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Autore: Ato    12/12/2011    7 recensioni
Blaise dal canto suo riuscì persino a trovare il coraggio di precisare:«non capisco come puoi essere così insensibile, Draco. Vittoria XVII è stata la tua migliore pallina di vetro. Inoltre mi permetto di ricordarti che era anche una delle due uniche sopravvissute al Natale passato».
Tre sopravvissute, pensò Draco, con la rilassatezza tipica di un dorso rugoso a cui era venuto il mal di gola.
Era sopravvissuta anche Hermione.
Ed era lei, quella che gli aveva insegnato a tossire fuoco.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Io sono di vetro

“Teco porti lo specchio

di Narciso?

Questo è piombato vetro,

o mascheraio.

Aggiusta le tue maschere

al tuo viso ma pensa che

sei vetro contro acciaio.”

G. D’Annunzio

 

«Siamo tutti qui riuniti per ricordare la gloriosa esistenza di Vittoria XVII».

Draco non dovette impegnarsi molto per sfoggiare uno sguardo scocciatissimo.

«A voler essere precisi, non ci siamo proprio tutti».

Draco si persuase che i pezzi di vetro sul pavimento di casa sua avessero un’attrattiva in più della sciarpa viola con cui Blaise rifiutava di strozzarsi.

«Se vogliamo sottilizzare, a ricordarla ci sono solo i migliori amici della povera Vittoria, pia in vita, santa nella morte».

Il presunto anello di congiunzione tra Black, Malfoy e goblin poco dotati di pazienza sbuffò in maniera piuttosto eloquente.

Blaise dal canto suo riuscì persino a trovare il coraggio di precisare:«non capisco come puoi essere così insensibile, Draco. Vittoria XVII è stata la tua migliore pallina di vetro. Inoltre mi permetto di ricordarti che era anche una delle due uniche sopravvissute al Natale passato».

Tre sopravvissute, pensò Draco, con la rilassatezza tipica di un dorso rugoso a cui era venuto il mal di gola.

Era sopravvissuta anche Hermione.

Ed era lei, quella che gli aveva insegnato a tossire fuoco.

 

çòç

 

Potter doveva morire.

Draco non riusciva nemmeno a capacitarsi che un soggetto così sinistro fosse diventato niente di meno che capo del dipartimento auror nel ministero più ingiusto che l’intero mondo magico avesse mai conosciuto.

Roba da pazzi, da non credere, da perderci il sonno.

Naturalmente, siccome in lui si era sviluppato un singolarissimo senso della giustizia, ogni volta che il sonno lo perdeva sul serio, non poteva fare a meno di informare lo stesso Potter della sua tragica condizione.

«Ti ho offerto un’operazione col migliore magichirurgo estetico del mondo, Potter, ti libereresti per tutta la vita di quella cicatrice oscena e tu mi dici… noDraco sbatté le palpebre inorridito da tanta insensatezza. Non gli stava mica chiedendo di darsi fuoco per osservare le sfumature che avrebbe preso il suo mantello dal gusto umanamente inclassificabile. Gli aveva solo chiesto qualche informazione sul modo migliore per diventare un eroe; e magari quanto avrebbe dovuto sborsare per una sua buona parola col direttore della ditta cioccorane nel mondo, senza dimenticare il consiglio accorato di cambiare lo slogan pubblicitario (cioccorane nel mondo: un cioccosospiro al secondo). Dopotutto Draco Malfoy non si muoveva mai senza una buona intenzione.

E dietro la buona intenzione c’era un’ottima ambizione.

«Potter, tu non capisci. Ho già in mente la didascalia per la mia figurina. Ho persino la foto perfetta e i fondi disponibili per mandarne in stampa… su per giù diecimila copie, per cominciare. Mi manca solo un trofeo di guerra, o una spilla, un riconoscimento ad onore o…»

«Hermione».

A Draco Malfoy andò di traverso la saliva, e tossendo fu quasi dispiaciuto che l’abilità di sputare fuoco fosse andata del tutto persa il giorno dopo la sbornia colossale che l’aveva fatto sentire un drago – dopo che aveva smesso di incontrare Hermione al confine tra vetro e acciaio. «Sì, anche lei, ma un’impresa eroica per volta».

Potter non diede segno di averlo sentito, mentre si alzava titubante dalla sua poltrona da eroe. «Hermione, già qui? Sei in anticipo. Tu non sei mai in anticipo. Arrivi sempre all’orario prestabilito. Voglio dire… non che sia meno che perfetta l’idea di anticipare la pausa pranzo, ma…»

Quando Draco recepì il significato di quelle parole, lasciò cadere il portapiume a cui stava cercando di cancellare la dedica il mondo magico ti deve il suo presente. Con l’augurio che Harry Potter possa scriverne ancora la storia.

Guardarla fu come riconoscere una favola cui nessuno aveva saputo dare un finale, nonostante avesse un inizio così chiaro…

 

Azkaban era il pugno strettissimo dell’angelo della morte. Era soffocante a tal punto, che nessuno poteva pensare di uscirne vivo. I dissennatori avevano falci appuntite che usavano per scavare tra ricordi felici, ma già crepati dalla disperazione. Nutrirsi di miele avvelenato sarebbe stato più dolce della vista di quei mantelli oscuri, di labbra troppo sottili per pronunciare parole d’amore, e gole abbastanza profonde da contenere la felicità delle generazioni di sempre.

Azkaban era il piano più oscuro della morte, quello che includeva torture talmente violente da far dimenticare l’essenza stessa della vita. Lì dentro non solo si smetteva di vivere, ma si finiva vittima di un pensiero maldestro, per cui tutti cominciavano a credere di non aver vissuto affatto.

Quando l’essenza stessa della vita fece visita a Draco Malfoy, infatti, quasi stentò a riconoscerla. Forse perché non avrebbe mai pensato di vederla con le sembianze della Granger. Eppure quando lei entrò nella sua cella, l’aria si riempì dei profumi dell’infanzia, di sapori così dolci da sembrare zucchero finissimo nella più deliziosa delle bevande.

«Granger», salutò, un po’ incerto e con la vista appannata. «Solo tu potevi pensare di venire ad Azkaban spalmata di amortentia».

La vide sussultare, poco lontana dal suo giaciglio sul pavimento, prima che si inginocchiasse proprio di fronte a lui.

«Come hai fatto a capirlo?»

«Nessuna donna ha un profumo così buono».

Hermione Granger annuì, un po’ a disagio, lanciando sguardi preoccupati alla porta. Certamente non le avevano dato molto tempo per parlargli, ammesso che non fosse lì per ucciderlo – per ucciderlo senza falci e senza baci, in una maniera che sarebbe stata persino più dolorosa.

«Che sei venuta a fare?» sbuffò Draco, voltandosi da tutt’altra parte, col viso quasi schiacciato contro il muro. «Mi stai consumando l’aria. E qui l’aria non è molta, considerando quante volte aprono quella porta».

«Non è l’aria che ti manca».

«E tu che ne sai? Quante volte hanno cercato di ucciderti con un bacio?»

«Mai».

«Allora non puoi capire», le fece presente. «Che diavolo vuoi? Sei venuta a torturarmi per quello che ti ha fatto mia zia davanti ai miei occhi?» Draco riuscì a pronunciare quella domanda con una fermezza spaventosa, ma solo perché non sentiva più niente. Forse qualsiasi morte sarebbe stata più dolce del pensiero di non aver mai vissuto.

«Malfoy, tu non capisci!» La Granger era scattata di nuovo in piedi, con le mani nei capelli e gli occhi lucidissimi. «Persone che ho visto più o meno ogni giorno della mia vita da quando avevo undici anni sono morte. Morte. Ora sono in cimiteri così lontani che io non saprò nemmeno come sono fatte le loro tombe. E non è giusto. Nessuno di noi doveva morire. Ognuno aveva i suoi sogni… le sue ambizioni. Tu Malfoy eri quello con le ambizioni più grandi e più assurdamente orribili del mondo, ne avevi così tante…

Sei l’unico che è finito ad Azkaban. L’unico a cui posso impedire di morire, perciò ora te ne starai qui immobile e ti lascerai salvare».

«Senti quanto sei ridicola», Draco era certo che se fosse stato vivo avrebbe stretto i pugni per la rabbia, magari attorno al collo della Granger, ma le dita gli facevano male perché aveva troppo scavato nella pietra, e la rabbia gli sembrava un sentimento troppo complesso per elaborarlo con la sua mente distrutta. «Sai come funziona qui dentro? I primi giorni, mi ripetevo che quando ne fossi uscito sarei cambiato, sarei diventato più forte. Indistruttibile. Ora, in quei rari momenti in cui credo di ricordare cos’è il divertimento, rido di me, Granger. Qui dentro ci si salva solo con la morte».

«Lasciati toccare».

«Non pensarci nemmeno».

«Malfoy, io posso salvarti. Posso tentare. Non rendere tutto un inferno, come al solito».

«Stammi lontana», le intimò, con tono perentorio.

Hermione scosse la testa, mangiando aria, anche se non sembrava animata dal dispetto di volerla consumare. Si portò le mani sulla camicetta, armeggiando con un bottone poco al di sotto della clavicola.

«Ti stai spogliando per me?»

«Non voglio sedurti, Malfoy».

Draco arricciò le labbra, tornando a fissare il muro. «Peccato», constatò. «Avrei avuto la prova schiacciante che ormai sei del tutto fuori di testa».

Con un colpo di dita sanissime, la Granger fece saltare il bottone. Era un piccolo quadratino brillante, che oltre alla trasparenza irradiava riflessi bui, come vetro decorato con colori adatti a dipingere la notte. «Quanto ti fa male l’avambraccio, Malfoy

«Non mi fa affatto male».

Posò la mano destra sul marchio nero, esaminandone il gonfiore e i contorni di un rosso carminio. «Sta capitando a molti, ma i medimaghi e gli indicibili pensano che presto andrà meglio», spiegò la Granger. Lei evidentemente aveva ancora una concezione tutta sua di meglio. «Perché non rilassi un po’ il braccio?»

E come poteva spiegarle che dopo avergli tolto il dominio sulla propria mente, i suoi carcerieri a poco a poco gli avevano tolto anche quello sul corpo? Non riusciva nemmeno a ricordarsi come si faceva un movimento brusco, o come si comandava ai muscoli di essere meno rigidi.

«Va bene, non fa niente», continuò lei. «Brucerà un po’».

Draco non sentì il calore della pelle che lo sfiorava, né il bruciore per cui era stato messo in guardia. Draco non sentiva proprio niente, mentre Hermione riversava sul suo braccio un po’ di dittamo che aveva nascosto nel bottoncino di vetro. Lo massaggiò con energia, ma lievemente, anche se il rossore non pareva arretrare.

«Non potevo portarne di più. Prima di far visita ai prigionieri fuori ti perquisiscono. Non ho neppure la bacchetta con me».

«Quindi sei indifesa».

Hermione accennò un sorriso. «Siamo tutti indifesi, ma io non ho passato le ultime sere della mia vita a cena con chi vorrebbe uccidermi con un bacio».

«No, eh?»

«Volendo escludere il tipo che ci ha provato con un alito pestilenziale».

Draco fu certo che il suo non era migliore, ma era anche certo di non doverci provare con la Granger, nonostante lei continuasse a spogliarsi: aveva fatto saltare un altro bottone. «Non muoverti».

Si era fatta troppo vicina e Draco non riuscì a restare immobile. Schiacciò la guancia destra contro il muro, mentre i suoi capelli gli sfioravano il viso. «Vuoi farmi innamorare di te?», annaspò, terrorizzato dall’eventualità che fosse proprio quella la punizione che gli spettava.

«Malfoy, voltati. E respira».

Scosse un po’ la testa, prima che lei gli catturasse pure il mento, tenendolo fermo contro il suo collo. «Non voglio usare l’amortentia per farti innamorare di una persona che non ti è nemmeno amica. Malfoy, respira. L’amortentia serve a ricordarti che hai già amato nella vita, e che devi resistere fin quando non ti tirano fuori di qui. Devi resistere per tutte le cose che hai amato e continuerai ad amare».

Draco tirò un respiro profondo contro il collo della Granger: lì il profumo era più forte. Gli entrava sotto pelle, lo sentiva. Sapeva di limone e luce al cherosene.

Hermione non si mosse, mentre lui ne assorbiva l’essenza. Posò le mani sul suo petto, sul colletto sgualcito della maglia e lo pizzicò un po’, tentando di cucire il bottoncino di vetro sull’orletto superiore. «Cerca di non farlo rompere. Contiene tre gocce di amortentia. Non berle. Solo… continua a sentirne il profumo tutte le volte che cercheranno di rubarti ricordi e pezzi di vita».

Draco annuì, non molto lucido. Quando la vide alzarsi all’improvviso, però, ricordò come si comandava al braccio un movimento veloce. Le afferrò il polso, anche se non ci vedeva molto bene. «Hermione», la chiamò, tremando. «Passa anche dai miei genitori».

Lei si bloccò, tesissima. «Non ho altri bottoni pieni di amortentia».

«Non fa niente», si affrettò Draco. «Ce l’hai addosso, come un profumo».

Non la vide convinta, mentre si portava ancora una mano tra i capelli, come se fosse possibile averli più scompigliati. Poi la lasciò scendere sul collo, che in qualche modo si era arrossato.

Draco si chiese se fosse a causa del suo respiro, prima di chiudere gli occhi e pronunciare parole indicibili, che sarebbero rimaste segrete nel buio di una cella: «Per favore».

Lei annuì rapidamente, infilando la porta. Aveva la pelle arrossata, i capelli disordinati e la camicetta sbottonata.

Draco sorrise un po’, accigliandosi. Forse, vedendola, qualcuno avrebbe pensato che fosse andata da lui per farci l’amore, ma nessuno avrebbe capito con che tocco sottile glielo avesse portato, tutto quell’amore.

 

 

Nell’ufficio di Potter, Hermione fissava immobile prima lui, poi il suo più vecchio amico. Aveva uno sguardo così rabbioso e stupefatto, da far tremare un paio di cioccorane scartate sulla scrivania.

Draco accennò a una smorfia non molto cortese, massaggiandosi il mento con le dita e alzandosi velocemente dalla sua sedia. «Assunto che tu non stai mai zitta per troppo tempo, soprattutto se hai più di qualcuno da attaccare, ne deduco che sei in imbarazzo, Hermione. Perciò…»

«Malfoy, non ci provare».

Riconobbe nel suo sguardo una luce che aveva visto nei momenti della sua vita in cui non c’era più bisogno di amortentia per conoscere l’amore. Si affrettò a continuare, ignorando il suo sguardo di fuoco. «Perciò Potter, se non ti spiace vado a cioccosospirare lontano dalle maledizioni che vorrà lanciarti la mia ex-ragazza». Draco si aprì in un sorriso lievemente teso, scartandosi un’altra cioccorana. Si premurò di gettare per aria l’ennesima figurina di Ronald Weasley, dare un morso alla testa di cioccolato, e smaterializzarsi il più lontano possibile dalla bacchetta che lo aveva preso di mira.

 

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«Malfoy, se la tua relazione complicata con gli elfi è di nuovo una scusa per attirarmi qui dentro…»

«Hermione, certo che è una scusa. Non capisco come un elfo in calo di autostima possa essere un mio problema». Draco arricciò appena le labbra, per trattenere un’espressione poco cortese quando una creaturina spaurita decise che fustigarsi con un candelabro non sarebbe stato sufficiente a farla redimere dal peccato commesso.

«Lo stai facendo sentire in colpa!», trillò lei, esterrefatta. «Che avrebbe fatto per meritarsi tutto questo?». L’elfo uscì molto contrariato dal suo maldestro tentativo di protezione.

«Io e Blaise giocavamo con Vittoria XVII, quando a un certo punto la palla gli è finita in testa. È stato… in realtà ho visto solo i pezzi di vetro a terra, non lo so».

«Come puoi non saperlo?»

Proprio quando i toni stavano prendendo le fattezze di un interrogatorio, spuntò dall’altra stanza una bambina che era diventata la sua personalissima piaga: «Qui c’è la nuova lista dei regali che voglio per Natale. Mi raccomando: devi fare attenzione e non dimenticarti di barbie luci di stelle. È importante. Barbie regina dei fiori ha litigato con le altre e ora si sente sola».

Draco si ritrovò tra le mani quaranta o cinquanta centimetri di pergamena, tutta fittamente compilata con inchiostro luminosissimo, che già da solo era indice di quanto potesse essere osceno il contenuto della lista. Sbatté un paio di volte le palpebre, prima di ritornare da Hermione con sguardo afflitto:«Vedi? Fuggivo da quella. È la tredicesima sorellastra di Blaise e lui le ha fatto credere che io sono Babbo Natale sotto copertura con la polisucco, e che sono qui, in casa mia, per tenerla d’occhio».

«Notevole. Sei ancora incapace di startene tranquillo almeno un minuto».

«Hermione…»

«Se il problema dell’elfo era una scusa, perché io ora ho l’ufficio, il camino e… la doccia pieni di tue fastidiosissime lettere?»

Draco si rianimò un po’, ricordandosi del problema che aveva un’assoluta urgenza di essere risolto. «Parliamo del mio regalo di Natale».

«Malfoy», lo sguardo oltraggiato della ragazza non prometteva proprio niente di buono. «Assumendo che io nel giro di dieci giorni perda la memoria, mi ritrovi nei corridoi del reparto psichiatria del San Mungo a giocare a scacchi con Gilderoy Allock, dopo aver bevuto una pozione aguzzaingegno scaduta… No, nemmeno in quel caso ti farei un regalo, mettitelo in testa».

La perplessità sul viso di Draco fu un compendio di arte recitativa e stupore naturalissimo. «Sul serio? Allora mi spieghi come si è infilata la tua sosia nel mio specchio?»

 

Quella giornata doveva essere uno scherzo del destino. Qualcuno l’aveva aggiunta a tradimento tra le sue giornate perfette.

Non bastava che il giorno prima aveva dovuto piangere la dipartita di Vittoria XVII, né che Potter aveva rifiutato di nuovo la sua proposta per corrompere il direttore di cioccorane nel mondo, né che sempre in quello sventurato frangente avesse rivisto Hermione cinquantadue ore prima di quanto aveva programmato, e non bastava nemmeno che la sesta letterina per Babbo Natale fosse rispuntata nella sua stanza dopo tre volte che le aveva dato fuoco con molto sentimento. Tutto quello era evidentemente insufficiente per chi desiderava punirlo. Il giorno dopo, infatti, gli era stato finalmente consegnato lo specchio che aveva ordinato per la sua stanza di vetro. Era persino più bello di quello fotografato nel catalogo. Il vero dramma era arrivato dopo, quando dentro lo specchio ci aveva trovato una Hermione sorridente e adorante, proprio mentre scartava il bigliettino che gli avevano spedito insieme al pacco: non serve a niente rifugiarsi nei sogni.

Draco era molto contrariato, ma non poté fare a meno di socchiudere un po’ gli occhi, quando la vide passare le dita morbidissime sulla superficie splendente dello specchio. Aveva uno sguardo assorto, e più che una favola, sembrava una leggenda che parlasse di divinità…

 

«Non ci posso credere. La storia dell’elfo con cali di autostima era una scusa. Malfoy, sei imperdonabile».

«Hermione, certo che era una scusa. Non capisco come un elfo in calo di autostima possa essere un mio problema». Draco non tardò a notare la valenza omicida dello sguardo che si era guadagnato. «Ma giuro che non ti ho trascinata a Malfoy Manor per una cosa da poco».

«Me lo immagino. Deve essere qualcosa di molto rilevante, come per esempio la scelta dell’inchiostro con cui mi scriverai gli auguri di Natale pur di non venire alla tana o… ecco: fare spazio su qualche parete per appendere il boccino che prenderai alla prossima partita di Quidditch».

«Sono profondamente offeso», Draco si portò una mano sul cuore. «Per quello ci sono gli elfi domestici».

La smorfia sul viso di Hermione si fece ancora più indignata. «Pensa che ingenua. Ero convinta che avresti ricavato spazio facendo collassare un paio di ritratti antichi mentre mi presentavi come la tua nuova ragazza mezzosangue».

Draco per un attimo non poté impedirsi di fissarla ammirato. «Questo piano è subdolamente geniale» le sorrise. «Se ci avanza un po’ di tempo lo mettiamo in atto. Ma ora», soggiunse, prima di poter essere interrotto «devi assolutamente fare quello che ti dico».

«Cioè?»

«Voglio un albero di Natale. Completamente di vetro».

 

Draco sorrise, per un attimo felice, mentre Hermione scribacchiava qualcosa su una pergamena. Dovevano essere le istruzioni per liberare lo specchio della sua immagine.

A dire il vero, lui non aveva alcuna intenzione di liberarlo. In quello specchio Hermione era più bella di quanto la ricordasse, era immensamente bella, forse perché non la smetteva mai di sorridere. Lo metteva di buonumore come il pensiero che fosse di nuovo sua.

 

Doveva sapere che era sua. Draco non riusciva nemmeno a immaginare che in quel momento possedeva qualcosa solo a metà. Hermione doveva essere tutta sua, e lui aveva bisogno di saperlo.

Non gli importava molto dell’albero di natale, né degli addobbi di vetro. Però ogni volta che la vedeva con una pallina decorata e lucente tra le mani, si diceva che dopotutto aver sopportato un branco di elfi domestici che tentavano di caricare nel salone ottanta palline di vetro non era stato uno sforzo inutile.

Peccato che già ne avesse rotte una ventina. Il fatto era che quelle assurde palline non rimbalzavano per niente, e a nulla bastava la sua riconosciuta abilità sulla scopa mentre le usava come boccino in una sanguinosa lotta con Blaise e il suo ottavo fratellastro. Erano fin troppo chiassose, erano chiassose persino per uno come lui, che da un po’ non riusciva a starsene fermo nemmeno un minuto. E se Hermione gli faceva notare che sembrava una tormenta, o un terremoto o qualsiasi cosa irruenta e molto disagevole, Draco le si avvicinava, prendeva un’altra pallina tra le mani e le faceva notare quanto fossero belli i riflessi del vetro. C’erano stati dei momenti in cui entrambi erano rimasti incantati, specchiandosi in colori che assorbivano i loro sorrisi e li rilanciavano negli occhi dell’uno o dell’altra come tesori preziosissimi. Poi Draco la baciava, perché i sorrisi nel vetro erano belli, ma bocca contro bocca diventavano timbri dalla bellezza ancora più sottile, ancora più delicata.

Alla fine ritornava a tormentare le palline di vetro come fossero dei boccini indistruttibili. Il salone era pieno di pezzi frantumati sul pavimento e riflessi che parevano di luce lunare. Hermione si chiedeva tante volte ad alta voce come Draco pensasse di fare un albero senza applicarsi con gli addobbi, e Draco a bassa voce spiegava agli altri giocatori come sarebbe stata la faccia della Weasley quando al prossimo incontro Slytherin contro Gryffindor lui avrebbe preso il boccino, senza mani. Molte palline furono sacrificate per questa nobile causa.

Allora i toni di Hermione crebbero a dismisura, quando gli fece presente che aveva capito ancora una volta il suo inganno – Ammettilo, non ti importa proprio niente dell’albero di Natale. Draco riuscì ad ammetterlo con un candore angelico, prendendola per mano, prima di mostrarle tutte le vetrate di Malfoy Manor.

Vetro piombato si alzava fino ai soffitti altissimi, di un verde così brillante da sembrare un pezzo di bosco modellato dai venti più insistenti. Vetro e acciaio, insieme, erano barriere che, per quanto belle, sembravano gli abbozzi delle porte del paradiso.

A Hermione era mancato il fiato, per un momento.

Draco sapeva cosa significavano per lei. Tantissime volte, quando era nuda e non molto lucida, gli aveva confessato di sentirsi come vetro. Come vetro, Draco. È come se fossi sul punto di cadere, col pensiero che se cado, finisco in mille pezzi – Perché dovresti cadere? – Ho paura di non saper trovare un appiglio – Lo troverai – Draco? – Sì? – Mi lascerai cadere? – Sei come vetro?

C’era qualcosa di strano, nel suo modo di essere vetro. Lui l’aveva saputo sin dalla prima volta, ma non aveva capito come dirglielo senza impressionarla. Allora la assecondava, quando lei si sentiva vetro e gli sussurrava all’orecchio che il suo respiro era così caldo da sembrare fuoco sulla pelle. Draco spesso le diceva che il fuoco modella il vetro, e lei non si indignava: sorrideva, gli posava un bacio tra i capelli, scherzava un po’ – allora hai studiato, Malfoye gli diceva ancora non mi dispiace essere vetro se tu sei il fuoco, e ancora e ancora vuoi che sia un modello per la tua bocca o per le tue mani?, e… e se ci bruciamo? – Impossibile. Sei vetro contro acciaio – Tu non sei acciaio, sei fiamma verde.

Successe anche quella sera, quando la casa si riempì di una musica fatta di vetro sottilissimo, per cui ogni nota era una campanella suonata da mani delicate, col ritmo di chi ha paura ma non può rinunciare all’azzardo di un altro trillo. Avevi detto che tua madre non c’era – Infatti – E invece è in salotto ad ascoltare musica babbana – Prova a dimostrarle che Liszt era babbano, ti sbatterà fuori di casa – Ma Liszt era babbano! – Ah, secondo te è possibile suonare certe cose senza avere la magia tra le dita?

Hermione fu un po’ timorosa e rigida, quando Narcissa Malfoy li fece chiamare da un elfo, e col sorriso in bocca si premurò di far notare a entrambi che non c’era bisogno di nascondersi dietro una porta chiusa davanti a quadri pettegoli, se volevano ascoltare La campanella.

Era babbano! – Mi eri sembrata più intelligente quando sei venuta ad Azkaban per salvare mio figlio – Ma insomma… – è tutta magia, Hermione.

Draco le sorrise divertito, quando lei uscì dal salotto con il viso fumante di indignazione. Poi dovette faticare un po’, per trascinarsela nella sua stanza senza nemmeno farglielo notare, per spogliarla a poco a poco, mentre fingeva di assecondarla.

Lo sapevo, Malfoy! Era questo il tuo scopo: portarmi nel tuo letto! – Certo! – Altro che albero di Natale. Non mi hai neppure aiutata – Sei ingiusta. Ho dato i nomi alle palline di vetro – Le hai chiamate tutte Vittoria – Vittoria… Vittoria, non ha un suono delizioso, Hermione?

Vittoria XVII per Draco aveva un suono delizioso, quando l’adagiarono sul comodino, o sulla pelle, o tra i seni della ragazza, tra un cuscino e l’altro mentre a loro ne serviva solo uno, tanto erano così vicini…

La campanella per Draco aveva un suono delizioso, dopo aver dimostrato che sua madre ed Hermione non sarebbero mai andate d’accordo, ma già si guardavano con rispetto e ammirazione, sin dalla visita ad Azkaban.

Hermione aveva un suono delizioso, quando voleva che la abbracciasse, quando gli diceva che lei era vetro e lui fiamma verde, quando sottolineava che lui non era acciaio, e si lasciava toccare così in profondità che quando lo chiamava (Draco, Draco, Draco), quando lo chiamava, la sua voce sembrava quella di una campanella al rintocco più importante. Sembrava una campanella di vetro al rintocco della mezzanotte.

E quindi non ti importa del Natale, Malfoy – Per niente – Non ti piace? Nemmeno un po’? – Non lo so. Non è una di quelle domande che posso farmi a cuor leggero. Magari se ne parla alla prossima sbronza – Non ci credo. Scommetto che adesso ti piace almeno un po’ – Hermione, se non ci metti tutta la notte, puoi anche dirmi cos’ha di bello.

A che servono le luci? Non basto io?

Sei di vetro?

Non ti lascerò cadere, Hermione.

Forse tua madre ha ragione, Malfoy. È tutta magia, ma non di quella che fa uso di bacchette.

Vittoria XVII!

Draco richiamò la pallina sorridente, mentre lei già dormiva, dopo avergli esposto con comica perizia tutte le delizie del Natale. Draco si era finalmente assicurato che lei era davvero sua. Era così felice che dovette ripetere l’incantesimo un paio di volte. Vittoria XVII ne uscì incantata, e diventò lo scrigno di una scritta che si mostrava soltanto in poche occasioni:

Da oggi, in questa casa, il Natale dura tutto l’anno.

 

Anche un anno dopo, La Campanella aveva un suono delizioso.

Non gli sfuggì il tremore che la colse, quando fu certa che qualcuno poco lontano aveva fatto partire proprio quella composizione.

«A mia madre farebbe piacere salutarti, Hermione», intervenne Draco, tentando di approfittare di quel momento di debolezza.

La vide tremare ancora un po’, mentre scuoteva la testa. «Ho molto da fare, non posso trattenermi. Per lo specchio… non chiamarmi più, è tutto scritto qui». Hermione gli porse un pezzo di pergamena malamente ripiegato, prima di andarsene assicurando alla tredicesima sorellastra di Blaise che Babbo Natale era un gran bastardo e che doveva impegnarsi a farlo lavorare tantissimo.

Ricorda che sei vetro contro acciaio.

Draco sbuffò, dedicandosi alla scritta sulla pergamena di Hermione:

Non serve a niente rifugiarsi nei sogni.

 

çòç

 

«Malfoy, si può sapere che ci fai in casa mia?»

Draco si sistemò un po’ il cuscino dietro la testa, mentre sedeva comodamente su un divanetto davanti al camino del soggiorno. Da una piccola mensola di marmo, Vittoria I lo fissava curiosa. Hermione aveva una casa piccola, e non sembrava nemmeno di vetro. Era piuttosto una di quelle case che danno l’idea di essere state intagliate nel legno di una quercia antichissima, profumava di segreti consumati nel tempo della memoria.

«Perché non ti siedi anche tu?», la invitò, indicando oziosamente il posto accanto al suo.

«Perché da qui mi è più facile buttarti nelle fiamme e sbatterti fuori di casa».

«Lo sai, quando mi hai lasciato mi ero immaginato un risvolto del genere».

Hermione gli rivolse uno sguardo truce. «Quando ti ho lasciato, Malfoy, tu immaginavi soltanto il modo all’apparenza più divertente per rompere la prossima pallina di vetro».

«Come al solito mi sottovaluti. A quello ci avevo già pensato quando ti ho detto che mai e poi mai avrei voluto conoscere i tuoi genitori».

Draco non impiegò molto a capire quanto profonda fosse la ferita che la ragazza aveva cercato di fasciare con cumuli di indifferenza.

«Ma certo. Sospettavo che non ti fossi nemmeno impegnato a cercare il modo più gentile per dirmelo».

Si alzò lentamente, allontanandosi dal calore delle fiamme. La vide arretrare, quando accennò un passo verso di lei:«Non era mia intenzione essere gentile. È questo che ti ha dato la forza di lasciarmi, anche se ci hai messo due giorni».

Hermione aveva gli occhi lucidi, ma non avrebbe pianto; avrebbe tenuto nascoste le lacrime tra le ciglia fin quando non fossero diventate luce purissima e nulla più. «Sei venuto per farmi notare che avrei dovuto lasciarti due giorni prima?»

«No, sono venuto a ricordarti che sei vetro contro acciaio».

E che lui non era l’acciaio…

 

«Sono babbani, Hermione, non voglio nemmeno sapere come si chiamano».

Si ritrovò la porta sbattuta in faccia, anche se avrebbe preferito un’altra dimostrazione di forza.

Ma lei lo amava così tanto…

Lo amava di amore tenacissimo, anticipazione del futuro (Sarai forte, Draco), di amore che è fiducia smisurata e frutto di carezze riservate all’intimità della notte, alla lana di mantelli tanto larghi da nascondere anche i movimenti più audaci.

Lui sapeva tutte queste cose perché Hermione, di tanto in tanto, gliele ripeteva con voce brilla di emozione.

Ma tutto questo cos’è per te?

Amore, le aveva risposto. Draco le aveva risposto che con lei riusciva ad amarsi meglio.

Due giorni dopo averle detto che non avrebbe mai conosciuto i suoi genitori, Draco non aveva ammesso di amarla. L’aveva osservata andare via, nascondendo una scintilla di soddisfazione negli occhi, prima di prenderla per la vita, riscaldarle i capelli con un respiro di fuoco, e mormorare l’affronto più dolce e più doloroso che le avesse mai rivolto:

Ricorda che sei vetro contro acciaio.

 

«Malfoy, sparisci».

«Jane e Matt».

Hermione non mostrò neppure un po’ del suo stupore. «Devi essere più stupido di quanto credessi, se pensi che conoscere i loro nomi significhi qualcosa, ora».

«No, significa qualcosa il fatto che già li conoscevo a giugno».

Vittoria I, dalla sua mensola in marmo, aveva ammiccato.

 

 

 

 

Questa storia partecipa all’iniziativa dell’albero di Natale delle Blue Ladies. Ho usato come prompt: pallina di vetro decorata con nome scritto sopra.

Tutto il resto è triste frutto di qualche notte insonne.

È strutturata come one-shot. La pubblico in due parti per evitare di rifilarvi venti pagine tutte in una volta sola.

Io sono qui: Click a chiedermi perché ho scritto questa storia quando avevo detto di essere di nuovo in pausa.

A presto con l’ultima parte!

Filomena

   
 
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