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Autore: micRobs    28/05/2012    7 recensioni
Sebastian/Thad | Mini-Long | Slash/AU | Introspettivo/Romantico |
Se potessi rivivere lo stesso giorno all'infinito, cosa cambieresti?
Sebastian non lo sa, pensa solo che sia una gran scocciatura e che probabilmente il karma ha solo trovato un altro modo divertente e creativo per passare il tempo. Le cose però non sono mai come ci si aspetta e Sebastian si troverà presto a fare i conti con la stupidità umana (la sua) e con una serie di imprevisti che proprio non aveva preso in considerazione (i Warblers).
Dal capitolo 2 : "Vi era qualcosa che continuava a non tornare in tutta quella faccenda.
E Sebastian non si riferiva solo al fatto che sapeva esattamente quali domande sarebbero uscite al compito di biologia.
Voltò il foglio freneticamente, cercando un indizio che gli facesse iniziare a sperare di non essere completamente uscito di testa.
Vi era un’unica, ultima, speranza alla quale appellarsi."
...hope you like it!
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Stuck 4 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 5/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!



                                    *o*


Capitolo 5.

Era come tuffarsi. Era esattamente come tuffarsi.
Raccogliere il coraggio a quattro braccia e saltare. Sentire il proprio corpo infrangere la liscia superficie dell’acqua e, da un momento all’altro, ritrovarsi da solo.
Isolato dal mondo, dal rumore, dalla luce e da qualunque cosa che non sia l’acqua. Sopra di te, intorno a te, addirittura dentro di te. Ed è asfissiante perché fa male e tutto ciò che vorresti fare e riemergere e tornare a respirare, ma rimani lì, mentre l’aria abbandona lentamente i tuoi polmoni e gli occhi bruciano e la realtà si fa sempre più lontana.
Era come immergersi, un’apnea indesiderata che ti impedisce di respirare agevolmente e ti blocca i pensieri, permettendoti di percepire solamente il rumore rimbombante selle solide pareti d’acqua che premono su di te.
Ed in effetti il rumore c’era, solo che era scrosciante e confortante, ovattato dalla presenza della porta che separava le due camere e irregolare a causa della presenza di un corpo solido e vivo a ostacolare la caduta naturale delle gocce.
Thad aveva provato a domandare cautamente se vi fosse qualche problema, Sebastian aveva scosso il capo, incapace anche solo di parlare, e l’altro ragazzo aveva pensato bene di lasciar perdere la questione e dirigersi direttamente in bagno.
Sedeva sul letto, Sebastian, lo sguardo perso nel vuoto i piedi ben piantatati a terra, unico contatto con quella realtà che lentamente gli scivolava dalle dita.
Thad gli aveva dato il buongiorno sorridente come al solito, aveva afferrato un quaderno dalla scrivania e lo aveva sfogliato febbrilmente, come al solito.
E probabilmente era proprio quello il problema. Thad si era comportato esattamente come aveva fatto ogni maledetta mattina in quella settimana e Sebastian sentiva che stava per impazzire perché non vi era niente, niente, che facesse presupporre che qualcosa di diverso vi era stato eccome la sera prima.
Alzò gli occhi al cielo, respirando affannosamente ed impedendosi categoricamente di lasciarsi andare proprio in quel momento.
«Cosa devo fare?» Mormorò esasperato.
Thad uscì dal bagno perfettamente vestito e il nodo alla gola di Sebastian si strinse giusto un po’.
«Puoi andare» annunciò, sistemando accuratamente la borsa. E Sebastian annuì semplicemente, perché dire qualunque cosa, in quel momento, sarebbe equivalso ad afferrare Thad e costringerlo ad ammettere che ricordava distintamente quello che era accaduto appena qualche ora prima.
«Sei sicuro di star bene?» Chiese gentilmente.
Sebastian si costrinse a distogliere l’attenzione dai propri pensieri e a piazzarsi un mezzo sorriso in faccia. «Mai stato meglio» mentì.
Thad lo fissò dubbioso ma non aggiunse altro, così Sebastian si congedò da lui e si rifugiò tra le calde pareti del bagno.
Qualcuno ce l’aveva con lui, ormai era chiaro.
Ci era andato vicinissimo stavolta, ma non era stato abbastanza. Si stava aprendo con lui, gli stava permettendo di guardargli dentro senza filtri, si era mostrato vulnerabile per una volta, si era sentito felice per un attimo. Ma evidentemente gli era negato, la felicità era un concetto che gli era precluso in quel calvario insensato.
Lasciò che l’acqua lavasse via i suoi pensieri, che gli donasse l’energia necessaria per affrontare nuovamente quella giornata. Quella giornata così simile alla precedente, eppure così diversa.
Quando uscì dal bagno, aveva recuperato un po’ di quello smalto che il risveglio di quella mattina gli aveva scalfito. Avrebbe trovato un modo per porre fine a quello strazio, ne era certo.
Thad era seduto sul letto e Sebastian si costrinse ad ignorare quel formicolio lungo la schiena che gli suggeriva di avvicinarsi a lui e mandare al diavolo ogni buon proposito accumulato fino a quel momento.
«Andiamo?» Domandò, alzando lo sguardo.
Sebastian scrollò le spalle. «Potevi anche avviarti» rispose.
Thad roteò gli occhi e afferrò la tracolla. «Qualcuno si è svegliato di cattivo umore» constatò, aprendo la porta e sparendo nel corridoio.
Sebastian avrebbe voluto fargli notare che era statisticamente improbabile che qualcuno si svegliasse di buon umore nel bel mezzo di una crisi mistica di quell’entità.
Sospirò, immergendosi nella caotica fiumana di studenti che si dirigevano a lezione e sperando, mai come quella volta, che la giornata terminasse quanto prima.
Alzò gli occhi in tempo per scorgere la testa platinata di Sterling sfrecciargli accanto e gettarsi all’inseguimento del suo moro amico, fidanzato o quello che era.
E fu un attimo. Prima di avere il tempo di collegare il cervello alle sue labbra, lo aveva già chiamato e costretto ad arrestarsi.
Vi era una cosa che forse poteva fare, una cosa che sapeva di dover fare e che si rendeva conto solo in quel momento di voler anche fare.
«Sono in ritardo, Sebastian, di che hai bisogno?»
Quello lo fissò scettico. «Io da te? Proprio di nulla» lo informò tranquillo.
Jeff si passò una mano fra i capelli spazientito. «Prova a fare pace con il cervello, Smythe, e poi chiamami.»
Fece per allontanarsi, ma la voce di Sebastian lo richiamò indietro. «Non ho finito» annunciò. Jeff non si voltò, ma ormai erano rimasti solo loro nel corridoio e Sebastian sapeva che era in ascolto.
«Diciamo che potrei aver accidentalmente saputo della tua toccante storia d’amore clandestina» iniziò, pacato. Avvertì Jeff irrigidirsi e, ghignando, continuò. «E diciamo che io muoia dalla voglia di metterne al corrente anche una determinata persona» il fatto che lo avesse fatto già un paio di volte e che Thad sembrasse già essere informato di quel segreto di Stato erano dettagli assolutamente irrilevanti, «se capisci cosa intendo.»
Jeff si voltò. «Cosa vuoi?» Sputò fuori.
«Un’ora del tuo tempo» contrattò, ma all’espressione perplessa di Jeff si affrettò a spiegarsi. «Prima del compito, Sterling, avete un’ora buca» sbuffò, esasperato dalla mancanza di senso pratico in quel ragazzo. Quello annuì, evidentemente più attento al filo del discorso.
«Dagli una mano a ripetere e potrei evitare di dirgli che i suoi migliori amici lo tengono all’oscuro delle inaspettate svolte della loro vita privata.»
E Jeff parve capire all’istante, tant’è che sgranò gli occhi facendo innervosire maggiormente Sebastian.
«Perché?» Domandò semplicemente.
«Non devo dare spiegazioni a te» gli fece notare, seccato, «tu assicurati che per l’inizio del compito sappia il sistema endocrino e quello digerente, come sa l’inno alla nazione, e il tuo segreto sarà al sicuro con me.»
Jeff fece schioccare la lingua. «Tu cosa ci guadagni?» Domandò sospettoso.
Ma Sebastian la sua parte l’aveva fatta, così si incamminò verso l’aula, evitando quella domanda che lo aveva profondamente irritato. «Tu non eri in ritardo?» Ribatté invece.
Sterling lo seguì poco distante ma ormai il discorso era caduto.
Sapeva che lo avrebbe fatto: ci teneva troppo a Thad per rischiare che venisse a sapere di quella storia da qualcuno che non era lui.
Non era molto, ma almeno poteva sperare di mettere a tacere parte dei suoi sensi di colpa e permettere a Thad di trascorrere un bel fine settimana.
Odio i Venerdì … sono utili solo a rovinarti il week-end.
Giunse all’aula di storia trovandoli già tutti lì, limitandosi a rispondere alle domande di David come aveva sempre fatto e come sapeva ormai di dover fare.
Che senso aveva provare a cambiare le cose, se poi ricominciava inevitabilmente tutto daccapo? Tanto valeva accettare passivamente lo svolgersi degli eventi e sperare almeno di sopravvivere ad essi.

Sebastian distolse lo sguardo dalla finestra, riportandolo nuovamente sul suo compito e sospirando per l’ennesima volta in quella giornata.
Tanto il giorno dopo sarebbe stato di nuovo seduto a quel banco, di nuovo davanti a quel foglio, di nuovo accanto a Duvall. La biologia poteva anche aspettare, in quel momento aveva problemi ben maggiori a cui pensare.
Aveva provato ad affrontarla in ogni modo che conosceva, sviscerando la questione da qualunque punto di vista e analizzandola da ogni prospettiva. Si era ritrovato puntualmente con un pugno vuoto, talmente vicino a stringere tra le mani la soluzione di quell’arcano da poterla quasi saggiare con i sensi. Eppure non era mai riuscito ad afferrarla concretamente, vi era sempre qualcosa che gli sfuggiva e che gli impediva di osservare la situazione nell’insieme piuttosto che nei singoli dettagli.
Aveva rovesciato sul tavolo una quantità non indifferente di tesserine colorate ma, adesso che doveva riunirle e formare una figura di senso logico, non sapeva da quale iniziare. Aveva come l’impressione che mancasse qualcosa, un qualcosa, il qualcosa che le tenesse insieme e che impedisse all’intero puzzle di crollare al suolo. E Sebastian non aveva idea di cosa fosse né sapeva in che modo potessero essere legate fra loro la chiacchierata con Flint, la conversazione di Sterling e Duvall, ciò che era accaduto con Thad. Tutto ciò che era accaduto con Thad.
Sarebbe stato un insulto alla sua intelligenza affermare che non avesse ancora compreso che Thad fosse il punto fondamentale di tutta quella storia, dal momento che ogni cosa accaduta in quei giorni non aveva fatto altro che mettere l’accento su quanto poco conoscesse il suo compagno di stanza. Ebbene, aveva posto rimedio alla cosa. Avevano parlato, si erano conosciuti meglio ed erano andati oltre ciò che entrambi erano soliti vedere. Evidentemente, però, il bandolo della matassa non doveva essere quello, visto che si trovava per la quarta volta davanti a quel fottuto compito di biologia e non aveva ancora idea del perché.
Duvall continuava ad importunarlo alla sua destra, ma Sebastian non aveva alcuna voglia di aiutarlo. Domani, si ripeté, tanto domani staremo di nuovo qua.
Scribacchiò un paio di righi sul foglio, onde evitare che gli venisse fatto notare quanto pericolosamente vicino si trovasse all’essere rimandato in quella materia. Dopodiché, fece schioccare un paio di volte il collo e permise al suo sguardo di vagare in giro per l’aula. La sua attenzione venne immediatamente attirata da Thad. Aveva la testa china sul foglio e scriveva. Sembrava piuttosto concentrato e, cosa ancor più importante, la sua gamba non tremava. Sebastian sorrise appena nel constatare che, magari, Sterling aveva fatto il suo dovere e il week-end di Thad non sarebbe stato poi così male. Si sorprese nuovamente di quel pensiero assolutamente non da lui, convenendo con sé stesso che quel discorso ormai non potesse più essere rimandato. Ed era strano, perché era incredibile quanto fosse cambiato il suo modo di vedere le cose nel giro di pochi giorni. Pochi giorni, poi. Visto da fuori il suo cambiamento sarebbe sembrato immotivato ed improvviso, dal momento che, fino a prova contraria, era avvenuto dalla sera alla mattina. Non aveva senso e pensarci gli faceva venire mal di testa, così Sebastian decise che, da quel momento in poi, avrebbe affrontato le cose esattamente nel modo in cui gli si presentavano, senza pensieri e senza troppi ragionamenti alienanti. Quando la campanella suonò, si alzò velocemente, consegnò il compito e si avviò fuori dall’aula, certo che le chiacchiere entusiaste ed esaltate degli altri Warblers lo avrebbero raggiunto fin troppo presto.

Ed infatti non si sbagliava. Il parlare calmo e ragionato di David lo distrasse per un po’ dai suoi pensieri, Sebastian finse di interessarsi alla conversazione come aveva fatto le volte precedenti, non potendo impedire a sé stesso di rispondere ad ogni domanda e commentare ogni supposizione o idea. Lo aveva già fatto, sapeva di doverlo fare e non aveva alcuna voglia di mettersi a combattere contro le parole che premevano per lasciargli la bocca contro la sua volontà.
 «…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.»
E di cosa diamine stava parlando Sterling? Dio, aveva ascoltato quella frase quante? Due? Tre volte? Aveva meno senso ogni volta che la pronunciava.
«Io non l’ho mai capito quell’affare» disse Trent, «come fa a piacerti, Jeff?»
E Nixon gli dava anche corda, come ogni maledetta volta. Ed ora il biondo rispondeva…
«Mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress» spiegò.
Oh, ma guarda! Punto per Sebastian!
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose come al solito. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
Roteò gli occhi al pensiero della ridicola discussione che stava per affrontare. Prima Sterling, poi Duvall.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me, non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con l’ossigenazione» commentò Sebastian.
Poi di nuovo Sterling e lui che ribatteva a tono. E Flint che provava a fare da paciere. Illuso.
Forse, se si fosse impegnato, un modo per evitare quello strazio lo avrebbe anche trovato. Bastava fare un’altra strada per raggiungere la mensa, oppure proporre un argomento di conversazione differente prima che loro iniziassero a blaterare di quelle idiozie. Magari era un’idea da prendere in considerazione per il giorno successivo. Avrebbe potuto procurarsi un pacco di fazzoletti per otturare le loro prolifiche cavità orali, in alternativa. Un modo per farli tacere c’era per forza.
«Quindi per domani che hai deciso?»
Quella domanda lo richiamò dal suo mondo di piani machiavellici e lo riportò brutalmente in quell’elegante corridoio dell’Accademia.
Domani. Il domani a cui era stato invitato da Thad appena poche ore prima, il domani che improvvisamente gli interessava vivere, il domani che sembrava così lontano.
Noi Warblers abbiamo in programma una gita.
Thad parve pensarci un po’ su, ma poi rispose entusiasta. «Ovviamente sarò dei vostri, che domande!»
Se ti va puoi unirti a noi.
Era come vivere una scena al rallentatore, come se lui fosse l’inerme spettatore di una commedia messa in scena da attori scialbi e inconsistenti.
Nick che esultava, Thad che sorrideva e il braccio di Flint che si posava intorno alle sue spalle.
Le mani di Sebastian che si chiusero a pungo, la sua gola che ingoiava un ringhio, la sua pelle che tremava.
Fastidio. Bruciante e logorante fastidio che gli scuoteva le membra e gli annebbiava la vista.
Flint che gli sussurrava qualcosa all’orecchio e Thad che sorrideva.
Thad con cui non aveva mai avuto quella chiacchierata, Thad che continuava ad avercela con lui, Thad che non aveva avuto modo di confermare i suoi pensieri. Ed era tutto così fottutamente demotivante. Thad che non gli parlava, ma che si era lasciato baciare la sera prima.
«A te non abbiamo detto nulla» proruppe Jeff. Anche se continuava a guardare avanti a sé, Sebastian sapeva che stava parlando con lui. «Perché sapevamo che tanto non saresti venuto.»
Sebastian fece una smorfia.
Ma poi abbiamo chiacchierato e tu hai detto che anche tu odi i Venerdì e…
E Thad voleva che andasse con loro, nonostante gli altri se ne fregassero di lui e di quello che pensava. Glielo aveva chiesto ben tre volte, perché era importante, perché ci teneva… perché gli piaceva.
«Oh» rispose meccanicamente, «la prima decisione sensata della tua testolina bionda, sono ammirato.»
David sospirò rassegnato, «Sarebbe stato almeno carino chiederglielo, Jeff.»
«Già, Jeff, sei stato poco carino» annuì Sebastian, «ma questa non è certo una novità.»
«Vediamo quanto sarai carino tu con un occhio nero, ti va?» si infervorò Nick.
Ed ovviamente Duvall non poteva fare a meno di difendere il suo ragazzo. Sebastian sospirò frustrato per l’ennesima volta. La sola prospettiva di dover rivivere quello strazio all’infinito lo mandava al manicomio.
«Di certo più di te in queste condizioni» rispose prontamente.
E poi Flint, e ancora David e poi Nick che veniva opportunamente zittito da Thad. E sembrava davvero che quella giornata non dovesse mai finire.

Il divanetto in pelle, quel pomeriggio, era più fastidioso del solito.
Sebastian si ritrovò a muoversi per l’ennesima volta a disagio, alla ricerca di una posizione comoda che non sembrava essere in grado di trovare.
Costrinse sé stesso ad evitare di far caso a Sterling che si muoveva in mezzo alla sala, convenendo che i suoi neuroni fossero già abbastanza provati da quell’esperienza: era inutile stressarli ancora.
Era strano però. Sebastian sapeva che quello sarebbe stato l’esatto momento in cui intervenire per cambiare l’esito di quella riunione, eppure non ne aveva la benché minima voglia. Come per tutto il resto in quella giornata, stava semplicemente assecondando il corso degli eventi, facendoseli scivolare addosso e fingendo che non lo riguardassero più di tanto.
Magari sarebbe servito a qualcosa.
Si guardò un attimo intorno, notando che Duvall si era ammutolito e che Sterling si era acquietato.
Ecco, quello era il momento in cui Nixon apriva la bocca e il suo autocontrollo andava a puttane.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei provini seri per decidere il solista delle competizioni.»
E la velata ironia che gli sporcava la voce aveva il potere di irritare Sebastian come solo le camicie stropicciate, la pioggia quando devi uscire e i rumori improvvisi di notte riuscivano a fare.
Non si voltò neanche a guardarlo. «Seri?» domandò stancamente, «quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di freccette?»
Nick sbuffò. «Beh, se tu non monopolizzassi l’attenzione su di te magari potremmo anche farlo qualche provino» constatò.
«Non sei il solo a saper cantare, Sebastian» lo appoggiò Jeff, «siamo tutti in grado di farlo, altrimenti non saremmo qui.»
Ma quei due parlavano sempre in coppia? Non vi era affermazione fatta da uno a cui non seguisse inevitabilmente un commento da parte dell’altro. Cristo, era così che speravano di nascondere la loro storia? Stavano sempre ad appoggiarsi l’un l’altro, a sorridersi complici e a guardarsi di sottecchi. Era un bene se non gli avevano già preparato un addio al celibato con tanto di strette di mano e auguri di prolifica progenie!
«Oh, ma andiamo!» rispose, «sappiamo tutti che sono il membro più competente.»
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse comunque» gli fece notare Thad.
Sebastian strinse il pugno, continuando a fissare Duvall che lo osservava a sua volta. Non sapeva cosa ci avrebbe trovato in quello sguardo, ma non aveva alcuna voglia di controllare.
«Forse il problema è che siete voi a non riuscire a starmi dietro» fu costretto a ribattere.
I ragazzi erano silenziosi e vigili. Sebastian li vedeva spostare lo sguardo dall’uno all’altro, trattenendo il fiato e rimanendo in attesa degli sviluppi di quel dibattito.
Non voleva girarsi, non poteva permetterselo. Strinse il pungo, continuando a fingere di stare semplicemente ignorando il suo interlocutore e non di star invece fuggendo dal suo sguardo.
«E tu non saresti presuntuoso?» continuò Thad, «Sebastian, ti conviene scendere dal piedistallo, perché l’aria che respiri lassù ti sta fottendo il cervello.»
E fu inevitabile. Fu inevitabile avvertire lo stomaco chiudersi, fu inevitabile sentire il respiro lasciargli i polmoni e le mani pizzicargli. Fu inevitabile voltarsi a guardarlo.
…e ti garantisco che non era difficile odiarti per tutto questo, dal momento che non ti mettevi esattamente d’impegno per mostrarti amichevole.
Thad lo fissava con gli occhi ridotti a due fessure e un’espressione severa e dura che non gli si addiceva per nulla. Sebastian si sentì attraversato da quello sguardo e non poté fare a meno di sentirsi vacillare, per un attimo, a causa della nostalgia che aveva di quegli occhi scuri e luminosi e che gli avevano scavato dentro in poco più di mezza giornata.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito di utilizzarlo a sproposito» le parole gli lasciarono le labbra senza che lui potesse fare qualcosa di efficace per impedirglielo. E si sentiva sconfitto e messo al muro, la testa piena delle loro chiacchiere della sera prima e gli occhi che bruciavano.
Thad sbuffò e Sebastian provò a ricercare, in quei lineamenti e in quelle parole, i segni del ragazzo che aveva conosciuto davanti alla finestra della loro stanza, il ragazzo che si era aperto con lui, che gli aveva sorriso cordiale e lo aveva fatto sentire appena un po’ più giusto.
«Eviti di utilizzarlo e basta.»
E adesso viene fuori che sei anche simpatico e che io e te siamo in grado di fare una conversazione sensata senza urlarci addosso di tutto.
Non più, a quanto pare.

La restante parte della riunione, trascorse senza eclatanti colpi di scena, come al solito. Quando David annunciò che potevano andare, Sebastian si alzò, mantenendo la postura elegante e regale che lo caratterizzava, e si avviò verso l’uscita.
Il peso della sua tracolla gli ricordò che aveva un libro da consegnare in biblioteca, ma il suo umore sotto i piedi lo convinse a rimandare quella pratica inutile. Ci avrebbe pensato un altro giorno.
Per nulla desideroso di tornare in camera, camminò con quanta più flemma possibile, canticchiando il motivetto di una canzone a caso e lasciando che la mente gli si svuotasse automaticamente.
Fu richiamato dai suoi pensieri solo quando, sul punto di voltare l’angolo per arrivare alla sua camera, fu raggiunto da due voci concitate.
Decisamente non aveva voglia di origliare un’altra conversazione privata: l’ultima volta gli era bastato e avanzato. Mosse un passo in quella direzione, ma ciò che sentì lo convinse a immobilizzarsi sul posto.
«Non è colpa mia, Jeff.»
Harwood.
Sebastian si mosse appena, sporgendosi nel corridoio per controllare la situazione. Thad era poggiato allo stipite della porta della loro stanza e sembrava piuttosto abbattuto. Di fronte a lui, Sterling lo guardava severo, le braccia incrociate al petto e la testa inclinata di lato.
«No» commentò, «certo che no.»
Thad sbuffò, appoggiando la testa al legno e guardando altrove. «Non lo sopporto» sbottò, «e poi lo vedo e mi dimentico che non lo sopporto.»
Jeff roteò il capo. «Sì, direi che ci siamo accorti tutti di quanto poco lo sopporti» gli fece notare.
Sebastian ritornò alla sua posizione originaria, privandosi della vista di quella scena, ma restando comunque in ascolto.
Aveva un fastidioso presentimento, ma si costrinse a metterlo da parte e a immagazzinare quante più informazioni possibili. Maledette conversazioni origliate, maledetti Warblers che si appartavano a due a due e maledetto il suo tempismo perfetto.
«Lo odio» proseguì Harwood. «E credo che anche lui odi me a questo punto, però a entrambi importa ciò che sta facendo l’altro. A me di sicuro» sospirò, « e boh, lui mi fissa e non capisco cosa accidenti voglia da me e lo odio anche per questo.»
Sebastian sentì Jeff ridacchiare e, per qualche motivo a lui ignoto, si ritrovò a sorridere con lui. Riusciva quasi ad immaginare l’espressione di Harwood mentre pronunciava quelle parole, le guance arrossate e gli occhi che si muovevano veloci. Bastava una parola, una parola che trasformasse quel presentimento in realtà, che confermasse il suo sospetto, e non ci avrebbe pensato due volte a congedare Sterling e a chiudersi in camera con lui per tutta la sera.
«Tu» iniziò il biondo, «cerca solo di essere meno ovvio» lo ammonì, «altrimenti, se se ne accorge, ti darà il tormento per il resto dell’anno.»
«Come sempre i tuoi consigli sono utili e costruttivi, Jeff.»
«Felice di esserti d’aiuto» rispose l’altro.
Thad ridacchiò e Jeff gli disse qualcosa che Sebastian non riuscì a capire ma che doveva averlo fatto indignare parecchio, viste le proteste che ne seguirono.
«Vado» annunciò Sterling, «Nick mi aspetta per studiare.»
Certo, studiare.
«A dopo» lo salutò l’altro, «e, Jeff?»
«Sì» lo anticipò l’altro, «lo so: acqua in bocca.»
«Grazie.»
«Nulla.»
Una serratura che scattava ed una porta che si apriva e poi chiudeva velocemente.
Sebastian rimase qualche altro minuto al suo posto, ringraziando il caso che non avesse fatto passare nessuno in quel momento, prima di sollevarsi dalla parete e incamminarsi finalmente verso la propria camera.
Rimase a fissare la porta per un attimo, raccogliendo le energie sufficienti per affrontare nuovamente quella sfiancante discussione che non aveva alcuna voglia di rivivere. Quando si decise ad abbassare la maniglia, la scena che lo sorprese oltre la lucida superficie di legno era diversa dalle precedenti.
Thad non c’era. O, almeno, Thad era ancora a fare la sauna: lo scroscio dell’acqua della doccia era abbastanza indicativo a riguardo.
Ma quanto accidenti si lavava quel tipo?
Sebastian si tolse la tracolla e il blazer dell’Accademia, arrotolando le maniche della camicia fino al gomito e sedendosi sul letto.
In genere trovava già lì Thad una volta rientrato in camera e di solito era lui a dare inizio alla discussione. Forse stavolta poteva evitarlo, doveva solo riuscire a tenersi per lui quella prima frase incriminata, in modo tale che Thad non potesse ribattere e lui non si ritrovasse intrappolato nuovamente in quella spirale di parole non dette e da dire obbligatoriamente.
Thad uscì dal bagno portando con sé una cappa di aria calda e il profumo del bagnoschiuma all’arancia che usava in abbondanza. Si immobilizzò sulla porta nel notare la presenza di Sebastian nella stanza e per un attimo rimasero a fissarsi senza sapere cosa dire o cosa fare.
Sarebbe stato facile dare un taglio a quella pagliacciata e giocarsi tutto, una volta e per sempre, ma Sebastian non poteva permettersi di vacillare. Non di nuovo. Ammettere che Thad lo aveva sconvolto gli costò più fatica di quanta ne immaginasse e il pensiero che fosse stato lui a permetterglielo era intollerabile.
Thad afferrò un libro dalla scrivania e si sdraiò sul letto come ogni volta.
A quel punto Sebastian avrebbe esordito a suo modo, infischiandosene di tutto e desideroso solo di far innervosire Thad e vedere fino a che punto riusciva a stargli dietro, ma non quella sera. Era forse l’unico momento di quella giornata in cui aveva il pieno controllo della situazione.
Si schiarì la voce, ricercando le parole adatte per iniziare. Voleva solo… parlare. Senza urlare o tirare giù i vari Santi dal Paradiso.
«Dunque» esordì, «che leggi?»
Thad alzò lo sguardo per un attimo, rivolgendo un’occhiata scettica al suo compagno di stanza, prima di riabbassarlo sulle pagine dinanzi a sé.
«Un libro» rispose lapidario.
Sebastian roteò gli occhi. «Ma dai? Avrei detto che fosse una lista della spesa!»
Sì, ciao ciao, conversazione tranquilla, ciao.
Thad sbuffò. «Sei tu che fai domande inutili, Sebastian.»
«Cercavo di fare conversazione» gli fece notare l’altro.
Thad si mise a sedere, mettendo da parte il libro e fissando Sebastian. «E perché lo faresti?» volle sapere.
Sebastian sbuffò. «Ma si può sapere qual è il tuo problema?»
Thad si produsse in una risata bassa ed amara. «Al momento sei tu il mio problema.»
E Sebastian lo sapeva e nonostante ciò continuava a girare il dito nella piaga. Perché poteva essere stanco, annoiato e spaventato da quella situazione, ma improvvisamente fu tutto troppo chiaro.
Il tassello mancante, ciò che legava la chiacchierata con Flint, la conversazione di Sterling e Duvall e tutto ciò che era accaduto con Thad fino a quel momento. Ciò che permetteva a tutto di acquistare un senso, non singolarmente ma nell’insieme.
Quindi sono sempre stato io il tuo problema?
E lui lo aveva capito la sera prima, ma non era stato abbastanza sveglio da collegarlo a tutto il resto.
Thad lo fissava con sguardo attento e severo. Sembrava ferito da qualcosa e Sebastian – con l’ausilio di questa nuova consapevolezza – non aveva difficoltà ad immaginare cosa fosse che gli faceva così male, che lo faceva scattare così ogni volta che parlavano, che lo portava a rinfacciargli di tutto e a essere così rancoroso nei suoi confronti.  
«Beh» si ritrovò a dire Sebastian, «io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito non te la prendi così tanto.»
No, no, no, no. No. Doveva per forza dire quelle parole esatte? E per quale motivo finivano puntualmente a litigare?
Sembrava che non vi fosse alcun modo per cambiare quella serata. Per un motivo o per un altro, la conclusione era sempre la stessa. Tranne la sera precedente.
Continuava a rispondergli contro la sua volontà e a domandarsi cosa avesse sbagliato ancora e se vi sarebbe stato un modo per premere il tasto pausa e impossessarsi nuovamente della sua vita.
Thad era arrabbiato per delle ragioni che adesso Sebastian riusciva a comprende più a fondo, ma che comunque non giustificavano quell’astio nei suoi confronti.
Lui cosa ne poteva sapere? Si era sempre comportato allo stesso modo con tutti, non poteva immaginare che da parte sua ci fosse dell’altro. La colpa non era assolutamente sua.
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood» disse.
E sì, aveva capitolo più cose Thad di lui che Sebastian stesso. Se ne era rimasto in un angolo, una pulce silenziosa e furba che gli era entrata dentro poco a poco, arrivando a rivoltarlo come un calzino senza che Sebastian riuscisse a rendersene conto.
Sei più di quello che ti sforzi di sembrare agli altri.
Perché Thad era andato oltre e, nonostante tutto, Sebastian gli era grato per questo
«Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma sono più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non sapere nulla di me.»
E cazzo, quello non era giusto, non lo era per nulla. Ci aveva messo un po’, ma alla fine ci era arrivato.
Lo aveva ascoltato parlare del suo fratello perfetto, sapeva che era un maledetto perfezionista del cavolo, che boxava di tanto in tanto, che odiava i Venerdì, che cercava di eccellere continuamente, che odiava la biologia e che gli piaceva leggere. Poco importava che aveva appreso tutto nella stessa fottuta giornata! Lui ci aveva messo tutta la sua buona volontà, quel trattamento era ingiusto. E fanculo che Thad non avesse idea di tutto quello, Sebastian si era stufato di quella cazzo di presa per il culo.
Non sapeva in quale momento di quella discussione si erano alzati in piedi, fatto sta che adesso se ne stavano entrambi al centro della stanza: Sebastian con il pugno serrato e la rabbia che premeva per esplodere, Thad con le braccia incrociate al petto e l’espressione delusa in viso.
«Buonanotte, Sebastian» disse, prima di voltarsi e scostare le coperte.
E fu un attimo. Prima ancora di riuscire a ragionarci, Sebastian era scattato in avanti e gli aveva afferrato il braccio costringendolo a voltarsi nella sua direzione.
«Ti piacerebbe» quasi gli ringhiò. «Cristo, adesso mi ascolti.»
Avvertì Thad trattenere il respiro e per un attimo si bloccò, diviso fra l’incertezza di non sapere in realtà cosa dire e la paura di stargli facendo male. Thad aveva gli occhi leggermente sgranati e Sebastian avvertiva il suo respiro accelerato sul viso, tanto erano vicini.
«Ti permetti di startene qui» iniziò, duramente, «con il tuo pigiama troppo celeste e il tuo bagnoschiuma all’arancia che normalmente troverei disgustoso su chiunque, e mi fai fare pensieri che di solito non farei e dire cose che assolutamente non direi e agire in modi che non sono assolutamente da me, e poi mi accusi di essere un egocentrico del cazzo ed un egoista della peggior specie e di non conoscerti affatto e altre puttanate che ho evitato di ascoltare.»
E lo sapeva che prima o poi sarebbe scoppiato, solo che non voleva che accadesse così. E, soprattutto, non per queste ragioni. Ma si sentiva frustrato e maledettamente nervoso: riversare la sua rabbia repressa su Thad sembrava la soluzione più semplice, in quel momento.
«E per cosa, poi?» continuò, impassibile allo sguardo sconcertato dell’altro. «Per farmi sentire in colpa per delle ragioni che solo tu sembri conoscere? Ma vaffanculo, allora.»
Thad boccheggiò appena, ma Sebastian finse di non notarlo e proseguì a briglia sciolta, la presa sul suo braccio sempre più salda e la voce che cresceva ad ogni parola.
«Ti comporti come se io fossi quello cattivo, quando sei tu che continui a spalarmi merda addosso solo perché speravi che fossi più bravo ad interpretare i tuoi segnali confusi e a capire che hai una cotta per me? Ma quanto cazzo sei egoista?»
E aveva giocato sporco, lo sapeva, ma Thad non poteva avercela con lui per quello. Quello sleale era lui.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, fuggendo gli occhi di Sebastian e concentrandosi sulle sue dita strette ancora intorno alla stoffa del pigiama.
Quando lo rialzò, non vi era traccia di indecisione sul suo viso e la sua voce era sicura e ferma non appena parlò.
«Di cosa mi stai accusando esattamente, Sebastian?» domandò, «Di sentire qualcosa per te, oppure di essermi ricordato di possedere un amor proprio e di aver provato a convincermi che tu non fossi per niente la persona adatta per cui provare qualsiasi genere di sentimento?»
Sebastian aprì la bocca per rispondere e fargli notare che, ancora una volta, non aveva centrato il punto del discorso, ma quello lo interruppe immediatamente.
«No, perché voglio essere certo di difendermi dall’accusa giusta e di evitare di sputtanarmi più di quanto io non abbia già fatto.»
Si stava mettendo totalmente in gioco e Sebastian avvertì la sua stretta indebolirsi nel constatare che, ancora una volta, Thad sembrava il più forte tra i due.
«E se ti dicessi» iniziò, mascherando l’incertezza nella sua voce, «se ti dicessi che non mi danno fastidio i tuoi sentimenti?»
Tanto valeva giocarsi il tutto per tutto e prendere a calci l’orgoglio. Male che andava, il giorno dopo avrebbe rivissuto tutto daccapo e nessuno avrebbe conservato il ricordo di quella conversazione. Tranne lui, ovviamente.
«Mi stai incoraggiando a farmi del male, Sebastian?»
Sebastian rise amaramente, spostando le mani sui fianchi di Thad e avvertendolo rabbrividire a quel contatto.
«Thad, ce ne stiamo qui in piedi, al buio, a parlare di sentimenti e a urlarci addosso tutto quello che ci passa per la testa» gli fece notare, sorridendo. «Se avessi voluto farti del male, avrei trovato modi molto più fantasiosi, non credi?»
Thad si morse un labbro, spostando lo sguardo altrove. Sebastian si prese un attimo per osservarlo e rafforzare la presa su di lui per rendere inequivocabilmente chiaro il concetto.
«Cosa è cambiato da ieri?» Domandò infine, riportando lo sguardo su di lui.
Sebastian avrebbe voluto rispondere che, tecnicamente, era passato ben più di un giorno, ma decise che quella considerazione poteva anche tenersela per sé.
«Dio, Thad, mi hai fottuto il cervello!» Si esasperò. «Cos’altro hai bisogno di sapere?»
E Thad rise, mentre le sue guance si coloravano di rosso e la sua testa si abbassava leggermente. «Suppongo che per adesso potrei anche farmelo bastare» commentò.
Sebastian si chiese se sarebbe stato perfetto come la sera precedente e se Thad si sentisse abbastanza coinvolto da lasciarsi andare nuovamente con lui.
Si sporse in avanti, trattenendo il respiro e avvertendo la pelle fremere per quel contatto che aveva bramato per tutta la giornata e che gli era così inspiegabilmente mancato tanto.
Thad non si mosse e Sebastian si ritrovò a perdersi per un attimo nei suoi occhi scuri e profondi prima di accarezzare quella ridicola distanza che ancora li separava e posare le labbra sulle sue.
Le trovò esattamente come le ricordava, morbide ed incerte. Si muovevano sotto le sue lentamente e senza fretta, assecondandone il ritmo e lasciandosi guidare completamente.  
Sebastian gli passò un braccio dietro la schiena, attirandolo maggiormente a sé e approfondendo quel bacio di cui aveva un bisogno urgente e disperato.
In un attimo le braccia di Thad erano intorno al suo collo, in un movimento naturale e fluido che Sebastian percepì direttamente sulla pelle, un brivido lungo la schiena che lo fece perdere momentaneamente. Perdere fra le sue labbra schiuse, la sua lingua che si intrecciava alla sua e i suoi gemiti bassi che sentiva scorrere direttamente nelle vene.
Ti prego, questo non te lo dimenticare.
E in quel momento seppe di essere fottuto davvero.













Noticine carine carine
Dunque, eccoci alla fine di un altro, mastodontico, capitolo. Spero non me ne vogliate e spero che la lettura sia stata almeno piacevole.
Il male di vivere che mi ha preso quando ho iniziato a scrivere questo capitolo è stato più difficile del previsto da affrontare. Mi sentivo male io per Sebastian e il pensiero di ciò che sarebbe accaduto mi ha spinto a rimandare la scrittura del capitolo più che ho potuto. Poi mi sono decisa a buttarlo giù e amen.
Aneddoti simpatici riguardo il capitolo 5 di Stuck:
1-    Il presente capitolo è dedicato a due personcine speciali speciali. La prima è Somo che gli ha gentilmente fatto da madrina, spingendomi a scrivere quando non ne avevo voglia, consigliandomi laddove Sebastian cercava di boicottarmi e leggendolo pezzo per pezzo mano a mano che lo scrivevo. La seconda è la mia Vals per dei motivi che passerò a spiegare nel punto 2.
2-    La mia adorata metà mi ha autorizzata ad inserire in questo capitolo il testo di un sms che mi ha inviato qualche tempo fa. Io ne sono stata entusiasta perché si adattava perfettamente alla mia trama e lei si merita la dedica per la persona speciale che è. Non credo vi dirò qual è il pezzo in questione, ma vi basti sapere che è anche merito suo se il capitolo ha preso questa piega.
3-    La scrittura dell’intero capitolo, anzi, dell’intera storia, ruotava  intorno al mio desiderio di far dire a Sebastian che Thad gli ha fottuto il cervello. È interessante notare che, giunti al capitolo 5, questa frase è l’unica di cui ho dovuto praticamente forzare l’inserimento. Arrivati alla fine del capitolo mi sono accorta che non ci stava più – rispetto a come volevo inserirla io – e stavo quasi per tagliarla fuori. Poi mi sono convinta e ho deciso di metterla lo stesso, anche se ho dovuto adattarla e alla fine non è venuta come volevo. Un classico, lo so.
4-    Mentre scrivevo di Sebastian che “si perdeva”, nelle mie orecchie Eddy Martin cantava Lost ed io sono una personcina tanto romantica e simpatica e ho iniziato a scuoriciare come non mai. Solo per farvelo sapere.
5-     Lo avete letto in 3 capitoli mi pare ed io sono stata abbastanza attenta da non dirlo ancora ma, qualcuno ha idea di cosa accidenti stia parlando Jeff quando dice  “…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.” ??? No, perché alla fine nel suo contesto è una cosa che ha pure senso, LOL. Bon, lo saprete nel prossimo xD
6-    Non ho niente contro i pigiami celesti, anzi, l’azzurro è il mio colore preferito. LOL

Comunque, la storia volge quasi al termine, sigh, ormai mancano solo un capitolo e l’epilogo e già so che piangerò molto pateticamente alla fine.  
In ogni caso, vorrei ringraziarvi sentitamente per l’entusiasmo che avete riversato allo scorso capitolo: sapevate quanto ci tenevo e vedere che vi è piaciuto mi riempie di gioia!

Vi ricordo ancora una volta eventuali luoghi ameni in cui trovarmi: Twitter e Facebook
Bene, la smetto di blaterare, a lunedì prossimo,

Thalia.




 

 







   
 
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