assurdità», gli fece
presente lei, voltandosi e trattenendo i capelli in una mano.
La risatina di Draco
si fermò sul suo collo, bacio di una bocca felicissima. Le allentò il vestito
senza fretta, carezzandole la schiena come se fosse stata vetro da modellare
con mani bollenti. «È assurdo pensare
che Natale sia più bello del mio compleanno».
«Certo che è più bello».
Draco
le pizzicò appena la pelle, mentre le sganciava il reggiseno e lo faceva un po’
da parte.
Lei scoppiò a ridere, divertita dalla
sua eroica vendetta. «Allora al
prossimo compleanno ti regalerò uno specchietto rubato a un’auto babbana».
«Sarebbe inappropriato».
«Perché?»
«Perché quello devo già regalartelo
domani!» si indignò lui. «Hermione?», la richiamò, in
un momento molto più attento. «Hai le spalle tese».
«Non farci caso. Non è niente».
Quando si voltò verso di lui, Hermione aveva le labbra dischiuse e gli occhi lucidi per
l’impazienza. Si portò le sue mani ai lati del collo, un po’ incerta mentre gli
carezzava le dita e ne traeva carezze ancora più morbide sulla pelle tesa. Con
un movimento leggero lo invitò a farle scivolare via le spalline del vestito.
L’istante dopo era quasi completamente nuda, mentre entrambi osservavano ai
suoi piedi seta blu e pizzo bianco. Draco le sollevò
il viso con due dita e un bacio persino più suadente; la fece distendere sulla
superficie dello specchio come a trascinarla in un abisso di luce.
Sapeva che se solo lo avesse guardato,
sarebbe rimasto ammaliato dall’immagine di loro due uniti, felici.
Si sistemò tra le sue gambe con
delicatezza, stringendole le caviglie cinte da calze bianchissime e il
ginocchio sempre candido, ma troppo vicino alla completa perdizione. Carezzarle
le gambe e sospingerle contro i propri fianchi era come trovare l’appiglio più
dolce pur finendo a cadere persino in se stessi.
Per un po’ la scrutò da lì, senza
sfiorarle una striscia di pelle che non fosse coperta da seta finissima. Cercò
di toccarla più a fondo, ma presto si ritirò.
«Stai tentando di capire se sono
riuscita a tenere su le calze con un elastico di vetro?»
Hermione
non era imbarazzata, però era colta da un’agitazione che sembrava fermento e
violenza e tenerezza di chi si aspetta un abbraccio. Lo tirò su di sé,
spingendolo a cadere sul suo ventre nudo e sul suo petto, che non aveva
conosciuto altro se non le labbra di Draco o la
freschezza di Vittoria XVII, quando mani intraprendenti gliel’avevano legata al
collo.
C’era un confine sottilissimo tra la
camicia di cui lo spogliava e la nudità che lentamente ne traeva, come se lui
non fosse restio a liberarsi degli indumenti, ma a farsi guardare per scoprire
che quello sguardo, in un momento di poca lucidità, non gli avrebbe detto le
cose di sempre – io sono di vetro, e tu
sei fiamma verde.
Draco
sentì la testa troppo leggera, e mentre lei liberava l’ultimo bottone
dall’asola si rifugiò contro il suo collo, ricordando che profumo aveva per lui
l’amortentia. «Pensavo che sarebbe stato facile.
Trascinarti a casa con una scusa, spiegarti che non ho mai smesso… Hermione».
Lasciarsi stringere dalle sue braccia era più dolce che cedere alla promessa di
una tenerezza infinita, come se quelle braccia fossero nastri che lo avrebbero
accompagnato per il tempo di una vita. «Pensavo di dimostrarti tutto senza mai
guardare lo specchio, guardando solo te. Anche se nello specchio io non ho le
occhiaie e tu sembri così perdutamente mia che non la smetti mai di
sorridermi».
«Draco…», le mani
della ragazza si posarono sulla sua nuca, senza allontanarlo da sé, ricamando
tra i suoi capelli tutta la trepidazione dell’attesa.
«Non mi rifugio nei sogni».
«No, hai ragione».
«Ma è difficile. Da quando sono uscito
da Azkaban non c’è stato momento in cui non ci fossi
anche tu. Mi bastava sentire un profumo e mi ricordavo che un profumo mi aveva
salvato la vita; e ogni giorno pensavo che tu avessi un buon profumo e poi…
Forse ho fatto in modo che mi lasciassi anche per me».
«Volevi restare da solo?»
Draco
la sentì tremare un po’, sotto di sé e nuda come chi si lascia spogliare solo
dal tocco dell’amore. Annuì senza molta forza. «Non ero stato più solo da
quando sei venuta ad Azkaban. E… come puoi sapere che
sei capace di vivere bene con qualcuno quando non sai nemmeno se sei capace di
vivere da solo?»
«Avevi paura?»
Hermione
non aveva la pelle lisca come il vetro, ma sotto le sue dita sembrava molto più
preziosa. Quando lei gli carezzò il ventre, a Draco
mancò il fiato. «Mi dispiace».
Mi
dispiace – Sei più forte di me, Hermione – Vetro
contro acciaio.
çòç
Lasciarsi toccare da lei e precipitare
dentro di lei era stata la conferma che se il Natale era bello, allora c’era
anche il modo di farlo durare tutto l’anno.
Sullo specchio non si scivolava bene e Draco aveva avuto qualche difficoltà nei movimenti più
lenti. La pelle accaldata aveva lasciato impronte umide, tutte vicinissime.
Però riscoprirsi era stato riconoscersi incantevoli come tutti i ricordi
passati.
Il giorno dopo, tuttavia, non erano
andati a cena e Draco non le aveva regalato lo
specchietto strappato a un’automobile rosso fuoco.
Il ventiquattro dicembre ci aveva messo
un po’, a trovarla. Potter lo aveva aperto specificando che la vigilia di
Natale le nomine a eroe erano sospese
e che poteva anche togliersi dalle pluffe una volta
per tutte. Draco aveva risposto qualcosa di poco
carino a proposito delle pluffe e si era informato
sulla presunta postazione della sua sempre presunta ragazza. Proprio in quel
momento fu raggiunto dall’ennesima letterina che invece di arrivare a Babbo
Natale trovava il modo di far scongiurare lui. Per risultare più credibile agli
occhi di Potter, mentre tentava di dare fuoco alla pergamena, rivangò qualche
altro epiteto poco carino, di modo che la rabbia parlasse per lui.
«Hermione è
dai suoi».
«Ragiona, Potter: non era stata lei a
dirti che i suoi genitori erano scomparsi?»
«Probabilmente ti sfugge che Hermione conosce su per giù un centinaio di incantesimi per
rintracciare chiunque nel giro di migliaia di chilometri».
Hermione
era dai suoi genitori.
Sulle tombe dei suoi genitori, calata su
una dedica che lei aveva fatto incidere nel marmo poco prima di affondare nel
marasma della guerra.
«Hermione, ti
ho mentito».
Lei ne sorrise debolmente, riconoscendo
la sua voce in tutta quella neve, senza nemmeno girarsi. «Come mi hai trovata?»
«Dimentichi che io conosco su per giù un
centinaio di incantesimi per rintracciare chiunque nel giro di migliaia di
chilometri».
«Ma non è vero! Usavi sempre me per
rintracciare qualcuno».
«Certo, ma perché sono abituato a
importunarti da quando avevo undici anni». Draco
osservò le impronte intorno alle tombe. Hermione non
aveva i tacchi e non era vestita a festa. «Potter mi ha detto che saresti stata
dai tuoi genitori e io mi sono ricordato che una volta mi raccontasti di aver
inscenato la loro morte in questo sputo di paese, prima di spedirli in
Australia…»
«Prima di privarli di troppi ricordi
felici, vorrai dire».
«Puoi sempre riempirli di amortentia…»
«Draco», Hermione si sollevò dalla tomba di marmo umido e alzò gli
occhi al cielo, senza guardarlo. «Sono scomparsi e non riesco a trovarli da una
settimana. Io… avevo quasi accettato che non sarebbero mai stati in grado di
ricordarmi, ma non vederli più…».
«Sarebbe come non avere più il Natale?»
«A te non piace il Natale!»
Draco
sorrise, un po’ più rilassato. «Ti ho mentito. Te l’ho detto un minuto fa e mi
hai completamente ignorato».
«E sei venuto qui per dirmi che in
realtà ti piace il Natale?»
«Salazar, come ti viene in mente? Sono venuto
qui per dirti che non era la vera Vittoria XVII quella che si è spaccata sulla
testa dell’elfo». Draco le lanciò la pallina
originale con un visino impertinente, anche se lei la lasciò cadere
inevitabilmente a terra. «Su questa c’è un incantesimo che la rende
infrangibile».
Hermione
se la rigirò tra le mani fino a trarne una luce fiochissima,
che sembrava il raggio della stella più timida.
Vittoria XVII, tra quelle dita sottili,
mostrò la verità che le era stata affidata un anno prima:
Da
oggi, in questa casa, il Natale dura tutto l’anno.
çòç
Una volta tanto non aveva dovuto mandare
in crisi un elfo per trascinarsela a Malfoy Manor. Draco era enormemente
soddisfatto. Certo, se lei gli avesse lasciato via libera…
«La smetti di tormentare la gonna?»
«Perché? Stai insinuando che non mi
merito di sapere se le calze hanno un elastico di vetro?»
«Draco…», Hermione prese fiato, con gli occhi serratissimi. «Davvero
sono dietro quella porta?»
«Sì».
«E ricordano tutto?»
«Chi altri mi avrebbe detto che a tre
anni anche a te piaceva spaccare palline di vetro?»
«Quindi io ora entro lì dentro»,
ipotizzò Hermione, «mia madre si precipiterà ad
abbracciarmi e mio padre le dirà che è la solita esagerata e poi la toglierà di
mezzo e mi abbraccerà ancora più forte?»
Draco
la fissò un istante, un po’ accigliato. «Non lo so. A quest’ora saranno un po’
nervosi. Mia madre avrà raccontato che è colpa tua se in questa casa ancora non
abbiamo un albero di Natale e poi avrà cercato di convincerli che Liszt era un purosangue».
La ragazza sospirò, agitatissima.
Draco
le prese il viso tra le mani, mormorando qualcosa di confuso, col respiro che
per lei sarebbe stato caldissimo: «Hermione, non sei
qualcosa di cui ci si possa dimenticare».
Sei
vetro contro acciaio.
çòç
«Domani mi regali il tuo progetto della
mia figurina per cioccorane nel mondo?»
Draco
cercava di starsene calmo nel letto, ma non era semplicissimo. Hermione gli aveva proibito di tormentare Vittoria XVII,
così per assicurarsi di essere capace di trascorrere qualche minuto immobile si
era poggiato con la schiena contro il suo ventre nudo. Forse sarebbe stato
tranquillo anche per un quarto d’ora, bastava concentrarsi sulle braccia che lo
tenevano stretto.
Era sopravvissuto ad Azkaban,
grazie a lei. Era sopravvissuto alla mancanza di lei. E non c’era più la voce
dei dissennatori a tormentarlo, o quella della sua
più intima disperazione, che gli sussurrava di non perdersi più nemmeno un
pezzo di vita, anche se questo significava essere sempre in movimento e non
dormire mai.
Draco
ora riusciva a capire che, certe volte, nella quiete di un respiro c’era la parte
più bella della vita.
«Prima dovrebbero nominarti eroe».
«Ma io sono un eroe!»
Severus Piton
era un eroe, si disse. Non solo morto per amore, ma
per far sì che amori grandi come il suo un giorno avrebbero passeggiato mano
nella mano tra le vetrine di Diagon Alley.
E poi gli aveva lasciato in dono tutti i
suoi studi più preziosi, esperimenti così intelligenti da farlo sentire un
fortunato tesoriere. Draco aveva provato molte di
quelle pozioni sui genitori di Hermione, fin quando
il giorno prima della vigilia una aveva miracolosamente funzionato.
Jane e Matt fino ad allora erano rimasti
quasi incoscienti, Draco non era stato capace nemmeno
di fissarli troppo a lungo. Gli sembravano spettri come era stato spettro lui
ad Azkaban. E che differenza c’era tra il bacio di un
dissennatore e un incantesimo che li aveva privati di
tutti i ricordi più felici? Del ricordo
di Hermione.
Non
erano più stati vivi, senza di lei.
Avevano condiviso sensazioni che per
ognuno di loro erano intime e uguali alla più tetra delle disperazioni, perciò Draco non si stupì quando notò che la pozione che aveva
fatto effetto era quella con tre gocce d’amortentia.
Ricordarsi
di ciò che si ama per ricordare una vita intera.
Prima l’aveva capito Severus
Piton, poi Hermione, e poi
anche Draco.
Quello era il bello.
Ricordarsi
di ciò che si ama per ricordare una vita intera.
Ed
era, quella, la bellezza stessa del Natale.
«Comunque ho scoperto che menti anche
tu, Hermione».
«Stai ancora insinuando che il Natale
non sia bello?»
«No, sto dicendo che non avevi fermato
le calze con elastici di vetro».
«Certo! Merlino, solo tu puoi essere
tanto vergognosamente imbecille da
credere che esistano elastici di vetro. Era una scusa».
«Una scusa?»
«Così avevi sempre voglia di
spogliarmi».
Draco
sospirò, salutando avvilito la sua possibilità di beccarsi un bel titolo di eroe. «Non avevi bisogno di nessuna
scusa», mormorò, sistemandosi meglio su di lei, mentre fissava il suo stesso
punto sul soffitto del baldacchino.
«Nemmeno tu avevi bisogno di una scusa
per trascinarmi in questa casa, Draco».
«Però così è stato più divertente»,
annuì, convintissimo.
«Certo, ma la smetti di agitare le
braccia? Se indichi qualche altra città su quel planisfero l’incantesimo salta.
Sta impazzendo con tutti i ritratti che ti fai mostrare».
«Hermione,
dove vorresti andare?»
«In America?»
«No, lì non ci sono le agevolazioni per
gli eroi, non mi piace».
«In Francia?»
«Avevi detto che non mi avresti
costretto a fare nessuna dichiarazione. Proporre la Francia è un colpo basso».
«Va bene allora… in Norvegia?»
«In Norvegia? Dici sul serio?»
«In Finlandia? In un castello di
ghiaccio».
«Salazar,
guarda quello… è osceno».
«Che dice il planisfero?»
Draco
non riusciva a trattenere una risatina altamente dissacrante. «Anni e anni fa
l’Amore bussò alla porta del castello. Chiese: c’è posto? – no, qui siamo pieni – ma se andrò via rimarrete vuoti».
Hermione
scoppiò a ridere con lui.
«Aspetta, continua. Dice che da allora
qualcuno per non far ripetere mai più l’inconveniente trasformò il castello in
un albergo con un numero infinito di stanze».
«Che assurdità».
«Già».
«Hermione?»
«Sei stato fermo per un minuto e
trentasette secondi. Fai progressi».
«Sì, certo. Ma mi chiedevo… tu non sei
curiosa di sapere se esiste davvero un incantesimo che crea l’infinito?»
«In effetti…»
«Hermione?»
«Un minuto e quindici. Stai
peggiorando».
«E certo. Mi è appena caduta in testa la
diciassettesima letterina per Babbo Natale della tredicesima sorellastra di Blaise».
«Poverina, si sentirà abbastanza
ignorata».
«Io voglio sapere come fa a spedirmi
lettere ovunque mi trovi».
«Perché lei crede in te. Ti raggiungerà
ovunque».
«Hermione, lei
crede in Babbo Natale».
«Appunto. Almeno dovresti comprarle
qualcosa di quella lista».
«Ci ho provato. Ma poi i babbani mi hanno trattenuto…»
«Chiama Blaise
e trova un negozio aperto di notte, Draco».
«Ma sei impazzita? Non esiste. Tanto la
mamma di Blaise ha già trovato il suo prossimo marito.
Appena il padre della bambina torna dal suo viaggio d’affari trova pure la
lettera per il divorzio».
«Draco…»
«Pensa che Blaise
ha già conosciuto il suo quattordicesimo fratellastro».
«Draco…»
«Non ha senso. Non la rivedremo più».
«Ha un padre che l’ha piantata il giorno
di Natale con una matrigna che si dimentica sempre il suo nome».
«E allora? Dici che la mamma di Blaise era la proprietaria del castello di ghiaccio?»
«Che c’entra, Malfoy?
E poi come puoi saperlo tu che invece di ammettere che mi ami dici che ami un
po’ di più te stesso?»
«Certo che lo dico! È la verità».
E
a chi serviva parlare d’amore, quando lei stessa era il profumo dell’amore?
Parlare
d’amore non era bello come parlare di lei.
Dirle
che l’amava era imparare che il Natale è bello, e può durare tutto l’anno.
«Hermione?».
«Sì?»
«Magari ci andiamo domani». Draco la guardò speranzoso, al buio della stanza. «Poi Blaise starà già dormendo…», insisté con il suo sguardo
spudoratamente indagatore: lei aveva gli occhi chiusi e il viso sereno. Era
palese che aveva dovuto arrendersi. «Brava, ti sei convinta. Quanto ti a…»
«Malfoy, datti
da fare!»
E
quella volta, sulla sua testa, ci finì Vittoria XVII.