From Sue Storm to Diana Prince di RobTwili (/viewuser.php?uid=84438)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spring Ball ***
Capitolo 2: *** You can't fall in love with your best friend ***
Capitolo 3: *** Good night, Dwarfy ***
Capitolo 4: *** First time is not always the best ***
Capitolo 5: *** Proposal-Epilogue ***
Capitolo 1 *** Spring Ball ***
zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi
avvenimenti si possono trovare in parte narrati nel Capitolo 15 e capitolo 16. Ricordo
che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
Non
mi sentivo per niente tranquilla in camera di Ashley.
Era
come stare nella tana del lupo.
Perché,
in quella camera dipinta di rosa, Ash mi stava trattando come una cavia.
Prima
ero stata costretta a provare un’infinità di vestiti, se così si potevano
chiamare quei pezzi di stoffa colorati che coprivano a malapena la linea del
sedere, e poi mi aveva truccato e acconciato.
C’era
qualcosa nel suo sguardo che mi spingeva a pensare che Ash mi vedesse come una
bambola a grandezza naturale.
«Perfetta»
mormorò soddisfatta, appoggiando la piastra sul tavolo di fianco a noi.
«Posso
legarmi i capelli adesso?» chiesi, giocando con l’elastico che tenevo tra le
mani.
«Non
ci provare» mi puntò addosso la bottiglietta di lacca, per minacciarmi.
«D’accordo».
Alzai le mani in segno di resa, sperando che non mi colpisse con lo spray.
«Dunque,
riuscirai a fare quello che ti ho detto?» si informò, spruzzandomi una quantità
eccessiva di lacca.
«Ash»
sospirai, preparandomi a ripetere la solita storia, «non piaccio a Zac, quindi
del tuo piano non me ne faccio davvero nulla».
Perché
dovevo chiedergli di ballare e poi avvicinarmi a lui per baciarlo?
Zac
non mi vedeva nemmeno come donna, impegnato com’era a guardare i film di
Natalie Portman e a pensare all’ipotetica cugina di Ash.
Kenzytrina.
Perché
Ashley aveva deciso di giocare sul soprannome che usava per chiamarmi quando
aveva fretta. Kenzy.
«Io
scommetto queste Jimmy Choo che Zac questa sera non riuscirà a toglierti gli
occhi di dosso. Ora, indossa questo vestito, su! Io vado a prendere una cosa in
bagno». Si allontanò, quasi saltellando.
Incredibile
quanto andare a quel ballo l’avesse messa di buonumore.
Indossai
il vestito con qualche problema, contorcendomi mentre cercavo di agganciare la
zip sul retro.
«Ferma,
potresti romperlo» strillò Ash allarmata, facendomi sussultare per la sorpresa.
Qualche
secondo dopo le sue dita sfiorarono la mia schiena, prima di chiudere la zip.
«Fai
un giro per farti ammirare» mi ordinò, indietreggiando di un passo.
Girai
velocemente su me stessa, sentendo Ashley sbuffare irritata.
«Le
scarpe. Tieni, indossa queste». Prese da una confezione un paio di scarpe, le
stesse che mi aveva costretto a comprare una settimana prima.
Scarpe
con il tacco.
Talmente
alte che con quel tacco non ne avevo mai viste.
Non
ero nemmeno sicura che fosse legale mettere in commercio scarpe così poco
comode.
«Fanno
male» mi lamentai, facendo roteare la caviglia per cercare di dare sollievo al
dolore che sentivo al piede.
«Zitta,
e adesso gira lentamente» ordinò di nuovo, agitando la mano.
Quando
parlava in quel modo mi spaventava.
Era
decisamente meglio non contraddirla.
Feci
come aveva detto e cominciò a battere le mani, felice.
«Un
capolavoro. Questa volta mi sono superata» si complimentò da sola, mentre
guardavo il mio corpo.
C’era
qualcosa che non mi convinceva.
«Tu
sei sicura che questo vestito sia della mia taglia?» mormorai, guardando quel
piccolo pezzo di stoffa marrone che continuava a sollevarsi a ogni respiro che
facevo.
«Sei perfetta Mac. Questo vestito è stato creato
per te» osservò, girandomi attorno.
Istintivamente
portai le mani sul sedere, per tirare la stoffa un po’ più giù.
Perfetta
io… e lei che cos’era? Con quel vestitino blu faceva invidia.
«Sì, certo. Si sono dimenticati un pezzo, però.
I jeans sotto» sbottai, cercando un metodo perché non scendesse troppo sul seno
e non si alzasse sul sedere.
Impossibile.
Ogni
volta che lo tiravo su rischiavo di far vedere il mio sedere, se cercavo di
coprirmi un po’ più le gambe, quella quasi inesistente massa grassa che avevo
sotto alle clavicole tendeva a fuoriuscire.
«Dai
Mac, pensa che sei una donna, una bellissima donna. Questa sera nessuno
riuscirà a toglierti gli occhi di dosso. Nemmeno Zac» bofonchiò, sistemandosi
il mascara, mentre mi sedevo sul suo grande letto comodo e torturavo il suo
cane di peluche.
«Zac
nemmeno si accorgerà di me. E quando capirà che sono io si chiuderà in un
mutismo schifato. Ci scommetto i sette hard disc esterni che mia mamma mi ha
regalato per il compleanno» sbottai.
Ashley
si stava infilando una giacchina e, dopo aver controllato l’ora, mi accorsi che
dovevamo partire.
«Li
perderai i tuoi cosi esterni. Non so
nemmeno cosa sono, e non saprei che farmene, quindi è inutile che scommetta, ma
sappi che se lo facessi li perderesti». Mi fece una linguaccia, mentre teneva
aperto il portone di casa perché uscissi prima di lei.
«Come no»
sibilai, agganciandomi la cintura di sicurezza mentre Ash accendeva il motore.
«Speriamo non ci siano intoppi come
l’ultima volta» sussurrò soprappensiero
Ash, accendendo l’autoradio.
«Sono sicura che tutto andrà benissimo»
cercai di rassicurarla.
Alex non avrebbe
avuto il coraggio di fare scenate dopo l’ultima festa.
Se l’avesse fatto
si sarebbe dimostrato… idiota.
Molto più idiota
di quanto in verità non fosse.
O forse era
proprio così idiota.
«Siamo arrivate» sospirò Ash, spegnendo il motore.
Potevo vedere
John, Francis e Zac in piedi.
Ero quasi sicura
che ci avessero viste arrivare: stavano guardando tutti e tre nella nostra
direzione.
«Posso tornarmene a casa?» piagnucolai, non più sicura di voler scendere
da quell’auto.
Anzi, pensandoci,
non avevo mai voluto nemmeno salirci.
«Senti, tu devi accompagnarmi, è
chiaro? E adesso porta il tuo sederino fuori dalla mia macchina e incamminati
sculettando verso Zac. Quando arrivi lì lo prendi per la giacca e lo baci».
La cosa
spaventosa era che Ash non stava scherzando.
«Mi fai paura» bofonchiai, scendendo.
Meglio non
contraddirla.
Non glielo avevo
fatto notare, ma mi sembrava agitata.
«Cristo, Mac! Potresti almeno
sorridere?» mormorò affiancandosi a me, «sembra che tu sia qui perché costretta». Si sistemò un ricciolo che le era sfuggito
sulla guancia e prese un respiro profondo.
«Perché, non lo sono?» le feci notare a bassa voce, per non farmi
sentire dai ragazzi.
Spostai subito lo
sguardo su Zac e per un momento il respiro si bloccò.
Era assolutamente
perfetto.
Quel completo
metteva in evidenza le sue spalle larghe, sottolineando la sua altezza.
Non sapevo se una
giacca potesse far sembrare un uomo più alto, ma con Zac sembrava possibile.
I suoi capelli,
come sempre indomabili, ricadevano sulla sua fronte, sfiorando gli occhiali.
Riuscivo quasi a
vedere il blu dei suoi occhi. Lo stesso blu che diventava brillante quando
cominciava a ridere o era felice.
«Ciao
ragazzi» salutò Ashley.
Io
invece continuai a tenere lo sguardo basso, imbarazzata.
La
verità era che avevo paura di un giudizio negativo da parte dei ragazzi,
soprattutto da parte di Zac.
«Presenta
tua cugina». Un sussurro che non ero sicura di aver sentito.
Quando
però Ash, John e Francis cominciarono a ridere, capii che non me lo ero
immaginato.
Zac
non si era accorto che ero io?
Un
po’ di trucco, un paio di scarpe con il tacco e un vestito cambiavano così
tanto l’aspetto di una persona da renderla irriconoscibile o questo era
successo solo perché lui era… Zac?
«Ragazzi,
lei è Mac». Ashley mi circondò le spalle con un suo braccio, stringendomi
appena, come se avesse voluto farmi coraggio.
Mi
costrinse a fare un passo in avanti, ma abbassai di più lo sguardo,
imbarazzata.
Nessuno
parlava e sentivo tre paia di occhi scrutarmi.
Non
mi piaceva essere al centro dell’attenzione. Non mi era mai piaciuto e mi
piaceva ancora meno esserlo se indossavo un minivestito.
«Sei
bellissima» sussurrò Francis, aprendosi in
un sorriso radioso.
Ero
felice che qualcuno potesse trovarmi anche lontanamente carina, ma sapevo che
per Francis ero presentabile anche con quel pigiama con gli orsi.
«Mac?»
sussurro Zac, facendo un passo verso di me e piegandosi leggermente sulle
ginocchia per controllare il mio viso. «Non… no! Non puoi essere tu!» sbottò,
alternando sguardi tra il mio viso e il mio corpo.
Alzai
finalmente gli occhi, guardandolo.
Possibile
che non riuscisse a riconoscermi?
«Sono
io». Magari mi avrebbe riconosciuta dalla voce.
Sbarrò
gli occhi, sorpreso.
«Ma…
le tue felpe? Dove sono? E perché non hai le Converse? No, non sei Mac. Sei
anche truccata». Scosse energicamente il capo, per negare l’evidenza.
Certo,
non gli piacevo. Ecco tutto.
«Vogliamo
entrare? Avrei un po’ di freddo» disse Ash, attirando l’attenzione su di lei.
La
ringraziai mentalmente, avvicinandomi a John che sembrava più triste del
solito.
I
suoi occhi erano spenti.
Mi guardai
attorno, rimanendo sorpresa: Hannah non c’era.
«John,
Hannah è in palestra, vero?» chiesi a John, affiancandomi a lui.
«Sì.
Non me lo ricordare» sbottò,
infilando le mani in tasca. Sembrava
arrabbiato.
«Dai, una volta entrato potrai rimanere con lei.
Lascia stare i commenti». Ero sicura che si comportasse in quel modo perché gli
dava fastidio il giudizio della gente.
Tutti
a scuola sapevano di lui e Hannah, che cosa avrebbero pensato non vedendoli
arrivare assieme?
«Entri con me, Mac? Questa sera sei bellissima e
susciterò l’invidia di tutti. Magari faccio ingelosire Hannah che correrà da
me» ridacchiò. Sembrava felice
del suo piano.
«D’accordo» acconsentii, avvicinandomi a lui, «tanto non ho un cavaliere». Non ne avrei mai avuto uno, visto che
continuava a camminare dietro di noi, rimanendo in silenzio.
Zac era stranamente silenzioso.
Gli unici momenti in cui Zac non parlava erano
due: quando Natalie Portman era davanti a lui o mentre dormiva.
Ash e Francis
cominciarono a parlare tra di loro e non riuscii a trattenere un sorriso quando
Francis mi fece l’occhiolino.
Chissà di che
cosa stavano parlando.
Con un sospiro mi
avvicinai a loro, attirando l’attenzione di Ash. «Ashley,
puoi venire un momento?». Con un gesto del capo le indicai di spostarsi qualche
passo per non farci sentire.
«Che
c’è?» chiese, divertita ma preoccupata.
«Che
c’è? Mi sento una stupida, ho fatto tutto per niente, non si è nemmeno accorto
di me. Io me ne torno a casa» borbottai, portandomi una mano al collo per
restituire ad Ash la collana che mi aveva prestato.
«Non
ci pensare nemmeno. Tu non ti schiodi da qui fino a quando non te lo dico io. E
comincia a sorridere un po’, che quando ti arrabbi diventi brutta». Mi trascinò
di nuovo versi i ragazzi.
Ottimo,
avrei parlato con John.
Il mio sogno però
durò poco, visto che si accorse di Hannah dall’altra parte della palestra e ci
salutò per raggiungerla.
Di male in
peggio.
Potevo parlare
solo con Francis e con Zac. Ero quasi sicura che Ashley avesse qualche piano
diabolico in mente per farmi rimanere da sola con Zac.
Quando cercai di
avvicinarmi a lui, si allontanò da me, raggiungendo Francis e costringendolo a
incamminarsi verso il tavolo del buffet.
«Fai un sorriso, altrimenti ti uccido» mi intimò Ash, facendomi ridere.
Nonostante
continuassi a pensare che non piacevo a Zac, non riuscivo a non ridere alle
finte minacce di Ashley.
Forse perché ero
felice per lei, che sembrava a suo agio a fianco di Francis.
Non ne avevo mai
parlato con lei, men che meno con Francis, visto che non mi andava di dargli
false speranze, ma mi sembrava che Ashley avesse cominciato a guardarlo in
modo… diverso.
Lanciai uno
sguardo a Zac e Francis, sembrava che la loro discussione fosse animata. Zac
continuava a indicare un punto non molto distante da noi, portandosi una mano
tra i capelli e sistemandosi gli occhiali.
Istintivamente
guardai chi c’era nelle vicinanze. Dietro di noi, seduta di fianco a un fiore
di carta gigante, c’era Hilly, una ragazza del terzo anno.
Certo,
probabilmente Zac stava parlando di lei.
Vidi Francis
tenersi la pancia per il troppo ridere, appena prima di avvicinarsi di nuovo a
noi assieme a Zac.
«Francis,
che ne dici di ballare?» propose Ashley, prima che potessi ammazzarla.
Eccolo
lì, il suo piano diabolico.
Costringermi
a rimanere da sola assieme a Zac. Ottimo, non aspettavo altro.
Lei e Francis si
allontanarono, dirigendosi verso la pista.
Zac era di fianco
a me, stranamente in silenzio.
«Bella festa» mormorai, cercando di iniziare un discorso.
Sembravamo due
estranei.
«Sì»
sbottò, tornando poi a guardare un punto indefinito dalla parte opposta.
Non voleva
guardarmi, ottimo.
Voleva fare finta
di non conoscermi? Bene, l’avrei aiutato.
Incrociai le
braccia al petto, guardando dalla parte opposta.
Era chiaro: non
gli piacevo; però, con quel comportamento da idiota, sembrava che mi odiasse.
Stavo per
chiedergli che cosa ci fosse di così raccapricciante in me da non potermi
nemmeno parlare quando Ashley si avvicinò a noi con un sorriso.
«Zac,
voglio ballare con te, andiamo». Gli prese la mano, trascinandolo in mezzo agli
altri ragazzi che stavano ballando.
Francis
si avvicinò a me, sorridendo impacciato.
«Immagino
di dover parlare con te, no?». Ero quasi sicura che si fossero divisi i
compiti.
Ash
avrebbe cercato di capire qualcosa da quella testa dura di Zac e Francis sarebbe
rimasto con me.
«Ballare,
non parlare» puntualizzò, facendomi ridere.
Francis
soppesava sempre le parole, lui era un ragazzo speciale, l’avevo sempre
pensato.
«Allora,
che cosa ti ha detto quella strega?». Guardai Ash che cercava di imitare i
movimenti scoordinati di Zac. Anche lo sguardo di Francis si posò su di loro.
«Niente
di importante…». Stava mentendo. Lo capii dall’occhio destro, che si socchiuse
appena.
Quando
Francis mentiva succedeva sempre.
Decisi
di non metterlo in imbarazzo e posi una domanda che mi spaventava. Forse era la
risposta a spaventarmi di più.
«E…
lui?». Non pronunciai nemmeno il suo nome, imbarazzata.
Forse
semplicemente infastidita.
«Ehm…».
Imbarazzato, ecco cos’era. Abbassò lo sguardo, arrossendo appena.
«Naturale.
Non gli interesso». Mi ero illusa di potergli piacere, esponendomi in quel modo
con Ash. Le avevo confidato che Zac mi piaceva e con il suo carisma mi aveva
costretta a vestirmi in quel modo stupido per cercare di attirare la sua
attenzione.
Era
tutto inutile, a Zac non ero mai piaciuta e probabilmente non mi avrebbe mai
vista come una donna. Per lui ero Mac.
«No,
Mac. In verità si è accorto improvvisamente che sei bellissima, ma lo sta
negando». Certo, doveva essere quella la verità. Francis cercò di sorridermi,
forse per trasmettere un po’ di buonumore.
Peccato
che in quel momento non ne avessi nemmeno un po’.
«Oh,
quindi siamo alla fase della negazione?» chiesi, ironica.
Negazione,
certo.
E
per quanto si sarebbe protratta questa fase?
Per
sempre, vista la mia fortuna con il sesso maschile.
«Direi
di sì. Ma sono quasi sicuro che adesso Ashley gli sta facendo una bella
ramanzina…». Assieme a Francis guardammo Zac e Ash.
Erano
in mezzo alla pista a parlare.
Non
ballavano più e continuavano a ricevere spinte dai ragazzi che erano attorno a loro.
Ash
era arrabbiata, stava urlando, anche se la sua voce non riusciva a sovrastare
la musica, e puntava l’indice sul petto di Zac, spintonandolo.
«Che
diavolo sta succedendo?» mormorai, guardando Francis.
«Non
lo so. Ma credo sia meglio se andiamo a controllare» disse Francis, mentre ci
avvicinavamo a loro.
A
pochi passi da loro, Ash sembrò accorgersi di noi, perché smise di parlare, accostandosi
a Francis. «Vieni Francis, andiamo a prendere una boccata d’aria». Lo prese per
mano, costringendolo a uscire dalla palestra.
Mi
ritrovai da sola, a pochi passi da Zac.
Non
sapevo che fare, ma Zac mi anticipò, avvicinandosi a me.
«Bel
vestito» mormorò, indicandomi con un gesto del viso.
«Grazie»
risposi, sinceramente stupita.
Si
era accorto che stavo indossando un vestito.
«Ti
sta… bene» continuò, schiarendosi la voce in imbarazzo.
Era
un complimento?
«Grazie»
tornai a dire, decisamente senza parole. «Anche tu stai bene». Lanciai uno
sguardo alla camicia bianca che gli accarezzava le spalle.
Involontariamente
cercai di deglutire un po’ di saliva.
«Allora…
è vero?» chiese all’improvviso, facendomi sussultare.
«Cosa?».
Mi stavo per strozzare con la mia stessa saliva.
Speravo
con tutto il cuore che Ash non avesse parlato per far circolare l’aria nella
sua bocca.
«Quello
che mi ha detto Ash». Fece un passo verso di me, costringendomi a
indietreggiare.
Non
mi piaceva averlo troppo vicino, cominciavo a parlare a vanvera o a offenderlo.
Quando
assorbii le sue parole, spalancai le labbra sorpresa.
Ash
aveva cantato.
«Io…
ecco, la verità è che… sì, insomma… voglio dire… ma tanto ho capito che tu non…
quindi non importa e… ecco, non preoccuparti». Un discorso davvero sensato il
mio.
Nemmeno
gli attori ubriachi che ritiravano i premi agli MTV Movie Awards ringraziavano
così.
«Vorrei
sapere se è sì o no». Era serio, tremendamente serio.
Non
c’era nemmeno l’ombra di un sorriso sul suo volto e la piccola cicatrice che
aveva sulla guancia non si vedeva.
«Sì»
ammisi, abbassando lo sguardo imbarazzata.
Era
la serata più umiliante di tutta la mia vita.
Non
avevo mai passato momenti peggiori.
«Posso
sapere il perché?» chiese, stupendomi.
Il
perché? Ci doveva essere un perché?
Mi
sembrava ovvio; la sua bellezza era un motivo sufficiente.
«Non
sei riuscito a capirlo?». Ero stupita. Zac voleva che gli dicessi che era
bello?
«Non
capisco il perché. E mi dispiace,
perché io non provo lo stesso verso di te».
La
stoccata fece più male del previsto.
«Potevi
anche dirlo con un po’ più di tatto, idiota» sbottai, allontanandomi da lui.
Possibile
che dovesse piacermi un simile cretino?
«Mac,
dannazione, ferma» urlò, seguendomi.
«Che
cosa devi dirmi, ancora? Il concetto è chiaro, non ti piaccio. Ci sono, l’ho
capito. Posso tornarmene a casa o devi umiliarmi di più?». Ero talmente
arrabbiata che continuavo a stringere i pugno per non tirargli uno schiaffo.
«Cosa?
No, non hai capito. Non è vero che non mi piaci. Ash mi ha detto che mi odi»
cercò di scusarsi, guardando i suoi piedi.
«Odiarti?».
Ero confusa. Perché mai Ash avrebbe dovuto…
«Ash»
mormorammo assieme, cominciando a ridere subito dopo.
«Mi
hai dato dell’idiota?» brontolò, guardandomi arrabbiato.
«Sì,
perché tu hai…» cominciai a dire, prima che prendesse il mio viso tra le sue
mani e posasse le sue labbra sulle mie.
Non
riuscii a trattenere un gemito sorpreso, chiudendo gli occhi e lasciando che
Zac mi baciasse.
Le
sue labbra, le stesse che avevo guardato per anni, stavano accarezzando le mie,
giocando in un modo… strano.
Non
riuscii a trattenermi e gli morsi il labbro, cominciando a ridacchiare.
«Auch»
si lamentò, lasciando il mio viso e portando una mano alle labbra per
controllare che non ci fosse sangue. «Andiamo a cercare Ash e Francis». Prese
la mia mano, costringendomi a seguirlo.
Quel
gesto, così istintivo, mi fece ridere ancora di più.
Ero
davvero felice.
«Forse
dovremmo lasciarli da soli» mormorai, mentre Zac camminava verso il parcheggio.
«No,
sono sicuro che Ash vorrà sapere qualcosa. Oh, eccoli». Indicò la panchina
sotto la quercia.
Ash
e Francis stavano parlando.
«Zac,
lasciamoli da soli» tornai a ripetere, senza che mi desse ascolto.
«Ragazzi,
finalmente vi abbiamo trovato! Cavolo, abbiamo guardato dappertutto!» disse Zac, costringendomi a fermarmi
davanti a loro.
Ero
sicura che avessimo interrotto qualcosa, non ci avevano sentiti arrivare,
immersi nel loro discorso.
«Zac… andiamocene». Cercai di tirare il suo
braccio per costringerlo ad allontanarsi.
«Oddio» sussurrò
Francis, guardando le nostre mani intrecciate.
«Che cosa è successo?» chiese Ashley, cominciando a
sorridere.
«Io… noi…» balbettò
Zac, sistemandosi gli occhiali sul naso per l’imbarazzo. Aveva perso tutto il
coraggio nato dopo il nostro bacio.
«Oddio, sono così felice» strillò Ashley, correndo ad
abbracciarmi, mentre non riuscivo a non ridere per la vergogna.
Francis
continuava a rimanere seduto, senza dire nulla.
Qualche
minuto dopo Ash lo richiamò da parte, parlando con lui.
Sembrava
lo stesse riprendendo per qualcosa.
Quando
Francis ritornò a sedersi sulla panchina davanti a noi, cercò di sorridere, aggiungendo
che era felice per noi.
Stava
mentendo. L’avevo capito io e anche Zac.
Lo
stesso Zac che cominciò a lamentarsi con Francis perché non era felice per noi.
Sembrava
quasi… geloso.
Non
riuscii a non arrossire, al pensiero che qualcuno potesse essere geloso di me.
Sapere
poi, che quel qualcuno era Zac mi faceva imbarazzare ancora di più.
Francis chiamò Zac, allontanandosi da noi.
«Dimmi subito cosa è successo» borbottò Ash, spostandosi perché potessi sedermi
anche io sulla panchina.
«Gli hai detto che lo odiavo, così abbiamo litigato.
Non riusciva a capire perché lo odiassi, ma io ho interpretato male. Credevo mi
stesse chiedendo perché mi piaceva, così mi sono arrabbiata e stavo per
andarmene, solo che mi ha seguito e quando abbiamo capito che era perché tu
avevi inventato quella strana scusa… be’, mi ha baciato» terminai in un sussurro, abbassando lo sguardo.
«Lo sapevo che avrebbe funzionato» esultò, fiera di se stessa.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere,
felice.
Stava cominciando a dirmi quello che era successo
tra lei e Francis, quando una voce ci interruppe.
«Ciao» borbottò Zac, facendo un mezzo
sorriso.
Alzai involontariamente lo sguardo, abbassandolo
subito dopo e sistemandomi una ciocca di capelli.
«Aww» mormorò
Ash, senza trattenersi.
«Smettila». Le tirai una leggera gomitata perché
la smettesse di prendermi in giro.
«Andiamo dentro a ballare un po’? Perché
altrimenti il ballo finisce e noi non abbiamo ballato». Ashley si alzò in
piedi, avvicinandosi a Francis con un sorriso.
«Questa è proprio una buona idea» ribatté Zac, circondando le mie spalle
con un braccio.
Di nuovo, quel gesto così istintivo da parte di
Zac mi stupì, facendomi sorridere.
Ballammo senza smettere mai di ridere; quando
John e Hannah decisero di tornare a casa, non riuscii a bofonchiare un «grazie»
imbarazzato ad Han che mi disse che io e Zac eravamo una bella coppia.
Nonostante
avessi in tutti i modi corrotto Zac a ballare sempre più canzoni, capii,
incrociando il mio sguardo con quello di Ash, che era giunto il momento di
tornare a casa.
Una
volta arrivati alle nostre macchine, nel parcheggio, Ash mi abbracciò con la
scusa di salutarmi, e mi sussurrò che ci saremmo trovate la mattina successiva
per aggiornarci.
Zac
si accorse che Ash mi aveva sussurrato qualcosa, ma riuscii a non svelargli
cosa mi avesse detto.
Non
appena Ash salì in macchina, Francis sospirò.
«Che
dite se torniamo a casa?» propose,
aprendo la portiera dell’auto.
«Va bene, tanto devi solo andare a casa di Mac» ridacchiò Zac, cominciando a fare il
solletico sui miei fianchi, mentre cercavo di salire in macchina.
Dannazione,
sapeva che soffrivo il solletico! Ero quasi sicura che avrebbe utilizzato quel
metodo per farmi cedere.
«Mi fate solo un piacere?» domandò Francis, guardandoci dallo
specchietto retrovisore.
«Cosa?» chiedemmo
io e Zac all’unisono, cominciando poi a sghignazzare.
«Evitate di fare come quelle coppiette che
stanno sempre a sussurrarsi cose all’orecchio e poi ridono da sole? È davvero
snervante. Se dovete dire qualcosa quando siamo tutti assieme, fate in modo che
tutti riescano a sentirla». Sembrava davvero serio.
«D’accordo». Cercai di mascherare un sorriso
malamente, ma vedere Francis così preoccupato e serio mi metteva di buonumore.
«Lo prometto. A meno che non ci sia qualcosa che
non potete sentire». Zac mi fece l’occhiolino, e io gli diedi una piccola pacca
sulla spalla perché la smettesse di fare l’idiota.
«E, un’altra cosa. Non fate troppo gli
appiccicosi. Non usate nomignoli imbarazzanti». Quello non sarebbe mai
successo, ne ero sicura.
«Ci
sto» risi, slacciandomi la
cintura di sicurezza quando Francis arrestò l’auto davanti a casa mia.
«Bene, a domani Francis». Zac mi sorprese, scendendo dall’auto subito dopo
di me.
Capii perché avesse detto a Francis che doveva
solo andare a casa mia.
Ma, si era fermato perché voleva parlare con me?
«Ci vediamo. E… grazie» sussurrai, allungandomi con il viso
verso di Francis perché Zac non potesse sentirmi.
«Tanto io e te dobbiamo parlare» mi minacciò lui, mentre chiudevo lo
sportello.
«Che
cosa ci fai qui?» chiesi a Zac, guardandolo con un sorriso.
Mi aveva seguito e si era seduto sul dondolo.
«Volevo solo salutarti» ghignò, prendendo una mia mano e attirandomi verso
di lui.
Cominciai a ridere, appoggiando la fronte sulla
sua spalla.
«Dovrai farti due chilometri a piedi» constatai, alzando il viso per guardarlo negli
occhi.
«Fa niente, un po’ di movimento non ha mai ucciso
nessuno».
Quando si accorse che ero rabbrividita per il
freddo, le sue braccia circondarono le mie spalle, cercando di scaldarmi.
«Grazie»
sussurrai, dandogli un bacio sulla guancia.
«Solo così mi ringrazi?» piagnucolò, sporgendo il labbro inferiore come un
bambino.
«No, hai ragione». Mi avvicinai alle sue labbra, mordendole.
«Mac» urlò,
prima di cominciare a farmi il solletico.
Cominciai a ridere, contorcendomi tra le sue
braccia.
Sentii il rumore della serratura del portone di
casa che si apriva e entrambi ci immobilizzammo, spaventati.
«Zy?».
Sospirai di sollievo, sentendo la voce di mia
sorella.
«Ciao Sally» dissi, scendendo dalle ginocchia di Zac e
sedendomi sul dondolo.
«Ciao piccola» la salutò Zac, sventolando la mano.
Sally cominciò a ridere, stringendo il pupazzo
tra le piccole braccia.
«Che cosa ci fai sveglia a quest’ora?» chiesi, sistemandomi il vestito che si era alzato.
Sally si avvicinò, arrampicandosi sul dondolo e
prendendo posto tra di noi.
«Ti ho sentito ridere». Mi guardò, giocando con il suo peluche.
«Eri in camera di mamma?» azzardai.
Il letto di mamma era sopra al portico.
Probabilmente Sally aveva sentito la macchina di Francis rallentare e si era
svegliata.
«Sì»
mormorò, colta sul fatto.
«Però adesso dobbiamo tornare a letto, perché è
tardi». Mi alzai, prendendola in braccio
e facendola ridere.
«Zac, rimani con noi?» chiese, innocentemente.
«Mi piacerebbe, ma è meglio se ritorno a casa, la
mamma mi aspetta». Si alzò dal
dondolo, avvicinandosi a noi e stampando un bacio sulla guancia di Sally.
«Corri a nanna, arrivo subito» sussurrai al suo orecchio, prima di appoggiarla a
terra.
«Ciao»
ridacchiò, correndo verso le scale.
«Meglio se rientro». Indicai la porta aperta dietro di me, non sapendo
che fare.
«Buonanotte» mormorò, posando le sue mani sui miei fianchi per
avvicinarmi a lui.
Prima che potessi rispondergli le nostre labbra
si incontrarono di nuovo.
Le lasciai giocare, portando una mano tra la sua
chioma scura.
«Zy?»
chiamò qualcuno, spaventandomi e costringendomi a fare un passo indietro, «perché non arrivi?».
Quando mi accorsi che Sally era davanti alla
porta di casa, ancora con il suo coniglio di peluche tra le braccia, cercai di
calmare il mio respiro.
«Arrivo»
dissi, cercando di non sbranarla.
Mai come in quel momento mi sarebbe piaciuto
essere figlia unica.
«Meglio se vado. Ci vediamo domani» sussurrò Zac, sorridendo prima di incamminarsi.
«Andiamo a letto, su». Presi Sally in braccio, subito dopo essermi tolta
quei trampoli dai piedi.
«Zy, sei bella stasera, più di sempre» mugugnò, mentre le rimboccavo le coperte.
Non riuscii a non sorridere, accarezzandole il
piccolo visino rilassato. Si era già addormentata.
Buooongiorno!
Benvenute a chi non conosce i nerd e grazie di essere qui a
chi sa cosa le aspetta! :)
Dunque, come c’è scritto sopra, questi personaggi
appartengono tutti alla Long Story ‘The revenge of the nerd’. Ho pensato di
dare un po’ più di spazio a Mac e Zac (che non sono i due personaggi
principali) perché sono una coppia che amo.
Sarà una mini long, questa, credo di massimo cinque capitoli.
I vestiti sinceramente ora non ricordo se li avevo messi nel
capitolo dei nerd, ma per sicurezza li posto nel gruppo.
In ogni caso, Roberta RobTwili è il profilo FB e Nerds’
corner il gruppo per gli spoiler.
Credo di aggiornare una volta a settimana, quindi, ringrazio
già da ora chi ha perso tempo per leggere e chi (se ci sarà qualcuno) lascerà
un commentino!
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Capitolo 2 *** You can't fall in love with your best friend ***
zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi
avvenimenti sono collocati tra il capitolo 16 e il capitolo 17. Ricordo
che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
«Che cosa
ho fatto?» mormorai,
portandomi una mano tra i capelli.
Socchiusi gli occhi, distogliendo lo sguardo dal soffitto
verde.
Continuavo a ricordare la serata trascorsa, soffermandomi
sulle immagini più importanti.
Zac, i suoi occhi, le sue labbra, il nostro bacio.
L’avevo baciato. Non una volta, non due.
Però ero stata ricambiata.
Non riuscii a trattenere un gemito frustrato tirando il
lenzuolo fin sopra i capelli per nascondermi.
Perché avevo dato ascolto ad Ash?
Sì, certo, lei sapeva un sacco di cose sui ragazzi e non si
era sbagliata nell’ipotizzare che potessi piacere a Zac, ma… Zac era uno dei
miei migliori amici.
Il mio migliore amico, dopo Francis.
E ci eravamo baciati.
Precisamente che cosa avevo pensato quando si era avvicinato
a me?
Che era bello, certo.
Ma…
«Oh». Strattonai il lenzuolo,
mettendomi a sedere sul letto.
Dovevo assolutamente parlare con Ash, chiederle un
consiglio.
Allungai il braccio per prendere il cellulare dal comodino e
digitai un messaggio.
Erano le otto di mattina e probabilmente Ash stava dormendo,
ma non mi interessava.
Doveva venire da me.
Era in debito con me, dopo che mi ero fatta conciare come
Barbie Malibu in versione castana.
Aspettai qualche minuto, torturando le lenzuola gialle con
le dita.
«Avanti» sbottai, prendendo il cellulare
tra le mani e guardando lo schermo in attesa del messaggio.
Con una smorfia malefica, digitai il numero di Ash, prima di
inviare la chiamata.
Se non si era ancora svegliata l’avrei fatto io per lei.
«Pronto?» mugugnò qualcuno, dopo svariati
squilli.
«Ash,
vieni a casa mia subito. Ho bisogno di te». Telegrafica e preoccupata.
«Ma chi
parla?» chiese, la voce
ancora roca a causa del sonno.
«Audrey
Hepburn. Ash, chi vuoi che sia? Sono Mac»
sbottai, arrabbiata.
Chi poteva mai chiamarla alle otto e mezza di domenica
mattina?
«Mac? È
successo qualcosa ieri sera?».
Sembrò risvegliarsi improvvisamente.
«Sì. Ho
bisogno di te» piagnucolai,
calciando le coperte che scivolarono a terra.
«Qualcosa
di male? Ti ha fatto qualcosa che non volevi?» chiese. Dal suo tono mi sembrava preoccupata.
«No. Cosa
stai dicendo?». Spalancai gli
occhi stupita.
Perché mai Zac avrebbe dovuto fare qualcosa di male?
Zac era… Zac.
Non avrebbe mai avuto il coraggio di fare qualcosa di male a
qualcuno, non uccideva nemmeno un ragno perché secondo lui avrebbe sofferto.
Mi alzai, cominciando a camminare su e giù, lasciando che i
miei piedi nudi sprofondassero nel morbido tappeto.
«Ok,
arrivo tra mezz’ora»
borbottò, prima di chiudere la chiamata.
Aprii la porta della camera lentamente, cercando di non fare
rumore.
La porta della stanza di mamma era aperta e il letto vuoto;
quindi lei era già andata al lavoro.
Mi avvicinai alla camera di Sally per controllare: era
distesa nel suo lettino e dormiva.
Vederla così tranquilla e rilassata mi donò un sorriso che
non riuscii a trattenere.
Socchiusi la sua porta perché non si svegliasse a causa del
rumore e, dopo aver preso un paio di jeans e una maglia, andai a farmi una
doccia.
Sapevo che Ash era sempre puntuale, per questo cercai di
rimanere sotto al getto caldo il minor tempo possibile.
Era difficile però; trovavo sempre rilassante sentire i
muscoli sciogliersi a contatto con l’acqua calda e in quel momento dovevo
cercare di sgombrare la mente da quello che era successo la sera prima.
«Stupida» sbottai, tirandomi un pugno in
testa. Quel gesto mi fece scivolare; sbattei contro la parete di vetro del box
doccia.
Ci mancava solo una botta sul naso.
Meglio uscire da quella doccia, prima di ritrovarmi con il
naso rotto o peggio, con una gamba ingessata.
Dopo essermi asciugata e vestita, scesi le scale chiudendo
tutte le porte perché Sally potesse dormire.
Andai in cucina, aprendo un pacco di biscotti mentre
camminavo attorno al tavolo rettangolare.
Non mi piaceva fare colazione seduta, dovevo sempre
muovermi.
Quel giorno, poi, con tutto quello che avevo da dire, non
riuscivo a rimanere ferma nello stesso posto per più di tre secondi.
Il mio cellulare vibrò, spaventandomi.
Era Ash, mi aveva mandato un messaggio perché le aprissi la
porta.
Corsi all’entrata, rischiando di sbattere contro il legno:
non ero riuscita a fermarmi in tempo.
Dovevo darmi una calmata.
Respirai a fondo, abbassando la maniglia e lasciando che Ash
entrasse.
«Mio Dio,
Mac! Che cosa è successo?»
chiese spaventata, appoggiandomi le mani sulle spalle.
Non si era nemmeno truccata, riuscivo addirittura a vedere
qualche traccia del trucco della sera precedente.
I suoi capelli erano raccolti in una coda scomposta, alcune
ciocce ricadevano sulle spalle coperte da una magliettina verde scuro.
«Ho fatto
un casino» ammisi, sedendomi
sul divano di fianco ad Ash.
«Che cosa
è successo? Raccontami». Era
davvero in pensiero per me, potevo vederlo dal suo sguardo e dalla sua mano che
stringeva la mia, per infondermi coraggio.
«Io… ci
siamo baciati Ash». Scossi la
testa cercando di scacciare quell’immagine che si presentava ancora una volta
nella mia mente.
Mi sembrava di rivivere la sensazione di nuovo.
La morbidezza della sua bocca sulla mia, i suoi denti che
torturavano il mio labbro.
«Ok, di
questo parliamo dopo, che cosa è successo?» chiese, avvicinandosi un po’ di più a me.
«Il
problema è proprio questo»
piagnucolai, portandomi una mano tra i capelli e tirandomi qualche ciocca.
«Credo di
non capire» mormorò confusa,
irrigidendosi appena.
Come faceva a non capire?
Era semplice: l’avevo baciato e mi ero pentita di quel
gesto.
«Ash, l’ho
baciato. Cioè, ci siamo baciati, ma… è Zac! Ho fatto un errore, non dovevo. Ed
è tutta colpa tua». Se Ash
non avesse scoperto che avevo una cotta per Zac fin dall’asilo probabilmente
non ci sarebbero stati problemi.
«Colpa
mia? Perché è colpa mia?». Il
suo volto assunse un’espressione divertita, mentre si sistemava meglio sul
divano e prendeva un cuscino per stringerlo tra le braccia.
L’avevo vista fare quel gesto molte volte, anche mentre
guardavamo un film.
«Perché tu
mi hai detto di provarci, e io alla fine gli ho detto che mi piace e adesso lui
mi ha detto che gli piaccio e…»
cominciai, fermandomi poi per prendere fiato.
«Ti ho
detto, gli hai detto, ti ha detto… sei ripetitiva, Mac» ghignò, senza nascondere il suo sarcasmo.
«Senti,
Ash, per me non è tutto così facile, non è che tutti cadono ai miei piedi o
altro, ok? Sono timida, non faccio parte delle cheerleader o delle infermiere,
non vado alle feste ubriacandomi e non credo nemmeno che qualcuno mi abbia mai
vista come una vera ragazza. Non ho una lista infinita di amici che si credono
tali solo perché sanno il mio nome, ma posso giurare di averne tre che conosco
dall’asilo. Francis, John e Zac. Ora, che io abbia una cotta per uno di loro da
circa…» mi fermai un attimo,
per capire da quanti anni mi piacesse Zac, «… quattordici anni lo sapevo solo io. Il fatto che tu l’abbia
scoperto mi sta bene, non lo dirai a nessuno, almeno così hai detto, ed è
perfetto. Ma non puoi venirmi a dire che non ho ragione se dico di non voler
stare con Zac» conclusi,
respirando per riprendere fiato.
«Mi
sarebbe piaciuto registrarti. Hai esattamente elencato tutti i motivi per cui
tu devi frequentarlo». Era
seria, tremendamente seria.
Perché non riusciva a capire quello che le stavo dicendo?
«No, Ash,
non capisci. Tu non conosci Zac come lo conosco io…» iniziai, prima che Ash battesse le mani soddisfatta.
«Appunto,
e questo è già un bene. Conosci tutti i lati del suo carattere e sai quello che
gli piace e quello che gli dà fastidio, capisci?» concluse, soddisfatta.
«Quello
che capisco è che non è giusto che due amici decidano di frequentarsi». Eccolo, il vero problema.
Distolsi lo sguardo da Ash per concentrarmi sul ricamo delle
tende dietro di lei.
Qualcosa bruciava vicino ai miei occhi, costringendomi a
socchiudere le palpebre.
«Oh, Mac» sussurrò Ash, abbracciandomi.
«Che c’è?». Rimasi immobile, stupita da quel
gesto improvviso.
Perché mi aveva abbracciata?
«Non devi
piangere. Perché vedi il lato negativo in tutto? Tu e Zac siete perfetti
assieme, e sono sicura che non succederà niente di male se vi frequentate». Mi sorrise, sciogliendo
l’abbraccio.
«Primo non
sto piangendo» puntualizzai,
togliendomi una lacrima che stava scendendo lungo la mia guancia, «e secondo… sì. Succederà qualcosa,
ne sono sicura. Se dovessimo litigare Francis e John che cosa faranno? Di chi
rimarranno amici? Non voglio obbligare nessuno a fare delle scelte. Non mi
piace pensare di poter avere questo potere su una persona». Guardai le mie mani cercando di
sfuggire al suo sguardo.
«Adesso
riesco a capire perché tu e Francis siete amici da così tanto tempo. Dio, lo
sapete che esiste anche l’ottimismo? Che cosa ci guadagnate a essere così
pessimisti?»
«Che
cos’ha Francis?». Perché
Francis doveva essere pessimista?
Sì, ero la prima a pensarlo, ma non l’avevo mai detto a
nessuno.
Tranne a Francis, ovviamente.
«Sembrava
posseduto ieri sera quando vi ha visti. Perché ha detto che se vi lasciate non
può scegliere. Dio, un po’ di ottimismo! Siete così belli assieme» concluse, con un sorriso.
Possibile che per lei fosse tutto così semplice?
Se due persone stavano bene assieme il gioco era fatto?
Funzionava così?
«Ash» sospirai, pronta per dirle che
forse non era il caso di continuare quella storia, se così si poteva chiamare,
visto che era durata per qualche ora.
«No, Mac.
Adesso mi ascolti e fai quello che ti dico. Tu, oggi, vai da Zac e ci parli.
Gli fai capire che hai intenzioni serie e che ti piacerebbe stare con lui. Fate
quello che volete, baciatevi, graffiatevi, urlate, cantate, ballate, saltatevi
addosso… quello che volete, ma assolutamente non devi lasciarlo, ok? Perché
posso garantirti che per la prima volta in quasi sei mesi, ieri sera sono
riuscita a vedere Zac davvero felice. E sai qual è stato il momento esatto in
cui me ne sono accorta? Quando vi stavate tenendo per mano. Non so chi dei due
fosse più contento, se tu o lui. Posso garantirti che eravate davvero perfetti.
E non ti sto dicendo questa cosa perché ho qualche scopo o altro, semplicemente
perché tu sei una mia amica e ci tengo. Voglio vederti felice e so che questo
può succedere se tu e Zac sarete una coppia». Ammiccò verso di me, sistemandosi una ciocca di capelli.
Abbassai per un attimo lo sguardo concentrandomi su un
piccolo elefantino di vetro che c’era sopra al tavolino davanti al divano e,
dopo aver preso un po’ di coraggio, decisi di affrontarla.
«Sai, non
ti ho mai sentito parlare così tanto»
sogghignai, guardandola. «Forse
hai ragione, non dico di no, però… non lo so, Ash…». Respirai profondamente, non sapendo che dire.
«Vedi? Non
riesci a trovare una giustificazione per non farlo. Provaci Mac, per una volta
fai qualcosa di istintivo. Ieri sera ti sei divertita, no? Mi hai detto che vi
siete baciati»
«Sì, è
stato… bello. Però non ci ho pensato. Cioè, l’ho fatto stamattina quando mi
sono svegliata. Forse perché ieri sera era tutto strano». Feci spallucce.
Mi stavo comportando come una bambina.
Peggio, stavo parlando come una bambina cocciuta.
«Siete
davvero belli assieme»
mormorò, incapace di nascondere un sorriso.
«Dovrò
parlarci, insomma» mi arresi,
capendo che forse era giunto il momento di pensare un po’ meno e agire di più.
«Fallo,
vai da lui e parlagli. Discutete di qualcosa, sono sicura che andrà tutto bene.
Ho un certo sesto senso per queste cose»
si vantò, facendomi una linguaccia.
«Se non
dovesse funzionare almeno avrò un motivo per odiarti» la punzecchiai, facendola ridere. «E con Francis? Come è andata?».
Non ne avevamo mai parlato espressamente, ma ero sicura che
il sentimento di Francis fosse corrisposto.
Ash sembrava imbarazzarsi quando parlavamo di lui, e molte
volte chiedeva tante piccole cose, come se le interessasse conoscerlo.
Forse, in fin dei conti, Ash non era l’unica ad avere un
certo senso per quelle cose.
«Bene… hai
visto, no? Ci siamo salutati, così».
Fece spallucce, distogliendo lo sguardo dal mio e cominciando a guardare il
televisore spento e la libreria piena di libri.
«Ash?» la chiamai, sperando che tornasse
a guardarmi.
Mi stava nascondendo qualcosa, ne ero sicura.
«Eh?» ribatté, fingendosi interessata
alla trama del cuscino che stava ancora stringendo tra le braccia.
«Che cosa
è successo?» chiesi, curiosa.
Sapere che i ruoli si erano invertiti mi faceva ridere.
«Come?» domandò, tergiversando la mia
domanda.
«Che cosa
è successo tra te e Francis ieri sera?».
Non potevo chiederlo in modo più esplicito.
«Diciamo
che… ecco, volevo dirgli che… mi ero divertita al ballo. Volevo ringraziarlo». Arrossì, distogliendo di nuovo
lo sguardo dal mio.
«È così,
insomma? Io devo dirti tutto e tu mi racconti bugie?». Perché stava mentendo, lo sapevo.
In quei mesi avevo imparato a riconoscere i gesti del suo
corpo mentre raccontava una bugia.
«Mac, sei
insopportabile» sbuffò,
appoggiando la nuca sullo schienale del divano. «Sono andata da lui per parlare, ok? Abbiamo parlato e poi me
ne sono tornata a casa. Tutto qui, non c’è altro e non è successo niente. Tra
le due sei quella che ha fatto più esercizio, baciando Zac» concluse.
Sembrava che per fare quella confessione si fosse sforzata.
«Sei
andata a casa di Francis dopo il ballo?»
domandai, non riuscendo a trattenere una risatina.
«Sì,
dovevo chiarire, non l’avevo fatto a scuola e volevo farlo. Abbiamo parlato per
un paio di minuti, l’ho salutato e sono tornata a casa, non c’è davvero altro» mi assicurò.
Sentimmo lo scatto di una serratura e entrambe ci zittimmo.
«Zy?» bisbigliò Sally, sbadigliando.
«Ehi,
dormigliona» ridacchiai,
avvicinandomi a lei e prendendola in braccio, «hai riposato o no?»
chiesi, facendole il solletico.
Sally cominciò a contorcersi tra le mie braccia,
costringendomi a sedermi sul divano per non cadere.
Non era più così piccola e iniziavo a non avere più forza
per rimanere in piedi tenendola in braccio.
«Sì» riuscì ad articolare con fatica,
tra una risata e l’altra. «Zy,
basta». Le sue manine fecero
forza perché la smettessi di farle il solletico.
Mi fermai, aspettando qualche secondo perché potesse
riprendere a respirare.
«Zac?» chiese Sally, guardando prima me
e poi Ash.
Ashley non riuscì a trattenere una risata e cominciò a
ridere, riparandosi con il cuscino.
«Zac è a
casa, Sally» spiegai,
cercando di frenare l’istinto omicida verso Ash.
«Credo lo
vedrai spesso, però» ghignò
la mia amica.
«Ash» strillai, ammonendola.
Perché doveva sempre dire cose senza senso?
Sally avrebbe cominciato a fare domande all’infinito,
costringendomi a dire molto più di quanto volessi.
«Perché lo
vedrò spesso? Anche Francis?»
chiese Sally, allargando il suo sorriso a dismisura.
«Lo vedrai
spesso perché assieme a Francis e Ash guarderemo tanti film». Come giustificazione per una
bambina di cinque anni andava bene.
«Che
bello! E posso guardare anche io i film con Francis?». Alla sua domanda non riuscii a trattenere un sorriso.
La cotta che Sally aveva per Francis mi faceva sempre
ridere.
Era divertente vedere quanto diventasse timida quando c’era
Francis in casa. Forse sarebbe stato ancora più divertente se Ashley e Francis
fossero riusciti a fare qualche passo avanti nel loro strano rapporto.
Possibile che nessuno dei due avesse il coraggio di fare la
prima mossa?
Dovevo strigliare per bene Francis.
«Mac, io
andrei a casa, Eric è tornato e dovevamo andare in spiaggia» mormorò Ash, alzandosi dal
divano e prendendo la sua borsa blu tra le mani.
«Certo,
vai pure. Ci sentiamo più tardi, ok?»
le dissi, facendo scivolare Sally dalle mie ginocchia al divano.
«Sicuro.
Ciao Sally». Ashley fece un
gesto con la mano, per salutare la mia piccola sorellina che ricambiò con il
suo sorriso sdentato.
Senza quel dente davanti diventava buffa ad ogni risolino.
Non appena Ashley si chiuse la porta alle spalle, mi
avvicinai a Sally, accucciandomi davanti a lei perché potesse guardarmi dritta
negli occhi.
«Sally,
voglio fare una sorpresa a Francis, ma ho bisogno del tuo aiuto». Il suo sguardo si illuminò,
quando sentì il nome di Francis.
Annuì solamente, senza interrompermi.
Quel suo stare attenta a quello che stavo per dire mi fece
sorridere.
«Devo
andare da Francis per parlare di una cosa, però non puoi stare a casa da sola.
Posso portarti dalla nonna? Passo a prenderti tra un’oretta. Che ne dici?» proposi, quasi sicura che avrebbe
accettato.
«Ok» acconsentì, scendendo dal divano
e saltellando verso le scale.
«E al
ritorno ci fermiamo a mangiare nel ristorante che ti piace tanto e poi andiamo
a prendere uno di quei lecca-lecca giganti, ti va?». Quando sentì le mie ultime parole, Sally si fermò,
guardandomi.
«Lecca-lecca?» domandò, mentre i suoi occhi si
illuminavano.
«Gigante» precisai, quando corse verso di
me per abbracciarmi.
«Andiamo
dalla nonna».
Buonasera
ragazze!
Eccomi
con il secondo capitolo Zmac.
So
che è pesante, ne sono consapevole e mi scuso!
Prometto
che i prossimi tre saranno totalmente diversi, con tante battute e tanto
movimento (in tutti i sensi).
Non
ho altro da dire, spero che siate ancora vive, nonostante la pesantezza, però
mi sembrava giusto che Mac riuscisse a capire quello che era successo la sera
precedente, ecco.
Come
al solito QUI c’è
il gruppo spoiler e QUI
il mio profilo.
Alla
prossima settimana!
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Capitolo 3 *** Good night, Dwarfy ***
zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi
avvenimenti sono collocati tra il capitolo 17 e il capitolo 18. Ricordo
che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
«Mac? Che cosa ci
fai qui?». Socchiuse la porta dietro di lui, guardandomi sorpreso.
«Io… ecco…»
sospirai, cominciando a torturarmi le dita delle mani.
Era imbarazzante
e infantile dire che ero corsa da lui perché mi mancava?
Si appoggiò allo
stipite della porta, incrociando le braccia al petto.
C’era un sorriso
beffardo sul suo volto.
I suoi occhi, di
quell’azzurro così intenso, mi scrutavano divertiti.
«Allora?» chiese,
sistemandosi poi gli occhiali, in attesa di una mia risposta.
Spostai lo
sguardo imbarazzata, fissandolo sul cespuglio di rose bianche che c’era poco
distante da noi. Da piccola adoravo nascondermici dietro nelle nostre partite a
nascondino; rimanevo per ore ad annusare il profumo delle rose.
«Così» mentii,
facendo spallucce. Speravo che non scoprisse la bugia che avevo appena detto.
«Va tutto bene?».
Si avvicinò di un passo, prendendo il mio mento tra le sue dita e
costringendomi ad alzare lo sguardo.
«Sì» finsi di
nuovo, sfuggendo ai suoi occhi.
Non riuscivo a
raccontare bugie, ancora meno quando quei suoi grandi occhi azzurri mi
scrutavano.
«Menti» sbottò, prendendomi
per mano e costringendomi a entrare in casa.
«Zac»
piagnucolai, cercando di opporre resistenza.
Sapevo che era
inutile.
Era molto più
alto e molto più forte di me.
Sentii lo scatto
della porta di casa dietro di me e sospirai, socchiudendo gli occhi.
Il profumo di
vaniglia, lo stesso che c’era da quando ero piccola, mi inebriò, rilassandomi
appena.
«Che cosa
succede?» tornò a domandare, stringendo la sua presa sulla mia mano.
Sentii le guance
infiammarsi per l’imbarazzo di quella domanda.
«Io… ero passata
di qua per salutarti, ok?» borbottai, sapendo che non sarei riuscita a
resistere poi molto alle pressioni di Zac.
Nessuna battutina
di scherno, nessun commento stupido.
Nel suo volto si
aprì un sorriso mentre mi abbracciava.
Stupita da quel
gesto inaspettato, rimasi immobile per qualche secondo, prima di riuscire a
capire che il suono martellante che sentivo era il battito del cuore di Zac.
«Quanto è
romantica la mia nanetta?» sogghignò, scompigliandomi i capelli.
Nanetta?
«Ehi» sbottai
offesa, facendo forza con le mani sul suo petto perché la smettesse di
abbracciarmi, «chiamami nanetta un’altra volta e poi non potrai più farlo»
minacciai, incrociando le braccia sotto al seno, offesa.
«Ma sei una
nanetta, in confronto a me» sghignazzò, avvicinandosi di un passo.
Indietreggiai,
istintivamente. Non volevo che la sua vicinanza mi impedisse di ragionare.
«Solo perché sei
alto quasi un metro e novanta e io sono venti centimetri in meno di te non devi
permetterti di offendermi». Tornai a dire, fingendomi offesa.
«Cosa?» ridacchiò,
incapace di trattenersi. «Mac, ma cosa stai dicendo? Io credo che al massimo tu
sia alta un metro e sessantacinque, non lo sfiori nemmeno con le dita il metro
e settanta». Fu costretto ad appoggiarsi al divano di fianco a lui per il
troppo ridere.
«Stupido»
sbottai, prima di dargli le spalle. Aprii la porta di casa e in pochi passi
uscii.
Che cosa avevo
pensato?
Non ricordavo chi
era Zac?
Quello sempre
pronto a offendermi con frecciatine stupide?
Perché ero andata
proprio da lui?
Oh, sì, perché la
sera prima ci eravamo baciati.
«Dove stai
andando?». Sentii la sua voce vicina a me. Talmente vicina che il suo fiato
caldo mi solleticò il collo, regalandomi un leggero brivido.
Lo ignorai,
esattamente come feci con Zac.
Peccato che non
volesse lasciarmi andare.
Mi sentii mancare
la terra da sotto i piedi e qualcosa mi strinse i fianchi.
«Adesso
rientriamo» soffiò al mio orecchio, mordendomi poi il collo in modo scherzoso.
«Lasciami subito,
stupido» mi lamentai, cercando di spostare le sue mani dai miei fianchi.
Inutile. Mentre
mi dimenavo Zac aveva già chiuso la porta di casa con un calcio.
«Ora, piccola
peste, calmati» ghignò, abbracciandomi senza però farmi appoggiare i piedi sul
pavimento.
Sospirai,
lasciando cadere le braccia.
Se credeva che mi
arrendessi per così poco si sbagliava.
Quando allentò la
presa sulla mia vita, piegando le gambe per riportarmi a terra, pizzicai un suo
braccio con tutta la forza che avevo.
«Mac» strillò,
lasciando la presa sui miei fianchi e scostandomi, «perché diavolo devi fare
queste cose? Sembri una bambina. Stavo scherzando, volevo essere romantico!»
sbottò, massaggiandosi il segno rosso che gli avevo lasciato sul braccio.
«Romantico? Lascia
che ti spieghi una cosa, Zac: non sei romantico se chiami la tua… ragazza
‘nanetta’. Non lo sei nemmeno un po’, ok? Magari lo sei stato quando mi hai
sussurrato che saremmo tornati in casa, ma non di certo quando mi hai chiamato
in quel modo stupido. Si presuppone che il ragazzo faccia complimenti, ti
faccia sentire importante, unica e bellissima. Ma non so nemmeno perché sto
dicendo queste cose, visto che sono senza senso». Mi sistemai con un gesto
seccato la maglia che si era alzata; poi, senza dire nulla, aprii di nuovo la
porta per uscire.
La mia mano si
intrappolò in qualcosa di caldo e grande, che mi impedì di compiere un nuovo
passo.
Sentii Zac
attirarmi verso di lui, tanto che sbattei contro il suo petto mugolando
infastidita.
Qualcosa di caldo
circondò il mio viso, costringendomi a chiudere gli occhi.
Riuscivo a
distinguere tutte le dita di Zac, il suo palmo, la punta del suo indice destro
che mi accarezzava la tempia.
Schiusi le labbra
istintivamente, quando il fiato caldo di Zac si infranse sulla mia bocca.
Annullò la
distanza, regalandomi un bacio dolce e lento.
Lasciai le nostre
labbra libere di giocare, mentre portavo le mie mani tra i suoi capelli.
Le sue mani
abbandonarono il mio viso, scendendo sulle spalle, sfiorandomi la schiena. Si posarono
sui miei fianchi, stringendoli appena.
Mi sentii
sollevare da terra e non riuscii a trattenermi: lasciai che le mie labbra si
tendessero in un sorriso.
«Che c’è? Non è
romantico nemmeno questo?» borbottò, lasciandomi andare dolcemente.
Non risposi,
nascosi solamente il viso contro il suo petto, ridendo felice.
Forse in fondo in
fondo, anche Zachary Bolton possedeva un po’ di romanticismo.
«Mi dispiace Mac,
è scomodo baciarti, voglio dire» sussurrò impacciato, indicando prima le mie
labbra e poi le sue, per farmi notare la differenza di altezza.
«Dai, scemo»
dissi, vergognosa, sedendomi sul divano e guardandolo perché facesse lo stesso.
«Dobbiamo aiutare Francis e Ash». Ecco il secondo motivo per cui mi trovavo lì.
Zac aggrottò la
fronte, confuso.
«Non capisco»
mormorò, puntellando il gomito sullo schienale del divano e appoggiando la
tempia sul palmo della mano.
Un raggio di sole
lo colpì in viso, regalandomi una sfumatura dei suoi occhi blu che non avevo
mai visto.
«Ash piace a
Francis, ma lei non l’ha mai confessato. Ora, io so per certo, anche se non me
l’ha mai detto, che anche a lei piace Francis. Ho parlato con tutti e due,
questa sera guardiamo un film da me. Solo noi quattro. Dobbiamo inventarci
qualcosa, capisci? Voglio che Francis e Ash diventino una coppia». Abbassai il
tono della voce, come se qualcuno potesse sentirmi.
«Perché non John
e Hannah?» chiese, confuso.
«Perché saremmo
in troppi, e non voglio. Deve essere una cosa… intima, insomma, non voglio che
si sentano gli occhi puntati addosso. Francis deve essere tranquillo. Come
facciamo?». Ero preoccupata, non sapevo come farli avvicinare.
«Potremmo
guardare un film horror. Qualcosa che fa veramente paura ad Ash, così si
avvicina a Francis per farsi consolare» propose Zac, sorridendo.
«Sei un genio»
esclamai, inginocchiandomi sul divano per abbracciarlo. «Lo sapevo». Appoggiai
la fronte sul suo collo, inspirando il suo profumo.
«Mi fai il
solletico» ridacchiò, appoggiando la sua mano sul mio mento, per allontanarmi
da lui.
«Dobbiamo costringerli
a rimanere seduti vicini, ok? Noi ci prendiamo un divano e loro dovranno per
forza sedersi sull’altro. Ah sì» ricordai improvvisamente, «dobbiamo togliere
tutti i cuscini ad Ash, altrimenti usa quelli per nascondersi». Mi sembrava non
ci fosse altro. «Tutto chiaro?» domandai, senza nascondere un sorriso
soddisfatto.
Se il nostro
piano avesse funzionato, Francis e Ash sarebbero diventati al più presto una
coppia.
Ero convinta che
servisse solo una spinta. L’attrazione tra di loro era troppa per non essere
notata.
«Sembra un piano
malvagio, Mac» mormorò Zac, giocherellando con una ciocca dei miei capelli.
«Lo è. Ma nessuno
deve capirlo. Comportati normalmente, fai lo scemo come sempre, ok?» gli
intimai, guadagnandomi una sua occhiataccia.
«Lo scemo, eh? È
così che mi vedi?» si lamentò, smettendo di torturare i miei capelli e
avvicinandosi a me con il viso.
«Non mi fai
paura, Zac. Ti conosco dall’asilo e non hai mai fatto del male a nessuno».
Sapevo che non mi avrebbe di certo ferito.
«Non voglio farti
del male, voglio farti soffrire, è diverso» puntualizzò, con un ghigno sadico.
«Zac» sospirai,
preparandomi a spiegare di nuovo quel concetto.
Non riuscii a
cominciare nulla però, perché le mani di Zac si portarono sui miei fianchi
facendomi il solletico.
Cominciai a
ridere, contorcendomi tra le sue braccia.
«Te l’avevo
detto. Voglio solo farti soffrire, nanetta»
rise, non smettendo di torturarmi.
«Zac» ansimai,
tra una risata e l’altra, sperando che smettesse di torturarmi.
«Non sento
niente, mi dispiace. Sto allenando le mie dita. Si chiama ginnastica» disse,
diabolico, aumentando la velocità con cui mi stava facendo il solletico.
«Zac, non…
respiro» tossii, ormai a corto di fiato.
Le sue dita
smisero di torturarmi, stringendosi poi suoi miei fianchi per farmi sedere
lentamente sul divano.
«Va meglio?»
chiese, scostandomi una ciocca di capelli dal viso.
«Sì». Respirai a
fondo, cercando di far tornare il battito del mio cuore alla normalità.
Non era facile
concentrarsi su quello però, con il petto di Zac appoggiato alla mia schiena.
«Io… io devo
andare. Ci vediamo questa sera?» bofonchiai, alzandomi goffamente dal divano.
«Certo, arrivo da
te un po’ prima?» propose, accompagnandomi verso la porta.
«Ok, come vuoi».
Un sorriso si formò involontario sulle mie labbra, facendo sorridere anche Zac.
«A dopo, allora».
Prese il mio viso tra le sue mani prima di piegare le gambe per darmi un bacio.
«Ciao» soffiai
sulle sue labbra, felice.
Chiusi la porta,
mordendomi il labbro per non strillare a causa della felicità.
Corsi velocemente
in soggiorno, saltellando davanti a Zac.
«Siamo stati
bravissimi» esultai, non smettendo di muovermi.
«Mac, calmati»
ghignò, rimanendo disteso sul divano.
Quella frase, il
suo voler rimanere da me ancora per qualche minuto… mi aveva stupito.
«Hai ragione, ma
sono così felice» strillai, incapace di trattenermi.
Speravo solo che
Francis e Ash fossero già partiti, altrimenti sicuramente mi avrebbero sentita.
«Mac, parla piano»
sogghignò, sistemandosi il cuscino che aveva sotto alla testa.
«Secondo me si
baceranno, ne sono quasi sicura. Erano così belli quando se ne sono andati. Li
hai visti Zac? Hai visto quanto erano belli?» chiesi, sedendomi sul divano e
costringendolo ad appiattirsi contro lo schienale morbido.
«Sì, Mac, li ho
visti. C’ero anche io, sai?» scherzò, divertito dalla mia felicità.
«Sono così felice
per loro, se lo meritano». Cominciai a giocherellare con il bordo della maglia
di Zac, senza smettere di sorridere.
Francis si
meritava Ashley. Anche lei si meritava il mio amico.
«Potrei essere
geloso, sai?» mormorò divertito, facendomi ridere.
Appoggiai la
fronte sulla sua spalla, rimanendo seduta.
«Geloso di
Francis? Lui è un mio amico, Zac» spiegai, appoggiando il capo sul suo petto e
distendendomi di fianco a lui.
«Anche io ero un
tuo amico» puntualizzò, abbassando lo sguardo per scrutare la mia reazione.
Non riuscii a
rispondere, abbassai il viso, sperando che non si accorgesse del rossore delle
mie guance.
«Mac?» domandò,
dopo alcuni secondi di silenzio.
Sentivo ancora le
guance in fiamme e non avevo il coraggio di alzare il viso.
Ero sicura che mi
avrebbe preso in giro, schernendomi perché mi piaceva da sempre.
Sospirò, prima di
portare le mani sui miei fianchi per farmi scivolare sopra di lui.
Sussultai
sorpresa quando sentii il suo corpo caldo sotto al mio.
«Che stai
facendo?» borbottai, guardandolo confusa.
«Perché non hai
detto nulla?». Si sistemò il cuscino sotto alla nuca, per potermi guardare
meglio.
«Io… ecco…
perché…» iniziai a dire, concentrandomi sulla lampada accesa, di fianco alla
TV.
«Aspetta, non
dirmi che è perché ti piacevo» esordì all’improvviso, cogliendomi di sorpresa.
Non credevo che
Zac sarebbe stato in grado di capirlo da solo.
La mia esitazione
fu una conferma per lui.
«Lo sapevo! Parlo
il donnico! L’ho sempre detto» si vantò, stringendo involontariamente i miei
fianchi.
«Zac, non serve
che ti monti tanto la testa» farfugliai imbarazzata, cercando di scivolare giù dal
suo corpo.
«Non mi scappi»
sibilò, fintamente arrabbiato.
«Non farmi il
solletico, non ci provare» lo ammonii, alzando un indice contro il suo viso.
«Altrimenti?» mi
provocò, allargando quel ghigno a dismisura.
Ci pensai. Doveva
pur esserci un modo per ricattarlo.
Ci doveva essere
qualcosa che…
«Zac» urlai,
quando le sue mani cominciarono a torturarmi senza sosta.
Mi dimenai,
cercando di scappare.
Quando finalmente
riuscii ad alzarmi dal divano, Zac mi attirò verso di lui, facendomi sedere
sulle sue ginocchia, per continuare la sua tortura.
«Non respiro» mi
lamentai, ormai completamente senza forza.
Zac si fermò, sistemandomi
i capelli dietro la schiena e dandomi un bacio sulla guancia.
Almeno ci provò,
perché voltai il viso di scatto, facendo incontrare le nostre labbra.
Sussultai al
contatto con la sua bocca, e mi abbandonai
contro di lui sentendomi fremere.
Strofinò la punta
del suo naso contro al mio, sussurrando poi «questo è un bacio eschimese, lo
sapevi?».
Il suo fiato
caldo che entrava dalle mie labbra schiuse per solleticare la mia lingua, i
suoi occhi così azzurri vicini ai miei, quella fossetta sulla guancia sinistra…
prima ancora di pensarci cominciai a baciarlo.
Senza staccare le
nostre labbra, Zac mi fece spostare sul divano, fino a quando non mi sedetti
sulle sue ginocchia.
Le mie mani
corsero tra le sue ciocche corvine, giocandoci.
Le sue dita
sfioravano le mie gambe, salendo lentamente per poi scendere.
Baciare Zac mi
stava facendo perdere la cognizione del tempo.
All’improvviso,
qualcuno suonò il campanello di casa.
«Chi è?»
sussultai, smettendo di baciare Zac.
Oddio, e se fosse
stata mamma?
Cosa le avrei
raccontato?
Zac era
spettinato e le sue labbra erano gonfie.
Non volevo
nemmeno immaginare come ero conciata.
«Tua madre?»
sussurrò Zac, sgranando gli occhi per il terrore.
«Non… non lo so».
Cercai di alzarmi, cadendo dopo che con il piede avevo urtato il tavolino.
«Mac… mi uccide».
Zac si portò le mani tra i capelli, scompigliandoli ancora di più.
«Stai qui, vado
io. Se senti che è mia mamma assumi la faccia più normale che puoi». Cercai di
sistemarmi la maglia che si era alzata e, dopo essermi raccolta i capelli in
una coda perché non si vedesse che si erano arruffati, camminai lentamente
verso la porta.
Speravo con tutto
il cuore che non fosse mamma.
Un venditore di
enciclopedie alle undici di sera era troppo improbabile?
Abbassai la
maniglia con gli occhi chiusi, tenendo lo sguardo basso per non vedere
l’espressione di chi c’era alla porta.
Converse blu.
«Mac,
tutto bene?» mormorò la voce di
Francis.
Francis.
Che
cosa ci faceva a casa mia? «Che cosa ci fai qui?» sbottai, guardandolo confusa,
sollevata e irritata.
Ero
felice che non fosse mamma, ma… aveva interrotto un momento romantico.
«Stai bene? Sembri sconvolta» ripeté, appoggiandomi una mano sulla
spalla.
«Muoviti, entra». Presi una manica della sua
felpa, strattonandolo perché entrasse in casa.
«Mi vuoi dire che cosa c’è che non va?». Non
risposi, camminai solamente verso il soggiorno.
Sentivo
la presenza di Francis dietro di me. Un’ulteriore prova della sua presenza fu
vedere il volto di Zac rilassarsi.
«Francis Seth Hudson, ti odio» gridò Zac, appoggiando la nuca allo
schienale del divano con un sospiro.
«Oh. Voi… voi stavate». Continuava ad alternare
gli sguardi tra me e Zac, senza aggiungere altro.
Io
non riuscivo a rispondere; un po’ perché mi vergognavo e un po’ perché ero
quasi sicura di essere ancora senza voce.
«Sì, Francis. Stavamo pomiciando» sbottò Zac, facendomi ridere.
Non
aveva di certo utilizzato strane metafore. Diretto, come sempre.
«Scusatemi» sussurrò
Francis, evidentemente imbarazzato, «non
volevo interrompervi».
Sembrava
davvero mortificato e mi fece tenerezza. Dovevo per forza spiegargli la
situazione: «Non è perché ci hai interrotto, è perché non sapevamo chi potesse
essere». Mi sedetti di fianco a Zac,
sul divano.
«Adesso, potresti gentilmente spiegarmi che
diavolo sei venuto a fare a casa della mia ragazza a mezzanotte e mezza
passata?» domandò Zac incrociando
le braccia al petto, subito dopo essersi sistemato la maglia.
«Io…
Ashley… noi…» cominciò a balbettare
Francis, senza spiegare nulla.
«Eh?» chiese
Zac, sistemandosi gli occhiali sul naso con un gesto involontario.
«Ci siamo baciati». Francis non si trattenne e dopo quella
confessione cominciò a ridere.
Baciati?
«Cosa?» strillai, alzandomi in piedi e
correndo verso di lui. «Francis,
ripetilo». Appoggiai le mie mani sulle sue spalle, scuotendolo appena. Volevo
accertarmi che fosse la verità ma che soprattutto fosse vero.
«Ci siamo baciati. Cioè, l’ho baciata prima io,
poi me ne sono andato e lei mi ha ricorso e ci siamo baciati. Un bacio vero.
Non proprio vero vero, insomma…». Gesticolava, tanto. Segno evidente di quanto
quella cosa l’avesse agitato. Non sapeva se guardare me o Zac, così alternava
gli sguardi.
«Con la lingua o no?» domandò pratico Zac, guadagnandosi una
mia occhiataccia. «Che c’è? Ho
chiesto» si difese, facendo
spallucce.
Stava diventando un po’ troppo volgare, oltre al
fatto che si atteggiava troppo da saputello.
«No. Ma… non era come a Stanford» spiegò Francis.
Forse questa volta nessuno dei due si era pentito.
Magari il mio desiderio di vederli come coppia si
sarebbe avverato.
«Oh, Francis! Sono così felice per voi» urlai
gioiosa, abbracciandolo di slancio.
«Ma… ma non abbiamo detto niente, perché è
arrivato Eric, ed è subito entrata in casa».
Aspettò che sciogliessi l’abbraccio prima di spiegarmi come erano andate le
cose.
Eric?
Il fratello di Ash?
«Eric vi ha visti?» domandai, sorpresa.
«Sì… per quello abbiamo smesso di baciarci…». Si
schiarì la voce, guardando Zac. Seguii il suo sguardo e lo trovai con la bocca
aperta, come un pesce lesso.
«Eric ti ha visto e sei ancora vivo?» tornai poi a chiedere, concentrandomi
su Francis.
«Se non sono morto e non sto comunicato tramite
la mia proiezione astrale, direi che sono ancora vivo. Ma credo sia solo perché
Ashley l’ha costretto a rientrare» scherzò.
Era felice, si poteva vedere anche dal bellissimo
sorriso che non nascondeva.
«Ti ha riconosciuto?» domandò Zac, alzandosi dal divano.
«No, non credo». Sembrava abbastanza sicuro, ma
c’era qualcosa che non aveva detto, potevo capirlo dal suo sguardo che non
voleva incontrare il mio. Quando Francis faceva così non era completamente
sincero.
«Che figata! Adesso quando lo saprà suo padre ti
troverai senza una gamba» ghignò
Zac, strofinandosi le mani, soddisfatto.
«Zac…» lo
ammonii, tirandogli uno schiaffo sullo stomaco. Non era il momento di
scherzare; ero un po’ preoccupata per Francis.
«Che c’è? Lo sanno tutti che il padre di Ash è
protettivo e geloso. Adesso che Eric sa che qualcuno ha baciato la sua
sorellina, Francis deve guardarsi le spalle. Non potrà stare tranquillo nemmeno
quando dorme» sottolineò Zac,
circondandomi le spalle con un braccio.
«Grazie Zac… mi hai davvero rassicurato» mormorò ironicamente Francis, sedendosi
sul divano.
Quella battuta di Zac aveva messo di malumore
Francis.
«Non
dire così Francis» sussurrai,
sedendomi di fianco a lui. Si era appena baciato con Ashley, non poteva essere
triste.
«E cosa dovrei dire? Non sono di certo come
Alex, io. Anche se dovessi davvero piacere ad Ashley, suo padre non mi
accetterebbe mai» sbuffò,
passandosi una mano tra i capelli.
«Non deve mica decidere suo padre, no? Deve
decidere Ashley» sbottò Zac.
Quella sua frase, così vera, mi fece sorridere.
Zac aveva pienamente ragione e io stessa la pensavo
come lui, ma avevo conosciuto i genitori di Ash e sapevo che suo padre era
protettivo con lei.
Qualcosa però mi faceva credere che non fosse
totalmente contrario a Francis.
Era un ragazzo intelligente, con la testa sulle
spalle, che sapeva quello che voleva, a differenza di Alex, interessato solo al
football.
«Tu non capisci… per te è facile, la mamma di
Mac ti conosce e sono sicura che quando lo saprà sarà felicissima. Ma, lui…» continuò Francis, appoggiando i gomiti
alle ginocchia. Mi faceva tenerezza.
«Felicissima di cosa, ragazzi?». Sussultammo
tutti e tre non appena la voce di mia mamma parlò alle nostre spalle.
Da dove era arrivata?
Perché nessuno l’aveva sentita chiudere la porta di
casa?
E soprattutto… quanto era riuscita a sentire del
nostro discorso?
«Ops» sussurrò
Francis, guardando me e Zac. «Io… io andrei a casa, adesso… ci vediamo domani» balbettò pieno di vergogna, incamminandosi
verso la porta.
Gentile da parte sua.
Lasciava che fossimo io e Zac a confessare la nostra
storia, cominciata da un giorno, tra l’altro.
«Credo che andrò a casa anche io…» farfugliò Zac, infilandosi la felpa
per andare via.
No, non mi avrebbe lasciata da sola.
Avremmo
affrontato quell’argomento assieme. «No, Zac… rimani». Appoggiai una mano sul suo braccio,
trattenendolo.
«Tesoro, che succede?» chiese perplessa mamma guardandoci
entrambi.
Dovevo
dirglielo. Dovevamo dirglielo.
Presi un respiro profondo, prima di iniziare a
parlare.
«Mamma… io e Zac…» cominciai, incapace
di continuare.
Era molto peggio di quello che mi ero sempre
immaginata.
Un po’ perché temevo una sua reazione esagerata e un
po’ perché era la prima volta e non sapevo bene quali parole utilizzare.
«Io e Mac stiamo
assieme» tagliò corto Zac, stupendomi.
«Come, prego?» chiese mamma
stupita.
Non era arrabbiata, semplicemente… sorpresa.
«Io e Mac stiamo
assieme» ripeté Zac, cercando la mia mano per stringerla.
Aumentai la presa, infondendogli un po’ di coraggio.
«Oh ragazzi» esclamò mamma,
avvicinandosi a noi e abbracciandoci felice. «Sono così contenta!
Zac, ti conosco da quando portavi il pannolino e so che sei un bravo ragazzo.
Tratta bene la mia bambina». Interruppe l’abbraccio, per accarezzarmi una
guancia.
Potevo sentire le mie gote bruciare per l’agitazione.
Però aveva reagito bene, almeno non si era arrabbiata.
«Io… sì, spero di sì» mormorò Zac,
sistemandosi gli occhiali e spostandosi con un gesto meccanico i capelli dalla
fronte.
«Vuoi
una fetta di torta? Volete una fetta di torta per festeggiare?» chiese mamma, tutta
eccitata per la notizia.
«No, credo sia meglio
tornare a casa. È tardi» si scusò Zac, mortificato.
«Oh, sì. Certo.
Allora vi saluto, io vado a riposare, visto che domani mattina devo svegliarmi
presto». Ci sorrise, prima di cominciare a salire le scale, salutandoci.
«Be’, l’ha presa
meglio del previsto» bofonchiai, ancora scossa.
«Sì, la torta» ghignò Zac, mentre
gli pizzicavo un fianco.
Non doveva offendere mia mamma!
«Ehi! È stata
gentile, non fare in modo che se ne penta».
Ero ancora incredula.
In ventiquattro ore mi ritrovavo con un ragazzo e una
mamma che lo approvava.
«D’accordo, allora è
meglio se torno a casa». Si avvicinò a me, abbracciandomi.
Le sue braccia mi strinsero talmente forte che mi
mancò il respiro per qualche secondo.
«Zac» tossii, sperando
che la smettesse.
Con una strana smorfia circondò il mio viso con le
sue mani e si abbassò per darmi un bacio.
«Buonanotte, nanetta» soffiò sulle mie
labbra, uscendo subito dopo.
Non l’avevo nemmeno salutato.
Si era chiuso la porta di casa mia alle spalle,
lasciandomi intontita per quel bacio.
Salve ragazze!
Ecco un altro
capitolo di questo spin-off. È il penultimo: ce ne sarà solo un altro e poi l’epilogo.
Credo che la
storia non vi abbia pienamente soddisfatto e ammetto che mi dispiace, in ogni
caso il prossimo capitolo tratterà una parte solo di Zac e Mac che nella storia
principale non è nemmeno accennata.
Come sempre vi
ringrazio per aver letto, aggiunto la storia ai preferiti, seguiti e da
ricordare e me agli autori preferiti!
alla prossima settimana!
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Capitolo 4 *** First time is not always the best ***
zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi
avvenimenti sono collocati durante e dopo il capitolo 20 . Ricordo
che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
Guardare un film con Zac non era mai semplice.
Se la vicinanza del suo petto con la mia schiena
era il primo motivo di distrazione, il secondo di certo era il suo continuo
torturarmi.
«Sta fermo» ridacchiai,
tirandogli una gomitata sullo stomaco quando le sue dita cominciarono a
stuzzicare il mio fianco.
«Auch! Ti stavo solo facendo il solletico» si lamentò, massaggiandosi lo stomaco.
«Sai che soffro il solletico» borbottai, cercando di non disturbare Ash e
Francis che stavano guardando il film seduti nell’altro divano.
Per sicurezza portai un braccio lungo il fianco, riparandomi.
Un dolore poco sotto la spalla mi fece strillare:
quello scemo mi aveva morso. «Zac» gridai, cercando di muovere il braccio per
tirargli una nuova gomitata. Lui fu più veloce di me: mi bloccò le braccia
lungo i fianchi, impedendomi qualsiasi mossa.
«Gne gne gne. Non puoi più farmi male» ghignò. Probabilmente credeva di avere
la vittoria in pugno.
Non sapeva quanto si stava sbagliando.
«Scommettiamo?» proposi, quasi sadicamente.
«Quello che vuoi» rispose, decisamente troppo tranquillo.
Senza riuscire a rimanere seria, allungai la
gamba in avanti per poi ritirarla.
Sentii il mio tallone scontrarsi con la sua gamba.
«Mac» urlò,
spintonandomi poi giù dal divano.
Quando mi resi conto di quello che era successo,
non riuscii a trattenere una risata, ma cercai di tirargli un pugno,
sgridandolo di nuovo: «Sei uno stupido».
«Mi hai fatto male, io non ti ho morso così
forte» piagnucolò, massaggiandosi
la gamba.
«Shh! È la fine del film, voglio vedere se i due
protagonisti si mettono assieme» si
lamentò Francis, ricordandomi che non eravamo soli.
Come una bambina, decisi di chiedere un suo
parere, sicura di aver ragione.
«Francis! Non hai visto che mi ha spinto giù dal
divano?» chiesi, indicando poi
Zac, che fingeva di massaggiarsi la gamba, come se gli facesse davvero male.
«Perché lei mi ha tirato un calcio! È stata
legittima difesa» si giustificò,
mettendosi a sedere sul divano.
Non era una scusa valida. Aveva cominciato lui!
«Tu mi hai morso, per questo ti ho tirato il
calcio» specificai, aspettando di sentire la
sua nuova scusa.
«E la tua gomitata? È iniziato tutto da te.
Diglielo Francis! Ditele che è colpa sua se ho dovuto spingerla giù dal divano!
Diteglielo!». Si alzò in piedi, avvicinandosi a Francis e Ash.
«Ragazzi, dai…» mormorò Francis. Sembrava divertito
dal battibecco.
Ashley non riuscì a nascondere una risata,
probabilmente irritando Zac che la sgridò: «Non c’è niente da ridere! Dille che
è colpa sua, Ashley! Ha iniziato lei, sì o no?». Cercava di corromperla per far
vedere che aveva ragione.
«Svizzera. Non mi metto in mezzo» sentenziò Ashley.
«Peggio dei bambini» bofonchiò Francis, coprendosi poi il viso con
una mano.
No, era una questione di principio, avevo ragione
io: tutto era cominciato perché Zac mi aveva fatto il solletico. Dovevano
capirlo.
«Sei tu che mi hai fatto il solletico. Logico
che se mi istighi io rispondo» brontolai
avvicinandomi a lui e puntandogli un dito contro il petto.
«Mi stai provocando? Perché tanto perdi. Sei una
nanetta, e io sono un uomo» replicò,
avvicinandosi di un passo e sorridendo sadicamente, per farmi notare la
differenza di altezza tra di noi.
Francis e Ash parlottarono tra di loro, ma non
feci caso alle loro parole, impegnata com’ero a vincere quella lotta di sguardi
con Zac.
«Ci vediamo domani a scuola, buona serata» salutò Francis.
«A domani» sibilai,
non staccando il contatto visivo con Zac.
Dovevo vincere io.
«Notte» borbottò
Zac.
«Mac, ricordati che tua mamma ritorna questa
sera» ridacchiò Ashley facendomi
sbuffare infastidita.
Non sapevo a cosa si stesse riferendo, ma ricordavo
che mamma sarebbe arrivata a minuti; lo sapevo meglio di lei.
«Mi dispiace, ma ho ragione io, nanetta» insisté Zac, torreggiando su di
me.
Il mio naso sfiorò il suo petto, ma non mi fece
paura.
«Hai cominciato tu, quattrocchi». Incrociai le braccia sotto al seno, indietreggiando
un po’: averlo così vicino mi confondeva sempre le idee. Quei suoi occhi così
blu sapevano sempre ipnotizzarmi.
«Devi sempre avere l’ultima parola, eh?» mormorò, alzando gli occhi al soffitto e
sistemandosi gli occhiali.
«Solo quando ho ragione» ribattei, indietreggiando di un nuovo passo, perché lui si era
avvicinato ancora di più a me.
«Secondo questa logica tu hai sempre ragione» commentò.
La strana smorfia che fece, sottolineò la fossetta che aveva sulla
guancia sinistra.
«Di solito sì, non mi esprimo se non sono
sicura».
Sembravo molto più tranquilla di quanto in realtà non fossi.
Le ginocchia mi tremavano e c’era poco ossigeno in quella stanza.
Speravo non fosse per la vicinanza di Zac, anche se una parte di
me sapeva che era quello il motivo.
Semplice, scientifico: il corpo di Zac produceva calore, calore
che agitava gli atomi attorno a me che gli ero vicina e quindi l’ossigeno
diventava rarefatto. Non c’era questa spiegazione nei libri, ma… era scienza,
sì!
«Ti faccio paura, nanetta?» ghignò,
avvicinandosi ancora a me.
Ma che cosa gli prendeva?
A ogni mio passo indietro, lui cercava di azzerare le distanze.
D’accordo che “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e
contraria”, ma… mi metteva a disagio.
«No che non mi fai paura» sbottai, sentendo il mio piede sbattere contro qualcosa.
Mi guardai in giro velocemente, cercando di capire quali fossero
le possibili vie di fuga.
Il frigo alla mia destra, un mobile bianco alla mia sinistra.
Sicuramente poco dietro di me c’era la tavola da pranzo.
Non credevo di essere indietreggiata così tanto.
«Ah no? E se ora fossi in trappola?» sussurrò, quando sentii il bordo del tavolo
contro la mia schiena.
Spalancai gli occhi stupita: non sapevo che dire.
«La mia nanetta è in trappola, la mia nanetta è
in trappola» canticchiò, appoggiando le
mani sul bordo della tavola e intrappolandomi definitivamente.
«Zac»
sibilai, appiattendomi contro la superficie di legno, mentre il suo viso si
faceva sempre più vicino.
«Questa volta non hai ragione, niente ultima
parola» soffiò sulle mie labbra, prima di
baciarmi.
Un mugolio sorpreso sfuggì dalla mia bocca, mentre le sue mani si
posavano sui miei fianchi per farmi sedere sulla tavola.
Lo assecondai, lasciando poi che le mie mani corressero tra i suoi
capelli, per stringerne qualche ciocca.
«Zac…»
mugolai, quando la sua mano corse sotto la maglietta che portavo, per solleticarmi
la pancia.
Sentii le sue labbra tendersi in un sorriso, prima che i suoi
denti cominciassero a torturare il mio collo.
«Zy!» strillò
qualcuno, facendo scoppiare la bolla che si era costruita attorno a noi.
Aprii gli occhi di scatto, sobbalzando.
Zac, spaventato, indietreggiò fino a sbattere la schiena contro il
frigo. «Cazzo» sbottò, portandosi una mano tra i capelli.
Sally corse in cucina, ridendo non appena mi vide seduta sulla
tavola.
«Sa-Sally?»
bofonchiai stupidamente, cercando di tornare lucida.
Quella mia domanda la fece ridere ancora di più, mentre mi
prendeva una mano costringendomi a scendere dalla tavola.
«Ciao Zac»
salutò, agitando la manina.
«Ciao Sally».
La risposta di Zac, così fredda, mi fece ridere.
Trovai il coraggio per guardarlo e mormorai uno «scusa»
appena prima che mamma entrasse.
«Ciao mamma»
salutai, cercando di sorridere.
Il suo sguardo si soffermò per qualche istante su di me, sembrava
studiare qualcosa sul mio viso.
«Dov’è Zac?»
chiese, guardando poi verso le scale che conducevano al piano di sopra.
«Qui, mamma»
ridacchiò Sally, correndo a prendere la mano di Zac per farle vedere che era lì
davvero.
«Ciao»
sussurrò lui, cercando di sorridere.
Mi accorsi in quel momento che i suoi capelli erano tutti in
disordine.
«Tutto bene?».
La domanda di mamma mi stupì.
Aveva forse capito quello che stavamo facendo prima che
arrivassero?
«Sì, certo»
borbottò Zac, passandosi una mano tra i capelli e peggiorando la situazione di
quel cespuglio castano. Magari mamma poteva pensare che i suoi capelli erano in
disordine per quel motivo.
«Sally, su che andiamo a dormire».
Mamma prese la borsa che aveva appoggiato sul divano e sorrise per
incentivare Sally a seguirla.
«È tardi, vado anche io» spiegò Zac, scompigliando i capelli a Sally e indossando la
felpa che si era tolto per guardare il film.
«Ciao»
salutò Sally, mentre saliva la scala davanti a mamma.
Quando sentii la porta a soffietto chiudersi, sospirai sollevata.
«Che cosa ti era saltato in mente?» proruppi, spintonandolo.
«Cosa?» chiese,
confuso. Sorrideva maliziosamente, gli occhi ammiccanti e ironici.
«Perché ti sei comportato così?» lo accusai, indicando stupidamente la cucina
con il tavolo, dietro di noi.
«Scusami, mi sembrava che non ti desse così
fastidio» ghignò, innervosendomi ancora
di più.
«Be’, avrebbero potuto vederci. Cosa avresti
detto a mia mamma se ti avesse trovato con la mano sotto alla mia maglia?» mi sfogai, cercando di mantenere un tono
basso perché non potessero sentirci al piano di sopra.
«Che mi piace sua figlia, e che deve cercare di
capirmi, visto che ho diciotto anni e gli ormoni che ballano come se fossero
sottoposti a uno stimolo elettrico» si
giustificò, tranquillo.
Spalancai gli occhi, sorpresa.
«Tu… tu diresti a mia mamma che…» iniziai a dire, rinunciandoci subito dopo.
Possibile che Zac non capisse che tutto quello che diceva era…
dolce?
Le opzioni erano due: non se ne rendeva conto, oppure, lo faceva
volutamente.
«Che cosa dovrei dirle? Mac, è più grande di
noi, sa come vanno le cose» sogghignò,
sistemandosi sulla schiena il cappuccio della felpa blu che aveva appena
indossato.
«Vai a casa, è meglio» mormorai, capendo che se fosse rimasto lì avrei cominciato a
baciarlo di nuovo.
I miei ormoni sembravano impazziti dal ballo di primavera. Si
erano svegliati improvvisamente e non volevano riaddormentarsi.
«Ci vediamo domani pomeriggio? Vieni a casa
mia?» chiese, abbracciandomi.
Casa sua.
I suoi genitori lavoravano, quindi saremmo stati solo noi due.
«Io… ehm… a casa tua…» bofonchiai, cercando di nascondere il rossore che mi aveva
imporporato il viso.
«Mac, tutto bene?».
Era preoccupato. Infatti mi scostò i capelli dalla fronte, tastandomela per
verificare che non avessi la febbre.
«Sì, tutto bene. Ok, vengo a casa tua». Presi un respiro profondo, cercando un po’
di coraggio e sorrisi.
In fin dei conti andare a casa sua era… normale.
Perché avevo pensato che ci fosse un secondo fine nella sua
richiesta?
«Ottimo. A domani»
soffiò sulle mie labbra, prima di baciarmi. «Buonanotte,
nanetta».
Non mi lasciò nemmeno il tempo di rispondere. Si chiuse la porta
di casa alle spalle, lasciandomi, ancora una volta, a guardare il vetro
colorato.
Dannazione, quel comportamento cominciava a darmi fastidio! Zac
sembrava comportarsi come un supereroe, con le uscite a effetto.
«Forza Mac, non è la prima volta che vai a casa
di Zac, su» mormorai tra me e me,
camminando su e giù, davanti alla casa di Zac.
Mi avvicinai al cespuglio di rose bianche: speravo che almeno il
loro profumo potesse calmarmi un po’.
«Mac? Che ci fai qui fuori? Non dovevi arrivare
mezz’ora fa?». La porta di casa si aprì
all’improvviso e mi guardai attorno, in cerca di un posto per nascondermi.
Stava parlando con me?
«Mac? Tutto bene?»
chiese scendendo i tre scalini e appoggiando le sue mani sulle mie spalle.
Dovevo calmarmi, smetterla di pensare al fatto che io e Zac
eravamo da soli.
Era già successo. Sì, non eravamo ancora una coppia, ma era già
successo.
«Sì, ciao»
mentii, alzandomi in punta di piedi per dargli un bacio.
Per un secondo i suoi occhi mi sembrarono confusi, poi però
sorrise, annullando la distanza tra i nostri volti.
«Dai, entriamo»
mormorò, circondando le mie spalle con il suo braccio.
Chiuse la porta con un calcio, prendendo la mia borsa con i libri
di scuola e cominciando a salire la scala, verso la sua camera.
Studiavamo sempre in camera sua, sì.
Presi un respiro profondo, salendo i gradini lentamente.
Quando mi ritrovai davanti alla porta della sua camera, mi
tranquillizzai subito.
Quante volte ero entrata in quella stanza dalle pareti verdi?
Quante volte avevo visto quei poster di supereroi?
Sentii il battito del mio cuore rallentare, mentre, felice, mi
sedevo sul letto di Zac, di fianco a lui.
«Arrivo subito, mi manca l’ultima domanda di
fisica. Tu cosa devi fare?» chiese,
incrociando le gambe e appoggiandoci il libro sopra per scrivere.
«Ho finito tutto»
bisbigliai, alzandomi per camminare un po’.
«Perché tu sei un genietto» sogghignò, facendomi ridere.
Mi avvicinai al comò, guardando le foto che c’erano sopra.
Io, lui, Francis e John. Ce n’erano davvero tante, molte scattate
nel corso degli anni.
Mi soffermai a guardare l’ultima foto, scattata proprio
quell’estate.
Eravamo in spiaggia, Zac e Francis mi tenevano sollevata da terra,
per potermi lanciare in acqua.
Si vedeva l’ombra di John, che stava scattando la foto.
Non riuscii a trattenere un sorriso, sfiorando con i polpastrelli
la cornice.
Il mio sguardo si spostò sul bat segnale, di fianco alla foto.
Guardai Zac, impegnato a scrivere sul suo quaderno e agii
d’istinto: presi il bat segnale, nascondendolo in tasca dei miei jeans; poi,
facendo l’indifferente, mi sedetti di fianco a lui, proprio mentre chiudeva il
libro, soddisfatto.
«Finito»
esultò, lanciando il libro sulla scrivania.
«Zac! Il tuo bat segnale! Si sta illuminando» strillai, indicando il punto in cui doveva
esserci la piccola torcia.
Zac si alzò dal letto, raggiungendo in pochi passi il comò per
controllare.
«Dove l’hai messo?».
Spostò il suo sguardo su di me, furioso.
Non riuscii a trattenermi e cominciai a ridere, appoggiando la
schiena sul letto e portandomi le mani sullo stomaco.
«Mac, non sto scherzando, sai che sono geloso
del bat segnale» sbottò, avvicinandosi a
me.
Non risposi, continuando a ridere.
«Mac, non costringermi a torturarti, su». Sembrò pregarmi, nonostante potessi scorgere
anche una nota divertita nella sua voce.
«Non l’ho preso io, sarà stato Batman» scherzai, asciugandomi una lacrima.
«Ultimo avviso, giuro: ridammi il bat segnale o
sarà guerra». Diventò improvvisamente
serio, divertendomi di più.
Cercai di smettere di ridere, ma non ci riuscii perché Zac,
sospirando, si tolse gli occhiali, appoggiandoli al comodino di fianco al letto
in segno di sfida.
«Sarà la terza guerra mondiale, non avrò pietà
di te». Si arrotolò le maniche della
felpa fino ai gomiti, piegando poi la testa prima da una parte e poi
dall’altra, per distendere i muscoli del collo.
Sentii le sue mani sui miei fianchi, per farmi il solletico e
cercai di ripararmi.
Inutilmente, visto che Zac saltò sul letto, incastrandomi tra il
suo corpo e il materasso.
Con una mano intrappolò le mie mani sopra alla mia testa e con
l’altra continuò a farmi il solletico.
Seduto sopra alle mie gambe non mi permetteva di muovermi, grazie
anche al fatto che il solletico mi toglieva la forza.
«Mac, se non mi dici dove l’hai nascosto entro
un minuto passo alle maniere forti» mi
minacciò, stringendo la presa sui miei polsi.
«Mai»
urlai, cercando di respirare.
«L’hai voluto tu»
sibilò, facendomi ridere di nuovo.
Si chinò, avvicinando il suo viso al mio per poi deviare verso il
mio collo.
Sentii distintamente i suoi denti mordermi.
«Zac»
strillai, tra le risate, sperando che smettesse di farmi male.
Mi morse più forte e la presa sui miei polsi si fece più salda.
«Nella tasca dei jeans» ansimai, contorcendomi sotto di lui per scappare a quella
tortura.
Cominciò a ridere, dandomi poi un bacio dove mi aveva morso.
«Mi piace farti il solletico, perdi tutte le
forze e alla fine cedi».
La sua mano liberò i miei polsi, per poi scendere fino al mio
viso, spostandomi un ciuffo di capelli.
«Che bella che sei»
mormorò, sorridendo.
«Perché sei senza occhiali, se ce li avessi non
lo diresti» bofonchiai, spostando lo
sguardo e tornando a guardare il comodino.
«Che scema. Io lo penso davvero, sai?».
Mi baciò la punta del naso, costringendomi a guardarlo di nuovo.
«Sì, certo. Sono bella come Natalie Portman» ironizzai, guardando i suoi occhi, così
vicini al mio viso.
«Lei è vecchia e ha anche un figlio. Tu… tu sei
giovane e sei qui con me» sussurrò,
accarezzandomi la guancia con la punta delle dita.
«Certo, sono un ripiego, insomma». Solo perché io ero lì. Solo per quello ero
bella?
«Stai scherzando, vero? Mac prima del ballo di
primavera eri come... la donna invisibile adesso sei... Wonder Woman» cercò di
consolarmi, il solito sorriso dolce stampato sulla faccia.
Probabilmente quella era la cosa più romantica e
allo stesso tempo più nerd che potesse dire.
Zac mi aveva appena paragonato a due
supereroine.
«Questa cosa non mi piace» borbottai, sbuffando.
«Perché?» chiese, sorpreso, puntellandosi sui
gomiti per guardarmi meglio.
«Perché tutti i
supereroi con il mantello sono sfigati» spiegai,
sapendo che con quella frase l’avrei offeso.
«Ehi, stai offendendo Batman, il più grande».
Portò le sue mani sui
miei fianchi torturandoli di nuovo.
«Almeno non ho offeso
Flash» precisai, appoggiando le mie mani
sulle sue, perché si fermasse.
«Se l’avessi fatto a
quest’ora non saresti qui» sghignazzò,
mordendomi una guancia.
«Zac, possibile che
tu non… auch» mi lamentai, quando per
sbaglio mi tirò una testata sul naso.
Si massaggiò la
fronte, mentre cercavo di capire se mi avesse rotto qualcosa.
«Scusa» sussurrò, lasciandomi una scia piccoli bacetti sul naso
e arrivando lentamente alle mie labbra.
Sospirai, quando con
la lingua tracciò il contorno della mia bocca, chiedendomi il muto permesso di
entrare.
Le mie mani corsero
tra i suoi capelli, attirandolo verso di me.
Sentii una carezza
sul mio braccio, prima che qualcosa di caldo si appoggiasse sul mio stomaco,
scendendo sotto alla mia maglia.
«Sei il CCS per il
mio HTML? È un invito?» soffiò sulle mie
labbra, facendomi rabbrividire.
«Stupido» ridacchiai, tirandogli una ciocca di capelli un po’ più
forte.
«Mac, sono sincero,
se continuo così non la smetto».
Il respiro veloce,
gli occhi lucidi. Zac era bellissimo.
«Ok» ansimai, regalandogli un bacio dolce.
Il mio cuore sembrava
battere all’impazzata, un martellare continuo che sovrastava tutti gli altri
rumori, anche i sospiri di Zac quando le mie mani scesero ad accarezzargli la
schiena.
La dolcezza di Zac in
ogni gesto, i nostri movimenti impacciati, il tremolio delle mie mani.
Le sensazioni nuove
che mi avevano travolto e la sensazione del corpo di Zac contro al mio, le sue
labbra a baciarmi e la sua voce a ripetermi che tutto sarebbe andato bene.
«Oggi pomeriggio per
favore vieni a casa mia» sbottò Zac,
costringendomi ad appoggiare le spalle all’armadietto dietro di me.
«Perché?» chiesi, cercando di capire che cosa non andasse bene.
«Perché sì» ribatté, non riuscendo a nascondere un sorriso.
La verità era che non
avevo più messo piede a casa sua da quasi una settimana.
Precisamente dal pomeriggio
in cui avevamo fatto l’amore.
C’era qualcosa che mi bloccava, una sensazione strana.
L’idea di aver fatto qualcosa di male, di averlo deluso.
Non era andata esattamente come mi ero aspettata, e temevo che
anche Zac non fosse soddisfatto.
Così, con mille scuse, avevo cercato di non rimanere più sola con
lui, con il terrore che potesse rimproverarmi qualcosa.
Ne avevo parlato con Ash, lei mi aveva assicurato che era normale:
per entrambi era la prima volta e questo forse andava a nostro svantaggio, ma
ero convinta di aver sbagliato qualcosa.
Zac sembrava diverso, si comportava in modo diverso.
Subito dopo scuola mi fermai a casa sua, aspettando che mi aprisse
la porta dopo che avevo suonato il campanello.
«Ciao, nanetta»
mi accolse, aggiungendo anche un sorriso.
«Ciao»
bofonchiai, mentre mi abbracciava, stritolandomi.
Trattenendomi tra le sue braccia, entrò in casa, chiudendo poi la
porta.
«Come stai?»
chiese, circondandomi il viso con le sue mani e intrappolandolo.
«Bene, perché?».
Ero sospettosa, quando si comportava in modo strano c’era sempre qualcosa
dietro.
«Sei strana, ultimamente» mormorò, sfiorandomi le tempie.
Socchiusi gli occhi, cercando di calmarmi.
Se ne era accorto.
«No, non… no»
mentii, sperando che mi credesse.
«Mhh, ok. Vuoi vedere che cosa ho comprato
oggi?» mi domandò, improvvisamente di
buonumore.
«Sì, certo».
La sua felicità mi contagiò, facendomi sorridere.
«Guarda»
sussurrò, aprendo il portafogli e tirando fuori una bustina.
Spalancai gli occhi, stupita dalla frase che c’era scritta e dal
disegno.
«Mi hai fatto venire a casa tua per farmi
vedere questo… coso?» sbottai, alzando il
tono della voce, stizzita.
«Preservativo Mac, puoi dirlo, non è una
parolaccia» rise guardando di nuovo la
bustina. «Hai visto è in tema Star Wars! “Non
sarò tuo padre”. Non è geniale?»
continuò, mettendomi la confezione davanti agli occhi perché leggessi con
attenzione.
«Senti, Zachary, se devi dirmi qualcosa
riguardo a quello che è successo la settimana scorsa, fallo. Ma non girarci
attorno, perché mi fai innervosire».
Incrociai le braccia sotto al seno, pronta per litigare.
«Io dovrei dire qualcosa? Sei tu che ti sei
chiusa a riccio».
Si sistemò gli occhiali, in un gesto arrabbiato.
«Perché so di aver fatto qualcosa di sbagliato
ma non mi hai detto cosa». Una nota
isterica nella voce, appena prima che qualcosa di caldo scivolasse lungo la mia
guancia.
«Quanto sei scema»
sogghignò, abbracciandomi.
Quel gesto, inaspettato, mi sorprese.
«Cosa vuoi dire?»
biascicai, con le labbra appoggiate alla sua maglietta.
«Credi che io mi stia comportando in modo
distaccato perché la settimana scorsa qualcosa è andato male? Ti sbagli, Mac,
credimi. Casomai è il contrario: averti accanto mi fa tornare alla mente la
sensazione della tua pelle sotto alle mie dita, e rischio di deconcentrarmi.
Però so che per te non è stato così»
concluse, una nota triste nella voce.
Sentii la presa delle sue braccia diminuire, per darmi
l’opportunità di andarmene.
«No, è stato strano. Non come me l’aspettavo,
ecco» confessai, rimanendo abbracciata a
lui.
Il contatto con il suo corpo mi rilassava.
«Mi sono informato, solo la prima volta è così,
poi migliora» sussurrò, accarezzandomi i
fianchi lentamente.
«Ti sei… informato? Ti prego, non dirmi niente,
non voglio sapere niente» commentai
imbarazzata, sciogliendo l’abbraccio e cominciando a gesticolare con le mani.
Zac cominciò a ridere, portando poi una mano a scompigliarmi i
capelli. «Vieni qui, nanetta» mormorò, alzandomi perché potessi baciarlo.
Per aiutarlo circondai la sua vita con le gambe, portando le mie
braccia ad allacciarsi intorno al suo collo.
Zac brontolò qualcosa sulle mie labbra, lasciando poi le sue mani
libere di scorrere lungo la mia schiena.
Quel gesto fu in grado di incendiarmi il corpo, costringendomi a
stringermi di più a lui.
«Mac»
ansimò, quando involontariamente mi strusciai contro di lui.
«Sì?».
Appoggiai la fronte alla sua, cercando di calmare il respiro troppo accelerato.
«Se non vuoi… riprovarci, fermiamoci».
Continuava a tenere gli occhi chiusi, con le labbra a qualche
centimetro dalle mie.
«Riproviamoci»
lo rassicurai, catturandogli le labbra.
Le sue braccia mi strinsero di più, mentre ci scambiavamo un bacio
lento e dolce.
«Mac… as-aspetta. Dobbiamo arrivare in camera,
meglio che non cammini mentre ti bacio, o ti sbatto addosso a qualche muro e ti
faccio male». Cominciò a salire le scale
giustificandosi per ogni bacio rubato e non riuscii a trattenere una risata che
soffocai sulla sua spalla.
«Ok, Huston, arrivati a destinazione» scherzò, mentre la mia schiena si appoggiava
al suo materasso.
Presi un respiro profondo, cercando di calmarmi.
Sarebbe andata meglio, sì.
Lo capii subito, quando le mani di Zac scivolarono sotto alla mia
maglia, seguite dalle sue labbra.
C’era un’atmosfera diversa, sembrava avere più confidenza con il
mio corpo.
Quel suo accarezzare e baciare mi rilassava ed eccitava, facendomi
desiderare sempre di più.
«Zac»
chiamai, costringendolo ad abbandonare la mia pancia.
«Mhh?»
mugugnò, senza smettere di lasciare piccoli baci.
«Muoviti»
ordinai, facendolo ridere.
«No, oggi deve andare bene anche per te, così
poi non ti comporti più da psicopatica» bisbigliò,
avvicinandosi alle mie labbra e lasciando che il suo corpo sovrastasse il mio.
Mi fidai.
Come potevo non farlo, davanti a quegli occhi così sinceri?
Lasciai che lentamente mi spogliasse, accarezzando la mia pelle e
facendomi fremere di desiderio.
Il suo corpo contro al mio e il rumore dei nostri baci.
Qualcosa di diverso dalla volta precedente, qualcosa di unico.
Sentire la voce di Zac invocare il mio nome riuscì ad amplificare
a dismisura il piacere che stavo provando, esattamente come sentire il suo
corpo abbandonarsi sopra al mio, stanco.
Il suo fiato a solleticarmi il collo sudato e le sue labbra a
lasciarmi una scia di baci verso le mie.
Ancora una volta, Zac aveva avuto ragione.
Ok,
ehm… direi che Francis è stato più fortunato ma, insomma… lì il discorso era
completamente diverso, su! :)
E
poi, un fondo di verità mi piace metterlo sempre, nelle storie!
Questo
era l’ultimo capitolo, il prossimo è l’epilogo e molto probabilmente sarà un
Zac pov, giusto per dare un po’ di equilibrio a tutta la serie.
Ieri
ho cominciato la mia nuova storia che si chiama ‘You saved me’.
Se volete farci un salto siete le benvenute.
Per
le risposte alle recensioni… tarderanno un po’, mi dispiace, ma sono sommersa
di impegni.
Comunque
ci vediamo la prossima settimana per l’epilogo, ma come sempre prima vi ricordo
il GRUPPO SPOILER
oppure il mio PROFILO FB.
Se mi chiedete l’amicizia per favore ditemi almeno che siete lettrici. Grazie.
|
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Capitolo 5 *** Proposal-Epilogue ***
zmac
Questa storia è uno spin-off di ‘The revenge of the nerd’. Questi
avvenimenti sono collocati prima dell'epilogo. Ricordo
che questa storia si concentra sulla coppia di amici Zac e Mac.
Idiota, ecco come mi sentivo.
Perché, camminando avanti e
indietro, in quella piccola stanza, mi sentivo proprio così.
Hugh, il mio compagno di camera,
si era gentilmente offerto di passare la notte nella stanza di un nostro
compagno di corso, vista la situazione delicata nella quale mi trovavo.
Mentre aspettavo, cominciai a
pensare che nemmeno l’idea che avevo avuto era delle migliori.
Tutti quei sotterfugi per cercare
di stupirla, i favori chiesti a Francis e le ore passate in video chat con lui.
«Zac, apri».
La sua voce mi fece trasalire, tanto che lasciai cadere i miei occhiali per
terra.
Riuscii a raccoglierli al secondo
tentativo, avvicinandomi alla porta a grandi passi per non farla attendere.
«Ciao»
salutai, appena il suo bellissimo viso si tese in un sorriso.
«Ciao. Su, fammi entrare».
Era ancora arrabbiata, e aveva ragione.
Però, forse il suo umore sarebbe
cambiato, una volta vista la mia sorpresa.
Da quella mattina fingevo di non
ricordare che fosse il nostro anniversario: tre anni prima, proprio quella
sera, ci eravamo scambiati il nostro primo bacio, durante lo Spring ball.
«Allora? Che problemi ha questo PC?» sbottò, senza nemmeno avvicinarsi per darmi un bacio. Era
davvero arrabbiata, sapevo quanto teneva a quella data, proprio per quel motivo
mi ero organizzato da un paio di mesi.
«Non lo so, un hacker credo. C’è sempre una scritta quando
cerco di aprire un file»
spiegai, sedendomi sul letto di fianco a lei e nascondendo le mani perché non
notasse quanto stavo tremando.
«Vediamo che cos’ha»
sospirò, sistemandosi il mio PC sulle ginocchia.
Trattenni il respiro quando la
schermata del PC diventò nera; continuavo a tenere lo sguardo fisso sul volto
di Mac, pronto a captare ogni sua singola reazione.
Quando il messaggio comparve
sullo schermo, cominciò a ridere, guardando il soffitto. «Che razza di hacker idiota è?
Poteva almeno fare qualcosa di diverso. Originale, certo, ma “Vuoi sposarmi?”, cioè…» parlò, tra le risate, non capendo
quello che in verità stava succedendo.
Ero un idiota, ecco il vero motivo.
Perché il mio era stato un piano
stupido, che tra l’altro non aveva nemmeno funzionato.
Non riuscii a dire nulla,
continuavo a guardarla, la sua testa abbandonata all’indietro, in preda a un
attacco di risate che non riusciva a placare.
«Togliamo questa cosa»
bofonchiò, asciugandosi una lacrima e tossendo. Schiacciò qualche tasto,
aggrottando leggermente le sopracciglia, confusa. «Ma…»
sussurrò, quando comparve una finestrella sullo schermo, «Zac… qualcuno ti ha installato
questo virus, vedi? Questo numero indica che è qualcosa caricato direttamente,
non l’hai preso navigando in internet. È stato Hugh?». Alla sua domanda capii che era giunto il momento di farmi
coraggio.
Portai la mano in tasca, tastando
il cerchietto d’oro.
Sì, era quello giusto.
«Mac, vuoi sposarmi?»
chiesi, inginocchiandomi davanti a lei, e tenendo l’anello tra il pollice e
l’indice.
Il suo sguardo saettò dall’anello
ai miei occhi, per poi tornare di nuovo all’anello.
«È… è uno scherzo, vero?»
mormorò, incredula. Continuava a guardare l’anello tra le mie dita, divertita,
preoccupata ed emozionata.
«No, oggi è il nostro terzo anniversario e io voglio sposarti». Cercai di sorridere,
sistemandomi gli occhiali che erano scesi sul naso.
«E me lo stai chiedendo con un anello con la faccia di Darth
Vader sopra?» strillò,
indicando l’anello, allibita.
Cominciai a ridere, sapendo che quella
era esattamente la reazione che mi ero aspettato.
«Veramente questo era l’anello di prova, per vedere se mi
avresti risposto sì o no. Aspetta…»
mi giustificai, portando la mano in tasca e trovando il vero anello, «Mac, vuoi sposarmi?» tornai a chiedere, tenendo una
mano sul polso perché stavo tremando decisamente troppo.
«È per me?».
Indicò l’anello, con gli occhi che si stavano riempendo di lacrime.
«Se tu mi dici di sì, credo che lo sia» ironizzai, facendola ridere.
«Tu mi stai chiedendo di sposarti? E hai creato un programma
per chiedermelo?». Vidi una
lacrima sfuggire lungo la sua guancia e le circondai il volto con le mani, dandole
un bacio sulle labbra.
«Mac, voglio sposarti più di quanto un elettrone sia attratto
da un protone» spiegai. Cominciò
a ridere per il mio riferimento alla chimica.
«Così tanto?»
rise, tra le lacrime di gioia.
«Sì». Non
riuscii ad aggiungere altro, perché Mac spostò il PC dalle sue gambe,
avvicinandosi a me per baciarmi.
Le sue braccia circondarono il
mio collo e non riuscii a trattenere un sorriso: interpretavo il suo gesto come
una risposta affermativa alla mia domanda.
«Mac» soffiai
sulle sue labbra, quando mugolò infastidita perché avevo interrotto il bacio, «dovremmo ringraziare Francis, è
stato lui a chiederti tutte quelle cose per il programma. Da solo non sarei mai
riuscito a crearlo» spiegai.
«Sì, sì. Lo ringraziamo domani» ghignò, portando una mano sul mio petto e spingendomi verso
il pavimento.
«Mac, dai»
sghignazzai, prendendola in braccio e appoggiandola delicatamente con la
schiena al materasso. «Prima
almeno indossa l’anello».
Presi la sua mano sinistra e
infilai il piccolo cerchietto d’oro all’anulare, poi le baciai il dito.
«Sai?» bisbigliò,
avvicinando la mano al viso per guardare meglio il diamante, «quasi quasi preferivo l’altro».
A quella sua affermazione non
resistetti, portai le mani sui suoi fianchi e cominciai a farle il solletico,
ridendo del suo contorcersi sotto di me e del suo strillare il mio nome per
convincermi a fermarmi.
Inutile. Non avrei smesso per un
bel po’, appena prima di passare a una tortura diversa.
Ci
siamo, eh?
Sono
terminate anche le avventure di Zac e Mac, e ufficialmente la serie dei nerd è
conclusa.
Io
volevo davvero ringraziare tutti quanti, chi ha solo letto, chi ha recensito
qualche capitolo e chi l’ha fatto con tutti.
Avevo
pensato a un sacco di cose da dire, ma in questo momento non mi ricordo nulla.
In
ogni caso, per qualsiasi cosa, NERDS’ CORNER è il
gruppo e ROBERTA ROBTWILI
è il mio profilo. Per favore se mi aggiungete agli amici almeno ditemi che
siete lettori, grazie.
Per
chi fosse interessato, YOU SAVED ME è la
mia nuova originale.
Grazie
ancora.
Rob.
|
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