Stuck 4
Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 5/7
Note D’autore:
Alla fine.
Note di Betaggio:
L’intera storia è stata puntigliosamente betata
dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
Capitolo 5.
Era come tuffarsi. Era esattamente
come tuffarsi.
Raccogliere il coraggio a quattro braccia e saltare. Sentire il proprio
corpo infrangere la liscia superficie dell’acqua e, da un
momento all’altro, ritrovarsi da solo.
Isolato dal mondo, dal rumore, dalla luce e da qualunque cosa che non
sia l’acqua. Sopra di te, intorno a te, addirittura dentro di te. Ed
è asfissiante perché fa male e tutto
ciò che vorresti fare e riemergere e tornare a respirare, ma
rimani lì, mentre l’aria abbandona lentamente i
tuoi polmoni e gli occhi bruciano e la realtà si fa sempre
più lontana.
Era come immergersi, un’apnea indesiderata che ti impedisce
di respirare agevolmente e ti blocca i pensieri, permettendoti di
percepire solamente il rumore rimbombante selle solide pareti
d’acqua che premono su di te.
Ed in effetti il rumore c’era, solo che era scrosciante e
confortante, ovattato dalla presenza della porta che separava le due
camere e irregolare a causa della presenza di un corpo solido e vivo a
ostacolare la caduta naturale delle gocce.
Thad aveva provato a domandare cautamente se vi fosse qualche problema,
Sebastian aveva scosso il capo, incapace anche solo di parlare, e
l’altro ragazzo aveva pensato bene di lasciar perdere la
questione e dirigersi direttamente in bagno.
Sedeva sul letto, Sebastian, lo sguardo perso nel vuoto i piedi ben
piantatati a terra, unico contatto con quella realtà che
lentamente gli scivolava dalle dita.
Thad gli aveva dato il buongiorno sorridente come al solito, aveva
afferrato un quaderno dalla scrivania e lo aveva sfogliato
febbrilmente, come al solito.
E probabilmente era proprio quello il problema. Thad si era comportato
esattamente come aveva fatto ogni maledetta mattina in quella settimana
e Sebastian sentiva che stava per impazzire perché non vi
era niente, niente,
che facesse presupporre che qualcosa di diverso vi era stato eccome la
sera prima.
Alzò gli occhi al cielo, respirando affannosamente ed
impedendosi categoricamente di lasciarsi andare proprio in quel momento.
«Cosa devo fare?» Mormorò esasperato.
Thad uscì dal bagno perfettamente vestito e il nodo alla
gola di Sebastian si strinse giusto un po’.
«Puoi andare» annunciò, sistemando
accuratamente la borsa. E Sebastian annuì semplicemente,
perché dire qualunque cosa, in quel momento, sarebbe
equivalso ad afferrare Thad e costringerlo ad ammettere che ricordava
distintamente quello che era accaduto appena qualche ora prima.
«Sei sicuro di star bene?» Chiese gentilmente.
Sebastian si costrinse a distogliere l’attenzione dai propri
pensieri e a piazzarsi un mezzo sorriso in faccia. «Mai stato
meglio» mentì.
Thad lo fissò dubbioso ma non aggiunse altro,
così Sebastian si congedò da lui e si
rifugiò tra le calde pareti del bagno.
Qualcuno ce l’aveva con lui, ormai era chiaro.
Ci era andato vicinissimo stavolta, ma non era stato abbastanza. Si
stava aprendo con lui, gli stava permettendo di guardargli dentro senza
filtri, si era mostrato vulnerabile per una volta, si era sentito
felice per un attimo. Ma evidentemente gli era negato, la
felicità era un concetto che gli era precluso in quel
calvario insensato.
Lasciò che l’acqua lavasse via i suoi pensieri,
che gli donasse l’energia necessaria per affrontare
nuovamente quella giornata. Quella giornata così simile alla
precedente, eppure così diversa.
Quando uscì dal bagno, aveva recuperato un po’ di
quello smalto che il risveglio di quella mattina gli aveva scalfito.
Avrebbe trovato un modo per porre fine a quello strazio, ne era certo.
Thad era seduto sul letto e Sebastian si costrinse ad ignorare quel
formicolio lungo la schiena che gli suggeriva di avvicinarsi a lui e
mandare al diavolo ogni buon proposito accumulato fino a quel momento.
«Andiamo?» Domandò, alzando lo sguardo.
Sebastian scrollò le spalle. «Potevi anche
avviarti» rispose.
Thad roteò gli occhi e afferrò la tracolla.
«Qualcuno si è svegliato di cattivo
umore» constatò, aprendo la porta e sparendo nel
corridoio.
Sebastian avrebbe voluto fargli notare che era statisticamente
improbabile che qualcuno si svegliasse di buon umore nel bel mezzo di
una crisi mistica di quell’entità.
Sospirò, immergendosi nella caotica fiumana di studenti che
si dirigevano a lezione e sperando, mai come quella volta, che la
giornata terminasse quanto prima.
Alzò gli occhi in tempo per scorgere la testa platinata di
Sterling sfrecciargli accanto e gettarsi all’inseguimento del
suo moro amico, fidanzato o quello che era.
E fu un attimo. Prima di avere il tempo di collegare il cervello alle
sue labbra, lo aveva già chiamato e costretto ad arrestarsi.
Vi era una cosa che forse poteva fare, una cosa che sapeva di dover fare e che si
rendeva conto solo in quel momento di voler anche fare.
«Sono in ritardo, Sebastian, di che hai bisogno?»
Quello lo fissò scettico. «Io da te? Proprio di
nulla» lo informò tranquillo.
Jeff si passò una mano fra i capelli spazientito.
«Prova a fare pace con il cervello, Smythe, e poi
chiamami.»
Fece per allontanarsi, ma la voce di Sebastian lo richiamò
indietro. «Non ho finito» annunciò. Jeff
non si voltò, ma ormai erano rimasti solo loro nel corridoio
e Sebastian sapeva che era in ascolto.
«Diciamo che potrei aver accidentalmente saputo della tua
toccante storia d’amore clandestina»
iniziò, pacato. Avvertì Jeff irrigidirsi e,
ghignando, continuò. «E diciamo che io muoia dalla
voglia di metterne al corrente anche una determinata persona»
il fatto che lo avesse fatto già un paio di volte e che Thad
sembrasse già essere informato di quel segreto di Stato
erano dettagli assolutamente irrilevanti, «se capisci cosa
intendo.»
Jeff si voltò. «Cosa vuoi?»
Sputò fuori.
«Un’ora del tuo tempo»
contrattò, ma all’espressione perplessa di Jeff si
affrettò a spiegarsi. «Prima del compito,
Sterling, avete un’ora buca» sbuffò,
esasperato dalla mancanza di senso pratico in quel ragazzo. Quello
annuì, evidentemente più attento al filo del
discorso.
«Dagli una mano a ripetere e potrei evitare di dirgli che i
suoi migliori amici lo tengono all’oscuro delle inaspettate svolte
della loro vita privata.»
E Jeff parve capire all’istante, tant’è
che sgranò gli occhi facendo innervosire maggiormente
Sebastian.
«Perché?» Domandò
semplicemente.
«Non devo dare spiegazioni a te» gli fece notare,
seccato, «tu assicurati che per l’inizio del
compito sappia il sistema endocrino e quello digerente, come sa
l’inno alla nazione, e il tuo segreto sarà al
sicuro con me.»
Jeff fece schioccare la lingua. «Tu cosa ci
guadagni?» Domandò sospettoso.
Ma Sebastian la sua parte l’aveva fatta, così si
incamminò verso l’aula, evitando quella domanda
che lo aveva profondamente irritato. «Tu non eri in
ritardo?» Ribatté invece.
Sterling lo seguì poco distante ma ormai il discorso era
caduto.
Sapeva che lo avrebbe fatto: ci teneva troppo a Thad per rischiare che
venisse a sapere di quella storia da qualcuno che non era lui.
Non era molto, ma almeno poteva sperare di mettere a tacere parte dei
suoi sensi di colpa e permettere a Thad di trascorrere un bel fine
settimana.
Odio i
Venerdì … sono utili solo a rovinarti il week-end.
Giunse all’aula di storia trovandoli già tutti
lì, limitandosi a rispondere alle domande di David come
aveva sempre fatto e come sapeva ormai di dover fare.
Che senso aveva provare a cambiare le cose, se poi ricominciava
inevitabilmente tutto daccapo? Tanto valeva accettare passivamente lo
svolgersi degli eventi e sperare almeno di sopravvivere ad essi.
Sebastian distolse lo sguardo dalla finestra, riportandolo nuovamente
sul suo compito e sospirando per l’ennesima volta in quella
giornata.
Tanto il giorno dopo sarebbe stato di nuovo seduto a quel banco, di
nuovo davanti a quel foglio, di nuovo accanto a Duvall. La biologia
poteva anche aspettare, in quel momento aveva problemi ben maggiori a
cui pensare.
Aveva provato ad affrontarla in ogni modo che conosceva, sviscerando la
questione da qualunque punto di vista e analizzandola da ogni
prospettiva. Si era ritrovato puntualmente con un pugno vuoto, talmente
vicino a stringere tra le mani la soluzione di quell’arcano
da poterla quasi saggiare con i sensi. Eppure non era mai riuscito ad
afferrarla concretamente, vi era sempre qualcosa che gli sfuggiva e che
gli impediva di osservare la situazione nell’insieme
piuttosto che nei singoli dettagli.
Aveva rovesciato sul tavolo una quantità non indifferente di
tesserine colorate ma, adesso che doveva riunirle e formare una figura
di senso logico, non sapeva da quale iniziare. Aveva come
l’impressione che mancasse qualcosa, un qualcosa, il qualcosa
che le tenesse insieme e che impedisse all’intero puzzle di
crollare al suolo. E Sebastian non aveva idea di cosa fosse
né sapeva in che modo potessero essere legate fra loro la
chiacchierata con Flint, la conversazione di Sterling e Duvall,
ciò che era accaduto con Thad. Tutto ciò
che era accaduto con Thad.
Sarebbe stato un insulto alla sua intelligenza affermare che non avesse
ancora compreso che Thad fosse il punto fondamentale di tutta quella
storia, dal momento che ogni cosa accaduta in quei giorni non aveva
fatto altro che mettere l’accento su quanto poco conoscesse
il suo compagno di stanza. Ebbene, aveva posto rimedio alla cosa.
Avevano parlato, si erano conosciuti meglio ed erano andati oltre
ciò che entrambi erano soliti vedere. Evidentemente,
però, il bandolo della matassa non doveva essere quello,
visto che si trovava per la quarta volta davanti a quel fottuto compito
di biologia e non aveva ancora idea del perché.
Duvall continuava ad importunarlo alla sua destra, ma Sebastian non
aveva alcuna voglia di aiutarlo. Domani,
si ripeté, tanto
domani staremo di nuovo qua.
Scribacchiò un paio di righi sul foglio, onde evitare che
gli venisse fatto notare quanto pericolosamente vicino si trovasse
all’essere rimandato in quella materia. Dopodiché,
fece schioccare un paio di volte il collo e permise al suo sguardo di
vagare in giro per l’aula. La sua attenzione venne
immediatamente attirata da Thad. Aveva la testa china sul foglio e
scriveva. Sembrava piuttosto concentrato e, cosa ancor più
importante, la sua gamba non tremava. Sebastian sorrise appena nel
constatare che, magari, Sterling aveva fatto il suo dovere e il
week-end di Thad non sarebbe stato poi così male. Si
sorprese nuovamente di quel pensiero assolutamente non da lui,
convenendo con sé stesso che quel discorso ormai non potesse
più essere rimandato. Ed era strano, perché era
incredibile quanto fosse cambiato il suo modo di vedere le cose nel
giro di pochi giorni. Pochi giorni, poi. Visto da fuori il suo
cambiamento sarebbe sembrato immotivato ed improvviso, dal momento che,
fino a prova contraria, era avvenuto dalla sera alla mattina. Non aveva
senso e pensarci gli faceva venire mal di testa, così
Sebastian decise che, da quel momento in poi, avrebbe affrontato le
cose esattamente nel modo in cui gli si presentavano, senza pensieri e
senza troppi ragionamenti alienanti. Quando la campanella
suonò, si alzò velocemente, consegnò
il compito e si avviò fuori dall’aula, certo che
le chiacchiere entusiaste ed esaltate degli altri Warblers lo avrebbero
raggiunto fin troppo presto.
Ed infatti non si sbagliava. Il parlare calmo e ragionato di David lo
distrasse per un po’ dai suoi pensieri, Sebastian finse di
interessarsi alla conversazione come aveva fatto le volte precedenti,
non potendo impedire a sé stesso di rispondere ad ogni
domanda e commentare ogni supposizione o idea. Lo aveva già
fatto, sapeva di doverlo fare e non aveva alcuna voglia di mettersi a
combattere contro le parole che premevano per lasciargli la bocca
contro la sua volontà.
«…e quindi ci ho provato due volte ma
alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro
continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.»
E di cosa diamine stava parlando Sterling? Dio, aveva ascoltato quella
frase quante? Due? Tre volte? Aveva meno senso ogni volta che la
pronunciava.
«Io non l’ho mai capito
quell’affare» disse Trent, «come fa a
piacerti, Jeff?»
E Nixon gli dava anche corda, come ogni maledetta volta. Ed ora il
biondo rispondeva…
«Mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress»
spiegò.
Oh, ma guarda! Punto per
Sebastian!
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose come al
solito. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
Roteò gli occhi al pensiero della ridicola discussione che
stava per affrontare. Prima Sterling, poi Duvall.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me,
non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di
importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con
l’ossigenazione» commentò Sebastian.
Poi di nuovo Sterling e lui che ribatteva a tono. E Flint che provava a
fare da paciere. Illuso.
Forse, se si fosse impegnato, un modo per evitare quello strazio lo
avrebbe anche trovato. Bastava fare un’altra strada per
raggiungere la mensa, oppure proporre un argomento di conversazione
differente prima che loro iniziassero a blaterare di quelle idiozie.
Magari era un’idea da prendere in considerazione per il
giorno successivo. Avrebbe potuto procurarsi un pacco di fazzoletti per
otturare le loro prolifiche cavità orali, in alternativa. Un
modo per farli tacere c’era per forza.
«Quindi per domani che hai deciso?»
Quella domanda lo richiamò dal suo mondo di piani
machiavellici e lo riportò brutalmente in
quell’elegante corridoio dell’Accademia.
Domani. Il domani a cui era stato invitato da Thad appena poche ore
prima, il domani che improvvisamente gli interessava vivere, il domani
che sembrava così lontano.
Noi Warblers abbiamo in
programma una gita.
Thad parve pensarci un po’ su, ma poi rispose entusiasta.
«Ovviamente sarò dei vostri, che
domande!»
Se ti va puoi unirti a
noi.
Era come vivere una scena al rallentatore, come se lui fosse
l’inerme spettatore di una commedia messa in scena da attori
scialbi e inconsistenti.
Nick che esultava, Thad che sorrideva e il braccio di Flint che si
posava intorno alle sue spalle.
Le mani di Sebastian che si chiusero a pungo, la sua gola che ingoiava
un ringhio, la sua pelle che tremava.
Fastidio. Bruciante e logorante fastidio che gli scuoteva le membra e
gli annebbiava la vista.
Flint che gli sussurrava qualcosa all’orecchio e Thad che
sorrideva.
Thad con cui non aveva mai avuto quella chiacchierata, Thad che
continuava ad avercela con lui, Thad che non aveva avuto modo di
confermare i suoi pensieri. Ed era tutto così fottutamente
demotivante. Thad che non gli parlava, ma che si era lasciato baciare
la sera prima.
«A te non abbiamo detto nulla» proruppe Jeff. Anche
se continuava a guardare avanti a sé, Sebastian sapeva che
stava parlando con lui. «Perché sapevamo che tanto
non saresti venuto.»
Sebastian fece una smorfia.
Ma poi abbiamo
chiacchierato e tu hai detto che anche tu odi i Venerdì
e…
E Thad voleva che andasse con loro, nonostante gli altri se ne
fregassero di lui e di quello che pensava. Glielo aveva chiesto ben tre
volte, perché era importante, perché ci
teneva… perché
gli piaceva.
«Oh» rispose meccanicamente, «la prima
decisione sensata della tua testolina bionda, sono ammirato.»
David sospirò rassegnato, «Sarebbe stato almeno
carino chiederglielo, Jeff.»
«Già, Jeff, sei stato poco carino»
annuì Sebastian, «ma questa non è certo
una novità.»
«Vediamo quanto sarai carino tu con un occhio nero, ti
va?» si infervorò Nick.
Ed ovviamente Duvall non poteva fare a meno di difendere il suo
ragazzo. Sebastian sospirò frustrato per
l’ennesima volta. La sola prospettiva di dover rivivere
quello strazio all’infinito lo mandava al manicomio.
«Di certo più di te in queste
condizioni» rispose prontamente.
E poi Flint, e ancora David e poi Nick che veniva opportunamente
zittito da Thad. E sembrava davvero che quella giornata non dovesse mai
finire.
Il divanetto in pelle, quel pomeriggio, era più fastidioso
del solito.
Sebastian si ritrovò a muoversi per l’ennesima
volta a disagio, alla ricerca di una posizione comoda che non sembrava
essere in grado di trovare.
Costrinse sé stesso ad evitare di far caso a Sterling che si
muoveva in mezzo alla sala, convenendo che i suoi neuroni fossero
già abbastanza provati da quell’esperienza: era
inutile stressarli ancora.
Era strano però. Sebastian sapeva che quello sarebbe stato
l’esatto momento in cui intervenire per cambiare
l’esito di quella riunione, eppure non ne aveva la
benché minima voglia. Come per tutto il resto in quella
giornata, stava semplicemente assecondando il corso degli eventi,
facendoseli scivolare addosso e fingendo che non lo riguardassero
più di tanto.
Magari sarebbe servito a qualcosa.
Si guardò un attimo intorno, notando che Duvall si era
ammutolito e che Sterling si era acquietato.
Ecco, quello era il momento in cui Nixon apriva la bocca e il suo
autocontrollo andava a puttane.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei
provini seri per decidere il solista delle competizioni.»
E la velata ironia che gli sporcava la voce aveva il potere di irritare
Sebastian come solo le camicie stropicciate, la pioggia quando devi
uscire e i rumori improvvisi di notte riuscivano a fare.
Non si voltò neanche a guardarlo.
«Seri?» domandò stancamente,
«quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di
freccette?»
Nick sbuffò. «Beh, se tu non monopolizzassi
l’attenzione su di te magari potremmo anche farlo qualche
provino» constatò.
«Non sei il solo a saper cantare, Sebastian» lo
appoggiò Jeff, «siamo tutti in grado di farlo,
altrimenti non saremmo qui.»
Ma quei due parlavano sempre in coppia? Non vi era affermazione fatta
da uno a cui non seguisse inevitabilmente un commento da parte
dell’altro. Cristo, era così che speravano di
nascondere la loro storia? Stavano sempre ad appoggiarsi l’un
l’altro, a sorridersi complici e a guardarsi di sottecchi.
Era un bene se non gli avevano già preparato un addio al
celibato con tanto di strette di mano e auguri di prolifica progenie!
«Oh, ma andiamo!» rispose, «sappiamo
tutti che sono il membro più competente.»
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse
comunque» gli fece notare Thad.
Sebastian strinse il pugno, continuando a fissare Duvall che lo
osservava a sua volta. Non sapeva cosa ci avrebbe trovato in quello
sguardo, ma non aveva alcuna voglia di controllare.
«Forse il problema è che siete voi a non riuscire
a starmi dietro» fu costretto a ribattere.
I ragazzi erano silenziosi e vigili. Sebastian li vedeva spostare lo
sguardo dall’uno all’altro, trattenendo il fiato e
rimanendo in attesa degli sviluppi di quel dibattito.
Non voleva girarsi, non poteva permetterselo. Strinse il pungo,
continuando a fingere di stare semplicemente ignorando il suo
interlocutore e non di star invece fuggendo dal suo sguardo.
«E tu non saresti presuntuoso?» continuò
Thad, «Sebastian, ti conviene scendere dal piedistallo,
perché l’aria che respiri lassù ti sta
fottendo il cervello.»
E fu inevitabile. Fu inevitabile avvertire lo stomaco chiudersi, fu
inevitabile sentire il respiro lasciargli i polmoni e le mani
pizzicargli. Fu inevitabile voltarsi a guardarlo.
…e ti
garantisco che non era difficile odiarti per tutto questo, dal momento
che non ti mettevi esattamente d’impegno per mostrarti
amichevole.
Thad lo fissava con gli occhi ridotti a due fessure e
un’espressione severa e dura che non gli si addiceva per
nulla. Sebastian si sentì attraversato da quello sguardo e
non poté fare a meno di sentirsi vacillare, per un attimo, a
causa della nostalgia che aveva di quegli occhi scuri e luminosi e che
gli avevano scavato dentro in poco più di mezza giornata.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito
di utilizzarlo a sproposito» le parole gli lasciarono le
labbra senza che lui potesse fare qualcosa di efficace per
impedirglielo. E si sentiva sconfitto e messo al muro, la testa piena
delle loro chiacchiere della sera prima e gli occhi che bruciavano.
Thad sbuffò e Sebastian provò a ricercare, in
quei lineamenti e in quelle parole, i segni del ragazzo che aveva
conosciuto davanti alla finestra della loro stanza, il ragazzo che si
era aperto con lui, che gli aveva sorriso cordiale e lo aveva fatto
sentire appena un po’ più giusto.
«Eviti di utilizzarlo e basta.»
E adesso viene fuori che
sei anche simpatico e che io e te siamo in grado di fare una
conversazione sensata senza urlarci addosso di tutto.
Non più, a quanto pare.
La restante parte della riunione, trascorse senza eclatanti colpi di
scena, come al solito. Quando David annunciò che potevano
andare, Sebastian si alzò, mantenendo la postura elegante e
regale che lo caratterizzava, e si avviò verso
l’uscita.
Il peso della sua tracolla gli ricordò che aveva un libro da
consegnare in biblioteca, ma il suo umore sotto i piedi lo convinse a
rimandare quella pratica inutile. Ci avrebbe pensato un altro giorno.
Per nulla desideroso di tornare in camera, camminò con
quanta più flemma possibile, canticchiando il motivetto di
una canzone a caso e lasciando che la mente gli si svuotasse
automaticamente.
Fu richiamato dai suoi pensieri solo quando, sul punto di voltare
l’angolo per arrivare alla sua camera, fu raggiunto da due
voci concitate.
Decisamente non aveva voglia di origliare un’altra
conversazione privata: l’ultima volta gli era bastato e
avanzato. Mosse un passo in quella direzione, ma ciò che
sentì lo convinse a immobilizzarsi sul posto.
«Non è colpa mia, Jeff.»
Harwood.
Sebastian si mosse appena, sporgendosi nel corridoio per controllare la
situazione. Thad era poggiato allo stipite della porta della loro
stanza e sembrava piuttosto abbattuto. Di fronte a lui, Sterling lo
guardava severo, le braccia incrociate al petto e la testa inclinata di
lato.
«No» commentò, «certo che
no.»
Thad sbuffò, appoggiando la testa al legno e guardando
altrove. «Non lo sopporto» sbottò,
«e poi lo vedo e mi dimentico che non lo sopporto.»
Jeff roteò il capo. «Sì, direi che ci
siamo accorti tutti di quanto poco lo sopporti» gli fece
notare.
Sebastian ritornò alla sua posizione originaria, privandosi
della vista di quella scena, ma restando comunque in ascolto.
Aveva un fastidioso presentimento, ma si costrinse a metterlo da parte
e a immagazzinare quante più informazioni possibili.
Maledette conversazioni origliate, maledetti Warblers che si
appartavano a due a due e maledetto il suo tempismo perfetto.
«Lo odio» proseguì Harwood. «E
credo che anche lui odi me a questo punto, però a entrambi
importa ciò che sta facendo l’altro. A me di
sicuro» sospirò, « e boh, lui mi fissa e
non capisco cosa accidenti voglia da me e lo odio anche per
questo.»
Sebastian sentì Jeff ridacchiare e, per qualche motivo a lui
ignoto, si ritrovò a sorridere con lui. Riusciva quasi ad
immaginare l’espressione di Harwood mentre pronunciava quelle
parole, le guance arrossate e gli occhi che si muovevano veloci.
Bastava una parola, una parola che trasformasse quel presentimento in
realtà, che confermasse il suo sospetto, e non ci avrebbe
pensato due volte a congedare Sterling e a chiudersi in camera con lui
per tutta la sera.
«Tu» iniziò il biondo, «cerca
solo di essere meno ovvio» lo ammonì,
«altrimenti, se se ne accorge, ti darà il tormento
per il resto dell’anno.»
«Come sempre i tuoi consigli sono utili e costruttivi,
Jeff.»
«Felice di esserti d’aiuto» rispose
l’altro.
Thad ridacchiò e Jeff gli disse qualcosa che Sebastian non
riuscì a capire ma che doveva averlo fatto indignare
parecchio, viste le proteste che ne seguirono.
«Vado» annunciò Sterling,
«Nick mi aspetta per studiare.»
Certo, studiare.
«A dopo» lo salutò l’altro,
«e, Jeff?»
«Sì» lo anticipò
l’altro, «lo so: acqua in bocca.»
«Grazie.»
«Nulla.»
Una serratura che scattava ed una porta che si apriva e poi chiudeva
velocemente.
Sebastian rimase qualche altro minuto al suo posto, ringraziando il
caso che non avesse fatto passare nessuno in quel momento, prima di
sollevarsi dalla parete e incamminarsi finalmente verso la propria
camera.
Rimase a fissare la porta per un attimo, raccogliendo le energie
sufficienti per affrontare nuovamente quella sfiancante discussione che
non aveva alcuna voglia di rivivere. Quando si decise ad abbassare la
maniglia, la scena che lo sorprese oltre la lucida superficie di legno
era diversa dalle precedenti.
Thad non c’era. O, almeno, Thad era ancora a fare la sauna:
lo scroscio dell’acqua della doccia era abbastanza indicativo
a riguardo.
Ma quanto accidenti si lavava quel tipo?
Sebastian si tolse la tracolla e il blazer dell’Accademia,
arrotolando le maniche della camicia fino al gomito e sedendosi sul
letto.
In genere trovava già lì Thad una volta rientrato
in camera e di solito era lui a dare inizio alla discussione. Forse
stavolta poteva evitarlo, doveva solo riuscire a tenersi per lui quella
prima frase incriminata, in modo tale che Thad non potesse ribattere e
lui non si ritrovasse intrappolato nuovamente in quella spirale di
parole non dette e da dire obbligatoriamente.
Thad uscì dal bagno portando con sé una cappa di
aria calda e il profumo del bagnoschiuma all’arancia che
usava in abbondanza. Si immobilizzò sulla porta nel notare
la presenza di Sebastian nella stanza e per un attimo rimasero a
fissarsi senza sapere cosa dire o cosa fare.
Sarebbe stato facile dare un taglio a quella pagliacciata e giocarsi
tutto, una volta e per sempre, ma Sebastian non poteva permettersi di
vacillare. Non di nuovo. Ammettere che Thad lo aveva sconvolto gli
costò più fatica di quanta ne immaginasse e il
pensiero che fosse stato lui a permetterglielo era intollerabile.
Thad afferrò un libro dalla scrivania e si sdraiò
sul letto come ogni volta.
A quel punto Sebastian avrebbe esordito a suo modo, infischiandosene di
tutto e desideroso solo di far innervosire Thad e vedere fino a che
punto riusciva a stargli dietro, ma non quella sera. Era forse
l’unico momento di quella giornata in cui aveva il pieno
controllo della situazione.
Si schiarì la voce, ricercando le parole adatte per
iniziare. Voleva solo… parlare. Senza urlare o tirare
giù i vari Santi dal Paradiso.
«Dunque» esordì, «che
leggi?»
Thad alzò lo sguardo per un attimo, rivolgendo
un’occhiata scettica al suo compagno di stanza, prima di
riabbassarlo sulle pagine dinanzi a sé.
«Un libro» rispose lapidario.
Sebastian roteò gli occhi. «Ma dai? Avrei detto
che fosse una lista della spesa!»
Sì, ciao ciao, conversazione tranquilla, ciao.
Thad sbuffò. «Sei tu che fai domande inutili,
Sebastian.»
«Cercavo di fare conversazione» gli fece notare
l’altro.
Thad si mise a sedere, mettendo da parte il libro e fissando Sebastian.
«E perché lo faresti?» volle sapere.
Sebastian sbuffò. «Ma si può sapere
qual è il tuo problema?»
Thad si produsse in una risata bassa ed amara. «Al momento
sei tu il mio problema.»
E Sebastian lo sapeva e nonostante ciò continuava a girare
il dito nella piaga. Perché poteva essere stanco, annoiato e
spaventato da quella situazione, ma improvvisamente fu tutto troppo
chiaro.
Il tassello mancante, ciò che legava la chiacchierata con
Flint, la conversazione di Sterling e Duvall e tutto ciò che
era accaduto con Thad fino a quel momento. Ciò che
permetteva a tutto di acquistare un senso, non singolarmente ma
nell’insieme.
Quindi sono sempre stato
io il tuo problema?
E lui lo aveva capito la sera prima, ma non era stato abbastanza
sveglio da collegarlo a tutto il resto.
Thad lo fissava con sguardo attento e severo. Sembrava ferito da
qualcosa e Sebastian – con l’ausilio di questa
nuova consapevolezza – non aveva difficoltà ad
immaginare cosa fosse che gli faceva così male, che lo
faceva scattare così ogni volta che parlavano, che lo
portava a rinfacciargli di tutto e a essere così rancoroso
nei suoi confronti.
«Beh» si ritrovò a dire Sebastian,
«io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito
non te la prendi così tanto.»
No, no, no, no. No.
Doveva per forza dire quelle parole esatte? E per quale motivo finivano
puntualmente a litigare?
Sembrava che non vi fosse alcun modo per cambiare quella serata. Per un
motivo o per un altro, la conclusione era sempre la stessa. Tranne la
sera precedente.
Continuava a rispondergli contro la sua volontà e a
domandarsi cosa avesse sbagliato ancora e se vi sarebbe stato un modo
per premere il tasto pausa e impossessarsi nuovamente della sua vita.
Thad era arrabbiato per delle ragioni che adesso Sebastian riusciva a
comprende più a fondo, ma che comunque non giustificavano
quell’astio nei suoi confronti.
Lui cosa ne poteva sapere? Si era sempre comportato allo stesso modo
con tutti, non poteva immaginare che da parte sua ci fosse dell’altro.
La colpa non era assolutamente sua.
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood»
disse.
E sì, aveva capitolo più cose Thad di lui che
Sebastian stesso. Se ne era rimasto in un angolo, una pulce silenziosa
e furba che gli era entrata dentro poco a poco, arrivando a rivoltarlo
come un calzino senza che Sebastian riuscisse a rendersene conto.
Sei più di
quello che ti sforzi di sembrare agli altri.
Perché Thad era andato oltre e, nonostante tutto, Sebastian
gli era grato per questo
«Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma sono
più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non
sapere nulla di me.»
E cazzo, quello non era giusto, non lo era per nulla. Ci aveva messo un
po’, ma alla fine ci era arrivato.
Lo aveva ascoltato parlare del suo fratello perfetto, sapeva che era un
maledetto perfezionista del cavolo, che boxava di tanto in tanto, che
odiava i Venerdì, che cercava di eccellere continuamente,
che odiava la biologia e che gli piaceva leggere. Poco importava che
aveva appreso tutto nella stessa fottuta giornata! Lui ci aveva messo
tutta la sua buona volontà, quel trattamento era ingiusto. E
fanculo che Thad non avesse idea di tutto quello, Sebastian si era
stufato di quella cazzo di presa per il culo.
Non sapeva in quale momento di quella discussione si erano alzati in
piedi, fatto sta che adesso se ne stavano entrambi al centro della
stanza: Sebastian con il pugno serrato e la rabbia che premeva per
esplodere, Thad con le braccia incrociate al petto e
l’espressione delusa in viso.
«Buonanotte, Sebastian» disse, prima di voltarsi e
scostare le coperte.
E fu un attimo. Prima ancora di riuscire a ragionarci, Sebastian era
scattato in avanti e gli aveva afferrato il braccio costringendolo a
voltarsi nella sua direzione.
«Ti piacerebbe» quasi gli ringhiò.
«Cristo, adesso mi ascolti.»
Avvertì Thad trattenere il respiro e per un attimo si
bloccò, diviso fra l’incertezza di non sapere in
realtà cosa dire e la paura di stargli facendo male. Thad
aveva gli occhi leggermente sgranati e Sebastian avvertiva il suo
respiro accelerato sul viso, tanto erano vicini.
«Ti permetti di startene qui» iniziò,
duramente, «con il tuo pigiama troppo celeste e il tuo
bagnoschiuma all’arancia che normalmente troverei disgustoso
su chiunque, e mi fai fare pensieri che di solito non farei e dire cose
che assolutamente non direi e agire in modi che non sono assolutamente
da me, e poi mi accusi di essere un egocentrico del cazzo ed un egoista
della peggior specie e di non conoscerti affatto e altre puttanate che
ho evitato di ascoltare.»
E lo sapeva che prima o poi sarebbe scoppiato, solo che non voleva che
accadesse così. E, soprattutto, non per queste ragioni. Ma
si sentiva frustrato e maledettamente nervoso: riversare la sua rabbia
repressa su Thad sembrava la soluzione più semplice, in quel
momento.
«E per cosa, poi?» continuò, impassibile
allo sguardo sconcertato dell’altro. «Per farmi
sentire in colpa per delle ragioni che solo tu sembri conoscere? Ma
vaffanculo, allora.»
Thad boccheggiò appena, ma Sebastian finse di non notarlo e
proseguì a briglia sciolta, la presa sul suo braccio sempre
più salda e la voce che cresceva ad ogni parola.
«Ti comporti come se io
fossi quello cattivo, quando sei tu
che continui a spalarmi merda addosso solo perché speravi
che fossi più bravo ad interpretare i tuoi segnali confusi e
a capire che hai una cotta per me? Ma quanto cazzo sei
egoista?»
E aveva giocato sporco, lo sapeva, ma Thad non poteva avercela con lui
per quello. Quello sleale era lui.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, fuggendo gli occhi di
Sebastian e concentrandosi sulle sue dita strette ancora intorno alla
stoffa del pigiama.
Quando lo rialzò, non vi era traccia di indecisione sul suo
viso e la sua voce era sicura e ferma non appena parlò.
«Di cosa mi stai accusando esattamente, Sebastian?»
domandò, «Di sentire qualcosa per te, oppure di
essermi ricordato di possedere un amor proprio e di aver provato a
convincermi che tu non fossi per niente la persona adatta per cui
provare qualsiasi genere di sentimento?»
Sebastian aprì la bocca per rispondere e fargli notare che,
ancora una volta, non aveva centrato il punto del discorso, ma quello
lo interruppe immediatamente.
«No, perché voglio essere certo di difendermi
dall’accusa giusta e di evitare di sputtanarmi più
di quanto io non abbia già fatto.»
Si stava mettendo totalmente in gioco e Sebastian avvertì la
sua stretta indebolirsi nel constatare che, ancora una volta, Thad
sembrava il più forte tra i due.
«E se ti dicessi» iniziò, mascherando
l’incertezza nella sua voce, «se ti dicessi che non
mi danno fastidio i tuoi sentimenti?»
Tanto valeva giocarsi il tutto per tutto e prendere a calci
l’orgoglio. Male che andava, il giorno dopo avrebbe rivissuto
tutto daccapo e nessuno avrebbe conservato il ricordo di quella
conversazione. Tranne lui, ovviamente.
«Mi stai incoraggiando a farmi del male, Sebastian?»
Sebastian rise amaramente, spostando le mani sui fianchi di Thad e
avvertendolo rabbrividire a quel contatto.
«Thad, ce ne stiamo qui in piedi, al buio, a parlare di
sentimenti e a urlarci addosso tutto quello che ci passa per la
testa» gli fece notare, sorridendo. «Se avessi
voluto farti del male, avrei trovato modi molto più
fantasiosi, non credi?»
Thad si morse un labbro, spostando lo sguardo altrove. Sebastian si
prese un attimo per osservarlo e rafforzare la presa su di lui per
rendere inequivocabilmente chiaro il concetto.
«Cosa è cambiato da ieri?»
Domandò infine, riportando lo sguardo su di lui.
Sebastian avrebbe voluto rispondere che, tecnicamente, era passato ben
più di un giorno, ma decise che quella considerazione poteva
anche tenersela per sé.
«Dio, Thad, mi hai fottuto il cervello!» Si
esasperò. «Cos’altro hai bisogno di
sapere?»
E Thad rise, mentre le sue guance si coloravano di rosso e la sua testa
si abbassava leggermente. «Suppongo che per adesso potrei
anche farmelo bastare» commentò.
Sebastian si chiese se sarebbe stato perfetto come la sera precedente e
se Thad si sentisse abbastanza coinvolto da lasciarsi andare nuovamente
con lui.
Si sporse in avanti, trattenendo il respiro e avvertendo la pelle
fremere per quel contatto che aveva bramato per tutta la giornata e che
gli era così inspiegabilmente mancato tanto.
Thad non si mosse e Sebastian si ritrovò a perdersi per un
attimo nei suoi occhi scuri e profondi prima di accarezzare quella
ridicola distanza che ancora li separava e posare le labbra sulle sue.
Le trovò esattamente come le ricordava, morbide ed incerte.
Si muovevano sotto le sue lentamente e senza fretta, assecondandone il
ritmo e lasciandosi guidare completamente.
Sebastian gli passò un braccio dietro la schiena,
attirandolo maggiormente a sé e approfondendo quel bacio di
cui aveva un bisogno urgente e disperato.
In un attimo le braccia di Thad erano intorno al suo collo, in un
movimento naturale e fluido che Sebastian percepì
direttamente sulla pelle, un brivido lungo la schiena che lo fece
perdere momentaneamente. Perdere fra le sue labbra schiuse, la sua
lingua che si intrecciava alla sua e i suoi gemiti bassi che sentiva
scorrere direttamente nelle vene.
Ti prego, questo non te
lo dimenticare.
E in quel momento seppe di essere fottuto davvero.
Noticine carine carine
Dunque, eccoci alla fine di un altro, mastodontico, capitolo. Spero non
me ne vogliate e spero che la lettura sia stata almeno piacevole.
Il male di vivere che mi ha preso quando ho iniziato a scrivere questo
capitolo è stato più difficile del previsto da
affrontare. Mi sentivo male io per Sebastian e il pensiero di
ciò che sarebbe accaduto mi ha spinto a rimandare la
scrittura del capitolo più che ho potuto. Poi mi sono decisa
a buttarlo giù e amen.
Aneddoti simpatici
riguardo il capitolo 5 di Stuck:
1- Il presente capitolo è
dedicato a due personcine speciali speciali. La prima è Somo
che gli ha gentilmente fatto da madrina, spingendomi a scrivere quando
non ne avevo voglia, consigliandomi laddove Sebastian cercava di
boicottarmi e leggendolo pezzo per pezzo mano a mano che lo scrivevo.
La seconda è la mia Vals per dei motivi che
passerò a spiegare nel punto 2.
2- La mia adorata metà mi ha
autorizzata ad inserire in questo capitolo il testo di un sms che mi ha
inviato qualche tempo fa. Io ne sono stata entusiasta perché
si adattava perfettamente alla mia trama e lei si merita la dedica per
la persona speciale che è. Non credo vi dirò qual
è il pezzo in questione, ma vi basti sapere che è
anche merito suo se il capitolo ha preso questa piega.
3- La scrittura dell’intero
capitolo, anzi, dell’intera storia, ruotava intorno
al mio desiderio di far dire a Sebastian che Thad gli ha fottuto il
cervello. È interessante notare che, giunti al capitolo 5,
questa frase è l’unica di cui ho dovuto
praticamente forzare l’inserimento. Arrivati alla fine del
capitolo mi sono accorta che non ci stava più –
rispetto a come volevo inserirla io – e stavo quasi per
tagliarla fuori. Poi mi sono convinta e ho deciso di metterla lo
stesso, anche se ho dovuto adattarla e alla fine non è
venuta come volevo. Un classico, lo so.
4- Mentre scrivevo di Sebastian che
“si perdeva”, nelle mie orecchie Eddy Martin
cantava Lost ed io sono una personcina tanto romantica e simpatica e ho
iniziato a scuoriciare come non mai. Solo per farvelo sapere.
5- Lo avete letto in 3 capitoli
mi pare ed io sono stata abbastanza attenta da non dirlo ancora ma,
qualcuno ha idea di cosa accidenti stia parlando Jeff quando
dice “…e quindi ci ho provato due volte
ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di
vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.” ???
No, perché alla fine nel suo contesto è una cosa
che ha pure senso, LOL. Bon, lo saprete nel prossimo xD
6- Non ho niente contro i pigiami
celesti, anzi, l’azzurro è il mio colore
preferito. LOL
Comunque, la storia volge quasi al termine, sigh, ormai mancano solo un
capitolo e l’epilogo e già so che
piangerò molto pateticamente alla fine.
In ogni caso, vorrei ringraziarvi sentitamente per
l’entusiasmo che avete riversato allo scorso capitolo:
sapevate quanto ci tenevo e vedere che vi è piaciuto mi
riempie di gioia!
Vi ricordo ancora una volta eventuali luoghi ameni in cui trovarmi: Twitter e Facebook
Bene, la smetto di blaterare, a lunedì prossimo,
Thalia.
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