Scusate
il ritardo, ma ho avuto seri casini di real life. Ç_ç
Anche
qui valgono le stesse indicazioni dei precedenti capitoli.
Questo racconto contiene
spoiler sulla puntata 4x04 “Aithusa”.
La storia prende spunto dagli
eventi della puntata; tuttavia, essi sono stati rimaneggiati verso un’altra
direzione dal minuto 25 circa in poi. Diciamo che
nella mia fic non entreremo nella grotta e prenderemo
un’altra strada. Ah! Ho anche usato le parole di Kilgharrah
a mio uso e consumo. XD
Come ho spiegato ad alcune
autrici a suo tempo, ho scelto di non leggere nessuna fic
su Aithusa, per non venirne
influenzata mentre scrivevo questa storia. Chiedo perdono se, in qualche modo,
questa fic può assomigliare ad altre, la cosa non è affatto voluta ed è del tutto casuale.
In minima parte, è anche un
omaggio a Saphira di Eragon,
anche se è passato un secolo da quando l’ho letto.
La storia è composta da 5 capitoli ed è già finita, è in fase di betareading.
ATTENZIONE: Merlin &
Arthur, friendship (o pre-slash
SOLO AD INTERPRETAZIONE PERSONALE).
Grazie.
Ai vecchi e ai nuovi lettori.
A chibimayu, katia emrys, _Jaya, Orchidea Rosa, elfin emrys, Yuki
Eiri Sensei e DevinCarnes, per aver commentato.
A chiunque vorrà lasciare un
parere.
Grazie.
Aithusa
[Our Egg, Our Mascot]
Capitolo III: Aithusa (“Say my name”)
Era quasi l’alba quando Merlin si destò, sentendo il tiepido
uovo pulsare addosso a lui. Era una
sensazione bellissima e commovente, tanto che sentì le labbra distendersi prima
ancora di capire che stava sorridendo.
Allora egli, cullandolo istintivamente, tentò di girarsi supino,
perché, malgrado tutto, i suoi muscoli indolenziti – per
la postura forzata che aveva mantenuto tutta la notte – gridavano il loro
malcontento.
Ma il mago non aveva fatto i conti con
Sua Maestà che, sentendosi privato della sua primaria fonte di calore, aveva
mugugnato nel sonno, cercando nuovamente di ristabilire il gradevole contatto
fra loro.
Il servo sorrise nuovamente, intenerito per una ragione
diversa da poco prima, e si lasciò catturare dal braccio del suo signore.
Non potendo fare altro che rimanere immobile in attesa
dell’aristocratico risveglio, il mago rifletté su quali fossero le mosse più
opportune da fare, da quel momento in poi, per salvare la vita del piccolo
drago.
Se fosse riuscito a far schiudere l’uovo al più presto –
prima di tornare a Camelot o
addirittura prima di riunirsi agli altri cavalieri (contrariamente a quanto
aveva detto ad Arthur) –, le probabilità che la bestia magica potesse sopravvivere
erano maggiori.
Sì, era più saggio mettere il suo padrone di fronte al fatto
compiuto, prima che egli potesse pentirsi di aver seguito il suo consiglio o potesse
cambiare parere da un momento all’altro, scegliendo di disfarsi
dello scomodo ostaggio.
Benché quell’idea crudele
cozzasse col ricordo che aveva di lui quando, la sera precedente, lo aveva scoperto
a covare l’uovo, lui non poteva rischiare.
Arthur vedeva quel
piccolino come un mezzo sacrificabile per aiutare la sua gente e non come una
creatura speciale, da salvare e preservare in quanto
tale.
Ma Merlin, in qualità di Signore dei Draghi, aveva un compito ben
preciso da assolvere e se questo dovere l’avesse costretto a scontrarsi con l’Altra
Faccia della Sua Medaglia… beh, lui l’avrebbe fatto. A malincuore, ma non vi
era altra soluzione.
Pur augurandosi che ciò non dovesse mai accadere, gestire
l’ira dell’Asino Reale era una cosa con cui aveva familiarità e, a mali
estremi, era anche disposto ad usare la magia per
rendere inoffensivo il suo signore, mentre consentiva alla bestiola di fuggire;
poi, evocando Kilgharrah ovunque esso fosse, l’avrebbe
affidata alle sue cure.
***
“Non lo rimetti nella sacca?” chiese Arthur, sorpreso,
quando i preparativi per la partenza furono ultimati.
“No. Credo che sia più al sicuro se
lo tengo in mano...” rispose l’altro, stringendosi
l’uovo al petto.
“Merlin, stupido idiota!” imprecò il sovrano, strabuzzando
gli occhi. “Sei la persona più maldestra di tutti i Cinque
Regni! E pretenderesti di tenere una cosa così fragile con i tuoi palmi
di burro?!” sbraitò, retorico. “Tu sei abituato ad inciampare sui tuoi stessi piedi!” reiterò, incurante di
sembrare eccessivo. “Dai qua.” Comandò infine, allungando le mani con un gesto
di stizza.
“Cosa? Oh, no!”
si rifiutò lo scudiero, mentre il re sovrapponeva le proprie dita alle sue.
“L’uovo è mio e lo tengo io!” s’impuntò, rafforzando la stretta.
“Ma tu
sei mio! Perciò quello che è tuo mi appartiene!”
sbraitò Arthur, in una logica tutta sua.
Il mago sbatté le palpebre, certo di aver equivocato. Anche
il giovane Pendragon realizzò
che la frase detta era fraintendibile, perciò si premurò di correre ai ripari, ritrattando.
“Ehm... Io intendevo dire che tu sei un
mio suddito e la tua inutile esistenza
mi appartiene. Ho diritto di vita e di morte su
di te, peccato che tu tenda a dimenticartelo troppo spesso – o forse non l’hai
mai neppure ricordato…” considerò fra sé, meditabondo.
“Il fatto che io vi abbia giurato fedeltà non vi dà il
diritto di fare il prepotente!” s’animò lo stregone.
“Merlin!”
strascicò Arthur, impaziente. “Non discutere!”
“Col cavolo!” rispose il servo, a tono, rifiutando di
lasciare la presa mentre l’altro strattonava dalla sua parte.
“Merlin!” ripeté
il re, come se solo dicendo il suo nome dovesse incutergli timore. Speranza vana, quella.
Fu un inquietante scricchiolio, fra le loro mani, a
tacitarli.
“Hai… hai sentito anche tu?” sussurrò Arthur, preoccupato,
arrestandosi di botto.
“Temo di sì.” Ammise il servitore, mentre insieme sollevano
il guscio per verificare una possibile crepa.
Solo dopo essersi accertati, con meticoloso scrupolo, che
tutto fosse ancora intatto, entrambi rilasciarono un sospiro
di sollievo.
“Toh.” Decise il re, lasciando la presa. “Non voglio
rischiare di nuovo.”
“No, è più saggio che lo teniate voi…” ammise il valletto,
contrito, offrendogli il frutto delle loro fatiche. “Sebbene poc’anzi siate stato alquanto indelicato, avevate ragione, quando dicevate
che sono sbadato e maldestro, anche se non lo faccio di proposito.”
Arthur accolse l’uovo, poi, distogliendo lo sguardo e
fingendosi interessato allo strato poroso del guscio, bisbigliò un: “Mi
dispiace, se ti ho ferito.” Confessò, sincero. “Ma è
vero che sono più affidabile io, da azzoppato, che tu… nel pieno delle tue
facoltà!”
Merlin si morse la lingua per tacere.
Sull’ultima affermazione di Sua Maestà aveva parecchio da
ridire – con tutte le volte che gli aveva
salvato il suo regale fondoschiena?! –, ma non lo fece per il rispetto che provava per lui.
Arthur aveva ammesso di zoppicare, benché fino a quel
momento avesse cercato di dissimularlo, un po’ per orgoglio e un po’ per non
farlo preoccupare eccessivamente e non gravare, col suo problema, sulla loro
missione.
Quindi anche lui avrebbe
accantonato quel litigio e sarebbero stati pari.
“Scuse accettate, ma ora è tempo di andare!” consigliò,
incamminandosi per primo.
***
Quando giunsero nei pressi del ponte sul burrone, l’unica
cosa che trovarono furono i resti delle corde sbrindellate.
Degli altri cavalieri… nessuna traccia, e neppure le loro cavalcature c’erano
più.
“Avranno seguito il mio consiglio e si saranno diretti verso
valle per cercare guadi o restringimenti nella spaccatura.” Motivò re Pendragon, passando l’uovo in custodia al suo valletto e lasciandosi
cadere al suolo per riposare le stanche membra.
Tutta quella camminata di ritorno, con la gamba dolorante,
era stato un supplizio e anche la spalla e le costole
gli dolevano. Peccato che la sacca dei medicinali fosse rimasta ancorata alla
sella della giumenta di Merlin, e quindi inutilizzabile.
“Sarà senz’altro così.” Ne convenne il servo, imitandolo ma
con più accortezza, visto ciò che reggeva. “Cosa contate di fare?” domandò svogliatamente, quando l’ozio lo costrinse a
sbadigliare.
Arthur lo imitò, come contagiato dal suo languore.
“Non ha senso seguirli da questa sponda-”
“Anche perché marciare, per voi, è un problema.” L’interruppe il mago, guadagnandosi un’occhiataccia.
“Non è questo, il punto.” Lo rimbeccò il nobile, offeso che l’altro si fosse
permesso di evidenziare il suo impedimento, mettendo il dito nella piaga. “Il
punto è che loro faranno comunque ritorno qui… beh, lì.” Si corresse, indicando con una mano guantata
il prato oltre il dirupo. “Se trovassero un modo per passare di qua, ci
raggiungeranno. Se non lo troveranno, ci saremo risparmiati un’inutile
scarpinata.” Spiegò, con ragionevolezza. “Quindi, Merlin, ce ne restiamo qua.” Ripeté, come a sottolineare
l’ovvio. “Ad aspettare.”
“Oh, bene!” concordò lo scudiero, con eccessiva gioia,
posando delicatamente a terra l’uovo fra i ciuffi di erba verde e mettendosi ad
armeggiare con i propri stivali. Un istante dopo, sotto lo sguardo sbalordito
del suo signore, egli rimase a piedi nudi, mugolando di sollievo.
“Ma che fai, idiota?!” lo ammonì il
nobile, con i lineamenti contratti, il naso arricciato e un’espressione
schifata.
“Perché?” chiese il mago, sorpreso. “Non avete forse detto
che dovevamo solo attendere qua il loro ritorno? Beh, mi sto
mettendo comodo!”
“Avevo detto ‘qua’, ma non intendevo proprio ‘qua’ qua!” sbraitò il re, adirandosi.
Ma Merlin, incurante della sua
faccia torva, scoppiò a ridere.
“Sembrate un’anatra! Ma sempre un’anatra reale!” affermò, imitandolo: “Qua, qua qua…”
“Merlin!” ruggì il
nobile Babbeo oltraggiato e indignato, mentre il suo viso diventava come il
colore del suo mantello. “Alla gogna! Ti giuro che finirai alla gogna, appena
torneremo a casa, così ti passerà la voglia di essere impudente col tuo re!”
Il sorriso sulle labbra del mago si spense, mentre sfoderava
la sua espressione più contrita, quella che – assai raramente, a dire il vero –
sapeva impietosire il suo signore.
“Ma-”
“Non ci provare neppure!” lo tacitò Arthur, puntandogli
l’indice contro.
“Ma ci siamo solo noi due!” sbottò
comunque l’altro, ignorando l’ingiunzione. “Nessun altro ha sentito e potremo
dimenticarlo!”
“Nah.” Il re fece schioccare la
lingua, con un po’ di sadica soddisfazione. “Io non dimentico. Mai.”
“Allora non dimenticherete neppure che ieri vi ho salvato la
vita!” ritentò il servo, giocando l’ultima carta.
“Ieri era ieri, Merlin.”
Filosofò il monarca, con una faccia di bronzo. “E oggi è un altro giorno.”
“Dannato Asino Reale…”
brontolò il mago, bofonchiando, strappando alcuni fili d’erba.
“Cosa?!” domandò Arthur, ghignando,
pregustando l’aggravio della punizione che gli avrebbe inflitto. “Mi è parso di
sentire che-”
“Niente! Non può esservi parso niente… perché io non ho parlato.”
Replicò lesto lo scudiero, facendo spallucce. “Forse il vostro udito fa
cilecca, Sire.” Lo provocò, fingendosi
comunque ossequioso.
Il giovane Pendragon incassò la
stoccata con lo stesso buongrado di chi ingoia un limone acerbo.
“Alza il tuo culo ossuto da lì, ce
ne andiamo!” eruppe, sollevandosi e incamminandosi per primo, zoppicando, senza
neanche attenderlo.
“Ma, Mio Signore!” s’allarmò lo
stregone, scalzo, scattando subito in piedi. “Sire, dove andate?!”
“Dove saremmo da un pezzo, se la tua linguaccia non mi
avesse infastidito con le sue sciocchezze!” lo rimbrottò il re, di spalle,
senza darsi pena di controllare se l’altro lo seguisse o meno.
“Ma avevate detto che saremmo rimasti qui!” protestò il
mago, mentre si rinfilava in fretta gli stivali,
raccattava l’uovo e veniva ignorato.
Solo quando ebbe nuovamente Merlin accanto, Arthur concluse: “Troveremo un posto all’inizio del bosco, dove
accamparci per aspettarli. Probabilmente non torneranno prima di domani. Con ‘qua’, prima intendevo ‘questa zona’, idiota!”
“Uhm.” Sbuffò il servo, comprendendo.
“E il mio perfetto udito – che a tuo assurdo dire fa cilecca – mi sta informando che vi è dell’acqua che
gorgoglia nei dintorni, perciò quello sarà il posto ideale, perché non ci
allontaneremo di molto.”
***
Il fuoco scoppiettava allegro, spargendo tepore
tutt’attorno.
Alla luce del tramonto, Merlin si perse ancora ad osservare l’uovo che aveva tra le braccia.
Era lucido, perfetto.
La prima volta che lo aveva visto, ne era rimasto
incantato, ma in quel momento lo era
ancor di più.
Aveva perso il conto delle volte aveva percorso con le dita le
screziature azzurrognole – disegnando mille e mille ghirigori – sul rivestimento
perlaceo. Gli pareva quasi che esse cambiassero gradazione di colore da sole, o
forse era solo uno scherzo della luce… ma
non si sarebbe mai stancato di guardarlo.
Tra un sospiro e
l’altro, quell’opera d’arte magica l’aveva stregato.
Merlin aveva ripensato per tutto il giorno alle parole del
drago, a ciò che l’essere millenario gli aveva spiegato – non che fosse stato
poi molto chiaro, ma quando mai lo era?
– e su quando e come avrebbe dovuto agire. Ma non era
arrivato a capo di niente.
“Al momento giusto
saprai istintivamente cosa fare, Merlin.”
Certo. Come no?
Arthur aveva sonnecchiato per tutto il pomeriggio,
lasciandolo ai suoi tormenti interiori, poi Sua Maestà aveva deciso che si
sarebbe inoltrato un po’ nella boscaglia, per cacciare
la loro cena, abbandonandolo – malgrado le sue proteste – da solo a fare la
guardia e… a covare.
Ma il tempo incalzava e lui doveva capire come favorire la schiusa.
Avrebbe dovuto colpire
il guscio con qualcosa? Senza troppa forza, ma con decisione?
Avrebbe dovuto usare
la magia? Evocare un incantesimo? Sì, ma quale?
E se il draghetto non fosse stato ancora pronto?
Aveva riposato per quattrocento
anni, come diamine lo avrebbe persuaso, lui, ad uscire
da lì?!
“Me lo vuoi dire come devo fare?” bisbigliò, pensieroso e
assorto, tracciando con l’indice il profilo poroso.
“Ti prego, ti prego, ti prego…”
“Credi che ti risponderà?”
Merlin squittì di spavento, sollevando di scatto la testa,
mentre Arthur ridacchiava poco lontano da lui.
“Saresti forse un’ottima
balia, vista la devozione con lui gli
parli; ma sei certamente una pessima sentinella.” Gli fece notare. “Avrei
potuto pugnalarti alle spalle e tu saresti morto senza neppure accorgertene.”
“Ad essere pignoli, sarei potuto
morire anche di spavento…”
puntualizzò il servo col batticuore, facendolo ridacchiare nuovamente e, nel
fare ciò, Arthur si mise una mano sul costato.
“Vi duole ancora molto?” si preoccupò, pur non potendo fare niente,
con la sua magia, senza insospettirlo.
L’unica cosa buona, era stata convincere (non senza fatica) quell’aristocratica Testa di Legno a ruminare
un’erba medicinale che lui aveva riconosciuto essere un blando antidolorifico.
“Non mi vorrai avvelenare, vero?” aveva chiesto il nobile
Somaro, diffidente, prima di masticare le piantine, sinceramente preoccupato per la propria salute e ancor più per la scarsa
conoscenza che l’apprendista del guaritore reale dimostrava per certe varietà
vegetali.
“Non vi ucciderà.” Gli aveva garantito il discepolo
dell’archiatra reale, e così era stato; ma il risultato si era rivelato
ugualmente insufficiente.
Arthur mugugnò, allontanandolo dai suoi ricordi recenti.
“Forse una o due costole sono davvero incrinate.” Ammise,
perché negare ormai non serviva, lanciandogli il magro
pasto che aveva cacciato affinché lo scuoiasse.
Il servitore accantonò l’uovo e ripulì una piccola lepre,
tutta pelle e ossi.
Successivamente, la mise sul fuoco
ad arrostire, infilzata in uno spiedino di fortuna.
***
Il silenzio fra loro non era fastidioso.
Cullati dal gorgoglio dell’acqua e dai rumori della notte,
tra il chiurlare dell’assiolo e il bubbolare di una civetta, avevano succhiato
il midollo di ogni ossicino, ma le loro pance brontolavano ancora. Per lo meno,
rendendo onore al piccolo ruscello lì accanto, avevano bevuto a sazietà.
Arthur lo aveva persino schizzato con le dita grondanti, per
fargli dispetto vedendolo tanto assorto.
“Non dovresti usare il cervello, Merlin, non è una cosa che ti riesce bene!” l’aveva canzonato,
sorridendo del suo broncio, mentre il servo, anche di lontano, non perdeva
occasione di tenere d’occhio l’uovo, come la più solerte e ansiosa delle madri.
Il mago aveva sbuffato, portando pazienza, e poi lo aveva
lasciato a rinfrescarsi ed era tornato dall’oggetto della sua ossessione,
mettendoselo in grembo con le ginocchia raccolte al petto.
“Dimmi come fare…”
lo implorò, disperato e impotente, ripetendo anche mentalmente la sua supplica.
“Dimmi come aiutarti!”
Per un lungo, interminabile istante, niente cambiò. Ma poi…
‘Di’
il mio nome.’
Merlin sentì una piccola, fievole voce nascere dentro di sé.
Fu solo un sussurro così sottile, che credette
di esserselo sognato.
‘Di’
il mio nome. Chiamami!’
Insistette la voce, facendolo rabbrividire per l’emozione.
Egli spalancò la bocca per lo stupore, realizzando
che era stata davvero la creatura
dentro l’uovo a comunicare con lui.
‘Dillo!’
Si sentì supplicare, in modo sempre più accorato, e dunque cedette.
Pur col cuore in gola per l’emozione, inspirò a fondo per trovare
il coraggio e la concentrazione necessarie – Arthur,
in quel momento, non era altro che una presenza lontana e marginale nel suo
campo visivo e nella sua mente.
‘Aithusa…’
sussurrò il mago, prima nella sua testa, quando la parola si
fu formata da sé, limpida e vivida come una luce nell’oscurità; poi, egli la
ripeté sottovoce. “Aithusa!”
In risposta al suo richiamo, l’uovo
scricchiolò, dapprima piano, e in seguito sempre più rumorosamente.
“Mettilo giù, Merlin! Mettilo giù!” urlò il re,
comparendogli di fianco nel momento esatto in cui il guscio si ruppe e un pezzo
minuscolo cadde a terra.
Il servo ubbidì per non contrariarlo e depose cautamente
l’uovo davanti ai suoi piedi, giusto in tempo perché il sovrano lo strattonasse
via con un gesto concitato e ponesse mano alla spada.
“No, Arthur, no!” gridò lo stregone, frapponendosi fra il
suo signore e la creatura che stava nascendo.
“Stai lontano, potrebbe essere pericoloso!” urlò il monarca,
di rimando, senza tuttavia estrarre del tutto l’arma.
“E’ solo un cucciolo!” cercò di persuaderlo il mago,
osservando ora lui ora la creaturina che spuntava
appena dal guscio.
Arthur sembrò dargli retta, poiché rinfoderò la lama,
lasciando tuttavia la mano sull’elsa.
Il resto fu solo un
insieme di scricchiolii ruvidi e stupore.
La bestiola ruppe col naso un pezzo alla volta. Uno dopo
l’altro, essi caddero a terra, fino a che la testolina non fece capolino, poi
le zampette e infine, con un rauco verso di vittoria, non spuntarono anche le alucce. Con un salto un po’ goffo, il draghetto
si liberò di ogni costrizione.
E allora puntò gli
occhietti curiosi sul mondo.
Continua...
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio a Tao, che sopporta i
miei scleri. X3
E a Giuls, che mi coccola col suo entusiasmo!
Note: Il colore
del titolo ‘dovrebbe’ richiamare le gradazioni dell’uovo, purtroppo non è
possibile farlo in modo realistico. U_U
La frase: “Domani è un altro
giorno!” credo sia una citazione che non necessita di spiegazioni, mh?
Premettendo che chi mi conosce lo sa bene, io sono una capra
autodidatta in inglese.
Sembra assurdo, quindi, ma mentre mi preparavo mentalmente
al pezzo in cui avrei scritto del guscio che si crepa, nella mia testa mi sono
immaginata una voce che diceva: “Say my name.” (e
non in italiano. XD)
In questo periodo sto decisamente
vedendo troppe serie TV subbate e uso troppo google translator. U_U
Per pignoleria, faccio notare che durante la puntata l’uovo
cambia colore un numero imprecisato di volte.
All’inizio è bianco, con l’apice e il pedice azzurrognoli,
alla fine è tutto blu chiaro. XD
Visto
che con Linette lo
apprezzate, vi aggiungo un’anticipazione del prossimo capitolo:
Fu un cavernoso brontolio di pancia ad
interrompere quella parentesi, col sovrano che sollevava sarcasticamente le
sopracciglia bionde – nella miglior imitazione di Gaius – e un’espressione di
commiserazione.
“Merlin, abbi un
minimo di dignità! Anch’io ho fame, eppure le mie budella non oserebbero mai
svergognarmi a tal punto!”
“Ma non sono stato io!” s’indignò
lo scudiero, arrossendo ugualmente, schiacciandosi lo stomaco come a tacitarlo.
“Non serve che tu menta, ti ho sentito!” insistette il
giovane Pendragon, con un ghigno.
“Vi giuro: non sono stato io!” ripeté il mago, mettendosi
persino una mano sul cuore, intanto che il suono imbarazzante si ripeteva con più
intensità.
I due uomini si voltarono all’unisono verso l’inequivocabile
fonte del brontolamento, con Aithusa che ricambiava
il loro sguardo con la più innocente delle espressioni, piegando il musetto di
lato.
“Gre-e-e!”
gracchiò, quasi offrendo loro una spiegazione o le sue scuse.
La protesta delle sue viscere echeggiò una terza volta,
facendole schioccare la lingua e le fauci.
Avviso di servizio: Spero di
trovare il tempo di aggiornare Linette 62 fra qualche giorno.
Come sempre, grazie per tutti i vostri pareri.
Campagna di
Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
crede)
Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche.
Grazie (_ _)
elyxyz